Avventura al Chiaro di Luna-SPIN OFF

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** Atto II ***
Capitolo 7: *** 2. ***
Capitolo 8: *** 3. ***
Capitolo 9: *** 4. ***
Capitolo 10: *** 5. ***
Capitolo 11: *** Atto III ***
Capitolo 12: *** 2. ***
Capitolo 13: *** 3. ***
Capitolo 14: *** 4. ***
Capitolo 15: *** 5. ***
Capitolo 16: *** 6. ***
Capitolo 17: *** Ultimo atto ***
Capitolo 18: *** 2. ***
Capitolo 19: *** 3. ***
Capitolo 20: *** 4. ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Atto I ***






 
Atto I
“E come posso dire di esser sola
se tutto il mondo è qui che mi contempla?”
W. Shakespeare – Sogno di una notte di mezza estate. – 
 
 
 
Settembre 2017

 
 
Detestava il lunedì mattina.

Con tutto il suo cuore.

Non solo perché aveva inizio un'altra estenuante settimana lavorativa ma, soprattutto, perché doveva aver a che fare con il suo caro, idiosincratico collega, il Professor Emerson Jones.

Non le bastava dover sopportare una massa informe e confusionaria di umani. No, ci voleva anche lui a illuminarle la giornata.

Lui, con le sue paure assurde fatte di mascherine in polivinile, fazzoletti usa e getta, gel lavamani e ricostituenti di ogni genere e forma, era il suo incubo notturno e diurno.

Non una volta che non le facesse osservazione su qualcosa.

Quando poi la vedeva ingollare uno dopo l'altro i suoi microscopici quanto dolcissimi – e coloratissimi – M&M's, che era solita portare a scuola per allietare i suoi break tra una lezione e l'altra, erano dolori.

I suoi occhi color grigio topo si sgranavano fin quasi a uscire dalle orbite, la sua loquacità andava a zero e balbettii sconnessi uscivano dalla sua bocca piegata in una smorfia.

Fanno male alla salute. Sono pieni di coloranti. Ma non pensi alla linea? Sai quante porcherie hai nel sangue? Ti verrà un infarto, prima o poi!

Disgustata alla sola idea di ritrovarselo davanti nella sala insegnanti della Falmouth School, Cecily imprecò vistosamente.

L'inizio dell'anno scolastico era stato traumatico e, quel che era peggio, la professoressa Rothes aveva deciso all'ultimo momento di prendersi un anno sabbatico, lasciando il corpo docenti sguarnito di un insegnante di Storia.

Il Consiglio Direttivo era corso ai ripari in fretta e furia e, per quel giorno, era previsto l'arrivo di un sostituto da Truro.

Non aveva la più pallida idea di chi fosse, a parte che non era un licantropo.

Fosse stato il caso, il tipo o la tipa in questione avrebbe preventivamente avvisato del suo arrivo per non destare sospetti di alcun genere, quindi sapeva per certo che non era un peloso terminale.

In un certo qual modo, però, lo avrebbe preferito; essere l’unica adoratrice della luna in tutta la scuola – con la sola eccezione di tre studenti dotati di pelliccia – era un inferno in terra.

Dover sempre stare attenta a quel che diceva, a come lo diceva, a quello che sollevava, a come lo sollevava… era tutto un come e un perché avariato all’ennesima potenza!

E lei detestava doversi contenere!

Ma, alla stessa maniera, adorava insegnare, perciò non se la sentiva neppure di cambiare mestiere.

Brutta da ammettere, ma le piaceva stare in mezzo ai ragazzi, anche quando la prendevano in giro di nascosto per la sua altezza da Hobbit.

Un metro e sessanta contro quei mostri da un metro e ottanta abbondanti che erano alcuni suoi studenti, era dura da digerire per una come lei, e loro lo sapevano.

Le carogne!

Ma gli voleva bene lo stesso, e loro a lei.

Intenta che era a spazzolarsi i mossi e morbidi capelli rosso fuoco – che teneva rigidamente legati in uno chignon, quando si recava a scuola – Cecily fissò malamente il cellulare non appena si mise a strillare Highway to Hell.

Chi poteva essere, alle sette del mattino?

Accettata la chiamata senza guardare neppure il numero del chiamante, ringhiò: “Chi rompe a quest’ora del mattino??”

Una risata liquida e sincera si allargò nell’aria e Cecily, sorridendo spontaneamente nel sentirla, mise giù la spazzola ed esclamò: “Ehi, Brie! Ciao! Qual buon vento, lupacchiotta?”

“Ciao, Ceel! Ti disturbo? Ero sveglia ad allattare Nathan, perciò non ho neppure pensato di guardare l’orologio e …”

Azzittendola subito, Cecily replicò lesta: “Tranquilla, piccola, mi stavo pettinando, quindi ero già debitamente sveglia. Come sta il nostro piccolo miracolo?”

“Ha solo sei mesi ma ha già imparato quando non svegliare la mamma e il papà” disse con orgoglio tutto materno la giovane wicca e Prima Lupa del clan di Matlock.

Sette anni. Ancora stentava a credere che fosse passato così tanto dalla prima volta che aveva incontrato quello straordinario concentrato di potere che era Brianna Ann McAlister.

Erano successe un sacco di cose da quell’incredibile incontro, tra cui la quasi Fine del Mondo ma, se non altro, poteva dire con assoluta certezza che, da quel momento in poi, la sua vita era stata certamente più allegra.

Lance, l’Hati di Duncan, si era sposato la primavera successiva al rapimento della loro Prima Lupa assieme alla matrigna di Brianna che, in una fresca mattina di fine estate, aveva partorito la loro prima figlia.

Keeley aveva già cinque anni, ed era una bellissima bambina dai capelli chiarissimi come il padre e gli occhi verdi della madre.

Non aveva idea se la coppia avesse intenzione di avere altri figli ma, visto che Mary Beth era già diventata una licantropa da almeno tre anni, dubitava che si sarebbero mai arrischiati ad averne un secondo.

Inoltre, i due genitori erano così innamorati della piccola che difficilmente avrebbero potuto sfornare amore sufficiente per un altro pargolo.

Non si poteva mai sapere, ma lo riteneva poco probabile.

“Zia, zia, posso tenere in braccio Nat? Posso? Posso?”

La voce trillante di Keeley si incuneò attraverso il telefono e Brianna, ridacchiando allegramente, mormorò: “Ora sta dormendo, tesoro. Ma puoi controllarlo per me mentre riposa e io sono al telefono.”

“Sì, zia” assentì la bambina con tono molto serio.

“Ti chiama ancora zia?” esalò divertita Cecily.

“Non le è ancora molto chiaro come io e Gordon possiamo essere i suoi fratelli maggiori, vista l’enorme differenza d’età, ma non è un problema se mi chiama così” le spiegò Brianna, con un tono allegro nella voce. “Prima che mi dimentichi, volevo sapere se tu e la tua ciurma avete il tempo di partecipare al battesimo di Nat. L’abbiamo programmato tra due domeniche. Ho già contattato anche Joshua, e mi ha detto che verrà sicuramente. Alec, Erin, Penny  e Gareth ci raggiungeranno un paio di giorni prima e così pure Bright con Estelle, la loro figlioletta Maggie e Kate. Tempest ci raggiungerà con Bryan e sua moglie Linda quella stessa domenica, mentre Fred, Becca e Matthew si fermeranno per una settimana. Per non parlare di Pascal che…”

Brianna elencò uno per uno tutti gli invitati al battesimo, berserkir compresi e Cecily, con un risolino, esalò sconvolta: “Ma… è un battesimo, o il G20?”

“Qualcosa di simile, in effetti” scoppiò a ridere Brianna.

“Ci sarò sicuramente, cara, non dubitarne neppure per un secondo. Avverto già Hugh di tirare fuori frac e cilindro” sghignazzò Cecily, tutta contenta all’idea di rivedere l’intera ciurma.

“Avrei voluto vederti con un uomo diverso dal tuo Hati, per quanto vedere Hugh sia sempre uno spettacolo degno di nota” ironizzò Brie, con tono divertito.

A ben pensare, Hugh era un personal trainer con i controfiocchi, con la sua statura importante, i possenti muscoli e la chioma scura che metteva in risalto un volto dai tratti forti e volitivi.

Gli occhi neri come la notte, poi, conferivano al suo sguardo un che di magnetico, di misterioso, e le donne cadevano a frotte ai suoi piedi.

Non lei, però.

Nessuno, fino ad ora, l’aveva scossa così tanto da farle venire le proverbiali farfalle nello stomaco.

“Mi spiace, carissima pupetta, ma nessun uomo a parte il mio Hati mi accompagnerà. Per ora, sono libera come l’aria. Io e Kate potremmo decidere di sposarci, alla fine. Ma Bright se ne avrebbe a male se gli portassi via la wicca a questo modo” sghignazzò Cecily, facendo scoppiare Brie in un nuovo accesso di risa.

“Gli uomini piacciono troppo a entrambe perché vi buttiate in questo genere di rapporto” ci tenne a sottolineare Brianna con tono da cospiratore.

“Verissimo, pupetta mia. Vorrà dire che mi adeguerò alla realtà dei fatti. Morirò zitella” sentenziò con sarcasmo Cecily, pur rabbrividendo sotto sotto a quell’eventualità.

“Hai trentasei anni, Ceel, non ottantadue. Io non mi butterei in mare solo per una cosa come questa” precisò Brianna, affabile e gentile come sempre.

“Detto dalla mia adorata wicca e neomamma, che a quasi ventotto anni è già sposata e con prole al seguito… ha un che di assurdo” ironizzò delicatamente Cecily.

Mugugnando a mezza bocca, Brie biascicò: “Ehi, Ceel, non posso farci nulla se la pillola non ha fatto effetto e il preservativo ha dato forfait.”

“A chi la racconti! Figurati se tu e Mac non l’avete cercato!” ghignò Cecily, conoscendo perfettamente la verità dei fatti.

Al termine della tanto sospirata università, Brianna aveva parlato lungamente con Duncan del suo desiderio di dargli un figlio.

Dopo quasi un anno di tentativi infruttuosi, la notizia dell’imminente nascita aveva attraversato l’intera Gran Bretagna come un fulmine a ciel sereno.

Nessuno di loro aveva idea di quale amalgama di potere si potesse concentrare in quel cucciolo appena nato.

Di certo, sapevano solo una cosa.

Il dio degli Inganni non era rinato in lui. Unica concessione nel suo genere, la Madre aveva sbarrato le porte a Loki perché non si impadronisse di nessun licantropo o berserkir, e la quercia sacra del Vigrond di Matlock aveva rassicurato i due genitori in tal senso.

Non aveva idea del perché la Madre Terra si fosse spinta a tanto nel condizionare gli eventi ma, se non altro, potevano stare tranquilli.

Nessuno dei nuovi nati nei vari clan di licantropi, da quel momento in poi, avrebbe mai più potuto essere posseduto dall’anima di Loki.

Niente escludeva che potesse rinascere in un altro corpo, ma di certo non avrebbe più potuto beneficiare dei poteri legati alla stirpe di suo figlio o di Wotan, che ormai era divenuto un bimbetto forte e robusto, stando almeno a quel che sapeva.

“Toglimi una curiosità… come mai Keeley si trova lì a quest’ora?” si incuriosì Cecily.

“Mary B e Lance sono a un Convegno Medico a Londra, così mi sono offerta di tenerla visto che Gordon è già partito per l’università di Nottingham, dove sta studiando per il Master in Lingue Antiche.”

“Materiuccia leggera, il ragazzo” fischiò ammirata Cecily, che si era detta d’accordissimo con la scelta del giovane quando, a suo tempo, aveva parlato con lei per avere consigli in merito.

“Già, è sempre stato una testa d’uovo” ironizzò Brie, mettendo del miele nella sua voce di contralto.

“Ha parlato quella da Summa cum Laude. Devo ricordarti che sei quella che si è laureata prima di tutte, nel tuo corso di Immunologia? E che l’ospedale di Matlock ha fatto i salti di gioia, quando hai scelto di fare praticantato da loro?”

L’ironia e l’affetto accarezzarono le orecchie di Brie che, a mezza voce, mormorò: “Okay, siamo due teste d’uovo.”

“Così mi può stare anche bene.” Controllato l’orologio, grugnì un insulto e, nel torcere la bella bocca, ammorbidita da un rossetto color prugna, mugugnò: “Devo andare, pupetta. Ma prometto di farmi sentire presto.”

“Ci conto, Ceel. Un bacio” mormorò Brie, chiudendo la chiamata.

Cecily si guardò pensierosa allo specchio, il viso pallido e solcato da rade efelidi sul naso, i lineamenti cesellati come quelli della madre che, ormai da tempo, si godeva il sole dei Caraibi assieme al padre.

Non l’aveva stupita per nulla la loro scelta di andarsene da Falmouth, dopo essersi sincerati che la loro unica figlia fosse saldamente al comando del branco di lupi della Cornovaglia.

Per  anni si erano trattenuti solo per darle l’opportunità di accrescere a sufficienza il suo potere e, quando si erano resi conto che la sua cerchia di alfa era abbastanza forte per darle una spalla cui appoggiarsi, erano partiti.

Tanti saluti e via.

Avevano fatto le valige per le spiagge assolate dell’isola di Guadalupe e, tramite Skype, si sentivano praticamente ogni giorno.

Non li biasimava, però, per questa scelta drastica e definitiva.

Suo padre, a causa di una brutta ferita ad una gamba, aveva risentito fin troppo dell’uggioso clima inglese e, da umano quale era, non aveva potuto contare sui recuperi miracolosi della specie cui appartenevano figlia e moglie.

A volte le mancavano, ma era felice per loro. Più che felice.

“Coraggio, vai a scuola. Non perderti in gloria” brontolò tra sé la donna, afferrando la sua ventiquattrore di pelle da uno sgabello vicino.

 
§§§

Ingollando il terzo caffè della mattina, accompagnato dall’immancabile sacchettino colorato di M&M’s, Cecily salutò con un sorrisino una delle sue colleghe – la dottoressa Stephenie Hollingsworth – prima di veder entrare, praticamente a crocchio, altre tre professoresse.

La manovra alla ‘chiacchierata fitta-fitta’ la insospettì immediatamente e, quando le sentì ridacchiare come un branco di scolarette di fronte al poster di Justin Bieber, aggrottò la fronte e si fece attenta.

Grazie al suo udito sopraffino, non le occorse molto per capire di cosa stessero confabulando così fastidiosamente.

Il nuovo professore.

Disgustata dai loro toni infantili e dalle battutine sulla sua camminata elegante, piuttosto che sulla sua giacca di tweed che tanto ricordava i professori degli anni ottanta, Cecily si concentrò unicamente sul suo caffè senza più degnarle di attenzione.

Quando però Renata Elliott le si affiancò con aria da cospiratrice e le passò un braccio attorno alle spalle, non poté esimersi dall’ascoltare.

In fretta, le altre tre professoresse si unirono a loro. Cecily disse addio alla pace tanto ricercata e si stampò in faccia un bel sorriso fasullo, mormorando: “Allora, com’è questo fantomatico genio di Truro?”

“Oooh, avresti dovuto vederlo, Cecily, quando è sceso dalla sua Toyota Prius!” esalò eccitata Megan Ferranti, battendo le mani con aria esaltata. “Mi è parso subito Daniel Craig in ‘007’!”

“Ma che dici? Ma se non gli somiglia per niente!?” protestò vibratamente Renata, replicando immediatamente al suo dire. “Per me assomiglia di più a Chris Hemsworth. Sììì, quando interpretava Thor! Oooh, sì sì.”

“Sbagliate entrambe. E’ più come Robert Pattinson, direi…” ribatté sagace Miranda Barr, annuendo come se avesse appena esposto la soluzione a tutti i mali del mondo.

Le altre due, scuotendo le loro chiome gemelle – tinte dello stesso color giallo paglierino – si dichiararono decisamente in disaccordo, puntando piuttosto su Channing Tatum.

Alla fine, Cecily aveva le idee così confuse che si scusò con tutte loro e uscì in punta di piedi dalla sala professori, chiedendosi che razza di faccia potesse avere questo fantomatico nuovo arrivato e, soprattutto, come si chiamasse.

Perché, in tutta quella confusione di attori, modelli e, soprattutto, di tartarughe – come avevano fatto a ipotizzare che l’avesse? – il suo nome non era mai spuntato fuori.

Ingollando l’ennesimo M&M’s all’ombra di una quercia dalla folta chioma, l’aria salmastra del mare che si incuneava tra le case fino a giungere nell’entroterra e alla scuola, Cecily prese un gran respiro e si appoggiò alla possente pianta.

Chiusi gli occhi, ne ascoltò il quieto stormire, allargò i suoi sensi come un ventaglio per captare i suoni della cittadina, i suoi profumi come i suoi odori più agri, la sua bellezza e i suoi difetti e, alla fine, riuscì a chetarsi.

Tutte quelle ciance inutili l’avevano innervosita.

Non le piaceva parlare alle spalle delle persone – troppo spesso l’avevano fatto con lei, perché potesse piegarsi alla medesima abitudine – e, soprattutto, trovava assurdo che le sue colleghe si comportassero in modo così infantile.

“Ehi, prof! Pausa dolciumi?”

Volgendosi a mezzo quando vide avvicinarsi uno dei suoi studenti dell’ultimo anno – tale Tyler Finney – Cecily abbozzò un sorrisino nell’offrirgliene uno e, annuendo, mormorò: “Meglio affogarsi in questi che affogare qualcuno.”

Il giovane sghignazzò divertito e Cecily si rilassò ulteriormente.

Figlio di una coppia di neutri del suo branco, Tyler era nato del tutto umano, senza neppure una stilla di DNA mannaro nel sangue.

La sua famiglia, per rendergli le cose più semplici, lo aveva tenuto all’oscuro di tutto il mondo segreto che esisteva oltre a quello umano, ma Cecily aveva promesso loro la stessa protezione concessa a ogni neutro, o lupo, del suo branco.

Quando se l’era ritrovato in classe, sbarbatello e timido al punto giusto, ne aveva quasi gioito.

L’aveva visto crescere, maturare, esplorare i meandri della sua intelligenza non comune e, ormai giunto alla soglia dei diciotto anni, l’aveva instradato verso la sua vera, unica vocazione.

A ottobre sarebbe partito per Londra per studiare giornalismo all'università e, pur se le dava fastidio ammetterlo, ne avrebbe sentito la mancanza.

Poggiate le spalle contro il tronco della pianta, Tyler intrecciò le braccia sul torace da nuotatore che si ritrovava – pareva un pesce, in piscina – e, lanciato uno sguardo di sottecchi alla sua professoressa di inglese, mormorò: “Ha già avvisato il capobranco di Londra del mio arrivo?”

Cecily si fece di ghiaccio per un istante prima di recuperare il suo consueto aplomb e Tyler, ridacchiando affabile, scrollò le spalle e asserì: “L’ho scoperto da solo. Mamma e papà me l’hanno solo confermato.”

“E cosa avresti scoperto, per curiosità?” si premurò di chiedere Cecily, lanciandogli un’occhiata interessata da sopra la spalla.

Tyler la superava di una buona testa e mezzo e la sua prestanza fisica era indubbia, eppure Cecily sapeva bene quanta paura covasse sotto quell’apparente sicurezza.

Il ragazzo sapeva per certo chi stesse guardando in quel momento e, proprio per questo, ne aveva timore reverenziale.

Il che era un bene. Non faceva che confermare quanto fosse intelligente.

“Diciamo soltanto che so un po’ di cose.” Poi, con un risolino contrito, ammise: “Ho ascoltato di nascosto alcune telefonate di mamma e, quando i miei sospetti si sono fatti davvero seri, li ho pedinati.”

“Mi sembrava strano che uno dei miei si fosse fatto beccare da un senza pelo” brontolò Cecily, pur sorridendo.

Tyler sorrise lieto di fronte a quell’ammissione e la donna, con un leggero sospiro, gli domandò: “Non avresti preferito rimanere nell’ignoranza più totale, ragazzo?”

Il giovane si grattò pensoso una guancia facendosi serio in viso ma, alla fine, asserì con sicurezza: “Direi di no. Nel bene e nel male, bisogna sapere tutto della propria famiglia. E questa mi sembra una cosa piuttosto importante, non le pare?”

“Discretamente” ammise con noncuranza lei.

Tyler allora la fissò scettico e Cecily si vide costretta a ritrattare. “Okay, d’accordo. Molto importante. Ma almeno hai capito perché te l’hanno taciuto?”

“Certo. E, in parte, gliene sono grato. Forse, se me lo avessero detto qualche anno fa, sarei andato fuori di testa. Ma ora… sono contento di sapere” le spiegò lui, scrollando le spalle.

Cecily annuì compiaciuta e disse: “Joshua Ridley, Fenrir di Londra, è già stato informato che da ottobre solcherai il suolo londinese. Uno dei suoi mánagarmr veglierà sempre su di te e, se tu lo vorrai, renderà nota la sua presenza.”

“Perché tutto questo?” si informò allora lui, scrutandola con i suoi profondi occhi color giada.

La donna affrontò quello sguardo con uno altrettanto serio e, con l’acciaio nella voce, dichiarò: “Sei un mio protetto e lo sarai sempre, razza di disgraziato. Pensi davvero che ti avrei mandato senza protezione in una città come Londra? Nessuno dei miei figli senza pelo verrà mai lasciato solo a se stesso, a meno che non sia proprio lui a richiederlo.”

Tayler allora le sorrise con calore e, per l’ennesima volta, Cecily si disse che, se anche non avesse mai incontrato l’uomo dei suoi sogni, lei avrebbe avuto questo.

L’amore del suo branco, di tutti coloro che lei proteggeva     quotidianamente, che avrebbe amato fino al suo ultimo respiro.

“Sarebbe sconveniente abbracciarla, vero?” le domandò a quel punto lui, contrito e imbarazzato al punto giusto.

“Qui a scuola? Mi denuncerebbero per adescamento di minore, quindi tieni le mani a posto, giovincello” brontolò Cecily, piazzando le mani sui fianchi con aria dittatoriale.

Tyler ridacchiò di quella posa e, accentuando la dolcezza nei suoi occhi, asserì: “Mi farebbe davvero piacere vederla nella sua seconda forma, prof. Non può che essere bellissima… almeno come lo è in forma umana.”

“Ora non fare il ruffiano.” Il tono fu serio, ma sorrise nel dirlo.

Il giovane allora levò le mani in segno di resa e, allontanandosi di un passo, le domandò: “Potrò mai vederla?”

“Prima di partire per Londra, al Vigrond” gli promise lei, scacciandolo via con un cenno della mano subito dopo.

Tayler ne approfittò per afferrare quelle dita sottili ed aggraziate e, nel baciarne il dorso morbido e setoso, mormorò: “Servo della mia stimata Fenrir.”

“Sciò, ragazzino! Vai!” sbottò Cecily, pur ridacchiando.

Il ragazzo trotterellò via allegro e la donna, sbuffando e ridacchiando assieme, si rilassò nuovamente, appoggiandosi contro la pianta.

In fondo, non gli dispiaceva che il ragazzo sapesse.

Così, per lo meno, sarebbe stato un po’ più attento, a Londra.

Sapere che i mostri non erano solo i criminali umani poteva salvare la vita, in fondo.

“Piacerebbe anche a me un rapporto simile con i miei studenti” esordì una voce a poca distanza da lei.

Cecily, nel volgersi a mezzo, scrutò interrogativa la faccia sconosciuta che si avvicinò alla quercia calpestando la sottile erba del prato e, inclinato il capo di lato, replicò: “Tyler è solo un fanfarone e un amico di famiglia, così se ne approfitta.”

L’uomo, dalla folta capigliatura castano scura e gli occhi di un bel verde foglia, sorrise gentilmente e, nel poggiarsi a sua volta contro la pianta, guardò verso l’altro per scrutarne la chioma ombrosa e danzante.

“A me è parso un ragazzo educato” asserì l’uomo, lanciandole un’occhiata complice corredata da sorriso elegante.

Storcendo la bella bocca, Cecily mormorò: “Lei è…”

Allungando una mano senza scostarsi dalla pianta, l’uomo dichiarò: “Scusi la scortesia. Sono il nuovo professore di Storia. Fitzwilliam Darcy, tanto piacere.”

Già a metà del percorso per raggiungere la sua mano, Cecily si bloccò di colpo e, accigliandosi immediatamente, borbottò: “Mi prende in giro, per caso?”

“Per nulla. Grazie all’amore smodato di mia madre per Jane Austen, e alla fortuna che mi ha voluto figlio di una donna della dinastia dei Darcy, mi ritrovo addosso questa Spada di Damocle, ma non ho avuto cuore di cambiare il nome, raggiunta la maggiore età” precisò l’uomo, sorridendole con aria contrita. “Sa… ho solo lei, e non vorrei davvero ferirla.”

Stretta la mano ancora protesa dell’uomo, la donna mormorò: “Cecily Fairchild, tanto piacere. Insegnante di Inglese.”

Nel ritirare la mano, Fitzwilliam tornò a scrutare la chioma della quercia e asserì: “E’ una pianta davvero splendida, non trova?”

Seguendone lo sguardo, Cecily annuì e, a mezza voce, si dichiarò d’accordo con lui. “Mi piacciono molto le piante di questo giardino. Sono ben tenute.”

“E sono un ottimo modo per scampare agli sguardi dei colleghi” aggiunse l’uomo, ammiccando al suo indirizzo.

Cecily annuì suo malgrado e, con discrezione, si concesse il lusso di studiarlo un po’ meglio.

No, non aveva nulla di Channing Tatum, come di Daniel Craig, Chris Hemsworth o Robert Pattinson. Era un uomo dai lineamenti regolari, alto, dalle spalle ben proporzionate con il resto del corpo, ma non era un palestrato convinto, né un efebico attore o un ex fotomodello.

Le sue mani sarebbero state perfette per un pianista, ma poteva immaginare senza problemi che, sotto quegli abiti tagliati su misura, vi fosse un fisico abituato al lavoro manuale. O, per lo meno, all’attività fisica.

Non era semplicemente un erudito, ma anche un uomo che non si sarebbe tirato indietro, qualora fosse stato necessario sporcarsi le mani.

I calli sulle sue mani lo dicevano a chiare lettere, così come le sottili cicatrici bianche attorno alla congiuntura delle dita.

La vista di un licantropo, a volte, era più utile di una sequela di domande sciocche e imbarazzanti.

Se proprio avesse dovuto esprimersi sul suo volto, avrebbe detto… Orlando Bloom. Ma le analogie hollywoodiane finivano lì.

Dubitava fortemente che Darcy avesse tutto il concentrato di muscoli sovrabbondanti di un Craig o di un Hemsworth, anche se non si poteva mai dire.

Inoltre, i sottili occhiali dalla montatura metallica gli conferivano più un’aria alla Bruce Banner, che alla Thor.

E lì si fermò, perché stava diventando antipatica persino a se stessa.

Non era una persona che si soffermava così tanto su cose simili!

Arricciando il naso, Cecily si diede mentalmente dell’idiota prima di chiedergli: “Come la devo chiamare? Spero non Fitzwilliam, altrimenti giuro che non la nominerò mai!”

L’uomo rise sommessamente a quel commento così lapidario e Cecily, suo malgrado, si chiese perché avesse dovuto comportarsi come suo solito in maniera così brusca.

E dire che la madre le aveva insegnato l’educazione, da piccola!

Gli occhi color delle foglie di Darcy si illuminarono e, nell’arricciare le palpebre, lui replicò: “Dio, non vorrei neppure io che mi chiamasse così! Basta semplicemente Darcy, o William. Will, se avrà voglia di darmi del tu.”

“Non ho remore a dare del tu alle persone, a patto di essere ricambiata” convenne lei, scuotendo le spalle.

“Allora io ti chiamerò Cecily” dichiarò l’uomo, sorridendo disinvoltamente.

Un attimo dopo, al suono argenteo e melodioso del canto di un cardellino, piazzatosi su un ramo vicino per canticchiare sonoramente, l’uomo volse lo sguardo e si illuminò in viso.

Subito divertita da quel giocoso uccellino, Cecily si accigliò non appena si rese conto del comportamento dell’animale e, sì, dell’uomo al suo fianco.

Era raro che un qualsiasi membro della fauna locale si avvicinasse così tanto a lei. Non solo l’uccellino non pareva impaurito dal licantropo che si trovava a pochi passi dalle sue tenere carni ma, addirittura, sembrava del tutto ignaro della sua presenza.

E, a ben guardare, Cecily comprese anche il perché. O meglio, comprese chi stesse attirando così tanto l’attenzione dell’uccellino, ma non perché si fidasse a rimanere.

Darcy e il cardellino si stavano guardando come se non esistesse null’altro attorno a loro, e la cosa stupì non poco la donna.

Anche l’uomo osservava con occhi deliziati il piccolo volatile, le mani poggiate sui fianchi e l’aria di non avere nessuna voglia di tornare in scuola.

C’era qualcosa di tremendamente sbagliato in quell’immagine, ma non seppe dire cosa, di preciso.


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N.d.A. Ed eccoci con questa nuova avventura, con vecchi amici e nuove comparse. Spero vorrete farmi sapere cosa ne pensate, e se vi è già venuto in mente qualcosa su Darcy e il suo strano rapporto con il cardellino.
Grazie in anticipo a chi commenterà e leggerà questa storia.
A presto!


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Capitolo 2
*** 2. ***


 
2.
 
 
 
 
 
“Non esiste nessuna correlazione tra gli uomini  e il culto della Madre. Gli stessi sacerdoti berserkir, che sono devoti a Wotan, studiano il mondo degli spiriti, ma non hanno contatti diretti con Madre” mormorò pensosa Brianna, tamburellandosi un dito contro il mento.

Casa McKalister pareva il centro del mondo, quel giorno.

Se non fosse stato per gli enormi padiglioni che la coppia aveva montato nel cortile, le quasi cento persone presenti per il battesimo di Nathaniel Andrew McKalister avrebbero dovuto arrampicarsi sulle pareti.

Bambini di tutte le età, e i generi, si rincorrevano dentro e fuori le tende enormi, sotto cui si trovava in quel momento Brie.

Cecily, nell’osservarli con aria ansiosa, esalò, rivolta all’amica: “Non è che Keeley andrà a farsi male, a forza di correre dietro a Matthew?”

“Ci pensa Penny a tenerli d’occhio. E poi, anche Gareth sembra un invasato. Non è stato fermo  un attimo. Per non parlare di Maggie!” ridacchiò Brianna, scrollando impotente le spalle.

“Non riesco ancora a credere che quella specie di angioletto con i riccioli neri, sia il figlio di Alec ed Erin” ammise senza problemi Cecily, schivando di un nulla la corsa sfrenata dei bambini.

Brie si addolcì in viso nell’osservare il piccolo Gareth, e mormorò: “Alec è molto migliorato, da quando sta con Erin, e Penny adora il suo fratellino di due anni. E’ un’ottima sorella.”

Alec, dal fondo della tenda, le fissò malamente e, indicandole con un gesto imperioso della mano, le mandò debitamente al diavolo. E ricevette per diretta conseguenza uno scappellotto da Erin.

Cecily e Brianna non poterono che scoppiare a ridere e la neomamma, nel lanciare uno sguardo al marito - che stava passando tra gli ospiti per mostrare loro il figlio - asserì: “E’ davvero un bravo papà.”

“Non avrai avuto dei dubbi, spero!” protestò amabilmente Cecily.

“Affatto. Era lui ad averne” replicò Brianna, con un mezzo sorriso. “Solo quando Nathan gli ha sorriso per la prima volta, si è rassicurato circa le sue doti di padre.”

“Ha avuto una vitaccia, ammettiamolo” brontolò la donna, annuendo comprensiva.

“Già” assentì Brianna. Poi, tornando alla loro discussione, le domandò: “Quindi, questo nuovo arrivato ti pare un po’ strano?”

“Non so. Non è sicuramente un neutro, né un licantropo. Non è neppure lontanamente un berserkr, ma non mi convince del tutto. Il comportamento che ha tenuto nel giardino della scuola, era troppo simile al tuo quando ti trovi nel Vigrond. Era come… posseduto. Guardava quel cardellino come se avesse voluto appollaiarsi sul ramo assieme a lui, e quell’uccellino cantava per Darcy come se esistesse solo quell’uomo al mondo. Non si è neppure accorto che c’ero io, al suo fianco!”

Quasi sbottò, nel terminare la frase. Non le piacevano i misteri. Di nessun tipo.

Brianna sorrise comprensiva e, nel veder avvicinarsi Kate, la folta chioma rossa mossa dal vento, le domandò per dovere di cronaca: “Sai se esiste qualcosa di simile alle wiccan, ma in contesto maschile?”

“Assolutamente no” scosse il capo lei, recisamente. “Chiedilo anche alla tua anima, per averne la conferma, ma è una cosa impossibile. Le uniche persone che si avvicinavano alle wiccan, come affinità al mondo della natura, erano i druidi, ma non avevano nessun potere divinatorio, erano solo degli studiosi dei Segreti.”

“Fenrir?”

Kate ha ragione. Non esiste nessun uomo con i doni che diedi ad Avya. Solo Duncan può interagire con la fauna e la flora come una wicca, ma unicamente perché in lui alberga l’anima della mia amata.

Annuendo, Brie asserì: “Abbiamo la conferma anche del capo. Non è possibile.”

“Beh, quel tipo è strano.” La frase di Cecily fu lapidaria.

“Esiste qualche altro essere magico, a parte noi e i berserkir, che potrebbe avere questo genere di affinità?”

Da quando era stata su Niflheimr, rischiando di perdere la vita, la visione che Brie aveva del mondo si era decisamente allargata.

Non le sarebbe perciò parso strano, se qualche creatura insolita camminasse non conosciuta tra gli umani.

Migliaia, mia cara, ma molti si sono estinti da secoli, e altri si sono così allontanati dalla civiltà da essere più unici che rari. Altri, semplicemente, non camminano più su Manheimr, e rimangono legati ai loro pianeti di origine. Le prove di Cecily sono troppo labili perché io possa aiutarla.

Scrollando le spalle, la wicca mormorò spiacente: “Stando così le cose, neppure Fenrir sa come aiutarti. Ma … ti è parsa una persona pericolosa?”

“Tutt’altro. Sembra l’essere più gentile ed educato del pianeta, per la verità. E’ cortese con tutti, fino allo sfinimento oserei dire, e sorrise perennemente” brontolò Cecily, ripensando alle volte in cui le aveva tenuto la porta aperta, o quando le aveva offerto il caffè in pausa pranzo.

Era svenevole, educato, maledettamente cortese...

E adorabile.

Ringhiando, la donna borbottò contrariata: “Mi fa venire prurito alle mani.”

Brianna allora ridacchiò e Kate, con tono serafico, asserì: “Temo che questa non possa essere ritenuta una prova schiacciante, per il riconoscimento di nessun essere magico.”

“Ah ah” mugugnò Cecily, scrollando ironicamente la testa.

Dandole una pacca sul braccio, Brie le disse con sincera comprensione: “Giuro che ci studierò sopra, e chiederò consiglio anche a Gordon, Elspeth, Beverly e Thor. Sono sicura che, tra un dottorando in Storia Antica, una professoressa di Lettere Antiche nonché völva,  una Sacerdotessa degli Spiriti e un Gran Sacerdote dell’Oltremondo, dovremmo saltarci fuori, che dici?”

Sbarrando gli occhi per la sorpresa, Cecily gracchiò: “Cos’è diventata, Bev?”

Avvicinandosi con la sua camminata poderosa e ferina, Alec intervenne con il suo solito modo di fare educato e, sogghignando da vero lupo, dichiarò: “La mia völva, ora, è una Sacerdotessa in piena regola. Non solo padroneggia la precognizione, ma anche la postcognizione e la chiaroveggenza.”

“Per. La. Puttana” sillabò senza tanti complimenti Cecily, facendo scoppiare a ridere le due donne e sogghignare Alec.

“I suoi studi sulla materia, portati avanti con il Gran Sacerdote del villaggio di Gungnir, …” e, nel dirlo, lanciò un’occhiata all’alto berserkr che stava parlando con Duncan. “… l’hanno portata ad aprire la sua mente a questi nuovi poteri. Neppure lei sapeva di essere così potente!”

“Beverly è sempre stata una personcina timida e schiva. Ma, con un Fenrir come le era capitato, come si può biasimarla? Fai ancora paura ai bambini nella culla, Alecuccio?” ironizzò Cecily, vedendolo accigliarsi immediatamente.

Sbuffando contrariato, Alec si limitò a un’imprecazione tra i denti ma, quando Penny lo affiancò con un sorriso, tutto il suo livore svanì per essere sostituito da un sorriso ammaliato.

La figlia adottiva – e ora licantropa a tutti gli effetti – gli avvolse la vita con un braccio e, nel poggiare il capo contro il suo ampio torace, sorrise a Cecily e mormorò: “Il mio papino è bravissimo con i bambini, ma potrebbe uccidere con una mano sola tutti quelli che dessero fastidio a me o a Gareth. Ci vuole tanto bene.”

“Oooh, cuore di figlia!” ironizzò Cecily, pur sorridendo con gli occhi ad Alec.

“Bev è diventata bravissima e, da quando sta con Thor, è anche più forte” dichiarò inoltre Penny, gli occhi colmi di stelle.

Thor, uno dei tanti berserkir trasferitisi su suolo inglese dopo l’avventura di Brianna e compagni in terra norvegese, si era unito al branco di Alec in pianta stabile.

Grazie ai suoi studi sul mondo degli spiriti, era stato di grande aiuto a Beverly.

L’aveva presentata in prima persona al Sommo Sacerdote del suo villaggio, e le era stato accanto durante tutto l’apprendistato come novizia dell’Ordine.

Da lì a diventare compagni di vita, oltre che servitori entrambi degli Spiriti Occulti, era occorso poco.

Nessuno aveva idea di cosa avrebbe potuto nascere da una simile unione tra specie, ma ai due diretti interessati poco importava.

Per ora, vivevano quei primi momenti del loro nuovo amore con tutta la serenità e la spensieratezza che potevano.

Alec, sorridendo alla figlia adottiva, le chiese: “Non dirmi che ti sei incapricciata di Thor! Devo mettere in guardia Bev?”

“Papà!” sbottò la ragazzina, avvampando in viso. “Non ci provare neppure!”

Alec scoppiò a ridere e Cecily, scuotendo il capo, commentò: “Che razza di padre ti ritrovi, ragazza.”

“Il migliore del mondo” dichiarò lei, levandosi in punta di piedi per baciarlo su una guancia, prima di dileguarsi alla ricerca del fratellino e degli altri bambini.

Alec ghignò all’indirizzo di Cecily e la donna, scuotendo le spalle, chiosò: “Al cuor non si comanda, dicono…”

“Che ci vuoi fare? Mia figlia ha gusto, così come mia moglie” sogghignò Alec, puntando le mani sui fianchi con alterigia.

Un attimo dopo, Erin comparve loro al fianco e, nel dare un pizzicotto al marito – che si lagnò dei suoi metodi brutali – sorrise ai presenti e dichiarò: “Avrò anche buon gusto, caro, ma vantarsi non è mai una buona cosa.”

Alec la fissò malissimo, ma lei non vi fece caso.

Gli occhi di Erin erano tutti per Cecily.

“Potremmo chiedere a Beverly di venire in visita a Falmouth, per vedere se capta qualcosa su questo professor Darcy. Che ne dici?”

“Può essere un’idea” ammise la Fenrir, dubbiosa sull’idea di chiedere un favore proprio ad Alec.

Era cambiato e tutto, ma la sua memoria era lunga, e rammentava bene quanto si fosse comportato da stronzo, negli anni.

Fu Fenrir di Bradford a toglierla dall’impiccio.

Ora del tutto serio, le disse: “Bev e Thor verranno con te e Hugh, quando tornerete a casa. Non voglio ritrovarmi con un’altra bomba sui confini del clan e, visto che per i miei gusti è passato troppo poco tempo dai casini di Loki, meglio non passare sopra a certi presentimenti.”

Le rassicurazioni della quercia, circa l’impossibilità del dio degli inganni di risorgere in una creatura magica aveva, sì, rassicurato i più, ma i morti erano stati troppi, perché la gente dimenticasse.

O si lasciasse andare a sciocche sicurezze.

Troppi dèi del pantheon nordico erano legati alla figura di Loki e, pur se lui non si era reincarnato, altri avrebbero potuto averlo fatto.

Come era successo per Hel, altri potevano aggirarsi per il mondo in attesa del momento più opportuno per attaccare.

Dalla loro avevano la presenza di Wotan che, pur albergando nel corpo di un bimbo di otto anni, sapeva già il fatto suo.

La prudenza, comunque, non era mai troppa.

Cecily allora annuì e, con tono grato, mormorò: “Accetterò volentieri il loro aiuto. Mi sdebiterò per questo.”

Alec, per tutta risposta, si lasciò andare a un sogghigno lupesco e replicò: “Tu non mandarmi più le magliette con stampato sopra Wolverine, e saremo a posto.”

Facendosi candida come un angioletto, Cecily asserì: “E io che pensavo ti piacessero!”

Lui si limitò a fissarla male e la donna, ridacchiando, scosse una mano e dichiarò: “E va bene! Niente più fustaccioni per Alec, promesso.”

“Sarà bene” mugugnò Alec, voltandosi quando udirono Duncan avvicinarsi con un allegro e ciangottante Nathan.

Il bambino si allungò istintivamente verso la madre, che lo abbracciò con calore e Duncan, nel dare un bacio sulla tempia alla moglie, si volse verso Alec e celiò: “Possibile che tu e Cecily dobbiate sempre beccarvi come galli?”

“E’ tutta scena, Duncan. In realtà, questa lupacchiotta mi ama alla follia, solo che non vuole ammetterlo” sghignazzò Alec, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Cecily.

“Avete la stessa testa… e lo stesso modo di parlare” fece loro notare Duncan, ridacchiando.

“Assolutamente no!” sbottarono all’unisono i due, facendo ridere tutti.

Cecily e Alec si fissarono male per alcuni attimi ed Erin, sospirando esasperata, esalò: “Non so se potrò sopravvivere due giorni a una versione maschile, e una femminile, della stessa persona… assieme nella stessa contea.”

“Ti preoccupi per nulla, tesoro” brontolò Alec, dandole un bacio sulla tempia. Poi, rivoltosi a Cecily, disse: “Parlerò subito con Bev e Thor. Sai già dove accoglierli, o devo prenotare un albergo?”

“C’è la casa dei miei genitori. La affitto durante il periodo estivo, ma ora è libera” gli spiegò la donna, scrollando le spalle.

“Molto bene” assentì lui, allontanandosi con Erin al fianco.

“Vedrai che ne verremo a capo” la rassicurò Brie, sorridendole convincente.

“Mi fido di te, pupetta” ghignò Cecily, allungando una mano verso il mento di Nathan. “E tu, piccolino, sei adorabile!”

Nathan rise di gusto, e la donna lo prese in braccio a un dolce sollecito di Brianna.

Quando si ritrovò quel frugoletto morbido e profumato tra le braccia, Fenrir di Falmouth ebbe un fremito. Non le capitava spesso di avere a che fare con i neonati, e quello in particolare era davvero speciale.

Prometteva di diventare un personaggio davvero importante in tutta la comunità mannara del Regno Unito e, forse, anche oltremare.

Brianna e Duncan avevano ricevuto molte visite, negli anni, dai Clan Americani e Orientali, tutti desiderosi di conoscere la guardiana dell’anima di Fenrir.

Le gesta che li avevano visti protagonisti erano ormai divenute leggende, nel loro popolo, e questo aveva portato anche più notorietà di quanta i due diretti interessati si fossero aspettati.

La nascita di Nathan non aveva che rinfocolato questo interesse.

Ma, soprattutto e prima di tutto, quel bambino era il simbolo primo della potenza del rapporto che intercorreva tra Brianna e Duncan.

Rapporto che lei, con tutta probabilità, non avrebbe mai avuto con nessuno.



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Capitolo 3
*** 3. ***


3.
 
 
 
 
La notte delle streghe era qualcosa di più di un semplice girovagare di ragazzi in costumi idioti, o di bambini speranzosi di ricevere caramelle a go go.

Era il capodanno celtico, il pericoloso assottigliarsi del confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Le luci delle lanterne – o delle più moderne zucche – servivano ad allontanare gli spiriti malvagi, e consentire a quelli buoni di trovare la giusta via per trovare i propri cari.

Non che questa pratica fosse conosciuta ai più, visto che la maggior parte degli umani conosceva solo il lato ludico della festività, ma a Cecily poco importava.

Lei sapeva perché era necessario accendere la lanterna sotto il portico di casa, così come sapeva perché doveva piazzare la zucca sulle scale della veranda.

Dopo averla sistemata per benino, ed essersi assicurata che pipistrelli, scheletri e falci fossero al loro posto, si raddrizzò per sistemarsi una ribelle ciocca di capelli.

Era inutile legare quella litigiosa massa ramata in una coda di cavallo; tanto, quella sfuggiva sempre alle forcine e agli elastici.

Rispecchiava appieno la loro padrona, c'era poco da fare.

Il freddo pungente non le dava particolarmente fastidio – la sua temperatura corporea era stabile sui trentanove gradi – e lavorare le piaceva.

La sua piccola villetta a un piano, giallo paglierino e bianco, era il suo adorabile scrigno, la sua tana femminile e privata, in cui poteva essere se stessa e, al tempo stesso, estraniarsi da tutto.

Non era sempre facile essere la guida dei suoi lupi, perché il suo essere donna la metteva di fronte a problemi che, a volte, preferiva evitare.

Il suo lato femminile cozzava spesso e volentieri con i suoi doveri di capo, che doveva gioco forza vederla dura, seria e implacabile.

I licantropi erano solo in parte umani, ma la controparte ferina aveva spesso e volentieri il sopravvento sui loro istinti, obbligandola a puntare i piedi con decisione.

Non era un caso se, negli anni, si era fatta sempre più accigliata e scorbutica.

Le piaceva solo in parte tenere quel comportamento, così diretto e mascolino.

Certo, se in parte non fosse stata di suo così aperta, non sarebbe mai riuscita a mantenere un simile comportamento per tanti anni, ma non faticava a riconoscere che, a volte, ci faceva dentro.

Coi lupi non esistono le maniere gentili e delicate.

Anche i suoi cari amici Duncan e Brianna, pur con tutti i loro pregi, avevano dovuto levare la voce col loro branco, e in più di un'occasione.

L'aver smantellato il Consiglio degli Anziani, non aveva portato solo gioie ma anche dolori, e più di una volta Fenrir di Matlock aveva usato la Voce per imporsi.

No, la gentilezza non era mai la soluzione, in un branco di lupi.

L'incisività era più congeniale alla loro parte animale. La gerarchia, il loro marchio di fabbrica.

La gentilezza veniva solo dopo, quando il lato ferino era stato messo debitamente a tacere.

Ma non era affatto facile, per una donna, perché il lato materno usciva anche non voluto, non cercato, e la metteva in difficoltà.

E ultimamente, faceva capolino fin troppo spesso.

Carenze affettive, cara?, disse una vocetta irrispettosa dentro di lei, facendola accigliare.

Sbuffando, Cecily puntò i pugni sui fianchi snelli, già pronta a litigare con se stessa quando, a sorpresa, una voce alle sue spalle la colse alla sprovvista.

E per un licantropo, essere colti di sorpresa è uno scorno non da poco!

Volgendosi a mezzo, quando la voce di Fitzwilliam la strappò alla sua quasi rissa mentale, Cecily lo osservò sorpresa e curiosa assieme.

Era in tenuta ginnica, e pareva essere reduce da un giro piuttosto impegnativo.

“Corsa mattutina?” domandò la donna, scendendo gli scalini della veranda per raggiungere la bianca staccionata.

“Ebbene sì. L'appartamento che ho qui è troppo piccolo, per piazzarci un tapis roulant o una panca con gli attrezzi, perciò rimedio con la corsa. Detesto restare inattivo” ridacchiò l'uomo, mettendo in mostra un sorriso corredato da fossetta sulla guancia destra.

Cecily desiderò toccarla, e già quello la fece andare in bestia.

Figurarsi, poi, quando si mise ad annusare l'aria piena del suo inebriante odore maschile.

Da quando in qua si metteva a fare scemenze simili? Era nel periodo fertile, per caso?

Non ci badava mai, non avendo un compagno con cui sfogare simili pulsioni ma, di fronte a Darcy, quel particolare la punzecchiò con fastidiosa attenzione.

Cercando di mettere da parte quei pensieri, Cecily si diede una calmata e replicò all'affermazione dell'uomo con una battuta.

“Beh, immagino non vorrai sembrare quella prugna secca di Warren.”

Fitzwilliam scoppiò in un'allegra risata, e il corpo della licantropa vibrò in risposta, neanche lui si fosse messo ad accarezzarle ogni punto sensibile del corpo.

Doveva per forza essere nel periodo fertile, per reagire a quel modo a una semplice risata.

Maledetti ormoni lupeschi!

“No, decisamente no. Anche se parlare a questo modo di un nostro collega, non è corretto.”

Lo disse con tono contrito, ma il luccichio nei suoi occhi color del mare smentì le sue parole.

“Mi scoccia a morte, tutte le volte che mi presento a scuola coi tacchi alti e una gonna che supera di un quarto di pollice il ginocchio, perciò posso offendere finché voglio” precisò Cecily, scrollando le spalle.

“Tutta invidia, la sua” chiosò l'uomo, ammiccando al suo indirizzo.

“Probabile. Lui non ha le gambe diritte come le mie” assentì lei, ghignando.

“O così belle” aggiunse Darcy, appoggiando una mano alla staccionata per poi osservare la veranda addobbata a festa.

Il complimento era arrivato con delicatezza, non supportato da uno sguardo malizioso o dalla ricerca di una sua risposta a tutti i costi, così Cecily si limitò a gustarselo in silenzio.

Le sembrava idiota stare lì davanti al cancello di casa, a flirtare simpaticamente con un suo collega, ma non se la sentiva proprio di rientrare in casa.

L'arrivo di Thor e Beverly fu quasi provvidenziale.

Ospitati nella casa dei suoi genitori, i due membri del clan di Bradford erano giunti a Falmouth proprio per studiare da vicino il ‘caso Darcy’.

Trovarlo lì, coincidenza delle coincidenze, avrebbe facilitato di molto il loro compito.

Salutatili con un cenno della mano, Cecily disse lesta: “Vorrei presentarti due miei amici in visita. Sono Thor Larsson e Beverly Peters, e vengono da Bradford.”

“Molto piacere. Io sono Fitzwilliam Darcy, un collega di Cecily.”

Allungò con naturalezza una mano verso di loro e Thor, il primo a stringerla, gli sorrise asserendo: “I tuoi genitori amavano alla follia la Austen, a quanto pare.”

“Solo mia madre. E chiamandosi Darcy di cognome, ha congiurato contro di me fin da prima della mia nascita” ridacchiò l'uomo, stringendo poi la mano anche a Beverly.

“Non oso immaginare le volte in cui hai dovuto dare spiegazioni circa l'origine del tuo nome” chiosò la donna, i cui caldi occhi argentati si andarono a posare con delicatezza sul volto dell’insegnante.

“Più di quante non voglia ricordare” ammise lui, scrollando le spalle.

“Eravamo passati per darti una mano...” iniziò col dire Thor, ammirando il capolavoro di allestimento messo in piedi da Cecily. “... ma vedo che hai quasi finito.”

“Anch'io detesto restare inattiva” ammiccò la donna, sorridendo complice a Darcy, che scoppiò a ridere.

“Già che sei qui, posso chiederti un favore?” intervenne Thor, lanciando uno sguardo supplice a William.

“Se posso...”

“Visto che saremo in minoranza, stasera, vorrei sapere se ti va di partecipare alla festicciola che la tua cara collega ha organizzato per Halloween. L'idea di passare una serata in mezzo a un mare di donne, mi terrorizza.”

Bev e Cecily scoppiarono a ridere – in effetti, era vero – e Darcy, lanciata un'occhiata curiosa all'indirizzo della padrona di casa, le domandò: “Ti starebbe bene se mi unissi alla combriccola? Giusto per dare man forte all'altra metà del cielo, s'intende.”

“Sei arruolato. Hugh e Thor non si sentiranno soli, così.”

“Hugh?” ripeté, curioso.

“Oh, l'hai già visto. Quell'armadio a muro che mi viene a prendere ogni tanto in jeep. E' mio amico da una vita e oltre.”

Ghignò e, maliziosa, aggiunse: “Stephenie e le altre gli sbavano dietro da anni e sperano che, a forza di accompagnarmi all'auto, lui si decida a invitare una di loro a uscire fuori.”

“Ma non funziona, giusto?”

L'ironia di Darcy fu lampante.

“Per niente. Hugh è già perso dietro a una donna che, ahimè, è ben lontana da qui e, per il momento, nessuno dei due si può muovere per raggiungere l'altro” scrollò le spalle Cecily, lasciando cadere l'argomento.

Spiegare i motivi per cui Hugh, suo Hati, non potesse muoversi per raggiungere Tempest, Heimdallr di Holm of Huip, era pressoché impossibile.

Né spiegare il perché non potesse avvenire il contrario.

Era proprio vero che l'amore era sofferenza.

Si erano conosciuti due anni addietro, durante il Concilio dei Clan tenutosi alle Isole Orcadi e, da quel momento, non c'era stato più scampo per nessuno dei due.

I rispettivi ruoli, però, li tenevano ancorati saldamente al suolo e, almeno per il momento, potevano sentirsi solo tramite Skype.

Se solo Hugh non fosse stato il suo Hati, lei avrebbe acconsentito più che volentieri a lasciarlo partire, ma la legge parlava chiaro.

Hati doveva restare al fianco di Fenrir, almeno finché non fosse giunto un suo sostituto a prenderne il posto.

E Heimdallr non poteva abbandonare le porte di Bifröst.

Certo, la madre di Tempest avrebbe potuto detenere il suo ruolo, e concedere alla figlia di allontanarsi dall'isola, ma da lì a qualche anno il problema si sarebbe ripresentato.

E se Tempest fosse rimasta incinta, nel frattempo?

Avrebbe abbandonato Hugh, tornando a Holm of Huip con un eventuale bambino?

No, era una cosa davvero poco concreta.

Per il momento, potevano solo confidare nel Fato... o nello zampino di Yggdrasil.

 
§§§

Sabine, Sköll di Cecily e fotografa professionista, era impegnata a sistemare il cavalletto della sua Canon quando, alla porta, suonarono con discrezione.

La padrona di casa le fece segno di non muoversi e, con passo leggero, si diresse lì per aprire, già sapendo chi vi fosse all'altro capo.

Il suo profumo le era rimasto dentro come un marchio a fuoco e, anche tra mille persone, sarebbe riuscita a riconoscerlo.

Con un sorriso di benvenuto, Cecily accolse perciò Darcy e, attiratolo dentro senza tanti complimenti, disse: “Vieni, vieni. C'è un freddo becco, lì fuori, e si rischia di congelare sul portico.”

“Tutto vero. Mi spiace per i ragazzi, che dovranno girare per il paese con quest'aria infernale.”

“Saranno troppo eccitati per accorgersene” ridacchiò la donna, sospingendolo gentilmente verso gli invitati.

In effetti, a parte Hugh e Thor – e in quel momento Darcy – il resto dei presenti era di genere femminile.

Al professore vennero presentate Sabine, la fotografa, Charlotte, impiegata del comune, Helene, imprenditrice tessile e Murphy, un'allegra ragazzina di tredici anni dalla folta chioma bruna.

“I miei genitori adorano Eddie Murphy,... ecco perché mi chiamo così.”

Darcy le diede un'amichevole pacca sulla spalla, dichiarandosi completamente solidale con lei.

Sapeva cosa voleva dire portare il nome di qualcun altro.

Quel che però non sapeva, e che nessuno di loro gli avrebbe detto, era che Murphy si era rivelata essere la nuova Sköll, colei che un domani avrebbe sostituito Sabine come seconda in comando.

Non era insolito che Sköll si presentasse per primo, nella Triade e, a onor del vero, anche Sabine era più matura di Cecily di un paio d’anni.

Era quasi scontato che, anche per quella generazione, si sarebbe seguito quel trend.

Com'era prevedibile, i tre uomini fecero capannello e, dopo i primi momenti di disagio, riuscirono in breve a trovare terreno comune su cui costruire le basi per l'intera serata.

Rugby.

Quando Cecily subodorò l'argomento, sospirò esasperata e se ne andò in cucina con Charlotte, borbottando: “Dai una maglia sudata e un pallone ovale a un uomo, e lo farai felice.”

“Per noi, sono un negozio di scarpe e una carta di credito” ghignò la donna, dandole una pacca sulla spalla.

“Triste verità” sentenziò la padrona di casa, assentendo.

Nel chiudersi la porta alle spalle per entrare nella cucina in stile country, interamente in legno chiaro e con una comoda isola centrale ricoperta di ogni ben di dio, Cecily aggiunse: “Come ti è parso?”

“Del tutto normale. Belloccio quanto basta per girarsi e dare un'occhiata più attenta, educato e dal sorriso schiacciasassi.”

Una scrollatina di spalle seguì quel commento e Cecily, sospirando, ammise: “Tutto verissimo. Ma speravo che una sentinella brava come te sapesse dirmi qualcosa di più.”

“Tesoro, hai uno stregone e una maga sotto lo stesso tetto con il nostro indiziato numero uno... penso che loro possano dirti più di quanto potrò mai dirti io, e in un anno di ricerche” ironizzò Charlotte.

“Forse avrei dovuto invitare anche Geri e Freki.”

Il borbottio che ne seguì fece ridacchiare l'amica.

“Probabilmente, sarebbe scappato a gambe levate. Sai che Baltazar non è esattamente quel che si dice un ’tipo da festa’.”

Virgolettò le ultime parole con ampi gesti di indice e medio di entrambe le mani, e Cecily dovette darle ragione.
Baltazar sapeva essere buono come il pane, ma era chiuso ermeticamente a riccio, come neppure il Pentagono riusciva a essere.

Fin da bambino, si era sempre distinto per la sua generosità e, quando si era trasformato in lupo per la prima volta, Cecily aveva compreso subito che, in lui, scorreva il sangue di un Freki.

Somigliava molto a Sarah, la zia di Duncan McKalister.

Gentili quanto letali. Freddi e bollenti al tempo stesso.

Probabilmente, se avesse indagato a fondo, avrebbe scoperto che tutti i Freki erano così, ma era un problema che non si era mai posta.

Baltazar gli andava bene così com'era. E così pure Adrian.

Geri dalle ottime capacità investigative, era un poliziotto davvero in gamba e, più di una volta, aveva evitato che giovani troppo intraprendenti scoprissero gli artigli con le persone sbagliate.

Erano due validi alleati, ma di certo non erano animali da festa, come diceva Charlotte.

I loro sguardi glaciali bastavano a far rabbrividire ogni lupo – e neutro – del suo clan.

Invitarli a una festa, sarebbe stato come gettare ghiaccio lungo la schiena di una persona.

No, meglio evitare.

Inoltre, Charlotte aveva ragione.

Uno stregone e una völva potevano bastare.

 
§§§

Seduta sulla poltrona in broccato bianco e rosa, l'aria insonnolita e i piedi infilati in un paio di comode pantofole a forma di coniglio, Cecily sorrise nel veder avvicinarsi Darcy con due drink fruttati.

Si accomodò vicino a lei sul divano, che dava le spalle all'ampia vetrata del salone e, nel consegnarle il bicchiere, mormorò: “Non pensavo che Thor fosse un ballerino così bravo.”

“Bev ne è entusiasta. Lei adora ballare” replicò Cecily, sorseggiando la bevanda al sapor di mela e lime.

“Uhm... buono.”

Darcy sorrise, lanciando un'occhiata all'alto scandinavo che, in quel momento, era impegnato a far ballare Murphy.

Durante il corso dell'allegra festicciola, si erano intervallati a rispondere al campanello, dispensando dolcetti, caramelle e scongiuri.

Quel che, però, aveva sorpreso un poco Fitzwilliam, era stato il comportamento di alcuni bambini.

Alla presenza di Cecily, si erano avvicinati per avvolgerla in un abbraccio, e tutti coloro che si erano spinti a compiere quel gesto avevano poi reclinato ossequiosi il capo.

Nessuno aveva detto nulla circa quel gesto, ma all'uomo era rimasto ben impresso nella mente.

Lasciandosi perciò andare a quel momento di festa particolarmente tranquillo, le domandò: “I bambini ti vogliono un gran bene, vero?”

Lei si volse a fissarlo incuriosita, e l'uomo si spiegò meglio.

“I bambini che ti hanno abbracciata.”

“Oh, quelli” assentì la donna.

“Già, quelli.”

“Sono figli di miei amici, a cui sono particolarmente affezionata.”

“E ti fanno la riverenza?”

“Sono molto educati” ironizzò Cecily. “Di che ti preoccupi?”

“Non sono preoccupato. Curioso, piuttosto.”

Hugh scelse quel momento per avvicinarsi a loro e, con un sorriso a Cecily, trascinò via quasi di peso Darcy, dicendogli che Tempest era su Skype, e che lui voleva fargliela conoscere.

“Ho pensato volessi una tregua da quelle domande.”

“Hai fatto bene, mio premuroso Hati.”

“Lo speravo. Ma poi te lo rimando, tranquilla.”

“Non ho bisogno che me lo rimandi. Posso starmene qui in panciolle anche da sola.”

La protesta di Cecily fu piuttosto piccata, e Hugh ridacchiò.

“Fammi il piacere, Ceel,…sai benissimo che quest'uomo ti interessa, indipendentemente da quel che diranno i due stregoni. E non dipende dal tuo essere o meno in calore.”

“Oh, ecco! Mi sembrava!”

“Sprizzi feromoni a destra e a manca, cara, e se non sapessi che non hai intenzione di accoppiarti, ti sarei già saltato addosso” ironizzò Hugh.

“Non sarebbe male, … ma no. Non voglio che Tempest pensi che ci provo con te.”

Hugh scoppiò a ridere all'interno della sua testa e Cecily, nello spezzare il collegamento, levò il dito medio all'indirizzo del suo Hati che, con una scrollata di spalle, le mandò un bacio in risposta.

Potevano scherzare anche un anno intero, sul sesso e le sue conseguenze, ma non sarebbero mai arrivati al dunque.

Lei e Hugh, semplicemente, erano come le due facce della stessa medaglia, gemelli separati alla nascita, lo yin e lo yang. Non potevano che essere amici e basta.

E quando Darcy tornò da lei dopo circa una mezz'ora, Cecily dovette ammettere anche un'altra cosa.

Quell'uomo le interessava, voleva sapere qualcosa di più su di lui e, per tutta la durata della festa, pregò che Thor e Beverly non le dessero cattive notizie.

 
§§§

“Ebbene? Qual è il responso?”

La domanda giunse con un tocco di ironia, ma gli occhi blu ghiaccio di Cecily dissero ben altro e Thor, nel sedersi sul divano, sospirò.

“Non ho mai incontrato un caso del genere, lo ammetto” esordì l'uomo, mettendola subito in agitazione.

Beverly diede una pacca sulla spalla all'amica.

“Non è un male, Cecily, tranquilla.”

“Spiegatevi meglio, allora.”

“E' effettivamente qualcosa di più di un comune essere umano, ma non è un neutro, e neppure un discendente di qualche creatura mistica terrestre. Può essere un erede di una miscellanea di discendenze, e forse è questo a infastidire la mia analisi, ma più di così non so dirti.”

“Bev?” mormorò allora Cecily, non sapendo se sentirsi preoccupata o lieta.

“Non è malvagio, se è quello che temi. Anzi, la sua aura è così pura da apparire sfolgorante. Ma è chiaro come il sole che non è semplicemente un uomo. Non so dirti altro, però.”

Ne seguì un sospiro contrito, a cui Cecily rispose con un sorriso.

“Ehi, non succede nulla. Abbiamo appurato che non è cattivo, o uno della squadra di Loki. Penso sia già un successo, no?”

“Più che sì, ma studierò a fondo il caso. Ormai, ho la sua traccia mentale ben sedimentata in testa, per cui mi metterò d'impegno per capirci qualcosa” le promise Thor, sorridendole generosamente.

“Grazie, te ne sono davvero grata. E per quanto riguarda voi? Avete saputo nulla?”

Thor e Bev scossero il capo all'unisono, chiaramente frustrati, ma fu la donna a rispondere.

“Patricia e le sue colleghe stanno ancora studiando i tomi sui berserkir ma, per il momento, non è saltato fuori nulla che riguardi le unioni miste. E' pur vero che manca ancora un intero libro, e forse la risposta è tutta lì, comunque siamo ancora in alto mare, almeno per adesso.”

“E tentare una gravidanza sarebbe troppo rischioso” assentì torva Cecily, a quel punto.

Entrambi annuirono sconsolati.

“Sono sicura che Pat farà il miracolo, tirando fuori il coniglio dal cilindro quando meno ve l'aspettate” sorrise loro la donna, incoraggiante.

“Se non potremo, adotteremo un bambino” si limitò a dire Thor, sorridendo alla fidanzata, che annuì.

“Sarete ottimi genitori, in un modo o nell'altro.”
 
 

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Capitolo 4
*** 4. ***


 
4.
 
 
 
 
 
Non le era mai piaciuto organizzare gite scolastiche.

Ma, trattandosi della classe di Tyler e, soprattutto, del suo ultimo anno di liceo, si era decisa a mettere da parte la sua reticenza per partecipare attivamente.

E, a onor del vero, non era stato poi così mostruoso come aveva in un primo momento pensato.

Alla fin fine, chiacchierare con le colleghe nel dopo scuola, e ridere alle battute dei professori più ciarlieri, non aveva richiesto troppa fatica.

La visita di Thor e Beverly, aveva contribuito a farle decidere di partecipare a quel progetto, ad ogni modo.

L’unica cosa che erano stati in grado di capire, nel mese e mezzo passato a Falmouth per studiare le correnti energetiche del luogo, e le emanazioni spirituali di Darcy, era stato suo malgrado demoralizzante.

Era strano. Ma non erano stati in grado di comprendere in che modo.

Almeno a detta di entrambi, qualcosa non quadrava, ma non erano riusciti a esprimere nessun altro parere.

Per lo meno, Darcy era risultato innocente come un bambino anche ai loro occhi, perciò Cecily si era tranquillizzata un poco.

Di qualsiasi stranezza si trattasse, non aveva ombre negative dietro di sé.

Perché doveva ammetterlo. Non era sicura che avrebbe accettato la sua eventuale connivenza col male incarnato.

Era davvero maledettamente educato, corretto, gentile, spigliato, simpatico e… beh, un altro migliaio di aggettivi positivi, a ben pensarci.

Di solito, le sarebbe venuto il diabete, di fronte a quel concentrato di perbenismo ed eleganza vecchio stile, ma con lui non era ancora successo.

Il che la diceva lunga su cosa ne pensasse di Darcy.

La ‘benedizione’ di Thor e Bev l’aveva rassicurata, e spinta a tenerlo ancor più d’occhio, paradossalmente.

Dopo averli salutati e ringraziati per la loro permanenza, si era così decisa ad accettare l’offerta di Stephenie di partecipare all’organizzazione della gita scolastica delle classi quinte.

Questo le aveva dato, fin dall’inizio, più di un’occasione per stare in compagnia di Darcy e, a quel modo, avrebbe avuto tutto il tempo di studiarlo senza dare nell’occhio.

Perché mancava ancora molto alla gita, e il tempo non le mancava per stargli addosso come una sanguisuga.

 
§§§

Con l’avvicinarsi delle festività natalizie e delle prime nevicate, Falmouth diventò più silenziosa, quasi ovattata, e il profumo della legna bruciata nei camini si confuse con quello dell’aria salmastra del mare.

Cecily, come suo solito, si recò a scuola a piedi, gli scarponcini impermeabili ai piedi e il cambio nella sua capiente borsa, che portava a tracolla sulla spalla.

Le piaceva tutto quel candore, e la sensazione della neve schiacciata sotto le scarpe, che scricchiolava rumorosa.

Le ricordava la sua vita di bambina quando, ancora inconsapevole del suo ruolo, giocava assieme agli altri senza curarsi di nulla, uguale tra gli uguali.

La sua nivea investitura l’aveva colta di sorpresa e, soprattutto, l’aveva spaventata, scaraventandola in un mondo e in un ruolo che non si era di certo aspettata.

Aveva sempre e solo pensato che, nella sua vita, avrebbe combattuto al primo sangue per divenire una mánagarmr  di alto rango, ma nulla di più.

Non si sarebbe mai aspettata di dover guidare un intero clan, lei che da sempre si era ritenuta l’ultima ruota del carro, il cucciolo più piccolo della nidiata.

Tutti le avevano giurato fedeltà fin dal primo momento, nessuno aveva abbandonato le sue terre, e questo l’aveva resa felice e orgogliosa, ma le aveva anche messo addosso una strizza del diavolo.

Perché amare così tanto le persone che erano una tua responsabilità, poteva anche arrivare a non farti dormire la notte, e questa era una cosa che la faceva sbarellare.

“Anche a te piace camminare sulla neve, a quanto pare” esordì una voce alle sue spalle, strappandola a quei pensieri.

Cecily si bloccò, volgendosi a mezzo per scrutare il viso sorridente e vagamente arrossato dal freddo di Darcy.

Sorridendo sghemba, lei replicò: “Mi sembrerebbe da idioti prendere l’auto per fare mezzo miglio. Non sapevo che abitassi nelle vicinanze anche tu.”

“In realtà, io di miglia ne faccio quattro” precisò lui, affiancandola sul marciapiede ancora ingombro di neve.

Ai piedi, aveva degli scarponcini da trekking e, come lei, teneva le scarpe di ricambio in una sacca apposita.

“Complimenti, allora” mormorò compiaciuta la donna, accentuando il suo sorriso. “Hai più voglia di me di fare dell’esercizio fisico mattutino.”

“Non ti vedo molto fuori forma, però” ribatté sagace lui.

“Mi hai guardato così bene, da esserne certo?” lo stuzzicò a quel punto Cecily, vedendo comparire l’ombra di un salutare imbarazzo sulle sue gote punteggiate di barba scura.

“Scusa. Mi sa che non ho detto una cosa molto elegante” ridacchiò Darcy, passandosi una mano tra la massa folta di capelli bruni.

Cecily allora scoppiò a ridere di gusto e, scuotendo il capo, replicò: “Quando avrai imparato a conoscermi bene, William, scoprirai che prima di sconvolgermi dovrai essere molto, ma molto più malizioso di così. Non mi spaventano neppure gli uragani, quindi…”

“Sì, Jones mi ha accennato a questa tua… qualità. Si è quasi fatto il segno della croce, parlando di te” ghignò lui, scrollando le spalle.

“Quell’idiosincratico barbagianni…” brontolò la donna, facendo ridere sommessamente l’uomo al suo fianco. “… dovrebbe imparare a farsi una manica di fatti suoi, invece di sparlare dei colleghi.”

“Io trovo la tua sincerità molto corroborante, invece” ammise a quel punto Darcy, spiazzandola.

Lei levò i suoi occhi blu ghiaccio su di lui, immergendosi con forza in quelle iridi color del mare, che sapevano di tempeste e di passeggiate al chiaro di luna.

Dubbiosa, borbottò: “E se mi uscissero dei commenti poco carini su di te, lo penseresti lo stesso?”

Per tutta risposta, lui ribatté malizioso alla sua provocazione.

“Vuoi fare dei commenti poco carini su di me?”

Cecily, per la prima volta in vita sua, si trovò a disagio in presenza di un uomo e, ne fu del tutto certa, arrossì.

Non aveva mai avuto problemi con nessuno, si era battuta e aveva rimesso al suo posto più di un Fenrir ma mai, mai nella sua vita, si era sentita avvampare sotto lo sguardo interessato di un uomo.

Un uomo normale.

O meglio, un po’ strano, ma non un mannaro o un berserkr.

Lo squillo improvviso del cellulare la salvò da quella domanda esplosiva e Cecily, afferrando l’iPhone dalla tasca del suo soprabito, accettò subito la chiamata e disse lesta: “Sabine, dimmi.”

“Scusa se ti disturbo a quest’ora, Fenrir, ma abbiamo un problema” mormorò Sköll, spiacente e demoralizzata.

Accigliandosi immediatamente, lei mormorò torva: “Mandami un’e-mail con tutti i ragguagli del caso. La leggerò appena posso. Sempre che non sia così urgente da farmi saltare un giorno di scuola.”

Sabine, sua seconda in capo, attese qualche secondo prima di asserire dubbiosa: “Diciamo che, almeno per ora, abbiamo tutto sotto controllo. Ma temo dovrai sbrigarti a uscire da scuola, più tardi.”

“Merda! Così grave?!” sbottò Cecily, chiedendosi cosa fosse successo da preoccupare tanto Sabine.

Tendenzialmente, la sua Sköll non era persona che si faceva prendere dal panico al primo alito di vento, eppure in quel momento pareva assai preoccupata.

La sua seconda in capo non disse nulla e lei, con un sospiro, le raccomandò di inviarle l’e-mail prima di riattaccare.

Quando finalmente tornò a osservare Darcy, trovò preoccupazione e ansia sul suo volto.  

Cecily, non sapendo bene che dire, si inventò lì per lì una scusa.

“Problemi di famiglia. Ho uno zio all’ospedale e, da maniaca del controllo quale sono, voglio sapere per filo e per segno cos’ha, così mi sto facendo inviare la sua cartella clinica.”

L’uomo le sorrise comprensivo e annuì, dicendole: “Se preferisci, dirò a scuola che devi andare.”

“No, ce la posso fare” scosse il capo Cecily, sperando che fosse vero.

Che diavolo era successo, di così grave, da far andare nel pallone Sabine?

 
§§§

Uscendo praticamente di corsa da scuola, gli scarponcini neppure ben allacciati attorno alle caviglie e lo sguardo volitivo acceso come un faro alogeno, Cecily sorrise nel vedere Hugh nel cortile della scuola.

La sua jeep la attendeva sul ciglio della strada e, quando lo salutò con un cenno della mano e un pugno contro pugno, non esitò un solo attimo a salire con lui e fuggire via in tutta fretta.

Poco distanti, e ancora ferme sui gradini dell’istituto, alcune professoresse li guardarono andare via con aria curiosa e, tra loro, Miranda Kerr sospirò irritata.

Con un tono velenoso quanto geloso, se ne uscì dicendo: “Non posso credere che Cecily non stia con quel Marcantonio! Girano sempre assieme!”

Renata, ferma al suo fianco e con espressione non dissimile, mugugnò: “Scommetto che, se stesse assieme a lui, si sarebbe vantata fino alla fine dei giorni di un simile evento.”

“Hai ragione… ma mi da comunque fastidio” brontolò a quel punto Miranda.

“Sparlare delle persone alle loro spalle, non è molto educato” osservò dietro di loro Darcy, camminando speditamente per tornarsene a casa.

La riunione del pomeriggio era stata rimandata, vista la mancanza di Cecily, perciò poteva rientrare a sua volta.

Le due donne ridacchiarono imbarazzate e, in fretta, defilarono per non dover scusarsi della loro gelosia immotivata.

E Darcy si guardò bene dal dire la verità su Hugh.

Che pensassero pure quello che volevano. Non dovevano essere affari loro con chi parlava, o se si vedeva con Cecily.

Raggiunta la strada, però, lanciò uno sguardo profondo e prolungato nella direzione in cui era scomparsa la jeep.

Più di una volta, in quei mesi, Darcy aveva visto Hugh presentarsi a scuola per parlare con Cecily o, peggio, accompagnarla a casa con la sua auto.

Lei gli aveva parlato della loro parentela, e Hugh stesso gli aveva presentato la sua fidanzata – che si trovava alle Orcadi – tramite Skype.

Eppure a William dava ugualmente fastidio, la loro intesa, la loro amicizia, la loro … intimità.

Sapere della relazione a distanza lo rassicurava solo in parte, visto che questo non dava l’assoluta garanzia circa la fedeltà di Hugh verso la bella Tempest.

Cecily era lì, disponibile,  sola e bellissima, lui era un bell’uomo e…

Bloccandosi per non dover darsi dell’idiota, come avrebbe volentieri fatto solo un minuto prima con le sue colleghe, Darcy si colpevolizzò per la sua gelosia immotivata.

Hugh era un brav’uomo, e di sicuro Cecily era tutto tranne che un’intrigante.

Aver sentito parlare a quel modo Miranda e Renata, però, aveva acceso in lui una stilla di rabbia che ora stentava a soffocare.

Oltre che un attacco di gelosia in piena regola, e che non aveva ragione di esistere.

Avrebbe tanto voluto dire qualcosa di molto peggio alle colleghe, anche solo per sfogare parte della propria gelosia, ma non era decisamente nella sua natura.

Era sempre stato tranquillo e pacato, di certo non un combina guai e, alcune volte, le aveva prese di santa ragione proprio perché non amava la violenza e l’uso delle mani al posto della ragione.

Ma alcune volte, e in quei casi si era sempre sentito malissimo, avrebbe voluto saper difendersi anche con i pugni, e non solo con la logica.

Si era dato da fare, in gioventù.

Era diventato cintura nera di karate, e aveva appreso il kenpo e l’arte del ju-jistu, ma tutto questo non l’aveva aiutato a essere più deciso e meno riflessivo.

Anzi, forse era successo l’esatto opposto.

La meditazione era un’arte in cui era maestro, ma dubitava che questo potesse interessare a una donna esplosiva e fisica come Cecily, che sprizzava energia da ogni meraviglioso poro della pelle.

Ed eccolo tornare, lui, il mostro verde della gelosia.

Certo, a confronto di Hugh, lui era un ben misero esemplare di uomo.

Sorridendo derisorio, si avviò silenzioso verso casa cercando di capire quando, il suo interesse per la collega, si era tramutato in autentica ossessione.

Non smetteva di pensare a lei, alla sua voce trillante e sonora, ai suoi sorrisi sinceri e cordiali, alle sue battute di spirito, alla sua totale mancanza di paura o timore.

Rispondeva a tono a chi le dava noia, ma sempre con una classe sopraffina.

Solo con i ragazzi l’aveva sentita sbottonarsi, usando un gergo molto più simile al loro di quanto non usasse con i suoi colleghi.

Forse, era per questo che i suoi studenti la adoravano e la rispettavano al tempo stesso.

Sapevano che, pur se così aperta e di spirito, era anche una donna da rispettare… e seguire.

Tyler Finney, in particolare, la tampinava come un cucciolo fedele e lei, per tutta risposta, lo trattava come un figlio un po’ dispettoso ma che tanto amava.

Non l’aveva mai vista sbilanciarsi in qualche gesto equivoco, ma i suoi occhi avevano sempre parlato di affetto incondizionato e, sì, di istinto protettivo e feroce.

Di sicuro, avrebbe dato la vita per quel ragazzo. O azzannato il primo che si fosse avvicinato a Tyler con cattive intenzioni.

Poco importava che il ragazzo fosse alto un metro e novanta, e lei molto di meno. Cecily l’avrebbe difeso a spada tratta.

“Beh, caro Will, se vuoi far colpo su di lei, dovrai tirar fuori un po’ di grinta, perché donne così non guardano uomini come te” brontolò tra sé Darcy, lanciando un’occhiata significativa al cielo plumbeo sopra la sua testa.

Entro sera, sarebbe caduta altra neve, questo era poco ma sicuro.

 
§§§

Lo sguardo furioso e che sprizzava scintille, Cecily ringhiò inferocita e per nulla felice della situazione.

“Ma che gli diceva la testa? Era per caso impazzito? Si era fumato qualcosa? Come ha potuto fare una cosa simile?!”

Hugh, comprendendo appieno l’ira della sua Fenrir, e condividendola in tutto e per tutto, annuì torvo e asserì: “Siamo riusciti a tenere la cosa più o meno sotto controllo solo perché sulla barca erano in due e, quando Greg è esploso, Sigmund è svenuto come una pera.”

“Buon per lui, e male per noi. Spero che Sabine abbia messo Freki, assieme a Greg” brontolò inviperita Cecily, osservando al limite della furia i capannoni del piccolo porto di Falmouth farsi sempre più vicini.

Svoltando in una strettoia ancora sporca di neve, Hugh frenò facendo scivolare un poco gli pneumatici e, annuendo, rispose: “E’ la prima cosa che abbiamo fatto, da quando Greg ci ha chiamati per dirci del casino che aveva combinato.”

“L’unica cosa sensata che sento finora” sibilò la donna, smontando con un diavolo per capello e le mani già munite di artigli acuminati.

Hugh aprì per lei la porta del capannone e, al suo interno, vi trovò Brianna, Greg, il povero Sigmund ancora svenuto e Baltazar, il suo Freki.

Interamente vestito di nero, e con una pesante sciarpa a mascherarne in parte i lineamenti, Freki appariva più letale che mai, con gli artigli spianati e l’aria di voler mordere qualcuno.

Cecily apprezzò la vista, così come apprezzò la presenza di Brianna che, avvisata in mattinata del colossale guaio combinato da uno dei suoi lupi, si era precipitata lì per essere d’aiuto.

Le sue doti di wicca li avrebbero salvati da un guaio colossale, ma l’idea di averla scomodata durante un giorno di riposo, fece nuovamente andare in bestia la donna.

Quando udì le porte del capannone chiudersi alle sue spalle, Cecily prese finalmente la parola e, rivoltasi al lupo penitente, ringhiò: “Cosa cazzo ti è venuto in mente di tentare di sbranare il tuo datore di lavoro, sentiamo?!”

Greg si fece piccolo piccolo, mentre Freki emetteva un basso ringhio di gola. I capelli scalati di Baltazar vibrarono in risposta, neanche fossero le corde di un’arpa.

Cecily si avvicinò minacciosa a entrambi.

Hugh, come un’ombra fedele, la seguì silenzioso e Brianna, a braccia conserte, osservò la scena senza parlare.

Lei non era lì per giudicare, ma solo per mettere una pezza al problema.

“Dovrei staccarti la testa a morsi per questa cazzata mastodontica, ma poi dovrei spiegare ai tuoi genitori perché l’ho fatto e, visto che li ho molto a cuore, ti risparmierò la vita” ringhiò Fenrir, le zanne ben in evidenza e le unghie che, minacciose, si mossero vicino al collo di un tremante Greg.

“Chiedo umile perdono, mia Signora. Non succederà mai più, lo prometto” mormorò terrorizzato il lupo, reclinando il capo di scuri capelli.

Cecily sospirò e, fatto un segno a Freki, disse lapidaria: “Poco ma sicuro. Baltazar, sai cosa fare. La sferza tripla, ai dieci colpi.”

“Come comandi, Fenrir” assentì atono Freki, lasciando per un istante il fianco del penitente per raggiungere una rastrelliera in fondo al capannone.

Utilizzare luoghi del genere, per le punizioni corporali, era preferibile al recarsi nei boschi limitrofi, dove incauti escursionisti avrebbero potuto essere testimoni scomodi di antiche usanze.

A Cecily non piaceva usare la forza, né tanto meno utilizzare punizioni di quel genere, ma sapeva che quanto commesso da Greg non era divenuto pura tragedia solo per caso.

Il suo esempio sarebbe stato un monito per il resto del branco.

E il suo cuore avrebbe pianto tutto il tempo in gran segreto, nel frattempo.

Brianna, a quel punto, si avviò per raggiungere il povero pescatore, inconsapevole vittima di un evento che non avrebbe mai dovuto vedere.

Steso su una panca grossolana, l’uomo appariva infiacchito e stanco pur nell’incoscienza e, nell’accucciarsi accanto a lui, la giovane mormorò: “La sua mente è turbata. Mi ci vorrà un po’ per ripulire tutto.”

“Hai tutto il tempo che vuoi. Questi capannoni sono miei, perciò non dobbiamo temere l’arrivo di qualche curioso, e le pareti sono insonorizzate.”

Cecily sorrise mesta, mentre il primo colpo di sferza colpiva la schiena di Greg.

Il suo grido roco si levò verso l’ampio tetto metallico, e le mani di Fenrir si strinsero a pugno, come costringendosi a non ordinare che tutto venisse bloccato.

Brie le sorrise comprensiva, una mano poggiata sul torace del pescatore e l’altra sulla sua fronte.

“So come ci si sente, credimi” mormorò la giovane immunologa, mordendosi pensosa il labbro inferiore.
Cecily lo sapeva bene.

Con il suo potere unico e dirompente, Brianna aveva compiuto autentici sortilegi e, pur non conoscendone i particolari, sapeva che l’antica Triade del suo clan avrebbe passato un inferno, alla morte dei suoi membri.

Era un argomento di cui Brie non parlava volentieri, e di certo lei non si sarebbe messa a farle domande antipatiche.

La sferza colpì per la quinta volta.

La wicca chiuse un istante gli occhi, sospirò e infine disse soddisfatta: “E’ tutto a posto. Si risveglierà con un gran mal di testa, e senza neppure un ricordo a rammentargli ciò che ha visto.”

“Ti ringrazio. Non sapevo davvero come risolvere questo casino.”

Cecily sospirò al suono della settima nerbata e Brie, nel rialzarsi, le diede una pacca sulla spalla, confortante.

“Gli amici ci sono per questo. E anche le wiccan.”

“Fenrir che dice?”

Era lei a decidere per il suo branco però, …accidenti! Avere l’appoggio del padre della specie, sarebbe stato un gran sollievo!

Abbracciandola con calore, Brianna lasciò che a parlare fosse la sua anima divina, così che Cecily potesse comprendere a fondo la portata delle sue parole.

Hai agito perfettamente, figlia mia, e niente di ciò che hai fatto è stato un errore. Simili colpe vanno punite con severità, perché non si ripetano. La nostra parte ferina va tenuta a bada, a volte con metodi piuttosto cruenti. Non temere, hai la mia benedizione.

“Grazie, Padre… sono lieta di sentirtelo dire.”

Sorridendo, Cecily si scostò dall’amica e, nel sorriderle, le diede un buffetto sulla guancia.

“Non riprovarci un’altra volta ad abbracciarmi senza preavviso, lupetta.”

Brie scoppiò a ridere di gusto nell’annuire e, quando finalmente Baltazar terminò il suo compito, ripulì la sferza e la ripose in buon ordine senza dire una parola.

Le due donne allora si avvicinarono a Greg e, senza parlare, Brianna avvicinò una mano alle ferite sanguinanti per fermarne il dissanguamento.

Cecily la ringraziò con un mezzo sorriso e la wicca, scrollando le spalle, disse semplicemente: “Il dolore è sufficiente a fargli comprendere quanto ha sbagliato. Non ha senso che muoia dissanguato, a causa dei tagli causati dalle corde intessute con l’argento.”

Poi, ammiccando a Baltazar, aggiunse: “Senza nulla togliere al tuo lavoro, Freki.”

“Non lo penserei mai, wicca.”

Con un cenno del capo bruno, Baltazar salutò i presenti e se ne andò in silenzio, un’ombra oscura in quel luogo colmo di dolore.

“Hugh, rimani con lui. Io e Brianna andremo a casa mia. Ci puoi trovare lì, se ci sono problemi” ordinò Cecily, prendendo sottobraccio l’amica.

“Prendete la mia jeep.”

“Non se ne parla. Faremo una passeggiata, e io sbollirò la rabbia” replicò ghignante Fenrir, osservando con ironia il suo Hati.

“Come desideri.”

Nell’uscire dal capannone, Cecily mormorò un’imprecazione e Brianna, nel darle una pacca sul braccio, asserì: “Le rogne si portano in compagnia, amica mia. Non ha senso portarle da sola.”

“Amen” ghignò lei, annuendo.

Una lacrima ai lati degli occhi, però, la smentì.

Quel dolore sordo e divorante lo avrebbe portato da sola, Brie lo sapeva bene.

Cecily era così, nel bene e nel male.



 

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Capitolo 5
*** 5. ***


5.
 
 
 
 
La neve aveva ripreso a cadere su Falmouth, ma alle due licantrope poco importava.

Nessuna delle due sentiva freddo, nessuna delle due risentiva del calo della temperatura, nessuna delle due dava peso a simili cambiamenti climatici.

Il loro sangue mistico le proteggeva dai capricci del tempo, ma non dal dolore.

Cecily, a braccetto con Brianna, camminava silenziosa lungo il marciapiede che conduceva a casa sua, silenziosa e pensierosa al tempo stesso.

“Stai facendo un baccano dell'inferno, lo sai, vero?”  le disse mentalmente Brie, a un certo punto.

“Dovrò schermarmi meglio. Non voglio che scopri quanto posso essere volgare!” ridacchiò la donna, sorridendole a mezzo.

Brianna sorrise di rimando, facendo spallucce.

“Ho passato troppo tempo con Alec, per far caso a cose del genere. E poi, un'imprecazione ogni tanto fa bene, specialmente dopo fatti simili. Ricordo ancora, quando Duncan dovette amputare la mano di un suo lupo. Fu irritato per giorni,... neppure un orso al suo risveglio primaverile avrebbe potuto eguagliarlo a irritazione.”

“Non piace a nessuno agire a questo modo. Abbiamo in noi una componente umana troppo alta per non soffrire, ma so anche che non può essere diversamente. La controparte ferina va tenuta a bada … anche da se stessa, se necessario. Viviamo in un mondo di umani, non possiamo fare quel che vogliamo, e solo perché siamo noi in cima alla catena alimentare.”

“Ci massacrerebbero senza pietà, se sapessero di noi” assentì Brianna, sospirando pesantemente. “Il segreto è quanto mai di primaria importanza, nelle nostre vite, e i facinorosi vanno sedati subito, e con forza. Non dobbiamo dare neppure una mezza occasione, ai Cacciatori, di avvicinarsi a noi. Lo so, conosco la lezione a memoria, ma capisco anche perché ti senti così di merda.”

“Non è mai facile essere dei capi giusti e forti... ed è quando devi mostrare i denti, che capisci quanto sia schifoso questo compito.”

Il solo dichiararlo fece male a Cecily, ma era la verità. A volte, odiava essere Fenrir.

“Joshua è quello che ha dovuto pagare il prezzo più caro.”

Cecily annuì.

Rammentava molto bene quel che aveva fatto Fenrir di Londra, e la causa che l'aveva spinto a oltrepassare un limite che, in pochi, avrebbero voluto valicare volontariamente.

T.J., il suo migliore amico, quasi un fratello. E colui che aveva quasi distrutto Joshua e l'intero Clan londinese.

T.J., che aveva venduto il cugino ai Cacciatori, indicando non solo il luogo preciso in cui si trovava il loro Vigrond, ma anche i nomi della Triade di Potere.

T.J., che l'aveva accusato delle peggiori nefandezze, pretendendo una posizione di potere che Madre stessa gli aveva negato.

Per salvare l'animo di Joshua da una morte lunga e dolente, Keath aveva preso su di sé l'impegno di finirlo, ben sapendo quanto, altrimenti, l'amico avrebbe sofferto nel calare il colpo fatale.

T.J. era morto per un colpo di arma ad argento, un singolo proiettile sparato da Freki, grazie all'arma di Geri, aveva messo fine alla sua esistenza e il suo corpo, in spregio alla sua memoria, era stato bruciato.

Fenrir aveva passato interi giorni, forse settimane, in preda al dolore di quel tradimento e, solo grazie all'amore congiunto di tutto il clan e di Gretchen, era riuscito a sopravvivere.

Anche grazie all'intervento di Kate Alexander, che aveva ripulito le menti dei Cacciatori dai loro ricordi, si era evitata una strage inutile. Ma Joshua non aveva mai dimenticato quei fatti.

“Dubito che Joshua si sia mai perdonato per aver ordinato la morte di T.J., anche se sono passati molti anni, da quell'evento.”

“Quel genere di dolore non ti abbandona mai” confermò Cecily, sorridendo per un istante quando raggiunsero il suo piccolo cottage.

Indirizzandola verso la bianca staccionata, le aprì il piccolo cancello e insieme salirono i tre gradini che portavano alla veranda, in quel momento chiusa da vetri trasparenti

In estate, Cecily li lasciava sempre aperti ma, in inverno, li teneva chiusi per salvare le sue piante più delicate.

Non appena furono in casa, Fenrir si avvicinò al caminetto per accenderlo e Brie, osservando il salone d'entrata e l'angolo da lettura vicino alle vetrate, sorrise.

Il parquet color ciliegio, ben si sposava con i pesanti tappeti damascati e i mobili dalle tinte calde, che contenevano pregiati manufatti in porcellana e libri antichi.

I divani, in tessuto chiaro a righe e l'intelaiatura lignea a vista, erano in stile country inglese, così come ogni altro pezzo d’arredamento visibile in quello spaccato di casa.

Il legno abbondava, così come le tinte solari e le fantasie floreali.

Difficile riconoscere in quell'ambiente così femminile la donna fragorosa e, a volte, mascolina che aveva conosciuto sette anni addietro nel Pick District.

C'era molta dolcezza in quella casa, forse quella che difficilmente mostrava all'esterno per paura di non essere presa sul serio.

“Posso offrirti qualcosa da bere? Una cioccolata calda? Del tè?” le domandò Cecily, sistemando un ciocco di legno nella fiamma scoppiettante.

“La cioccolata sarebbe gradita, grazie” assentì Brianna, seguendola in cucina.

Anche lì, lo stile country abbondava, come i legni e le tinte calde.

Brie approvò in pieno la scelta e, curiosa, annusò le piante secche appese sopra la consolle centrale della cucina.

“Timo e asperula. Le coltivo dietro casa.”

“Sei molto più brava di me. Io ho più il pollice nero, che verde” ridacchiò la giovane.

“Con un padre giardiniere e una mamma botanica, o imparavo, o mi seminavano nell'orto” ridacchiò Cecily.

“Come stanno Deidre e Seamus?”

“Sono rilassati, al caldo, e si godono i mari tropicali” spiegò la padrona di casa, facendo scaldare la cioccolata sul fuoco. “Li invidio, a volte.”

“Ti capisco. Con Duncan, pensavamo di fare un viaggio in Egitto, non appena Nathan sarà in grado di viaggiare.”

“Quel cucciolo è così buono e bravo, che non vi farà aspettare tanto” la rassicurò Cecily, sorridendole. “Con il latte, come fai?”

“Gliene ho lasciato un po'. Ci penserà Duncan a dargli da mangiare. Gli piace dargli il biberon.”

Il solo nominare i suoi due amori fece brillare gli occhi dorati della wicca, e sorridere Cecily.

Era difficile incontrare due persone altrettanto innamorate, ma forse dipendeva anche dalle difficoltà che avevano dovuto affrontare, all'inizio del loro amore.

“Mi piacerebbe vederlo, mentre lo allatta.”

Brie ridacchiò a quel commento e, estratto che ebbe il cellulare dalla tasca dei pantaloni, le mostrò alcune foto.

“Caspita! Posso dirlo senza apparire ninfomane? E' tutto da mangiare, il tuo ragazzone!”

Brianna annuì, più che d'accordo con l'amica, e asserì: “Sarà la prima cosa che farò quando tornerò a casa.”

“Dai un bacio da parte mia a entrambi, e scusati ancora con loro per averti temporaneamente rapita.”

“Non devi neanche dirlo, Ceel. Sai che per te ci sono sempre. Io e Kate siamo le uniche wiccan che si conoscano, in Inghilterra. E' ovvio che voi ci chiamiate, se ci sono problemi.”

“Sarà anche così, ma mi spiace lo stesso.”

Brie allora ridacchiò e, ammiccando a Cecily, disse: “Preparati, sto per abbracciarti.”

“Di nuovo?! Ci stai prendendo gusto!?” esclamò la donna, fingendosi scandalizzata.

L'amica non ci fece caso e la strinse a sé, mormorando contro la sua massa di fulvi capelli: “Ti voglio bene, razza di scorbutica lupastra dei miei stivali. Non pensare mai che io non correrei qui per te in qualsiasi momento.”

Cecily sorrise contro la spalla di Brie, ma preferì non dire nulla.

Non era brava, con le smancerie.

 
§§§

Un bagno ristoratore era sempre la cosa migliore per allentare le tensioni e, dopo una simile giornata, non poteva che fare bene.

Subito dopo cena, Cecily si era scusata con l'amica e si era rintanata nel suo bagno per gettarsi nella vasca in porcellana, dalle zampe di leone ottonate.

Brianna allora si era sistemata sul divano a guardare un po' di televisione, in attesa che l’amica finisse con le sue abluzioni.

E fu durante uno spot sulla Champions League che il campanello trillò.

Annusando l'aria, Brie non riconobbe l'odore dell'umano alla porta, ma percepì qualcosa di strano nel suo aroma e, curiosa, si affacciò sull'entrata per scoprire chi fosse.

Oltrepassata la veranda, aprì la porta e scrutò sul marciapiede dove un uomo alto, e infagottato in un pesante parka, attendeva paziente.

I bruni capelli erano punteggiati dalla neve che aveva ripreso a cadere e Brie, domandandosi chi fosse, chiese: “Cercava Cecily, per caso?”

“Non è in casa?”

Poi, con un sorriso contrito, aggiunse: “Mi scusi. Sono un suo collega, Fitzwilliam Darcy. Volevo solo avere notizie di suo zio. So che non stava bene, e così...”

Oh, quindi è lui!, pensò tra sé Brianna, sorridendo lieta.

Cecily non aveva menzionato il particolare non da poco che aveva di fronte; era davvero un bell'uomo!

Accentuando il sorriso, Brie aprì del tutto la porta e lo invitò a entrare.

“Ora si sta facendo un bagno, ma sarà pronta in pochissimo tempo. Perché non entra, nel frattempo?”

“Ma... non vorrei disturbare, e...” tentennò l'uomo, non sapendo bene che fare.

“Mi creda, non disturba affatto. Entri pure, o si inzupperà di neve.”

“Beh, grazie...”

“Brianna. Brianna McKalister, tanto piacere” disse la giovane, allungando una mano all'uomo quando si ritrovarono vicino.

Lui la accettò con naturalezza e Brianna, non lasciandosi sfuggire quell'occasione, diede una fuggevole occhiata alla sua mente.

Quel tocco leggero e veloce la lasciò senza parole.

Mai, nella vita, aveva toccato una mente più pura, limpida e rilucente come la sua.

Non era... umana.

O per lo meno, nessun umano di sua conoscenza aveva simili concentrati di purezza dentro di sé.

Chi diavolo era, quell'uomo?

 
§§§

“... e così ho pensato di passare in visita prima di tornare a casa.”

Brie si era inventata lì per lì un viaggio inesistente, per giustificare con Darcy la sua presenza in casa di Cecily.

Lui l'aveva ascoltata con quieta cortesia, lanciando ogni tanto un'occhiata curiosa alla sua fede nuziale ma, più ancora, all'anello con la testa di lupo che portava al dito medio.

I granati brillavano caldi sotto la luce delle lampadine, e attiravano di sicuro un sacco di attenzione, vista soprattutto l'originalità del pezzo.

Non capitava tutti i giorni vedere un anello di una fattura così sopraffina, o di quella forma.

Sorridendo, se lo tolse e lo allungò a Darcy, aggiungendo: “Non ho potuto notare il tuo sguardo. Sei un intenditore di gioielli?”

Ridacchiando per essere stato scoperto, l'uomo afferrò l'anello per meglio osservarlo, e ammise: “Mi intendo di artigianato inglese del periodo medievale e celtico, ma non avevo mai visto un monile simile. E' antico, vero? Non è un'imitazione.”

Lo disse con cognizione di causa, e Brie annuì.

“Appartiene alla famiglia di mio marito da secoli. Dovrebbe essere stato forgiato nel XII secolo, se non erro. Solo i granati, sono più recenti.”

“Artigiani di Glastonbury, non posso sbagliarmi. C'è anche il marchio dell'oreficeria, qui... all'interno della fascia.”

Allungandosi, Brianna diede un'occhiata e, a sorpresa, scorse un piccolo blasone proprio in corrispondenza del negativo della testa di lupo.

“I miei complimenti. Non l'avevo mai notata” mormorò ammirata la donna, rimettendosi il monile al dito.

“Sapevo dove e cosa cercare. Gli orafi di Glastonbury erano famosi per le loro opere sacre, e alcuni dicevano che le stesse fate di Avalon avessero detto loro come lavorare l'oro.”

Darcy sorrise nel dirlo, quasi l'idea lo divertisse.

“Oh, giusto. Glastonbury si trova nella zona in cui si pensa esistesse il passaggio per Avalon” assentì Brianna, rammentando le antiche leggende sull’isola di Morgana la fata e di Viviana, la signora del Lago.

“Porteremo i ragazzi dell'ultimo anni in giro per il Somerset, per far loro visitare i luoghi legati ai miti arturiani” le spiegò Darcy, sorridendo. “E, naturalmente, faremo una capatina anche a Londra, giusto per non far loro mancare nulla.”

“Vi sbranerebbero, se non lo faceste” ridacchiò Brianna, lanciando poi un'occhiata verso la zona notte, quando udì i passi tranquilli di Cecily.

Abbigliata con una tuta felpata e pantofole a forma di coniglio, la donna entrò in salotto con passo quieto e finse una buona dose di sorpresa, quando vide Darcy.

Il suo olfatto e il suo udito le avevano già detto da tempo della sua presenza, ma la facciata era tutto.

“Ciao... come mai qui?” domandò a quel punto lei, accomodandosi accanto all'amica.

“Scusa per il disturbo, ma volevo sapere come stava tuo zio. Spero tutto bene.”

Cecily non poté esimersi dal sorridere dolcemente, di fronte a tanta sollecitudine.

Cordiale, asserì: “Non dovevi disturbarti tanto. Lui sta benissimo. Ci ha fatti quasi venire un infarto, e invece erano solo calcoli.”

L'uomo allora sorrise spontaneamente, e disse per contro: “Non si è mai abbastanza solerti, in questi casi. Mia madre non mi dice mai nulla, perciò scopro sempre le cose con ritardi mostruosi. So cosa vuol dire preoccuparsi a questo modo.”

“Abita a Truro?” si informò Cecily, rammentando quel poco che sapeva su sua madre.

“Per la verità, nei pressi di Glastonbury. Infatti, pensavo di approfittare della gita per farle visita. Per Natale e Pasqua, quando abbiamo i permessi, lei tende a rendersi irreperibile, sparendo per giorni in posti assolati e caldi, così è quasi impossibile trovarla.”

Rise nel dirlo, e le due donne si unirono a lui.

“I miei genitori si sono trasferiti in pianta stabile, in un luogo caldo. Andrebbero d'accordissimo” commentò ironica Cecily.

“Lance e Mary B – i miei genitori adottivi – invece metterebbero radici in Norvegia, se fosse per loro” ironizzò Brianna, ammiccando a Cecily.

“Godi a dire a tutti di avere un padre adottivo fico come Lance Rothshield, vero?” ghignò la donna, indicando poi a Darcy una foto di gruppo che teneva appesa al muro, vicino alla libreria.

“Vedi quel tizio alto, vicino alla brunetta e la bimba dai boccoli dorati dall'aria angelica?”

Lui?” esalò Darcy, dichiaratamente stupito.

Brianna scoppiò a ridere e, in breve, fece un sunto per il professore, così da rendere chiare le parentele.

“Beh,... hai sicuramente avuto una vita piuttosto movimentata. E piena di lutti. Deve essere stato difficile affrontare tutto questo, sapendo di dover essere anche una spalla per tuo fratello.”

“Ho avuto ottime persone a darmi una mano” asserì Brie, osservando con affetto la fotografia, scattata in occasione del battesimo di Nathan.

Quella era la sua famiglia allargata, i suoi amici e parenti, la sua vita, e non li avrebbe cambiati per nulla al mondo.

Aveva perso tanto, nei primi anni della sua vita, ma aveva anche ricevuto tanto in cambio.

Doveva solo accettare il bene e il male che aveva sperimentato sulla pelle, senza farsi condizionare da nessuno dei due.

“Mary B è stata un’ottima madre adottiva, fin dal primo giorno e, dopo la morte di Patrick, Lance si è rivelato l’uomo giusto per lei… e per me e Gordon. Non avremmo potuto trovare patrigno migliore.”

“E ammettiamolo, presentarlo come il tuo paparino ti fa guadagnare un sacco di punti” ridacchiò Cecily, dando una pacca sulla spalla all’amica.

“Anche no. Le donne sono gelose di Mary B, e gli uomini non sopportano il fatto che lui sia così bello. E’ un’arma a doppio taglio” replicò Brianna, pur sorridendo nel dirlo.

“Solo perché la gente è tarda. Se si soffermassero un secondo a pensare, e passassero sopra alle evidenti doti di natura di entrambi, capirebbero quanto sono belli dentro.”

Il brontolio di Cecily fece sorridere sia Brianna che Darcy che, conciliante, mormorò: “Spesso e volentieri, si guarda solo il guscio, ma non il contenuto. E’ una triste realtà.”

“Bisognerebbe spaccare la testa alla gente per vedere se ha cervello, a volte” sbuffò la donna, e Brie capì al volo che si stava riferendo a Greg e a quello che aveva fatto solo poche ore prima.

Sarebbero occorsi giorni, prima che il malessere emotivo le passasse.

“Daresti sicuramente un sacco di lavoro ai neurochirurghi, se ti mettessi a girare con una clava, spaccando teste a destra e a manca” ironizzò l’uomo, facendo spallucce.

L’idea le piacque talmente tanto che scoppiò a ridere di gusto, coinvolgendo a quel modo anche le altre persone presenti.

Aveva bisogno di ridere e, strano a dirsi, il compassato Darcy riusciva sempre a tirar fuori un coniglio dal cilindro, portandola a lasciare da parte le arrabbiature.

Lei che era un fascio di nervi, perennemente in contatto con i suoi lupi per essere certa che stessero bene, maniacalmente attaccata al suo clan, con lui riusciva a distendersi.

Con Darcy era in grado di essere soltanto Cecily, non Fenrir di Falmouth o la professoressa Fairchild.

Ed essere solo Cecily le piaceva un sacco.

Era gradevole, una volta tanto, potersi mettere una tuta da ginnastica per starsene comoda sul divano a chiacchierare del più e del meno, senza che questo volesse dire parlare di lupi.

Ed era piacevole essere l’oggetto dello sguardo interessato di un uomo piacente e che lei, a sua volta, trovava interessante.

Non sapeva dove l’avrebbe portata quell’interesse, ma voleva godersi ogni istante di quella normalità, almeno finché avesse potuto.

 
§§§

Il cielo si era finalmente rasserenato e la neve, da soffice che era, era divenuta una lastra dura e compatta sul marciapiede e sui bordi delle strade, preventivamente ripulite con le ruspe.

L’aria gelida solleticava la pelle della licantropa che, sorridente, stava scrutando il viso arrossato e sereno dell’uomo dinanzi a lui.

Brianna si era molto casualmente detta stanca per il viaggio che l’aveva condotta lì e, verso le dieci di sera, si era ritirata nella camera degli ospiti per riposare.

Darcy si era poi trattenuto per un’altra mezz’ora a chiacchierare con Cecily ma, quando aveva notato il rischiararsi del cielo, aveva preferito avviarsi verso casa.

Il ghiaccio non era l’alleato migliore, per camminare.

“Dovresti rientrare. L’aria è terribilmente gelida, e tu sei uscita senza giacca” le rammentò Darcy, sorridendole.

“Ho la pellaccia dura” scosse le spalle la donna, noncurante.

Il freddo avrebbe dovuto essere ben più pungente di così, per darle noia.

“Beh… allora, a domani. Ci aspetta l’ultimo giorno di scuola prima delle festività di Natale.”

“Con relativo buffet nella Sala Insegnanti” sbuffò a quel punto Cecily, facendo sorridere l’uomo.

“Proprio non ti garbano, eh?”

“Chi?” esalò lei, sgranando gli occhi con falsa innocenza.

“I tuoi colleghi.”

“Oh, alcuni li sopporto molto bene… altri… molto meno.”

Sogghignò al suo indirizzo e, senza neppure rendersene conto, allungò una mano per sistemargli la sciarpa.

Tenendo gli occhi saldamente ancorati al disegno a righe del tessuto lanoso, Cecily glielo sistemò meglio sul parka prima di notare il suo gesto.

Spalancando occhi e bocca per la sorpresa – ora sincera – la donna fece per allontanare le dita, ma Darcy le bloccò la mano nella sua, calda e vagamente ruvida.

Non potendo impedirsi di levare lo sguardo per incrociare quegli occhi color del mare in tempesta, Cecily borbottò una scusa a mezza voce, cui lui non badò affatto.

Si chinò verso di lei, attirandola a sé al tempo stesso e, annullando le distanze che li separavano, la baciò.

Non fu dolce, e la cosa sorprese la donna, che si sarebbe aspettata tutto, da lui, tranne quella forza inaspettata.

Fu deciso, come se volesse dimostrarle di non essere solo il docile Professore di Storia che, fin lì, lei aveva conosciuto.

Con la mano libera le sfiorò la vita, avvolgendola poi col braccio per annullare del tutto lo spazio che ancora c’era tra loro e, approfondendo il bacio, ansimò contro la sua bocca.

Cecily faticò non poco a trattenere la belva dentro di lei che, come risvegliata da un sonno tranquillo, scalpitò per uscire, divorarlo, averlo dentro di sé in ogni sua parte.

Non le era mai capitata una cosa simile!

Mai il suo lupo aveva reagito a quel modo al tocco di un licantropo, figurarsi di un uomo qualunque!

Approfondì il bacio con un ansito strozzato, avvolgendo la sua nuca con una mano per impedirgli di allontanarsi, anche se non le parve vi fosse questo rischio.

Avrebbero continuato a baciarsi come se ne andasse della loro vita, se il rombo lontano di uno spartineve non li avesse fatti riemergere da quella temporanea follia.

Scostandosi come se si fosse ustionato, Darcy la fissò con la colpa ben incisa nei suoi occhi scuri, che Cecily trovò maledettamente attraenti.

Quanto le piaceva, quando faceva il contrito!

“Dio… Cecily, io non… non…” tentennò lui, non sapendo bene che dire.

Il fiatone gli impediva di parlare con chiarezza, o forse era solo il fuoco che lei vedeva in quegli occhi spettacolari, a renderlo così insicuro.

Bloccare un simile desiderio sarebbe stato quasi impossibile, anche per un licantropo, e infatti lei stava facendo una fatica dell’inferno per non tirarselo in casa.

E divorarlo.

“Il miglior bacio della buonanotte che io ricordi” ironizzò lei, tornando a sistemargli la sciarpa con noncuranza.

“Hai qualcun altro che ti saluta così?” le domandò allora Darcy, sollevando uno scuro sopracciglio.

“No.”

Una parola. E un sorriso malizioso.

A Darcy bastò per esibirsi in un sorrisetto un po’ scemo ma molto, molto mascolino.

Nuovamente, il suo lupo desiderò accoppiarsi, e lei dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non afferrarlo al collo e trascinarlo dentro a forza.

Dannazione a lui! Come riusciva a farle perdere il controllo a quel modo?!

“Beh, penso di aver fatto la mia brava figura da idiota, per stasera. Credo che domattina non passerò… avrai sicuramente voglia di…”

Interrompendolo con uno sguardo famelico quanto lapidario, Cecily replicò: “Tu non passare, e scoprirai cosa vuol dire farmi incazzare… di brutto.”

“Oookay.”

Lui assentì, levando le mani in segno di resa, un sorriso sempre presente sul suo viso arrossato e lei, addolcendo i tratti del volto, aggiunse: “Riposa bene, William. Io, sicuramente, lo farò grazie a te.”

“Lieto di esserti stato d’aiuto” si premurò di dire l’uomo, avviandosi lungo il marciapiede dopo un’ultima occhiata.

Cecily lo salutò, rientrando in casa alcuni attimi dopo e Darcy, solo nell’oscurità della notte, spezzata ogni tanto dalla luce dei radi lampioni, sorrise.

Sorrise come uno sciocco fino a casa, finché non si infilò nel letto. E forse, anche dormendo.




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N.d.A.: Durante, "All'Ombra dell'Eclissi", quando il nostro gruppo di eroi si trova a Niflheimr, in compagnia di Hell, la dea fa riferimento a un passato non proprio limpido di Joshua. Bene, mi riferivo all'evento legato a Reagar, di cui Joshua porta ancora i segni nell'animo.

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Capitolo 6
*** Atto II ***


 Atto II
“Da quanto ho potuto leggere o udire di racconti e storie vissute,
la strada del vero amore non è mai piana.”
W. Shakespeare – Sogno di una notte di mezza estate. – 
 
 

 
 
Un caffè in tazza e una cupcake, coperta di pasta di zucchero azzurro, furono il suo benvenuto, quel giorno.

Dopo la notte praticamente insonne che aveva passato – baciare Cecily lo aveva stordito non poco – trovarla sulla porta di casa, tutta sorridente e con quella colazione a sorpresa, lo stupì.

Senza sapere bene che dire, né cosa fare, afferrò entrambi i regali mentre la donna, risalendo un gradino della veranda, si poneva alla sua stessa altezza per dargli un bacio.

Oh, quindi le cose stavano così!

Evidentemente, non si era pentita del colpo di testa che la scorsa notte, all’improvviso, lo aveva quasi portato a voler divorare la donna.

Anzi, dal suo sguardo, avrebbe potuto pensare che fosse lei quella intenzionata a divorarlo.

“Beh, grazie. Come mai la colazione a portar via?”

“La cupcake l’ho preparata io, e volevo sapere che ne pensavi. Il caffè, invece, l’ho fatto perché ho notato che lo prendi appena arrivi a scuola, ma quello fa schifo. Questo è decisamente meglio.”

Vagamente sorpreso da quella spiegazione – non si era accorto che avesse notato così bene i suoi vizi – Darcy diede un morso alla cupcake e sorrise spontaneamente.

“Wow. Buona!” bofonchiò, dando un secondo morso, che innaffiò subito con il caffè caldo.

Soddisfatta, Cecily lo osservò divorare la cupcake prima di terminare il caffè con una gran sorsata soddisfatta.

“Ebbene?”

“Promossa con formula piena.”

Poi, dopo un attimo di esitazione, si avvicinò a lei per replicare a quello che la donna aveva fatto poco prima.

La baciò teneramente, quasi in imbarazzo, e Cecily lo trovò dolcissimo.

La sera precedente, si era trattato di un raptus improvviso, dettato da un desiderio irrefrenabile quanto inaspettato.

Ora, invece, il gesto era meditato e, perciò, più controllato e dolce.

Molto da Darcy.

Lappandosi le labbra per trattenere il suo dolce sapore, quando si scostò da lui, Cecily prese il bicchiere ormai vuoto per gettarlo nel cassonetto e, incamminatasi con il collega, gli domandò: “Come dovrei comportarmi, a scuola? Versione solita, o posso placcarti quando meno te lo aspetti?”

Lui rise di gusto, di certo non si era aspettato una simile domanda e, sorridendole generosamente, le chiese per contro: “Mi sbatteresti davvero contro il muro per strapparmi un bacio?”

“Avevo pensato al bagno delle donne, ma in effetti… cavoli, il muro fa più sesso sfrenato.”

Fissandolo poi maliziosa, aggiunse: “Darcy, non ti facevo così perverso.”

“Dio, ti prego, Cecily… non parlarmi con quel tono, o potrei essere io a farlo, e non tu.”

La donna allora si bloccò a metà di un passo, lo fissò con estrema sorpresa ed esalò: “Come lo avrei detto, scusa?”

“Con un tono di voce che mi porta a volerti divorare, cosa davvero imbarazzante da ammettere, ma con te non me la sento di girarci intorno. Sei una che dice le cose in faccia, e voglio usare lo stesso metodo, con te.”

Ancor più sorpresa – non si era resa minimamente conto di aver usato un tono diverso dal solito – lei mormorò: “Ah, beh… di certo non mi dispiace che tu sia così franco. Non mi aspettavo che reagissi così alla mia voce, però.”

L’unico Fenrir ad avere un tipo di Voce ammaliante, tra di loro, era Joshua e lei, di sicuro, non aveva quel genere di peculiarità.

Aveva usato la sua Voce in un paio di occasioni, ed era più che certa di non rientrare in quella ristrettissima categoria.

Perciò, cos’aveva combinato senza accorgersene?

O, più semplicemente, a Darcy piaceva la sua voce?

Raddrizzando le orecchie, Cecily ci riprovò.

“Esattamente, cos’avrei detto di così sexy?”

“Non è il cosa, è il come. E l’hai rifatto.”

Nel dirlo, ridacchiò e riprese a camminare.

Cecily lo seguì in fretta, sempre più confusa.

Era certa di non aver usato nessuna inflessione particolare, perciò la faccenda era una, e una sola: a Darcy piaceva la sua voce.

E questo la portò ad arrossire copiosamente.

Aveva ricevuto complimenti anche in passato, molti dei suoi mánagarmr si erano proposti per essere il suo Primo Lupo, ma lei non aveva mai trovato nessuno a cui destinare quel ruolo.

E ora arrivava quest’uomo, che del suo mondo non sapeva nulla, ed era affascinato dalla sua voce.

Non da quella che lei usava per comandare, non dalla Voce, che incuteva timore e rispetto, ma la sua voce, quella della donna, non del Capo.

“Tutto bene, Cecily? Ho esagerato?” le domandò turbato lui, afferrandola gentilmente a una spalla per fissarla in viso, lo sguardo percorso dal dubbio.

Lei scosse il capo e replicò con assoluta semplicità.

“Tutt’altro. Hai detto una cosa bellissima. Tu non sai neppure quanto.”

Darcy allora le sorrise, rinfrancato dalle sue parole, e ammise: “Mi piacerebbe non dire nulla, a scuola. Troppe domande, troppi curiosi.”

“Assolutamente d’accordo con te e, visto che tutte ti guardano con occhi lascivi, non farò fatica ad adeguarmi a loro. Anzi, forse apparirò finalmente normale, ai loro occhi” ironizzò lei, vedendolo avvampare un attimo dopo.

“C-cosa?” gracchiò lui, facendo tanto d’occhi.

“Non te n’eri accorto? Metà delle insegnanti ti sbava dietro, e l’altra metà asciuga la bava coi fazzoletti.”

A quel commento, Darcy non ce la fece più.

Scoppiò a ridere e, attiratala a sé, le diede un altro bacio appassionato quanto impulsivo.

Lupo e donna ulularono felici.

Sì, sarebbe stato un Natale coi fiocchi, quell’anno.

§§§
 
Uno sbuffo seguì a un’imprecazione.

No, niente poteva essere così noioso, lungo e immancabilmente logorroico.

O forse sì, se pensava a Miranda e Stephanie messe assieme.

Quando erano arrivati a scuola, si erano comportati come se nulla fosse successo – non era insolito che arrivassero assieme, perciò non avevano colto di sorpresa nessuno.

Si erano recati in sala insegnanti, e avevano ascoltato distrattamente le chiacchiere dei colleghi, prima di recarsi nelle rispettive aule.

Tra un cambio e l’altro si erano salutati cordialmente, e solo gli occhi avevano parlato di ciò che, all’esterno, nessuno avrebbe dovuto sapere.

Quello strano e nuovo sentimento, che era spuntato come un bucaneve dopo un rigido inverno, era qualcosa di totalmente estraneo nella vita di Cecily.

L’idea di condividerlo con qualcuno, le era invisa come un morso di lupo, perciò difficilmente ne avrebbe parlato con qualcuno.

Eppure, desiderava al tempo stesso sfogarsi, ascoltare il parere di qualcuno che la conosceva davvero, che avrebbe potuto dirle cosa fare.

Lei che guidava con grinta e tenacia un branco di più di mille membri, non sapeva come muoversi su quel terreno accidentato.

Cosa provava per Darcy?

Attrazione, questo era sicuro.

C’era dell’altro?

Non lo sapeva davvero, ma era sinceramente presto per pensarci, no?

O doveva già avere le risposte dentro di sé?

Non poteva semplicemente godersi quel calore divorante, che le inondava l’animo come un caldo abbraccio, e attendere che il tempo parlasse per lei?

Se lo poteva permettere?

Avesse avuto almeno una risposta a quelle domande, non si sarebbe mai presentata in sala insegnanti con un diavolo per capello.

Invece, al termine delle lezioni, si era recata nell’ampia e assolata stanza per parlare della gita scolastica assieme alle colleghe, e il suo malumore era subito balzato agli occhi delle due donne.

L’arrivo di Shneider non aveva aiutato, lui da sempre definito da tutti come lo psicologo.

Pur essendo professore di Musica, si vantava di avere un’ottima infarinatura di Psicologia, e non mancava mai di farlo notare.

Anche quel giorno.

E così ora Cecily aveva due diavoli per capello, invece di uno.

E Darcy, seduto all’altro capo del lungo tavolo della Sala Insegnanti, pareva aver capito esattamente cosa la arrovellasse.

“… quindi, se mancano tutte le adesioni, dobbiamo rinunciare?” brontolò ad un certo punto Cecily, poggiando nervosamente la penna sul ripiano di vinile.

“Serve il settantacinque percento delle adesioni dei genitori” sottolineò Frederick Shneider, massaggiandosi un baffo sale e pepe con fare saputo.

“E noi ne abbiamo solo il sessantatre percento, vero?” ritorse allora la donna, sogghignando malignamente.

Sapeva fare i conti, anche se era un’insegnante di Letteratura Inglese. E il cervello di un licantropo era più veloce di quello umano.

Fred fece finta di non aver notato il suo tono e Stephenie, intervenendo per sedare gli animi, mormorò: “Potremmo parlare con i signori Stanford e Grantham. Sono loro i più convinti sostenitori del NO.”

“Come se dovessimo portarli in Antartide… hanno diciotto anni, non due mesi” ciangottò Cecily, attirando le occhiate divertite di Miranda, che ridacchiò.

“Alcuni dimostrano sì e no un anno, diverse volte” ironizzò la collega.

“Oh, non me lo ricordare! L’altro giorno ho dovuto richiamare Blake, prima che mettesse una cimice finta nel maglione di Sanders!” sbottò Cecily, levando le mani in aria. “Quel ragazzo mi farà invecchiare precocemente!”

“Tu sei stata fortunata che lo hai notato. Io mi sono ritrovato con una ragazza urlante e diversi quaderni che volavano per la classe, oltre a insulti più o meno velati sull’intelligenza di Blake” aggiunse Darcy, sorridendo ironico.

“Questa non l’avevo saputa” intervenne allora Frederick, curioso.

“In pratica, le ha incollato la seduta della sedia così, quando si è accomodata, è successo il danno. Lei si è alzata per chiedere di uscire un attimo e…”

Cecily e le altre colleghe sbuffarono infastidite, mentre i colleghi uomini annuivano comprensivi, ben sapendo quanto fosse becero un simile scherzo.

“Ho dovuto mandarlo dal Preside, che lo ha sospeso per una settimana. Saltava allegro come una cavalletta, quando è uscito” sospirò contrariato Darcy.

Cecily, invece, sorrise tra sé.

Blake Grantham avrebbe capito ben presto che simili comportamenti, neutro o meno che fosse, non erano da tenersi.

Specie nella stessa scuola del suo Fenrir.

“Con i signori Grantham parlerò io. Conosco Eliza, e so come gestirla.”

Con una scrollatina di spalle, Cecily poi aggiunse: “E non mi preoccuperei neppure di Blake. Penso sia arrivato il momento di accennare anche questo suo problema direttamente con i genitori. Prenderò due piccioni con una fava.”

“Mi fai quasi paura, quando parli così” ironizzò Miranda, dandole una pacca sul braccio.

Non sai neppure quanta potrei fartene venire, cara, pensò tra Cecily, sorridendole melliflua.

“Tornando all’argomento Glastonbury, direi di attendere notizie dalle famiglie più ostinate. Quel che potevamo fare lo abbiamo fatto, perciò direi che siamo a posto.”

Ciò detto, Frederick sciolse la riunione e, con il calare della sera, i professori uscirono da scuola per tornare a casa.

Cecily e Darcy furono gli ultimi ad uscire e, ripreso il cammino a piedi verso le rispettive abitazioni, rimasero in rilassato silenzio l’uno accanto all’altra.

Un venticello leggero spirava da nord, portando aria fredda e secca sui loro volti stanchi.

Il cielo era di un bel color viola e rosso cupo, inframmezzato da nuvole gonfie e simili a batuffoli di cotone, di un vivido color amaranto e oro.

Quella notte avrebbe fatto sicuramente freddo, e il ghiaccio avrebbe ammantato ogni cosa.

“Sei preoccupata?” esordì Darcy, distogliendola ai suoi mille e più pensieri.

“Un po’ confusa” ammise lei, sorridendogli a mezzo.

“Rimorsi a scoppio ritardato?”

“No. Non ho alcun rimorso. Mi piaci, perciò il bacio è stato più che gradito. E stamattina volevo il bis, così me lo sono preso.”

L’onestà era sempre stata la sua arma vincente, eppure era difficile essere onesta, quando a venir fuori erano i suoi sentimenti più profondi. Temeva sinceramente di non venire compresa.

“Anche tu mi piaci. Il tuo carattere così forte mi ha incuriosito subito e, conoscendoti meglio, ho scoperto che è quasi impossibile rimanerti indifferente” asserì lui, sorridendo nello scrollare le spalle, come se anche per lui fosse impossibile mentire.

“Ma ci conosciamo solo da pochi mesi” sottolineò a quel punto Cecily, accigliandosi.

“Non siamo promessi sposi, e non conosco altri modi per conoscere meglio una persona che mi interessa, se non frequentandola” le fece notare lui, facendole sorgere un piacevole rossore sulle gote.

“Vero.” Allora, dov’era il problema?

Ah, già! Forse il fatto che lei era un licantropo, e lui non lo sapeva?

“Non vederci più di quel che c’è, o meno di quel che pensi. Siamo interessati l’un l’altra, e ci stiamo conoscendo. Personalmente, ho trovato piacevole baciarti, e spero di replicare.”

“Replicherai” lo rassicurò lei, facendolo ridere di gusto.

Le piaceva avere il potere di farlo ridere così spontaneamente.

Era un genere di potere molto diverso da quello che era solita usare, e non aveva nulla a che fare con la sua forza fisica, o con il suo ruolo di capo.

Era solo una donna a cui piaceva un uomo, e quell’uomo pareva essere stregato da lei, per qualche motivo che ancora doveva capire bene.

La inebriava non dover sfoderare unghie e zanne, per ottenere un simile risultato.

“Bene. Ora che abbiamo chiarito questo punto, c’è altro che ti angustia?”

“Solo una cosa. Posso invitarti per la Vigilia di Natale senza apparire sfacciata?” gli domandò lei, notando immediatamente la sorpresa salire sul suo volto.

“Ma… non festeggi con la famiglia?” si incuriosì lui, sinceramente stupito.

“I miei sono in Giamaica. Ci abitano in pianta stabile, e non vengono mai in Inghilterra, in inverno” gli spiegò succintamente lei. “Mio padre ha dei grossi problemi ossei, così il caldo di quei luoghi lo fa star bene. Sono solita andare a trovarli durante le vacanze e loro, ogni tanto, vengono qui a luglio.”

“Quindi, vivi quasi sempre sola. Non hai nessun altro?”

Un intero branco eppure, a volte, mi sento sola e senza nessuno al mondo, avrebbe voluto dire lei, ma si trattenne.

“Ho i miei amici. E te, ora.”

Darcy le sorrise, e Cecily si sentì molto meglio.

Strano come un semplice sorriso potesse farla sentire così bene.

Ma era la persona a rendere speciale il gesto, non il gesto in se stesso.

“Neppure mia madre sarà a casa. Come ti dissi, durante le vacanze di Natale, e a Pasqua, sparisce magicamente, andando nei paesi più esotici che le vengono in mente. Perciò, non mi sembreresti affatto sfacciata, se mi invitassi.”

“Allora, consideralo già fatto. Hai delle preferenze, per il menù?”

Darcy rise e, in barba a tutto e a tutti, al pericolo di essere visti e smascherati, si chinò per baciarla.

Era davvero la persona a rendere speciale il gesto.

§§§
 
“… e così ci siamo baciati.”

Il grugnito di Brianna fu seguito da un’imprecazione e Cecily, suo malgrado, si sentì meglio.

Era stata una buona idea chiamarla per dirle tutto.

La wicca di Matlock era la persona che più si avvicinava al suo concetto di amica del cuore, anche se si conoscevano da meno tempo di altre persone che erano nella sua vita, e non potevano vedersi molto.

“Non è giusto! Avrei dovuto rimanere lì ancora per qualche ora, invece di partire all’alba! Mi sono persa il meglio!” sbottò la donna, mentre la risata del marito si confondeva in sottofondo.

“La prossima volta, ti farò una videochiamata.”

“Aaah, è meglio dal vivo!”

Cecily rise di gusto, e Brianna con lei.

Quando però quel momento di ilarità fu passato, la giovane wicca tornò seria e le disse: “Non ho percepito nulla di negativo, nel suo tocco, ma va detto che la sua mente è così pura e luminosa che, difficilmente, può definirsi normale. Inoltre, ho percepito qualcos’altro. Qualcosa di estraneo.”

“Devo preoccuparmi?”

Lo disse con leggerezza, ma dentro fremette. La sola idea che Darcy avesse qualcosa di sbagliato dentro di sé, la
terrorizzava.

“Per la verità, no. Non so dirti cosa ci sia che non va in lui, so solo che non è qualcosa di negativo. Inoltre, mi ha messo una gran serenità addosso, come se avessi ingerito dosi da cavallo di camomilla. E’… rilassante. Come se emanasse pace e tranquillità.”

“E’ possibile?”

“Vai a saperlo. Ho un dio, nella mia testa!”

Rise, e Cecily comprese bene cosa l’amica volesse dire.

Erano stati testimoni di così tanti fenomeni assurdi, in quei pochi anni, che una stranezza in più o in meno non faceva certo difetto.

Sapere che qualunque cosa distinguesse Darcy come unico, non fosse qualcosa di negativo o pericoloso, era di per sé un successo.

Se il tempo e la fortuna li avessero aiutati, avrebbero anche scoperto di cosa si trattava.

“Ti piace, Ceel?” le domandò a bruciapelo Brianna.

“Non mi sono mai sentita così.”

“Allora, auguri” disse in tutta sincerità l’amica. “Chiamami a qualsiasi ora, in qualsiasi giorno, non importa quando, se hai
dei dubbi o vuoi anche solo parlare.”

“Lo farò, pupetta. E grazie. Dai un bacione per me a Nathan e al tuo bello. Appena potrò, mi sdebiterò con tutti voi.”

“Non ci sono debiti, tra noi. Che la caccia sia proficua, Fenrir.”

“Anche la tua, Figlia della Luna.”

Ciò detto riattaccò e, dopo aver poggiato il cordless sulla base, uscì da casa e si avviò in auto verso il vicino boschetto, dove si trovava il loro Vigrond.

Non appena ebbe raggiunto la spianata inghiaiata – e ora coperta di neve –  dove erano soliti lasciare le auto, posteggiò e uscì dall’abitacolo riscaldato per prendere la via dei boschi.

Incurante della neve e del freddo, si denudò non appena fu lontana dalla strada e, dopo aver riposto gli abiti in uno zaino, lo sistemò all’asciutto su un ramo basso e infine mutò forma.

La nivea livrea si confuse con il manto ghiacciato della neve già caduta e, con forza ed eleganza assieme, trottò verso il centro del bosco, dove si trovava un piccolo laghetto.

Lì, nel mezzo dell’isola che sorgeva nella polla d’acqua, sorgeva la loro quercia sacra.

In quel momento disadorna della sua folta chioma, appariva comunque imponente e fiera e, quando giunse nelle sue vicinanze,
mormorò: “Bentrovata, quercia sacra.”

Figlia della Luna, Signora dei Lupi, bentrovata a te.

Cecily oltrepassò il laghetto ghiacciato ticchettando con le unghie sulla superficie liscia, finché non raggiunse la piccola isola imbiancata.

Lì si fermò e, accucciatasi a terra, si acciambellò infilando il muso sotto la folta coda bianca.

Qualcosa ti turba, Signora?

“Pensieri strani e confusi… anche molesti, a dir la verità.”

Se posso essere di conforto, sarò lieta di aiutare.

“Mi conforta il solo essere qui, grazie.”

Allora, veglierò sul tuo riposo, Figlia della Luna.

“Te ne sono grata.”

Il silenzio circonfuse la sua mente e Cecily, in breve tempo, si assopì.

Il cielo si tinse di nubi scure e, verso mezzanotte, una bianca coltre cominciò a cadere dalle nuvole purulente.

Lentamente, un bianco manto la ricoprì, ma lei non vi badò.

Quella fredda coperta non le diede noia.

Per quella notte, sarebbe rimasta lì fuori, licantropo e lupa, non donna.

Per quella notte, il suo lato ferino avrebbe avuto il sopravvento.

Per quella notte, i suoi pensieri da umana non l’avrebbero disturbata.




___________________________________
N.d.A: Con questo capitolo, vi saluto temporaneamente. A fine settimana, partirò per le ferie, e ricomincerò ad aggiornare i primi giorni di Agosto. Se riuscirò, posterò un altro capitolo venerdì. Tutto dipenderà come riuscirò a organizzarmi.
Per il momento, ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o commentato e auguro a tutti buone ferie, sia a chi le ha già fatte che a chi le farà.
Alla prossima!


 

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Capitolo 7
*** 2. ***


 
2.
 
 

 
“Sei sicura di voler passare la Vigilia di Natale, tutta da sola con lui?” brontolò Hugh, storcendo il naso e la bocca in egual maniera.

Le braccia nerborute del suo Hati erano intrecciate sull’imponente petto e Cecily, se fosse stata una persona diversa, si sarebbe anche sentita lieta di un simile interessamento.

Essendo quel che era, invece, si accigliò e mugugnò indispettita: “Devo forse ricordarti che sono Fenrir, che sono un licantropo, e che posso facilmente stenderlo a occhi chiusi e con un braccio legato?”

Hugh imprecò.

“Non è questo, capo, è solo che…”

“Sì?” lo incitò lei, di fronte al suo tentennamento.

A sorpresa, Hugh arrossì e, suo malgrado, borbottò: “Insomma… non ci siamo mai trovati in una situazione simile. Cioè, con te che vuoi stare con un uomo, e io che non posso difenderti.”

A quel punto, anche Cecily avvertì i cinguettii dovuti alla dolcezza insita nella preoccupazione di Hugh e, sorridendogli, batté una mano sul suo braccio.

“Anche Brie è sicura che la sua stranezza non sia pericolosa. Perciò, stai tranquillo. Non mi capiterà niente di brutto.”

“E se…”

Lei lo invitò a proseguire, e Hugh sospirò pesantemente prima di parlare.

“E se ti venisse voglia di andarci a letto, e saltasse fuori il tuo lato più… animale?”

Era evidente quanto, quell’argomento, non fosse nelle sue corde, e Cecily lo comprese appieno. D’altra parte, la sua guardia del corpo era lui, e a lui spettavano simili compiti… e simili domande.

Non certo a Sabine, per quanto con lei sarebbe stato tutto più semplice.

Inconvenienti dell’appartenere a due metà diverse del cielo.

“Non ho intenzione di andarci a letto. E so contenermi, credimi.”

Hugh la fissò scettico, e la sua Fenrir non poté dargli torto.

Non era esattamente famosa per la sua pazienza.

Levando perciò le mani in segno di resa, lei esalò: “E va bene! Se me la vedrò brutta, ti lancerò l’allarme antincendio in testa, okay?”

“Sarà bene” grugnì lui, andandosene verso il bancone della reception della palestra, dove lui lavorava.

Cecily lo fissò andar via con aria divertita e comprensiva al tempo stesso.

L’aura di Hati sfrigolava come patatine nell’olio, ed era solo colpa sua.

Comincio ad avere un po’ troppe persone con cui sdebitarmi, e tutto per colpa di William,  pensò tra sé la donna, uscendo dalla palestra per tornarsene a casa.

Aveva una cena da mettere in pista, e un piano di fuga da stabilire con precisione.

Se si fosse trovata a cedere ai suoi più bassi istinti, per andare a letto con Darcy, avrebbe dovuto trovare un modo per fuggire a gambe levate.

Chi poteva sapere cosa sarebbe potuto accadere, se si fosse trovata a tu per tu con un’eventualità del genere?

Aveva fatto sesso più volte, ma solo con licantropi… e quel che era successo non si poteva certo raccontare durante il tè delle cinque, poco ma sicuro.

Il solo pensiero la portò a sorridere e, nel rammentare un incontro piuttosto acceso, ridacchiò tra sé nel salire in auto per tornarsene a casa.

Aveva avuto solo ventun anni e tanti, tanti ormoni in circolo.

Il suo desiderio di accoppiarsi era stato così forte, quella volta, che non aveva guardato in faccia a nessuno e, complice anche la bella stagione, si era addentrata a Hyde Park con il suo compagno di università.

Brett aveva riso con lei della sua smania, e l’aveva eccitata e accontentata più e più volte finché, stremati entrambi ed entrambi consapevoli di essere in forma di lupo nel bel mezzo del parco, erano mutati in fretta.

Ne avevano riso fino a farsi venire il mal di pancia e, nel rientrare nei rispettivi appartamenti, si erano dati appuntamento per il giorno seguente.

Altre notti erano seguite a quella, ma alla fine entrambi si erano allontanati. In amicizia, ma non erano più riusciti a ricreare l’alchimia di quella notte, passata sotto la luce dell chiaro di luna nel parco.

Se non ricordava male, Brett si era poi trasferito in Cina per lavorare per una multinazionale, ed ora era sposato con una licantropa orientale, appartenente a uno dei rarissimi clan del luogo.

Nel parcheggiare nel suo garage, Cecily si chiese cosa avrebbe potuto succedere, se avesse deciso di nominarlo suo Primo Lupo.

Avrebbe accettato? Ci sarebbe stata un’Ordalia? Avrebbero vissuto bene, assieme?

Erano tutte domande a cui non sapeva darsi una risposta, ma una cosa era certa.

Quel che aveva sentito per Brett, all’epoca, non era neppure lontanamente simile a quel che sentiva per William, ora.

Il punto era un altro.

Con Brett era stata licantropa dall’inizio alla fine, con Darcy non la era mai stata, lui non ne era al corrente, e neppure lei desiderava imporsi su di lui.

Voleva sentirsi solo donna, con quell’uomo.

Essere stretta al suo petto, coccolata come se fosse indifesa, protetta come se dovesse essere preda di mille e più nemici.

Perché?

 
§§§
 
 
Un caldo profumo di pesce alla griglia si confuse con quello delle salse e le verdure di stagione, del legno sfrigolante nel camino e dell'aroma intenso di uomo che aleggiava nella casa.

William era arrivato intorno alle sei, portando con sé due bottiglie di buon vino bianco italiano, un regalo impacchettato in carta dorata, e un bacio.

Quest'ultimo aveva quasi fatto perdere il controllo a Cecily, che si era stretta a lui con forza, trascinandolo in casa per non restare ad amoreggiare sulla porta d'ingresso.

Tutta quella situazione era a dir poco pazzesca, eppure non desiderava cambiare neppure una virgola.

Si sentiva tremendamente bene e, soprattutto, per la prima volta da molti anni, si sentiva solo ed esclusivamente donna.

Un'autentica novità, per lei.

Nel servire degli stuzzichini di salmone e tonno su un vassoio in acciaio, Cecily sorrise al suo ospite, accomodato di fronte a lei al tavolo della cucina – dove lui l'aveva obbligata ad apparecchiare.

Non c'era stato verso di fargli cambiare idea.

Aveva ritenuto subito un inutile spreco di forze l'addobbare il salone solo per loro due, e l'aveva convinta – a suon di baci – a seguirlo in cucina, dove avevano sistemato tutto sul piccolo tavolo rettangolare.

Ora, accomodati l'uno dinanzi all'altra, con la cucina ingombra a far da corollario e il viso arrossato di Cecily come protagonista principale, William sorrise.

“Ribadisco per la millesima volta. Di là saremmo stati più larghi, più comodi, e tu non avresti dovuto vedere tutto questo caos” sottolineò la padrona di casa, offrendogli una tartina da assaggiare.

“E io ti ripeto che va bene così, che preferisco questo ambiente più intimo e che è molto più pratico avere tutto a portata di mano” replicò lui, accettando la tartina.

Messa in bocca, la assaggiò con aria divertita e si aprì subito dopo in un sorriso, esalando: “Wow! Questo salmone è ottimo!”

“E' marinato in una salsa che ha inventato mia madre e che, forse solo sotto tortura, potrei confidarti.”

Sbattendo le ciglia con fare malizioso, gli lasciò intendere a che genere di torture stesse pensando e William, scoppiando a ridere, esalò: “Oh, no, ti prego! Se penso a cose simili, non riuscirò a mangiare nulla!”

“Oh, scordatelo, bello! C'è un sacco di roba da mangiare!” sbottò allora lei, tornando al suo consueto modo di fare.

E pendendosene un attimo dopo. Che razza di modo era quello, di parlare?

Ma William non ci fece caso e, anzi, le sorrise deliziato, mormorando: “Adoro quando ti comporti così, quando non ti sforzi di apparire più sexy di quanto già tu non sia.”

“Come?”

Cecily sbatté le palpebre, sinceramente confusa, fissando il suo ospite come se avesse appena parlato in lingua farfallina.

Prendendo per sé altre due tartine, che sbocconcellò con piacere, Darcy tornò a dire: “Davvero, Cecily. Mi piaci perché sei spigliata, dici quel che pensi così come ti viene in mente, non ti preoccupi della forma, o del modo in cui lo dici. Sei sincera, di una sincerità a volte spiazzante, e questo mi piace molto in te. Non c'è bisogno che tu faccia la sofisticata con me, o che modifichi il tuo modo di essere per piacermi di più.”

“Oh... beh, non pensavo che ti piacessero gli scaricatori di porto” ironizzò allora la donna, portandolo a ridacchiare.

“Non ti ci vedo a maneggiare casse con i carroponti, o girare per il molo con un montacarichi, comunque... posso fare anche questo sforzo.”

Si accigliò di proposito in viso, puntò due dita nel mezzo della fronte, apparentemente preda di un forte mal di testa e, alla fine, scosse il capo bruno come se quel tanto pensare gli fosse costato tempo e fatica.

Cecily ridacchiò di fronte alla sua mimica, e disse: “Ebbene?”

“No, riesco solo a vederti con quel diavolo di completino sexy, che hai messo per venire a scuola.”

Ora lo sconcerto della donna si fece palese.

“Quale, scusa?”

“Il tailleur rosso fuoco che avevi a ottobre. Quello con i ricami dorati sui polsini, e con la camicia di raso color amaranto e nera.”

Accigliandosi un poco, Cecily cercò di rammentare quell'abito in particolare e, scoppiando a ridere di gusto, comprese quale fosse, e perché William l'avesse trovato sexy.

A onor del vero, la gonna era un tubino molto attillato, e la camicia le cadeva addosso alla perfezione, per non parlare della giacca, corta e svasata.

“Sì, in effetti è bello” ammise lei.

“Posso dirti, senza tema di essere smentito, che metà dei professori sbavava dietro al tuo lato B, e l'altra metà asciugava la bava.”

Sentendosi citata, Cecily scoppiò a ridere e, nel servire del vino a William, celiò: “L'importante è che sia piaciuto a te.”

“Credimi. Mi è piaciuto. Molto.”

“E quello che indosso stasera, allora? Non regge il confronto?” si lagnò bonariamente lei, indicandosi con fare ironico.

William allora si alzò in piedi, oltrepassò il tavolo e, allungatale una mano, la sollevò in piedi per meglio ammirarla.

L'abito in mussola nera le stava d'incanto, disegnando come una seconda pelle il suo corpo perfetto, le sue curve mozzafiato racchiuse in quel metro e sessantatré di pura malizia.

Si era tolta le scarpe vertiginose e a spillo con cui l'aveva accolto – preferiva muoversi per la cucina con delle più pratiche pantofole – ma questo non toglieva magia alle sue forme.

Avvolta la donna in vita con un braccio, la schiacciò contro di sé e, calando sulla sua bocca, sussurrò: “Sei da divorare un pezzo alla volta, per tutta la notte. Era questo che volevi sentirti dire?”

“Qualcosa del genere” ammise lei, non sapendo esattamente come sentirsi.

Il periodo del bisogno era passato e tornato un sacco di volte, e lei non era in calore in quel momento, eppure desiderava strappargli di dosso gli abiti e portarlo immediatamente in camera.

Un bel guaio quando erano gli estrogeni della donna, e non della lupa, a farla da padroni.

Quelli della donna erano molto più subdoli.

Il campanello del forno li salvò da una conclusione affrettata della serata e Cecily, scoppiando in una risatina nervosa, si scostò da lui per raggiungere le lasagne.

William tornò a sedersi, dandosi mentalmente dell'idiota per averla ghermita a quel modo, neanche fosse stato un buzzurro senza educazione.

Doveva essersi di sicuro spaventata, almeno a giudicare dal suo nervosismo.

Avrebbe dovuto scusarsi e...

Quando l'uomo tornò a incrociare lo sguardo con lei, che tornò a tavola con una lasagna di pesce dall'aspetto molto appetitoso, si rimangiò tutto quello che aveva pensato.

Quelli non erano occhi di una donna spaventata.

Ero quelli di una donna affamata. E non di cibo.

 
§§§

Seduti sul divano a osservare il placido danzare delle fiamme nel camino, le luci soffuse e una musica non meglio identificata di Bach a far da sottofondo, William mormorò roco: “La miglior Vigilia fin qui mai passata. Grazie.”

“Grazie a te. Posso dire lo stesso, senza paura alcuna che qualcuno possa replicare.”

Mancavano circa dieci minuti a mezzanotte, momento in cui avrebbero aperto i regali, posti sotto un piccolo albero verde e oro, che Cecily aveva sistemato vicino alla libreria.

Quelli dei genitori erano enormi, e lei aveva dovuto sistemarli da una parte, altrimenti avrebbero corso il rischio di far cadere l'albero.

Sotto i rami del piccolo abete si trovavano una miriade di piccoli pacchetti, per la maggior parte donatile dai figli delle coppie del suo clan.

Quando William ne aveva visti così tanti, aveva ironizzato sulla sua fama sconfinata.

Sperava di tutto cuore che non vi fossero allusioni al suo essere Fenrir, in quei pacchetti, altrimenti sarebbe stata dura spiegare quel particolare della sua vita.

“Posso avere qualche anticipazione sul mio regalo?” le domandò William, continuando a scrutare sotto l'albero, dove si trovava anche il suo dono.

“Mancano dieci minuti. Non essere pignolo” brontolò bonariamente lei, alzandosi per andare a recuperare una nuova bottiglia di vino per brindare.

Lui la trattenne, riportandola a sedere sul divano e, sorridendole, le diede un caldo bacio sulle labbra per poi sussurrare: “Vado io. Tu resta qui. Hai lavorato come una matta, per farmi questa cena stupenda. Meriti di riposare un po'.”

In realtà, non si sentiva veramente affaticata, ma se gli piaceva pensarlo...

“D'accordo. Aspetto qui” assentì lei, lasciandolo andare verso la cucina.

Improvviso come un'esplosione, le giunse in testa un messaggio netto e conciso, quanto lapidario.

“Tutto bene, lì?”

“Cristo, Hugh! Se hai voglia di farmi venire un infarto, dillo subito, così mi metto le mani avanti con il testamento!”, sbottò lei, accigliandosi per quell'intrusione non desiderata.

“Scusa, Fenrir, ma ero in ansia.”

“Non l'avevo capito, guarda!”

“Quindi, non devo venire lì a sirene spiegate, vero?”

“Hugh, esci dalla mia testa e non ti sognare di curiosare per almeno altre dieci ore, è chiaro?!”

“Dieci... ore?”

Esasperata, Cecily bofonchiò: “Voglio dormire senza nessuno che bussi nel mio cervello per svegliarmi, e sapere se ho divorato il mio uomo.”

“E' il tuo uomo, allora? Dobbiamo vederlo così?”

Dio! Si era completamente scordata che, nel mondo dei licantropi, quella semplice frase aveva implicazioni dannatamente grosse!

Stare con William le faceva dimenticare, spesso e volentieri, di avere una seconda vita piuttosto complessa.

“Mettiamola così, Hugh. Sto uscendo con lui, e la cosa mi piace. Ma, se vengo a sapere che uno solo dei nostri lupi gli da fastidio con qualche stupida pretesa da licantropo, friggerò le palle di qualcuno, va bene? E' sotto la mia protezione e, finché non stabilirò che è in grado di reggere il colpo, non gli dirò nulla. Né, tanto meno, lo proporrò come mio Primo Lupo. Sto semplicemente uscendo con un uomo. Okay?”

“Va bene. Palle fritte a colazione per il primo che interferisce. Chiaro.”

“Ti amo alla follia, quando capisci al volo”, ironizzò Cecily, abbandonando il suo collegamento con Hugh.

Lui la salutò con una risata, svanendo dalla sua testa.

Cecily, nel veder tornare William con una bottiglia di spumante, si domandò per l'ennesima volta se, un uomo così intelligente, ma dai piedi ben piantati a terra, potesse sopportare il peso della sua verità.

Darcy era uno studioso, una persona educata e concreta, e lei di certo apparteneva a un mondo che poteva apparire tutto tranne che educato e concreto.

A conti fatti lo era, o sarebbero morte migliaia di persone, se loro non fossero stati dei lupi molto ben educati.

Ma scoprire la presenza di creature mistiche come i licantropi, non era esattamente la cosa più facile al mondo da digerire. O accettare.

“Ecco qui, Cecily. A un Buon Natale.”

Le campane suonarono la mezzanotte in quel momento e, nel brindare assieme a quell'uomo che, solo l'anno passato, non avrebbe mai pensato di incontrare, lei sorrise.

Il suo mondo, apparentemente piano e sempre uguale, era stato sconquassato dall'arrivo di questo professore di Storia dall'apparenza così innocua, ma che tratteneva dentro di sé un segreto ancora sconosciuto.

Il fatto stesso che, né gli Stregoni più potenti d'Inghilterra, né tanto meno la wicca più importante del loro mondo, avessero compreso questo segreto, faceva di lui una persona più che speciale.

Ma non era questo ad attrarla tanto: era il suo essere così gentile e premuroso, così educato e calmo, così dolce e generoso.

Lei, che aveva sempre vissuto in un mondo dove la forza fisica era tenuta in grande considerazione, ora era ammaliata da un altro genere di forza, molto più mentale e intellettuale.

Non che William non fosse forte come uomo, le sue braccia la stringevano in modo davvero molto piacevole, ma era indubbio quanto lei gli fosse superiore, in questo.

Era un semplice dato di fatto, non un volerlo sminuire.

Eppure, nonostante la sua superiorità fisica, lei si sentiva protetta da lui e dalle sue attenzioni, e quel suo modo di fare così premuroso la faceva sentire delicata come una rosa.

Cosa che non era affatto.

Era davvero ben strana la psiche umana, specialmente la sua.

Intrecciate le braccia per brindare, sorseggiarono il fresco spumante prima di sorridere vicendevolmente nello scambiarsi un dolce bacio al sapore di bollicine.

Scostati entrambi i bicchieri per poggiarli sul vicino tavolino, William strinse con più impegno Cecily e, approfondendo il bacio, tornò a desiderare di poterla avere tutta per sé, in ogni modo possibile.

Fin da quando l'aveva vista per la prima volta, il desiderio insopprimibile di conoscerla, di avvicinarla, era stato più forte delle buone maniere, della sua primigenia timidezza.

L'aveva vista all'ombra di quella pianta, assorta nei suoi pensieri, con i fulvi capelli mossi dal vento, e aveva desiderato avvicinarla, scoprire chi fosse.

Il tempo trascorso assieme a lei aveva solo acuito quella sensazione, finché non era arrivato quel bacio improvviso, scatenato dal suo desiderio non più sotto controllo.

Perché Cecily gli faceva quell'effetto?

Perché le sue buone maniere andavano a farsi benedire, quand'era con lei, scatenando la parte più primitiva di sé?

Le mani scivolarono lungo la schiena, sfiorando i fianchi morbidi mentre la bocca continuava a divorare quella di lei, in una danza sempre più frenetica.

Danza che Cecily interruppe a forza, ansando quasi senza fiato, per esalare sconvolta: “Okay... blocchiamoci un attimo, o i regali li apriremo domattina mooolto tardi.”

William rise nervosamente, annuendo al suo indirizzo.

Le sue iridi blu ghiaccio parevano più chiare, quasi verdi, ma lui diede la colpa all'illuminazione scarsa e, soprattutto, alla sua momentanea perdita di controllo.

Quand'è che avrebbe smesso di saltarle addosso a quel modo?

Mai?, ironizzò una vocetta dentro di lui.

Cecily fu lesta a sollevare i loro regali e, rimessasi seduta sul divano per impedirsi di cadere a terra come una pera cotta – tanto le tremavano le gambe – sorrise eccitata e disse: “Buon Natale!”



______________________________
N.d.A.: E dopo questo capitolo, vi saluto per due settimane. Il prossimo aggiornamento ci sarà intorno al 3/4 agosto.
Ringrazio tutti/e coloro che mi stanno seguento, e prometto che tornerò a postare puntualmente come sempre, di ritorno dalle ferie.
Un abbraccio corale e ancora grazie! ^_^

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Capitolo 8
*** 3. ***


3.
 
 
 
 
 
Lui la seguì, sedendosi al suo fianco e, dopo aver preso il regalo di lei, lo aprì con calma misurata, cercando di frenare il tremore alle mani.

Un sorriso spontaneo, quanto sinceramente commosso, si aprì sul suo viso, non appena William scorse ciò che conteneva il pacco.

Una prima edizione rilegata in pelle di Sogno di una notte di mezza estate, di William Shakespeare.

Lui non aveva idea di come ne fosse giunta in possesso, o di quanto avesse speso per ottenerlo, ma era un regalo davvero bellissimo, e glielo disse.

Deponendole un casto bacio sulla fronte, che la fece arrossire come una quindicenne, mormorò: “E' un regalo stupendo, ma non dovevi disturbarti tanto. Chissà quanto hai speso!”

“Per la verità, fa parte della mia collezione privata, perciò … ma ho pensato che fosse adatto a te. Ti ci vedo, con quel libro in mano, davanti alla luce altalenante del fuoco, mentre lo leggi assorto.”

Darcy storse appena il naso e mugugnò: “Non è molto mascolina, come visione.”

Vagamente confusa, lei replicò: “E perché dovrebbe esserlo? A mio modo di vedere, è un'immagine molto sexy.”

“E perché, scusa?”

“Beh,...” sogghignò lei, aprendogli il libro sulle cosce per poi allontanarsi.

In fretta, indossò nuovamente le sue scarpe col tacco chilometrico e, muovendosi sinuosa come una sirena, si avvicinò a lui, sussurrando: “Perché io mi avvicinerei così, guardandoti lasciva mentre penso a quanto sei desiderabile, mio bell'intellettuale dallo sguardo accigliato.”

Chiudendo il libro di botto, lui si alzò in piedi per bloccarla alla vita con le mani e, torvo, le ritorse contro: “Non preferiresti il tuo amico Hugh, magari con una maglia bagnata addosso e tutti i muscoli ben in evidenza?”

“Quelli che mi stanno trattenendo con tanto nervosismo sono muscoli, che io sappia, e questi abiti ti stanno bene perché sotto di essi c'è ottimo materiale. Non capisco da dove nasca tanta ansia da prestazione. Se avessi voluto un body builder come uomo, mi sarei portata a letto Hugh, ma non l'ho mai fatto, né mai lo farò. E' un buon amico, a volte assomiglia troppo a un fratello maggiore, ma la cosa finisce lì.”

Lo disse con così tanta convinzione, e un pizzico di ironia, che William non poté che sorridere esasperato.

“Quindi, preferisci...”

“Te.”

Il tono fu lapidario, senza possibilità di appello, e Darcy si ritrovò a stringerla in un abbraccio possessivo, liberatorio.

“Come mai tanta paura, William?” gli domandò a quel punto lei.

“Perché... tu sei così frizzante, spigliata, piena di vita... e io invece sono così calmo, posato... noioso...” si lagnò lui, ben sapendo di apparire infantile, ma non potendo impedirselo.

“Non sei noioso. Per niente. Hai sempre una risposta pronta su tutto, conosci un sacco di cose e la tua calma, come la definisci tu con tanto disprezzo, su di me ha un effetto afrodisiaco. Sono già abbastanza agitata per tutti e due, senza per forza dover trovare un uomo che rinfocoli le mie attitudini a far danni.”

Rise, nel dirlo, e lui le baciò nuovamente la fronte.

“Perché arrossisci quando lo faccio? Se ti bacio sulla bocca, non ti imbarazzi.”

“Perché è un gesto tenero, e io sono una che si imbarazza molto, coi gesti teneri.”

Arrossì ancor di più, ammettendolo, e William, volendo testare quella nuova scoperta, la prese in braccio per ricondurla al divano.

Cecily letteralmente avvampò e nascose il viso contro il suo torace, mormorando roca: “Ecco, ora sembro la principessa da salvare dal grande drago.”

“Non ho la spada, qui con me. Posso stenderlo a colpi di kung fu?” ironizzò lui, sedendosi con lei in grembo.

Sorpresa, lei lo fissò a occhi sgranati. “Conosci il kung fu?”

“Le discipline orientali in generale. Il kung fu è quello che più mi piace” le spiegò allora Darcy, vedendola sorridere eccitata.

“Cavoli! Non me l'aspettavo! Quindi, sotto quegli occhiali da intellettuale, si nasconde un novello Bruce Lee!”

“Non ti mostrerò delle mosse solo per farti contenta, sappilo.”

La mise in guardia con un'occhiata che avrebbe dovuto essere perentoria, ma lei non vi fece alcun caso e, con una scrollatina di spalle, afferrò il suo regalo per aprirlo.

Quando si ritrovò in mano un set di protezione corredato di casco, gomitiere, ginocchiere e polsiere per i rollerblade, scoppiò a ridere deliziata.

“Avevo notato che li avevi, quando ti ho aiutato a sistemare alcune cose nello sgabuzzino, per Halloween, ma ho anche visto che non ti eri presa la briga di acquistare il resto dell'attrezzatura, così li ho presi io per te.”

Cecily non li aveva presi per ovvi motivi – avrebbe dovuto scontrarsi contro un camion a tavoletta, per farsi male – ma lo abbracciò con calore, sussurrandogli: “E' un regalo molto premuroso e bello. E io adoro il rosso. Dove diavolo li hai trovati, di questo colore? E con questi disegni sui bordi, poi!”

“Su internet. Ci ho passato tre giorni di fila, prima di trovare qualcosa di adatto a te.”

“E cos'è, adatto a me?” gli domandò curiosa.

“Tutto ciò che è bello.”

“Lo sai che la bellezza è soggettiva, vero?” ironizzò allora Cecily.

“Sfido chiunque a non trovarti bella.”

Poi, come se fosse importante sottolinearlo, aggiunse: “Per non parlare della tua intelligenza. Non vorrei tu pensassi che io sono qui solo per il tuo bel faccino.”

“O il mio lato B” ridacchiò lei, facendolo annuire con veemenza.

“Quello, poi, non c'entra niente.”

Cecily rise, rise di puro gusto e, nell'afferrare un altro regalo, esalò: “Ah, William! Potrei davvero decidere di tenerti con me per un bel po', sai?”

“Lo spero” mormorò lui.

Lei gli sorrise, sincera e appassionata ma, quando scoprì il regalo fattogli da uno dei bambini del clan, quasi scoppiò in lacrime.

Era una goccia di cristallo.

Era stata forgiata a mano, lo si notava dalle piccole imperfezioni che i suoi occhi di lupo potevano intravedere nelle striature del vetro e, al suo interno,  era racchiusa una singola goccia di sangue.

Certo, un occhio umano non se ne sarebbe mai reso conto, l'avrebbe presa come una sfumatura del vetro, ma lei sapeva.

Quella goccia rappresentava un giuramento di lealtà e, quando scartò gli altri pacchetti, ne ebbe la conferma.

Ogni bambino non ancora mutato le aveva giurato fedeltà a priori, sulla fiducia.

Mordendosi il labbro inferiore quando anche l'ultima goccia fu estratta dalla relativa scatola, lei le osservò con il cuore in subbuglio e, incontrollato, un singhiozzò le sfuggì dalle labbra.

A quello ne seguirono altri e William, avvolte le sue spalle con un braccio, la attirò accanto a sé per cullarla con gentilezza.

“Sono regali bellissimi. Con la struttura adatta, potresti farci una lampada, o un lampadario.”

“Ce l'ho... loro lo sapevano...” riuscì a dire lei, comprendendo finalmente il regalo disadorno che Sabine le aveva fatto solo pochi mesi prima, pregandola di tenerlo spoglio almeno per un po' di tempo.

Perché potessero giungerle quelle gocce di cristallo, ora lo sapeva!

“E’ indubbio quanto questi bambini ti vogliano bene. Sono tutti figli di tuoi amici?”

Lei annuì, restando in silenzio nel suo abbraccio consolatorio, impossibilitata a parlare di fronte a una simile dimostrazione di fede.

Le si affidavano perché avevano fiducia in lei, anche se non aveva ancora dimostrato loro nulla di nulla.

Si era sempre e solo limitata a proteggerli, ma di sicuro non era mai stata così gentile o buona come, probabilmente, era solita fare Estelle nel suo branco, o la stessa Brie.

Lei era una donna tutto sommato ruvida, non abituata alle smancerie, eppure quel dono era giunto a lei!

Evidentemente, qualcosa di buono lo aveva fatto.

Darcy le baciò i capelli, le carezzò un braccio con la mano e, infine, sussurrò: “Vuoi qualcosa di forte per riprenderti?”

“Voglio te.”

“Come?” esalò lui, scostandosi un po’ per scrutarla in viso.

Le lacrime c’erano ancora, pur se erano rimaste imbrigliate tra le lunghe ciglia chiare.

Si sarebbe fermato se avesse visto timore, o il semplice desiderio di sfuggire a quel momento di commozione.
Invece scorse passione a stento trattenuta, scorse forza, … e voglia di lui.

Senza dire nulla, William tornò a sollevarla tra le braccia e, camminando sui tappeti stesi ogni dove, raggiunse infine la camera da letto della donna.

Lì, tutto era caldo e piacevole, dal copriletto coloratissimo, ai cuscini sparsi un po’ ovunque.

Le pareti color amaranto e oro ben si abbinavano con il mobilio in legno chiaro e Darcy, nel depositare sul letto la donna, la liberò delle scarpe prima di risalire lento lungo le gambe.

Cecily lo osservò silenziosa, il viso percorso da un sorriso e gli occhi che, foschi, non lo lasciavano andare.

Ancora, all’uomo parve che le sue iridi fosse divenute verdi, ma non vi badò.

Quando raggiunse le cosce, dopo aver risalito sotto l’orlo dell’abito, sorrise nel rendersi conto della presenza delle autoreggenti.

Sfiorò il pizzo delicato e lo trascinò verso il basso, liberando la prima gamba dal collant, che risultò essere liscia e morbida al tocco.

Dopo essersi liberato anche dell’altra, la invitò a stendersi e, con un ultimo sguardo alla donna, si liberò di scarpe e giacca.

Cecily sorrise, allungandogli una mano perché lo raggiunse sul letto, e William non si fece pregare.

La sua bocca iniziò a esplorare il viso di lei in lenti baci dolenti, mentre le mani sollevavano la mussola dell’abito, lasciando nuda la sua pelle rovente e liscia.

Muscoli tonici e ventre piatto scivolarono sotto le dita di William e Cecily, muovendosi sotto di lui al tocco generoso del suo tocco, mugolò più e più volte il suo nome.

La lupa che era in lei strepitava per uscire, per accoppiarsi con un lupo che, in quella stanza, non era affatto presente, e questo mise una paura del diavolo alla donna.

Doveva ricordarsi ogni istante che Darcy non era un licantropo.

Ma come fare, con quell’avida bocca che l’esplorava, o quelle mani che compivano magie sulla sua pelle?

Con gesti febbrili, liberò l’uomo della camicia, rivelando braccia robuste e un torace che non aveva nulla da invidiare a certi modelli fin troppo sfruttati nell’industria della moda.

William avrebbe potuto prendere il loro posto in ogni momento.

Leccò quella pelle magnificamente plasmata, e Darcy ringhiò, cercando di trattenersi dallo strapparle di dosso gli indumenti intimi in un colpo solo.

Lei rise, lasciva, piena di desiderio e vogliosa di morderlo e, con mosse rapide, lo liberò anche dei pantaloni, affondando poi le unghie nella sua carne ora esposta.

Lui ridacchiò contro la sua gola, mormorando roco: “Non voglio finire ora, Cecily… dammi tregua un secondo…”

“No” replicò lei, attirandolo verso di sé per sentire la sua virilità pulsante, già pronta per unirsi al suo corpo febbricitante.

La volontà di William andò a zero e, così come la donna aveva desiderato, affondò in lei con una spinta dominante che la fece fremere tutta.

Sospirarono entrambi, bloccandosi per un istante a contemplare quella magnificenza.

Ben presto, però, le esigenze della carne ebbero la meglio e i loro movimenti, da lenti che erano, si fecero sempre più frenetici e veloci.

Cecily avvolse la vita di lui con le gambe, perché il contatto fosse più profondo, più coinvolgente, e William non si risparmiò per darle piacere.

Quando infine raggiunsero l’acme, lei dovette trattenersi dal morderlo ferocemente su una spalla, così come avrebbe fatto con un lupo e, urlando il suo nome, crollò distrutta sulle coltri del letto.

Darcy la seguì a breve, stremato e senza fiato e, nello scostarsi dal suo corpo morbido e sensuale, gracchiò: “E io che volevo fare le cose con calma.”

“Nel nostro caso, la fretta non è cattiva consigliera. E ora posso andare con calma per tutta la notte.”

Lui volse il capo a scrutarla nella penombra della stanza, come a valutarne le parole ma, quando scorse solo sincerità nel suo sguardo ceruleo, sorrise a mezzo e mormorò: “Vuoi vedermi morto?”

“No. Molto, molto vivo.”

Ciò detto, salì a cavalcioni su di lui, sorrise maliziosa e aggiunse: “Da dove vuoi che cominci?”

“Fai quello che vuoi, di me.”

E lei lo fece. Per tutta la notte.

 
§§§

Il cinguettio degli uccellini ridestò Darcy dal sonno pacioso e ristoratore in cui era caduto nel corso della notte – o era stata l’alba? – e, passandosi una mano sugli occhi, sbadigliò.

Istintivamente, allungò una mano per carezzare la pelle liscia di Cecily, che durante la notte aveva esplorato in ogni sua parte, ma non trovò nessuno.

Subito, si levò a sedere per capire dove fosse, ma in camera non ve n’era traccia.

Dubbioso, fece per levarsi da letto, ma una voce dalla cucina gli intimò di non muoversi.

Aveva i radar, forse?

Più probabilmente, l’aveva sentito sbadigliare.

Fatto come ordinatogli, comunque, si sistemò i cuscini dietro la schiena e attese paziente che lei tornasse.

Ripensare alla notte appena trascorsa era inebriante, ma era meglio non lasciarsi troppo andare ai ricordi.

Il rischio di rapirla, per poter godere per sempre di lei, era ancora troppo alto; meglio darsi una calmata.

Quando però la vide entrare in camera, con un babydoll nero addosso e un vassoio con la colazione tra le mani, fremette.

Voleva quella donna, con tutto se stesso.

Lei parve capirlo, perché poggiò il vassoio sul vicino comodino e, piegatasi in avanti, gli scoccò un bacio sulle labbra, sussurrando: “Buongiorno, e Buon Natale, William.”

“Buon Natale anche a te, Ceel.”

Quel nomignolo era spuntato nel corso della notte, e Darcy si chiese come avrebbe fatto, a scuola, a non lasciarselo sfuggire.

O semplicemente, a tenere le mani lontane da quel corpo voluttuoso e tonico.

Cecily pareva un’atleta pronta per le Olimpiadi, eppure le sue curve morbide e femminili non erano per nulla messe in ombra dalla sua tonicità muscolare.

Si sposavano alla perfezione.

E lui ne aveva goduto a piene mani, e per più ore di quante non si sarebbe mai aspettato di poter fare.

Allungando una mano per afferrare un croissant fresco, che spezzò a metà per darne una parte a Darcy, Cecily si accomodò sul bordo del letto e gli domandò: “Hai programmi, per oggi?”

“A parte cercare di mettermi in contatto con mia madre per farle gli auguri, no.”

Lei sorrise del suo tono – a quanto pareva, alcune volte non vi era riuscito – e disse: “Dovrei fare una scappata in un posto ma tu, nel frattempo, potresti rimanere qui, nudo, nel mio letto e aspettarmi.”

“Visita segreta?”

“Qualcosa del genere. Ma non temere, non visiterò un uomo, ma una vecchia amica che non può muoversi da casa.”

In effetti, non gli stava dicendo una bugia. La quercia sacra era una sua vecchia amica, e non poteva smuoversi da dove si trovava.

“Ti aspetterò qui, ma mi renderò utile.”

Subito interessata, lo incitò a parlare e lui la accontentò.

“Preparerò il pranzo, va bene?”

“E’ quasi tutto pronto, ma…”

“Allora, sistemerò tutto io così, quando tornerai a casa, non dovrai far altro che sederti e mangiare.”

Lei gli sorrise nel dargli un bacio sulla bocca e, annuendo, si levò in piedi per vestirsi.

Non impiegò più di cinque minuti e, nel frattempo, scrutò con interesse il corpo lungo e muscoloso di Darcy muoversi per la stanza alla ricerca dei suoi abiti.

Non era un licantropo, ma quella notte l’aveva placata e dissetata in tutti i modi possibili.

Qualunque fosse la sua stranezza, a lei piaceva, perché mai si era sentita così appagata, così gonfia di gioia e di serenità.

Con un ultimo sorriso lo salutò e, dopo aver preso l’auto, si diresse verso il Vigrond per salutare il suo clan, i suoi mánagarmr.

 
§§§

La troppa neve avrebbe permesso a degli umani curiosi di notare le enormi orme di lupo, lasciate dal passaggi di tanti licantropi, così ogni alfa del branco si presentò al Vigrond in forma umana.

Lì, Cecily accolse tutti con un abbraccio e un bacio.

A nessuno sfuggì l’aroma di sesso e di uomo che la donna aveva sulla pelle, ma ad alcuno venne in mente di lasciarsi scappare una parola o un commento.

Solo Hugh la fissò accigliato, e lei rispose a quello sguardo con una linguaccia.

Quando furono tutti riuniti all’ombra scarna della quercia, sulla piccola isola nel mezzo del boschetto di latifoglie, Cecily infine disse: “Visto che Hugh mi sta guardando come una condannata a morte, e voi tutti siete stati così carini da non aprire bocca, parlerò io.”

Molti ridacchiarono – gli uomini in particolare – mentre le donne in generale, scossero il capo con l’aria di chi non ha bisogno di spiegazioni.

Scrollando le spalle, Fenrir di Falmouth asserì senza alcuna vergogna: “Non tutti lo conoscono, perciò vi dirò chi è. Si tratta del professor Fitzwilliam Darcy e, visto che è solo un umano e non sa di noi, non vi venisse la mezza idea di sfidarlo o cose simili. Ho già avvisato Hugh, ma preferisco essere chiara in prima persona. Esco con lui e mi ci trovo bene ma, almeno finché non ne sarò sicura, non gli dirò nulla, né lo proporrò per l’Investitura. Sto con un uomo come donna, non come lupa, punto.”

Vi furono alcuni brusii, alcuni assensi, diversi dissensi, e un alfa in particolare – che già si era proposto per il ruolo di Primo Lupo – le chiese: “E se tutto dovesse andare diritto, e tu volessi proporlo? Come faremmo? Lui non è lupo. Se non volesse mutare? L’Ordalia non potrebbe essere combattuta.”

“Proporrei un Campione” scrollò le spalle Cecily, ben sapendo che l’argomento avrebbe potuto essere sollevato.

Non era nata ieri, e sapeva quanto potesse essere competitiva la lotta tra lupi, quando c’erano di mezzo il potere e il prestigio.

“Da quando in qua esiste questa regola?” borbottò uno dei lupi, contrariato.

“E chi si batterebbe, poi, per un umano?” ritorse poi Finn, il lupo che aveva per primo sollevato il problema, accigliandosi non poco.

Cecily allora guardò Hugh e Finn, strabuzzando gli occhi, esalò: “Sarebbe… scorretto! Lui è Hati!”

Assottigliando le iridi color ghiaccio cupo, la donna replicò gelida: “Osi ribattere al mio dire?”

Reclinando in fretta il capo, il licantropo mormorò contrito: “Non mi sognerei mai di offenderti in alcun modo, Fenrir.”

“Ma non ti va giù che il mio Campione sia Hugh. Vorrei tenere a sottolineare che non l’ho scelto io, ma è la Legge a stabilire che il campione di un Fenrir sia sempre Hati. Non è specificato per quali Ordalie esso sia destinato, ma io ho scelto questo genere di scontro. La regola è vecchia come Noè, perciò non fa specie che molti di noi non la conoscessero ma, visto che già sapevo che alcuni di voi avrebbero obbiettato, ho studiato un po’ la lezione con alcune fonti decisamente imparziali.

Nel dirlo, indicò la quercia dietro di sé.

“Se ancora non foste convinti, comunque, ho già interpellato Brianna perché vi confermi la veridicità delle mie parole, giusto per non creare dubbio alcuno in voi.”

Finn rimase in silenzio al pari degli altri lupi e Cecily, nello studiare i suoi alfa, chiese: “Qualcun altro è in disaccordo con le mie scelte?”

“La tua parola è legge” dichiararono in coro, reclinando ossequiosi il capo.

Lei allora sospirò, si passò una mano sulla nuca dolorante – era stata in tensione fino a quel momento – e, più gentilmente, aggiunse: “Sentite, non voglio impormi a tutti i costi solo perché William mi interessa, ma vorrei onestamente un po’ di appoggio morale. Mi fa star bene, non mi pare poco.”

Sabine assentì e, nel darle una pacca sulla spalla, le sorrise.

“Hai ragione, Fenrir. A volte dimentichiamo la nostra parte umana, parlando solo come lupi. Nessuno di noi disturberà la tua relazione. Daremo ad essa tutto il tempo che necessita.”

“Finn?” volle allora sapere Cecily.

Sapeva che era un lupo fidato, ma la gelosia poteva essere una gran brutta bestia.

“Non mi impiccerò. Puoi vedere chi vuoi… non solo come Fenrir.”

Quel ‘vedere’ non passò inosservato, ma nessuno volle sollevare un inutile polverone per nulla.

Tutto era troppo aleatorio, nulla era sicuro, e non si potevano creare dissidi per una cosa non ancora avvenuta.

Che Finn si tenesse pure il suo malumore. Lei aveva altro a cui pensare.

“Molto bene. Spero possiate passare un buon Natale assieme alle vostre famiglie. Come sapete, il prossimo Consiglio dei Clan si terrà a Londra, perciò vorrei che fin d’ora le sentinelle si preparassero per tenere sott’occhio i confini delle terre esterne assieme agli uomini di Joshua. Dare una mano fa bene allo spirito.”

Con quell’ultima richiesta, Cecily se ne andò, seguita a ruota dai suoi luogotenenti e, non appena furono a una distanza utile da non essere più udibili, lei sbuffò sonoramente.

“Sai che Finn sperava di diventare tuo Primo Lupo. Non puoi davvero pensare che se ne sia dimenticato così facilmente” cercò di rabbonirla Sabine.

“Speravo dimostrasse più discernimento, e se ne stesse zitto. Se proprio voleva parlarne, perché non chiedere un’udienza privata? Dopotutto, stiamo parlando di cose piuttosto delicate!” sbottò Cecily.

“Ora parli da umana. Sai che non c’è nulla di privato nell’investitura a Primo Lupo” sottolineò per contro Hugh.

Un’imprecazione le uscì dalle labbra con estrema naturalezza e Cecily, lanciando le mani in aria, esclamò: “Il mio regno, per un attimo di pace!”

Hugh e Sabine risero sommessamente di fronte alla sua esasperazione e la donna, calmandosi poco alla volta, giunse all’auto col muso lungo e un principio di mal di testa.

E lei odiava i mal di testa.

Poggiate le mani sulla tettoia dell’auto, Cecily mormorò torva: “Mettete una sentinella a guardia di Finn, e una di cui vi fidate ciecamente nei pressi della casa di William. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Anche tra di noi.”

Il ricordo del tradimento del Consiglio degli Anziani, nel branco di Matlock, era ancora troppo recente, perché tutti se ne fossero dimenticati.

Hugh e Sabine assentirono in silenzio e Cecily, dopo un ultimo saluto, si allontanò per tornare a casa.

Da Darcy.

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Capitolo 9
*** 4. ***


4.
 
 


 
Brandendo due fogli stampati come se fossero stati il Santo Gräal, Stephenie raggiunse la sala insegnanti in tutta fretta e, felice come una Pasqua, esultò.

“Abbiamo gli ultimi consensi. Si può dare il via alle prenotazioni!”

A Cecily andò di traverso il caffè, Darcy fu lesto a batterle una mano sulla schiena e Miranda, nell’afferrare i fogli svolazzanti della collega, celiò: “E ora dobbiamo chiamare l’ambulanza per Cecily.”

Levata una mano nel mezzo del suo prolungato tossire, la donna in questione riuscì a gracchiare: “No, grazie… ce la… faccio.”

“Scusa, Cecily, scusa!” esalò a quel punto la collega, intrecciando le mani, penitente.

“Si sentirà subito meglio, tranquilla.”

Darcy le sorrise convincente, senza mai smettere di massaggiare la schiena di Cecily.

Non erano durati più di tre settimane, al loro rientro dopo le vacanze di Natale.

Durante una pausa pranzo, Darcy si era accorto di uno sbuffo di cioccolata a lato della bocca di Cecily e, con troppa naturalezza per essere solo un collega, gliel’aveva pulita col pollice.

Pollice che poi era finito nella sua bocca sorridente.

Quel gesto non era certo passato inosservato, e Gwen Sutherland, insegnante di chimica, si era subito interessata alla cosa, spifferando la verità nel giro di mezza giornata.

Darcy si era poi dato dello stupido per un tempo altrettanto lungo, ma Cecily non vi aveva fatto caso più di quel tanto.

Che parlassero.

A lei non interessava.

“A ogni modo, il problema è risolto. Ora abbiamo nominativi sufficienti. Era quello che volevamo” riuscì infine a dire Cecily, ringraziando con un sorriso Darcy, che le sedette al fianco.

“Non so come tu li abbia convinti, ma ha funzionato” assentì Stephenie, tutta contenta.

Era bastato dire alle famiglie che la loro Fenrir si sarebbe trovata nello stesso posto dei figli, pronta a proteggerli a spada tratta da qualsiasi male.

Cosa non faceva, a volte, un nome!

Nome che la perseguitò, durante il pranzo, lungo i corridoi della scuola.

A volte, Tyler Finney sapeva essere più logorroico di una vecchia comare.

Addossandosi alla parete per bloccarle la strada, le sorrise sornione e disse: “E così, se la fa con il professore di Storia? Mitico! E’ un belloccio, direi. Non ha scelto male.”

“Oh, grazie, Tyler. Ora dormirò sonni più tranquilli, visto che so che ho il tuo benestare” dichiarò sarcastica la donna, pur sorridendo.

Il ragazzo rise di gusto e Cecily, nonostante tutto, si unì alla risata. Adorava quello sconsiderato e le sarebbe mancato, una volta persolo per le università di Londra.

“Comunque, non mi aspettavo che Finn se ne sarebbe stato zitto e basta. Di solito, punta i piedi come un moccioso” motteggiò il ragazzo, con fare saputo.

Sentir menzionare quel nome la fece irrigidire e, accigliandosi non poco, lei replicò: “Da chi diavolo hai saputo di Finn? Voglio i nomi.”

“Oh, no. Si dice il peccato ma non il peccatore, prof, e io non esporrò mai le mie fonti” ridacchiò Tyler, strizzandole l’occhio con fare complice.

“Se sento ancora il nome di Finn pronunciato da qualcuno di voi, io…”

“Chi è Finn?”

Quella domanda arrivò a sorpresa alle sue spalle e Cecily, sobbalzando nel volgere lo sguardo dietro di sé, irritata per essere stata colta in flagrante senza che se ne accorgesse, borbottò: “Nessuno.”

Tyler però rise di gusto ed esclamò: “Ah, prof! Essere colta di sorpresa a questo modo! Non è da lei!”

“Tyler, se non vuoi che ti faccia il culo a strisce, vedi di filare alla svelta” ringhiò allora Cecily, fulminandolo con lo sguardo.

Lui si allontanò preventivamente, sollevando le mani in segno di resa e, con un inchino ironico, salutò entrambi prima di darsela a gambe con un gran sorriso stampato in faccia.

Sbuffando contrariata, si voltò per affrontare lo sguardo enigmatico di Darcy che, paziente, attendeva risposte in merito a quel nome misterioso.

E pesante come un macigno, almeno per Cecily.

Imbronciata, la donna intrecciò le braccia sotto i seni e borbottò: “Non è nessuno di importante, davvero.”

“Dal tono di Finney, direi il contrario.”

“E’ solo un tipo che voleva stare con me, ma io ho rifiutato. Punto.”

“Un tipo?” sottolineò Darcy, sollevandole il viso con un dito.

Gli occhi blu ghiaccio di Cecily incrociarono quelli chiari dell’uomo, e lì rimasero incatenati per alcuni attimi.

La calma di lui prese pieno possesso del corpo della donna che, con un sospiro, ammise con maggiore autocontrollo: “Un amico di vecchia data. A un certo punto, si pensava che potessimo anche stare assieme, ma io non ero del parere. Lui non la prese molto bene.”

“Quindi, devo temere che possa venire a dirmi due paroline?” ironizzò Darcy, sorridendole per alleggerire il suo tono plumbeo.

“Ci deve solo provare” replicò Cecily, con il gelo nella voce. “Se solo si dovesse presentare a te, dovrai dirmelo e a lui penserò io.”

“Detta così, suona come un regolamento di conti” ridacchiò lui, notando solo in un secondo momento quanto fosse seria la donna.

“Cecily…”

Passandosi una mano sul viso, lei scosse il capo e mormorò: “Non deve. Davvero. Me lo dirai, se si presenterà?”

“Come si chiama, per inciso?”

“Finn McCormack. E’ alto come te, più o meno, fisico robusto, capelli castano chiari, occhi grigi.”

“Afferrato. Ma posso difendermi anche da solo, sai?” ci tenne a dire Darcy, ora accigliato non meno di lei.

Vorrei davvero che fosse così,  pensò dispiaciuta tra sé.

“Lo so. Ma non mi va che ti dia fastidio, okay?”

“Se si presenterà, te lo dirò, promesso. Ma tu non affilare gli artigli. Posso benissimo parlare con lui da uomo a uomo.”

“Va bene” assentì lei, pur controvoglia.

Non voleva che Finn si avvicinasse a lui, per nessun motivo.

 
§§§
 
Passandosi una mano tra la lussureggiante chioma ramata, sparsa sul bordo della vasca in ceramica bianca, Cecily borbottò al telefono – attraverso il vivavoce acceso: “E’ mai possibile che le disgrazie non vengano mai da sole? Cos’altro ha combinato Connor?”

“Per la verità, ancora nulla, ma alcuni ragazzi lo hanno sentito dire di voler fare un festino proprio nei pressi del Vigrond, e questo ha messo in allarme le sentinelle, che hanno chiamato me.”

La donna chiuse gli occhi per un istante, imprecò sonoramente tanto da far ridacchiare la sua seconda in comando e alla fine, un poco più calma, mormorò gelida: “Convocali immediatamente qui. Ragazzo e genitori. Non me ne frega niente se dovranno fare ottanta miglia per venire qui alle nove di sera. Nessuno entra nel Vigrond senza essere lupo e, soprattutto, senza il mio permesso. Già devo sopportare gli umani ignari di tutto. Non accetterò che un neutro faccia il furbo con me.”

“Sarà fatto, Fenrir. E scusa, ma sapevo che una cosa del genere avresti preferito gestirla in prima persona.”

“Mi conosci troppo bene, lo so.”

Sospirando, Cecily chiuse la chiamata e finì la sua abluzione con un diavolo per capello e il desiderio di spaccare qualche testa.

Non le era bastato venire a sapere che Sabine aveva sedato una zuffa tra giovani lupi, per la conquista di una femmina vanitosa quanto bellissima.

No, doveva capitarle tra capo e collo anche quella grana.

Ma che avevano, i giovani lupi di oggi? Erano solo ormoni e basta?

Uscita che fu dalla vasca, si asciugò in fretta e indossò la prima cosa che le capitò sottomano e, a malincuore, chiamò Darcy per disdire il loro appuntamento.

Di certo, vederla infuriata come una belva mentre decideva se staccare o meno la testa a morsi a un ventenne idiota, non era il massimo.

Quando afferrò il cordless, pigiò i tasti come se volesse fracassarli, e quasi ci riuscì.

In un punto, l’innocente telefono si incrinò e Cecily, mandando al diavolo Connor per la milionesima volta, borbottò in risposta alla voce calda di Darcy: “Mi va buca, stasera, mi spiace.”

“E’ successo qualcosa di grave? Tuo zio sta nuovamente male?”

“Aaah, no. Lui sta bene, per fortuna. Ma devo rimanere a casa perché alcuni miei cugini hanno pensato bene di dirmi adesso che passeranno a trovarmi, e visto che uno dei cugini ha giusto ottantasei anni, mi sentirei un verme a dire di no.”

“Oh. Direi proprio che ti hanno incastrato” ironizzò William, comprensivo. “Non c’è problema. Usciremo un’altra volta.”

“Sei anche troppo buono. Dovresti mandarmi al diavolo e basta.”

“Ci vuole ben altro per allontanarmi” la rassicurò lui. “Ti passo a prendere domattina, Ceel. E non sbranarli. Dopotutto, non fanno nulla di male.”

Già, come no!, pensò tra sé, tornando a infuriarsi.

“No, certo. Farò come dici tu. Buonanotte.”

“Buonanotte a te, Ceel.”

Adorava quando la chiamava con quel nomignolo, ma preferì non dirglielo.

Meglio non sbilanciarsi troppo, visto che uscivano insieme da pochissimo tempo.

Anche se cominciava a pensare che, con Darcy, il tempo non fosse molto importante.

Non appena mise giù, puntò le mani sui fianchi, si guardò intorno con aria meditabonda e, con uno sbuffo prolungato quanto scocciato, si buttò sul divano per attendere i suoi poco graditi ospiti.

 
§§§
 
Ancora un po’ e il mento di Connor si sarebbe incollato al collo, tanto aveva reclinato il capo di fronte al giusto umor nero della loro Fenrir.

Cecily li aveva accolti con gelida cortesia e, dopo aver fatto accomodare i genitori del potenziale traditore, si era piazzata in mezzo al salone a braccia conserte, in attesa.

Connor ci aveva messo poco a comprendere cosa volesse da lui la donna e, mesto e contrito, aveva ammesso tuta la verità, farcendola con una quantità indefinibile di ‘mille scuse, Fenrir’.

Lei aveva risposto a ogni richiesta di perdono con un grugnito e, alla fine, aveva ringhiato a zanne spianate: “Adesso basta!”

Ora, con le mani poggiate sui fianchi e gli artigli bene in vista, dichiarò furiosa: “Non accetterò mai più che mi giungano voci dalle mie sentinelle di un simile comportamento. Per stavolta passi, visto che la tua famiglia gode della mia fiducia, ma che non si ripeta una seconda volta, o verrai degnamente punito per una simile condotta irrispettosa. Il Vigrond è sacro e inviolabile! Nessun neutro può sostenere le sue reti di potere, e questo potrebbe nuocere alla vita di chi osasse mettervi piede. Paradossalmente, i tuoi amici umani sarebbero maggiormente al sicuro di te, ma tu schiumeresti in terra, preda di convulsioni e violenti spasmi. E’ questo che vuoi?”

Connor impallidì visibilmente e scosse il capo, ora terrorizzato.

“Bene, immaginavo che saperlo non ti avrebbe fatto piacere. La proibizione per i neutri non è stata imposta per un demerito vostro, ma per proteggervi! Non costringermi a ripeterlo.”

“Mille scuse, Fenrir. Giuro che non commetterò mai più un’idiozia simile. Ancora scusa per avervi disturbata.”

Cecily scosse una mano per liquidare il suo dire e, rivoltasi ai genitori del ragazzo, che in silenzio e terrorizzati avevano assistito alla reprimenda, disse più gentilmente: “Potete andare, con i miei ringraziamenti per essere stati così solerti a rispondere al mio appello.”

Il padre fu il primo ad alzarsi e, reclinando il viso per baciare la mano protesa di Fenrir, mormorò accorato: “Ogni ringraziamento va a voi, Fenrir. Siete stata assai generosa con il nostro irrispettoso figlio.”

Connor ebbe la decenza di non replicare.

Anche la madre la ringraziò e, quando finalmente poté chiudersi letteralmente quel problema alle spalle, era quasi l’una di notte.

E lei era stremata.

Muovendo avanti e indietro il capo per ammorbidire i muscoli indolenziti del collo, Cecily spense le luci in salotto e si ritirò nella sua camera da letto, buttandosi sulle coltri senza svestirsi.

Lì rimase a lungo al buio, ripensando a ciò che era successo, a quel che aveva detto al ragazzo.

L’iniziale rabbia provata si era ben presto mutata in autentico terrore, all’idea del pericolo scampato per un nonnulla.

Era forse il caso di avvisare le famiglie dei neutri, perché prestassero maggiore attenzione all’educazione dei figli sulle antiche norme, onde evitare problemi come questo.

Non voleva avere sulla coscienza nessuno di loro, soprattutto per motivi così futili come un’avvertenza non rimarcata con efficacia.

“A volte, la livrea nivea è una vera scocciatura.”

 
§§§

“Hai due occhi pesti da far paura, Cecily. Ma che hai combinato, stanotte?” esalò Darcy, vedendola giungere dal porticato di casa.

Sapeva benissimo di avere due bei segni rossi sotto gli occhi, ma sentirselo dire da William non le fece molto piacere.

Aveva passato buona parte della notte ripensando al caso di Connor poi, pur essendo esausta e ormai desiderosa di dormire, si era messa al computer e aveva inviato una mail al suo branco.

Appellandosi a tutti i mánagarmr delle zone più esterne del clan, aveva affidato a loro il suo accorato appello e, solo verso le quattro del mattino, era riuscita a prendere sonno.

Ma le conseguenze, ora, erano il viso pesto e l’aria assassina.

Raggiuntolo al cancelletto d’ingresso, sbuffò e disse: “Succede quando le persone non capiscono che è ora di andare a dormire.”

Darcy scoppiò a ridere e, nel consegnarle un bon bon al cioccolato, mormorò: “Un po’ di corroborante in versione mignon.

“Oh, sì, grazie!” esalò lei, accettandolo di buon grado.

Infilatoselo in bocca, sospirò deliziata nel sentire l’aroma amarognolo del cioccolato fondente mescolarsi con il liquore alla ciliegia, contenuta all’interno.

Chiusi gli occhi per meglio assaporare quella delizia, si mise a braccetto con Darcy e mormorò estasiata: “Potrei fare sesso con te anche adesso, dopo una simile premura.”

Lui scoppiò a ridere di gusto e, nel depositarle un bacio sulla fronte, asserì: “Potrei venire a casa con te e passare tutto il pomeriggio, e la notte, a mettere in pratica questo tuo desiderio.”

“Andata. Sarai il mio schiavo del sesso per tutto il giorno. E la notte. Questa sì che è una sveglia mattutina coi fiocchi!”
William le sorrise amorevole e, nel darle una pacca sulla mano – appoggiata al suo braccio – le disse sommessamente: “Adoro questa tua schiettezza.”

Lei arrossì come suo solito, quando lui decantava la bellezza delle sfaccettature del suo carattere.

Sfaccettature che Cecily non avrebbe mai pensato potessero piacere a un uomo. Timidamente, sorrise.

Non poteva farci niente. Con Darcy era donna al cento percento.

E che la lupa se ne stesse zitta in un angolo, per un po’.

Le piaceva comportarsi solo e unicamente da umana, almeno per qualche tempo e, se una volta aveva trovato soffocante la scuola proprio per questo motivo, ora questo peso non esisteva più.

Pur se doveva sopportare le battute delle colleghe, circa il suo coinvolgimento emotivo con Darcy, si sentiva bene in quel luogo ricolmo di umani.

Non si sentiva più soffocare, non ne era più sopraffatta come prima, e tutto era merito di William.

Lui rendeva piacevole qualsiasi cosa, smussava le sue irritazioni, riusciva a farle vedere un lato luminoso anche nelle situazioni più scomode.

Forse, era a causa della sua strana aura.

Quel suo strano potere, quella luce interna che pareva chetare qualsiasi dubbio, qualsiasi ansia.

Ancora non avevano scoperto da cosa dipendesse – Thor e Beverly erano impegnati da mesi, nell’impresa, ma finora non ne era uscito nulla.

A lei, comunque, poco importava.

Darcy le piaceva, la faceva sentire bene e, a quanto pareva, a lui piaceva la sua compagnia.

Certo, restava comunque il fatto che il suo piccolo, insignificante, segreto era ancora lì a martellarle le dita tutte le volte che sfiorava William con un dito.

E non era di certo piacevole.

Ma non se la sentiva di ammettere la verità con lui, non ancora.

Voleva godersi ancora un po’ quell’angolo vita serena e, almeno in parte, scevra di magia e segreti.

Sarebbe durata ancora per poco, lo sapeva – non poteva continuare a dire bugie in eterno – ma, come per il dolcetto, voleva che quel sapore dolce permeasse ancora un po’ dentro di lei.

Quando fosse terminato, avrebbe parlato col cuore aperto, sperando che lui capisse.

 

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Capitolo 10
*** 5. ***


5.
 
 
 
 
Un venticello frizzante spazzolava la costa, portando nell'entroterra odore di salsedine, di mare e di tempesta.

Nubi temporalesche si alternavano a sprazzi di sereno, in quella apparentemente tranquilla mattinata di fine inverno.

Nulla sembrava presagire guai, eppure Cecily non era tranquilla.

Forse, dipendeva dall'avvicinarsi dell'Equinozio di Primavera, in cui solitamente la luna giocava alle lupe dei brutti scherzi, o forse era semplicemente nervosa di suo.

Fatto stava che, nell'uscire di casa, afferrò salda il braccio di Darcy e insieme a lui si avviò verso la scuola con passo spedito.

Tre mesi.

Erano ormai tre mesi che si frequentavano e Darcy, da vero gentiluomo quale era, andava e veniva senza imporre la sua presenza negli spazi privati di Cecily.

Si fermava spesso la notte, e quelli erano sovente incontri appassionati e sfrenati, che lasciavano entrambi stremati sul letto.

Ma lui non aveva minimamente parlato di voler cambiare le cose, o di pretendere un trattamento diverso da quello riservatogli in quel momento.

Troppo presto, per entrambi loro.

A Cecily piaceva avere un uomo per casa, apprezzava non poco fare l'amore con lui, e passare ore e ore a parlare dinanzi al fuoco, non le era mai sembrata attività più gradita come in quel periodo.

Ma sapeva bene che, finché non si fosse sentita abbastanza al sicuro da poter dire tutto all'uomo che, pian piano, si stava facendo sempre più importante nella sua vita, non avrebbe potuto andare oltre, con la relazione.

C'erano ancora troppe cose che lui non sapeva sulla sua doppia vita, e voleva essere certa al cento percento che lui fosse pronto – e soprattutto, la persona giusta – per potergli dire tutta la verità.

Perché non avrebbe accettato di essere tradita da lui, poiché questo avrebbe voluto dire chiedere a Brianna di cancellare ogni cosa nella sua memoria.

Cosa che, però, non avrebbe potuto fare con lei, a meno di non danneggiare gravemente il suo cervello.

E lei avrebbe ricordato la sconfitta, il sapore amaro del rifiuto e questo, pian piano, l'avrebbe annientata, allontanandola da quell'uomo speciale e perfetto per lei.

No, non era ancora il momento.

Poteva godersi quella storia con leggerezza ancora per un po'.

“Cos'è che ti rode tanto, stamattina?” le domandò William, sorridendole.

Lei si accigliò. Stava diventando trasparente? Lei?

“Sento la primavera. Lo sai che le donne sono lunatiche, e sentono tutti i cambi di stagione.”

Specialmente le lupe.

Darcy lanciò un'occhiata alle nubi veloci che correvano nel cielo, ai cumuli gonfi e scuri che preannunciavano pioggia.

“In effetti, oggi potrebbe piovere. E sei così nervosa per un po' di pioggia? Prometto di riaccompagnarti a casa sana e asciutta, se proprio la cosa ti turba tanto.”

Non ce la fece proprio.

Rise sommessamente e si strinse al suo braccio, mormorando: “Non riesco a tenere il broncio, quando sono con te.”

“Lo spero davvero.”

Lui sorrise soddisfatto, le diede un bacio sul capo – la sua notevole altezza glielo permetteva con facilità – e, senza più dire nulla, oltrepassarono la strada per entrare nel cortile della scuola.

Lì, si separarono solo per esigenze di buon costume e, dopo aver oltrepassato i battenti in quercia, si avviarono a passo spedito al piano superiore, per raggiungere la sala insegnanti.

All'interno, trovarono già alcuni loro colleghi, che li salutarono con allegria e, nel recuperare tutto il necessario per le seguenti lezioni dai rispettivi stipetti, si divisero per raggiungere le loro aule.

Ai più, quel genere di lavoro sarebbe apparso monotono – ogni giorno lo stesso tragitto, le stesse cose da insegnare, o fare – ma a Cecily piaceva stare con i ragazzi.

La gratificava insegnare loro ciò che sapeva, vedere i loro sguardi puntati su di sé, attenti i più e divertiti i restanti.

Non era facile, con alcuni, ma la soddisfazione di portarli a fine anno, con dei risultati accettabili, non aveva prezzo.

In un certo qual modo, anche loro erano il suo branco.

La campanella suonò proprio mentre il primo tuono lacerava l'aria tutt'attorno.

Alcuni ragazzi risero, pensando a quanto sarebbe stato divertente far cadere in mezzo a una pozzanghera una persona, piuttosto che l'altra.

Cecily ascoltò distrattamente il loro chiacchiericcio, mentre si preparava per la lezione, attenta soltanto a che nessuno si lanciasse in idee troppo pericolose.

Nel qual caso, sarebbe intervenuta per tempo.

Quando però si ritrovò a percepire l'aroma inconfondibile di Tyler – in quel momento ancora fuori dall'aula – la sua attenzione aumentò.

Era il suo pupillo, ormai, all'interno del branco, e in molti lo sapevano.

Era giunta anche a conoscenza del fatto che diverse lupe, dopo questo cambio di status,  per così dire, si erano interessate a lui in molti modi.

Alcune si erano prese l'impegno di proteggerlo, più di quanto non si facesse solitamente con un normale, altre avevano iniziato a invitarlo fuori per tutt'altro motivo.

E pareva che a Tyler, tutte quelle attenzioni femminili, piacessero un sacco.

Forse aveva fatto un guaio, interessandosi così di lui, ma quel ragazzo le piaceva e, se era coccolato un po' più degli altri, male non avrebbe fatto.

Anche a una Fenrir era concesso di avere i suoi preferiti.

Sorrise appena, quando lo vide comparire in classe assieme a un paio di compagni e lui, aprendosi in uno più ampio e malizioso, lasciò con un cenno gli amici e si avvicinò alla cattedra.

Appoggiato un fianco al bordo in legno, intrecciò le braccia e disse: “Buongiorno, professoressa. Come mai è più radiosa del solito, stamattina? Bel week-end?”

Anche i ragazzi si erano resi conto del loro strano cameratismo e, quando Tyler ci faceva dentro a quel modo, scoppiavano irrimediabilmente delle risate collettive quanto divertite.

A Cecily stava bene.

Finché nessuno si sentiva messo al secondo posto, e soprattutto finché nessuno vi vedeva del torbido, quella farsa poteva anche continuare.

Intrecciate le dita per poggiarvi il mento, la donna socchiuse gli occhi di un blu gelido e lo fissò attenta.

“Sono lieto che tu mi trovi radiosa, Tyler, ma resta in quella posizione ancora per un minuto, e giuro che ti spedisco al banco a suon di spintoni.”

La sua risposta diede il via a un coro di incitamento nei suoi confronti, con dei “gliele suoni, prof!”, oppure altri “ben detto, professoressa!” a farla da padroni.

Lei li azzittì con un gesto della mano e Tyler, nel farle l'occhiolino, estrasse dalla tasca della camicia un piccolo foglio di carta, che mise sulla scrivania.

Con una risata, poi, andò al suo posto a passo lesto e di gran carriera.

Curiosa – nell'involto cartaceo, c'era qualcosa di profumato – lo aprì per scoprirne il contenuto e, sorpresa e commossa, vi trovò una margherita pressata in un foglio sottilissimo di vetro.

Il primo fiorellino della stagione, che lui aveva raccolto e rinchiuso in quella sottile teca perché perdurasse nel tempo.

Sorridendo nell'infilarlo nel suo registro, incrociò poi lo sguardo di Tyler, che stava ancora ghignando e, con voce chiara e limpida, esclamò: “Molto bene, ragazzi. Vi do trenta secondi per azzittirvi, poi partono le punizioni!”

I ragazzi e le ragazze risero in coro, prima di mettersi silenziosi e composti ai loro posti; ormai avevano imparato quando scherzare con la professoressa, e quando non farlo.

Cecily, soddisfatta, continuò a osservare Tyler e, con un gesto in apparenza casuale, si sfiorò dietro l'orecchio destro con un dito, come se volesse sistemare una ciocca di capelli.

Il ragazzo, però, comprese immediatamente e, con un cenno del capo, la ringraziò per il complimento.

Il punto in cui la donna si era sfiorata, era quello dedicato ai saluti tra lupi, ma mai tale saluto veniva scambiato con un neutro, o un normale.

Quel semplice gesto lo onorava, e questo Tyler lo sapeva benissimo.

Forse fu anche per questo che, durante l'ora di letteratura, non aprì più bocca, se non per rispondere alle sue domande.

La professoressa – e sua Fenrir – meritava una lezione tranquilla e pacifica, e lui si sarebbe impegnato in tal senso.

 
§§§
 
“Non so davvero come fai a tenerli tutti quanti a bacchetta e, al tempo stesso, a essere così apprezzata dai tuoi allievi” dichiarò Stephenie con aria sconsolata, caffè alla mano e occhi che lasciavano intendere quanto fosse invidiosa.

Cecily non vi fece caso e, nel sorseggiare il suo tè, replicò candida: “Basta leggere i patti all'inizio, e rispettarli ogni volta. Non ci sono formule segrete o intrugli da strega, dietro. Guarda Brolin, per esempio. Buono come il pane, ma inflessibile.”

“Dovrò venire a lezione da voi” sospirò la donna, scuotendo il capo.

“E io dovrò comprarmi degli occhiali nuovi. Chi è quel tipo in cortile? Non lo vedo molto bene.”

I professori in blocco, Cecily compresa, si spostarono verso la finestra dove si trovava Miranda che, appiccicata al vetro con aria davvero contrariata, borbottava sulla sua mancanza di decimi di vista.

Tra sé, Cecily aggiunse la sua totale mancanza di rispetto della privacy.

Facendosi largo per osservare – essere basse era una scomodità, quando tutti facevano capannello – la licantropa sbottò immediatamente quando vide Darcy in cortile... assieme a Finn.

“Ma che diavolo...?”

Aveva reputato la sua mancanza in Sala Insegnanti come un semplice ritardo, invece era fuori con un licantropo che, anche nella migliore delle ipotesi, avrebbe voluto farlo a fette.

Di certo, non la migliore delle situazioni.

“Merda, merda, merda...” borbottò lei, scostandosi per uscire in tutta fretta dall'aula.

“Ehi, Cecily! E' un altro spasimante?” la presero in giro le colleghe, con una punta di acidità nella voce.

Lei si bloccò sulla porta, guardò il gruppo compatto formato dai suoi colleghi di lavoro e, sbottando, dichiarò: “Evidentemente piaccio, che volete che vi dica.”

Ciò detto, sgattaiolò fuori con un diavolo per capello, e la sua lupa a strepitare dentro il suo corpo di donna, ben decisa a uscire per divorare Finn un pezzo alla volta.

Non aveva detto chiaramente di stare alla larga da Darcy?!

E dov'erano le sentinelle che avrebbero dovuto tenere a bada Finn!? Perché Sabine non l'aveva chiamata per dirle del pericolo? Cosa diavolo doveva fare, per farsi capire?!

“Mi sentiranno, questo è sicuro...” brontolò tra sé, macinando metri su metri come se stesse andando a fuoco la scuola.

Tyler la intravide scendere le scale ma, prima ancora di uscirsene con una battuta, scorse il suo sguardo smeraldino e si preoccupò.

Non era normale che comparissero i suoi occhi di lupa. Doveva essere successo qualcosa di grave.

Infilantosi lungo le scale per seguirla, il giovane si chiese fuggevolmente cosa avesse messo le ali ai piedi della sua Fenrir.

Quando, però, scorse Finn nel cortile della scuola, e in compagnia del professor Darcy, capì al volo.

E tremò come una foglia.

Quelli sì che erano guai seri.

Pur essendo un normale, sapeva delle restrizioni che Cecily aveva imposto attorno al professor Darcy, e quel che stava facendo Finn era l'equivalente di un suicidio.

Sarebbe già stata una fortuna se non fosse comparso Baltazar dal nulla.

O la lupa che era Cecily, pronta a divorarlo in un sol boccone.

Il solo pensiero fece tremare Tyler da capo a piedi.

In apparenza, i due uomini stavano parlando con tranquillità, la distanza tra loro poteva essere considerata più che sicura, ma Cecily non si fidò per nulla.

A un licantropo, poco importavano simili quisquilie.

Sarebbe bastato un decimo di secondo per prendere di sorpresa Darcy, e fargli del male.

A passo di carica, perciò, si diresse verso di loro e, se Finn si irrigidì immediatamente nel vederla, Darcy si limitò a volgersi a mezzo per placcarla.

Bloccandola con il semplice movimento di un braccio, le sorrise divertito ed esalò: “Ehi, tempesta! Calma! Che succede?”

Trattenendosi a stento dallo sfuggire alla stretta leggera di William, Cecily fissò aspra Finn – che stava rigido come un palo a fissarla terrorizzato – e sibilò: “Qualcuno ha fatto il passo più lungo della gamba.”

“Cecily, ti prego, io...” tentennò Finn, levando subito le mani in segno di resa incondizionata.

La donna mostrò i denti, che solo a fatica non si trasformarono in zanne, e ringhiò: “Ti avevo detto di non dargli fastidio!”

“E infatti non mi stava dando fastidio, Ceel” precisò William, intervenendo in quello scontro aperto con un tono gentile, ma fermo.

Rafforzando la sua stretta sulle spalle della donna, Darcy aggiunse: “Voleva solo parlare amichevolmente con me, tutto qui. Inoltre, penso di potermela cavare anche da solo, non credi?”

“Sì, ma...” tentennò Cecily, non sapendo come districarsi da quell'impiccio.

A conti fatti, sapeva benissimo che Darcy non avrebbe avuto alcuna possibilità di salvezza, se Finn avesse messo in campo le sue capacità di lupo.

Dal punto di vista umano, però, lei non poteva ergersi a sua difesa, perché William avrebbe potuto sentirsi sminuito nel suo ruolo di uomo e maschio dominante.

Non sapendo neppure in minima parte quanto stava rischiando.

Rabbonendosi almeno in apparenza, Cecily mormorò: “Mi sono agitata, vedendovi dalla finestra, scusa.”

Accennando un sorrisino divertito, lui replicò: “E' in qualche modo interessante, sapere che mi difenderesti a spada tratta, ma so cavarmela, tranquilla. Inoltre, Finn mi è parsa una persona estremamente equilibrata.”

“Non lo metto in dubbio, ma...”

Fu Finn a parlare, a quel punto.

“Cecily mi aveva pregato di non ficcare il naso tra voi due, e invece io l'ho fatto. Per questo, è furiosa con me.”

Sospirò, e aggiunse: “Volevo solo essere certo che andasse bene per te.”

Cecily a quel punto si prese del tempo per osservare meglio il viso del suo lupo, che appariva tutto tranne che adirato, o in procinto di commettere una sciocchezza.

Sembrava solo enormemente triste.

Fu questo a sorprenderla.

Scostandosi da Darcy, afferrò la mano di Finn per trascinarlo un po' più lontano, dove le orecchie umane non avrebbero potuto captare le loro parole.

Più gentilmente di quanto non avesse parlato in precedenza, gli chiese: “Non è per la questione del Primo Lupo, vero?”

“No” scosse il capo lui, sorridendo mesto.

“E perché non me l'hai detto subito?” sospirò lei, ora sinceramente dispiaciuta.

“Avrebbe fatto qualche differenza, sapere che ti volevo anche come compagna, e non solo propormi per il titolo di primo mánagarmr del branco? Così, per lo meno, il tuo rifiuto mi ha fatto meno male.”

Cecily reclinò il capo, colpevole, e scosse la testa.

“No, non avrebbe fatto differenza. Ma non pensavo che la cosa fosse così seria. Non avevo capito!”

Lui le sorrise benevolo nel sollevarle il viso con un dito e, affondando nelle sue iridi blu ghiaccio, aggiunse: “Sei una brava Fenrir, hai a cuore tutto il tuo branco, forse anche troppo, ma le cose che ti riguardano personalmente, proprio non le vedi.”

“So essere tonta all'inverosimile, ne sono consapevole” ammise lei, accennando un sorriso.

“E' un brav'uomo” proseguì Finn, lanciando un'occhiata a Darcy, che attendeva paziente a poca distanza. “E la sua aura emana pace e serenità. E' come dicevi tu. E' un uomo davvero particolare. Mai visto nessun normale con un'aura simile.”

“Cosa devo fare con te, Finn?”

“Sarà sempre no, per te?” le ritorse contro, sogghignando tristemente.

“Già. Ti vedo solo come amico, scusa.”

“Allora, chiedo il tuo permesso di cambiare branco. Sarebbe... impossibile sopportare di vedere un uomo al tuo fianco. Fosse o meno il tuo Darcy.”

Annuendo con un sospiro, lei mormorò: “Hai già qualche preferenza?”

“La ditta dove lavoro mi ha offerto un trasferimento a Sheffield, e sarei intenzionato ad accettare, ma questo vorrebbe dire entrare nel territorio di Duncan McAlister e di Lady Fenrir.”

Cecily sorrise leggermente, nell'udire quel nomignolo.

Da quando ciascun lupo di ogni shire, era venuto a conoscenza della reale identità dell'anima di Brianna, tutti avevano iniziato a sussurrare quel nome, e ormai veniva usato praticamente da chiunque, nei clan.

“Parlerò con Brianna e Duncan e, se sono d'accordo, entrerai a far parte del loro branco. Ti consegnerò un salvacondotto, perché il tuo grado non venga a svanire, e pregherò perché tu possa trovare una compagna adatta a te.”

“Sarà difficile trovare qualcuno migliore di te” ironizzò senza allegria Finn.

Cecily rise sommessamente.

“Oh, credimi. Esistono lupe molto meno isteriche e paranoiche di me.”

Finn allora rise con energia e, dopo alcuni attimi, si piegò per sfiorarle la guancia con un bacio.

“Ti auguro una caccia proficua, mia Fenrir.”

Lei lo trattenne al collo con un tocco leggero della mano e, nello sfiorare con le labbra la carne morbida dietro l'orecchio, mormorò: “E che la luna segua i tuoi passi, illuminando il tuo percorso.”

Finn si scostò senza dire altro e, nel salutare con un cenno della mano Darcy, si allontanò a capo chino e con le mani ben infilate nelle tasche dei pantaloni.

Cecily ipotizzò per nascondere gli artigli che, molto probabilmente, erano sorti in risposta al suo profondo stato di prostrazione.

Prima ancora di poter muovere un passo verso di lei, William venne superato da Tyler che, premuroso, poggiò una mano sulla spalla della donna, piegandosi protettivo verso di lei.

“Tutto bene, prof?” mormorò turbato il giovane.

“Che diavolo ci fai, qui fuori, Tyler? Non dovresti essere a pranzo?” brontolò lei, incapace di guardarlo.

Le lacrime le stavano sfregiando gli occhi, e non voleva che lui la vedesse in quello stato.

“Chi se ne frega del pranzo. Mi preoccupo di più per lei!” sbottò il giovane, accigliandosi non poco.

“Penso io a lei, Tyler. Torna pure in scuola” disse dietro di loro Darcy, avvicinatosi in silenzio alla coppia.

Lo studente lo fissò per alcuni istanti, indeciso se lasciare sola la sua Fenrir oppure imputarsi per rimanere, ma pensò lei a decidere.

Battendo una mano su quella del ragazzo, ancora appoggiata sulla sua spalla, Cecily mormorò: “Vai pure. Io sto bene.”

“Come vuole, prof.”

Tyler si allontanò mogio, lanciando più e più volte sguardi dubbiosi verso la coppia prima di rientrare in scuola e Darcy, nel sorridere a mezzo, motteggiò: “Quel ragazzo ti vuole davvero un gran bene.”

“Già” assentì lei, tergendosi gli occhi con la punta delle dita.

“Tutto bene?”

“Non avevo capito” sospirò Cecily, scuotendo il capo. “Pensavo fosse... fosse solo...”

“Non avevi capito che ti amava davvero?”

“Idiota, lo so” brontolò la donna, passandosi le mani sulle guance come se volesse scorticarsi viva.

“No, non direi. A volte, può succedere. Più spesso di quanto non si pensi, in effetti.”

“Ma avrei dovuto accorgermene, evitare che soffrisse per nulla e...”

Posatole un dito sulle labbra per azzittirla, Darcy scosse il capo e replicò: “Sono cose che esulano dal nostro potere, Ceel. Non darti colpe che non hai.”

Le ho eccome, pensò tra sé la donna, tornando mesta in scuola assieme a lui.

 
§§§
 
“Non ci sono problemi, davvero. Mi fido della tua parola, e un combattente come Finn, farà comodo nel nostro branco” dichiarò Duncan, con il suo solito tono di voce pacato.

Sorridendo appena, Cecily mormorò: “Ti ringrazio, lupacchiotto. Non sai che peso mi togli.”

“Fossero tutti così, i problemi, ci starei a risolverli tutti i giorni.”

“Guai in famiglia?” si informò la donna.

“Quella allargata, o la mia?” ironizzò Duncan, sospirando un attimo dopo. “Io, Nat e Brie stiamo bene. Lance, Mary B e Keeley sono un terzetto magico. Erika e Gordon se la cavano alla grande, anche se con i Master sono costretti a stare separati per un bel po', e Jerome pare voglia mettere su casa! Ti pare possibile?”

“Bene... direi che il problema non è la famiglia ristretta. Il Clan ti toglie il sonno?”

“Sean, il fratello di Marjorie – ti ricordi di lei? – vorrebbe tornare in seno al branco per servire direttamente Brianna come suo mánagarmr personale. Credo si senta in debito con lei per averlo salvato, o forse è solo uno degli altri cento lupi esaltati che si sono offerti di diventare la sua scorta personale.”

“Scorta... personale?” gracchiò Cecily, vagamente confusa.

“Gira voce che, tra i più giovani lupi dei clan, sia nata questa idea di creare una sorta di Guardia Reale per Brianna che, in quanto custode dell'anima di Fenrir, deve essere protetta più di qualsiasi altro lupo esistente.”

Nel dirlo, il suo tono parve torvo e contrariato.

“E hanno cominciato a stressarti l'anima per chiederti di unirsi al tuo branco per essere i paladini di tua moglie, giusto?”

“Già” sbuffò l'uomo, ora palesemente disgustato.

Cecily scoppiò a ridere e, tergendosi una lacrima di ilarità, esalò: “Oh, povero caro! Pensano che tu e Lance messi insieme, senza contare i tuoi quattromila lupi, non siate sufficienti per proteggerla?”

“Evidentemente...”

Sbuffò sonoramente, quasi per sfogare la sua insofferenza ma poi, più calmo, aggiunse: “Insomma, a rigor di logica dovrei essere contento che tanti lupi si preoccupino per la sua salute, ma quando ci rimugino sopra...”

“Perdi le staffe perché Brianna è tua, e la difendi tu” ipotizzò Cecily, comprensiva.

“Esatto. So che ci sono dei precedenti che mi smentiscono, ma va pur detto che nessuno di noi sapeva dell'esistenza dei berserkir.”

“Quella volta, non fu colpa tua. Avevamo ben due dèi, contro di noi. Che ti aspettavi?”

“Credi dovrei permettere loro di formare questa benedetta Guardia Reale?”

“Brianna che dice?”

“Si sbellica dalle risate tutte le volte che ne sente parlare. Non è molto di aiuto.”

Un “ehi, grazie, eh, comunque?!” giunse all'orecchio di Cecily, che ridacchiò in risposta.

“Potremo parlarne ampiamente alla riunione tra Clan a Londra, quest'estate. Così sentiremo cosa dicono tutti i Fenrir.”

“Sarà meglio. Non voglio ritrovarmi con un centinaio di ragazzini esuberanti, che girano per le contee come se pensassero di essere dei novelli Lancillotto.”

La risata di Brie galleggiò come una brezza e Cecily, nel salutare Duncan, disse: “Ne riparleremo, così potremo dividerci questa rogna un pezzo per uno.”

“Grazie, tesoro. E non pensare a Finn. Qui starà bene.”

Cecily lo ringraziò ancora una volta e, quando mise giù il telefono, sospirò e fissò turbata Sabine, che sedeva accanto a lei sul divano.

“Scusami se non ti ho detto di Finn. Mi è parso così sincero, che non me la sono sentita di dirgli di no.”

Scuotendo il capo, Fenrir di Falmouth replicò: “Alla fine, ha fatto bene a entrambi chiarirsi. Ho solo avuto un attimo di panico, ma poi è passato.”

“E ora?”

“Perdiamo un ottimo lupo a causa mia” sospirò Cecily.

“L’amore non si può controllare, Ceel, dovresti saperlo. Finn avrebbe deciso di andarsene indipendentemente da Darcy. Non si può sempre rendere felici tutti e forse, anche se adesso ci appare come una sconfitta, dall’allontanamento di Finn potrebbe anche venire del bene.”

“Lo spero. Soprattutto per lui.”

“Un po’ di fiducia, Fenrir. Non ti ho mai sentita così abbattuta” le sorrise benevola Sabine, dandole una pacca sulla mano.

“Comincio a pensare che Darcy non mandi solo in fregola i miei ormoni, ma riesca anche a spappolare tutta la mia scorza dura” ironizzò mesta Cecily, scrollando le spalle.

“Sarebbe una novità.”

“Resta da vedere se si rivelerà buona o cattiva” sentenziò Fenrir, sospirando.






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N.d.A.: Sarete felici di sapere che, dal prossimo capitolo, si capirà esattamente chi, e cosa, è Darcy.
N.d.A. 2: I titoli dei vari Atti non vi hanno dato qualche suggerimento? ;-)

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Capitolo 11
*** Atto III ***


Atto III
“E allora non è notte se ti guardo in volto,
e perciò non mi par di andar nel buio,
e nel bosco non manco compagnia.
Perché per me tu sei l’intero mondo.”
 W. Shakespeare – Sogno di una notte di mezza estate –
 


 
 
 
Il suono di mille campane d’argento aleggiava nella corte, accompagnata dal canto di ancelle dalla voce angelica.

Arpe dalle corde ottonate erano pizzicate con maestria dai musici della nobile corte, e coppiere in eleganti abiti in seta di ragno offrivano libagioni ai pasciuti invitati del re.

Poiché nessuno avrebbe rifiutato un invito di Oberon, signore degli elfi e padrone della casa di Avalon, nel regno di Alfheimr.

Titania, sua signora e regina, sedeva alla sua destra, riccamente dorata la sua veste, mentre i biondissimi capelli erano ricoperti dei più splendenti fiori del giardino di palazzo.

Pan danzanti suonavano le loro spinette con abile maestria, lanciando accattivanti occhiate alle dilette figliole del re, o alle cortigiane di palazzo.

Uno svolazzare di veli, abilmente trattenuti dalle esili mani delle danzatrici, si intervallava al vagare elegante delle farfalle e degli uccelli boschivi, anch’essi presenti per rendere omaggio a Oberon.

Grande era la festa, magnificenti le opere offerte ai commensali, ma un elfo in particolare sembrava non essere lieto di quell’allegro vociare attorno a sé.

Syldar, fratello minore di Oberon e signore delle terre dei laghi, giaceva sul suo divanetto a mani conserte dietro la nuca.

Il desiderio era spento nei suoi occhi smeraldini, e le belle labbra erano piegate in smorfia pesante.

Da un uomo della sua sensibilità, e dall’occhio attento alle bellezze del creato, ci si sarebbe aspettati che apprezzasse un simile festeggiamento in onore della Madre.

Invece, così non era.

Il suo pensiero pareva distratto da argomenti così cupi da rendere i suoi occhi, solitamente sì belli da risplendere, niente più che uno sbiadito ricordo di essi.

Il nipote Puck, leggiadro e truffaldino come sempre, dopo aver rubato baci e promesse fatue, balzellò allegro fino all’oscuro angolo colmo di tristezza dello zio, e lì sedette.

Porgendo allo sventurato un sorriso consolatorio, il giovane elfo si vide restituire solo un vacuo sguardo.

Questo fece perdere di colpo al nipote ogni voglia di ridere e divertirsi e, più serio di quanto non fosse suo solito, egli domandò: “Cosa porta la sventura sul tuo volto, zio?”

“Nulla che io possa risolvere, mio candido e allegro nipote” replicò l’elfo, omaggiandolo di un breve sorriso.

Passandosi una mano tra la corta zazzera di capelli biondo platino, Puck replicò scontento: “Non accetto una simile risposta, Syldar. Non è lecito che tu rimanga qui in un angolo, senza divertirti. Di’ una semplice parola, e io ti porterò le donne più belle del regno, e potrai giacere con loro fino alla fine dei tempi. Proprio tu, che sei signore di uno dei reami più belli e desiderabili, non riesci ad apprezzare i festeggiamenti per Colei-che-tutto-è?”

Syldar scoppiò a ridere sommessamente nel mettersi seduto e, dopo essersi sistemato distrattamente la bionda chioma ondulata, sorrise affettuosamente al nipote.

Puck non era esente da difetti e, spesso e volentieri, la sua esuberanza verso il genere femminile lo aveva cacciato nei guai.

Non di rado, finendo con l’insultare impunemente diversi nobili del regno di Oberon, o dello stesso Syldar.

Ma se c’era una cosa in cui eccelleva, era l’amore verso la famiglia.

Dandogli una pacca sulla spalla, suo zio disse onestamente: “C’è solo una donna con cui vorrei giacere per l’eternità, e festeggiare con lei le celebrazioni per l’Albero della Vita, caro e premuroso nipote, ma ella non dimora in queste terre, né mai potrà.”

“E a cosa è dovuto un simile scorno, zio?” esalò sorpreso Puck, facendo tanto d’occhi.

Sfiorando le orecchie del nipote, dove si potevano scorgere due diamanti di chiara origine midgardiana, Syldar ammise: “Tuo padre non permetterebbe mai a un’umana di essere mia compagna, essendo ella mortale.”

“Hai donato il tuo cuore a una creatura simile? A una midgardiana, spero! Sono le uniche mortali per cui valga la pena di spendere un pensiero!” cercò di ironizzare Puck, pur non trovando la sua solita verve a dargli man forte.

Era evidente quanto, lo zio, fosse effettivamente preso dalla donna appena accennata.

L’elfo annuì in risposta e aggiunse: “Avrei voluto concedere la grazia del mio sangue al frutto del nostro amore, ma non mi fu concesso. La fonte dell’eterna giovinezza mi fu preclusa da Vivianne1 , e per un tempo superiore a quello concessomi per la mutazione, così dovetti abbandonare anche lui.”

“Ho… un cugino mortale?” esalò Puck, sempre più sorpreso.

“Ebbene, affermi il giusto, nipote. Ma che questo segreto muoia con te, giovane elfo, poiché non è lecito che sangue elfico resti al di fuori di queste sacre terre, come tu ben sai.”

“Vivianne mantiene il segreto da quel giorno?”

“E’ obbligata a mantenerlo, se desidera continuare a vegliare il sonno del suo amato. L’avermi negato l’accesso alla Sacra Fonte, le è quasi costato la vita. L’ho risparmiata unicamente perché so quanto il suo cuore sia turbato dall’odio e dal rimorso.”

Il suo tono fu gelido e assai irritato, sintomo di quanto il tradimento della sua Guardiana lo toccasse ancora.

“Non capisco… perché impedirti l’accesso alla Fonte?” mormorò Puck, dubbioso.

“Vivianne odia i midgardiani, poiché essi decretarono la fine del suo Artù in tempi immemori. Nell’estremo tentativo di salvarlo, lo rapì morente dal suo regno, confinandolo in queste terre per l’eternità a vegetare senza più una vita vera, schiavo di questo posto fino alla fine dei tempi.”

“E’ dunque vero, che Vivianne si prende cura del suo corpo inerme e senza spirito!” gracchiò il giovane elfo, ormai al di là di qualsiasi sorpresa.

“Ciò risponde a verità, nipote. Oberon si infuriò molto, quando scoprì le sue macchinazioni, ma Vivianne è l’unica che può leggere le Divinazioni della Sacra Fonte, perciò non ha potuto farle nulla. Condurlo qui, comunque, non le è servito a nulla, se non a consolare il suo cuore infranto.”

Sospirò, lisciò distrattamente le sete della sua tunica, e aggiunse: “Neppure le acque della Sacra Fonte poterono salvarlo, e così ora vegeta su un letto di foglie e pianto, vegliato dalla sua amata, per il resto dell’eternità. Un corpo senz’anima, non ha valore. Non avrebbe mai dovuto condurlo qui, ma lasciarlo ai suoi prodi guerrieri perché lo tumulassero.”

“Davvero non capisco le donne” sospirò Puck, scuotendo il capo. “Perciò, in spregio al tuo desiderio, ti negò l’accesso alla Fonte, a cui tu puoi accedere solo dietro il suo consenso. Lei non aveva avuto ciò che desiderava, perciò non avresti dovuto averlo neppure tu.”

“Il Fato si burla dei suoi figli, non lo sapevi, Puck?” ironizzò Syldar, scrollando le spalle.

“Molto più di quanto non si pensi” esordì una voce a poca distanza da loro.

Irrigidendosi al solo sentirla parlare, Syldar si volse a mezzo mentre Puck, impallidendo di colpo, puntò i suoi chiari occhi di cielo sul viso niveo di Morgana la Fata.

Nera di capelli come di occhi, la pelle simile all’alabastro più puro, Morgana era da almeno un migliaio di anni la consigliera del re.

E, tra le altre cose, innamorata non corrisposta proprio del biondo Syldar.

Sempre rifiutata, poiché troppo legata al sotterfugio e all’inganno, due doti detestate dall’onesto Syldar, ma non certo da Oberon – che invece le teneva in grande considerazione – Morgana non aveva mai fatto mistero dei suoi sentimenti.

Più di una volta, si era offerta in sposa al fratello del re, e sempre era stata rifiutata con decisione.

Levandosi in piedi per bloccarne le mosse, Syldar si ritrovò ad afferrare solo nebbia e, nel sentire la sua cupa risatina rimbalzare tra le cupole a volta del palazzo, l’elfo rabbrividì.

Puck non perse tempo a osservare l’emanazione spirituale della Fata e, di corsa, cercò di raggiungere per primo il palco di suo padre il re.

Tutto però fu vano.

A Morgana non la si faceva.

Giunta per prima al fianco di Oberon, si inginocchiò graziosamente al suo fianco e, all’orecchio attento del sovrano, confidò il mistero appena scoperto.

Nera fu l’ira che sorse lesta sul suo volto perfetto, e dalle sue labbra sottili, ferale come uno strale, giunse l’ordine di ritirarsi.

Gli ospiti nulla domandarono, né nulla dissero in merito a quell’improvvisa decisione.

Si limitarono a svanire in silenzio nelle loro stanze, tanti servi leziosi e senza spina dorsale.

Soddisfatta e sorridente, Morgana sedette accanto al suo re, mentre una confusa Titania osservava il marito in cerca di spiegazioni.

Puck fissò irritato la Fata e Syldar, muto, scrutò il fratello studiandone l’irritazione sempre crescente.

Quando nessuno, a parte loro, rimase nell’immensa sala dei rifreschi, il vociante e allegro divertimento ormai del tutto dimenticato, Oberon parlò.

“La follia che mi è giunta a orecchio è dunque vera, fratello? Hai copulato con un’umana donandole il tuo seme? Ingravidandola?”

“Rendi meschino un atto d’amore” sottolineò Syldar, irritato dal tono sprezzante del fratello.

Amore? Con una creatura inferiore come una midgardiana?!” sbottò il fratello, gelandolo con lo sguardo.

“Non v’è nulla di inferiore, in lei.”

“Il di lei figlio è in questo regno senza che egli mi sia mai stato presentato?” si informò allora Oberon, la rabbia a stento trattenuta dai suoi pugni tesi.

“Egli è rimasto a Midghard, mio signore e fratello, poiché Vivianne non mi concesse la grazia di renderlo immortale.”

“Quella maledetta strega. Ossessionata dal suo cavaliere senza anima!” ringhiò Oberon, furente e ormai privo di controllo. “Non permetterò che egli rimanga un giorno di più su suolo midgardiano! E’ già passato troppo tempo, e dubito che persino con i miei poteri potrò sistemare questo orrendo guaio, ma non permetterò mai che un figlio di Alfheimr rimanga sul suolo infetto di Midghard!”

“Non puoi strapparlo al suo mondo come se niente fosse, fratello! Lui ha una sua vita, ha sua madre!” protestò vibratamente Syldar, avanzando di un passo verso di lui, ben deciso a fermarlo.

Oberon schioccò le dita di una mano e, dalle alcove nei muri di bianco marmo, comparvero come per magia le sue guardie armate.

Al cenno del loro re, bloccarono Syldar ai polsi e, con catene d’acciaio siderale, gli negarono qualsiasi utilizzo dei suoi divini poteri elfici.

Negatagli la possibilità di smaterializzarsi a piacimento, l’elfo fissò rabbioso il fratello e sibilò: “Non è un tuo diritto negargli la libertà!”

“Sono il suo re! E lui starà dove è meglio per la sua esistenza, cioè qui!”

La minaccia sibilante di Oberon fu sottolineata dal suo sguardo di pietra.

Scesi i gradini del palco sotto gli occhi orgogliosi di Morgana, quelli terrorizzati di Titania e quelli sconcertati di Puck, il re si pose innanzi al fratello e depose una mano sulla sua fronte.

Come sfogliando un libro, ogni suo ricordo giunse nella sua mente, che scorse ciò che sarebbe stato utile per la sua Cerca.

Ritirandosi come disgustato dalla visione delle memorie di Syldar, Oberon richiamò infine a sé il comandante delle sue guardie.

Dopo avergli ordinato di mettere ai ceppi il fratello, ordinò che una squadra di cacciatori si mettesse alla ricerca di Cordelia Darcy, nella contea midgardiana di Somerset, in Inghilterra.

Ciò detto, osservò irritato il fratello – trascinato via quasi di peso dalla sala dei banchetti – e dichiarò: “Avrei dovuto sapere che il suo divagare da un mondo all’altro, avrebbe portato solo guai. Chiuderò una volta per tutte l’accesso al Bifröst, così che eventi simili non possano mai più avvenire.”

Ciò detto, spiegò per filo e per segno al comandante come comportarsi su suolo midgardiano, Morgana al suo fianco sorridente e lieta, come un avvoltoio allettato dal sangue.

Titania sfruttò il momento di distrazione del marito per fingersi sconvolta e, mettendo in scena un principio di svenimento, esalò: “Dèi del cielo!”

Crollando senza forze sulla coltre di cuscini su cui, fino a poco prima, era stata accomodata, Titania lanciò uno sguardo implorante al figlio che, lesto a comprendere, la raggiunse subito.

Oberon, scrutandola dubbioso e, solo in parte, preoccupato, le domandò: “Debbo chiamare la guaritrice, cara? So di essere stato piuttosto brusco, e tu non ami le scene violente, ma…”

“Non temere per me, mio signore e marito. Puck avrà buona cura di me. Tu occupati pure di tuo fratello, così come merita” si affrettò a dire la donna, sorretta dalle mani premurose del figlio.

Il sovrano si limitò ad annuire e, richiamata l’attenzione di Morgana, si diresse con lei verso le segrete del palazzo.

Titania attese che fossero svaniti alla loro vista, prima di dire lesta al figlio: “Dobbiamo andare subito da Cordelia, prima che Oberon chiuda tutti gli accessi!”

“Tu… tu la conosci?” esalò Puck, ormai privo di comprensione, di fronte a quell’intricata faccenda.

“Syldar si confidò con me, una volta, e io lo consigliai di mantenere il segreto per non far infuriare Oberon. Mi domando come Morgana lo abbia saputo.”

“Per un mio errore, madre. A volte, il troppo discorrere è fonte di problemi, e io sono famoso per essere una lingua lunga” sospirò spiacente il giovane.

“Poco importa, ora, diletto figlio. Apprestiamoci a raggiungere il Ponte, prima che tuo padre lo faccia presidiare dai suoi armigeri” sentenziò Titania, sollevando le leggere vesti per meglio correre.

Puck la seguì a ruota, indirizzando furtivi sguardi a destra e a manca per essere certo che nessuno li seguisse.

Discesi in fretta i gradini che conducevano al giardino di palazzo, dove allegri uccelletti canori infondevano un’illusoria serenità a quei luoghi magnificenti, i due fuggiaschi presero la via del vicino bosco.

Senza guardarsi indietro, iniziarono a correre,  sperando che la via fosse ancora libera.

Raggiungere il Ponte con il teletrasporto era impossibile, a causa della barriera di potere che lo circondava, perciò non rimaneva loro altro che sbrigarsi. E pregare di fare in tempo.

Le correnti di potere di quel luogo ancestrale cominciarono a farsi sentire, scorrendo come acqua sulla loro pelle diafana e bellissima e Titania, accigliandosi, sbottò: “Dovrà pagarmi anche questa, Oberon. La veste si sta rovinando tutta, a causa dell’acqua magica del Bifröst!”

Puck rise, quando spinse sua madre verso il ponte e, non appena scorse le famigliari forme del passaggio acquatico, da cui si poteva scorgere Midghard, esclamò: “Solo tu potresti pensare alle tue vesti, in un momento simile!”

“Sono la regina, dopotutto!” replicò lei, gettandosi sotto le cadenti acque che si gettavano sul ponte da un punto imprecisato e invisibile del Cosmo.

 
§§§

Era notte fonda, quando misero piede sull’erba corta e ruvida del Tor.

Sopra di loro, l’arco a sesto del Glastonbury Tor incombeva con la sua ombra cupa, messa in evidenza dal brillare diafano e gelido della luna alta in cielo.

Rabbrividendo spontaneamente, Titania si strinse nel suo abito leggero e sussurrò preoccupata: “Non rammentavo Midghard così cupa e fosca, diletto figlio.”

“La notte rende tutto molto più oscuro e pericoloso, anche i luoghi più belli” assentì lui, avvolgendole la vita con fare protettivo.

Iniziando la discesa verso valle, le loro due sole figure nel mezzo della notte, principe e regina rimasero in silenzio per tutto il tempo, riflettendo su ciò che era appena avvenuto.

Oberon non avrebbe gradito scoprire il loro tradimento e, presto o tardi, la loro assenza da palazzo sarebbe stata sinistramente notata.

Se già Morgana non aveva sussurrato altre parole di fiele all’orecchio del re.

Se solo fosse stato possibile, Puck l’avrebbe già eliminata da tempo.

I suoi poteri, però, erano assai forti e, non essendo in grado di rivaleggiare con lei, poteva solo sopportarla le poche volte che era costretto a vederla, e rifuggirne lo sguardo le restanti.

Davvero non capiva come riuscisse ad avere così potere sul re suo padre e come, addirittura, fosse riuscita a farsi designare come suo consigliere personale.

Aveva più di un sospetto, ma non li avrebbe mai messi a voce, soprattutto non davanti alla madre.

Non era il caso di cercare di conoscere le cose, quando queste potevano essere foriere di dolore per colei che più amava.

No, sarebbe rimasto in silenzio almeno per una volta.

Già il suo parlare a sproposito, e il suo ficcare il naso, avevano messo nei guai lo zio.

Ora giaceva coi ceppi alle braccia e alle gambe in qualche segreta del palazzo, impossibilitato a teleportarsi a causa dell’acciaio che ne mordeva le carni immortali.

Anche di quello avrebbe dovuto rendere conto ma, se si fosse impegnato a salvare il cugino, forse avrebbe fatto almeno una buona azione.

E lo zio lo avrebbe perdonato per la sua lingua lunga.

“Pensi che mio padre infierirà sul fratello? Che cercherà vendetta per l’onta subita?”

“So quello che farà Morgana” brontolò Titania, reggendosi al braccio del figlio nel discendere l’erta discesa inghiaiata. “Sobillerà Oberon con le sue parole fruttate quanto venefiche e, al tempo stesso, verserà nelle orecchie di Syldar il suo desiderio di vendetta nei confronti di colei che lui ha così tanto amato.”

“Com’è Cordelia? Tu la conosci bene?”

“La conobbi anni addietro, e vidi anche tuo cugino. All’epoca aveva otto anni, e giocava nel giardino con un cagnolino. Preferii non rendermi nota a lui per non sgomentarlo, ma temo che ora si renderà necessario farlo.”

“Quanto tempo è passato, da allora?”

“In tutta onestà, non ne ho la minima idea. Il tempo scorre diversamente, in queste terre, e io non so quanta sabbia sia scorsa nella clessidra, da allora.”

“Beh, lo scopriremo presto” sentenziò Puck, dirigendosi verso una vicina fonte di luce.

Glastonbury.

Altre volte era stato a Midghard e, divertito quanto ammaliato da quello strano luogo, aveva girovagato e rallegrato salotti di ogni epoca e di ogni estrazione sociale.

Molto aveva parlato con un antico cantore di storie, tale William Shakespeare di Stratford upon-Avon.

Se non fosse stato per gli obblighi di corte, altre volte si sarebbe recato su quello strano mondo ricco di contrasti per dialogare con lui, ma il tempo era stato tiranno.

Quando infine era riuscito a tornare, di lui aveva trovato solo una tomba ad attenderlo.

Rammentava poco della sua ultima visita – il cielo plumbeo e le esplosioni ogni dove, lo avevano spinto a fuggire a gambe levate – ma sperava che, quella volta, non vi fosse pericolo.

Non voleva che sua madre rimanesse ferita in nessun modo.

“In che direzione, madre?”

“Verso levante. Dovremo costeggiare l’abitato, per raggiungerla, poiché la sua casa costeggia il bosco che vedi laggiù.”

“Molto bene. Non perdiamo altro tempo” assentì Puck.

Prima fossero arrivati, prima avrebbero potuto rintracciare suo cugino per evitare il peggio.

 






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1 Vivianne: o Viviana. E' la Dama del Lago delle leggende Arturiane. Rivisitata e corretta per i miei scopi, ovviamente.

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Capitolo 12
*** 2. ***


2.
 
 


 
 
La primavera, almeno per il momento, sembrava averli graziati da acquazzoni improvvisi e folate di vento gelido.

Visitare i resti dell'abbazia di Glastonbury sotto un temporale, o con un fortunale a scombinare chiome e abiti, sarebbe stato decisamente disagevole.

I ragazzi si aggiravano per le rovine con sorrisi divertiti e aria rilassata, consapevoli che ben presto le loro pene scolastiche sarebbero terminate, a fronte di qualcosa di molto peggio, forse.

Come previsto, l'ipotetica tomba di Re Artù fu il luogo più gettonato e, anche quando la comitiva ripartì per tornare in città, non si parlò d'altro.

Chi imitando le gesta del fantomatico eroe, chi gorgogliando in falsetto per impersonare Ginevra, i ragazzi parevano frenetici e allegri.

Le ragazze, più contenute, osservavano i compagni con ampi sorrisi, e alcune si lanciarono pure in battute entusiastiche, o in autentici cori da stadio.

Tyler, più di tutti, si impegnò per essere il mattatore del gruppo e, forte delle sue capacità mimiche, impersonò un Artù davvero degno di nota.

Artù che, sceso che fu dall'autobus, prese la mano di Cecily per volgerla verso di sé e, ancora pienamente in parte, esclamò: “Voi, gaudente dama dalla fulgida chioma, aiutatemi a scacciar da lo mio core le pene d'amor perduto!”

Tutti risero di gusto, insegnanti compresi e Cecily, non volendo essere da meno, replicò con tono angosciato: “Ma onesto e gentil cavaliere, mai potrei donarvi un cotal sollievo, poiché lo cor mio già di quest'uomo è parte.”

Tyler allora, fissando bieco il professor Darcy, nascose dietro di sé Cecily come a volerla proteggere e, estratta un'illusoria spada, esclamò: “A singolar tenzone io vi sfido, fellone! L'incantevole dama non potrà mai esser vostra!”

Entrando in parte al pari degli altri, William si mise in posa e, estratta a sua volta un'ipotetica spada, declamò con voce tonante: “Pur se di Camelot signore, non lascerò mai la mia diletta al re! Ella per diritto divino mi appartiene, poiché possiede a sua volta lo cor mio, e tra le delicate mani lo protegge con ardore!”

“Sarà la lucente lama dell’onore, a decider di noi due! Orsù, combattiamo!” gridò Tyler, esibendosi in un affondo esagerato.

Darcy stette al gioco mentre Cecily, le mani giunte al petto e l'espressione fintamente terrorizzata, osservava al pari degli altri quell'incontro all'ultimo sangue.

Stephenie e Miranda applaudirono la scena e gli studenti, letteralmente rapiti, iniziarono a fare il tifo, chi per l'uno chi per l'altro.

Allievo e insegnante finsero mosse ai limiti del ridicolo, aggiungendovi suoni onomatopeici e sguardi impegnati, il tutto corredato dai gridolini di Cecily che, da brava dama, era in pena per l'amato.

Quando infine Darcy colpì al cuore uno sventurato Tyler, quest’ultimo crollò a terra con gran stile e, con mano tremante, chiese a Cecily di avvicinarsi.

Presa nella sua le mani di lei, mormorò roco: “Giunge infine la morte, ma lo cor mio è lieto, poiché so che costui sarà degno protettore e onesto cavaliere. Muoio sereno.”

E, con gran diletto delle ragazze, esalò l'ultimo respiro prima di balzare in piedi per esibirsi in profondi inchini e ampi sorrisi.

Cecily e Darcy applaudirono al pari degli altri e la donna, con tono più che ironico, celiò: “Certo che, per fare il buffone, sei proprio fatto apposta.”

“Lo considero un complimento, prof.”

Ammiccando, le fece il baciamano e, giusto per non farsi mancare nulla, concesse medesimo servizio alle altre professoresse, che ridacchiarono deliziate.

Cecily le fissò a dir poco disgustata – ma si poteva essere più galline? – ma non disse niente, limitandosi a sorridere divertita a Darcy.

“Combatti bene, messer cavaliere” dichiarò lei, dandogli una pacca sul petto col dorso della mano.

“Anni di pratica, madama” replicò lui, lanciando un'occhiata a Tyler, in quel momento circondato dalle compagne di corso. “Devo essere geloso?”

“Di Tyler? Per l'amor di Dio!” esalò la donna, scoppiando a ridere. “Quel ragazzo gioca con me perché sa che può farlo, ma non devi temere ci sia del torbido.”

“Non so... ti guarda come un cucciolo adorante. Magari, si è preso una cotta per te” buttò lì Darcy, lanciandole un'occhiata divertita soltanto a metà.

“William, credimi, Tyler non ha una cotta per me” lo tranquillizzò Cecily.

Come spiegare che quello sguardo, bene o male, lo avevano tutti i membri del suo Clan?

“Scusa. Non dovrei neppure pensarle, certe cose” ridacchiò imbarazzato Darcy, scuotendo una mano per liquidare il discorso.

Stephenie, battendo le mani, richiamò all'ordine tutti gli studenti, che ormai erano al limite del controllabile, e disse con tono autoritario: “D'accordo, ragazzi! Pomeriggio libero per tutti. Non pensate neppure di creare guai e, soprattutto, non fatemi pentire di questa scelta. Ci ritroveremo all'albero alle sei di stasera. Mi raccomando!”

Un coro di giubilo seguì la dichiarazione della professoressa e, mentre la fiumana di studenti si allargava a ventaglio nella piazza centrale di Glastonbury, Darcy chiese a Cecily: “Ti andrebbe di venire con me da mia madre? Non abita molto distante da qui.”

“Va bene” assentì lei, salutando con un cenno Miranda e Stephenie che, assieme agli autisti del pullman, se ne andarono a passeggio per il centro.

Dopo aver chiamato un taxi, che li raggiunse in breve tempo, la coppia si fece accompagnare poco oltre i confini della cittadina, in aperta campagna, e lì si fermò dinanzi a un cancello in metallo.

Discesi, William si sorprese di trovarlo aperto – sua madre era solita tenerlo chiuso – e, mano nella mano con Cecily, si incamminò lungo la carreggiata che conduceva al piccolo cottage in sasso.

Dall'ampia canna fumaria del camino usciva uno sbuffo di fumo, segno che sua madre era in casa.

Cecily, osservando l'ampio giardino curato e la struttura semplice del cottage, sorrise e disse: “E' davvero molto carino. Sei cresciuto qui?”

“Sì. Al piano di sopra, nel sottotetto, ci sono le stanze mie e di mia madre, mentre al pianterreno ci sono cucina, bagno e soggiorno. Non è una casa molto grande, ma è calda e accogliente e, visto che siamo sempre stati in due, ci bastava” le spiegò lui, lasciandosi trasportare dai ricordi dell'infanzia.

“Non conoscesti mai tuo padre?” si informò la donna, chiedendosi cosa volesse dire crescere senza padre.

La sua vita, per quanto assurda e strana, era comunque stata piena d’amore, e d entrambi i genitori l’avevano sempre protetta e tenuta al sicuro.

“Mia madre mi disse che morì poco tempo dopo la mia nascita e, di lui, non ho neppure una fotografia. Io somiglio abbastanza a mia madre, perciò non ho idea di che lineamenti potesse avere.”

“Che peccato” sospirò Cecily.

“Lei mi ha sempre detto che era alto, bello e forte, con lunghe chiome bionde e occhi verdi come i miei, ma non so quanto di questo sia vero, e quanto sia fantasia.”

“Non guasta, avere una fantasia così bella” scrollò le spalle la donna, accigliandosi per un istante quando percepì un odore strano nell'aria.

Ma che diavolo...?

Guardandosi intorno furtivamente, per non farsi scorgere da William, si chiese cosa vi fosse di strano nei dintorni ma, prima ancora di poter fare qualsiasi cosa, la porta del cottage si aprì.

Sull'entrata, una figura alta e sottile, avvolta da un gradevole chemisier fiorato, sorrise loro con calore e, passatasi una mano tra la folta chioma castana, ormai tendente al grigio, la donna disse: “William, ciao!”

“Mamma” mormorò lui, lasciando per un momento il fianco di Cecily per abbracciarla.

Beh, ora sapeva da dove veniva l'altezza eccezionale di Darcy.

Sua madre superava abbondantemente il metro e settantacinque e, senza dover faticare molto, ipotizzò che anche il padre fosse stato alto.

Osservandoli con un sorriso sulle labbra, apprezzò quel momento di sincera intimità e calore.

Un attimo dopo, si ritrovò addosso gli occhi azzurri di Cordelia Darcy che, curiosa, domandò: “Non mi presenti la tua amica, caro?”

Scostandosi dalla donna, William allungò una mano in direzione di Cecily e, sorridente, disse: “Lei è Cecily Fairchild, mamma. Io e lei, beh, ci frequentiamo da un po'.”

“Dio sia lodato!” esclamò Cordelia, facendo scoppiare a ridere Cecily, che le strinse la mano con cordialità. “Sono veramente felice di conoscerti, cara.”

“A quanto pare, Darcy non è solito portarle a casa donne da conoscere” chiosò Ceel, strizzando l'occhio all'uomo, che appariva chiaramente in imbarazzo.

“E' molto parsimonioso nel concedermi scoop, questo è sicuro” assentì la donna, invitandoli poi a entrare. “Oggi deve essere un giorno davvero speciale, visto che è la seconda visita di giornata.”

“Sicura che non disturbiamo?” si affrettò a dire William, premuroso.

Sorridendo con amore incondizionato, Cordelia replicò sentitamente: “Tu non potresti mai disturbare, caro. Inoltre, penso che questa visita in particolare ti farà molto piacere.”

Sorpreso, Darcy lanciò un'occhiata confusa a Cecily, che scrollò impotente le spalle.

La padrona di casa li condusse senza ulteriori indugi in un piccolo soggiorno, tutto pannelli di legno, tappeti e colori caldi.

Cecily si fece sempre più guardinga, man mano che lo strano aroma percepito all’esterno, si fece più intenso e stuzzicante.

La matrona, sorridendo allegra al figlio, disse con eccitazione: “Lascia che ti presenti tua zia e tuo cugino, William.”

Sgranando gli occhi per la confusione e la sorpresa, l'uomo fissò lo sguardo sulla bellezza bionda e senza età che, seduta compostamente sul divano in broccato, lo stava guardando con aria timida e sorridente.

Accanto a lei, più spavaldo nei modi e nell'abbigliamento, un giovane dai chiari capelli a spazzola e brillanti orecchini di diamanti ai lobi, gli sorrise deliziato e curioso.

Ma entrambi gli ospiti sgranarono gli occhi un secondo dopo quando, nel loro raggio d'azione, entrò anche Cecily.

Questo riconoscimento silenzioso portò entrambe le parti a irrigidirsi, e gli sguardi si fecero immediatamente preoccupati quanto turbati.

Subito, ogni desiderio di conoscere la famiglia di Darcy si sciolse come neve al sole e, messasi in posizione di difesa, ringhiò: “Chi siete?!”

La bionda donna senza età, letteralmente, impallidì per il terrore e il giovane, levandosi in piedi con le mani dinanzi al volto, esalò turbato quanto spaventato: “Pace, Figlia della Luna. Non siamo qui per portare disordini o sofferenze.”

Cordelia e William li fissarono ai limiti della confusione ma Cecily, preferendo essere scoperta piuttosto che mettere in pericolo il suo uomo e sua madre, replicò gelida: “Siete ljósalfr, vero? Ecco perché l'aura di Darcy era così strana. E' un mezzosangue!”

“Colpevoli, Figlia della Luna” assentì in fretta il giovane, mentre la donna al suo fianco ancora osservava terrorizzata Cecily. “Ma siamo davvero venuti qui in pace e, anzi, volevamo mettere in guardia mio cugino da un pericolo incombente.”

“In guardia?” ripeterono in coro Cecily, Darcy e Cordelia, ma per motivi ben diversi.

Il giovane elfo, sospirando afflitto, asserì: “Permettimi di presentarmi, Figlia della Luna. Io sono Puck, del regno di Avalon, e costei è mia madre Titania, sposa di re Oberon. Al momento siamo fuggiaschi e, oserei anche aggiungere, a un passo dall'essere condannati per tradimento.”

Cecily fece per parlare ma William, ora più furioso che confuso, levò una mano per bloccare qualsiasi altro intervento, ed esclamò: “Siete forse tutti impazziti?!”

“Figliolo, so che è difficile crederci, ma...” iniziò col dire Cordelia, subito azzittita da un'occhiata gelida da parte di Darcy.

Puck e Titania fissarono madre e figlio senza sapere bene cosa dire e Cecily, ben comprendendo la difficoltà dell'uomo, dichiarò torva: “E' la pura verità, William.”

“E tu come puoi saperlo, visto che è la prima volta che li vedi?” le ritorse contro lui, con occhi spiritati e feroci. “E poi,  vuoi spiegarmi perché diavolo continuano a chiamarti figlia della luna?”

Lei fece per rispondere, ma il suo udito sopraffino la mise in guardia, bloccandola sul nascere.

Accigliandosi, Cecily fissò dubbiosa Puck e gli chiese: “Siete stati seguiti?”

“Abbiamo cercato di uscire da palazzo non visti, ma le guardie di mio padre erano già dirette qui per prelevare William, perciò...”

Senza voler sapere altro, la donna prese la via della porta, subito seguita a ruota dagli altri e, a gran voce, lanciò un urlo in direzione del vicino bosco.

“Hati! Mánagarmr!”

William la fissò senza capire, incredulo di fronte al suo sguardo volitivo e, soprattutto, a causa dell'uso di quei nomi ancestrali e senza tempo.

“Cecily, ma cosa...?”

Lei lo fissò spiacente e, mordendosi il labbro inferiore, mormorò: “Non avrei mai voluto fartelo sapere a questo modo, William, credimi. Ma preferisco proteggerti e smascherarmi, piuttosto che vederti trascinato via da un branco di elfi della luce.”

Quell'ultima menzione squarciò un velo nella memoria dell'uomo che, rammentando le antiche favole sui miti nordici e sui Nove Regni, si passò una mano sul viso con aria sconvolta.

“Ora ricordo quei nomi... ma... ma non sono reali, vero?”

“Più di quanto tu pensi” dissero all'unisono Puck e Cecily, gli occhi puntati verso la foresta nelle vicinanze.

Dal folto del bosco, in formazione semicircolare, otto uomini e due donne si avvicinarono alla casa e William, basito, riconobbe tra loro la figura imponente di Hugh.

Titania si strinse al figlio ma Cecily, sorridendole a mezzo, la rassicurò sulle loro intenzioni.

“Sono le mie sentinelle e la mia guardia del corpo. Non vi faranno nulla, Maestà.”

Hugh lanciò un'occhiata rapida a Darcy, che sembrava essere stato appena preso a mazzate in testa e, nell'ossequiare la sua Fenrir, domandò confuso: “Perché c'è questo strano odore, Cecily? E loro, chi sono?”

“Elfi della luce. Sono andata un po' a esclusione, dato che gli altri abitanti dei Nove Regni dovrebbero essere un tantino diversi ma, visto che me l’hanno confermato…” spiegò sbrigativamente lei, facendo spallucce senza terminare la frase.

C’era ben poco da dire, in quel momento. Solo agire.

“C'è lo stesso odore nel bosco, ma abbiamo preferito venire qui e abbandonare il perimetro, quando ci hai chiamati.”

“Avete fatto bene” sospirò Cecily, tornando a guardare spiacente Darcy che, dalle sue ultime parole, non aveva più emesso fiato.

Si stava limitando a guardarla come se non l’avesse mai realmente conosciuta, e a ben d’onde.

Ora si trovava di fronte alla verità, e nel modo più cruento possibile.

Un disastro su tutta la linea, poco ma sicuro.

Impotente, Cecily preferì pensare ad approntare le difese, piuttosto che rimuginare su quel problema di proporzioni bibliche.

“Mi sa che potrebbe svenire da un momento all'altro” borbottò Hugh, contrariato non meno della sua capobranco.

“Che gran casino” sbottò la licantropa, passandosi una mano tra i capelli per l’esasperazione.

Di tutti gli scenari che si era creata in testa per ammettere la verità, questa proprio non l’aveva presa in considerazione.

E chi pensava che lui fosse un mezz’elfo, e che i suoi parenti fossero giunti per reclamarlo?!

Di certo, la sua fantasia non arrivava a tanto.

“Si avvicinano, Fenrir” intervenne a quel punto una delle sentinelle, gli occhi fissi sulla foresta e i sensi all’erta.

Puck emise un fischio di ammirazione e, rivoltosi a Cecily, mormorò ossequioso: “Le mie più sentite scuse, Bianca Signora. Non sono in grado di riconoscere le auree come voi, ma non volevo mancarvi di rispetto, in precedenza, quando non ho usato il vostro titolo onorifico.”

“L'ho ipotizzato, Altezza. Non c'è alcun problema” replicò lei, lanciando un'altra occhiata a Darcy, che ora sembrava in procinto di esplodere.

“Quanto non sa di tutto questo, il mio giovane cugino?” si interessò a quel punto Puck, presagendo guai, e tutti concentrati nello sguardo d’acciaio di William.

“Ogni cosa” dichiarò Cecily, lapidaria. “Rientrate in casa, e non uscite per nessun motivo. Roger, Maurinne, Cody, a guardia dell’entrata. Gli altri, con me.”

Già pronta ad allontanarsi, Darcy la bloccò a un polso, trattenendola accanto a sé mentre gli altri obbedivano lesti agli ordini.

I loro occhi si incontrarono, confusi gli uni, contriti gli altri e lui, con voce resa roca dall'ansia, le domandò: “Cosa vuoi fare?”

“Mostrarti chi è un figlio della luna. E, nel frattempo, pregherò che tu possa non odiarmi troppo per i miei silenzi.”

Scostatasi da lui, lo sospinse poi verso la porta.

“Vai! Entra! E' pericoloso qui fuori, per te!”

“E per te, no?” le ritorse contro lui.

Lei sorrise mesta e, scuotendo il capo, mormorò: “Come vedrai ben presto, no.”

Hugh si affrettò a condurla lontano, fuori dal muro di cinta che proteggeva la piccola proprietà.

William, sospinto all'interno dalle sentinelle di Cecily, si ritrovò nuovamente in soggiorno con la sua strana, nuova famiglia.

Seduti sul divano, che la madre aveva sistemato dinanzi a un'ampia vetrata, Titania e Puck erano già in osservazione della radura dietro casa, mentre Cordelia scrutava ansiosa il figlio.

“Scusami, avrei dovuto raccontarti ogni cosa.”

Darcy crollò su una sedia, si passò le mani su volto e capelli e, infine, esalò: “Mamma... ma che succede?”

“Puck e Titania sono realmente chi dicono di essere, e tuo padre è il fratello di Oberon. Si chiama Syldar, e non è vero che morì poco dopo la tua nascita. Dovette tornare ad Alfheimr per non mettere in pericolo me e te.”

Cordelia lo raggiunse dopo quell'ammissione, gli sfiorò le spalle squassate da tremori violenti e, aggiunse: “Non volevo mentirti, ma sapevo che la verità ti avrebbe sconvolto.”

“Poco ma sicuro” ironizzò aspro lui, lanciandole un'occhiata adirata.

“Arrivano!” esclamò Puck, spostando su di sé l'attenzione di tutti.

Darcy si levò in fretta dalla sedia e si precipitò alla finestra per vedere a sua volta ma, ciò che si presentò al suo sguardo, fu tutto tranne che normale.

O di questo mondo.

Alti elfi dalla bionda chioma, e dalle scintillanti armature brunite, avanzarono verso il gruppo compatto che proteggeva la casa.

Cecily si trovava innanzi a tutti, feroce nella posa e con la chioma scarlatta sparsa dal vento.

“Ma perché è la davanti? Che vuole fare?!” esclamò Darcy, già pronto a uscire per raggiungerla, a dispetto di tutto.

Puck ne bloccò i movimenti afferrandolo al polso e, serio in viso, disse: “E' là perché è la loro Signora, ed è la creatura più potente tra loro.”

“Creatura?” ripeté sconvolto lui.

Un attimo dopo, ebbe le sue risposte.

Uno dopo l'altro, i corpi di coloro che proteggevano la casa mutarono le loro sembianze umane per prendere quelle di enormi lupi, dai manti più disparati e multicolori.

Uno in particolare, però, attirò la sua attenzione e lo portò a reprimere un grido di puro sgomento.

Il lupo più grande, quello che aveva preso il posto di Cecily in maniera così terrificante, si rivelò essere la creatura più bella e fiera che lui avesse mai visto.

Si avventò per prima sugli assalitori, presi alla sprovvista dalla loro presenza, subito seguita a ruota dai suoi compagni che, con mosse rapide e precise, ingaggiarono battaglia con il nemico.

La battaglia fu breve e non cruenta.

Non vi fu spargimento di sangue, e solo un misero tentativo di lotta venne messo in campo dagli elfi, impreparati a quel genere di nemico.

Quando infine la radura fu nuovamente scevra di nemici, Darcy fuggì all'esterno.

Le tre sentinelle di guardia lo lasciarono passare, con uguali uggiolii di sorpresa e William, nonostante tutto, riuscì a non svenire per la paura.

Di corsa, raggiunse il muricciolo di cinta e lo scavalcò con un balzo, nella testa un unico pensiero.

Quel che gli interessava era più importante del suo timore, della sua confusione, di tutto ciò che di sconvolgente gli stava squassando l’animo.

Lui voleva Cecily.

Quando infine si ritrovò dinanzi a quella distesa di lupi enormi – il più piccolo raggiungeva al garrese la sua spalla – esclamò: “Cecily!”

La lupa nivea si volse verso di lui e, con passo esitante, si avvicinò all'umano che l'aveva chiamata, il turbamento ben evidente nei chiari occhi verdi.

Quegli occhi!

Darcy li aveva già visti, in almeno due occasioni.

Non era stato un gioco di luci, ma la pura verità. Il suo lupo aveva cercato di uscire, di prendere il sopravvento sulla donna.

“Cecily...” ripeté lui, con tono più quieto.

La lupa si avvicinò ancora e, quando fu a un passo da lui, si accucciò a terra e, a orecchie basse, uggiolò mogia.

Scodinzolando sull'erba smossa, Cecily lo fissò in cerca di comprensione, la lingua a penzoloni tra i denti e l'espressione più pacifica che il suo muso di lupa le permise.

Darcy la fissò senza parlare mentre gli altri lupi, immobili come statue, osservavano la scena senza fiatare.

Non seppe mai dire quanto tempo passò lì impalato a fissare quegli occhi di giada, ma alla fine si inginocchiò e, con mano leggermente tremante, accarezzò l'enorme capo del lupo bianco.

Cecily scodinzolò più forte e William, lasciandosi sfuggire una risatina isterica, esalò: “Sei tu? Non sto avendo un incubo a occhi aperti?”

Lei abbaiò una volta, facendolo sobbalzare per la sorpresa.

Levato il muso da terra, che venne a trovarsi più o meno alla sua altezza – Darcy era ancora in ginocchio – lo fissò con i suoi profondi occhi verdi e uggiolò.

Lui allora fece la cosa più folle che, una persona comune, avrebbe potuto fare e, con un sospiro, allacciò le sue braccia attorno alla gorgiera del lupo.

E pianse.

Lo fece in silenzio, senza singhiozzi o parole smozzicate.

Pianse e basta e, per tutto il tempo, Cecily rimase ferma mentre i suoi lupi, uno dopo l'altro, si rifugiarono nel bosco per recuperare i propri cambi d'abito.




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Ed ecco che parte dei nodi vengono al pettine. Di sicuro, William avrà un bel mal di testa, e per un po'. :-)


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Capitolo 13
*** 3. ***


 3.
 
 

 
Cordelia, Puck e Titania si recarono in un vicino albergo, per non essere rintracciabili da eventuali staffette elfiche.

Cecily, a tal proposito, si premurò di lasciare con loro tre lupi come ulteriore scrupolo.

Il resto delle sentinelle, tornò nel bosco adiacente Glastonbury e Hugh, fida ombra quale era sempre stata, si accodò alla sua Fenrir e a William per raggiungere il loro albergo.

Sull’ingresso, Hati li salutò per dirigersi furtivamente sul retro – da cui sarebbe entrato per non farsi scorgere dai colleghi della coppia – e Cecily, con un sospiro, entrò al fianco di Darcy.

Non avevano scambiato parola da quando lei aveva ripreso fattezze umane e,  solo grazie a Cordelia, aveva potuto indossare qualcosa per tornare in città.

Certo, spiegare perché indossasse un abito differente da quello con cui era partita, sarebbe stato un po’ difficile, ma era nulla in confronto a quello che le sarebbe spettato fare più tardi.

Spiegare ogni cosa a Darcy.

Naturalmente, Stephenie e Miranda sorrisero divertite nel vederla con un abito differente, e puntarono due occhi curiosi quanto maliziosi su William, che si limitò a nicchiare con abilità.

Lei le mandò debitamente al diavolo e, nel dirigersi verso il piano superiore, sbuffò infastidita prima di imprecare neppure troppo velatamente.

Come aveva fatto a cacciarsi in un guaio così mastodontico?!

Darcy fu lesto a seguirla ma, quando si ritrovarono entrambi sulle scale, lei si irrigidì non poco sotto il suo tocco e disse: “Ti prego. Devo riordinare le idee e, onestamente, non so come farò.”

“Tu? E io cosa dovrei dire?! Sono io, se non erro, quello che ha visto la propria donna diventare un … un… un lupo enorme!” sbottò William, accigliandosi non poco nello stringere con maggiore forza il suo polso.

Entrambi fissarono quel contatto violento tra loro e, subito, gli occhi di Cecily mutarono espressione… e colore.

Fu come veder all’opera un pittore di somma maestria.

Gli occhi non cambiarono semplicemente tono di colore, fusero tra loro le due tonalità per alcuni istanti, come se fossero stati qualcosa di liquido, di fuggevole e, dal blu ghiaccio, passarono al verde pallido.

Lupa e donna si mescolarono dinanzi a lui e, per un istante, desiderò scacciare dalla mente quell’immagine sdoppiata.

Gli serviva avere la testa sgombra, ma sembrava davvero impossibile.

“Ehi, professore, non crede che trattenere a quel modo una donna sia un po’ esagerato, oltre che da maleducati?” disse alle loro spalle un incolpevole Tyler.

Darcy si volse verso di lui con un diavolo per capello, ma fu lo sguardo di Cecily a far impallidire il ragazzo.

“Oh, cazzo!” gracchiò Tyler, fissandola a occhi sgranati.

Un veloce sguardo tra i due riempì i silenzi di entrambi.

Tornato serio, il giovane si accigliò e poggiò una mano su quella del professore, allontanandola da quella di Cecily con fare deciso.

“Devo chiederle cortesemente di scostarsi dalla mia Fenrir, professor Darcy. Non le permetterò di oltraggiarla a questo modo.”

“Che cosa?!” esclamò lui, scostandosi di colpo dalla coppia, quasi avesse visto un fantasma.

Cecily sospirò, infastidita o esasperata, nessuno di loro seppe dirlo con certezza, mentre Tyler si poneva come scudo tra loro due.

William, ormai al limite, ringhiò: “Anche lui?”

“No, William. Calma i bollori. E’ umano quanto te. Anzi, non proprio come te.”

Le ultime parole, la donna le sottolineò con tono vagamente acido, e Darcy accusò il colpo.

Reclinò il capo e sbuffò, infilando nervosamente le mani in tasca.

A quel punto, fu Tyler a nutrire qualche dubbio su quella strana conversazione e, rivoltosi a Cecily, le chiese: “Che faccio?”

“Perché non porti William al bar dell’albergo, e non gli parli un po’ di chi siamo? Io ho bisogno di una doccia immediata, oltre che di un po’ di tempo per riflettere.”

“Come la mia Fenrir comanda” le sorrise lui, malizioso e ubbidiente.

Cecily scosse il capo e, in silenzio, salì le scale per lasciare a Tyler un compito che, in teoria, sarebbe spettato a lei.

A volte, sapeva essere molto codarda.

 
§§§
 
Raggiunti i divanetti nella zona più tranquilla del piano bar dell’albergo dove alloggiavano, Darcy si accomodò, quasi lasciandosi cadere sui divanetti di alcantara verde scuro.

Tyler, si sedette a sua volta, dopo aver ordinato tè verde per entrambi, e sospirò.

Intrecciate le lunghe dita tra loro, il giovane studiò il viso accigliato del suo professore per diversi secondi, decidendo da dove partire per rendere le cose di facile comprensione.

Sì, come no!

Come se fosse facile parlare di dèi, reincarnazioni, poteri ancestrali e mutazioni.

Alla fine, però, si decise a parlare e, sommessamente, iniziò il suo racconto.

“Immagino che, come ogni bravo inglese, lei conosca le leggende norrene, vero?”

“Più di quanto vorrei, onestamente.”

Tyler sorrise tirato, immaginando senza troppa difficoltà che, quel pomeriggio, doveva essere successo qualcosa di non esattamente bello.

Ugualmente, proseguì.

“Come avrà notato, ho chiamato la professoressa con il nome di Fenrir. E’ un titolo onorifico per identificarla come Capoclan di un branco.”

“E Hati? E i mánagarmr?” domandò a quel punto Darcy, sempre più torvo in viso.

“Cazzo! Ha visto anche Hugh e le sentinelle? Ma che cazzo è successo, oggi?” gracchiò il giovane, senza minimamente badare all’etichetta.

“Ne parleremo dopo… forse. Vai avanti, possibilmente senza parolacce” lo sollecitò Darcy, aspro e secco.

“Oookay. Allora, Hati è il terzo in comando e guardia del corpo di Fenrir e, come avrà immaginato, se lui è terzo, c’è anche un secondo in comando, e prende il nome di Sköll. Conosce Sabine, per caso?”

“Sì.”

Tyler non fu incoraggiato a chiedere altro, visto il tono lapidario del professore, così proseguì nel suo racconto.

“I mánagarmr sono gli alfa più forti e, spesso e volentieri, sono le sentinelle del territorio di un clan. La Cornovaglia è il territorio di Cecily, per intenderci.”

“E tu? Perché Cecily ha detto che sei un comune umano?”

“Esistono tre categorie di persone, all’interno di un clan. I mannari, i neutri e gli umani, o nulli, anche se quasi nessuno usa quest’ultimo termine, perché è vagamente dispregiativo. I primi nascono licantropi, o mutano in età adulta tramite morso o ferita da artiglio. I secondi sono figli di mannari, ma non hanno il gene attivo della licantropia, e non possono mutare né con morso, né con ferita da artiglio. Poi ci sono quelli come me, che non sono neppure neutri, e nascono come semplici umani. Nel mio caso, ad esempio, se un giorno vorrò, potrò essere mutato in licantropo.”

William si passò una mano nervosa tra i capelli e, quando il tè venne servito, ne bevve una dose generosa prima di passare alla domanda successiva.

Avrebbe di gran lunga preferito prendersi una sbronza colossale ma, primo, era in compagnia di uno studente, secondo, doveva essere molto lucido per capire quel gran casino.

“Cosa… da cosa nasce questa… mutazione?” riuscì a domandare Darcy, pur se a fatica.

Grattandosi la nuca con espressione imbarazzata, il giovane borbottò: “Vorrei che ci fosse Lady Fenrir, adesso. Lei potrebbe spiegarlo meglio di me.”

“Spiegati come ti riesce meglio.”

“Deve dare per scontato che i miti sono più di quel che sembrano, e cioè non semplici storie della buonanotte. Fenrir non è solo un titolo onorifico… è il nome del nostro capostipite, e Hati e Sköll sono i figli del dio avuti da una donna umana, in seguito divenuta la prima tra le wiccan, le Sagge conosciute. Onoriamo la progenie del nostro capostipite dando i loro nomi alla Triade di Potere di ogni clan.”

“Ora mi prendi in giro” ringhiò Darcy, più che incredulo. Era quasi furioso.

Ma per chi lo stavano prendendo? Per un idiota?

“Affatto. Io non posso parlare in prima persona, perché non ho avuto un simile onore, ma c’è chi ha visto il capostipite della razza. Egli è qui con noi, cammina su questa terra, e ha le sembianze di Lady Fenrir, per l’appunto.”

William scosse il capo, non potendo credere a nulla di quanto riferitogli, pur se ciò che aveva visto quello stesso pomeriggio lo smentiva ampiamente.

Dèi? Miti che diventano realtà? Genti da altri mondi?

Era tutto dannatamente impossibile.

E il lupo di oggi, come te lo spieghi?, ironizzò una vocetta nella sua testa.

Tyler si passò le mani sul viso, vagamente nervoso, e replicò: “Senta, pensa che non mi sia venuto un mezzo infarto, la prima volta che ho scoperto la verità? Tutti volevano tenermi all’oscuro, per poter farmi vivere un’esistenza tranquilla, ma io non sono stato al gioco. Ho scoperto ogni cosa e, quando ho messo alle strette la professoressa, ho avuto il terrore che mi staccasse la testa a morsi. Invece, è stata così gentile da dirmi quello che ancora non sapevo, e mi ha offerto la sua protezione anche quando sarò a Londra, per gli studi. E’ maledettamente in gamba, come Capoclan, e io le voglio bene e la rispetto, perciò veda di aprirsi un po’, come visione d’insieme, perché quella donna ci tiene un sacco a lei!”

Darcy lo fissò senza parlare, e il ragazzo continuò nella sua filippica.

“Ha messo in croce ogni lupo da qui a Londra, per essere certa che tutti  stessero alla larga da lei e, quando Finn si è avvicinato a scuola, per poco non le è venuta una crisi di nervi dalla paura. Penso che meriti un minimo di comprensione.”

William si piegò in avanti, poggiando gli avambracci sulle cosce e, pensieroso, ripensò a tutti i mille, piccoli particolari che aveva notato durante il periodo passato con Cecily.

Ricollegando ogni cosa, col senno di poi, comprese cosa avesse passato per tenerlo al riparo da una verità così scomoda.

Con un mezzo sorriso, mormorò: “Non voleva ferirmi. Allontanarmi.”

“Veda di ricordarlo” sottolineò Tyler, annuendo con veemenza.

Scrutando il viso serio del giovane, Darcy gli domandò: “Quanto tempo hai impiegato, per venire a patti con questo guazzabuglio?”

“Io me lo sono cercato, perciò ho avuto vita facile. Mi pare di capire che invece, lei, abbia avuto un battesimo del fuoco piuttosto violento.”

“E’ dire poco” ironizzò Darcy, ridacchiando.

“Che voleva dire, comunque, la mia Fenrir, con l’affermazione di prima?”

William si alzò in piedi, lo osservò con aria divertita e, come se nulla fosse, dichiarò: “A quanto pare, sono un mezz’elfo, e mio padre viene da Alfheimr. Sempre per rimanere in tema di stranezze.”

Tyler sobbalzò sul divanetto, impallidendo visibilmente, ma a quel punto Darcy aveva ciò che voleva.

Un po’ della verità che, fin lì, gli era stata taciuta per proteggerlo.

E un principio di emicrania che, presto o tardi, si sarebbe trasformato in un mal di testa d’inferno.

Percorsa la scala scavalcando i gradini a due a due, entrò nella stanza di Cecily – sapeva bene che non chiudeva mai, e ora ne conosceva i motivi – e ascoltò assorto il rumore della doccia.

Senza minimamente starci a pensare, aprì la porta del bagno e, dopo essersela richiusa alle spalle – girando la chiave nella toppa, però – disse: “Quand’è che imparerai a chiudere?”

L’acqua venne serrata e Cecily, oltre le porte satinate della doccia, ringhiò: “Pensi davvero che esista qualcuno, su questa Terra, che possa prendermi alla sprovvista? Onestamente, se non avessi voluto farti entrare, neppure saresti riuscito a mettere mano alla maniglia della porta.”

“Scusa se non conosco ancora così bene i tuoi poteri…” iniziò col dire lui, aprendo la porta della doccia per divorarla con lo sguardo. “… ma rimedieremo, non temere.”

Senza darle il tempo di replicare, entrò nella doccia ancora vestito e, schiacciandola contro il muro, si appropriò delle sue labbra.

Fu famelico, senza alcun cenno di delicatezza, e ottenne esattamente ciò che voleva.

Lei si aggrappò al suo maglioncino di cotone e tirò, lacerandolo come se fosse stato burro.

Presa dalla stessa frenesia che colse lui, lo denudò senza badare alla fine che fece fare agli abiti e, quando Darcy si liberò con un calcio delle scarpe, lei riaprì l’acqua.

Un getto bollente si riversò su di loro e l’uomo, ridendo per un attimo, la sollevò con agilità per poi penetrare in lei con un’unica spinta.

Cecily allacciò le gambe alla sua vita, lasciò che lui la cavalcasse al ritmo desiderato, lasciandosi divorare un pezzo alla volta, in un giro interminabile sulle montagne russe.

Più volte mormorò il suo nome, più volte lo mordicchiò al collo, sulle spalle, ben attenta a non estrarre le zanne per ferirlo e lui, con sempre maggiore impeto, la fece sua.

Ansante e soddisfatto, non si mosse finché anch’ella non ebbe raggiunto la vetta e, quando la sentì morbida e cedevole sotto le sue mani, si ritenne appagato.

A quel punto, però, scoppiò in una risata piuttosto imbarazzata e, roco, le disse contro i capelli: “Scusa. Sono stato un autentico troglodita.”

“Credimi. Ho apprezzato” sospirò lei, con voce tronfia e gongolante.

“Non mentirmi più. Non mi importa se dovrai dirmi che vivi mille anni, o che vieni da Marte. Dimmi ogni cosa, perché io voglio sapere tutto di te, voglio condividere ogni cosa, con te” le ordinò con veemenza lui, stringendola in un forte abbraccio.

“Non volevo spaventarti. Scusami.”

“So perché l’hai fatto e, anche se il modo in cui l’ho scoperto non è esattamente il massimo, fa lo stesso. Ora, però, basta bugie.”

Lei annuì e, trovando la forza di ridere a sua volta, disse: “Solo io potevo innamorarmi di un mezz’elfo.”

Darcy allora si scostò per osservarla in viso, incredulo di fronte alla sincerità di quelle parole e lei, arrossendo suo malgrado, mormorò: “Basta bugie, no?”

Annuendo, William calò sulla sua bocca per un bacio caldo e divorante e, dopo un tempo che parve eterno, scostò appena le labbra per sussurrare su quelle di lei: “Ti amo, Cecily Fairchild, Fenrir di Cornovaglia… la lupa più bella che io abbia mai visto.”

Cecily rise e, più sollevata, lo strinse in un abbraccio che fece ansimare di dolore Darcy.

“Ehi… calma… ho le ossa fragili, io…” gracchiò lui, facendola ridere spensierata.

Lei allora lo lasciò andare e, trascinandolo fuori dalla doccia, gli disse: “Ti racconterò ogni cosa, promesso. E, se potrò, ti aiuterò a capire qualcosa di più anche su di te.”

“Eri a conoscenza dell’esistenza di Alfheimr?”

Cecily annuì e, del tutto seria, ammise: “Non ho messo piede personalmente su un altro mondo, se è questo che intendi, ma so di lupi che sono stati in universi diversi dal nostro e, per poco, non abbiamo rischiato di saltare in aria come una pentola a pressione rotta, a causa di questa visita improvvisa in altri lidi. Ti dirò ciò che so e, più tardi, faremo visita a Titania e Puck per la parte di storia che io non conosco, va bene?”

“E’ sempre così, nella tua vita? Sotterfugi, muoversi di notte e di nascosto, evitare la verità?”

“Con quelli che non ci conoscono, sì” ammise lei. “Potrai sopportarlo?”

“Che il mondo vada all’inferno. Io ho te. Posso sopportare le stesse cose che sopporti tu” dichiarò Darcy, sollevandola tra le braccia per condurla a letto.

Al diavolo la cena, i colleghi, tutto quanto. Voleva fare l’amore con lei, riscoprirla un po’ alla volta, amarla senza più ombre tra loro.

 
§§§
 
Titania sorrise benevola al suo sconosciuto nipote e, mentre Puck se ne stava acciambellato su un cuscino accanto alla finestra della stanza, la donna iniziò a parlare di Alfheimr con Darcy.

Cecily, appollaiata sul davanzale della finestra, a muta contemplazione dell’esterno, si sentì domandare da Puck: “Com’è mutare forma?”

Volgendo lo sguardo per scrutare il viso del giovane – in apparenza del tutto umano, orecchie comprese – la donna scrollò le spalle e ammise: “Per me è normale ma immagino che, per chi è nato umano e diventa lupo in età adulta, sia una cosa piuttosto strana. Puoi parlarne con una delle mie sentinelle. Parker è diventato lupo a ventitre anni, perciò saprà risponderti meglio di me.”

Puck la ringraziò con un cenno del capo, e in seguito mormorò: “Non abbiamo le orecchie a punta per un motivo molto semplice. C’è chi fece uno scherzo di dubbio gusto, a suo tempo, e questo creò il disguido.”

“Oh, ma…”

Lui sorrise, no, ghignò, e Cecily si ritrovò a ridacchiare.

“Robin Goodfellow, Puck, … qual è il tuo vero nome, elfo? E che legami hai con Shakespeare? E con questo fantomatico scherzo che vi ha appioppato le orecchie lunghe?”

“Puck è il mio vero nome, ma mi presentai come Robin Goodfellow al caro bardo immortale” ammise il giovane, sorridendole divertito. “Molto di ciò che scrisse in ‘Sogno di una notte di Mezza Estate’ è farina del mio sacco… e dei miei scherzi. E qui ci riporta a quello che ti ho appena detto. Diciamo che mi presentai qui con uno dei miei abiti di scena – sono un ottimo attore di teatro, tra l’altro – e qualcuno non capì la differenza tra una maschera e la mia faccia. Gli elfi della luce non hanno le orecchie a punta. I vostri elfi boschivi, le avevano. Due cose completamente diverse. Ma c’era chi, a suo tempo, non notò la differenza.”

Cecily ridacchiò e Titania, nel sentirli parlare del sommo bardo, intervenne.

“Mio figlio ha sempre amato poeti e scrittori, e qui su Midghard si trovava assai bene, in gioventù.”

“Perché? Quanti anni avresti, scusa?” domandò Cecily, dubbiosa.

Puck ci pensò su un attimo prima di dire: “Settemilaseicentosette, giorno più, giorno meno.”

“Otto, mio caro. Non barare” sottolineò Titania, sorridendogli calorosa.

Puck rise. Cecily e Darcy un po’ meno.

Impallidendo visibilmente, la donna borbottò: “Oh, beh… oookay. Domanda che non dovevo fare, a meno di non voler collezionare un mal di testa d’eccezione. Quindi… ti videro i primi abitanti d’Inghilterra, giusto?”

Oui” assentì lui, come se nulla fosse. “Ed è per questo che conosco la vostra razza. Fui spettatore del vostro sorgere tra le genti.”

“Okay, emicrania in arrivo” borbottò la licantropa, accigliandosi non poco.

“Io ce l’ho già” sottolineò William, indicandosi con aria sconvolta.

“Sono successe molte cose, e in poche ore. E’ normale che sia così” dichiarò Cordelia, seduta accanto al figlio.

“Resta da capire cosa fare per mio padre” sottolineò a quel punto l’uomo, tornando a scrutare con ansia il viso preoccupato di Titania. “Non possiamo permettere che rimanga imprigionato nelle segrete di palazzo.”

“A quest’ora, mio marito avrà già compreso quello che abbiamo fatto, e ci starà cercando. Non sarà nell’animo adatto per ascoltarci, purtroppo.”

Il sospiro di Titania fu seguito da quello di Puck, che scosse il capo con fare disgustato.

“E se facessimo intervenire qualcuno di più cazzuto di Oberon, con tutto il rispetto parlando?” intervenne Cecily, sorridendo speranzosa a Darcy.

“Che intendi dire, lady lupo?” le domandò Titania. Non c’era stato verso di farle usare il suo nome.

La regina degli elfi preferiva chiamarla a quel modo, convinta che fosse il sistema migliore per omaggiarla.

Era chiaro che, per lei, il suo essere sia donna che animale, fosse qualcosa di infinitamente incredibile… e da idolatrare.

“Che presentarci ad Alfheimr con una cavalleria di primordine, potrebbe far desistere Oberon dal farci del male, o fargli capire che non può pretendere che Darcy torni in un mondo che non ha mai visto né conosciuto.”

“A chi stavi pensando?” le domandò lui, curioso.

Quando Cecily disse i loro nomi, non un solo volto rimase impassibile.

Titania, addirittura, impallidì visibilmente e, boccheggiando, esalò una parola che la licantropa non comprese, ma che poteva essere benissimo uno scongiuro.

A quanto pareva, Cecily ci aveva visto giusto. Con una squadra del genere, non si poteva sbagliare.


 

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Capitolo 14
*** 4. ***


4.
 
 
 


Londra le piaceva da una vita ma, in quell'occasione, non riuscì a godersela come aveva sperato, all'inizio di quella gita scolastica.

Certo, le faceva piacere non avere più segreti con Darcy.

L'essersi reciprocamente dichiarati l'aveva resa la donna – e la lupa – più felice del mondo, ma avevano ancora sulla testa una Spada di Damocle enorme.

Visitare la Royal Albert Hall non fu così divertente come si era aspettata, con tutti i grattacapi che aveva in testa, e neppure la presenza di William e Tyler le fu di consolazione.

Dovevano risolvere la questione, e in fretta.

Per ogni precauzione, prima di partire da Glastonbury, aveva fatto trasferire Cordelia e Titania presso una famiglia di licantropi a Plymouth, entro i confini del suo Clan.

Glastonbury era territorio neutro, in cui nessun Fenrir governava e, a turno, lei e Joshua tenevano controllata la zona con le loro sentinelle.

Ma, per un evento unico come quello, era meglio affidarsi alla protezione sostanziosa data da un intero branco di lupi inferociti, e pronti unicamente a renderla felice.

I Clarenson erano persone fidate, e si sarebbero presi buona cura dei loro nuovi ospiti, visto soprattutto quanto era stata lapidaria nel dare ordini.

Forse aveva esagerato, ma quando si trattava di Darcy – e famiglia, a questo punto – non aveva mezze misure.

Puck, sottolineando con le sue azioni la sua fama ben meritata, aveva deciso di seguirli assieme a Hugh e, per sicurezza, l'Hati aveva preferito tenerselo ben stretto al fianco.

Era meglio evitare guai e, visto quanto pareva sovraeccitato l'elfo, la prudenza non era mai troppa.

Non appena furono usciti dal teatro, Miranda propose ai ragazzi un giro per negozi – l'idea di lasciarli soli, il pomeriggio, era naufragata quando Tyler aveva proposto un salto in un night club.

Da bravo fomentatore di guai, aveva compreso subito la necessità che il gruppo rimanesse compatto, perciò aveva fatto del suo peggio per innervosire le loro guide.

Aveva creato abbastanza nervosismo nelle due ignare professoresse perché vietassero loro di girare soli e, al tempo stesso, si era assicurato che i suoi compagni non prendessero iniziative personali.

Cecily ringraziò nuovamente il giovane con un sorriso, cui lui replicò con uno scherzoso inchino e, nel volgersi verso Darcy, mormorò: “Noi dobbiamo sganciarci dal gruppo. Abbiamo appuntamento con Joshua, Fenrir di Londra.”

“Non sarà un problema” assentì lui, avvicinandosi a Stephenie per dirle qualcosa all'orecchio.

La donna ridacchiò maliziosa un attimo dopo e, nell'osservare Cecily con profonda invidia, li salutò e si aggregò al gruppo diretto verso Harrods, che distava poco meno di un miglio da lì.

Confusa, Cecily scrutò il viso sorridente di Darcy, in attesa che lui le dicesse qualcosa.

Il caos della città non era il massimo, quando volevi captare le conversazioni sussurrate.

“Le ho detto che volevo portarti in un negozio di lingerie, per comprarti qualcosa di speciale per stasera.”

La donna sgranò occhi e bocca così tanto, che a lui non restò altro che scoppiare a ridere.

Avvolte le sue spalle con un braccio, la condusse lontano dall'entrata del teatro e, camminando tranquillo lungo il marciapiede, le domandò: “Dove dobbiamo andare, ora?”

Riscossasi al suono della sua voce, Cecily lo fissò malissimo e replicò: “Di tutte le cose che potevi dirle, proprio quella? Sai quante domande mi farà, domattina? E poi, pensi che con Miranda starà zitta? No!”

“Potrei davvero comprarti qualcosa in pizzo nero, sai?”

Lei grugnì qualcosa di incomprensibile a denti stretti ma, un attimo dopo, sospirò e sorrise all'uomo che amava.

Solo lui riusciva a metterla in imbarazzo, farla ridere spensierata, accenderla di passione incontrollata.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenerselo stretto, e convocare Joshua serviva anche a quello.

Voleva un suo parere su quella strana faccenda, e lui era decisamente la persona più saggia che conosceva.

Quando giunsero all'angolo con Kensigton Road, un'auto scura si fermò nelle loro vicinanze e una donna alta, dai corti capelli chiari e la struttura fisica di un'atleta, ne discese in fretta.

Sorridendo a Cecily, disse: “Fenrir, benvenuta. Joshua mi ha mandata a prendervi.”

“Ciao, Gwen. Vedo che vai ancora in palestra con successo.”

Ridendo sommessamente, la donna annuì.

“Mi tengo allenata.”

Poi, lanciando un'occhiata curiosa all'uomo accanto a Cecily, aggiunse: “Tu devi essere il compagno di Fenrir. Io sono Gwendolin, Geri del Clan di Londra. Molto piacere.”

Protesa una mano per stringere quella della donna, William replicò con un sorriso. “Fitzwilliam Darcy, piacere mio. Ricordo male, o i Geri sono i sicari umani del branco?”

“Giusta osservazione” assentì la donna, invitandoli a entrare in auto.

Seguendola alla lussuosa Lexus IS300h, la coppia salì sui sedili posteriori in morbida pelle chiara.

Al volante, Cecily scorse Keith, Freki del branco di Joshua e, sorpresa, fischiò ammirata.

“Caspita! Due assassini in un colpo solo? Joshua voleva essere certo che avessimo la massima protezione!”

Un po' confuso, Darcy la fissò in cerca di spiegazioni e, quando anche Gwen fu salita, Keith mise in moto e ripartì.

“Il bruno silenzioso e cupo si chiama Keith ed è Freki, il sicario mannaro del branco. Mandandoli entrambi, Joshua ha tenuto a sottolineare con qualsiasi lupo errabondo che siamo sotto la sua più stretta tutela.”

“Lupi... errabondi?” ripeté sorpreso William.

Keith prese la parola per la prima volta e, sempre attento al traffico, disse sommessamente: “Il nostro Fenrir lascia le porte aperte ai lupi solitari, a coloro che non vogliono far parte di un branco. Possono anche risiedere in città, se lo vogliono, e senza essere per forza costretti a sottomettersi a lui. Joshua è di larghe vedute, ma pretende anche il massimo rispetto. Se qualcuno sgarra nei confronti degli umani, ha vita breve.”

“Le dispute tra lupi sono frequenti?” si interessò Darcy, vagamente sorpreso.

Come storico, il lato sociologico di tutto quel mondo sommerso lo affascinava non poco.

“Non molto, né tra gli appartenenti ai clan, né tra gli errabondi. In città, è meglio tenere un profilo basso” spiegò Gwen.

“Ha senso. Vista la vostra forza, basterebbe molto poco per attirare l'attenzione” assentì William, pensieroso.

“Parla lo studioso che è in lui” celiò Cecily, dandogli una pacca sul braccio.

Lui le sorrise e, divertito, ammise: “Andiamo, chi è lo storico che può dire di trovarsi davanti a un'intera società mai conosciuta prima? So che non ne posso parlare che con voi, ma già di per sé è un fatto incredibile, e non posso non sentirmi emozionato.”

“Parla come la völva di Fred” ironizzò Gwen, ridacchiando. “Anche lei, per almeno i primi due anni di convivenza con il nostro mondo, ha avuto reazioni simili. Era un treno in corsa pieno di domande.”

“La veggente del Clan di Glasgow, per intenderci” si spiegò meglio Cecily. “E' amica di Brianna, … sai, l'hai vista qualche tempo fa.”

“Brianna McKalister, mi ricordo. E lei è... aspetta, me lo ricordo. La depositaria dell'anima del primo Fenrir.”

“Ha fatto un corso accelerato, ieri sera” dichiarò divertita Cecily.

“Dove? A letto?” buttò lì Keith, noncurante.

Le due donne scoppiarono a ridere e Darcy, grattandosi pensoso una guancia, domandò: “Mi è sfuggito qualcosa?”

“Due cose, in effetti” assentì la compagna. “Primo, i lupi hanno un olfatto piuttosto sviluppato, e l'odore di un Fenrir è molto più persistente degli altri, quindi tu sei come una lampadina accesa in un oceano buio. Tutti sanno che sei mio... e cosa abbiamo fatto assieme ieri notte.”

“Oh” gracchiò lui, non sapendo bene come prendere la notizia.

“Secondo, i mannari non hanno grossi tabù sessuali, anzi, direi che non ne hanno affatto. Non è strano, per noi, parlare di cose simili anche con un perfetto estraneo.”

“E' la cultura umana che ha creato questi tabù, quindi nella vostra non ne esistono.”

“Più o meno. Diciamo che, dal punto di vista della nudità, non ne abbiamo davvero visto che, come avrai notato, i nostri abiti vanno in briciole, quando mutiamo. Se avessimo paranoie sul nostro corpo, sarebbe un guaio. Per quel che riguarda il sesso, anche. Avendo un udito sopraffino, non è insolito sentire cose piuttosto private. Tendenzialmente, costruiamo case con mura insonorizzate, più che altro per non attirare l’attenzione dei vicini umani, ma molti ormai lo fanno soprattutto per non incuriosire gli stessi lupi. Alcuni, invece, lo fanno quasi apposta, a farsi sentire.”

“Parli di Alec, vero?” ironizzò Gwen, mentre Keith si esibiva in un mezzo ghigno.

“Lui ed Erin sono spudorati” brontolò Cecily, con malcelata ironia.

“Parlando di cose sentite, dubito comunque che qualsiasi lupo potrebbe fare del male al tuo uomo, Fenrir.”

Sorpresa, Cecily fissò la chioma bruna di Keith e lui, per spiegarsi meglio, aggiunse: “Non so se è la tua presenza a fare da cassa di risonanza, o se è la sua aura a essere naturalmente così forte, ma emana così tanta pace e tranquillità da avermi quasi fatto passare la voglia di azzannare al collo qualcuno.”

“E detto da un Freki...” esalò sorpresa la donna, che fissò il suo compagno ad occhi sgranati.

“Cosa sono? Una specie di calmante? Un ansiolitico?” ironizzò Darcy, ridacchiando suo malgrado.

“Pare di sì. Un ansiolitico per lupi. Fico! Dovremmo dire a Brianna di farti delle accurate analisi del sangue. Chissà che non si possa scoprire un analgesico lupesco anche per noi, dal tuo DNA. Avremmo la nostra prima aspirina lupesca!”

William fissò Cecily con aria davvero contrariata e lei, scoppiando a ridere di gusto, gli strinse una mano e se la portò al petto, all'altezza del cuore.

Non c'era niente da fare, con lui si sentiva davvero al settimo cielo.

 
§§§
 
Joshua si lasciò andare a un sorriso divertito, dopo aver dato il consueto bacio dietro l'orecchio a Cecily.

In tutta la loro lunga conoscenza, non l'aveva mai vista così serena, così rilassata, così... donna.

Non dubitava che avrebbe potuto ancora scartavetrare una persona, anche solo a parole, ma pareva meno propensa ad azzannare al collo la gente al primo alito di vento.

“Posso dire che ti trovo bellissima, Cecily? Sei a dir poco raggiante” le confidò l'uomo, tenendola per le mani come se fosse stato un padre orgoglioso della propria figlia.

Lei storse il naso, trattenne a stento un sorriso e infine disse: “Posso sempre darti una testata, sai? Giusto per farti cambiare idea.”

Joshua scoppiò a ridere, tornò ad abbracciarla e infine strinse la mano a Darcy, complimentandosi con lui.

“Ceel è sempre stata la Fenrir più nevrotica del gruppo, assieme ad Alec di Bradford. Grazie a te, si è un po' ammansita, e non penso sia solo grazie alla tua particolare aura. Stare insieme a te, le fa bene.”

“Ancora un po', e ti morderò sul culo. Sai che posso farlo” brontolò Cecily, accigliandosi.

Joshua si passò istintivamente una mano sulla parte posteriore dei pantaloni, asserendo: “Guarda che ho ancora il segno dei tuoi denti, se proprio vuoi saperlo. Non ci tengo a fare il bis.”

“Cosa?” esalò Darcy, fissando sbalordito la compagna, che ghignò soddisfatta.

“Cosa vecchia, di una decina di anni fa. I maschietti mi sfidarono a una gara di velocità, tanto per fare i bulletti, e io accettai. Lasciai un marchio indelebile su ogni lupo che superai durante la corsa” gli spiegò Cecily, ridacchiando tronfia. “Cioè, tutti.”

“Molto da te” assentì William, pacifico.

“Vedo che hai già imparato a conoscerla” chiosò Joshua, invitandoli ad accomodarsi in salotto.

“E' il suo caratteraccio che mi ha attirato” ammise con candore l'altro, facendo ghignare soddisfatta Cecily e scoppiare a ridere il resto dei presenti.

“Cecily è unica, in questo” esordì una donna, giungendo con un vassoio pieno di pasticcini.

“Darcy… lei è mia moglie Gretchen. Gretchen, lui è William, il compagno di Cecily” li presentò Joshua, sorridendo all’alta e flessuosa licantropa che era anche sua moglie.

La chioma riccia e bionda circondava un incarnato di pesca, e profondi e saggi occhi azzurri scrutarono il viso di William, sorridendo.

“Ci vuole coraggio ad avvicinarsi ai dentacci di Cecily, credimi, ma vedo che tu possiedi forza di volontà in abbondanza” motteggiò la donna, stringendo la mano del professore.

Ridacchiando, lui fissò curioso la sua donna e le domandò: “Ma quante chiappe hai morso, oltre a quelle dei Fenrir?”

“Parecchie” ammiccò lei. “E’ un piacere rivederti, Gretch. Ancora non ti sei stancata di stare con questo lupastro lunatico?”

“Che vuoi… ha le sue doti nascoste” ridacchiò la donna, dando una pacca sul braccio al marito, che le diede un bacetto sulla guancia prima di accomodarsi.

Il loft a due piani dei coniugi Ridley era ampio, illuminato da ampie vetrate e lucernai e, come uno spicchio di luna, l’enorme scala che conduceva alle camere, scendeva sino al salotto con grazia e morbidezza.

Era un locale studiato per colpire lo sguardo, per dare ampio respiro pur trovandosi in centro città e, al tempo stesso, concedeva ai suoi proprietari un minimo di privacy.

Nessun altro palazzo, in zona, era più alto del loro. Erano come a un passo dal cielo.

“Molto bene, signori. Ora che siete qui, volete spiegarmi cosa sta succedendo?”

Cecily riassunse brevemente la situazione e, più di una volta, Joshua la interruppe per scrutare con curiosità il viso apparentemente calmo di William.

Pur con tutto quello che era successo in passato, venire a sapere certe cose sorprendeva sempre.

Quando infine William aggiunse, con tono preoccupato, cosa fosse successo al padre e cosa avesse spinto Titania e Puck a oltrepassare Bifröst, tutti sospirarono di sorpresa.

Passandosi una mano tra i corti capelli biondi, tagliati alla paggetto, Gwen fischiò impressionata ed esalò: “E io che pensavo che il viaggio di Brie negli inferi fosse stato epico!”

“Inferi?” ripeté confuso William, fissandola stranito.

“Niflheimr, per essere precisi” gli spiegò Cecily, concisa. “La faccenda è tutta qui e, per come la vedo io, devo andare ad Alfheimr per chiarire la faccenda con mister orecchie-a-punta.”

“Non hanno le orecchie a punta” sottolineò Darcy, quasi distrattamente.

Lei gli fece una pernacchia in risposta.

“Lo so. Ma è più facile credere all’esistenza degli elfi, se li penso con le orecchie di Legolas.”

“E io cosa dovrei dire?” replicò lui, serafico.

Nessuno osò parlare. Dopotutto, lui era un mezzosangue…

“Cosa vuoi che faccia, comunque?” si informò dopo un istante Joshua, riportando la discussione sull’argomento principale.

“Vorrei che aiutassi Sabine con il controllo del mio branco. Non dovremmo stare via molto, se tutto va come spero, ma non vorrei che lei si ritrovasse senza difese, qualora dovessimo avere dei problemi.”

“Non c’è problema. Hugh verrà con te?”

“Credo che dovrei ammazzarlo, per impedirglielo, perciò sì” assentì Cecily con un sorriso. “Perderemo i poteri non appena varcheremo il ponte, ma non me la sento di dirgli di no.”

“Presterò alcune delle mie sentinelle al tuo branco…” dichiarò a quel punto Joshua, annuendo. “… e manderò Keith a Falmouth perché prenda le veci di Hati, mentre Hugh non c’è. A questo modo, i tuoi sicari saranno liberi di occuparsi più agevolmente del territorio, visto che Sabine avrà le spalle coperte.”

“Sarà un piacere coprirgliele” celiò Keith, facendo salire sui volti dei presenti più di un sorriso.

“Spero chiederai il permesso, se vorrai coprire qualcos’altro” sottolineò Cecily, squadrandolo con intenzione.

“Fenrir, deve ancora nascere la lupa che mi rifiuti una ruzzolata nell’erba” precisò con sussiego Keith, quasi offeso da quell’appunto.

“Vero” ammise lei, ridacchiando.

Keith non disse nient’altro e William, per la sua pace interiore, si attenne al più casto silenzio.

Meglio non saperle, certe cose.

Cercando di apparire seria, Gretchen allungò il telefono a Joshua e, mantenendosi serafica, mormorò: “Penso che chiamare Lady Fenrir sia il caso, a questo punto.”

“E io che speravo in qualche racconto pruriginoso” ridacchiò Gwen, mandando in malora ogni tentativo di restare seri.

Una risata collettiva si levò tra le pareti del loft, come a esorcizzare il potenziale pericolo a cui si stavano avvicinando.

E mentre Keith iniziava un racconto del passato, in cui menzionò più lupe di quante tutti si sarebbero aspettati, Joshua prese contatti con i diretti interessati per conoscere le loro posizioni.

Quando infine ebbe terminato le telefonate, e i volti di William e Gretchen avevano preso un elegante color purpureo – al contrario di Cecily, Gwen e Keith – Joshua mormorò: “Cosa mi sono perso?”

 
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Sdraiato sul letto accanto a Cecily, una mano rilasciata mollemente sul suo ventre piatto, William mormorò nella semi oscurità della stanza: “Keith è stato il tuo amante?”

Ceel sollevò lenta le palpebre molli, destandosi dal breve sonnellino che si era concessa dopo l’amplesso piuttosto energico da cui erano appena sgusciati, poco tempo prima.

Lo fissò con i suoi profondi laghi di ghiaccio scuro, notò la sua sincera curiosità nei caldi occhi smeraldini e, con un mezzo sorriso, si lappò le labbra.

Senza dire nulla, si mise a cavalcioni sopra di lui e, un morsetto alla volta, lasciò dei segni purpurei sulla sua pelle chiara, facendolo tendere come una corda di violino.

Darcy era uno strano connubio di eleganza e forza, di timidezza e foga, di gentilezza e spregiudicatezza.

Non sapeva mai quale uomo si sarebbe trovata innanzi, una volta raggiunto il letto, e questo la riempiva di delizia.

Complice forse la battuta di Keith, William non si era dilungato molto, a cena, assieme alle colleghe e, adducendo una stanchezza inesistente, era salito in camera ben prima di lei.

Cecily, subodorando qualcosa, aveva fatto finta di niente per un po’ ma, alla fine, si era scusata con le altre ed era salita a sua volta, ritrovandosi poco dopo schiacciata contro la porta della stanza.

Darcy l’aveva sopraffatta, e lei l’aveva lasciato fare.

E quello che ne era seguito era stato compulsivo, pieno di fuoco e, con sua grande sorpresa, l’aveva lasciata stremata.

Umano o meno, mezz’elfo o meno, sapeva come atterrarla, poco ma sicuro.

Ora la sua pelle dalla grana fine, dal sapore di muschio e bosco ombroso, giaceva come un dolce sotto di lei, e Cecily aveva tutta l’intenzione di divorarlo.

“Non mi hai… risposto…” riuscì a dire in qualche modo William, inarcandosi sotto il suo passaggio.

Lei ridacchiò, scivolando con le mani sul suo membro eretto e, massaggiandolo con lente carezze, sussurrò maliziosa: “E’ successo diversi anni fa. A un raduno tra clan in terra scozzese. Lui era venuto per sostituire l’Hati di Joshua, a casa assieme alla moglie che stava per partorire, e… beh… da cosa nasce cosa…”

“Lo amavi?” volle sapere lui, chiedendosi perché fosse così importante saperlo.

“No. Ma il sesso è bello e, quando non hai un compagno, è parecchio frustrante fare tutto da soli” ridacchiò lei, continuando nel suo lento massaggio.

Darcy perse quasi di vista la sua domanda successiva ma, con caparbietà, riuscì a dire: “Non volle diventare tuo compagno. Non gli interessava il potere?”

“I Freki rimangono tali a vita. Non li convinceresti mai a fare qualcosa di diverso” gli spiegò lei, lasciandolo scivolare dentro di sé.

Sospirarono all’unisono, appagati e, lentamente, Cecily iniziò a muoversi. “E poi, nessuno dei due aveva mire simili, quando ci accoppiammo. Era… divertimento. Puro, sano divertimento.”

“Cercherò di convivere con il fatto che sia stato dentro di te” sospirò lui, sorridendole come un bambino capriccioso.

Ceel allora rise sommessamente e gli confidò: “Ci unimmo come lupi, William. Solo come lupi. A Keith piace di più.”

“Oh. Ora non so che dire” esalò lui, afferrandola alla vita per invertire le posizioni.

Avendola sotto di lui, Darcy aggiunse sommessamente: “A ogni modo, non sarà certo stata la prima volta che hai fatto sesso, no?”

Lei scoppiò nuovamente a ridere, stavolta più forte e, nell’avvolgere la vita di William con le gambe, gli domandò ironica: “Ma dobbiamo per forza parlare dei miei amanti, mentre siamo impegnati a fare l’amore?”

“Scusa. E’ che…”

Lui spinse più a fondo e Cecily si inarcò, mugolando come una gatta. Adorava quando faceva così.

“Se ti verrà mai voglia, chiedi a Duncan, il marito di Brianna. Non si unì mai a una lupa, per paura delle ripercussioni che avrebbe potuto avere all’interno del branco. Ebbe solo amanti umane.”

Si interruppe un attimo, ma poi terminò la frase. “Io feci lo stesso ma, quando mi divenne quasi insopportabile trattenere i miei poteri, smisi semplicemente di cercare. Keith è stato uno dei pochissimi amanti mannari che ho avuto. Troppe complicazioni, coi pelosi, comunque...”

“Quindi sei stata…?”

“Astinenza forzata per un sacco di tempo, sì” sospirò affranta lei, facendolo sorridere per un attimo.

“Ma con me non puoi ugualmente usare il tuo pieno potenziale” ritorse dopo qualche istante Darcy, vagamente accigliato.

“Intendi distruggere letti o divellere materassi a unghiate?” ironizzò Cecily, pur comprendendo le sue ansie.

William non riuscì a riderne e lei, afferratogli il viso tra le mani mentre, i loro corpi che continuavano a muoversi mollemente e con dolcezza, mormorò: “La tua aura divora la mia, ma tu non te ne rendi conto. Tutta la mia furia, la mia parte ferina, viene mangiucchiata lentamente dalla tua, che è calma e pura e gentile. E’ come se tu mi stessi accarezzando tutta, in ogni parte del corpo, contemporaneamente.

“E’ questo che senti?” esalò lui, sorpreso e, sì, deliziato all’idea.

Lei accentuò il suo sorriso, annuendo. “Mi spiace non poter fare la stessa cosa per te, ma io sento questo, quando mi tocchi. Per la verità, anche quando non lo fai. Sarà per questo che, fin dal primo giorno, mi sei  parso così speciale.”

William non disse nulla, si limitò a baciarla con ardore e, quando il desiderio li spinse ad accelerare il ritmo, per un attimo gli parve di poter sentire ciò che lei gli aveva appena descritto.

La sentì ovunque, contemporaneamente.

E fu splendido.


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N.d.A: ci avviciniamo alla resa dei conti. Tra un po', qualcuno dovrà scaldare i muscoli. ;-)

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Capitolo 15
*** 5. ***


5.
 
 
 
 
Rientrare da Londra fu quasi un sollievo.

Significava che, finalmente, avrebbero potuto mettere la parola fine a quella brutta situazione. In un modo, o nell’altro.

Di lì a poco, sarebbero terminate le lezioni e sarebbero iniziate le vacanze pasquali.

In quel breve periodo di assenza da scuola, avrebbero compiuto il loro viaggio ad Alfheimr.

Brianna si era dichiarata più che d’accordo con la sua strategia e, con somma sorpresa di Cecily, le aveva assicurato non solo il suo aiuto, ma anche quello di altre due persone.

Questo l’aveva non poco rallegrata e, quando erano riusciti a recuperare anche Cordelia, Titania e Puck dalla famiglia che li aveva ospitati, lei aveva spiegato loro ogni cosa.

La sorpresa e lo sgomento erano stati tali che, per poco, Cecily non era scoppiata a ridere, ma in fondo capiva bene i perché di quelle facce.

Se non avesse conosciuto da tempo la verità, anche lei avrebbe sgranato gli occhi a quel modo.

A ogni buon conto, con Keith alle calcagna – attento a ogni dritta di Hugh in merito al territorio del clan – e Sabine pronta a qualsiasi cosa pur di saperla tranquilla, Cecily si recò infine al Vigrond.

Prima di partire, prima di qualsiasi altra cosa, c’era una promessa che andava mantenuta.

Tyler non era stato affatto felice di sapere che, ben presto, sarebbero partiti per un viaggio così potenzialmente pericoloso.

Quando poi Cecily ne aveva parlato ai mánagarmr, neppure loro si erano dichiarati entusiasti ma, da bravi lupi, avevano preso nota e si erano astenuti dal commentare.

Quell’ultima riunione, prima del viaggio, serviva anche a tranquillizzarli un po’, oltre che a permettere a Tyler di ricevere la sua benedizione di Fenrir.

Qualche tempo prima, lui le aveva chiesto di poter essere mutato in licantropo prima del suo viaggio a Londra, ma lei si era rifiutata di accettare.

Sapeva bene quanto fosse difficile accettare la bestia dentro di sé, oltre al potere della luna sul proprio corpo.

Era un passaggio obbligato per ogni licantropo.

Cecily era stata chiara: non voleva che lui dovesse affrontare l’università con quel peso.

Troppe volte aveva sentito Brianna, o Gordon, lamentarsi di quel problema, a suo tempo, e non voleva che anche Tyler soffrisse allo stesso modo.

Gli era troppo caro, per sottoporlo a un inutile dramma interiore.

Quando infine raggiunsero il centro del bosco, la luna era alta e si rifletteva sulle acque placide del laghetto che proteggeva la quercia sacra.

L’aria era immota, satura degli odori del bosco e degli animali che, muti e terrorizzati, attendevano impazienti che un simile concentrato di predatori si disperdesse al più presto.

Ma quella sera, sarebbero stati al sicuro.

Quella sera, non avrebbero cacciato.

Balzando dalle sponde del lago alla piccola isola erbosa, dove sorgeva la quercia – e dove già si trovava Tyler – Cecily gli sorrise comprensiva e disse: “Benvenuto al Vigrond, cucciolo. La mia tana è tua, per stanotte.”

Reclinando ossequioso il capo, istruito alla perfezione da Sabine, per quella serata così speciale, Tyler mormorò una risposta con tono rispettoso.

“L’onore che mi fai è grande, Fenrir, Signora dei Lupi, Guardiana del Vigrond. Sono tuo umile servo, e metto nelle tue mani la mia vita. Giungo a te come postulante, senza velleità o pretese.”

“Come è giusto che sia, cucciolo.”

Sorrise e gli poggiò una mano sul capo, spingendolo gentilmente a inginocchiarsi dinanzi alla quercia.

Attorno al lago, gli alfa del branco si erano radunati per officiare quel rito benedicente.

Sabine, silenziosa come uno spettro, si inginocchiò accanto a Tyler e, dopo avergli sollevato una mano, incise un dito del giovane con uno stiletto da cerimonia, spillando alcune gocce di sangue.

Tyler non diede adito di aver sentito nulla, da bravo soldato quale sapeva essere, e Cecily sorrise orgogliosa.

Sarebbe stato un lupo di prim’ordine, un domani.

La linfa vitale, scarlatta e pura, gocciolò sulle foglie d’erba corte e sottili.

Fenrir, poggiata una mano sulla corteccia ruvida e nodosa della quercia, esclamò ora a gran voce: “Il suo sangue è per te, Yggdrasil-che-tutto-sorreggi! Costui è tuo figlio, sangue del tuo sangue, carne della tua carne, e la mia preghiera a te è per lui!”

A quel punto, Cecily prese lo stiletto dalle mani di Sabine, si incise a sua volta un dito e lasciò cadere il suo sangue, accanto a quello di Tyler.

La quercia prese a brillare, e il giovane non poté reprimere un sospiro di pura sorpresa, misto a reverenziale timore.

“Le mie più vive felicitazioni, cucciolo. La Madre è con te, in questa notte benedetta” sorrise Cecily, allungandogli la mano sana per aiutarlo ad alzarsi.

Lui la accettò e, quando si ritrovò a fissarla dall’alto del suo metro e novanta abbondante, le sorrise come un bambino la sera di Natale.

Lei desiderò abbracciarlo, cullarlo contro il suo seno, ma si trattenne. Non era il momento delle smancerie, quello.

“E ora, come promesso, il mio dono a te, cucciolo di lupo.”

Ciò detto, Cecily sciolse l’abito leggero che fin lì aveva indossato e, mentre Tyler distoglieva pudico lo sguardo, lei si accucciò a terra, pronta a mutare.

Come sempre, si sentì avvolgere dal potere della terra, fuso in un abbraccio tra amanti con quello della luna e, lentamente, il suo corpo iniziò a mutare.

Le ossa si ruppero, attirando inevitabilmente l’attenzione di Tyler che, con un singhiozzo strozzato, la osservò a occhi sgranati quanto sconcertati.

Piegò il collo all’indietro mentre una folta peluria bianca cominciava a ricoprirla e, quando le sue forme presero quelle di lupo, avvertì prepotente il bisogno di correre, di dilaniare, di uccidere.

La lupa voleva cacciare, ma non era quello il tempo.

Chetò la sua brama di sangue e si concentrò sul giovane che aveva innanzi, sbalordito e sgomento di fronte a una simile mutazione.

La coda scodinzolò potente, fendendo l’aria come una sciabola e, nel muovere la mandibola corredata di zanne affilate, mandò al tappeto Tyler.

Crollando a terra, il giovane la fissò con un mezzo sorriso da ebete e, dentro di sé, Cecily si ritrovò a pensare quanto fosse dolce quel suo sguardo di fanciullo.

Stava rammollendosi troppo, e questo la scocciava un po’, ma sapeva bene quanto il suo essere primordiale non fosse affatto cambiato.

Stava solo… smussando un po’ gli angoli.

E fu per questo che abbassò il muso per leccare il viso di Tyler, cosa che mai aveva fatto prima di allora.

Molti alfa sibilarono per la sorpresa, altri ridacchiarono e Sabine, divertita, celiò: “Oh, cavolo. Tyler, tu si che sei fortunato!”

Il ragazzo in questione, col viso coperto di bava di lupo, si ripulì a fatica e replicò piuttosto confuso: “Tu dici? Io mi sento piuttosto ridicolo, al momento.”

Poi, però, si ritrovò a sorridere tronfio.

“Caspita, prof… cioè, Fenrir, è una lupa da paura. Bellissima. Mi innamorerei di lei all’istante, se fossi un lupo.”

Cecily se ne uscì con una grassa risata lupesca, qualcosa a metà tra un colpo di tosse e un ringhio e Tyler, scoppiando a ridere a sua volta, si arrischiò a grattarla sotto il mento.

Sabine fece per bloccare quel gesto, ma Cecily la sorprese ulteriormente, piegando all’indietro la testa perché il ragazzo continuasse.

“Oh, le piace!” esclamò eccitato Tyler, aggiungendo anche l’altra mano.

Cecily mugolò e, a quel punto, Sabine scrollò le spalle, chiosando: “Okay. Se William non diventerà il Primo Lupo, sappiamo a chi andrà il titolo, a questo punto.”

Parecchi alfa scoppiarono a ridere di gusto e Cecily, volgendo lo sguardo gelido in direzione della sua beta, le trasmise mentalmente un messaggio che la fece azzittire.

Tyler ridacchiò e, nel rialzarsi da terra, continuò nel grattino, dicendo: “Le ha detto di non dire scemenze, Sabine?”

“Non con la stessa eleganza” sottolineò Sköll, sbuffando all’indirizzo della sua Fenrir.

“E’ perché la nostra Fenrir sa che io non vorrei mai essere il suo Primo Lupo. A parte che io sono un ragazzino, e lei una donna adulta, io la vedo come una madre, e lei mi vede come un figlio. Sbaglio, prof?”

Cecily scosse il capo, dandogli così ragione e, sorprendendo se stessa quanto gli altri, si piegò in avanti per permettergli di salire in groppa.

Tyler a quel punto la fissò stranito e Sabine, comprendendo la sua confusione – perché la stava provando a sua volta – gli disse gentilmente: “Vuole che tu salga in groppa. E’ un onore non da poco.”

“Wow” esalò il giovane, gli occhi brillanti come stelle.

Un po’ impacciato, Tyler salì sull’ampia schiena del lupo che, come se niente fosse, si raddrizzò e, con un ululato possente, ordinò ai suoi lupi di mutare.

Ciò fatto, balzò oltre il lago con Tyler in groppa e, assieme al suo nutrito gruppo di lupi, corsero per il bosco per benedire quella notte così speciale.

Sì, Tyler era come un figlio, per lei, e guai a chi l’avesse toccato.

Il Ragnarök, al confronto, sarebbe stato una passeggiata.

 
§§§
 
Sdraiatasi nel letto dopo averne scostato le coltri, Cecily sorrise al viso sonnacchioso di William che, risvegliatosi al suo ritorno, mormorò: “Ehi… com’è andata?”

“Bene. La cerimonia è stata molto bella. Ora dormi, però, perché domani ci aspetta un lunedì noioso e interminabile.”

“Mi spieghi come faremo a prenderci dei giorni assieme, per andare al Tor e oltrepassare Bifröst? D’accordo che, in parte, saremo coperti dalle festività pasquali, ma sei davvero certa che bastino?”

Cecily ridacchiò e, nel dargli un bacio sul naso, si accoccolò contro il suo petto nudo e sussurrò: “Il preside è uno dei miei neutri.”

“Oh.”

Non disse altro. Non ce n’era bisogno, a quel punto.

Era entrato in un mondo di sotterfugi, inganni e parole sussurrate e, anche se non era abituato ad avere una seconda vita, si sarebbe dovuto adattare in fretta.

Specie in previsione del viaggio che, di lì a poco, avrebbero dovuto compiere per raggiungere niente meno che Alfheimr, il regno degli elfi della luce.

La dimora di suo padre.

 
§§§

Grant O’Donnell scrutò perplesso la coppia dinanzi a lui, lanciò un’occhiata esasperata alla sua Fenrir e, infine, borbottò: “Avrei preferito essere avvertito con un minimo di anticipo, Cecily, visto che la scuola la devo gestire io.”

“Lo so, Grant, hai ragione al duecento percento, ma questo casino ci è piombato addosso tra capo e collo nel giro di un giorno, e non posso permettere che un esercito di orecchie a punta spunti dal nulla, per venire a bussare alle porte di casa nostra.”

Cecily giunse le mani in preghiera e, sorridendo al preside, sbatté le palpebre con fare malizioso.

“Non hanno le orecchie a punta” sottolineò per la millesima volta William.

Grant si grattò la pelata incipiente e, sospirando nuovamente, esalò: “In questo momento, ti sto odiando molto, Fenrir.”

“Mi farò perdonare, davvero!” gli promise lei, sorridendogli grata nel reclinare  ancor di più il capo.

Ancora un po’, e avrebbe toccato le ginocchia con la fronte.

“Vedrò di chiamare un paio di sostituti a tempo determinato e, nel frattempo, farò coprire le vostre ore da un paio di colleghi. Hai idea di quanto starete via?” sospirò l’uomo, scuotendo il capo.

“No davvero. Neppure so se il tempo, su Alfheimr, scorre come qui. Ho il dubbio da quando mi è venuto in mente che, nelle leggende, la Terra dell’Eterna Giovinezza si chiamava così proprio perché, in quelle lande, il tempo scorreva lentissimo.”

Grant imprecò, borbottando: “Cristo! Potreste tornare come siete ora, mentre noi saremo già nella tomba? E’ possibile?”

Cecily si limitò a scrollare le spalle, impotente.

Era un pericolo reale, ma nessuno di loro poteva rispondere a questa domanda, neppure Puck o Titania.

Essendo creature praticamente immortali, per loro gli anni non avevano peso, e non si erano mai presi la briga di controllare.

Quanto a Fenrir, non ne sapeva nulla neppure lui, non avendo mai messo piede nella terra degli elfi della luce.

“Beh, non mi rimane che augurarvi buona fortuna, allora” mormorò Grant, scoraggiato.

“Grazie” assentì Cecily, trascinando quasi di peso William fuori dall’ufficio del preside.

Quando furono nuovamente soli, lui le domandò: “Perché mi hai quasi staccato un braccio, pur di trascinarmi fuori di lì?”

“Non volevo che l’ottimismo di Grant ti contagiasse” ironizzò la donna, sollevandosi in punta di piedi per dargli un bacetto.

Lui sorrise, ricambiando pienamente e, nel solleticarle il viso con una carezza, si scostò leggermente per sussurrare: “Sono con te. Niente potrebbe abbattermi.”

Come sempre, di fronte a questi complimenti inaspettati, Cecily arrossì e William, approfondendo il bacio, la avvicinò a sé per sentire contro il suo petto il calore della donna.

Sapeva che la temperatura di un licantropo era normalmente più alta di quella umana, ma quando la abbracciava, diventava a dir poco febbricitante.

E avvertiva su di sé un bargiglio di quello che lei aveva chiamato aura, o almeno così lui credeva.

Perché non sapeva spiegarsi in nessun modo, quel formicolio leggero in ogni parte del corpo, così come la sensazione di essere avvolto dalla seta più morbida.

Si scostarono a distanza di sicurezza, quando avvertirono dei passi lungo le scale, ma il loro sorriso rimase dolce, malizioso, pieno di parole non dette.

Cecily non aveva mai neppure immaginato che innamorarsi fosse così, ma era grata a tutto ciò che conosceva per questa fortuna.

Anche per questo, voleva portare a termine la loro missione quanto prima. Non aveva nessuna intenzione di lasciare a qualcun altro quell’uomo, perché era suo, punto.

Salutarono quasi all’unisono uno dei loro colleghi – che entrò nell’ufficio del preside – e, insieme, scesero le scale senza più toccarsi.

Non ce n’era bisogno.

“A cosa stai pensando?” le chiese però lui, apparentemente impegnato a controllare i gradini della scale.

Sorridendo, Cecily sussurrò: “Sto pensando a come è cambiata la mia vita, da quando ti ho conosciuto… e alle teste che spaccherò, se qualcuno tenterà di sottrarti a me.”

William si lasciò andare a un risolino compiaciuto.

“E’ gratificante sapere che la propria donna sarebbe disposta a diventare Xena, per te.”

“Io sarei meglio di Xena” sottolineò lei, ammiccando.

“Giusto. Saresti Xena e Moro1 al tempo stesso.”

Levando un sopracciglio con ironia, Cecily borbottò: “Fai molto nerd, quando parli di Principessa Mononoke.”

“Miyazaki è un bravissimo mangaka, che ci posso fare?” scrollò le spalle lui, sorridendole innocente.

“Lo so… e il paragone mi lusinga, visto quanto è forte quella lupa” sorrise di rimando lei.

Peccato che non sapessero il loro finale di partita, come per quel film di animazione giapponese.

Sarebbe stato un enorme passo avanti e, soprattutto, un’ottima motivazione per dormire la notte.

 
 
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1: Moro :lupa gigante e senziente che compare nell’anime giapponese “Mononoke Hime” di Hayao Miyazaki.

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Capitolo 16
*** 6. ***


 
6.
 
 
 
 
L’alba si stava impadronendo del cielo, con i suoi tenui colori del rosso e dell’arancione, e il profumo del giorno pizzicava le nari con la sua fragranza.

Lassù sulla collina di Glastonbury, le pietre del Tor di Avalon scintillavano al tocco dei primi raggi del sole.

L’aria frizzante si incuneava tra le falde dell’abito in seta di ragno di Titania che, rabbrividendo leggermente, scrutò il viso del figlio per poi lanciare un’occhiata ai loro compagni.

Cecily e William, poco distanti, erano impegnati in un’accesa discussione con Cordelia, che stava caparbiamente sostenendo le proprie tesi.

Nessuno le avrebbe impedito di partecipare alla missione, a meno di imbavagliarla, legarla e inviarla via Fedex in Australia.

Per motivi simili e dissimili al tempo stesso, i due amanti stavano invece tentando di far ragionare la donna, che però non sembrava per nulla disposta a tornare sui suoi passi.

Fu l’arrivo di un’auto di grossa cilindrata a strapparli alla loro discussione.

Una muscolare Range Rover bianca si fermò a pochi passi da loro, sostando in uno sterrato poco oltre l’assito stradale.

Dall’auto a vetri oscurati uscirono tre persone e Cecily, più che mai sorpresa, esalò: “Non mi avevi detto che sarebbe venuto anche lui!”

Brianna sorrise all’amica, lieta di essere riuscita a sorprenderla.

Senza perdere altro tempo, corse ad abbracciarla e la strinse forte a sé.

“Volevo che fosse una sorpresa.”

“E lo è davvero” mormorò la donna, scostandosi dall’amica per sorridere ai due nuovi arrivati.

Tempest si avvicinò con un sorriso e abbracciò Cecily, prima di dedicare uno sguardo pieno d’amore a Hugh, che ricambiò.

Si limitarono a un bacio veloce, ma i loro occhi dissero molto di più.

Quando fu il turno del bambino alle loro spalle, però, l’atmosfera divenne quasi solenne.

A sorpresa, Cecily si inginocchiò a terra, meravigliando non solo William, ma anche Titania, Puck e Cordelia, che la fissarono a occhi sgranati.

Colma di reverenziale timore, la licantropa mormorò ossequiosa: “E’ un onore incontrarti, Padre Tutto, e sapere che ti unirai a noi in questa missione.”

Il biondo ragazzino scandinavo le sorrise e, presala per mano, la fece rialzare dinanzi a sé, scrutandola poi con i profondi e intelligenti occhi grigi.

“L’onore è tutto nostro, Fenrir di Cornovaglia. Si è entusiasti di partecipare a questa missione di salvataggio, e permettere a quest’uomo di rimanere ove il cuore desidera.”

Sentir parlare un ragazzino di otto anni a quel modo, fece sorgere più di un sorriso.

Ma a nessuno era sfuggito il modo in cui Cecily si era rivolta a lui.

Padre Tutto.

Solo un dio, nel pantheon norreno, meritava quell’epiteto.

William, fissando onorato quel bel ragazzino già alto quasi quanto Cecily, mormorò: “Ho capito bene, e dentro di lui alberga l’anima di Odino?”

La licantropa annuì al pari del berserkr che, sorridendo a Darcy, disse con tono squillante: “Siamo ciò che dici, e molto di più. Ma questo verrà spiegato in un’altra sede, lontano da occhi e orecchie curiosi.”

Ciò detto, lanciò un’occhiata a un gruppo di escursionisti, che si trovavano a poca distanza dalle loro auto.

Quello era il punto di partenza per svariati sentieri, che si inerpicavano verso il Tor e tutt’attorno alla zona di Glastonbury.

Non certo il luogo ideale per parlare di dèi viventi e leggende.

William annuì e Titania, inchinandosi graziosamente al bambino, asserì: “E’ un onore essere in tua presenza, Padre Tutto. Ho molto sentito parlare di te da mio marito.”

“La tua bellezza riempie le leggende di ogni luogo e ogni tempo, Splendente Titania, e siamo lieti di scoprire che, per una volta, esse corrispondono a verità” replicò il bambino, accennando un saluto col capo.

“Sei troppo gentile, Odino.”

Puck si esibì in uno svolazzante inchino, a quel punto e, con un sorriso ironico, disse: “Vi immaginavo più alto, Vostra Solennità.”

Il bambino scoppiò a ridere, una gaia risata fanciullesca e, mentre Titania dava una gomitata nel fianco del figlio, il giovane replicò divertito: “Scoprirai presto quanto siamo alti, giovane Robin Goodfellow.”

“Sarà un onore vedervi con i miei umili occhi, Allföðr.”

Brianna prese subito le redini della situazione, presagendo più chiacchiere di quanto non potessero farne in quel momento.

Nel lanciare uno sguardo spiacente a Puck, che scrollò le spalle, si rivolse infine a Cordelia e disse: “Io mi occuperò personalmente dell’incolumità di tua madre, William. Al resto, penseranno Tempest e Magnus.”

“Ti sono grato, Brianna. Questo mi rincuora un poco, visto che non sono riuscito a convincerla a desistere dal venire con noi” mormorò Darcy, assentendo con sollievo.

Cordelia sorrise alla giovane che, dandole una pacca sulla spalla, asserì: “So cosa vuol dire correre in aiuto dei propri cari, perciò è importante che lei venga con noi.”

Cecily a quel punto batté le mani e, rivolto uno sguardo volitivo verso il colle, dichiarò: “Incamminiamoci, allora. Bifröst ci attende.”

Il gruppo annuì all’unisono e, con passo lesto, si inerpicarono lungo l’erta sterrata che conduceva direttamente al Tor, ora illuminato pienamente dai raggi del sole.

Non occorse molto per raggiungerlo e, quando si furono sincerati che nessuno fosse in vista, Brianna sbirciò i suoi compagni e disse: “Un passo indietro, signori. Le nostre seconde forme sono un po’… ingombranti.”

Cecily fu lesta a trascinare con sé sia Cordelia che William, mentre Titania, Hugh e Puck non ebbero bisogno di sproni.

Si erano già scostati prima ancora che Brianna parlasse.

Pronta, mia cara?

“Quando vuoi, Fenrir.”

Sorridendo, Brie si inginocchiò a terra mentre Tempest, strette le braccia al petto, inspirò a pieni polmoni e serrò gli occhi.

Magnus, a differenza delle due donne, si limitò a reclinare in avanti il capo, il volto rilassato e gli occhi socchiusi.

Sotto gli sguardi strabiliati dei presenti, i corpi dei tre Guardiani mutarono forma, lasciando che Fenrir, Tyr e Odino prendessero il loro posto.

Vi furono sospiri di sorpresa, il fischio ammirato di Hugh e lo sgomento di William e Cordelia.

Prima ancora di poter dire qualsiasi cosa in merito a quello spettacolo insolito, però, Tyr esclamò lesto: “Oltre la barriera del Tor! Giungono dei mortali!”

Fenrir e i suoi quattro metri circa di zampe, pelo bianco e coda, passarono per primi.

A seguire, giunsero Odino e Tyr, a cui si accodò il resto del gruppo.

Nessun umano, a quel punto, avrebbe potuto scorgerli.

Il limbo che separava Midghard da Alfheimr era abbastanza spesso, perché nulla potesse essere scorto oltre la porta del Tor, se non il paesaggio che si trovava all’altro capo del colle.

Cioè prati, campi coltivati e boschi.

Solo occhi mistici, o consapevoli, avrebbero potuto scorgere la zona del limbo.

Limbo che si presentò ai loro occhi come una landa deserta, circondata da nebbie e dallo scintillare altalenante di piccole fate, non più grandi di una lucciola.

Poco oltre, al di sotto del ponte di pietra che si trovava dinanzi a loro, lo scorrere impetuoso di Bifröst.

Tyr e Odino, a quel punto, si strinsero in un abbraccio familiare mentre Fenrir, seduto sulle zampe posteriori, osservava la scena con quello che poteva apparire come un sorriso lupesco.

William, ancora basito di fronte a quella trasformazione, riuscì soltanto a dire: “E’… è semplicemente… inconcepibile.”

Non dissimile fu il commento di Cordelia, ferma accanto a Fenrir che, modesto, teneva la lingua ciondoloni per apparire il più possibile mansueto.

Fu la risata sguaiata di Odino ad attirare l’attenzione di tutti, però.

Si avvicinò a grandi passi a Fenrir e, battuta una mano sulla testa dell’enorme lupo, esclamò: “Non sembreresti pacifico neppure legato a un ceppo!”

“Ci sono già stato, Padre Tutto, legato a un ceppo, e non mi è piaciuto per nulla. E poi, la mia faccia è questa,… che posso farci?” replicò Fenrir, accigliandosi leggermente.

Odino allora tossicchiò imbarazzato, si passò una mano sulla barba bianca e ammise: “Scelta pessima di esempio, scusa. Comunque, per essere un lupo, non sei venuto male.”

Tyr tossicchiò, scoraggiato di fronte ai tentativi del padre di apparire simpatico e, sorridendo spiacente all’amico, disse: “Scusalo, Fenrir. Non è mai stato bravo a socializzare.”

“Lo so” assentì il lupo niveo, accoccolandosi a terra. “Cordelia, vuole accomodarsi sulla mia schiena? Nessuno oserà toccarla, quassù.”

La donna rise vagamente nervosa, ma acconsentì e Titania, sorridendo ai suoi illustri ospiti, mormorò ossequiosa: “Il Regno di Alfheimr è onorato di ospitarvi, signori di Asghard, indipendentemente da quello che dirà mio marito. Prego, seguitemi oltre il ponte. Vi farò strada.”

“E che gli dèi ce la mandino buona” sussurrò Puck, mettendosi al fianco del cugino, che annuì tetro.

Cecily, la mano stretta in quella di William, rabbrividì non appena oltrepassarono il ponte sotto cui scorreva Bifröst.

Calpestarono gioco forza alcune pozzanghere sulle pietre viscide del passaggio spazio-temporale, interamente bagnato dalla bruma sempre più fitta e umida e, terrorizzata, la licantropa esalò: “Non c’è più… è scomparsa…”

“Cosa, Ceel?” le chiese lui, turbato dal suo tono ansioso.

Lei levò due profondi e smarriti occhi blu sul suo viso e, tremando, mormorò: “I miei poteri. Non ci sono più.”

William allora levò lo sguardo a scrutare Hugh, che annuì preoccupato al loro fianco.

“Andati. E la cosa mi da’ un fastidio tremendo. Mi sembra di essere menomato.”

Titania li fissò spiacente. “Purtroppo, il potere della luna qui non ha alcun effetto.”

“Già” assentirono all’unisono i due licantropi.

Darcy strinse un braccio attorno alle spalle della sua compagna che, per la prima volta in vita sua, si sentì realmente smarrita e indifesa.

Certo, finché la prima mutazione non era avvenuta in lei, il suo corpo era stato umano non meno di quello degli altri.

Ma la sensazione di non avere più i suoi poteri, era ben diversa.

Era come se i suoi sensi, un tempo così sviluppati, fossero stati immersi nell’ovatta.

Il suo modo di percepire la terra sotto i piedi, o i profumi che li circondavano, non era neppure paragonabile a quello di un essere umano.

No, era come essere stati ridotti a una larva.

“L’effetto di estraniamento dovrebbe passare nel giro di qualche minuto. Brianna ci è già passata, e mi conferma che è un passaggio temporaneo quanto obbligatorio” intervenne Fenrir, cercando di rassicurare i due mannari.

“Spero davvero che sia temporaneo, perché mi sembra di avere i piedi di pastafrolla” brontolò Cecily, guardandosi le scarpe da ginnastica con fare accigliato.

William le sorrise comprensivo, accentuando la stretta sulle sue spalle e lei, nell’osservarlo dal basso, si strinse a lui e mormorò: “Al momento, sono molto arrabbiata, sappilo.”

“Morderai anche le mie, di chiappe?” ironizzò allora l’uomo, facendo sghignazzare Fenrir, Hugh e Tyr, ma lasciando confusa il resto della combriccola.

Lei gli mostrò la lingua per prima cosa poi, con un mezzo sorriso, asserì: “Potrebbe anche darsi, sai?”

“Potreste spiegare anche a noi? La faccenda mi pare interessante” intervenne Puck, lanciandosi in un sorriso entusiastico.

Cecily fece per parlare ma Fenrir, bloccando i suoi passi, appiattì le orecchie sul capo enorme e ringhiò, portando tutti ad allertarsi.

Cordelia, per sicurezza, strinse maggiormente le mani sul pelo candido del lupo mentre quest’ultimo, con la sua voce tonante, esclamò: “Ljósálfar!”

Tyr non si fece minimamente pregare e, estratta la sua spada con la mano sinistra – la destra mancava, tranciata millenni addietro dal morso di Fenrir – gridò: “Non un passo di più, elfi della luce!”

Odino non fu da meno e, imbracciata la sua fida lancia gungnir, ringhiò con ferocia: “Se non volete essere falciati dalla mia magia, arrestate la vostra avanzata. Odino di Asghard ve lo ordina!”

Il suo ordine venne fatto seguire da un rombo cupo nel cielo e, strizzato l’occhio a una preoccupata Titania, aggiunse solo per le sue orecchie: “La scena è tutto, in certi casi.”

“Quanto è vero!” esalò Puck, eccitato e strabiliato dalle doti magiche di Padre Tutto.

Avrebbe dato tutti suoi averi, pur di poter usare gungnir una sola volta!

La sua energia era così forte che, anche senza essergli accanto, poteva avvertirla sulla pelle come una scarica a basso voltaggio.

Un solo elfo della luce comparve nella radura antistante il ponte sul Bifröst.

Dopo un rapido sguardo allo strano gruppo di nuovi venuti, inchinò rispettoso il capo e mormorò: “Lady Titania, i miei ossequi. Sono restio a chiedervelo, ma dovreste venire con me. Lord Oberon è… piuttosto indispettito.”

La donna, ancora al fianco del possente e fiero Odino, che superava di molto i due metri di altezza, levò fiera il viso e replicò: “Con tutto dovuto il rispetto, comandante Oldar, non verrò. So benissimo che, non solo mio marito non è indispettito, ma furioso, ma vorrebbe anche il giovane che ho qui con me. Bene, come vedi con i tuoi occhi, ci sono ben tre divinità che lo proteggono. Penso che, dopotutto, proseguirò da sola verso la mia dimora.”

L’elfo allora lanciò uno sguardo accigliato al possente Odino, uno piuttosto dubbioso al biondo Tyr e uno terrorizzato verso i denti snudati del niveo Fenrir.

Assentendo, il comandante non poté che dire conciliante: “Se questo è il vostro desiderio, Lady Titania, allora potremmo scortarvi fino a palazzo, così entrambi avremmo ottemperato ai nostri rispettivi doveri… e voleri.

Titania rise sommessamente, annuì e infine disse: “Non sia mai che io ti procuri un danno consapevolmente, Oldar. So bene quanto può essere testardo, mio marito. E, poiché ho cara la vita dei miei soldati, così come dei miei ospiti, proseguiremo con voi,… ma non sotto la minaccia delle armi.

“Non mi permetterei mai di levare un’arma contro di voi, Lady Titania” replicò inorridito l’elfo, facendo tanto d’occhi.

“Un soldato leale” asserì Odino, compiaciuto, rivolgendosi a Titania, che annuì fiera.

La regina volse così lo sguardo verso i suoi soldati, ora comparsi oltre la coltre della foresta e, levate leggermente le vesti per meglio procedere, si mosse per prima.

“Dunque seguitemi, e non temete. La parola di Oldar è degna di essere rispettata. Non ci tradirà.”

Tyr rinfoderò allora la spada, Odino picchiò una sola volta la sua gungnir a terra per ridurla di volume e riporla alla cintura, da cui l’aveva afferrata in precedenza.

Fenrir si limitò a scrollare appena il muso, borbottando: “Il primo che si avvicinerà a me, lo mangerò.”

L’elfo allampanato assentì nervoso e, in fretta, elargì ordini specifici nella sua lingua aulica e musicale.

Cordelia, sorridendo di fronte a una simile reazione istintiva quanto preventiva, carezzò  il capo del bianco lupo, mormorando: “Lo faresti davvero?”

“Se provassero a toccarti? Senza alcun pentimento. Posso essere migliorato come comportamento e carattere, ma so ancora come si combatte. E si vince.”

Ghignò, mostrando la sua perfetta dentatura e Tyr, accanto a lui, scoppiò in una grassa risata.

Puck si unì alla risata e, nel dare una pacca sulla spalla al cugino, esclamò: “Aaah, non vedo l’ora di vedere la faccia di papà! Andrà su tutte le furie!”

William lo fissò preoccupato, e replicò: “E tu ne sei contento?”

Il cugino ghignò, chiosando: “Fa bene a tutti una sana arrabbiatura.”

Cecily scosse il capo al pari di Darcy e, torva, borbottò: “Perché questa cosa non mi piace per niente?”

“Perché sei una donna saggia. Manesca, ma saggia” motteggiò William, dandole un bacio sul capo prima di incamminarsi assieme agli altri.

 
§§§
 
Le alte finestre della sala del trono permettevano un’ampia veduta del cortile interno di palazzo e, poco oltre, della vasta foresta che li divideva da Bifröst.

Non rammentava neppure più le volte in cui si era rifugiata in quei boschi, in assorta contemplazione di Syldar e della sua arpa.

Secoli, millenni, un’eternità intera.

Non contava.

Il tempo non le aveva mai permesso di scalfire il cuore dell’elfo, così come la promessa di una vita piena di piaceri e dissolutezze.

Nulla aveva piegato l’animo di Syldar e, da quando era tornato da Midghard con il cuore colmo di amore, era stato ancora peggio.

Non aveva mai saputo chi fosse stata la mortale – perché su Midghard non esistevano più dee da amare – che gli aveva rubato il cuore, ma l’aveva odiata.

Pur senza conoscerla, aveva riversato su quella sconosciuta tutto il suo livore millenario, sognando giorno e notte di fargliela pagare.

E, grazie a quello sciocco ciarliero del figlio di Oberon, era infine riuscita a scoprire la verità, laddove la sua magia non era mai giunta.

Perché il cuore di Syldar aveva mantenuto intatto e puro il suo sentimento, barricandolo così bene da renderlo inaccessibile.

Farlo imprigionare era stata la prima mossa, assillarlo con le sue richieste, le sue profferte d’aiuto e le sue minacce, il seguito.

Ma nulla lo aveva scalfito. Si era limitato a rinnegarla come donna, come confidente e come consigliera di suo fratello, scacciandola ogni volta.

E, nel frattempo, Oberon aveva messo a ferro e fuoco ogni porta sui mondi per trovare sua moglie.

Titania.

Non le era mai piaciuta ma, in quanto regina degli elfi, aveva sempre dovuto riverirla come sua suddita.

Lei, Morgana, la più grande maga mai conosciuta, si era dovuta prostrare dinanzi a  quell’elfa senza nerbo.

Ma anche Titania, presto o tardi, avrebbe bevuto dall’amaro calice della sconfitta.

Quando fosse infine riuscita a convincere Oberon a scacciarla, lei avrebbe preso il suo posto.

E il potere.

Se non poteva avere Syldar, avrebbe almeno avuto la corona.

Sorrise bonaria, nel lanciare un’occhiata bramosa all’indirizzo del trono ma, quando riportò lo sguardo sulla foresta in lontananza, tremò.

I suoi occhi si spalancarono per la paura e, rabbrividendo, indietreggiò fino a urtare un bacile con l’acqua profumata, che crollò a terra con gran fragore.

Oberon, che era disteso sui suoi divani multicolori, attorniato da ninfe dei boschi, musici e cantori, la guardò accigliato e desideroso di spiegazioni.

“Siamo invasi, mio signore. E da creature che mai, nella vita, avrei immaginato di vedere” esalò, sinceramente preoccupata.

Non aveva mai visto la lancia di Odino ma, se quella brandita dall’uomo barbuto che aveva intravisto, era ciò che pensava, per lei erano guai seri.

Se nessuno poteva batterla, su Alfheimr, quanto a magia, il re di Asghard avrebbe potuto ridurla a brandelli solo schioccando le dita.

Oberon, dal suo divano, scrollò incurante una mano, replicando: “Come potrebbe essere, mia consigliera? Le trombe non stanno squillando, che io sappia.”

“Perché in testa al gruppo di invasori si trova vostra moglie, Lord Oberon” replicò piccata Morgana, disgustata dal fatto che lui non le credesse.

Oberon, a quel punto, si levò di colpo e, teleportandosi in un battito di ciglia fino alla finestra, guardò dabbasso con fare incredulo.

Un attimo dopo, imprecò ben poco signorilmente e, lanciato un grido a una delle sue guardie, ordinò che l’esercito si schierasse nel cortile di palazzo.

“Quella pazza scriteriata… avrei dovuto capirlo che sarebbe impazzita di nuovo.”

Morgana lo guardò prendere la via delle scale con passo affrettato, nervoso e, tra sé, sorrise.

Forse, quel capovolgimento dei suoi piani avrebbe potuto comunque tornarle utile.

Non si era certo aspettata che Titania riuscisse a trovare simili compagni di lotta, né che tornasse con degli umani, ma tant’era.

Non attese molto prima di lanciarsi all’inseguimento di Oberon, ben decisa ad assistere alla disfatta della regina.

 
§§§

Come previsto, l’arrivo al castello coincise con l’arresto dei loro passi.

Cecily si guardò attorno assieme a William, più interessata ai sistemi difensivi del maniero, che alla sua sopraffina bellezza strutturale, o alle sue alte torri merlate.

La pietra con cui era costruito era bianca, simile al gesso, ma molto più brillante, e stendardi dai colori brillanti sventolavano sulle più alte torri di guardia.

Un corno suonò, avvertendo della loro presenza e, quando i portoni di palazzo furono spalancati, Oberon fece la sua comparsa alla testa del plotone.

William, ancora a fianco di Cecily, la tenne saldamente per mano e Titania, sorridendogli, disse: “Non gli permetterò di fare alcunché, nipote, te lo prometto.”

Lui annuì ma, quando vide gli elfi schierati e le armi puntate verso di loro, deglutì a fatica.

Cecily allora si parò distrattamente dinanzi a lui, prima di rammentare di essere senza poteri.

Sospirò, levò gli occhi a guardarlo e mormorò: “Potrei fare ben poco, eh?”

“Prendere una freccia al posto mio, ma davvero non vorrei, Ceel” le sorrise lui, stringendole la vita e mantenendola dinanzi a sé.

Gli costò molto lasciarla esposta al pericolo, ma sapeva bene quanto la donna stesse soffrendo, all’idea di non avere più i suoi poteri.

Le baciò i capelli e mormorò: “Come stai? E’ passato lo stordimento?”

“Sto bene, ma vorrei poter brandire almeno un’arma” brontolò lei, rigida e nervosa.

Osservando lo schieramento nemico, William non poté che darle ragione e Hugh, che si trovava vicino a Tyr, brontolò: “Quanto vorrei una di quelle alabarde. Saprei ben io come usarla.”

“Proveremo a evitarlo, se possibile” mormorò Tyr in risposta, pur brandendo la sua spada.

Quando finalmente Oberon e Titania si fronteggiarono a metà strada, il re degli elfi fissò aspro la moglie e sbraitò: “Che ti è saltato in mente di portare qui quella… quella… feccia asghardiana?!”

Tyr e Odino borbottarono degli insulti, mentre Fenrir si esibiva in un ringhio ben poco rassicurante.

“Quella feccia, come la chiami tu, è qui per difendere nostro nipote dalla tua follia!” sbottò la regina, indicando William.

Lo sguardo di Oberon si spostò in fretta verso di lui e, accigliandosi, l’elfo replicò: “Follia? Solo perché voglio ricondurlo alla sua casa?”

“La sua casa è assieme a sua madre, ai suoi amici, alla sua donna! Non qui!” replicò con astio Titania, prima di inquadrare, a pochi passi da loro, la figura minuta e pallida di Morgana.

Aggrottando la fronte, l’elfa oltrepassò di buona andatura il marito e, senza dare alcun segnale delle proprie intenzioni alla maga, la prese per i capelli e la strattonò con forza.

Presa alla sprovvista, Morgana cercò di bloccarla con la sua magia, ma si ritrovò impossibilitata a lanciare qualsiasi malia.

Cadde così ginocchia a terra e, quando si guardò intorno per comprendere i motivi della sua menomazione, scorse gungnir puntata verso di lei.

Oltre al ghigno furbo dipinto sul volto di Odino.

“Che diamine combini, donna?! Lascia andare la mia consigliera!” sbottò Oberon, sempre più nervoso.

“Consigliera?! Sei davvero così cieco, marito, o le sue carni ti hanno così instupidito da non permetterti di vedere la verità?!” replicò la donna, vedendolo irrigidirsi.

Puck fischiò sorpreso e sì, abbastanza irritato, alla scoperta del tradimento subito dalla madre, ma lei non vi badò.

Continuò a guardare il marito, tenendo la sua amante per i capelli, e sibilò: “Pensi che non lo sappia? Che non abbia sentito il suo odore sulla tua pelle? Tra le mie lenzuola? Sciocco, a crederlo.”

“Qui si mette male” mormorò Cecily, ammirando affascinata la sfuriata della donna.

“In che senso?”

“Ho idea che Titania abbia apprezzato la nostra idea di venire qui, più di quanto non potessimo immaginare.”

William la fissò per un momento senza capire, prima di collegare i fatti.

“Oh… credi che, all’idea di poter avere un esercito così potente al suo fianco, le sia piaciuta soprattutto per dare una lezione al marito?”

“Una donna tradita è capace di tutto, William, quindi non mi stupirei se, oltre a difendere te, non abbia voluto anche punire Oberon” assentì Ceel, continuando a osservare la donna mentre enumerava le molteplici colpe del marito.

Più di un elfo dell’esercito, di fronte a quella scena imbarazzante, fu sul punto di abbandonare lo schieramento, ma Oberon pensò bene di rivolgere loro l’ordine di catturare Titania.

Mai scelta fu più dannosa, o pericolosa.

Tyr non perse tempo e, con poche, rapide falcate, fu dall’elfa.

Fenrir, al tempo stesso, balzò dinanzi allo schieramento nemico sfoderando le sue zanne e Odino, da ultimo, si portò innanzi a Oberon, puntando ora su di lui gungnir.

“Non apprezzo chi leva la voce su una donna, a maggior ragione se questa è sua moglie. Inoltre, se le sue accuse sono reali, non vedo il motivo di punirla per aver detto la verità.”

“Non sei nel tuo regno, Occhio Solo, e non hai potere di comandare sulle mie terre” replicò stizzito Oberon, fissandolo con astio nell’unico occhio buono.

Odino non apprezzò affatto quell’appellativo, per quanto onesto, e ringhiò: “Stai tentando di ferire una delle figlie della luna che, guarda caso, sono alleate dei miei figli… perciò capirai bene quanto il tuo comportamento mi tocchi.”

L’elfo allora passò lo sguardo da lui a Cecily, che ancora si trovava innanzi a William, e replicò: “La femmina dalla chioma rossa, eh? Chissà come dovrà sentirsi spaesata, senza i suoi poteri della notte.”

“Mordo anche in questa forma” ribatté la donna, mostrando i denti come avrebbe fatto da licantropa.

Oberon rise sprezzante, ma a Fenrir non piacque per nulla.

Si volse verso di lui, le fauci spianate e sibilò: “Una sola parola, elfo, e sbranerò uno dei tuoi. Non si offende così impunemente una mia figlia!”

“Mi permetto di fare come voglio, in casa mia, cane.”

“Oh oh” mormorarono all’unisono sia Hugh che Tyr.

“Dietro a Tyr, presto!” sussurrò lesta Cecily, afferrando William a una mano.

Hugh la imitò e Tyr, levando la sua spada, si mise in posizione di difesa, come preparandosi a dar battaglia.

Odino ghignò, indietreggiò di un passo e, lanciata un’occhiata all’enorme lupo, domandò: “Devo far discendere la nostra bella signora?”

“Sì” ringhiò Fenrir, snudando maggiormente le zanne.

Odino non se lo fece ripetere e, dopo aver dato una mano a Cordelia, prese sottobraccio Titania e l’allontanò a sua volta, borbottando: “Quel ragazzo ha sempre avuto un caratteraccio.”

L’elfa si volse a mezzo per capire cosa intendesse dire ma, quando scorse l’alone di luce avvampare attorno al lupo enorme, capì di non dover chiedere nulla.

Nel migliore dei casi, si sarebbe trattato di una cosa terrificante.




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N.d.A.: Che dite, è il caso che proprio Fenrir scateni la sua rabbia? ;-)

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Capitolo 17
*** Ultimo atto ***


Ultimo atto.
“Se sia ben vero che siamo amici,
E ad applauso tutti vi esorto,
Poiché ho promesso che ad ogni torto
A voi causato per inesperienza,
Gentile pubblico, faremo ammenda.”
-Sogno di una notte di mezza estate- William Shakespeare
 
 
 
1.
 
 
 
 
 
Le ampie spalle di Tyr, che superava i due metri di altezza, li ripararono agevolmente dalle onde di energia emesse dal corpo di Fenrir.

Guardandosi le braccia, dove i peli erano ritti per l'energia statica presente nell'aria, Cecily borbottò: “Di questo passo, ridurrà in briciole il palazzo.”

“Odino non si sta limitando a tenere sotto controllo la magia di Morgana, ma anche quella di Fenrir. E' l'unico che può farlo” replicò dinanzi a loro Tyr che, spada in mano e scudo levato a sua difesa, era accigliato e fremente.

“Che intendi dire?” domandò William, tenendo Cecily accanto a sé.

“Che sta permettendo a voi di andarvene dal campo di battaglia per penetrare a palazzo” si limitò a dire Tyr, lanciando un ghigno in direzione di Puck, che assentì torvo.

“E per farlo, Odino lascerà scatenare il Ragnarök a Fenrir?” gracchiò sconvolto Hugh, strabuzzando gli occhi.

Tyr fece per rispondere, ma un'ondata di energia particolarmente violenta li costrinse ad assestarsi meglio sui piedi.

“Gesù, che bordata!” sbottò Cecily, tremando leggermente.

Le sembrava di essere immersa in una vasca di acqua minerale… bollente. Ogni centimetro di pelle frizzava e pizzicava.

“Il grosso dell'esercito è qui fuori per noi. A voi non baderanno! Andate!” ci ordinò Tyr, ergendosi in tutta la sua statura per offrirci maggiore riparo.

Annuendo tra loro, il gruppo si defilò alla svelta e seguì fiducioso Puck che, dopo aver aperto una porticciola, mormorò: “Da questa parte. Passeremo dai corridoi della servitù.”

“Passerei dalle fogne, pur di togliermi da qui” brontolò Cecily, scatenando la temporanea ilarità di tutti.

In un attimo, furono al riparo dalle onde energetiche di Fenrir che, a ogni modo, stavano facendo vibrare l'intero castello come una cassa di risonanza.

I muri ondeggiavano leggermente, trattenendo a stento l'energia del lupo niveo.

Quando infine Puck fece sbucare il loro gruppo sparuto in cucina, nessuno si stupì nel vedere le facce spaventate dei servi.

L'elfo non perse tempo a controllare se stessero bene, preso com'era dalla sua missione.

Ciò che aveva detto sua madre lo aveva colpito, e l'aveva riempito di giusta rabbia.

Come aveva potuto, in tutta onestà, tradire così Titania?!

Certo, sua madre non era esente da vizi e, più di una volta, era stata presa da colpi di testa più o meno folli, ma neppure Oberon era stato sempre perfetto, nella sua lunga vita.

Perché tradirla a quel modo... e con Morgana, poi?!

Aprendo una porta con più rabbia di quanto non avrebbe dovuto, la fece sbattere contro il muro e, con sguardo volitivo, ringhiò: “Laggiù. Verso quelle scale.”

William gli si mise al fianco e, sorridendogli comprensivo, mormorò: “Risolveremo anche questa, cugino, vedrai.”

“C'è poco da risolvere. Mio padre è un fedifrago, e la cosa non mi riempie affatto di gioia” sbuffò l'elfo, pur apprezzando il tentativo del cugino.

“Appena avremo finito, gli taglieremo le palle su un ceppo” chiosò Cecily, con la sua solita delicatezza.

Tre paia d'occhi maschili la fissarono con nervosismo misto a disgusto e lei, scrollando le spalle, borbottò: “E non fate tanto i sensibiloni. Ditelo, che vorreste farlo anche voi!”

“Non leverei mai la mano su un altro uomo a quel modo” esalò Hugh, rabbrividendo al solo pensiero.

Puck e William si unirono al suo giusto terrore, e a Cecily non restò altro che dire disgustata: “Uomini.”

Giunti in fondo al corridoio, dove si trovavano le scale indicate da Puck, l'elfo disse a mezza voce: “Da qui in poi, potremmo trovare qualche guardia. Voi lupi, come siete messi?”

“Equilibrio a posto. Lo stordimento è passato” dichiarò Cecily, dopo aver lanciato un'occhiata interrogativa a Hugh.

“Vi sapete difendere?” domandò ancora, lanciando occhiate intense tutt'attorno, prima di individuare ciò che stava cercando.

Muovendosi lesto, raggiunse un'armatura da cerimonia poco distante e, dopo averla depredata di scudo e lancia, consegnò il tutto a Hugh e Cecily.

“Tu come sei messo, cugino?” domandò poi Puck, scrutando William con interesse misto a preoccupazione.

“Conosco diverse arti marziali, per cui sono a posto. Preferisco avere le mani libere” dichiarò Darcy, lanciando un sorriso incoraggiante a Cecily, che assentì.

“Bene. Siamo più o meno a posto. Procediamo pure... prima che Fenrir butti giù il palazzo con noi dentro” brontolò a quel punto Puck, lanciando un'occhiata torva alle vetrate del corridoio, che stavano vibrando pericolosamente.

Insieme, discesero quindi le scale di pietra e, man mano che il condotto scendeva nel terreno, l'umidore della terra si fece sempre più evidente.

Pur non avendo più l'olfatto sviluppato dei lupi, Cecily percepì senza sforzo il puzzo fastidioso della muffa, e l'umido presente nell'aria.

Era davvero un luogo infido, dove passare del tempo.

Lì, contrariamente a quel poco che avevano visto al pianterreno, le pareti erano scevre di stucchi colorati, e la nuda roccia ricopriva ogni cosa.

Non vi erano finestre di alcun genere, e la luce era garantita dalle torce appese ai ganci da parete.

Indicando silenzioso un corridoio, Puck balzò improvvisamente all'indietro, quando si ritrovò a fronteggiare le lame di tre elfi preposti alla difesa delle celle.

“Non un passo di più, principe, o attacchiamo” lo minacciò la guardia, con tono belligerante.

“Beh, mi vorrai scusare, Sothan, ma vengo a prendere mio zio” sbottò a quel punto il giovane elfo, lanciandosi contro di lui a testa bassa.

Senza perdere altro tempo, anche il resto del gruppo si lanciò addosso al nemico, sorprendendolo non poco.

William disarmò abilmente uno degli elfi, colpendolo al polso con un abile gesto di karate.

Hugh, nel frattempo, ingaggiò un combattimento spada contro lancia con un altro soldato, mentre il terzo tentava di tenere a bada – senza ferirlo – il proprio principe.

Cecily, allora, approfittò delle reticenze di quest'ultimo e, mettendo tutta la sua forza nel brandire lo scudo, lo calò con violenza sulla testa del malcapitato.

Il tonfo produsse un'onda d'urto non indifferente, che fece tremare i denti a Cecily, ma mandò al tappeto il soldato, per gran diletto di Puck.

“Mai visto usare uno scudo a questo modo!” esclamò eccitato.

Lei gli sorrise soddisfatta ma, un attimo dopo, si ritrovò trascinata via dalle mani dell'elfo che, per un soffio, le evitò una brutta ferita da arma bianca.

“Ceel!” esclamò William, terrorizzato.

Al sicuro tra le braccia di Puck, lei urlò: “Tutto bene! Fallo nero, Darcy!”

“Resta qui in un angolo, e intervieni solo con lo scudo” la redarguì Puck, allontanandosi da lei.

Pur sbuffando, Cecily fece come ordinatole e, nell'osservare l'elfo giungere in soccorso del cugino, sperò che nessuno di loro si facesse male.

Nel frattempo, recuperò l'arma del soldato che aveva steso con il colpo di scudo e, così armata, si mise a difesa del corridoio, nel caso in cui giungessero altri elfi.

Non servì a molto.

Hugh finì maldestramente contro di lei, mandandola gambe all'aria assieme alle armi.

Nel bofonchiare imprecazioni a raffica, Cecily si tolse da sotto il pesante corpo del suo Hati e, prima di ricevere un colpo di spada in testa, levò di nuovo lo scudo e urlò: “Non così in fretta, orecchie a punta!”

Hugh ne approfittò per ferire l’elfo di striscio a un fianco, così che Cecily potesse colpire anche lui con lo scudo.

Ansanti e sconvolti da quella battaglia, a cui stavano partecipando senza i loro poteri, i due licantropi si guardarono intorno nervosamente.

Non era cosa da tutti i giorni, per loro, dover lottare senza alcuno dei vantaggi dati dalla loro condizione soprannaturale.

“Tutto bene, Cecily?” domandò Hugh, aiutandola ad alzarsi.

Lei annuì, pur tremando come una foglia, e il suo Hati le sorrise, infondendole coraggio tramite una stretta di mano.

Ceel rispose con un sorriso tremulo e, con lo sguardo, cercò istintivamente William e Puck, sperando che stessero bene.

Notando come, nel frattempo, avessero reso innocuo il terzo soldato, Cecily esclamò: “Volete il mio scudo?!”

“Basta questo!” replicò Darcy, scagliando un sonoro pugno in faccia all'elfo, che stramazzò a terra privo di sensi.

Ansante e soddisfatto, si volse a mezzo per sollevare il pollice in alto e Cecily, sorridendogli, gli corse incontro per abbracciarlo.

“Un vero soldato” mormorò sulle sue labbra, prima di baciarlo con un certo impegno.

Puck, a quel punto, esalò un sospiro affranto e, coprendosi gli occhi, gracchiò: “Vi prego, non innanzi a me! Potrei diventare cieco!”

Scostandosi dal suo uomo, la licantropa diede di gomito a Puck, replicando: “Ci scommetto quante ne hai baciate tu, di donne, nel corso dei millenni. Non fare il falso puritano.”

“Chiedo venia, Lady Lupo, ma vedere è un conto... fare, è un altro.

“Concordo” ammiccò William, prima di guardarsi intorno nervosamente. “Dov'è, Puck? E dove sono le chiavi?”

“La porta è laggiù in fondo, e le chiavi...” mormorò, scrutando veloce il corridoio delle celle. “... ah, eccole! Dovremo provarle tutte, perché non ho idea di quale sia quella giusta.”

“Non importa. Riusciremo a trovarla” sentenziò Darcy, avviandosi lesto per raggiungere la rastrelliera con le chiavi.

Hugh afferrò una torcia per meglio vedere in fondo al cupo corridoio e Cecily, raccogliendo un po' di armi, si accodò a loro mormorando: “Non si sa mai...”

“Ottima idea, Lady Lupo” le sorrise Puck, togliendole di mano un paio di spade.

“Ma perché mi chiami così?” sbuffò a quel punto la donna, piccata.

“Perché, se ti chiamassi Fenrir, mi verrebbe in mente l'altro e, ora come ora, mi fa un po' paura anche il solo pensiero” ammise l'elfo, rabbrividendo.

Assentendo dopo un momento di riflessione, Cecily mormorò mogia: “Non hai tutti i torti, in effetti...”

Pur se nel sottosuolo, le vibrazioni dei poteri di Fenrir erano potenti, e Cecily non aveva idea di quel che stesse succedendo all’esterno.

Odino avrebbe resistito a sufficienza? Gli elfi, o Morgana, lo avrebbero attaccato? E Tyr come stava, in quel momento?

Temeva per Brianna, perché non sapeva quanto avrebbe potuto mantenere il controllo su se stessa, assieme a Fenrir.

Sapeva solo vagamente cosa volesse dire avere un simile potere nella mente. Brianna non ne aveva mai parlato volentieri, e lei si era sempre astenuta dal farle domande.

Ora, però, l'amica e il suo spirito divino, si erano spinti così in là per lei e per William, per permettere a entrambi di vivere serenamente il loro amore.

Non aveva davvero idea di come avrebbe potuto sdebitarsi con lei, ma lo avrebbe fatto, in un modo o nell'altro.

Per non parlare di Tempest. Anche con lei, aveva un debito.

Se fosse successo qualcosa a lei, o a Hugh, non avrebbe avuto più un solo giorno di pace, nella sua vita.

Sospirò nervosa, scacciando quei sordidi pensieri dalla mente e, attenta, si pose a difesa del corridoio assieme a Hugh, mentre Puck e Darcy cercavano le chiavi.

“Okay, cominciamo con questo gruppo” sentenziò Puck, prendendo un mucchietto di chiavi in mano.

Nel complesso, sulla rastrelliera, c'erano più di un centinaio di pezzi di metallo, di ogni genere e forma.

Una dopo l'altra, le chiavi inutili finirono a terra con un sordo tintinnio mentre, dai piani superiori, giungevano le voci preoccupate di servitù e soldati.

Era evidente che, là fuori, lo spettacolo pirotecnico di Fenrir stava tenendo più che impegnati i guerrieri di Oberon.

Nessuno di loro aveva idea di come, il principio del Crepuscolo degli Dèi, si sviluppasse, ma non doveva essere uno spettacolo piacevole.

Per lo meno, non a giudicare dalle grida e dal trambusto proveniente da palazzo.

“Trovata!” esclamò a un certo punto Puck, aprendo in fretta la porta in legno  e ferro della cella.

Il loro entusiasmo, però, fu di breve durata.

All'interno della cella, semisdraiato a terra, Syldar era ancora legato ai ceppi d'acciaio e, da quel poco che videro, era incosciente.

William fu lesto a inginocchiarsi al suo fianco e, con occhi sgranati da stupore e meraviglia, osservò per la prima volta suo padre.

Cecily gli fu subito accanto e, nel poggiargli una mano sulla spalla, mormorò: “Lo libereremo, vedrai.”

“E' mio padre, Ceel... mio padre...” sussurrò, ancora incredulo.

Con mano tremante, scostò i biondi capelli dal viso perfetto dell'uomo che, all'apparenza, non dimostrava più dell'età del figlio.

Quel gesto, pur se delicato, fece risvegliare Syldar che, con occhi vacui e stanchi, puntò lo sguardo sul figlio, senza riconoscerlo.

William allora sorrise, lanciò a Puck uno sguardo supplichevole e il cugino, scrutando dubbioso i ceppi, borbottò: “La chiave deve essere piuttosto grossa, a giudicare dalla toppa. La troverò, promesso.”

Hugh si unì a Puck nella ricerca della seconda chiave mentre Cecily, con l'aiuto di William, mise seduto Syldar contro la nuda e umida roccia.

“Chi... chi siete?” mormorò l'elfo, con voce riarsa.

“Cerco dell'acqua. Tu rimani con tuo padre” replicò Cecily, alzandosi con un sorriso per poi uscire a sua volta dalla cella.

Quelle parole fecero sgranare gli occhi dell'elfo che, scrutando in quelle profondità smeraldine così simili alle sue, esalò scioccato: “Non  puoi... non puoi essere il piccolo Fitzwilliam... tu eri... eri...”

Si bloccò, scuotendo il capo mentre calde lacrime si formavano nei suoi occhi e, tornando a parlare, mormorò: “E' davvero passato così tanto tempo?”

William allora abbozzò un sorriso e, annuendo, asserì: “Più di trent’anni, in effetti. Trentacinque, per l'esattezza.”

“Dèi...” sussurrò, reclinando il capo all'indietro per poggiarlo contro il muro. “... e tu ora sei qui. Perché?”

“E' una questione piuttosto lunga, ma siamo venuti a sapere che ti avevano rinchiuso, perciò...”

Scrollò le spalle e, quando vide tornare Cecily con un bicchiere di peltro, fu lieto di avere qualche secondo in più di riordinare le idee.

Avrebbe voluto chiedergli mille e mille cose, di lui, della sua vita, di come avesse conosciuto la mamma, ma ora era vitale tirarlo fuori da lì.

Avrebbe pensato a questo in un secondo momento, pur se il desiderio di sapere gli faceva tremare le mani.

“Beva, coraggio” gli ordinò gentilmente Cecily, sorreggendo il capo di Syldar per aiutarlo.

“Proviamo con queste!” esclamò nel frattempo Puck, rientrando nella cella assieme a Hugh.

“Nipote...” mormorò Syldar, ancora confuso.

“Zio... hai visto chi ti ho portato?” gli sorrise, armeggiando a fatica con i ceppi.

“Aspetta, Puck. Lascia fare a me. Ti stai ustionando con l'acciaio” lo bloccò William, prendendo dalle sue mani le chiavi che aveva prelevato dalla rastrelliera.

“Molto obbligato, cugino. Faceva un po' male, in effetti” mormorò l'elfo, guardando spiacente i polsi piagati di Syldar.

“E' lo stesso effetto che l'argento ha sulla nostra carne” borbottò contrariata Cecily, scrutando a sua volta le piaghe sanguinanti.

“Argento? Sei una figlia della luna, fanciulla?” domandò Syldar, sorpreso, guardandola con occhi curiosi.

Sorridendo all'elfo, lei annuì e, con una scrollatina di spalle, chiosò: “Ci sono molte cose che dobbiamo dirle, Syldar, ma ora è importante tirarla fuori da qui, prima che ci cada in testa l'intero castello.”

“E' dunque colpa vostra, la vibrazione che si avverte in ogni roccia del palazzo?”

Cecily guardò i suoi compagni con ironia e, quando finalmente William riuscì a trovare le chiavi giuste, commentò: “Diciamo che, per arrivare qui, abbiamo smobilitato la cavalleria.”

 
§§§
 
Le braccia a circondare le spalle di Hugh e William, Syldar venne condotto fuori dalla cella con le dovute precauzioni, mentre Puck e Cecily, armati, aprivano la fila.

Controllato che il corridoio di uscita fosse scevro di protezione, l'elfo sorrise a Cecily e disse: “Pronta, compagna di lotte? Siamo noi a dover difendere il trio dietro di noi.”

“Sarò anche senza poteri, elfo, ma so menare pugni come non mai.”

Puck allora rise, lanciò un sorriso estasiato al cugino – dietro di loro – ed esclamò: “Posso rubartela? La adoro!”

“Provaci e ti uccido, cugino” asserì serafico William, facendo scoppiare nuovamente a ridere l'elfo, che proseguì con Cecily verso le scale.

“Recepito il messaggio, d'accordo. Andiamo, Lady Lupo. La battaglia ci aspetta.”

Scuotendo il capo, ma sorridendo di aspettativa, Cecily seguì Puck armata di spada e scudo, procedendo lesta su per i gradini di pietra.

Syldar, allora, lanciò un'occhiata al suo fianco e domandò: “E' la tua compagna, figliolo?”

“Direi proprio di sì. A quanto pare, sono il suo personale calmante naturale.”

L'elfo ridacchiò, annuendo alla sua risposta apparentemente curiosa, e asserì: “Devi aver preso parte dei miei poteri, allora. Io posso ammansire ogni creatura vivente.”

“Beh, di sicuro, suo figlio ha un effetto benefico su qualsiasi licantropo” motteggiò Hugh, aiutando Syldar a compiere i primi passi della scalinata che li avrebbe ricondotti alla luce.

“Dovrai spiegarmi come hai conosciuto i figli della luna, e come Puck ti ha trovato” mormorò l'elfo, sorridendo al figlio.

“Se potrò, ti subisserò di così tante domande, e risposte, che vorrai scacciarmi via per decenni interi” rise nervosamente William.

“Dubito potrà mai accadere” replicò il padre, scuotendo il capo.

L'urlo improvviso di Cecily interruppe la loro gradevole conversazione ma, prima ancora di poter correre in aiuto della donna, udirono i suoni di una colluttazione.

E videro rotolare il corpo esanime di un elfo dalle scale.

Un attimo dopo, si udirono dei borbottii irritati e la risata di Puck.

Hugh, già un passo avanti a tutti, si bloccò e disse dubbioso: “Oserei dire che se l'è cavata lo stesso, anche senza di me.”

Poi, lanciato uno sguardo in direzione di un curioso Syldar, si spiegò meglio.

“Nel branco, io sono la sua guardia del corpo.”

“Oh, comprendo. L'Hati del clan. Quindi, deduco che lei sia niente meno che la tua Fenrir.”

“Esatto, signore” assentì Hugh.

Proseguendo lungo la scalinata, giunsero infine al pianerottolo del pianterreno e lì, seduta su una panca a muro, videro finalmente Cecily.

Puck le era accanto e, ghignante, stava tentando di placare l'ira che le serpeggiava negli occhi.

Avvicinandosi alla coppia, William domandò loro: “Cos'è successo, Ceel? Ti abbiamo sentita urlare, prima.”

Lei storse la bocca, lo minacciò con un dito puntato verso di lui e ringhiò: “Starò trasformata per una settimana, al nostro ritorno. Non un minuto di meno. Ne ho abbastanza di questo corpo inutile.”

Sbattendo le palpebre per la sorpresa, Darcy esalò: “Ehm... va bene. Ma perché?”

Fu Puck a rispondere.

Rise spudoratamente e, nel lanciare un'occhiata divertita alla donna, che gli ringhiò contro, asserì: “Se l'è presa perché uno dei soldati l'ha afferrata alla vita, sollevandola da terra... e dicendole di non fare i capricci come una bambina.”

Bambina!” sibilò Cecily, con occhi gelidi, fissando le scale da cui era rotolato il soldato tramortito. “Se potessi trasformarmi, gliela farei vedere io, se sono una bambina!”

William, pur sorridendo ai limiti della risata sguaiata, si allontanò dal padre per accucciarsi accanto a lei.

Prese le sue mani tra le proprie, mormorò: “Non ti ha fatto male, vero?”

“L'ho colpito dove non batte il sole, scoprendo che fa male anche agli elfi. Mai far avvicinare così tanto una donna alle proprie parti intime... specialmente, se la donna scalcia” sogghignò lei, sentendosi un po' meglio.

Darcy allora la baciò teneramente, dicendo: “La mia piccola guerriera impavida.”

Cecily si alzò, sempre tenendogli le mani e, sogghignando maliziosa, replicò: “Te la farò pagare, per il piccola. Ho in mente giusto un paio di punizioni esemplari.

“E' pronto a una futura nuora con la lingua così pungente?” ironizzò a quel punto Hugh, sorridendo all'indirizzo di Syldar.

L'elfo sorrise e, ammiccando all'indirizzo di Cecily, replicò: “Credo che seguirò le orme di mio nipote, e dirò che mi ha già stregato.”

“Visto, Hugh? C'è chi mi apprezza” sottolineò la lupa, sollevando altezzosa il nasino e poggiando imperiosa le mani sui fianchi snelli.

De gustibus, Fenrir, de gustibus...” motteggiò allora l'Hati.

Syldar sorrise, a quel commento, e dichiarò: “La Fenrir più bella che abbia mai conosciuto.”

Lei lo ringraziò con un sorriso tutto fossette ma, quando si volse verso le vetrate vibranti, perse ogni voglia di fare dell’ironia.

Aggrottò la fronte e, turbata, mormorò: “Io sarò anche bella, ma il vero Fenrir pare lo sia molto meno, almeno a giudicare da questo fracasso.”

L'elfo preferì non chiedere lumi su quel commento e, aiutato da Hugh e da Puck, si diresse col gruppo verso l'esterno.

Non sapendo bene cosa avrebbero trovato al loro arrivo.
 
 
 
 
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N.d.A.: Che dite, il palazzo reggerà alle "scossette" di Fenrir? :-) 

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Capitolo 18
*** 2. ***


2.
 
 
 
 
La bocca degli Inferi, al confronto, sarebbe parsa un luogo più tranquillo e festoso.

Per lo meno, fu quello che pensò Cecily quando, uscendo da palazzo assieme al suo nutrito gruppo, si ritrovò a fronteggiare uno spettacolo mai visto.

Fenrir era sempre stato immortalato nelle leggende nero come pece, pur se la realtà lo sapeva dal pelo niveo e splendente.

Loro avevano sempre saputo che questo mito era nato dal sangue che, colando dalle sue ferite, ne aveva tinto il manto.

Ciò che però si stagliò innanzi a tutti loro, foriero di una tempesta senza fine, era invece la creatura della notte dell'iconografia classica.

Il pelo, nero come le ombre più oscure, era irto sulla schiena, mentre candide lame scintillanti pendevano dalla sua bocca zannuta e feroce.

Cecily rabbrividì a quella vista e, stringendo la mano di William, esalò: “Dio, Brianna...”

“Pensi che possa perdere il controllo?” le domandò, osservando con occhi sconvolti la scena che gli si parò dinnanzi.

Forti di un così pericoloso guerriero, né Odino né Tyr avevano avuto bisogno di levar mano.

Tutt'altro.

Gli elfi, di fronte a un simile dispiego di energie, si erano visti costretti a lasciar cadere le armi, per approntare tutt'altro genere di difesa.

Con i loro poteri mentali, lanciati allo stremo delle loro possibilità, stavano proteggendo il palazzo ma, così facendo, nessuno di loro poteva attaccare.

Un tipico stallo alla messicana.

Peccato non si trovassero in Messico, e quello dinanzi a loro non fosse un pistolero, ma niente meno che il Dio della Distruzione!

“Per tutti i Numi tutelari! Non penserà davvero di scatenare il Crepuscolo degli Dèi solo per una semplice ingiuria!?” esalò Hugh, impallidendo visibilmente.

“Credo ci sia molto più di questo, nei gesti di Fenrir e Brianna” mormorò Cecily, indicando dabbasso, in direzione di Morgana.

La donna, ancora ai piedi di Oberon, e bloccata dalla magia di Odino, stava confabulando qualcosa con rapidi movimenti della bocca.

Syldar, lanciata un'occhiata alla maga, aggrottò la fronte e disse: “Sta cercando di spezzare lo scudo di Odino, così da scagliare le proprie maledizioni su noi tutti. E Padre Tutto, impegnato sia a contenere lei, che a placare le energie di Fenrir perché non facciano esplodere Alfheimr, non potrà resistere ancora a lungo.”

Scatenare Fenrir era stata una soluzione di ripiego, per tener impegnati i guerrieri di Oberon in vista di un raid all’interno del palazzo.

Diversamente, gli elfi avrebbero potuto dividersi in due sezioni; in parte, sarebbero rimasti sul campo di battaglia, in parte avrebbero inseguito loro.

Ora, però, questo espediente si stava rivelando più pericoloso del previsto, e stava aumentando di intensità ad ogni minuto, costringendo sia Odino, sia gli elfi, a uno sforzo sempre maggiore.

Persino Oberon sembrava in difficoltà, e Titania – ferma accanto a Cordelia – appariva più spaventata e tormentata che mai.

Fu l'arrivo di una donna sconosciuta, a sorprendere tutti.

Non vista dai più, era riuscita ad avvicinarsi al campo di battaglia senza essere notata e, quando si ritrovò nel mezzo del turbine di energia, tutti la fissarono senza comprendere.

Solo Tyr e Odino parvero riconoscerla e lei, con un cenno di saluto a entrambi, proseguì e si diresse verso Fenrir.
“Morirà, se si avvicina ancora a quell'onda di potere primigenio” esalò Cecily, muovendo un passo verso la balconata su cui si trovavano, per meglio osservare la scena.

“Ma chi è?” domandò Puck, guardando i suoi compagni in cerca di risposte.

Nessuno di loro seppe dire alcunché e la donna, dalla lunga tunica bruna e i lunghi capelli rossi sparsi al vento, poggiò una mano sulla zampa irsuta di Fenrir e mormorò: “Placa la tua ira, mio cuore. Non c'è più alcun bisogno che tu faccia bruciare la tua ira.”

Quasi tutti i presenti sgranarono gli occhi, sorpresi dal suo dire.

Esisteva una sola persona, in grado di placare a quel modo Fenrir. E, soprattutto, una sola persona che avrebbe potuto chiamarlo a quel modo.

“Avya?” esalò Cecily, facendo tanto d'occhi.

“La Madre della Razza?” gracchiò accanto a lei Hugh, non meno sorpreso di lei.

Syldar a quel punto sorrise, annuendo e, rivolto a figlio e nipote, asserì: “Si riferiscono alla madre di Hati e Sköll, colei che diede due figli a Fenrir.”

“La prima wicca di cui si abbia memoria, beneficiata di tale potere... grazie al sangue di Fenrir” mormorò Cecily, osservando rapita la lenta mutazione del lupo. “L’unica, in grado di reggere senza danno alle emanazioni di potere del dio.”

Il suo pelo ritto e irsuto tornò docile e, poco per volta, da nero fosco che era diventato, riprese le sue antiche sembianze nivee.

Avya sorrise a Fenrir, che piegò il capo per carezzare gentilmente il viso dell'amata.

Lentamente, le onde di potere andarono scemando, e più di un elfo crollò a terra stremato, non più in grado di reggere lo sforzo fisico fin lì sostenuto.

Oberon, furioso di fronte a quella scena, esclamò roco e quasi sfiancato a sua volta: “E' solo questo, che potete offrire al vostro re?!”

Avya, a quel punto, tornò seria e gelida in viso e, con i suoi occhi d'ambra, fissò l'elfo della luce e tuonò: “E' solo questo, che puoi offrire al tuo popolo, figlio di Alfheimr?! E' dunque solo vuoto cuore e debole mente, ciò che puoi dare in cambio di tanta devozione?!”

Odino annuì, come se a parlare fosse stato lui e Tyr, nell'affiancare Fenrir, levò una piccola manina della donna per baciarla.

“E' un piacere e un onore vederti, Avya. Sei sempre bellissima... e la tua lingua taglia sempre come un rasoio affilato.”

La donna rise, a quell'ultimo commento, come se quel particolare fosse una loro antica diatriba.

Lanciato poi uno sguardo verso l'alto, inquadrò il gruppo di Cecily e sorrise.

Sorriso che però non restò tale, quando calò le sue ambrate profondità su Morgana, che la stava fissando con livore crescente.

“Lascia il tuo giogo su di lei, Padre Tutto. Posso controllarla agevolmente.”

Il dio fece come ordinatogli e, ritirata gungnir, osservò ridente Avya e chiosò: “Non metterò mai più becco, tra due donne.”

“La saggezza si ottiene con il tempo, non solo donando occhi a Mimir1” celiò allora lei, ammiccando al suo indirizzo.

Odino si sfiorò l'occhio mancante e, reboante, esplose la sua risata.

Allungata una mano a Morgana, Avya mormorò gelida: “Sei la vergogna della nostra stirpe, eppure non riconosci ancora la sconfitta, vero, Sacerdotessa?”

La strega schiaffeggiò quella mano protesa, scatenando così l'ira di Tyr e il ringhio feroce di Fenrir, che snudò subito le zanne.

Avya bloccò entrambi, imperturbabile di fronte al livore di Morgana.

Oberon fece per avvicinarsi a entrambe, ma Titania si mise in mezzo e, feroce, gli sputò in faccia: “Non osare cercare di difendere la tua amante! Merita ciò che la nobile wicca le comminerà!”

“Non tirare troppo la corda neppure tu, Titania” replicò a quel punto Avya, facendo impallidire l'elfa. “Pensi non mi sia resa conto che la tua piazzata ha avuto il solo e unico scopo di sobillare una reazione di questi baldi signori?”

Tyr e Odino osservarono curiosi Avya che, sorridendo loro, asserì benevola: “Siete uomini, oltre che dèi, e l'idea che una così candida e pura creatura possa essere stata ferita in modo così brutale dal proprio consorte, vi ha fatto perdere le staffe.”

Rivolgendosi poi a Titania, aggiunse: “Va detto che eri veramente preoccupata per tuo cognato e per le sorti di tuo nipote, ma hai approfittato dell'occasione per dare una lezione all'amante di tuo marito e a lui stesso. E credimi... negarlo non servirà a nulla. Percepisco con chiarezza la menzogna,... anche negli elfi.

Titania si guardò bene dal replicare e Puck, sulla balconata, mormorò: “Si possono avere due genitori normali, per favore? Uno, si mette con una maga pazza e assetata di potere, l'altra, vuole fare esplodere il mondo per ripicca. Mi serviranno secoli di terapia, per uscire da questo manicomio.”

Cecily sghignazzò, di fronte al tentativo di Puck di alleggerire la tensione e Syldar, nel dargli una pacca sulla spalla, chiosò: “E dire che dovresti conoscerli.”

“No. Io, quelli laggiù, neanche so chi sono. Giuro” esalò lui, passandosi le mani sul viso, apparentemente sconvolto.

Hugh, dopo aver osservato l'elfo e aver dato un'occhiata alla battaglia di nervi combattuta nel cortile, esalò: “Voglio tornare a casa. Rivoglio la mia solita vita sgangherata. Tutt’a un tratto, non mi sembra più così complicata.”

“A chi lo dici” assentì William, più che concorde con lui.

Avya, sorridendo loro, esclamò: “Discendete, dunque, così che io non debba preoccuparmi troppo per voi.”

“Che ha in mente?” sussurrò a quel punto William, all'orecchio di Cecily.

“E che ne so! Neanche mi ero accorta che era venuto anche Duncan, insieme a Brie, Tempest e Magnus!” gracchiò, ormai ben oltre lo sconcerto.

Che altro sarebbe successo, a quel punto? Sarebbe comparsa Yggdrasil stessa?

Sperò con tutto il cuore di no, perché allora sarebbe svenuta come una pera cotta.

Non impiegarono molto per raggiungere il cortile dabbasso e, quando furono lì, Avya pregò Syldar di raggiungerla.

William lo accompagnò per sorreggerlo.

Una volta raggiunta la donna, più piccola di quanto Darcy avesse pensato in un primo momento, la ascoltarono dire: “Guardali entrambi, Morgana, e constata che né il primo sarà mai tuo, né il secondo potrà mai essere distrutto dal tuo odio.”

Sorridendo infine a Cordelia, Avya si avvicinò a lei per stringerle una mano e Syldar, nel vederla, si scostò dal figlio per abbracciarla con calore.

Morgana distolse lo sguardo, ma Avya glielo impedì.

Persa tutta la sua gentilezza, la afferrò ai capelli con una mano e, gelida, le ordinò: “Guardali, e comprendi la potenza del loro legame. Esso è indissolubile come le leggi del Cosmo, brillante come le stelle più potenti, e le tue misere malie non potranno mai scalfirli.”

“Lasciami, strega” sibilò Morgana, dimenandosi per liberarsi.

“Dovrai pazientare ancora un attimo, temo” asserì per contro Avya, piegandosi su un ginocchio per poggiare una mano a terra. “Chiedo il tuo consenso per restituire al sacro suolo di Alfheimr ciò che Tu hai concesso a questa creatura, Yggdrasil-Che-Tutto-Reggi. Essa ha tradito le leggi delle accolite della Madre, ponendo se stessa sopra a tutto, e il suo desiderio smisurato di potere innanzi al suo Primario Ordine.”

Morgana sgranò gli occhi, di fronte a quelle parole e, afferrata la mano di Avya – che ancora le stringeva i capelli – gracchiò terrorizzata: “No! NON PUOI FARLO!”

Imperturbabile, Avya proseguì nel parlare, senza badare in alcun modo ai tentativi di Morgana di liberarsi.

“Il dolore inferto ti sarà rimandato indietro dieci volte, così come la legge del Cosmo prevede, e i doni che ti sono stati dati per grazia ricevuta, in malagrazia ti verranno tolti.”

Avya lasciò andare la mano e, nel rimettersi in piedi, fiamme azzurre avvolsero Morgana.

Lei iniziò a urlare, dimenandosi per scacciare quel sacro fuoco purificatore.

Oberon indietreggiò spaventato, così come Titania, pallida come la luna stessa.

Morgana urlò, gridò il nome dell'amante più e più volte, lo implorò con lo sguardo di aiutarla, ma nulla venne in suo soccorso.

Le vesti bruciarono, ma non le carni e, quando il suo corpo si afflosciò a terra, privo di sensi, Avya mormorò: “Ora è spoglia di tutto. Di potere e di titolo. Null'altro verrà fatto, contro di lei, poiché null'altro ha compiuto, contro la Madre.”

Ciò detto, la wicca squadrò Titania con un sibillino sorriso e quest'ultima reclinò il capo, mortificata e timorosa.

Oberon non disse alcunché, limitandosi a fissare stordito il corpo dell'amante.

Fu Syldar a prendere la parola e, rivolgendosi al fratello, asserì: “Sei ancora convinto che mio figlio starebbe meglio qui, piuttosto che con la madre e coloro che lo amano? Sarei il primo a scacciarlo da Alfheimr, dopo questo miserevole spettacolo.”

Oberon lo fissò rabbioso, ma ancora non parlò, e così Syldar proseguì nel suo monologo.

“Hai tradito te stesso, prima di tua moglie, fratello, ponendo troppo potere nelle mani di una donna che non lo ha mai meritato. Pensavi davvero che ti avrebbe servito e riverito come Titania? Allora, sei più sciocco di quanto tu non abbia già dimostrato finora.”

Distogliendo lo sguardo dal fratello, Oberon squadrò una delle sue guardie e, atono, disse: “Rivestitela e riconducetela a casa sua. Che non metta più piede a palazzo, pena la morte.”

In fretta e senza dire una parola, un soldato drappeggiò il proprio mantello sul corpo nudo di Morgana e, dopo averla presa in braccio, la condusse lontano dagli occhi del re.

Oberon ne seguì la scomparsa con lo sguardo e, tornato a rivolgersi al fratello, aggiunse: “Sono ancora convinto che tuo figlio dovrebbe vivere qui, ma è chiaro quanto sia inutile impuntarsi contro la stupidità. Credi pure quel che vuoi, Syldar, e condanna tuo figlio alla morte. Sarai solo tu a perderci. Non certo io.”

Ne seguì un sorriso e, volgendosi verso la moglie, le offrì il braccio, che lei accettò come se nulla fosse successo.

Insieme, si diressero verso l'interno del palazzo, e i soldati con loro.

Cecily fissò basita l'intera scena, prima di squadrare Puck ed esalare: “Ma... sono normali, o che?”

“E ti domandi perché io preferisca passare il mio tempo su Midghard? Mi sembra evidente!” esclamò l'elfo, indicando il castello come se potesse parlare per suo conto.

Syldar sorrise sibillino alla licantropa e, con serenità, asserì: “Oh, non pensare che Titania non si vendichi. Dopotutto, ha l'eternità a disposizione per farla pagare al marito. E non sarebbe la prima volta che si ingegna in tal senso.”

“Quindi, ora possiamo tornare a casa?” dichiarò Tyr, tutto gongolante.

“Perché, sei stanco? Non hai mosso dito, oggi!” lo irrise bonariamente Odino, dandogli una pacca sulla spalla.

“Assistere a un principio di Ragnarök, stancherebbe chiunque” replicò il figlio, squadrando dubbioso l'amico lupo. “Tutto bene, lì dentro? Tu e Brianna come state?”

“Non abbiamo mai corso un reale pericolo, amico. Diciamo che io e Brianna... ci siamo allenati a contenere la rabbia.”

Tyr fece tanto d'occhi, alla notizia, e impallidì leggermente, ma Odino rise di gusto e, nel dare una pacca sulla zampa a Fenrir, esclamò: “Questo ragazzone e io abbiamo fatto un po' di sano esercizio assieme!”

“Ad averlo saputo, mi sarei preoccupato un po' meno” mugugnò il giovane dio biondo, fissando male padre e amico.

“Non avevamo previsto che Oberon ci avrebbe opposto una simile offensiva di uomini, e non volevamo rischiare che uno dei nostri rimanesse ferito anche solo per errore nella battaglia” replicò Fenrir, osservando Cecily e gli altri. “Tenere impegnati tutti gli elfi, ci è parsa la soluzione ideale. Diversamente, in un normale combattimento, qualcuno avrebbe potuto sfuggirci. Impegnando i loro poteri mistici, li abbiamo obbligati a rimanere bloccati qui.”

“E hanno permesso a noi di raggiungere le segrete senza grossi problemi” assentì Puck, lanciando un'occhiata spiacente al cugino. “Non penso tu ti sia fatto una buona opinione sulla tua famiglia immortale, visto quello che è successo. Immagino non ti verrà mai voglia di passare qui le vacanze, vero?”

William gli sorrise cordiale e, facendo spallucce, replicò: “Magari no, ma potresti venire tu da noi, ti pare?”

Il suggerimento piacque all'elfo che, assentendo con vigore, dichiarò: “Preparatemi una stanza. Non tarderò molto a venire. Quei due cominceranno entro breve a discutere della grossa, e andranno avanti per secoli. Non sono cose piacevoli da vedere, in tutta onestà. L'ultima volta, Titania scappò su Midghard per un secolo intero!”

Cecily scoppiò a ridere, e con lei il resto del gruppo.

Era stato un viaggio a dir poco assurdo, ma le era servito a riconsiderare sotto un'altra prospettiva i suoi poteri e i vantaggi che da essi derivavano.

Certo, vivere nel sotterfugio e nella menzogna poteva pesare, così come prendere decisioni che avrebbero snervato una tempra più forte di lei.

Ma avere la possibilità di proteggere la persona amata non aveva prezzo e, anche se in qualche modo aveva pezzato le sue mancanze, non voleva più sentirti così.

Desiderava tornare a Midghard, alle sue certezze, al suo branco, e difendere con le unghie e con i denti l'uomo della sua vita. Ma con i suoi artigli.

“Torniamo. Non ne posso più di questo posto” mormorò a quel punto Cecily, prendendo per mano William, che annuì.

“Padre? Tu verrai con noi?” si domandò poi, lanciando un'occhiata all'alto elfo dai biondi capelli.

Lui sorrise prima al figlio, poi all'amata e, annuendo, chiosò: “Se Cordelia mi prenderà in casa, ben volentieri. Credo che anch'io, per un po', non ne vorrò sapere di mio fratello e di sua moglie.”

A quel punto, Avya si scostò da Fenrir che, per tutta risposta, divenne di abbagliante splendore e candido fulgore.

Un attimo dopo, un uomo corvino e dagli abiti di pelle bianca comparve al suo posto e, stringendo a sé Avya, mormorò: “Non potevo lasciarti andare così...”

In un muto accordo, tutti volsero lo sguardo per lasciare un po' di privacy ai due amanti sventurati e Fenrir, nel deporre le proprie labbra su quelle di Avya, sussurrò: “Non credo che Madre abbia apprezzato molto la nostra scappatoia, perciò non ti tratterrò oltre, ma è stato bello rivederti.”

“Come è stato bello rivedere te, Fenrir” replicò la donna, lasciando che lui affondasse il suo viso perfetto nella chioma fulva di Avya.

Un leggero tremore della terra mise in allarme tutti e Fenrir, sorridendo mesto, si scostò dall'amata, asserendo: “Tempo scaduto, temo.”

“Vi anticiperò, così che non ci siano problemi” assentì lei, cedendo a un'ultima carezza prima di correre via dal suo unico amore.

Fenrir sospirò, si volse verso Odino e Tyr – che lo stavano osservando mesti – e mormorò: “Così doveva essere... come designato fin dalla mia rinascita.”

“E ti basta?” gli domandò Tyr, avvicinandosi all'amico in sembianze umane.

“Non ho molta scelta, ti pare?” replicò Fenrir, chiudendo gli occhi.

Un attimo dopo, tornò a essere lupo e, senza più dire nulla, si avviò pacifico verso la foresta, lasciando che il resto del gruppo giungesse con suo comodo.

Cecily, tra le braccia di William, esalò tremante: “Posso dire che sto per piangere, senza apparire una mollacciona?”

Tyr la guardò con un mezzo sorriso e, nel sollevare un dito, le mostrò la lacrima che lui stesso aveva scacciato dal viso.

A Cecily bastò.

Si strinse a William e pianse in silenzio, consapevole di essere l'unica responsabile di quel dramma.

Se non avesse chiesto aiuto a Brianna, lei non si sarebbe sentita in dovere di chiamare anche Tempest e Magnus. Così come non avrebbe rischiato le ire della Madre, facendo intervenire anche Avya.

E tutto perché lei si era innamorata di William, e aveva smosso mari e monti per proteggerlo.

Dubitava esistesse una creatura più egoista di lei, in tutti i Nove Regni.

Il resto del gruppo si incamminò per raggiungere Bifröst, le occhiate di tutti rivolte al dolore affranto di Cecily, ma fu solo Darcy a parlare.

La tenne stretta a sé, camminando accanto a lei a passo lento e, dandole saltuari baci sul capo, mormorò: “Non avrebbero fatto nulla di quanto hanno fatto, se non avessero tenuto a te, Cecily. Non devi sentirti in colpa per quello che è successo.”

“Avrei dovuto trovare un'altra soluzione... evitare che soffrissero” replicò cocciuta, levando sull'amante due occhi furibondi.

Lui si limitò a sorridere, imperturbabile.

“Non sapevamo cosa avremmo trovato e, come ha giustamente fatto notare Avya, Titania avrebbe sobillato la lotta, e solo per avere la meglio su Oberon. Se anche non ci fosse stato schierato l'esercito, lei avrebbe trovato il modo per creare disagio in entrambe le fazioni perché lei avesse la sua vendetta. Avere il conforto di tre dèi ci è stato necessario.”

“Ma a che prezzo?!” esalò a quel punto, sospirando afflitta.

Fu Syldar a parlare per tutti.

“Un prezzo che, una persona coraggiosa, è disposta a pagare quando ama qualcuno. E' evidente che ti amano a sufficienza da mettere in gioco loro  stessi, perciò sii grata di ciò che vi lega, e non crucciarti del resto.”

Cordelia fu d'accordo, e la prese sottobraccio per darle anche il suo conforto morale.

“Non dimenticherò mai ciò che avete fatto, e sarò per sempre in debito con voi. Ma so anche che William è giunto in un mondo in cui sarà sempre protetto e al sicuro, e che la donna che lo ama così tanto è disposta a smuovere mari e monti, per lui. Cosa può volere di più, una madre?”

“E' contenta anche se divento enorme e pelosa?” brontolò Cecily, storcendo la bocca.

William ridacchiò e Cordelia, nel depositarle un bacio sulla tempia, replicò: “Un lupo bellissimo, ecco cos'ha ho visto io. Bellissimo e coraggioso.”

“Grazie” mormorò Cecily, lasciandosi andare contro la sua spalla per un istante.




1 Mimir: il mito dice che Odino dovette cedere un occhio a Mimir, dio della saggezza, per aver bevuto alla sua fonte magica. Ecco perché si parla di Odino Occhio Solo.
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N.d.A.: di alcune cose dette da Avya, e del perché sia potuta comparire su Alfheimr, nonostante il veto di Yggdrasil, vi parlerò nel capitolo seguente. Per ora, grazie di avermi seguita fino a qui.

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Capitolo 19
*** 3. ***


3.
 
 
 

 
Il viaggio nelle terre elfiche di Alfheimr, a conti fatti, era durato quattro giorni quando, per loro, aveva coperto l'arco di pochissime ore.

Nessuno di loro osò aprire bocca, di fronte a una simile scoperta.

Forse, tra le tante, era quella meno scioccante.

Vedere Avya, poterla scorgere per la prima volta, e ammirarla assieme al suo amato di sempre, aveva sconvolto – e reso infelice – più di un cuore.

I due diretti interessati, però, sembravano i meno afflitti, tra i presenti.

Quando infine raggiunsero le loro auto – dopo aver ripreso sembianze e abiti umani – il gruppo decise di comune accordo di raggiungere la casa di Cordelia.

Parlare degli eventi di cui si erano resi protagonisti, nel bel mezzo della campagna inglese, non era proprio il caso.
Cecily si accomodò sul sedile anteriore dell'auto di William, mentre Syldar, Puck e Cordelia presero posto sui sedili posteriori.

Non vi furono scambi di parole, tra loro, e Cecily ne fu lieta.

Era ancora troppo turbata da quello che era successo, per riuscire a sostenere un dialogo costruttivo.

O anche semplicemente rispondere a monosillabi a qualsiasi domanda.

Aveva smesso di piangere non appena avevano rimesso piede su Midghard, quando aveva recuperato i suoi poteri, ma il dolore covava ancora dentro il suo cuore.

Dolore per ciò che aveva messo in piedi, e solo per il suo egoistico desiderio.

Dolore per ciò che aveva visto, e di cui si riteneva unica responsabile.

Dolore per ciò che provava in quel momento, perché cosciente di non essere minimamente pentita di aver smosso mari e monti per William.

Il sole era alto, quando raggiunsero il cottage di Cordelia.

L'auto si spense, interrompendo di fatto l'unico rumore che aveva spezzato il silenzio attorno a loro e Cordelia, nel lanciare uno sguardo al figlio – attraverso lo specchietto retrovisivo – mormorò: “Immagino avrete fame. Ma temo che in casa ci sia ben poco, al momento.”

“Ordina la pizza, mamma. E' sbrigativa, e la possiamo mangiare anche senza piatti” le consigliò bonario il figlio, scendendo dall'auto per affrettarsi a raggiungere il lato di Cecily.

Prima ancora che lei potesse aprire lo sportello, William la precedette e, sorprendendola un po', la tirò a sé per abbracciarla.

“Antipatico. Sai che mi farai piangere di nuovo, così” brontolò la donna, pur accettando l'abbraccio consolatorio.

“Se vuoi farlo, fallo pure, ma sfoga tutta la rabbia che hai dentro, o ti divorerà lentamente, un giorno alla volta” replicò l'uomo, continuando a tenerla contro il suo petto, protettivo e amorevole.

“William ha ragione, Ceel. Sfogati, se ne senti il bisogno, ma non essere triste per ciò che hai visto” chiosò a quel punto Brianna, raggiungendola con poche, rapide falcate.

“Cucciolotta...” mormorò la donna, scostandosi da Darcy per abbracciare con foga l'amica.

Brianna si lagnò per quella stretta violenta, ma ne comprese i motivi.

Non faticava a comprendere il senso di contrizione dell'amica perché, a suo tempo, l'aveva provato, e in maniera maggiore, quando era morto Leon.

Solo la presenza della sua famiglia e degli amici più cari, l'aveva salvata dall'annientamento.

Anche se, fortunatamente, nessuno era morto in quella strana avventura, i rimorsi potevano assumere più forme, nell'animo delle persone.

E potevano divorare in modi subdoli e crudeli.

Sorridendo, disse poi a tutti: “Andate pure dentro e ordinate pizza in quantità industriale. Ho idea che non andrà sprecata. Io e Cecily dobbiamo dirci un paio di cose.”

Duncan fu il primo ad annuire e, nel tirarsi dietro Magnus e gli altri, sparì in silenzio all'interno del cottage di Cordelia.

Rimaste a quel punto sole, Brianna attirò l'amica verso una panchina, sistemata sotto le fronde ricurve di un salice piangente.

Una brezza leggera soffiava sulla spianata di Glastonbury, portando con sé i profumi del bosco in rinascita, la vita e la morte in esso contenute e il lento progredire del tempo.

Nulla era cambiato, attorno a loro, tutto fluiva con regolarità, eppure Brianna sapeva bene che, gli eventi di Alfheimr, l'avevano scossa più del pensabile.

Cecily si era mossa per un unico scopo: proteggere il suo uomo, difenderlo dalle mire di Oberon.

Aveva messo in campo le sue forze migliori, ma ora pagava lo scotto di quel peso emotivo.

Brianna ci era già passata, e sapeva bene quanto, quel dolore sordido, potesse creare demoni di immensa forza.

Perciò era indispensabile bloccarli prima che prendessero il sopravvento.

Accomodatasi, la wicca disse sommessamente, rivolta all'amica: “Ora dimmi, per filo e per segno, che cosa ti rode. Non voglio leggerti nella mente ma, se non mi accontenterai, dovrò farlo.”

“Prevaricatrice che non sei altro” brontolò Cecily, sorridendole a mezzo.

“Come hai potuto vedere, ho i miei metodi per azzittire la gente... o farla parlare. Quindi, Ceel, che c'è?”

Sbuffando, la donna si piegò in avanti, poggiando gli avambracci sulle cosce, il capo reclinato in avanti.

Poteva percepire senza sforzo la sua energia vibrare nelle fibre del suo corpo, la potenza del licantropo incendiare il suo cuore.

Era tornata ad essere la mannara di sempre, eppure non si sentiva a posto, come se qualcosa si fosse spezzato, dentro di lei.

Come se, quel viaggio ad Alfheimr, avesse destabilizzato il suo equilibrio interiore.

“Mi sento un mostro...” ammise a un certo punto, scrutando l'amica da dietro un velo di fulvi capelli.

“E perché mai, scusa?” le domandò per contro Brianna, incuriosita dal suo dire.

“Me lo chiedi anche?! Per i miei interessi, ho costretto Fenrir e Avya a esporsi in prima persona, per non parlare di Odino e Tyr! Non abbiamo subito perdite solo perché tu ti sei messa in pericolo in prima persona, e tutto perché io mi sono innamorata di William! E ti chiedi perché mi sento così?!”

Brianna si limitò a sorriderle, scrollando le spalle.

“Hai fatto, né più né meno, quello che avrei fatto io. O quello che fece Duncan a suo tempo, quando passò sopra alla sua diatriba con Alec, pur di venire a salvarmi. Non badò alle eventuali perdite, né alla propria vita, e venne a salvarmi, abbattendosi sulle Svalbard come una tempesta in piena regola.”

Lanciò uno sguardo verso la casa, un sorriso le si dipinse sul viso e infine proseguì.

“Certo, passò un certo periodo di tempo in cui si sentì un verme, all'idea di essere passato sopra ai suoi principi di pace a quel modo. Quel che più gli pesò, fu l'aver goduto della battaglia contro i berserkir, l'aver liberato pienamente il suo lato ferino. Ma ciò dipese in gran parte dalla presenza di Avya dentro di lui, che mal comprese i suoi sentimenti di lupo.”

Brianna sorrise, diede una pacca sulla spalla all'amica e terminò di dire: “Capisco che tu possa sentirti in colpa, ma credimi, non hai fatto nulla di male. Io e Duncan ne abbiamo parlato a lungo, prima di decidere di domandare il parere della quercia sacra, ma ci è parsa la soluzione più semplice, che poteva darci maggiori possibilità di successo.”

Cecily, a quel punto, le domandò: “Come avete potuto camminare sullo stesso pianeta? Non era vietato?”

Brianna allora sorrise sibillina, asserendo: “E' vietato su Midghard. Fenrir prese accordi con Yggdrasil, a suo tempo, ma solo per il regno degli umani. Non si parlò mai degli altri Nove Regni.”

“Oh. Immagino che Madre non abbia apprezzato la sottigliezza” ironizzò Ceel, riuscendo in qualche modo a raffazzonare un sorriso.

“Per nulla. Ha mugugnato parecchio ma, alla fine, ha accettato la deroga... a patto che non esagerassimo coi tempi.”

“Ed ecco spiegato il perché del terremoto su Alfheimr” assentì Cecily, rammentando un evento in particolare.

Brianna annuì a sua volta.

“Pensammo che, se si fosse arrivati a uno scontro diretto, il modo migliore per evitare perdite fosse far intervenire il potere di Fenrir. Questo, avrebbe tenuto impegnati gli elfi tutti, e nessuno avrebbe potuto brandire armi contro di noi. Avya, invece, avrebbe chetato Fenrir, permettendogli di non scatenare il Crepuscolo degli Dèi. Cosa che neppure Odino avrebbe potuto fare, per quanto potente.”

“Lui ti serviva solo da barriera contenitiva, giusto?” iniziò a comprendere Cecily, sospirando sorpresa.

“Esatto. Doveva contenere i poteri di Fenrir entro il raggio del castello, e così è stato.”

“Ma perché infuriarsi tanto per l'ingiuria di Oberon?”

La ragazza rise sommessamente, e replicò con candore: “Fenrir non ci ha fatto neppure caso, ma è parso evidente a entrambi che, ben presto, Oberon avrebbe attaccato, così gli abbiamo tarpato le ali prima che desse il via a tutto.”

“Sì, ha senso” annuì l'amica, rigirandosi distrattamente le mani. “Quanto a Titania?”

Brianna la fissò dubbiosa per un attimo, prima di illuminarsi in viso, comprendendo cosa volesse chiederle.

Si volse a mezzo un attimo dopo, vedendo comparire Duncan dalla porta di casa e Cecily, mordendosi il labbro inferiore, si levò in piedi per abbracciarlo.

“Ehi, Ceel... va tutto bene” mormorò l'uomo, deponendo un bacio sulla fronte dell'amica, prima di accomodarsi assieme a loro sulla panchina.

“Mi scuserò ancora per qualche decina d'anni, se non vi spiace” precisò Cecily, mettendo il broncio. “Penso sia il minimo.”

“Non ti ascolterò, così farò prima” replicò allora Duncan, facendo spallucce.

“Scorbutico” mugugnò l'amica, pur apprezzando il suo gesto.

“Ceel voleva sapere del comportamento di Avya, e sarebbe meglio glielo spiegassi tu, che dici?” intervenne Brianna, poggiando il capo contro la spalla del marito.

Duncan le avvolse le spalle con un braccio e, annuendo, disse: “Avya ha osservato l'intera scena dal bosco, e si è resa conto che il comportamento di Titania era sospettoso. Per una donna tradita, oltre che regina, aveva un po' troppo desiderio di mettere in piazza la verità, e proprio dinanzi all'esercito schierato. Gli elfi non sono così desiderosi di sbandierare il loro lato oscuro e, tendenzialmente, non litigano mai in pubblico. Titania, invece, si è comportata in modo fin troppo sfrontato, come se volesse scatenare qualcosa. Così, Avya ha ipotizzato che aizzare Odino, Fenrir e Tyr fosse nei suoi scopi. Perché non approfittare di tanto testosterone, quando è lì a disposizione?”

Cecily annuì, sorridendo divertita, e aggiunse: “E quale modo migliore, se non fare leva sui sentimenti protettivi di tutti questi maschioni dall'animo nobile?”

Ghignò all'indirizzo di Brianna, che rispose con una linguaccia.

“C'è un'altra cosa. Non so quanto tu conosca i poteri degli elfi della luce, ma i più potenti tra essi possiedono una sorta di glamour, come quello delle fate dei boschi di Midghard. E, quando esso viene utilizzato, induce le vittime a fare quello che l'elfo vuole. Nel caso specifico, difendere Titania dall'onta subita” aggiunse Duncan, con naturalezza.

“Li ha... drogati col suo potere?” esalò Cecily, sgomenta.

“In qualche modo, sì e, a dirla tutta, anche Avya ci ha messo un poco per rendersene conto. Ma, poiché tornava a nostro vantaggio, gliel'ha lasciato fare per un po'. Almeno, finché non è diventato rischioso per tutti lasciar agire il potere di Fenrir. A quel punto, è intervenuta, interrompendo la malia con i suoi poteri, e placando le tenebre oscure di Fenrir.”

“Porca... miseria. Avya possiede tutto questo potere?” gracchiò Cecily, facendo tanto d'occhi.

“Fu beneficiata del potere stesso di Fenrir. La Cerimonia del Sangue nacque da questo. Fenrir concesse ad Avya il suo sangue divino, facendola diventare la più potente wicca della storia, la prima della stirpe” assentì Duncan, dando un bacetto sulla tempia della moglie. “E ora, Brie ha i suoi stessi poteri.”

Cecily fischiò per la sorpresa, temporaneamente dimentica del suo malumore.

“Alla fine dei conti, è stato un buon sistema per testare la mia resistenza, oltre che la capacità di Avya di fermare Fenrir. Qui, non avremmo mai potuto farlo” sentenziò Brianna, lanciando un sorriso all'amica.

Ceel, però, non si fece pienamente convincere.

“Siete del tutto certi che Avya e Fenrir siano d'accordo con voi?”

Entrambi annuirono e Duncan, nel risollevarsi con una mossa rapida, attirò in piedi Cecily, la sospinse verso casa e disse perentorio: “Se non vai dal tuo uomo nei prossimi due minuti, giuro che ti sollevo su una spalla e ti sculaccio.”

“Duncan!” esalò la donna, scoppiando a ridere.

Lui la imitò per un attimo, prima di aggiungere più seriamente: “Ricorda una cosa, Cecily. Sei nostra amica, prima di essere una Fenrir degna di rispetto. E, per amicizia, noi siamo disposti a tutto.”

La donna assentì, non arrischiandosi a dire nulla per paura di scoppiare in pianto e, con un ultimo sorriso alla coppia, corse in casa.

Lì, William la accolse sulla soglia, avvolgendole le spalle con un braccio e, consolatorio, le domandò: “Tutto bene?”

“Va un po' meglio” annuì lei, avviandosi con lui nel salottino di casa.

Sorrise, nel vedere Syldar e Cordelia seduti vicini, mentre Hugh, Tempest, Magnus e Puck chiacchieravano amabilmente tra loro.

Pareva passato così tanto tempo, da quando avevano liberato il padre di William dalle segrete, eppure erano tornati su Midghard da poche ore.

Era proprio vero che, eventi simili, cambiavano l'ordine delle cose, e mostravano il mondo sotto un'altra ottica.
Syldar li vide, sorrise loro e, levata una mano, – dove le bruciature da acciaio erano già sparite – li invitò ad accomodarsi accanto a loro.

Cecily sorrise, trascinando con sé un allegro William e, una volta raggiunta la coppia, domandò: “Avete ordinato la pizza? Ho una fame da lupi. Letteralmente.

La coppia rise, e annuì.

“Duncan e Brianna?” si informò a quel punto Cordelia, guardandosi intorno.

“Eccoci!” esclamò la custode di Fenrir, entrando per prima.

Duncan, più pacifico, entrò per secondo e Puck, rivoltosi a quest'ultimo, asserì: “Mai vista una cosa simile! Il potere della tua anima è talmente puro, che quasi non riuscivo a reggere lo sguardo. Lady Avya è davvero potentissima!”

“Avya può fare questo effetto, sì” assentì lui, accomodandosi su una sedia, l'aria rilassata e tranquilla. “In special modo quando gioca con i poteri di Fenrir.”

Cecily lo guardò ancora per una volta, ma il suo volto tranquillo la fece sentire meglio.

Forse, dopotutto, non aveva combinato un disastro, con quella missione strampalata, e non aveva fatto soffrire i suoi migliori amici.

 
§§§
 
Dopo aver salutato Brianna e gli altri, Cecily rientrò nella casa di Cordelia, dove Puck era in piedi accanto allo zio.
Hugh, più defilato, se ne stava pensoso su una panca, lo sguardo perso verso il bosco adiacente.

Salutare Tempest era stato difficile, per lui, ma contava che, nel giro di qualche anno al massimo, avrebbe potuto liberarlo dal suo scomodo ruolo di Hati.

Il training di addestramento del suo successore era già iniziato e, vista la bravura di Peter, immaginava senza fatica che, ben presto, avrebbe potuto togliere dalle spalle di Hugh quel peso.

E spedirlo al Nord, tra le braccia di Heimdallr.

William la accolse con un sorriso, al suo rientro e Puck, nell'avvicinarsi a lei, la abbracciò delicatamente, deponendole un bacio sulla guancia.

“Penso che andrò anch'io, Lady Lupo... qui la situazione mi sembra più o meno a posto, e Syldar, William e Cordelia sono al sicuro. Per lo meno, io sono soddisfatto di come sono andate le cose.”

Il suo tono amaro non sorprese Cecily. Immaginava senza sforzo quanto, il giovane elfo, si sentisse in imbarazzo nei confronti dei genitori.

La licantropa gli diede una pacca sul braccio, asserendo comprensiva: “Non puoi sentirti responsabile di quello che hanno fatto i tuoi genitori. Si può essere responsabili solo per sé stessi.”

“Già... peccato che speravo che, almeno mia madre, fosse sana di mente. Invece, ha pensato solo a se stessa, quando ha visto che, grazie a voi, avrebbe potuto ottenere una vendetta con i fiocchi.”

“Va detto, però che, quando è giunta qui, non sapeva che avrebbe trovato alleati così potenti” replicai con gentilezza.

“Ma non ci ha pensato un attimo, ad approfittarne.” Scosse il capo e le sorrise mesto. “Non indorarmi la pillola, Lady Lupo, so chi sono i miei genitori. E' difficile accettarlo, ma so che sono degli egoisti di prima categoria.”

Si volse poi a mezzo, ghignò all'indirizzo dello zio, e celiò: “Sicuro di essere fratello di Oberon?”

“Abbastanza certo. Ma ammetto che le tue parole dicono il vero. Non posso negare che mio fratello, come mia cognata, siano ciò che tu dici.”

Puck si esibì allora in un inchino fanciullesco, sorrise a tutti e disse: “Vi lascio con la promessa di tornare. So già che, a casa, troverò solo male parole e insulti. Un commiato sorridente vi regalo, a parziale pagamento per i soprusi subiti.”

Ciò detto, uscì di gran carriera, come la primadonna di uno spettacolo al suo termine e William, nel sorridere al padre, chiosò: “E' sempre stato così teatrale?”

“Non è un caso che amasse passare tanto tempo con il tuo omonimo scrittore” ironizzò lui, scrollando le spalle.

 
§§§
 
Cecily sorrise, nell'osservare la bruma levarsi nel tardo pomeriggio.

I contorni del bosco presero tinte candide, tutto si fece sfumato e l'aria si riempì di profumi intensi, terrei.

Il sole stava calando verso ovest, e gli accadimenti di quelle ore erano ormai stati accantonati alle loro spalle.

Fuori, nel piccolo giardino, William e Syldar stavano dialogando tra di loro amabilmente, gesticolando entrambi ed entrambi guardandosi con aspettativa e sorpresa.

Al fianco della licantropa, Cordelia mormorò: “Non riesco ancora a credere che possano passare del tempo insieme. Parlarsi, confrontarsi.”

“Di sicuro, nessuno dei due se lo sarebbe mai aspettato” assentì Cecily, ammiccando all'indirizzo della donna.
“Posso solo ringraziare te, se sono riusciti a incontrarsi” asserì a quel punto l'altra.

Ceel, però, scosse il capo. “Non ho fatto nulla di importante, davvero.”

“Gli hai ridato il padre, e hai riempito la sua vita di bellezza e gioia. Non penso siano cose da poco, ti pare?”

“Forse... ma ora, sarà costretto a mantenere per tutta la vita il più stretto riserbo, su me e sul mio branco. Neppure so se, essendo un mezz'elfo, possa mutare in lupo, se mai un giorno volesse tentare la mutazione.”

Sospirò, lanciò un'occhiata a Cordelia e poi aggiunse: “A lei starebbe bene se, un domani, glielo proponessi? Di diventare un lupo, intendo.”

La donna, allora, le diede una pacca sulla spalla, e assentì.

“Cecily cara, pensi davvero che la cosa mi turbi? Amo un elfo di un altro mondo, e a lui ho fatto dono di un figlio. Penso di conoscere bene le stranezze di cui possiamo godere su questo pianeta.”

La licantropa annuì, non trovando nulla da eccepire nel suo discorso.

In effetti, chi meglio di lei poteva comprendere la situazione?

Aveva dovuto convivere per anni, decenni, con quello scomodo segreto.

Aveva dovuto mentire al figlio sulle sue origini, crescendo da sola quel gioiello di inestimabile valore che era William.

E aveva dovuto affrontare il pericolo di perdere il suo unico amore, per mano della sua stessa famiglia.

Sì, Cordelia Darcy sapeva quanto e come fosse strano il mondo in cui vivevano.

“Vorrei che veniste a Falmouth, ma so quanto possa essere difficile abbandonare un luogo così denso di ricordi” asserì Cecily, stringendole una mano con affetto.

Il suo sguardo, poi, sfiorò le travi in legno del soffitto, il mobilio ben tenuto, le foto di William da bambino, e sorrise.

Quella casa era intrisa di ricordi, di belle sensazioni e di gradevoli pensieri, e Cecily non dubitò neppure per un attimo che, abbandonarla, avrebbe significato molto, per Cordelia.

Ma, fortunatamente, per questo c'era tempo.

“Ci penseremo. Visto che Syldar ha deciso di rimanere, almeno per un  po', penso di dover prendere questa decisione assieme a lui.”

Rise un attimo dopo, esclamando: “Oddio! Non sono davvero abituata a prendere le decisioni in due!”

Cecily sorrise divertita, e assentì. “Neppure io.”

“Ci abitueremo assieme, allora” concordò la donna, sorridendo a quella che, presto o tardi, sarebbe diventata sua nuora.



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N.d.A: Siamo quasi arrivati alla fine di questa avventura. Mancano solo giusto un paio di cosette, per completare il quadro. :-)
 
 
 

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Capitolo 20
*** 4. ***


 
4.
 
 
 
 
Rientrare a Falmouth fu strano, quasi fossero stati via per un tempo indefinito, e il mondo attorno a loro fosse cambiato.

A onor del vero, erano passati cinque giorni, nulla di eclatante eppure, la sensazione di straniamento restava.

Dopo aver salutato Hugh, che rientrò in casa con aria stranita e stanca, Cecily e William si diressero verso il cottage di lei.

Dormicchiare le sembrò giusto, visto quante emozioni l'avevano squassata in quelle ore ma, quando Darcy fermò l'auto, un profumo insolito le solleticò le narici, mettendola in allarme.

Sgranando gli occhi, Cecily esalò: “Tyler?”

William la fissò confuso per un attimo, ma lei non diede spiegazione alcuna al suo dire.

Balzata fuori dall'auto, la donna si avvicinò lesta al cancelletto in legno bianco della sua proprietà e lì, a occhi sgranati, fissò Tyler, seduto sui gradini della sua veranda.

Appariva stanco ma determinato e, quando la vide, i suoi occhi semi addormentati si riscossero di colpo.

Balzò in piedi come una molla e, sorridendo lieto, corse da lei, scavalcò il cancello con un agile salto e la abbracciò con foga.

Cecily si ritrovò letteralmente sollevata da terra e stritolata dalle braccia robuste del giovane che, ai limiti del pianto, esclamò: “E' tornata, prof! E' tornata!”

William, muto testimone di quella scena ai limiti del paradossale, sorrise bonario e, quando Cecily venne finalmente rimessa a terra, chiosò: “Questa è devozione filiale... altroché.”

La donna lo fissò accigliata, il viso rosso per l'imbarazzo e Tyler, nel salutare William con un sorriso, tornò a dedicare tutta l'attenzione alla sua Fenrir.

Ansante per le troppe emozioni, mormorò commosso: “Non avevo idea di quanto sareste tornati, però... però...”

“Volevi darmi il bentornato per primo?” ipotizzò la donna, sorridendogli con affetto.

Cosa avrebbe dovuto fare, con quel giovane? Era così devoto, così amorevole...

Alla fine, Cecily fece spallucce e, sorprendendo sia Tyler che William, lo afferrò alle spalle per farlo abbassare e, con delicatezza, diede un bacio sulla guancia al giovane.

“Grazie per la gentilezza, Tyler, ma non occorreva che bivaccassi qui.”

Rosso come un peperone, ma soddisfatto come pochi, il ragazzo scosse il capo, le sorrise come un cucciolo adorante e replicò: “Tutto, per la mia Fenrir.”

Lei rise sommessamente, gli diede una pacca sul braccio e, ammiccato che ebbe a William – che annuì – lo prese sottobraccio e disse: “Vieni dentro, così ti raccontiamo com'è andata.”

“Evvai! Grazie, prof! Sì, insomma, Fenrir...”

La donna si limitò a sorridere e Darcy, nel seguirli, si disse che, nel corso degli anni, quel giovane sarebbe diventato uno degli elementi di maggiore spicco, nel branco.

E uno dei lupi più fedeli della sua compagna.

Saperlo, lo rasserenò, perché voleva per Cecily solo i licantropi più forti e leali.

 
§§§

Strette le mani di Cecily e William, il preside della scuola si congratulò con entrambi per la buona riuscita della missione.

Con un sorriso ironico indirizzato poi a quest'ultimo, il preside aggiunse: “Non dobbiamo quindi temere l'arrivo di elfi da un altro mondo?”

“Direi di no. Anzi, per un po' saranno così impegnati a litigare, che neppure penseranno a me” ironizzò lui, ripensando ai suoi strani, quanto particolarissimi parenti.

Di sicuro, ben poche persone al mondo potevano vantare, come zio, niente meno che Oberon, il mistico elfo decantato dal Bardo Immortale.

Certo, Shakespeare non era stato informato di alcuni sue importanti, quanto vitali singolarità, ma se l'erano cavata egregiamente anche senza conoscere molto di lui.

L'aiuto di Puck era stato primario, così come la presenza di ben tre dèi del pantheon norreno.

Al solo pensarci, rabbrividì.

Se, in quei momenti concitati, aveva fatto ben poca attenzione alla loro effettiva presenza sul campo, a mente fredda aveva iniziato a rimuginarci sopra.

E capire quanto, in quelle poche ore, si erano ritrovati così vicini al baratro.

Pensare di essere riusciti a riportare Syldar sano e salvo tra le braccia di Cordelia, compensava qualsiasi paura.

Ma non era così sciocco da non pensare ai rischi corsi.

Non faceva specie che, anche Cecily, si fosse sentita in debito per più di un motivo, coi suoi amici.

Anche lui aveva molti pesi sulle spalle, da portare, ma questo non lo rendeva meno lieto per il buon lavoro svolto su Alfheimr.

Nessuno si era fatto male, se non l'amor proprio di Oberon, Titania e Morgana e, pur se Syldar, presto o tardi, sarebbe dovuto tornare al suo pianeta d'origine, ora si conoscevano.

Ora, sapeva di avere un padre, di poterlo vedere in qualsiasi momento, di poter condividere con lui segreti e speranze.

Nel corso di quelle lunghe ore, passate a dialogare nel giardino della madre, suo padre gli aveva spiegato i motivi della loro separazione.

Gli aveva accennato al rifiuto di Vivianne, la Dama del Lago preposta alla difesa della Fonte Sacra, di concedergli il dono della vita eterna.

La proibizione di avere figli con gli umani, lo aveva colpito, così come la scoperta della furia di Oberon, alla notizia di un suo parente mezz'elfo abbandonato su Midghard.

Quell'accenno aveva fatto sorridere entrambi, così come aveva posto ulteriori domande nella mente di William.

A queste, Syldar aveva risposto con dovizia di particolari, accennandogli anche alla corte spietata di Morgana, e al relativo odio nei suoi confronti per averla rifiutata.

Si era ritrovato a sorridere, consapevole di quanto, la gelosia e i suoi riflessi, fossero in tutto simili anche nel mondo degli umani.

Nel fine settimana, Cordelia e Syldar sarebbero giunti lì a Falmouth in visita e, fino a quel momento, lui e Cecily avrebbero sistemato l'appartamento di William per loro.

E lui e suo padre avrebbero ripreso a parlare da dove si erano interrotti.

Un letto a una piazza e mezzo non andava bene per una coppia ma, con i debiti accorgimenti, quel piccolo angolino da scapolo, sarebbe diventato un nido perfetto, per loro due.

“Immagino siate ansiosi di tornare dai vostri ragazzi. Dopo eventi simili, la normalità sembra sempre bellissima” ironizzò a quel punto il preside, riportando William al presente.

“Sarà sicuramente cosa gradita” assentì lui, strizzando l'occhio a Cecily, che assentì.

“Non vi trattengo oltre, allora” dichiarò l'uomo, prima di lanciare un'occhiata significativa alla sua Fenrir.

Lei, dopo un istante, sospirò e disse con un mugugno: “Indirò una riunione, tranquillo, così tutti sapranno che sono viva e vegeta, va bene?”

Soddisfatto, l'uomo si sfregò le mani e domandò: “Prenoto la sala del teatro cittadino?”

“Certo. Non sia mai che qualcuno rimanga fuori. Anzi, già che ci sei, metti i cartelloni fuori, sulle vie principali, e scrivi a caratteri cubitali che Fenrir di Falmouth deve dire ai suoi timorosi sudditi che la loro regina è viva e vegeta” borbottò Cecily, andandosene a grandi passi per poi sbattere con una certa violenza la porta.

I cardini cigolarono in risposta e William, nel lanciare un'occhiata al serafico preside, esalò: “Ma... è sempre così?”

“Quando deve essere Fenrir a tutti i costi? Sempre. La nostra Signora può sembrare fatta di cemento armato e fil di ferro, ma è buona come il pane, e ama il suo branco” disse tutto orgoglioso l'uomo, annuendo soddisfatto. “Non mi ha neanche minacciato di staccarmi la testa a morsi. E’ un record!”

William si ritrovò a sorridere divertito e, poggiate le mani sui fianchi, replicò: “Scherzava, però, per quanto riguarda i cartelloni...”

“Non più di tanto. Farò affiggere davvero dei cartelloni, ma solo dove serve, e solo per occhi consapevoli” strizzò l'occhio l'uomo, scusandosi un attimo dopo quando il telefono squillò.

Darcy lo salutò allora con un cenno della mano e, con maggior calma, uscì dall'ufficio del preside.

Non appena mise piede in sala insegnanti, trovò Cecily attorniata dalle loro colleghe, tutte cicaleggianti come un branco di comari e, tra sé, gli spiacque per lei.

Sapeva quanto, a Ceel, quelle chiacchiere vuote dessero fastidio, ma sapeva anche quanto l'anonimato e la copertura fossero importanti, nella sua vita.

Se le avesse sbattute contro il muro come, sospettava, avrebbe voluto fare, tutto sarebbe andato a rotoli.

E lui, da quel momento in poi, e per tutta la vita, avrebbe dovuto adeguarsi a quell'andiamo.

Segreti, sotterfugi, bugie – anche ai migliori amici – e, più di tutto, la consapevolezza di amare una creatura mitologica, comparsa chissà come nella sua vita.

 
§§§

Camminando spedita lungo la via, un vento inclemente a spazzare la costa e intirizzire i pochi pedoni per strada, Cecily guardò torva William e borbottò: “E' inutile, del tutto inutile che tu mi guardi con quell'aria divertita. Non c'è nulla di divertente in quello che andrò a fare di qui a poco.”

“Io, invece, trovo estremamente interessante che tu, prode licantropo che ha accettato di essere solo donna, avventurandosi in un territorio ostile unicamente per proteggere la mia libertà... sia terrorizzata all'idea di parlare al proprio branco.”

Il sorriso di Darcy si allargò ancor di più, quando Cecily imprecò senza ritegno.

La adorava quando, la sua timidezza imprevedibile, usciva a quel modo.

Cecily era composta da un mare di contrasti, e lui li amava tutti. Dall'insegnante amata dai suoi alunni, alla licantropa coraggiosa, alla donna spericolata.

Le sue mille sfaccettature, il caleidoscopio di colori di cui era composta, era ammaliante e denso di esotico fascino, per lui.

Non avrebbe cambiato nulla, di Ceel e, anche vederla così furiosa, gli piacque.

Le diede perciò un bacetto sul capo, cui seguì il suo ringhio feroce.

Darcy, però, non ci fece alcun caso e, quando finalmente entrarono nel teatro, prenotato per loro e già gremito di persone di ogni età, sorrise.

Erano tutti lì per lei, per la loro Fenrir, per la donna che lui amava più di se stesso.

Non sarebbe mai stata da sola, o non protetta.

Quelle persone, licantropi o meno che fossero, si sarebbero battuti anima e corpo per lei, e lui per primo.

Sì, la sua Cecily era al sicuro, tra quella gente.

In silenzio, e seria come poche altre volte, Cecily salì sul palco, seguita da William, Sabine e Hugh.

La sala si azzittì senza che nessuno dicesse nulla e, preso il microfono per parlare, Ceel esordì dicendo: “Innanzitutto, grazie per essere qui. So che molti di voi hanno dovuto fare il diavolo a quattro, sul lavoro, per prendersi mezza giornata di libertà perciò... beh... grazie.”

Il suo imbarazzo si fece evidente, ma nessuno rise, nessuno aprì bocca, tutti continuarono a guardarla con fiducia e partecipazione.

C'è così tanto amore, qui in questa sala, da poterlo percepire sulla pelle, pensò tra sé Darcy, sorridendo incoraggiante alla sua donna.

Donna che, dopo aver annuito, continuò dicendo: “Come molti di voi sapranno, l'uomo accanto a me è il mio compagno e, tra le altre cose, parte del suo sangue è di origine elfica.”

Un leggero brusio di sorpresa e confusione si levò tra i presenti, ma lei azzittì tutti, proseguendo nel racconto.

“Circa sei giorni addietro, io, William e Hugh, debitamente scortati, ci siamo recati nel reame di Alfheimr per scongiurare un pericolo incombente, e che riguardava da vicino la sottoscritta. Mi pregio di dire che tutto è andato bene e, come potete vedere, siamo tutti in salute. Nessuno giungerà qui, minacciando la mia gente, perciò dormite sonni tranquilli, e pensate solo a vivere in pace.”

Sorrise per un attimo alla platea che, con evidenza di gesti ed espressioni, avrebbe voluto chiedere ulteriori lumi, e proseguì: “Per chi di voi può presenziare al Vigrond, sappiate che, al primo plenilunio a partire da domani, dichiarerò Fitzwilliam Darcy Primo Lupo del Branco di Falmouth. Chiunque desiderasse aprire un'Ordalia, ha il mio permesso e, come previsto dalle Antiche Leggi, Hugh sarà il suo campione, e si batterà al posto suo.”

Un nuovo brusio si levò tra la folla ma, stavolta, Cecily non mostrò alcun interesse a bloccarlo.

Era giusto che le persone parlassero riguardo a questa notizia, che dichiarassero apertamente i loro pensieri.

Essendo un gruppo chiuso, all'interno di esso non dovevano esserci dubbi, indecisioni, incomprensioni.

Andandosi a sedere su uno degli scranni presenti sul palco, Cecily accavallò le gambe e attese.

William la seguì, e così pure fecero Sabine e Hugh.

“Cosa aspettiamo?” domandò il mezz'elfo, curiosando con lo sguardo la platea vociante.

“Domande. Immagino ce ne saranno parecchie” brontolò Cecily, serafica. “Non tutti sapevano che tu eri per metà un elfo della luce e, quasi sicuramente, molte delle domande verteranno su questo. Inoltre, altri vorranno sapere se tu potrai o meno diventare davvero Primo Lupo, o esserlo solo di facciata, delegando quindi qualcun altro – un managarmr di alto grado, per lo più – a compiere i riti spettanti al compagno di Fenrir.”

“E quali sarebbero, di grazia?” si preoccupò immediatamente Darcy, accigliandosi.

Cecily gli sorrise a mezzo, maliziosa, e replicò: “Una danza nudi sotto la luna, copulare come lupi al plenilunio, cose così...”

William si accigliò immediatamente e lei, battendogli una mano sul braccio, mormorò subito dopo: “Stai calmo, Darcy. Non succederà niente del genere. Solo, alcune cerimonie dovranno essere coadiuvate dal sangue di un licantropo di alto lignaggio, un alfa di prim'ordine, e tu non potrai essere presente.”

La cosa non piacque per nulla a William ma, sul momento, non disse nulla.

Era ben deciso a non fare una piazzata, e proprio nel mezzo della sua prima riunione con il clan.

Le domande che, però, gli vennero rivolte in merito alla sua doppia razza, come all'identità di suo padre, misero sempre più evidenza la precarietà del suo ruolo.

Alla fine della serata, non solo Cecily si ritrovò irritata e stanca, ma anche Darcy.

Messo piede in casa, si diresse silenzioso verso il mobile dei liquori e lì, servitosi un generoso bicchiere di scotch, lo tracannò senza tanti complimenti.

Ceel, silenziosa, si accomodò sul divano e, piazzati i piedi sul tavolino, disse: “Spara. Cosa ti rode più di tutto?”

William attese qualche attimo, prima di volgere lo sguardo verso di lei e, furente, esalò: “Come puoi startene lì tranquilla senza... senza dare peso a quello che vorrebbe dire, per me, saperti con un uomo al fianco che prende le mie veci durante le cerimonie del Vigrond?!”

Darcy si lasciò andare a una ben rara imprecazione, che fece sollevare un sopracciglio alla sorpresa compagna.

Il bicchiere finì con l'essere sbattuto con violenza sul tavolo del salone, dopodiché William continuò il suo monologo infervorato: “Certo, tu mi avevi avvertito, me l'avevi detto fin dall'inizio – per lo meno, da quando ho saputo tutto – che questo sarebbe accaduto, però... però...”

La rabbia scivolò fuori con un lungo, pesante sospiro e William, lanciato uno sguardo verso Cecily, che non si era mossa dal divano, mormorò: “Mi sto comportando da idiota, vero?”

“Per la verità, no. Anzi, cominciavo a pensare che fossi stoico all'ennesima potenza” replicò lei, sorridendogli a mezzo. “Hai preso dannatamente bene l'intera questione, prima tra tutte, la mia licantropia. Non hai fatto una piega, più o meno, quando hai saputo di essere un mezz'elfo e, quando ti sei trovato dinanzi a tre divinità, non sei andato fuori di testa.”

Scrollò le spalle, lasciando trapelare la sua ammirazione dagli occhi di ghiaccio blu, e aggiunse: “Insomma, direi che hai dimostrato ampiamente di avere coraggio – e fegato – da vendere. Ma anche i più coraggiosi, hanno un punto di rottura. Aspettavo di capire quale sarebbe stato e, alla fine, siamo giunti al dunque. In fondo, mi fa piacere che il tuo punto di rottura sia io. E' lusinghiero.”

Nel dirlo, sorrise strafottente, e William sbuffò.

“Non c'è nulla di divertente, sai? Non dovresti startene lì, beata e pacifica, a godere delle mie paure.”

“Non ne sto godendo, non nel senso che intendi tu, comunque. Sono lieta che tu sia esploso, e per un motivo molto semplice. Tenere dentro ansie e paure, in un mondo come il nostro, è pericoloso. Letale” mormorò Cecily, ora del tutto seria.

Si alzò, oltrepassò il tavolino basso dinanzi a sé e raggiunse William nel mezzo della stanza, prendendolo per mano.

Reclinando il viso, osservò quelle dita lunghe, da pianista, che avevano combattuto egregiamente contro gli elfi di Oberon.

Pur senza poteri e senza armi, si era dimostrato in grado di difendersi, di difenderla.

Non si era lasciato andare al panico, trovandosi in un ambiente ostile, alieno, e anzi, si era impegnato per rendersi utile, e aveva impiegato tutte le sue forze per liberare il padre.

No, Darcy non era un vile, e neppure una persona dal carattere debole.

Era lei, la sua debolezza. Come lui, per Cecily.

Gli sorrise, baciando entrambi i dorsi delle sue mani.

“Dirti che non ci sarà mai nulla di sensuale, nelle cerimonie, non ti tranquillizzerà neppure tra cento anni, vero?”

“Sarà al tuo fianco al posto mio, sarà tuo, anche se in un modo asettico, come continui a sostenere tu. Non lo accetto” scosse il capo William, torvo in viso.

“Allora, non ci rimane che affidarci alla buona sorte, e capire cosa ci succederà” sospirò Cecily, desiderando aver potuto procrastinare oltre quella prova.

Ne aveva già dovute sopportare così tante! Non voleva che Darcy dovesse sottoporsi anche a quello, e così presto!

“Non voglio attendere oltre, Ceel. Proviamo e, se il mio sangue non sarà degno di essere mutato, lo accetterò. Con riserva” dichiarò William, abbozzando un mezzo sorriso. “Ma non voglio passare un solo giorno di più con il dubbio nel cuore.”

“Sai che mutare il giorno del plenilunio è pericoloso, vero?” gli rammentò lei, cominciando ad avere una paura del diavolo. Sapeva di una sola persona, sopravvissuta a un simile peso, e questa era Brianna.

Ma, dalla sua, aveva avuto non solo i doni di una wicca, ma anche l'anima di Fenrir.

Darcy non aveva nessuno di questi due aiuti, dalla sua parte.

“Abbiamo fatto trenta. Facciamo trentuno” ironizzò lui, scostando una delle sue mani da quella della donna per mostrarle il polso.

Lei prese un gran respiro, ascoltando il battito nervoso del proprio cuore, così come quello di Darcy.

Ne percepì gli aromi speziati, il sapore dolciastro e metallico del suo sangue, che veniva pompato in tutto il corpo con violenza.

Avvertì la corrente elettrica presente nelle terminazioni nervose, il lento gonfiarsi e rilassarsi dei polmoni, la scarica di adrenalina nei muscoli contratti.

Senza alcun preavviso, snudò le zanne e lo morse, suggendo per un attimo il suo sangue prima di stringersi a lui, tremante.

William ansò, sorpreso e dolente e, nell'avvolgere il corpo dell'amata, mormorò: “Cosa succederà, adesso?”

Lei non rispose. Si limitò a leccare la ferita di Darcy prima di scostarsi appena e, con occhi colmi di lacrime, mormorare le parole 'ti amo'.

William fece un passo verso di lei, ma le vertigini lo presero.

Il cuore iniziò a pompare con maggiore violenza, tamburellando contro la cassa toracica come se volesse sfondarla.

All'improvviso mancò un battito, e questo lo mandò a terra, in ginocchio.

Ansante, si portò le mani al petto, mentre le carni gli andavano a fuoco, quasi smembrandosi dallo scheletro.

Finì a terra, sotto gli occhi spauriti e pieni di contrizione di Cecily, che osservò l'intera scena senza aprire bocca.

William rantolò il suo nome, allungò una mano verso di lei, bisognoso del suo tocco, ma Cecily non si avvicinò, non mosse un solo muscolo.

“Non posso... non posso...” ansò, gli occhi ora grondanti lacrime dolenti.

Le gote si rigarono di perle iridescenti e, per un attimo, Darcy volle alzarsi per asciugargliele.

Non voleva che piangesse per lui.

Peccato che, il suo corpo, non ne volesse sapere di alzarsi da terra, di rispondere ai suoi ordini.

Si contorse, cercando di non urlare per non far insospettire i vicini di casa, ma temette di non farcela in più di un'occasione.

Come facevano a sopportare un simile dolore, una simile vicinanza con la morte?

Le mani artigliarono gli abiti, in preda alla frenesia e allo strazio, mentre le sue ossa si spezzavano, producendo suoni strazianti, agghiaccianti.

Ansò il nome di Cecily, gli occhi serrati per non lasciare esplodere i bulbi oculari ma, quando il dolore divenne troppo, svenne.

Il buio lo avvolse nel suo braccio, e di se stesso, non seppe più nulla.

 
§§§

Uccellini? Perché sentiva il cinguettio degli uccellini? Erano entrati nella stanza?

Le auto in strada...

Erano sempre state così chiassose? O le finestre erano state aperte per lasciar entrare la frescura del giorno?

Dopotutto, faceva un caldo infernale, per cui...

Aprì gli occhi a fatica, sentendo la bocca amara come fiele e il corpo pesante, simile a un macigno.

Il capo, che martellava come una grancassa, pareva sul punto di staccarsi dal corpo.

Lo mosse con prudenza, sul cuscino di piume profumate di gelsomino e, lentamente, nel suo campo visivo fece la sua apparizione la chioma di Cecily.

Era appoggiata al letto – quando ci era arrivato? – e sembrava profondamente addormentata.

Dubbioso, lanciò uno sguardo alle sue spalle e, sorpreso, notò le finestre chiuse... e un uccellino.

Peccato si trovasse a mezzo miglio di distanza, in un lontano giardino. E lui vedesse con chiarezza il lento gonfiarsi delle sue piume.

“Ma cosa diavolo...?!” esclamò, alzandosi con forza e puntando le mani sul materasso.

Questo, esplose in ciuffi di lana e stoffa lacerata e Cecily, risvegliandosi con aria stranita, esalò: “Oddio! Che c'è?!”

Darcy la fissò al colmo del panico, le mani che tremavano dinanzi a lui... mani munite di artigli acuminati e letali.

Lanciò un grido terrorizzato, arrancando all'indietro finché non finì col ruzzolare dal letto.

Il tonfo a terra gli restituì un minimo di lucidità e Ceel, sbucando dall'orlo del materasso, lo fissò divertita e disse: “Buongiorno.”

Nudo e completamente asservito al suo sguardo, Darcy la vide leccarsi le labbra con aria affamata e, per un istante, si chiese se l'avrebbe divorato.

Non l’aveva mai vista con quello sguardo. Feroce, primordiale… animale.

“E'... è andata bene?” le domandò, la voce ridotta a un rauco gracidio.

“Sono quasi morta d'infarto ma sì, è andata bene” assentì, allungandogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.

Lui la accettò di buon grado e, per una volta, non avvertì la pressione violenta della sua forza.

Erano... uguali.

Quello che, però, non comprese, fu la presenza di diversi bendaggi sulle braccia di Cecily.

Sfiorandole con lo sguardo e con dita esitanti – ora del tutto normali – mormorò: “Che ti è successo?”

“Nulla” replicò lei, scuotendo il capo con fare noncurante.

William, però, aggrottò la fronte e, vagamente irritato, replicò: “E' inutile che racconti frottole. Le sento subito.”

Cecily allora sgranò gli occhi, lo fissò come se fosse stato un alieno e Darcy, scrollando le spalle, esalò: “Beh, che c'è? Che ho detto?”

Lei scoppiò a ridere per diretta conseguenza e, abbracciandolo con foga, lo buttò a terra e, tra i baci, esclamò: “William, i lupi mannari non sentono certe cose. Solo le wiccan possono!”

“Oh” esalò lui, ora parecchio confuso.

Ridendo e piangendo assieme, Ceel rimise seduti entrambi e, carezzando il viso del suo amato, mormorò sorpresa: “Il tuo dono... quello di tuo padre. Entrambi, avete affinità con le creature viventi. Esattamente come una wicca. E' possibile che... che, trasformandoti, questo dono abbia preso corporeità, forza...”

“Oh, cacchio!”

“Già, oh, cacchio!” rise di nuovo Cecily, tornando ad abbracciarlo, tremante e lieta.

“Quindi, quelle bende?” le domandò lui, alzandosi con lei senza alcuno sforzo.

Quanta forza risiedeva, ora, dentro quel corpo?

Avrebbe dovuto stare ben attento, a quel punto. Ma Cecily gli avrebbe spiegato come fare, cosa evitare.

Come essere un bravo licantropo, un licantropo degno di lei.

Cecily lo baciò con tenerezza sulle labbra e, lacrime negli occhi, mormorò: “Non avrei dovuto avvicinarmi, durante la mutazione, ma non ce l'ho fatta. Quando sei diventato lupo, hai... beh, hai tirato fuori gli artigli, e questo è il risultato.”

“Ceel...” esalò, contrito e preoccupato.

“Guariranno. Non sono ferite profonde, e non lasceranno strascichi, tranquillo” scosse il capo lei, non dando loro alcun peso.

“Parli bene, tu. Non sei stata tu a ferirti” brontolò per diretta conseguenza William, corrucciato.

Cecily, allora, gli sorrise maliziosa e, sfiorando la sua pelle bollente, mormorò roca: “Oh, credimi, ricambierò con gli interessi. Anche se in maniera più che piacevole per entrambi.”

Un attimo dopo, lei lo afferrò al braccio, lo fece stendere sul letto e Darcy comprese finalmente cosa volesse dire fare l'amore con un lupo mannaro.



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N.d.A.: Siamo quasi arrivati alla fine. Piaciuta la sorpresa su Darcy? ;-)

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


Epilogo.
 
 
 
 

 

Era strano, per non dire assurdo, camminare su quattro zampe, avvertire l'umidore della terra sotto i cuscinetti, mentre le unghie affondavano nel terreno spugnoso.

L'aria calda dell'estate ormai prossima si incuneava tra i peli della sua livrea color cioccolato mentre, coi profondi occhi color whisky, sondava il profondo della foresta.

Tutto gli appariva chiaro, limpido, pulito, come mai era stato prima.

La prospettiva un po' schiacciata non gli dava poi così fastidio, una volta fatta l'abitudine con quella strana seconda forma.

Erano passate tre settimane, dal suo mutamento in licantropo e, da quel momento, Cecily non aveva fatto altro che condurlo nella foresta perché si abituasse al suo nuovo corpo.

Le esperienze che aveva vissuto in quei giorni, erano state a dir poco impressionanti.

Niente lo aveva preparato a una simile invasione dei sensi e, spesso e volentieri, si era accasciato a terra, coprendosi le orecchie con le zampe.

Cecily gli era stata al fianco per tutto il tempo, lupo enorme – molto più di lui – e dalla bianca livrea.

Si era prodigata anima e corpo per tranquillizzarlo, sia a parole che a gesti.

Gli aveva spiegato i rudimenti della lotta tra lupi, insegnato come sfruttare il pensiero per dialogare con i suoi simili e, da ultimo, gli aveva parlato della luna.

Del suo coinvolgimento con essa, del potere che avrebbe avuto su di lui, del richiamo del sangue che sarebbe scaturito con l'avvicinarsi del plenilunio.

Sulle prime, non le aveva creduto ma, con l'approssimarsi della luna piena, i suoi istinti predatori si erano acuiti sempre più.

E la sua vita come uomo normale era divenuta decisamente più difficile.

Resistere alla rabbia, si era rivelata la parte più complessa da affrontare, soprattutto in considerazione del fatto che lui non era mai stato un tipo propenso a irritarsi.

Cecily lo aveva preso in giro, per questo, e William aveva iniziato a comprendere cosa volesse dire, per lei, vivere in un mondo di normali.

Mantenere un contegno stoico, controllare in ogni momento la propria forza, i propri poteri, non reagire agli stimoli esterni.

Insomma, un autentico inferno.

In prossimità del lago che circondava l'isola della quercia sacra, William si fermò e lasciò perdere quei pensieri erranti per dedicarsi alla sua compagna.

Ferma accanto a lui, le zampe posteriori a terra e la lingua tra le zanne, Cecily appariva tranquilla come un gattino,... e letale come un cobra.

Sapeva ormai benissimo quanta forza vi fosse in quel concentrato di muscoli e zanne, lo aveva provato sulla sua pelle più di una volta.

E, ancora una volta, si chiese cosa volesse dire essere il capo di creature così potenti e ancestrali.

Quanta energia mentale sprecasse per tenere a bada più di millecinquecento licantropi, e quasi altrettanti neutri e normali, a conoscenza del loro segreto, era quasi impensabile.

“Credi che qualcuno chiederà l'Ordalia, domenica prossima?” le domandò William, sedendosi al pari suo, cercando di mettere un freno a tutti quei pensieri errabondi.

Da quando era mutato, la sua mente aveva preso a pensare senza freno, a ritmi che prima neppure si sarebbe immaginato.

Cecily scosse il muso, prima di replicare: “Non ne ho la più pallida idea. Tendenzialmente, ci sono sempre uno o due combattimenti, per il ruolo di Primo o Prima Lupa, ma tutto può essere.”

“Pensi che io sia in grado di portare a casa il titolo, con la mia scarsa conoscenza dei combattimenti corpo a corpo?”

Lei se ne uscì con una risata sgangherata, che scaturì dalle sue zanne simile a un pesante tossicchiare.

“Ne parli come se fosse un incontro di boxe. In realtà, c'è molto istinto predatorio e poca pretattica. E, se si parla di istinto predatorio, tu non dovresti avere problemi. L'amarmi dovrebbe renderti furioso a sufficienza per sconfiggere chiunque.”

“Questo è poco ma sicuro” ghignò William, snudando le zanne lucenti.

“Non preoccuparti, Darcy. Sono sicuro che riuscirai, nel caso in cui dovessero chiederti di combattere. Io sarò al tuo fianco, pronta a tifare per te.”

Si avvicinò per sfregare il muso contro la sua gorgiera, in corrispondenza delle terminazioni nervose più sensibili, e William ringhiò basso, roco.

“Torniamo a casa.”

“Non vuoi farlo così?” ridacchiò Cecily, azzannandolo debolmente al collo per gettarlo a terra.

William le abbaiò contro, replicando seccato: “Mi viene ancora in mente Keith, mi spiace.”

La donna allora scoppiò a ridere nella sua testa, si scostò e, dopo aver trotterellato via di qualche metro, lo fissò con i suoi profondi occhi verdi e mormorò: “Sei davvero adorabile, quando fai il geloso con me.”

 
§§§

La luna piena sembrava guardarli come un grande occhio bianco nel cielo, e stesse valutandoli tutti con imparzialità e rigore.

William, ritto in piedi accanto a Cecily, Hugh e Sabine, nel bel mezzo del Vigrond, attendeva impaziente che tutti i managarmr giungessero alla riunione.

L'aria frizzante della notte era ricca di profumi dolciastri, della vita vibrante che li circondava, del sentore salmastro del mare e dei gas combusti della città vicina.

Quando perdeva la concentrazione, era facile lasciarsi trascinare da tutte quelle informazioni dilaganti.

Cominciava a capire perché Cecily avesse rifiutato la mutazione a Tyler, a suo tempo.

Affrontare l'università con quel sovraccarico di informazioni, sarebbe stato impensabile.

Meglio lasciare che terminasse in santa pace gli studi, prima di dedicarsi a quell’ultima fatica.

Hugh, lanciata un'occhiata rassicurante a William, mormorò: “Smettila di pensare così! Sembri una pentola di fagioli in ebollizione. E non startene lì rigido come un bastone. Hai tutti i diritti di stare al fianco di Cecily.”

“Parli bene, tu. Non devi affrontare un esame che potrebbe, in linea teorica, tagliarti fuori da una parte della vita della tua donna” brontolò per diretta conseguenza Darcy, aggrottando la fronte.

Hugh rise sommessamente, gli dette una pacca sulla spalla, ma non replicò.

Sabine, nel sorridergli comprensiva, levò infine una mano e dichiarò la Riunione del Consiglio ufficialmente aperta.

Cecily, presa la parola, sorrise ai suoi alfa, riuniti attorno alle sponde del lago in forma umana e, a gran voce, esclamò: “Benvenuti a tutti voi, figli miei, e che la luna possa esservi benevola!”

I lupi risposero con eguale preghiera e lei, sorridendo per un istante a William, continuò dicendo: “Poiché so benissimo che il mio odore copre quello di Darcy, ve lo annuncerò io. Circa quattro settimane addietro, il mio compagno ha superato con successo la mutazione in licantropo e, a sorpresa, abbiamo scoperto che, oltre a mettere su pelo...” rise al pari di molti alfa, e anche William si ritrovò a ridacchiare. “... il suo essere in parte elfo ha comportato un cambiamento in più del normale.”

Un coro di sorpresa si sollevò tra i presenti e Cecily, con aria decisamente soddisfatta, terminò di dire: “A quanto pare, signori, abbiamo scoperto che, dopotutto, non esistono solo le wiccan, in grado di parlare con piante, animali e Madre Terra... ma anche lui.”

Ciò detto, indicò William con un cenno della mano, invitandolo ad affiancarla perché fosse ben visibile a tutti.

“Abbiamo lavorato in molteplici direzioni, in queste settimane, per stabilire che limiti potesse avere la portata del suo potere e a quanto pare, con l'eccezione di Brianna che, come sappiamo, è un caso unico nel suo genere, Darcy è in grado di stare al passo con qualsiasi altra wicca di nostra conoscenza.”

“Ora non potranno più dire che sono solo le donne, a capire la Madre!” esclamò uno dei managarmr, fischiando all'indirizzo di William col pugno levato, in segno di completa solidarietà maschile.

Cecily rise sommessamente e Darcy, ammiccando all'indirizzo del licantropo, mormorò: “Troppo gentile, grazie.”

“Detto ciò, siate cortesi e non uscitevene con mezze verità, perché lui sarà in grado di percepirle” disse più seriamente Fenrir, tornando al nocciolo della questione. “Siamo qui per la sua investitura a Primo Lupo, e questo prevede anche una possibile Ordalia. Parlate ora, miei alfa, oppure prendete per buona la mia scelta.”

Le occhiate che si scambiarono i licantropi furono molte, vi furono alzate di spalle, risatine e capi scossi più volte.

Alla fine, fu il più anziano del gruppo, a parlare.

Avanzò tra la folla di baldi mannari e, sorridendo per un istante alla propria Fenrir, si inchinò rispettoso ed esclamò: “Non vi sarà Ordalia, Figlia della Luna, Signora dei Lupi, Guida Suprema. Fenrir, tu hai scelto con cuore aperto e fede immensa, lo abbiamo notato tutti e, anche se lieti che il tuo compagno abbia doti così inaspettate, siamo soprattutto contenti che lui ti ami così tanto da porsi dinanzi a noi, appena un cucciolo tra i licantropi, e sia pronto ad affrontarci tutti, pur di essere degno di te.”

“Grant...” mormorò commossa Cecily, accennando un sorriso grato.

“Accettiamo Fitzwilliam Darcy come Primo Lupo, e non vi saranno recriminazioni di nessun tipo. Anche se, probabilmente, a qualcuno verrà voglia di prenderlo un po' in giro per il nome. Non garantisco, in tal senso” dichiarò il licantropo anziano, strizzando l'occhio al compagno di Cecily, che scoppiò a ridere.

Anche i Tre Gerarchi si unirono alla risata e, quando l'ilarità si espanse a tutti gli alfa presenti, nel bosco si levò la gioia per quel momento condiviso.

Fu solo molto tempo dopo – e molte lacrime versate per il gran ridere – che Fenrir riprese la parola.

“Il riconoscimento potrà quindi avere luogo, grazie al vostro benestare” asserì dunque Cecily, volgendo lo sguardo verso la quercia sacra. “Madre-che-tutto-reggi, benedici questo tuo figlio, scelto per essere mio compagno e mia spalla.”

A un cenno di Fenrir, William si apprestò quindi a posare una mano sulla corteccia nodosa dell'albero che, letteralmente, si incendiò di luce dorata sotto i suoi occhi.

Benvenuto, figlio di due mondi. E' gradita la tua presenza al mio cospetto, questa notte.

“Sono onorato di poter omaggiarti come meriti, Signora dei Nove Regni.”

Oh... denoto in te sapienza elfica, giovane mezz’elfo. Hai dunque parlato con Syldar della mia reale identità?

“In parte con lui, in parte con Lady Fenrir. Le parole di Brianna sono state illuminanti.”

Gli elfi della luce sono da sempre miei sudditi fedeli e, anche se reputo le azioni di tuo zio tutto fuorché logiche, non me la sono sentita di interferire. E, a quanto pare, ve la siete cavata egregiamente anche da soli.

“Abbiamo ricevuto degno sostegno dai tuoi figli, Madre Yggdrasil.”

Porta con te la mia benedizione, figlio di due mondi, e recati spesso qui per parlare con me. Ho curiosità di conoscere questo mio nuovo figlio.

“Ne sarò oltremodo onorato, Signora.”

Ciò detto, lasciò che la mano si scostasse dalla quercia, e il bagliore di intenso splendore che la circondava si espanse a tutto il Vigrond come una marea benevola.

Era fatta. Tutto si era incastrato alla perfezione, tutto era compiuto.

Nessuno avrebbe più potuto dividerlo da Cecily e, insieme, avrebbero camminato verso lo splendido futuro che li attendeva.

Non vedeva l'ora di dirlo a suo padre e a sua madre, in attesa paziente a casa di Ceel.

 
§§§

Già sul punto di aprire il cancelletto della proprietà, i volti sorridenti e lieti per quella serata conclusasi nel migliore dei modi, Darcy si bloccò a metà di un passo e mugugnò: “Aspetta un momento...”

Anche Cecily storse il naso, guardò il compagno con aria sconcertata ed esalò: “No, non può essere...”

Fu in quel momento che, sulla porta d'ingresso di casa, bello come il sole e con le mani occupate da due calici di champagne, fece la sua comparsa Puck.

“Felicitazioni, miei cari! Dai vostri volti capisco che tutto deve essere andato per il meglio! O no? No, perché ora siete piuttosto accigliati, e non capisco bene perché.”

“Puck, che ci fai qui?!” esclamò Darcy, facendo a due a due le scale della veranda per raggiungerlo.

Il cugino non rispose, limitandosi ad abbracciarlo tutto contento.

Dietro di lui, Cordelia e Syldar sorrisero indulgenti e quest'ultimo, rivolto al figlio, chiosò: “Ce lo siamo trovati alla porta, e così...”

Cecily oltrepassò l'entrata senza dire nulla e, dopo aver guardato i futuri suoceri con aria affranta, esalò: “Non ditemi che è successo qualcos'altro!”

Fu Puck a rispondere.

Sospinse all'interno il cugino, consegnandogli una delle flûte che teneva in mano e, porgendo l'altra a Cecily, esplose in una risata deliziata.

“Niente di tutto questo, cara cugina! Ero solo stanco di sopportare gli strepiti dei miei genitori, così ho pensato di venire a trovarvi, come vi avevo promesso! E non potevo capitare in un momento migliore, visto quello che è successo!”

Batté le mani, lieto come un bambino la mattina di Natale e, raggiunto in poche falcate lo stereo, lo accese come se fosse stato a casa sua, lasciando che la musica avvolgesse tutti.

Con un inchino, rivolse poi un sorriso ai presenti e disse: “Lasciate che vi delizi con un'opera che ho scritto appositamente per voi! Non vedo modo migliore per festeggiare la promozione del mio amato cugino a ruolo di Principe Reggente della qui presente, e bellissima, Fenrir di Falmouth! Splendida cittadina di mare, tra l'altro...”

Il cicaleggio di Puck continuò imperterrito, senza che il giovane elfo si accorgesse del cipiglio di Cecily, o dell'aria rassegnata di Syldar.

Cordelia si limitò ad abbracciare il figlio, complimentandosi con lui mentre le prime strofe dell'opera di Puck venivano snocciolate con voce flautata.

“Non c'è modo di bloccarlo?” brontolò Cecily, quando l'elfo attaccò la seconda strofa.

Syldar la prese sottobraccio, accompagnandola al divano e, nell'accomodarsi con lei, brindò al figlio e mormorò: “O lo uccidiamo, oppure...”

La donna assentì con un sospiro e, quando William venne a sedersi vicino a lei, si appoggiò alla sua spalla e borbottò: “Buonanotte.”

“Non ascolti neppure un po'? Dopotutto, sono le nostre avventure” ironizzò Darcy, deponendo un bacetto sul suo capo.

“Credimi, ho ancora una memoria di ferro, e so bene che traversie abbiamo passato.”

“Insensibile” la prese in giro lui.

“Conosco i miei limiti, è ben diverso.”

Ciò detto, chiuse gli occhi e lasciò che la voce melodica di Puck la accompagnasse tra le braccia di Morfeo.

Poteva sopportare molte cose, e molte le aveva combattute strenuamente, vincendo ogni volta.

Ma un'opera lirica, proprio non poteva reggerla.





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N.d.A.: Ebbene, eccoci infine giunti al termine di questo Spin-Off, nato dall'amore di molte di voi per il personaggio di Cecily. Spero di aver accontentato la curiosità di quante si chiedevano come fosse la curiosa Fenrir di Falmouth, e di aver tolto anche dei dubbi sul futuro dei nostri antichi amici.
Con questo racconto, direi che ho detto (quasi) tutto su quel che riguarda il mondo dei miei licantropi, anche se torneranno, come crossover, in una storia che sto ultimando.
Per ora, penso mi prenderò una breve pausa riflessiva per sistemare quanto già scritto finora, e colgo l'occasione per ringraziare tutte/i per aver letto, commentato e vissuto questa esperienza assieme a me!
Grazie ancora!

 

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