Giocattoli assassini

di rossella0806
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La signora Gina e il cadavere dirimpettaio ***
Capitolo 2: *** La macchina blu ***
Capitolo 3: *** Un'amara confessione ***



Capitolo 1
*** La signora Gina e il cadavere dirimpettaio ***


L’appartamento al numero 6 di Piazza del Plebiscito era disabitato ormai da più di sei mesi: alla fine dell’estate, infatti, la signora Liliana Grandi si era trasferita dall’altra parte della città, nella casa della figlia.
Da quel momento in poi le persiane dell’abitazione al primo piano erano rimaste perennemente chiuse.
Un giorno però, una mattina di novembre, l’ex vicina di casa della signora Liliana, Gina Belmonte, aveva sentito degli strani rumori provenire dall’appartamento in questione, simili ad urla soffocate e tonfi di oggetti pesanti.
Tutti nel palazzo sapevano che l’anziana donna era andata ad abitare dalla figlia, quindi era impossibile che ci fosse qualcuno nell’abitazione ma, nonostante questo, la vicina andò a bussare:
“C’è qualcuno in casa? Sei tu Liliana? Sono Gina ”
La dirimpettaia attese un cenno di risposta, le ciabatte di spugna verde ai piedi e i bigodini in testa.
Dopo una dozzina di secondi di calma piatta, la donna rientrò in casa e si affacciò alla finestra: la strada era occupata dal mercato settimanale che si svolgeva nel grande prato davanti, e così la donna si convinse che probabilmente quei rumori provenissero dai commercianti che sistemavano le loro merci sui banconi.
La signora fece un cenno di diniego con la testa, richiuse a chiave la porta d’entrata e accese la televisione.
 
Quella stessa sera, però, quando la Gina si stava preparando per andare a dormire e aveva già dato da mangiare ai suoi due pesci rossi, il baccano riprese a farsi sentire.
Era più lieve di quello che la donna aveva sentito al mattino, ma il suo orecchio fine non se lo lasciò sfuggire.
Riaccese la luce del corridoio e guardò fuori dallo spioncino della porta: non vide nulla.
Ritornò in camera sua, scostò le tende, tirò su la tapparella giusto quel minimo da poter vedere fuori, e diede una occhiata insistente giù in strada: niente di insolito, qualche macchina parcheggiata e qualche altra che sfrecciava, qualche ritardatario con il cane da portare a passeggio, tutto come ogni notte.
La signora Gina ritornò alla porta d’entrata e guardò nuovamente fuori dallo spioncino: sentiva ancora il rumore, ma adesso non era più sicura che provenisse dal’appartamento di fronte al suo,  poteva anche darsi che fosse la televisione dei signori del secondo piano.
Non sapeva cosa fare: di certo non poteva telefonare alla sua ex vicina, a quell’ora si sarebbe di certo spaventata, e non aveva nemmeno intenzione di uscire sul pianerottolo e bussare alla porta, perché sotto sotto aveva paura.
Optò quindi per chiamare la polizia: prese la cornetta del telefono e compose il numero.
 
Alle undici in punto, venti minuti dopo, la polizia arrivò al numero 6 di Piazza del Plebiscito.
La donna, avvolta in una vestaglia di satin color viola del pensiero, aprì la porta con mani tremanti:
“Prego, accomodatevi”
“Buonasera, signora…” due poliziotti, un uomo e una donna sui quarant’anni, entrarono in casa.
“Grazie di essere venuti. Credo che ci sia qualcuno nell’appartamento di fronte al mio!” la Gina li fece accomodare nel piccolo salottino, la luce del grande lampadario di cristallo accesa.
“Sì, lo sappiamo- esordì l’uomo -dalla chiamata che ha fatto in centrale, ci risulta che abbia sentito dei rumori nell’abitazione qui a fianco… si tratta forse di disturbo della quiete pubblica?”
La donnina, seduta anch’essa sulle sedie attorno al tavolo quadrato di legno di ciliegio, scosse delicatamente la testa canuta e, con voce sempre più bassa, cominciò a spiegare ai due poliziotti:
“In realtà non è andata proprio così. Questa mattina, mentre stavo facendo dei lavoretti in cucina, ho sentito del frastuono provenire dall’appartamento di Liliana, la mia ex vicina di casa, solo che non poteva essere lei, perché si è trasferita sei mesi fa dalla figlia. Poi questa sera, quando ero già pronta per andare a dormire, ho sentito di nuovo quel baccano … ”
L’agente annuì, guardando con aria di incredulità mista a compatimento, la collega:
“Che ora era stamattina?”
“Le nove e tre quarti. Lo so con certezza perché ho guardato l’orologio sulla mensola, vicino alla televisione”
“Ha provato a chiamare la sua ex vicina di casa? “ continuò la poliziotta.
Solo a quella domanda la signora Gina si rese conto della mancanza di prontezza che non aveva avuto appena qualche ora prima, così, con aria ingenua, spiegò:
“No, non l’ho fatto … ho pensato che era la mia fantasia, anche perché oggi era giorno di mercato e ... in realtà non so perché non mi è venuto in mente” concluse amareggiata la donna
“Capisco. Però adesso non mi pare di sentire nulla, signora” l’uomo la guardò con aria interrogativa, finendo di annotare quello strano interrogatorio sul taccuino che aveva estratto poco prima da una delle tasche della divisa.
“Infatti” rispose la Gina “è da quando vi ho chiamato che non ho sentito più nessun rumore …”
La poliziotta fece un cenno d’intesa rivolto all’altro:
“Andiamo a dare un’occhiata… lei, signora, rimanga qui”
I due agenti uscirono e si misero in ascolto: effettivamente dall’abitazione non proveniva alcun frastuono.
Attesero qualche secondo, poi rientrarono in casa della Gina.
“Guardi, noi non abbiamo avvertito niente. Lei è davvero sicura di aver sentito dei rumori?” continuò la donna.
“Sì, ne sono assolutamente certa!”
“D’accordo, allora facciamo così" accondiscese l’uomo "se lei sente di nuovo qualcosa ci chiami. Adesso non possiamo fare nulla, signora, non abbiamo le chiavi e non possiamo buttar giù la porta. L’unica cosa che le consiglio, è di chiamare domattina la sua ex vicina, così da chiarire questa situazione. Ora vada a dormire”
La donnina si strinse ancora di più la cintura della vestaglia, poi si alzò dalla sedia e accompagnò i due poliziotti verso l’uscita.
“Lo farò. Grazie per essere venuti”
Gli agenti salutarono la donna e se ne andarono, orgogliosi di aver compiuto l'ennesimo atto di generosità e dovere civile della giornata.
 
Il mattino successivo, appena terminata la colazione, la signora Gina telefonò alla signora Liliana.
“Pronto, Liliana?”
“Sì, sono io… Gina sei tu?”
“Ciao, scusa se ti disturbo a quest’ora… come stai?”
“Bene… ormai mi sono abituata alla nuova casa. Comunque non preoccuparti, mia figlia è già andata al lavoro e anche mio genero. Ma è successo qualcosa?” il tono di voce fino allora tranquillo e soave come il cinguettio di un passerotto, si tinse di un’improvvisa nota di amarezza.
“Non proprio … ti ho chiamata perché… non so come dirtelo, ma vorrei sapere se… se tu ieri sei venuta qui!” la Gina, per cercare di stemperare l'imbarazzo che la attanaglia, ne approfittò per ritirare nella credenza la scatola di latta con i biscotti al cioccolato, i suoi preferiti, e con un getto più forte del solito di acqua, prese a risciacquare la tazza con le coccinelle, nel lavandino della cucina.
“In che senso? Intendi dire nel mio vecchio appartamento?”
“Sì. Eri tu?”
Dall’altra parte della cornetta, la donna fece un risolino non del tutto amichevole:
“Certo che no, Gina! L’ultima volta che sono venuta è stato un mese fa, per trovare te, lo sai. Poi né io né mia figlia siamo più venute, perché avremmo dovuto?!”
La signora Gina aggrottò la fronte, sentendosi improvvisamente una stupida:
“No, infatti. E’ che, non so se faccio bene a dirtelo, ma ieri ho sentito dei rumori provenire dal tuo appartamento…”
“Cosa? Non è possibile! Te l’ho appena detto che non sono venuta! Ma…va tutto bene, Gina?”
“Sì, certo, come non detto. Scusa se ti ho disturbata, e vieni presto a trovarmi”
“D’accordo, …ciao”
La signora Liliana riattaccò, il primo raggio di sole della mattinata, a riversarsi sul tavolo.
 
 
Una settimana più tardi, al rientro dalla spesa, la signora Gina sentì un odore fortissimo provenire dal suo pianerottolo.
Fece il più velocemente possibile l’unica rampa di scale, e aprì con altrettanta velocità la porta di casa: l’odore si fermava al pianerottolo, per fortuna, non aveva lasciato il gas accesso come temevano i suoi figli da qualche anno a quella parte.
La donna appoggiò le borse con dentro le compere, e ritornò sul pianerottolo: una puzza penetrante le impedì di respirare per un attimo, perciò si mise una mano a coprire naso e bocca.
Rientrò in casa e chiamò la polizia.
 
“Presto,venite” li apostrofò dal balcone la signora Gina, incurante degli sguardi che i passanti le rivolgevano.
Due poliziotti, gli stessi della scorsa settimana, alzarono lo sguardo verso di lei, dicendole:
“Si calmi, stiamo arrivando!”
La donna, appostata dietro l’uscio, appena sentì i loro passi sulle scale, aprì la porta, quel tanto che bastava per non far entrare quell’odioso tanfo in casa.
“Venite!”
Gli agenti entrarono in tutta fretta:
“Dio mio, che cos’è questo fetore?!” domandò la poliziotta.
“Non lo so, sono tornata da fare la spesa meno di una mezz’ora fa, e appena aperto il portone, ho sentito questo odore tremendo!”
“E’ solo da questa stamattina, quindi?” continuò l’uomo, tutti e tre seduti in cucina.
“Sì. Quando sono uscita poco più di un’ora fa, sono assolutamente certa che non c’era!”
“Va bene. Adesso sfondiamo la porta, così capiamo da cosa deriva il tanfo …”
I due poliziotti uscirono e una volta sul pianerottolo, dopo essersi coperti il viso con una mano, sfondarono la porta.
La casa era immersa nell’oscurità, ma quell’odore atroce proveniva sicuramente da lì.
La poliziotta che per prima aveva parlato con la donna, dopo aver constatato che ovviamente l’elettricità non era attaccata, le disse:
“Signora, ci porti una torcia…”
L’entrata si vedeva abbastanza nitidamente, mentre il resto dell’appartamento era avvolto nel buio più totale.
La Gina ritornò con una piccola torcia tascabile, e la diede al poliziotto che era uscito dall’altra abitazione:
“Stia lì…” le ordinò.
Dopo qualche passo, la pila in mano, gli agenti videro qualcosa: il cadavere di un uomo steso a terra, con la camicia sbottonata, giaceva all’imboccatura del corridoio.
 

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Capitolo 2
*** La macchina blu ***


Il commissario ritornò dall'anziana donna nel tardo pomeriggio, per terminare le domande di routine lasciate in sospeso poche ore prima.
Seduta al tavolo del salotto, la signora Gina rispose vagamente, perché non sapeva nemmeno lei che cosa dire: è sicura di non conoscere l’uomo? Sicurissima! Non lo aveva mai visto prima? No, mai. Non si ricorda qualche particolare accaduto la scorsa settimana? No, nessuno, a parte i rumori, ovviamente…
“Abbiamo rintracciato la signora Grandi, le abbiamo detto quello che è successo” disse il poliziotto, sperando di risvegliare dall’intorpidimento la donnina.
“Oh, grazie al Cielo! Non sapevo come dirglielo! Per fortuna ci ha pensato lei, commissario. E che cosa ha detto?”
“Siamo andati a casa della figlia, questa mattina, e le abbiamo fatto le solite domande che sto facendo anche a lei, ma non mi ha saputo dire molto. Ha confermato che l’appartamento è vuoto dalla scorsa estate e che l’ultima volta che è venuta qui è stato un mese fa, per farle visita”
La Gina scosse la testa:
“Povera Liliana, non riesco proprio a capire perché abbiano ucciso quell’uomo nella sua casa…”
“Questo purtroppo non lo sappiamo ancora. Comunque, prima di venire da lei, ho provato a citofonare agli inquilini del piano di sopra, ma non risponde nessuno…” disse Barbavara, il gesto abituale di rimboccarsi la stoffa dei pantaloni.
“No, a quest’ora è normale. Nella porta a sinistra abitano i Lorenzina, sono marito e moglie, hanno più o meno la mia età, mentre nell’appartamento di fronte c’è una giovane coppia che si è sposata da poco, un anno se non ricordo male… si chiamano Della Rovere. Gli ultimi due appartamenti del terzo piano, invece, sono ancora sfitti”
“E sia i Lorenzina che i Della Rovere lavorano?” si informò il poliziotto, continuando a scarabocchiare sullo stesso taccuino del mattino.
“I Lorenzina no, ovviamente, ma credo siano andati a curare i nipoti, dal figlio.”
“Ci vanno spesso?” domandò Barbavara
“Tre volte a settimana…”
“Torneranno questa sera, quindi?”
“Verso le sei, come sempre, come ogni volta vanno da loro”
“E i Della Rovere?”
“Sì, certo, anche loro saranno a casa tra qualche ora, verso le sette e mezza, all’incirca: lui è un medico, mentre lei è impiegata. Sono molto gentili…” la donna sorrise a conferma delle sue parole.
Il commissario annuì, grattandosi distrattamente il retro della nuca:
“Bene. Se non le dispiace, rimarrei qui fino a quando i suoi vicini torneranno… manca un’ora, se i suoi calcoli sono esatti, così almeno comincerò ad ascoltare i Lorenzina”
“Come vuole, commissario! Desidera del caffè?”
“Ehm…sì, grazie”
La signora Gina si alzò, prese il suo vecchio macinino, e iniziò a preparare la bevanda.
 
 
Il giorno successivo, il referto del medico legale confermò che l’uomo, Massimo Coletti, era morto per le ferite riportate durante una presunta colluttazione.
Dalle indagini condotte da Barbavara, risultò che la vittima –incensurato- viveva da solo in un monolocale dall’altra parte della città, era separato dalla moglie che si era trasferita all’estero da circa due anni, e lavorava come designer in una ditta di giocattoli.
Vita esemplare, dunque, niente eccessi, quindi nessuna pista valida da seguire.
Una cosa interessante saltò fuori ugualmente, proprio in seguito alle domande che il commissario rivolse ai colleghi di lavoro del defunto: negli ultimi tempi, il Coletti, veniva cercato da un uomo,  un giovane sui trent’ anni, magro, occhi e capelli scuri, che gli telefonava in ufficio o lo aspettava fuori, dopo l’orario di lavoro.
Non era mai successo nulla di particolare, in verità, come una lite o qualcosa del genere, ma tutti i soci del morto concordarono nel dire che queste visite misteriose erano troppo assidue perché dietro non ci fosse nulla.
“Non vi ha mai detto il nome di quest’uomo?” chiese il commissario, seduto sulla sedia nell’ufficio del presidente della ditta di giocattoli, due giorni dopo la scoperta del cadavere.
“No” rispose il datore di lavoro, occhiali sul naso e leggermente stempiato, nonostante i capelli ancora neri “Massimo era aperto e disponibile con tutti, ma del ragazzo non ci ha mai detto nulla”
“Ogni quanto tempo veniva?”
“Non saprei. C’è stato un periodo, qualche settimana fa, che un giorno sì e uno no era sempre qui, poi ultimamente gli telefonava solamente, almeno è quello che diceva Giancarlo, l’altro designer della ditta…”
“Sì, me lo ha detto prima, quando l’ho interrogato … come fate ad essere sicuri che era proprio lui la stessa persona che gli telefonava e che veniva ad aspettarlo dopo l’orario d’ufficio?”
“Massimo era piuttosto contrariato” l’uomo si sistemò sulla poltrona girevole, la mano destra a fare un gesto come a dire ma è ovvio - gli diceva di non venire più, che tanto non sarebbe cambiato nulla, però, per quelle poche volte che li ho visti anch’io, non hanno mai alzato la voce”
Barbavara era molto interessato agli sviluppi che stavano prendendo forma da quell’indagine:
“Siete sicuri che il signor Coletti non vi abbia mai detto il nome dell’uomo?”
“No, commissario… a me personalmente mai, e nemmeno agli altri dipendenti, credo. Però, adesso che ci penso, quel ragazzo aveva un’utilitaria blu…”
“Ne è sicuro?”
“Sì, arrivava sempre con quella macchina”
 “Va bene, grazie per la collaborazione. Se le viene in mente qualche particolare, non esiti a contattarmi… arrivederci”
 
 
Quel caso sembrava ruotare attorno a un punto morto.
Lo stesso pomeriggio, dopo essere tornato dalla ditta di giocattoli, Barbavara decise di fare ancora una capatina in Piazza del Plebiscito n°6.
L’interrogatorio con i coniugi Della Rovere, avvenuto la sera stessa della scoperta del cadavere –quindi due giorni avanti- ed esattamente come  quello della signora Gina e della signora Grandi, risultò alquanto vano.
I primi non furono praticamente di nessun aiuto: erano fuori tutto il giorno, si erano trasferiti da poco in quella casa, e avevano visto la signora Liliana un paio di volte, poche settimane prima del trasloco definitivo dalla figlia, quindi il poliziotto decise di non insistere né con loro né con la vecchietta dirimpettaia dell’appartamento in cui avevano rinvenuto il Coletti.
Chi invece suscitò l’interesse del commissario, furono gli anziani coniugi Lorenzina.
“Quindi non conoscevate l’uomo assassinato al piano di sotto?” il poliziotto aveva iniziato da una manciata di minuti la conversazione con la coppia di anziani:
“No, non lo conoscevamo. Ci ha già fatto questa domanda l’altro giorno…” la donna sembrava spaventata, ma anche molto stanca.
“Ne è sicura, signora? Dalla sua faccia sembra che ci sia qualcosa che la turba”  domandò Barbavara.
“Assolutamente…è solo che questa storia mi ha molto scossa…alla nostra età non è semplice sopportare tutto questo” prese un fazzoletto di stoffa, sapientemente nascosto nella manica della camicetta rosa antico.
“Bè, certo, capisco. Il giorno dell’omicidio, dieci giorni fa, eravate in casa?”
“N-on mi ricordo, commissario” disse il marito “il martedì, il mercoledì e qualche volta il venerdì pomeriggio, andiamo a casa di nostro figlio a curare i bambini”
“Quindi anche mercoledì scorso ci siete andati?”
“Sì,certo…se è successo di mercoledì, allora sì”
“Abita lontano da qui?”
“Venti minuti a piedi”
“E siete usciti di casa già al mattino?” domandò il poliziotto, rivolto alla donna, che ora stava stropicciando insistentemente il fazzoletto ricamato.
“No, o meglio dai nostri nipoti ci siamo andati, ma solo nel primo pomeriggio, verso le tre.
Al mattino, invece, siamo andati in posta e al mercato, quello rionale che fanno ogni settimana qui sotto … ”
“Uhm. Avete solo un figlio?”
“Sì, cioè no…Andrea è sposato, è il più grande, mentre Matteo vive ancora con noi…” continuò lei
“Lavora?”
“Sì, è un disegnatore…”
Il commissario mostrò molta attenzione a quest’ultimo particolare:
“E dove?”
I due coniugi si guardarono:
“Ha un contratto fisso presso una ditta che produce giocattoli” rispose l’uomo, annuendo inspiegabilmente.
“Quale?”
“Non lo so, qui in città…”
Barbavara sospirò:
“Senta, vostro figlio quanti anni ha?”
“Trenta tra due mesi” disse la moglie, continuando a torturare l’innocente fazzoletto di stoffa.
“E’ moro con gli occhi scuri?”
“S-ì… perché lo vuole sapere?” domandò l’uomo, cominciando ad innervosirsi anche lui.
“Ha un’utilitaria blu?”
I due non risposero:
“Signori Lorenzina, siete sicuri che anche vostro figlio non conoscesse la vittima?”
La donna si mise le mani sul volto, il fazzoletto di stoffa caduto sul freddo pavimento in marmo:
“Non lo so, non lo so! Matteo ultimamente torna a casa dal lavoro sempre di cattivo umore, è stanco, insofferente. Un paio di volte ha chiamato a casa un certo Massimo, ma mio figlio si è arrabbiato e gli ha detto che si sarebbero visti il  giorno successivo… di più non sappiamo!”
“L’ultima telefonata quando è stata? La scorsa settimana?”
L’uomo mise un braccio attorno alle spalle della moglie, che disse:
“Sì, credo di sì, ma non ricordo con esattezza”
“Crede o ne è certa?”
L’anziana signora cominciò a piangere:
“Senta, commissario, ci lasci in pace” disse il marito “nostro figlio non ha fatto niente, perché c’è l’ha su con lui?”
“L’uomo ucciso nell’appartamento di sotto si chiamava Massimo, lavorava presso una ditta di giocattoli e negli ultimi tempi era infastidito da un giovane che corrisponde alla descrizione di vostro figlio: che cosa dovrei pensare?”
“Non mi importa niente di quello che lei pensa! Io so che mio figlio non ha fatto nulla!” gridò il signor Lorenzina, alzandosi di scatto dalla sedia.
“D’accordo, si calmi. Magari è tutto un equivoco, una coincidenza, però mi dovete dire dove posso trovare vostro figlio… dove lo posso trovare adesso!”
La donna continua a singhiozzare, mentre l’uomo si passa una mano sulla testa canuta: nessuno dei due replicò.
“Se non mi volete dire niente, aspetterò fin quando vi deciderete a dirmi qualcosa…”
Barbavara si rimboccò la stoffa dei pantaloni, preparandosi ad una attesa che sperava fosse la meno lunga possibile.
L’unica cosa che in quella conversazione non lo convinceva ancora, era per quale motivo –sempre che la ditta di giocattoli a cui si stavano riferendo i due anziani coniugi fosse la stessa presso cui lavorava la vittima- nessuno dei colleghi del Coletti, né tantomeno il dirigente della fabbrica, avesse menzionato il nome di questo Matteo Lorenzina: nessuno di essi, infatti, gli aveva anche solo accennato che mancasse qualche dipendente in quei giorni e, nell’elenco degli impiegati che il poliziotto aveva chiesto di visionare, il figlio dei due signori di fronte a lui, non c’era nemmeno a pagarlo d’oro.
Che fosse tutta un’ inspiegabile- almeno per il momento- coincidenza tra il vero assassino del Coletti Massimo, e il giovanotto di cui il commissario non aveva ancora fatto la conoscenza?
Barbavara guardò per l’ennesima volta l’uomo e la donna seduti davanti a lui, e cominciò a contare, con la non troppo celata prospettiva, di ricevere delucidazioni in merito all’omicidio del designer di giocattoli.
L’orologio a pendolo appeso in corridoio suonò le sei e mezza.
 

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Capitolo 3
*** Un'amara confessione ***


Il commissario si mise comodo, l’abituale gesto di rimboccarsi la stoffa morbida dei pantaloni sulle gambe muscolose.

Cinque minuti più tardi, il rumore della serratura che si apre, ruppe il silenzio forzato che si era creato nella stanza.

“Sono a casa!” disse una voce maschile:  un giovane sui trent’anni, capelli e occhi scuri, si bloccò sull’entrata quando vide l’estraneo seduto sulla sedia del soggiorno:

“Mamma, papà, che succede?”

La donna alzò il viso rigato di lacrime, e disse soltanto:

“Questo signore è della polizia”

Il ragazzo si impietrì, il volto contratto e impassibile:

“Buonasera …”

“Lei è Matteo Lorenzina?” chiese Barbavara, alzandosi.

“Sì, sono io …”

“Sono il commissario Barbavara, vorrei farle qualche domanda sull’omicidio di Massimo Coletti, l’uomo assassinato nel vostro palazzo. Lo conosceva?”

L’interrogato si fece avanti:

“Sì, lavoravo per lui …” il poliziotto non credeva che avrebbe ottenuto delle risposte così facilmente

“Da quanto?”

“Un anno e mezzo”

“Vi conoscevate bene?”

“Non proprio …”

“Cioè?”

“Non ci frequentavamo molto spesso, nel senso che non eravamo amici, solo conoscenti …”

“Nient’altro? Quando vi siete visti l’ultima volta?”

“Non mi ricordo … non di recente …”

“E quegli ematomi sulla guancia, come se li è fatti?”

Il ragazzo abbassò la testa:

 “Senta, forse è meglio che mi segua in commissariato, dovrei rivolgerle qualche domanda …”

Il poliziotto fece un cenno al giovane e insieme uscirono, i due anziani coniugi impietriti sulle sedie.

 

 

Matteo Lorenzina confessò l’omicidio di Massimo Coletti, senza alcuna resistenza

La vittima si era messo in contatto con lui tramite un annuncio di lavoro, ma in realtà non aveva mai acconsentito a mettere in regola il giovane.

Quando lo scoprì, Matteo cercò di trovare un compromesso pur di ottenere un vero contratto, ma Coletti non ne voleva sapere: aveva uno stramaledetto bisogno di soldi per pagare le assurde richieste della ex moglie e, così, se avesse messo in regola il ragazzo, molti dei profitti del lavoro in nero gli sarebbero venuti meno.

Per questo motivo, i due si diedero appuntamento al numero 6 di Piazza del Plebiscito, la settimana prima, nell’appartamento dei Lorenzina, quando il padre e la madre del giovane erano fuori, ma l’incontro tra i due degenerò fatalmente in una lite.

Nel suo ufficio, il commissario era seduto sulla poltrona girevole, attento ad ascoltare ogni singola parola di quella confessione così assurda:

“Come ha fatto ha trasportare il corpo fino all’appartamento al piano inferiore?… Non ci sono ascensori nel palazzo … ” chiese il commissario.

“Infatti non ho dovuto trasportarlo. Quando è arrivato, quel pomeriggio, ho proposto a Massimo di andare nell’appartamento vuoto, perché mio padre, essendo l’amministratore del palazzo,  conserva una copia delle chiavi di tutti gli inquilini”

“Anche quelle della signora Grandi, nonostante non abiti più nel vostro condominio?”

“Sì, anche le sue. Quando si è trasferita dalla figlia, non ha voluto le chiavi indietro, e così mio padre le ha tenute insieme a tutte le altre, in camera da letto, in una piccola cassaforte. Sapevo la combinazione e così non ho avuto difficoltà ad aprirla …”

“Perché non siete rimasti a casa sua?”

“Avevo paura che i miei tornassero da un momento all’altro: non volevo che, se fossero rientrati prima del previsto, ci vedessero litigare, per questo siamo scesi … ”

Il ragazzo si passò una mano tra i folti capelli, e abbassò la testa in modo colpevole:

“A Massimo non importava niente delle persone: da quando si era separato dalla moglie, era diventato meschino, ambizioso, voleva a tutti i costi sempre più soldi. Io all’inizio lo capivo, pensavo fosse una situazione momentanea, invece quando gli chiesi di mettermi in regola, lui continuò a rimandare, ogni volta aveva una scusa, e io non sapevo più cosa fare!”

“Perché non ha cambiato lavoro?”

“Non è così semplice. Sebbene sia giovane, alla mia età, o si è già entrati nel giro oppure si hanno poche speranze di ricoprire qualche posizione davvero importante …”

“Prima mi ha detto che avete litigato quel giorno, come si sono svolti i fatti?”

“Sì, è vero. Massimo mi ha preso per il bavero del maglione, e ha cominciato a strattonarmi. Sono caduto a terra, poi anch’io l’ho colpito...è scivolato ed ha sbattuto la testa … quella stessa sera, quando i miei dormivano, sono sceso nell’appartamento per rendermi conto di quello che avevo fatto … ero disperato, non sapevo cosa fare”

Matteo Lorenzina si fermò: “ Ho sbagliato,commissario,ma è stato un incidente,io non volevo ucciderlo…”

Barbavara si mosse sulla poltrona girevole, un’espressione di incertezza sul volto:

“Le posso anche credere, ma forse sarebbe stato meglio denunciarlo per il mancato contratto, oppure costituirsi subito dopo l’omicidio o incidente, come vuole chiamarlo lei. La sua posizione non è delle migliori, anche se ci sono delle attenuanti”

“Cosa posso fare?”

“Cercarsi un buon avvocato … ”

Il poliziotto alzò la cornetta del telefono, compose il numero del questore e attese in linea: un altro caso, era stato risolto.

 

  Nota dell'autrice: grazie infinite ai tantissimi che hanno letto la storia, e ad i_m alien che l'ha inserita tra le seguite! Spero che darete un'occhiata anche all'altro racconto in questa stessa sezione, "Mistero a doppia indagine" , e ad "Adele", nella sezione romantico. A presto!

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