Adele

di rossella0806
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La lettera ***
Capitolo 2: *** L'incontro ***
Capitolo 3: *** L'inganno ***
Capitolo 4: *** La cena ***
Capitolo 5: *** In viaggio ***
Capitolo 6: *** Cioccolata e meringa ***
Capitolo 7: *** Fuochi e Lacrime ***
Capitolo 8: *** L'ortensia blu ***
Capitolo 9: *** Brindisi di sventura ***
Capitolo 10: *** Una ferrea decisione ***
Capitolo 11: *** Tutta colpa della polmonite ***
Capitolo 12: *** Il marchese e la madre ***
Capitolo 13: *** Monete d'oro ***
Capitolo 14: *** Il matrimonio ***
Capitolo 15: *** Il divano arancione con le foglie verdi ***
Capitolo 16: *** Il caleidoscopio ***
Capitolo 17: *** Prigioniera: Adele si assume la responsabilità delle proprie azioni ***
Capitolo 18: *** Una visita gradita ***
Capitolo 19: *** Il fattorino prestigiatore ***
Capitolo 20: *** La fuga ***
Capitolo 21: *** Una fiducia mal riposta ***
Capitolo 22: *** Don Chisciotte e il mastino ***
Capitolo 23: *** Un'incredibile rivelazione ***
Capitolo 24: *** Il lieto fine ***



Capitolo 1
*** La lettera ***


Adele si sposò che aveva vent’anni. Secondo le regole sociali dell’epoca era già vecchia: sua madre, sua nonna, sua sorella, tutte si erano sposate prima, mentre lei non aveva trovato un buon marito fino a quell’età.
In realtà un giovanotto che le faceva la corte c’era stato, ma le due famiglie non avevano dato la loro benedizione a un eventuale matrimonio, perché il ragazzo era destinato a farsi monaco: Dio l’aveva guarito dalla tubercolosi e così, i genitori, in cambio della vita del loro secondogenito, lo avevano condannato contro la sua volontà ad entrare in convento.
Tutto questo era successo un anno prima del suo matrimonio, ma Adele si ricordava ancora molto bene di quello che avrebbe voluto fosse suo marito: rammentava con estremo piacere le lunghe passeggiate in campagna, le conversazioni sulle ultime novità letterarie, l’allegria dei suoi occhi, le caldi mani che la aiutavano a salire in carrozza, i sorrisi che si scambiavano quando parlavano dei viaggi che avrebbero voluto fare insieme.
Poi Umberto si ammalò e lei pensò di perderlo per sempre.
Le lunghe notti insonne che la tormentavano, le preghiere nella cappella di famiglia, l’immensa gioia della guarigione dell’innamorato, e poi la terribile notizia della sua clausura: Adele era venuta a saperlo tramite una lettera, qualche riga che lui le aveva scritto quando ormai era già in viaggio verso un convento di cui nessuno le aveva voluto rivelare il nome.
La disperazione, la delusione, l’amarezza e la rabbia presero il sopravvento su Adele, che cominciò a divenire apatica e perse la gioia di vivere.
Passava le sue giornate a ricamare, qualche volta suonava svogliatamente il pianoforte o leggeva con malinconia i libri di cui aveva parlato con Umberto, ma non partecipò quasi più alla vita mondana, se non quando la madre la obbligava ad andare a trovare la sorella maggiore che aveva avuto un bambino da pochi mesi o quando organizzarono il ricevimento per il ritorno di Alberto, il  primogenito, dall’Accademia militare.
Quando il padre, qualche mese dopo l'allontanamento dall'innamorato, le comunicò che aveva finalmente trovato uno sposo degno di lei, la giovane non se ne dispiacque più di tanto: annuì rassegnata al suo destino, in cuor suo forse fu addirittura felice -se così si può definire quello strano sentimento che provò- al pensiero che avrebbe per sempre abbandonato quei luoghi e quella casa che tanto l’avevano delusa.
Ora Adele era sposata da quasi due anni, ma era come se non lo fosse.
Suo marito non era quasi mai presente: il  visconte, infatti, era proprietario della maggior parte delle terre che si trovavano al confine con la Francia, e molto spesso viaggiava in quei luoghi per sistemare piccole questioni e per visitare i suoi possedimenti.
Nei primi mesi di matrimonio, anche Adele si era recata diverse volte con il marito, e quei viaggi l’avevano risollevata per qualche giorno dalle sue pene.
Non si era mai allontanata dalla sua casa d’origine, se non per andare in villeggiatura d’estate alla villa di famiglia sul lago, e quei territori a lei sconosciuti, le erano apparsi stranamente incantevoli: le immense distese di campi coltivati, le foreste, i palazzi del visconte, le cene con la sua nuova famiglia, tutto all’inizio non le dispiacque affatto poi, con il passare del tempo, anche queste novità così gradevoli, si rivelarono monotone e quasi noiose.
Così Adele cominciò a prendere la scusa che i viaggi in carrozza le davano disturbo, preferendo invece restare nella sua nuova casa, a una dozzina di chilometri dalla sua terra di origine, non abbastanza lontano da quello che aveva immaginato, ma sufficientemente vicino da martoriarsi con il ricordo di un passato ormai distante eppure ancora così felice.
Il visconte suo marito aveva quindici anni più di lei, ma nonostante questo aspetto del tutto trascurabile, Adele lo trovava un uomo affascinante e dalle vedute piuttosto ampie: si interessava di musica, letteratura e di arte, adorava i cavalli, amava i suoi cani e il gatto come se fossero dei figli, e con la moglie era affettuoso quanto bastava, ma era palesemente evidente che quel matrimonio non lo aveva cercato con convinzione, era uno dei tanti trofei e possedimenti che si aggiungevano alla sua lunga liste di cose e persone.
E anche fisicamente era piuttosto attraente: aveva lunghi capelli corvini raccolti in un codino, gli occhi verdi tremendamente espressivi, la bocca carnosa in netto contrasto con il naso aquilino, e poi era forte e alto, molto più alto di suo padre e di suo fratello.
Adele non lo aveva mai visto prima della festa di fidanzamento, e non riusciva a capire come e quando suo padre lo avesse conosciuto, ma qualche ora dopo la fine del ricevimento, si era già dimenticata di questo particolare.
 
Una mattina di marzo, un paio di settimane dopo che l’ultima neve si era sciolta nel grande parco che circondava la villa, i due coniugi stavano godendo di quel tempo finalmente clemente, quando improvvisamente la giovane voce di lei, ruppe l’abituale silenzio dei pasti:
“Siamo sposati da due anni e ancora non avete cercato di avere un figlio. Perché?”
Adele e il visconte erano seduti in veranda per la colazione: la giornata era mite, tipicamente primaverile, e la pioggia dei giorni passati aveva lasciato solo le sue gocce cadere dalle foglie dei querceti del giardino.
“Un anno e otto mesi per la precisione, mia cara” rispose l’uomo, pulendosi la bocca e appoggiando la tazza di caffè di fianco al tovagliolo.
Adele abbozzò un sorriso:
“Vi ricordate esattamente la data. Credo siate uno dei pochi mariti ad esser così precisi su questioni come questa”
“E non vi fa piacere?”
“Certo che sì, tuttavia non avete ancora risposto alla mia domanda”
“Ma non credo ci sia una risposta giusta da dare. Semplicemente non abbiamo fatto nulla che potesse far nascere un figlio. Siete soddisfatta?”
“Per nulla. E’ troppo banale come risposta: voi siete sempre via, e io non sono presente come una moglie degna di tale nome dovrebbe essere. Tuttavia vorrei avere un figlio, Francesco. Mia sorella ne ha già due, mio fratello a breve si sposerà, e io non voglio e non posso essere da meno e…”
“Quanto parlate questa mattina! Avete fatto qualche incubo, presumo, per avere una paura così ingiustificata! State tranquilla: se è solo questo che volete, cercherò di accontentarvi”
“Molto bene. Dovremo trovare un compromesso: viaggerete di meno, dormiremo nello stesso letto…”
“Aspettate un momento!” sul volto perfettamente glabro dell’uomo, si dipinse un ironico sorriso “anche voi, cara moglie, potreste accontentarmi, accompagnandomi quando vado in Francia. Lo sapete molto bene, lì ho la mia famiglia e tutti i possedimenti che ci permettono di condurre una vita così agiata. Anzi, comincio a dubitare che i vostri disturbi che vi affliggono da così tanto tempo, siano inventati di sana pianta”
Adele sorride a sua volta, le labbra umide dell’ultimo sorso di tè alla vaniglia.
“Avete ragione. La carrozza mi annoia con tutti quei colpi e sobbalzi. Dovremmo prendere il treno, è più comodo e veloce, e vedrete che ricomincerò a venire con voi. Ve lo prometto”
“Sì, ma il viaggio così si allungherebbe: dovremmo fare ugualmente un’ora in carrozza. Però se è questo che volete, allora ben venga. Pur di avervi con me, sono disposto a prendere il treno!”
“Molto bene. Quando partiamo?”
Il visconte guardò la moglie sempre più divertito, scuotendo leggermente la testa:
“Adele, così mi preoccupate! Perché tutta questa fretta? Sono tornato appena ieri sera, fatemi riposare per un paio di giorni, e poi potremo partire”
“Avete ragione, è solo che sono stanca di stare sempre qui, rinchiusa tra queste quattro pareti. Ora scusatemi, ma vorrei andare a fare una passeggiata in città” la giovane moglie si rimbocca il lungo abito color avorio così simile alla sua carnagione, poi con un leggero inchino fa per allontanarsi, quando viene richiamata dalle parole gentili del marito:
“Volete che vi accompagni?” propone il visconte alzandosi a sua volta.
“No, prenderò la diligenza. A più tardi, Francesco”
 
 
La lettera era arrivata il giorno prima: dire che l’aveva sconvolta, non sarebbe bastato per esprimere lo stato d’animo in cui si trovava.
Non sapeva come Umberto fosse riuscito a sapere il suo nuovo indirizzo, e soprattutto chi glielo avesse dato, dal momento che aveva rotto qualsiasi contatto sia con la sua famiglia che con quella di lei.
La notte  Adele non aveva dormito:  dopo averla riletta tre volte appena la cameriera personale gliel’aveva portata, l’aveva accartocciata e gettata in un angolo della sua camera.
Ma la sera, dopo che il visconte era tornato da uno dei suoi soliti giri notturni, per la paura che lui la scoprisse, aveva recuperato con la disperazione nel cuore la lettera per nasconderla sotto il cuscino.
E alla luce dell’alba l’aveva riletta ancora una volta:
 
Adele, amore mio,
riconosci la mia scrittura? Sono Umberto! Non sai che gioia quando finalmente sono riuscito a scappare dal convento e ad avere tue notizie.
Non desidero altro che rivederti! E’ passato così  tanto tempo! Come stai, mia cara? Ho saputo che ti sei sposata, che ti hanno obbligato, ma stai tranquilla: verrò a prenderti molto presto, e finalmente potremo vivere insieme, per sempre.
Scrivimi all’indirizzo qui sotto per dirmi quando potrò finalmente raggiungerti!
A presto, ti abbraccio e ti bacio,
Tuo Umberto
 
 
Dio mio, continuava a ripetersi Adele, perché questa lettera è arrivata solo adesso? Perché Umberto non era riuscito a fuggire prima? Solamente due anni, solo settecentotrenta giorni, e la sua vita, anzi la loro vita, non sarebbe stata distrutta per sempre.
Nella sua stanza, la camera che da quasi un anno non divideva più con il visconte suo marito, la giovane sposa, continuava a camminare a passi veloci, avanti e indietro, quel mucchietto di parole ormai accartocciate tra le sue dita fredde e tremanti.
Il cuore le batteva furiosamente, il respiro diventava minuto dopo minuto, accelerato e pesante, come mai prima di allora.
Non doveva andare proprio da nessuna parte Adele, quella raccontata appena pochi minuti prima a Francesco, era solo una bugia, ma aveva un bisogno folle di riflettere, perché altrimenti la sua testa sarebbe scoppiata, la sua voce avrebbe gridato al mondo intero che, presto, Umberto sarebbe tornato a prenderla!
Riconosceva i suoi errori di moglie, di sposa che non aveva soddisfatto i desideri del marito, anche se lui non le aveva mai rimproverato nulla, tantomeno l’aveva biasimata quando lei, la scorsa primavera, gli aveva domandato se sarebbe stato un problema dormire in camere separate, attigue sì, ma non la stessa.
“Viaggiate ogni mese, state via per così tanti giorni, che ormai non sento più la vostra mancanza quando non ci siete, e non avverto la vostra presenza quando siete con me” era riuscita a dirgli allora.
Ma ora tutto stava precipitando: da qualche mese un desiderio irrefrenabile di maternità le divorava l’anima, la notte si struggeva non più pensando solo ad Umberto, il suo unico vero amore, ma anche ad un bambino che così tanto avrebbe voluto per colmare quelle giornate interminabili di solitudine.
E quella mattina, finalmente, il suo sogno era ad un passo dall’avverarsi: Francesco le aveva promesso che presto le avrebbe dato un figlio, eppure … avrebbe potuto fuggire con Umberto, avere dei bambini con lui, ma qualcosa la bloccava.
Mi sono rassegnata, ammise a se stessa, è passato così tanto tempo che non riesco più ad immaginare la mia vita con lui. Ma lo voglio, lo voglio immensamente, lo desidero come non ho mai desiderato niente o nessuno, però se fuggo, di cosa vivrò? Come potremo mantenere i nostri bambini?.
Adele nascose nuovamente la lettera ormai spiegazzata sotto il cuscino: si cambiò d’abito velocemente, indossando il vestito di velluto nero con i merletti all’orlo e alle maniche, che era solita indossare quando andava a cavalcare e, il sangue che le ribolliva nelle vene, uscì dalla stanza.
 

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Capitolo 2
*** L'incontro ***


“Voi mi amate?”
Adele stava guardando fuori dalla finestra della biblioteca, dove aveva raggiunto il marito pochi minuti prima: la giornata era splendida, tipicamente primaverile, tanto che la servitù aveva colto l’occasione per far arieggiare gli abiti più leggeri, ormai seppelliti da mesi nei pesanti armadi di ciliegio.
La ragazza era appena tornata da una passeggiata a cavallo e indossava ancora il suo splendido abito da amazzone con i merletti all’orlo e alle maniche, dono di sua madre per lo scorso Natale.
“Certo che vi amo! Che razza di domante fate?” domandò allibito il visconte: era seduto sulla sedia Luigi XV, dietro la grande scrivania in mogano, disseminata di lettere, libri contabili, la penna d’oca di fianco al calamaio in argento con le sue iniziali incise, e un paio di romanzi di Salgari.
A quelle parole, l’uomo si avvicinò alla giovane sposa, il lieve tacchettio della suola degli stivali sulle grandi piastrelle di marmo quadrate, attratto come ogni volta in cui avvertiva l’ingenue fragilità di lei.
“Quello che provate per me non è amore, Francesco: è l’affetto che nutre un fratello per una sorella, non quello che dovrebbe nutrire un marito nei confronti della propria moglie”
“Cominciate a preoccuparmi, Adele: in questi ultimi giorni vi state comportando in modo … enigmatico, e vi giuro che non riesco a capirne il motivo: prima la richiesta di un figlio, poi il desiderio di partire al più presto per la Francia, e adesso questa domanda così assurda! Cosa vi sta succedendo, per l’amor di Dio?!”
Adele si voltò, le mani intrecciate sul grembo, pallide come l’incarnato del viso.
“Non sono diventata matta, se è questo che vi preoccupa: ho solo troppo tempo per pensare al nostro rapporto. E non posso fare a meno di pormi delle domande”.
Il visconte sorrise scuotendo la testa e, prendendo la moglie per un braccio, con non troppo delicatezza continuò:
“Adesso vi faccio io una domanda: perché avete acconsentito a sposarmi?”
Adele guardò la mano che le stringeva il braccio, poi spostò gli occhi sul volto perfettamente squadrato del marito, i lunghi capelli corvini raccolti con un nastro di velluto blu.
“Ora siete voi quello strano" rispose con voce piatta "lo sapete molto bene che non ho potuto scegliere, come del resto ogni donna che vive in questo mondo. Però se proprio desiderate una risposta, vi dico che vi ho sposato perché siete arrivato al momento giusto.”
Il visconte lasciò la presa, frastornato dalle parole e dal profumo di bergamotto che sprigionava il corpo della moglie.
“Lo so bene questo. Quindi anche voi ammettete di non amarmi?”
“Non credo di amarvi nel giusto modo, ma vi stimo e vi ammiro, ve lo devo”
“Anche questo non è amore”
“Lo so, ma per il momento non posso fare diversamente”
Un silenzio calò, come una spessa coltre di nebbia taglia in due l’orizzonte alla vista di chi osserva al di là della foschia , e si frappose tra i due coniugi.
“Tra domani e dopodomani dovrò sbrigare delle faccende” continuò come se nulla fosse il visconte:
“ Incontrerò dei latifondisti a cui voglio affittare il vecchio casolare a Riva del Po. Poi, se tutto andrà come spero, potremo partire per la Francia già sabato mattina. Cosa ve ne pare?”
Una fitta, come una scarica elettrica, attraversò lo stomaco di Adele che, con la voce più inespressiva possibile, rispose:
“E’ perfetto, Francesco. A proposito di affari” la giovane donna si avvicinò all’uomo che, nel frattempo, aveva di nuovo preso posto sulla sedia e, le dita affusolate a lisciare di nascosto il lungo abito, propose “ nella mattinata di domani vorrei recarmi da mia sorella: lo sapete, suo marito è impegnato tutto il giorno in ospedale, così pensavo di trascorrere qualche ora con lei e i bambini …”
“Se è quello che desiderate, fate pure mia cara, non sarò certo io a impedirvelo. Resterete fuori per pranzo?”
“Sì, ma tornerò prima che faccia buio. Un’ultima cosa, farò una passeggiata a cavallo, non prenderò la carrozza … ”
“Ne siete sicura? Così ci impiegherete molto più tempo” gli occhi verdi, inquisitori e supplichevoli allo stesso tempo, si posarono sulla giovane sposa, mentre le mani frugavano delicatamente tra i soprammobili sulla scrivania, alla ricerca di chissà quale appiglio per mascherare la sua ragionevole curiosità.
“Molto bene, allora è deciso. Ora scusatemi, ma ho della corrispondenza da sbrigare”
 
 
Adele si strappò il vestito di velluto nero con i merletti all’orlo e alle maniche, con una foga che nemmeno lei credeva di poter possedere.
Stupida” si disse “una bugia così sciocca non sarebbe potuta venire in mente nemmeno alla più inesperta tra le cameriere!
La sua reale intenzione per l’indomani, infatti, era quella di recarsi all’indirizzo che Umberto le aveva scritto nella lettera arrivata a palazzo appena il giorno prima: non avrebbe mai avuto il coraggio di rispondergli, perché temeva follemente che il visconte suo marito potesse intercettare la posta e, così, venire a conoscenza di quel segreto che lei credeva aver seppellito ormai due anni prima, insieme alla sua precedente esistenza.
E poi che cosa avrebbe potuto scrivere? Quali parole avrebbero colmato quel vuoto che sentiva da tanto tempo, non appena pensava a Umberto?
La soluzione migliore le sembrò subito quella di andare di persona all’appuntamento che, presto o tardi, inesorabilmente avrebbe avuto luogo.
Il cuore di Adele batteva furiosamente al solo pensiero di rivederlo … “chissà se mi riconoscerà? Sarà cambiato? Io gli apparirò diversa? E se non lo amassi più?”. Quell’ultima domanda le parve così irrazionale che dovette reprimere un gridolino isterico.
Come poteva non essere più innamorata di Umberto, come poteva anche solo lontanamente dubitarne? La giovane sposa si avvicinò allo specchio da toeletta appoggiato in un angolo della camera da letto, la grande finestra dietro e spalle, e cominciò a studiare i suoi lineamenti riflessi in quel pezzo di vetro.
Gli occhi dalla forma leggermente allungata, dello stesso colore del miele di castagno, erano ancora vivaci come due anni prima: il naso piccolo e ben proporzionato, la bocca rossa in contrasto con la pelle lattescente, il collo lungo e sottile, in parte coperto dalle ciocche ricce castano chiaro, spettinate dalla cavalcata di poco prima.
Potrò ancora piacergli” constatò soddisfatta e, indirizzando lo sguardo verso la piccola sveglia rettangolare di porcellana sul comodino, cominciò a contare le ore che la separavano dall’incontro con Umberto.
 
 
La mattina successiva, il sole era appena sorto quando Adele uscì da palazzo.
Indossava una giacca di feltro verde scuro, da cui spuntava un’elegante camicetta di seta bianca, la gonna di velluto blu notte e gli immancabili stivali di pelle nera, a cui erano abbinati i guanti.
Aveva scelto accuratamente l’abbigliamento, con la voluta intenzione di non risultare troppo elegante nel caso sfortunato in cui qualcuno della servitù – o peggio ancora lo stesso visconte- l’avesse incontrata.
Sellò personalmente il suo baio grigio e bianco, cosa che non aveva più fatto da quando si era sposata, perché non le era mai capitato di uscire di nascosto dalla servitù e, quindi, di conseguenza, dal marito.
Diede un’ultima occhiata al cielo sgombro di nuvole, e salì a cavallo, i lunghi capelli acconciati sotto il cappellino di lana.
 
 
Dopo quasi due ore di cavalcata, la giovane fermò il purosangue in un’ampia radura di querce, dove il fiume finiva di scorrere, tuffandosi nel lago in lontananza.
L’indirizzo che le aveva scritto Umberto nella lettera doveva distare non più di qualche centinaio di metro, dal momento che Adele riusciva a scorgere piuttosto distintamente un agglomerato di case oltre gli alberi.
Si asciugò distrattamente la fronte per nulla madida di sudore, poi sì incamminò in quella direzione, il cavallo al suo fianco, trattenuto dalle redini in pelle.
Quando arrivò davanti al presunto indirizzo, la giovane credette di aver sbagliato strada, sebbene l’insegna rettangolare di marmo bianco, recava proprio il nome della piazza che stava cercando.
Constatò senza alcuna difficoltà, che era un posto troppo squallido per il suo Umberto, che non c’entrava assolutamente nulla con l’esistenza idilliaca e agiata a cui erano sempre stati abituati entrambi.
Indecisa su come comportarsi, la ragazza rimase lì per qualche secondo, consapevole del fatto che non aveva fatto tutta quella strada per niente, che era lì per uno scopo, non poteva –e non voleva- tornare indietro a mani vuote.
Avvolse le redini del baio grigio e bianco, attorno all’apposito anello infilato nella parete scrostata dell’abitazione, accarezzando il muso allungato dell’animale.
Quindi, spostò nuovamente la sua attenzione vero quel muro anonimo che, nella migliore delle sue congetture, la separava ancora per pochi secondi, dal suo Umberto.
Bussò con insicuri colpi alla porta in legno davanti a lei: un’anziana donna, vestita con un pesante abito color antracite –probabilmente di lana- le si parò innanzi.
Aveva i capelli candidi come i fiocchi di neve appena depositati sul terreno, gli occhi cerulei, la bocca dalle labbra sottili, rimarcate dalle grinze del tempo, così come le mani-che continuava a strusciare su un liso rettangolo di pezza- , rugose e con le vene in rilievo.
“B-buongiorno” azzardò la giovane “Vive qui Umberto?”
“Chi lo cerca?” la voce dell’altra aveva un retrogusto sospettoso, un timbro caldo che traspariva dal tono, in contrasto con la raucedine che caratterizzava le sue parole.
“Sono …” a come avrebbe dovuto presentarsi, Adele non aveva avuto occasione di pensarlo, eccitata com’era al pensiero di rivedere l’innamorato.
Sentì un improvviso calore avvamparle le gote che, ben presto, si diffuse all’intero volto.
“Mi chiamo Adele … “
Ma non dovette nemmeno sforzarsi di proseguire con una scusa per nulla formata nella sua mente, che la donna proruppe estasiata:
“Oh Dio del Cielo! Voi siete Adele, quell’Adele?! Come ho fatto a non riconoscervi? Umberto mi ha così tanto parlato di voi, che avrei giurato di potervi riconoscere in mezzo a mille altre donne! Entrate, vi prego!”
La giovane avvertì quella vampa misteriosa svanirle dal volto, mentre le parole dell’anziana donna, continuavano ad essere accompagnate da gesti d’entusiasmo delle mani, alternati a lievi scuotimenti del capo.
“Ve lo vado a chiamare subito” sentenziò la vecchina, una punta di infantile  incredulità nella voce, e scomparve su per una traballante scala di legno.
 
 
Adele si guardò intorno: la stanza in cui si trovava, non era più grande delle sue stalle, tuttavia era molto più luminosa, grazie alle due finestre incasellate nel muro, ai lati della porta d’ingresso.
Al centro della camera, imperava un semplice tavolo di legno adornato da quattro sedie, mentre nell’angolo del camino a vista – con un grande paiolo sul fuoco acceso- un altrettante misero sgabello di faggio, attirava l’attenzione della giovane.
intanto che stava osservando le tre mensole incastrate nella parete opposta alle finestre, Adele intravide la donna ridiscendere le scale, una destrezza incredibile nelle gambe, rispetto agli anni di cui, fortunatamente, godeva.
Ma chi impressionò veramente la ragazza, fu la persona che seguiva l’anziana: il giovane in questione, indossava una consunta camicia rossa di lana grezza, i pantaloni scuri di tela pesante, ai piedi un paio di stivali rattoppati, la folta chioma corvina illuminata da un raggio di sole che entrava a scomporre il pulviscolo roteante che avvolgeva le teste dei presenti.
“U-umberto …” la voce di lei era come un sussurro, una preghiera mormorata nel suo intimo, dopo interminabili mesi di astinenza dal pronunciare quelle poche ma vitali sillabe.
Il giovane fece di corsa gli ultimi gradini che li separavano, e si gettò tra le braccia di lei.
“Adele, amore mio!” i loro corpi s’intrecciarono, le mani di lui a prenderle il volto, mentre caldi baci le impedivano di parlare.
La vecchina uscì discretamente dalla porta, il rumore cigolante del legno che sta marcendo, ad accompagnarla.
“Oh, Umberto, sapessi quanto ho aspettato questo momento! Due anni, due lunghi anni! Io… io sono così felice che non riesco a crederci!” riuscì a dire la ragazza, il corpo scosso da asincronici singhiozzi, mentre le lacrime cominciarono a rigarle il volto, perennemente nascosti nell’incavo del ragazzo.
“Non devi piangere, finalmente siamo di nuovo insieme, uno di fronte all’altra. Dio mio, anche a me sembra impossibile, invece è vero, è vero!”
Adele si strinse ancora di più a quel corpo che per settecentotrenta lunghi giorni, aveva agognato di tenere fra le braccia.
Una fitta d’inquietudine le attraversò il cuore e, improvvisamente, si ritrovò a pensare al motivo per il quale stesse piangendo.
Era immensamente felice, dopo tutti quei mesi passati ad immaginare, a sperare ardentemente in quell’incontro che ora, prontamente, si era realizzato, non riusciva però a capire se quelle erano lacrime amare oppure no.
Quella sensazione di vuoto che le invadeva la mente e non la lasciava respirare tranquillamente, sembrava essere cessata, eppure … eppure si sentiva in colpa, stupida come se non dovesse essere lì, perché sapeva che, presto o tardi, la sua bocca non  sarebbe riuscita a rimanere chiusa davanti all’esplosione di gioia che la divorava da dentro, perché Umberto, il suo Umberto, era finalmente ritornato da lei.
 

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Capitolo 3
*** L'inganno ***


Adele inspirò ancora una volta il familiare profumo che sprigionava il collo dell'innamorato, insolitamente mischiato a quell'aroma di zolfo e di estraneo che emanava la camicia rossa di lana grezza.
Riaprì gli occhi, fino ad allora serrati nella visione di incredulità che abitava la sua mente e, finalmente, ritornò a guardare in volto il giovane.
"Umberto, sono così felice, sono tanto, tanto felice di riaverti qui con me ... "
Adele si bloccò a metà di quel discorso carico di emozioni a lungo represse, perché si accorse solo allora, dopo la foga e l'entusiasmo del momento, dei capelli dell'innamorato, così diversi da come se li ricordava:
"I tuoi capelli ...sono così corti ..." constatò, passandosi tra le dita quelle ciocche corvine troppo brevi.
Il giovane abbozzò un sorriso, e accarezzò con dolcezza la guancia calda e umida di lei.
"Ora mi sono ricresciuti, dovevi vedermi qualche tempo fa, ero un monaco in piena regola, con la mia tonsura e l'abito dell'Ordine!"
Adele, in piedi davanti a lui, si riscosse bruscamente dall'intorpidimento che, fino a quel momento, l'aveva imprigionata: il suo Umberto aveva vissuto per quasi due anni come un monaco, un umile servitore di Dio e lei, ingenuamente, aveva rimosso quel pensiero, quella certezza, appena aveva avuto la possibilità di riabbracciarlo.
Si sentì improvvisamente e nuovamente in colpa, perché aveva condannato al peccato un uomo di Dio e, adesso, temeva per quello che Lui avrebbe potuto fare nei confronti di Umberto.
Sua madre e la sua balia, infatti, l'avevano allevata nel timore di Dio, inculcandole una paura che andava ben oltre la popolare reverenza: ogni mancanza, ogni più piccola bugia o insoddisfazione di bambina prima e di ragazza poi, ogni peccato veniale veniva prontamente supplito da almeno una preghiera e una penitenza, a seconda della gravità commessa.
"Io ... non so cosa fare, non é giusto quello che ti ho fatto, non voglio che tu sia punito!"
La giovane si allontanò di scatto dal ragazzo, andando a sbattere contro una delle quattro sedie di faggio che circondavano il tavolo, al centro della stanza.
"Ma cosa stai dicendo?" domandò incredulo il ragazzo " tu non mi hai costretto a fare nulla! Sono io che ho deciso di fuggire dal convento! L'ho fatto solamente per venire a cercarti! "
"Appunto!" controbatté tremante Adele " ho trascorso settecento trenta lunghe notti a sognarti, non c'era giorno in cui non ti pensassi, non un'emozione, un libro o della musica che non avessi voluto condividere con te! Ogni mattina e ogni sera, appena sveglia e prima di coricarmi, guardavo il cielo fuori dalla finestra della mia stanza, con l'assurda speranza di rivederti, di abbracciarti e baciarti, di essere finalmente ed esclusivamente tua!"
"E allora perché adesso mi stai parlando in questo modo?! " il viso di Umberto cominciò a trasformarsi in una maschera di incredulità, troppo stupito di assistere a quello spettacolo che non aveva alcuna motivazione di andare in scena.
"Ma non capisci?! Tu eri consacrato a Dio! Eri un suo servitore! Adesso sei un eretico che é venuto a cercare una donna sposata! Non temi la Sua reazione? Non hai paura delle conseguenze?"
La stanza le sembrò improvvisamente claustrofobica, ogni cosa cominciò ad apparirle azzardata, frutto di una passione demoniaca e ormai dimenticata dal mondo, ma non dalla sua mente e, soprattutto, dal suo cuore.
"Adele, cosa ti é successo? Cosa ne é stato della dolce, allegra e intelligente ragazza che conoscevo?"
Umberto tentò di avvicinarsi a quella figura spaventata, così diversa dalla donna con cui -fino a pochi anni prima- si divertiva a passeggiare o a bere una cioccolata calda, ma che ora non osava nemmeno sfiorare, temendo che potesse rivelarsi un'effimera chimera, perciò si bloccò, in attesa che lei proseguisse.
"É morta! É morta con te, da quando te ne sei andato, da quel giorno in cui sono stata costretta a sposarmi!"
La giovane prese con forza la sedia contro la quale, pochi attimi prima, aveva urtato e, spostandola verso di lei, si sedette:
"Non ci posso credere, non ci voglio credere!" Umberto le si avvicinò cautamente, appoggiandole con delicatezza una mano sulla spalla, poi proseguì con voce calda e bassa:
"Adele, amore mio, sono stato io a scegliere tre mesi fa, di rinnegare la vita che i miei genitori avevano scelto per me, tu non c'entri niente con questa decisione ..."
La giovane appoggiò i gomiti sul tavolo di faggio in parte scheggiato e, le mani non più avvolte dai guanti, si coprì gli occhi, cominciando a scuotere con foga la testa.
Perché sta succedendo tutto questo? Si domandò Adele, mentre copiose lacrime cominciarono a rigarle le guance, gli incisivi a morderle le labbra carnose.
Quella situazione, da felice e incredibile com'era iniziata, stava prendendo una piega amara, malvagia e del tutto inaspettata ... no, questo non é vero, lo sapevo, temevo che prima o poi il passato mi avrebbe presentato il conto, continuava a rimuginare la giovane, fino a quando Umberto la riscosse da quel torpore così fastidioso e pungente.
"Adele, ti prego, smettila di tormentarti ... permettiti di essere ancora felice, di vivere come desideri, con chi desideri ... "
"Ma come faremo? Di cosa vivremo? Dove vivremo?!"
La ragazza alzò lo sguardo verso l'innamorato, speranzosa in una risposta che finalmente la potesse rincuorare, e togliere da quel vortice di incertezze che le stava divorando la mente.
"Non preoccuparti di questo. Durante i due anni alla certosa, mi hanno insegnato a ferrare i cavalli, a usare il martello e i chiodi, a riparare le suole di scarpe e stivali! Troverò un lavoro, Adele, te lo prometto. E poi mio padre non può rinnegarmi, io sono sempre suo figlio, e ho diritto alla mia parte di eredità!"
"Ma quando sei entrato in quel maledetto convento, hai perso ogni centesimo della sua fortuna!"
Adele si alzò di scatto dalla sedia e, avventandosi sul giovane, lo strizzò  in un abbraccio che lo lasciò senza fiato, stropicciandogli il maglione rosso, i seni premuti contro il petto, il respiro ansimante e irregolare, i battiti di quel cuore sofferente, accelerati all'inverosimile.
"Va bene, va bene Umberto, farò come vuoi tu. Ma ora abbracciami, stringimi forte, per favore".
 
 
Durante il viaggio di ritorno a palazzo, la giovane sposa non poté fare a meno di riflettere sulle parole che Umberto aveva pronunciato poco prima che si congedassero.
Le aveva raccontato di come, grazie all'aiuto del nuovo priore, aveva avuto il permesso di abbandonare la certosa: il religioso, infatti, era venuto a conoscenza della storia del giovane e la sua non volontà di entrare in convento, così gli aveva promesso il suo aiuto.
L'anziano uomo, lì per sostituire solo momentaneamente il vero priore, indirizzò il ragazzo dalla sorella stiratrice, la quale lo accolse come uno dei tre figli –due maschi e una femmina- che aveva allevato.
Umberto impiegò quasi un mese per riuscire a scoprire l'indirizzo di Adele, grazie alla complicità di una cugina che, prima del matrimonio della giovane sposa, era stata una sua cara amica e confidente.
Era ormai pomeriggio inoltrato quando Adele fermò il suo purosangue in prossimità delle stalle.
Il sole sarebbe tramontato da lì a un'ora circa, così si affrettò a ritirare il cavallo, nella speranza che nessuno notasse la sua presenza e, soprattutto, il turbinio di emozioni che le popolava il cuore e la mente.
 
 
"Adele, venite"
La giovane sposa entrò discretamente nello studio del marito, dove sapeva che lo avrebbe trovato, dal momento che aveva scorto -dal giardino- la luce delle lampade a petrolio a rischiarare la stanza.
In realtà, non sapeva perché fosse andata a svegliare il can che dorme, avrebbe potuto tranquillamente dileguarsi nella sua camera, svestirsi e sdraiarsi sul letto, abbandonandosi alle fantasticherie di innamorata.
Eppure, per dovere o solamente per senso di colpa, aveva diretto i suoi passi -insolitamente sicuri- nella stanza che, in quel momento, ospitava il visconte.
"Buon pomeriggio, Francesco. Volevo solo avvisarvi che sono ritornata ... "
L'uomo rimase seduto sulla sedia imbottita di velluto damascato rosa, piegando gli angoli della bocca sottile, in quello che avrebbe dovuto essere un accenno di benvenuto.
"Vostra sorella é in salute?"
"S-sí grazie, sta bene"
"E i bambini?"
"Anche loro, siete molto gentile a domandarlo ..."
"Semplice cortesia, mia cara"
Di nuovo, come appena il giorno prima, una sorta di spessa foschia, si frappose fra i due coniugi.
"E l'affare che dovevate concludere con i latifondisti? Siete riuscito ad affittare il casolare a Riva del Po?" la giovane sposa tentava di non oltrepassare quella soglia invisibile, oltre la quale, era certa di non poter più fingere: rimase perciò a un paio di metri di fronte alla scrivania, dietro la quale l’uomo continuava a tenere incrociate le mani.
"Non ancora: li ho invitati domani sera a cena, così da poter discutere gli ultimi dettagli ..."
"Molto bene, così potremo partire alla volta della Francia già questo sabato, giusto? O avete cambiato idea?" si informò la moglie, con una punta di infondata curiosità.
"No di certo, mia cara. Spero non lo abbiate fatto voi"
"Niente affatto. Ora perdonatemi, ma ho avuto una giornata piuttosto impegnativa. Vorrei andare a stendermi"
La ragazza aveva già una mano sulla maniglia della porta, quando la voce calda e profonda del visconte, la fece fermare:
"Adele, c'è qualcosa che volete dirmi?"
"N-no, perché me lo domandate?" restò per una manciata di secondi radicata in quella posizione, le spalle voltate all'uomo poi, con tutta la naturalezza di cui fu capace in quel momento, si voltò.
"Per andare a trovare vostra sorella, per quanto abiti lontano, non é necessario sellare il cavallo alle prime luci dell'alba ... vi ho vista questa mattina. Forse sbaglio?"
La giovane sposa si sentì improvvisamente raggelare il sangue nelle vene, mentre una fitta di colpevolezza le attraversò lo stomaco.
"Io ... io sono partita così presto perché ... perché volevo tornare prima che facesse buio, proprio come vi avevo detto ieri"
Il visconte acconsentì ad accettare quell'infantile spiegazione come assoluta verità, quindi continuò:
"Va bene, voglio credervi, ma sappiate che detesto chi mi mente, preferisco la verità a qualsiasi bugia, anche a quelle che, stupidamente, si definiscono a fin di bene. E, un'ultima cosa, per qualsiasi problema, mia cara, sappiate che potete e dovete, contare su di me"
Adele annuì silenziosamente e uscì dallo studio del marito, lasciandolo in uno stato di completa frustrazione.
 

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Capitolo 4
*** La cena ***


Il mattino successivo, Adele si svegliò con la pioggia che batteva alla finestra della sua camera.

Quella notte non aveva dormito molto, solo qualche ora poco prima che albeggiasse, troppo angosciata a ripensare agli avvenimenti che le erano accaduti appena il giorno avanti.

La cena con il marito si era rivelata una pena continua, tanta era la paura che attanagliava la giovane sposa, certa che il visconte avesse compreso il suo segreto, il suo incontro con Umberto.

La ragazza inspirò profondamente l’aria poco salubre della stanza chiusa da ore, la camicia da notte di ciniglia bianca, i lunghi capelli ricci sparsi a ventaglio sull'alto cuscino, gli occhi  di nuovo chiusi per riflettere.

"Tra appena due giorni partirò per la Francia, e chissà per quanto tempo dovrò restare lontana da Umberto…"  

A quel pensiero insopportabile, la giovane aprì di scatto gli occhi, come un lampo improvviso che squarcia il cielo d'agosto e, subito, una consapevolezza le attraversò la mente.

"Non gli ho detto che sabato me ne sarei andata! Ero talmente felice e preoccupata della sua presenza, che me ne sono completamente dimenticata!"

Adele si mise a sedere prontamente sul letto a baldacchino e guardò fuori dalla finestra: pioveva troppo per pensare di uscire da sola con il suo baio bianco e grigio, proprio come aveva azzardato il giorno prima. E poi, da buona padrona di casa, avrebbe dovuto trascorrere l'intera mattinata a dare ordini alla cuoca sul menù da preparare per la cena con i latifondisti che si sarebbe svolta quella sera stessa.

E avrebbe anche dovuto controllare che le cameriere lucidassero a dovere la migliore tra le argenterie, pulissero il grande camino della sala da pranzo, togliendo i rimasugli di cenere e carta bruciata delle scartoffie del marito, e poi ... certo, c'era anche lui, Francesco, quell'uomo più grande di quindici anni, che non aveva scelto, come era ovvio che sarebbe stato per una giovane della sua levatura sociale, fino ad allora sufficientemente premuroso e gentile con lei, accondiscendente alle richieste della moglie in quei quasi due anni di matrimonio ma che, il pomeriggio precedente, aveva quasi temuto per la schiettezza delle parole pronunciate.

"Sappiate che detesto chi mi mente, preferisco la verità a qualsiasi bugia, anche a quelle che, stupidamente, si definiscono a fin di bene"

Doveva trovare un escamotage al più presto per riuscire a comunicare ad Umberto la sua imminente partenza.

Adele si alzò dal letto e cominciò a passeggiare per la stanza, le mani incrociate sul petto, le pantofole di lana ai piedi.

"Dovrei trovare un modo che mi permetta di avvisarlo, di incontrarlo prima che vada, di dirgli che lo penserò sempre, e che vivrò con l'angoscia di ritornare al più presto da lui"

Poi, come un'illuminazione divina, la ragazza si riscosse da quelle macchinazioni, un'idea stampata nella mente febbricitante.

Guardò la sveglia rettangolare di porcellana bianca sul comodino, constatando con piacere che suo marito, a quell'ora, probabilmente aveva già lasciato il palazzo, diretto a fare il suo solito giro di controllo nelle terre lì vicino, pioggia permettendo, ovviamente.

La giovane sposa agguantò il campanello in argento che teneva sul mobile da toeletta e, scuotendolo, attese l'arrivo della sua cameriera personale, la quale, secondo le abitudini impartitele, in quel momento avrebbe dovuto trovarsi nel salottino della colazione, la stanza di fronte a quella della padrona.

La servetta, una ragazzina di diciotto anni, con una lunga treccia bionda e gli occhi scuri come la pece, fece la sua comparsa appena un minuto dopo la chiamata della padrona.

"Buongiorno, viscontessa. Avete bisogno di me?"

Adele, nel frattempo che aspettava, aveva indossato una vestaglia turchese con i pizzi fiorentini ai polsi.

A quella domanda annuì con convinzione, invitando la giovane ad avvicinarsi.

"Vieni avanti, Andreina, ho bisogno di chiederti un favore urgente. Mio marito é già uscito?"

"Sì, signora" rispose la ragazzina, con la solita voce timida di quando le si rivolgevano " il visconte é uscito una mezz'ora fa, voleva aspettarvi per fare colazione, ma poi ha visto questo brutto tempo e così é andato nei campi, signora, alle terre"

Adele tirò un sospiro di sollievo, poi continuò:

"Molto bene. Ora ascoltami, per favore. Dovrai consegnare una lettera all'indirizzo che ti indicherò. Prendi la diligenza, farai prima, perché ci vogliono quasi due ore per arrivarci. É tutto chiaro fino a qui?"

"Sì, signora"

"Bene ... non temere, ti darò tre monete quando tornerai. É una cosa molto importante, Andreina, ti chiedo perciò di andare appena ti consegnerò la lettera. Hai capito?"

La giovane fece di sì con la testa, così poco a sua agio in quella divisa nera con il grembiule inamidato, bianco come la cuffia.

"Ti ringrazio" continuò sollevata la padrona "ti chiamerò quando avrò scritto il biglietto. Puoi andare … "

La cameriera si allontanò discretamente dalla camera, lasciando la giovane sposa nell'incertezza della sua decisione, aggravata dal fatto che fosse implicito, almeno per lei, la segretezza di quella missione.

Si avvicinò perciò allo scrittoio in ciliegio, nell'angolo vicino alla finestra, estrasse da un cassetto del mobile un foglio di carta e una matita, e cominciò a scrivere la sua salvezza.

 

 

Adele trascorse il resto della giornata a impartire ordini alla servitù riguardo la disposizione per la cena, pensando in realtà all'incontro che l'avrebbe attesa il giorno dopo con Umberto, nella piazza del mercato del paese.

Quella sera, però, avrebbe dovuto assolvere ai suoi compiti di perfetta padrona di casa.

La pioggia aveva smesso di cadere da quasi un’ora, quando la ragazza si sedette di fronte allo specchio da toeletta della sua camera, intenta ad incipriarsi il viso.

Per l'occasione aveva deciso di indossare un abito lungo fino alle scarpe, in stile Impero, di un tenue color rosa, l'ampia scollatura ad esporle l'incavo dei seni.

Dopo il trucco delicatamente steso sugli zigomi, si sistemò l'acconciatura dei capelli, raccolti semplicemente da un fermaglio in argento tempestato di piccoli diamanti, dono di nozze del marito.

Allungò una mano sul mobile da toeletta e aprì il cofanetto abbellito da zaffiri e rubini, per estrarre una tra le quattro collane di perle di fiume e oro bianco.

In quel mentre, proprio quando la giovane sposa aveva allacciato il prezioso gioiello, qualcuno bussò alla porta.

"Avanti ..."

"Buonasera, mia cara, siete pronta?"

Il visconte, impeccabile nel suo completo nero, osservò con un fremito di passione negli occhi verdi, il corpo perfettamente agghindato della moglie.

Fece qualche passo, avanzando nella sua direzione, le scarpe anch'esse nere e lucide, il fazzolettino bianco sistemato nella tasca della giacca scura.

"Sì, sono quasi pronta. Permettetemi di spruzzarmi qualche goccia del profumo che mi avete regalato, poi potrò raggiungervi" rispose Adele, il volto riflesso nello specchio.

"Molto bene, allora vi aspetto fuori ..."

"No, potete rimanere, se volete. C'impiegherò appena qualche secondo"

 

 

 

La cena si rivelò l'ennesimo successo di Francesco Malgari di Pierre Robin: l'uomo fu un impeccabile padrone di casa, che seppe scindere il piacere di una buona conversazione dal noioso, quanto essenziale, dovere di discutere di affari.

I due ospiti, soci di una grande azienda agricola, dimostravano all'incirca sessant'anni.

Non erano molto alti, uno di loro era stempiato, mentre l'altro aveva folti capelli brizzolati e portava gli occhiali.

All'inizio della serata, avevano profuso saluti e complimenti alla giovane viscontessa, concentrandosi poi sull'eccellente -ed efficiente- gestione del palazzo, almeno per quel poco che avevano potuto vedere.

E poi la cena, che "assoluta squisitezza, una delizia! Fate i complimenti alla cuoca, signora", continuavano a dirle i due latifondisti.

Adele dispensava sorrisi e accenni del capo con estrema accuratezza e un pizzico di diplomazia.

Notava gli sguardi di assenso e di orgoglio che il marito le riversava, mettendola in parte in imbarazzo.

Poi, dopo il dessert, i tre uomini cominciarono a discutere esclusivamente di affari, dell'affitto di quel casolare a Riva del Po per il quale erano venuti a disturbare la sua tranquillità.

Così, la giovane sposa, abbandonò educatamente quella noiosa riunione, per ritirarsi -dopo aver salutato con studiata  gentilezza gli ospiti- nella sua camera.

Stava quasi per addormentarsi, ormai dimentica della insulsa serata a cui era stata costretta a partecipare, con la gioia nel cuore e la mente occupata dal pensiero e dal profumo di Umberto, quando sentì un lieve colpo di nocche, cozzare contro la porta.

Si alzò a sedere sul letto, ma non riuscì ad essere abbastanza svelta nel recuperare la vestaglia turchese per coprirsi la camicia da notte di ciniglia bianca.

"Scusatemi, Adele, spero di non avervi svegliata ... "

Il visconte, ancora vestito impeccabilmente come a cena, aveva fatto la sua comparsa nella camera.

"É successo qualcosa?" domandò la ragazza, con una punta di allarmismo nella voce.

"No, nulla. Volevo solo mettervi al corrente della buona riuscita dell'affare. I latifondisti hanno accettato le mie condizioni, affitteranno per un anno di prova il casolare a Riva del Po. Mi sembrava corretto avvisarvi"

"Certo, avete fatto bene. Anch'io ieri, quando sono tornata, sono venuta a salutarvi ... "

"Che sciocchezza" si disse " cosa vado a rivangare la nostra conversazione di ieri pomeriggio"

"Bene, allora vi auguro di dormire serenamente" si accomiatò l'uomo, il viso perfettamente squadrato e glabro già rivolto alla porta.

"Buonanotte, Francesco, a domani"

 

 

NOTA DELL’AUTRICE: Ciao a tutti, e grazie a chi continua a leggere la storia: questo è un capitolo un po’ “inutile”, nel senso che non succede niente di rilevante, ma abbastanza fondamentale per il seguito, perché senza la vendita di questo benedetto casolare, Adele e il visconte non potranno partire alla volta della Francia!

Quindi, nel prossimo capitolo, invece sarà più denso di avvenimenti!

Grazie ancora, a presto!

 

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Capitolo 5
*** In viaggio ***


La piazza del mercato, giù al paese, straripava come tutti venerdì di bancarelle di ogni genere: c'erano gli ambulanti con i sacchi delle spezie, il fornaio che esponeva focacce e filoni di pane ancora caldi e fragranti, il fruttivendolo con le ceste di pere e le cassette di zucchine, la solita donna anziana che vendeva i sacchetti di lenticchie e di ceci di fianco alla giovane fioraia e, per concludere il quadretto di vita popolare, i due fratelli arrotini che, insieme al cognato calzolaio, occupavano gli ultimi banchi dello spiazzo circolare.
Adele si guardò intorno, frastornata dal rumore, dagli aromi e dai colori che da così tanto tempo non le erano familiari.
Fino a due anni prima, infatti, quando ancora non era sposata, le capitava piuttosto frequentemente di recarsi al mercato insieme alla balia, soprattutto l'ultimo venerdì del mese, quando veniva ad esporre la sua merce la signorina Felicita, una donna dall'età indefinibile, con i capelli insolitamente corti e biondi, gli occhi vivaci di un azzurro slavato, e la bocca perennemente aperta allo scopo di richiamare più clienti possibili.
La signorina Felicita, infatti, era una venditrice di stoffe che, quando non era al mercato, viveva serenamente nel suo negozio, sommersa da campioni di tessuti e abiti confezionati su misura, per accontentare le clienti più esigenti del suo atelier di alta moda, come amava definirlo lei stessa.
Adele si riscosse da quei ricordi ormai lontani nel tempo, perché qualcuno l'aveva urtata.
In effetti era in mezzo a quella baraonda, ferma e immobile come una statua di sale esposta alle intemperie.
Le prese un'improvvisa nostalgia di rivedere la signorina Felicita, dal momento che, da quando era sposata, non aveva più avuto occasione di incontrarla, anche se la sua balia l'aveva rassicurata della continua presenza della donna ogni ultimo venerdì del mese.
La giovane, dopo essersi fatta carico dell’ennesima occhiata di disapprovazione lanciata da un gruppo di contadine che erano appena arrivato per vendere le uova, si allontanò discretamente dal centro della bolgia, e si guardò intorno.
L'orologio dell'imponente campanile lì vicino, batté nove rintocchi.
Adele cominciò a stropicciarsi le mani guantate, come se quel gesto rappresentasse un rito apotropaico, nella speranza di incontrare al più presto l'innamorato.
Cercò con gli occhi umidi per il freddo di nuovo pungente, la rassicurante e famigliare figura del ragazzo e, finalmente, lo notò.
Umberto era seduto sul bordo della fontana della piazza di marmo, il luogo che dava meno nell'occhio nei giorni di mercato come quello.
Indossava un pesante maglione di lana grigia, ma vestiva ancora gli stessi pantaloni scuri di tela grezza e, ai piedi, portava il solito paio di stivali rattoppati, di due giorni avanti.
Adele gli andò incontro, schivando le urla e la gente che si frapponeva tra loro due e, soprattutto, cercando di trattenere l'entusiasmo dei suoi piedi, un ampio sorriso d'amore sul volto.
"Credevo che non ti avessero recapitato la mia lettera ..." cominciò con voce tremante la giovane, mentre sfiorava le dita fredde di Umberto.
"É venuta una ragazzina a consegnarmela, non si é fermata nemmeno a bere un bicchiere d'acqua, poverina. Si é presentata come la tua cameriera ... "
"Sì, era Andreina, ma ti prego, non parliamo di lei ..." proruppe Adele, temendo che qualcuno l'avesse seguita.
"Perché mi hai fatto cercare? É forse successo qualcosa?"
La ragazza abbassò gli occhi sulla lunga gonna color cammello poi, prendendo coraggio, spiegò:
"Tre giorni fa ho chiesto a mio marito di partire per la Francia, dove la sua famiglia ha dei possedimenti … "
Umberto si ritrasse leggermente dalla giovane, le mani forti discoste da quelle di lei.
"Perché? Non avevi già ricevuto la mia lettera?"
"Sì, il pomeriggio precedente ..."
"E allora che cosa ti ha spinto a fargli una richiesta del genere, sapendo che io ti stavo cercando, che sarei venuto a riprenderti?!"
La voce del ragazzo stava crescendo d'intensità ma, per fortuna, nessuno stava badando a loro due.
"Ti prego, non arrabbiarti. Non so dirti perché l'ho fatto, forse avevo paura che non mi avessi mai più ritrovata, temevo che quella lettera non l'avessi realmente inviata tu! Non lo so a cosa pensavo, a cosa credevo, Umberto, ti chiedo solo di avere pazienza, solo questo!"
La giovane si avvicinò di qualche centimetro di più a lui, facendo strisciare la gonna lungo il bordo della fontana di marmo.
"Non ti riconosco più, Adele, davvero. Sei così cambiata, sei diventata insicura e diffidente ..."
"Hai ragione, ma riesci a immaginare l'angoscia e il desiderio che ho provato ogni giorno, in questi due anni di lontananza?!"
"Certo che riesco a farlo. Sono fuggito dal convento perché quella non era la mia vita e mai lo sarà!" la voce di Umberto cominciava a tingersi di una sfumatura rabbiosa, il volto arrossato per lo sdegno " il destino ha voluto che ci rincontrassimo, e ti giuro che se non fossi venuta tu a cercarmi, l'altro giorno, avrei fatto di tutto per riaverti, di tutto, Adele!"
La ragazza si sentì un'egoista, un'ingrata, la peggiore tra le amanti. Il suo Umberto aveva fatto ogni cosa per lei, si era messo contro Dio, aveva rinnegato l'Ordine che lo aveva accolto tempo addietro, aveva tradito la promessa fatta dai suoi genitori all'Altissimo, quando si era ammalato di tubercolosi, e lei invece, che cosa aveva fatto per lui? A cosa o a chi aveva rinunciato per il suo amore?
"A niente" si rispose, poi, ad alta voce, cercando di non apparire infantile, proseguì:
"Lo so, Umberto, so tutto quello che hai fatto e continui a fare per me! Ti amo immensamente, ma ho una gran confusione in testa!"
"Ma é tutto così semplice, Adele!" le rispose il ragazzo, posandogli nuovamente le mani su quelle guantate di lei.
"Non lo so se é così semplice, Umberto. Se rivedendoti, se abbracciandoti o peggio ancora baciandoti, non avessi provato nulla, allora voleva dire che non ti desideravo più ... Invece, da quando ci siamo incontrati, non ho fatto altro che pensare a te, e questo sentimento non fa altro che generare confusione nella mia testa!"
"Tu ami tuo marito?"
"No!" rispose senza alcuna esitazione la giovane " non potrei mai! Io amo te, Umberto, sempre e solo te!"
"E allora cos'è che ti fa nascere tutti questi dubbi, queste incertezze?" domandò il ragazzo, abbassando con dolcezza la voce.
"Non riesco ad abbandonare mio marito ..."
"Ma non ti sto chiedendo di farlo, amore mio! Non adesso, almeno! Prima devo trovare un lavoro e, soprattutto, devo riuscire a recuperare da mio padre i soldi che mi spettano!"
"E poi potremo finalmente vivere insieme?" continuò Adele, le gote rosse per il freddo e per tutto l'amore che provava.
"Sì, dopo staremo insieme per sempre!"
 
 
Tra i lievi scossoni della diligenza e il paesaggio piatto per i campi e i terreni avvolti dalla bruma mattutina, la giovane sposa si ritrovò a pensare all’incontro che aveva appena avuto: era infinitamente felice perché Umberto aveva compreso la sua decisione e, cosa più importante, le aveva promesso che avrebbe atteso il suo ritorno.
Dal canto proprio Adele, aveva ventilato l'ipotesi che, con un po’ di fortuna e di libertà, avrebbe potuto spedirgli almeno un paio di lettere dalla Francia: al suo arrivo per comunicargli come era andato il viaggio e, l'altra, per informarlo del ritorno a casa, che già bramava avvenisse nel più breve periodo possibile.
Ovviamente non gli aveva accennato nulla riguardo l'assurda richiesta che aveva espresso al marito, appena tre giorni prima, forse perché si vergognava ad avere così poca fiducia nel destino.
Si convinse perciò che, dopotutto, il desiderio bruciante di avere un bambino era solo un capriccio che poteva attendere, magari realizzandosi proprio insieme al suo Umberto.
 
 
 
Quando rientrò a palazzo, trovò ad attenderla i due setter del marito, due cani meravigliosamente affettuosi con lei, che le andarono incontro scodinzolando non appena la videro.
La ragazza accarezzò i fedeli animali sulle teste e, una veloce passata di mano sul manto lucido, salì di corsa la scalinata, per andare nella sala da pranzo.
Nel momento in cui entrò, notò con la coda dell'occhio, l'altro grande amore -insieme ai due setter- del marito, il gatto persiano acciambellato su una delle poltrone della stanza.
"Buongiorno, mia cara" la salutò il visconte, già seduto alla tavola imbandito, dopo aver appoggiato il bicchiere colmo a metà di vino rosso.
"Scusate il ritardo, Francesco. Al mercato era un delirio riuscire a vedere la merce senza essere travolta da quel marasma di gente!"
La giovane sposa prese posto di fronte al marito, mentre si sforzava di risultare il più possibile a suo agio, le mani leggermente tremanti nell’adagiare il tovagliolo color crema sulle gambe.
"Avete corso?"
"No, perché?"
"Nulla, avete le guance leggermente arrossate ..."
Adele si sfiorò meccanicamente il punto del corpo indicatole dal visconte poi, sforzandosi di sorridere, spiegò:
"Oh no, é solo che ho fatto le scale più in fretta del solito, credevo di essere in ritardo per il pranzo! Inoltre fuori é ritornato il freddo e ..."
"Lo so, mia cara, me ne sono accorto" accondiscese l'uomo, intanto che un valletto cominciava a servire la prima portata.
"Avete comprato qualche cosa al mercato?"
"Sì" rispose la giovane sposa mentre, con il cucchiaio, assaporava un po’ di quel brodo caldo.
"Ho preso dei sacchetti con la lavanda essiccata, sapete quella per profumare gli abiti? In realtà non c'era granché, solo una gran confusione, come vi ho detto!"
Adele si rincuorò perché, almeno in quell'occasione, non aveva dovuto mentire completamente al marito: aveva effettivamente comprato un paio di quei sacchetti che aveva appena menzionato, al banco delle spezie, quindi non era un’autentica bugia.
Il pranzo continuò senza molte altre parole, fino a quando, a proposito di una conversazione su come gestire il palazzo durante la loro assenza, il visconte stuzzicò la moglie, dicendole:
"Il vostro più grande difetto è che volete sempre primeggiare in tutto e su tutti, ogni cosa facciate”
“Avete ragione, Francesco: è nella mia natura e, anche se volessi, non potrei fare altrimenti”
“Ma così finirete solo per farvi del male”
“Sapete, per ottenere qualcosa bisogna dare in cambio qualcosa e io, per essere quella che sono oggi, ho dovuto rinunciare alla mia felicità”
“Allora questo significa che non vi rendo felice …?” l’uomo, la voce più profonda del solito, si pulì con discrezione un angolo della bocca.
Posò su un angolo del piatto il cucchiaino utilizzato per mangiare la bavarese, quindi continuò: “Eppure domani partiremo, vi ho accontentata nel più breve tempo possibile. Ho realizzato un vostro desiderio solo per rendervi felice. Non vi basta questo?”
“Lo so, Francesco, e vi ringrazio. Ma il mio stato d’animo è ben lontano dal definirsi anche solo contento, figuriamoci felice. A proposito, quanto ci tratteremo dalla vostra famiglia?”
“Staremo tutto il tempo che vorrete rimanere, Adele”
“Molto bene. Ora scusatemi, vado a dare disposizioni per i bagagli. A più tardi”
 
 
 
Il mattino successivo, alle otto, i due coniugi avevano già percorso metà del viaggio.
Dopo un' ora di carrozza verso la stazione, adesso erano sul treno che li avrebbe portati in Francia, due ore di lievi scossoni già superate e altrettante per raggiungere il palazzo del marito.
"Vi piace il treno?"
Adele stava guardando fuori dal finestrino di prima classe, i vagoni tappezzati di tessuto damascato e i morbidi sedili in pelle: il paesaggio piatto delle campagne attorno al palazzo, disseminato da casolari di contadini avvolti dalla foschia, aveva lasciato spazio alle catene montuose di confine, le cui punte erano ancora spruzzate dell’ultima neve caduta.
"Sì, molto. É sicuramente più affascinante di un monotono viaggio in carrozza" continuò la giovane sposa, rivolgendo un'occhiata distratta al visconte.
"Spero che direte altrettanto della nostra permanenza dalla mia famiglia. Ogni volta che mi sono recato in visita senza di voi, rimanevano delusi, e mi tormentavano chiedendomi quando vi avrei portata con me!"
Adele guardò il marito, gli occhi fino ad allora posati oltre il finestrino e, prima di rispondere, si accertò che la donna di mezza età accanto a lei, avvolta in un pesante cappotto nero che le arrivava fino alle ginocchia fasciate da un abito apparentemente troppo stretto, continuasse a sonnecchiare:
"Ora finalmente potrete accontentarli" permise alla fine.
La ragazza continuò ad incrociare per una manciata di secondi lo sguardo del visconte, che sembrò non aver notato il tono di scherno della moglie: si sentì leggermente in colpa per l’impostazione di ironica accondiscendenza che aveva dato alla sua voce, quindi abbozzò un sorriso di scusa, per poi riprendere –come nulla fosse- a guardare fuori dal finestrino.
 

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Capitolo 6
*** Cioccolata e meringa ***


La magione era rimasta uguale a come Adele se la ricordava l'ultima volta che l’aveva vista un anno prima, imponente con i muri di pietra rivestiti di un tenue giallino e tutte le imposte aperte, come a voler abbracciare i visitatori appena arrivati. 
La giovane sposa scese lentamente dal predellino della carrozza parcheggiata nell'immenso giardino tappezzato di cespugli di rododendro, sorreggendo il lungo abito da viaggio verde scuro e, guardando in alto verso le dodici finestre, quattro per ciascun piano, notò il comignolo fumante che svettava sul tetto piatto.
"Finalmente un po’ di tepore ..." rifletté la ragazza, le mani delicate indolenzite dagli spifferi che, malandrini, si erano insinuati nella carrozza durante il tragitto dalla stazione al palazzo.
Il visconte diede disposizione al cocchiere di portare fino all'ingresso i due bauli chiusi da cinghie di cuoio -uno suo e l'altro della moglie- poi, rivolgendosi alla consorte, la invitò ad entrare:
"Siamo giusto in tempo per il pranzo, mia cara ..."
Adele marciava fianco a fianco del marito, lungo il viale di terra battuta che conduceva all'ingresso della magione.
"Come avete fatto ad avvisare vostra madre del nostro arrivo? Le avete fatto pervenire un telegramma?" domandò titubante la giovane sposa, lanciandogli un'occhiata distratta
"Certo che no. Sarà una sorpresa, spero gradita! " e, con un sorriso sornione, aprì il grande portone d'entrata.
 
 
"Oh santo Cielo! Francesco, cosa ci fai qui?!"
Dopo aver atteso per una manciata di secondi il ritorno del maggiordomo, la ragazza notò trotterellare dietro il domestico una donna vicino alla sessantina, più larga che lunga, che unì le punte delle dita come i castelli che si fanno con le carte e, il viso in parte coperto da quel gesto, guardò con stupore l'uomo che aveva davanti, impeccabile nel suo completo di lana grigia e gli stivali di pelle nera.
"Madre mia! Anch'io sono felice di rivedervi!" annunciò l'uomo, regalando un formale bacio alla genitrice, i capelli castani striati in più punti di una tonalità tra il grigio e il bianco, il volto leggermente allungato e privo di rughe
"Ma ... Cosa é successo? Perché sei venuto?! É trascorsa meno di una settimana da quando ci hai fatto visita! E ... Adele, sei tu, cara?!"
Solo in quel momento, infatti, la suocera si accorse dell'esile figura in disparte della nuora, in attesa in un angolo del grande tappeto indiano color cobalto.
La giovane sposa, chiamata malvolentieri in causa, fece qualche passo in direzione della donna e, abbozzando un sorriso, si abbassò in un inchino rispettoso.
"Che piacere rivederti! Vieni, dammi un bacio, figlia!"
La ragazza, non ancora del tutto consapevole di quello che stava vivendo -annoiata e stanca per il viaggio- obbedì alla richiesta della suocera.
"Buongiorno signora, anche per me é un onore essere qui con voi"
"Abbiamo appena iniziato a mangiare!" spiegò la donna, tenendo tra le sue mani quelle di Adele, e non smettendo un attimo di sorriderle.
"Quindi, propongo di spostarci tutti in sala da pranzo! Devi raccontarmi molte cose, mia cara!" continuò sempre rivolta alla nuora, avviandosi lungo un corridoio lungo e illuminato da due finestre con le imposte aperte, alle calcagna il visconte.
 
 
La giovane sposa aveva appena accomiatato la cameriera che l'aveva aiutata a sistemare gli abiti nella cassapanca e nell'alto armadio di rovere, quando si sedette sul letto matrimoniale.
Si tolse gli eleganti stivaletti da viaggio deponendoli sullo scendiletto rosso, si sciolse i lunghi capelli ricci raccolti, e cominciò a riflettere sul pranzo che si era appena concluso.
"Sembrava tutto così normale, come se fossimo ogni giorno insieme, sotto lo stesso tetto"
La ragazza, infatti, era subito stata accolta con gioia e gentilezza: dalla suocera prima di tutto, e poi dai cognati -i fratelli di suo marito, Elena e Alexander, di venticinque e trentadue anni -con i rispettivi coniugi.
Adele sapeva che, da qualche parte in Europa, si trovava un'altra Malgari di Pierre Robin, Margherita, che avrebbe dovuto avere all'incirca vent’anni, se ricordava bene, che aveva visto due anni prima al proprio matrimonio, ma che era ripartita subito dopo il grande evento per ritornare nel prestigioso collegio in cui studiava.
La giovane, per quanto piacevolmente stupita da quell'affettuosa accoglienza, non riusciva ad essere pienamente a proprio agio.
Pensava infatti ad Umberto, a cosa stesse facendo in quel momento, a come le sarebbe piaciuto essere tra le sue braccia, e lasciarsi coccolare dai suoi baci e dalle sue parole
Decise perciò di scrivergli la lettera che gli aveva promesso il giorno prima di partire, non riuscendo ad attendere oltre il tempo che aveva aspettato dalle cinque di quella mattina, quando era cominciato il viaggio in carrozza verso la stazione, il marito carceriere perennemente al suo fianco.
Si avvicinò fremente all'elegante scrittoio  intarsiato con delle raffinate greche, e aprì fiduciosa il primo dei tre cassetti sulla sinistra ma, non trovando nulla che potesse utilizzare per il suo scopo, tentò con gli altri tre sulla destra.
Si morse il labbro inferiore, reprimendo un moto di stizza: non c'era nemmeno un misero foglietto di carta o una matita per poter scrivere ad Umberto.
Cominciò a pensare ad un modo che le permettesse di racimolare quel prezioso tesoro: la cosa più semplice sarebbe stata quella di chiedere alla cameriera, congedata pochi minuti prima, di portarle un paio di fogli con una penna d'oca o una matita o anche una stilografica, come una di quelle che aveva adocchiato sulla scrivania poco ordinata del marito, nel loro palazzo.
"Quale scusa potrei addurre per una tale richiesta?" cominciò a riflettere la giovane sposa.
Si stava arrovellando la mente per trovare il bandolo della matassa, quando sentì bussare alla porta della camera, un suono leggero ma insistente allo stesso tempo.
All'invito a procedere della ragazza, i battenti in legno rivelarono la presenza del visconte.
"Vi stavate riposando?" s'informò l'uomo, ancora nel suo completo grigio da viaggio.
"N-no, per nulla. Ditemi, avete bisogno di qualcosa?"
Adele, sempre in piedi, non si mosse dalla sua postazione vicino allo scrittoio.
"Sì. Tra poco porteranno su anche i miei bagagli. Volevo solo avvisarvi"
"Ma perché? Per quale motivo?" indagò allarmata la moglie.
"Mi sembra ovvio. La mia famiglia non sa della vostra richiesta di dormire in camere separate e, ovviamente, non sarà mia premura informarla. Spero per voi non sia un problema, anche perché dopotutto, se volete questo figlio che tanto reclamate, in qualche modo dobbiamo assolvere ai nostri doveri, o sbaglio?"
Adele sbiancò in volto non appena sentì pronunciare quelle parole: la certezza di dormire di nuovo con il marito dopo tutti quei mesi, le dava un senso di fastidio, anzi no, un'incredulità che quasi la stordiva, che le faceva battere fortissimo il cuore, bloccandole il respiro.
"No, io ... non intendevo dire questo, certo vi capisco, però... mi sembra così strano, é da molto tempo che ..."
"Non ve lo sto chiedendo, Adele, non voglio il vostro permesso, semplicemente vi sto informando riguardo a un dato di fatto, se lo volete chiamare in questo modo. Sarà meglio per voi che cominciate ad abituarvi all’idea …"
L'uomo, visibilmente spazientito, era già pronto a girare i tacchi quando, la voce della moglie lo bloccò, proprio come era successo appena tre giorni prima ma, adesso, con i ruoli invertiti.
"Francesco ... " lo apostrofó lei, la gola asciutta per la rabbua trattenuta "ho bisogno di un paio di fogli di carta e di una penna. Devo scrivere ai miei genitori per informarli del nostro arrivo"
Il visconte sorrise brevemente, poi annuì benevolo:
"Come volete. Vi farò avere tutto tra poco, quando porteranno su il mio baule. A più tardi, mia cara"
 
 
Adele scese la scalinata a chiocciola con il cuore più leggero.
Aveva appena concluso di vergare le lettere che si era ripromessa di scrivere poco più di due ore prima: una per Umberto ovviamente, per avvisarlo del suo arrivo, e l'altra di facciata per i genitori che, se fosse riuscita ad eludere la sorveglianza del marito, avrebbe fatto a meno di spedire.
Non aveva ancora le idee molto chiare su come e quando avrebbe potuto inviarla, soprattutto senza destare alcun sospetto nell’uomo o nella famiglia di lui.
Non poteva nemmeno far mostra dell'indirizzo della casa della stiratrice, dove per il momento il suo Umberto viveva, quindi aveva optato per uno stratagemma che sperava funzionasse: tre giorni prima, infatti, quando dopo due anni aveva finalmente potuto incontrare e riabbracciare l'innamorato, la ragazza era venuta a sapere di come la cugina di lui lo avesse aiutato nel reperire il suo nuovo indirizzo da sposata. Per questo, sull'esterno della busta che conteneva il messaggio, figurava il nome del palazzo in cui abitava Anna, la complice dei giovani innamorati.
E poi, nell'eventualità purtroppo probabile che non fosse lei a spedire personalmente le due lettere, Adele avrebbe sempre potuto addurre come scusa la nostalgia di scrivere ad una sua cara amica d'infanzia.
Così, l'abito di velluto color pesca che strusciava timidamente lungo i gradini di marmo, la ragazza bussò sicura e felice dopo molto tempo, alla porta verde in legno dipinto, oltre la quale l'attendeva la suocera per bere il the ma, appena meccanicamente compì quel gesto, lo stupore prese il sopravvento.
 
 
La prima cosa, infatti, che Adele notò entrando nel salottino privato della viscontessa madre, fu il banchetto luculliano che troneggiava sul tavolo basso e rettangolare posto in mezzo a lei e alle due cognate: caraffe e tazze di porcellana bianca, eleganti tovaglioli color avorio e vassoi di paste e meringhe erano in nella vista, come dietro una vetrina di pasticceria
"Eccoti, mia cara!" la salutò allegramente la suocera, facendo cenno alla giovane sposa di sedersi sulla poltroncina rossa di fianco a lei.
La ragazza abbozzò un sorriso, indirizzando contemporaneamente uno sguardo fugace alle altre due donne presenti oltre la suocera, Elena e Sabine, le cognate di Adele, così insolitamente simili, entrambe con i capelli di un castano ramato e gli occhi grigioverdi.
La giovane sposa non aveva molta fame, tuttavia quell'insolito convivio rappresentava una piacevole tentazione.
"Avanti, figliola, prendi un biscotto o una meringa! Non li ho fatti portare qui solo per essere ammirati! Dobbiamo mangiare tutto, cara!"
"Siete molto gentile, signora, ma io non credo di poter ingoiare qualche altra cosa. Il pranzo di oggi é stato squisito e..."
"Benissimo, allora! Gradisci una tazza di the o di cioccolata?"
Gli occhi chiari della donna si piantarono in quelli imbarazzati della nuora che, non riuscendo a uscire da quella situazione poco piacevole, dovette accettare un po’ della cioccolata, sbocconcellando insieme una meringa.
Elena, la sorella di Francesco, si voltò a guardare Adele, di fianco a lei in quella strana riunione di famiglia.
"Siamo veramente contenti di rivederti! Temevamo che ti avessimo fatto qualcosa per non meritarci piú la tua compagnia!"
La viscontessa madre si esibì in una risatina trattenuta poi, rivolta alla nuora, domandò:
“Allora mia cara, come ti trovi qui a palazzo? In effetti è da un anno che non ti vediamo”
“Avete ragione, signora. La colpa è mia: negli ultimi mesi non riuscivo a viaggiare in carrozza senza avere un malessere che proprio non riuscivo a capire. Ma ora sto molto meglio, grazie, quindi ho finalmente deciso di venire a trovare tutti voi …”
La giovane sposa, le guance arrossate per l'imbarazzo, guardò di sottecchi le tre donne in cerchio vicino a lei, ricordandosi d’emblait della patologia della suocera, una malattia che le aveva deformato  parte della colonna vertebrale, costringendola ad indossare un busto per gran parte della giornata, che la faceva apparire molto più bassa di quanto effettivamente non fosse.
Adele si stava per informare delle condizioni di salute della viscontessa quando lei –intercettando l’ennesimo pasticcino- volle sapere:
“E com’è la vostra vita in Italia? Mio figlio ti tratta bene?”
“S-sì" prese a replicare la nuora, sfuggendo di prosito lo sguardo dell'interlocutrice "come una regina, non ho nulla di cui lamentarmi. Qualche volta andiamo a dei ricevimenti, qualche altra a teatro; certe sere vengono a casa gli amici di Francesco, anche se non molto spesso, a dir la verità. Una vita piuttosto monotona ma allo stesso tempo … interessante”
“Cara Adele, non parlare di amici! Nel nostro mondo non abbiamo degli amici: siamo soli. La gente che ci circonda è falsa, ci fa credere di affliggersi per i nostri dispiacere, ma in realtà gode delle nostre disgrazie, contenta che ciò che è accaduto a noi, almeno per questa volta, non sia accaduto a loro. Ricordatelo, mia cara”
Un nuovo rossore, testimone dell’imbarazzo della ragazza, le percorse le guance e, quasi senza accorgersene, ingurgitando l’ultima briciola di meringa, rispose:
“Me ne ricorderò”
“Un’altra meringa o della cioccolata?” s’intromise Elena
“No, per me è sufficiente così …”
Adele si morse leggermente il labbro inferiore, maledicendo la sua stupidità e l’insistenza che l’aveva portata a vivere quella situazione a dir poco odiosa, sperando che il peggio, quella notte, non sarebbe arrivato.
 

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Capitolo 7
*** Fuochi e Lacrime ***


Il cielo notturno era rischiarato a giorno per la festa del santo patrono: i colori sgargianti dei fuochi d'artificio, le figure maestrali che venivano a crearsi, avevano il potere fittizio di primeggiare sulle stelle, distribuite a secchiellate in quel tappeto scuro, eppure troppo piccole e fioche in confronto a quello spettacolo.
Adele stava approfittando della serata -fortunatamente calma rispetto al suo arrivo poco prima di pranzo- per godere di quella visione idilliaca.
La prima volta che la ragazza aveva assistito ai fuochi d'artificio era stato otto anni prima, nel 1900, quando tutto il mondo si era preparato ad accogliere il nuovo secolo e, Torino, dove aveva festeggiato insieme alla sua famiglia, non era stata da meno, grazie anche ai giochi pirotecnici offerti agli spettatori.
Scacciando quei pensieri tremendamente piacevoli, Adele si concentrò a guardare attraverso i vetri della finestra della camera da letto in cui si era rifugiata, stanza che si affacciava sul grande parco d'entrata, sotto il viale che aveva percorso poche ore prima quando era scesa dalla carrozza presa a noleggio: la giovane si chiuse ancora di più al petto lo scialle di lana bianca traforata, ricordandosi di quando la sua balia Nina, l'aveva intessuto per lei un anno addietro, al compimento della maggiore età.
Avvicinò le frange al viso, prima strofinandole delicatamente sulla guancia, poi sotto al naso, alla ricerca malinconica di un qualche profumo che la riportasse -anche solo mentalmente- indietro nel tempo.
Ma quel viaggio a ritroso, purtroppo, non si rivelò pieno di aspettative come sperava: infatti, per quanto si sforzasse, non riusciva ad evocare alcun ricordo gradevole, semplicemente perché, da due anni a quella parte, non si erano verificati.
"Adesso ogni cosa cambierà in meglio, ora che ho ritrovato Umberto ci potranno essere solo momenti felici!"
Lo spettacolo pirotecnico copriva ogni altro rumore sotto di esso, tuttavia la ragazza avvertì la porta della camera da letto aprirsi.
Per un attimo Adele si era dimenticata di dove si trovasse, tanto da invitare lo sconosciuto ad entrare, quando realizzò che poteva essere una sola persona.
Il visconte suo marito, infatti, attraversò la breve distanza dalla solida porta alla postazione della moglie -ancora di fronte alla finestra- calpestando il tappeto allungato color rosso.
"Allora mia cara, state guardando anche voi i fuochi?"
Francesco cominciò a sedersi sul bordo del letto a baldacchino, dando le spalle alla giovane moglie.
Prese a togliersi gli stivali, per poi passare alla giacca blu scuro con cui aveva cenato e, finalmente, si voltò a guardare Adele.
"Sì" rispose lei, forse troppo flebilmente per non insospettire il marito  "credevo sareste rimasto ancora un po’ con Alexander ..."
Le labbra finemente disegnate del visconte, immobile sul materasso, si piegarono in un sorriso.
"Mio fratello ha voluto ritirarsi relativamente presto. Domani mattina dovrà recarsi in città dal nostro avvocato, così mi ha lasciato da solo..."
"E vostra madre?"
"Non preoccupatevi per lei. É già andata a dormire da quasi un'ora, poco dopo la fine della cena. In salotto sono rimaste Elena e Sabine. Se volete raggiungerle ..."
Adele distolse lo sguardo dal marito, perdendosi nuovamente in quello spettacolo luminoso che continuava a svolgersi lassù nel cielo.
"No, sono stanca, Francesco: appena si concluderanno i giochi andrò a dormire. Voi quindi starete qui questa notte?" domandò speranzosa, senza rivolgergli neppure un'occhiata
"Per stanotte e per tutte quelle che verranno, almeno fino a quando ci fermeremo" il visconte, la schiena di nuovo rivolta alla moglie, cominciò ad allentarsi il nodo della cravatta azzurra, poi si sbottonò la camicia di seta color panna, infine se la tolse, posandola sul paravento di fronte a lui.
Adele guardò di sottecchi l'uomo, non potendo ignorarne la prestanza, le spalle ampie, la linea lunga e diritta a dividere la schiena.
L'ultima volta che lo aveva visto in quelle condizioni era stata la scorsa primavera, un anno prima ormai, quando lei gli aveva fatto richiesta di dormire in camere separate.
Un senso di ansia cominciò a prevalere nel suo stato d'animo, al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere di lì a breve.
"Non mi toccherà se non lo vorrò, non lo ha mai fatto, e continuerà a rispettarmi anche qui, anche adesso che non siamo a casa ..."
"Volete continuare a guardare fuori dalla finestra, oppure vi andrebbe di farmi un po’ di compagnia?" la voce calda e bassa del marito interruppe i suoi pensieri.
"D-dove?"
Il visconte sorrise divertito, in parte in colpa a beffarsi dell'ingenuità della giovane moglie.
"Ma come dove, mia cara? Qui, di fianco a me, sul letto ..." e completò la proposta con un chiaro gesto esplicativo.
Dal momento che la ragazza non sembrava volersi muovere dalla sua postazione, lui la esortò una seconda volta.
"Cosa state aspettando?! Non vi mangio, non abbiate paura!"
L'uomo si alzò dal letto e, avvicinandosi alla moglie, cominciò ad accarezzarle la nuca, i capelli ricci sciolti sulle spalle.
"Adele, io vorrei accontentarvi, vorrei farvi felice, lo sapete ..."
"Francesco, per favore, non mi sento a mio agio ..."
La ragazza si voltò, gli occhi arrossati per le lacrime che cominciarono a scendere avare, mentre lei cercava di trattenerle.
Il visconte, sempre a torso nudo, abbassò i pollici sugli zigomi della moglie per asciugarle quelle gocce salate, poi le sorrise dolcemente:
"Perché piangete? Siamo qui per accontentare una vostra richiesta, mia cara, io avrei fatto a meno di tornare dopo appena una settimana. E poi, questo figlio che tanto volevate fino a quattro giorni fa, non é più in cima ai vostri desideri?"
La giovane sposa tirò su con il naso, prese un respiro profondo, quindi rispose in poco più di un sibilo:
"S-sí, lo vorrei, ma non so se ... se é giusto così"
"Voi lo volete ... e io anche. Cosa altro vi frena, Adele?"
"Non lo so, sono molto confusa, vorrei aspettare ancora un po’ prima di  ..."
L'uomo abbassò il volto verso quello della ragazza, entrambe le mani a legare quelle di lei dietro la schiena: baciò quelle labbra calde e umide, che da troppo tempo non sfiorava, un contatto delicato ma passionale allo stesso tempo, che intrappolò senza riserve la giovane sposa, incapace di staccarsi da quel corpo così magnetico.
"Molto bene, mia cara. Se non volete fare nulla, io mi stendo. Improvvisamente mi é venuto sonno"
Francesco Malgari di Pierre Robin lasciò la moglie in catalessi, le spalle rivolte alla finestra, oltre la quale il cielo era ridiventato scuro e imperscrutabile per la fine dei giochi pirotecnici.
Il visconte fece il giro del letto a baldacchino, scostò le pesanti coperte e si sdraiò, i pantaloni del completo blu indossato a cena ancora addosso.
 
 
 
Ciao a tutti! Capitolo breve in cui Francesco e Adele continuano ad essere distanti, lontani anni luce, ma vi prometto che a breve la situazione si capovolgerà! Grazie ai numerosi lettori, a Claddaghring8 e a emi2193 per aver inserito la storia tra le preferite, e a bettafee per averla inserita tra le seguite! Alla prossima e... BUON NATALE a tutti!
 

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Capitolo 8
*** L'ortensia blu ***


L'aria era gelida quel mattino: non si riusciva a vedere a distanza di qualche metro a causa della nebbia bassa all'orizzonte che, senza indugio, si frapponeva occultatrice tra edifici e persone.

Adele indossava una pesante mantella di feltro nero per proteggersi da quel freddo pungente, il cappuccio calato sui ricci castani lasciati sciolti per illudersi di una parvenza di calore sul collo, le nuvolette di vapore che uscivano copiose dalla bocca.

La ragazza, approfittando di una dose di fortuna inaspettata per l’assenza del visconte a colazione, stava tornando dal paese in sella a un bellissimo Friesland, dove aveva spedito la lettera per Umberto, adducendo come scusa per quel tragitto di quattro chilometri, la necessità di informare la sua famiglia dell’arrivo in Francia dai parenti del marito.

Adesso che, in lontananza, riusciva a scorgere il cancello in ferro battuto del palazzo, di nuovo l'inquietudine prese il sopravvento: dopo l'episodio della notte precedente, sebbene conclusosi con un nulla di fatto, la giovane sposa non riusciva a distogliere il pensiero dall'immagine del marito, la schiena e il torso nudi, le sue calde mani sulle guancie e, ovviamente, il bacio rubatele, maledicendosi per non essersi ribellata a quel contatto inaspettato, avvenuto oltretutto senza il suo consenso.

"Mi sembra di aver tradito la fiducia di Umberto, lui non dovrà mai saperlo. Spero solo che riceva presto la mia lettera e, soprattutto, spero di andarmene a breve da questo mondo fittizio, dove l'apparenza e l'orgoglio contano più dei reali sentimenti"

Adele aveva dovuto compiere uno sforzo immane quella notte e a colazione, per non alzarsi, dal letto prima e dalla sedia poi, e fuggire lontano da quelle persone che continuavano a trattarla come una bambola di porcellana, perennemente fragile e bisognosa di cure per non cadere a terra in mille pezzi.

La ragazza accantonò per qualche secondo la rabbia e il senso di frustrazione che la divoravano da dentro, per immaginarsi -di lì a poco- seduta nella sua camera, davanti al tepore rassicurante della stufa in maiolica, al riparo dai discorsi irriverenti di suocera e cognate.

Un rumore improvviso di zoccoli si sovrappose a quello monotono e continuo del galoppo di lei: Adele si voltò in direzione del nuovo arrivato, notando la figura del cognato, Alexander, che si dirigeva sicuro verso la giovane sposa, il cappello di feltro scuro calato sui capelli corvini tagliati corti, gli occhi grigioverdi sorridenti, gli stivali neri a spronare il meraviglioso Friesland, gemello di quello che sellava con orgoglio lei.

"Buongiorno, cara cognata! Da dove venite?!"

La ragazza cercò di rimanere seria, ma la contagiosa vitalità dell'uomo ebbe la meglio sui suoi sforzi, così rallentò il cavallo: diede una rapida occhiata all'elegante completo di panno blu scuro e, finalmente, rispose:

"Sono andata in paese a spedire una lettera per i miei genitori. Voi invece? Avete l’aria decisamente allegra"

"Oh, no, solo all’apparenza! Purtroppo ho avuto degli impegni meno piacevoli dei vostri: ho dovuto incontrare uno dei nostri avvocati di famiglia per discutere di certe noiosissime questioni sulla vendita di un paio di terreni qui vicini. Ma non voglio parlare di affari! Vi va di intrattenerci nel giardino, in attesa del pranzo?"

In effetti erano ormai arrivati davanti al cancello del palazzo, così entrambi dovettero bloccare i loro cavalli, che affidarono a un giovane stalliere spuntato da dietro le scuderie, non appena aveva avvertito il rumore degli zoccoli sul selciato.

"Se non vi fa piacere, non siete obbligata ad accettare" insistette l’uomo con cortesia, notando il silenzio improvviso della ragazza.

Adele scosse leggermente il capo poi, un sorriso forzato ad increspare le labbra, annuì:

"Certo che mi fa piacere, vogliamo andare?"

 

Erano appena giunti sul retro del palazzo, dove i cespugli di rododendro lasciavano il posto alle rose canine e alle aiuole di ortensie blu, quando Alexander proruppe:

“La vostra compagnia è sempre molto piacevole,  Adele”

“Vi ringrazio. Passeggiare con voi è come un sollievo” una frase troppo azzardata per una donna sposata come lei, tanto più se il marito era il fratello dell’uomo con cui stava conversando.

“E’ così simpatico ed allegro: non ho mai trovato una persona come lui, che mi facesse sentire a mio agio senza nemmeno rendermene conto!”

Il cognato si fermò, le mani giunte dietro la schiena, il cappello ancora calato sulla fronte e, con il tono più serio di cui fosse capace, domandò accigliato:

“Perché dite questo? Avete forse qualche problema con la vostra cameriera o con mia madre? Se è per quest’ultimo motivo, vi capisco: sa essere molto invadente e noiosa, ma non preoccupatevi, le parlerò e farò in modo di farla rinsavire!”

“No, niente affatto” rispose sorridendo Adele, schermandosi gli occhi color miele di castagno con la mano sinistra guantata, al fine di proteggerli dai penetranti raggi solari che, facendo capolino dalla coltre di bruma, stavano danzando attorno al palazzo.

“L’ho detto così, senza pensarci” si affrettò ad aggiungere: non voleva di certo essere messa in cattiva luce davanti alla suocera, una donna che, nonostante la sua più che loquace parlantina, le stava simpatica e con cui amava trascorrere i lunghi pomeriggi primaverili, tra una cioccolata con la panna e una passeggiata per il giardino botanico insieme anche alle cognate.

“Allora, se non c’è nulla che vi turbi” la riportò alla realtà il giovane  “il vostro complimento mi fa doppiamente piacere: non sapevo di possedere queste virtù curative! A parte gli scherzi, come vi trovate qui da noi? Perché ridete?!”

La ragazza aveva preso un tono più spigliato e spensierato, tanto da spingere il cognato a domandarsi se quella fosse realmente la moglie del fratello, e non una sua verosimigliante sosia: da quando la conosceva, infatti, e per le uniche due volte in cui aveva conversato con lei, non aveva mai visto più di un sorriso solcarle il volto, perlomeno non un riso spontaneo e disinteressato come quello che adesso stava riempiendo la bella bocca carnosa e inondando lo sguardo divertito della donna.

“Scusatemi, il fatto è che da quando sono arrivata ho sentito domandarmelo almeno una decina di volte! E a tutti, anche a voi Alexander, continuo a  rispondere che sono a mio perfetto agio. Quasi mi pento di aver fatto passare un anno prima di ritornare …”

“La cosa importante è che ora siete qui, cara cognata” le rispose l’uomo, prendendo tra le sue la mano destra di lei  “da quando mio fratello si è sposato, sono diventato io l’uomo di casa e, in quanto proprietario della villa, mi fa estremamente piacere ricevere questi complimenti da voi, anzi, devo ammettere che mi suscitano un certo orgoglio!”

“Ho detto solo la verità. A proposito, vostro padre è nelle colonie da molto tempo? Dopo il matrimonio non siamo più riusciti a incontrarci”

Il giovane abbozzò un sorriso che valeva più di mille parole e, strappando il gambo di un’ortensia particolarmente rigogliosa, porse il fiore alla ragazza:

“Tre anni il prossimo autunno. Consolatevi, perché dopo la licenza con cui si è premiato per assistere alle nozze del primogenito, anche noi lo abbiamo visto davvero pochissimo. E’ venuto a trovarci per Natale, ma dopo due settimane era già dalle sue concubine”

“Dalle sue concubine?!” Adele accettò il regalo inaspettato con una punta d’imbarazzo dettato dall’intima rivelazione  a cui era stata appena messa al corrente: suo suocero era un uomo tutto d’un pezzo, alto e affascinante come i figli maschi, colto e amante degli animali come Francesco, ma erano tutte caratteristiche che si sommavano alla nomea di marito fedele, ottimo amministratore delle sue proprietà e, ovviamente, affettuoso padre di famiglia.

“E’ così, Adele, è la brutale verità quella che vi sto confessando! L’ultima volta, quando mi ha invitato otto mesi fa in Senegal, ne aveva sei. Le ho viste con i miei occhi: mia madre non sa nulla, ovviamente e, se devo essere sincero, credo anche di avere qualche fratello o sorella mulatti sparsi per quel Paese o, chissà, in tutta l’Africa!”

Il giovane fece accompagnare le sue ultime parole da una risata che fece venire i brividi sulla schiena della cognata:

“Santo Cielo” riflettè infatti lei “come fa a parlarne senza avere vergogna e senza provare imbarazzo?! Fossi al suo posto, non lo racconterei a nessuno!”

“E’ terribile… voglio dire, scusatemi, non volevo…” continuò poi ad alta voce.

“Non dovete scusarvi. Lo penso anch’io, non per quelle povere donne, ma per lui: ha tutto eppure non si accontenta mai di nulla, è inspiegabilmente insaziabile!”

 L’uomo scosse pensieroso il capo, poi domandò con  tono più serio:

“Avete visto per l’ultima volta mio padre al vostro matrimonio, vero? Quanti anni sono passati?”

“A luglio saranno due. Non me lo ricordo molto bene, intendo dire vostro padre: allora non ero in quella che si definisce un’ottima forma …”

“Ormai è passato. Ci vogliamo sedere?”

Erano infatti giunti sotto il meraviglioso pergolato di uva fragola che ospitava due eleganti divani spartani di canapa intagliata, divisi da un tavolino ovale di vetro e acciaio.

“Adele?”

“Sì?”

“Devo confessarvi una cosa …”

La giovane si voltò verso il cognato, il gambo dell’ortensia blu ancora tra le mani.

“Mi devo allarmare?”

“No, assolutamente. E’ solo una curiosità che non riesco a soddisfare” confessò con il solito sorriso scanzonato sulle labbra.

“Vi ascolto” la ragazza temeva di dover affrontare l’ennesima domanda sul rapporto che la legava al marito:

“Se dovesse chiedermi quando avremo un bambino o come trascorriamo le nostre giornate, giuro che mi alzo e lo lascio qui da solo, senza nemmeno una parola di spiegazione!”

“Quando mio fratello” esordì l’uomo, appoggiando il cappello di feltro sul tavolino “ ci ha comunicato che si sarebbe sposato, siamo rimasti tutti molto sbalorditi: mia madre è stata quella più stupita, anche se in cuor suo era da almeno una decina di anni che lo sperava!”

“Ora lo faccio, adesso mi alzo e me ne vado!” continuava a ripetersi come una cantilena la giovane sposa, ma c’era qualche cosa di indefinito e di magnetico nel tono di Alexander, che le impediva di mettere in atto ciò che si stava promettendo di fare da qualche minuto.

“Francesco ha deciso in maniera, oserei dire, affrettata le vostre nozze, e le possibili mogli di certo non gli mancavano –senza offesa per voi,  Adele – “

“Andate avanti”

“Mio fratello è sempre stato un uccel di bosco: volava di albero in albero senza mai soffermarsi a fare il nido. Con questo non voglio dire che ha avuto decine donne, solo che è sempre stato uno spirito libero. I suoi unici interessi erano gli animali e gli affari: l’ordine non è casuale, e credo che anche voi ve ne sarete resa conto. Prima ci sono i cavalli, i cani e i gatti, poi gli affari e infine tutti gli altri interessi più piacevoli, almeno per una persona … normale”

Alexander sorrise nuovamente, mentre con la mano destra scacciava un moscerino che si era insinuato tra di loro: si avvicinò di qualche centimetro verso la cognata, protendendo il busto in avanti, approfittando anche per ripararsi del sole che continuava a farsi largo tra la nebbia ormai quasi del tutto diradata.

“Perché mi state raccontando questo? Lo so anch’io che il fidanzamento e il matrimonio sono accaduti molto rapidamente, ma a distanza di tutto questo tempo non capisco il motivo del vostro discorso …”

“Scusatemi, sto divagando” un sorriso sghembo comparve sul volto leggermente squadrato del giovane “ quello che mi incuriosisce da due anni, è che qualche mese prima del vostro matrimonio, Francesco ha ricevuto una lettera dall’Italia e nel giro di qualche ora era già in carrozza, senza farci sapere che cosa c’era scritto o chi aveva spedito la missiva … ”

“Io non so nulla di questa misteriosa lettera” si stupì Adele, una punta d’inquietudine nelle parole.

“La cosa inspiegabile, passatemi il termine, è il fatto che quando è tornato, ha annunciato il matrimonio, sprovvisto di spiegazioni e senza avervi prima presentata ai nostri genitori. Mi chiedevo se voi sareste stata così gentile da spiegarmi il motivo di tale gesto … ”

“Non posso raccontarvi nulla, Alexander, perché anch’io –come voi- sono all’oscuro di tutto. Non voglio ricordare quel periodo, perciò vi prego di soddisfare altrove la vostra curiosità”

Un’espressione di lieve imbarazzo misto a divertimento comparve sul viso del cognato, che seppe dissiparla in meno di un secondo:

“Molto bene. Non era mia intenzione mancarvi di rispetto, anzi, scusate se vi ho offeso in qualche modo. Sarò meglio cominciare ad avviarci, se vogliamo trovare ancora un po’ di cibo in tavola. Prego, dopo di voi …”

 

 

 

NOTA DELL’AUTRICE: Ciao a tutti! Tenete a mente questo capitolo, o meglio, il dialogo tra Alexander e Adele, perché alla fine si rivelerà molto importante per capire il motivo del matrimonio tra lei e Francesco.

E del caro marito tradito, cosa c’è da dire?! Beh, non appare ma questo pezzo è praticamente incentrato tutto su di lui!

Grazie ancora per chi legge, recensisce e segue la storia!

A presto! E BUON ANNO!

 

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Capitolo 9
*** Brindisi di sventura ***


"Finalmente a casa" pensò Adele, appena varcata la soglia dell'imponente portone in quercia del suo palazzo.
La permanenza dalla famiglia del marito era terminata quella mattina, poco prima dell'alba, quando la giovane sposa e il visconte -salutati madre, sorella, fratello e cognata del consorte- si erano apprestati a salire in carrozza per intraprendere il lungo viaggio di ritorno dalla Francia all'Italia: prima un’ora di tragitto che li avrebbe portati alla stazione, e da lì altre tre di dondolio attutito dalla morbida pelle dei sedili del loro scompartimento, per poi concludere con l'ultima ora di carrozza verso casa.
Adele aveva abbandonato il marito e il grosso baule all'ingresso, senza degnare di un’occhiata né l’uno né l’altro, e cominciò a salire con passo stanco la scalinata in direzione della camera da letto, il suo unico autentico rifugio in quel palazzo che le appariva -nonostante quasi due anni di matrimonio- ancora ostile, gelido, all'opposto di lei e dei suoi sentimenti che le turbinavano nella mente e nel petto.
La ragazza, il lungo abito di lana formato da una giacchetta verde acqua molto corta e da una gonna ampia dello stesso colore, si abbandonò sulla sedia di ciliegio, davanti al mobile da toeletta, dove troneggiava uno specchio ovale dalla cornice dorata.
"Queste due settimane mi hanno stranamente ringiovanito ..." constatò passandosi le mani sul viso, alla ricerca di qualche segnale tangibile di quel cambiamento che avvertiva inspiegabile.
L'unico motivo per cui aveva un pizzico di nostalgia al pensiero di aver abbandonato il palazzo della suocera, erano i piacevolissimi ricordi che le riempivano la mente riguardo le passeggiate per il parco -e delle relative chiacchierate- con Alexander, suo cognato.
"É così diverso da Francesco, a malapena sembrano fratelli se non fosse per il medesimo colore degli occhi e dei capelli. Mio marito é sempre chiuso in se stesso, non riesco mai ad intuire i suoi pensieri, le sue mosse ..."
Alexander, invece, non aveva fatto altro che divertirla, strappandole un sorriso dietro l’altro:
Far divertire una donna come voi è il minimo per un gentiluomo, amante della bella compagnia e della bellezza! E poi, devo confessarvi con non troppo riserbo, che spero che tutte queste piccole o grandi attenzioni, come le volete intendere, servano per farvi ritornare presto da noi, cara cognata! Sarebbe un immenso dispiacere, per me come per tutti noi, privarci della vostra compagnia per un altro anno! In questa casa sarete sempre la benvenuta: quando avete voglia di una parola di conforto, di un sorriso, di una mano tesa o anche solo di divertirvi –che, detto tra di noi, è la cosa più importante!- non esitate a scrivermi o, meglio ancora, a venire a trovarci. Ci fareste un grande piacere e, ovviamente, un grande onore …”
l'aveva salutata il ragazzo, la sera prima della loro partenza.
Adele, ancora seduta di fronte allo specchio, cominciò a sciogliersi i lunghi capelli ricci, togliendo ad una ad una le forcine, come per scacciare la tristezza che le riempiva la mente.
Intanto pensava ad Umberto, alla lettera che gli aveva scritto quattro giorni prima per avvisarlo del suo rientro in Italia: la ragazza lo aveva invitato a trovarsi lunedì al solito posto, nella piazza del paese vicino alla fontana, alle dieci del mattino.
Un sorriso di puro entusiasmo, associato ad un rossore che prontamente si diffuse sulle guance, apparve nello specchio, facendo dimenticare all'istante la lieve malinconia che aveva abitato i pensieri di Adele, appena pochi minuti prima.
Stava ancora fantasticando sull'incontro che avrebbe avuto luogo tra appena quarantotto ore, quando avvertì un timido colpo di nocche alla porta.
La ragazza si voltò in direzione del rumore, il busto girato a tre quarti, le mani ancora nei capelli per scioglierli dall’elaborata pettinatura.
"Avanti!" invitò la giovane sposa, rimanendo seduta, la voce sicura e allegra.
"Scusatemi, viscontessa ..."
Andreina, la cameriera personale di Adele, entrò con la solita compostezza e discrezione nella camera della sua padrona, la lunga treccia bionda e gli occhi scuri come la pece.
"Vieni, Andreina" la salutò sorridendo " non era necessario che venissi, ti avrei fatto chiamare più tardi per sistemare i bagagli, però, dal momento che sei qui, approfittiamone!"
La ragazzina di diciotto anni, fasciata nella sua divisa nera, il grembiule e la cuffietta bianchi inamidati, osservò con una punta di imbarazzo la donna davanti a sé, che ormai si era alzata dalla sedia davanti al mobile da toeletta.
"Veramente, signora, non sono venuta per questo. Volevo solo avvisarvi che, dabbasso, c'è vostra madre ..."
"M-mia madre?" la voce le uscì come un rantolo soffocato: la giovane sposa sbiancò come le lenzuola lavate con il bicarbonato, e prese a mordersi il labbro inferiore così forte, da temere di farlo sanguinare vistosamente.
"Sì, signora, é giù che vi sta aspettando"
"É da sola?" domandò con il poco coraggio che le era ancora rimasto: sarebbe stato più semplice affrontare la donna da sola riguardo a quello che aveva in mente di raccontarle, molto più difficile sarebbe stato farlo con il padre davanti, ottimo scrutatore dei suoi stati d’animo.
A quella domanda la cameriera annuì.
"E mio marito? Dov'è?"
"Il suo valletto ha detto che é andato a farsi un bagno "
Adele tirò un sospiro di sollievo e, per un attimo, si convinse che non tutto era ancora perduto: la sua paura più grande, infatti, era che -con la madre lì presente- le bugie delle lettere scritte ai genitori, che aveva generosamente raccontato al marito e alla famiglia di lui quando ancora erano in Francia, sarebbero crollate come il castello di sabbia travolto dalle onde del mare.
"Va bene, grazie Andreina. Dille che scendo"
 
 
"Adele! Bambina mia, come stai?"
Una donna sui cinquanta anni, agghindata in un completo giallo canarino, il cappello in tinta e gli stivaletti neri, sventolò i guanti in faccia alla figlia, mentre la stritolava in un abbraccio insolitamente caldo per le sue abitudini.
"Buongiorno, mamma, cosa ci fate qui?"
La giovane sposa si stava ancora riprendendo da quella dimostrazione di affetto parentale, quando si accorse di una ciocca dei suoi lunghi capelli ricci rimasta impigliata nella spilla a forma di rosa che la donna più anziana si era appuntata sul risvolto della giacchetta.
"Ho una grande notizia da comunicati! Una bellissima notizia che renderà felice anche te, figlia cara! E tuo marito dov'è? É dall'inizio dell'anno che non lo vedo!"
"A questo proposito, mamma, vi devo chiedere un piccolo favore ..."
Adele accompagnò la donna nel salottino ricco di specchi dorati, adiacente al sontuoso salone.
"Tutto quello che vuoi, cara, sono così felice che non avrò difficoltà ad accontentare un tuo capriccio!"
Madre e figlia presero posto su due poltroncine di velluto rosso, una di fianco all'altra, i pesanti tendoni color pesca completamente aperti per far entrare la luce del mattino.
"Siamo appena tornati dalla Francia, appena mezz'ora fa, dove abbiamo fatto visita alla famiglia di Francesco ..."
esordì la giovane, il tono di voce e l'ansia sul volto, mascherati egregiamente. Il volto leggermente triangolare della donna più anziana si aprì in una smorfia di disappunto, le sopracciglia castane inarcate.
"Non ne sapevamo niente, tuo padre ed io, perché non ce lo hai detto? Potevi scrivere, ci avrebbe fatto piacere…"
"É proprio questo il favore che vorrei chiedervi"
La ragazza deglutì, le mani intrecciate sulle cosce snelle ancora intrappolate nella tenuta da viaggio.
"Ho detto a mio marito di avervi scritto due lettere, una due settimane fa appena arrivati, e l'altra martedì, per avvisarvi del nostro rientro. Vi supplico, mamma, dovete affermare quanto vi ho appena detto, nel caso in cui Francesco faccia delle domande! Per favore, é molto importante!"
Adele prese tra le proprie le mani della donna, stringendogliele un po’ più forte di quando ci si congratula con qualcuno.
"Perché devo dire questa bugia? Che cosa hai combinato?"
La madre si sciolse dal contatto con la figlia, abbandonandosi a riflettere appoggiata allo schienale della poltroncina, gli occhi poco più di due fessure, la bocca contorta in una smorfia carica di dubbio e apprensione materna.
"Ho scritto ad Anna, vi ricordate di lei?"
La donna annuì, ignara del reale motivo che avesse spinto la ragazza a farlo, la quale pregò mentalmente che la madre non si ricordasse del legame di parentela fra la giovane citata e Umberto e, soprattutto, non si accorgesse dell'ennesima e immensa bugia che le stava propinando.
"L'ho incontrata per caso qualche tempo fa, in paese, così abbiamo ripreso a frequentarci, ma temevo che Francesco me lo impedisse ... lui non ama particolarmente che vada in giro da sola …"
La madre emise un sonoro respiro, continuando a rimanere in silenzio, poi parve acconsentire:
"Se é la verità, e spero sia così, va bene, farò come mi chiedi"
Improvvisamente Adele, decisamente più sollevata dalla risposta della donna di fianco a lei, si ricordò di non sapere ancora il motivo per il quale la madre fosse venuta a farle visita.
"Che cosa vi ha portato qui?" domandò dunque, una lieve curiosità impressa nelle parole.
"Dio del Cielo, me ne stavo quasi dimenticando, cara! Tuo fratello Alberto e la sua quasi moglie aspettano un bambino! Non sei felice per loro?! Diventerò nuovamente nonna! Dopo i due figli di tua sorella Angelica, manchi solo tu, Adele! Tuo padre, quando lo ha saputo, quasi frustrava il mio povero Alberto, ma dopotutto, mancano appena due settimane al loro matrimonio, e nessuno noterà la pancia di quella ragazza!"
La giovane sposa rimase impietrita dal candore rivelatore della madre, un sorriso di giubilo stampato in volto.
Adele si sentì improvvisamente in trappola, sospinta da una forza invisibile e misteriosa che la spronava a rallegrarsi, ma –contemporaneamente- la metteva in guardia, invitandola a calibrare le parole che avrebbe dovuto pronunciare:
“S-sono molto contenta per loro … per voi, mamma” non le rimase altro che annuire e congratularsi, cacciando via quel senso di angoscia che ritornò a farsi sentire prepotente e ostinato, ad oscurarle la mente e il cuore: temeva che, presto o tardi, avrebbe dovuto assoggettarsi al dovere di ogni buona sposa e, improvvisamente, odiò il marito, odiò la donna seduta di fianco a lei, e ogni persona che non fosse Umberto.
“Anche tu lo devi essere, figliola! Propongo di fare un buon brindisi in loro onore! Cameriera, per favore!” la donna più anziana cominciò a far trillare violentemente il campanello in argento posto sul tavolino frapposto tra di loro.
La mano della ragazza si posò prepotente su quella di lei:
“Mamma! Non c’è bisogno di strepitare in questo modo! Così facendo farete accorrere tutti, anche Francesco!”
“Oh, ma certo, Adele, hai ragione!” rispose la donna, appoggiandosi la mano destra sulla fronte in un gesto studiatamente teatrale, quindi continuò:
“Dobbiamo chiamare anche lui, tuo marito intendo! Ci potrà consigliare un buon vino con il quale brindare alla salute di tuo fratello e del bambino che nascerà!”
La giovane sposa emise un sospiro profondo, cercando di dominare il tumulto di passione e odio che la stava divorando.
Prese il campanello che la madre stava ancora facendo ondeggiare in aria e, scrollandolo con delicatezza, lo scosse e mormorò con voce bassa:
“Andreina, per favore, vieni in salotto …”
 

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Capitolo 10
*** Una ferrea decisione ***


Francesco era sdraiato nel letto ormai da due ore: dovevano essere le tre o le quattro del mattino, perché aveva sentito in lontananza lo scandire svogliato delle campane del paese.
Aveva la testa che gli doleva, non tanto per la serata che aveva trascorso in una delle bettole che era solito frequentare prima di sposarsi, piena di fumo, di risate sguaiate e volgari canzoni urlate a squarciagola da stupidi avventori, e non poteva essere stordito nemmeno per l’alcool che non aveva bevuto –odiava infatti qualsiasi tipo di alcolico, degustava solo un paio di bicchieri di vino durante i pasti o nelle occasioni importanti-, perché lui, in quei posti poco raccomandabili per uomini della sua levatura sociale, andava per soddisfare i suoi istinti sessuali ma, soprattutto, per giocare a carte e, spesso, la Fortuna lo assisteva talmente insperatamente, da ritornare a palazzo con un gruzzolo per nulla indifferente.
L’uomo, da quando quasi due anni prima era convolato a nozze, si era ripromesso senza alcuna difficoltà, di non mettere mai più piede in quel girone infernale di meretrici e ubriachi, dedicandosi esclusivamente alla sua nuova vita coniugale e di uomo d’affari.
Ma quei giorni, ora trasformati in mesi, erano lontani e, niente e nessuno, aveva preso la piega dei desideri di Francesco, così –quella sera- aveva deciso di fare un piccolo strappo alle regole che si era autoimposto.
I calzoni di lino lunghi fino alle ginocchia erano gli unici indumenti che il visconte indossava: il petto scolpito dalle linee che delimitavano i muscoli ben torniti si abbassava sotto le pesanti coltri di lana, ad un ritmo leggero e quasi impercettibile rispetto al tumulto dei pensieri che si agitavano nella sua mente.
Sapeva che Adele gli nascondeva qualcosa, ormai lo aveva capito quasi tre settimane prima quando, di primo mattino, l’aveva vista aggirarsi per le scuderie e, furtivamente, salire in groppa al suo bel baio bianco e grigio per andare a trovare Angelica, la sorella, visita di cui il marito sospettava alquanto: ogni piccolo gesto, ogni sguardo, ogni parola della moglie, da quel momento aveva cominciato ad insospettirlo.
E poi il viaggio in Francia dalla sua famiglia, lo sgomento di lei –per nulla celato- di dormire di nuovo insieme, dopo quasi un anno di camere separate.
“Quando mia suocera è andata via, ieri pomeriggio, ho come avvertito una punta di curiosità nel suo sguardo, al momento di salutarci: era come se volesse chiedermi qualcosa, ma non aveva il coraggio di farlo. E poi l’insistenza di Adele per farla rimanere a dormire ancora una notte … non aveva alcun senso!”
Francesco Malgari di Pierre Robin continuò a guardare il soffitto bianco trafitto dalla debole e timida luce lunare che filtrava dalla grande finestra, le tende spesse color avorio accuratamente tirate per oscurare il più possibile la stanza durante quelle ore dedicate al riposo, un riposo che attardava a giungere anche per lui.
L’uomo, le mani sul cuscino intrecciate dietro la nuca, lanciò un’occhiata dubbiosa e frustrata in direzione della porta ricavata nel muro alla sua sinistra, oltre la quale dormiva la moglie: gli sarebbe bastata una ferrea decisione, alzarsi, arrivare fino alla maniglia, abbassarla ed entrare finalmente nella camera di Adele per … per che cosa?
Non avrebbe osato fare di più, perché aveva troppo rispetto per quella giovane donna che era la sua consorte da quasi due anni, eppure era arrivato ad una soglia di sopportazione talmente alta, che insperava di poter resistere ancora per molto al suo ennesimo rifiuto di giacere con lui.
Pochi giorni prima del loro viaggio in Francia –ormai sarebbero state tre settimane quel sabato- era stata la stessa moglie a fargli quella stupita richiesta di avere un figlio, e lui l’avrebbe accontentata anche subito, così come aveva acconsentito ad accompagnarla dalla suocera e dai cognati, Oltralpe, che non godevano della visita della giovane da un anno.
Aveva fatto ogni cosa da quando si erano sposati per cercare di accontentare ogni più piccolo capriccio, ogni desiderio appena abbozzato dalle meravigliose labbra della moglie, le aveva donato piena libertà perché non voleva che le pesassero né quel matrimonio combinato così in fretta, né tantomeno la differenza di quindici anni tra loro due.
Il visconte non avrebbe mai ammesso davanti alla giovane sposa che ne era innamorato, che appena l’aveva vista a casa dei genitori di lei per annunciare il fidanzamento, l’aveva trovata incantevole, non tanto per la bellezza per nulla ricercata, quanto per quella dolcezza e quella tristezza che trasparivano dagli occhi, attratto dalla timida fierezza che trapelava dalla bocca carnosa e dalle parole pronunciate, più monosillabi che frasi aventi un senso.
Francesco sospirò forte, chiuse gli occhi e si ripromise che –se entro un tempo ragionevole che avrebbe quantificato con esattezza il giorno dopo- Adele non avesse esaudito il suo stesso desiderio di avere un figlio, ci avrebbe pensato lui a far sì che la situazione e tutto ciò che ne sarebbe conseguito, si verificassero.
 
 
La piazza giù al paese non era nemmeno lontanamente da paragonare al venerdì, il giorno di mercato, che richiamava come un’enorme calamita la folla di persone anche dalle zone limitrofe: c’era solo qualche contadina accompagnata da bambine di non più di dieci anni –probabilmente le nipoti- che vendeva uova e bottiglie di latte appena munto ai bordi delle strade, esponendo la merce su traballanti asse di legno inchiodate a mo’ di tavolini.
Adele si guardò intorno per avere la certezza che nessuno l’avesse seguita: aveva indossato una mantella nera con il cappuccio calato sul capo, affinché la sua figura rimanesse nascosta da occhi indiscreti e, il lungo vestito di raso rosa pallido, si trascinò con studiata naturalezza, verso la fontana di marmo al centro della piazza.
Mancavano un paio di minuti alle dieci: la ragazza, infatti, nella lettera che aveva inviato ad Umberto dalla Francia la settimana scorsa, gli aveva dato appuntamento per quell’ora.
Aveva il cuore che le batteva forte e un calore che cominciava a diffondersi sulle gote, nonostante il freddo pungente dovuto alla giornata rischiarata dal sole ancora invernale di fine marzo.
Abbassò lo sguardo sui guanti di velluto nero, cercando di dare l’impressione che fosse lì solo per riposarsi dalla fatica di un’infinita passeggiata solitaria, e non certo nell’attesa del suo innamorato.
L’orologio del campanile lì vicino batté finalmente i dieci rintocchi, eppure Umberto non si vedeva.
“L’altra volta, nonostante fosse addirittura più presto, era già qui, adesso perché non è ancora arrivato? Forse la lettera non gli è giunta in tempo? Eppure ho raccomandato al fattorino della posta di inviarla con la massima priorità, ho persino pagato il doppio, e la Francia non è in capo al mondo …”
Adele non osava alzarsi per paura che qualcheduno notasse la sua inquietudine: sollevò quindi lo sguardo e, con fare forzatamente noncurante, osservò la gente che passava, per la maggior parte cameriere delle famiglie nobili e ricche del vicinato, che procedevano speditamente per la piazza al fine di recarsi nelle botteghe distanti poche centinaia di metri, a comprare il cibo da cucinare per i loro padroni.
L’agitazione la stava divorando, eppure non riusciva a trovare un modo per calmarsi, per pensare ad una scusa così importante da aver impedito al suo Umberto di raggiungerla all’appuntamento prefissato.
Il calore delle guance si diffuse rapidamente anche al capo, tanto che la giovane avvertì una fitta improvvisa di emicrania.
Guardò in direzione del campanile: le dieci e mezza.
“Aspetterò ancora fino alle undici, poi me ne andrò” decise la ragazza.
Stava riprendendo a lanciare occhiate in giro per la piazza quando –il cuore che le sobbalzava nel petto- si accorse di Umberto.
“Non si è dimenticato, allora!”
Gli andò incontro leggiadra e felice, come una bimba la mattina di Natale, impaziente di scartare i regali ma -appena raggiunta la figura di spalle- si accorse disgraziatamente che non era lui.
Non ebbe neppure la forza di giustificasi ad alta voce con l’uomo sconosciuto di fronte a lei, biascicò solamente un inudibile scusate tanto era flebile, poi tornò a sedersi composta sul marmo freddo e bagnato della fontana.
La giovane si sentì talmente avvilita, da temere di scoppiare in lacrime da un secondo all’altro, destando così l’attenzione di qualche persona che avrebbe potuto riconoscerla.
“Sono solamente una stupida. Non verrà, forse non ha nemmeno ricevuto la mia lettera o, peggio, le parole che gli ho detto quando ci siamo incontrati per la prima volta, dopo tutto quel tempo, lo hanno fatto ragionare: mi abbandonerà di nuovo e ritornerà nell’Ordine o, se non lo facesse, non mi vorrà più con se. L’ho ferito con la mia infantile paura, gli ho detto che temevo la reazione di Dio, che non avrebbe mai trovato i soldi per poter vivere insieme e, soprattutto, prima di partire, gli ho detto che non sarei riuscita ad abbandonare mio marito. Umberto mi ha dimenticata, e sono io la colpevole di tutto questo”
L’orologio del campanile lì vicino batté le undici: Adele guardò ancora una volta quegli enormi strumenti di ferro che si muovevano leggiadri avanti e indietro, diede un’occhiata penosa alle contadine che vendevano latte e uova, poi si avviò nella piazza delle vetture, in attesa della diligenza.
 
 
Quando la giovane sposa tornò a palazzo, avvertì con maggior violenza, il peso della sua disgrazia gravarle nella mente e nel cuore: le tempie le pulsavano e il cuore non smetteva un attimo quella folle corsa verso chissà che cosa.
Era ormai ora di pranzo, ma il suo stomaco non aveva alcun desiderio di mangiare: chiamò perciò Andreina, la sua cameriera, per avvisarla di non essere disturbata.
“Non voglio che mi chiami per alcun motivo: né tu né chiunque altro. Hai capito?”
“Sì, signora. Anche vostro marito non può venire?”
“No, nemmeno lui. Voglio rimanere da sola per almeno tutto il pomeriggio. Se ho bisogno di qualche cosa, sarò io a chiamarti”
La servetta di diciotto anni, la lunga treccia bionda e gli occhi neri come la pece, annuì poco convinta, poi domandò, la voce bassa e titubante:
“Vi devo portare da mangiare?”
Adele scosse la testa, una fitta che le fece storcere la bella bocca carnosa.
“Non ho fame. Portami solo un po’ d’acqua, per favore.”
“Subito, signora”
Quando la giovane cameriera tornò con la brocca della bevanda richiestale e un bicchiere, la viscontessa chiuse a chiave la porta dietro di lei: si buttò sul letto, il lungo vestito di raso rosa pallido ancora indosso, e cominciò a piangere.
 
 
La ragazza si risvegliò che fuori era buio:
“Devo aver dormito per tutto il pomeriggio” constatò.
La testa le dava meno fastidio, anche se le pulsava ancora leggermente una tempia.
Si alzò a sedere lentamente sul grande letto a baldacchino, poi si diresse verso la brocca d’acqua che aveva appoggiato ore prima sul basso tavolino vicino allo scrittoio in ciliegio.
Ne bevve un lungo sorso dal cilindro allungato e trasparente, a cui ne seguirono altri tre, il bicchiere di vetro soffiato come se fosse una parte di lei, tanta era la forza e l’automaticità nei movimenti.
Soddisfatta di aver eliminato almeno la sete che le attanagliava la gola, si avvicinò allo specchio posto sopra il mobile da toeletta in un angolo della camera: aveva gli occhi gonfi e ancora arrossati, i capelli in parte arruffati per essere sfuggiti dall’acconciatura che aveva elaborato quella stessa mattina.
La bocca era ancora umida dalle abbondanti gocce di acqua che le erano scivolate mentre beveva.
Si pulì le labbra con una passata dell’indice destro, poi ritornò a sedersi sul letto.
Il bruciante dolore per non aver visto Umberto, la rendeva inquieta e agitata.
Era così amareggiata per essersi illusa, da sentirsi stupida e infantile: lei gli aveva scritto un’altra lettera prima di quella della settimana scorsa, quando era arrivata in Francia dalla famiglia del marito, lo aveva infatti rassicurato per dirgli che non vedeva l’ora di riabbracciarlo e di baciarlo, che il viaggio le era sembrato noiosissimo e interminabile senza di lui, a dover fingere un briciolo di allegria con il visconte prima e con la suocera dopo.
Dopotutto sono io che ho insistito per partire …” si rimproverò la giovane sposa.
E poi gli aveva scritto appunto il giorno precedente il ritorno in Italia, per fissare quell’appuntamento alla fontana, nella piazza del mercato, giù al paese.
“E se non avesse ricevuto nemmeno la prima lettera? E se fossero andate perdute o, peggio ancora,  avesse volutamente deciso di non venire oggi?”
La maniglia della porta si abbassò impercettibilmente, tanto che la ragazza quasi sobbalzò nel vedere la figura slanciata e avvolta nella vestaglia blu scuro del marito.
“Finalmente siete sveglia, mia cara. La vostra cameriera mi ha detto che non volevate essere disturbata …”
Non ricevendo risposta, il visconte si fece avanti, andando a raggiungere la moglie, le ginocchia contratte, le mani tra di esse, e i capelli in parte a nascondere gli occhi che piangevano.
“Non vi sentite bene? Se volete vi faccio portare qualcosa da mangiare: oggi a pranzo ho saputo che non avete voluto nulla. Scusate la mia assenza, ma ho dovuto fermarmi tutto il giorno da quei latifondisti che sono venuti a cena da noi, qualche tempo fa … Adele, perché piangete?”
La ragazza, stupita da quel tono incredibilmente dolce e preoccupato, alzò finalmente lo sguardo e, scuotendo il viso arrossate e rigato di lacrime, singhiozzò:
“Oh, Francesco, sono tanto infelice! Vi prego, vi supplico, stringetemi! Non lasciatemi da sola!”
L’uomo sorriso debolmente, s’inginocchiò e cominciò ad asciugare le lacrime della moglie, così fragile e difficile da decifrare.
“Non preoccupatevi, io sono qui, ci sarò sempre per voi, ricordatevelo …”
Il visconte si sedette sul letto di fianco a lei: le scostò con delicatezza i lunghi capelli ricci spettinati e avvicinò il viso a quello della ragazza, cominciando a baciarle prima gli occhi e poi la bocca, le mani su quelle di lei.
“State tranquilla, Adele, andrà tutto bene …”
La giovane sposa si lasciò cullare dal corpo caldo del marito, la salda presa delle braccia a circondarla, e la dolcezza mai conosciuta delle sue carezze percorrerla.
Si sentì improvvisamente stanca, molto più stanca di quando era tornata a palazzo, prima di pranzo, amareggiata e atterrita per il mancato incontro con Umberto.
Sembrava che non avesse neppure dormito, tanto sentiva le palpebre ostili ad aprirsi alla fioca luce lunare e le forze del corpo abbandonarla: non voleva pensare a nulla, a nessuno, desiderava solo dimenticare, essere protetta da una realtà che non faceva altro che deluderla e contrastarla.
“Sono tanto confusa … non riesco a capire se tutto questo è un sogno o se davvero Francesco è qui con me … ma, in fondo, che cosa importa? Sono sua moglie solo sulla carta e, adesso, sono troppo stanca per continuare a inventare i sotterfugi e le bugie che ho costruito pur di non appartenergli. Non mi interessa che cosa ho fatto, quello che ho pensato di lui, che cosa penserò domani … basta! Voglio dedicarmi a me stessa, devo afferrare la mia felicità, tutto il resto non conta più … ”
Adele si scostò leggermente dalla spalla dell’uomo, il capo ciondolante su di essa, per cercare di guardarlo bene in faccia: notò, non del tutto consapevole, la passione e l’amore brucianti negli occhi grigioverdi del visconte, che sgusciavano furtivi verso la sua bocca e l’incavo dei seni.
Gli sorrise debolmente, le guance ancora umide per le lacrime appena versate.
Abbassò lo sguardo verso la vestaglia semiaperta di Francesco, da cui si intravedeva chiaramente il torso nudo e glabro, proprio come il bel viso leggermente squadrato.
La giovane sposa passò una mano dietro la nuca di lui, alla ricerca dei capelli corvini legati con accuratezza in un nastro di velluto color bordeaux, per poi scioglierli con gesto deciso.
Si protese impaziente sul marito, le braccia attorno al collo, mentre con il petto sussultante per i singhiozzi che reprimeva senza sforzi, stringeva con desiderio il visconte il quale, prontamente, prese a ricambiare le effusioni e le carezze della moglie.
Adele si lasciò divorare le labbra salate, la gola, le spalle fino a quando ritrovò le sue mani a gettare sullo scendiletto rosso, la vestaglia blu dell’uomo.
L’ultima cosa che vide, prima di chiudere gli occhi e lasciarsi abbandonare da quel sentimento di gioia insana che la stava felicemente invadendo, furono le dita di Francesco cercare frementi le proprie, fino a quando le sentì saldarsi, insieme all’ennesimo bacio che le coprì i seni.
Ora apparteneva completamente a lui, e lui apparteneva completamente a lei: non si era mai sentita più potente e inconsapevole come lo era adesso ma, dopotutto, doveva agguantare la felicità, tutto il resto non contava.
 
 
NOTA DELL’AUTRICE: Ciao! Finalmente è arrivato il grande momento, il capitolo che, credo e spero, voi lettori vi siete domandati se sarebbe mai stato scritto!
Adele si è concessa al visconte, anche se non nelle migliori condizioni fisiche e psicologiche, tuttavia lascio a voi la libera interpretazione di quello che è accaduto e, ovviamente, i futuri risvolti di quello che accadrà!
Ho voluto dare più spazio a Francesco (che nella prima parte scopriamo essere un uomo dalle abitudini un po’ discutibili), proprio perché ha avuto la sua rivincita dopo quasi due anni di astinenza, per questo ho diviso il capitolo in due punti di vista, il suo e quello della mogliettina!
Invito a lasciarmi una recensione ( anche solo una parola!) e colgo l’occasione per ringraziare tutti i lettori che continuano a leggere la storia e, in particolare,:
-Claddaghring8
-emi2193
- biankolina
- bettafee
- bree_bii89;
-giardino di dio
-Victor_Rhymer93
 

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Capitolo 11
*** Tutta colpa della polmonite ***


Il mattino successivo, quando si svegliò, il sole era già sorto da un paio di ore: Adele sentiva un torpore per niente piacevole avvolgerle il capo e le gambe.
Le braccia erano indolenzite per la posizione flessa a cui erano state sottoposte per tutto quel tempo, durante la notte appena trascorsa, mentre i lunghi capelli ricci le coprivano per metà il volto insonnolito.
Si voltò verso la parte sinistra del letto e si accorse delle lenzuola stropicciate, il cuscino ancora sprimacciato dal contorno della nuca della persona che aveva dormito lì: gli occhi fino ad allora socchiusi della ragazza, pigri ad aprirsi una volta per tutte, si spalancarono inorriditi.
All’improvviso non si sentì più intontita, ma provò una sensazione di ripugnanza verso se stessa, di profondo disgusto: il ricordo di lei, disperata e piangente la sera precedente, le s’impresse violentemente nella mente, le parole stupide che sapeva di aver pronunciato davanti al marito, ma che adesso non riusciva a far sovvenire lucidamente e rapidamente, rappresentarono la colpa più grossa che avesse potuto commettere, l’errore più insulso che aveva, per quasi due anni, cercato in ogni modo di non compiere.
La giovane sposa si guardò intorno come un’animale selvaggio e ferito che non si rende conto di quello che gli sta capitando, ma che desidera solo che quella sofferenza senza senso e senza causa finisca presto.
Si  mise a sedere sull’ampio letto a baldacchino, facendosi forza sui gomiti e, rabbrividendo, lo notò: il vestito di raso rosa che fino a poche ore prima indossava, era appoggiato senza troppa premura sulla sedia davanti allo scrittoio di ciliegio.
Sotto le coperte gettate pochi secondi prima con impeto lontano da sé, Adele indossava solo la sua sottoveste di lino, niente pesanti calze di lana che aveva infilato la mattina precedente per andare da Umberto, alla piazza del paese.
Un senso di colpa e d’impotenza per non poter più rimediare a quello che sapeva essere successo, le provocò un conato di vomito che dovette reprimere non senza sforzo.
Decise che, almeno per quella mattina, avrebbe continuato a rimanere nella sua stanza, lontano da quel maledetto, dal marito che l’aveva sedotta con l’inganno, con la fragilità delle sue lacrime e del suo comportamento -adesso lo capiva chiaramente- decisamente infantile.
Si alzò a prendere il campanello in argento che teneva sul mobile da toeletta, e attese l’arrivo di Andreina, la sua cameriera personale.
Quando ella arrivò, la giovane sposa la fece entrare quasi furtivamente, prendendola per un braccio:
“Anche oggi non mi sento molto bene, quindi non voglio essere disturbata. Puoi andare, grazie” concluse sbrigativamente la ragazza, senza guardare in faccia la nuova venuta.
La servetta abbozzò un tentativo di replica, indecisa se fare dietrofront e tenere la bocca chiusa sul messaggio da consegnare alla viscontessa, oppure vincere le reticenze della padrona, e metterla al corrente di quello che aveva da dirle.
Lisciandosi il grembiule inamidato, optò per quest’ultima scelta, il tono di voce basso ma fermo:
“Scusatemi, signora, ma dovrei darvi una lettera. E’ arrivata ieri sera, però voi avevate chiesto di non ricevere nessuno …”
“Chi l’ha portata?!” una fitta di dolore e di paura, attraversò lo stomaco a digiuno da ore della ragazza, che agguantò con rapidità l’anonima busta bianca su cui era vergato solamente il suo nome, Adele, ma di cui riconobbe, senza indugi, la scrittura.
“Un ragazzino: ha bussato ieri alla porta di servizio poco prima di cena, gli ha aperto la nuova cameriera, poi lei mi ha detto che c’era questa lettera per voi. Così io l’ho messa in tasca perché volevo darvela subito, poi però mi è venuto in mente che non volevate essere disturbata …”
La giovane sposa respirò affannosamente e, il viso rosso per la collera, sbottò:
“Sei solo una stupida, Andreina, solo una stupida ragazzina! Dovevi portarmela subito! Non sei autorizzata a pensare, io … perché non me l’hai portata prima?! Perché?!”
La servetta sbiancò in volto, sentendosi in colpa per un’omissione che non riusciva proprio a capire: lei aveva fatto come le era stato ordinato, se la padrona –nel frattempo- aveva cambiato decisione, di certo non poteva sognarselo, avrebbe dovuto avvisarla, così non si sarebbe presa quella sgridata, la prima della sua breve carriera da cameriera personale.
“Scusami … scusami, tu non c’entri. Perdonami, Andreina, non dovevo prendermela con te. Hai fatto solo come ti avevo ordinato. Grazie lo stesso, ora vai”
Quando l’ambasciatrice uscì, Adele graffiò la busta per cercare di aprirla in un unico gesto: si avvicinò alla finestra, perché le sembrò che, così, potesse avere più aria da inspirare in quel corpo ormai oltraggiato –ben sapendo che quel termine non le si addiceva per niente- a causa di ciò aveva permesso di fare al marito, appena la notte precedente.
Finalmente, un respiro di coraggio, la giovane sposa cominciò a leggere quelle parole, mentre il sole di fine marzo si spargeva generoso sul capo.
 
 
 
Carissima Adele,
spero che riceverai in tempo questa mia lettera, prima del nostro incontro di domani mattina.
La brava donna che mi ospita, la sorella del priore del convento, si è ammalata: ha preso una brutta influenza, tossisce molto e, con il marito e i figli a lavorare a Spinona, non me la sono sentito di lasciarla sola.
Poche ore fa, ho infatti mandato a chiamare il medico del paese affinché la visitasse: la sua diagnosi è stata polmonite e, come ben immagini, non è cosa da sottovalutare.
Ho potuto comprare le medicine che servono alla buona Maria grazie all’anello d’oro, dono di mia madre per il mio ingresso nell’Ordine, che conservavo ancora, così finalmente posso ricompensarla per tutto quello che di buona ha fatto e continua a fare per me.
Se tutto andrà bene, ti prego di vederci venerdì, ma non alla piazza del paese, è troppo lontano, vieni tu per favore, alla radura di querce, davanti alla casa di Maria.
Ti aspetto …
Con immenso amore,
Umberto
 
  
Adele stropicciò con tutta la forza di cui poteva godere in quel momento, il misero e beffardo foglio di carta, incosciente messaggero di  sventura: Umberto si riferiva all’incontro non avvenuto del giorno prima, come quello di “domani mattina”, perciò voleva dire che le aveva scritto due giorni addietro, domenica, sicuramente nel pomeriggio, perché altrimenti la lettera non sarebbe arrivata così tardi, ovvero solo di lunedì mattina.
E poi sarebbe stato impossibile leggerla in tempo, ma almeno non sarebbe successo tutto quell’enorme malinteso …  
La giovane sposa gettò con rabbia e stizza malcelata, il foglio che aveva appena terminato di leggere: la carta atterrò sul tappeto rosso, il più lontano possibile da lei, proprio come si fa con un insetto fastidioso e ripugnante allo stesso tempo.
Si mise le mani nei capelli, addolorata e sbalordita per aver dubitato della mancanza di amore e di affetto che il suo Umberto aveva sempre nutrito nei suoi confronti.
Perché il giorno prima aveva dato lo stupido ordine ad Andreina di non voler vedere nessuno?
Se avesse letto ieri sera la lettera, a quell’ora non lo avrebbe tradito, non si farebbe fatta abbindolare dalle parole del marito, dalla dolcezza di quelle mani e dei baci caldi e passionali che l’avevano percorsa tutta.
Aveva atteso due anni per rivedere Umberto e, in pochi minuti, aveva decretato la fine del loro amore, della fiducia che il ragazzo provava per lei, solamente a causa della sua stupida e infantile fragilità.
Adele si sentiva sporca, usata, un burattino nelle mani di Mangiafuoco, eppure non era stata solo colpa del visconte: la moglie era stata il fiammifero che aveva attizzato l’incendio nel cuore e nella mente del marito, non era l’unico ad aver sbagliato, l’aveva tentato più volte nell’ultimo periodo, tanto da lasciargli intendere –o meglio glielo aveva confessato esplicitamente- di voler avere al più presto un bambino.
Ma tutto questo era successo prima di rivedere lui, prima di riabbracciare quel corpo che aveva sperato di toccare da così tanti mesi, prima di posare le labbra carnose su quelle perfette di lui, prima di farsi accarezzare la schiena e le guance dalle mani calde di Umberto, il suo unico amore.
La giovane cominciò a pregare forsennatamente affinché non si realizzasse la sua più grande paura: non poteva permettersi di rimanere incinta, non di Francesco, non in quel momento.
Si coprì le mani rosse per i graffi che si era continuata a dare durante quelle angosciose riflessioni, e cominciò a piangere, nella speranza che tutto quello che era successo in appena dieci minuti, non fosse altro che un’ombra realistica degli incubi che, dalla mattinata precedente, avevano popolato la sua mente.
 
 
La giornata era splendida: la brina che ricopriva i prati andava ormai sciogliendosi completamente, e il freddo pungente era ampiamente ricompensato dal cielo limpido e privo di nubi, carico invece della palla infuocata del sole.
Francesco Malgari di Pierre Robin si aggirava a passi lenti e cadenzati per il parco del suo palazzo, ad entrambi i lati i due fedeli Setter.
Indossava uno dei soliti eleganti completi da lavoro, se così si poteva definire la mansione quotidiana che amava svolgere, di cachemire blu scuro e il cappello di feltro intonato, che vestiva ogni volta che andava verso i campi coltivati e le terre della sua famiglia, una decina di chilometri oltre il palazzo.
Ogni benedetta mattina, andava fin lì con uno dei calessi delle scuderie poi, se il tempo prometteva bene, lasciava il baroccio a metà strada e, dopo essersi assicurato che il fattore lo venisse a riprendere, con i due Setter vicini, si avviava a piedi verso casa.
Francesco si fermò sotto la finestra della moglie situata al secondo piano, e aspettò un qualsiasi segnale che provenisse da quella stanza: quella mattina, a colazione, non si erano incontrati e, dopo la prima vera notte trascorsa insieme, nello stesso letto, abbracciandosi e baciandosi, il visconte aveva bisogno di riflettere e, soprattutto, di capire i sentimenti di Adele.
Di certo non l’aveva forzata a giacere con lui, ma non era completamente convinto della circostanza in cui tutto era accaduto: la giovane sposa era in lacrime, tremante come le fronde dei salici piangenti piantati nel retro del palazzo, gli aveva chiesto di stringerla, di non lasciarla sola, perché era … infelice.
Un termine che aveva destato più di un dubbio nella mente dell’uomo, tuttavia non si era soffermato a domandare la causa di quell’infelicità, tanto più che la situazione che aveva desiderato da quasi due anni, si era improvvisamente avverata.
E proprio per questa sua mancanza di tatto e di sano interessamento coniugale, si sentiva in colpa, perché temeva che lei avrebbe potuto pentirsi di ciò che era accaduto appena qualche ora prima.
Lui invece non si era pentito di nulla, anzi, fosse dipeso esclusivamente dalla sua volontà, avrebbe ripetuto anche all’istante quel meraviglioso e inaspettato contatto che li aveva visti uniti e persino felici … almeno era quello che aveva provato l’uomo e che continuava a sentire nel profondo.
Riabbassò lo sguardo verso i due cani accucciati di fronte a lui e, continuando a pensare all’enigmatica moglie, si allontanò da quella parte di giardino, percorse il lungo viale d’accesso, e uscì con i Setter in direzione dei campi poco lontani, il calesse già pronto.
 
 
Adele, le pesanti tende di velluto non completamente tirate, era riuscita a sbirciare, senza farsi vedere, fuori dalla finestra.
Aveva subito notato la presenza del marito mentre passeggiava nel parco sottostante, così come non le era sfuggita l’occhiata che aveva lanciato verso di lei.
La giovane sposa richiuse, con l’ennesimo gesto di rabbia impotente, i tendoni che la separavano dal mondo esterno: con la punta di una delle pantofole, gettò ancora più lontano l’abbozzo di carta stropicciata che era l’infausta lettera.
Appoggiò le mani sullo scrittoio in ciliegio e, i pugni serrati e gli occhi chiusi, emise un profondo sospiro: odiava profondamente Francesco, detestava ogni cosa che lo legava a lui: il palazzo in cui viveva, l’arredo prezioso che la circondava, i gioielli e i begli abiti che le aveva regalato in quei due anni di matrimonio e, ovviamente, quel maledetto anello che calzava sull’anulare sinistro: riaprì gli occhi e con la mano opposta, se lo tolse.
Lo rigirò tra le dita, notando il luccichio dell’oro sotto i raggi solari, che mettevano in risalto anche il piccolo diamante incastonato sull’anello di fidanzamento.
Se prima rispettava il marito e aveva persino stima di lui, tanto da provare una punta di colpa per il tradimento di cui era oggetto, dalla notte precedente non avrebbe potuto fare altro che disprezzarlo con tutte la forza di cui fosse stata capace: aveva rovinato ogni cosa, l’aveva costretta a tradire Umberto, il suo Umberto, e lei –ormai facile alle lacrime, inerme e istupidita dalle paure e dall’angoscia di non rivedere più l’innamorato- aveva ceduto ai baci e alle carezze dell’uomo.
La sua mente ormai irrazionale, partorì una decisione che niente e nessuno al mondo l’avrebbero distolta dal compiere: tre giorni dopo, quando avrebbe di nuovo incontrato Umberto, gli avrebbe proposto di fuggire insieme, di andarsene lontano dal marito e da quella vita che non aveva nemmeno per un minuto desiderato.
In quel lasso di tempo che l’avrebbe separata ancora per poco dal ragazzo, Adele si sarebbe comportata come se nulla fosse, non avrebbe dato adito ad alcun sospetto, né con il marito né con Andreina, la sua cameriera personale, di cui cominciava a vedere una nemica alla realizzazione del piano tanto agognato.
Anzi, avrebbe persino preso in prestito un sacchetto con un po’ di denaro dallo studio di Francesco, in uno dei cassetti chiusi a chiave della scrivania in mogano: avrebbe utilizzato una delle sue grosse forcine per aprirlo, nel caso più che probabile di trovarlo chiuso con una chiave di cui non avrebbe trovato facilmente traccia.
Si vestì con calma studiata, poi scese dabbasso e, un profondo respiro d’incoraggiamento, si calò nella parte che –di lì ad altri tre giorni- avrebbe dovuto recitare.
 
 
 
NOTA DELL’AUTRICE: Ciao a tutti! Ecco la risposta ai dubbi che ho lasciato nel capitolo precedente: Adele si è risvegliata non esattamente felice per la notte di “follia” appena trascorsa con il marito, sembra piuttosto contrariata per quello che è accaduto!
Il suo Umberto non l’ha dimenticata, come invece temeva fino al giorno prima, ha avuto un contrattempo che però le è costato caro: come riuscirà a rattoppare la situazione? E soprattutto, ci riuscirà? O dovrà dire ogni cosa all’innamorato?
L’unico ad essere contento e giulivo è il nostro Francesco, marito tradito ma finalmente soddisfatto!
Bene, anche per questa settimana ho finito …
Grazie ancora una volta a tutti i lettori, a chi segue la storia, a chi l’ha inserita tra le preferite ( e qui aggiungo ai ringraziamenti C_AlwaysForever_14),  tra le ricordate, e a chi recensisce!
A presto!
 

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Capitolo 12
*** Il marchese e la madre ***


Umberto scese dal calesse che gli aveva prestato Maria, la sorella del priore, che in quei quasi centoventi giorni gli aveva aperto le porte della sua umile abitazione.
Una sensazione di indecisione e di ansia s’impadronì di lui non appena alzò lo sguardo, in direzione dell’immensa facciata in stile neoclassico che si stagliava altezzosa davanti a lui, oltre il pesante cancello di ferro.
Erano esattamente due anni che non metteva più piede in quel posto, nella sua casa: dopo i sei mesi di malattia, dopo che la tubercolosi lo aveva graziato, i genitori –vedendo la guarigione come un miracolo divino- lo avevano obbligato ad entrare in convento per farsi monaco, in una piccola certosa ad oltre venti chilometri di distanza.
Non avrebbe mai creduto, fino a quattro mesi prima quando aveva abbandonato l’Ordine e aveva raggiunto il rifugio sicuro della stiratrice, di poter ritornare nello stesso posto dove era stato forzatamente allontanato, dove solo il ricordo dei fratelli gli faceva nascere un po’ di affetto nel cuore, non appena pensava alla vita precedente.
Tuttavia, quando sua cugina Anna aveva finalmente risposto all’ennesima lettera in cui le implorava l’indirizzo di Adele, la rabbia assopita al pensiero di dover ritornare dai genitori, ritornò a farsi sentire, additando loro l’intera colpa di una decisione che gli aveva procurato solo infelicità.
Di lì a pochi istanti si sarebbe umiliato davanti a suo padre solo per Adele, per la ragazza che aveva sempre amato e che continuava ad amare.
Il giorno prima, quando si erano dati appuntamento alla radura di querce, davanti alla casa della sorella del priore, la giovane gli era apparsa disperata e in preda alla follia: l’aveva infatti supplicato di non mandarla più a palazzo dal marito, perché voleva rimanere –da quel momento in poi- insieme a lui per sempre.
“Guarda” gli disse tremante di gioia, esibendo il bottino che aveva trafugato dallo studio di Francesco, senza nemmeno un briciolo di circospezione nello sguardo o nelle parole pronunciate con insana sicurezza “ho preso anche dal denaro, così per un po’ di tempo non dovremo pensare a come mantenerci! Mi basta la tua approvazione, nient’altro!”
Ad Umberto tutto quello gli era subito sembrata una vera e propria pazzia: la sua dolce Adele era diventata una … ladra! Ecco, non poteva definirla in altro modo.
Aveva cercato di farla ragionare, convincendola alla fine a restituire quel denaro, perché loro non erano dei malfattori, si sarebbero guadagnati da vivere con “il sudore della fronte, con il mio lavoro!” aveva cercato di farla ragionare Umberto.
In convento, infatti, gli avevano insegnato a ferrare i cavalli, a riparare scarpe e stivali, ad usare chiodi e martello, una buona base per un uomo che doveva e voleva lavorare.
“Se mi farai rimanere” continuava ad implorarlo la giovane “potrò aiutare la stiratrice, imparerò a lavare, a tenere in ordine la casa, a cucinare, a  pascolare le capre, a fare qualsiasi cosa! Ma ti prego, non rimandarmi da mio marito, non lo voglio più rivedere! Voglio stare solo con te, sempre e solo con te!”
Umberto aveva cercato di sapere il motivo di quell’improvvisa angoscia che l’attanagliava, ma lei aveva semplicemente risposto che era stanca di aspettare, di fingere di amare quell’uomo che i suoi genitori, due anni addietro, l’avevano costretta a sposare.
Per questo adesso, la mattina successiva il loro incontro, dopo aver convinto la ragazza a ritornare ancora per un paio di notti a palazzo, il giovane era davanti alla casa in cui era cresciuto, a quella tenuta che tanto amava, ma che si era rivelata un nido freddo e pieno d’insidie.
 
 
 
“Padre …”
Umberto, il cappello di feltro nero tra le mani, gli stivali che erano stati del secondogenito di Maria e un vecchio completo di panno scuro dell’altro figlio della donna, era in piedi nell’anticamera dello studio del padre.
Si sentì in imbarazzo, percependo l’approvazione paterna alla sua visita, alla stregua di come si è soliti fare con un portalettere o un fattorino un po’ più importante della categoria a cui appartiene, ma di cui subito –soprattutto se è ambasciatore di cattive novelle- ci si vuole liberare.
L’uomo che aveva di fronte, un sessantenne alto e molto magro, i capelli neri striati di grigio alle tempie e dietro la nuca, aveva fatto attendere il figlio per quasi mezz’ora prima di riceverlo, e solo le suppliche della moglie –che però non aveva avuto il permesso di assistere alla conversazione- erano riuscite a convincerlo ad affrontare il giovane.
“Cosa ci fai qui? Perché non sei in convento?” la voce profonda risuonava minacciosa e sospettosa.
Dopo lo stupore iniziale, dettato dalle parole asettiche del maggiordomo che gli comunicavano la presenza del figlio all’ingresso, il marchese aveva avuto la conferma dei suoi sospetti, nati  dalla lettera del priore della certosa in cui aveva rinchiuso il figlio, in cui scriveva della sua “fuga improvvisa e per nulla celata grazie all’abbietta condotta satanesca di padre Romualdo che, come immagino ben saprete dalla vox populi, mi ha sostituito durante il mio periodo di assenza dovuto all’infermità che mi ha improvvisamente colpito”.
Quando aveva terminato di leggerla, aveva subito bruciato la missiva, disgustato e profondamente offeso dal comportamento insano che aveva tenuto il suo stesso sangue: per questo non aveva confessato il filiale tradimento alla moglie, per questo lo aveva fatto attendere prima di riceverlo e, sempre per lo stesso motivo, lo stava ricevendo in quel limbo angusto, pensando invano alle parole che avrebbe usato per ferirlo. 
“Sono ormai quasi quattro mesi che non vivo più lì” riprese Umberto, distogliendo il marchese dai suoi pensieri “quella non era la mia vita, padre, voi lo avete sempre saputo”
“Sì che lo era!” il tono dell’uomo si fece più alto, mentre la rabbia a lungo repressa, si dipinse sul suo volto.
“Vi prego, non arrabbiatevi. Se è questo quello che volete, non mi rivedrete più dopo oggi. Sono qui solo per domandarvi quello che mi spetta”
“Quello che ti spetta?! E, sentiamo, cosa sarebbe?” un sorriso sardonico piegò le labbra sottili dell’uomo, la fronte segnata da numerose rughe di espressione.
“Denaro, padre, la parte di eredità che è giusto che riceva in quanto vostro figlio”
Il genitore scosse con evidenza il capo: a separarlo dal giovane non c’era visibilmente nulla, perché la stanza aveva pareti strette e allungate, tappezzate da elegante carta da parati verde e d’oro, un grande lampadario con le gocce di cristallo a metà tra le teste dei due, tanto opprimente come l’avvoltoio sulla carcassa, da far sentire Umberto un cetaceo in un piccolo lago artificiale,.
“Non sai quello che stai dicendo. Quando due anni fa sei entrato in convento, ho dovuto cancellarti dal mio testamento, designando al tuo posto i tuoi due fratelli. Pensavo che lo potessi facilmente intuire, dopo tutti gli studi che ti ho fatto fare …”
“L’ avevo immaginato, non sono stupido come credete …” ad Umberto vennero in mente le parole di Adele, la prima volta che si erano incontrati dopo quel lungo tempo trascorso lontani, quando lei gli aveva detto le stesse cose, riferendosi all’impossibilità di ricevere aiuto economico da parte del genitore.
“Dunque? Che altro vuoi?” continuò arrogante il marchese, distogliendo per un solo istante lo sguardo fiero e crudo.
“Ve lo ripeto, padre. Ho bisogno di denaro per andare il più lontano possibile da qui, così da non rivedervi mai più: necessito di liquidi, assegni bancari, monete d’oro … lascio a voi la scelta. Ma non me ne andrò via senza quello che vi ho chiesto, sappiatelo!”
“Sei un figlio e un cristiano ingrato! Non hai un briciolo di dignità!” sbottò ancora una volta l’uomo, poi, cercando di dominare la voce, domandò:
“Che cosa hai combinato? Perché sei fuggito dal convento?”
Un sorriso di beffa si dipinse sul bel volto glabro di Umberto.
“Credete veramente che possa aver combinato qualcosa?! Non ho fatto nulla, padre, ma come vi ho già risposto, quella non era e non sarà mai la mia vita. Per fortuna sono riuscito a capirlo abbastanza in fretta prima che fosse stato troppo tardi e rimanessi murato lì per sempre!”
Il genitore deglutì, un groppo nelle fauci che doveva sputare fuori:
“Non sai quello che stai dicendo. Dio ti ha salvato, ti ha guarito dalla tubercolosi, e come lo ringrazi?! Disertando la Sua parola, l’Ordine che ti ha accolto come un figlio, un fratello! Non posso darti quello che mi chiedi, non posso … non voglio”
Il giovane alzò ancora di più il volto verso l’uomo, le lacrime che premevano per uscirgli.
“E’ la vostra ultima risposta?”
“Sì …” la voce gli uscì come un sibilo, ma tanto bastava per far intendere il monosillabo al figlio.
“Molto bene, non supplicherò oltre quello che credevo fosse mio padre. Non mi rivedrete mai più! Addio!”
Non appena il ragazzo uscì dall’anticamera, un bruciore insistente agli occhi e alla gola prese il sopravvento su ogni altra emozione.
Stava ormai oltrepassando il grande portone d’entrata, quando sentì una donna chiamarlo:
“Umberto …”
Il giovane si voltò nella direzione da cui proveniva la voce:
“Madre! Perché vi nascondete?”
Una signora sui cinquant’anni, con un lungo abito color avorio e gli occhi castani, si avvicinò al ragazzo, abbracciandolo con forza e dolcezza insieme:
“Figlio mio, che gioia rivederti dopo tutto questo tempo! Come stai, perché non sei in convento?”
“Sto bene, madre, non preoccupatevi: mi sono finalmente reso conto che quella non era la mia vita. Ero venuto per reclamare quello che credevo sarebbe stato mio di diritto, ma vostro marito me lo ha impedito. E’ da lui che non volete essere vista?”
Lo sguardo di tenerezza che abitava il bel viso privo di rughe, lasciò il passo a un lieve imbarazzo che si diffuse sulle guancie della donna:
“Non è come pensi, Umberto. Per noi è stata una grande sofferenza doverti mandare in convento, e adesso che sei tornato, credo che tuo padre la viva come una sorta di sconfitta, una disobbedienza nei confronti del Signore e della Sua misericordia per averti salvato … caro, caro figlio! Mi sei mancato moltissimo! Le visite che potevo farti solo per le festività non erano mai abbastanza! Ma ora tutto è cambiato!”
La donna lo abbracciò nuovamente, cercando di stringere con tutta la felicità che provava il capo moro sul petto, proprio come era solita fare quando il figlio era più basso di una trentina di centimetri.
“Vostro marito non la pensava allo stesso modo evidentemente: quando venivate a trovarmi, lui rimaneva sempre in disparte, come fossi un appestato!”
“Non dire così! Adesso l’importante è che sei tornato da noi!” continuò lei accarezzando il volto del giovane “Dio saprà perdonarti, Umberto, saprà leggere nel tuo cuore che la scelta che ti ha portato fino a qui, non è stata fatta per cattiveria o per mancanza di rispetto! E’ meglio essere dei buoni cristiani nella vita di ogni giorno, che appartenere ad un Ordine e non rispettarne le regole!”
Un rumore di porte fece sobbalzare i due, così il giovane avvertì la donna:
“Ora devo andare, madre. Sono stato molto felice di rivedervi!”
“Aspetta, Umberto!” lo bloccò, la mano appoggiata al braccio del figlio, mentre qualche lacrima cominciava a caderle dagli occhi castani “ quando potremo rivederci?”
“Non credo a breve…”
“Dimmi almeno dove vivi, così potrò venire a trovarti!”
Un’inquietudine ben controllata, attraversò come un lampo lo sguardo del ragazzo che, non sopportando di vedere l’angoscia che divorava la madre, acconsentì a risponderle:
“A Lagoverde, nei pressi del grande querceto, poco dopo la fine del fiume. Chiedete di Maria, la stiratrice, lì tutti la conoscono”
La donna si avvicinò ancora una volta al figlio, abbracciandolo il più a lungo possibile:
“Tieni” continuò, tirando fuori dal corpetto un sacchetto di pelle con una cordicella rossa.
“E’ un po’ di denaro che potrà esserti utile in questi giorni, prima che venga a farti visita!”
“Non lo voglio, madre, siete molto gentile, ma non posso accettarlo …” rifiutò il giovane mentre respingeva il piccolo dono.
“Insisto, Umberto! Non è molto, solo la quota dedicata alla spesa di metà mese, ma ne troverò dell’altro da dare alla cuoca! Ora vai! A presto, figlio mio!”
I due si abbracciarono ancora una volta, proprio mentre avvertirono la voce maschile di poco prima chiamare la moglie, i passi degli stivali che si avvicinavano sempre più.
Appena uscito dall’alto cancello in ferro battuto, Umberto salì velocemente sul calesse e, solo in quel momento, gli venne in mente una cosa: suo padre, durante il sofferto colloquio concluso da qualche minuto, non lo aveva mai chiamato per nome, né lo aveva abbracciato o gli aveva confessato di essere contento di rivederlo.  E questa mancanza di affetto manifesto, indusse il ragazzo a spronare ancora più velocemente il ronzino che trainava il carretto, mettendo una distanza sempre più maggiore, tra lui e il genitore

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Capitolo 13
*** Monete d'oro ***


Adele era seduta in giardino sotto il pergolato di glicine che ancora doveva rifiorire: suo marito era andato a fare i soliti e monotoni giri di perlustrazione delle sue terre, così la giovane sposa ne aveva approfittato per godere di quell’aria frizzante mista al tepore di inizio aprile e, soprattutto, per rimanere un po’ di tempo lontana dalla compagnia umana.
Aveva fatto uscire anche i due Setter di Francesco: quel mattino, infatti, l’uomo aveva deciso di non portarli con sé nell’abituale passeggiata perché aveva da sbrigare alcune commissioni in paese, così adesso i fedeli quattrozampe stavano scorrazzando sul prato, ben attenti a non calpestare le aiuole ricolme di tulipani, gigli e margherite, ordinatamente affiancate ai roseti.
La ragazza abbozzò un sorriso nel vedere la spensieratezza dei due animali, ignari –per loro fortuna- dell’immensa malinconia che non l’aveva mai lasciata da due giorni a quella parte, quando aveva visto Umberto e l’aveva supplicato inutilmente di non farla tornare a palazzo, ma di permetterle invece di rimanere insieme a lui, a casa della stiratrice.
Quello che era successo neppure una settimana prima, destava ancora degli incubi nella mente di Adele: non avrebbe mai avuto il coraggio di rivelarlo ad Umberto perché sapeva che lei sola era stata colpevole dell’approccio con Francesco e di ciò che era seguito; inoltre –giustamente- il ragazzo non avrebbe potuto capire, perché anche lei ancora non riusciva a capacitarsi di come aveva permesso a quell’uomo abbietto di fare ciò che aveva fatto.
“Se solo quella mattina non gli avessi chiesto un figlio, a quest’ora sarei già fuggita lontano, e non avrei nulla da nascondere ad Umberto, nulla di cui vergognarmi!”
La giovane era ben conscia di non poter continuare a piangersi addosso, non le sarebbe servito a risolvere nessuno dei problemi che l’angosciavano, eppure era come se avesse bevuto un intruglio che le impediva di concentrarsi su qualsiasi altra cosa.
Adele alzò lo sguardo oltre il pergolato, gli occhi lucidi e fiammeggianti come quelli di una lince nel bel mezzo della caccia, per scorgere all’orizzonte il profilo alto e ben delineato del marito.
Non vedendo la sagoma del suo aguzzino, la giovane infilò la mano nella tasca destra della giacchetta di feltro color terracotta e tirò fuori un sacchetto di velluto marrone scuro: lo aprì con mani titubanti, ne estrasse il contenuto e cominciò a guardarlo.
Sul palmo aveva una mezza dozzina di monete d’oro, senza contare il resto che aveva tenuto al sicuro nel borsellino di pelle verde.
Aveva rubato quella piccola fortuna al marito venerdì mattina, due giorni prima, quando –poco prima di sellare il cavallo per andare all’appuntamento con Umberto - aveva messo in atto il piano che aveva programmato a inizio settimana, dopo aver ricevuto la lettera dell’innamorato.
Era la vendetta di Adele nei confronti del visconte, anche se ben sapeva che, per quanto quel denaro era veramente un bel gruzzolo, non era di certo nemmeno un centesimo dell’intera fortuna di cui era a capo l’uomo, tra possedimenti e terre in Italia e Francia.
Servirà comunque per i primi tempi, almeno fino a quando Umberto non troverà un lavoro e magari anch’io potrò rendermi utile in qualche modo …”
Appena pronunciate quelle parole le venne in mente un’idea che le sembrò grandiosa: la signorina Felicita sarebbe stata la sua ancora di salvezza, la sua zattera in mezzo alla tempesta, il ramo a cui aggrapparsi per non naufragare nel fiume della tristezza.
La donna in questione era una sarta decisamente eccentrica che vedeva sempre al mercato ogni venerdì, quando –prima di sposarsi- Adele vi si recava con la sua balia: da lei aveva comprato diverse stoffe, tutte di ottima qualità, con cui erano stati confezionati meravigliosi abiti che indossava ancora con affetto.
Era talmente brava da avere un atelier tra i più rinomati nel capoluogo piemontese e, sicuramente, non avrebbe negato un minimo di aiuto per sopravvivere a una sua fedele cliente, tanto più che aveva discrete doti nel cucito.
“Sì, la signorina Felicita saprà aiutarmi, dovrà aiutarmi!”
Un sorriso a metà tra il nostalgico e l’ingenuità si dipinse sulla bella bocca carnosa: le ritornò in mente quando aveva pensato a quella donna, appena tre settimane avanti, mentre stava aspettando Umberto nella piazza del paese, prima del suo viaggio per la Francia e prima della catastrofe che le si era abbattuta contro.
La ragazza scacciò via quei nefasti pensieri, cominciando a trovare qualcosa per cui rallegrarsi: essendo già domenica, infatti, Adele avrebbe dovuto attendere solamente cinque giorni prima di fare la proposta alla signorina Felicita e sentire la sua risposta che sperava, con tutto il cuore, sarebbe stata positiva.
“Ora devo solo trovare un modo per andarmene via da questo odioso palazzo senza essere vista da nessuno!” sentenziò la giovane sposa.
In effetti era da un mese, da quando aveva incontrato Umberto per la prima volta dopo tempo, che trascorreva notti e giorni ad escogitare un piano che le permettesse di fuggire.
Non avrebbe voluto scappare come una ladra, tuttavia non voleva nemmeno essere additata e messa alla berlina come la moglie fedifraga e irriconoscente: avrebbe dato un grande dolore ai suoi genitori, tanto che forse l’avrebbero ripudiata, diseredata e magari considerata addirittura morta.
Per un attimo Adele si ritrovò a pensare che forse quella non era la decisione migliore, né per lei né per nessun altro, poi, la folle lucidità dell’amore, la convinse a voler –e a dover- accontentare solamente se stessa, senza ascoltare i pareri degli altri o, peggio ancora, le recriminazioni di cui ben presto sarebbe stata bersaglio.
I due Setter di Francesco, evidentemente stanchi di correre e giocare, le andarono incontro e si sedettero ai piedi di lei, la lingua a penzoloni, lanciandole un’occhiata che sembrava perplessa:
“Chissà, forse intuiscono i miei pensieri e hanno capito che a breve li abbandonerò …”  la giovane si abbassò leggermente per accarezzare le teste e il manto lucido degli animali.
In quel grande palazzo, che mai era riuscita a considerare fino in fondo la sua casa, Adele provò una stretta di amarezza a dover abbandonare il bel giardino pieno di fiori e di alberi da frutto, i fedeli Setter, il buffo gatto persiano e i meravigliosi cavalli del marito: tutto ciò era stato l’unico conforto in quei due anni ricchi di inapparente solitudine ma poveri di autentico affetto.
 
 
Francesco Malgari di Pierre Robin notò con gioia la figura snella della moglie seduta sul divanetto sotto il pergolato.
A colazione, come sempre, non avevano parlato molto ma, vederla circondata di luce come se fosse un angelo –il suo angelo- non poté fargli altro effetto che riempirlo di allegria.
Da quando era successo, la notte di martedì, non aveva fatto altro che pensare al corpo di Adele, alle sue lacrime che gli bagnavano il volto glabro, ai baci che si erano scambiati, totali e - avrebbe osato dire- persino passionali.
Le mani di lei erano state un sollievo sul viso e sulla schiena di lui, tanto le aveva desiderate e ammirate in quei due anni della più assoluta apatia fisica.
Ora aveva veramente accontentato ogni richiesta della giovane sposa: prima il viaggio in Francia –dove aveva sperato che si realizzasse già lì quello che sarebbe accaduto al loro rientro in Italia- e poi quella notte che, sperava ardentemente, sarebbe valsa a darle un figlio, anzi a darci un figlio, si corresse.
L’uomo varcò il grande cancello in ferro battuto, calpestando con i soliti stivali neri il lungo viale d’ingresso, e si diresse dalla moglie che stava accarezzando il manto dei due Setter.
“Buongiorno, mia cara”
Adele, il capo ancora rivolto sui cani, si morse le labbra per non insultarlo, per non sputargli tutto il veleno e l’odio che nutriva nei suoi confronti.
“Buongiorno, Francesco …” si decise dunque, poi, come poco prima era stata toccata dall’idea alquanto brillante di domandare aiuto alla signorina Felicita, trovò un altro tassello del puzzle che l’avrebbe aiutata a fuggire, la mente ormai accecata dalla passione troppo repressa per Umberto.
“Finalmente siete tornato: volevo comunicarvi la mia partenza …” spiegò senza alcuna inclinazione particolare nella voce.
Il bel viso del marito si fece improvvisamente serio, il sorriso d’amore che gli aveva incurvato le labbra scomparve all’istante.
“Dove vorreste andare, Adele? Siamo appena tornati dalla Francia! Fino a poco tempo fa, per convincervi a viaggiare, avrei dovuto legarvi, ora invece vorreste sempre essere in giro!”
“Me ne rendo conto” cercò di sorridere la giovane sposa “ma l’altra settimana, quando mia madre è venuta a farci visita, come ben sapete mi ha annunciato la gravidanza di mia cognata, la … quasi moglie di Alberto. Così mi ha invitato ad andare da loro appena possibile, tanto più che tra pochi giorni si celebrerà il loro matrimonio. Verranno anche mia sorella Angelica, suo marito e i bambini, sarà l’occasione per riunire la famiglia …”
Un riso di scherno apparve sul volto del visconte che, subito, domandò:
“Io dunque non farei parte di questa famiglia che tanto desiderate riunire?”
L’imbarazzo colorò le guancie di Adele che, subito si riprese, il tono di voce mal celatamente altezzoso:
“Non intendevo insinuare questo, Francesco. L’invito di mia madre era sicuramente rivolto ad entrambi, anche se ammetto che avrei avuto piacere ad andare da sola …”
“Mi sembra che al matrimonio di vostro fratello sia stato invitato anch’io, almeno è ciò che ho letto sul biglietto che ci ha inviato all’inizio dell’anno. Se non ricordo male, le nozze si svolgeranno sabato, tra meno di una settimana. Se volete, domani mattina potremo partire, così starete insieme alla vostra famiglia qualche giorno più del previsto … cosa ne pensate?”
Quell’uomo l’aveva di nuovo messa in trappola, o meglio, era lei che era caduta ancora una volta nella sua rete.
A pensarci bene, non tutto si sarebbe torto contro: infatti, uno dei suoi crucci dopo la decisione di lasciare definitivamente il marito, era quello di non poter partecipare alle nozze di Alberto, il suo amato fratello, perché –ovviamente- fuggendo con Umberto, avrebbe dovuto dare forfait e, in fondo al suo cuore, era una cosa che non si sarebbe mai potuta perdonare.
Tanto meglio” constatò tra sé e sé la giovane sposa “non dovrò rinunciare al matrimonio di Alberto ma, giuro, dopo non ci sarà più niente e nessuno a trattenermi dal vivere con il mio Umberto! Niente e nessuno!”
“Mi sembra un’ottima idea” acconsentì poi ad alta voce “dopo pranzo andrò subito a dare disposizione per i bagagli!” sentenziò lei, alzandosi dal divanetto.
“Adele, aspettate … sbaglio o mi state evitando?”
La ragazza s’irrigidì all’istante: non voleva e non doveva far trasparire la sua ansia e la sua immensa gioia di essere riuscita a derubarlo e ad ingannarlo, tanto più che molto presto non avrebbe  dovuto sopportare oltre la visione del marito.
“Non mi sembra: che cosa ve lo fa pensare?”
“Ogni vostro gesto e ogni vostra parola, come quelle che avete pronunciato qualche attimo fa, sottendono un certo astio nei miei confronti … “
“Mi dispiace avervi dato quest’impressione completamente errata, è solo un po’ di nervosismo per le nozze imminenti di Alberto” replicò la ragazza, cercando di addolcire il tono di voce.
Francesco si avvicinò di qualche passo verso la moglie, gli occhi indulgenti e innamorati:
“Spero vivamente che sia così, mia cara, ma non potete negare che, da quella notte, siete cambiata …”
“Vi ho già risposto!” la giovane sposa cominciò ad alterarsi “non lo sopporto più”, rifletté poi tra sé e sé “ è possessivo, petulante: ma non devo fargli comprendere quello che succederà. Devo sforzarmi di comportarmi normalmente, convincendomi che tra pochi giorni tutto questo dolore finirà!”
“Non volevo farvi agitare. Cosa ne dite di andare a mangiare?” l’uomo si avvicinò alla donna e, offrendole il braccio sinistro, uscirono da sotto il pergolato, i due Setter dietro, avviandosi verso il palazzo.
 
 
Nota dell’autrice:
 
Ciao a tutti! Capitolo di passaggio, in cui Adele è costretta –anzi se l’è un po’ cercata- a rimandare per l’ennesima volta la tanto desiderata fuga d’amore con il suo Umberto.
Francesco si è rivelato furbescamente pronto a cogliere l’occasione: che forse stia cominciando a capire che la moglie gli sta nascondendo qualche cosa?!
Bene, per oggi mi fermo qui! Grazie a tutti voi che leggete, recensite, inserite la storia tra le preferite e le seguite!
Alla prossima!
 

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Capitolo 14
*** Il matrimonio ***


Un vagito seguito da un pianto flebile.
Adele si avvicinò alla culla in vimini con le lenzuola di lino bianco: una neonata di pochi giorni stava facendo delle smorfie che preludevano ad un crescendo di inconsolabilità a cui la ragazza non era per nulla preparata.
La giovane sposa si abbassò sul corpicino della bambina fasciato in un telo di cotone color avorio, il viso paffuto stravolto dal pianto, le mani e i piedi intrappolati dentro, solo il capo -rivestito da folti e ricci capelli castano scuro- era ben visibile agli occhi della madre.
"Che cosa devo fare?!" sospirò in preda al panico la ragazza "ha mangiato da nemmeno un'ora, l'ho cambiata, l'ho presa in braccio ... Cosa altro vuoi?! Io non ti voglio, ti odio, vattene via!"
Il rumore di una porta che cigola, seguito da quello degli stivali che scricchiolano contro il pavimento di legno, è attutito dagli strilli che emette quella bocca tanto piccola eppure in grado di sputare fuori suoni tanto orribili.
I passi del nuovo arrivato si dirigono sicuri verso la culla: la ragazza, ancora immobile sopra il corpicino della figlia, si voltò in direzione della figura alle sue spalle.
Francesco, il padre della bambina, si affiancò alla moglie, sfiorandole un gomito e accarezzandole di sfuggita una mano che, subito, la invitò a ritrarre con delicatezza.
Era vestito impeccabilmente, un completo nero con la camicia bianca e la cravatta di seta rossa avvolgevano il corpo atletico.
Si curvò sull’accogliente cesto in vimini e, con un ampio sorriso sul volto, sussurrò:
"Devi prenderla così, mia cara. La devi appoggiare al tuo petto, sussurrarle parole di conforto, farle sentire il tuo amore" l'uomo fece seguire ai suggerimenti i gesti che aveva cercato di spiegare alla moglie che, però, sembrava inflessibile al pianto della figlia, ma anzi, scuotendo la testa, uscì senza indugi dalla camera da letto, in preda ad urla isteriche.
"Adele! Perché hai urlato? Cosa é successo?"
Una giovane sui vent'anni, i lunghi capelli neri raccolti da un fermaglio e gli occhi azzurri, si affacciò alla porta della stanza.
"Agnese! La bambina! Dov'è la bambina? E Francesco?!"
La cognata si fece avanti, il lungo abito celeste a strusciare sul parquet, e si sedette sul letto, dove la giovane sposa, spaventata dall’incubo appena terminato, aveva raccolto le gambe sul petto, come a proteggersi da un invisibile pericolo.
"Non c'è nessuno qui con te! Stai tranquilla, avrai fatto un brutto sogno! Il viaggio é stato stancante, e oggi hai mangiato così poco a pranzo …"
Adele si guardò intorno, nella camera che era stata sua fino a quasi due anni prima, quando ancora non era sposata.
Non c'era nulla di diverso dal giorno avanti in cui era arrivata a casa dei genitori, quando il sole stava quasi lasciando il posto alla luna.
L'armadio a quattro ante di mogano era sempre addossato alla parete di fianco all'entrata, di fronte al letto su cui era sdraiata; il grande comò continuava ad essere alla sua sinistra, così come lo scrittoio e la sedia rivestita di velluto cremisi erano appoggiati alla destra del letto in ferro.
E lo stesso valeva per il mobile da toeletta e il catino con la brocca in ceramica, adagiati in un angolo della camera, eppure c’era qualche cosa che non ritrovava tra quelle pareti, qualche cosa di cui non ricordava la collocazione, ma che era certa non fosse presente:
“Sono io†concluse automaticamente “sono io che sono cambiata, che non mi riconosco più. Tutto quello che è successo è solo colpa sua, di quel maledetto di mio marito! Lo odio, vorrei non averlo mai incontrato … vorrei che fosse morto!â€Â
“Adele, a cosa stai pensando?! Sei diventata improvvisamente rossa, le guance sembrano due pomodori maturi!†di nuovo era la voce tranquilla e allegra della cognata a riportarla alla realtà.
"Mi sembrava tutto così vero†continuò ad alta voce la giovane sposa, deglutendo a fatica “credevo veramente che ci fossero una culla e Francesco! Scusami se ti ho fatto spaventare ..."
La ragazza prese le mani della cognata, ora meno spaventata e, con un sorriso di incoraggiamento, le confessò:
"Allora è stata una fortuna che passassi di qui, cara Adele! Volevo chiacchierare un po’ con te: quando oggi tua madre mi ha invitato a pranzo, ero così felice di saperti a casa, a meno di quattro giorni dalle mie nozze! Ho tante cose di cui parlare, tante altre da chiederti!"
La giovane sposa si irrigidì non poco a quelle parole, perché non aveva alcuna intenzione di accordare del tempo ad un'isterica ragazzina, entusiasta per la nuova vita che di lì a breve avrebbe cominciato, anche se le era indubbiamente affezionata, ma né la volontà né le forze erano sufficienti per assecondare i capricci della cognata.
"Non credo di essere la persona adatta, Agnese ..." tagliò corto Adele, distendendo finalmente le gambe.
"Ma cosa stai dicendo?! Certo che lo sei! Non vedo l'ora di diventare la moglie di Alberto e di passare tutta la mia vita con lui! E tu di certo potrai darmi dei consigli per vivere al meglio la nostra relazione!"
"Te lo ripeto, Agnese, non so che cosa raccontarti, né tantomeno che consigli darti! E poi†la voce, da accondiscendente com’era, prese una sfumatura accentuata di ironia pungente  “mi sembra che non ne hai affatto bisogno: aspettate un bambino, tu e mio fratello e, dopo questo, non c'è altro da insegnarti ..."
Il volto della cognata si dipinse di un rossore così intenso, da indurre Adele a pensare che la giovane si fosse rovesciata l'intera confezione di belletto sulle guance, in un improbabile momento in cui lei aveva abbassato lo sguardo per impedirle di vedere l'imbarazzo che suscitavano le sue parole, a dover raccontare l'insulsa vita coniugale con il visconte.
"Scusa se ti ho disturbata. Hai ragione, non ho bisogno di alcun consiglio. Ora ti lascio riposare ..." fece per alzarsi, ma la mano fredda della giovane sposa le bloccò il braccio.
"Aspetta ..."
Adele si sedette sul letto, i capelli ricci sciolti sulla vestaglia color turchese con i pizzi alle maniche, il volto pallido, realizzando che non era giusto addossare il suo rancore e la sua disperazione su una persona innocente e ignara di tutto.
"Perdonami se ti ho offeso, non era mia intenzione. Se ti fa piacere, puoi rimanere, e chiedermi tutto ciò che desideri ... saprò ascoltarti e darti dei consigli"
Un sorriso impacciato piegò le labbra di Agnese, la pancia lievemente abbozzata dalle forme della gravidanza appena iniziata.
"Ti ringrazio, ti considero una sorella, Adele, e amo tuo fratello immensamente! Ma non era certo mia intenzione turbarti con le mie parole"
"Lo so, tu non hai colpa. Sono io che sono molto irritabile in questo periodo"
Le due ragazze ripresero posto sul letto in parte sfatto della giovane sposa che, fissando lo sguardo triste e freddo negli occhi azzurri, cominciò a spiegare:
"Il mio non é un matrimonio d'amore. Credo che Alberto ti abbia raccontato quello che é successo prima che mi sposassi..."
Agnese annuì, un timido sorriso sulle labbra, mentre appoggiava le mani calde su quelle fredde di lei:
"Sì, é così. Da quando ci hanno presentato un anno fa, a teatro, non ci siamo più lasciati ... A parte quando Alberto ha completato l'addestramento all'Accademia militare, ovviamente!"
Adele sorrise a suo volta, un sorriso stanco e cupo, molto diverso da quello gioioso dell’altra ragazza:
"Quello che cerco di dirti é che, visto il bel rapporto che vi lega, immagino che mio fratello ti abbia spiegato quale sarebbe stato l'uomo che avrei dovuto e, soprattutto, voluto sposare ... “
Agnese annuì seria, mentre l’altra continuava a spiegare:
“Ma così non é stato, e da quando vivo con Francesco, non riesco più a provare alcun tipo di felicità … è come se mi fossi svuotata di ogni bella sensazione!"
"Ma perché dici queste cose tristi, Adele? Mi sembra che tuo marito ti ami e ti rispetti! Anche a tavola, prima, si rivolgeva a te con rispetto e dolcezza!"
"Non é abbastanza, Agnese! Io non riesco ad amarlo! Anzi, ultimamente lo detesto, lo odio!"
Il volto arrotondato e arrossato della promessa sposa, si trasformò in una maschera di incredulità, le sopracciglia scure aggrottate, gli occhi chiari due fessure: non poteva essere la sua docile cognata quella che aveva davanti, a confidarle quelle cose orribili e sicuramente false, ma solo una sosia impazzita.
"Non é da te questo comportamento! Hai sentito le parole che hai appena pronunciato? Non ti vergogni di non avere rispetto per tuo marito, di non avere almeno un briciolo di devozione e di amore per un uomo del genere? É colto, intelligente, é ricco ed é indubbiamente affascinante! Umberto, o come si chiamava il tuo promesso sposo, appartiene al passato! Ora devi guardare avanti, Adele, avresti dovuto farlo già da due anni!"
La giovane chiuse gli occhi per un paio di secondi, scosse il capo e sospirò:
"Non posso dirgli che Umberto non é il passato, lui é il mio presente e il mio futuro! Se le accennassi anche solo qualcosa, rischio che tutti i nostri piani vadano a monte, e questo non posso permettermelo!"
"Forse é come dici tu, Agnese†ammise alla fine “ ma non é quello che provo quando penso a lui ... é sempre nei miei pensieri, nel mio cuore, non riesco a farne a meno! Tu dovresti capirmi, se dici di amare mio fratello!"
"Ho paura delle tue parole, Adele†le confessò la ragazza, mentre stringeva con maggiore forza le mani della cognata  “come fai ad essere così infelice, continuamente insoddisfatta, dopo quasi due anni di matrimonio? Un bambino forse potrebbe sanare il vostro rapporto! Non hai mai pensato a ..."
"No! No, stai zitta, per favore!"
La ragazza si coprì le orecchie con le mani fredde per l'angoscia e la tristezza e, mordendosi il labbro inferiore, continuò decisa:
"Alla mia vita ci penso io, nessuno si deve intromettere!"
Agnese si avvicinò ancora di più al corpo tremante della cognata, l'abbracciò, tenendole il capo nell'incavo della spalla e, cullandola con lievi carezze su e giù per la schiena, acconsentì:
"Va bene, Adele, ora calmati però, stai tranquilla ..."
“Agnese …â€Â
“Sì …?â€Â
“Promettimi che non farai parola con nessuno di tutto quello che ti ho raccontato! Né con i miei genitori, né con Alberto o Angelica, e nemmeno con Francesco! Giuramelo, ti prego!â€Â
La cognata, tenendo ancora fra le braccia la giovane sposa, annuì non del tutto convinta, le sopracciglia aggrottate, e promise che sì, non avrebbe rivelato a nessuno quella strana conversazione.
 
 
 
Quel sabato mattina, cinque giorni dopo l’arrivo di Adele e del visconte, l'intero palazzo era in gran fermento: al pianoterra, dove c'erano le cucine e gli alloggi dei domestici, cuoca, aiuto cuoca e una cameriera, erano intente a preparare manicaretti e bevande per l'imminente banchetto di nozze che avrebbe avuto luogo di lì a qualche ora.
I forni sputavano teglie di torte salate, sformati di pasta, pesci al cartoccio e arrosti.
Sul fuoco sfrigolavano i condimenti di verdure e salse per le tartine, mentre nella ghiacciaia era già stata portata la torta a cinque piani decorata con panna, crema, fragole e cioccolato, che era stata confezionata dalla migliore pasticceria di Torino.
Al primo piano, dove si sarebbe tenuto il ricevimento, tre delle cinque cameriere assunte apposta per l'occasione, stavano finendo di spazzare e pulire il parquet di legno già ampiamente lucido, per poi spolverare per l'ennesima volta, soprammobili, argenterie, poltrone e divani.
Nel frattempo il maggiordomo si stava occupando della disposizione della lunga tavolata, proprio al centro dell’immensa sala da pranzo, controllando che la tovaglia e i tovaglioli di lino delle Fiandre, i sotto piatti e i piatti di ceramica dai bordi dorati, i bicchieri di cristallo e le candele disseminate sul morbido tessuto, fossero ognuno al proprio posto.
Al secondo piano, invece, i genitori dello sposo, si stavano vestendo per la cerimonia nella chiesa di campagna che si sarebbe tenuta appena un'ora dopo.
I genitori del giovane, soprattutto la madre, erano i più agitati: l'una perché non trovava la sua preziosissima collana di zaffiri, l'altro perché, come in ogni occasione importante, non riusciva mai a trovare i suoi gemelli e il fermacravatte in oro bianco.
Nella camera di fianco alla loro, Alberto era già vestito da due ore, elegantissimo nel suo completo grigio chiaro, il fazzolettino di seta bianca che fuoriusciva dal taschino, la cravatta blu - anch'essa di seta pregiata- a completare l’immagine da perfetto damerino, nervoso ma felice, mentre scrutava il cielo fuori dalla finestra, apparentemente clemente in quella giornata primaverile, con il sole alto all'orizzonte a cercare di rialzare le temperature ancora rigide dei giorni passati.
Al piano superiore -il terzo prima di arrivare all'ampia soffitta del palazzo-  due camere erano occupate da Angelica, la secondogenita sorella di Alberto, e da suo marito Filippo -medico dell'ospedale del paese vicino-, alle prese con i due bambini, Laura di cinque anni e Matteo di due, già stanchi di vestire quegli abiti troppo eleganti per la loro età,  desiderosi solamente di tornare dalla balia, nella camera a fianco, per continuare a giocare.
Nella stanza di fronte a quella di Angelica, Adele era sveglia dalle prime luci dell'alba, incapace di calmarsi per la giornata che l'attendeva: era felice e orgogliosa di suo fratello che, finalmente, avrebbe potuto sposare, tra appena un'ora, la donna che amava.
Eppure, il pensiero di assistere ad un matrimonio che non era il suo e quello di Umberto, non poteva non intristirla e renderla apatica.
Quella appena trascorsa, era già la quinta notte che aveva passato nello stesso letto con il marito, da quando era arrivata lunedì pomeriggio nella casa dei genitori.
La finzione di cui era protagonista, quel segreto che aveva confessato ad Agnese qualche giorno prima, il desiderio sempre più crescente di rivedere Umberto, la contorcevano in una morsa soffocante e pressante.
Lanciando un’occhiata aspra allo specchio di fronte a lei, vide Francesco che stava finendo di allacciarsi la giacca blu scuro, il frac chiaro al collo in contrasto con i capelli corvini e gli occhi grigioverdi.
"Sono pronto, Adele. Vogliamo cominciare a scendere?"
"É ancora presto. Alberto non é uscito ..."
La giovane sposa stava finendo di spruzzarsi qualche goccia di profumo al bergamotto sui polsi, sul collo e dietro le orecchie.
"Non vi ricordate che, ieri sera, ci ha chiesto se potevamo andare a bussargli, una volta preparati?"
"S-sí, me ne ero dimenticata ... sono talmente emozionata!"
"Per fortuna che non siete voi la sposa, mia cara, altrimenti vi sareste persino scordata di recarvi in chiesa!"
"Non credo che lo avrei fatto" mormorò, poi, tra sé e sé, rifletté "di certo se avessi potuto sposare il mio Umberto, mi sarei presentata all'alba, non avrei aspettato fino all'ora stabilita"
Deglutì un paio di volte, si allacciò le dita come in una muta preghiera, e chiuse gli occhi per un istante: quindi si alzò dalla sedia e, il braccio sinistro del visconte che la invitava ad uscire, si avviarono giù per le scale.
 
 
La cerimonia in chiesa era andata magnificamente: i banchi e l'altare erano addobbati da ranuncoli, fresie, anemoni e calle, gli ospiti occupavano per intero le due navate, e gli sposi -così come i genitori e i testimoni- erano a dir poco emozionati.
Solo Adele -la testimone di Agnese- fasciata in un abito di raso color rosa confetto, i capelli ricci raccolti in uno chignon, in realtà, era imperturbabile alla gioia che emanavano i volti da cui era circondata:
"Mi sento in colpa. Dovrei essere felice per Alberto, e lo sono, gli auguro tutta la felicità che non ho avuto io, ma non riesco a non pensare ad Umberto, a desiderare che ci fosse lui qui con me!"
Quella sensazione di oppressione e di malinconia senza fine, non riuscì ad abbandonare Adele nemmeno al ricevimento a palazzo, dove continuò a sorridere di rado e a parlare ancora meno.
Durante il secondo ballo, poco dopo aver concluso la prima portata, Agnese, la novella sposa, stava volteggiando tra le braccia di Alberto, quando perse l'equilibrio e, sicuramente sarebbe svenuta, se non ci fossero state le braccia del marito a sorreggerla.
Adele si risvegliò dalla sua apatia, andò incontro alla cognata, pallida e con gli occhi che faticava a tenere aperti.
Cercò con lo sguardo Filippo, il marito medico di Angelica, che subito accorse di fianco alla sposina, aiutandola a sollevarla nuovamente e invitando gli altri ospiti accorsi a non accalcarsi attorno alla giovane.
Adele sperò che entrambi stessero bene, sia Agnese che il bambino, soprattutto perché nessuno - a parte le famiglie degli sposi- era a conoscenza della gravidanza della giovane.
E per i minuti che seguirono, miracolosamente, non pensò più né a se stessa né ad Umberto.
 
 
Nota dell’autrice:
 
Ciao a tutti! In questo capitolo abbiamo conosciuto Agnese, la cognata di Adele, tutto l’opposto della protagonista che, in un impeto di disperazione, l’ha messa al corrente del suo amore segreto per Umberto.
La ragazza andrà a rivelarlo a qualcuno oppure manterrà la parola data?
E, soprattutto, cosa significa quel sogno con cui è iniziato il capitolo?
Adesso Adele potrà finalmente ricongiungersi con l’innamorato?
Bene, vi lascio con tutti questi interrogativi! Grazie a tutti, lettori e recensori e, a questo proposito, un grazie particolare a controcorrente!
Alla prossima!
 

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Capitolo 15
*** Il divano arancione con le foglie verdi ***


Due giorni dopo il matrimonio di suo fratello Alberto, Adele era ancora a palazzo dai genitori: non voleva tornare a casa da Francesco, i cui impegni fondiari lo avevano allontanato da lei il mattino successivo le nozze, così aveva addotto come scusa l'amorevole assistenza alla cognata, dopo il malessere che aveva accusato durante il ricevimento.
Per fortuna non era nulla di grave, lei e il bambino che aspettava stavano bene, ma Filippo, il marito medico di Angelica, aveva costretto la giovane a qualche giorno di riposo, perché probabilmente quel malessere che le aveva fatto perdere i sensi per qualche istante, aveva il suo motivo nello stress accumulato con i preparativi degli ultimi mesi.
Così Adele aveva convinto il visconte, senza troppe difficoltà, a lasciarla rimanere vicino alla giovane cognata: questo piccolo inconveniente, da una parte, andava contro il piano che si era prefissata di realizzare al ritorno a casa, ovvero la fuga con Umberto, dall’altra però, lo stesso Alberto l’aveva pregata di rimanere ancora per qualche giorno, perché la moglie le era molto affezionata e, sicuramente, si sarebbe ripresa prima grazie alla sua compagnia.
Umberto capirà” si convinceva la ragazza, ogni volta che il pensiero inciampava nelle inquietudini d’amore  “dopotutto non ci avevamo dato nessun appuntamento, quindi non sarà in pensiero quando non mi vedrà
La certezza di stare finalmente lontana dal visconte e dai suoi possibili approcci, seppure per qualche giorno, le alleggeriva notevolmente il cuore e lo spirito, tanto da farla sorridere: nel palazzo in cui era cresciuta, tutti la trattavano bene, dai genitori alle domestiche, e lei si sentiva protetta e sicura.
Quell’affetto incondizionato l’aveva spinta a prendere una decisione: nel pomeriggio avrebbe affrontato la sua balia, Nina, per avere qualche notizia in più riguardo la presenza al mercato della signorina Felicita.
Nel piano di fuga che Adele aveva autonomamente creato, c’entrava anche quella donna, o meglio, lei avrebbe potuto aiutarla a sopravvivere per i primi tempi, fino a quando Umberto non avesse trovato un lavoro dignitoso per la loro nuova vita insieme: l’obiettivo della giovane era infatti riuscire a convincere la sarta a prenderla a lavorare nel suo atelier di alta moda a Torino, dal momento che se la cavava piuttosto bene a ricamare e cucire.
Non aveva avuto ancora occasione di andare a trovare la sua anziana balia nella dependance del parco, la stessa donna che aveva allattato anche Angelica e Alberto e che, durante il ricevimento di due giorni prima, aveva curato i figli di sua sorella.
“Sarà indubbiamente dalla mia parte! E’ sempre stata affettuosa e complice: anche questa volta non mi deluderà!”
La ragazza, sprofondata in una delle poltrone di velluto della biblioteca, si alzò e guardò l’orologio da tavolo in porcellana bianca e dorata: abbandonò sul ripiano il libro aperto che stava leggendo ed uscì dalla stanza, lo strascico del lungo vestito color panna, a spazzare il pavimento in marmo.
 
Dopo aver salito le scale e aver raggiunto la meta, la giovane bussò leggermente alla porta della camera, in attesa di sentire la voce allegra della cognata.
Quando Agnese le diede il via libera, entrò aprendo piano la porta e, sorridendo, s’informò di come stesse, sedendosi sul bordo del letto:
“Molto bene, Adele, molto bene! La colazione che mi ha fatto portare Alberto era squisita! Ma adesso avrei tanta voglia di uscire a fare una passeggiata, magari insieme a te!”
Gli occhi azzurri della ragazza si aprirono in un’espressione di infantile preghiera, che però non impressionò l’altra, che invece ribatté:
“E’ ancora troppo presto: hai sentito Filippo che cosa ha detto ieri pomeriggio, prima di partire? Devi riposarti ancora per qualche giorno, poi potrai fare ogni cosa che desideri! Abbi pazienza, sono passati appena due giorni dal tuo malore!”
La sposina abbassò lo sguardo e sbuffò lievemente, il viso ovale imbronciato, i capelli neri aperti a ventaglio sul cuscino appoggiato in verticale alla testiera in ferro lavorato.
Era sdraiata nel letto matrimoniale in parte sfatto mentre, dalla finestra alle sue spalle, entrava la luce calda e abbondante del sole, che illuminava appieno la stanza:
“E’ così una bella giornata … è un peccato rimanere chiusa tra queste quattro mura. Per fortuna che almeno riesco a vedere il giardino e l’entrata del palazzo!”
Si voltò a mezzo busto verso la fonte di luce, i capelli scuri ondeggianti sulle spalle rivestite dalla camicia da notte color limone.
“Brava, così ti passerà un po’ di tempo! Hai bisogno di qualche cosa? Vuoi che ti porti un libro o un bicchiere d’acqua?”
“Sì, magari un libro mi farebbe compagnia: ne ho diversi di là in biblioteca che ancora devo sistemare. Li ho portati da casa, o meglio, da quella che prima era la mia casa, ma non ho ancora avuto tempo di metterli a posto! Nel baule che ho lasciato lì, dovrebbe essercene uno con la copertina verde rilegata e con la scritta in argento: portami quello, per favore …”
Adele annuì ed uscì dalla stanza, per poi tornare dopo un paio di minuti, con quello che le aveva domandato la cognata.
 
 
Quel pomeriggio, la giovane sposa stava attraversando il grande parco del palazzo per andare nella dependance della sua balia.
Mancava poco alla merenda pomeridiana, così sperava che l’anziana donna l’avrebbe invitata a rimanere un po’ di più, in modo da avere tutto il tempo per informarsi sulla signorina Felicita.
Adele bussò alla porta di legno della piccola struttura rettangolare, composta da muri dipinti di bianco alternati a pietre a vista, il tetto quasi invisibile talmente era piatto, due  ampie finestre ai lati dell’ingresso, nascoste da tendine verdi e rosse.
Dopo un paio di secondi di attesa, la porta si aprì, rivelando una signora dai tratti eleganti, piuttosto alta, i capelli grigi avvolti in una crocchia contornata da una treccia, e gli occhi castani acquosi.
Indossava un vestito di seconda mano blu scuro, mentre le spalle erano avvolte da uno scialle di lana azzurro: il suo sguardo s’illuminò nel vedere la ragazza davanti a lei e, abbracciandola, la invitò ad entrare.
“Oh, ecco la mia bambina! Finalmente sei venuta a trovarmi, cara, così avremo un po’ di tempo per stare insieme! Siediti, stavo preparando un po’ di camomilla. Ne vuoi?”
Adele sorrise di cuore alla donna e, obbedendo ai suoi ordini, rispose:
“No, grazie, balia. Hai magari della cioccolata come quella che mi facevi quando ero piccola?”
“Ma certo, certo che ce l’ho! Tengo sempre quel cacao speciale che usavo per farti la tua cioccolata preferita! Lo tengo nella credenza, aspetta che vado a prenderlo!”
L’anziana signora, la voce allegra per la gioia di trascorrere del tempo con la sua bambina, trascinò i piedi fasciati da babbucce di lana nel luogo segnalato, a pochi metri dal tavolo quadrato di legno di fronte al camino, dove aveva fatto accomodare la giovane.
Adele si guardò in girò: non era cambiato nulla in quella grande stanza da quando era entrata a Natale, pochi mesi prima.
La collezione di tazze era sempre al suo posto, nell’alta credenza di cristallo che svettava di fianco a quella di legno in cui la balia teneva il cibo; la fila di piante grasse continuava a prendere polvere e sole sul davanzale della finestra a destra dell’ingresso; persino il divanetto e le due poltrone –che un tempo si trovavano negli alloggi delle domestiche a palazzo- erano rivestite dalla stoffa arancione con le foglie verdi che avevano comprato insieme, l’ultima volta che erano andate al mercato due anni fa, qualche mese prima che Adele si sposasse.
“Te la ricordi?!” sussurrò con un sorriso l’anziana donna: aveva finalmente trovato il prezioso cacao e ora stava versando il latte nel pentolino.
“Certo balia che me la ricordo: è passato tanto tempo ormai …”
“Non così tanto, per fortuna: se sono ancora qui con te, vuol dire che il tempo è stato clemente, e che le ore e i giorni che hai contato non sono poi molti! Sempre senza zucchero, vero?”
La ragazza annuì, abbozzando un sorriso.
“Ho ancora qualche fetta di torta che ho fatto ieri mattina: guarda, è lì su quel piatto, sotto l’asciugapiatti …”
Adele allungò una mano sul tavolo, dove le aveva indicato la donna: prese il coltello lì vicino e, mentre la balia appoggiava una tazza rotonda e un cucchiaino in metallo lavorato, tagliò due fette di quel dolce morbidissimo, una per sé e una per la donna.
“Lascia stare la camomilla, prendi la cioccolata insieme a me! Mi farai compagnia!”
“Ah, come faccio a dirti di no, bambina mia?! Non ti ho mai resistito, forse perché sei la più piccolina!”
La giovane sposa addentò un pezzo della torta, lasciando cadere qualche briciola sulla mano che aveva messo sotto il mento:
“E’ buonissima, balia! Nessuno ti batte a cucinare!”
“Tu sei di parte! Non dirlo a quella bisbetica di Erminia, però: lei crede che tutto quello che prepara sia divino! Il Cielo ha voluto che facessi la balia perché, altrimenti, come cuoca, sì che nessuno mi avrebbe resistito, avrei avuto tutti gli uomini ai miei piedi, e non solo il mio caro e buon marito!”
Le due donne risero a quella battuta, poi la più anziana, mescolando di tanto in tanto quel liquido caldo e profumato, domandò:
“Ce lo hai ancora lo scialle che ti ho ricamato per il tuo compleanno l’anno scorso?”
Adele sentì un brivido percorrerle la schiena, al ricordo di quando aveva indossato per l’ultima volta quell’indumento a lei tanto caro: la notte dei fuochi d’artificio, nel palazzo della suocera, quando il visconte l’aveva baciata e aveva tentato un approccio fisico.
Scosse la testa poi, per non sembrare che fosse un diniego alla sua domanda, continuò:
“Certo che ce l’ho ancora, è tra le cose più care che indosso!”
“Bene, mi fa tanto piacere sentirti dire questo, cara!”
L’anziana donna versò la cioccolata ormai pronta nelle due tazze rotonde appoggiate sul tavolo e, finalmente, dopo aver portato il pentolino nel lavello, si sedette, inzuppando la sua fetta di torta nella bevanda calda e scura:
“Hai ragione, ora che me lo hai fatto notare, è proprio buona questa torta!”
Rimasero in silenzio per nemmeno un minuto, poi la balia domandò:
“Come procede la tua vita da donna sposata? Tuo marito ti rende felice?”
Ad Adele quasi andò di traverso quel sorso di cioccolata che stava bevendo.
“Non è così semplice” cominciò la giovane, senza guardare negli occhi la donna  “da quando ci siamo viste a Natale, il nostro rapporto non è cambiato, anzi, nell’ultimo periodo lo detesto …”
“Perché? Ti ha fatto forse qualche cosa? Ti ha messo le mani addosso?!”
“Sì, ma non come pensi …” la voce le uscì come un sussurro, tanto che subito si pentì di non aver tenuto per sé quelle parole “ è successo ormai due settimane fa: ho dovuto sottostare ai miei doveri di moglie, balia, di più non posso dirti, anche se immagino che tu capisca cosa voglio dire …”
Un sorriso di tenerezza stravolse il volto della donna più anziana, che avvicinò le sue mani a quelle di lei:
“Oh, la mia bambina: è una bella notizia quella che mi hai detto, dovresti essere felice. Non eri tu, appena lo scorso Natale, a confessarmi che avresti voluto che tuo marito fosse più affettuoso con te, più presente?”
“Adesso sono successe tante cose, balia, che mi hanno fatto capire che non è più quello che desidero …”
“Raccontami, sono qui per ascoltarti e per consigliarti, piccola mia … ”
Adele sorseggiò l’ultima cioccolata rimasta nella tazza e, allontanando le briciole verso il centro del tavolo, guardando negli occhi la donna, continuò:
“Qualche settimana fa siamo andati in Francia, dalla famiglia di Francesco. Lì sono stata trattata come una principessa! Tutti erano premurosi con me: sua madre e i suoi fratelli non mi hanno fatto mancare nulla. Ho persino visto i fuochi d’artificio!”
“Bene! Allora cos’è che ti turba?”
La giovane giocherellò con le briciole del dolce: si morse il labbro inferiore, indecisa se raccontarle la gioia che le scoppiava dentro.
Riabbassò intimidita lo sguardo e, con voce bassa e roca, spiegò:
“Prima del viaggio, ho incontrato una persona, una persona che non vedevo da molto tempo …”
“E’ lei che ti ha turbato?” la interruppe l’altra, avvicinando di qualche centimetro la sedia alla sua “ne parli come se fosse stato un incontro spiacevole”
“No, balia, no! E’ stato tutto fuorché spiacevole, anche se ha fatto nascere in me moltissimi dubbi che da troppo tempo sapevo di avere …”
“E allora, che cos’è che ti ha turbato? Per favore, bambina, non farti cavare le parole di bocca come quando eri piccola!”
“Scusa, balia, hai ragione. La persona che ho incontrato è stata … Umberto!”
Il pallore si diffuse sul volto magro e segnato da qualche ruga dell’anziana donna, che abbandonò all’istante il cucchiaino nella tazza ormai vuota, la bocca semiaperta per lo stupore:
“Dio del Cielo Benedetto! Sei stata così folle da andare in convento a trovarlo?! Ma sei impazzita?!”
“No, non ci siamo incontrati lì, balia” si affrettò a spiegare Adele, scuotendo con decisione il capo e trattenendo le mani di Nina tra le sue  “l’ho raggiunto a Lagoverde, nella casa di Maria la stiratrice. Forse la conosci anche tu … “
“Sì, sì certo, l’ho incontrata qualche volta al mercato. Ma cosa c’entra lei? E perché lo hai rivisto?!”
“Se hai tempo di ascoltarmi, ora te lo racconto …”
“Ma sicuro che ho tempo! Per questo ho tutto il tempo del mondo!” e, alzandosi per andare verso il ripiano vicino al lavello, prese due tovaglioli di carta: ne diede uno ad Adele, mentre con l’altro si pulì la bocca.
 

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Capitolo 16
*** Il caleidoscopio ***


Adele cominciò a giocherellare con il cucchiaino tuffato nella tazza rotonda, mescolando le briciole della torta con i rimasugli della cioccolata.
Era decisamente soddisfatta di se stessa, perché si era tolta un grande peso confessando alla balia il riavvicinamento che aveva avuto con Umberto:
Non ce la facevo più a tenermi tutto dentro, da un momento all’altro sarei scoppiata! E comunque tanto meglio averlo rivelato a lei che a qualcun altro, rischiando che Francesco lo venisse a sapere …”
“Allora, bambina? Vuoi iniziare a raccontarmi oppure devo aspettare di ammuffire incollata a questa sedia?!”
La giovane sposa si riscosse dal torpore che l’aveva intrappolata fino a quel momento, divisa a metà tra il rivelare ogni cosa alla donna che aveva davanti e il minimizzare l’intera vicenda:
“Mi fido di lei, non le ho mai mentito … e poi ho un tremendo bisogno dei suoi consigli”
“Scusami, balia, il problema è che non so da che parte iniziare …” si difese lei, continuando a tormentare il cucchiaino, l’unico rumore che si udiva in quel silenzio ovattato che era la casa della donna.
“Dall’inizio dei Tempi, dalla Creazione, dal Diluvio Universale! Ma da dove vorresti cominciare se non dal principio, sciocchina?!”
Adele abbozzò un sorriso divertito, dimenticandosi per un attimo di ciò che avrebbe confessato di lì a breve e, appoggiandosi allo schienale della sedia in legno, cominciò a raccontare, la voce bassa e a stento calma:
“Poco più di un mese fa ho ricevuto una lettera: all’esterno della busta c’era scritto solo il mio nome e l’indirizzo, nulla che avesse a che fare con il mittente. Appena l’ho avuta tra le mani, però, ho avvertito una strana sensazione, perché quelle poche parole mi ricordavano la scrittura di una persona …” spiegò Adele, gli occhi illuminati dall’emozione di quel ricordo così dolce, improvviso e violento allo stesso modo.
“Umberto” continuò per lei, con un filo di voce, l’anziana donna.
La ragazza annuì, riprendendo a giocherellare con il cucchiaino, lo sguardo abbassato e fisso sulla tazza:
“Sì, anche se ovviamente era solo un’impressione, perché mai avrei pensato che, dopo due anni, potesse scrivermi e addirittura cercarmi” un nuovo sospiro fece capolino dalla bocca carnosa della giovane sposa che, nel frattempo, aveva rialzato lo sguardo “quando però ho aperto la busta e ho cominciato a leggere il foglio che era contenuto, sono quasi svenuta dalla felicità! Capisci, balia?!” enfatizzò Adele, riversandosi sulla donna seduta di fronte per stringerle nervosamente le mani zigrinate  “era veramente il mio Umberto che mi scriveva, che mi diceva che era scappato dal convento e che, presto, sarebbe venuto a cercarmi per portarmi via!”
“Santo Cielo, bambina mia! Come ha potuto fuggire da quel posto sacro, quando ormai era stato ordinato e aveva deciso di dedicare la sua vita a Dio?!”
“Il priore ad interim della certosa, il suo sostituto insomma” delucidò la giovane, vedendo l’espressione dubbiosa negli occhi castani e acquosi di Nina “dopo che Umberto gli aveva raccontato la nostra storia e le circostanze che lo avevano obbligato a farsi monaco, ha deciso di offrirgli il suo aiuto, permettendogli non solo di uscire dall’Ordine, ma addirittura indirizzandolo dalla sorella, a Lagoverde!”
“E tutto questo te l’ha scritto nella lettera?!” s’informò la balia, abbandonando per un istante le mani della sua protetta, per poi riprenderle, come una calamita, l’istante successivo.
“No! Il giorno dopo, di mattina presto, sono andata da lui: non potevo resistere oltre tutto il tempo che già ci avevano divisi! Lì, a casa di Maria, che ancora adesso lo sta ospitando, mi ha raccontato ogni cosa, anche che è stata Anna, sua cugina, a confessargli il mio nuovo indirizzo da sposata!”
La donna, sempre avvolta nello scialle azzurro di lana, generosamente abbarbicato sul vestito blu scuro, la fissò pensierosa e scettica:  
“Siete tutti matti, cara bambina! Non riesco a credere nemmeno ad una parola del fiume di sciocchezze che mi stai dicendo! Te lo ripeto, così magari ti entra in quella testolina un po’ bacata che ti ritrovi: per me siete tutti pazzi, a partire da quel priore senza Dio che l’ha fatto fuggire, a Maria che sta ospitando il tuo innamorato” e qui Nina non poté non lasciarsi sfuggire una smorfia particolarmente eloquente, carica del disappunto che l’aveva impadronita dall'inizio di quella indesiderata conversazione  “a quella sciocca ragazza che gli ha detto dove abiti e, ovviamente, mi riferisco anche a voi due! Tu ed Umberto state distruggendo le vostre vite, ecco cosa state facendo!” cominciò ad accalorarsi l’anziana donna, mentre i bei capelli grigi legati nella crocchia faticavano a rimanere intrappolati nell’acconciatura, quasi come se fossero scioccati anche loro.
E, vedendo che la sua protetta continuava a non ribattere, il volto arrossato ma imperscrutabile per gli occhi bassi che sfuggivano al suo controllo, la punzecchiò chiedendole:
“Non hai niente da dirmi, Adele?”
“Stai già dicendo tutto tu, balia …” le rispose a tono la giovane, intestardita ad ottenere ragione.
“Ma non vi rendete conto che, prima o poi, ve ne pentirete?! Questa è una cosa che va interrotta subito, appena tornerai a casa da tuo marito! Hai capito, bambina?! Anzi, la soluzione migliore sarebbe di non rivederlo più! Scrivigli una lettera per dirgli addio, così non sarai ulteriormente tentata e non combinerai altre sciocchezze!” concluse Nina,  un gesto di stizza con entrambe le mani, ora libere dall’intreccio creato con quelle della ragazza che, a sentire gli assurdi consigli che la donna le stava propinando, alzò di scatto il viso, gli occhi lievemente arrossati:
“Ma no, balia! No! Non ti sto raccontando tutto questo per averti contro! Io mi fido di te, ho bisogno del tuo aiuto. Perché almeno tu non mi appoggi?!”
Nina si fece il segno della croce tre volte, dopodiché riprese con il medesimo tono di voce alto e squillante la sua arringa:
“Non posso farlo! Io desidero solo il tuo bene, non la tua rovina! Così butterai via tutto quello che hai costruito fino adesso! Il matrimonio prima di tutto, e poi darai un grande dispiacere anche alla tua famiglia, e a me ovviamente! E a tuo marito non ci pensi?!”
“Certo che ci penso!” rispose disperata Adele, i gomiti stretti in un vestito color crema appoggiati sul tavolo, mentre con i palmi delle mani nascondeva nuovamente il volto:
“Non faccio altro che pensarci, perché non voglio che scopra quello che mi sta succedendo!” poi, dopo aver deglutito un paio di volte, continuò più irritata che mai:
“Perché credi che sia qui, se non per l’affetto e l’amore che provo per Alberto?! Se non si fosse sposato, in questo momento sarei con lui, con il mio Umberto, lontano da voi e dalle vostre insensate critiche!”
Un silenzio carico di dubbi e malinconia calò su di loro, tanto pesante da impedire ad entrambe di proseguire con le parole, di recriminazione o di difesa che fossero.
La balia si alzò dal tavolo e si diresse verso l’ampio lavandino in maiolica: prese un bicchiere dalla credenza in legno sopra di esso, lo riempì con l’acqua con cui aveva colmato la bottiglia di vetro vicino e tornò al suo posto:
“Ne sei ancora innamorata?”
“Sì, moltissimo” le rispose Adele, senza alcuna esitazione  “altrimenti non rischierei la mia stessa vita per lui, e non ti avrei confessato una cosa del genere se non fossi così sicura di tutto questo”
“Sei certa che tuo marito non sospetti qualche cosa? Come fai a non amarlo nemmeno un po’, dopo due anni di matrimonio?!” domandò l’anziana donna, prima di ingurgitare l’acqua nel bicchiere.
“No, balia, non sa nulla, non preoccuparti. Ho visto Umberto a casa della stiratrice e nella piazza del mercato, giù al paese! E poi mio marito, in tutto questo tempo, non si è mai rivelato gentile, non mi ha mai fatto sentire il suo amore, la sua vicinanza! Tutta la libertà che mi ha concesso non ha potuto sostituire il vuoto che continuo a sentire quando sono con lui …”
“Quanta tristezza che hai dentro, bambina mia!” appurò con dolcezza Nina, scuotendo il capo  “le poche volte che ho visto tuo marito mi è sembrata una brava persona: ti guarda con occhi … innamorati, e sono sicura che nutre del rispetto per te! Come fai a non notare tutte queste cose, questi accorgimenti nei tuoi confronti?”
Adele scosse la testa e, il busto proteso verso la donna, mise le mani fredde su quelle calde di lei:
“Non potevo notarli, balia! La mia mente è invasa dal ricordo di Umberto, dalle sue parole, dai suoi gesti, dai suoi sorrisi, dai suoi baci! Come posso dimenticarmene?!”
“Sei completamente impazzita …  “ tagliò corto Nina, rifugiandosi nella sua metà di tavolo “però ascolta quello che ho da dirti,  poi fa’ quello che vuoi, perché sei abbastanza grande da decidere della tua vita, nel bene e nel male: Umberto appartiene al passato, un passato ormai lontano, che vi ha condotto a fare scelte ed esistenze completamente all’opposto.
Il visconte invece è il tuo presente e il tuo futuro: è grazie a lui se puoi vivere come stai vivendo adesso! Mi sto riferendo alle agiatezze, al lusso, alle comodità e anche all’affetto che sono sicura nutre per te!
Può ancora offrirti molte cose, ne sono sicura! Non sciupare quelle che hai e quelle che verranno, rifletti bene prima di commettere qualsiasi gesto!”
La giovane sposa negò con il capo la saggezza delle parole appena pronunciate:
“Nessuno mi capisce, nemmeno lei che mi ha cresciuta e ha visto il mio amore e il trasporto che avevo quando stavo con Umberto! Sono completamente sola, siamo completamente soli, lui ed io …”
Poi, con il tono più disinteressato che le riuscisse di ottenere in quel momento, Adele asserì:
“Va bene, balia, questa è la tua opinione. La rispetto, ma non riesco a condividerla … ora, però, vorrei sapere una cosa: la signorina Felicita espone ancora i suoi tessuti il venerdì al mercato?”
Lo sbigottimento s’impadronì del bel volto elegante e in parte rugoso della donna:
“Perché me lo domandi? Hai forse bisogno di un nuovo vestito?”
“E’ una semplice curiosità” ribatté con pacatezza e noncuranza l’altra “quando ci siamo viste a Natale, mi hai detto che lei era ancora lì ogni settimana, con tutte le sue stoffe. Mi è solo venuto in mente adesso, tutto qui …”
“Non me la racconti giusta, però farò finta di crederti” rispose con aria dubbiosa l’anziana balia, quindi continuò:
“Sì, due settimane fa era ancora lì, con il suo caschetto biondo e quella bocca che non sta mai chiusa!”
Un sorriso a stento trattenuto piegò i lati della bocca carnosa della ragazza:
“Grazie, balia! Mi hai risollevato l’umore!”
“Ma di cosa stai parlando?!”
“Ora scusami, devo andare! Si sta facendo buio. Grazie di tutto! Verrò a trovarti domani, sempre nel pomeriggio!”
“Sì, però aspetta un attimo!”
Adele si alzò dalla sedia di legno, scaraventandola quasi lontano dal tavolo: baciò una guancia della donna, si allacciò la giacca corta di lana marrone adagiata sullo schienale della seggiola, e uscì dalla dépendance, gli stivaletti che quasi si sollevavano per la felicità.
 
 
Una settimana dopo, un paio di ore prima che il sole tramontasse, la giovane sposa stava facendo i bagagli per tornare a palazzo dal marito, o meglio, da Umberto, che si era prefissata di raggiungere al più tardi la sera successiva.
Non avrebbe speso molte parole, anzi alcuna in realtà, per accomiatarsi da Francesco:
“Non avrò scrupoli a lasciarlo anche se, in fondo, un po’ mi dispiace procurargli un dispiacere. In questo, la balia ha ragione: mi ha sempre trattato bene, ma ora basta! Domani, a quest’ora, sarò quasi con il mio Umberto!”
La ragazza aveva accomiatato da pochi minuti la cameriera che la voleva aiutare a preparare i bagagli quando, mentre cercava di prendere gli ultimi vestiti nel ripiano più alto dell’armadio in mogano, reggendosi sulle punte, la colse un improvviso conato di vomito, che la fece quasi barcollare per rimanere contemporaneamente con il volto all’insù e il braccio alzato.
Si avvicinò al letto, poi si sedette sul bordo: appoggiò una mano sull’estremità in ferro battuto e,  chiudendo gli occhi per qualche secondo, si convinse:
“Come faccio a partire? Stai calma, devo solo respirare a lungo e aspettare che mi passi …”
Sdraiata sul materasso ricoperto da una coperta di lana traforata color crema, si abbandonò alle preghiere che recitava ogni sera, nella speranza che la potessero aiutare a non realizzare quello che intuiva stesse accadendo:
Ti prego, ti supplico, ti imploro, fa’ che sia solo un malessere passeggero! Il pensiero della fuga con Umberto mi sta debilitando: tutti i preparativi da realizzare di nascosto sono troppi per me! Mi basterà riposare per pochi minuti …”
Adele aprì gli occhi e guardò il soffitto perfettamente bianco: li richiuse e, complice il caleidoscopio abbacinante che filtrava malandrino dalle tende scostate della finestra, piombò di nuovo nell’angoscia.
< br / > < br / > Nota dell’autrice: Ciao a tutti! Adele è sempre più sola: nemmeno la balia che l’ha allevata e amata come una figlia la appoggia, anzi, fa di tutto per farla sentire in colpa. La signorina Felicita si rivelerà la sua ultima occasione? Si accettano scommesse sull'eventuale gravidanza di Adele, anche se non si può escludere un semplice malessere dovuto allo stress accumulato nell'ultimo mese! Grazie a chi legge e recensisce! A presto!  

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Capitolo 17
*** Prigioniera: Adele si assume la responsabilità delle proprie azioni ***


Il mattino successivo, poco prima dell’ora di pranzo, Adele scese dalla carrozza che i genitori le avevano prestato: entrò di corsa nel palazzo, non soffermandosi nemmeno ad accarezzare i due Setter che le andarono incontro scodinzolando, né tantomeno a controllare se il marito fosse in casa.
Salì velocemente le scale, dirigendosi nella camera da letto: aprì con furia le ante dell’armadio in ciliegio, scelse gli abiti meno eleganti –quelli che non aveva portato per il matrimonio di suo fratello Alberto-, li dispose sul letto a baldacchino e, affacciandosi al parapetto che dava sulle scale, chiamò Andreina.
Una ragazzina di diciotto anni, la lunga treccia bionda sulla schiena e gli occhi scuri come la pece, accorse al primo segnale di allarme della padrona.
“Eccomi, signora. Siete tornata?” constatò con la solita voce timida la giovane, il corpicino esile avvolto dalla divisa nera dal grembiule e la cuffietta bianchi inamidati.
“Sì, ma rimarrò qui ancora per poco. Per favore, portami su il baule …” le rispose sbrigativa Adele, senza guardarla in viso.
“Ma è molto pesante …”
“Fatti aiutare! Lo voglio qui subito!”
La servetta annuì, ancora più turbata per il secondo episodio di rabbia - in nemmeno due settimane - che vedeva protagonista la solita calma e apatica viscontessa che, dopo averle impartito con furia selvaggia quell’ordine insensato, continuava ad aprire nevroticamente i cassetti della toeletta e del comò.
Qualche minuto dopo, Andreina tornò nella stanza insieme a ciò che le era stato richiesto,  accompagnata anche dal maggiordomo –  un cinquantenne alto e magro, dai capelli castano sbiadito pettinati all’indietro e gli occhi cerulei- che l’aveva aiutata a portare il bagaglio da viaggio.
“Molto bene, grazie. Voi, Villani, andate, mentre tu rimani!” ordinò la giovane sposa rivolta alla ragazzina.
Una volta che l’uomo si fu allontanato, Adele si avvicinò con fare sospetto alla servetta e, prendendola per un braccio, le spiegò:
“Devi aiutarmi a disfare il baule! Sbarazzati di quei vestiti, te li regalo se ti piacciono, oppure meglio ancora li puoi portare da Don Sergio, così che possa ricoprire i suoi poveri!”
“Ma la signora è impazzita!? Quale umile donna indosserebbe degli abiti del genere? Sono troppo eleganti!”
“Mi hai sentito, Andreina?!” domandò la padrona, gli occhi infiammati dalla fretta e dalla rabbia, alcune ciocche di capelli ricci sparse sul volto arrossato.
“Sì, certamente, viscontessa, ho capito. Cosa altro vi serve?”
“Nulla: muoviamoci. Aspetta” la bloccò nuovamente la padrona, stringendole con insensata forza il braccio destro  “mio marito è in casa?”
“E’ tornato una mezz’ora fa, per il pranzo. Ha voluto aspettarvi per …”
“Va bene, ora non ha importanza”
Quando le due giovani avevano ormai disfatto l’intero baule – più rapide di un cavallo imbizzarrito che, durante una tempesta improvvisa, galoppa alla ricerca disperata di un riparo- Adele si avvicinò alla cameriera, pose le mani fredde su quelle calde di lei e, con voce improvvisamente calma e materna, le disse:
“Grazie per tutto quello che hai fatto per me in questi due anni: tieni …” continuò, tirando fuori un paio di monete d’oro da un sacchetto di velluto legato alla vita, sotto il lungo abito verde da viaggio:
“Dalla mia famiglia non mi sono servite, a questo punto è giusto che le abbia tu”
“Ma, signora, perché? Che cosa sta succedendo? Io ricevo già uno stipendio!” cercò di ribattere l’altra, scuotendo il capo: la giovane sposa le aprì a forza il palmo della mano sinistra, su cui fece ricadere quel piccolo tesoro.
“Sì, lo so. Questo è il mio modo di ringraziarti, te l’ho detto:  prendili, per favore, e anche i vestiti, se ti piacciono” la persuase, accennando agli abiti ancora stesi a ventaglio sul letto.
“Va bene, però, non capisco … dove volete andare?!”
“Non ha importanza …” obiettò secca Adele, abbassando nervosamente lo sguardo e ritornando verso il baule aperto.
“E se vostro marito vi vede o mi chiede qualche cosa, io che cosa devo rispondergli?”
La ragazza, indaffarata a sistemare gli abiti che aveva tirato fuori dall’armadio pochi minuti prima, si morse il labbro inferiore e, senza smettere, rispose:
“Digli che non lo sai, dopotutto è anche la verità. Un’ultima cosa: ovviamente non devi far parola con nessuno che sono tornata …” quindi, voltandosi verso la cameriera, la salutò sbrigativamente “ora vai, non farmi perdere altro tempo. Addio, Andreina”
La cameriera si allontanò di qualche passo dalla giovane donna di fronte a lei: la guardò ancora per qualche secondo, poi –le monete scivolate in una tasca del grembiule e i sei abiti adagiati sul braccio sinistro- uscì dalla camera, ancora incredula per la scena a cui aveva dovuto presenziare.
“Molto bene! Almeno una cosa l’ho risolta: adesso devo solo aspettare! Non appena Francesco uscirà di nuovo per andare nelle sue stupide terre, io potrò andarmene! Mi farò accompagnare in carrozza fino alla diligenza, in paese, e da lì potrò raggiungere il mio Umberto!”
Un rumore di passi la risvegliò dalle sue previsioni: si voltò in quella direzione, verso la porta alle sue spalle, riuscendo appena in tempo ad allontanare con un piede, dietro il letto a baldacchino, il baule riempito per metà, in modo che non si vedesse troppo facilmente alla vista di chi sarebbe entrato.
“Adele! Da quanto siete arrivata? Non vi ho vista né sentita!”
Il visconte Francesco Malgari di Pierre Robin, impeccabile nel suo completo tortora che utilizzava per i giri di perlustrazione nei campi e gli stivali neri e lucidi, era in piedi a qualche metro di distanza dalla consorte.
“Avete incontrato Andreina?” indagò la giovane sposa, rivolgendosi con aggressività per nulla celata in direzione del marito, il respiro leggermente affannoso, continuando a mantenere le distanze dall’uomo.
“No, perché avrei dovuto? Vi ha già aiutata a disfare i bagagli?” domandò, guardandosi intorno.
“Sì” la sua voce risultava incredibilmente fredda e lucida, a dispetto dell’ansia e dell’agitazione che la stavano divorando  “non mi avete ancora detto che cosa vi ha fatto salire …”
“Villani mi ha informato del vostro arrivo, così, vedendo la porta socchiusa, ho deciso di venire a salutarvi! E’ da una settimana che non ci vediamo, credevo vi avrebbe fatto piacere!”
“Maledetto quello stupido maggiordomo” pensò la giovane sposa “ero così agitata a fare tutto in fretta, che ho dimenticato di comprare anche il suo silenzio!”
“Avete fatto bene … ora vi chiedo di lasciarmi riposare, però, sono abbastanza stanca dal viaggio …” cercò di convincerlo, con un sorriso tirato sul viso.
“Non volete pranzare con me? Vi ho aspettata apposta: nel telegramma che ha anticipato il vostro ritorno, la mia cara suocera mi ha scritto che sareste ritornata con una bella sorpresa: di cosa si tratta? “
Un sorriso colmo di affetto piegò gli angoli della bocca sottile dell’uomo, il bel volto glabro e squadrato a farle da contorno.
“Nulla, almeno io non ne so nulla …” rispose infastidita la giovane, sostenendo lo sguardo del marito sempre più insistente.
“Come fate a dire una cosa del genere? Vostra madre …”
“Mia madre si è sbagliata! Ve lo ripeto” continuò la ragazza prendendo un respiro più profondo del precedente “ lasciatemi da sola per qualche ora! Ceneremo insieme questa sera, adesso sono stanca”
L’uomo si avvicinò di qualche passo con l’intenzione di convincere la moglie a scendere con lui, quando notò il baule ancora pieno di abiti seminascosto dalla testata laterale del letto.
“Non mi avevate detto che Andreina vi aveva già aiutata a disfare i bagagli?” indagò con voce roca e profonda Francesco, cominciando a guardare con ostilità la moglie.
“E’ così, infatti,  ma solo per metà. Ho detto anche a lei ciò che vi sto ripetendo da oltre un minuto: desidero essere lasciata sola per un po’,  per favore” cercò di persuaderlo la donna, addolcendo il più possibile il tono di voce.
Il visconte fece qualche ulteriore passo verso la giovane sposa, quindi si abbassò sulla cassa e cominciò a tirare fuori i vestiti in essa contenuti:
“Questi non sono gli stessi che vi siete portata per il matrimonio di Alberto: che cosa state combinando, Adele?”
La voce dell’uomo cominciò a tingersi di una sfumatura troppo accentuata di sospetto, tanto da indurre la ragazza ad abbassare lo sguardo, fino ad allora fiero di sorreggere quello del marito.
“Proprio nulla, ve l’ho già detto!”
“Dove volete andare?!” Francesco si parò davanti agli occhi color miele di castagno di lei, ora lucidi per la paura e la rabbia trattenuta.
 “Io … devo andare da mia sorella …” biascicò, abbassando il tono, testimonianza della sua colpevolezza.
“Non mentitemi! Sono stanco delle vostre stupide bugie! Voglio la verità, Adele, adesso, subito!”
“E va bene! Va bene!” proruppe finalmente la ragazza, ritornando a guardare verso il marito, i loro volti infiammati e il respiro rallentato per la rabbia che li stravolgeva, i battiti dei cuori accelerati.
“Sono stanca di voi, del vostro comportamento così formale, così altezzoso e distante da tutto e da tutti! Io vi odio, Francesco, vi detesto!” tutte le parole che non era riuscita a pronunciare in quei quasi due anni di matrimonio, ora le uscivano dalla bocca carnosa come l’acqua di un fiume in piena, troppo prepotente per non distruggere i suoi molli argini.
“Come osate dirmi questo?! Vi ho sempre rispettata, vi ho sempre lasciata piena libertà, ma adesso me ne pento!” ribatté Francesco, stringendo le mani chiuse a pugno lungo le gambe, la fronte corrugata e gli occhi grigioverdi ristretti dall’incredulità.
“Non me ne faccio nulla del vostro rispetto né della vostra freddezza di cui tanto siete orgoglioso! Io non vi ho mai amato, siete troppo lontano da me! Mi avete sempre trattata come una bambola di porcellana: in bella vista nelle occasioni importanti, a scrutare e a darvi l’appoggio che vi serviva per i vostri stupidi affari, come quella insulsa cena con i latifondisti! Non ho bisogno di questo, ho bisogno di amore!”
“Ma io vi amo! Vi amo, Adele!”
La giovane sposa si bloccò per un istante, i capelli ricci raccolti grossolanamente in una treccia che stavano uscendo da quella postazione obbligata.
“Che cosa state dicendo?”
“Quello che vi ho appena detto, che vi amo, anzi vi ho sempre amata!” il tono dell’uomo si abbassò d’intensità e, finalmente, poté rivelarle ogni cosa:
“Ho sempre nutrito un grande rispetto e un profondo affetto per voi, per la vostra ingenuità e … bellezza. Perché credete vi abbia dato tutta la libertà di cui adesso vi state lamentando?! E tutta la pazienza che ho avuto durante questi due anni di matrimonio? Non vi siete mai fatta toccare, solo qualche abbraccio e qualche timido bacio nei primi mesi, poi … il buio completo: mi avete obbligato a dormire in camere separate ed io ho accettato senza alcuna pretesa! Un mese fa mi avete quasi supplicato di avere un figlio, eppure da quel momento siete diventata nuovamente scostante, ma anche per quello io vi ho dato tempo! Poi avete insistito per partire al più presto per raggiungere la mia famiglia e anche in quell’occasione io vi ho accontentato! Non è amore anche questo?! Io vi ho sempre desiderata, Adele, dal primo momento in cui ci hanno presentato! Perché non riuscite a capirlo? Perché non provate a capirlo?!”
La ragazza si morse il labbro inferiore: una rabbia crescente mista a rassegnazione e a delusione per le parole che le erano appena state dette stentava a farla ragionare.
“Siamo due incompresi” esplose alla fine, ritrovando la calma che la stava abbandonando “forse, se avessimo avuto il coraggio di parlare di più, non saremmo arrivati a questa situazione. Ma ormai questo è il capolinea, Francesco, non possiamo più tornare indietro …”
“Certo che possiamo!” rispose lui, prendendole le mani fredde tra le sue, e baciandole:
“E’ troppo tardi per instaurare un rapporto che non c’è mai veramente stato”
“Adele, vi prego! Dimenticate il passato, pensiamo al futuro, insieme!”
“No, io …”
Un conato di vomito, proprio come il giorno precedente a palazzo dai genitori, attraversò la gola e poi la bocca della giovane sposa.
 
Filippo le appoggiò quel circolare e freddo marchingegno sul ventre, cominciando ad auscultare: fuori era buio, il caleidoscopio di luci aveva lasciato spazio al riflesso della luna sui vetri della camera, mentre le fiammelle dei candelabri emanavano calore e ombreggiavano per metà i volti del giovane medico e della ragazza.
Dopo qualche secondo di quei movimenti avanti e indietro, in alto e in basso, Filippo staccò quell’odioso arnese dal grembo della cognata e, con un sorriso emozionato, le rivelò:
“Siete incinta, cara Adele! Aspettate un bambino … o bambina, chissà! Congratulazioni!”
 
“Cosa avete? Siete impallidita all’improvviso …”
La ragazza non rispose, ossessionata dal ricordo appena interrotto: si portò una mano attorno al collo e poi sulle labbra.
“Adele, siete forse… incinta? E’ questa la sorpresa a cui si riferiva nel telegramma vostra madre?!” un sorriso incurvò le labbra dell’uomo, che strinse ancora più forte le mani della moglie.
“Sì, sì, sì, sono incinta! Ora siete contento!?” sputò finalmente la donna, dopo che la nausea l’aveva abbandonata.
“E’ una notizia bellissima, mia cara, bellissima!”
“No che non lo è! Io non lo voglio, voglio solo andare via da qui, via da tutto!”
“E’ per questo che avete preparato di nuovo i bagagli?!” domandò Francesco, la voce trasformata in un sibilo rabbioso, abbandonando con stizza le mani della moglie.
Lei annuì, in attesa che proseguisse con un tono comprensivo che non tardò ad arrivare:
“Non dovete avere paura! Affronteremo insieme ogni cosa che comporterà questa gravidanza! Io vi amo, Adele, come ve lo devo dire?! Come ve lo devo dimostrare?!”
“Lasciandomi andare …” rispose debolmente la donna, sfidandolo con gli occhi.
“Ma dove?!” continuò intestardito
“Dall’uomo che amo, dall’unico che abbia mai amato!”
Un nuovo stupore si dipinse sul bel volto del visconte che, dopo qualche secondo necessario per filtrare quella notizia strabiliante, replicò:
“Farò finta di non aver sentito: avete i nervi deboli, mia cara, travisate le cose. Ora stendetevi, vi farò portare il pranzo …”
“No! Francesco, vi prego, lasciatemi andare! Vi supplico!”
Il marito sciolse dall’abbraccio i polsi della giovane sposa:
“Mai, Adele, mai: voi siete mia moglie, aspettate un figlio da me, non avete alcun diritto di farmi questa folle richiesta, avete capito?!!”
“Mi ucciderò se non mi lascerete andare!”
“Non siate sciocca!” continuò l’uomo, allontanandosi ulteriormente da lei “vi propongo invece un patto” continuò con finta calma  “potrete raggiungere il vostro innamorato dopo aver concluso la gravidanza …”
“Ci vorranno mesi!”
“Lo so, spero infatti che nel frattempo cambierete idea: inoltre, se sarà un maschio, lo terrò qui con me, se nascerà femmina, invece, potrete destinarla a una vita di maldicenze come voi desidererete fin da adesso, avendo per madre una fedifraga” spiegò sprezzante l’uomo, mentre un sorriso sprezzante deturpò il suo volto “ah, un’ultima cosa: da questo momento in poi non potrete lasciare il palazzo, se non in mia compagnia ovviamente”
“Siete voi il pazzo! Spostatevi immediatamente e lasciatemi andare!”
“No!” il visconte si avvicinò di nuovo alla ragazza, bloccandole le mani strette a pugno con cui cercava di minacciarlo “farete come vorrò io! Adesso muovetevi, andiamo giù a pranzare! Ho fame, e anche voi dovreste averne, dal momento che avete un figlio da nutrire”
L’uomo, per la prima volta in due anni di matrimonio, la strattonò,  facendo seguire alle minacce il gesto ordinato.
Adele giurò a se stessa, mentre scendeva obbligata la scalinata, che non si sarebbe mai piegata ai soprusi del marito, che presto gliela avrebbe fatta pagare:
“Lo giuro!”, ripeté mentalmente, lo sguardo fiero e gli occhi asciutti di lacrime, ma bagnati di rabbia.
 
 
NOTA DELL’AUTRICE:
 
Ciao a tutti! Finalmente abbiamo avuto la certezza che Adele è incinta: Francesco, alla confessione della moglie che è innamorata di un altro, non si preoccupa di chiederle chi sia il misterioso amante, perché è forte del potere che può vantare sulla moglie.
Aspettano un figlio, e questo è quello che il visconte aveva sempre voluto: inoltre si è rivelato molto duro e caparbio, impedendole di uscire, da quel momento in poi, se non accompagnata da lui e, addirittura, arrivando a barattare il futuro del bambino, in base se nascerà maschio o femmina …
Adesso come si comporterà Adele? Si rassegnerà al suo destino, attenderà la fine della gravidanza per scappare da Umberto, fuggirà prima?
A voi riflessioni e commenti!
Grazie a tutti i lettori e a chi recensisce!
A presto!
 

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Capitolo 18
*** Una visita gradita ***


Adele non sopportava più di stare prigioniera in casa, nel suo stesso palazzo, solo per i folli capricci del visconte:
"Lo odio, lo detesto, vorrei che non mi avesse mai sposata, vorrei non averlo mai incontrato! Lo disprezzo talmente tanto che spero muoia oggi stesso!".
Erano infatti tre giorni ormai, che era costretta a vivere segregata come la peggiore delle criminali.
Da quando era stata messa alle strette dal marito, dopo che questi aveva scoperto la sua imminente fuga, aveva dovuto confessargli ogni cosa: prima di tutto che era incinta -di lui, purtroppo, e non del suo Umberto- e che l'uomo che amava da sempre era un altro, non quel maledetto che avevano scelto per lei i genitori.
La cosa che aveva innervosito di più la ragazza, era stata la totale assenza di interesse per quello che aveva appena rivelato al visconte: non un riferimento, non un minimo accenno o uno scatto d’ira nei confronti del misterioso amante della moglie, sembrava quasi che non gli importasse nulla
Adele gli avrebbe spiattellato il nome di Umberto molto volentieri, compiacendosi dell’espressione indignata che sarebbe comparsa sul volto di Francesco, ma temeva che, l’imprudenza che le pizzicava la lingua, le si sarebbe potuto torcere contro: dopotutto, non era detta l’ultima parola, rimaneva ancora la carta della signorina Felicita da giocare e, con un po’ di fortuna, avrebbe potuto anche avvisare lo stesso Umberto tramite una lettera, perché venisse a soccorrerla e a portarla fuori di lì.
“Che sciocca” si disse la giovane sposa “a chi potrei affidarla, senza che mio marito lo venga a sapere? Non mi fido di nessuno, e poi non voglio correre inutili pericoli. Verrà il momento adatto per fuggire …”
Adele, seduta mollemente sulla sedia in legno di ciliegio accostata al muro su cui si apriva la finestra della camera da letto, guardava fuori verso il giardino, senza in realtà vedere nulla, gli occhi offuscati dalla nebbia dei ricordi.
Il suo pensiero, infatti, continuava a correre verso Francesco, e al suo esagerato modo di reagire appena qualche giorno prima: dopo essere stato messo al corrente dei segreti della moglie, infatti, le aveva proibito di mettere piede fuori da palazzo, se non accompagnata esclusivamente da lui.
Molto furbescamente, l'uomo aveva costretto Andreina, la cameriera personale della moglie, a non recarsi nella sua stanza quando -e se- lei l'avesse fatta chiamare, ma solo per portarle i tre pasti principali.
Adele, infatti, sebbene il visconte non l'avesse tenuta segregata in camera, ma le concedesse la libertà di aggirarsi per le stanze del palazzo, aveva deciso di non accordargli questa rivincita, perciò si era chiusa in un mutismo selettivo e testardo, stritolata tra le quattro mura della camera da letto.
 
La prima notte di quella chissà quanto lunga prigionia, la ragazza aveva varcato la porta della stanza con una certa titubanza, nel terrore misto ad audacia che l'aveva condotta a fare quei pochi passi lungo il pianerottolo e giù per i gradini delle scale ma, una volta arrivata nell'ampio vestibolo, si fermò di colpo, come trattenuta per le spalle da mani invisibili:
"Cosa sto facendo? Dove posso andare conciata così, con una misero straccio e una vestaglia addosso?! E poi con il buio non é sicuro uscire ..."
Così rimase immobile per una manciata di secondi, distante una decina di metri dalla salvezza, eppure divorata dall'incertezza e- più di ogni altro sentimento- dalla paura che, se fosse stata tanto temeraria da varcare quella soglia, le fosse potuto succedere qualcosa.
"Non mi importa nulla di quello stupido di Francesco! Se anche dovesse scoprire la mia fuga, passerebbero ancora molte ore prima che se ne accorga, e poi non saprebbe dove trovarmi, perché l'indirizzo di Umberto gli é sconosciuto!"
Ancora nel buio di quella prima notte da segregata nella sua stessa casa, Adele fece qualche passo all'indietro, andando a sbattere con una spalla contro il corrimano intarsiato: questo gesto non voluto la riportò alla realtà.
Si voltò verso il punto più alto delle scale, nell'eventualità che il marito si fosse svegliato e avesse scoperto il suo tentativo di fuga, ma per fortuna non c'era nessuno a spiarla.
La giovane sposa guardò ancora una volta la grande porta di fronte a lei, poi - un'ultima occhiata verso la sala da pranzo a destra e le stanze dei domestici a sinistra- posò una mano sul corrimano e risalì stancamente i gradini.
Adesso, dopo tre giorni di quella vita così inusuale, Adele stava ripensando a quella notte e alla sua codardia che l'aveva spinta a ritornare indietro: si alzò dalla sedia in legno di ciliegio e, la vestaglia turchese con i pizzi alle maniche, fece per aprire la finestra, quando si bloccò.
"Posso entrare?" la riscosse una voce maschile, quell’odioso timbro che avrebbe dovuto sopportare ancora per mesi, se il coraggio non l’avesse aiutata a scappare.
"Cosa me lo chiedete a fare se avete entrambi i piedi già oltre la soglia?!"
La giovane sposa continuò a guardare fuori dai vetri, una rabbia crescente montava dentro di lei nel sentire la voce alle sue spalle, quasi scherzosa e profonda come le ultime volte che l’aveva sentita .
Strinse con forza le frange dello scialle che aveva addosso, stritolandole come se, al loro posto, ci fosse la faccia beffarda del marito.
L'uomo, mantenendosi sempre a distanza dalla donna, continuò in tono serio -tutto l'opposto di quello che si stava immaginando la moglie- a spiegarle il motivo della sua presenza:
"Non é una visita di cortesia, non temete. Volevo solo avvisarvi che c'è una persona che vuole vedervi. Vi aspetta dabbasso ..."
"E chi mai sarebbe?! Non aspetto nessuno, perlomeno non chi vorrei ..."
Adele voltò appena impercettibilmente lo sguardo all'indietro, verso la figura alta ed elegante del marito, per vedere se il bersaglio era andato a segno.
"Smettetela con questi capricci infantili! Se volete scendete, altrimenti farò andare via vostra sorella senza nemmeno farla salire!"
A quelle inaspettate parole, la giovane sposa si girò di scatto, un lieve sorriso -misto allo stupore luccicante negli occhi- a tradire la durezza delle parole, espressa fino a pochi attimi prima.
"Angelica é qui?! É da sola?!"
Francesco annuì, continuando ad essere imperturbabile, il volto tirato in piccole rughe e occhiaie, ma ancora perfettamente glabro, i lunghi capelli corvini tirati indietro e gli occhi grigioverdi attenti e tremendamente vivi.
"Posso scendere, quindi?!" domandò la ragazza, sbarazzandosi dello scialle color panna dopo averlo gettato senza troppi complimenti sul letto a baldacchino.
"Ve l’ho forse mai proibito?! Mi sembra proprio di no, perciò muovetevi, scenderemo insieme"
"Quanto lo odio! Adesso fa la parte della vittima, quando sono io quella da compatire, imprigionata nella mia stessa casa, lontana da Umberto!"
La giovane si ripromise di mostrare al marito tutta la superiorità su cui poteva contare in quel momento.
Scesero fianco a fianco, lei aiutandosi con il corrimano, spostandosi il più possibile verso la parte opposta occupata dal visconte, impedendosi così di sfiorarlo anche solo per sbaglio.
Arrivati alla fine della ventina di gradini che divideva il primo piano dall'ampio ingresso rettangolare e allungato, Adele sorrise nel vedere la non più snella figura della sorella, leggermente florida dopo due gravidanze, ma elegantemente fasciata in un completo da viaggio color tortora, un grazioso cappellino intonato a coprire il grande chignon di capelli ricci e castano scuro, proprio come i suoi.
"Angelica!" la sorella più piccola le andò incontro, stringendola a sé e appoggiando il viso smunto nell'incavo della spalla, qualche centimetro sopra il suo capo arruffato.
"Adele, come stai? Dopo la bellissima notizia che mi ha comunicato Filippo, sono venuta appena ho potuto!"
"Mi fa molto piacere, cara sorella! Ma vieni, ti prego, ho tante cose da raccontati!" la giovane sposa strinse con un impeto apparentemente ingiustificato, le mani guantate della donna.
Poi, lanciando un'occhiata carica di odio e di disappunto, domandò rivolta al visconte:
"Permettete che mi ritiri per qualche ora, marito mio?!"
Francesco, rimasto in disparte alla base della scalinata, rispose con tono serio e senza sfumatura alcuna:
"Ovvio, Adele, parlate come e quanto volete! Mi unirò a voi per prendere del the o del caffè. Quale bevanda preferite, Angelica?"
La donna chiamata in causa annuì sentendosi in imbarazzo, perché aveva percepito una nota di ironia sardonica nelle parole scambiate tra i due coniugi, tuttavia, non sapendo a cosa era da attribuire quella vaga sensazione, non poté fare altro che rispondere:
"Per me é indifferente. Scegliete voi, Francesco ..."
"Molto bene! Vogliamo spostarci tutti in salotto, dunque? Nel frattempo che vi sistemate, andrò a chiamare una delle cameriere per farci portare qualche cosa di caldo e di stuzzichevole!"
L'uomo si allontanò in direzione della zona dei domestici, dal lato opposto del salotto, il rumore dei tacchi degli stivali neri sul pavimento di marmo.
Ad Adele quella strana premura le apparve inconsueta e non giustificata, perché non era assolutamente necessario che andasse di persona a richiedere del cibo e da bere, c'era il campanello apposta e ... alla giovane sposa non importava nulla del motivo per il quale le aveva lasciate lì da sole ma, sebbene solo per pochi minuti, ne avrebbe approfittato all'istante:
"Angelica, quanto ti fermerai?" cominciò a sapere la ragazza, legando un braccio attorno a quello di lei, e spostandosi verso la stanza designata per la merenda pochi istanti prima.
"Fino a domenica, ma se non ti senti bene, posso anche posticipare la partenza. Ti vedo strana, cosa sta succedendo?"
"Niente, ora non posso raccontati nulla, però appena saremo sole ti dirò ogni cosa!"
Le due donne presero posto su due delle quattro poltrone rivestite di velluto rosa, che circondavano il tavolino rotondo di ciliegio, lontane una decina di metri dal divanetto coordinato e dalla grande cristalleria ricca di argenteria.
I passi sicuri e leggermente accelerati degli stivali neri del visconte, calpestarono il parquet e l'ampio tappeto rosso e bianco all'entrata del salottino.
"Eccomi di ritorno! Saremo subito serviti con ottimi biscotti, the e caffè caldi!"
Angelica sorrise discretamente, controllando con la coda dell'occhio l'eventuale reazione della sorella, ma né un gesto né un'espressione del viso o una parola, tradirono la rabbia che Adele stava trattenendo egregiamente.
"Allora, avete fatto un buon viaggio?" esordì Francesco una volta seduto anche lui.
"Sì, grazie, il tempo per fortuna é stato clemente: era da tanto che non venivo a farvi visita, eppure la strada mi é sembrata inspiegabilmente corta!"
"Ecco che arriva la nostra cameriera!" la interruppe l’uomo, indicando la nuova venuta.
Una giovane sui ventitré anni entrò facendo un lieve inchino, poi posò il grande vassoio d'argento con due brocche, sul tavolino in mezzo all'ospite e ai padroni di casa.
Un'altra domestica – poco più grande d’età- fece capolino in perfetta sincronia con la prima, dopo che questa riprese il vassoio.
Una volta che anche la seconda ragazza compì il suo dovere, appoggiando il piatto con i biscotti, uscirono con un altro inchino, strette nelle loro divise nere con il grembiule bianco e la cuffietta inamidata, gli occhi chiari timidi ma scrutatori.
"Dicevamo?" riprese il visconte "ah, sì, di quanto il viaggio vi sia apparso breve! Forse é per il fatto che ci siamo incontrati da poco, al matrimonio di vostro fratello! A proposito, state tutti bene? I bambini e i vostri genitori sono in salute?"
Angelica sorrise, replicando entusiasta che sì, non si potevano lamentare, che la situazione era rimasta invariata da quando il cognato era ripartito due settimane prima, dopo appunto le nozze di Alberto.
Adele ebbe voglia di strozzare il marito, così pacifico e cortese, amichevole solo per farle un dispetto: cominciò a pregare che non andasse a rivangare la bugia che gli aveva propinato ormai un mese addietro quando, per andare all’incontro con Umberto, il primo dopo due anni di lontananza, gli aveva detto che invece sarebbe andata dalla sorella.
Quindi, per scongiurare l'inizio di quel discorso spiacevole, la giovane sposa deviò prontamente:
"Ho molte cose da chiederti, cara sorella, riguardo la gravidanza! Tu che hai avuto due figli, mi saprai certamente dare dei consigli!"
Adele si avvicinò con il busto verso di lei, un sorriso di circostanza stampato sul volto pallido.
"Mia moglie ha ragione, cara cognata! Saprete indirizzarla al meglio sulla crescita di nostro figlio o figlia che sarà! Prima di parlare di queste cose da donne, però, facciamo onore alla nostra eccellente cuoca e ai suoi biscotti che ha provvidenzialmente preparato, quasi sapesse della vostra visita! Prego, a voi l’onore di prendere il primo!”
 
 
Avevano terminato di cenare da poco più di mezz'ora, il fuoco nel camino a riscaldare quella fredda serata di aprile resa tale dal vento che si era alzato.
Francesco si era accomiatato dalle due donne per ritirarsi in camera da letto, non prima di aver sussurrato alla moglie un’inequivocabile invito:
"Vi aspetto di sopra. Per le due notti che vostra sorella si fermerà a palazzo, non vorrei farle nascere qualche dubbio riguardo la nostra felice vita coniugale"
Adele non lo guardò in faccia, ma si sentiva impotente sotto il soffio caldo dell'alito del marito, che penetrò fastidiosamente nell'orecchio come l'acqua salata del mare.
Una volta sole, nel salottino con gli specchi dorati e le poltrone di velluto rosa, la giovane sposa agguantò con improvvisa rapidità la mano di Angelica, invitandola a sedersi.
"Ho bisogno di parlarti" esordì la ragazza, accostando la massiccia porta di legno decorato con grandi rose rosse.
"È da quando sono arrivata questo pomeriggio che ti vedo diversa! Che cosa ti è successo, Adele?!"
La giovane sposa si era appena seduta di fianco alla sorella, quando il viso scarno e pallido fu attraversato da un lampo di angoscia che la fece balzare in piedi.
"Ma dove stai andando?!" la sollecitò Angelica, le sopracciglia aggrottate nel volto allungato e contornato dai ricci castani raccolti sul capo.
"Forse è meglio riaprire la porta! Così potremo capire se lui ci sta spiando e, se necessario, cambiare discorso per non insospettirlo!" le spiegò a bassa voce.
"Chi, Adele?! Di chi e di cosa stai parlando?! Tu sei impazzita, stai vaneggiando!"
La sorella minore non si lasciò scomporre dalle parole dell'altra donna, anzi, tornò a sedersi composta e sorridente come un attimo prima.
"Molto bene! Ora possiamo parlare, cara Angelica!" esordì nuovamente la giovane sposa, stringendo le mani dell’altra.
"Esigo una spiegazione, Adele!" rispose lei, ritraendole all’istante.
"Hai ragione, adesso ti spiegherò ogni cosa, però promettimi che mi aiuterai, che mi ascolterai e non mi giudicherai! Promettimelo … giuramelo, per favore!"
"Avrai il mio aiuto solo se è necessario. Questo tuo comportamento bizzarro potrebbe nuocere al figlio che aspetti! Devi essere più riguardevole e non agitarti per nulla!"
L'alta figura florida della sorella, avvolta in un elegante ma non troppo ricercato tubino blu notte di velluto con una fascia nera dello stesso tessuto ad esaltare le forme generose del seno, strinse a sua volta le mani fredde di Adele che, un sorriso maniacale a incurvarle le labbra, rispose:
"Tutti che parlate e vi preoccupate di questo maledetto bambino, di questo essere che porto in grembo! Non capisci che di lui non mi importa nulla?! Che non lo amo, che lo vorrei vedere morto, marcire nella terra fredda e profonda, finalmente lontano da me?!"
"Dio mio, ma come fai a parlare in questo modo di tuo figlio?!"
Nel volto impallidito di Angelica, l'orrore prese il sopravvento sull'incredulità.
"Ma non sto parlando del bambino! Sto parlando di quel maledetto di mio marito!" spiegò Adele, come se fosse la cosa più evidente ed ovvia del mondo.
"Io lo odio, mi tiene segregata qui dentro” continuò ancora più accalorata, gettando occhiate ansiose verso la porta  “non mi permette di passeggiare neppure in giardino, se non è lui ad accompagnarmi! Capisci adesso perché ho bisogno del tuo aiuto? Lui vuole portarmi via il bambino se nascerà maschio, mentre se sarà femmina ha detto che me la lascerà crescere solo per vederla svergognare davanti a tutti, a causa mia, perché sono una moglie fedifraga!"
"Adele, ti prego calmati! Non stai ragionando! Forse ti ha fatto male qualche cosa che hai mangiato! Vieni, ora ti accompagno da tuo marito, nella vostra camera, così potrai fare un buon sonno e riposarti dalle fatiche di oggi!"
La donna fece per alzarsi e invitare la giovane sposa a fare lo stesso quando, la sorella più piccola, stizzita e rossa in volto, allontanò malamente la sua mano dal suo braccio.
"No, Angelica, no!” urlò.
Poi, terrorizzata che l’aguzzino potesse sentirla, proseguì con voce fremente ma bassa:
“Non ti sto raccontando tutto questo per farmi trattare come una pazza inferma! Ascoltami, prima di giudicarmi! Devi credermi: Francesco è un mostro, lui vuole solo distruggermi e farmi del male! Ti supplico, siediti, ho bisogno del tuo aiuto!"
L'altra donna fece come le era stato chiesto e, scuotendo il capo, domandò:
"Perché mi stai dicendo queste cose ... orribili? Perché tuo marito vuole impedirti di crescere vostro figlio se sarà un maschio? E perché ti ha definito una fedifraga?! Adele, sono accuse gravissime, te ne rendi conto?!"
La giovane sposa sospirò profondamente, mordendosi le labbra per cercare di non lasciare spazio alle lacrime che temeva sarebbero prontamente scese dai suoi occhi incavati e stanchi.
"Non ti ho mentito, Angelica, ti giuro che ogni parola che ti ho appena raccontato corrisponde alla verità! Mio marito mi tiene segregata qui a palazzo, e ha detto che continuerà a farlo fino alla nascita del bambino o bambina che sia! E tutto questo perché io gli ho scioccamente confessato di amare un altro, di essere ancora innamorata di Umberto!"
Lo stupore e l'incredulità tramutarono il volto nuovamente attento della sorella più grande.
"Umberto? Ma lui è in convento!" cercò di farla ragionare, la voce materna e comprensiva, certa che tutto quello fosse solamente il delirio di una donna spaventata per l’imminente maternità.
Adele sorrise beffardamente, e prese a raccontare l'intera vicenda con lo stesso trasporto con cui l'aveva narrata a Nina, la sua balia, appena dieci giorni prima.
"Non riesco a crederci ... tu sei impazzita, hai dalla tua solo questa scusante, se così si può definire! Io ti chiedo una cosa, Adele: dimenticalo, fallo per te e per il bambino che hai in grembo! Tuo marito sarà sicuramente comprensivo, ti perdonerà e quell'orribile affermazione che ha fatto su vostro figlio, rimarrà un lontano ricordo! Fidati di me, io ti voglio bene e desidero solo la tua felicità!"
"Anch’io ti chiedo solo una cosa, Angelica, solo una! Poi farò come mi hai appena chiesto!"
Uno sguardo compassionevole si fermò negli occhi color ambra della donna che, rassegnata, accondiscese ad ascoltarla:
"Se mi prometti che metterai in atto i miei consigli, farò qualsiasi cosa tu mi chiederai, Adele ..."
Un sorriso colmo di riconoscenza accompagnò il rossore sulle guance della giovane sposa, mentre accompagnava le sue parole con una forte stretta di mano su quella chiusa a pugno della sorella.
"Domani mattina vorrei andare a fare un giro al mercato, giù al paese. Se mi accompagnerai, Francesco non avrà nulla da ridire. Lo farai?"
Le parole caratterizzate dal tono implorante della giovane, sortirono il loro effetto tanto sperato.
"Va bene, ti porterò al mercato. Sono sicura che ti farà bene! Ora però andiamo a dormire, si è fatto tardi!"
"Non puoi nemmeno immaginare che toccasana rappresenterà per me! Finalmente potrò rivedere la signorina Felicita! La mia prigionia si sta avviando al termine!"
Il vento continuava a soffiare con foga, picchiando con forza incomprensibile sui vetri del salottino: la ragazza si voltò verso la finestra e rabbrividì, mentre si arrese a salire le scale, fiduciosa che quella sarebbe stata una delle ultime volte in cui avrebbe compiuto quel gesto.
 
 
 
NOTA DELL’AUTRICE:
 
Ciao a tutti! Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Abbiamo conosciuto un po’ di più Angelica, la sorella maggiore di Adele, alla quale avevo fatto un accenno per il matrimonio di Alberto.
E’ una donna molto diversa dalla nostra protagonista: dedita alla famiglia, ai figli e al marito (Filippo, il giovane medico che, nel capitolo precedente, aveva confermato la gravidanza di Adele), insomma una perfetta padrona di casa, madre e moglie.
Anche lei non appoggia la sorella, sebbene questa non le abbia rivelato nulla a proposito del suo piano di fuga: cosa succederà il giorno dopo al mercato? Riusciranno ad andarci? Francesco le seguirà? La signorina Felicita vorrà aiutare Adele?
Vi lascio con questi interrogativi!
Grazie a tutti i fantastici lettori e recensori, a chi ha inserito la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite: non vi nomino ad uno ad uno, ma vi ringrazio ad uno ad uno!!!
A presto!
 

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Capitolo 19
*** Il fattorino prestigiatore ***


Il giorno successivo a colazione, tra panetti di burro, biscotti allo zenzero, latte caldo e cacao, Angelica, girando per la decima volta il cucchiaino in argento nella tazzina ormai vuota, guardò di sottecchi la sorella e prese la parola:
"Questa mattina Adele ed io vorremmo andare a fare un giro al mercato"
"Con questo tempo?" ribatté il visconte, dando un'occhiata distratta in direzione della finestra, mentre sorseggiava l'abituale dose di caffè mattutino.
Effettivamente fuori, nonostante avesse fatto chiaro già da un paio di ore, il sole sembrava aver preso una vacanza, soppiantato da una pioggia ostile che aveva cominciato a scendere la notte, dopo la tregua inaspettata della bufera di vento della sera precedente.
"Non ci bagneremo, se è questo che vi preoccupa. Anzi, vi prometto che torneremo per pranzo" s'intromise prontamente la giovane sposa, il tono di voce incurante, ma negli occhi un lampo di sfida rivolto a Francesco.
"Se é così, allora avete il mio permesso!" accondiscese l’uomo, pulendosi la bocca con il tovagliolo color crema e addentando una fetta di pane tostato spalmato con confettura ai frutti di bosco.
Non riusciva a negare alcuna richiesta, capriccio o necessità che fosse alla moglie, tuttavia non era pienamente convinto del benestare che aveva appena concesso.
“Volete che vi accompagni?” propose infatti dopo una manciata di secondi di silenzio.
I capelli corvini dell’uomo, ordinatamente pettinati all’indietro, rendevano appieno giustizia al suo bel volto leggermente squadrato e glabro.
Agguantò con noncuranza la salvietta, appoggiandola sul completo di tweed verde scuro comprato in una sartoria di Firenze.
La giovane sposa deglutì a fatica il biscotto che stava gustando, felice al pensiero dell’imminente libertà che l'aspettava di lì a poco, mentre sentiva accelerare i battiti del cuore. Lanciò un’occhiata disperata alla sorella che, incrociando il suo sguardo, rispose con fermezza:
“Non è necessario, caro cognato. Sarà una semplice passeggiata in un posto altrettanto semplice: e poi avete sentito cosa ha detto vostra moglie? Per pranzo saremo a casa, non sentirete la sua mancanza per più di due ore!”
L’uomo sorriso discretamente: quasi provava pena per quell’arringa così mal costruita, tanto da farsi quasi convincere, eppure non poteva trascurare il fatto che l’amata consorte fosse in dolce attesa, e che i primi mesi erano notoriamente i più delicati.
“Siete molto generosa a prendere le parti di vostra sorella, Angelica, tuttavia stavo riflettendo sul fatto che forse non è una bella idea: Adele è all’inizio della sua prima gravidanza, gli scossoni della carrozza e questo orribile tempo potrebbero danneggiarla più che giovarla. Non potete rimandare a domattina, nella speranza che smetta di piovere?”
“No!” rispose a voce troppo alta la giovane sposa  “è mio espresso desiderio recarmi al mercato, caro marito! E il mercato c’è solo il venerdì, ovvero oggi. Mia sorella ci lascerà domenica e, come ben sapete, dopo la sua partenza non avrò più alcuna possibilità di andare in paese!”
La bocca sottile dell’uomo si contorse in una quasi impercettibile smorfia di disappunto:
Touché, mi arrendo. Ma promettetemi che, se dovesse continuare a diluviare, tornerete subito a casa! Dirò al signor Caccia di non perdervi di vista e, ovviamente, non dimenticate gli ombrelli. Ci vediamo a pranzo, cara cognata”
Francesco, riappoggiando il tovagliolo color crema sulla tovaglia bianca, si alzò compostamente dalla sedia e si avvicinò alla moglie: abbassò il volto per stamparle un casto bacio su una guancia e, un mezzo sorriso sornione, la salutò dicendole:
“A più tardi, mia adorata”
 

La pioggia scendeva veloce, facendo schizzare la fanghiglia appiccicosa e liquida ai lati dei molli argini della strada, dove le ruote della carrozza passavano a fatica.
Adele e Angelica guardavano fuori dai finestrini della vettura, ognuna riflettendo sullo stesso argomento di cui avevano discusso la sera precedente: Umberto.
La sorella maggiore era fermamente convinta che la più piccola – la quale non riusciva a distogliere il pensiero dagli abbracci e dai baci scambiati con l’innamorato- fosse ormai impazzita, perché nessuna donna con un briciolo di sale in zucca le avrebbe parlato con quella lucida irrazionalità con cui Adele l'aveva messa al corrente dello strano rapporto che la legava contemporaneamente a Francesco e ad Umberto.
"Non riesco a credere che mio cognato possa aver detto quelle orribili cose sulla nascita di loro figlio. Ma devo ammettere che, se così fosse, non potrei dargli completamente torto! Ha avuto le sue ottime ragioni! Insomma, sua moglie gli ha confessato di averlo tradito e ..."
"Angelica" la voce timida della sorella riscosse la donna dalle sue riflessioni  “volevo ringraziarti. Finalmente potrò trascorrere un po’ di tempo fuori da quel maledetto palazzo!"
"Ricordati le mie parole, Adele”  ribatté seriamente l’altra, non ricambiando il sorriso di fiducia “ ho promesso che oggi ti avrei accompagnata solo se tu fossi tornata sui tuoi passi. E così dovrai fare, altrimenti non avrai più il mio sostegno e, soprattutto, non riuscirei mai più a fidarmi di te!"
"Sì, questo lo so” rispose quasi sbuffando la ragazza, riprendendo a guardare fuori dal finestrino, offuscato per la caligine e le gocce che battevano fitte sui vetri “me lo hai già detto ieri sera, non preoccuparti”
“Io non mi preoccupo, ma tu non dimenticare il patto che abbiamo fatto! Io mi fido di te …” sentenziò la sorella maggiore, distendendo pieghe invisibili dalla lunga gonna color malva.
La più giovane annuì svogliatamente, sistemandosi la pochette sul grembo, avvolto da un pesante abito di mussola color cobalto.
“Guarda, siamo arrivate!" esclamò con troppo entusiasmo per non essere notato, apprestandosi ad aprire lo sportello della vettura.
La carrozza si fermò nello spiazzo delle diligenze, a un centinaio di metri dalle bancarelle del mercato.
Le due donne scesero dal predellino, i cappucci delle mantelle da viaggio calati sui ricci castani ordinatamente raccolti in uno chignon.
Angelica e Adele si fecero reggere l'ampio e nero ombrello dal cocchiere, mentre aprivano gli altri due per proteggersi dalla pioggia, prestando attenzione a non posare i loro stivaletti nelle ampie pozzanghere che le separavano dalla meta.
La giovane sposa guardò davanti a lei, nella speranza di riconoscere subito il banco di stoffe della signorina Felicita.
Erano ormai due anni che non la incontrava, ma per fortuna aveva avuto conferma dalla balia che la sarta esponeva ancora le sue creazioni e i tessuti migliori del capoluogo anche lì al mercato, ogni venerdì mattina.
"Adele, aspettami!" la riportò alla realtà la sorella, indietro di una decina di passi.
"Scusami, è che ho talmente tanta voglia di uscire, di guardarmi in giro, che per un attimo mi sono dimenticata della tua presenza!"
La ragazza si fermò per dare modo ad Angelica di raggiungerla, mentre con un occhio continuava a guardare in direzione della piazza semi vuota per la pioggia battente.
"Cosa vuoi vedere di così tanto urgente? Prima, a colazione, tuo marito non aveva tutti i torti: non dovresti uscire con questo tempo! Spero tu non voglia comprare nulla, almeno qui. E poi non ci sarà sicuramente niente che vada bene per una giovane nobildonna come te … "
"Invece sì, cara sorella! Desidero dare un'occhiata alla bancarella della signorina Felicita. Ti ricordi di lei?"
L'altra annuì, mentre uno sguardo incredulo misto a divertimento si dipinse sul suo volto:
"Certo, come potrei scordarmi? Come sarta è veramente capace, non lo metto in dubbio, ma è una donna poco raccomandabile! Perché non andiamo in uno dei negozi della via principale? Sono più eleganti e consoni per noi … "
“Ancora con queste idee antiquate sull’apparenza!”
Adele lasciò senza esitare l'intreccio di braccia che aveva creato con la sorella, quando lei l'aveva raggiunta poco prima.
Era perfettamente consapevole e certa che Angelica non si sarebbe mai abbassata a passeggiare per la piazza del mercato, alla ricerca di una merce che avrebbe potuto trovare –a suo dire- migliore in qualche negozio di alta moda.
"Ogni cosa sta procedendo come mi sono immaginata" rifletté Adele che, ad alta voce, sancì:
"Facciamo così: tu vai pure a farti un giro, io mi fermerò qui e ne approfitterò per dare un'occhiata alle stoffe della signorina Felicita. Ci ritroviamo al Cafè della piazza tra mezz'ora, va bene?"
Angelica annuì controvoglia e, stringendole sbrigativamente le mani, si allontanò nella direzione concordata.
La giovane sposa si voltò per vedere se il cocchiere era ancora al suo posto, seduto in carrozza come gli aveva ordinato.
Dopo aver appurato che l'uomo non la stava guardando minimamente, Adele affrettò il passo in direzione delle prime bancarelle, l'ampio ombrello nero a coprirle il capo già protetto dal cappuccio della mantella.
Per fortuna non c'era molta gente, sicuramente poco attratta ad uscire a causa di quel tempo decisamente uggioso e cupo.
La ragazza diede un'occhiata verso il posto che ricordava occupato dal banco della sarta e, come una bambina che non vede l'ora di mangiare la fetta di torta a lungo desiderata, finalmente la vide.
La donna che era sicura avrebbe rappresentato la sua salvezza, si trovava dietro lo stesso pezzo di legno e metallo elegantemente rivestito da rotoli di pregiate stoffe colorate.
Adele notò che stava parlando con un’elegante signora di mezza età, quindi decise di aspettare che finisse per poi avvicinarsi.
"Buongiorno" esordì emozionata la giovane sposa, un paio di minuti dopo.
La signorina Felicita, intenta a riavvolgere i campioni di stoffa che aveva finito di esporre alla cliente con cui aveva appena concluso una vendita, alzò lo sguardo.
Il viso allungato e magro, estremamente truccato per i canoni dell’epoca e dal mento leggermente appuntito, si aprì in un ampio sorriso:
"Ah, eccola la signora viscontessa! Come state?"
"Non molto bene, in realtà ..."  Adele era piacevolmente sorpresa che la sarta si ricordasse ancora così perfettamente di lei, tuttavia non aveva tempo per i convenevoli, quindi optò per andare subito al dunque.
"Oh, vi sentirete meravigliosamente bene non appena vedrete una di queste pregiatissime stoffe! Sono appena arrivate dalle vecchie e care Fiandre!"    
"Non sono qui per acquistare nulla, signorina Felicita. Sono qui perché ho bisogno del vostro aiuto"
Gli occhi allungati e azzurri della donna si chiusero in due fessure, come fossero lo specchio di una mente che sta cercando di trovare una soluzione ad un quesito piuttosto complicato.
"Il mio aiuto? Guardatevi intorno, cara signora! Questo posto non è un’opera del Mutuo Soccorso!” la informò la sarta con una punta di risentimento, gesticolando alla stregua di un’illusionista davanti al suo pubblico:
“Però, se potrò esservi d'aiuto, lo farò ben volentieri! Basta che non mi chiediate di realizzare uno di quei deliziosi corredini per il vostro erede – a proposito, ne avete già qualcuno?- perché purtroppo, attualmente, non tratto il genere!” concluse amareggiata la signorina Felicita, riponendo in uno scomparto del bancone il campione di stoffa arrotolato.
“N-no, non sono qui per chiedervi …”
 “Ah, molto bene!” sospirò sollevata la sarta “ e poi dopo quel meraviglioso abito che ho cucito per le vostre nozze – quanto tempo è passato? Tre anni? No, due mi sembra- siete una delle clienti che ricordo con maggiore affetto!"
"Grazie” rispose imbarazzata la giovane sposa, al contempo divertita dall’eccentricità per nulla mutata della sarta.
Era impossibile attribuirle un’età precisa: poteva avere trent’anni come cinquanta o addirittura di più, grazie al volto sempre aperto al sorriso e all'espressione naturalmente ironica.
“Mi fa veramente piacere che siate disposta ad offrirmi il vostro aiuto!” continuò Adele, prima che le venisse meno quel poco di coraggio che l’aveva spinta ad affrontare l’eventuale rifiuto del marito e la pioggia di inizio aprile  “quindi vi dico subito perché sono arrivata ad importunarvi: ecco, io sono qui perché ho bisogno di un lavoro … ".
I capelli corti e incredibilmente biondi della donna ebbero un impercettibile moto di stizza:
"Un lavoro? Avete voglia di scherzare? Con tutto il rispetto, cara la mia viscontessa, io sono qui per lavorare, non voi!"
"Lo so, per questo vi sto chiedendo di trovarne uno anche per me! Mi accontento di qualsiasi cosa” si affrettò a spiegare la ragazza “potrei cucire o ricamare! O magari prendere le misure delle clienti! Sono disposta anche a consegnare gli abiti, tutto quello che volete, basta che mi prendiate a lavorare per voi!"
Un’espressione seria si fece improvvisamente largo negli occhi vispi della sarta che, ragionando ad alta voce, considerò:
"Il fattorino ce l'ho già, mia cara. Però devo ammettere che due mani in più per aggiustare gli abiti non le disdegnerei affatto! Prima ditemi una cosa: quanto volete che vi paghi?"
Alla quantificazione in denaro del suo eventuale lavoro, Adele non aveva per nulla pensato.
Quella domanda la colse impreparata, così rispose in maniera titubante un timido "non lo so" poi, più sicura, aggiunse:
"Qualsiasi cifra deciderete di pattuire, per me andrà bene, signorina Felicita. L'importante è che paghiate con puntualità il lavoro che mi chiederete di fare. E che non mi prendiate in giro, ovviamente, perché ho davvero bisogno di un lavoro, credetemi"
La donna davanti a lei abbozzò un sorriso divertito, ridiventando subito dopo seria:
"Va bene. Se è quello che volete, potete contare su di me. Presentatevi qui tra una settimana alla stessa ora: avrò qualche sottogonna da farvi ricamare. Ora scusatemi, ma il lavoro non può attendere oltre!"
Stava già abbassando lo sguardo sulle stoffe che doveva impellentemente finire di sistemare quando, la mano di Adele, bloccò il suo braccio destro:
"Aspettate un minuto, devo chiedervi un altro favore. Vi assicuro che sarà l'ultimo ... ”
La giovane sposa si affrettò ad aprire la pochette che stava tenendo nervosamente tra i palmi guantati, nel dubbio opprimente che la donna potesse cambiare idea: tirò fuori una busta bianca, leggermente piegata ai bordi per la posizione obbligata a cui era stata sottoposta, e la porse tremante alla sarta:
“Dovreste consegnare questa lettera a Maria la stiratrice. Vive a Lagoverde, nella casa vicino al querceto"
"Per chi mi avete preso, cara la mia viscontessa? Per una benefattrice che nel tempo libero fa anche da ufficio postale?!” la signorina Felicita, le mani sui fianchi fasciati da un vestito che definire arcobaleno era a dir poco riduttivo, continuò con voce a metà tra il divertito e il preoccupato:
“Avete mai sentito parlare di quel proverbio che recita che a certe persone si dà un dito e loro si prendono tutto il braccio?! Ebbene, voi mi sembra che lo stiate perfettamente mettendo in pratica!"
Di nuovo l’imbarazzo e un briciolo di senso di colpa s’impadronirono della giovane sposa, che cercò di ribattere con convinzione:
"Avete ragione, ma è veramente molto importante, signorina Felicita. Anzi, è di vitale importanza, e non sto scherzando! Vi pagherò, se me lo chiedete! Oppure, se preferite, potrete trattenere la mia prima paga ma, vi prego, fate avere la lettera a Maria! Ditele che è da parte di Adele e capirà!"
La sarta guardò la ragazza in modo dubbioso, indecisa se accettare l’insolita proposta oppure rifiutare.
"Non voglio denaro, e non sono nemmeno così sciocca da trattenervi un paio di monete per il lavoro che sono sicura svolgerete con puntualità: la consegnerò oggi stesso, dopo il mercato. Però poi non chiedetemi più favori, come fossi l’ultimo dei fattorini rimasti sulla Terrra! Insomma, sono pur sempre una signora, io!”
La ragazza sorrise con riconoscenza mentre, con mano sempre tremante, consegnava la lettera che aveva scritto la mattina presto per Umberto, prima di scendere a colazione: lo aveva messo al corrente che il marito la teneva segregata, ma lo aveva pregato di non fare assolutamente nulla, perché temeva una reazione spropositata da parte dell’uomo.
Lo consolava dicendogli che molto presto –si trattava sicuramente di giorni- l’avrebbe nuovamente raggiunto a Lagoverde.
“Ma per l’amor di Dio” concludeva Adele “ti ripeto di non prendere alcuna decisione affrettata, di non venire a liberarmi: adesso che ho dovuto confessare ogni cosa a causa dei suoi sospetti, temo con ragione che quel maledetto di mio marito possa farti del male! A presto, amore mio”
La giovane sposa, l’ampio ombrello nero a proteggerle il capo, si accomiatò con l’ennesimo grazie dalla signorina Felicita, dirigendosi con i piedi che si alzavano da terra per la gioia mal trattenuta, verso il Café della piazza principale, dove si sarebbe ricongiunta con Angelica per fare ritorno a palazzo.
Si voltò indietro ancora una volta, ritrovandosi a salutare con una mano la sarta ormai lontana, benedicendo mentalmente la generosità e la comprensione che non aveva ricevuto dalla sua famiglia.

NOTA DELL’AUTRICE:
 
Ciao a tutti! Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
Le cose per Adele sembrano finalmente girare per il verso giusto: la signorina Felicita è disposta ad aiutarla, assecondando la sua richiesta di ottenere un lavoro!
Nessuno sospetta nulla, né Francesco né Angelica!
Nel frattempo la nostra tormentata protagonista ha scritto una lettera ad Umberto per avvisarlo della sua prigionia,: si rivelerà una scelta avventata oppure no? Il suo innamorato farà qualche pazzia per andare a salvarla? Adele riuscirà a fuggire una volta per tutte da palazzo?!
Vi lascio con questi “dubbi esistenziali”!
Ringrazio tutti quelli che leggono e recensiscono, e chi ha inserito la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite!
Grazie di cuore!!!
A presto J

 

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Capitolo 20
*** La fuga ***


La domenica dopo pranzo, Adele e il signor Caccia, il cocchiere, erano pronti per accompagnare Angelica in paese, a prendere la diligenza che l’avrebbe riportata dal marito e dai figli.
Francesco si era scusato con la cognata per non poterla scortare di persona, ma doveva assolutamente sbrigare un paio di faccende con il fattore di una delle tenute lì vicino, “ne va del raccolto”, si era giustificato l’uomo, ormai pronto sulla soglia del palazzo, elegantemente avvolto in un completo color terracotta.
Aveva smesso di piovere dall’alba, ma il terreno era ancora imbevuto delle migliaia di gocce che erano cadute per il tutto il giorno precedente, inzuppando le distese di erba e prati coltivati.
Nel cielo, il sole appariva e scompariva, nascosto da grandi nubi solo all’apparenza minacciose.
Le due donne uscirono una mezz’ora dopo il visconte: sembrava che andassero al patibolo, tanto l’espressione disegnata sui loro volti era tesa e funerea.
Non sprecarono parole durante il tragitto di quattro chilometri che le separava dal palazzo al paese, come ipnotizzate dal lento dondolio delle ruote della carrozza, che più di una volta rimase impantanata appena oltre la fine dei campi, dove la campagna coltivata lasciava spazio al terreno brullo.
La voce ferma e severa del signor Caccia che, le redini salde in mano, ordinava ai cavalli da tiro –due magnifici bai bianchi e grigi- di rallentare il passo fino a fermarsi, riscosse dall’apatia Adele e la sorella, torpore in cui, senza alcun apparente motivo, erano cadute.
In realtà, entrambe erano preoccupate l’una per l’altra: la giovane sposa, infatti, temeva che Angelica potesse tradirla con i genitori, raccontando loro del suo amore –per nulla spento- nei confronti di Umberto.
L’altra, invece, non riusciva a togliersi dalla mente l’incontro a cui aveva assistito la mattina di venerdì, due giorni prima, quando Adele aveva insistito per soffermarsi a vedere il banco della signorina Felicita.
Altro che stoffe” aveva commentato tra sé e sé la donna, mentre –rifugiata dietro un pilastro dei portici della piazza principale- spiava la sorella più piccola, come se presagisse che questa le stesse nascondendo qualcosa.
Per tutto il tempo che hanno parlato, la sarta non le ha mostrato nemmeno un misero lembo di tessuto! Che cosa avranno avuto da discutere?!”.
Eppure, la domanda che vorticava continua nella mente di Angelica, era destinata a non trovare risposta, perché ella non riusciva a trovare il coraggio necessario per chiedere delucidazioni ad Adele.
“Siamo arrivate” annunciò con tono incolore la giovane sposa.
Il cocchiere aiutò le due donne a scendere dalla carrozza, lasciando poi che s’incamminassero in direzione della prima diligenza libera, a un centinaio di passi da loro.
“Mi ha fatto molto piacere trascorrere questi giorni insieme a te …” la mano destra guantata di Angelica accarezzò con delicatezza il volto pallido e smagrito della sorella.
“Anche a me. E adesso che stai per partire, sentirò ancora di più la tua mancanza”
La ragazza non attese oltre per rifugiarsi tra le braccia dell’altra donna, l’abito da viaggio color turchese avvolto dalla mantella nera.
Adele respirò profondamente il profumo dei capelli ricci della sorella, raccolti in modo da lasciar fuoriuscire dall’acconciatura un paio di boccoli per parte.
“Vorrei tanto partire con te …” si lasciò scappare la giovane sposa, rimanendo ancora avvinghiata al collo di Angelica.
“Tu ce l’hai già una casa, così come un marito che ti ama e ti rispetta” le rispose testarda l’altra donna, allontanandola da sé “e presto avrai anche un figlio di cui prenderti cura! Non c’è nulla che ti manchi, tesoro” concluse dolcemente.
“Mi manca tutto, invece, perché mi hanno tolto ogni cosa” gli occhi color ambra, troppo grandi in quel viso smagrito, si abbassarono all’istante, timorosi di rivelare le lacrime che stavano cominciando a scendere imprevidenti.
“Adele, ti prego, ricordati quello che mi hai promesso!” la sorella alzò il viso della giovane sposa e, uno sguardo di tristezza misto a disapprovazione, continuò:
“Se ti lascerò in questo stato, non mi farai andare via tranquilla, lo capisci? Te lo ripeto: dimenticati di Umberto, scordati del passato, vivi il presente e, soprattutto, il futuro gioioso che ti attende! Per favore, Adele, dammi retta … ”
La ragazza annuì automaticamente: il tono interrogativo della donna di fronte a lei, era quello di una madre che invitava la figlia a non porsi troppi dubbi, ma a lasciare che fossero gli altri a decidere e a consigliarle.
“Va bene, va bene, Angelica” la accontentò con un sorriso tirato la più giovane  “adesso affrettati, però: la diligenza è ormai piena. Abbraccia tuo marito e i bambini da parte mia! Ti scriverò molto presto, non temere!”
Le due donne si strinsero nuovamente, poi la sorella più grande baciò entrambe le guance di Adele, le strinse le mani nude nelle sue guantate e, finalmente, si arrampicò sulla carrozza, nello stesso istante in cui il cocchiere del visconte - che le aveva seguite a una decina di passi di distanza- caricò il bagaglio.
Un tuono in lontananza spezzò il vociare continuo e indistinto delle persone lì raccolte.
La giovane sposa guardò verso il cielo, poi attese che la vettura lasciasse la piazza, il rumore delle ruote e degli zoccoli dei cavalli che le rimbombava nella testa, negli occhi il sorriso incerto di Angelica.


“Caccia, per favore, fermatevi un momento”
“Ma signora! Non vedete che il tempo sta di nuovo cambiando?! Il vento si sta alzando e …”
“Sì, lo so! Ci sento e ci vedo anche io, ma vi ho appena detto di fermarvi! Solo un attimo, vi prego …” invocò la donna, cercando di addolcire il tono perentorio.
L’uomo scosse impercettibilmente il capo: dove avrebbe potuto arrestare la carrozza senza essere d’impiccio alle altre eventuali che sarebbero passate?
Quella strada era sufficientemente ampia per due vetture,  tuttavia, se bloccava il mezzo, rischiava che l’altra non riuscisse a proseguire, tanto più che tutto attorno c’erano solo campi, nessun percorso alternativo su cui fare affidamento.
Nonostante la totale disapprovazione, il cocchiere obbedì all’inspiegabile richiesta della padrona, pregando in cuor suo di riprendere al più presto il viaggio verso il palazzo.

 

Adele aveva contato fino a cinquanta prima di prendere quella decisione, sicuramente temeraria e forse un po’ folle, ma assolutamente necessaria se non voleva rischiare d’impazzire completamente.
Devo solo trovare il modo per far allontanare questo burattino! Poi, quando lui si sarà distratto, fuggirò e potrò raggiungere il mio Umberto!”
Stava pensando al modo in cui avrebbe potuto compiere al meglio il piano, quando l’uomo le rivolse nuovamente la parola, la carrozza appena fermata sul lato apparentemente più largo e stabile della strada:
“Signora, scusate se insisto, ma non è meglio proseguire verso casa? Se non vi sentite bene, prima arriveremo e prima potrete riposarvi”
“Ho la testa che mi gira leggermente, Caccia. Vi prego di non continuare a disobbedire alle mie richieste, altrimenti dovrò farne parola con mio marito!” cercò di spaventarlo lei.
Poi, abbassando gli occhi, proseguì con tono lievemente allarmante:
“Credo di dover rimettere. Per favore, aiutatemi a scendere … ”
Il cocchiere non se lo fece ripetere due volte e, la divisa nera in contrasto con i folti e ricci capelli più bianchi che grigi, aiutò la padrona a raggiungere il selciato di terra battuta.
“Volete che vada a chiedere aiuto?” domandò preoccupato l’uomo, rendendosi conto dell’inutilità della proposta: lì non c’era nessuna presenza umana a cui rivolgersi.
“No, non è necessario. Mi allontano solo di qualche passo, nel caso dovessi ... sì, insomma, avete capito. Voi aspettatemi qui, così se avrò bisogno, vi chiamerò e potrete sentirmi senza difficoltà …”
Il signor Caccia annuì poco convinto, un’espressione di smarrimento e preoccupazione sul volto leggermente paffuto.
Adele si avviò nel senso in cui era appena arrivata con la carrozza, voltandosi ogni due passi per spiare che il cocchiere non si accorgesse del suo allontanamento che, metro dopo metro, diventava sempre più considerevole.
Si tirò su la gonna verde scuro affinché non inciampasse, e cominciò a contare fino a dieci: terminata la conta, la giovane sposa prese a correre con tutte le forze che le erano rimaste, dimenticandosi di accertarsi che l’uomo dietro di lei non la inseguisse a sua volta.
I campi in parte coltivati e in parte invasi da erbacce, la proteggevano da occhi indiscreti, quasi sembrava la volessero ingoiare e inglobare a loro.
Quando mi verrà a cercare, penserà che sono svenuta da qualche parte, e che l’erba copra il mio corpo! Non penserà minimamente ad un mio allontanamento volontario, così perderà altro tempo ed io avrò già raggiunto la casa di Maria!”
Il sole stava nuovamente scomparendo, mentre il rumore dei tuoni si rifece sentire come una ventina di minuti prima in paese: Adele pregò di arrivare sana e salva alla meta tanto agognata, tutto il resto non le sarebbe importato mai più.


Dopo dieci minuti che le parvero giorni, la ragazza raggiunse l’agglomerato di case al confine con il querceto, dove il fiume finiva di scorrere per tuffarsi nel lago in lontananza.
Si fermò per riprendere fiato, le mani appoggiate ai fianchi: una fitta insistente le colpì il ventre, facendola piegare più per il fastidio che per il dolore.
Ancora una decina di passi e sarebbe stata finalmente salva.
Bussò alla porta di legno, proprio come aveva fatto per la prima volta quasi un mese addietro, speranzosa e timoroso allo stesso tempo.
Dio mio, fa che ci sia qualcuno in casa, ti prego!”
Finalmente, alla quarta noccata, l’ingresso si aprì lentamente, rivelando la figura ormai familiare di Maria.
La donna, decisamente anziana ma dall’età non precisabile, indossava un abito liso color bordeaux. Aveva i capelli candidi come i fiocchi di neve appena depositati sul terreno, gli occhi cerulei, la bocca dalle labbra sottili rimarcate dalle grinze del tempo, così come le mani rugose e dalle vene in rilievo.
Subito il volto le s’illuminò e, stringendo le mani della nuova venuta, esclamò:
“Oh, Adele, cara ragazza! Cosa ci fate qui?”
“Fatemi entrare, Maria. E’ molto importante, per favore”
L’altra annuì convinta, continuando a sorridere entusiasta:
“Umberto non c’è: è andato a vendere le bottiglie di latte che ha munto stamattina! Ma non preoccupatevi, tra poco sarà di ritorno!”
“Posso sedermi?” domandò stanca e spaventata la giovane.
“Certo! Che domande fate! Vi posso offrire qualche cosa?”
Adele scosse il capo sovrappensiero: una volta seduta su una delle quattro sedie attorno al semplice tavolo di legno grezzo, si prese il volto fra le mani e respirò a fondo.
“Vi sentite bene, cara?” Maria le si avvicinò, preoccupata, cingendole le spalle con fare materno.
“Ho bisogno di voi” cambiò discorso la ragazza, guardando in volto la donna ancora in piedi di fianco a lei  “è una questione di vitale importanza!”
“Parlate, sapete bene che potete fidarvi di me!” ribatté l’altra, mentre si sedeva anche lei, un’espressione sempre più tormentata sul viso povero di rughe,.
“Dovete permettermi di stare qui! Sono scappata da mio marito e non intendo cambiare idea. Vi chiedo solamente di ospitare anche me, oltre ad Umberto, almeno fino a quando avremo abbastanza denaro da potercene andare! Ovviamente farò qualsiasi cosa per rendermi utile! Cucinerò, vi aiuterò a stirare, a rammendare! Voi ditemi, Maria, e io obbedirò!”
“Oh mia cara!” riprese la donna più anziana, posando le mani rugose su quelle fredde di Adele.
“Io non ho problemi ad ospitarvi! E poi, impiegarvi in qualche compito, è l’ultimo dei vostri problemi, adesso! Però, siete sicura che sia la scelta giusta? Voglio dire, sbaglio o non avete portato con voi neppure un bagaglio?”
“L’unica cosa che desidero, che ho sempre desiderato, è vivere con Umberto!” la interruppe l’altra, mordendosi le labbra carnose  “tutto il resto non m’interessa, non mi è mai importato! Né il lusso, né i bei vestiti, né la servitù e i gioielli: nulla! Per questo sono venuta solamente con ciò che indosso!”
Il cigolio della porta annunciò l’arrivo dell’uomo per cui la giovane stava rischiando la sua intera esistenza.
“Adele!” esclamò stupito il ragazzo, non appena realizzò con chi era seduta Maria.
“Oh Umberto, finalmente!” lo salutò lei, piombandogli addosso e affondando il viso pallido e smagrito nell’incavo della spalla.
I bei capelli corvini erano leggermente scarmigliati, ma gli occhi grigioverdi erano sempre gli stessi, attenti e luminosi.
Il maglione nero odorava di stalla, e i pantaloni mattone scuro -così come gli scarponcini marroni- riportavano le tracce della sua mattinata tra vacche e pecore.
“Cosa ci fai qui?!” domandò il giovane, stringendola forte.
“Sono venuta per rimanere, amore! Ho finalmente trovato l’occasione per fuggire da mio marito! Adesso più niente potrà separarci!”
“Mio Dio, Adele! Quell’uomo non ti teneva prigioniera? Sono impazzito di rabbia e di angoscia da quando mi hai spedito quella lettera! Giorno e notte studiavo un piano per liberarti da quel palazzo e da quell’uomo! E adesso eccoti qui, davanti a me!” la gioia che trasudava dal bel volto di Umberto, lasciò spazio a un’espressione dubbiosa, che subito si trasformò in parole:
“Maria, voi forse non volete che rimanga? Se così fosse, ce ne andremo, non preoccupatevi …”
“E’ questa la considerazione che hai di me, figliolo? E della riconoscenza per il tuo affetto e per le cure che mi hai donato durante quella maledetta” e qui si fece il segno della croce “polmonite?! Perché, grazie al Cielo, non era tubercolosi, altrimenti non sarei qui con voi! Quindi, certo che potete restare, per tutto il tempo che vorrete! Almeno fino a quando toneranno mio marito e i miei figli, perché allora dovremo stringerci un po’!”
Tutti e tre si misero a ridere: ad Adele sembrò di non essere mai stata più felice come in quel momento.  


Due giorni dopo, Adele era entrata pienamente nel ritmo quotidiano della sua nuova casa.
Aiutava la stiratrice a cucinare, o meglio, tentava di darsi da fare come meglio poteva, perché la sua condizione sociale l’aveva destinata ad essere riverita fin da neonata, ogni cosa volesse.
La cosa che più le piaceva fare, però, era alzarsi con il canto del gallo, e andare insieme ad Umberto nel vecchio fienile, dove lui le mostrava come mungere le sei vacche; poi si spostavano nella stalla attigua, per dar da mangiare ai due ronzini, mentre lui le faceva vedere come strigliarli e, nel recinto riparato da una tettoia di ardesia, come pettinare il soffice manto delle cinque pecore, con cui avrebbero ricavato la lana grezza da vendere.
Infine si spostavano nel pollaio, dove raccoglievano le uova fresche delle tre galline.
La ragazza in realtà non era molto collaborativa, perché Umberto continuava a trattarla con delicatezza e ragguardevolezza: il giovane, infatti, si era accorto del pallore e della magrezza che avevano trasformato la bella figura dell’innamorata, così si era ripromesso di non farla stancare, rimandando l’aiuto materiale a quando si sarebbe totalmente ripresa.
“Sicuramente è colpa di quel bruto del marito! Quell’uomo l’ha tenuta segregata per una settimana, come se fosse una schiava, un oggetto da custodire gelosamente e stupidamente!” si consolava Umberto, non immaginando che il motivo dell’apatia della ragazza fosse da imputare sì a Francesco, ma per tutt’altra causa.
Adele non aveva ancora avuto il coraggio di rivelare al ragazzo che era incinta, perché era convinta che non avrebbe pensato nemmeno un secondo prima di riportarla da Francesco, dal suo aguzzino, dall’origine di tutte le sue disgrazie.
“Non capirebbe, non riuscirebbe a capire che cosa mi ha spinto a farmi sedurre da quel maledetto! La verità è che anch’io, ancora adesso, a distanza di queste quattro settimane, non riesco a darmi pace, a perdonarmi: per quello che ho fatto non c’è perdono, per questo non posso dirglielo, non adesso, almeno!”

Quello stesso giorno, dopo aver accompagnato Umberto a svolgere tutte le sue mansioni mattutine, Adele era rientrata in casa per aiutare Maria con il pranzo.
La donna si trovava al piano di sopra a stirare gli ultimi due abiti per delle clienti, così aveva istruito la giovane su come preparare un semplice sugo, utilizzando la conserva di pomodoro custodita nella credenza.
La ragazza aveva appena acceso la stufa dove riscaldare il pentolino con l’olio e il soffritto già preparato dall’ospitante, quando sentì due colpi decisi alla porta.
Sicuramente non poteva essere Umberto, perché era andato da poco in paese, come ogni mattina, a vendere le bottiglie di latte munto, perciò ad Adele venne l’improvviso e angosciante terrore che potesse essere Francesco, o il signor Caccia, o magari Villani, il maggiordomo, che avevano misteriosamente scoperto il nuovo rifugio della viscontessa.
Le mani cominciarono a tremarle, mentre le passava nervosamente su un vecchio abito color antracite dall’orlo troppo corto per lei, che le aveva prestato la figlia della vicina di Maria.
Si passò distrattamente le mani tra i capelli ricci e arruffati che, senza le mani esperte di Andreina, la sua cameriera personale, non riuscivano a stare per più di mezz’ora nello chignon creato dalla giovane.
I colpi alla porta si ripeterono per altre tre volte, questa volta con maggiore insistenza.
La ragazza prese coraggio e, facendo un profondo respiro seguito da un altro più breve, si avviò a passi incerti in direzione dell’uscio, i palmi delle mani che cominciavano a bagnarsi di sudore freddo, le tempie che le pulsavano e, di nuovo, come due giorni prima dopo aver corso attraverso i campi, tornò odiosa quella fitta insistentemente fastidiosa alla pancia.
Adele aprì l’ingresso di legno e il tempo sembrò fermarsi: davanti a lei c’era una persona che non avrebbe mai pensato di rivedere.
  


NOTA DELL’AUTRICE:

Ciao a tutti! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Finalmente Adele è riuscita a fuggire da palazzo, e a raggiungere il suo Umberto!
Ma chi è che ha bussato alla porta della casa di Maria?!
E Francesco che fine ha fatto? Si è rassegnato alla sparizione della moglie o la sta cercando?
E, soprattutto, Adele quando rivelerà la gravidanza all’innamorato, lui come la prenderà? Le permetterà di restare, oppure la riporterà a palazzo, dal visconte?
Scusate per i soliti dubbi con cui vi tormento!
Lasciatemi un vostro commento se vi fa piacere, anche una parola!
Grazie a chi legge e recensisce, oltre a chi ha inserito la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite!
Mi fa sempre tantissimo piacere leggere i vostri commenti!
Grazie di cuore!!!
A presto!

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Capitolo 21
*** Una fiducia mal riposta ***


ADELE TTT La donna di fronte a lei aveva circa cinquant’anni, i capelli e gli occhi castani. Era piuttosto alta per gli standard dell’epoca, e magra, di un magro sano, tutto l’opposto di quello della ragazza.
La nuova venuta, un elegante abito amaranto ad avvolgerle la figura, rimase con la bocca sottile semiaperta, un’espressione di meraviglia sul volto privo di rughe, mentre un rossore improvviso prese a tingerle le guance.
“Adele …” riuscì solo a mormorare, mentre la giovane abbassò lo sguardo intimidito.
“Cercate … Umberto?” si sforzò di completare la frase Adele.
“S-sì. Mi fai entrare?”
L’altra annuì, facendosi da parte quel tanto che bastava per permettere alla donna di passare.
“Sei sola in casa?”
La giovane annuì, non riuscendo a sostenere lo sguardo di quella che avrebbe dovuto essere sua suocera davanti a Dio e alla Legge, se quel Dio che tanto la signora marchesa quanto il marito avevano pregato durante la tubercolosi che aveva colpito il secondogenito, non le avesse portato via il suo amore.
Sempre in piedi, Flora –questo era il nome della donna- sorrise amaramente e, rivolgendosi ad Adele ma guardando in direzione del camino, sentenziò con voce fredda e tagliente:
“Adesso ho capito perché Umberto è fuggito dal convento … sei stata tu la causa del suo allontanamento dall’Ordine. Avrei dovuto immaginarlo”
La ragazza lanciò un’occhiata di astio nei confronti della mancata suocera poi, accorgendosi di non aver spento il fornelletto sulla stufa, si apprestò in quella direzione.
“E’ lui che mi ha cercato, signora, e sono stata ben felice di poterci ricongiungere!” le rispose, il tono di voce che cercava di essere altrettanto glaciale e intimidatorio.
In quel momento, però, Adele era solo frastornata e incredibilmente stanca: pregò nella mente che il suo Umberto arrivasse al più presto, così come sperava che Maria continuasse a non accorgersi dell’ospite indesiderato, per non darle ulteriori preoccupazioni.
“Non ho motivo di dubitarne perché, purtroppo, so quale ascendente hai sempre avuto su mio figlio” continuò pungente la donna, lo sguardo fisso verso il caminetto.
“Comunque sia, adesso non ha più importanza. Si è rovinato la vita per te, ha abbandonato ciò che di più sacro esiste su questa Terra! Vive in una casa che è poco più di una capanna, e tutto questo lo ha fatto … per te
Non era arrabbiata, solamente amareggiata ed incredula, mentre le lacrime cominciavano a scendere da entrambi gli occhi.
“Umberto ha rifiutato qualcosa che non aveva scelto, che voi gli avevate imposto, senza tener conto dei nostri sentimenti o delle sue decisioni! Quando ci avete allontanato, io ho rinunciato a vivere, signora! Ho rinunciato ad essere felice, perché quello che più amavo, mi era stato tolto! E non capivo il perché! Anzi, ancora adesso, a ripensarci, mi chiedo che genitori siete stati!”
Adele, il volto in fiamme e la voce rabbiosa poco più udibile di un sibilo mormorato a denti stretti, si era inconsciamente avvicinata alla donna che, prontamente, prese a guardarla e a ribattere ad alta voce:
“Tu osi domandarmi che genitori siamo stati?! Noi amavamo nostro figlio, lo abbiamo sempre amato e lo amiamo ancora adesso! Cosa ne puoi sapere? Non puoi capire l’angoscia e la disperazione che ci hanno attanagliato in quei sei lunghissimi mesi in cui non sapevamo se Umberto sarebbe sopravvissuto! Dimmi, Adele, tu riesci a immedesimarti in una madre? Tu sai cosa significhi essere una MADRE?!”
Era troppo, non avrebbe sopportato oltre quella falsa ramanzina: di nuovo quella fitta insistente e fastidiosa al ventre, piegò la ragazza in due.
Traballante, si diresse verso la porta, nello stesso istante in cui veniva aperta: Umberto, il maglione nero di due giorni prima, i pantaloni color mattone e gli stivali sbiaditi al posto degli scarponcini, entrò radioso, ma il sorriso si spense all’istante quando vide le due donne fronteggiarsi a pochi passi da lui.
“Mamma … cosa ci fate qui?”
La donna apostrofata sorrise amaramente poi, con voce bassa e incrinata dalle lacrime che cercava di trattenere, gli rispose:
“Mi chiedi cosa ci faccio io qui … e tu, Umberto, cosa ci fai qui? E lei? Lei, cosa ci fa qui? Queste domande invece non te le poni, vero?!” e, senza aspettare che il figlio ribattesse, avvicinandosi, continuò:
“Ero venuta a trovarti. Forse una madre non può? Dopo che ci siamo visti la scorsa settimana, non ho fatto altro che pensarti: avevo nostalgia di te, della passeggiata che abbiamo fatto nel querceto, delle parole che io credevo sincere, e che invece mi hai falsamente propinato riguardo il tuo improvviso abbandono del convento!”
“Mamma, smettetela, per favore!” ringhiò il giovane, prendendo per mano Adele, immobile e pallida.
“Ti sei umiliato con tuo padre, Umberto” proseguì l’altra imperterrita “hai elemosinato la parte di eredità che un tempo ti spettava! Non guardarmi con quell'espressione smarrita, perché quel giorno in cui sei venuto a palazzo, ho origliato ogni parola sussurrata tra di voi, ogni negazione che hai dovuto subire! E adesso ho capito! Ti sei venduto al diavolo, hai rinunciato all’Ordine, solamente per lei! Per una donna sposata che non potrà mai, MAI, essere veramente tua!”
Di nuova la fitta insistente e fastidiosa al ventre tornò a farsi sentire: Adele, impietrita fino a quel momento, si gettò oltre la porta lasciata aperta e, in un angolo del muro, vomitò l’anima, vomitò il male che abbondava dentro di lei e il bene che stentava a fuoriuscire, vomitò la rabbia, il dolore, la tristezza, contrapposti alla gioia e alla felicità che l’avevano invasa fino a mezz’ora prima.
Poi, la mano del giovane, le sfiorò la vita:
“Adele … cosa ti succede? Se è per le parole che ha detto mia madre, non devi preoccuparti, non darle ascolto!”
“Vattene via!” biascicò la ragazza, piangendo e smettendo di vomitare a vuoto “ non voglio che tu mi veda così! Per favore, rientra in casa!”
Umberto cercò di ribattere, ma lei fu irremovibile.
Quando se ne fu andato, Adele respirò a fondo, passandosi il dorso di entrambe le mani sulla bocca asciutta: le lacrime si mischiarono alle goccioline di saliva che non riusciva a trattenere dalla labbra, non più carnose ora, ma solo un ricordo sbiadito di quelle rosse e lucide di un tempo.
Si sentiva svuotata, atterrita, impotente a cambiare la situazione in cui si trovava: si rendeva conto che, forse, era arrivato il momento di rivelare ad Umberto ogni cosa, di confessargli che era incinta.
Mentre stava riflettendo sul modo migliore di dirglielo, udì dei passi dietro di lei: la mancata suocera stava uscendo dalla casa della stiratrice, il fruscio dell’abito color amaranto sulla terra battuta.
Adele non si voltò, non la degnò di uno sguardo, non potendo vedere che l'altra le lanciava un’occhiata mista di compatimento e di rabbia.
La ragazza avvertì solo le ruote della carrozza -distante un centinaio di metri- che aveva intravisto quando era uscita per vomitare, rotolare sul selciato, per poi allontanarsi di gran carriera.


“Umberto, ti devo parlare …” esordì la giovane, quando un minuto dopo rientrò.
“Bevi un po’ d’acqua prima, sarai stremata” la incitò lui, mentre le porgeva un bicchiere.
Lei bevve avidamente, gli occhi arrossati ormai stanchi di piangere, il volto ancora più pallido rispetto gli attimi precedenti la decisione che aveva preso.
“Come ti senti?” s’informò il ragazzo, accompagnandola a sedersi su di una sedia.
“Maria non è scesa?”
“No: sono andato da lei per vedere se aveva bisogno, ma è ancora intenta a stirare. Le ho detto che c’era mia madre, così non ci disturberà, se è questo che ti preoccupa ... ”
Adele annuì seria, il bicchiere ancora tra le mani, prima di appoggiarlo definitivamente sul tavolo.
“ C’è una cosa che devo dirti … però promettimi che non mi riporterai indietro, che mi farai parlare!” preavvisò la ragazza, appoggiando d’impeto le mani fredde su quelle grandi e calde di lui.
“Indietro da tuo marito? Certo che no, Adele! Se siamo qui adesso, è perché entrambi abbiamo rinunciato alle nostre vite passate!” e, baciandole i palmi, assicurò “ti ascolto, puoi dirmi qualsiasi cosa che io ti ascolterò e ti capirò”
“Sono incinta” disse semplicemente, senza aspettare nemmeno che lui potesse immaginare il motivo di quel discorso così misterioso.
“In-cinta …?!” Umberto si mosse infastidito sulla sedia, impallidendo contemporaneamente: era come se volesse alzarsi, ma non trovasse il pulsante per comunicare alle sue gambe di eseguire il comando.
“Sì: è successo la notte in cui avremmo dovuto incontrarci, quel mattino in cui ci eravamo dati appuntamento al mercato. Ho ricevuto la tua lettera solo il giorno dopo, così avevo stupidamente creduto che tu non volessi più vedermi, che non ti fossi presentato all’appuntamento perché avevi capito che era tutta un’immensa pazzia! Invece non sapevo che Maria avesse la polmonite e …”
“Basta! Basta, Adele! Smettila, non voglio più sentirti!” la pregò alzandosi di scatto dalla sedia, passandosi le mani nei capelli.
“Ma tu mi avevi promesso che mi avresti ascoltata, che mi avresti capita!” pretese lei, alzandosi a sua volta e cercando di trattenerlo per una spalla, mentre Umberto passeggiava avanti e indietro.
“Mi hai appena detto che aspetti un figlio da un altro! Cosa c’è da capire?!” cercò di farla ragionare, scuotendola per le braccia.
“Io … io sono stato uno stupido a pensare che avremmo potuto davvero recuperare le nostre vite! Ma il tempo non torna, né possiamo modificare il passato! Avrei dovuto capirlo mesi fa, quando Anna mi ha spedito il tuo indirizzo e ho lasciato il convento, stordito da una passione infantile e malata!”
“Io ti amo, Umberto! Ti ho sempre amato! Sei tu quello che ho sognato, che ho desiderato in questi due maledetti e lunghissimi anni di matrimonio! Sei tu che, quella notte, sognavo di stringere, di baciare! Come fai a non capirlo?! Io voglio stare con te, solo con te!”    
“Dio mio, Adele! Il sacrificio che ho fatto per te non è servito a nulla! Tu hai rovinato tutto! Per che cosa poi?! Per una sensazione, per un capriccio, per un tuo stupido pensiero infantile?! Come hai potuto anche solo per un secondo dubitare del mio amore, della mia fedeltà?!”
“Scusami, scusami, scusami! Ti supplico, Umberto, perdonami!” s’inginocchiò la giovane, cominciando a singhiozzare e a piangere  “farò qualsiasi cosa, ma ti imploro! Non riportarmi da lui, non riportarmi nella mia prigione! Se lo farai, morirò, lo capisci?!”
Il ragazzo scosse la testa disperatamente, un groppo in gola che cominciava a premergli per uscire: avrebbe voluto stringerla, rassicurarla, baciarla, dirle che tutto si sarebbe sistemato, che non gli importava e non gli sarebbe importato se lei aspettava un figlio da un altro, però … però non era pronto, non era sufficientemente forte da perdonarla, non ancora almeno.
“Non posso, Adele, non posso. Devo riportarti da lui, è giusto così!”
“Umberto, per favore, non farmi questo! Non potrei sopportarlo!”
“Io non ho altra scelta!”
La giovane sposa si alzò dal freddo pavimento di cotto e, strofinando le mani sul grembiule che ancora indossava, abbassò lo sguardo.
Poi avanzò in direzione della traballante scala di legno: era indecisa se salire per salutare Maria, l’unica persona che, oltre alla signorina Felicita, aveva voluto aiutarla nel realizzare il suo sogno d’amore, ora infranto.
Ma non ebbe il coraggio di fare quei pochi passi che la separavano dalla donna, non avrebbe retto all’ennesimo addio nella stessa giornata.
Fece dietrofront e, dirigendosi verso il tavolo al centro della stanza, slegò le cocche del grembiule per appoggiarlo sullo schienale di una sedia.
Si avviò, senza voltarsi indietro, oltre la soglia della porta lasciata socchiusa.
“Dove stai andando?!” la apostrofò preoccupato Umberto, correndole dietro.
“Non lo so ancora … “ la giovane continuò a camminare lentamente, oltre lo spiazzo di terra battuta davanti alla casa della stiratrice, in direzione del querceto poco distante.
“Adele, torna subito indietro! Non sei nelle condizioni adatte per andare in giro da sola!”
Il ragazzo l’aveva raggiunta e l’aveva presa per un braccio, cercando di arrestare la sua folle passeggiata.
“Perché adesso ti preoccupi per me? Mi hai detto di non volermi più, così mi allontanerò per sempre da te. Non ti cercherò, non ti darò fastidio, se è questo che vuoi” ribatté stancamente, lo sguardo perennemente abbassato.
“Per favore, Adele, non fare la vittima! Io ti amo più della mia vita, te lo giuro! Farei qualsiasi cosa per te, ma non puoi chiedermi di separare il figlio che aspetti da suo padre! Non sarebbe giusto, lo capisci?”
Umberto cercò di stringerla a sé, in un abbraccio che sapeva di perdono e di scuse al contempo.
“Non voglio che tu lo compatisca, non se lo merita! Se tu mi amassi come dici, accetteresti la mia condizione!”
Poi, allontanandosi da quel contatto di cui non riusciva a reggere la vicinanza, prese a picchiare l’uomo che credeva tenesse veramente a lei: indirizzò le mani strette a pugno contro il petto del giovane, contro le spalle, le braccia e, infine, gli lanciò uno schiaffo, un altro, un altro ancora, fino a quando si accasciò sul terreno brullo, piangendo e singhiozzando.
“Adele, tirati su! Non devi umiliarti fino a questo punto …” Umberto s’inginocchiò e, sorreggendola per i gomiti, l’aiutò a rialzarsi.
“Vieni, andiamo …” la invitò con voce bassa e delicata.
Ripercorsero la decina di metri che li aveva allontanati dalla casa della stiratrice, l’andatura traballante della ragazza, e quella curva e colpevole di lui.




NOTA DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se le cose per Adele non stanno andando tanto bene.
La sua sincerità l'ha tradita, così come la fiducia che nutriva nei confronti di Umberto.
Lui dice di essere ancora innamorato, quindi che cosa prevarrà? Il senso del dovere oppure l'amore incondizionato per Adele?
La riporterà indietro oppure no?
Vi aspetto con il prossimo capitolo rivelatore!
Grazie a chi legge e recensisce! Vi adoro!!!!
A presto!
.

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Capitolo 22
*** Don Chisciotte e il mastino ***


Adele non riusciva a smettere di piangere: quel tragitto fino a palazzo le stava togliendo anche l’ultima fiammella di vita che le era rimasta in corpo.
Si sentiva tremendamente stanca e afflitta: era convinta che Umberto avrebbe capito, che quello appena trascorso sarebbe stato finalmente il momento giusto per dirglielo, per chiedergli di perdonarla e di comprenderla, invece avrebbe fatto bene a starsene zitta, come si era ripromessa quando era arrivata a casa di Maria, appena due giorni prima.
“Ti prego, smetti di piangere…” la implorò il ragazzo, mentre a fatica reggeva le redini del ronzino attaccato al calesse della stiratrice, che si era inutilmente opposta –ignara di tutto- alla decisione del giovane di restituire questa poverina.
“La smetterò solo se tu mi riporterai indietro …” mormorò Adele, sfregandosi le dita delle mani sui palmi: non riusciva a guardarlo in faccia, perché temeva che gli sarebbe saltata addosso, lo avrebbe avvinghiato con la forza della disperazione, lo avrebbe supplicato di ascoltarla e di perdonarla, ma non voleva umiliarsi più di quello che già si era mortificata.
“Dio santo, Adele! Come fai ad essere così testarda?!” sbraitò Umberto, strattonando con troppa forza le redini.
Anche lui non aveva il coraggio di guardarla, perché già gli faceva troppo male sentire i pigolii in cui si era trasformata la voce della giovane: vedere i suoi occhi disperati, acquosi per le troppe lacrime versate, lo avrebbe convinto all’istante a fare marcia indietro, a ritornare nella casa della stiratrice, cercando di dimenticarsi di quell’incidente di percorso, per provare ad essere nuovamente felici.
“Dimmi una cosa: tuo marito sa che sei … incinta?”
Comunque avrebbe risposto, sbaglierei, tanto vale dirgli la verità, pensò per un istante Adele, tormentando il fazzoletto ormai zuppo che stritolava tra le mani:
“Sì, lo sa” ammise in un sibilo.
“E allora come fai a chiedermi di tornare indietro? Vuoi privare tuo figlio di lui? Vuoi che cresca senza una figura paterna, additato per sempre come il bastardo la cui madre vive con un povero disgraziato…”
“Non chiamarlo così: se solo tu volessi, avrebbe il migliore dei padri, e non saprebbe mai chi in realtà lo ha generato, soprattutto non conoscerebbe mai la tristezza e le vessazioni che ho subito in questi due anni, sempre a dire sì anche quando non volevo, ad occuparmi di una casa che non mi appartiene, ad accompagnare il signor visconte nelle sue tenute, alle cene con i suoi amici, ai ricevimenti! Situazioni che detestavo, ma a cui ho sempre dovuto partecipare! Se tu mi riporterai indietro, Umberto, ci condannerai a una vita infelice, e tu sarai fuggito inutilmente dal convento in cui ti ha rinchiuso quella megera di tua madre! E’ questo quello che vuoi?! Guardami, è questa la dimostrazione di quell'amore di cui tanto ti vanti di provare per me?!”
Adele strattonò il braccio destro dell’innamorato, il quale, per un istante, perse la guida dei cavalli: sbandarono e finirono su un lato della strada di campagna, le ruote incastrate in un avvallamento più profondo degli altri.
“Io voglio solo il meglio per te, Adele, solo il meglio! Desidero con tutto il cuore, con tutto me stesso vivere insieme a te, in qualunque posto non m’importerebbe, ma solo tu ed io, non con i figli di quell’uomo!”
Umberto aveva il viso in fiamme, gli occhi lucidi e il petto che ansimava vistosamente sotto il maglione nero.
Scese dal calesse, senza aspettare che la donna ribattesse: continuando a non guardare la giovane, controllò il danno subito, quindi intimò anche a lei di scendere, il tono di voce più calmo rispetto a pochi secondi prima.
“Appena passerà qualcuno, mi farò aiutare a rimettere in piedi il barroccio. Se vuoi, puoi risalire e aspettare seduta. Questa è una strada abbastanza trafficata, tra non molto arriverà un contadino a darci una mano …”
“Non mi va di sedermi … attenderò in piedi”


Francesco Malgari di Pierre Robin non si dava pace: da quando la moglie era sparita due giorni addietro, sicuramente fuggita, aveva rinunciato alle sue passeggiate quotidiane nei campi, preoccupandosi solamente dei due Setter e del gatto persiano, unica compagnia disinteressata in quell’immenso palazzo.
Quando perciò la vide, affacciato alla finestra dello studio in cui aveva trovato rifugio per sbrigare la corrispondenza arretrata, il primo istinto fu quello di sorridere, perché l’aveva riconosciuta subito, sebbene fosse avvolta da un misero abito campagnolo.
Poi un odio troppo a lungo celato, o qualcosa che ci assomigliava moltissimo, prese il sopravvento nel suo cuore e soprattutto nella mente:
Sarei pronto a perdonarla se fosse venuta da sola, se fosse qui a chiedermi perdono: ma sono sicuro che quel ragazzo che l’ha accompagnata è il pezzente di cui si è innamorata! Hanno avuto una gran faccia tosta a presentarsi insieme! Credono che io sia così debole da far finta che non sia successo nulla? Non mi lascerò impietosire: lei è mia moglie e madre del figlio che mi darà. Adesso la cosa importante è questa, poi avrò tutto il tempo per fargliela pagare … ”
L’uomo decise quindi di non affrettarsi a scendere i gradini della lunga scalinata in marmo che lo separavano dalla moglie, ma attese che fossero quei due a fare la prima mossa, proprio come nel gioco degli scacchi con cui trascorreva le prime serate da sposato insieme ad Adele.
Trasse un profondo respiro e attese.


La giovane sposa si sentì nuovamente intrappolata: tutta la fatica che aveva fatto per riuscire a coronare il suo piano di fuga, la gioia appena provata nel ricongiungersi con Umberto, tutto ormai era finito, disgregato per sempre. La fitta insistente e fastidiosa al ventre tornò a farsi sentire, non appena varcò la soglia del palazzo.
Non cercò neppure un conforto fisico in Umberto, perché temeva un suo rifiuto e, questo, le avrebbe sicuramente dato l’ennesimo dolore nel giro di appena due ore.
Quando sentì i familiari passi degli stivali del marito scendere la scalinata, alzò di scatto lo sguardo: il maggiordomo, il signor Villani, aveva obbedito alle parole dello sconosciuto che aveva riportato a casa la padrona, andando a chiamare zelante il visconte.
Umberto, alla vista del rivale, divenne ancora più nervoso e cominciò a sudare freddo: cercò con gli occhi grigioverdi quelli di Adele, ma vi rinunciò quasi subito, rendendosi conto che, così facendo, avrebbe potuto solamente illuderla.
E’ la cosa giusta, continuava a ripetersi, non posso tornare indietro, non devo tornare indietro.
Adele cominciò a sentire la testa pesante, mentre riabbassava lo sguardo per non reggere quello del marito: gli avrebbe volentieri sputato addosso, lo avrebbe aggredito se avesse avuto le forze necessarie, ma semplicemente decise di non puntargli gli occhi contro, perché non avrebbe resistito all’ennesimo confronto, preludio di molti altri che si sarebbero susseguiti da lì per sempre.
“Buongiorno …” esordì con voce piatta Francesco, una lieve ombra di sorriso sardonico ad increspare le labbra.
Era vestito, come al solito, impeccabilmente: si era cambiato la giacca blu notte, prima di scendere, per sostituirla con una nera, che contrastava chiaramente con il candore della camicia bianca e il cravattino di seta grigio chiaro, mentre la parte sotto del completo metteva in risalto le gambe naturalmente scolpite dell’uomo.
“Siete tornata, mia cara” continuò con lo stesso tono incolore “questo giovanotto che vi ha accompagnato è il vostro salvatore?”
Adele continuava a non guardarlo, stropicciandosi con rabbia le mani, nascoste dietro il semplice e rattoppato vestito che indossava.
Umberto non sapeva come presentarsi, ovviamente non aveva pensato all’eventualità di un confronto con il marito della sua innamorata, eppure era stato da stupidi varcare l’ingresso del palazzo alla stregua un’ospite gradito e invitato, quando così non era.
Avrebbe dovuto lasciare che Adele entrasse da sola, ma ormai non poteva più tornare sui suoi passi, quindi decise di stare al gioco di quell’arrogante:
“Non ho salvato nessuno, signore, semplicemente ho riaccompagnato … ”
Come avrebbe dovuto chiamarla? Moglie era indubbiamente il termine più appropriato, forse Adele era il compromesso migliore, sebbene le parole che gli premevano per uscire di bocca erano la donna che amo, e che sempre amerò.
Decise quindi per la via diplomatica e, proseguendo, spiegò:
“Adele mi ha raccontato della sua situazione. Ho creduto fosse la cosa più onesta per entrambi riportarla da … voi … ”
Entrambi chi? Avrebbe voluto controbattere la diretta interessata che, però, continuava a rinchiudersi nel suo combattivo silenzio, mentre Umberto proseguiva a bassa voce, lo sguardo perso ostinatamente da un’altra parte.
Il visconte, le mani dietro la schiena, aveva seguito con apparente disinteresse il monologo del giovane.
Approfittando di una pausa non voluta, ma dettata dall’imbarazzo e dall’assurdità di quella situazione, s’intromise nella conversazione, la voce seria e sempre incolore.
“Dovrei ringraziarvi per questo vostro gesto di estrema gratitudine?”
Umberto non trovò le parole per ribattere, mentre un’ombra di smarrimento si dipinse sul volto.
“Comunque sia, avete fatto la cosa più giusta, la più naturale. Ora potete andare” continuò, poco prima che il ragazzo lo interrompesse.
Francesco fece per avvicinarsi ad Adele, le sfiorò un braccio per attirarla a sé, nello stesso istante in cui lei si ritrasse come punta da mille aghi invisibili.
Tanto bastò per far reagire Umberto che, portandosi pià vicino alla giovane, sputò tutto quello che aveva sulla punta della lingua, ma che temeva di dire per l'inutile educazione con cui i suoi genitori gli avevano riemopito la testa fin da piccolo.
“Non era la cosa più giusta, ma era mio dovere farlo” e, trovando un coraggio che fino a quell’istante credeva di aver lasciato fuori dalla porta, continuò:
“Vi sembrava giusto rinchiudere vostra moglie tra queste mura? Quando due anni fa avete acconsentito a sposarla, le avete impedito di vivere, di essere veramente felice! Avete una bizzarra concezione della parola giustizia, signor visconte!”
Adele si risvegliò da quel mutismo selettivo in cui era piombata pochi minuti prima, sgranando gli occhi in direzione di Umberto: la ragazza pregò che, finalmente, fosse rinsavito, che l’avrebbe portata via di lì e che, insieme, sarebbero tornati da Maria, questa volta per sempre!
“Come vi permettete?!” cominciò a surriscaldarsi l’altro uomo, stringendo le mani a pugno, nuovamente nascoste dietro la schiena.
“Non ho finito di parlare, signor visconte! Voi a cosa avete rinunciato per Adele? Che cosa le avete donato in tutto questo tempo? Ve lo dico io: lusso, bei vestiti, immagino moltissimi gioielli, schiavi che la riverissero per colmare la solitudine che sentiva dentro! L’avete costretta a vivere in una prigione dorata, dalle pareti talmente spesse ma trasparenti, da impedirle qualsiasi contatto reale con l’esterno! Vi ho riportato vostra moglie, è vero, ma solo perché aspetta un figlio vostro, altrimenti vi giuro che non l’avreste mai più rivista!”
Un sorriso di beffa anticipò le parole di Francesco, che diresse i suoi passi verso Umberto, fronteggiandolo a pochi metri di distanza:
“Eppure la verità è questa! Mia moglie mi darà un figlio, nostro figlio, e questa situazione è sufficiente per farla allontanare definitivamente da voi e dai suoi capricci di ragazzina viziata! Ho sopportato ogni umiliazione solo per accontentarla! E quando l’ho finalmente stretta tra le mie braccia, quando ho ricevuto i baci di cui mi ha troppo a lungo privato, ho capito che la mia pazienza era stata ampiamente ricompensata! Non vi lega nulla, non vi legherà mai nulla! Voi siete il passato, siete un sogno infantile e inutile, IO invece sono il suo presente e il suo futuro, perché in questa storia l’unico perdente siete voi, caro Don Chisciotte dei mulini a vento!”
"Ora state esagerando! Non vi permetto di chiamarmi in tale modo!"
"Sono libero di definirvi nella maniera che più mi aggrada, povero illuso! Forse dimenticate dove siete? Che questa è la  mia casa, e il pavimento che voi state insozzando con il vostro inutile passaggio appartiene a me solo?! Non otterrete altro da noi, vi ho già congedato, quindi fatemi il favore di uscire da quella porta e di non ritornare mai più!".
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: Umberto rinsavì sì, come appena pochi attimi prima aveva tanto sperato Adele, ma solamente per sferrare un pugno in viso al visconte, il quale traballò e si portò meccanicamente la mano sinistra a livello della mascella, scalfita dalla botta e da un rivolo di sangue che sporcava il labbro inferiore.
Francesco si scagliò a sua volta sul rivale, alzandogli il bavero del maglione e addossandolo violentemente contro il muro vicino al portone d'ingresso.
Di nuovo quella fitta insistente e fastidiosa colpì il ventre di Adele: voleva ribattere, voleva manifestare tutto il suo appoggio nei confronti di Umberto e delle sue parole, ma improvvisamente non riuscì più a pensare e a ragionare.
Il buio l’avvolse e non sentì più nulla, non provò più nulla, non pensò più a nulla.



NOTA DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Scusate l'immenso ritardo con cui aggiorno, ma in queste settimane e per quelle che verranno sarò fuori casa e fuori città causa stage universitario.
Venendo alla storia, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
Abbiamo finalmente assistito al confronto tra Umberto e Francesco: come sarà finito? Cosa è accaduto ad Adele?
Vi avviso che ci saranno massimo due capitoli, proprio perchè non riesco pù a dedicarmi al racconto con l'impegno e il tempo che vorrei!
Grazie infinite a chi legge, recensisce e inserisce la storia tra le preferite, ricordate e seguite!
Mi avete sostenuto tantissimo!
Un abbraccio,
a presto, spero!

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Capitolo 23
*** Un'incredibile rivelazione ***


La prima cosa che Adele vide, quando si risvegliò, fu la figura lievemente offuscata di una suora, l'abito bianco, il grembiule e l’ampio copricapo del medesimo colore.
“Dove sono?” biascicò incerta la ragazza: era sdraiata su un letto di ferro, incredibilmente stretto e con le sbarre alzate.
Le pareti della stanza erano asetticamente incolori, lunghe e larghe,
illuminate dalla luce del sole che filtrava da un’ampia finestra, le tende lattescenti tirate.
Un paravento di un beige sbiadito la separava dagli altri pazienti.
“Siete in ospedale” le rispose dolcemente la donna, gli occhi azzurri calmi ed espressivi: doveva avere trent’anni, non di più, era alta e magra, con le mani calde che sfiorarono con timidezza quelle fredde e pallide della giovane, abbandonate fuori dal lenzuolo altrettanto candido ma ruvido.
“Perché? Cosa mi è successo?” s’informò Adele, anche se non le importava veramente sentire la risposta, però desiderava che quella suora, dall’apparenza amichevole, rimanesse ancora per qualche istante lì con lei, a farle compagnia.
“Vi hanno portata qui martedì pomeriggio: il nostro ginecologo vi ha operata non appena ha visto la condizione in cui versavate …” e d’improvviso si bloccò, indecisa se continuare.
“A cosa vi state riferendo?” faticò a domandare la ragazza, deglutendo e chiudendo per un secondo gli occhi  “ditemi la verità, per favore ...”
“Avete avuto un’emorragia, un’emorragia molto importante. Purtroppo non siamo riusciti a salvare i vostri piccoli … mi dispiace, mi dispiace infinitamente, cara” concluse con la voce incrinata la suora, posando nuovamente le sue mani su quelle della paziente.
“Quali piccoli?”
Uno sguardo interrogativo fece capolino sul bel volto dell’altra donna che, imbarazzata, domandò:
“Non sapevate di essere in stato interessante?”
“Sì, certo, ma perché avete parlato al plurale?” adesso Adele vedeva con chiarezza la figura immacolata di fronte a lei, tanto che cercò di sollevarsi a sedere, ma una fitta dolorosa e incredibilmente viva– completamente diversa da quelle che l’avevano colpita il giorno precedente- le trafisse il basso ventre.
“Non dovete fare movimenti di vostra iniziativa: è troppo prematuro” continuò l'altra donna, rimboccandole il lenzuolo e sprimacciandole con cura il cuscino, quindi proseguì:
“Erano due le creature che portavate in grembo. Purtroppo non vi so dire se fossero maschio o femmina, perché era ancora presto. Il medico ha potuto solo arrestare l’emorragia …”
Dovrei piangere, come ogni madre farebbe al posto mio. Eppure non provo nulla, anzi, mi sento libera, sgravata da un peso di cui credevo non avrei mai potuto liberarmi.
“Per quanto tempo ho dormito?” domandò semplicemente, senza fare alcun cenno a quello che le aveva appena rivelato la suora.
“Due giorni … da quando vi hanno portata qui non avete più ripreso conoscenza” le rispose, adducendo lo strano comportamento della giovane donna all’immenso e inaspettato dramma che l’aveva colpita.
“Chi mi ha portato qui?” s’informò trepidante Adele, mentre il cuore riprendeva a battere con foga.
“Vostro marito e un ragazzo …”
“E’ qui, adesso?” domandò speranzosa la giovane.
“Oh no, cara. L’orario di visita non è ancora iniziato. Sono appena le tre, ma appena arriverà, dirò a vostro marito che vi siete svegliata e …”
La suora annuì convinta, regalando un sorriso di comprensione alla paziente davanti a lei.
“No! Io non intendevo lui! Umberto, il ragazzo che era con lui, è qui?!”
Era certa, infatti, che fosse stato lui a portarla in ospedale, colpito dai rimorsi per il modo in cui l’aveva trattata.
La giovane suora aggrottò leggermente le sopracciglia sottili e, scuotendo la testa, le spiegò con voce palesemente imbarazzata:
Ha atteso fino a tarda sera che l’operazione finisse, poi se ne è andato, ma prima mi ha pregato di lasciarvi un messaggio, cara: ha chiesto di dirvi di perdonarlo, che la colpa è stata solo sua e che vi vuole molto bene”
Di certo non avrebbe potuto dirle che aveva confessato in lacrime di amare quella sfortunata ragazza, perché lei era già sposata con il signor visconte, un uomo di una squisita gentilezza che, per di più, non aveva replicato alle insensate parole dell'altro uomo; la suora era infatti convinta che avesse udito la fremente conversazione tra lei ed Umberto, eppure aveva avuto la galanteria di non ribattere.
“Non è mai venuto a trovarmi in questi due giorni?”
continuò con voce infantile, riprendendo a guardare la donna in piedi davanti a lei.
“Vostro marito ha espressamente vietato qualsiasi visita oltre alla sua e a quella del dottor Franzini, che ho saputo essere il marito di vostra sorella. Ma state tranquilla: adesso, la cosa fondamentale, è che vi rimettiate! Ora devo andare, cara. Chiamerò il medico perché vi visiti. Se avete bisogno di me, chiedete di suor Eleonora”
Adele chiuse gli occhi e sorrise, cercando di stringere a pugno le mani deboli e indolenzite: voleva al più presto riappropiarsi del proprio corpo per ritornare a casa, da Umberto, e sentire di possedere ancora un minimo di forza, la rincuorava, facendola ben sperare che sarebbe uscita presto da lì.


Stava sognando due bambini, un maschio e una femmina di quattro o forse cinque anni, che giocavano a rincorrersi in una distesa di tulipani.
I gambi dei fiori erano incredibilmente alti, tanto che lei non riusciva a vederne i corpi, ma solo i visi, paffuti e rosei, circondati da ricci castani.
Differivano solo per il colore degli occhi: il bambino li aveva color ambra, come la madre, la bambina invece aveva gli occhi verdi del padre.
“Adele …” la voce preoccupata di Francesco la riportò alla realtà.
Non voleva vederlo, né tantomeno parlargli, ma il tocco fastidioso delle sue mani su una guancia, la costrinse a scuotere il capo.
“Cosa volete? Non pensate di avermi fatto abbastanza male?”
La giovane sposa si sentiva di nuovo fisicamente debole ma mentalmente forte: non aveva più paura delle conseguenze delle sue parole e dei suoi gesti, perché adesso era libera, semplicemente libera da ogni obbligo che comportino le definizioni di madre e di buona moglie.
“Vi prego, non parlate in questo modo. Io non ho colpa, voi lo sapete! La disperazione per la perdita dei nostri figli vi annebbia la razionalità …” tentò di giustificarla, seduto su una sedia misteriosamente comparsa di fianco al letto.
“Non sono pazza, e nemmeno addolorata! Avete sempre saputo che non volevo questa gravidanza! Adesso non fate il padre addolorato, perché è un ruolo che …” la stessa fitta dolorosa che aveva provato un paio di ore prima, mentre parlava con la suora, si fece risentire “non vi si addice” concluse stancamente.
“Io desideravo con tutto me stesso questo figlio! L'ho amato appena ho saputo che eravate incinta e, se fossero nati entrambi, la nostra felicità sarebbe cresciuta ancora di più! Non potete e non dovete permettervi di trattarmi come un mostro, Adele, non lo merito, e voi lo sapete!”
“Ma voi siete un mostro! Mi avete distrutto la vita! Siete stato capace solo di trattarmi come qualcosa di vostra proprietà, mai come una moglie: realmente amata, rispettata, condividente le vostre gioie, le vostre preoccupazioni … ” la voce di Adele era bassa e strascicata, perché aveva la bocca secca e quasi corrosa da tutta la ruggine che aveva covato in quegli anni.
“Non vi siete mai chiesta perché vi ho sposata?” domandò
l’uomo, un lampo di malvagità negli occhi.
“Cosa c’entra questo con quello di cui stiamo … parlando?” concluse flebilmente la moglie, cercando di sistemarsi più comodamente nel letto.
Un sorriso di beffa incurvò le labbra ben disegnate del visconte, poco prima di spiegarle con un lampo di rivincita negli occhi:
“Immagino che vostro padre non vi abbia mai rivelato nulla! D’altronde, non è qualcosa di cui andare fieri …”
La ragazza deglutì, un’espressione di stupore mal celato sul volto smunto e sofferente:
“Parlate! Detesto questi stupidi giri di parole!”
Francesco annuì, serio e vendicativo allo stesso tempo:
“Vi ho vinto, cara Adele, vi ho vinto ad un tavolo da gioco! Vostro padre ha deciso di cedervi quando non gli è rimasto più nulla da scommettere!”
Lei si guardò intorno incredula, nella vana speranza che entrasse la dolce suora a proteggerla e a mandar via quel maledetto demonio.
“Credo sapeste,
quando ci siamo sposati, che la vostra famiglia non versasse in condizioni finanziarie particolarmente agiate: vostro padre aveva preso la sfortunata abitudine di giocare parte delle rendite delle proprietà a carte, solo che non aveva fatto i conti con gli avversari più forti che avrebbe poturo incontrare!”
L’uomo distolse per un istante gli occhi dalla moglie, abbassandoli verso il pavimento immacolato, per poi rialzarli e riprendere con la stessa boriosa sicurezza di poco prima:
“Devo ammettere che ho sempre goduto di una più che discreta abilità nel gioco d’azzardo e, quello che
poi è successo, ha confermato quanto vi sto dicendo!”
Una rabbia crescente offuscò la mente di Adele, che cominciò a stringere i pugni, le cui nocche si tinsero di bianco per la forza che stava lentamente recuperando.
“Ebbene: una di queste sere, alla terza mano –me lo ricordo ancora, sapete?- vostro padre non aveva più nemmeno una moneta da puntare! Credo fosse talmente disperato, talmente incredulo, che la prima cosa che pronunciò per uscire con eleganza, se così si può dire, fu questa:
“Vi cedo mia figlia, signor visconte, ma vi prego, non chiedetemi di proseguire oltre, perché non ho più niente.”
Proprio così ha detto, mia cara! Io lì per lì ero convinto scherzasse: insomma, quale padre degno di tale nome avrebbe osato vendere il suo bene più prezioso ad uno sconosciuto?! Eppure, lui l’ha fatto, ha avuto il coraggio di farmi questa … offerta! Comunque sia, da gentiluomo quale sono, ho subito accettato, naturalmente! Così me ne sono tornato in Francia e, dopo un paio di giorni, il vostro generoso genitore mi ha scritto per chiedermi di incontrarvi! Il resto della storia la sapete, mia cara!”
Ad Adele vennero in mente, come il lampo di un temporale estivo che squarcia improvvisamente il cielo calmo e immobile, le parole di suo cognato Alexander, il fratello di quel maledetto del marito, che gli era stato di grande compagnia durante le due settimane trascorse in Francia dalla suocera, ormai un mese addietro.
Aveva ragione, pensò, quando mi parlava della misteriosa lettera che aveva fatto partire così repentinamente questo mostro!
Poi, a voce alta e sicura, domandò:
“Perché mi state raccontando tutto questo? Proprio adesso, proprio qui? Appena qualche giorno fa avete detto di amarmi, ma questa non è una dimostrazione di … amore. Voi mi odiate per quello che ho fatto, ma io invece sono felice, sono tremendamente felice, perché i figli che aspettavo non saranno mai vostri! Non avrete più nulla da me, ve lo giuro!”
“Lo so” rispose asciutto l’uomo, senza sforzarsi di far trapelare alcuna emozione “ma ormai non mi interessa. Siete libera, se è questo che volete: potrete abbandonare il palazzo, andare dove desiderate! Ho sprecato due anni ad amarvi, a cercare di farvelo capire e ad accontentarvi: ho fallito, lo ammetto, e adesso mi tiro indietro”.
Adele non era sicura di aver sentito bene: eppure le parole le apparivano sincere, crude e spietate, ma sinceramente autentiche.
“State dicendo sul serio? Mi lascerete in pace, permetterete che viva la mia vita con chi voglio e dove desidero?!” domandò con una punta di sorpresa la giovane, affondando i pugni nelle lenzuola.
Francesco annuì: prese tra le sue le mani della moglie, adesso stranamente calde dopo molto tempo.
Le baciò con delicatezza, poi si alzò dalla sedia –anch’essa bianca come ogni cosa in quella stanza- e avvicinò il viso alla bocca di lei.
“Non vi sto prendendo in giro. Addio, Adele, siate felice”.
La prima cosa che le venne in mente quando Francesco varcò la porta per uscire, fu quella di scrivere una lettera per la signorina Felicita, per avvisarla che il giorno successivo non avrebbe potuto andare al mercato a ritirare le sottogonne, come avevano pattuito la settimana precedente.
Se suor Eleonora aveva detto la verità, da quando era stata male erano passati già due giorni, quindi oggi dovrebbe essere giovedì, stava riflettendo la ragazza.
Sì, non c’era altro tempo da perdere: cercò a tastoni un campanello per chiamare qualcuno che potesse scrivere quelle poche righe al suo posto.
Quando lo trovò, fece ondeggiare il minuscolo oggetto per un paio di volte, con tutte le forze che, a fatica, stava lentamente recuperando.



Il visconte percorse a passo spedito il corridoio e la scalinata, il cappello blu scuro stropicciato tra le mani.
Una volta uscito nell’androne del palazzo che ospitava l’ospedale, respirò profondamente l’aria di aprile del tardo pomeriggio, passandosi una mano tra i folti capelli neri.
Rimase in piedi, appoggiando la schiena avvolta dalla giacca dello stesso colore del copricapo allo stipite dell’ingresso, per lasciar passare un gruppo di suore e di medici.
Due giorni prima, mentre stava fronteggiando Umberto, si era subito accorto della presenza discreta di Adele che, sempre più pallida, nel giro di pochi minuti, era crollata sul pavimento, priva di sensi.
Lui le si era subito avvicinato, prendendole il volto tra le mani e, schiaffeggiandola delicatamente, aveva cercato di soccorrerla, facendole riprendere conoscenza, ma inutilmente.
Quel damerino le si affannava intorno come un bambino attaccato alle gonne della madre. Se non lo avessi spronato a reagire, a quest’ora quella sciocca sarebbe morta dissanguata!
In realtà, Francesco aveva intralciato qualsiasi atteggiamento di aiuto che il rivale gli porgesse, perché sperava che, al risveglio della moglie, questa lo ringraziasse, dimenticandosi una volta per tutte di Umberto.
La perdita dei figli che già pregustava di veder crescere, era stato un colpo molto duro da digerire, a cui non riusciva ancora a rassegnarsi completamente.
Sapeva che, appena avesse aperto bocca, avrebbe potuto avere uno stuolo di donne a supplicarlo di fare un figlio con lui, tuttavia era una questione di onore: si sentiva punto nel vivo, nell’orgoglio di nobiluomo che era sempre riuscito ad ottenere ogni cosa volesse.
Non era più sicuro dell’amore che aveva declamato a gran voce appena una settimana prima, quando la moglie gli aveva confessato di non amarlo, di detestare la vita matrimoniale che le aveva offerto in quei due anni; era indubbiamente attratto dall’ingenua e candida bellezza fisica di Adele, per questo si era sforzato di aspettare che gli si concedesse, eppure provava anche pena per l’infelicità a cui, involontariamente, l’aveva sottoposta per tutto quel tempo.
Se solo lei avesse provato a volermi bene, a quest’ora sarebbe ancora incinta, e io non le avrei mai rivelato di quella sera, quando quello stupido del padre me l’ha ceduta a carte!”.
Non era abituato a piangersi addosso: aveva tutto un mondo a palazzo ad attenderlo, i suoi cani e il gatto, che aveva sempre amato più di ogni altra cosa, poi c'erano le proprietà di famiglia di cui occuparsi, i libri da sfogliare e assaporare, la musica da gustare ai concerti, i quadri da ammirare alle mostre d'arte, le feste a cui Adele si faceva sempre supplicare per farsi portare ...
Abbandonò la postazione che aveva privilegiato per riflettere sugli avvenimenti che avevano caratterizzato gli ultimi giorni: si mise il cappello in testa e, calpestando il viale in fondo a cui il signor Caccia lo stava aspettando, salì in carrozza.
“Oh, signor visconte, siete già di ritorno! Come sta vostra moglie?” s’informò il cocchiere, rivolgendo un sorriso in direzione del padrone.
“Bene, si è completamente ristabilita. Andiamo, si è fatto tardi …”
“Ma … questo significa che tornerà presto a casa?” cercò di replicare il vetturino, imbarazzato per la strana reazione dell’uomo.
“Ho detto che possiamo andare, Caccia! E questo è tutto!”
Francesco lanciò un’occhiata di sfida verso le finestre del secondo piano dello stabile.
Si lasciò andare sullo schienale imbottito e chiuse gli occhi.

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Capitolo 24
*** Il lieto fine ***


Due settimane dopo

Adele era uscita in giardino a passeggiare: il parco dell’ospedale era incredibilmente vasto, più grande di quello del palazzo dove aveva vissuto negli ultimi due anni e di quello della casa della suocera, in Francia.
L’aspetto vistosamente curato, grazie ai salici sapientemente potati, ai pini e agli abeti, le procurava un senso di pace a lungo cercato.
Il lungo viale di terra battuta e ciottoli ordinatamente in fila l’uno dietro l’altro era circondato da cespugli di rododendro, per il resto non c’erano altri fiori o piante messi lì dalla mano dell’uomo.
La giovane, la vestaglia color turchese con i pizzi alle maniche e una mantella blu scuro a proteggerla dagli sbalzi di temperatura, si sedette su una delle numerose panchine di cemento che tappezzavano i prati carichi di margherite selvatiche.
Era ormai aprile inoltrato: l’aria era ancora frizzante a causa del temporale di due notti prima, ma il sole cominciava a scaldare come solo sa fare a primavera avviata.
I lunghi capelli ricci le cadevano ordinati sulle spalle, lucidi e dai riflessi dorati alla luce mattutina.
Non aveva più quel pallore e quell’eccessiva magrezza che l’avevano indiscutibilmente sciupata, adesso Adele si stava rimettendo velocemente e felicemente.
Era già la terza passeggiata che le permettevano di fare da sola, senza alcuna suora e senza quella specie di sedia che aveva accompagnato tutti i suoi spostamenti nell’ultima settimana, quando il medico le aveva dato il benestare per alzarsi dal letto.
Ovviamente non poteva stare fuori dalla stanza per molto tempo, non più di mezz’ora al mattino e  al pomeriggio, rigorosamente quando l’aria era più calda.
Chiuse gli occhi, il viso intiepidito dal piacevole tepore che la stava invadendo: il pensiero corse ad Umberto, a cui aveva dedicato quasi ogni minuto della sua convalescenza.
Non aveva ottenuto il permesso per vederlo, perché si trovava pur sempre nell’ala femminile dell’ospedale, e solo i mariti erano ammessi, ma ormai lei non aveva più un marito.
L’unico uomo che aveva visto in quelle due settimane era stato Filippo, suo cognato, che lavorava nello stesso reparto, e che durante la pausa pranzo la passava a trovare.
Angelica, la moglie di Filippo, veniva a trovarla durante il fine settimana, mentre la madre si recava a farle visita un giorno sì e uno no, spesso insieme a Nina, la balia, che la guardava come solo lei sapeva fare: compassionevole e dura allo stesso tempo, forse perché la riteneva unica responsabile di tutto quello che le era successo.
In realtà, erano tutte molto preoccupate per lei e per le creature che aveva perso: Adele fingeva di essere addolorata, ma non aveva avuto il coraggio di affrontare il discorso, né tantomeno dell’abbandono di Francesco e, soprattutto, delle meschinità del padre di cui era stata vittima due anni addietro.
“E’ ora di rientrare, cara” la giovane si riscosse dai suoi pensieri: suor Eleonora le aveva appoggiato con delicatezza una mano sulla spalla e, il sole alle spalle, la invitava ad alzarsi.
“Domani finalmente potrò uscire da questo posto” mormorò sorridendo Adele, mentre si appoggiava al braccio che le tendeva l’altra donna.
“Grazie al Signore, sì! A tal proposito, volevo parlarvi un minuto”
“Possiamo sederci ancora un po’, quindi?” indagò dubbiosa la ragazza, che temeva un rinvio alle sue dimissioni.
“Certo, sediamoci. Volevo solamente augurarvi tanta fortuna, cara. Domani mattina partirò per una missione in Libano, quindi non potrò esserci per salutarvi” la suora strinse con gioia ed emozione le mani calde di Adele  “che Dio e la Madonna vi proteggano, figliola. Spero che troviate la pace e la serenità che meritate” e accompagnò le sue parole alla benedizione impressa sulla fronte della giovane.
“Grazie, suor Eleonora. Siete stata il mio conforto in questi giorni di solitudine e di amarezza. Qundo tornerete dalla missione, mi farebbe piacere rincontrarvi!”
“Starò via due mesi ma, appena rientrerò, sarà mia premura scrivervi per potervi riabbracciare e parlare delle belle cose che spero vi capiteranno in questo tempo! Anzi, sapete cosa farò? Chiederò al dottor Franzini di farvi recapitare le mie lettere, così potremo tenerci in contatto! Cosa ne pensate?”
“E’ una bellissima idea, suor Eleonora, davvero! Vi scriverò almeno una volta a settimana e tutte le volte che avrò bisogno di un consiglio, saprò su chi fare affidamento!”
“E io sarò felice e onorata di poter rispondervi. Sarete sempre nei miei pensieri, cara Adele, così come nelle mie preghiere. Ora però, è meglio tornare dentro, ricordatevi che siete ancora convalescente!”
La ragazza sorrise ed obbedì, stringendo con calore il braccio della donna attorno al suo.

Il pomeriggio successivo, verso le tre, Adele era in corridoio ad attendere l’arrivo di Angelica e della carrozza che l’avrebbe portata a casa della sorella, almeno per qualche altro giorno ancora, con l’intento di continuare la convalescenza.
La madre, appoggiata dalla balia, insisteva perché tornasse a palazzo con lei e il padre, tanto che per convincerla aveva proposto ad Agnese, la novella moglie del fratello Alberto, di trasferirsi a vivere con loro, in modo da avere qualcuno della sua età con cui scambiarsi confidenze e farsi compagnia.
Adele rifiutò categoricamente l’invito, adducendo come scusa la mancanza di tatto della madre e della balia, dal momento che la cognata era felicemente incinta, mentre lei aveva perso i due figli che aspettava: entrambe le donne arrossirono violentemente, dandosi delle stupide per non averci pensato, zittendosi all’istante.
In realtà, non era ancora pronta per affrontare il padre, per vederlo e stare in sua presenza nella stessa stanza, dopo che, due anni prima, l’aveva venduta al miglior offerente come un insulso prodotto di scarto del peggior mercato.
Quando Angelica arrivò, abbracciò emozionata la giovane, seduta su una delle panche in legno dipinto di bianco come tutto il resto che l’aveva circondata in quei quindici giorni, e la salutò dicendole:
“Sei pronta?! Non vedo l’ora di portarti fuori di qui!”
L’altra annuì, un sorriso finalmente felice sulla bocca carnosa di nuovo viva:
“Devo chiederti un favore: prima di andare a casa, mi devi accompagnare da Umberto. Ti prego, ho bisogno di vederlo” disse tutto d’un fiato la ragazza, stringendole le mani con vigore.
“Ancora con questa storia?!” sbraitò la sorella, sciogliendo l’intreccio con la sorella “lo devi dimenticare! Dopo quello che ti è successo, devi pensare solamente a te e a Francesco!”
“Mi ha lasciata” la interruppe seccamente, nascondendo il trionfo che sentiva dentro a pronunciare ad alta voce quella semplice frase. “E' successo il giorno stesso in cui mi sono risvegliata. Da allora non è più venuto a trovarmi, anzi, mi ha espressamente detto che sono libera come l’aria”.
“Non ci credo, Adele! Tu hai ancora le idee confuse! Forza, andiamo, la strada da fare è lunga” tentò di trascinarla lungo il corridoio asettico e privo di presenza umana.
“Aspetta! Se non credi alle mie parole, chiedi a Filippo! Lui potrà confermarti che quel mostro che avevo per marito non si presenta da giorni, né ha scritto per informarsi della mia salute!”
L’altra donna, avvolta in un lungo abito stretto di seta color rosa confetto, scosse la testa, e rimase in silenzio per una manciata di secondi.
“E quale sarebbe il motivo che l’avrebbe spinto a una decisione così stupida?”
“Non è il momento di parlarne, Angelica. Ma ti prometto che, appena troverò le forze, racconterò ogni cosa a te e alla mamma … “
“Va bene” concesse alla fine “ti porterò da lui. Ma fino a quando non ti sarai completamente ristabilita, verrai a stare da me! Almeno questo me lo devi, Adele, anzi, lo devi prima di tutto a te stessa!”
La sorella l’abbracciò con tutta la forza che aveva e, baciandola, la ringraziò, gli occhi che cominciavano ad arrossarsi per le lacrime di felicità che premevano per uscire.

Quando la giovane bussò alla porta di Maria la stiratrice, pregò –esattamente come aveva fatto per l’intera ora di carrozza che l’aveva condotta lì- che Umberto vivesse ancora con la donna.
Non c’era nessuno in giro, solo Angelica che attendeva nella vettura, le tendine scostate,  a un centinaio di metri dall’ingresso, l’espressione di disapprovazione sul bel volto allungato.
La giovane accennò un sorriso nella sua direzione, come per rassicurarla che tutto sarebbe andato bene, che quella era l’unica cosa giusta da fare.
Ritornò a guardare di fronte a lei, tremante di paura e di gioia e, finalmente, l’uscio si aprì, rivelando il viso di Maria, stupito e felice al contempo:
“Adele! Siete proprio voi!? Oh, Dio del Cielo, come state?! Umberto era così preoccupato!
Non ha fatto altro che incolparsi per quello che vi è accaduto …”
“Sono tanto felice anch’io di rivedervi!” la salutò la ragazza, abbassandosi per abbracciarla “sto bene, non preoccupatevi! Ma ditemi: Umberto vive ancora qui con voi?”
“Certo, cara, certo! Entrate, è su, nella sua camera! E' diventato apatico e insofferente da quando vi ha riportato indietro: svolge le sue mansioni mattutine come prima, certo, munge le mucche, dà da mangiare agli animali, ma poi passa il resto della giornata rintanato in soffitta! Se continua così, si ammuffirà, ecco che fine farà!”
“Non posso entrare, Maria. Mia sorella mi sta aspettando” spiegò indicando con la mano il punto dietro di lei “dite ad Umberto di scendere, per favore, perché gli devo parlare urgentemente”.
La donna annuì e si ritirò per qualche istante, non prima di essersi informata nuovamente sul suo stato di salute.
Adele capiva che la donna era stata messa al corrente di quello che le era successo, della perdita dei bambini che aspettava e del periodo trascorso in ospedale, tuttavia le sue parole erano delicate e premurose, persino materne: la giovane aveva avuto modo di affezionarsi a lei durante quei due giorni che avevano trascorso insieme, prima che avessero inizio quella fioritura inaspettata e quella libertà che adesso poteva vantare.
Mi ricorderò per sempre della sua gentilezza e dell’accoglienza che mi riserva ogni volta! Dopo Nina, lei è l’unica che ha saputo accettarmi e comprendermi, anzi, in questa occasione, ha sostituito la balia e i suoi ciechi pregiudizi!
Il ragazzo che aprì la porta socchiusa, dopo nemmeno un minuto, aveva il viso stravolto dalla gioia e dalle lacrime: i capelli corvini erano arruffati e sporchi di paglia, i vestiti stropicciati e in disordine.
“Adele! Amore mio, perdonami, perdonami per tutto quello che ti ho fatto!”
Umberto affondò il volto smagrito e pallido sulla spalla di lei, stringendola con passione e disperazione allo stesso tempo.
“Non hai niente da farti perdonare, non devi rimproverarti nulla!” lo zittì con un bacio la ragazza.
Gli passò una mano sulla barba incolta di qualche giorno poi, con dolcezza e pazienza, gli disse:
“Io ti amo, Umberto, e voglio stare per sempre con te! Ti prego di aspettarmi, perché ho promesso ad Angelica che avrei passato il resto della convalescenza da lei. Dopo, però, tornerò da te, e questa volta non dovremo più preoccuparci di quel maledetto di mio marito! Lui mi ha lasciata, amore, non mi perseguiterà più!”
“Come ti ha lasciata?”
La giovane annuì sorridendo e, accarezzandogli il volto, gli spiegò:
“Non sai che cosa mi ha raccontato, è stato terribile rimanere lì, in quel letto, ad ascoltare il disprezzo e la beffa che trapelavano dalle sue parole! Lui e mio padre si sono presi gioco di me e della mia libertà, ma adesso non è il momento adatto per parlarne! Verrà il tempo anche per quello, amore mio!”
I due si abbracciarono nuovamente, mentre il nitrito di uno dei due cavalli della carrozza, stanchi di stare fermi, precedette le parole di Umberto:
“Io sono qui, Adele. Verrò a trovarti ogni giorno, in attesa che tu possa tornare da me! Oggi stesso andrò a cercare un lavoro, così, quando tornerai, non dovremo più dipendere da niente e da nessuno!”
“Nessuno ci sottometterà più, te lo prometto! D’ora in poi saremo gli unici artefici del nostro destino, gli unici!”
Un riverbero di sole si frantumò sulla parete in pietra della casa, illuminando i volti sorridenti dei giovani innamorati, finalmente insieme e liberi di amarsi.



NOTA DELL’AUTRICE

Ciao a tutti! Scusate la mia lunga assenza di quasi un mese, ma sono impegnata fuori città a causa degli studi universitari.
E così si è conclusa la storia: ne sono dispiaciuta, perché mi ero affezionata molto ai personaggi, ma non è detto che, prima o poi, possa fare un breve seguito o una one shot!
In sospeso per Adele c’è il rapporto con Francesco, ma anche con il padre e con la dolce suor Eleonora!
Per il momento ringrazio TUTTI, ma proprio tutti coloro che hanno letto questo racconto, chi l’ha inserito tra le preferite, le ricordate, le seguite, chi ha lasciato un commento … se sapessi i nomi di tutti, vi ringrazierei ad uno ad uno ma, per par condicio, vi mando un GRAZIE generale!
A presto!

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