The Rose of true love

di ValeDowney
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un Fiore per Gold - Parte I ***
Capitolo 2: *** Un Fiore per Gold - Parte II ***
Capitolo 3: *** Polvere dorata - Parte I ***
Capitolo 4: *** Polvere dorata - Parte II ***
Capitolo 5: *** La Dama del Lago - Parte I ***
Capitolo 6: *** La Dama del Lago - Parte II ***
Capitolo 7: *** Una nuova amica - Parte I ***
Capitolo 8: *** Una nuova amica - Parte II ***
Capitolo 9: *** Il Patto del Cappello - Parte I ***
Capitolo 10: *** Il Patto del Cappello - Parte II ***
Capitolo 11: *** Nascosta - Parte I ***
Capitolo 12: *** Nascosta - Parte II ***
Capitolo 13: *** Operazione Coccodrillo - Parte I ***
Capitolo 14: *** Operazione Coccodrillo - Parte II ***
Capitolo 15: *** Il Segno del Lupo - Parte I ***
Capitolo 16: *** Il Segno del Lupo - Parte II ***
Capitolo 17: *** Strani Sintomi - Parte I ***
Capitolo 18: *** Strani Sintomi - Parte II ***
Capitolo 19: *** Spirito di Esplorazione - Parte I ***
Capitolo 20: *** Spirito di Esplorazione - Parte II ***
Capitolo 21: *** Bugia a fin di bene - Parte I ***
Capitolo 22: *** Bugia a fin di bene - Parte II ***
Capitolo 23: *** Timida Riappacificazione - Parte I ***
Capitolo 24: *** Timida Riappacificazione - Parte II ***
Capitolo 25: *** Non più migliori amici - Parte I ***
Capitolo 26: *** Non più migliori amici - Parte II ***
Capitolo 27: *** Il Cacciatore e la bambina - Parte I ***
Capitolo 28: *** Il Cacciatore e la bambina - Parte II ***
Capitolo 29: *** Supercalifragilistichespiralidoso - Parte I ***
Capitolo 30: *** Supercalifragilistichespiralidoso - Parte II ***
Capitolo 31: *** The Rose of True Love - Parte I ***
Capitolo 32: *** The Rose of True Love - Parte II ***
Capitolo 33: *** Affari di famiglia - Parte I ***
Capitolo 34: *** Affari di famiglia - Parte II ***
Capitolo 35: *** Verità e spiegazioni - Parte I ***
Capitolo 36: *** Verità e spiegazioni - Parte II ***
Capitolo 37: *** Mai giudicare un libro dalla copertina - Parte I ***
Capitolo 38: *** Mai giudicare un libro dalla copertina - Parte II ***
Capitolo 39: *** Il Vero Amore vince sempre - Parte I ***
Capitolo 40: *** Il Vero Amore vince sempre - Parte II ***



Capitolo 1
*** Un Fiore per Gold - Parte I ***









The Rose of true Love
 
Note dell'autrice: Buona sera a tutti. Mi scuso già in anticipo con quelli che leggeranno,recensiranno o leggeranno solo. Questa è la mia primissima fanfict sul mondo di Once Upon a Time (ho lasciato per un attimo da parte Tony Stark e pirati maledetti), quindi perdonatemi se per alcuni personaggi sono uscita dal loro carattere normale o ho fatto qualche errore. Questo è il primo capitolo, ma l'ho diviso in due parti, per via della lunghezza ( ed anche perchè non voglio annoiarvi troppo). Il mio personaggio preferito, ovviamente, è il nostro caro Rumple (Tremotino) ed ho pensato ( ma ho visto in giro altre fanfict) se avesse una figlioletta (poi spiegherò dove e quando è nata) come sarebbero andate le vicende nella calma (si fa per dire) cittadina di Storybrooke.

 
Capitolo I: Un fiore per Gold - Prima Parte



 
“Buongiorno, Storybrooke: è un’altra giornata soleggiata in questa bellissima cittadina del Maine e ci siamo sempre noi due a tenervi compagnia: Redford “Red” Foxy e…” iniziò col dire il ragazzo.
“…Cathy Stevensons; due ore intere di notizie e gossip sui nostri amati cittadini. Quindi restate sintonizzati su Radio Storybrooke, la radio dove ogni sogno si avvera” finì col dire la ragazza, mentre le loro voci si diffondevano da alcuni altoparlanti attaccati ai pali della luce posti lungo le strade. I cittadini di Storybrooke stavano per iniziare un’altra giornata, riprendendo le loro routine quotidiane.

Una bambina, dai capelli ricci e gli occhi marroni, si guardava intorno con curiosità mentre passeggiava sul marciapiede, mano nella mano con una persona; l’uomo abbassò lo sguardo e, sollevandolo di nuovo, disse: “Rose, tesoro, guarda avanti, o rischierai di andare a sbattere da qualche parte”.
Rose guardò l’uomo che teneva per mano, domandandogli: “Ma papà, come farò ad andare a sbattere se ti tengo per mano? Tu non mi lascerai andare, vero?” Il Signor Gold fece un’espressione di tristezza, ripensando che, secoli prima, un’altra persona a lui molto cara gli aveva fatto la stessa identica domanda. Ora quella persona era perduta per sempre, ma lui continuava a cercarla.
Guardò la piccolina al suo fianco, rispondendole: “Mio piccolo fiore, il tuo papà non ti lascerà mai andare”.
Rose - questo era il nome della piccola - sorrise. Invece di guardare avanti, però, guardò la gamba di suo padre: l’uomo, infatti, zoppicava alla gamba destra e usava un elegante bastone per camminare. “Potevamo prendere la macchina” disse.
“Tesoro, oggi mi andava di fare una passeggiata con la mia piccola principessa. Di tanto in tanto possiamo anche concedercelo” disse il Signor Gold.
“Ma la gamba ti fa male?” domandò Rose.
“Oggi no” rispose il Signor Gold. Dopo aver visto lo sguardo poco convinto della figlia, sospirò e si fermò. Sapeva che non poteva mentirle; non lo aveva mai fatto e mai ci avrebbe provato… forse. Quella bambina era così uguale a sua madre, quando lo guardava in quella maniera: riusciva a convincere persino un orco. Si abbassò al suo livello e, dopo averle messo una mano sulla guancia, tenendo l’altra sul bastone per non cadere, le rispose: “A te non posso mentire, piccola mia. La gamba mi fa male, ma per te non lo farà mai. Farò sempre tutte le passeggiate che vorrai e non sentirò dolore; faremo tutto ciò che vorrai e il dolore alla gamba sarà come se non ci fosse.”
Rose sorrise, per poi dirgli: “Non ti preoccupare, papà. Se la gamba ti farà male non sarà un problema, ma spero che non ti affaticherai troppo.”
“Mia piccolina, sei tale e quale a tua madre. Anche lei si preoccupava sempre di tutti e, solo alla fine, di se stessa. Facciamo un patto: se la gamba mi farà male, te lo dirò e tu deciderai cosa fare, va bene?” disse il Signor Gold e allungò una mano. Rose la guardò e, mentre gliela stringeva, disse: “Va bene, ma decideremo insieme e devi promettermi di dirmelo prima che ti faccia troppo male.”
“Come vuoi tu, piccola mia” disse sorridendo il Signor Gold ed i due si abbracciarono. “Ti voglio bene, papà” disse Rose. “Ti voglio bene anche io, piccola” disse il Signor Gold.
Si staccarono dall’abbraccio ed il Signor Gold, rialzandosi in piedi aiutandosi con il bastone, disse: “Ma ora faremmo meglio ad andare o farai tardi a scuola.” E, dopo aver preso per mano la figlia, ripresero a camminare.
“Devo proprio andare a scuola? Non posso venire in negozio con te?” chiese Rose. Suo padre era titolare del negozio dei pegni dove, al suo interno, c'erano un sacco di oggetti di ogni tipo, alcuni anche molto rari e Rose non sapeva dove suo padre li avesse trovati. La sola cosa che sapeva era che in città tutti lo temevano, non solo perché incuteva una certa aria di timore, ma anche perché possedeva tutta la città. Solo il sindaco sembrava non temerlo.
Ma la piccolina non aveva paura del suo papà: lo adorava, gli voleva molto bene e lui ne voleva altrettanto a lei. Fin da quando era nata, non aveva mai smesso di riempirla di attenzioni, coccole e tanti regali, come se non volesse mai farle mancare l’assenza della figura materna. Suo padre le aveva raccontato che la madre era morta dandola alla luce. Lei sentiva nel suo piccolo cuore che sua madre poteva essere ancora viva, ma non voleva dirlo a suo padre per non farlo sentire ancora più triste. Ogni volta che parlava di lei, c’era sempre un velo di tristezza nella sua voce e Rose non voleva vederlo così.
Venne distolta dai suoi pensieri quando suo padre le rispose: “Rose, l’istruzione è molto importante e io voglio che tu abbia il massimo.”
“Ma odio la scuola e odio anche i miei compagni di classe e la mia maestra” disse Rose, mentre voltava lo sguardo verso Granny’s, il locale più visitato della città. Granny, l’anziana proprietaria, stava mettendo fuori l’insegna e sua nipote Ruby la stava a guardare senza però aiutarla.
“Piccola, non mi interessa se non sarai la prima della classe, ma almeno voglio tu abbia un’istruzione decente per quando sarai grande” disse il Signor Gold. Arrivarono davanti a scuola. Si abbassò e, dopo aver preso un fazzoletto da una tasca della giacca, pulì una guancia della figlia, dicendole: “Devi essere perfetta, mio piccolo fiore… ma tu sei già perfetta”. Rimise il fazzoletto nella tasca.
“Sei il mio papà: è normale che tu dica che sia perfetta” disse Rose.
“Lo avrei detto anche se non fossi stata mia figlia” disse il Signor Gold; Rose guardò l’entrata della scuola, dove altri genitori stavano salutando i loro figli. Poi riguardò suo padre, dicendogli: “È che non ho amici: solo Henry è amico mio, ma è più grande di me.”
“È più grande di te di solo un anno” disse il Signor Gold.
“Due: compirò nove anni fra qualche giorno” lo corresse Rose.
“Tu sei una bambina speciale e gli altri non sanno cosa si perdono nel non diventare tuoi amici. Devono solo cercare di capire il grosso errore che stanno commettendo” disse il Signor Gold.
“È che vorrei avere qualcuno con cui giocare, qualcuno della mia età. A volte Henry non è proprio di compagnia, visto che sua madre lo rinchiude in casa” disse Rose.
Il Signor Gold guardò da una parte. Sapeva che la colpa era sua, se la figlia non aveva amici. Tutti lo temevano, tutti gli stavano a debita distanza e, di conseguenza, stavano a distanza dalla figlia. Era esattamente successa la stessa cosa anche quando, secoli prima, gli stavano a distanza dopo essere diventato il Signore Oscuro, e quella persona che aveva perso non aveva amici con cui giocare. Non voleva che la figlia soffrisse per causa sua, ma sapeva che poteva fare ben poco nella situazione che ricopriva in città.
Suonò la campanella. Riguardò la bambina e le sorrise. Si rialzò in piedi e, mentre le metteva la cartella sulla schiena, le disse: “E ricordati di fare sempre la brava, di prestare sempre attenzione e…”, ma Rose continuò: “… ascoltare sempre la maestra e chiedere qualora non avessi capito qualcosa”. Ogni mattina, infatti, il Signor Gold le raccomandava sempre le stesse cose, e Rose ormai aveva imparato a memoria le parole del padre.
Il Signor Gold la voltò verso di sé, dicendole: “E se dovessi sentirti male, non esitare a chiamarmi che verrò subito a prenderti.”
“Papà, devi tenere aperto il negozio” disse Rose.
“È vero, ma il mio piccolo fiore viene prima di qualunque cosa” disse il Signor Gold e, abbassandosi, le diede un dolce bacio sulla fronte. Rose sorrise, poi si voltò e camminò verso l’entrata della scuola, sotto lo sguardo attento del padre.
In quel momento, al fianco del Signor Gold, arrivò un uomo con gli occhiali, una sciarpa intorno al collo e una lunga giacca. Teneva al guinzaglio un dalmata: “Buon giorno, Signor Gold, come mai ancora qua?” domandò l’uomo.
“Buongiorno, Dottor Hopper” disse Gold, non guardandolo. L’uomo, che si trattava del Dottor Archibald Hopper, noto psichiatra della città, guardò avanti a sé, capendo già la sua risposta: “Rose è veramente una bambina eccezionale e cresce in fretta”.
“Troppo in fretta per i miei gusti” disse Gold.
“Qui a scuola è al sicuro, non le succederà nulla” disse il Dottor Hopper.
“Potrebbe scappare, non appena me ne vado, ma so che la mia piccolina non farebbe mai una cosa del genere” disse Gold.
“Allora perché continuare a rimanere qua?” chiese il Dottor Hopper.
“Qualcuno potrebbe arrivare e farle del male solo per arrivare a me. Lei lo dovrebbe sapere che non sono ben visto in questa città” rispose Gold.
“Nessuno le farà del male e deve anche cercare di fidarsi di lei. È sua figlia e se fosse in pericolo glielo direbbe. Rose è una cara bambina, proprio come lo era la madre” disse il Dottor Hopper. Gold lo guardò, dicendogli: “E’ tardi, Dottor Hopper, e lei deve andare a lavorare, così come io devo andare ad aprire il mio negozio. Ci vediamo” e se ne andò.
Il Dottor Hopper lo guardò andarsene, dicendogli: “Buona giornata, Signor Gold”. Ogni volta che parlava della defunta madre di Rose, Gold cambiava velocemente discorso, come se non volesse pensarci o soffrire. Nessuno in città sapeva chi fosse la madre di Rose e Gold non ne voleva mai parlare. La vita privata di Gold doveva rimanere tale, e chi provava a ficcare il naso sarebbe stato in grossi guai.
“Andiamo, Pongo, ho dei pazienti da visitare” disse il Dottor Hopper e, insieme al suo fedele cane, se ne andò verso l’ufficio.
Nel frattempo, Rose stava camminando per uno dei corridoi della scuola, per raggiungere la classe e sedersi al suo posto accanto alla finestra. Aprì la cartella, tirandone fuori tutto l’occorrente per la lezione, mettendolo sul banco. Gli altri bambini che erano già in classe la guardarono per poi chiacchierare tra loro. Peccato, avrebbe potuto vedere Henry solamente durante la ricreazione, visto che si trovava in un’altra classe.
Nessuno parlava con lei e la prendevano sempre in giro, anche se sapevano di rischiare: prendersela con Rose, significava andare contro le ire del Signor Gold e, di conseguenza, venire anche severamente puniti. Spesso aveva sentito brutte storie riguardo suo padre, raccontate da quei bambini. Alcuni di loro avevano detto che, anni prima, un signore per strada aveva fatto cadere inavvertitamente Rose e il Signor Gold, arrabbiato perché la figlia si era ferita a un ginocchio, non ascoltando le scuse dell’uomo lo tramutò in una lumaca per poi schiacciarlo davanti agli occhi di tutti.
Rose sapeva che suo padre non aveva mai fatto una cosa simile: era vero, la proteggeva in ogni momento, ma non si sarebbe mai permesso di tramutare un poveruomo in una lumaca per poi schiacciarlo.
Quando riguardò avanti, entrò la maestra e tutti i bambini andarono ognuno al proprio posto. Si trattava di una ragazza sulla trentina, dai capelli neri raccolti a cipolla e di certo non di bell’aspetto. Si chiamava Druzella Tremaine e la sua voce gracchiante non faceva altro che peggiorare le cose.
“Bambini, oggi faremo una cosa davvero speciale: ho un compito davvero bello per voi. Descriverete la vostra famiglia” disse Druzella e i bambini, eccetto Rose, esultarono. A loro piaceva descrivere i propri genitori e vantarsi dei lavori che svolgevano.
Quando i bambini si calmarono, Druzella continuò: “Ma mi raccomando, entrambi i genitori devono essere descritti e potete chiedere loro qualsiasi cosa”. Fu a quel punto che Rose alzò la mano. Druzella la guardò, dicendole: “Sì, Signorina Gold?”
Rose abbassò la mano, dicendo: “Signorina Tremaine, la mia mamma è morta: come potrò quindi fare il tema?”
“Bè, è ovvio: chieda a suo padre” disse Druzella
“Ma lei ha appena detto che dobbiamo chiedere ad entrambi. Non sarebbe la stessa cosa se chiedessi solo a mio padre” disse Rose.
“Signorina Gold, non approvo affatto questa sua sfacciataggine nei miei confronti. Se non la smette, giuro che la mando dalla preside e, questa settimana, fanno già due volte” replicò Druzella. L’ultima volta, Rose era stata mandata dalla preside (Lady Tremaine, un’anziana e ricca donna dallo sguardo sempre severo, nonché madre di Druzella e Anastacia, sua sorella minore, dallo stesso brutto aspetto e voce gracchiante, ma che insegnava nella classe di Henry ed era un po’ più buona di sua sorella maggiore) perché aveva fatto del male a Lucy Hunter, una sua antipatica compagna di classe.
In verità Lucy Hunter aveva finto tutto, dicendo che Rose le aveva dato un pugno, quando invece non l’aveva nemmeno sfiorata. Ogni occasione era buona per Lucy e le sue spregevoli amiche, far prendere la colpa alla piccola Rose, la quale si prendeva tutte le colpe, evitando di essere ripresa da Lady Tremaine e, il peggio, era che suo padre non sapeva nulla di tutto ciò.
“Mi dispiace, Signorina Tremaine. Non volevo essere scortese e prometto che farò il tema” disse Rose.
“Deve, se non vuole che le metta un brutto voto e convochi suo padre dalla preside” disse Druzella, sorridendole maliziosamente. Rose la guardò e si limitò ad annuire con la testa. Per Rose, le lezioni della Signorina Tremaine sembravano non terminare mai.
Quando suonò la campanella della ricreazione e la piccola Gold corse fuori dalla classe, qualcuno le fece lo sgambetto, facendola cadere a terra. Si sentì ridere e Rose si voltò, per vedere che a farle lo sgambetto era stata Lucy insieme alle sue amiche.
“Lo sai che non si corre per la scuola, Goldie?” la canzonò Lucy e le sue amiche risero. “Goldie” era il nomignolo che Lucy aveva scelto per Rose: era un modo, come gli altri, per ridicolizzarla ancora di più di quanto già non facesse.
“Potevi farmi male” disse Rose, mentre si rialzava un po’ dolorante, visto che con la caduta si era fatta male al ginocchio destro.
“Che fai ora? Vai a piangere dal paparino? Ovvio che ci andrai, perché sei la cocca del papà” disse Lucy.
“Non sono la cocca del papà!” replicò Rose, mentre gli occhi le diventavano lucidi. Non voleva piangere, soprattutto non davanti a quell’antipatica di Lucy: non voleva darle questa soddisfazione.
“Vacci piano, Lucy, o suo padre potrebbe trasformarci in lumache” disse un’amica e le altre risero.
“Goldie, sai quali sono i patti stipulati: se spifferi tutto, il tuo amico pulcioso farà una brutta fine” disse Lucy.
“Ti prego, non fargli del male. Prometto che terrò la bocca chiusa con mio padre” disse Rose.
“Mi piaci quando supplichi in questa maniera” disse Lucy e, ridendo, lei e le sue amiche se ne andarono. Rose abbassò tristemente lo sguardo, poi si voltò ed uscì dalla scuola, raggiungendo Henry, che la stava già aspettando seduto sotto un grosso salice piangente.
“Devi finirla di farti trattare in questo modo da quelle là. Dovresti dire tutto a tuo padre” disse Henry, dopo che Rose gli ebbe raccontato quelle che le avevano appena fatto.
“ Non posso. Ho fatto un patto ed io mantengo sempre i patti” disse Rose.
“E cosa riguarderebbe questo patto?” domandò Henry. Rose lo guardò, ma non rispose. Nemmeno il suo migliore, ed unico, amico sapeva chi stava proteggendo. Forse, se glielo avesse detto, le cose sarebbero cambiate, ma da suo padre aveva anche ereditato a non disfare mai un patto e, quindi, preferì mentirgli: “Una cosa mia, ma che Lucy mi ha preso e, se racconto tutto a mio padre, lei non me la ridarà più ”.
“Capisco, ma almeno devi agire diversamente. C’è sempre un altro modo, per tutte le cose” disse Henry.
“E se anche trovassi questo altro modo, Lucy l’avrebbe sempre vinta. Ti ricordo che suo papà è molto amico con lo sceriffo” disse Rose.
“Ma tuo padre è molto più potente di lui, visto che possiede tutta la città” disse Henry.
“Anche tua madre è molto più potente di lui, eppure i due vanno molto d’accordo e sembra che stiano sempre tramando qualcosa” disse Rose.
“Lo penso anche io” disse sospirando Henry ed i due guardarono il cielo limpido, ma poi il bambino chiese: “Che compito vi ha dato questa volta la Signorina Tremaine?”
“Dobbiamo descrivere i nostri genitori e chiedere ad entrambi” rispose Rose. Henry la guardò dicendo: “Ma Rose, tua madre…” ma Rose lo interruppe: “…morta; sì, lo so, ma la Signorina Tremaine non ha voluto sentire ragioni e mi ha rimproverata, minacciandomi di mandarmi dalla preside se avessi continuato e, così, me ne sono stata zitta”.
“Questo, però, a tuo padre devi dirglielo” disse Henry.
“Non voglio passare per la cocca del papà. Non voglio andare sempre a piangere da lui. Devo anche cavarmela da sola e, ormai, non ho più cinque anni, ma vado per i nove, anche se papà mi tratta ancora come una bambina piccola” disse Rose.
“Ma tu sei una bambina piccola” disse Henry, ma non aggiunse altro quando Rose gli lanciò un’occhiataccia. Suonò la campanella: entrambi voltarono lo sguardo verso la scuola.
“Oggi verrai al nostro castello? Devo mostrarti una cosa” domandò Henry, riguardandola.
“Non lo so. Prima devo chiedere a papà e lui non vuole che me ne stia fuori fino a tardi” rispose Rose, mentre aveva lo sguardo abbassato. Non le andava di ritornare in classe e rivedere i suoi compagni, né tanto meno la sua maestra.
“Basta solo che gli dici che verrai a giocare con me e che ritornerai a casa prima di cena” disse Henry. Rose sospirò, quindi Henry aggiunse, dicendole e mettendole una mano sulla spalla: “Senti, io sarò là. Se verrai, bene; se non verrai, vorrà dire che ci rivedremo direttamente domani a scuola” e rientrò nell’edificio.
Rose guardò il cielo, dicendo: “Mammina, come vorrei averti conosciuta meglio ed accanto a me. Forse le cose sarebbero diverse e papà non incuterebbe timore a tutta la città. Forse avrei più amici e nessuno mi prenderebbe in giro, o forse le cose sarebbero rimaste uguali; so solo che ti avrei avuto molto bene e che papà sarebbe stato più felice” ed anche lei rientrò a scuola, mentre soffiava un leggero vento.

Dopo un po’ di ore, la scuola finì e Rose poté finalmente uscire da quell’inferno. Con cartella sulle spalle, uscì dall’edificio, insieme a tutti gli altri bambini, i quali corsero dai loro genitori. La bambina si guardò intorno e, quando guardò davanti a sé, vide suo padre che se ne stava in piedi davanti a una Cadillac d’epoca. Sorridendo gli corse incontro, per poi abbracciarlo.
“Sono così contenta di rivederti” disse Rose, mentre continuava ad abbracciarlo.
“Anche io, mio piccolo fiore, ma sembra che tu non mi abbia visto per secoli” disse Gold, abbracciandola a sua volta. Rose alzò lo sguardo e gli disse: “E’ che il tempo a scuola sembra non passare mai”.
“Passerebbe se tu prestassi più attenzione” disse Gold. Il sorriso dal volto di Rose scomparve. Che la preside gli avesse già telefonato, raccontandogli ciò che era accaduto quella mattina con la Signorina Tremaine? Gold, ovviamente, si accorse dell’improvviso cambio d’umore della figlia e, quindi, le domandò: “Qualcosa non va, tesoro?”.
Rose guardò indietro, per vedere Lucy e le sue amiche guardarla e ridacchiare. Si ricordò delle sue parole. Riguardò il padre, quando questi le chiese: “Cosa hai fatto al ginocchio? Piccolina, sei ferita. Ora andiamo subito a casa e ti curo”. Stava per prenderla in braccio quando Rose indietreggiò. Non voleva passare per la cocca del papà proprio davanti a Lucy ed alle sue amiche. Quindi passò accanto al padre entrando in macchina e sbattendo la portiera.
Gold la guardò senza parole, poi guardò minacciosamente Lucy e le sue amiche, le quali smisero subito di ridacchiare, per poi andare per la loro strada. Gold riguardò la figlia, poi entrò in macchina anche lui. Mise la cartella sul sedile del retro, avviò il motore e partì.


 
Note dell'autrice: Innanzitutto grazie per essere arrivati fin qua in fondo. Grazie e spero di non avervi annoiato troppo. Per il momento non mi dilungo ancora di più e volevo ringraziare due miei amici (Lucia e Robert) per avermi aiutata a correggere la storia e mettere giù le idee.Alla prossima parte del capitolo, miei cari Oncers

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Capitolo 2
*** Un Fiore per Gold - Parte II ***







The Rose of true Love

Capitolo I: Un fiore per Gold - Seconda Parte
 

Il viaggio fu molto silenzioso e Rose non faceva altro che guardare fuori dal finestrino, evitando lo sguardo preoccupato del padre. Gold non riusciva a capire l’improvviso strano comportamento della figlia: appena era uscita fuori da scuola, era contenta; poi, tutto a un tratto, non aveva voluto farsi prendere in braccio da lui ed era semplicemente salita in macchina. Ora se ne stava in silenzio a guardare fuori dal finestrino.
“Tesoro, è successo qualcosa a scuola che non mi vuoi dire ?” provò a chiederle, ma la bambina sembrava non averlo neanche sentito. Quindi ci riprovò: “Non è da te essere silenziosa. Se davvero è successo qualcosa, devi dirmelo e parlerò personalmente con la preside”
“Non è successo niente a scuola!” replicò Rose, guardandolo. Gold la guardò per un attimo senza parole. Quella non era la sua dolce bambina, dal comportamento mite e gentile. Era come se il suo lato da Signore Oscuro stesse uscendo da lei. No, non doveva permettere che Rose diventasse come lui era secoli prima: lei doveva essere come la madre.
Riguardò la strada. “E’ che mi preoccupo per te, sei tutto ciò che ho e non voglio perderti” disse.
“Papà, ma di che cosa stai parlando? Tu non mi stai perdendo” disse Rose, guardandolo stranamente. A volte proprio non capiva suo padre.
“Tu sei il mio tesoro più prezioso e chiunque ti abbia fatto del male deve pagare caro” disse Gold. Solo a quel punto Rose capì le parole del padre: abbassò lo sguardo, guardando il ginocchio ferito. Riguardò il padre.
“Papà, nessuno mi ha fatto del male. Sono caduta nel corridoio, sbattendo contro un pezzo di marmo” mentì la bambina.
“Dovrebbero eliminare certe cose. I bambini si possono fare molto male e, infatti, è quello che è successo a te. Adesso andiamo a casa e ti curo subito quella ferita” disse Gold.
“Perché, invece, non andiamo in negozio? Possiamo prendere qualcosa da Granny’s e mangiare lì” propose Rose.
“Ma piccolina, quella ferita al ginocchio…” iniziò col dire Gold, ma Rose lo bloccò dicendo: “Scommetto che, anche in negozio, hai qualcosa con cui curarmela” e Gold non aggiunse altro.
Poco dopo, dopo aver preso qualcosa da mangiare da Granny’s, i due si trovarono nel “Negozio dei Pegni” e Rose era seduta sul bancone, mentre suo padre, di fronte a lei, le curava la ferita al ginocchio con uno speciale unguento che teneva nel retro del negozio.
Rose sussultò un po’ dal dolore, non appena Gold le tamponò la ferita con l’unguento e un batuffolo di cotone: “Scusami, tesoro, ma vedrai che ora passa.”
“Se fossi stata più attenta, non mi sarei fatta male” disse Rose
“Se non fossi stata più attenta, non saresti nemmeno una bambina e dovrei incominciare a preoccuparmi” disse Gold e finì di medicarle la ferita. Mentre andava a rimettere l’unguento in una credenza nel retro del negozio, Rose titubante gli chiese: “Non è che, oggi pomeriggio, posso andare a giocare con Henry al nostro castello ?”
“Non hai da fare dei compiti?” domandò Gold, dal retro del negozio.
“Sì… un po’…” rispose Rose. Gold ritornò dal retro e le disse: “Prima i compiti e, solo quando li avrai finiti, potrai andare a giocare con il tuo amico.”
Rose saltò giù dal bancone e, abbracciando Gold, disse: “Grazie, grazie papà.”
“Di nulla, piccola e, per assicurarmi che farai la brava, farai i compiti qui in negozio” disse Gold e Rose lo guardò stranamente, ma sapendo che non poteva contraddire suo padre si andò a sedere dietro al bancone: estrasse i compiti dalla cartella e cominciò a farli.
Passò un’oretta e, ora, Rose si ritrovava con un foglio bianco davanti: doveva fare quel tema, ma non sapeva cosa scrivere. Come avrebbe fatto con sua madre? E’ vero, suo padre un po’ di volte gliela aveva descritta, ma in casa, stranamente, non vi erano foto sue.
Giocherellava con la biro mentre guardava quelle righe ancora bianche, che aspettavano solo di essere riempite da frasi riguardanti i suoi genitori. Poteva semplicemente descrivere suo padre, ma avrebbe preso un brutto voto e al Signor Gold, non piacevano i brutti voti. In quanto figlia del proprietario di tutta la città, doveva essere un buon esempio da seguire anche a scuola e, quel brutto voto non doveva essere il primo di una lunga serie.
Decise di optare per la soluzione più semplice, ma forse anche quella meno sicura: sgattaiolare fuori dal negozio, fingendo di aver finito tutti i compiti e sperando che suo padre ci cascasse.

“Io ho finito, vado da Henry” disse Rose mentre stava per aprire la porta. Gold, camminando verso di lei, disse: “Bene, ma prima vorrei leggere il tema che avevi da fare.”
“Tema? Quale tema?” chiese Rose guardandolo, facendo finta di nulla.
“Quello che ti hanno dato a scuola: è chiaro che quel foglio che hai sul bancone non sia per fare dei disegni o scarabocchiarci sopra. Su, avanti, fammelo leggere” rispose Gold e tese una mano.
Rose lo guardò, incerta su come agire, ma poi domandò: “Che ne dici se te lo faccio leggere stasera dopo cena?”
“No, vorrei leggerlo ora, se non ti dispiace, tesoro” rispose Gold, ma vedendo che la figlia non si muoveva, andò lui stesso al bancone e prese in mano il foglio. Il suo sguardo divenne cupo e guardò Rose, la quale deglutì per la paura.
“Spero tu abbia un’adeguata spiegazione del perché questo foglio sia ancora bianco!” replicò Gold, guardandola.
“Non avevo idee” disse semplicemente Rose.
“Volevi presentare un tema in bianco?! Be', signorinella, non uscirai da qua finché non avrai scritto qualcosa di decente e lo farai mentre ti guarderò” replicò Gold e batté con forza il foglio sul bancone, facendo sussultare Rose.
Lentamente, la bambina si sedette dietro al bancone. Prese la biro e guardò il padre, che la stava guardando a sua volta con uno sguardo poco rassicurante. Riguardò il foglio e provò a scrivere qualcosa, ma la biro non si muoveva.
“Sto aspettando, Rose” disse Gold.
“Mi dispiace, papà, ma non mi viene in mente nulla” disse Rose.
“Non è la prima volta che devi scrivere un tema e hai sempre avuto le idee chiare” disse Gold.
“Be', stavolta non le ho. Può capitare una volta ogni tanto, no?” disse Rose, guardandolo.
“Su cosa devi scrivere?” le chiese Gold.
“Su di te” rispose fingendo Rose.
“Se fosse stato su di me, avresti già finito. Avanti, dimmi la verità” disse Gold.
“E farmi passare per la cocca di papà?! Intanto so che andrà a finire così!” replicò Rose e andò nel retro del negozio. Gold la guardò, domandandole: “Piccola, ma cosa ti prende? Questa non sei tu”.
“E chi dovrei essere? Ah, sì, giusto: la tenera bambina che va sempre a piangere dal suo papà per qualunque cosa! Questa sono io!” replicò Rose, mentre gli dava la schiena.
“No, tu sei buona e generosa, proprio come lo era tua madre. Devi far sparire questo lato cattivo di te, perché è male” disse Gold.
“Forse non è vero che sono buona: dopotutto, ognuno di noi nasconde un lato cattivo, no?” disse Rose.
“Non dire una cosa del genere! Sei mia figlia e so che tu sei buona! Tua madre non avrebbe mai voluto sentirti dire queste cose, quindi smettila!” replicò Gold.
Rose lo guardò in silenzio. Non voleva che suo padre si arrabbiasse, quindi andò da lui e gli disse: “Mi dispiace, papà: non volevo arrabbiarmi. Adesso vado subito a fare quel tema.”
Gold si abbassò e, posandole le mani sulle spalle, disse: “ Quello che si deve scusare sono io, che ho alzato la voce con te. Non dovevo, piccola, scusami.”
“Papà… quel tema… non è vero che lo devo fare solo su di te. Ecco… lo devo fare su entrambi i genitori e la Signorina Tremaine ha detto che devo chiedere a tutti e due, ma io…” spiegò titubante Rose e le lacrime le si formarono negli occhi.
Gold la strinse forte a sé e, mentre le accarezzava la schiena, disse: “Tesoro, non piangere. Quella donna pagherà, parola mia.” E nelle sue parole Rose sentì come un senso di malvagità, che non aveva mai sentito in suo padre. Davvero avrebbe fatto del male alla sua maestra? Suo padre non era una persona cattiva o, almeno, lei non lo vedeva così. Si raccontavano brutte storie su di lui e i cittadini avevano costantemente paura. Ma per lei era il suo dolce papà che, fin da quando era una neonata, le era sempre stato accanto. Non aveva una madre, morta in circostanze ancora sconosciute, ma aveva un padre che le voleva molto bene e che l’avrebbe sempre protetta da chi le avrebbe fatto del male o, semplicemente, l’avrebbe trattata in malo modo.
L’abbraccio finì e Rose disse: “Papà, prima mi dispiace essermi arrabbiata con te. È che non volevo farmi vedere piangere davanti alle mie compagne di classe.”
Gold le mise le mani sulle guance dicendole: “Ascoltami bene, piccola. Non permettere mai a nessuno di dirti quello che devi fare. Solo tu deciderai la strada giusta da seguire, nessun altro. Chi vuole metterti in testa strane idee lo fa solo per farti fare scelte sbagliate.” E le spostò una ciocca di capelli dalla fronte.
“Tranquillo, papà. Cercherò di seguire questo tuo consiglio, ma ora è meglio che mi metta sotto con quel tema o, se no, non potrò andare a giocare con Henry” disse Rose e, dopo averlo baciato su una guancia, corse nel davanti del negozio. Si mise dietro alla scrivania e incominciò a scrivere.
Gold la guardò sorridendo, ripensando a quanto fosse veramente uguale al suo compianto amore: se solo non fosse morta, sarebbero potuti essere una famiglia felice.
Poco dopo, e dopo anche il permesso da parte del padre, Rose si trovava con Henry, nel loro castello (una struttura in legno alquanto decadente) sulla spiaggia: “Sono contento che le cose tra te e il Signor Gold si siano risolte bene e che non si sia arrabbiato più del dovuto” le disse Henry, dopo che Rose gli ebbe raccontato quanto accaduto poco prima nel negozio di suo padre.
“Forse avrei dovuto dirgli subito la verità, invece di raccontare solo bugie” disse Rose.
“Be', ora non importa, perché avete risolto tutto. Tu hai fatto quel tema e ora sei qua con me” disse Henry. Rose lo guardò sorridendogli, ma poi gli chiese: “Cos’è che dovevi farmi vedere?”
“Questo” rispose Henry e, dal suo zaino, tirò fuori un libro.
“Un libro?!” disse stupita Rose.
“Non un semplice libro: ma il libro” disse Henry. Rose puntò l’occhio sulla copertina verde. In caratteri dorati c’era scritto “Once Upon a Time”.
“E’ un libro di favole. Non ci trovo nulla di speciale, visto che ne ho tanti a casa” disse.
“Ma questo libro è davvero speciale. Guarda, te lo mostro” disse Henry e, dopo averlo aperto, lo sfogliò, mostrando le varie illustrazioni dei personaggi presenti nelle storie scritte. Il bambino si fermò su una storia in particolare, quella su Biancaneve e il Principe Azzurro. L’illustrazione mostrava i due durante il loro matrimonio.
“Non ti sembra di averla già vista?” domandò Henry, indicando, con un dito, Biancaneve.
“Sì, ovvio: nel film Disney e con lei c’erano pure i sette nani e tutti gli animali che l’aiutavano con le pulizie” rispose Rose.
“Intendevo qua in città” disse Henry. Rose lo guardò stranamente, quindi Henry continuò: “E’ Mary Margaret Blanchnard.”
“La tua maestra?!” disse stupita Rose.
“E la stessa che mi ha dato questo libro. Rose, penso che tutti gli abitanti di Storybrooke vengano dalla Foresta Incantata” disse Henry. Rose lo guardò ancora più stranamente.
“Mi devi credere, Rose, è tutto vero” disse Henry, guardando l’espressione dell’amica.
“E’ difficile credere a una cosa del genere” disse titubante Rose.
“Quindi mi credi pazzo?! E’ così che mi vedi?” replicò Henry.
“Non ho mai detto che tu sia pazzo, sto solo dicendo che è una cosa difficile a cui credere. Insomma, personaggi delle fiabe nel mondo reale? Neanche un bambino di quattro anni ci crederebbe” spiegò Rose.
“Be', pensala come vuoi, ma quando incomincerai a renderti conto di quanto i personaggi di qua, assomiglino a quelli delle fiabe, ti dovrai ricredere” disse Henry, chiudendo il libro.
“Quindi, in teoria, anche mio padre proviene dalla Foresta Incantata?” domandò Rose.
“Probabile, anche se non ho trovato nessun personaggio nel mio libro che possa assomigliare al Signor Gold. Forse dovresti parlargliene di questa storia” rispose Henry, guardandola.
“Se lo faccio, mi prenderà per pazza” disse Rose.
“Proprio come tu avevi fatto con me” disse Henry e Rose gli lanciò un’occhiataccia. Mentre Henry rimetteva il libro nello zainetto, Rose guardò il sole che, all’orizzonte, stava piano piano calando, per poi chiedere: “ Ti sei mai chiesto dove sia tuo padre?”
“Sì, credo che sia da qualche parte fuori Storybrooke, me lo sento. E poi non so se lo sai, ma la mia mamma non è la mia vera mamma” rispose Henry. Rose lo guardò stranamente, non avendoci capito nulla in quel giro di parole, quindi Henry aggiunse: “Regina non è la mia vera mamma.”
“E da cosa l’hai scoperto? Spero non dal fatto che odi le mele, visto che lei fa praticamente tutto con le mele” domandò Rose.
“A parte quello, dove hai ragione, l’altro giorno, mentre cercavo qualcosa con cui costruire un nuovo oggetto per i nostri giochi ho trovato delle carte ed erano tutte di adozione” rispose Henry.
“Sicuro che fossero su di te?” chiese Rose.
“Portavano il mio nome e risalivano, guarda caso, a dieci anni fa e, sempre su di esse, c’era scritto che non sono nato qua, ma a Phoenix” rispose Henry.
“E c’è anche scritto il nome della tua madre biologica?” domandò Rose.
“No, per quello ho cercato informazioni su Internet, dove c’è anche scritto dove abita in questo momento” rispose Henry.
“Henry, qualunque cosa tu abbia in mente, fattela andare subito via: meglio non rischiare, conoscendo tua madre, e di certo non è una santarellina” disse Rose.
“Ma Rose, voglio conoscere la mia vera mamma e chiederle del perché mi abbia abbandonato. So che tu non puoi capire, perché la tua mamma è morta, ma io devo sapere” disse Henry, guardandola.
“E se poi ne rimarrai deluso? Sai che potrebbe succedere” chiese Rose.
“Correrò il rischio” rispose Henry. Rose se ne stette in silenzio, ma poi gli disse: “Se è questo che vuoi, allora ti appoggio e, visto che tengo anche alla mia vita, non dirò nulla né a tua madre e nemmeno a mio padre”.
“Grazie, Rose, sei davvero un’amica” disse sorridendo Henry. Poi riguardarono avanti e Rose disse: “Il tramonto è sempre bellissimo, peccato non avere più tempo per guardarlo.”
“Tempo?! Oddio, sono in ritardo! Mia madre andrà su tutte le furie” disse Henry e scese dal castello. Rose lo seguì, mentre il bambino correva via dalla spiaggia, verso il marciapiede della strada.
“Se continuerai a correre così, arriverai a casa senza fiato” disse Rose, mentre gli stava accanto.
“Se non arriverò a casa in tempo, mia madre mi ucciderà” disse Henry, andando di passo veloce.
“No, ti vuole troppo bene per farlo, anche se il nostro amato sindaco sarebbe veramente capace di fare una cosa del genere” disse Rose. Per un attimo Henry la guardò, ma poi riguardò avanti, domandandole: “Non dovresti andare a casa anche tu?”
“Preferisco accompagnarti, non si sa cosa possa accadere nella tana del leone” rispose Rose.
“Da quando in qua fai questi tipi di battute? Tuo padre non ne è il tipo” chiese Henry.
“Di tanto in tanto bisogna anche scherzare, no? E poi, è un modo per non pensare al peggio che verrà” rispose Rose, quando imboccarono una via con tante lussuose ville. Ce ne era una, in fondo, una tra le più grandi, che era la loro destinazione.
“Mifflin Street, la via delle case più lussuose e anche dove vive il perfido sindaco” disse Rose.
“Anche tu vivi in una casa lussuosa” disse Henry.
“E’ vero, ma non in questo quartiere. A mio padre non piace essere al centro dell’attenzione” disse Rose.
“Se una casa enorme, rosa e con ben tre piani non è essere al centro dell’attenzione, allora dovrò pensare a un altro termine per definire qualcosa al centro dell’attenzione” disse Henry e arrivarono di fronte alla casa. Il bambino suonò al campanello.
“Spero solo che non sia in casa” disse Henry.
“Dubito che a quest’ora si trovi ancora nel suo ufficio. Ti do un consiglio: sei ancora in tempo per scappare” disse Rose, quando la porta si aprì e una alquanto arrabbiata Regina Mills li guardò.
“Mi correggo: ora non fai più in tempo” disse Rose.
“Si può sapere dove sei stato per tutto questo tempo?! Avresti dovuto venire a casa un’ora fa!” replicò Regina, guardando il figlio.
“Scusa, mamma, ma ho perso la cognizione del tempo” disse Henry.
“Hai dei compiti da fare o te ne sei già dimenticato?!” replicò domandando Regina.
“No, mamma” rispose Henry.
“Allora fila a farli, immediatamente!” replicò Regina, spostandosi da una parte ed Henry, dopo aver salutato Rose, entrò. Regina guardò Rose, replicando: “E tu, faresti meglio ad andare subito a casa, prima che qualcuno ti faccia del male.”
Rose la guardò. Non le piacevano gli sguardi perfidi di Regina. Quindi si voltò e si incamminò verso casa. Regina la guardò andarsene e poi rientrò in casa, sbattendo la porta. Henry la stava aspettando in salotto.
“Devi vergognarti di andartene sempre in giro con la marmocchia di Gold!” replicò Regina, camminando verso di lui.
“Perché, mamma? Io e Rose siamo amici” chiese Henry, guardandola.
“Conosci suo padre e la figlia è uguale a lui: è capace di condurti sulla cattiva strada ed io non voglio che ciò accada, quindi devi stare lontano da lei. Promettimelo, Henry, perché tu sei molto importante per me” rispose Regina, fermandosi di fronte a lui e mettendogli le mani sulle guance.
All’inizio Henry fu titubante, ma poi disse: “Va bene, mamma, te lo prometto”.
“Bravo. E ora vai a fare i compiti” disse Regina e Henry se ne andò di sopra in camera sua. Regina lo seguì con lo sguardo, ma poi se ne andò nello studio e, dopo essersi accertato che Henry fosse al piano di sopra, chiuse le porte scorrevoli. Prese il cellulare, digitando un numero e, dopo esserselo messo all’orecchio, aspettò in linea.
Dopo un po’, dall’altra parte risposero: “La voglio sotto stretta sorveglianza e nessuno deve sospettare qualcosa: se la verità dovesse venire a galla, qualcuno di nostra conoscenza potrebbe arrabbiarsi molto e io non voglio che ciò che è stato fatto in questi dieci anni vada in fumo per la vostra incompetenza!” disse Regina.
Dall’altra parte dissero qualcosa e Regina replicò: “Non voglio nessun tipo di scusa! Il mio piano è ancora perfetto e non voglio che voi me lo roviniate! Se dovesse succedere, sapete quanto io possa diventare cattiva!” e riattaccò.
“Sono tutti degli incompetenti!” replicò Regina e, dopo aver gettato il cellulare sul divano, se ne andò su per le scale.
Henry stava leggendo il suo libro di favole, standosene seduto sul letto a gambe incrociate, quando sentì sua madre chiamarlo dal corridoio. Velocemente, nascose il libro sotto il cuscino. Non voleva che sua madre lo scoprisse: Regina non era di certo quella mamma che raccontava favole per farlo addormentare. Estrasse quaderno, libro di scuola e biro, fingendo di scrivere qualcosa.
Regina aprì la porta e lo guardò. Henry la guardò a sua volta. “Vedo che stai già facendo i compiti” gli disse.
“Sì, proprio come mi avevi detto di fare” disse Henry.
“Lo sai che domani hai la tua seduta con il Dottor Hopper, vero?” chiese Regina.
“Sì, me lo ricordo” rispose un po’ tristemente Henry.
“Bene, e questo comporta anche che non vedrai la marmocchia di Gold: voglio che tu stia alla larga da lei” disse Regina.
“Perché? Che cos’ha di male Rose?” domandò Henry.
“Nulla che ti interessa. Se ti dovessi ancora trovare in sua compagnia, ti rinchiuderò qua dentro, capito?” replicò Regina.
“Sì, mamma” disse Henry.
“Bravo, e ora continua con quei compiti” disse Regina e uscì dalla camera, chiudendo la porta dietro di sé.
Dopo essersi accertato che la madre se ne fosse andata, Henry riestrasse il suo libro di favole da sotto il cuscino, aprendolo davanti a sé, su un disegno che rappresentava la regina cattiva di Biancaneve, intenta a evocare un terribile sortilegio: quella regina assomigliava molto a sua madre o era solo una coincidenza e Rose aveva ragione sul fatto che le persone di Storybooke non provenissero dalla Foresta Incantata?
Poco dopo, nella villa di Gold, padre e figlia stavano cenando. Rose era molto silenziosa e continuava a pensare alle parole di Regina.
“Qualcosa non va? Sei piuttosto silenziosa, questa sera” chiese Gold. Rose lo guardò, ma non rispose, quindi Gold aggiunse: “Spero solo che tu, oggi, ti sia divertita con il tuo amico.”
“Sì, molto” disse Rose.
“Sono contento. Henry è un bravo bambino anche se non posso dire lo stesso per la madre” disse Gold e mangiò un pezzo di bistecca.
Ci fu un po’ di silenzio, ma poi Rose domandò: “Papà, tu credi alle favole?” Gold la guardò non sapendo che dire: dopotutto, a differenza degli altri, si ricordava benissimo della sua vita precedente, ma se avesse raccontato la verità la figlia gli avrebbe creduto?
“Sono solo storie scritte per far addormentare i bambini” rispose Gold.
“Henry pensa che i personaggi della favole siano qua. Forse non sono una brava amica, perché non gli ho creduto” disse Rose.
“Non avergli creduto non fa di te una cattiva amica. Gli amici fanno ben altro come, per esempio, stare sempre insieme e aiutarsi a vicenda. Anche se non gli credi, voi due rimarrete sempre amici” spiegò Gold.
“Hai ragione tu: le favole sono solo storie scritte per far addormentare i bambini” disse Rose e riprese a mangiare. Gold la guardò e, almeno per quella volta, la sua bugia non destò curiosità nella piccola Rose che, dopo cena, se ne andò a letto, aspettando che il padre, come di consueto ogni sera, passasse da lei per darle la buonanotte.
Ma la bambina non sapeva che da lì a poco, le cose sarebbero cambiate… per tutti.





Note dell'autrice: Ed eccoci qua con il primo capitolo finito. Non preoccupatevi Oncers: il secondo è già bello che avviato ma aspetterò un pochetto per pubblicarlo per avere la suspense. (risata alla tremotino) Nel secondo, ci saranno anche i flashback ed incominceranno i capitoli incentrati su alcuni personaggi ( nel mio ci sarà un personaggio inventato e che sarà molto importante per rumple e rose)

Volevo ringraziare chi ha recensito la prima parte. Grazie davvero di cuore. Spero che la storia (anche se siamo al primo capitolo) vi piaccia. Cercherò di non copiare di pari passo tutta la serie (anche perchè sono storie nelle storie ed è già complicata di per sè), ma ovviamente includerò tutti (o quasi) i nostri amati personaggi, dal punto di vista della piccola Rose

Al momento vi lascio alla lettura ed al prossimo capitolo.

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Capitolo 3
*** Polvere dorata - Parte I ***





The Rose of true Love
 
Capitolo II: Polvere dorata - Prima Parte

 
Foresta Incantata

Era inverno. C'era molto freddo e già da un po’ stava nevicando. Per gli abitanti, era anche la stagione giusta per cacciare la selvaggina, che sarebbe almeno bastata per sopravvivere alla fredda stagione.
Un cucciolo di volpe rossa stava correndo tra gli alberi mentre due cacciatori lo stavano inseguendo.
“Presto, non ci deve scappare. È molto preziosa” disse uno di loro.
La piccola volpe continuava a correre, non accorgendosi dove stava per entrare, ma tutto a un tratto si fermò. Davanti a lei si ergeva un muro.
Si volse, guardando i cacciatori avvicinarsi sempre più. Riguardò avanti e notò un piccolo buco. Vi passò attraverso, sbucando dall’altra parte e correndo per l’enorme giardino al di là di esso.
I cacciatori, non potendo fare la stessa cosa, si aiutarono a vicenda, riuscendo a scavalcare il muro e rincorrendo la povera volpe, la quale arrivò davanti ad un enorme portone in legno. Si alzò sulle zampe posteriori e, con quelle anteriori, grattò più volte contro la porta, sperando che qualcuno la sentisse e venisse ad aiutarla.
Smise quando dietro di lei arrivarono i due cacciatori. Si voltò e li guardò con le orecchie abbassate.
“Sei in trappola. Ora verrai con noi e sarai la portata principale” disse un cacciatore, quando all’improvviso le porte dietro la volpe si aprirono. Comparve un fumo viola che lasciò posto a...
“Il Signore Oscuro” disse l’altro cacciatore con paura nella sua voce, indietreggiando di un passo come il suo compare. Davanti a loro c'era proprio Tremotino, il temuto Signore Oscuro.
“Che cosa ci fate nella mia proprietà? Con che coraggio avete osato oltrepassare le mura del mio castello?” replicò Tremotino, guardandoli con uno sguardo minaccioso.
“Stavamo cacciando” rispose uno dei due cacciatori.
“Lo sapete che è vietato cacciare nella mia proprietà?” domandò Tremotino.
“Se lo avessimo saputo, non saremmo neanche entrati qua” rispose l’altro cacciatore.
Tremotino rise, per poi dire: “Ottima risposta, dico davvero, mio caro, ma chi entra qua senza il mio permesso subirà delle tremende conseguenze.”

“Se ci lascia prendere quella stupida volpe, le promettiamo che ce ne andremo subito” disse il cacciatore. Tremotino abbassò lo sguardo e osservò il cucciolo di volpe accanto a lui, sempre con le orecchie abbassate per la paura; quindi, riguardò i due.
“No, non ve la lascio prendere, e sapete anche il perché? La stagione è decisamente fredda e ho deciso di usarla per farmi una bellissima e calda pelliccia. E poi è mia, visto che si trova nella mia proprietà” disse Tremotino.
“Quella volpe appartiene alla Regina: è nelle sue terre” replicò l’altro cacciatore.
“Frase errata. Volevi dire “era” disse ridendo Tremotino e, prima che i due potessero obiettare, un fumo viola li avvolse, trasformandoli in due topolini. Tremotino sorrise compiaciuto, poi andò dai due animaletti e, prendendoli per la coda, li mostrò alla volpe, mettendoglieli davanti e dicendole: “Tieni, ora puoi anche mangiarteli. Consideralo un mio premio per te, per essere riuscita a scappare dalle terre della regina”, ma il cucciolo di volpe si limitò a guardarlo, raddrizzando le orecchie e scodinzolando.
“Bè, cosa stai aspettando? Ho detto di mangiarteli, prima che scappino” disse Tremotino, ma la volpe andò di fianco a lui, strusciandosi contro la gamba, mentre i due topolini corsero via. Tremotino li guardò andarsene, dicendo: “Non possono fare molto in quelle condizioni. Spero che un gufo se li mangi” e abbassò lo sguardo, guardando la volpe, allontanandosela da sé.
Camminò verso la porta, dicendo: “Sei libera di andare, non ti voglio tra i piedi” ed entrò, ma prima che le porte si chiudessero magicamente dietro di sé, qualcun altro entrò con lui. Ovviamente Tremotino se ne accorse. Si fermò. Si voltò e, abbassando lo sguardo, vide il cucciolo di volpe che lo osservava.
“Ti avevo detto di andartene. Guarda che ti trasformo veramente in una calda pelliccia da indossare” le disse, ma il cucciolo di volpe gli andò nuovamente accanto.
“Senti, se non te ne vai all’istante, davvero ti trasformo in una pelliccia, ma non ti indosserò: ti brucerò nel camino” disse Tremotino, ma sembrava proprio che le minacce non servissero a nulla, perché il cucciolo di volpe si avvicinò a lui e, proprio come poco fa, si strusciò contro la gamba.
Tremotino la guardò. Poi guardò fuori e vide che stava nevicando. Riguardò il cucciolo di volpe, dicendogli: “Per oggi rimarrai qua, ma domani ti voglio fuori da questo castello” e se ne andò nel salone, seguito, ovviamente, dalla volpe.
Tremotino camminò verso il lungo tavolo posto al centro della stanza, mentre qualcos'altro attirò l’attenzione del cucciolo di volpe: un arcolaio. Dopo essersi avvicinato, incominciò ad annusarlo, mettendo il muso nel cestino pieno di lana dorata, quando Tremotino si voltò e replicò: “Ehi, sta' lontano da lì! Non lo devi toccare! Solo io posso!” e la piccola volpe lo guardò. Tremotino notò che aveva qualcosa di strano. Si avvicinò, si abbassò e vide un po’ di polvere dorata sul muso dell’animaletto.
“Hai visto che cosa hai combinato?! Te lo avevo detto di starci alla larga! Per punizione dormirai in quell’angolo!” replicò Tremotino e, dopo aver preso il cucciolo per la collottola, si rimise in piedi e lo lasciò cadere in un angolo della stanza, lontano dal camino acceso.
“Che questo ti serva da lezione, piccolo sacco di pulci!” replicò Tremotino e se ne andò, mentre il cucciolo di volpe lo guardava, abbassando tristemente le orecchie, per poi acciambellarsi e cercare di dormire.


Storybrooke presente

Rose si svegliò e guardò fuori dalla finestra. Il sole stava sorgendo ed era il momento ideale per mettere in atto ciò che faceva ogni mattina all’alba.
Scese velocemente dal letto. Prese alcuni vestiti dal suo enorme armadio e poi se ne andò in bagno a lavarsi e vestirsi. Corse giù dalle scale, cercando di non svegliare suo padre e, dopo essersi messa la giacca, se ne uscì di casa, dove ad aspettarla c'era Dove, un uomo alto più di due metri, pelato e vestito tutto di nero. All’apparenza poteva incutere paura, ma per Rose era dolcissimo, visto anche che si trattava della guardia del corpo personale sua e di suo padre.
“Buongiorno, Signorina Gold. Mattiniera come sempre” le disse Dove.
“Buongiorno, Dove. Hai quello che ti ho chiesto?” chiese Rose, fermandosi di fronte a lui.
“Come ogni mattina, Signorina Gold, ma ora faremmo meglio ad andare, prima che suo padre si svegli e non la veda in casa” rispose Dove e, mentre apriva la portiera della macchina (preferivano non usare la Cadillac di Gold, per non destare sospetti proprio a quest’ultimo), Rose disse: “Non ti preoccupare. Papà dorme come un sasso, visto che lavora sempre tanto” e, dopo essere salita in macchina, Dove chiuse la portiera, per poi andare al posto di guida, avviare la macchina e partire.
Durante il tragitto, Dove disse: “Dovrebbe dire a suo padre dove se ne va ogni mattina, ma questo è solo un mio consiglio, per non farla finire nei guai.”
“Non posso dire a mio padre che, ogni mattina, mi reco nella foresta: lui mi ha proibito di andarci” disse Rose.
“Come mai?” domandò Dove.
“Secondo lui è un posto pericoloso ed è troppo vicino alla linea di confine della città. Non capisco perché non voglia che mi avvicini a quella linea. Insomma, è solo una linea” rispose Rose.
Dove fece un’espressione un po’ perplessa e disse: “Forse non vuole che si allontani troppo dalla sua vista e si cacci in qualche sorta di pericolo. Dopotutto, siete solo lei ed il Signor Gold.”
“Anche tu fai parte della famiglia, Dove” disse sorridendo Rose, riguardando avanti.
Finalmente arrivarono alla foresta. Dove accostò la macchina al lato della strada e, dopo aver spento il mezzo, entrambi scesero, ma non prima che Dove estraesse qualcosa dal baule, per poi affiancarsi alla bambina, il quale lo guardò: l’uomo teneva in mano, infatti, un secchiello di ferro con dentro dei vermi.
“Credi che alla tua amica piaceranno?” chiese Dove, mentre i due si addentravano nella foresta.
“Sì, sono i suoi preferiti, ma ovviamente mangia anche altre cose” rispose Rose.
“Per esempio cosa?” domandò Dove.
“Insetti di ogni genere; uccelli; uova; piccoli anfibi e rettili. Ma uno dei suoi cibi preferiti sono i frutti di bosco e la frutta in generale” rispose Rose.
Si addentrarono ancora di più, finché non si fermarono davanti a un piccolo buco nella roccia. Dove si fermò, mentre Rose fece qualche passo avanti, per poi fermarsi e abbassarsi. Allungò una mano e disse: “Vieni pure fuori: siamo io e Dove”.
Dapprima non successe nulla, ma poi dal buco comparve un musino e, poi, una volpe. Rose sorrise nel vederla. Mentre la volpe usciva, Dove si avvicinò a Rose, mettendo accanto a lei il secchio con dentro i vermi.
La volpe guardò Dove, ma poi riguardò Rose e mise la sua testa sotto la mano della bambina. Anche l’uomo si abbassò, stando accanto a Rose, chiedendole: “ Come l’hai scoperta?”
“Stavo andando a trovare Henry nel nostro castello sulla spiaggia, ma sulla strada ho incontrato Lucy e le sue amiche. Volevano farmi uno dei loro soliti scherzi, così ho incominciato a correre, non accorgendomi dove stessi andando e che, soprattutto, mi stavo allontanando dalla città. Sono finita qua, ma quelle perfide continuavano a inseguirmi. Non volevo essere una codarda, ma dovevo nascondermi da qualche parte, o chissà cosa mi avrebbero fatto. È stato a quel punto che sono entrata in questo buco e ho incontrato Excalibur” spiegò Rose.
“Excalibur?! Che strano nome… per una volpe” disse stupito Dove.
“Non lo so perché mi sia venuto fuori un nome così, ma mi è piaciuto e l’ho trovato adatto a lei” disse Rose.
“E’ un nome epico e leggendario” disse Dove.
“Hai ragione ed è anche come se Excalibur sapesse da sempre il suo nome: le è piaciuto fin da subito” disse Rose e, dopo aver preso alcuni vermi da dentro il secchio, li diede alla volpe, mettendogli sul terreno, che incominciò a mangiarli.
“Dovrebbe mostrarla a suo padre” disse Dove.
“Se mostro Excalibur a papà, penserà subito di farci una bella pelliccia da indossare durante l’inverno” disse Rose.
“Non credo che il Signor Gold sia capace di uccidere un animale indifeso come questa volpe, e poi si narra che siano animali che possono anche nascondere doti magiche” disse Dove. Rose lo guardò stupita, dicendo: “Non avevo mai sentito questa cosa.”
“Ovviamente è solo una storia, ma secoli addietro alcuni constatarono che le volpi fossero capaci, in qualche modo, di trovare oggetti dai poteri portentosi” spiegò Dove.
Ci fu un po’ di silenzio, ma poi Rose disse: “Lo sai che potrebbe essere vero? Dopotutto, anche Excalibur è speciale”.
“E come?” domandò Dove.
“Ha della polvere dorata sul muso” rispose Rose ed entrambi guardarono la volpe, che si era retta sulle zampe posteriori, appoggiandosi con quelle anteriori contro il secchio, per mangiare i vermi all’interno di esso.
“E’ sicura che sia proprio polvere dorata? Potrebbe essere semplicemente polvere di qualche roccia” chiese Dove.
“Credimi, ne sono sicura: ho provato a toglierla, ma rimane lì. Se fosse della semplice polvere, sarebbe già venuta via” rispose Rose.
“E come avrà fatto a finire sul suo muso?” domandò Dove.
“Questo rimane un mistero” rispose Rose.

Foresta Incantata

Il cucciolo di volpe si svegliò di soprassalto, quando Tremotino fece cadere davanti a lei un piatto con dentro della roba da mangiare.
“Ecco il tuo pranzo. Vedi di mangiarlo tutto, perché avrei potuto benissimo usare questi avanzi per preparare qualche pozione” disse Tremotino e se ne andò al suo arcolaio, incominciando a filare.
Il cucciolo di volpe guardò la brodaglia che stava davanti a sé: di certo quegli avanzi non erano un buon pranzo, ma non poteva neanche morire di fame e sembrava proprio che quell’uomo che l’aveva salvata dai cacciatori non le avrebbe dato, per il momento, altro da mangiare.
Decise almeno di assaggiarli, ma il sapore era davvero sgradevole e, dopo aver messo da una parte quel piatto, ricominciò a perlustrare l’enorme stanza. C'erano oggetti, alcuni anche strani, di ogni tipo; un lungo tavolo e ovviamente quell’arcolaio che, prima, aveva attirato la sua attenzione e dove ora quell’uomo stava filando la lana tramutandola… in oro.
Per la curiosità, il cucciolo di volpe si avvicinò e, senza neanche pensarci, saltò sulle ginocchia di Tremotino. Questi smise di filare e abbassò lo sguardo, dicendo: “Scendi subito dalle mie ginocchia”, ma il cucciolo di volpe si distese, mettendosi comodo.
Tremotino lo prese e, dopo essersi alzato in piedi, lo guardò e, mentre lo teneva ad altezza viso, replicò: “Tu devi ascoltarmi, piccolo sacco di pulci, o se no ritorni immediatamente fuori, dove morirai di freddo e, stavolta, non sarò tanto clemente nei tuoi confronti! Sei già stata abbastanza fortunata che ti abbia permesso di entrare nel mio castello, ma devi stare alla larga dalle mie cose e, soprattutto, devi stare alla larga da me!” e lo riportò all’angolo di prima, mettendolo sul pavimento con poca delicatezza.
“Vedo che non hai mangiato i tuoi avanzi. Bè, peggio per te, perché per oggi non avrai altro di cui saziarti. Potevi mangiare quei due topi, ma te li sei fatti scappare. È nella tua natura cacciare, invece ti faccio trovare già il cibo pronto ed è così che mi ripaghi dopo che ti ho dato anche un riparo? Sono davvero senza parole” disse Tremotino, mettendosi una mano sul petto, come se fosse offeso.
Il cucciolo lo guardò con le orecchie abbassate e cercò di andarsi a strusciare contro la gamba, ma Tremotino lo allontanò, replicando: “E’ inutile che continui a fare la gentile con me, perché a me non è mai piaciuto chi supplica e vuole pietà e, poi, ti ho già detto più volte di starmi alla larga. Se ti ritrovo accanto al mio arcolaio o di nuovo sulle mie ginocchia, ti rinchiuderò nei sotterranei” e si allontanò da lei.
Il cucciolo di volpe emise dei versetti, ma poi abbassò lo sguardo, limitandosi a osservare il piatto pieno di avanzi. Pensava che quell’uomo, dopo averla salvata, fosse gentile con lei, invece era cattivo e senza cuore e, molto probabilmente, il giorno dopo sarebbe ritornata nella foresta, di nuovo sola e senza una famiglia che la proteggesse dai cacciatori.
Nel tardi pomeriggio, qualcuno entrò nel castello. Tremotino se ne stava seduto dietro al tavolone, quando questa persona entrò: si trattava di uomo alto e che indossava un’armatura.
“Dove è finita la cortesia? Una volta si bussava prima di entrare” disse Tremotino, guardando la persona. Anche il cucciolo di volpe, seppur contro il volere del Signore Oscuro, si allontanò dal suo angolino, avvicinandosi cautamente a Tremotino, per osservarlo meglio.
“So che lei è il mago più potente che ci sia” disse l’uomo.
“Sono contento che la mia fama mi preceda. A cosa devo questa sua intrusione?” chiese Tremotino.
“Si tratta del Re. Qualcuno ha rubato la sua spada e senza quella qualsiasi nemico potrebbe impadronirsi del trono” disse l’uomo.
“E lei è venuto da me per recuperare questa spada?” domandò Tremotino.
“Esattamente” rispose semplicemente l’uomo. Tremotino si alzò, dicendo: “Fatemi capire. Lei sarebbe venuto da me perché il suo Re potrebbe essere spodestato dal trono senza la sua portentosa spada? Ma, da quello che so, al fianco del Re c’è un altro mago dai grandi poteri”.
“Ma la magia di Merlino, non è in grado di trovare oggetti che sono stati “contaminati” dalla magia oscura ed è per questo che mi sono rivolto a lei, potente Signore Oscuro” spiegò l’uomo, facendo un piccolo inchino.
“Lei lo sa benissimo che la magia ha sempre un prezzo e io voglio qualcosa in cambio. Cosa è disposto a darmi?” chiese Tremotino, fermandosi di fronte a lui.
“La mia lealtà e protezione” rispose l’uomo.
“Non mi serve la sua protezione, quando ho tutto il potere che mi serve” disse Tremotino, voltandosi e dandogli di schiena.
“Ma qualcuno, un giorno, potrebbe attaccarla: essendo il Signore Oscuro, deve essersi fatto un sacco di nemici, nel corso dei secoli” disse l’uomo. Tremotino lo guardò, per poi rivoltarsi verso di lui e domandargli: “Saresti anche disposto a tradire il tuo Re?”
Ci fu silenzio, nel quale l’uomo puntò per un attimo lo sguardo sul cucciolo di volpe accanto a Tremotino, per poi riguardare quest’ultimo e semplicemente rispondere: “Sì”.
Tremotino sorrise e, nella mano destra fece comparire una lunga pergamena, mentre nella sinistra una penna d’oca, per poi dire: “Perfetto. Firma pure sulla giusta riga” e, dopo avergli consegnato la penna d’oca, l’uomo firmò in fondo alla pergamena.
Quando ebbe finito, sia la pergamena che la penna d’oca scomparvero in un fumo viola e Tremotino disse sorridendo: “Abbiamo un patto. Ritorna pure dal tuo Re, e quando gli avrò riportato la sua preziosa spada tu mi servirai… per sempre” e, ridendo, fece scomparire l’uomo in una nuvola viola. Il cucciolo di volpe abbassò le orecchie, tremando un po’ di paura: forse non era stata una buona idea cercare aiuto dal Signore Oscuro.

Storybrooke

Dopo aver finito di dar da mangiare a Excalibur, Rose e Dove uscirono dalla foresta, fermandosi accanto alla macchina: “Faremmo meglio a ritornare da tuo padre, prima che si svegli” disse Dove.
“Dubito che si svegli. Come ti ho detto prima, ha il sonno molto pesante e solo qualcuno molto preoccupato e che non ha paura di chiamarlo così presto alla mattina potrebbe svegliarlo, ma nessuno lo farebbe” spiegò Rose. Ma la piccola si sbagliava e, difatti, a villa Gold, quest’ultimo stava dormendo beato nel suo letto quando il suo cellulare, posto sul comodino, incominciò a suonare.
Gold si voltò dall’altra parte, ignorando il fastidioso suono, ma più lo ignorava e più suonava. Aprì del tutto gli occhi, infastidito anche da quella poca luce del sole che incominciava a filtrare tra le finestre ancora chiuse.
Si voltò e prese il cellulare. Quella poca rabbia divenne più forte quando vide il numero sul display. Aprì il cellulare, accettando la chiamata e, dopo esserselo messo all’orecchio, disse: “Buongiorno, vostra maestà. Vedo che anche lei è molto mattiniera.”
Dall’altra parte c'era Regina, che disse: “E noto che non sono la sola”.
“Ha interrotto il mio sonno solo per dirmi questo? La pregherei di tenersi queste frasi, per quando verrà in negozio” disse Gold, alquanto spazientito, ma sembrava che anche Regina lo fosse. Difatti replicò: “Sarà contento di sapere che non sono affatto dispiaciuta per averla chiamata a quest’ora. Poche chiacchiere Gold: non ho tempo da perdere”.
“Come mai così tanta fretta? Siamo solo ad inizio giornata” chiese Gold.
“Mio figlio Henry è sparito. L’ho cercato dappertutto, ma non riesco a trovarlo da nessuna parte. So, però, che sta sempre in compagnia della sua marmocchia” rispose Regina.
“Bè, a differenza sua e di suo figlio, Rose è ancora a letto e dubito che se ne vada in giro a giocare con lui, non prima ovviamente di aver fatto colazione insieme a me” spiegò Gold.
“Le consiglio di tenere più d’occhio sua figlia: ultimamente le sta sfuggendo di controllo” disse Regina.
“Lei lo sa che se anche prova solo a sfiorarla, potrei diventare molto cattivo” disse sorridendo Gold.
“Oh, ma io non ho affatto paura di lei” disse Regina ed interruppe la chiamata. Gold guardò il cellulare e, dopo averlo rimesso sul comodino, si alzò dal letto, non riuscendo più a prendere sonno. Non aveva mai sopportato quella donna e il solo fatto di vederla accanto alla figlia gli faceva ribollire il sangue. Doveva solo provare a toccarla, o anche solo a sfiorarla come le aveva detto prima, che non gliela avrebbe fatta passare liscia. Nessuno faceva del male alla sua bambina.
A fatica e aiutandosi con il bastone, camminò per la stanza, andandosi a lavare e cambiare. Poco dopo, passò accanto alla camera della figlia, e appena aprì la porta disse: “Rose, è ora di svegliarti o…”, ma si bloccò non appena vide che nel letto non c’era nessuno. Il suo sguardo divenne molto preoccupato e velocemente, sebbene la gamba gli facesse molto male, scese le scale cercandola per le altre stanze, ma della figlia non c'ra nessuna traccia.
Non sapeva cosa fare e, per la prima volta nella sua vita, anzi per la seconda, si trovava perso e aveva paura. Paura che qualcuno gli avesse rapito sua figlia e che le stesse facendo del male o che fosse perduta per sempre e non l’avrebbe mai più ritrovata.
Estrasse il cellulare, che fortunatamente non aveva dimenticato in camera da letto, dalla tasca della giacca e digitò il numero dello Sceriffo, ma si fermò prima di schiacciare Invio. Se doveva ritrovare sua figlia, al momento lo avrebbe fatto da solo. Lo Sceriffo sarebbe stato solo la seconda opzione e, se avesse cercato aiuto tra le autorità locali, la notizia si sarebbe sparsa subito: Storybrooke non era grande come cittadina e Gold non voleva che gli abitanti parlassero alle sue spalle di quanto non fosse un buon padre.
Chiuse il cellulare, rimettendoselo in tasca per poi prendere le chiavi della macchina. Uscì di casa. Andò verso la Cadillac, aprendola. Vi entrò e poi, dopo aver chiuso la portiera, partì.





Note autrice: Grazie tante per le vostre bellissime recensioni e, intanto che ci sono, volevo ringraziare anche tutti coloro che stanno seguendo la storia e che l'hanno messa tra i preferiti. Grazie davvero di cuore. Ed eccoci qua, come promesso, con il secondo capitolo (anche questo spezzato in due parti per via della lunghezza). Come avete potuto vedere, ho iniziato con i flashback e spero di essere stata brava nel fare il nostro amato Signore Oscuro della Foresta Incantata. A voi i giudizi, ovviamente. Personaggi nuovo: Excalibur. Volpe che viene salvata da Rumple e, che a Storybrooke, diventa amica con Rose (guarda caso). Ma come mai si chiamerà Excalibur ? Vi dico che non lo scoprirete in questo capitolo (quindi nemmeno nell'altra parte) ma nel terzo, perchè nella seconda parte di questo capitolo ho messo altro. Perchè ebbene sì, succederà qualcosa che non vi aspettavate tra Gold e Rose.

Alla prosssima parte e grazie ancora

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Capitolo 4
*** Polvere dorata - Parte II ***





The Rose of true Love
 

Note autrice: Mi scuso immensamente per il super ritardo ma non vi preoccupate perchè ho già completato il terzo capitolo e sto già scrivendo il quarto ( spero sia un modo per farmi perdonare. Sarò perdonata o mi lancerete addosso qualche brutto incantesimo? Non trasformatemi in ranocchio mi raccomando) A parte questo eccovi la seconda parte del secondo capitolo, dove ho preso spunto da alcuni vostri suggerimenti. Ah se ne avete, scriveteli pure nelle recensioni. Con questo vi auguro una buona lettura


 
  Capitolo II: Polvere dorata - Seconda Parte

 

Nel frattempo, accanto al margine della foresta… “Senti Dove, perché non te ne vai a casa? Voglio farmi una passeggiata. È ancora presto ed è il momento migliore” disse Rose.
“Lei lo sa che suo padre non vuole che la lasci mai sola. È compito mio proteggerla e starle sempre accanto in qualsiasi momento” spiegò Dove.
“Sì, lo so, ma a quest’ora non c’è mai nessuno in giro e, quindi, non mi accadrà nulla. Vai pure tranquillo a prenderti un buon caffè da Granny’s” disse Rose, guardandolo.
“Come lei desidera, Signorina Gold, ma mi promette che la troverò qua, quando ritornerò a prenderla?” domandò Dove.
“Verrò a piedi in città. Prenditi pure un piccolo momento di relax, prima che mio padre si svegli e ti faccia lavorare senza sosta” rispose sorridendo Rose.
“Se proprio insiste e non ho altra scelta, allora la lascio alla sua passeggiata, Signorina Gold” disse Dove e, dopo essere salito in macchina, se ne andò. Rose lo guardò andarsene, mentre la macchina lasciava dietro di sé un po’ di polvere. Quindi riguardò la foresta: aveva voglia di rivedere Excalibur, ma sapeva che stava bene e che riusciva a cavarsela anche da sola. Per il momento decise di proseguire sul ciglio della strada dando, di tanto in tanto, dei calci a dei sassolini.
In quel momento, una macchina si fermò un po’ più avanti dove si trovava lei. Rose la riconobbe subito come la macchina dello Sceriffo, visto che proprio questi, scese da essa. Si trattava di un uomo da bell’aspetto; alto, con i capelli corti e la barbetta. Se non fosse stato uno Sceriffo, Rose lo avrebbe di sicuro scambiato per un cacciatore. Non che tutti i cacciatori avessero la barbetta ma Graham – questo il nome dello Sceriffo – ci assomigliava più di tutti gli altri, soprattutto a quelli del medioevo.
 
Rose si fermò ad osservarlo, mentre lui si guardava intorno, per poi addentrarsi nella foresta. La bambina stava per seguirlo ma, poi si ricordò di una delle tante regole di suo padre: “ Mi raccomando, non seguire mai gli sconosciuti: potrebbe capitarti qualcosa di brutto. Se dovessi aver paura, chiamami o chiama lo Sceriffo”. Seguirlo o non seguirlo?   Ascoltare il padre o no?
“Bè, papà dorme ancora e quindi meglio non chiamarlo ma, visto che l’altro che posso chiamare al momento è appena entrato della foresta, non credo sia un problema se lo seguo” disse Rose e, anche lei, si addentrò nella foresta.
 
Graham continuava a camminare e, ogni tanto, si fermava guardandosi intorno. Gli sembrava di aver sentito come se qualcuno lo stesse seguendo ma, non vedendo nessuno riprese a camminare.
 
In realtà a seguirlo vi era Rose che, ogni volta che lo Sceriffo si fermava, lei si nascondeva velocemente dietro ad un albero e, quando si fosse accertata di non essere vista, riprese col seguirlo.
 
Non sapeva dove lo Sceriffo stesse andando ma di una cosa ne era certa: non voleva essere seguito. Lo sguardo con circospezione; la camminata a passo veloce ma che, ogni tanto, si fermava per guardarsi intorno; addentrarsi nella foresta di mattina presto. Erano tutti indizi che facevano presupporre che non voleva proprio essere seguito.
 
Continuando a camminare, arrivarono accanto a quella che assomigliava ad una cripta e, di fatti, era proprio quello che era. Graham si fermò proprio di fronte ad essa, mentre Rose si andò a nascondere dietro ad un albero. Lo Sceriffo se ne stava fermo davanti alla cripta e la bambina non sapeva il perché.
 
I minuti passavano e, nel frattempo, Graham si era acceso una sigaretta, mentre Rose si era seduta, rimanendo sempre dietro all’albero e con la schiena contro il tronco. Aveva preso un rametto, con la quale punta faceva dei disegni sul terreno umido. Aveva disegnato alcuni oggetti che l’avevano colpita di più nel negozio di suo padre: un candelabro; un antico orologio con il pendolo; un’elegante teiera. Ma il suo preferito, era una piccola tazzina sbeccata, che suo padre teneva gelosamente avvolta in un fazzoletto di tessuto blu. Non sapeva del perché il padre tenesse particolarmente a quell’oggetto ma finché lo avrebbe visto in quella vetrinetta, era contenta.
 
All’improvviso sentì dei passi e, guardando dall’altra parte del tronco, vide Regina camminare verso Graham, mentre questi gettò la sigaretta a terra, spegnendola. Cosa ci faceva Regina lì? Rose voleva andarsene ma la curiosità era tanta e, quindi, decise di rimanere per ascoltare la conversazione tra i due
 
“Non pensavo venissi veramente” disse Regina.
 
“Mantengo sempre le mie promesse. Allora che cosa vuoi?” chiese Graham.
 
“Non stai mantenendo il patto concordato. Sono molto delusa da te, mio caro Sceriffo” rispose Regina.
 
“Finché non scappa, per te non dovrebbe essere un problema” disse Graham.
 
“Il problema è che non viene abbastanza sorvegliata e sedata. Non voglio che ricordi” replicò Regina.
 
“Che cosa dovrebbe ricordare?” domandò Graham. Ci fu silenzio, nel quale Rose sperava che Regina rivelasse qualcosa, invece rispose: “Nulla. Non ha importanza e non ti riguarda !” e si passò una mano tra i capelli.
 
“Ti vedo alquanto agitata. Si tratta del Signor Gold?” chiese Graham.
 
“Quello meno lo vedo, meglio è” rispose Regina.
 
“Allora si tratta di sua figlia?” domandò Graham.
 
“Non nominarmi quella marmocchia ! E’ insopportabile come il padre” replicò Regina.
 
“Strano: avrei giurato che, per te, lo fosse come la madre” disse Graham e a Rose brillarono gli occhi: quell’uomo conosceva, o aveva conosciuto, la sua mamma. Magari dopo ci avrebbe scambiato due chiacchiere con lui.
 
“C’entra Henry, vero?” chiese Graham.
 
“Sì: è sparito e non riesco a trovarlo da nessuna parte” rispose Regina e Rose rimase a bocca aperta.

 “Sei sicura che sia sparito? Magari è solo andato a giocare da qualche parte con la figlia di Gold” domandò Graham.
 
“Ho chiamato Gold e mi ha detto che la sua marmocchia sta ancora dormendo. L’ho cercato dappertutto ma non l’ho trovato. È la prima volta che scappa. Forse è perché non sono mai stata una brava madre per lui” spiegò Regina e Rose vide Graham abbracciarla. Li guardò stranamente, perché non li aveva mai visti così…intimi.
 
“Tu sei sempre stata una brava madre ma può darsi che Henry non lo capisca ancora fino in fondo. Dagli tempo” disse Graham, mentre la stringeva a se.
 
“Gli ho dato dieci anni della mia vita: credo che sia sufficiente” disse Regina.
 
“Forse per lui ancora no. Ti vuole bene e vedrai che tornerà indietro. Ne sono sicuro” disse Graham. I due si guardarono e poi si baciarono. Rose rimase letteralmente a bocca aperta. Quella era veramente Regina? Impossibile, perché non poteva essere così sentimentale, eppure era proprio lei e Rose non poteva credere a ciò che stava vedendo.
 
Decise che fu il momento di lasciare i due da soli e ritornarsene in città ma, non fece neanche in tempo ad uscire dalla foresta che una voce dietro di lei, disse: “Bene, bene, bene, Goldie è mattiniera”. Rose si fermò e, voltandosi, vide Lucy.
 
“Che cosa ci fai qua?” chiese Rose.
 
“Potrei fare la stessa domanda a te” rispose Lucy, avvicinandosi a lei. Rose fece qualche passo indietro: quella bambina le incuteva sempre timore, proprio come quando vedeva Regina.
 
“Sto solo facendo una passeggiata. E tu invece?” domandò Rose, continuando ad indietreggiare.
 
“Niente di che ma visto che a casa mi stavo annoiando, ho pensato di uscire e schiarirmi le idee e, guarda caso, mi capiti tu” rispose Lucy.
 
“E’ meglio che non fai nulla di azzardato, perché non molto lontano da qua ci stanno lo Sceriffo ed il sindaco” disse Rose.
 
“Credi che mi facciano paura? Se non ti ricordi, sono molto amica con lo Sceriffo” disse Lucy. Rose continuava ad indietreggiare quando, con la coda dell’occhio, vide qualcosa muoversi vicino ad alcuni alberi, ma poi riguardò avanti quando Lucy aggiunse dicendole, mentre prendeva un ramo da terra: “ Ora ci divertiremo un po’”
 
“Ti prego Lucy: non è una bella cosa” disse Rose.
 
“Oh ma sarà divertente” disse Lucy, quando si sentì ringhiare. Entrambe le bambine voltarono lo sguardo, per vedere una volpe correre verso di loro e prendere il ramo che teneva Lucy con le mani, con la bocca.
 
“Mollalo brutta bestiaccia ! Mollalo !” replicò Lucy ma la volpe non voleva mollare la presa.
 
“Ti prego, non falle del male” disse Rose, mentre guardava la scena davanti a se.
 
“Sarò io a farle del male !” replicò Lucy e, stava per colpire la volpe con il ramo, quando lo sguardo di Rose divenne furioso e si avventò sull’altra bambina, bloccandole le braccia e, di conseguenza, lasciando sia il ramo che la volpe.
 
“Lasciami Goldie o te ne pentirai !” replicò Lucy, cercando di togliersi di dosso Rose, la quale replicò: “Non devi più farle del male ! Gliene già fatto abbastanza !”.
 
“La userò come tappeto in salotto !” replicò Lucy per poi gridare: “Sceriffo ! Sceriffo !”, quando caddero e Lucy batté le testa contro una piccola roccia, perdendo i sensi e ferendosi un po’ alla fronte. Rose rimase senza parole e disse: “Oh no, no, no, no. Lucy, ti prego, svegliati” e scosse la bambina, ma non si mosse.
 
La volpe si avvicinò alle due, emettendo dei versetti. Rose la guardò, dicendole: “Excalibur che cosa posso fare? E’ stato solo un incidente: non volevo che accadesse ciò”. Excalibur avvicinò il muso alla ferita sulla fronte di Lucy, spargendola di polvere dorata
 
“No Excalibur, non fare così. Guarda, le hai sporcato la fronte di polvere dorata” disse Rose, allontanando la volpe da Lucy. Ci fu un po’ di silenzio ma poi Rose, guardando la volpe, aggiunse dicendole: “Vai a cercare aiuto, ti prego” e la volpe corse via, mentre la giovane Gold guardò Lucy, ormai con le lacrime agli occhi.
 
Nello stesso momento, Graham e Regina si stavano allontanando dalla cripta, quando davanti a loro videro passare di corsa una volpe.
 
“Quella era una volpe” disse Regina.
 
“Infatti lo era, ma è strano perché non ci sono volpi da queste parti” disse Graham.
 
“Bè a quanto pare ce ne è una ed andava anche piuttosto di fretta” disse Regina.
 
“Prima mi è anche parso sentire qualcuno che mi chiamasse. Come una voce di una bambina” disse Graham, quando Regina si fermò ad osservare qualcosa sul terreno e disse: “E so anche chi”.
 
Anche lo Sceriffo guardò per terra, vedendo dei disegni. Quindi disse: “ Che bei disegni. Chissà chi li ha fatti? C’è un orologio; un candelabro ed una teiera. Oh e anche una tazzina sbeccata”.
 
“E’ stato qualcuno di nostra conoscenza ma, la sua versione in miniatura. Evidentemente, è stata qui fino a pochi minuti fa e quella volpe non era una coincidenza” disse Regina, vedendo le impronte sul terreno al di là dei disegni. Le seguirono, per vedere due bambine a terra.
 
Graham corse verso di loro e, dopo essersi inginocchiato ed aver visto Lucy svenuta a terra e con una ferita sulla fronte, preoccupato chiese: “Che cosa è successo?”.
 
“Sceriffo io, io…” rispose Rose guardandolo, ma venne interrotta da Regina che, raggiungendoli, replicò: “Sei stata tu, non è così?!”.
 
Rose la guardò, rispondendole: “Non volevo: è stato solo un incidente”.
 
“Sei una piccola delinquente ! Finirai dritta in prigione !” replicò Regina.
 
“Non facciamo delle conclusioni affrettate. Ora, l’unica cosa da fare, è occuparci di questa bambina” disse Graham e, dopo aver preso il cellulare, digitò il numero dell’ospedale.
 
Poco dopo, si trovavano fuori dalla foresta e alcuni uomini dell’ambulanza stavano mettendo Lucy su di una barella. Rose la stava guardando, quando una Cadillac d’epoca a lei molto familiare, si fermò lì vicino. Da essa uscì Gold che, vedendo la figlia, camminò a passo veloce verso di lei e, dopo essersi inginocchiato e facendo cadere il bastone a terra, l’abbracciò dicendo: “Mio piccolo fiore, credevo di averti persa. Quando non ti ho vista a letto, ti ho cercata dappertutto”
 
“Papà, sto bene: io…” iniziò col dire Rose, ma Gold la guardò e, girandola, la sculacciò. Rose rimase a bocca aperta: suo padre non aveva mai alzato un dito su di lei, né tantomeno sculacciata. La rivoltò verso di se, replicando: “Ti rendi conto di quanto tu mi abbia fatto preoccupare?! Non devi uscire da sola da casa senza di me o Dove ! Qualcuno poteva prenderti e farti del male ma tu a questa cosa non ci hai nemmeno pensato ! Volevi farmi venire un infarto?!”
 
“Scusami papà: è che dovevo venire qua” disse Rose, con gli occhi lucidi.
 
“Dovevi venire qua?! E per far cosa?! Meno male che sono stato avvertito” replicò Gold.
 
“E da chi?” domandò Rose ma la risposta la ebbe, quando dalla portiera aperta della Cadillac, scese Excalibur, che corse verso i due. Rose si abbassò e, accarezzando la volpe, disse: “Excalibur, ti avevo detto di andare a cercare aiuto e sei andata da papà…un momento…perché sei andata proprio dal mio papà?” e guardò Gold, il quale la guardò a sua volta ma non disse nulla.
 
“Signor Gold, proprio lei stavo per chiamare, ma vedo che è venuto ancor prima che lo facessi” disse Regina mentre, insieme a Graham, camminava verso Gold, Rose ed Excalibur. Quest’ultima, guardò il sindaco e le ringhiò contro.
 
“A quanto pare sono arrivato in tempo, prima che mia figlia si cacciasse nei guai” disse Gold.
 
“A dire la verità, la vostra amata figlioletta è già nei guai e rischia di finire in prigione se non racconterà subito la verità” disse Regina. Gold guardò stupito la figlia e Rose, guardando gli adulti, disse: “Ho già detto che mi dispiace. Che è stato solo un incidente”.
 
“A quanto pare, vostra figlia non è tanto dolce come credevate” disse Regina.
 
“Grazie per avermelo fatto presente ma questa sarà una faccenda che risolveremo a casa” disse Gold e guardò malamente Rose la quale lo guardò con un po’ di paura. Poi guardò Graham, chiedendogli: “Come sta Lucy?”.
 
“Al momento se ne occuperanno in ospedale, ma si riprenderà” rispose Graham, quando gli uomini dell’ambulanza, spingevano proprio tra di loro la barella con sopra Lucy e, fu in quel momento che Graham li fermò, domandò: “Cos’è quella cosa che ha sulla ferita?” e provò a toglierla, ma non si toglieva.
 
“E’ solo un po’ di polvere” disse uno degli uomini dell’ambulanza.
 
“No, non è semplice polvere” disse Graham.
 
“Infatti è polvere dorata” disse Rose. Gli adulti la guardarono e Rose continuò: “Excalibur ha avvicinato il muso alla ferita di Lucy, sporcandola con la polvere dorata”.
 
Graham guardò la volpe e, solo a quel punto, si accorse di qualcosa di dorato sul suo muso. Guardò Rose e Gold, chiedendo loro: “Come ha fatto ad avere della polvere dorata sul muso?”.
 
“E’ una volpe ed è molto imprevedibile. Potrebbe esserle capitato di tutto” rispose Gold.
 
“E come mai è venuta a cercare aiuto proprio da te? Neanche ti conosce” domandò Rose.
 
“Non credo ora sia importante. Andiamo a casa: abbiamo una faccenda da terminare” rispose Gold, guardandola e camminando verso la macchina. Rose lo seguì con lo sguardo e, sospirando, si alzò seguendolo, salendo in macchina, mentre Gold le teneva la portiera aperta.
 
Gold guardò minacciosamente Regina, la quale lo guardò con altrettanto sguardo furente. Poi entrò in macchina e partì insieme alla figlia.
 
Regina guardò gli uomini dell’ambulanza, replicando: “Portate subito questa mocciosa all’ospedale ! Ci vedremo dopo” e gli uomini, dopo aver messo la barella con sopra Lucy nel retro dell’ambulanza, chiusero le portiere e partirono. Regina guardò Graham e disse: “La voglio sotto stretta sorveglianza: quella marmocchia ha qualcosa dentro di se che sta venendo fuori e non mi piace”.
 
“Non ha fatto apposta” disse Graham.
 
“Non starla sempre a difendere solo perché ti ricorda sua madre ! Ora c’è solo il padre e sarà a lui che dobbiamo dedicarci” disse Regina.
 
“Non lo hai già fatto soffrire abbastanza?” chiese Graham.
 
“Questo è affare mio ! Tu vedi solo di proseguire con il lavoro che ti ho assegnato ed occupati anche della bestiaccia, mentre io vedrò di ritrovare mio figlio” replicò Regina e se ne andò. Graham abbassò lo sguardo, dicendo: “Mi dispiace” e, prendendo Excalibur per la collottola  anche lui se ne andò, mentre la volpe si dimenava cercando di scappare.
 
Poco dopo, a Villa Gold… “Come pensi che abbia reagito quando non ti ho vista nel letto?! E quando non ti ho vista per tutta la casa?! E poi come ti è saltato in mente di uscire di casa così presto?!” replicò Gold, mentre camminava avanti ed indietro davanti a Rose che se ne stava seduta sul divano.
 
“Volevo solo fare una passeggiata” disse Rose.
 
“Lodevole da parte tua stare anche all’aria aperta ma, almeno, potevi dirmelo ed avrei mandato Dove insieme a te” replicò Gold.
 
“Emmm…in verità…Dove era con me, solo che io…ecco…l’ho mandato via” disse titubante Rose.
 
“E perché mai avresti fatto una cosa del genere?” domandò Gold.
 
“Perché volevo rimanere da sola” rispose Rose.
 
“E renderti, così, un bersaglio facile per chiunque volesse farti del male ! Ma ovviamente a ciò non avevi neanche pensato ed hai pensato benissimo a mandare via la guardia del corpo che ho assunto apposta per te !” replicò Gold.
 
Rose non lo aveva mai visto così arrabbiato. Forse questa volta aveva veramente esagerato ed avrebbe fatto meglio a raccontargli tutto, prima che le cose sarebbero peggiorate. Quindi fece un lungo respiro e spiegò: “Ogni mattina mi sveglio presto e, cercando di fare il meno rumore possibile per non svegliarti, esco di casa e, insieme a Dove, mi reco nella foresta”
 
Prima di continuare, guardò l’espressione del padre ma lo vide impassibile. Quindi continuò: “ Non molto tempo fa, ho fatto amicizia con una volpe, la stessa che ti è venuta a cercare per chiederti aiuto. Così, da quel giorno, ho deciso di prendermi cura di lei, portandole da mangiare. Però oggi le cose sono andate diversamente ed è successo quel pasticcio con Lucy. Giuro papà non volevo: si è trattato solo di un incidente ma, se l’ho fatto, è perché Lucy voleva far del male ad Excalibur”.
 
Ci fu silenzio ma poi Gold disse: “Vai in camera tua”. Rose scese dal divano e si diresse verso le scale, mentre il padre le dava di schiena ma poi si fermò, con un piede sul primo gradino e la mano sinistra sul corrimano e, guardandolo gli disse: “ Comunque, se vuoi leggere il mio tema, l’ho messo sul tavolo” e salì su per le scale.
 
Gold aveva lo sguardo abbassato. Dopotutto, non si era mai arrabbiato prima d’ora con la figlia, ma quello che aveva fatto era sbagliato. Poteva perdersi o, peggio, qualcuno poteva rapirla e farle del male. Rose era la cosa più cara che aveva al mondo e, in quasi quei nove anni, aveva fatto di tutto pur di proteggerla da qualsiasi minaccia ed era anche per questo che aveva assunto Dove.
 
Camminò verso il tavolo accanto alla finestra, dove normalmente Rose si sedeva per fare i compiti e prese il tema. Poi si andò a sedere sul divano, incominciando a leggerlo:

 
“Come potrei iniziare? A dire la verità non sapevo nemmeno da dove iniziare. Vi mentirei, se vi dicessi che questo tema riguarda entrambi i genitori. Tutta la famiglia che ho è il mio papà. La mia mamma è morta appena nacqui. Non so molto di lei: né il suo aspetto; se mi avesse voluto bene; come lei e papà si sono incontrati. Papà ne parla poco, forse perché ciò lo rattrista molto ed io non voglio farlo soffrire facendo domande sull’argomento. Voglio molto bene al mio papà. Mi ha cresciuta, non facendomi mai mancare nulla e riempiendomi sempre di coccole e ogni genere di regalo. So che i regali non comprano la felicità altrui, ma lui è il mio papà e c’è sempre stato per me e ci sarà anche in futuro. A volte mi caccio nei guai e lo faccio arrabbiare e preoccupare. Non dovrei, perché lui è sempre buono con me e questo sarebbe come voltargli le spalle. Avrei tanto voluto conoscere la mia mamma ma ho il mio papà e sono lo stesso contenta. Spero che resteremo insieme per sempre”
 
 
A Gold divennero gli occhi lucidi e una lacrima gli rigò il viso, che tirò velocemente via con una mano. Si alzò, rimettendo il tema sul tavolo e salendo su per le scale.
 
Intanto, Rose era seduta accanto alla finestra ad osservare la rosa dentro ad una campana di vetro. Suo padre le aveva raccontato, che quella rosa le era sempre stata al suo fianco fin da quando era nata. Per la bambina poteva benissimo trattarsi dell’ultimo regalo della madre prima che morisse e, per questo motivo, la teneva ben custodita sotto quella campana di vetro che le aveva portato suo padre dal negozio.
 
Sentì bussare. Voltò lo sguardo verso la porta dicendo “Avanti”. La porta si aprì ed entrò Gold. Rose incominciò subito a tremare. Chissà cosa le avrebbe detto suo padre.
 
Nel silenzio assoluto, Gold camminò verso il letto anche se, quando camminava, si sentiva il rumore del bastone contro le assi in legno. Si sedette sul letto, guardando la figlia. Rose lo guardò a sua volta, non muovendosi dalla finestra.
 
“Sai che quello che hai fatto è sbagliato, vero?” chiese Gold.
 
“Sì” rispose semplicemente Rose.
 
“E sai anche che non hai rispettato un sacco di regole, dico bene?” domandò Gold.
 
“Me ne rendo conto” rispose Rose.
 
“Tuttavia, non posso neanche tenerti per sempre segregata tra queste mura e, conoscendo la reputazione della Signorina Hunter, ritengo troppo dura la decisione del Sindaco” spiegò Gold.
 
“Quindi non finirò in prigione?” chiese Rose.
 
“Il massimo che avrà la Signorina Hunter quando si sveglierà, sarà un forte mal di testa e niente di più e non credo che la gente finisca in prigione per dei mal di testa” rispose Gold.
 
“Però ha sbattuto la testa contro quel sasso per causa mia” disse Rose.
 
“Chi aveva iniziato?” domandò Gold.
 
“Lucy, ma io avrei dovuto semplicemente ignorarla e, forse tutto questo non sarebbe successo” rispose Rose.
 
Ci fu altro silenzio. Poi Gold disse: “Vieni qua” e Rose si andò a sedere sul ginocchio sinistro, quello che non gli faceva male. Quindi proseguì: “ E’ vero, quello che hai fatto è stato molto sbagliato e, prima di uscire, avresti almeno potuto avvertirmi ma se hai agito così, è stato per salvare quella volpe. Non so del perché la Signorina Hunter ce l’abbia tanto con quell’animale, ma ti prometto che ti aiuterò a risolvere questa faccenda il prima possibile. Se vuoi, mia cara, possiamo anche fare un accordo”.
 
“Che tipo di accordo?” chiese Rose.
 
“Se tu mi prometti che non ti recherai mai più da sola nella foresta e che, soprattutto, non inizierai mai più una lite che finisca con qualcuno di ferito, io ti prometto che la tua amica volpe potrà vivere qua con noi” spiegò Gold.
“Dici davvero?” domandò entusiasta Rose.
 
“Io non dico mai bugie. Allora, abbiamo un accordo?” rispose Gold, mostrando la mano. Rose gliela strinse, sorridendo e poi lo abbracciò, dicendogli: “Scusami papà, se questa mattina ti ho fatto preoccupare così tanto. È che avevo paura se avessi scoperto che mi recavo nella foresta poi tu non mi avresti più permesso di andarci”.
 
“Ma certo che non te lo avrei permesso. In quella foresta si può nascondere di tutto” disse Gold.
 
“Anche i lupi mannari? Ho sempre desiderato incontrarne uno” chiese Rose.
 
“Ma che cosa vai a pensare?! Non devi nemmeno avvicinarti ad un lupo mannaro e poi, non esistono nemmeno” disse Gold.
 
“Ma in un mio libro di favole avevo letto di un lupo mannaro” disse Rose.
 
“Non abbiamo storie simili nella nostra libreria, tesoro” disse Gold.
 
“Sì invece che l’abbiamo e si chiama “La Principessa della Luna * ”  disse Rose.
 
“Non ne ho mai sentito parlare. Di cosa parla?” domandò Gold.
 
“Narra di una principessa delle terre d’oriente innamorata di un giovane ladro. Ma il padre di lei, ovviamente, non accettava questa relazione e, così, ha chiesto ad un potente mago oscuro di maledire il ragazzo e tenere per sempre lontano i due. La principessa, scoperto il perfido piano del padre, scappò con il fidanzato, andando lontano dal palazzo e nascondendosi tra le rovine di una città distrutta ma nulla poteva scappare al potere del mago oscuro. Con un potente incantesimo “imprigionò” il ladro, trasformandolo in una grossa pietra preziosa. Un diamante per la precisione. Purtroppo, anche alla principessa toccò una sorte non tanto piacevole. I due dovevano stare lontani, no? Bè, il mago oscuro accontentò il padre della principessa, avendo in cambio qualcos’altro di altrettanto prezioso” spiegò Rose.
 
“Che bella storia, piccola e peccato non avertela mai letta” disse Gold.
 
“Bè, potresti sempre leggermela questa sera. Leggerla da sola non è la stessa cosa” disse Rose ed appoggiò la testa contro il petto del padre.
 
Gold  abbassò lo sguardo accarezzandole i capelli. Poi lo rialzò e guardò la rosa dentro la campana di vetro e fece un piccolo sorriso ripensando a quando aveva regalato quella stessa rosa alla persona che amava.
 
Nello stesso momento, all’ospedale di Storybrooke, Regina stava camminando a passo veloce per il corridoio del reparto di Pediatria quando arrivò alla stanza che cercava dalla quale uscì un dottore.
 
“Dottor Whale” disse Regina.
 
“Sindaco Mills, come mai da queste parti?” chiese il dottore, mentre i due erano fermi uno di fronte all’altra, fuori dalla stanza.
 
“Sono venuta a visitare una paziente. So che è appena stata portata qua dopo un brutto incidente avvenuto nella foresta” rispose Regina.
 
“Sì, Lucy Hunter. È arrivata qua circa mezz’ora fa; priva di sensi ed una piccola ferita sulla fronte, ma nulla di cui preoccuparsi” spiegò Whale.
 
“E’ cosciente? Vorrei parlarci” domandò Regina.
 
“Sì è svegliata da poco e, per questo, non vorrei che si stancasse troppo” iniziò col dire Whale, ma dopo aver ricevuto uno sguardo di disapprovazione da Regina, aggiunse dicendo: “Ma visto che lei è il Sindaco, ovviamente può stare dentro quanto vuole” e si fece da parte, facendola entrare.
 
Regina andò accanto al letto di Lucy, la quale voltò lo sguardo verso di lei. “Ciao Lucy come va la fronte?” chiese Regina, con il tono più gentile di sempre, anche se faceva fatica ad usarlo.
“Mi fa ancora un po’ male e c’è questa cosa dorata sulla ferita che non vuole sparire. Il Dottor Whale dice che non andrà via” rispose Lucy, toccandosi la ferita sporca di polvere dorata.
 
“Oh, quanto mi dispiace piccina ma vedrai che con una bella doccia andrà via” disse Regina, fingendosi dispiaciuta.
 
“Come mai è qui?” chiese Lucy.
 
“Sono venuta a trovarti e, ovviamente, anche a parlare con te” rispose Regina.
 
“Se è riguardo Rose, allora non ne voglio proprio parlare” replicò Lucy e, voltò lo sguardo dall’altra parte incrociando anche le braccia.
 
“Come mai ti sta tanto antipatica quella bambina?” domandò Regina.
 
“Perché è la preferita di tutti gli abitanti della città e devono per forza, perché se no il Signor Gold aumenta a tutti loro l’affitto ed è anche capace di cacciarli da Storybrooke. La odio anche perché qualunque cosa succeda, lei è sempre lì come se capitasse nel momento giusto e nel posto giusto” spiegò Lucy.
 
“Ti svelo un segreto: anche a me sta antipatica quella bambina” disse Regina. Lucy la guardò e disse: “Ma è amica con suo figlio”.
 
“Non mi importa e, poi se non ricordo male al Signor Gold dovete pagare il vostro affitto” disse Regina.
 
“E questo cosa centra?” chiese Lucy.
 
Regina sorrise: ora aveva la sua completa attenzione. Quindi rispose: “ Se vuoi che la marmocchia di Gold passi in seconda vista, allora io e te dovremmo collaborare”.
 
“Se collaborerò con lei, io cosa ci guadagnerò?” domandò Lucy.
 
“Bè, potrai diventare tu la bambina più polare di tutta Storybrooke, mentre io potrò tenere lontana i due Gold da faccende che non li riguardano. Inoltre, con la piccola Rose fuori dalla popolarità, il caro paparino penserà solo a lei e tu e la tua famiglia non dovrete più preoccuparvi dell’affitto” spiegò Regina.
 
Lucy sorrise per poi dire: “Ok, affare fatto così Goldie non sarà più una palla al piede per me” e Regina, sorridendo maliziosamente, guardò la sua immagine riflessa nello specchio, dicendo: “Oh, non ti preoccupare: è solo un’altra mela avvelenata”
 
 
*Storia inventata da me che prende spunto dalle “Mille e una Notte”





Note autrice: Grazie per essere arrivate fin qua. Mi scuso ancora tanto per il ritardissimo e prometto che mi impgnerò a pubblicare il prossimo capitolo il prima possibile. Graie a tutti/e coloro che hanno messo la storia tra le preferite e tra le seguite. Alla prossima mie care Oncers
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** La Dama del Lago - Parte I ***







The Rose of true Love

 
 
Capitolo III: La Dama del Lago - Prima Parte


 
C’era gran fermento nella cittadina di Storybrooke, causata dal Sindaco che dal giorno prima non riusciva a trovare il figlio Henry.
Rose stava facendo colazione in cucina e, mentre mangiava i cereali nel latte, guardava i cartoni animati alla televisione. D'un tratto, questi vennero interrotti da un’edizione straordinaria del telegiornale locale: “Interrompiamo le programmazioni per darvi una notizia sconvolgente. Il giovane Henry Mills, figlio del Sindaco, è scomparso da ieri e tutte le forze locali, mobilitate dallo stesso Sindaco, sono alla sua ricerca. Siamo andati a casa di Regina per intervistarla” spiegò il presentatore del telegiornale. Mentre mostravano Regina davanti alla sua villa, in cucina entrò Gold.
“Papà, lo sapevi che Henry è scappato di casa?” domandò Rose, guardando il padre.
“Lo so adesso da te, mia cara” rispose Gold guardandola. Poi entrambi guardarono la televisione, che ritraeva l’inviato mentre intervistava Regina, che disse: “ Sono davvero disperata. Mio figlio non si è mai allontanato così tanto da casa prima d’ora.”
“Secondo lei potrebbe essere scappato di sua spontanea volontà?” chiese l’inviato.
“Che domanda sciocca! Ovvio che no. Mio figlio è un bambino diligente ed ubbidiente e non scapperebbe mai da me” rispose Regina.
“Questo lo dice lei” disse Gold. Rose guardò di sfuggita suo padre, poi riguardò la televisione. “Dove potrebbe essere andato?” domandò l'inviato.
“Se lo sapessi, non starei qua a perdere tempo con voi! E ora sparite!” replicò Regina e, rientrando in casa, batté la porta in faccia a quelli del telegiornale.
Gold sintonizzò il televisore sui cartoni animati. Rose stava per aprire bocca, ma Gold, guardandola, disse: “So cosa stai per dire e la risposta è no.”
“Non è vero che sai cosa sto per dire. Magari è una cosa alla quale avresti detto sì” disse Rose.
“Rose, tu vuoi andare a cercare Henry, vero?” chiese Gold. Rose guardò a destra e poi a sinistra. Poi riguardò il padre rispondendogli: “Nooooooooo… ma cosa vai a pensare?”
“Sono sicuro che Henry salterà fuori da solo” disse Gold.
“Sì, quando Regina se ne andrà da questa città” disse sarcasticamente Rose.
Gold alzò un sopracciglio, poi disse: “Finisci la colazione, che devi andare a scuola.”
Rose rimase in silenzio, poi titubante disse: “Sai papà, non credo che oggi potrò andare a scuola. Mi è venuto un forte mal di pancia.”
“Rose, non mi incanti. Finisci tutto quanto, che io ti aspetto in salotto” disse Gold ed uscì dalla cucina. Rose sbuffò, ma finì la colazione.
Qualche ora dopo, Rose si trovava in classe a seguire una delle noiose lezioni della Signorina Tremaine, quando proprio quest’ultima la richiamò: “Signorina Gold, vada subito dalla preside.”
“Perché? Non ho fatto nulla” disse stupita Rose guardandola.
“Ho detto, vada subito dalla preside!” replicò la Signorina Tremaine. Senza dire nulla, Rose si alzò dal suo banco. Al suo passaggio, i suoi compagni bisbigliarono fra di loro.
Uscita dalla classe, la bambina camminò per il lungo corridoio alle cui pareti erano appesi quadri raffiguranti varie parti di Storybrooke. Uno in particolare attirò la sua attenzione. Si fermò di fronte a esso: rappresentava la torre con l’orologio fermo sulle otto e quindici e, sotto di essa, la biblioteca, chiusa da un po’ di anni.
Rose si ricordava che, quando era un po’ più piccola, andava sempre in quella biblioteca, dove ad accoglierla c'era una gentile vecchietta. Rose adorava i libri. Le erano sempre piaciuti e, a volte, cercava di immaginare di trovarsi in quel mondo popolato da principesse, prodi cavalieri e draghi sputafuoco. Ma anche di luoghi incantati dove i sogni di un bambino si avveravano sempre e dove tutte le cose cattive trovavano il loro lieto fine.
A casa avevano anche un’enorme libreria. Gold le aveva raccontato che l’aveva fatta costruire apposta per lei e per sua madre, visto che anche a quest’ultima piacevano molto i libri.
Volse lo sguardo da un’altra parte, riprendendo a camminare, e arrivò a una porta in fondo del corridoio. Si fermò e bussò. Sentì un “Avanti” gelido. Aprì la porta, entrando.
“Voleva vedermi, Signora Tremaine?” domandò Rose.
“Venga pure a sedersi, Signorina Gold” rispose la Signora Tremaine. Rose chiuse la porta dietro di sé per andarsi a sedere in una delle due sedie poste davanti alla cattedra. Si guardò intorno molto nervosamente, ma sbiancò non appena il suo sguardo si fermò su una lunga asta in metallo. Che fosse la tanto temuta asta della quale aveva sentito parlare e con la quale la Signora Tremaine picchiava i bambini che non facevano i bravi?
Riguardò l’anziana signora, la quale disse: “Sicuramente ti starai chiedendo del perché tu sia qua.”
“In effetti sì, Signora Tremaine” disse con paura Rose.
“Ti ho convocata perché non tollero affatto questo tipo di comportamento nella mia scuola. Voglio che qui sia tutto perfetto, come perfetti devono essere anche gli allievi” spiegò Lady Tremaine.
“Mi scusi Signora Tremaine, ma non riesco a capire a cosa alluda” disse Rose.
“A quello che è successo alla Signorina Hunter nella foresta” disse Lady Tremaine e mostrò alla bambina il giornale The Mirror dove, sulla prima pagina, scritto in grande, c’era: “LUCY HUNTER GRAVEMENTE FERITA” e mostrava un’immagine della bambina citata in ospedale. Sotto alla foto, in piccolo, c’era scritto:
 
Ieri mattina la Signorina Hunter è stata gravemente ferita alla testa da Rose Gold, figlia del Signor Gold, proprietario del Negozio dei Pegni. Nessuno sa la vera ragione che abbia spinto la Signorina Gold ad agire in questo modo, ma quello che ha colpito di più gli abitanti è che il Signor Gold ha agito in modo indifferente. I genitori della vittima, al momento, non esporranno denuncia. Anche il Sindaco ha voluto esprimere parole di conforto per Lucy che, al momento, si trova in ospedale sotto le prestanti cure del Dottor Whale: “Sono rimasta alquanto sconcertata dall’accaduto. Non appena sono stata contattata dalla polizia, sono corsa subito sul posto, vedendo la bambina che veniva messa su una barella e con una ferita sulla fronte. Anche il Signor Gold e la figlia erano presenti, ma sembrava che ad entrambi non importasse nulla delle condizioni della Signorina Hunter. Entrambi, infatti, sono saliti in macchina e se ne sono andati non proferendo alcuna parola. Anche io sono una madre e sono vicina ai genitori della piccola, sperando guarisca presto”  Articolo scritto da Sydney Glass.
 
Rose guardò Lady Tremaine, la quale disse: “Come crede che mi sia sentita dopo aver letto questa notizia? Ora la scuola verrà ridicolizzata da tutti”.
“Credo che l’articolo l’abbia un po’ troppo buttata sul tragico. Leggendo, sembra che Lucy sia quasi morta” disse Rose.
“Non sono cose sulle quali scherzare!” replicò Lady Tremaine e, prendendo l’asta, picchiò le mani di Rose, la quale lasciò cadere il giornale sulla scrivania.
“Io non volevo farle del male: è stato solo un incidente” disse Rose, mentre si toccava le mani l’una con l’altra.
“Poteva anche ucciderla e non ci ha pensato due volte a prendersela con una bimba indifesa come lei!” replicò Lady Tremaine e diede un’altra bacchettata sulle mani di Rose.
“Giuro non volevo farle del male” disse Rose quasi con le lacrime agli occhi.
“Lo sa che la posso anche far espellere da questa scuola?! E non credo che suo padre ne gioirebbe. Ora ritorni in classe e veda di prestare attenzione alla lezione della sua maestra: da quanto ho sentito si annoia” replicò Lady Tremaine.
“Farò la brava come vuole lei, Signora Tremaine” disse Rose abbassando lo sguardo per poi alzarsi ed andare verso la porta. Stava per aprirla, quando Lady Tremaine, che si era messa davanti alla finestra con le mani che stringevano l'asta dietro la schiena, disse: “Ah, e che ciò che è accaduto oggi non esca da questo ufficio, chiaro?”
“Non dirò nulla a nessuno, Signora Tremaine” disse Rose e, dopo aver aperto la porta, uscì dalla stanza. Lady Tremaine guardò verso la porta, sorridendo maliziosamente.
Poco dopo, durante la ricreazione, Rose si trovava da sola sotto il salice piangente, con lo sguardo abbassato, e si massaggiava le mani un po’ rosse a causa delle bacchettate ricevute dalla Signora Tremaine. Senza Henry, stare a scuola era insopportabile.
Alzò lo sguardo quando davanti a lei comparvero le amiche di Lucy: “Ehi Goldie, abbiamo sentito quello che hai fatto a Lucy.”
“Sarete dispiaciute, suppongo” disse Rose.
“Scherzi?! Siamo contente” disse la bambina che aveva parlato prima. Rose la guardò in modo stupito, quasi non credendo alle sue parole.
“Diciamo sul serio e, per dimostrartelo, vogliamo farti entrare nel gruppo al posto di Lucy” disse la bambina, facendo alzare Rose.
“Però devi superare una prova” disse l’altra bambina.
“Quale prova?” chiese Rose.
“Più che una prova, direi che si tratta di un’iniziazione. Per prima cosa devi chiudere gli occhi” rispose la prima bambina che aveva parlato. Rose la guardò stranamente, ma alla fine chiuse gli occhi. Le due bambine la fecero camminare avanti. Rose, che non ne era molto sicura, aprì gli occhi per vedere che si trovava al bordo di una pozzanghera di fango. In uno scatto veloce si spostò, prima che una delle due bambine potesse spingerla. Invece, finirono per spingere la bambina che aveva fatto la proposta dell’iniziazione a Rose.
“Scusaci, Mary” disse una delle due.
“La pagherai molto cara, Goldie!” replicò Mary e, dopo essere uscita dalla pozzanghera di fango, lei e le sue amiche inseguirono Rose, la quale incominciò a correre il più velocemente possibile. Quindi andò a sbattere contro Mary Margaret.
“Tu devi essere Rose, la figlia del Signor Gold” disse Mary Margaret.
“Buongiorno, Signorina Blanchnard. Mi scusi, ma vado molto di fretta” disse Rose e le passò accanto, ma Mary Margaret le disse: “Mi dispiace per Henry. Voi siete molto amici, vero?”
Rose si fermò. La guardò dicendole: “ E’ l’unico che ho.”
“Spero venga ritrovato e che non si trovi in pericolo. Anche se non ho ancora capito del perché sia scappato” disse Mary Margaret.
“Io una certa idea ce l’ho e forse non ha avuto tutti i torti a scappare. Forse non sarà nemmeno l’unico ad aver agito così: potrebbe esserci qualcun altro che prenderà in considerazione questa idea” disse Rose e voltandosi riprese a scappare. Mary Margaret la stava guardando stranamente quando accanto a lei passarono tre bambine, una delle quali sporca di fango.
Rose correva più forte che poteva. Si fermò per un attimo e guardò dall’altra parte della strada, dove c’era il Negozio dei Pegni di suo padre. Voleva nascondersi lì dentro, ma poi suo padre si sarebbe arrabbiato ed avrebbe fatto un sacco di domande del perché non fosse a scuola. Guardò Granny’s lì accanto, ma pensò che, anche lì, nonna e nipote le avrebbero fatto un sacco di domande. Qualsiasi posto di Storybrooke sarebbe stato un rischio, perché qualunque abitante avrebbe avvertito suo padre. Optò quindi per una delle poche soluzioni possibili e, riprendendo a correre, uscì dalla città, dirigendosi nella foresta. Forse il nascondiglio che l’aveva salvata la prima volta l’avrebbe salvata anche ora.
Raggiunse la tana di Excalibur e, con un po’ di fatica, vi entrò dentro. Le tre la raggiunsero proprio in quel momento. Vi passarono accanto, fermandosi. Una delle tre domandò: “Dove sarà andata?”
“Qua non c’è. Andiamocene. È solo una codarda” rispose Mary e le tre se ne andarono.
Rose uscì dal suo nascondiglio e si guardò intorno. “Se c’è una cosa che può ritrovare Henry, quella è Excalibur” disse e, riabbassandosi, guardò all’interno della tana, ma la volpe non uscì. La chiamò nuovamente, ma l’animale non usciva.
“Che strano, di solito esce. Forse è qua in giro, ma per sicurezza è meglio aspettarla ” disse Rose e si sedette accanto alla tana, con la schiena contro la roccia.
Intanto, la Signorina Tremaine era andata di corsa nell’ufficio della Preside… “Scappata?! Ne sei assolutamente sicura?!” replicò Lady Tremaine.
“Sicurissima: dopo la ricreazione non è rientrata in classe e Mary afferma che sia uscita dal cortile della scuola” spiegò la Signorina Tremaine.
“Molto bene. Da adesso in poi ci penserò io. Intanto tu ritorna in classe e prosegui con la lezione” disse Lady Tremaine, mentre prendeva la cornetta del telefono e la figlia usciva dall’ufficio, ritornando in classe.
L’anziana signora compose un numero, po si mise la cornetta all’orecchio ed aspettò in linea.
Al Negozio Banco dei Pegni suonò il telefono. Gold, che si trovava nel retro, andò verso il bancone e alzò la cornetta. Dall’altra parte parlarono.
“Signor Gold, sono Lady Tremaine, Preside della Scuola Elementare. Mi dispiace disturbarla: sicuramente starà lavorando” disse Lady Tremaine.
“Non si preoccupi: al momento non ho clienti. Stavo solo facendo i fatti miei. È successo qualcosa?” domandò Gold.
“In effetti sì, e riguarda sua figlia” rispose Lady Tremaine.
“Le è successo qualcosa di grave?” chiese Gold anche se non voleva far sentire nella voce la sua preoccupazione.
“E’ scappata da scuola. Non so perché abbia agito in questo modo, ma non vorrei che le accadesse qualcosa. E poi Storybrooke è una piccola cittadina e le notizie viaggiano molto velocemente. Non vorrei che qualcuno pensasse male di lei, Signor Gold. Che la giudicassero un cattivo genitore, mi capisce, vero? Veda di ritrovarla il prima possibile e forse non la boccerò” spiegò Lady Tremaine e mise giù la cornetta.
Gold guardò la cornetta mentre dall’altra parte non arrivava più alcun suono. La mise giù, poi andò verso la porta e cambiò l’insegna da APERTO a CHIUSO. Andò verso la credenza, aprendola, e mentre cercava qualcosa puntò l’occhio sulla tazzina sbeccata. Quindi disse: “Perché nostra figlia deve essere così disubbidiente? Forse, se ci fossi stata anche tu, Rose sarebbe cresciuta meglio e si comporterebbe bene anche a scuola. Non so più che fare con lei e spero solo che non mi si ribelli contro” e, dopo aver preso una boccetta ed aver delicatamente accarezzato la tazzina sbeccata, richiuse la credenza. Andò verso il bancone, guardandosi intorno, e vide qualcosa che fece al caso suo. Lo prese: si trattava di un uccellino impagliato che apparteneva a Rose quando era più piccola. Aprì la boccetta, versandone il contenuto sopra di esso, e l'uccellino si librò in aria come se fosse vivo. Guardò Gold, che gli disse: “Conducimi da mia figlia.” L’uccellino volò verso la porta. Gold lo seguì, aprendola, poi la chiuse a chiave dietro di sé. Quindi aprì la portiera della macchina, avviò il motore e seguì l’uccellino.
Questi lo condusse nella foresta. “Ci risiamo” disse Gold, fermando la macchina e seguendo l’uccellino. L’animale ritornò alla sua forma di paglia non appena Gold vide davanti a sé Rose, seduta accanto ad un buco nella roccia. Si abbassò, raccogliendo l’uccellino e, dopo esserselo messo in tasca, camminò verso la figlia e le domandò:  “Che cosa ci fai qua?”
Rose voltò lo sguardo verso di lui e gli rispose: “Potrei fare la stessa domanda a te.”
“Rispondi prima a me e, forse, risponderò anche a te” disse Gold, fermandosi di fronte a lei.
“Niente di che” rispose Rose.
“Rose, mentirmi non risolverà le cose né tanto meno ti farà uscire da questa situazione” disse Gold. Rose si alzò in piedi chiedendogli: “Quale situazione?”
“Perché sei scappata da scuola? Cosa è successo?” domandò Gold. Rose abbassò lo sguardo per poi rispondere: “Niente.”
“Guardami, Rose” disse Gold, ma dopo che la figlia continuò a tenere lo sguardo abbassato, replicò: “Ho detto, guardami!” Ma la figlia non lo ascoltò. Quindi le prese il braccio ed arrabbiato disse: “Quando ti dico una cosa devi farla!”
“Lasciami il braccio! Mi stai facendo male!” replicò Rose, guardando in faccia il padre.
“Questa non sei tu! Non sei la figlia che ho tirato su per questi anni! Non sei la bambina ubbidiente e che fa la brava a scuola! Ora ti riporto subito là e ti scuserai con la tua maestra!” replicò Gold e, voltandosi, incominciò a trascinarla, ma Rose faceva resistenza, replicando: “Non ci voglio ritornare a scuola! Voglio rimanere qua!”
Gold, continuando a camminare, replicò: “Tu non verrai mai più qua, né rivedrai quella volpe! Il tuo posto è in città: a casa nostra!”
“Se mi ascoltassi…” iniziò col dire Rose ma Gold, fermandosi e guardandola, replicò: “Cosa ci sarebbe da ascoltare?! Il fatto che continui a disobbedirmi e gli abitanti mi considerino un cattivo padre?!”
“Allora è a questo a cui pensi? Ma sei stato proprio tu a dirmi, più volte, di non ascoltare mai quello che dicono gli altri” disse Rose.
“Perché sei scappata? Perché non vuoi dirmelo? Risolveremo parecchie cose” disse Gold.
“Non c’è nulla da risolvere se non quella di ritrovare Henry” disse Rose.
“Ti ho già detto di lasciare perdere! Ci penserà lo Sceriffo o chiunque altro il Sindaco abbia chiamato per trovarlo. E ora ti riporto a scuola, mentre da oggi pomeriggio incomincerà la tua punizione !” replicò Gold.
“Quale punizione?” chiese Rose.
“Quella che avrai per una settimana e che ti meriti per non essere stata una brava bambina. Te ne rimarrai in casa o nel mio negozio ed uscirai solamente per andare a scuola” rispose Gold.
“Se ti dicessi del perché sono scappata da scuola, ti arrabbieresti ancora di più e, allora, saremmo al punto di partenza” disse Rose.
“Allora perché non me lo dici semplicemente e poi vedrò se arrabbiarmi oppure no” disse Gold.
“Perché… perché non mi crederesti. Gli adulti non credono mai ai bambini” disse Rose.
“Forse per il fatto che i bambini non ascoltano mai i propri genitori” disse Gold.
A Rose divennero gli occhi lucidi. Poi aprì la bocca per dire le uniche cose che Gold non avrebbe mai voluto sentire dalla figlia: “Ti odio! Sei un mostro!” Gold rimase a bocca aperta e lasciò andare il braccio della figlia, la quale se ne corse via, mentre le lacrime scorrevano lungo il suo viso.
“Sì… lo sono sempre stato” disse Gold.





Note dell'autrice: ed eccomi qua con la prima parte di un nuovo capitolo. Mi scuso immensamente per la seconda parte del precedente (sia per il ritardo sia per gli errori). Ora l'ho riguardato più volte prima di pubblicarlo. Dunque in questo capitolo (nella seconda parte) si capirà finalmente del perchè la volpe si chiama Excalibur. Rose ha chiamato suo padre mostro e Gold c'è rimasto molto male anche perchè si ricorda di come suo figlio lo aveva lasciato, non mantenendo l'accordo. Anche la figlia lo lascerà?

Con questo vi lascio e ci vediamo al prossimo aggiornamento. Buona notte, mie cari Oncers

 
 

 

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Capitolo 6
*** La Dama del Lago - Parte II ***







The Rose of true Love


 
 
Capitolo III: La Dama del Lago - Seconda Parte


 
Foresta Incantata
 
Tremotino, insieme al cucciolo di volpe, si trasportò nella Foresta Incantata e, camminando, disse: “Ascoltami bene, piccolo sacco di pulci. Vedi di non intralciare il mio lavoro, o potrei farti annegare in qualche lago qua vicino. Sei già abbastanza fortunato che tu sia ancora in vita, quindi rimani al tuo posto.” Il cucciolo di volpe, mentre zampettava di fianco a lui, lo guardò per poi distogliere lo sguardo.
Continuavano a camminare per la Foresta Incantata, quando Tremotino si fermò, dicendo: “Sento che è qua vicino. Ormai non dovrebbe più mancare tanto.” La volpe drizzò le orecchie, come se le fosse parso di sentire qualche tipo di rumore. Poi alzò il muso, annusando qualcosa, quindi corse in direzione della traccia.
“Dove te ne vai? Ti avevo detto di rimanermi sempre accanto. Ora ti trasformo veramente in una pelliccia da indossare” disse Tremotino e la inseguì, finché non la raggiunse al bordo di un enorme lago.
 
“Un lago?! Be', mia cara, non pensavo volessi annegare così presto. Ma se proprio vuoi mettere fine alla tua misera vita, fai pure. Di certo non sarò io a fermarti” disse Tremotino. Ma il cucciolo di volpe, guardandolo, emise dei versetti e accennò al lago con il muso.
“Non capisco quello che vuoi, ma se non hai sentito quello che ti ho appena detto, sei libera di buttarti in quel lago così che non sarai più un mio problema” disse Tremotino. Ma in mezzo al lago comparve una fortissima luce bianca, che lasciò spazio a una bellissima donna dai lunghi capelli biondi e tutta vestita di bianco.
Tremotino sorrise, poi disse: “Ma guarda chi si fa rivedere dopo secoli: la Dama Bianca. Credevo di averti rinchiusa in quel carillon per sempre.”
“La magia bianca è sempre più potente della tua, Signore Oscuro” disse la Dama Bianca.
Tremotino fece finta di sbadigliare, come annoiato, poi disse: “Sì sì, come no. Comunque, scommetto che hai qualcosa che mi appartiene.”
“Un oggetto simile non sarà mai nelle tue mani” disse la Dama Bianca.
“Ho un accordo da rispettare. Dimmi dove si trova e vedrò di non rinchiuderti da qualche altra parte. Se taci, la prigionia sarà veramente per sempre” disse Tremotino.
“Non si trova qua” mentì la Dama Bianca.
“È qua: questo cucciolo di volpe è corso fino al tuo lago” disse Tremotino. La Dama Bianca guardò il cucciolo di volpe a fianco del Signore Oscuro, poi spiegò: “Alcune volpi possiedono doti magiche e, a quanto pare sei fortunato, perché anche quel cucciolo di volpe ne ha. Il suo naso è cosparso di polvere dorata: è tramite quella che riesce a percepire gli oggetti magici e chiunque abbia magia dentro di sé.”
“Ed io che volevo cacciarla dal mio castello” disse Tremotino.
La Dama Bianca guardò il cucciolo di volpe, dicendole: “Scappa finché sei ancora in tempo, spirito della foresta. Vivi libero e lontano da questo mostro.” Ma il cucciolo di volpe andò verso il lago e saltò su alcune rocce avvicinandosi sempre di più alla Dama Bianca. Quando le fu abbastanza vicino, accanto a lei comparve un’altra forte luce bianca e, dalle profondità del lago, risalì una spada.
“E dicevi che non si trovava qua. No, no, no mia cara: non si dicono le bugie. Non vorrei che ti crescesse il naso come era accaduto a un burattino. I nasi lunghi non stanno bene alle Dame dei laghi” disse Tremotino facendo una piccola risata.
“La spada Excalibur non sarà mai tua! Una volta apparteneva a Re Artù” replicò la Dama Bianca.
“Un Re alquanto stolto, visto che si è fatto portare via la sua preziosa spada da sotto il naso. E anche il suo fedele mago dagli strabilianti poteri, come si dice dalle parti di Camelot, non si è fatto tanto valere” disse Tremotino.
“È stato un cavaliere della Tavola Rotonda a portagliela via. Ha bevuto una potente pozione, trasformandosi nel Re e rubandogli la spada. Voleva portarla a una regina cattiva che voleva ottenere il regno di Camelot. Fortunatamente un prode cavaliere riuscì a prenderla e riconsegnarla al Re, ma la spada, ormai contaminata dalla magia oscura, fu persa. E fu così che la trovai, nascondendola nelle profondità di questo lago dove io ne sono la custode” spiegò la Dama Bianca.
“Ti ho per caso chiesto la storia? Non che me ne importasse, ma grazie lo stesso per avermela raccontata. Almeno questa volta non mi hai fatto annoiare. Ma come ti ho detto ho un accordo da rispettare e quella spada spetta a me” disse Tremotino.
“Non l’avrai mai!” replicò la Dama Bianca, e gli scagliò contro un potente sortilegio, ma Tremotino svanì in una nuvola viola per poi ricomparire seduto su una roccia sull’altra sponda del lago. “Sai, ho sempre creduto che quella spada fosse conficcata in questa roccia, ma ci sono versioni diverse” disse.
La Dama Bianca stava per scagliarli un altro sortilegio, quando il cucciolo di volpe prese l'elsa della spada con la bocca, saltò sulle altre rocce e ritornò sulla sponda. Tremotino sorrise e, dopo essere sceso dalla roccia, camminò verso il cucciolo di volpe, dicendo: “Come vedi, mia cara,  c’è ancora qualcuno che vuole stare al mio fianco. Qualcuno che disprezza la tua insulsa magia e che crede che oggetti come quella spada debbano appartenere a me.”
“Porterai quel cucciolo di volpe su una strada dalla quale sarà molto difficile tornare indietro” disse la Dama Bianca guardandoli.
“Ma io non ho fatto proprio nulla. Questo caro cucciolo ha scelto da solo, quindi non vedo perché continuare a stare qua a chiacchierare quando possiamo fare benissimo altro. Dopotutto, il tempo è prezioso” disse Tremotino.
Il cucciolo di volpe si avvicinò a lui, tenendo ancora l’elsa della spada in bocca. Non era nella natura della Dama Bianca fare del male agli animali della foresta, visto che era anche grazie a loro se la foresta era così rigogliosa, ma quel cucciolo stava consegnando un prezioso oggetto a un potente mago oscuro che chissà per quali loschi scopi lo avrebbe utilizzato. Quindi scagliò un incantesimo verso la piccola volpe. Tremotino se ne accorse e si mise davanti all’animale, mettendo una mano davanti a sé, creando una nube viola che bloccò l’incantesimo della Dama Bianca e glielo ritorse contro, trasformandola in un cigno bianco.
Tremotino sorrise soddisfatto e, dopo aver abbassato la mano, disse: “Non ti preoccupare, mia cara: qualcuno sarà così clemente e, passando di qua, ti lancerà dei pezzetti di pane per sfamarti. Anche se proverai a cercare soccorso, nessuno potrà prestarti aiuto perché solo la mia magia, o qualcuno che la condivide, potrà farti ritornare quella che eri. Ora rallegrati a svolazzartene qua intorno e a farti un nido” e rise. Poi si abbassò e prese in braccio il cucciolo di volpe, dicendole: “Mia nuova fedele compagna, sarai un’ottima amica e ti prometto che vivrai per sempre nel mio castello e avrai tutto ciò che vorrai. Mi aiuterai a trovare qualsiasi oggetto che mi servirà e mi aiuterai anche con gli accordi. Visto che questa portentosa spada è stato il primo oggetto che hai trovato, ti chiamerò Excalibur” e il cucciolo di volpe scodinzolò felice.

 
Storybrooke

 
Rose stava piangendo in riva a un lago. Aveva corso fin lì, perché voleva stare il più lontano possibile da suo padre. Se solo l’avesse ascoltata - ma non lo faceva mai - sicuramente non gli avrebbe dato del mostro. Mentre le lacrime le rigavano il viso alzò lo sguardo, sentendo un rumore: davanti a lei, sull’acqua, scivolava un bellissimo cigno bianco.
Rose non ne aveva mai visto uno così da vicino, anche perché quegli animali difficilmente si avvicinavano all’uomo. Avevano un carattere timido ma allo stesso tempo anche molto territoriale, soprattutto quando dovevano proteggere le loro uova.
Allungò una mano, dicendo: “Vieni qui. Non voglio farti del male.” Il cigno bianco la guardò, ma spostò lo sguardo quando accanto alla bambina comparve Gold. Questi guardò il cigno e l’animale mosse agitatamente le ali.
Gold abbassò lo sguardo e, a fatica, si sedette accanto alla figlia che continuava a guardare il cigno. C’era silenzio tra i due. Gold estrasse l’uccellino impagliato dalla tasca e, guardandolo, disse: “Avevi tre anni quando Marco costruì quella casetta in legno per gli uccelli su uno degli alberi del nostro giardino. Eri così contenta che, ogni giorno, mettevi del grano nella casetta, affinché gli uccellini potessero sfamarsi, e durante l’inverno volevi farli entrare in casa. Ma un giorno…” Rose lo interruppe continuando: “….gli uccellini non vennero più. Li ho aspettati ma non sono più ritornati. Ero diventata molto triste” e guardò il padre.
“Ho cercato in tutti i modi di tirarti su di morale, ma tu continuavi a guardare quella casetta sul ramo di quell’albero, aspettando il ritorno degli uccellini. Poi ho chiesto a Marco di costruirti qualcosa che ti avesse fatto di nuovo contenta e, così, ha fatto questo uccellino” spiegò Gold.
Rose sorrise e domandò: “Come mai l’hai portato con te?”
“Per farti felice e magari anche per farti ritornare in mente alcuni vecchi ricordi che avevi dimenticato” mentì Gold. Di certo non poteva rivelarle che aveva usato su di esso una pozione per ritrovarla, ma parte di ciò che aveva appena detto era anche vero. Aveva paura che la figlia si fosse veramente dimenticata di quel piccolo ma prezioso oggetto che lui stesso aveva chiesto a Marco per renderla felice.
“Come avrei mai potuto dimenticarmi di questo uccellino? Dopotutto è stato un tuo regalo” disse Rose e Gold sorrise. Entrambi guardarono verso il lago e la bambina aggiunse: “Non volevo darti del mostro. Nessun figlio dovrebbe chiamare così il proprio padre, ma ero arrabbiata e tu non volevi ascoltarmi.”
“Avrei dovuto lasciarti parlare, invece mi sono subito arrabbiato. In verità lo ero già da quando la tua preside mi ha telefonato in negozio” disse Gold.
“Suppongo che ti abbia detto semplicemente che ero scappata e non quell’altra cosa” disse Rose. Gold la guardò e chiese: “Quale altra cosa?”
“Mi aveva convocata nel suo ufficio, mostrandomi il giornale dove sulla prima pagina c’era scritto quello che era accaduto con Lucy nella foresta” rispose Rose guardandolo.
“Non leggo quelle stupidate. Quel giornale preferisco bruciarlo nel caminetto” disse Gold.
“Be', questa volta dovresti leggerlo, perché sei menzionato anche tu. C’è scritto che entrambi siamo rimasti totalmente indifferenti mentre portavano via Lucy con l’ambulanza e che poi siamo saliti in macchina senza dire nulla” spiegò Rose.
“Non ho detto nulla perché ero arrabbiato con te, non perché avevi fatto a pugni con la Signorina Hunter ma perché te ne eri andata nella foresta senza avvertirmi” disse Gold.
“Questa è la tua versione dei fatti, ma la loro è totalmente diversa” disse Rose.
“E chi è che ha scritto quell’articolo?” domandò Gold.
 
“Sydney Glass. È lei che ha scritto questo articolo su di me?” chiese Lucy, mentre guardava il giornale, standosene seduta sul letto d’ospedale con le spalle contro lo schienale.
“Il Sindaco mi ha chiamato e io sono accorso subito. Sono rimasto veramente soddisfatto che, anche dopo tutto quello che ti era successo, tu abbia deciso lo stesso di raccontarmi l’accaduto” rispose un uomo di colore di nome Sydney.
“Non potevo permettere che Goldie la passasse di nuovo liscia. A lei devono sempre andare tutte bene mentre a me no” disse Lucy piegando il giornale in due.
“Da quanto ho capito, tra te e la figlia di Gold non scorre buona amicizia” disse Sydney.
“È antipatica e vuole sempre mettersi al centro dell’attenzione solo perché il suo caro paparino è il padrone di tutta la città” replicò Lucy incrociando le braccia.
“Io e il Sindaco ti aiuteremo a farla passare in secondo piano, sempre che però tu lo voglia” disse Sydney.
“Ma certo che lo voglio! Dopotutto io sono la bambina più popolare di tutta la scuola e tale devo rimanere” disse Lucy.
“Allora andremo molto d’accordo, piccina, e vedrai che finirai sempre in prima pagina” disse Sydney, spettinandole i capelli.
“E tutti gli abitanti di Storybrooke ameranno soltanto me e presto si dimenticheranno di quella Rose” disse Lucy sorridendo maliziosamente.
Intanto, nella foresta, Gold e Rose stavano camminando verso la tana di Excalibur sperando che la volpe fosse ritornata lì.
“Di' la verità: sei ritornata qua perché volevi cercare Excalibur in modo che ti aiutasse nel ritrovare Henry, vero?” domandò Gold.
“Excalibur ha un ottimo fiuto. Pensa che l’altro giorno ha ritrovato due centesimi che avevo perso in mezzo alle foglie. Quindi sì, penso che ci possa aiutare nel ritrovare Henry” rispose Rose.
“No, no, no, io non voglio farne parte” disse Gold.
“Ma papà, pensavo che facessimo tutto insieme” disse Rose, guardandolo.
“Ma ciò non comporta che anche io mi cacci nei guai insieme a te. I guai vanno più d’accordo con te che con me” disse Gold.
“Ma papà…” iniziò col dire Rose, ma Gold la bloccò dicendo: “Cara, il “ma papà” questa volta non funziona. Non ti aiuterò nel cacciarti nei guai. Devi incominciare a fare la brava e ubbidiente bambina.”
“Ma io sono una brava ed ubbidiente bambina” disse sorridendo Rose.
“Con la tendenza nel cacciarti nei guai” disse Gold e il sorriso di Rose scomparve. Arrivarono alla tana di Excalibur. Rose si inginocchiò guardando dentro al buco.
“Stiamo perdendo tempo. Potrebbe trovarsi ovunque” disse Gold rimanendo in piedi dietro di lei.
“Eppure deve essere qui. Lei è sempre qui” disse Rose continuando a guardare dentro al buco.
“È una volpe, e come tutti quelli della sua specie se ne va in giro per la foresta a caccia” disse Gold.
Rose lo guardò dicendo: “Basta solo che non cacci topi: lei li odia anche se non ho ancora capito il perché” e si alzò.
“Vedrai che salterà fuori, solo che lei rimarrà qua mentre tu a casa nostra” disse Gold, guardandola.
“Pensavo avessi dimenticato quella punizione” disse Rose.
“Io non dimentico mai nulla” disse Gold mettendole un braccio intorno, mentre riprendevano a camminare per poi uscire dalla foresta e dirigersi verso la Cadillac. Si fermarono e si guardarono: “Papà, credi che anche la mamma si sarebbe arrabbiata perché sono uscita da casa senza avvertire?” chiese Rose.
Gold le mise una mano sotto il mento, rispondendole: “La mamma non avrebbe neanche avuto il coraggio di arrabbiarsi con te. Lei ti avrebbe voluto troppo bene per sgridarti e sicuramente avrebbe anche annullato la mia punizione, facendomi passare così per il genitore cattivo.”
“Ma tu non sei un genitore cattivo. A volte sei severo, ma mai cattivo” disse Rose.
“Se sono severo è solo perché non voglio che ti accada qualcosa. Sei la sola famiglia che ho” disse Gold. Rose sorrise, poi i due entrarono in macchina e partirono.
Ma qualcuno, dentro a un’altra vettura che era stata ferma per tutto quel tempo, li aveva osservati. Quel qualcuno voltò lo sguardo verso la gabbia sul sedile posteriore e disse: “Mi dispiace, ma devo eseguire gli ordini”. Dentro quella gabbia c'era qualcosa e quel qualcosa era Excalibur che lo guardò con sguardo impaurito.





Note dell'autrice: ed eccomi qua con la fine del terzo capitolo dove finalmente si è capito del perchè la volpe si chiama così ma anche del perchè nè Rose e nemmeno Gold riuscivano a trovarla nella foresta. Chissà cosa staranno tramando Lucy, Sydney e Graham ? Centrerà Regina? Ummmmmmm secondo me sì. Nel quarto capitolo (già in lavorazione) Rose finalmente si farà una nuova amica (si spera) e forse (speriamo anche qua) ritornerà Henry. O sarà Rose ad andarlo a cercare? 

Passiamo ai ringraziamenti: volevo ringraziare la mia beta reader Lucia che senza di lei la mia storia non sarebbe così bella e scorrevole da leggere ( dovrò fare un accordo con Rumple per non farmi fare gli erroracci di ortografia) e se ci metto un po' a pubblicare i capitoli è perchè voglio che siano piacevoli da leggervi. La fretta gioca una brutta cosa e lo avete potuto constatare anche voi. Inoltre volevo ringraziare tutti/e voi che continuate a leggere e seguire questa fanfict ( e a dire la verità nn pensavo avesse così tanto successo. Mi fate commuovere). Con questo ci vediamo al prossimo capitolo. Passate una splendida ed una "Gold" nottata mie cari Oncers
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Una nuova amica - Parte I ***






The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo IV: Una nuova amica - Prima Parte


 
Con Henry sparito ormai da due giorni, il Sindaco non si dava pace. Ogni ora continuava a chiamare la polizia per avere notizie, ma la risposta era sempre la stessa, ovvero che non lo avevano trovato.
Regina si trovava nel suo ufficio quando Graham entrò. “Mi hai fatto chiamare?” domandò lo Sceriffo.
“Sei in ritardo. Avresti dovuto venire cinque minuti fa!” replicò Regina alzandosi dalla sedia da dietro la scrivania.
“Ho avuto un piccolo contrattempo con la nostra ospite” disse Graham e le mostrò la mano destra sopra alla quale spiccavano segni di graffi e morsi. Regina li guardò, poi disse: “Sei grande e grosso ma ti fai prendere a morsi da un piccolo sacco di pulci.”
“Non è colpa mia se non vuole stare ferma!” replicò Graham.
“L’importante è che non scappi. Voglio che quella marmocchia si disperi nel cercarla, così lascerà stare Henry” disse Regina.
“Non penso di poter imprigionare quella volpe ancora per tanto tempo. Prima o poi Gold lo verrà a scoprire” disse Graham.
“A Gold non gli è mai importato nulla di nessuno, eccetto per quella sgualdrina e marmocchia di sua figlia! Figuriamoci se gli importa di un sacco di pulci con la pelliccia!” replicò Regina.
“Ma mettiamo che lo venga veramente a scoprire con uno dei suoi tanti metodi, come mi devo comportare?” chiese Graham.
“Come si comporterebbe un qualunque cacciatore che va a caccia di volpi” rispose Regina sorridendo maliziosamente, e Graham la guardò non dicendo nulla.
Era un sabato qualunque e i bambini non andavano a scuola. Rose, perciò, si trovava nel negozio del padre, dove doveva scontare la sua punizione. Gold l’aveva messa a pulire il negozio con un vecchio straccio e una scopa alquanto malandata.
La bambina starnutì per l’ennesima volta quando la polvere per terra le entrò nel naso: “Ma che cosa ho fatto per meritarmi questo?” disse.
“Non far finta di nulla. Sai benissimo cosa hai fatto” disse Gold, ritornando dal retro del negozio mentre teneva in mano un oggetto che poi mise sul bancone. Rose smise per un attimo di spazzare e si avvicinò al bancone, guardando quell’oggetto per poi dire: “Sembra un cofanetto.”
“Cosa che non è. Ritorna al tuo lavoro: il pavimento non si pulisce da solo” disse Gold, mentre scriveva qualcosa su di un foglio.
“Facciamo un patto?” domandò Rose. Gold alzò lo sguardo e guardandola disse: “Lo sai che fare patti con me potrebbe essere molto pericoloso.”
“L’ultima volta ci ho guadagnato un sacchetto di dolci” disse Rose.
“E poi ti è venuto un gran mal di pancia. Lo sai, piccola, che poi voglio anche qualcosa in cambio” disse Gold riabbassando lo sguardo e scrivendo sul foglio.
“Se io indovino che cosa è questo oggetto tu mi sconterai la punizione: da una settimana facciamo tre giorni” disse Rose. Gold rialzò nuovamente lo sguardo e disse: “Quella punizione ti aspetta di diritto e diventerà di un mese se non ti rivedrò subito al lavoro.”
“E dai, papà, so benissimo che a te piacciono molto i patti e che ci hai sempre guadagnato, se no come te la spieghi tutta questa roba?” disse Rose.
“Credi veramente che tutti gli oggetti del negozio li abbia guadagnati con dei patti stipulati?” chiese Gold.
“Ovvio che sì, anche perché la maggior parte di questi oggetti sono molto rari e non si trovano da anni, se non per dire secoli” rispose Rose.
“Piccola, questo è un negozio dei pegni: la gente mi porta i loro oggetti più cari che hanno in casa da tanto tempo per guadagnarci dei soldi” spiegò Gold.
“Però non ho mai visto nessuno entrare con degli oggetti da portarti” disse Rose. Quella bambina era molto tenace e la testardaggine l’aveva presa dalla madre. Quindi disse: “Va bene. Accetto.”
“No, aspetta. Alziamo la posta in gioco. Non solo devo indovinare che oggetto è ma anche cosa c’è dentro e, in cambio, mi toglierai del tutto la punizione” disse Rose.
“Questo è molto sleale. Fai sembrare che il genitore sia tu e non io” disse Gold.
“Un patto è un patto e tu ci hai sempre guadagnato. E poi, se non lo farai qualcuno penserà che hai perso il tuo charmy… charty… be', quello che è” disse Rose.
“Si chiama charme. Ma se vinco io non solo pulirai casa e negozio, ma verrai tutti i giorni qua per aiutarmi” disse Gold.
“Anche la casa?! Ma sono tre piani, e poi dopo scuola devo fare i compiti” disse stupita Rose.
“Li farai qua sotto la mia supervisione e dopo averli fatti continuerai con i lavoretti che ti affiderò” spiegò Gold.
“Ma… ma…” disse stupita Rose.
“Un patto è un patto. Allora accetti?” domandò Gold mostrando la mano. Rose la guardò e gliela strinse.
“E ora ritorna al lavoro” disse Gold e riprese a scrivere.
Rose sbuffò e riprese a spazzare. Guardò suo padre che aveva lo sguardo abbassato sul foglio. Quindi guardò la scopa che teneva in mano e sorrise. La appoggiò contro uno scaffale, mise le mani davanti a sé e mosse le dita. Ovviamente non successe niente. Ci riprovò ancora, stavolta di più ma ancora nulla.
“Che cosa stai facendo?!” chiese Gold. Rose sobbalzò e voltandosi verso suo padre gli rispose: “Volevo vedere se si muoveva”. Gold la guardò stranamente.
“Come succede nel film “Fantasia” e Topolino, con il cappello da apprendista, fa vivere la scopa in modo che faccia i lavori al posto suo” spiegò Rose.
“Ritorna a lavorare: il negozio non si pulirà da solo e inoltre hai anche le vetrine da pulire” disse Gold.
“Anche quelle?! Ma intanto la gente riesce lo stesso a guardare dentro” disse Rose.
“Rose…” l’ammonì Gold.
“Va bene, va bene, pulirò anche quelle” disse Rose e, riprendendo la scopa, continuò a pulire per terra. Poi il suo sguardo si posò su una vecchia palla in cuoio. Le venne un’idea e sperò che suo padre acconsentisse.
“Papà, non è che potrei uscire a giocare?” domandò Rose, guardandolo.
“Sai che la tua punizione prevede che puoi uscire solamente per andare a scuola” disse Gold, guardandola a sua volta.
“Mi piacerebbe staccare almeno un po’ da questo lavoro. Prometto che poi riprendo subito” disse Rose.
“Va bene, ma rimani qua davanti dove ti posso tenere d’occhio” disse Gold.
“Grazie, papà! E non è che posso prendere quella palla?” Gold guardò la palla di cuoio accanto a sé. Riguardò la figlia e le domandò: “Sei sicura che vuoi proprio questa palla? È speciale.”
“Mi piace e, se per te è speciale, allora la tratterò tale” rispose Rose. “Tieni, ma vedi di rimanere sempre qua davanti al negozio come ti ho detto” disse Gold dandole la palla. La bambina la prese e corse fuori dal negozio. Gold andò davanti a una delle finestre e la guardò mentre dava dei calci a quella palla facendola andare contro il muro del negozio. Si ricordò di come un bambino, secoli prima, avesse giocato con quella stessa palla che ora apparteneva alla sua bambina. Dopo essersi accertato che Rose rimanesse appena fuori dal negozio, ritornò al proprio lavoro.
Rose continuava a calciare la palla contro il muro del negozio quando sentì dei singhiozzi. Si fermò, mentre la palla rotolava accanto a lei. I singhiozzi si sentirono nuovamente. Quindi Rose si abbassò e, dopo aver preso in mano la palla, decise di seguirli ed essi la condussero in una via laterale del negozio dove, seduta a terra e con la testa appoggiata contro le ginocchia, c'era una bambina che stava piangendo.
Rose la stette a guardare chiedendosi perché stesse piangendo. Sicuramente non glielo avrebbe detto. Quindi decise di rompere il ghiaccio: “Ehi, ciao! Chi sei?” chiese, ma la bambina continuava a piangere.
Rose ci riprovò: “Io mi chiamo Rose, e tu?”
Stavolta la bambina rispose, continuando però a piangere: “Paige.”
“Hai un bel nome. Perché stai piangendo? Qualcuno ti ha fatto del male?” chiese Rose. Paige alzò la testa dalle ginocchia e annuì, asciugandosi le lacrime.
“Vuoi parlarne? Il mio papà dice che parlare con qualcuno dei propri problemi fa sentire bene, anche se una volta mi ha mentito: mi aveva detto che la gamba non gli faceva male, invece poco dopo l’avevo visto seduto sulla poltrona mentre si massaggiava la gamba e si lamentava del dolore. Lui non vuole mai parlare di questo suo dolore, invece credo che dovrebbe perché potrebbe stare anche meglio… va be'” fece una pausa. “Questo non c'entra con te, ma era un esempio per farti capire che se vuoi puoi parlarne con me” spiegò Rose.
La bambina la guardò e Rose poté finalmente vederla in faccia: su per giù poteva avere la sua età; aveva capelli lunghi di un biondo scuro e occhi marroni. I suoi vestiti erano un po’ sporchi, ma per il resto era una normale bambina.
“Senti, ti andrebbe di giocare con me a palla? Però dobbiamo stare qua, perché il mio papà non vuole che mi allontani dal negozio” propose Rose, ma Paige scosse negativamente la testa.
“Va bene, forse non ti piace la palla. Allora che cosa ne dici se giochiamo a nascondino?” propose Rose, ma Paige scosse nuovamente la testa.
“Perché non proponi tu un gioco? Basta solo che rimaniamo qua vicine” disse Rose.
“Nessuno aveva mai chiesto a me di proporre un gioco” disse Paige.
“Uao, ma allora sai parlare! Pensavo fossi muta. Allora, che gioco preferisci?” domandò Rose, ma Paige abbassò lo sguardo e non rispose.
“Senti, se non ti piace giocare potresti semplicemente venire con me all’interno del negozio così da farmi compagnia e accertarti che mio padre non mi sorvegli troppo” disse Rose, ma Paige continuò a non dire una parola, quindi Rose propose altro: “Che ne dici di una buona e calda tazza di tè? Lo so non è una bevanda tipica di qua, ma il mio papà la fa spesso, anche perché a lui piace tanto. E poi dice sempre che una buona tazza di tè ti tira sempre su di morale. Se vuoi te ne porto una. Che cosa ne dici?” Paige annuì.
“Perfetto. Aspettami qua che torno subito. Non ti muovere, mi raccomando” disse Rose e corse dentro il negozio. Gold non fece neanche in tempo ad alzare la testa che vide sfrecciare davanti a sé qualcuno.
Rose andò velocemente nel retro del negozio e, da una credenza, prese una teiera e una tazzina. Poi accese il fuoco su un piccolo fornello lì accanto.
“Rose, non eri fuori a …” disse Gold andando nel retro, ma si bloccò non appena vide cosa stava facendo la figlia. Dimenticandosi per un attimo del dolore alla gamba, andò a passo veloce verso di lei e, dopo aver spento il fuoco, la prese per le spalle voltandola verso di lui. “Che cosa ti è saltato in mente?! Lo sai benissimo che il fuoco è pericoloso!” la rimproverò.
“Volevo solo preparare una tazza di tè” disse Rose con ancora la teiera e la tazzina in mano.
“Avresti potuto farti male! Piccola, non bisogna scherzare con il fuoco. Promettimelo che non lo farai più” disse Gold.
“Te lo prometto, ma ora posso preparare il tè?” chiese Rose.
“È fuori discussione! Potevi semplicemente chiedermelo e te l’avrei preparato io” rispose Gold.
“Papà” disse Rose.
“Sì, cosa c’è?” domandò Gold.
“Potresti prepararmi una tazza di tè, per favore?” chiese Rose e Gold alzò gli occhi al soffitto.
Poco dopo, Gold aveva quasi terminato di preparare il tè. “Quanto ci vuole?” domandò Rose mentre lo guardava.
“Me lo hai chiesto neanche due minuti fa. Ancora poco e ho finito” rispose Gold.
Rose andò a una finestra che dava sul davanti del negozio. Gold la seguì con lo sguardo e, dopo aver spento il fuoco sotto la teiera, versò il tè in una tazzina. Raggiunse poi la figlia, che in fretta e furia aprì la porta, lo prese per mano e lo trascinò fuori dal negozio.
“Rose, perché hai tutta questa fretta? Il tuo tè non va da nessuna parte” chiese Gold.
“Il tè non è per me, ma per…” iniziò col dire Rose, ma si bloccò non appena vide che la Paige non c’era più.
“No, le avevo detto di rimanere qua. Ecco, lo sapevo: ci hai messo troppo tempo a preparare il tè” disse Rose.
“A chi avevi detto di rimanere qua?” domandò Gold.
“A una bambina che stava seduta qua. Si chiama Paige e le ho chiesto se voleva giocare con me, ma non ha voluto. Così le ho proposto di prendere una tazza di tè e lei ha acconsentito. Ma non doveva andarsene” spiegò Rose, guardandolo.
“Rose, ti ho detto mille volte di non parlare con gli sconosciuti, perché…”iniziò col dire Gold e Rose continuò: “… perché non li conosci e potrebbero portarti via e io non ti rivedrei più.”
“Esattamente. E se la sai a memoria perché non hai rispettato questa regola?” chiese Gold.
“Perché Paige mi sembrava molto simpatica e… sola” rispose Rose.
“Sola?!” ripete Gold.
“Quando l’ho trovata stava piangendo. È per questo che volevo parlare con lei e tirarla su di morale, ma a quanto pare non vuole nessuno accanto a sé” disse Rose.
“Sei molto gentile nel preoccuparti degli altri, ma se continuerai così gli abitanti cominceranno a chiedersi se sei veramente mia figlia” disse Gold e le diede la tazza di tè.
“Ma io sono tua figlia” disse Rose.
“Non è quello che intendevo” disse Gold.
In quel momento, arrivò la macchina dello sceriffo. I due lo guardarono scendere dalla vettura. “Salve, sceriffo” lo salutò Rose. Graham si voltò e li guardò mentre camminava verso di loro, lasciando la portiera della macchina aperta. “Buongiorno, Rose, e buongiorno anche a lei, Signor Gold” disse.
“Che cosa la porta da queste parti? Lei è più un tipo da foreste o municipi” domandò Gold.
“Sono lo sceriffo ed è compito mio far rispettare la legge anche qui in città. Comunque, stavo andando da Granny's a fare colazione prima di riprendere il lavoro” rispose Graham. Gold notò qualcosa muoversi nel retro della macchina. Graham si accorse che Gold stava cominciando a sospettare qualcosa e decise di riprendere velocemente il discorso. Rivolto a Rose, chiese: “Anche tu sei molto mattiniera. Come mai?”
“Stamattina, il mio papà mi ha fatto alzare presto perché ha detto che fa parte della punizione” rispose Rose.
“Anche pulire il negozio fa parte della punizione, quindi ritorna dentro e riprendi il lavoro” disse Gold, continuando a guardare il retro della macchina dello sceriffo.
“Ma mi avevi promesso che sarei potuta rimanere qua fuori a giocare” disse Rose, guardandolo.
“Il tuo tempo di riposo è scaduto. Torna dentro e dammi quella tazza di tè” disse Gold. Rose sbuffò. Guardò Graham e gli disse: “Allora ci vediamo in giro e buon lavoro.”
“Buon lavoro anche a te, Rose” disse Graham. La bambina, dopo aver ridato la tazza di tè al padre, ritornò dentro al negozio.
“Ho una giornata piuttosto pesante, quindi prima vado a fare colazione e prima ricomincio a lavorare” disse Graham.
Stava per attraversare la strada quando Gold gli disse: “Le consiglio di non sfidarmi, sceriffo.”
Graham si fermò e lo squadrò. “Non so a cosa alluda, Signor Gold” disse.
“Se sta nascondendo qualcosa per me o di mio, le consiglio di tirarlo subito fuori prima che le possa succedere qualcosa di spiacevole” rispose Gold.
“Non mi incolpi per qualcosa che non ho fatto. Il mio lavoro è quello di far rispettare la legge e fare in modo che tutto fili liscio, e ciò sottintende anche il benessere di tutti i cittadini. Anche coloro che accusano gli altri di essere ladri” spiegò Graham.
“Io non ho mai usato la parola ladro, ma sono sicuro che lei nasconda qualcosa e che magari lavori per qualcuno” disse Gold.
“Io non lavoro per nessuno! Come ho detto, lavoro per il benessere dei cittadini e nient’altro. E ora, se non le dispiace, vado a fare colazione” replicò Graham e, attraversando la strada, entrò da Granny’s.
Gold lo guardò, poi andò verso la macchina e, approfittando della sbadataggine dello sceriffo, aprì la portiera per avvicinarsi alla gabbia sul sedile posteriore. Gold sorrise nel vederla e disse: “Sapevo che quello sceriffo nascondeva qualcosa di mio. Tieni, questo è per te” e mise davanti alla gabbia la tazza di tè.
Excalibur drizzò le orecchie non appena sentì la voce di Gold e, con il musino, spuntò dalle sbarre per bere il tè. “Proprio come ai vecchi tempi” disse Gold.

 
Storybrooke

 
Tremotino mise la spada Excalibur su di un trespolo di ferro, proprio sopra al camino. “Questo è ora uno dei miei oggetti più preziosi e devo tutto a te, mia fedele e nuova amica” disse Tremotino e abbassò lo sguardo verso il cucciolo di volpe che lo guardò a sua volta, scodinzolando.
Il Signore Oscuro camminò per la stanza, dicendo: “E visto che ora hai la fortuna di vivere con me e il privilegio di essere entrata nelle mie grazie, dobbiamo cambiare un po’ di cose” Fermandosi, si voltò e con un solo gesto della mano fece comparire, accanto all’arcolaio, una cesta dorata con tanto di morbido cuscino. Excalibur drizzò contenta le orecchie e, dopo essere corsa verso la cesta, si accucciò al suo interno.
Tremotino sorrise e, mentre il cucciolo di volpe se ne stava comodo nella sua nuova cesta, andò verso il tavolone, facendo comparire una teiera e una tazzina. Si avvicinò a esse e, mentre prendeva la teiera, versando il tè nella tazzina, alzò lo sguardo sentendo che qualcuno aveva oltrepassato la barriera magica che lui stesso aveva creato per proteggere il castello. Rimise la teiera accanto alla tazzina quando le porte si aprirono da sole ed entrò lo stesso cavaliere che aveva fatto il patto con lui.
“Vedo che sei ritornato” disse Tremotino guardandolo. Anche Excalibur alzò lo sguardo.
“Dove si trova?” chiese il cavaliere.
“Proprio lì” rispose Tremotino, indicando il cucciolo di volpe. Il cavaliere guardò l’animale che lo guardò a sua volta. Poi riguardò Tremotino dicendogli: “Non è il momento di scherzare.”
“Ma io non sto scherzando. Volevi Excalibur, no? Be', è proprio lì” disse Tremotino.
“Stavo parlando della spada e non di quella stupida volpe!” replicò il cavaliere.
“Attento con gli insulti, perché quel cucciolo di volpe ora è mio e quindi sei obbligato a trattarlo bene” disse Tremotino.
“Il nostro accordo prevedeva che lei recuperasse la spada del re” disse il cavaliere.
“È vero, ma prevedeva anche la tua lealtà per sempre nei miei confronti e io mantengo sempre i miei accordi. Dopotutto, un accordo è sempre un accordo” disse Tremotino sorridendo, e una nuvola viola avvolse il cavaliere, la cui armatura si fece nera.
“Che cosa ha fatto alla mia armatura?” domandò il cavaliere mentre si guardava.
“Oh, non ci fare troppo caso. L’ho solo modificata un po’. Dopotutto ora tu servi me e non più il tuo Re. Da oggi sarai il Cavaliere nero e farai tutto quello che ti dirò, o potrai dire addio alla tua vita” spiegò Tremotino.
“E che cosa le fa credere che rispetterò il nostro accordo? Quella spada appartiene al Re” chiese il cavaliere.
“Ora non più” disse Tremotino e la spada Excalibur, dopo essere stata avvolta anch’essa da una nube viola, si alzò dal trespolo dove era stata messa e volò nella mano del Signore Oscuro il quale la puntò al collo del cavaliere.
“Mi ha ingannato” replicò il cavaliere.
“Io ottengo sempre ciò che voglio e a quanto pare non hai letto tutte le clausole del nostro contratto. È vero ho acconsentito a ritrovare la spada Excalibur, ma ora questa spada è infusa di magia nera dal momento che ho sconfitto la sua protettrice” spiegò Tremotino.
Il cavaliere guardò la punta della spada contro il collo, da dove stava scendendo un po’ di sangue per la pressione della pelle contro il metallo. “Cosa vuole che faccia?” domandò a Tremotino, alzando lo sguardo su di lui.
“Puoi iniziare col stare qua fuori a controllare che nessuno si avvicini alle mura” rispose Tremotino abbassando la spada.
“Ha la magia: saprà già se ci sarà qualcuno” disse il cavaliere.
“È vero, ma questo è il tuo lavoro da adesso e per sempre. E se farai il bravo vedrò di non ucciderti prima della fine dell’inverno” disse Tremotino.
Il cavaliere lo guardò malamente ma poi, dopo aver fatto un piccolo inchino, disse: “Come desidera, Signore Oscuro” e voltandosi uscì dalla sala.
Tremotino sorrise maliziosamente. Poi mise la spada sul tavolo, dove prese la tazzina e se la portò alle labbra. La allontanò subito dopo. “Odio il tè freddo” disse. Camminò quindi verso la cesta e, abbassandosi, mise la tazzina davanti alla volpe dicendole: “Tieni. Bevilo”. Il cucciolo di volpe annusò il contenuto e poi cominciò a berlo. A quanto pareva gli piaceva. Tremotino sorrise e accarezzò Excalibur sulla testa, poi disse: “Ci divertiremo molto insieme. Se quel cavaliere proverà a farti del male, lo ridurrò ad un mucchio di ferraglia”





Note dell'autrice: Ed eccomi qua con un nuovo capitolo (ovviamente la prima parte di esso). Henry ancora non si fa vedere ma fidatevi che tornerà presto ( perchè se torna lui, forse arriverà qualcun altro). Quindi Rose si annoia senza il suo migliore amico e deve passare la punizione di suo padre (e stavolta è stato molto severo). Però ad alleviare questa sofferenza, arriverà una bambina e Rose riuscirà a farsela amica ? Conoscendo che è anche figlia di Belle, secondo me sì e secondo voi ?

Ringrazio ancora tutti coloro che recensiscono e stanno seguendo la fanfict. Ringrazio ancora la mia beta reader Lucia che con la sua santa pazienza mi corregge i miei strafalcioni

E con questo ci vediamo alla prossima parte del capitolo. Buona serata miei cari Oncers

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Capitolo 8
*** Una nuova amica - Parte II ***







The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo IV: Una nuova amica - Seconda Parte



 
Storybrooke
 
Rose smise di spazzare. Aveva quasi pulito tutto il negozio (tranne il retro), ma doveva ancora lucidare le vetrate. Suo padre faceva veramente sul serio con quella punizione. Dopotutto, stavolta aveva rischiato grosso.
Appoggiò la scopa contro una credenza e si avvicinò al bancone a osservare quel cofanetto che aveva portato suo padre. Lo prese tra le mani, osservando ogni dettaglio: era di colore bianco con delle rifiniture dorate. Sopra al coperchio era disegnato un cigno dorato. Rose provò ad aprirlo, ma ovviamente era chiuso a chiave. Ecco, doveva trovare quella chiave e finalmente avrebbe scoperto cosa fosse veramente quell’oggetto. Con la scoperta, la sua punizione sarebbe stata cancellata.
“Devo trovare quella chiave. Sicuramente papà l’avrà nascosta qua da qualche parte. Ma dove?” disse Rose e si guardò intorno. Con la coda dell’occhio, vide qualcuno affacciarsi a una delle finestre del negozio. Si fermò e osservò meglio: era Paige.
“Paige!” la chiamò Rose, ma la bambina scappò via. “Accidenti” disse Rose mentre apriva la porta. Non vedendo stranamente suo padre nelle vicinanze, uscì dal negozio e corse nella direzione nella quale era andata Paige. La raggiunse poco dopo in prossimità di una piccola casa.
“Paige, aspetta” disse Rose fermandosi. Anche Paige si fermò e, voltandosi, le chiese: “Perché continui a seguirmi?”
“E tu perché continui a scappare? Ti avevo portato quel tè ma tu te ne sei andata. Non hai mantenuto la tua promessa” rispose Rose avvicinandosi a lei.
“Avevo da fare” disse Paige.
“Che cosa?” domandò Rose, ma Paige non rispose. Quindi Rose aggiunse: “Se non vuoi dirmelo non fa niente, non ti obbligo, ma almeno spiegami del perché continui a scappare da me”
“Non sto scappando da te ma da lei” disse Paige.
“Lei?! Lei chi?” chiese Rose.
“Lei è cattiva e vuole farmi del male, me lo sento” disse Paige, guardandosi intorno preoccupata e terrorizzata.
“Paige, cerca di calmarti. Agitarsi non risolverà le cose” disse Rose avvicinandosi a lei, ma Paige fece qualche passo indietro e disse: “Ti conviene starmi lontana o farà del male anche a te.”
“Ti ha già fatto del male?” domandò Rose.
“No, ma me ne farà” rispose Paige e, voltandosi, corse via. Stavolta Rose non la inseguì ma se ne andò. Dopo essersi accertata che Rose se ne fosse andata, Paige uscì dal suo nascondiglio ed entrò in una piccola casa dal bianco spento. Non sapeva però che Rose, nascosta dietro a un muro, l’aveva osservata e ora sapeva dove abitasse.
Poco dopo, la giovane Gold ritornò al negozio del padre. Non vedendolo da nessuna parte, entrò. Non era da Gold lasciare il negozio incustodito e soprattutto aperto. Camminava lentamente, guardandosi intorno, come se stesse cercando qualche possibile incursore con cattive intenzioni. Invece il suo sguardo si posò su un vecchio coniglietto di peluche posto in un angolo dietro al bancone.
Si avvicinò e lo prese in mano, ma proprio in quel momento, dal retro del negozio, spuntò Gold. Rose sobbalzò dalla paura e si voltò verso il padre.
“Dove eri finita?” chiese Gold guardandola.
“Sono sempre stata qua, dove mi avevi detto tu” rispose fingendo Rose. Gold la guardò non del tutto convinto, poi la figlia gli domandò: “ E tu invece?”
“A riscuotere gli affitti” rispose Gold. Anche Rose lo guardò non del tutto convinta: sapeva che quello non era momento di riscossione degli affitti. Entrambi cambiarono velocemente argomento.
“Perché hai quel coniglio di peluche in mano?” chiese Gold.
“Non lo avevo mai visto” rispose Rose.
“È vecchio” disse Gold.
“A me piace ed è carino. Non è che posso tenerlo?” domandò Rose.
“Hai già un sacco di giocattoli a casa e non sapresti dove metterlo” rispose Gold camminando verso un’altra parte del negozio.
“Troverò il posto. O magari posso sempre metterlo in camera tua” disse Rose. Gold la guardò per un attimo, poi volse di nuovo lo sguardo verso un oggetto e disse: “Se tieni tanto a quel coniglietto, allora puoi tenerlo.”
“Grazie, papà. E scherzavo quando ho detto che lo avrei messo in camera tua. So che non vuoi che oggetti altrui si mischino ai tuoi” disse Rose.
“Hai finito di spazzare?” chiese Gold senza guardarla.
“Sì, anche se mi mancano ancora il retro e le vetrate” rispose Rose.
“Per oggi può anche bastare. Se vuoi puoi ritornare fuori a giocare con la palla” disse Gold. Rose mise il peluche sul bancone, prese la palla di cuoio e uscì. Gold la guardò andarsene, poi tirò fuori dalla tasca della giacca una chiave dorata. La osservò, poi guardò il cofanetto sul bancone.
Rose aveva ripreso a dare i calci alla palla, facendola battere contro il muro del negozio, quando vide Graham accanto alla sua macchina, al telefono. Sembrava anche piuttosto agitato.
“L’ho lasciata per pochi minuti ed è scappata. Lo so che sono animali furbi, ma non credo abbiano imparato anche ad aprire le gabbie. No, sicuramente qualcuno l’ha aiutata a uscire e ora non so dove possa trovarsi. Prometto che la recupererò anche a costo di cercarla in tutti gli angoli della foresta” disse al telefono. Poi guardò di sfuggita Rose e distolse subito lo sguardo. “Ci sentiamo dopo. C’è troppa gente qua intorno ad ascoltare” e chiuse la chiamata.
“Qualcosa non va, sceriffo?” domandò Rose guardandolo mentre teneva la palla di mano.
“No, no, tutto a posto” rispose fingendo Graham.
Rose si avvicinò. “Se vuole posso aiutarla” gli disse.
“Apprezzo tanto il tuo aiuto, ma non credo sia necessario. Dopotutto non è una cosa di molto valore” rispose Graham, guardandola.
“Se non è una cosa di molto valore allora perché prima al telefono era così agitato?” chiese Rose.
“Perché non ritorni a giocare? Sono sicuro che sarà molto meno noioso che star qui a parlare con me” disse Graham.
“Ok, ma prima vorrei sapere una cosa. Lei conosce una bambina che si chiama Paige?” domandò Rose.
“L’ho vista di tanto in tanto, ma non è molto popolare” rispose Graham.
“Non è importante essere popolari. Si è amati anche se non si è figli di qualcuno di importante. Alla gente non importa chi è tuo padre” disse Rose.
“A quanto pare, però, qua sì. Ma perché così tanto interesse per questa bambina?” chiese Graham.
“Ero solo curiosa” rispose Rose.
“Per fare amicizia con lei dovresti chiederle cosa le piace di più” disse Graham.
“Cosa ne sa che voglio fare amicizia con quella bambina?” domandò Rose.
“Non mi avresti chiesto di lei e non la staresti cercando” rispose Graham. Rose guardò da una parte senza dire nulla e lo Sceriffo, sorridendo, le accarezzò la testa e aggiunse: “Be', ci vediamo in giro e fammi sapere.” Salì in macchina e, fatta retromarcia, se ne andò.
Rose lo guardò andarsene, poi le venne in mente un’idea. Ritornò dentro al negozio e depositò la palla sul bancone. Diede un’occhiata di sfuggita a quel cofanetto. Troppi pensieri c’erano in quel momento nella sua testa, ovvero: cercare la chiave che aprisse quella scatolina; Aiutare quella bambina e ritrovare Henry. Da quando quest’ultimo era scomparso erano accaduti fatti di ogni genere. Se le cose fossero andate avanti di questo passo, avrebbe seriamente pensato di andarlo a cercare, anche se ciò comportava il dover disubbidire per l’ennesima volta a suo padre.
“Qualcosa di turba, piccola?” chiese Gold. Rose voltò lo sguardo verso il padre che stava dietro all’altro bancone. Stava rimettendo a posto, appeso alla parete dietro di sé, un vecchio orologio a cucù.
“Papà, tu conosci una bambina di nome Paige?” domandò Rose.
“ Ancora pensi a quella bambina? Perché così tanta preoccupazione nei suoi confronti?” chiese Gold, uscendo da dietro il bancone.
“È che magari potrebbe aver bisogno d’aiuto” rispose Rose. Gold andò di fronte a lei e le disse: “Che non verrà da te. Tante altre persone potrebbero aiutarla, come per esempio lo Sceriffo.”
“Ha già abbastanza problemi ai quali pensare. Meglio lasciarlo stare” disse Rose.
“E fare in modo che si ricordi di stare al suo posto” disse Gold a voce bassa, sperando che la figlia non lo avesse sentito, ma Rose lo aveva sentito benissimo e lo guardò stranamente. Poi gli domandò: “Hai finito di lavorare?”
“Sì, oggi posso anche chiudere con qualche minuto d’anticipo. Dopotutto c’è molto da pulire anche a casa” rispose Gold, camminando verso la porta.
“Pensavo che per oggi la mia punizione fosse finita” disse Rose seguendolo.
“Prima di cena devi fare i compiti e almeno mettere a posto la tua camera” disse Gold ruotando l’insegna da APERTA a CHIUSA.
“Hai mai pensato di assumere una domestica?” chiese Rose.
Gold la guardò. “Non è una cattiva idea, ma sono sicuro che non pulirebbe mai bene come mia figlia” rispose, e Rose lo guardò malamente.
“Potrebbero denunciarti per sfruttamento minorile” disse Rose.
“Quando la punizione sarà finita, andrò dallo Sceriffo a dirgli del perché hai dovuto pulire il negozio e la casa” disse Gold andando dietro al bancone.
“Lo Sceriffo sa già del perché sto scontando questa inutile punizione” disse Rose.
“Questa punizione non è inutile e durerà finché non avrai imparato la lezione” disse Gold ritornando di fronte alla figlia e tenendo in mano il coniglietto di peluche. Rose guardò il giocattolo che teneva in mano, poi riguardò il padre che glielo porse e le disse: “Avevi detto che lo volevi, no? E io avevo anche acconsentito, quindi è tuo.”
Rose prese il peluche e, dopo che il padre ebbe aperto la porta, entrambi uscirono. Mentre Gold chiudeva il negozio, però, qualcuno li stava osservando, sbucando con la testa da dietro un muro. Rose si guardò intorno e fu proprio in quel momento che di sfuggita vide quel qualcuno. Quindi disse: “Paige!” e quel qualcuno ritornò a nascondersi dietro al muro.
“Hai detto qualcosa, cara?” domandò Gold. Rose guardò verso quel muro e rispose: “No, niente. Non ho detto niente” e voltandosi, si incamminò.  Anche Gold guardò nella direzione dove, poco fa, aveva visto la figlia. Non vedendo nessuno,  si voltò e la seguì.
Paige fece capolino con la testa guardando i due allontanarsi. Avrebbe tanto voluto avere anche lei un padre e sapeva che i suoi genitori l’avevano adottata. Vedeva che Rose era felice con suo padre, anche se il più delle volte gli disubbidiva, e comunque facevano sempre pace.
Vedendo che ormai il sole stava tramontando, si incamminò verso casa sperando che, almeno per quella volta, i suoi genitori adottivi non si arrabbiassero. Purtroppo non fu così perché, appena arrivò a casa, suo padre le gridò contro e sua madre non la difese neanche. Venne mandata immediatamente nella sua camera senza cena. La bambina si distese sul letto mentre una lacrima le rigava il viso.
Era sera quando Paige riaprì gli occhi dopo aver fatto quell’ennesimo sogno che faceva ogni notte. Effettivamente doveva aver socchiuso gli occhi per un po’ ed essersi addormentata. Sognava di trovarsi a vagare per una foresta, come se stesse cercando qualcuno, ma appena voltava lo sguardo vedeva come un piccolo animale che la osservava. Poi il sogno si bloccava.
Si alzò dal letto guardando la sveglia sul comodino: segnava le venti e trenta. Il suo stomaco brontolò per non aver ricevuto alcun cibo ed era ancora presto per dormire. Si avvicinò alla finestra guardando fuori. Nessuno stava camminando per la via illuminata dai lampioni che si erano accesi da un’ora. Tutti gli abitanti se ne stavano in casa al caldo ad assaporare una buona cena o a stare semplicemente seduti sul divano a guardare la televisione. Paige non lo faceva mai con i suoi genitori. Sembrava che loro odiassero averla accanto, ma lei sapeva del perché l’avevano adottata e di certo non lo avevano fatto né per pietà e nemmeno per amore. Si immaginava invece Rose, seduta accanto al padre sul divano a guardare insieme un film o i cartoni animati e magari parlare anche della giornata appena trascorsa. Insomma, passare un bel momento padre – figlia, cosa che alla bambina mancava.
Era immersa nei suoi pensieri, quando nel giardino vide un piccolo animale. Aprì la finestra e, dopo averlo osservato meglio, notò che si trattava di una volpe. Questi la stava a guardare come se volesse dirle qualcosa. Paige non sapeva perché quella volpe si trovasse lì, ma molto probabilmente doveva esserci un motivo. Così si avvicinò al letto, si abbassò e prese uno zainetto da sotto il materasso. Lo aprì, mettendoci alcuni vestiti e qualche biscotto che aveva nascosto nel cassetto del comodino. Poi prese le lenzuola con le quali fece una corda che buttò al di fuori della finestra. Stando attenta a non cadere, si attaccò alla corda, incominciando a scendere. Toccò terra poco dopo. Quando si voltò la volpe era ancora lì, ma l’animaletto se ne corse via improvvisamente. Paige era indecisa se seguirla oppure no. La volpe si fermò e la guardò. Probabilmente voleva essere seguita e così la bambina la rincorse.
Rose stava leggendo un libro standosene seduta sul letto, quando sentì qualcosa contro la finestra. Alzò lo sguardo, vedendo dei sassolini che venivano buttati contro di essa. Mise un segno alla pagina dove era arrivata e, dopo aver chiuso il libro, si alzò dal letto e andò alla finestra. Nel giardino c'era Paige con dei sassolini in mano. Rose aprì la finestra.
“Paige, che cosa ci fai qua?” chiese Rose.
“Volevo salutarti prima di andarmene” rispose Paige.
“Andare? E dove?” domandò Rose.
“Ancora non lo so, ma di certo non ritornerò di sicuro a casa. Qualunque posto è meglio che qua, visto che non ho nessuno” rispose Paige.
“Non è vero: hai me” disse Rose.
“Tu? Questo significa che siamo amiche?” chiese Paige.
“Be'… sempre se tu vuoi. Non ti obbligo ad essere amica mia, anche se i miei unici amici sono Henry ed Excalibur” rispose Rose.
“Allora per me va bene” disse Paige.
“Perfetto. Aspettami che arrivo” disse Rose e prima che Paige potesse chiederle spiegazioni, la bambina aveva già chiuso la finestra. La giovane Gold prese lo zainetto e senza far rumore scese le scale e passò, a punta di piedi, davanti al salotto dove Dove se ne stava seduto sul divano a guardare la televisione.
Ma la bambina non fece in tempo ad aprire la porta che qualcuno domandò: “Va da qualche parte, Signorina Gold?” Rose si voltò per trovarsi di fronte Dove.
“Volevo solo uscire un po’ in giardino” rispose Rose.
“Lo sa benissimo che suo padre le ha proibito di uscire mentre lui non c’è e che deve rimanere dentro casa sotto stretta sorveglianza” spiegò Dove.
“Lo so, ma me ne resterò qua fuori e prometto che rientrerò quando ritornerà papà. Ti prego, Dove” disse Rose.
“E voleva uscire con quello zainetto sulle spalle?” chiese Dove. Senza dire nulla, Rose glielo diede, poi domandò: “Ora posso uscire? Se sentirò freddo, rientrerò.”
“Va bene, ma non si allontani” rispose Dove e Rose, voltandosi, aprì la porta ed uscì, chiudendo la porta dietro di sé. Scese velocemente i pochi gradini davanti all'ingresso e raggiunse Paige.
“Eccomi qua. Allora, dove sei diretta?” chiese Rose, ansimando un po’.
“Non sei obbligata a seguirmi. Tu qua hai un padre che ti vuole bene” rispose Paige.
“Vorrà dire che ti accompagnerò dove vorrai andare. Poi io prenderò un bus e andrò a cercare Henry” spiegò Rose.
“Toglimi una curiosità: chi è Excalibur?” domandò Paige.
“È la mia volpe. L’ho trovata nel bosco tempo fa” rispose Rose.
“Anche io prima ho trovato una volpe” disse Paige e di fianco a loro comparve Excalibur.
“Excalibur?! Che bello rivederti! Pensavo fossi sparita” disse entusiasta Rose, inginocchiandosi. La volpe le leccò una guancia.
“Questa è Excalibur?!” disse stupita Paige. Rose si rialzò e guardandola le spiegò: “Sì, e lo puoi capire perché ha della polvere dorata sul muso” e Paige, guardando la volpe – che la guardava a sua volta scodinzolando – notò che effettivamente sul suo muso c'era qualcosa di dorato. “E poi è come se fosse magica” aggiunse Rose.
“Se ti riferisci al fatto che mi abbia portata qua, la trovo solo una coincidenza” disse Paige.
“Il mio papà dice sempre che le coincidenze non esistono. Che tutto è programmato a dovere e che, se deve succedere, allora così deve essere” spiegò Rose, mentre le due ed Excalibur si incamminavano fianco a fianco sul marciapiede.
Ci fu silenzio. Poi Paige disse: “Ti voglio confessare una cosa. I miei genitori non sono i miei veri genitori.”
“Sto incominciando a pensare che in questa cittadina siano stati tutti adottati. Forse dovrò cominciare a fare qualche domanda a mio padre per vedere se sono stata adottata anche io oppure no” disse Rose, guardandola.
“Fidati che tu sei veramente la figlia del Signor Gold. Tutti lo capirebbero al primo sguardo” disse Paige.
“Sai, ora che c’è anche Excalibur sono sicura di ritrovare Henry. Lei ha un ottimo fiuto” disse Rose, mentre arrivarono vicino al confine della cittadina.
“È uno strano nome per una volpe” disse Paige.
“Lo so. In molti lo dicono, ma a lei piace” disse Rose e si fermarono prima della linea rossa.
“Qualcosa non va?” chiese Paige.
“Il mio papà ha detto di non oltrepassare mai questa linea. Il perché non me lo ha mai spiegato” rispose Rose continuando a guardare la striscia.
“Non penso possa succedere qualcosa. Dopotutto è solo una linea, no?” domandò Paige. Rose la guardò rispondendo: “Sì, è solo una linea, e forse papà me lo ha detto solo come un avvertimento. Secondo lui non dovrei neanche mai uscire da casa.”
“Vuole proteggerti da chiunque voglia farti del male o portarti via da lui” disse Paige.
“Ha assunto Dove per proteggermi. Che altro deve fare?” disse Rose, guardandola.
“Per curiosità, dove ha trovato la vostra guardia del corpo?” chiese Paige.
“Non ne ho idea. Papà non me lo ha mai detto” rispose Rose.
 
Foresta Incantata
 
Tremotino stava filando all’arcolaio, quando si fermò e abbassò lo sguardo verso la cesta, dove Excalibur stava dormendo. Le disse: “Va’ a prenderti una boccata d’aria e, intanto che ci sei, controlla anche quel cavaliere. Non vorrei che cambiasse idea e scappasse, anche se me ne accorgerei.” Excalibur si svegliò e, dopo aver guardato il Signore Oscuro, si stiracchiò sbadigliando. Balzando fuori dalla cesta, andò verso le porte che si stavano aprendo da sole per farla uscire dal castello. Davanti alla porta il Cavaliere nero camminava avanti ed indietro, ma si fermò non appena sentì dei versetti. Si voltò e vide il cucciolo di volpe che lo guardava.
“Sei venuta a spiarmi per conto suo? Intanto non scappo. Sono un cavaliere che mantiene le promesse” disse il Cavaliere nero, ma il cucciolo di volpe continuava a guardarlo.
“Ecco come mi sono ridotto. A parlare con un cucciolo di volpe e lavorare per il Signore Oscuro. Non mi faranno più mettere piede a Camelot” disse il cavaliere e si sedette su uno dei gradini. Excalibur si sedette accanto a lui, continuando a guardarlo.
“Come fai a vivere con un mostro come lui? Dovresti vagare libera per la foresta, invece di startene confinata tra queste mura. Cosa ti fa rimanere qua?” disse il cavaliere, accarezzando il cucciolo di volpe sulla testa. Excalibur gli leccò la mano guantata.
“Be', se tu rimani e ti fidi di lui, allora potrei rimanere anche io. Dopotutto sono un uomo di parola e mantengo sempre i patti” disse il cavaliere.
“Era proprio ciò che volevo sentirti dire” disse ad un certo punto una voce. Il cavaliere si alzò. Si voltò per trovarsi di fronte Tremotino.
“Abbiamo fatto un accordo, no? E non si può mai scindere dagli accordi” disse il cavaliere.
“Parli in modo corretto per essere un cavaliere. Solitamente loro non sono così svegli. Hai un nome?” domandò Tremotino.
“Perché lo vuole sapere?” chiese il cavaliere.
“Be', perché non posso sempre chiamarti “cavaliere” e poi noto che la mia volpe nutre una certa simpatia nei tuoi confronti. Ciò ti mette in fondo alla lista delle persone che ucciderò perché non mi stanno simpatiche o tentano di uccidermi” spiegò Tremotino.
“La ringrazio per questo suo “regalo”. Comunque il mio nome è Dove” disse il cavaliere.
“Che strano nome per un cavaliere. Ma non importa, perché, come abbiamo stabilito, da ora in poi mi servirai per sempre. In questo modo non rivedrai mai più il tuo caro Re e non rimetterai piede a Camelot. Ora è questo castello la tua nuova casa” disse Tremotino.
“La servirò come lei desidera” disse Dove facendo un piccolo inchino.
“Ma bada, cavaliere, che quando né io e nemmeno la volpe ci saremo, il castello è affidato a te. Devi difenderlo anche a costo della tua vita. E se quando ritornerò qualcosa non andrà, la prigione la tua nuova casa sarà” disse canticchiando Tremotino, per poi ridere.
 
Storybrooke
 
“Ok, io ed Excalibur prenderemo questo bus – se ne passerà uno. Andremo a cercare Henry e ritorneremo qua con lui come se non fossimo neanche uscite da Storybrooke” disse Rose.
“E come la metti con tuo padre?” domandò Paige.
“Mio padre è a riscuotere gli affitti. Di solito torna a casa molto tardi” rispose Rose, guardandola.
“E tu pensi di andare a cercare Henry e ritornare qua in poche ore? Solo con la magia ci riusciresti” disse Paige.
“Ce la farò. Un giorno mi ricordo di essere andata al parco e essere ritornata a casa in poco tempo” disse Rose e Paige la guardò stranamente. Quindi Rose aggiunse dicendole: “Ok… forse non è il paragone appropriato, visto che il parco stava quasi di fianco a casa mia, ma se non ce la farò in poche ore vorrà dire che per domani mattina sarò nuovamente a casa… almeno spero.”
“Ma tuo padre non si arrabbierà?” chiese Paige.
“Probabile di sì, ma io gli spiegherò che è per una causa a fin di bene” rispose Rose.
“Non credo che a lui interessi se ritroverai Henry o se il Sindaco smetterà di essere isterico per la scomparsa del figlio” disse Paige.
“È qui che ti sbagli: il Sindaco è sempre isterico” disse Rose.  Davanti a loro comparve una luce, che si sdoppiò mano a manoche si avvicinava. Apparve un maggiolone giallo, che si fermò proprio accanto a loro. Le due bambine lo guardarono rimanendo in silenzio. Una delle portiere si aprì ed uscì… “Henry?!” disse stupita Rose.






Note dell'autrice: Ed eccoci arrivati alla fine del quarto capitolo e della mid season della quarta stagione. Ho ancora il cuore spezzato per quello che è successo. Rumbelle dobbiamo ribellarci. Dobbiamo fare una Rumbellion al più presto e speriamo che nell'altra metà di stagione le cose tra Rumple e Belle si sistemino...al meglio.
Ritornando alla storia...tah dah...Henry è ritornato e se c'è, c'è anche qualcun altro. E meno male che è ritornato, se no Rose andava a cercarlo e poi Rumple chi lo sentiva? Vi rivelo: state attenti a quel coniglietto di pelouche. Lo ritroverete più avanti ed è anche un piccolo indizio che ho messo inerente ad una storia molto famosa (nn date di matto come una certa persona con uno strano cappello)

Detto questo, vi auguro una buona serata. Come detto il quinto capitolo è già in lavorazione e succederà di tutto. Ah e finalmente avete scoperto chi era Dove. Ho voluto descrivere di più questo personaggio, visto che nella serie lo si vede solo al fianco di Gold nell'episodio dedicato a Belle

Vi auguro ancora una buona serata. Grazie per chi segue e recensisce la storia. Grazie ancora alla mia beta reader Lucia (che santa pazienza che ha)

Alla prossima, Oncers

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Capitolo 9
*** Il Patto del Cappello - Parte I ***







The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo V: Il Patto del Cappello - Prima Parte

 
“Henry, sei proprio tu?!” disse stupita Rose, mentre guardava il suo migliore amico, con zainetto sulle spalle, appena uscito da quel maggiolone giallo.
“Sembri sorpresa di vedermi” disse Henry. Rose non disse altro e gli si fiondò addosso, abbracciandolo forte. Poi si staccò e, fissandolo in viso, gli disse: “Ma cosa ti è saltato in mente?! Tutti in città erano preoccupati per te!”
“Anche mia madre?” domandò Henry.
“Che tu ci creda o no, anche lei. Era isterica – non che non lo sia mai stata, ma ha chiamato qualunque autorità locale per ritrovarti. Ma dove eri finito?” disse Rose.
“Ti ricordi quando ti avevo detto che ero stato adottato? E che sapevo dove viveva la mia vera mamma?” chiese Henry.
“A quanto pare ti eri dimenticato che ti avevo detto di farti andar via dalla testa qualunque cosa stupida avessi in mente” rispose Rose.
“Invece non si è trattata di una cosa stupida, perché l’ho trovata” disse Henry e si aprì la portiera dalla parte del guidatore. Dalla macchina uscì un’altra persona. Si trattava di una donna bionda e dagli occhi azzurri. Le bambine la guardarono sorprese.
“Vi presento Emma Swan” disse Henry.
“Piacere” disse semplicemente Emma guardando le bambine.
“Scusaci solo un attimo” disse Rose e, dopo aver preso Henry da una parte, aggiunse domandandogli: “Ti rendi conto di quello che hai fatto?”
“Ho ritrovato la mia vera mamma e lei ha acconsentito a venire con me” rispose Henry.
“Scusa se te lo dico, ma ti credevo più sveglio di Lucy. Non sai in che pasticcio ti sei andato a ficcare” disse Rose.
“Ma è lei. È lei quella di cui gli abitanti di Storybrooke hanno bisogno” disse Henry. Rose lo guardò stranamente. Quindi Henry aggiunse: “Il libro, Rose.”
“Il libro di favole?! Henry, è solo un libro per bambini e magari scritto da uno che non aveva altro di bello da fare” disse Rose.
“Perché non vuoi credermi? Pensavo fossi amica mia” disse Henry.
“È vero, scusami, ma faccio ancora fatica a credere che la tua mamma biologica provenga dalle favole. Oppure potrebbe essere riccioli d’oro” disse Rose.
“No, è qualcun altro di migliore. È la Salvatrice” disse Henry. Rose rimase muta mentre ritornava accanto a Paige. Guardò Emma dicendole: “Allora benvenuta a Storybrooke.”
“Grazie. Ma vorrei tanto sapere che cosa ci fanno due bambine piccole – e una volpe – in giro a quest’ora e ai margini della foresta” disse Emma. Rose e Paige si guardarono. Poi riguardarono Emma e Rose le chiese: “Ha mai fatto una passeggiata per schiarirsi le idee?”
“Boston non è proprio la città ideale dove fare una passeggiata notturna e schiarirsi le idee. Comunque non dovreste aggirarvi da sole: i vostri genitori potrebbero essere molto preoccupati. Meglio che vi riaccompagni a casa” spiegò Emma e spostò in avanti il sedile del guidatore.
“Ehm… veramente noi avevamo altro in mente, quindi se non le dispiace, Signorina Swan, vorremmo stare qua” disse Rose. Excalibur salì sul sedile posteriore. Emma la guardò stupita dicendo: “A quanto pare, questa volpe la pensa diversamente da voi.”
“Oh, non faccia caso a lei. Ama le cose nuove” disse Rose.
“Salite in macchina prima che cambi idea e chiami la polizia” disse Emma. Dopo che anche Rose e Paige furono salite sul sedile di retro, rimise il sedile al proprio posto. Poi guardò Henry dicendogli: “Ok, ragazzino. Anche tu”. Henry si limitò a sorridere e salire dalla parte del passeggero. Poi anche Emma salì. Chiuse la portiera e, dopo aver avviato la macchina, partì.
All’inizio, il viaggio fu silenzioso, poi Emma domandò: “Allora ditemi veramente del perché vi trovavate al confine della città e, forse, chiuderò un occhio con la polizia.”
“Come mai continua a parlare della polizia? È sua amica?” chiese Rose.
“Io e la polizia non siamo mai andate molto d’accordo. Diciamo solo che non voglio che finiate nei guai” rispose Emma.
“Non si preoccupi. Secondo mio padre i guai vanno molto d’accordo con me” disse Rose.
Emma la guardò tramite lo specchietto retrovisore, poi spostò lo sguardo su Paige e le domandò: “E tu non dici nulla?” Ma Paige non rispose, quindi Emma aggiunse: “Non sembri una di molte parole.”
Excalibur sbucò accanto a Emma, tenendo una zampa appoggiata contro il sedile, e l’annusò. Emma si fece un po’ da parte, poi disse, guardandola di sfuggita: “Sei una volpe o un cane? Smettila di annusarmi” ed Excalibur ritornò seduta tra le due bambine.
“Paige è come te” disse Henry guardando Emma. Emma lo guardò chiedendogli: “Cosa intendi?”
“Me lo hai detto tu che sei stata adottata, ma che passavi di famiglia in famiglia perché non ti piaceva fermarti in un luogo per molto” rispose Henry.
“E tu come lo sai che Paige è stata adottata?” domandò Rose. Henry la guardò, rispondendole: “Be', tutti a Storybrooke lo sanno ed è strano che tu non lo sappia, visto chi è tuo padre.”
“Guarda che lo sapevo, visto che è stata proprio Paige a dirmelo” disse Rose.
“Cosa mi sono perso mentre non c’ero?” chiese Henry.
“Non ti saresti perso nulla se non te ne fosti andato” rispose Rose.
“Me ne sono andato per una valida ragione” disse Henry.
“Che potevi anche evitare” disse Rose.
“Ehi ehi, ragazzini, smettetela di litigare” disse Emma.
“Non stiamo litigando” dissero insieme Henry e Rose. Paige se ne stava zitta ed Excalibur si strusciò contro quest’ultima. Emma le guardò dallo specchietto retrovisore per poi dire: “Sembra che la volpe abbia simpatia per la bimba senza parola.”
“Si chiama Paige. Per sua informazione, Signorina Swan, Excalibur ha simpatia per chiunque non lavori per la polizia. Per chi si fa i propri affari e soprattutto chi non importuna chi si prende cura di lei” spiegò Rose.
“Vuoi sempre avere ragione tu, vero?” disse Emma.
“Voglio solo farle capire di non giudicare mai un libro dalla copertina. Prima bisogna conoscere bene le persone e poi, solo a quel punto, giudicare” spiegò Rose. Emma non disse nulla. Quella bambina sembrava saperne sempre una in più del diavolo ed era anche molto testona.
Poco dopo arrivarono nel centro di Storybrooke. Emma fermò la macchina e scese, così come anche i bambini ed Excalibur. “Ecco, ci siamo. Capolinea. Ora chi porto a casa per primo? Forse la bambina muta.”
“Io non ci voglio ritornare a casa” replicò Paige.
“Ma allora parli” disse Emma guardandola.
“Ho detto anche io la stessa identica cosa” disse Rose. Emma la guardò dicendo: “Allora porto a casa te.”
“Ehm… preferisco aspettare che riporti a casa Henry. E poi, voi due avrete anche un sacco di cose da raccontarvi. Insomma, non è da tutti i giorni che la madre biologica ritrovi il figlio che non aveva voluto tenere” disse Rose.
“Grazie, ma detta così non l’avevo ancora sentito” disse Emma. Senza dire nulla, Paige se ne corse via.
“Ehi, dove vai?! Fermati!” disse Emma, cercando di seguirla.
“La lasci andare. È un’impresa inseguirla. Quando l’ho fatto io mi è quasi mancato il fiato e ho quasi dieci anni” disse Rose. Emma la guardò dicendole: “Non sono vecchia, se è quello che intendi.”
“E' lei che lo sta dicendo, mica io” disse Rose, guardandola a sua volta. Anche Excalibur corse dietro a Paige.
“Ecco che se ne va anche la volpe. Ma cos'hanno tutti in questa cittadina?” disse Emma, guardando la volpe andarsene.
“Rose ha ragione. Potresti portare a casa me visto anche che non abito molto lontano da qua” disse Henry.
“Perfetto, così io posso togliere il disturbo” disse Rose e stava per andarsene quando Emma la bloccò per il colletto della giacca dicendo: “Oh no, tu non vai da nessuna parte. Dopo Henry, riporterò a casa te.”
“Ma non troverà nessuno a casa, e io non ho nemmeno la chiave per entrare” mentì Rose, guardandola.
“E scommetto che i tuoi genitori non sanno che sei qua fuori da sola, vero?” domandò Emma.
“Giusto. È bravissima a indovinare, lo sa?” rispose sorridendo Rose, ma il suo sorriso scomparve quando Emma la guardò malamente.
In quel momento, i tre vennero raggiunti dal Dottor Hopper insieme al suo cane Pongo, che, vedendoli, chiese loro: “Henry? Rose? Che cosa ci fate fuori a quest’ora?”
“Stavamo facendo una passeggiata” mentì Rose, guardandolo.
“Lo sai benissimo che tuo padre non vuole che te ne vada in giro a quest’ora e da sola” disse il Dottor Hopper.
“Ma io non sono da sola. Ci sono Henry e questa signorina qua” disse Rose.
“È mia madre, Archie” disse Henry.
“Oh” disse semplicemente il Dottor Hopper guardando Emma.
“Posso andare o no?” chiese Rose, guardando Emma che, guardandola a sua volta a braccia incrociate, rispose: “Tu non vai da nessuna parte. Sei proprio una peste.” Rose le fece la linguaccia.
“Non sei venuto alle nostre sedute” disse Archie.
“Giusto. Mi ero dimenticato di dirti che ero andato a una gita” mentì Henry.
“Davvero?! Strano, perché dovremmo essere andati in posti diversi, allora” disse Rose e Henry le lanciò un’occhiataccia, ma entrambi riguardarono avanti, quando Archie, abbassandosi, spiegò: “Cosa ti ho detto a proposito delle bugie? Cedere al lato oscuro non porta mai a niente.” Poi guardò Rose e concluse: “E anche tu, Rose.”
“Ma ho detto la verità” disse Rose.
“Guarda che ti cresce il naso come Pinocchio. Poi tuo padre si arrabbierà” disse Henry. Rose lo guardò senza dire nulla.
“Ok, si è fatto tardi e per questi due ragazzini è venuto il momento di ritornare a casa. Dove abita… ehm…” disse Emma non sapendo il nome di Henry.
“Henry” l’aiutò Rose.
“Sì, Henry” disse Emma.
“A Mifflin Street. La casa del Sindaco è la più grande di tutte. Non può sbagliare” spiegò Archie.
“Non mi avevi detto che eri il figlio del Sindaco” disse Emma guardando Henry, che aveva lo sguardo abbassato.
“Forse non era una cosa importante” disse Rose.
“Be', meglio che vada anche io. Mi raccomando voi due, cercate di stare fuori dai guai” disse Archie, indicando Henry e Rose. Poi, con il suo fedele cane, se ne andò.
“Bene. E ora ritornate entrambi in macchina che vi riporto a casa, anche se per te ancora non so dove abiti” disse Emma guardando Rose, la quale disse: “Ho una proposta migliore. Perché non andiamo a cercare Paige?”
“Stranamente sono sempre in disaccordo con le tue proposte” disse Emma.
“Paige starà bene. Excalibur è con lei” disse Henry, guardando l’amica.
“Excalibur sarebbe quell’animale che è corso dietro alla bambina? Strano nome…” disse Emma, ma Henry e Rose terminarono la frase per lei: “… per una volpe.”
“Sì, in tanti lo dicono. Allora, andiamo a cercarla?” domandò Rose.
“Hai sentito cosa ha detto Henry, no? Starà bene, anche se sono ancora poco convinta come una volpe possa farla star bene” rispose Emma.

 
Foresta Incantata

 
Tremotino ed Excalibur stavano camminando per la foresta. Su ordine del Signore Oscuro, il Cavaliere Nero era rimasto al castello per proteggerlo da qualunque intruso.
“Speriamo di trovare qualcosa di interessante. La mia collezione di oggetti ha bisogno di qualcosa di nuovo” disse Tremotino quando Excalibur drizzò le orecchie e incominciò ad annusare.
“Ottimo, amica mia. Vedo che il tuo fiuto per la magia funziona sempre. Ora conducimi dal prezioso oggetto” disse Tremotino, e il cucciolo di volpe corse nella direzione della traccia. Il Signore Oscuro la seguì.
Poco dopo arrivarono a destinazione. Davanti a loro c'era una casetta in legno alquanto malandata.
“Ti ho appena fatto i complimenti per il tuo fiuto magico e tu mi porti in questa orribile casetta! Non ci siamo proprio, amica mia!” esclamò Tremotino.
Excalibur lo guardò abbassando le orecchie ed emettendo dei versetti. Tremotino la guardò a sua volta e disse: “Smettila di farmi quello sguardo. Lo sai che non sopporto quando mi supplichi così, ma sai anche tu sei l’unica che può farlo. Quindi direi di dare un’occhiata veloce e, se non troviamo nulla, andremo a cercare da un’altra parte”. Si incamminarono verso la casetta.
Con un solo gesto della mano, Tremotino aprì magicamente la porta. La prima a entrare fu Excalibur, che subito annusò intorno. Successivamente anche Tremotino entrò.
Passò un dito su un mobile. Poi se lo guardò, dicendo: “Chiunque viva qua dentro, non deve essere un amante delle pulizie. Che gente scansafatiche c’è in giro. Io almeno non sono così e il mio castello è molto pulito.”
Excalibur continuava ad annusare a terra quando il suo muso andò a sbattere contro qualcosa. Alzò lo sguardo per vedere cosa fosse. Si trattava di un coniglietto di peluche. Lo prese con la bocca e andò accanto al padrone. Tremotino abbassò lo sguardo e chiese: “Che cosa hai trovato?” e prese il peluche dalla bocca della volpe. Lo osservò per poi dire: “Non me ne faccio nulla di questo coniglio spelacchiato. Puoi tenerlo tu e giocarci quanto vuoi. E ora andiamocene da questo posto. Abbiamo già sprecato troppo tempo” E, dopo aver gettato a terra il peluche, uscì dalla casetta.
Excalibur si avvicinò al coniglietto e, dopo averlo preso in bocca, seguì il padrone. Stavano camminando, quando il cucciolo di volpe si fermò, drizzando le orecchie. Aveva sentito qualcosa. Quindi si voltò e si incamminò in una direzione diversa, mentre Tremotino continuò per la sua strada senza accorgersi minimamente che la sua volpe non lo stava più seguendo.
Excalibur zampettava lentamente, cercando di fare il meno rumore possibile, ma appena si fermò tra due alberi, su una piccola collina, drizzò le orecchie nel vedere una bambina, che indossava un mantello con cappuccio sulla testa, camminare nella sua direzione. Appena mise una zampetta avanti, però, calpestando le foglie secche a terra, la bambina si fermò. Alzò lo sguardo e rimase senza parole. Excalibur la guardò a sua volta, senza muoversi. Fu però la bambina a fare qualche passo avanti e dire: “Ciao. Vieni, non ti farò del male” poi notò che quel cucciolo di volpe teneva in bocca qualcosa. Quindi aggiunse dicendo: “Ehi, ma quello è il mio coniglietto di peluche. Lo hai rubato!” Excalibur si voltò, incominciando a correre. La bambina, di conseguenza, gli corse dietro.
Il cucciolo di volpe continuava a correre. “Fermati! Quel peluche me lo ha regalato il mio papà. Ti prego, ridammelo” disse la bambina, quando cadde su qualcosa. Excalibur si fermò qualche passo avanti a lei, voltandosi a guardarla.
La bambina, ancora distesa a terra, voltò lo sguardo, notando che aveva il piede bloccato dentro a una trappola. Urlò dal forte dolore. Probabilmente qualcuno l’aveva sentita, ma fatto stava che nessuno accorse. Si sedette e cercò si aprire la trappola, ma non ci riusciva. Incominciò a guardarsi intorno impaurita e non sapendo cosa fare. Incominciò anche ad aver molto paura e il piede le faceva molto male. Gli occhi le divennero lucidi. Notò anche che il piede incominciò a sanguinarle. Pensava che sarebbe morta e tutto perché aveva rincorso un cucciolo di volpe. Stava per mettersi a piangere e gridare cercando aiuto, quando sentì dei versetti e vide il cucciolo di volpe, con peluche sempre in bocca, accanto a lei.
“Non sei obbligata a starmi accanto. Puoi anche andartene” disse la bambina abbassando lo sguardo, ma Excalibur lasciò andare il peluche, facendoglielo cadere accanto. La bambina guardò il coniglietto, poi lo prese tra le mani e lo strinse forte al petto. Poi riguardò il cucciolo di volpe che la guardava a sua volta.
“Tu non sei cattiva, vero? Volevi solo giocare” disse la bambina, ed Excalibur emise dei versetti. La bambina allungò una mano, ma il cucciolo di volpe ritrasse la testa.
“Non voglio farti del male, ma molto probabilmente non ti fidi degli umani. Il mio papà dice che ci sono dei cacciatori che uccidono delle volpi non tanto per mangiarsele o portarle ai potenti, ma soprattutto per farci delle calde e morbide pellicce. Hai dei genitori? O anche loro, come la mia mamma, sono morti?” Excalibur la guardò per poi muovere il suo muso verso il piede della bambina ancora incastrato nella trappola.
La bambina la guardò e, quando il cucciolo di volpe allontanò il muso, notò che c’era della polvere dorata sulla scarpa e che la ferita era magicamente guarita. Poi Excalibur la guardò e la bambina le disse: “Sai, mi sembra di non sentire più dolore. Forse il tocco del tuo naso l’ha fatto andare via. Però non so ancora come liberare il piede” e il cucciolo di volpe se ne corse via. La bambina la guardò tristemente.
Passò un po’ di tempo prima che la bambina sentisse dei passi. Alzò lo sguardo – perché si era un po’ addormentata, per vedere Excalibur correre verso di lei. Dietro c'era però qualcun altro e più questo qualcun altro si avvicinava e più la bambina tremava di paura. Il cucciolo di volpe si fermò accanto a lei insieme a questo qualcun altro.
“Lei è… è… il Signore Oscuro” disse tremando la bambina.
“Orsù, piccola, non devi avere paura di me. Dopotutto, non abbiamo ancora fatto un patto e chi non fa patti con il sottoscritto, non deve temermi” disse Tremotino.
“Un patto?!” disse stupita la bambina.
“Un animaletto dalla pelliccia rossa e bianca mi ha detto che eri in pericolo e così sono accorso in tuo aiuto. Queste trappole non sono fatte per giocare” disse Tremotino, mentre guardava la trappola.
“Sono caduta mentre…” iniziò col dire la bambina. Poi spostò lo sguardo su Excalibur. Se quel cucciolo di volpe aveva portato lì il Signore Oscuro, allora voleva dire che lo conosceva e, se lei le avesse dato la colpa, il suo padrone si sarebbe arrabbiato. Quindi preferì mentire: “…stavo rincorrendo uno scoiattolo” finì la frase riguardandolo.
Tremotino sorrise. Sapeva che quella bambina gli stava mentendo. Lui capiva chi gli mentiva. Però disse: “Capita, quando si corre per i boschi. E poi, si sa che gli scoiattoli sono animali molto astuti e che difficilmente vogliono essere presi.” La bambina pensò che quella descrizione fosse uguale anche per una volpe, ma preferì tenersi questa supposizione per sé.
“Mi vuole veramente aiutare?” domandò la bambina.
“Certo, e poi te l’ho detto anche prima. Ma ti rivelerò un segreto. Lo faccio per la nostra piccola amica” rispose Tremotino e mise una mano sulla testa di Excalibur la quale emise dei versetti.
“Questa volpe è sua?” chiese la bambina.
“Non c’è amica più fedele di Excalibur. L’unica volpe che può vivere nel mio castello e con un fiuto per oggetti portentosi” disse Tremotino.
“Come mai porta il nome di una spada?” domandò la bambina.
“La domanda che dovrai porti è perché sei così fortunata da essere ancora viva, quando potresti essere già finita in qualche gabbia o squartata viva” disse Tremotino, sorridendo maliziosamente.
“Non sono un animale” replicò la bambina.
“Ma la trappola nella quale sei incorsa è per orsi. Per rispondere alla tua domanda che avresti dovuto porti, sei fortunata perché ad Excalibur stai simpatica e per questo motivo, ti aiuterò ma in cambio, voglio qualcosa” disse Tremotino.
“Le do qualunque cosa. Mio padre le darà qualunque cosa” disse la bambina.
“Qualunque cosa?” ripete Tremotino.
“Sì, qualunque cosa lei voglia. Basta solo che mi liberi. Il dolore sta ritornando” disse la bambina.
“Va bene, piccola, ma ti avverto: la fretta fa fare brutte cose” disse Tremotino.
“Non penso possa accadermi di peggio” disse la bambina.
“Di certo non a te” disse Tremotino e fece comparire una pergamena ed una penna d’oca che consegnò entrambe alla bambina la quale firmò nell’apposita riga. La pergamena e la penna d’oca scomparvero e Tremotino, con un solo cenno della mano,  aprì la trappola, liberando il piede.
Mentre la bambina si rialzava in piedi, Tremotino chiese: “Cosa intendevi dire con 'il dolore sta ritornando'?”
“Prima, la sua volpe ha avvicinato il suo naso al mio piede, lasciandoci della polvere dorata. Non so se era stata solo una mia sensazione, mi è sembrato che il dolore fosse scomparso. Ma forse mi sono solo sbagliata” spiegò la bambina. Tremotino la guardò senza dire nulla. Poi abbassò lo sguardo ed Excalibur lo guardò scodinzolando.
In quel momento si vide un uomo correre verso di loro, gridando: “Grace!” ed abbracciò la bambina che disse: “Papà, sto bene.” L’uomo guardò Tremotino e, stringendo forte a sé la figlia, le disse: “E’ il Signore Oscuro. Lo sai di cosa è capace.”
“Lo so, papà, ma mi ha salvata” disse Grace. L’uomo guardò sorpreso Tremotino che, facendo un piccolo inchino, disse: “Tremotino al tuo servizio” e sorrise.
“Grace, non avrai fatto un patto con lui?” domandò l’uomo riguardando la figlia.
“Gli ho detto che tu gli avresti dato qualunque cosa” rispose Grace. L’uomo riguardò Tremotino che disse: “Sei fortunato che la tua piccina sia salva, perché se non fossi arrivato in tempo si sarebbe trovata in qualche rete da cacciatore.”
“Io non ho nulla da darti” disse l’uomo.
“Può prendersi il mio peluche” disse Grace.
“Ma Grace, questo è stato un mio regalo. Ho dovuto vendere l’ultima legna per il camino per prendertelo” disse l’uomo.
“Non mi interessa quel coniglio spelacchiato. Ci avevo già dato un occhio prima, per poi darlo alla mia fedele volpe. Ecco, potete darlo a lei visto che è stata proprio Excalibur a venirmi ad avvertire della bimba in pericolo. Così iniziamo con un piccolo risarcimento” spiegò Tremotino.
“Dico davvero. Tutto ciò che ho è mia figlia e la casa dove viviamo” disse l’uomo.
“Allora ritorniamo a casa vostra e vediamo cosa c’è lì” disse Tremotino.
Poco dopo si ritrovarono nella casetta di Grace e suo padre, il quale disse: “Come può vedere, non ho nulla da offrirle.”
“Mi dici come fai a mantenere tua figlia se non hai nulla?” chiese Tremotino.
“Fabbrico cappelli e raccolgo funghi” rispose l’uomo.
“Interessante... e forse ho trovato ciò che puoi darmi” disse Tremotino sorridendo.
“Vuole dei funghi?” domandò l’uomo.
“No. Voglio un cappello, ma che sia… magico” rispose Tremotino.
“Mi dispiace, ma non ho mai fabbricato cappelli magici” disse l’uomo.
“Be', allora è venuto il momento di iniziare a farli” disse Tremotino e, con un suo cenno delle mani, comparve una nuvola viola che lasciò il posto a un tavolo e vari oggetti per cucire e tagliare. L’uomo e la figlia guardarono ciò che era appena apparso. Riguardarono il Signore Oscuro.
“Glielo ho già detto. Non ho mai fatto un cappello magico” disse l’uomo.
“Non è difficile. Basta solo prenderci la mano. Ma ti do tempo tre giorni” disse Tremotino.
“Tre giorni?!” ripete l’uomo.
“Normalmente a chi fa accordi con qualcuno vengono date quarantott're ore, ma io voglio darti un giorno in più, forse anche per il fatto che la tua bambina sta simpatica alla mia volpe” disse Tremotino.
“Gentile da parte sua” disse sarcasticamente l’uomo.
“E per assicurarmi che svolgerai in tempo il tuo lavoro, Excalibur rimarrà qua ad osservarti, così giocherà anche con la tua piccina e non avrai nessuno a disturbarti” disse Tremotino.
“E se non ti ubbidirà?” chiese l’uomo.
“Oh, non ti preoccupare. Excalibur mi è molto fedele e sa che disubbidirmi comporterebbe il suo allontanamento per sempre dal mio castello. Ma per star sicuri che nulla andrà storto, ecco la soluzione” rispose Tremotino e fece comparire una specie di ciondolo. Poi si abbassò, chiamando Excalibur a sé, che andò di fronte a lui. Le mise quindi al collo quel ciondolo, aprendolo e rivelando un orologio. Poi, riguardando l’uomo, spiegò:
“L’orologio funzionerà fino allo scoccare della mezzanotte del terzo giorno. Quando finirà, si fermerà e io saprò quando venire. Ah, e c’è un’altra cosa. Ovviamente dovrete anche occuparvi della mia volpe. Dovrete nutrirla a dovere e farla dormire al caldo. Di certo non voglio ritrovarmi con tutta pelliccia e niente volpe.”
“Che cosa mangia?” domandò Grace.
“Piccoli animali. Frutti di bosco. Ma niente topi” rispose Tremotino.
“Meno male. Ci mancavano solo i topi” disse l’uomo.
“Oh, non ti preoccupare. I vermi andranno più che bene” disse ridendo Tremotino e l’uomo lo guardò stranamente. Il Signore Oscuro mise una mano sotto il mento di Excalibur, dicendole: “Il papà starà via per tre giorni, ma tu promettimi che terrai sempre sotto sorveglianza questo cappellaio. Assicurati che svolga il lavoro da me richiesto. Ah, e se vuoi hai anche il permesso di giocare con quel peluche spelacchiato, tanto dopo sarà tuo. E quando ritornerò ce ne ritorneremo entrambi nel nostro bellissimo castello. Ti verrà presto voglia di casa tua, dopo aver passato tre giorni in questa topaia. E se trovi qualche utile oggetto sai cosa fare, mia fedele amica.”
“Non si preoccupi. La sua volpe verrà trattata come un sovrano” disse l’uomo. Tremotino si rialzò in piedi. Lo guardò e disse: “Sarà meglio per voi, altrimenti, quando ritornerò, vi trasformerò in lumache e vi schiaccerò” e scomparve in una nuvola viola.
“Papà, che cosa ci succederà se non riuscirai a fare quel cappello magico entro tre giorni?” chiese Grace.
“Temo che verremo uccisi, ma non permetterò che ti accada ciò, piccola. Farò quel cappello anche a costo di non chiudere occhio per tre notti” disse l’uomo guardando la figlia ed abbracciandola. Excalibur li guardò, sedendosi e muovendo la testa da un lato.






Note dell'autrice: Buon Natale in anticipo. Piccolo regalo prima della festa più magica dell'anno. Prima parte di un nuovo capitolo dove ho voluto descrivere di più dei personaggi poco presenti nella serie ( almeno per quanto riguarda la piccola Paige / Grace) Ovviamente, Rose, Henry e Paige faranno un ottimo trio...combinaguai.

Vi informo anche che ho una folle idea in mente. Un crossover con qualcos'altro di magico che spero funzioni.

Ma veniamo al capitolo. Chi sarà l'uomo misterioso che non ho voluto mettere nome? Sicuramente lo avrete già capito :) Riuscirà a fare entro tre giorni ciò che gli è stato chiesto da Tremotino? E se non ce la farà cosa succederà? E ora che è arrivata la Salvatrice a Storyrbooke le cose cambieranno? Bè ovvio che sì :)

Ringrazio ancora tutti coloro che seguono, recensiscono e seguono "in silenzio". Ringrazio ancora una volta la mia amica "beta reader" Lucia che mi aiuta con la stesura dei capitoli.

Con questo auguro a tutti voi, una dolce e "belle" notte. Augurandovi anche un felice e sereno Natale in compagnia dei vostri cari
 
 
 

 

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Capitolo 10
*** Il Patto del Cappello - Parte II ***







The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo V: Il Patto del Cappello - Seconda Parte



 
Storybrooke
 
Emma, Henry e Rose erano in macchina diretti alla casa del Sindaco. Rose se ne stava seduta dietro, guardandosi a destra e a sinistra, sbuffando. Non voleva rivedere Regina. Le bastava già vederla quando andava a cercare Henry, dopo che questi mancava da casa da un po’. Quindi pensò a qualcosa che avrebbe fatto fermare Emma. Incominciò a dare dei calci al sedile del guidatore.
Dapprima Emma cercò di ignorarla, ma più la bambina continuava e più il fastidio aumentava. Finché voltò lo sguardo e disse: “Devi proprio dare dei calci al sedile?!”
“E’ meglio che guardi avanti, se non vuoi che facciamo un incidente” disse Rose. Emma la guardò malamente, poi ritornò a guardare la strada con sguardo furente. Ma Rose non aveva ottenuto ciò che voleva ed era intenzionata ad andare fino in fondo.
Quindi disse: “Devo andare in bagno.”
“Fra poco saremo arrivati. Potrei farla nel bagno a casa di Henry” disse Emma.
“A me scappa adesso” disse Rose.
“Trattienila ancora un po’” disse Emma.
“Vorrà dire che la faccio qua” disse Rose e, sentendo ciò, Emma frenò di colpo. Aprì la portiera e mise avanti il sedile. Guardò Rose e le disse: “Su, scendi !” Rose scese e camminò . Emma la seguì.
“Avanti, falla” disse Emma. Davanti a loro c’erano dei cespugli. Rose la guardò stranamente dicendole: “Stai scherzando, vero?”
“Tanta gente la fa nei cespugli. Fa' una cosa veloce” disse Emma.
“Ma c’è Henry” disse Rose.
“Allora va dietro i cespugli, così che Henry non ti veda” disse Emma ma Rose, sorridendo maliziosamente, se ne corse via.
Emma la seguì per pochi metri, poi si fermò, dicendo: “Che piccola peste. Spero di non rivederla più.” E rientrò in macchina, chiudendo la portiera. Guardò Henry dicendogli: “Hai degli strani amici.”
“Paige non è ancora amica mia, ma sono sicuro che lo diventerà” disse Henry. Emma scosse negativamente la testa e poi partì.
Rose correva a perdifiato, raggiungendo il Bed & Breakfast di Granny. Per mantenere la nipote aveva affittato quell’edificio, trasformandolo in un posto per dormire e mangiare. Ma gli affari non andavano bene. La gente che ci andava era poca, così come pochi erano i soldi che entravano e, con l’affitto che dovevano dare mensilmente al Signor Gold, avrebbero rischiato di chiudere.
La bambina salì le scale sul retro e, quando arrivò in cima, stava per aprire la porta quando questa si aprì, facendo cadere la giovane Gold a terra. Sulla soglia comparve una ragazza dai capelli lunghi e neri con striature rosse e un vestiario alquanto provocante, soprattutto dalla gonna, anch’essa rossa, molto corta.
“Rose, non dirmi che sei scappata un’altra volta da tuo padre?” domandò la ragazza. Rose alzò lo sguardo e le rispose: “Stavolta no, Ruby.”
La ragazza l’aiutò a rialzarsi, dicendole: “Vieni dentro, prima che qualcuno ci veda.” Dopo che la bambina fu entrata, chiuse la porta. Si trovavano al piano superiore della locanda, dove c'erano tutte le stanze per gli ospiti.
“Allora, cosa hai combinato questa volta?” chiese Ruby mentre camminavano fianco a fianco per il corridoio.
“Niente di che. Volevo solo uscire un po’” rispose Rose.
“L’ultima volta eri scappata da tuo padre, dopo che avevi rotto un prezioso vaso in casa vostra. Come andò a finire? Non me lo ricordo” disse Ruby.
“Stranamente papà non si arrabbiò più di tanto. Mi diede solo una piccola sgridata dicendomi che non dovevo giocare a palla in casa” disse Rose. Ruby la guardò stranamente e quindi Rose aggiunse: “Fuori pioveva e mi stavo annoiando. Dovevo pur trovare un passatempo, no?”
“Se stavolta non c’entra tuo padre, perché sei scappata?” domandò Ruby riguardando avanti.
“Hai presente Paige?” chiese Rose.
“Mai sentita nominare” rispose Ruby.
“E’ una bambina pressappoco della mia età – forse di un anno più grande. Ha i capelli lunghi e biondi. Indossa una sciarpa. Un lungo cappotto un po’ sporco e una cuffia. È un po’ strana, ma è mia amica” spiegò Rose.
“E lei cosa centra?” domandò Ruby.
“Era venuta a casa mia dicendomi che voleva andarsene. Così ho deciso di accompagnarla fino al confine per poi prendere un bus e andare a cercare Henry” spiegò Rose. Ruby si fermò, così come la bambina e guardando stupita chiese: “Avevi veramente intenzione di lasciare la città?!”
“Bè… sì, ma per una buona causa. Ma non ti preoccupare, perché Henry è ritornato prima che potessi farlo” rispose Rose.
“Sicuramente tuo padre si sarebbe infuriato, ma sai cosa ti dico? Ben gli sta” disse Ruby e riprese a camminare.
“Ehi, non è carino quello che hai detto riguardo il mio papà. Lo so che non è molto amato in questa cittadina, ma io non gli spezzerei mai il cuore e sono sicura che tu non farai lo stesso con tua nonna” disse Rose.
“Quella vecchia tira fuori qualsiasi male pur di tenermi qua con lei” disse Rudy.
“Sono sicura che non fa apposta, e poi devi capire che è anziana ed è l’unica famiglia che ti è rimasta. Proprio come io ho solo il mio papà” disse Rose abbassando lo sguardo. Rudy si addolcì e, abbassandosi, mise una mano sotto il mento della bambina, alzandoglielo, e le disse: “Scusami, scricciolo. Non volevo dire delle brutte cose sul tuo papà. È normale per te vederlo come un uomo buono e gentile, visto che ti riempie sempre di regali, coccole e cerca di proteggerti da qualsiasi cosa. Ma per noi altri abitanti è difficile vederlo sotto questo aspetto. Capisci?”
“Sì, capisco. Ma non importa. Basta solo che non vi cacci perché non potrei vivere senza di voi” disse Rose e abbracciò la ragazza. Poi quest’ultima si rialzò dicendo: “Ok, sarà meglio muoverci prima che mia nonna ci scopra.” Ma appena stavano per scendere le scale, da una delle stanze comparve proprio Granny.
“E lei che cosa ci fa qua?!” domandò stupita Granny.
“E’ venuta a trovarmi” rispose Ruby.
“E’ scappata un’altra volta da suo padre, non è così?! Non voglio che il Signor Gold ci aumenti l’affitto solo perché teniamo segregata sua figlia” replicò Granny.
“Non la teniamo segregata, e poi Rose stava giusto per andarsene, vero?” disse Ruby.
“Sì… sì. Ero solo passata per un saluto” disse Rose. Granny la guardò poco convinta. Poi spostò lo sguardo sulla nipote, chiedendole: “E tu invece dove pensavi di andare?”
“Fuori con gli amici” rispose Ruby.
“Lo sai che non puoi uscire a quest’ora” disse Granny voltandosi e scendendo le scale. Ruby e Rose la seguirono.
Ruby sbuffò dicendo: “Non mi fai mai uscire. Per te devo rimanere confinata qua dentro.”
“E’ già tanto che ti permetta di lavorare alla tavola calda. Con tutte le volte che mi hai disubbidito dovresti rimanere veramente confinata qua dentro” disse Granny.
“Il tuo problema è che non ti rendi ancora conto che non sono più una bambina” replicò Ruby, arrivando alla fine delle scale.
“Sei una ragazzina ribelle! Vedrai quando non ci sarò più quanto mi rimpiangerai” disse Granny e si voltò verso le due.
“Ti piacerebbe, e poi non è detto che voglia ereditare questo postaccio e la tavola calda” disse Ruby.
“Non voglio mandare all’aria anni di sacrificio solo perché una ragazzina viziata vuole fare quello che le pare” replicò Granny.
“Perché la suddetta ragazzina viziata è stufa di ascoltare la nonna brontolona” disse Ruby.
“Lo so che non dovrei intromettermi, ma non mi sembra il caso di litigare su queste cose. L’importante è rimanere tutte e due sotto lo stesso tetto come famiglia” disse Rose.
“Sto incominciando a dubitare che sia mia nonna” replicò Ruby.
“Dovrei farti lavare la bocca con il sapone da bucato con tutte le brutte parole che escono da essa!” replicò Granny e Rose si coprì la bocca con le mani. La campanella della porta suonò ed entrò proprio l’ultima persona che Rose voleva vedere.
“Signor Gold, se è venuto per l’affitto, le dico subito che non ho ancora tutti i soldi da darle” disse Granny, voltandosi verso chi era appena entrato.
“Sono consapevole della sua arretratezza nei pagamenti. In compenso sono venuto a ritirare qualcosa di mio. Puoi anche uscire, Rose” disse Gold visto che, nel frattempo che era entrato, la figlia si era nascosta dietro a Ruby.
Rose rispuntò da dietro la ragazza semplicemente dicendo: “Ciao papà.”
“Credo tu abbia già recato troppo disturbo alla Signora Lucas e a sua nipote. E’ ora di ritornare a casa” disse Gold. Rose si voltò verso Ruby: “Grazie per avermi coperta…un’altra volta.”
“Lo sai che puoi venire qua quando vuoi, scricciolo. Ma solo dopo che sai che tuo padre non sarà nei paraggi per un po’” disse Ruby e Rose rise piano. Poi guardò Granny: “Mi scusi se sono entrata qua senza preavviso” disse.
“Oh, non importa. Basta solo che poi tuo padre non ci aumenti l’affitto” disse Granny guardandola.
“Gli dirò di non farlo” disse Rose e, voltandosi, andò dal padre. Gold guardò le altre e disse, rivolto a Granny: “Passerò domani per l’affitto, e stavolta faccia in modo che i soldi ci siano tutti. Non chiuderò un occhio come l’ultima volta solo perché avevate coperto mia figlia” e voltandosi, insieme alla figlia uscì. Salirono sulla Cadillac e partirono.
Il viaggio fu silenzioso e stranamente Gold non l’aveva nemmeno sgridata. Ma Rose sapeva benissimo che, quando suo padre era così calmo, voleva dire esattamente il contrario. Il vero rimprovero sarebbe arrivato solo dopo. Ma la strada che Gold aveva preso non era quella per la loro casa.
“Papà… ehm… dove stiamo andando? Non mi sembra la strada di casa” domandò preoccupata Rose. Che suo padre volesse disfarsi di lei? Cosa improbabile ma non impossibile, visto che nelle ultime settimane lo aveva fatto preoccupare non poco.
“Devo solo fare una piccola sosta” rispose Gold e si fermarono di fronte a una villetta. Mentre suo padre usciva dalla macchina, Rose guardò fuori dal finestrino riconoscendo quella villetta per quella di Lucy. Non aveva voglia di vedere quell’antipatica. Chissà cosa aveva in mente suo padre.
Gold comparve di fronte al finestrino della figlia, dicendole: “Tu rimani qua. Non ci metterò troppo” e voltandosi camminò fino all’ingresso. Suonò al campanello e poco dopo venne ad aprire un uomo. Molto probabilmente si trattava del padre di Lucy. Capì che Gold disse qualcosa all’uomo, perché questi si fece da parte facendolo entrare, per poi entrare anche lui, chiudendo la porta. A Rose non rimase altro che aspettare.
Passarono circa una ventina di minuti, quando Gold uscì e Rose poté vedere sulla soglia della porta il padre di Lucy con un’espressione molto preoccupata tanto che si stava anche pulendo la fronte con uno straccetto dal gran che sudava.
Gold salì in macchina e senza dire nulla ripartì. Ritornarono presto a casa e, come ogni sera, Gold diede la buonanotte alla figlia, mettendola a letto e sistemandole le coperte. Rose era rimasta senza parole dal comportamento del padre. Né un rimprovero. Né una sgridata. Forse era semplicemente solo stanco di farle tutte le volte la ramanzina e per questa volta non le aveva detto nulla.
Era notte fonda quando Rose sentì come un tirarsi le coperte. Aprì gli occhi ma davanti a sé non vide nessuno. Prima che richiuse gli occhi, sentì nuovamente tirare le coperte. Si mise seduta per vedere Excalibur sul letto.
“Excalibur, che cosa ci fai qua?!” disse stupita Rose accarezzando la volpe sulla testa. L’animaletto emise dei versetti. Rose la prese in braccio e, dopo essere scesa dal letto, uscì dalla camera. Camminò per un breve tratto di corridoio per poi entrare nella camera di suo padre, che era adiacente alla sua. Si avvicinò alla parte di letto dove dormiva e, scuotendolo leggermente, disse: “Papà. Papà. Svegliati.”
Gold aprì lentamente gli occhi e vedendo la figlia chiese: “Rose, che cosa ci fai in piedi?” Ma appena la figlia avvicinò Excalibur al suo viso e questi glielo leccò, capì il perché.
“Sai del perché Excalibur si trova in casa nostra?” domandò Rose.
“Ti sei già dimenticata del patto che avevamo fatto?” chiese Gold.
Rose sorrise per poi domandare: “Davvero potrà vivere con noi?”
“Io mantengo sempre i miei accordi. E poi non sei più andata da sola nella foresta e non hai più iniziato una lite che sia finita con qualcuno di ferito. Quindi questa volpe può vivere con noi” spiegò Gold. Rose sorrise e dopo aver messo Excalibur sul letto, lo abbracciò dicendogli: “Grazie. Grazie papà.”
“Rose, mi potrai ringraziare anche domani. Ora ritorna a letto, che è tardi” disse Gold. Rose si staccò dall’abbraccio e andò dall’altra parte del letto, verso la porta. Poi si fermò e voltandosi semplicemente disse: “Papà.”
“Ho capito” disse Gold guardandola e dopo aver spostato la coperta, aggiunse dicendo: “Vieni sotto.” Rose sorrise e andò nel letto, mettendosi accanto al padre che le mise meglio la coperta. Poi entrambi guardarono Excalibur e Gold disse: “Excalibur, scendi.” Ma la volpe se ne rimase sulla coperta.
“Ho detto scendi e dormi sul tappeto” ripeté Gold, ma Excalibur, invece di ascoltarlo, si acciambellò.
“Che testona. Chissà chi le ha dato questo vizio” disse Gold, coricandosi.
“Per stasera lasciamola qua. Si vede che vuole stare in nostra compagnia” disse Rose coricandosi anche lei.
“Da domani voglio che dorma nella cesta in salotto” disse Gold.
“Da quando c’è una cesta per lei in salotto?” chiese Rose.
“Ne avevo una messa da parte. Domani la tirerò fuori, ma ora dormi” rispose Gold e Rose socchiuse gli occhi.

 
Foresta Incantata


“Papà, dove dormirà questa volpe?” domandò Grace. Il padre alzò per un attimo lo sguardo dal cappello che stava fabbricando e guardando la figlia le rispose: “Falla dormire lì accanto al caminetto.”
“Ma avrà freddo, e il Signore Oscuro ha detto che dobbiamo trattarla bene. Se si ammalerà, il Signore Oscuro si arrabbierà molto” disse Grace.
“Il patto che hai stretto con lui prevede che fabbrichi un cappello magico, e ancora non ci sono riuscito” disse l’uomo.
“Ma ci ha anche detto di occuparci, nel frattempo, della sua volpe e sicuramente non vorrà che la trattiamo male. Non è che per stasera può dormire sul letto?” chiese Grace. L’uomo spostò lo sguardo dalla figlia al cucciolo di volpe che lo guardò a sua volte, spostando da un lato lo sguardo ed emettendo dei versetti. Poi riguardò la figlia e sospirando rispose: “Va bene, ma solo per stanotte.”
Grace sorrise e, andando ad abbracciare il padre, disse entusiasta: “Grazie. Grazie, papà. Ti voglio tanto bene.”
“Ti voglio tanto bene anche io, ma ora va a letto che è tardi” disse l’uomo e la figlia, tenendo in braccio il coniglietto di peluche, andò sotto le coperte, mentre il cucciolo di volpe vi saltò sopra.
“Ma che non sia un’abitudine, mi raccomando” disse l’uomo guardandole.
“Intanto rimarrà con noi per altri due giorni. Poi se ne andrà con il suo padrone” disse Grace.
“Già… due giorni” disse l’uomo ritornando a guardare ancora il tanto lavoro che doveva svolgere.
Il giorno seguente l’uomo si svegliò, accorgendosi di essersi addormentato sul tavolo da lavoro. Si guardò intorno chiamando la figlia, ma quando questa non gli rispose, si alzò e si agitò. Non era in Grace uscire di casa senza dirgli nulla e per giunta mancava anche quel cucciolo di volpe.
Aprì la porta e fu lì che vide la figlia che teneva in mano una cesta e il cucciolo di volpe che camminava al suo fianco. A passo veloce andò da loro per poi dire: “Grace! Bambina mia, credevo ti fosse successo qualcosa di brutto” e la strinse forte a sé.
“Papà, ero solo uscita per andare a raccogliere funghi da portare al villaggio. Ho visto che dormivi e non ho voluto svegliarti. Ho portato con me Excalibur, visto che ha un ottimo fiuto” spiegò Grace.
“Non sappiamo se ci possiamo fidare di questo cucciolo di volpe conoscendo il suo padrone. Poteva portarti in qualche posto pericoloso” disse l’uomo ed Excalibur gli ringhiò contro.
“Non mi è successo nulla e con Excalibur ero al sicuro” disse Grace.
“Si vede infatti cosa ti è successo l’ultima volta quando sei stata con lei” disse l’uomo.
“Non è colpa di Excalibur se ero finita in quella trappola” disse Grace.
“Magari era pure d’accordo con il suo padrone e, guardo caso, poco dopo è comparso proprio lui per salvarti e stipulare quel patto” disse l’uomo.
“Papà, perché non continui a fabbricare quel cappello mentre io ed Excalibur andiamo al villaggio a cercare di vendere qualche fungo?” propose Grace.
“Sicura che siano commestibili? Magari questa volpe ti ha fatto prendere funghi velenosi” domandò l’uomo.
“Dobbiamo fidarci di Excalibur” rispose Grace. L’uomo guardò il cucciolo di volpe che abbassò lo sguardo sull’orologio che portava al collo per poi riguardarlo.
“Sì, sì, lo so che ho solo quarantott'ore ore per finire quel cappello. Anzi, mi rimangono meno ore e ancora non so renderlo magico” disse l’uomo.
“Il Signore Oscuro ti ha dato tutto l’occorrente. Qualcosa da rendere magico quel cappello ci deve pur essere, no?” disse Grace. L’uomo sorrise e, mettendo una mano sulla testa della figlia, le disse: “Promettimi che tu e questa volpe starete lontane dai guai.”
“Va bene, papà. Te lo prometto” disse sorridendo Grace e, dopo aver abbassato lo sguardo, aggiunse dicendo: “Andiamo, Excalibur” e voltandosi se ne andò verso il villaggio, seguita dal cucciolo di volpe. L’uomo li guardò, poi rientrò in casa, ritornando al suo lavoro.
Poco dopo, al villaggio, Grace non era riuscita a vendere neanche un fungo. “Non possiamo ritornare a casa senza aver guadagnato nulla. Papà ci rimarrà molto male e noi non avremo neanche pane da mangiare” disse Grace, mentre se ne stava seduta su di un gradino. Excalibur, che stava accanto a lei, la guardò abbassando tristemente le orecchie.
“Forse non ne abbiamo venduto neanche uno perché a nessuno piacciono i funghi o forse perché papà ha ragione” iniziò col dire Grace e, guardando Excalibur, terminò col dire: “Non è che mi hai fatto veramente prendere dei funghi velenosi?”. Il cucciolo di volpe scosse negativamente la testa per poi drizzare le orecchie ed alzare il muso.
 
“Excalibur cosa c’è?” chiese Grace guardandola e il cucciolo di volpe se ne andò correndo. Grace si alzò ma, nella fretta, le cadde il cestino. Tutti i funghi caddero a terra. La bambina si abbassò per raccoglierli e rimetterli nel cestino, quando un’ombra comparì sopra di lei. Alzò lo sguardo per vedere un’anziana mendicante di certo non di bell’aspetto.
“Hai bisogno d’aiuto, piccina?” domandò l’anziana donna.
“No, no grazie, ci riesco da sola” rispose Grace.
“Lascia che ti dia lo stesso una mano. Non voglio che ti sporchi queste belle manine” disse l’anziana, abbassandosi e aiutando la bambina a rimettere i funghi nel cestino. Ci fu un po’ di silenzio, ma l’anziana poi chiese: “Che cosa ci fai qua tutta sola?”
“Non sono da sola. Con me c’è Excalibur” rispose Grace. L’anziana la guardò stranamente, ma fingendo di crederle disse: “Sì sì, infatti mi è parso di vederla” – anche se la mendicante pensava che la bambina si riferisse alla prodigiosa spada che si diceva che fosse ora in possesso del Signore Oscuro.
“Se ne è andata all’improvviso, lasciandomi qua da sola. Non so cosa le sia preso” disse Grace.
“Dammi retta, piccina. Non pensarci più e vedrai che starai meglio” disse l’anziana e finirono di mettere i funghi nel cestino. Entrambe si rialzarono.
“Grazie, è stata molto gentile. Come potrò mai sdebitarmi?” domandò Grace.
“Oh, ma non mi devi nulla. Che ne dici, invece, se ti compro tutti questi funghi?” propose la mendicante.
“Davvero?!” disse stupita Grace. La mendicante sorrise maliziosamente per poi dire: “Ma certo, ma voglio qualcosa.”
“Ha appena detto che non le dovevo nulla” disse Grace.
“Lo so quello che ho detto, ma è anche vero che non posso dare del denaro così per niente. Allora, accetti?” disse la mendicante e Grace la guardò in silenzio.
Nel frattempo, Excalibur aveva seguito la traccia che l'aveva condotta in una locanda. Salì su un barile e guardò dalla finestra. L’interno brulicava di molta gente, perlopiù vecchi ubriaconi o persone di porto. Il suo fiuto continuava a lavorare e fu costretta a entrare nella locanda cercando anche di non farsi calpestare o vedere dalla gente che c'era. Si andò a nascondere dietro a delle casse. Spuntò con la testa e guardò davanti a sé dove, seduti a un tavolo, c'erano due uomini. Da come erano vestiti, probabilmente erano uomini di mare.
“Ed io ti ripeto che quell’uccello esiste veramente. L’ho visto con i miei occhi” disse uno dei due.
“Tu mi vuoi far credere di aver visto il leggendario uccello di Pedra, noto anche come Roc?” chiese l’altro.
“Esattamente. E’ apparso sopra la mia nave mentre navigavamo accanto alle coste arabe. Ho perso alcuni dei miei uomini durante il suo attacco e anche una gamba” rispose il primo mostrando la gamba destra che ora era di legno.
“John, lo sanno tutti che quell’uccello è stato solo un’invenzione per non permettere a quelli come noi di sbarcare sulle coste arabe e rubare gli antichi tesori di quella terra” disse il secondo.
“Nathaniel, mio fedele amico, lo sai benissimo che non ti mentirei mai e non ti avrei raccontato questa storia se non avessi la mia stiva piena di oro e gioielli e queste” disse John e mostrò all’amico due penne dorate. Sia a Nathaniel che a Excalibur luccicarono gli occhi non appena videro quelle penne. Sapeva che il suo fiuto non sbagliava mai e che, in quella locanda, c’era qualcosa di magico.
“Brillano come oro” disse Nathaniel allungando una mano verso le piume, ma John le ritrasse velocemente dicendo: “Ci ho rimesso una gamba per averle e di certo non le darò via così facilmente.”
“Cosa vuoi? Oro? Gioielli?” domandò Nathaniel.
“Come ti ho detto prima, ne ho la stiva piena di quelli, anche se più oro e gioielli non mi dispiacerebbero” rispose John.
“John, siamo solo due umili mozzi. Il capitano non apprezza questi comportamenti scellerati” disse Nathaniel.
“Al diavolo il capitano! Non è grazie a Bones che la stiva sarà piena di oro” replicò John.
“Vuoi dire che la nave con la quale hai fatto rotta verso le coste arabe non era la tua?” chiese Nathaniel.
“No. L’ho rubata” rispose John.
“Questo vuol dire comportarsi da…” iniziò col dire Nathaniel e avvicinandosi all’amico, terminò sussurrando: “….pirati.”
John rise per poi dire: “Amico mio, come hai detto tu non siamo che due umili mozzi. Che futuro mai potremmo avere nella pirateria? Mozzi siamo nati e mozzi moriremo.” Poi guardò una cameriera e gridò: “Altri due boccali di birra! Dobbiamo festeggiare!”
Excalibur li guardò spostando da un lato la testa per poi guardare un’aitante ragazza portare loro delle birre. Prima però che la ragazza andasse a prendere altre ordinazioni, John la prese per un braccio, facendola sedere sul ginocchio sinistro. Anche se la ragazza non era molto contenta, il cuoco e il suo amico sembravano invece gradire molto la sua compagnia.
Mentre erano distratti, il cucciolo di volpe, quatto quatto, si avvicinò al tavolo andando sotto di esso. Si fermò proprio ai piedi della ragazza e, con una zampa, le toccò il vestito. La ragazza, pensando che a toccarla fosse stata John, voltò lo sguardo verso di lui mollandogli uno schiaffo su una guancia.
“Ehi dolcezza, ma cosa ti prende?” disse John, toccandosi la guancia dolorante.
“Screanzato!” replicò la ragazza andandosene. Nathaniel rise e John replicò guardandolo: “Cosa ridi?! Non rideresti così se, al posto mio, avesse schiaffeggiato te!”
“Ma non sono stato io a toccarla” disse Nathaniel.
“E nemmeno io se è per questo” replicò John prendendo in mano il suo boccale di birra. Excalibur si mise ai piedi di Nathaniel, mordendogli e tirandogli i pantaloni. Di conseguenza l’uomo diede inavvertitamente un calcio all’amico facendogli versare addosso un po’ di birra. John guardò malamente Nathaniel che gli domandò: “Perché mi guardi così?”
“Dillo che lo hai fatto apposta” replicò John.
“Fatto cosa?” chiese Nathaniel.
“Farmi versare la birra addosso” rispose John.
“Non so di che cosa tu stia parlando” disse Nathaniel quando John lo prese per la maglietta replicando: “Non fare il finto tonto! La birra non è mi caduta addosso da sola!”
“Forse sei stato solo un po’ sbadato” disse Nathaniel.
“Sai benissimo che non sono un tipo sbadato! Quindi porgimi subito le tue scuse!” replicò John.
“Non porgerò le mie scuse per qualcosa che non ho fatto!” replicò Nathaniel quando ricevette un pugno in faccia proprio da John. Nathaniel indietreggiò toccandosi il naso. Poi alzò lo sguardo e si fiondò su John. I due si picchiarono, rotolarono a terra mentre gli altri presenti li guardavano. Approfittando della ressa, Excalibur uscì da sotto il tavolo tenendosi però a debita distanza dai due che stavano litigando. Di certo non voleva finire con qualcosa di rotto, anche perché poi Tremotino avrebbe dato la colpa a Grace e a suo padre, visto che proprio loro due avevano la responsabilità su di lei.
I due stavano continuando a rotolare per terra quando le due piume sfuggirono dalla mano di John. Excalibur fece un balzo prendendole con la bocca, per poi andarsene verso l’uscita. John e Nathaniel stavano ancora litigando quando John si accorse di non avere più le piume.
“Le piume! Dove sono finite le mie piume?!” replicò John guardandosi intorno. Anche Nathaniel si guardò intorno per poi indicare davanti a sé e dire: “Eccole lì, le tue piume. Le ha quel cucciolo di volpe.”
Sentendosi nominare, Excalibur si fermò e si voltò. Lo sguardo di John divenne furioso. Poi replicò: “Maledetto topo troppo cresciuto con la pelliccia!” E alzandosi, mettendo una mano sul tavolo, prese la sua gruccia e corse dietro al cucciolo di volpe insieme all’amico. Excalibur correva a più non posso, facendosi largo tra la folla.
“Se ti prendo, ti uso come ingrediente in  una delle mie ricette!” replicò John.
“Ora non esagerare” disse Nathaniel.
“Dico davvero. Quella è una volpe morta se non mi ridà subito le mie piume!” replicò John. Ma, quando voltarono l’angolo, del cucciolo di volpe non c'era più traccia. Si guardarono intorno, non trovandola.
“Dove è finita quella bestiaccia?! Non può essere sparita nel nulla!” replicò John.
“Sarà qua nei paraggi. Basta che la cerchiamo bene” disse Nathaniel.
“Non voglio perdere tempo con quel topo troppo cresciuto con la pelliccia, ma non ho altra scelta perché quelle piume sono molto importanti” disse John. Lui e l’amico se ne andarono a cercare il cucciolo di volpe da un’altra parte. Ma Excalibur era sempre stata sotto i loro occhi. Di fatti comparve con la testa da dentro un barile per poi uscirne completamente. Si scosse levandosi tutta l’acqua e poi, emettendo dei versetti simili come se ridacchiasse, ritornò a dove aveva lasciato Grace.
“Allora... la tua risposta, piccola” disse mendicante.
“Io… io…” disse titubante Grace.
“E’ inutile che ci metti così tanto tempo, piccina. Con il denaro che ti darò tu e il tuo papà potrete comprarvi tutto ciò che volete” disse la mendicante e mostrò un sacchetto pieno di monete d’oro.
“Però lei cosa vuole in cambio?” domandò Grace.
“Oh, una sciocchezza. Voglio che…” iniziò col rispondere la mendicante ma venne interrotta dalla bambina che disse: “Excalibur!” Ed entrambe voltarono lo sguardo per vedere il cucciolo di volpe arrivare da loro. La bambina si abbassò accarezzandola sulla testa. La mendicante guardò come schifata quella scena. Come se non le piacessero le cose sdolcinate.
“Sono contenta che tu sia ritornata. Pensavo mi avessi abbandonata” disse Grace. Excalibur guardò la mendicante, ringhiandole contro.
“Excalibur, non fare così” disse Grace, ma il cucciolo di volpe continuava a ringhiare contro l’anziana donna che abbassandosi e allungando una mano disse: “Vieni qui, piccola. Non voglio farti del male.” Ma Excalibur si ritrasse, continuando a ringhiarle.
“Mi scusi, ma non so cosa le sia preso” disse Grace, guardando l’anziana.
“Non ti preoccupare. Allora, riguardo al nostro accordo. Se accetterai avrai tutte queste monete d’oro” disse la mendicante allungando il sacchetto pieno di monete d’oro a Grace. Quest'ultima lo guardò come affascinata e allungò una mano per prenderlo, ma, prima che potesse, Excalibur andò dietro la donna mettendo una zampa sopra al lungo mantello. Sentendosi tirare, l’anziana cadde all’indietro e il sacchetto le volò in aria per poi cadere a terra spargendo tutte le monete.
“Guardate. Oro!” gridò uno dei paesani e tutti accorsero a raccogliere più monete che poterono.
“Excalibur, ma cosa hai fatto?” chiese incredula Grace. Il cucciolo di volpe andò da lei per poi andarsene e facendole capire di seguirla. La bambina guardò la mendicante a terra. Poi guardò i paesani che continuavano a raccogliere le monete d’oro e, infine, riguardando la volpe la seguì.
Passò un altro giorno. Il terzo per la precisione e l’uomo aveva sì terminato il cappello ma non era magico. Era una comunissima tuba.
“Manca poco all’arrivo del Signore Oscuro e non so come rendere magico questo cappello. Farà del male a mia figlia, questo è sicuro” disse l’uomo mentre fissava il cappello davanti a sé. Voltò lo sguardo per vedere la figlia seduta a un tavolino, mentre serviva del tè invisibile a dei pupazzi e a Excalibur, seduta accanto a lei ma non su una sedia come la bambina.
“Altro tè, Mrs Fox?” domandò Grace tenendo in mano una teiera e guardando Excalibur, che abbassò lo sguardo quando la bambina versò il tè in una tazzina che poi mise davanti a lei. Il cucciolo di volpe guardò stranamente all’interno della tazzina, mettendoci fin dentro una zampa per constatare se ci fosse veramente o no qualcosa. Dopo essersi resa conto che non ci fosse nulla,  si alzò camminando verso il letto. Ci saltò su prendendo con la bocca le due piume dorate. Scese da esso andando dall’uomo, fermandosi accanto a lui.
L’uomo abbassò lo sguardo guardandola. “Cosa vuoi? Ritorna a giocare con mia figlia invece di importunarmi” le disse. Ma Excalibur lasciò cadere accanto a lui una delle due piume per poi ritornare a sedersi accanto a Grace. L’uomo si abbassò, raccogliendo la piuma e guardandola. Poi guardò il cappello, prendendolo con l’altra mano. Si alzò.
“Tesoro, sai da dove vengono queste piume?” chiese l’uomo, notando che il cucciolo di volpe ne aveva un’altra in bocca.
“Le ha trovate Excalibur da qualche parte. L'altro Ieri, quando è ritornata da me, le aveva già” rispose Grace, guardandolo. L’uomo guardò la piuma, dicendo: “Chissà a che uccello appartengono. Non avevo mai visto piume così. E poi devono valere una fortuna.”
“Vuoi venderle?” domandò Grace mentre prendeva un biscotto da un piatto che aveva sul tavolino.
“Potrei guadagnarci abbastanza per prenderti tutto quello che vuoi” rispose l’uomo. Grace stava per dare un biscotto a Excalibur quando si sentì una voce: “Se fossi in te non lo farei.” E comparve una nuvola viola che lasciò poi posto a Tremotino. Per l’improvvisa comparsa del Signore Oscuro, all’uomo cadde il cappello, che andò a finire sulla testa di Excalibur.
“Mi scusi, signore” disse Grace guardando Tremotino e rimettendo il biscotto sul piatto.
“Non avrete nutrito la mia volpe con quei biscotti? Spero di no, perché le potrebbe venire un forte mal di pancia” disse Tremotino guardando la bambina.
“Il suo cucciolo di volpe sta bene e non gli abbiamo mai dato quei biscotti” disse l’uomo. Tremotino lo guardò dicendo: “Tic tac, caro mio, il tempo è scaduto. Dove è il mio cappello?”
“Sulla testa della sua volpe, ma non è completo” disse l’uomo, mentre Tremotino, dopo aver abbassato lo sguardo, prendeva il cappello dalla testa di Excalibur.
“Hai avuto tempo tre giorni. Ti ho dato tutto il necessario per fabbricarlo. Non mi piace chi non rispetta un accordo. Farà una brutta fine” replicò Tremotino guardandolo.
“Glielo avevo detto che non avevo mai fabbricato un cappello magico” disse l’uomo.
“Però avevi accettato l’accordo. Vuoi davvero perdere la tua adorata figlia?” chiese Tremotino.
“Può darsi anche che funzioni” rispose l’uomo.
“Allora andiamo fuori a provarlo. Ma se non funzionerà, mi prenderò ciò che hai più caro al mondo” replicò Tremotino  e guardò Grace. I quattro uscirono e Tremotino depositò il cappello a terra. I quattro se ne stavano intorno ad esso.
“Coraggio, cappellaio. Fallo funzionare” disse Tremotino. L’uomo fissò il cappello non sapendo cosa fare. Poi camminò verso di esso e lo prese in mano. Provò a scuoterlo. A farlo ruotare. Ma nulla accadde.
“Lo sapevo. Ho solo sprecato il mio tempo. Di' pure addio a tua figlia, perché non la rivedrai più” disse Tremotino andando accanto a Grace, la quale lo guardò terrorizzata per poi guardare, nello stesso modo, anche il padre. L’uomo guardò la piuma dorata che teneva in bocca Excalibur e si ricordò della piuma che teneva in mano. Provò il tutto e per tutto e la gettò all’interno del cappello. All’inizio non accadde nulla. Poi dal cappello uscì una nube viola. L’uomo lo depositò subito a terra allontanandosi. Il cappello incominciò a girare e girare, sempre più velocemente, fino ad alzarsi in volo. Per la paura, Excalibur si andò a nascondere dietro a Tremotino, che disse ridendo: “Magnifico! Bravo cappellaio! Hai creato il cappello che volevo.” Ed il cappello ritornò a terra.
“Io non capisco. Ho semplicemente messo quella piuma dorata dentro al cappello” disse l’uomo ancora incredulo.
“La stessa che ha ancora Excalibur” disse Grace. Tremotino guardò Excalibur che lo guardò a sua volta tenendo ancora l’altra piuma dorata in bocca. Poi il Signore Oscuro guardò la bambina e le disse: “Ti ricordi che ti avevo detto che la mia volpe aveva fiuto per oggetti portentosi? Si dà il caso che questa piuma dorata, così come quella che si trova ora nel cappello, sia magica.” E prese la piuma dalla bocca di Excalibur.
“Ora che ho fabbricato il suo cappello magico, può anche lasciarci stare” disse l’uomo.
“Sì, hai ragione. L’accordo è finito. Ma la tua adorata figlioletta ha detto che mi avresti dato qualunque cosa” disse Tremotino guardandolo e sorridendo maliziosamente.
“Le ho dato questo cappello” disse l’uomo.
“Voglio qualcosa di più. Da ora in poi diventerai un mio fedele collaboratore. Mi aiuterai a trovare ogni sorta di oggetto magico” disse Tremotino.
“Non vedo come potrei. E poi ha già la sua fedele volpe ad aiutarlo” disse l’uomo.
“E’ vero, ma ci sono oggetti portentosi da molte parti. Mio caro, ora quel cappello è diventato una porta per altri mondi. Potrai viaggiare dove vorrai. Ed io ti ricompenserò con tutto l’oro che vorrai e tu e la tua bambina non dovrete più vivere in povertà. Inoltre tua figlia potrà giocare con Excalibur quanto vorrà” spiegò Tremotino.
“Anche un’anziana mendicante al villaggio mi aveva offerto del denaro, ma Excalibur l’ha fatta cadere e tutte le monete d’oro sono cadute a terra per poi essere prese dagli abitanti” disse Grace.
L’uomo la guardò non dicendo nulla, ma spostò lo sguardo su Tremotino quando questi gli domandò: “Come ti chiami, cappellaio?”
“Jefferson” rispose l’uomo.
“Molto bene, Jefferson. Quando avrò bisogno, verrò a cercarti” disse Tremotino sorridendo e, abbassandosi, prese in braccio Excalibur che guardò tristemente Grace. La bambina si avvicinò mentre teneva in mano un biscotto. Alzò lo sguardo e chiese: “Posso darglielo?” Tremotino alzò gli occhi al cielo. Poi rispose: “Va bene. Ma che sia solo uno. Le volpi non mangiano certe schifezze” e Grace diede il biscotto a Excalibur la quale se lo tenne in bocca. Poi lei e il suo padrone scomparvero in una nube viola.
Jefferson si inginocchiò e prese il cappello tra le mani. Grace si avvicinò a lui dicendogli: “Vedrai, papà. Ora le cose andranno per il verso giusto.” E i due si abbracciarono.





Note dell'autrice: Ed eccovi qua con un altro capitolo finito. Come avrete notato, è stata cambiata anche l'immagine di copertina e per il ruolo di Rose ho scelto Mackenzie Foy, la bambina di twiligh (sperando di aver scelto bene). Nell'episodio ho voluto inserire personaggi nuovi ( john e nathalien provengono, se non lo avete capito, dal romanzo L'Isola dei Tesoro di Stevenson ed in futuro diventeranno degli spietati pirati e quì ancora nn lo sono) ed inoltre l'anziana mendicante (della quale nn ho fatto descrizione) ma che vi dico di pensare chi era la cattiva di Rapunzel nel film disney. Passiamo al cappello. Nella serie nn viene mostrato come è reso magico così ho provato a pensare ad un modo per renderlo così ed anche del perchè in un episodio si vede jefferson lavorare per tremotino. Qualcosa devono aver stipulato no? Ho cercato in giro inerente a qualcosa di magico o comunque mitologico ed ho trovato il Roc un antico ed enorme uccello delle coste arabe e presente nei racconti delle Mille e una Notte. Inoltre in un episodio della serie televisiva a cartoni animati di Aladdin ( se ve la ricordate) alcuni malvibenti usano le piume di questo uccello per creare dei piccoli tornadi e l'idea del cappello che gira mi è venuta proprio da lì.

Va bè, lasciato tutta questa spiegazione volevo ringraziare tutti coloro che seguono e recensiscono la storia. Ringrazio anche la mia fedele (e con la santa pazienza) beta reader Lucia che mi ha anche aiutata a creare la copertina. Inoltre volevo ringraziare Spaponci (elena) che sta creando (e creerà) dei disegni sulla mia fanfict. Se volete passare a vedere un paio di disegni questo è il link: https://www.facebook.com/spaponci


Co questo vi auguro una bellissima e serena nottata. Al prossimo aggiornamento mie cari Oncers

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Capitolo 11
*** Nascosta - Parte I ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo VI: Nascosta - Prima Parte


 
Il mattino seguente Rose scese di buon'ora a fare colazione insieme a suo padre, visto anche che lei doveva andare a scuola mentre lui al negozio. Excalibur stava mangiando della carne a pezzetti nella sua ciotola.
“Papà, perché mi hai preparato così tanta roba da mangiare?” domandò Rose alzando lo sguardo dai due toast che aveva sul piatto, oltre a croissant, frittelle, biscotti e un succo all’arancia che c’erano sulla tavola.
“Perché la colazione è il pasto principale di tutta la giornata e tu devi essere in forze per affrontarla e soprattutto per stare attenta alle lezioni a scuola” rispose Gold.
“Va bene, ma non credo di riuscire a mangiare tutto” disse Rose prendendo uno dei biscotti. Stava per mangiarlo quando sentì dei versetti. Abbassò lo sguardo per vedere Excalibur seduta, con le zampe anteriori alzate e la lingua di fuori proprio come se fosse stata un cagnolino.
“Che c’è? Ne vuoi uno?” chiese la bambina, e stava per allungarle il biscotto quando Gold replicò: “Niente biscotti a lei.”
Rose guardò il padre domandandogli: “Perché no?”
“Perché le potrebbe venire il mal di pancia” rispose Gold.
“E tu cosa ne sai? Magari le piacciono” chiese Rose.
“Le volpi non mangiano biscotti o altre schifezze varie. Loro mangiano piccoli roditori o frutta. Tu mangeresti quello che mangiano loro?” rispose Gold.
“Di solito le davo da mangiare dei lombrichi e non mi permetterai mai di mangiarli” disse Rose.
“Allora niente biscotti per lei” disse Gold andando verso una credenza e tirando fuori un sacchetto di plastica trasparente con dentro dei biscotti. Si voltò e mentre lo consegnava alla figlia le disse: “Questi invece sono per la tua merenda a scuola.” Rose lo prese mettendolo nella cartella che teneva a terra accanto alla tavola. Guardò il padre domandandogli: “Non è che potresti darmi anche dei soldi? Nel caso avessi ancora fame.”
“Dici di non riuscire a mangiare tutta la colazione eppure vuoi dei soldi per prenderti altre cose dopo la merenda?” chiese Gold.
“Be'… sì” rispose Rose. Ci fu un po’ di silenzio. Poi Gold estrasse una banconota dalla tasca dei pantaloni e dandola alla figlia disse: “Tieni, ma vedi di non prendere dei dolci o stanotte non chiuderai occhio.”
Rose prese la banconota mettendosela in tasca e disse: “Grazie papà, ma lo sai meglio di me che non amo troppo i dolci, visto che più di una volta mi hanno fatto venire gli incubi.” E riprese a mangiare. Mentre i due non guardavano, Excalibur si avvicinò alla cartella di Rose e, cautamente, ne estrasse con la bocca il sacchetto di plastica con dentro i biscotti. Poi si diresse verso la porta del retro. L’aprì di poco con una zampina ed uscì, andandosene in giardino.
Poco dopo Rose, con cartella in mano, si trovava insieme al padre davanti alla porta d’entrata. “Sei sicura di avere tutto?” domandò Gold mentre le metteva la giacca.
“Sì, papà” rispose Rose aggiustandosi l'abito sulle spalle.
“E hai fatto tutti i compiti?” chiese Gold consegnandole la cartella.
“Li facevo mentre mi sorvegliavi” rispose Rose mettendosi la cartella sulle spalle.
“Bene. E ora a scuola, o farai tardi” disse Gold aprendo la porta.
“Aspetta dov’è Excalibur? Vorrei salutarla prima di andare” domandò Rose guardandosi intorno.
“Sarà in giro per la casa. Dopotutto è un ambiente nuovo per lei da esplorare. La vedrai quando ritornerai” rispose Gold aprendo la porta. Rose rimase un po’ lì. Poi uscì, seguita dal padre. Mentre i due andavano via con la macchina, nel retro della casa Excalibur si stava dirigendo verso un edificio in parte adibito a deposito di vari oggetti, portando con la bocca il sacchetto con dentro i biscotti. Aprì la porta dell’edificio entrandovi. Si diresse verso alcuni vecchi oggetti emettendo dei versetti. Qualcuno, nascosto tra quegli oggetti, comparve. Si trattava di Paige che sorrise nel vedere Excalibur con un sacchetto pieno di biscotti accanto a lei.
Qualche ora dopo, a scuola, Rose ed Henry si trovavano sotto il salice piangente e parlavano di tutto ciò che era successo.
“Sai, quando le ho detto che era mia madre non mi voleva credere” disse Henry.
“Tipico alla prima reazione” disse Rose guardando dentro la cartella cercando qualcosa.
“Però è venuta lo stesso con me” disse Henry.
“Devi averle fatto pietà con i tuoi occhi alla Bambi” disse Rose guardandolo.
“Davvero ho uno sguardo alla Bambi?" chiese Henry.
“Prova a guardare nel tuo libro di favole. Magari trovi qualcosa inerente a quel cerbiatto” rispose Rose riguardando dentro la cartella.
“Perché continui a con credermi? I personaggi di Storybrooke provengono veramente dalla Foresta Incantata” disse Henry.
“Certo, e mio padre è la Bestia della Bella e la Bestia” disse sarcasticamente Rose guardandolo.
“Perché proprio la Bestia?” domandò Henry.
“Perché è la storia che preferisco di più. Non ho idea del perché, ma mi ha sempre affascinata” rispose Rose.
“Non credo che tuo padre sia la Bestia, anche se ancora non saprei chi potrebbe essere” disse Henry.
“Henry, è una cosa assurda. Quelle favole sono state scritte solo per far addormentare i bambini. Mio padre me le legge ogni sera” disse Rose.
“Magari anche mia madre me le leggesse... ma lei non è un tipo da favole” disse Henry.
“Be', ora hai due mamme. Potresti sempre chiedere all’altra” disse Rose.
“Potrei anche, ma la prima cosa che deve fare è credere. Se non crederà mai, la maledizione non si spezzerà” disse Henry.
“Accidenti!” disse Rose.
“Anche tu vuoi che creda? Finalmente mi credi” disse Henry guardandola.
“No, non è quello. È che non trovo più la merenda. Eppure, quando papà me l’ha data, ero convinta di averla messa qua dentro” disse Rose non trovando il sacchetto trasparente con dentro i biscotti.
“Magari ti è caduta” disse Henry.
“Me ne sarei accorta. Meno male che ho qua con me una banconota” disse Rose tirando fuori la banconota dalla tasca dei pantaloni.
“Meglio che ti tenga di scorta quella banconota. La caffetteria della scuola non vende roba molto buona” disse Henry.
“Non posso stare a stomaco vuoto fino a stasera!” replicò Rose.
“Va bene, ma a tuo rischio e pericolo” disse Henry e i due si incamminarono verso la caffetteria della scuola.
“Mal che vada, papà farà causa alla scuola facendola chiudere e molti bambini ergeranno una statua in suo onore” disse Rose.
“Ora non esagerare” disse Henry e, dopo aver ordinato qualcosa, si andarono a sedere in uno dei tavolini posti fuori.
“Hai notizie di Paige? È da ieri sera che non la vedo” chiese Rose mentre Henry tirava fuori il libro di favole.
“Forse è ritornata dai suoi genitori” disse Henry aprendo il libro.
“Dubito. Lei li odia” disse Rose sorseggiando il succo alle fragole che aveva preso. Aveva sempre adorato le fragole e, a casa, suo padre le preparava persino un tè alle fragole. Era una strana passione, ma le piacevano. Poi guardò l’amico domandogli: “Che stai facendo?” Henry si avvicinò a lei mostrandole il libro.
“Questi sono Biancaneve e il Principe durante il loro matrimonio” rispose indicando un’immagine.
“Da quello che mi avevi detto è stato poco prima che la regina cattiva scagliasse la maledizione” disse Rose guardando l’immagine.
“Esattamente, e anche prima che Biancaneve desse alla luce Emma. Ovvero la Salvatrice” disse Henry.
“Ehi, porta lo stesso nome della tua madre biologica” disse Rose.
“Perché è lei. È figlia di Biancaneve e del Principe Azzurro” disse Henry. Rose lo guardò senza dire nulla ma facendo rumore con la cannuccia mentre sorseggiava il succo.
“Perché ti è così tanto difficile credermi?” chiese Henry.
“Quando vedrò qualcosa di strano ti crederò. Magari uno dei sette nani di Biancaneve, cosa ne dici?” rispose Rose.
“E’ tutto vero, Rose” disse Henry.
“Il Dottor Hopper cosa dice al riguardo?” domandò Rose.
“Che non sono pazzo, o almeno penso che si riferisca a ciò quando mi dice che le mie fantasie non portano a nulla di male” spiegò Henry.
“Ho un’idea migliore. Chiediamoglielo” propose Rose.
“Ad Archie?” chiese Henry.
“No. A Mary Margaret. Sta venendo proprio qua in questo momento” rispose Rose e Mary Margaret arrivò da loro salutandoli: “Ciao Henry. Ciao Rose.”
“Salve, Signorina Blanchnard. E’ contenta del lavoro che fa?” domandò Rose ed Henry la guardò stranamente. Chissà cosa aveva in mente la sua amica.
“Certo. Adoro i bambini” rispose Mary Margaret.
“E non ha mai pensato di averne qualcuno?” chiese Rose. Henry le lanciò un’occhiataccia. Entrambi riguardarono Mary Margaret che titubante rispose: “Ecco… io… io…be' sì, ma prima dovrei trovare l’uomo adatto.”
“Le piace il colore azzurro? Ho sentito dire che sarà di moda l’anno prossimo” domandò Rose.
“Per me tutti i colori sono uguali. Anche quelli più scuri perché anche in essi si può trovare un po’ di luce” rispose Mary Margaret. Henry guardò Rose dicendole sottovoce: “Tipica risposta alla Biancaneve.”
“Ha un frutto preferito? Che ne so… le mele, per esempio” chiese Rose.
“Come mai mi stai facendo così tante domande?” domandò Mary Margaret.
“Per una ricerca che ci hanno dato. Ehm, descrivere la maestra che vi piace di più” rispose fingendo Rose.
“Ma io non sono la tua maestra” disse Mary Margaret.
“Lo so, ma è quella di Henry e lui mi ha parlato così bene di lei che anche io ho sempre desiderato averla come insegnante. Magari con questa ricerca potrebbero farla venire anche nella mia classe” disse Rose.
“E’ molto carino quello che hai detto, Rose” disse Mary Margaret facendo un piccolo sorriso.
“Grazie, ma ritornando alla domanda di prima, allora ha un frutto preferito?” chiese Rose.
“Proprio come i colori, adoro ogni tipo di frutto. Forse un po’ meno le mele, ma per il fatto che alcune sono brusche” rispose Mary Margaret. Rose ed Henry si guardarono.
“Be', si è fatto tardi bambini. È ora di ritornare in classe” disse Mary Margaret.
“Va bene. La raggiungiamo subito. Anzi, Henry la raggiungerà subito. Io devo andare in un’altra classe” disse Rose e Mary Margaret rientrò a scuola.
“Allora, ora mi credi?” domandò Henry.
“Solo perché ha dato delle risposte così, non è detto che possa trattarsi veramente di Biancaneve” rispose Rose. La campanella suonò e Henry, dopo aver chiuso il libro, disse: “Non ho voglia di ritornare in classe.”
“Nemmeno io, ma dobbiamo. E se scapperò un’altra volta mio padre mi rinchiuderà a vita in casa” disse Rose finendo il suo succo. Henry rimise il libro nella cartella che poi si mise su un braccio. Si alzò e guardando l’amica le disse: “Non voglio trascinarti in questa avventura, ma vorrei tanto che mi credessi e che non fossi come mia madre.”
“A quale delle due ti riferisci?” chiese Rose guardandolo.
“Al Sindaco. Stamattina sono uscito di casa senza dirle nulla” rispose Henry.
“Henry, penserà sicuramente che sei scappato un’altra volta” disse Rose.
“Sai dove trovarmi” disse Henry ed uscì dal giardino della scuola. Rose lo guardò dicendo: “Che testone.” Stava per rientrare in classe. Poi ci pensò su. Prese la cartella e corse dietro l’amico.
Nel frattempo, Excalibur si trovava ancora in compagnia di Paige ma, questa volta, la stava facendo entrare nella villa. Con una zampina aprì lentamente la porta dalla quale era uscita prima. Guardò a destra e a sinistra e, dopo essersi assicurata che non vi fosse nessuno, entrò seguita dalla bambina.
“Credi che sia una buona idea? Dopotutto il Signor Gold potrebbe entrare in qualsiasi momento” disse Paige guardandosi intorno preoccupata. Tenendo una zampa anteriore alzata, Excalibur si fermò. La guardò e annuì. Poi riguardò avanti entrando in cucina. Paige la seguì. La volpe andò subito davanti al frigorifero. Sapeva che la maggior parte delle pietanze, ovviamente, si trovavano lì dentro, ma sapeva anche che il suo padrone ne aveva nascoste un po’ in giro, in caso di qualche emergenza. Il suo fiuto la condusse davanti a una credenza, ma c’era un problema. Essa stava in alto e nemmeno Paige ci arrivava.
A fatica la volpe balzò su uno sgabello. Alzò lo sguardo verso la credenza. Era ancora troppo in alto. Si guardò intorno cercando qualcosa sul quale salire. Lo trovò saltando sul forno a microonde. Si alzò sulle zampe posteriori appoggiandosi con quelle anteriori alla credenza. Paige andò dietro di lei osservandola. Con la zampa destra, Excalibur aprì la credenza e con il muso fece scivolare qualcosa verso Paige che, fortunatamente, riuscì a prendere prima che cadde a terra. Si trattava di un barattolo di burro di noccioline. Poi con la bocca prese una scatola con dentro dei cereali, ma appena ritornò a quattro zampe sullo sgabello, tutti i cereali finirono a terra perché la scatola era aperta.
“Oh no, guarda cosa hai combinato. Bisogna pulire, prima che qualcuno ritorni a casa” disse Paige e freneticamente cercò scopa e paletta. Non trovandole – anche perché non sapeva dove il Signor Gold le avesse messe -  si inginocchiò incominciando a raccogliere i cereali con le mani. Excalibur invece agì diversamente. Li mangiò.
“Excalibur, non è igienico mangiare dal pavimento. Sputali subito fuori” disse Paige guardando la volpe di fronte a lei che mandò giù un ultimo cereale. Poi drizzò le orecchie. Uscì dalla cucina e si fermò davanti alla porta d’ingresso. Qualcuno stava ritornando. Andò velocemente in cucina tirando con la bocca Paige per una manica della maglia.
“Ehi, ma cosa c’è? Cosa ti prende?” domandò la bambina guardandola. Excalibur continuava a tirare e Paige fu costretta ad alzarsi e seguire la volpe, stavolta non nel retro della casa ma su per le scale e in una delle camere per gli ospiti. Fecero appena in tempo a rinchiudersi in una di quelle camere che dalla porta davanti entrarono Henry e Rose.
“Perché siamo dovuti venire a casa tua? Tuo padre potrebbe ritornare in qualsiasi momento e si arrabbierebbe non vedendoci a scuola” chiese Henry.
“Finiscila. Vedrai che non ritornerà prima di oggi pomeriggio e noi, per quel momento, saremmo già da un’altra parte” disse Rose, ma appena arrivarono sulla soglia della cucina si fermarono, guardando ciò che c’era per terra.
“Ma cosa è successo?” domandò Henry.
“Excalibur. Pensavo che stesse esplorando la casa e non distruggendola” rispose Rose entrando in cucina e cercando di non calpestare i cereali.
“Non credi che faremmo meglio a pulire?” chiese Henry.
“Non pulisco qualcosa che non ho causato io. Quando papà ritornerà e chiederà cosa è successo, gli spiegherò tutto e vedrai che darà la colpa ad Excalibur. Poi non sarebbe corretto” spiegò Rose aprendo il frigorifero e prendendo fuori due banane ed una mela. Poi lo richiuse. Ritornò dall’amico e mentre gli passava accanto disse: “Vieni. Dobbiamo andarcene prima che qualcuno ci veda”
“Se avessimo la magia sarebbe tutto più facile” disse Henry seguendo l’amica.
“La magia non esiste” disse Rose ed uscirono. Excalibur se ne era stata per tutto quel tempo a osservarli in cima alle scale e, appena i due bambini furono usciti, ritornò da Paige grattando con una zampa contro la porta. Paige l’aprì lentamente. Abbassò lo sguardo guardando la volpe che emise dei versetti per poi incamminarsi verso le scale. La bambina la seguì, ma appena passò accanto a una camera si fermò. Aprì la porta semiaperta e guardò al suo interno. La stanza era molto grande e ciò che l’attirò era una rosa in una campana di vetro posta davanti alla finestra. Paige vi entrò mentre Excalibur comparve sulla soglia della porta guardandola. La bambina si avvicinò alla rosa e sollevò la campana di vetro mettendola accanto a essa. Stava per toccare il prezioso fiore quando Excalibur corse da lei, tirandola con la bocca dai pantaloni. Paige ritrasse subito la mano e guardando la volpe disse: “E va bene, non la tocco, anche se non capisco perché non possa.” Excalibur emise dei versetti per poi andare verso la porta. Paige la seguì quando vide qualcosa di familiare sul letto. Si trattava di un coniglietto di peluche. Si avvicinò e lo prese in mano. Ne guardò ogni dettaglio e fu come se le venisse in mente qualcosa. Qualcosa di lontano e del suo passato. A distoglierla da quei pensieri fu Excalibur che la guardò emettendo dei versetti. Paige alzò lo sguardo guardandola a sua volta e, dopo aver lasciato il peluche sul letto, andò dalla volpe ed entrambe scesero le scale ritornando in cucina. Andarono davanti al frigorifero e Paige lo aprì. Poi disse: “Be', non si arrabbieranno se prenderò solo qualcosina” disse Paige abbassando lo sguardo e guardando Excalibur, la quale scosse negativamente la testa. Riguardò l’interno del frigorifero prendendo ciò che poteva e, dopo averlo chiuso, lei e la volpe se ne ritornarono nel retro della casa.
Nel tardi pomeriggio, Rose ed Henry si trovavano nel loro castello sulla spiaggia. La giovane Gold aveva in mano dei piccoli pezzetti di pane che, ogni tanto, lanciava a dei gabbiani che volavano in riva al mare.
“Credi che tuo padre si arrabbierà?” domandò Henry.
“Non è la prima volta che scappo da scuola, e poi avrei avuto Latino. Una lezione molto noiosa. Ma come si fa ad insegnare Latino alle elementari? E’ assurdo” rispose Rose lanciando altri pezzetti di pane ai gabbiani.
“Forse Storybrooke ha origini latine” disse Henry.
“Certo, ed io sono Cappuccetto Rosso” disse sarcasticamente Rose.
“Ruby è Cappuccetto Rosso” disse Henry guardandola.
Rose alzò gli occhi al cielo per poi guardarlo e dire: “Era solo un paragone. È logico che non la sono.” Ed entrambi riguardarono avanti. Ci fu un po’ di silenzio. Poi Rose, abbassando lo sguardo, chiese: “Credi che la mia mamma si sarebbe arrabbiata? Insomma, ultimamente ho disubbidito molte volte a mio padre. Sono scappata da scuola; sono andata da sola nella foresta – anche se ora non ci vado più; ho preso a pugni una mia compagna di classe. Se papà ha tutti quei capelli bianchi, è per colpa mia e io non dovrei farlo preoccupare così tanto. Lui cerca solo di proteggermi ed educarmi a dovere. Non è facile essere un genitore singolo.”
“Tuo padre ti vuole bene e sono sicuro che tua madre avrebbe compreso ciò che stai passando, anche se ancora non so chi fosse tua madre. Nel libro non c’è scritto” disse Henry.
Rose sospirò per poi dire: “Henry, quando è che vorrai capire che gli abitanti di Storybrooke non provengono dal mondo delle fiabe?”
“Allora da dove provengono, se non dal mondo delle fiabe?” domandò Henry guardandola.
“Non lo so. Non ho chiesto ad ogni singolo abitante da dove viene” rispose Rose guardandolo a sua volta. In quel momento arrivò Emma. Rose la guardò non tanto contenta della sua compagnia. Non le piaceva quella donna, ma era la mamma del suo migliore amico e almeno davanti a lui doveva far vedere di essere contenta. La donna si sedette accanto ad Henry.
“Sei venuta” disse Henry guardandola, mentre Rose se ne stava appoggiata con una spalla a una parete del castello.
“Volevo vederti” disse Emma.
“Scommetto che l’ha mandata Regina dopo essersi accorta che mancavi da scuola. Carino da parte sua” disse Rose. Emma la guardò senza dire nulla. Poi riguardò avanti e rivolta all’orologio posto in cima alla biblioteca disse: “E’ ancora fermo.”
“Io pensavo che portandoti qui sarebbero cambiate le cose. Che la battaglia finale sarebbe iniziata” disse Henry.
“Non combatterò nessuna battaglia” disse Emma.
“Te lo avevo detto che sarebbe stata una stupita idea. Che non avrebbe portato a nulla” disse Rose. Henry la guardò dicendole: “Lo farà invece. Lei è qui perché è il suo destino. Porterà a tutti il lieto fine.”
“Il lieto fine nessuno lo fa. Siamo noi stessi a crearlo e a volerlo” disse Rose, guardandolo.
“Chi lo dice?” chiese Henry.
“Mio padre” rispose Rose.
“Visto. Tipica risposta da personaggio delle fiabe” disse Henry e Rose roteò gli occhi.
“Sai, la tua amica ha ragione. Dovresti smetterla di parlare di queste cose. Sono solo stupidaggini” disse Emma guardandolo.
“Non devi fare la dura. Lo so che ti piaccio, si vede. O cerchi di allontanarmi perché ti faccio sentire in colpa. È normale. So perché mi hai dato via. Volevi offrirmi un’opportunità migliore” spiegò Henry.
Emma riguardò avanti rimanendo senza parole. Poi domandò: “E tu come lo sai?”
“E’ lo stesso motivo per cui Biancaneve ha dato via te” rispose Henry.
“Ascoltami, ragazzino. Io non sono in un libro. Sono una persona. E non sono la Salvatrice. Ma su una cosa hai ragione: volevo che avessi un’opportunità migliore e non è di certo con me” spiegò Emma. Rimasero in silenzio. Rose li guardava e comprendeva. Comprendeva come era non avere una mamma. Era vero, Henry aveva una mamma, ma ora aveva anche ritrovato la donna che lo aveva messo al mondo. Rose aveva un padre che le voleva molto bene ma le mancava pur sempre la figura materna. Sospirò lanciando gli ultimi pezzetti di pane ai gabbiani per poi dire: “Sarà meglio andare. Il sole sta per calare e tua madre richiamerà nuovamente lo Sceriffo se non ti vede a casa.”
“Hai ragione. Vieni, ragazzino, ti riporto a casa” disse Emma alzandosi ma guardando Rose aggiunse: “Ed anche tu.”
“Ehm… visto che molto probabilmente le recherò disturbo, meglio che vada a piedi” disse Rose.
“Invece questa volta non mi recherai disturbo. Così, finalmente, potrò conoscere i tuoi genitori” disse Emma guardandola.
“Magnifico” disse sarcasticamente Rose facendo un sorriso forzato.
Poco dopo, dopo aver lasciato Henry a casa sua, Emma e Rose si trovavano in macchina dirette verso la casa della giovane Gold.
“Allora, non mi hai ancora detto come si chiamano i tuoi genitori” disse Emma.
“Ha importanza?” chiese Rose.
“E’ che non vorrei chiamarli semplicemente genitori. Tutto qui” rispose Emma.
“Non hanno nome” disse Rose.
“Non c’è proprio modo che riesca a fartelo dire, vero?” domandò Emma.
“Capirai quanto possa essere testona” disse Rose.
“E anche molto pestifera” disse Emma. Finalmente arrivarono a destinazione. Emma fermò la macchina scendendo e spostando in avanti il sedile in modo che la bambina potesse scendere.
“Tu vivi qui?” chiese stupita Emma guardando l’enorme casa davanti a loro.
“Certo. Non hai mai visto una casa enorme?” domandò Rose andando accanto a lei.
“Enorme sì. Ma non in stile vittoriano e per di più rosa” rispose Emma. Rose fece qualche passo avanti. Si fermò e, guardando Emma, le disse: “Sei stata molto gentile a riportarmi a casa, ma ora puoi anche andare dove ti porta il cuore.”
“Sono parole molto poetiche, ma non me ne andrò finché non avrò visto almeno uno dei tuoi genitori” disse Emma e proprio in quel momento dalla casa uscì… “Signorina Gold.” Entrambe si voltarono per vedere un uomo camminare verso di loro.
“Salve. Lei deve essere…” iniziò col dire Emma, ma l’uomo la interruppe e, rivolto a Rose, disse: “Signorina Gold, mi stavo preoccupando. Hanno telefonato da scuola dicendo che eri scappata.”
“Be'… sì… ma ora sono qua, no? Quindi è tutto a posto” disse Rose. L’uomo guardò Emma chiedendole: “E lei sarebbe…?”
“Emma Swan. È un piacere conoscerla” rispose sorridendo Emma mostrando la mano. L’uomo – che poi in realtà era Dove – gliela strinse dicendole: “Grazie per averla riportata a casa.”
“Si figuri. Intanto ero sulla strada” disse Emma finendo di stringere la mano.
“Si fermerà qua?” domandò Dove.
“Ancora non lo so. Avevo in mente altro, ma qualcuno mi ha fatto cambiare idea” rispose Emma e guardò Rose che inarcò un sopracciglio. Che c'entrasse Henry con questo cambio d’idea?
“E’ stato un piacere conoscerla” disse Dove.
“Anche per me” disse Emma.
“Allora ci rivedremo in giro” disse Rose.
“Probabile” disse Emma guardandola. Poi si voltò e rientrò nella macchina. Chiuse la portiera avviando il veicolo e partendo. Dove guardò Rose che lo guardò a sua volta chiedendogli: “Lo dirai a papà che sono scappata un’altra volta da scuola?”
“No” rispose Dove e Rose sorrise. Il suo sorriso scomparve quando l’uomo aggiunse: “Ma toccherà a lei dirglielo, ed è stata molto fortunata che suo padre non fosse a casa quando hanno telefonato da scuola” e rientrarono nella villa.





Note dell'autrice: Ed eccoci con un nuovo capitolo. Dai che manca poco all'inizio della seconda parte della quarta stagione di OUAT. Ma intanto noi continuiamo qua. Excalibur è proprio una peste (ma anche Rose, no?) e povero Rumple i quali capelli (causa preoccupazione per la figlia) diventano sempre più bianchi (ahahahah). Vedremo se Rose avrà il coraggio di dire a suo padre che è scappata un'altra volta da scuola e Emma ha scambiato Dove per il padre della bambina. Quando scoprirà che non è lui...

Ci tenevo nuovamente a ringraziare la mia affidabilissima beta reader Lucia e tutte le mie lettrici e lettori. Ed anche tutte colore che recensiscono o seguono la storia in silenzio

Per tanto ringrazio ancora Elena (spaponci) che ci delizia con i suoi bellissimi disegni ispirati a questa fanfict (l'ultimo ve lo consiglio di vederlo. è tenerissimo e per questo vi metto il link alla pagina https://www.facebook.com/spaponci )

Con questo vi auguro una bellissima serata ed al prossimo aggiornamento miei cari Oncers
 

 

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Capitolo 12
*** Nascosta - Parte II ***






The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo VI: Nascosta - Seconda Parte

 
Poco dopo, a cena… “E’ inammissibile! E’ inaudito! E’… è...” disse infuriato Gold mentre finiva di preparare la cena.
“Inaccettabile?” domandò Rose. Gold si voltò verso di lei e disse: “Ecco. Hai trovato proprio il termine giusto per descrivere quello che hai fatto oggi. Soprattutto il macello che hai combinato qua in cucina.” Ed entrambi guardarono in basso dove Dove aveva appena finito di raccogliere gli ultimi cereali. Padre e figlia si riguardarono.
“Considerati in punizione per un mese” replicò Gold e riguardò i fornelli.
“Papà, ti ho già detto che non sono stata io a buttare i cereali a terra” disse Rose.
“E prendere il burro di noccioline dalla credenza e altre cose dal frigorifero” aggiunse Gold continuando a darle di schiena.
“E’ stata Excalibur” disse Rose. Gold si rivoltò verso di lei e, dopo aver spento il fuoco nel fornello, prese la padella e la mise sulla tavola. Poi disse: “Come se una volpe potesse prendere un barattolo e le piacessero le noccioline. Non ti toglierò la punizione solo perché stai tirando fuori qualsiasi scusa e incolpando Excalibur ingiustamente” e si sedette accanto a lei.
“Ma ti dico che è la verità. È stata proprio Excalibur. Come avevi detto tu, questo è un ambiente nuovo per lei e quindi doveva esplorarlo. Papà, ti prego, almeno fammi finire questa punizione. Due sono troppe” disse Rose guardandolo. Ci fu silenzio. Poi Gold disse: “Va bene, finirai questa punizione, ma poi inizierai con l’altra.” E spostò la cena dalla padella ai piatti.
“Non è giusto. Pensavo di far imparare una lezione di buona disciplina ad Excalibur se non avessi pulito il macello che aveva fatto” disse Rose giocherellando con la forchetta.
“La buona disciplina doveva venire da te, considerando come è messa la mia gamba e che quindi faccio fatica a inginocchiarmi” disse Gold. Rose lo guardò chiedendogli: “ E questo cosa significa? Intanto hai fatto pulire a Dove.”
“Significa che devi incominciare a comportarti da brava e ubbidiente bambina proprio come ti ho insegnato. Qual è una delle regole fondamentali?” domandò Gold.
“Ehm… fare la brava?” chiese titubante Rose.
“Rispettare le regole e soprattutto ubbidirmi. E sei fortunata che la tua punizione non diventi di due mesi, considerando che hai saltato nuovamente le lezioni a scuola” rispose Gold.
“Latino era noioso” disse Rose.
“A scuola non ci si va per annoiarsi ma per imparare. Non voglio che mia figlia cresca senza un’adeguata educazione e pensavo di essere stato abbastanza chiaro quando te l’ho detto l’ultima volta, ma a quanto pare ho parlato al vento. Rose, devi capire che non puoi crescere senza un’educazione, o se no non avrai un futuro” spiegò Gold.
“Intanto so già che il mio futuro sarà quello di lavorare nel tuo negozio. Questa città non ha nient’altro da offrirmi. Vorrei poter esplorare ciò che c’è fuori di qua. Perché non vuoi che oltrepassi quella linea?” disse Rose.
“Credevo che questo argomento fosse stato chiuso da tempo” disse Gold guardando il piatto.
“E’ una linea. Cosa mai ci sarà di pericoloso?” domandò Rose.
“Mangia la tua cena o se no si raffredda” rispose Gold ignorando la sua domanda.
“Papà, che cosa succede se qualcuno dovesse oltrepassarla? Perché non vuoi dirmelo?” chiese Rose.
“Perché non è importante!” replicò gridando Gold. Ci fu silenzio. Poi Gold, vedendo lo sguardo un po’ impaurito della figlia, si calmò e disse, riguardando il piatto: “Finisci la cena e poi vai a letto. È già abbastanza tardi.”
Rose guardò il suo piatto e parlò a bassa voce, ma in modo che suo padre potesse comunque sentire: “Non è colpa mia se sei rientrato tardi dalla tua riscossione degli affitti.” Gold la guardò di sfuggita, poi riprese a mangiare. Tutta la restante durata della cena fu consumata in modo silenzioso. Padre e figlia non si scambiarono più nessuna parola. Nemmeno quando entrambi andarono a dormire. Ma Rose non riusciva a prendere sonno. Non voleva litigare con suo padre, ma lui non l’ascoltava e, l’ultima volta che gli aveva detto così, lo aveva considerato un mostro. Si alzò da letto andando davanti all’enorme finestra. Posò delicatamente una mano sulla cupola di vetro che proteggeva la rosa. Stranamente, quando era rientrata in camera, aveva visto la cupola messa accanto al fiore e di certo non poteva essere stata Excalibur, considerando che le volpi non hanno mani. Quella rosa che non appassiva mai era l’ultimo regalo di sua madre. Doveva ammettere di essere diventata un po’ gelosa di Henry. Ora lui aveva ben due mamme ma era pur sempre vero che gli mancava un padre. Lei lo aveva, ma per qualsiasi futuro problema femminile, non poteva di certo chiedere a lui. Se Emma fosse rimasta e Regina non sarebbe stata così tanto scorbutica, forse poteva anche instaurare un rapporto di amicizia con entrambe, ma era considerata un’impresa quasi impossibile. Sospirò mentre sul vetro della finestra si formava un piccolo alone lasciato da quel respiro, segno che le temperature fuori stavano calando e l'inverno si stava facendo sentire. Si allontanò dalla finestra e, non riuscendo più a prendere sonno, decise di scendere al piano inferiore cercando di non svegliare suo padre nella stanza accanto, anche se suo padre era nella sua stessa situazione. La bambina scese in cucina accendendo la luce. Si avvicinò ad un credenza e ne estrasse un bicchiere. Poi aprì il frigorifero tirando fuori una bottiglia di latte che versò nel bicchiere. Stava bevendo quando sentì dei rumori. Si avvicinò alla finestra che dava sul giardino sul retro e vide Excalibur uscire dall’edificio. Chissà che cosa stava tramando quella volpe? Mise il bicchiere sulla tavola e uscì sul retro camminando verso l’edificio. Stava per raggiungerlo, quando qualcuno la chiamò: “Rose! Che cosa ci fai in piedi a quest’ora?”
La bambina si voltò per vedere il padre camminare verso di lei. Gli rispose: “Non riuscivo a prendere sonno.”
“Vieni dentro che qua fuori si congela” disse Gold.
“Come mai anche tu sei qua fuori?” domandò Rose.
“Non riuscivo a dormire” rispose Gold. Rose voltò lo sguardo e stranamente non vi era nessuna traccia di Excalibur. Gold la guardò preoccupato. Quindi le chiese: “Sicura di stare bene?”
Rose lo guardò rispondendogli: “Sì. Sì sto benissimo.”
“Non è da te uscire a quest’ora. È successo qualcosa?” domandò Gold.
“Che cosa c’è nell’edificio qua dietro?” gli chiese la figlia.
“Niente di che. Solo vecchie cianfrusaglie e tanta polvere. Perché ti interessa saperlo?” domandò Gold.
“Curiosità” disse Rose.
“Vieni, sarà meglio rientrare” disse Gold mettendole un braccio intorno alle spalle ed entrambi rientrarono in casa, ma non prima che Rose voltasse lo sguardo verso l’edificio e vedesse, con la coda dell’occhio, Excalibur uscire da un cespuglio. Padre e figlia ritornarono in cucina dove Gold vide il bicchiere di latte lasciato precedentemente dalla figlia sulla tavola.
“Perché non un buon tè caldo invece di latte freddo?” propose Gold.
“Perché il tè non mi farebbe chiudere occhio del tutto” disse Rose. Gold inarcò un sopracciglio e Rose aggiunse dicendo: “Vedi che sto attenta a scuola.”
“Sì, ma dovresti essere anche più presente e non sempre scappare per inseguire il tuo amichetto in chissà quale posto” disse Gold prendendo il bicchiere di latte e consegnandolo alla figlia.
“Siamo solo andati al nostro castello sulla spiaggia” disse Rose prendendo il bicchiere dal padre e finendo di berne il contenuto.
“Avresti dovuto portare Dove con voi. Se no cosa l’ho assunto da fare?” disse Gold riprendendo il bicchiere dalla figlia e mettendolo nel lavandino.
“Per custodire la casa?” chiese sorridendo Rose ma dopo aver visto lo sguardo poco buono del padre, aggiunse: “Ok, ok, forse avrei fatto meglio a portare Dove con noi, ma fatto sta che non mi è mai successo nulla. Il castello sulla spiaggia è un posto sicuro.”
“Stai parlando dello stesso castello decadente sulla spiaggia?” domandò Gold.
“Stiamo parlando dello stesso castello?” chiese stupita Rose.
“Non voglio più che ti avvicini a quella struttura. Scommetto che appena ci si posa su un gabbiano, questa crolla” disse Gold.
“Li ho visti i gabbiani appoggiarsi su, eppure è ancora in piedi” disse Rose.
“Piccola, dico sul serio. Non voglio vederti sotto quelle macerie. Quindi promettimi che non ci andrai più” disse Gold. Rose non disse nulla. Promettendolo voleva anche dire vedere sempre meno Henry. Ma non voleva nemmeno far preoccupare ancora di più il padre. Alzò lo sguardo.
“Non posso. È uno dei pochi posti dove io e Henry possiamo incontrarci. Ti prego, papà, non togliermi anche questo” gli disse. Gold la guardò in quegli occhi così uguali ai suoi. Meno male che non aveva ereditato quelli della madre o se no sarebbe stato peggio. Cosa che comunque era già successa da molti anni. Rose aveva intenerito parte del suo cuore oscuro fin da quando era nata. Quella bimba era la sua connessione con la luce. La sua seconda possibilità di essere stavolta un padre migliore di quanto non lo era stato in passato. Il potere lo aveva trasformato in un mostro. Il mondo senza magia lo aveva reso una persona migliore, almeno verso la figlia adorata.
“Va bene, potrai continuare ad andare a quel castello e vedere il tuo amico ma, appena vedrai qualcosa che non va, promettimi che ne starai alla larga” disse Gold mettendole una mano sulla testa.
“Te lo prometto papà” disse sorridendo Rose. Entrambi andarono al piano superiore, ma Rose si intrufolò nella camera paterna, intenta a dormire con lui. Era chiaro che ormai i due, come ogni volta, avevano fatto pace.
“Rose, vieni via da quella finestra e vieni a letto” disse Gold, guardando la figlia. Rose si era appostata davanti alla finestra per vedere se almeno Excalibur passasse nel giardino davanti, ma le volpi sono animali molto astuti e meno si facevano vedere all’occhio umano e più la loro vita era salva. La bambina stava per andarsene dalla finestra, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Quindi ritornò a guardare fuori.
“Papà, sta nevicando!” disse entusiasta.
“E’ normale. Siamo in inverno. Sarebbe strano se nevicasse in estate. Ma ora vieni a letto” disse Gold.
“Che bello, domani mattina ci sarà tutto imbiancato! E forse chiuderanno anche la scuola” disse entusiasta la bambina allontanandosi dalla finestra ed entrando sotto le coperte, accanto al padre.
“Tu non salterai neanche più un giorno di scuola. Ci andrai anche con due metri di neve” disse Gold guardandola.
“Ehi, è un’ingiustizia! Scommetto che i soli ad andarci saremmo io ed Henry. Tu e sua madre siete peggio di un capitano della polizia” disse stupita Rose guardandolo a sua volta.
“Dormi che è tardi” disse Gold sistemando meglio ad entrambi la coperta.
“Papà, mi prometti che se davvero dovessero venire due metri di neve non mi farai andare a scuola?” domandò Rose.
“Vedremo, ma ora dormi” rispose Gold. Rose si fece ancora più accanto a lui per poi chiedergli: “Papà, anche quando ero più piccola ho visto la neve?”
“Certo. Non è la prima volta che nevica a Storybrooke” rispose Gold con voce assonnata. Era chiaro che volesse dormire.
“Me lo racconteresti? Non me lo ricordo” domandò Rose. Gold aprì del tutto gli occhi, visto che li aveva chiusi per il sonno. Guardò la figlia accanto a se chiedendole: “Prometti che dormirai dopo che te l’ho raccontato?”
“Promesso. Allora l’ho mai vista la neve prima?” domandò Rose.

 
Storybrooke del passato

 
Gold stava camminando per le strade di Storybrooke mentre spingeva il passeggino con dentro Rose. La bambina si guardava intorno con curiosità. Dopotutto era normale per i bambini di quasi due anni conoscere le cose nuove intorno a loro. Dall’altra parte della strada, Ruby e sua nonna li stavano guardando.
“Guarda chi c’è. Il lupo cattivo e la pecorella smarrita” disse Ruby.
“Invece di guardarli, aiutami a sistemare l’insegna e ritorna dentro. Ci sono un sacco di clienti da servire. E poi sarà meglio rientrare. Il cielo non promette nulla di buono” replicò Granny sistemando, a fatica, l’insegna fuori dalla tavola calda e dando un’occhiata di sfuggita al cielo grigio.
“Povera creatura. Deve essere dura crescere con un padre così. Spero che gli stia facendo passare un sacco di notti insonni” disse Ruby e rientrò nella tavola calda. Granny guardò i due Gold e poi seguì la nipote.
Fortunatamente il locale era sempre ben affollato così che, con gli incassi che entravano, Granny potesse pagare l’affitto al Signor Gold. Proprio quest’ultimo entrò in quel momento. I clienti smisero per un attimo di mangiare e voltarono lo sguardo verso di lui. Gold spinse il passeggino fino alla tavola dove normalmente si metteva. Essa si trovava in un angolo, fuori dalla vista di tutti in modo che avesse il suo momento di privacy. A Gold non piaceva quando la gente ficcanasava nella sua vita privata. Si sedette mettendo il passeggino accanto a sé, in modo che potesse vedere la figlia. Gli altri clienti ritornarono alle loro consumazioni.
Ruby andò subito da lui. Sapeva che farlo aspettare significava farlo arrabbiare e, di conseguenza, far aumentare anche l’affitto.
“Buongiorno, Signor Gold. Che cosa le porto oggi?” chiese Ruby.
“Il solito. Mentre per mia figlia voglio del latte. Che non sia troppo bollente ma neanche troppo freddo. Deve essere alla giusta temperatura e soprattutto parzialmente scremato. Quello intero le fa male” spiegò Gold guardando la ragazza.
“E vuole anche che vada a cercare una mucca adatta per fare questo latte?” domandò sarcasticamente Ruby.
“Faccia meno la spiritosa, Signorina Lucas. Le voglio ricordare chi è il proprietario di questo locale e ci metto poco a sbattere fuori sia lei che la sua adorata nonnina” disse Gold. Ruby lo guardò malamente per poi spostare lo sguardo sulla piccola Rose che disse, guardando a sua volta la ragazza: “Ros...so”. La bimba aveva incominciato a parlare e ancora non conosceva molte parole. Ma alcune che pronunciava erano strane. Una volta aveva chiamato Archie “grillo”. Gold aveva una sua teoria e sperava vivamente che non fosse collegato al suo passato oscuro.
“Va bene, Signor Gold. Avrà quello che ha chiesto” disse Ruby e se ne andò. Gold guardò la figlia dicendole: “Spero che non diventerai ribelle come lei. Vorrei tanto che diventassi come la tua mamma… lo spero.” E mise una mano su quelle piccole di lei. La bambina rise, facendo sorridere Gold. Era raro vederlo sorridere, ma la figlia aveva portato un po’ di luce nel suo cuore e solo lei poteva renderlo felice, anche se non smetteva mai di pensare al suo compianto amore.
Ruby ritornò con una tazza di tè per Gold e un bicchiere di latte per la piccola Rose. “Ecco qua, Signor Gold. Il solito per lei e il latte per la piccola. Non è né troppo freddo ma nemmeno troppo caldo. È alla giusta temperatura e inoltre è parzialmente scremato. Sarà contento di sapere che non viene da nessuna mucca, ma dalla nostra cucina” spiegò Ruby.
“Bene. Ora può anche andarsene” disse Gold senza neanche ringraziarla. Ruby lo guardò malamente ma si addolcì quando voltò lo sguardo verso Rose che lo guardava a sua volta mentre si teneva una manina in bocca. Poi la ragazza se ne andò verso il bancone dove sua nonna stava pulendo alcuni bicchieri.
“Spero che gli vomiti addosso!” replicò Ruby continuando a guardare malamente Gold, il quale stava estraendo dal portabagagli del passeggino un vasetto con dentro qualcosa di giallo ocra.
“Ancora mi chiedo che fine possa aver fatto la madre. Non si è mai vista con loro” disse Granny.
“Sarà scappata via. Chi vorrebbe stare con un uomo come lui? E’ già un miracolo che abbiano avuto una figlia” disse Ruby quando vide Gold aprire il barattolo e prendere quella sostanza giallo ocra con un cucchiaino e poi metterla all’interno del latte e mescolarlo. Ruby stava per andare da lui quando Granny la bloccò per un braccio.
“L’avvelenerà” disse Ruby.
“Non la sta avvelenando. Le sta solo dando latte e miele” disse Granny. Ruby la guardò e facendo una faccia disgustata, stupita disse: “Latte e miele?! Ma che razza di intruglio è?!”
“Il miele serve come protezione contro le malattie. Il Signor Gold sta solo curando sua figlia. Niente di cui preoccuparsi” spiegò Granny.
“Oh, io non sono per nulla preoccupata. Come ti ho detto prima, spero solo che quella bambina gli vomiti addosso tutta la pappa che le darà. Diciamo come una piccola vendetta per noi altri” disse Ruby e portò le pietanze agli altri tavoli.
Intanto Gold stava imboccando la figlia che sembrava gradire molto il latte con il miele. La piccola Rose rideva e, nel farlo, metà latte e miele uscivano dalla bocca. Gold glieli puliva con un tovagliolo di carta per poi ricominciare a imboccarla. Era raro vedere Gold nel locale in momenti come questi. Sfortunatamente era calmo solo con la figlia. Quando parlava con gli altri diventava subito arrogante cercando di non farli immischiare troppo nella sua vita privata.
Poco dopo, Gold spingeva il passeggino con la figlia verso casa. Il cielo era molto grigio e c’era anche molto freddo. Sulla strada di casa, i Gold incontrarono Archie che portava a passeggio il suo cane Pongo, un bellissimo dalmata.
“Buongiorno, Signor Gold” disse Archie guardando Gold, il quale disse: “Buongiorno, Dottor Hopper”. Stranamente, Archie non gli dava fastidio. Era una di quelle poche persone – se non l’unica – che gli stavano simpatiche.
“E buongiorno anche a te, piccola Rose” finì col dire sorridendo Archie, abbassando lo sguardo e guardando la bambina che sorrise a sua volta, per poi dire: “Grillo. Grillo.” Archie si abbassò, mettendole una mano sulla testa e dicendo: “Sei proprio una bella bambina. E ogni giorno cresci a vista d’occhio. Di questo passo il tuo papà dovrà mandare via in anticipo tanti ragazzi” e si rialzò.
“Fortunatamente quel giorno è ancora molto lontano, ma quando arriverà farò in modo che quei ragazzi si pentiranno di aver bussato alla mia porta” disse Gold.
“La piccola Rose assomiglia sempre di più alla madre, ma ovviamente anche a lei, Signor Gold” disse Archie.
“Si è fatto tardi e fra poco credo che nevicherà. Meglio che rientri a casa prima che mia figlia si prenda un malanno” disse Gold cambiando velocemente discorso. Mentre passava accanto a Archie, proprio quest’ultimo, voltandosi e guardandolo, gli disse: “Prima o poi dovrà raccontare tutto a sua figlia. Ha il diritto di sapere di sua madre.”
Gold si fermò. Voltò lo sguardo dicendo: “Apprezzo il suo consiglio, Dottor Hopper, ma deciderò io quando sarà il momento migliore per raccontare ciò che è accaduto a sua madre. Arrivederci.” E se ne andò.
“Arrivederci” disse semplicemente Archie guardando i due allontanarsi, mentre qualcosa incominciava a cadere lentamente dal cielo.
Venne sera e Gold era seduto sulla poltrona in salotto intento a leggere un libro. La piccola Rose, invece, stava già dormendo nel suo lettino posto nella camera da letto paterna. Per la bambina era ancora troppo presto per la separazione dal padre. Chiuse il libro. Si alzò avvicinandosi alla tavola per poi spegnere una candela. Per lui era un rito compiere quel gesto ogni sera. Forse quella candela accesa era un simbolo per qualcuno. Una luce per qualcuno che doveva ritornare da un lungo viaggio. Depositò il libro sul tavolino accanto alla poltrona e si diresse al piano di sopra, entrando nella sua camera e avvicinandosi al lettino dove vi era Rose. La bambina dormiva beata avvolta nella coperta di lana dorata ricamata con delle rose che Gold le aveva fatto tempo addietro. Appesa alla culla vi era una giostrina da cui pendevano una tazzina sbeccata, una teiera, un candelabro e un orologio. Tutti in cristallo. Dalla giostrina usciva una dolce musica che “portava via come la marea la felicità.” Una musica di un amore perduto che Gold conosceva benissimo. Quindi sorrise e, abbassandosi, baciò delicatamente la figlia sulla fronte. Rose si mosse leggermente ma non si svegliò. Poi alzò lo sguardo guardando la rosa posta in una teca di vetro sulla finestra. Avrebbe messo quella rosa – ultimo regalo della sua amata – nella camera della figlia una volta che quest’ultima fosse cresciuta un po’. Archie aveva ragione. Non poteva negarle la figura materna. Doveva raccontarle ciò che le era successo. Non tutto, ma qualcosa doveva sapere. Stanco se ne andò a letto mentre fuori qualcosa di bianco continuava a cadere delicatamente dal cielo.
Il mattino seguente, e dopo aver fatto colazione, Gold e la piccola Rose si trovavano seduti su una panchina nel retro della casa. Durante la notte era infatti nevicato e ora era tutto imbiancato.
“Questa che vedi si chiama neve” disse Gold mentre teneva la figlia seduta sul ginocchio sinistro, visto che gli faceva male la gamba destra. La bambina guardava estasiata quella cosa bianca che le cadeva sulla faccia. Dopotutto era la prima volta che lei la vedeva.
“Bella. Bella” disse Rose battendo estasiata le manine.
“Vuoi toccarla?” le chiese Gold. Rose guardò il padre non capendo cosa intendesse, ma si attaccò a lui quando questi si alzò depositandola delicatamente a terra. Al solo contatto con quella cosa fredda che la spaventava, Rose si attaccò alla gamba destra del padre.
“Non devi avere paura. Non ti farà nulla” le disse Gold, guardandola. Rose alzò lo sguardo, dicendo: “Cattiva.”
“Non è cattiva. Devi solo far finta che sia come panna montata e vedrai che ti ci abituerai. A tutti i bambini piace la neve e sono sicuro che piacerà anche a te” disse Gold e, prendendole delicatamente le mani, la fece staccare dalla gamba per poi farla andare davanti a lui. Le fece compiere piccoli passi anche perché la figlia aveva incominciato a camminare da pochi mesi. Rose guardava ancora impaurita quella cosa bianca nella quale stava affondando i piedini. Gold continuava a camminare dietro di lei tenendole le manine. Dopotutto non voleva farla cadere. Poco dopo si fermarono, ma Rose voleva continuare a camminare. Gold però non voleva lasciarla andare.
“No, piccola” disse Gold tenendole le manine.
“No. No. Lascia” disse Rose cercando di togliere le mani del padre dalle sue.
“Tesoro, se ti lascio andare cadrai, visto che non sai ancora camminare come si deve” disse Gold.
“Lascia. Lascia” disse Rose cercando di togliere ancora le mani paterne. Gold sospirò. Quella bambina di neanche due anni sapeva essere molto testona.
“Va bene. Io ti ho avvertita” disse Gold e, appena le lasciò le manine, la bambina compì da sola alcuni passi seppur con qualche fatica, ma poi cadde. Gold era già pronto per prenderla in braccio quando Rose fece una cosa che nei mesi precedenti non aveva mai fatto prima. Si alzò in piedi da sola. Gold non poteva credere a ciò che stava vedendo. La sua bambina non solo si stava rialzando senza il suo aiuto, ma cercava di camminare. Si vedeva che aveva preso dalla madre. Era determinata e sarebbe andata fino in fondo come lei. Rose, passo dopo passo, camminava tra quella coltre di neve non accorgendosi nemmeno che il padre la stava guardando orgogliosamente. La sua bambina stava camminando per la prima volta. Se solo anche la madre ci fosse stata tutto sarebbe stato perfetto. Ma per Gold l’importante era stare con la figlia, proteggendola da qualsiasi cosa. Per più volte Rose cadeva, sporcandosi di neve. Ma per più volte si rialzava, riprendendo a camminare per il giardino. Quel dolce momento venne interrotto dal suono del campanello. Gold non diede udienza e continuò a guardare la figlia. Il campanello suonò ancora e stavolta più incessantemente di prima. Ma Gold non andava ad aprire. Non voleva rovinare quel momento che stava passando con la figlia. Tutto ad un tratto non si sentì nulla. Poi, nella recinzione al di fuori del giardino, comparve Regina che teneva in braccio suo figlio Henry di quasi tre anni. Gold alzò lo sguardo guardandola.
“Sapevo che eri in casa. Ho suonato” disse Regina.
“E io ho sentito” disse Gold e riguardò la figlia che però si era fermata a guardare la nuova arrivata. Si sedette a terra e indicandola disse: “Cattiva. Cattiva.”
Regina la guardò stranamente mentre Gold si alzava andando verso la figlia che ripeté: “Cattiva. Regina Cattiva.”
“Non badare a quello che dice. Lei si riferisce alla neve” disse Gold prendendo in braccio Rose per poi camminare verso Regina, ma comunque rimanendo nel giardino.
“E guarda caso la neve porta il mio nome. Che fantasia” disse sarcasticamente Regina.
“Le ho insegnato io ad associare le cose che non le piacciono alle persone che deve evitare” spiegò sorridendo Gold. Regina lo guardò malamente. Poi disse: “Ho bisogno di un tuo favore”
“Come vedi sono impegnato” disse Gold.
“E’ urgente, se no non avrei suonato con insistenza al campanello” disse Regina.
“Allora avresti dovuto continuare a suonare, solo che io non ti sarei venuto ad aprire. E sai il perché? Perché sto cercando di passare un po’ di tempo con mia figlia e dovresti fare lo stesso anche con il tuo” spiegò Gold.
“Di come cresco Henry sono affari miei! Tu pensa a crescere la tua marmocchia!” replicò Regina. Poi si calmò un po’ e disse: “Si tratta dell’asilo che frequenta mio figlio. Gli fanno fare delle cose strane e quelle arpie gli scombussolano le idee.”
“Credevo fosse gestito da suore” disse Gold.
“Infatti le arpie sono proprio loro e non voglio che cambino mio figlio. Voglio che tu faccia qualcosa” disse Regina.
“Credevo che crescere quel piccolo che tiene in braccio fosse un problema suo. Specialmente da quando ha firmato quelle carte per l’adozione. Il mio lavoro l’ho fatto e poi la madre è lei. Io ho già una figlia da crescere” spiegò Gold voltandosi ed incamminandosi verso casa, ma si fermò quando Regina disse: “Ricordati che tua figlia è salva grazie a me.” Gold si fermò. Voltò lo sguardo per poi chiederle: “Lei crede? Io non penso proprio.” E si rivoltò del tutto verso di lei.
“Peccato che la madre sia morta, ma forse è stata una fortuna perché voleva ammazzarla. La pazzia fa fare brutte cose” disse Regina. Lo sguardo di Gold divenne furioso. Non voleva credere nemmeno a una sola parola che usciva dalla bocca di quella perfida donna. Quindi replicò: “Vattene!”
 
“Prima devi aiutarmi” disse Regina.
“Si arrangi! E’ lei il Sindaco! Ha il potere di cacciarle qualora lei lo volesse” replicò Gold.
“Ma sei tu il proprietario di tutta la città e… odio doverlo ammetterlo ma… hai più potere di me. E poi, in quanto Sindaco, devo mantenere una reputazione” spiegò Regina.
“Facendo così passare me come il cattivo di turno. Molto gentile da parte sua, considerando tutti i favori che le ho fatto in passato. Ma non si preoccupi, vostra maestà. Quelle suore non andranno molto lontano e le sbatterò in mezzo alla strada se non riusciranno a pagarmi l'ultimo affitto del convento” spiegò Gold.
“Siamo quasi sotto Natale. Bel regalo da parte sua” disse Regina sorridendo maliziosamente.
“Babbo Natale non fa regali in anticipo e i miracoli non esistono. Vediamo se stavolta la loro fede le salverà ancora una volta” disse Gold.
“Allora ho la tua parola che farai qualcosa a riguardo?” domandò Regina. Gold abbassò lo sguardo vedendo Rose che stava giocherellando con la sua cravatta. Dopo la nascita della figlia stava cercando di diventare una persona normale. Se avesse sbattuto quelle suore per strada proprio sotto Natale, di certo sarebbe ritornato ad essere crudele come un tempo spazzando via quel briciolo di luce che gli era rimasto. Riguardò Regina rispondendole: “Vedrò cosa fare.”
“Molto bene, Gold. Ma bada di non deludermi” disse Regina e voltandosi se ne andò.
“Ma io non ho promesso nulla” disse Gold sorridendo maliziosamente quando Regina svoltò l’angolo. Poi guardò Rose che diceva: “Cattiva. Cattiva.”
“Vedrai che, prima o poi, la neve ti piacerà” disse Gold. Rose lo guardò dicendo: “Regina Cattiva. Neve bella.” Gold sorrise e, mentre rientravano in casa, propose: “Che ne dici se il papà ti prepara una bella cioccolata calda e poi ci guardiamo i cartoni animati?”
“Papà buono” disse Rose.
“Sei l’unica a pensarlo, piccola mia” disse Gold.

 
Storybrooke del presente

 
Gold fece un piccolo sorriso nel ripensare a quel dolce momento. Abbassò poi lo sguardo vedendo che Rose si era addormentata. Si stava per addormentare anche lui quando sentì dei rumori. Voltò lo sguardo per vedere Excalibur passare nel corridoio mentre teneva in bocca una coperta. Gold inarcò un sopracciglio per lo strano comportamento di quella volpe. Cercando di non svegliare la figlia, si alzò. Prese il bastone che aveva appoggiato al comodino e uscì dalla camera, scendendo le scale e seguendo Excalibur nel retro della casa. La vide entrare proprio in quell’edificio del quale aveva chiesto Rose nel pomeriggio. Troppe cose non coincidevano e Gold voleva saltarci fuori. Aspettò che la volpe entrasse del tutto nell’edificio per poi seguirla, ma appena vide chi altri c’era lì rimase senza parole. Avvolta in una coperta e distesa su dei cuscini, c’era Paige. Gold guardò malamente Excalibur che guardò a sua volta il padrone, abbassando le orecchie ed emettendo dei versetti. Era stata scoperta.





Note dell'autrice: Eccoci qua con la conclusione del capitolo. Grazie per aver aspettato. La mia beta reader ha avuto dei problemi con il pc (le è morto che nemmeno una magia di Rumple può riportarlo in vita) ma a lei farò una statua perchè è riuscita lo stesso a correggere il capitolo dal cell (e spero nn le si sia ridotta la vista). Come avete potuto notare, il flashback stavolta nn riguarda la foresta incantata ma a storybrooke. Spero di essere stata nel personaggio di Rumple ma ho voluto fare questo momento puccioso con lui e la piccolina. La frase che esce dal carillon sulla culla è ovviamente parte della colonna sonora della Bella e la Bestia. Come potevo non metterla no? E i personaggi sulla culla stessa ovviamente sono Lumiere, Chicco, Mrs Bric e Tockins e li ho presi da delle decorazioni natalizie viste nella Bella e La Bestia un Magico Natale (vi metto la foto qua sotto per farvele vedere)

Ringrazio come sempre chi segue la storia. Chi la recensisce e l'ha messa nelle seguite. Grazie ancora alla mia beta reader Lucia ed a Elena per i suoi stupendi disegni sulla sua pagina facebook. Vi aspetto al prossimo capitolo. E sogni "Gold" a tutti miei cari Oncers



Ecco le decorazioni posti sulla culla. Ovviamente nn sn colorati come nell'immagine

 

 

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Capitolo 13
*** Operazione Coccodrillo - Parte I ***







The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo VII: Operazione Coccodrillo - Prima Parte


 
Rose stava dormendo nel letto paterno quando si sentì scuotere e chiamare.
“Rose. Rose, piccola, svegliati.” Gold la scuoteva delicatamente. Rose aprì un occhio e, guardandolo, disse: “Papà, ma cosa c’è?”
“Dai, svegliati” disse Gold e si allontanò da letto. Rose spostò lo sguardo sulla sveglia posta sul comodino e, dopo aver visto l’orario, disse: “Sono solo le cinque. Perché mi svegli a quest’ora?” Poi però le venne un dubbio. Aprì del tutto gli occhi e, dopo essersi seduta, guardò il padre e stupita disse: “Oddio, sono venuti due metri di neve, solo che tu vuoi farmi andare lo stesso a scuola. E per evitare di rimanere bloccati per strada mi fai alzare molto in anticipo.”
“Sarai contenta di sapere che non si tratta di quello. Mettiti qualcosa di più pesante e seguimi” disse Gold guardandola per poi uscire dalla stanza. Rose lo guardò stranamente.
Poco dopo, padre e figlia stavano camminando verso l’edificio sul retro mentre continuava a nevicare.
“Papà” disse Rose prima di sbadigliare, camminando dietro al padre “perché stiamo andando verso questo edificio? Me lo hai detto tu stesso che contiene solo vecchia roba piena di polvere.”
“Poche domande e cerca di rimanere sveglia, o se no rischierai di rovesciare quel bicchiere di latte” rispose Gold mentre teneva con la mano sinistra un piatto con sopra dei biscotti. Rose abbassò lo sguardo sul bicchiere di latte che teneva in mano. Poi riguardò il padre dicendo: “Non ho ancora capito del perché stiamo portando questa roba proprio lì dentro. Non ci saranno mica dei topi… vero?”
“Ancora non lo so” disse Gold e Rose deglutì per la paura. Entrarono nell’edificio e Rose rimase a bocca aperta non appena vide Paige.
“Paige” disse Rose.
“Sssh” le disse Gold guardandola. Poi riguardò avanti e, abbassandosi, mise il piatto con sopra i biscotti davanti alla bambina.
“Che cosa ci fa qua Paige?” chiese Rose.
“Non è a me che lo devi chiedere, ma alla nostra amica” rispose Gold. Rose guardò verso Excalibur dicendo: “Ora incomincia a essere tutto chiaro del perché Excalibur aveva quel comportamento sospetto. E chi ha preso quella roba dal frigorifero e anche il burro di noccioline.”
“Quanto sai di questa bambina?” domandò Gold non distogliendo lo sguardo da Paige.
“Che odia i suoi genitori e di sicuro non vuole ritornare a casa” rispose Rose guardandolo.
“Se Excalibur l’ha portata qua, di sicuro ha in mente qualcosa” disse Gold e, voltandosi, uscì dall’edificio. Rose lo guardò stranamente. Poi depositò il bicchiere accanto al piatto e lo seguì.
“Papà, forse dovremmo fare qualcosa, non trovi?” chiese Rose affiancandosi a lui.
“Tu dici?” domandò Gold guardandola per poi entrare in casa. Rose si fermò e lo guardò stranamente. Poi lo seguì e gli rispose: “Sarebbe meglio dirlo ai suoi genitori, ma… visto come stanno le cose familiari tra lei e loro, meglio tenere la bocca chiusa.
“Excalibur l’ha portata qua per un motivo e quel motivo è nasconderla e tenerla lontana il più possibile dai suoi genitori” spiegò Gold entrando in cucina.
“Questo non è… ecco… sleale? Insomma, tu hai sempre fatto le cose per bene – si fa per dire – e ora stai nascondendo una bambina dai suoi genitori. Ok, dove sta il trucco? Tu vuoi guadagnarci qualcosa e magari sai anche che i suoi genitori accetteranno” disse Rose.
“Non c’è né trucco, né inganno. Ho scoperto della nostra ospite solo qualche ora fa e, visto che è amica tua, voglio che stia al gioco” disse Gold guardandola.
“Non ci metteremo nei guai così, vero?” chiese Rose.
“Sono il padrone di tutta la città. Nessuno vorrà mettersi contro di me” rispose Gold.
“Ok, che cosa devo fare per aiutarti a reggere questo gioco?” domandò Rose.
“Scopri più informazioni che puoi su di lei e i suoi genitori. Ovviamente non bisognerà mai perderla d’occhio. Potresti farti aiutare dal tuo amico Henry” rispose Gold.
“Ecco, a proposito di Henry, ci sarebbe anche un’altra cosa della quale dovrei parlarti. Ti ricordi quando è scappato? Be', quando è ritornato ha portato con sé un’altra persona. Si chiama Emma Swan” spiegò Rose.
“Emma, che bellissimo nome. Sì, mi pare di conoscerla. L’ho vista stasera dal Bed & Breakfast di Granny mentre sono andato a riscuotere l’affitto. Stava affittando una camera” spiegò Gold.
“Infatti aveva detto che si sarebbe fermata” disse Rose.
“E quand'è che l’avrebbe detto?” chiese Gold. Rose guardò a destra e a sinistra. Doveva dire a suo padre che l’altra sera stava per oltrepassare la linea di confine?
“Quando… ehm… io e Paige eravamo andate…” iniziò col dire Rose, ma poi si fermò.
“Sì, Rose? Dove eravate andate? Su, continua” disse Gold. Rose deglutì per la paura, poi continuò: “Alla linea di confine. Lei voleva scappare mentre io volevo andare a cercare Henry. È stato lì che Henry è ritornato.” E abbassò lo sguardo. Stranamente non sentì nessuna replica da parte di suo padre. Quindi rialzò lo sguardo domandandogli: “Papà, sei arrabbiato?”
“Dovrei esserlo?” chiese Gold guardandola, ma era evidente che lo fosse.
“In teoria sì. Dopotutto volevo oltrepassare quella linea, anche se ancora non capisco cosa mi sarebbe successo” rispose Rose.
“Lo avresti fatto davvero? Rispondimi sinceramente” domandò Gold.
“No” rispose Rose abbassando lo sguardo.
“Allora non sono arrabbiato” disse Gold. Rose lo guardò dicendogli: “Invece dovresti. Stavo per oltrepassare quella linea.”
“Ma non lo hai fatto” disse Gold.
“Non l’ho fatto perché Henry è ritornato prima” disse Rose.
“E non avresti superato quella linea” disse Gold.
“Come ti ho detto no, non lo avrei fatto. Papà, ma cosa ti prende? Perché non sei arrabbiato?” chiese Rose.
“Perché ho fiducia in te, piccola mia, e so che non ti azzarderesti mai a compiere qualcosa di stupido prima di averci pensato su bene” rispose Gold.
“Hai ragione, papà. E poi perché mai dovrei andarmene quando ho te? Non posso lasciarti. Ti voglio troppo bene per farlo. E poi ci sono Henry, Paige ed Excalibur. E persino Dove. Probabile che dopo aver attraversato quella linea, avrei trovato solo guai. Quindi meglio rimanere qua” spiegò Rose. Gold sorrise. Poi Rose aggiunse: “Ci sarebbe anche un’altra cosa e riguarda sempre Henry. Ti ricordi quando ti chiesi delle fiabe? Ha questo libro che gli ha donato Mary Blanchnard e secondo lui tutti gli abitanti di Storybrooke provengono dalla Foresta Incantata. E sai anche che io non gli credo.”
“E per questo ti eri riputata una pessima amica. Sì, ricordo che me lo avevi raccontato. Ma questo può essere a nostro favore” disse Gold. Rose inarcò un sopracciglio per poi domandargli: “In che senso?”
“Quel bambino sembra sapere molte cose su questa cittadina. Se incomincerai a credergli, probabile che riesca anche a dirti di più sulla nostra ospite nel retro” spiegò Gold.
“Cioè dovrei credere che gli abitanti di Storybrooke provengono veramente dalle fiabe e magari anche tu?” chiese stupita Rose.
“Esattamente. Non è poi tanto complicato” rispose Gold.
“Papà, sono solo fiabe che anche tu mi racconti ogni sera. Mi stai obbligando a credere a queste assurdità?” disse Rose.
“Devi semplicemente fare finta in modo che il tuo amichetto riveli qualche informazione utile riguardo quella bambina. Non sappiamo quasi nulla di lei e il figlio del Sindaco potrebbe essere la nostra soluzione. La nostra pedina migliore da giocare” spiegò Gold.
“Quindi, se ho capito bene, dovrei spiarlo?” domandò Rose.
“L’intenzione è quella, ma detta così sembra che ti metta contro il tuo amico” rispose Gold.
“Sai, Henry vorrebbe che facessi parte dell’“Operazione Cobra” disse Rose.
“Operazione Cobra?!” ripete stupito Gold.
“Si tratta di scoprire se i personaggi delle fiabe sono gli abitanti di Storybrooke e soprattutto far credere a Emma che lei sia la Salvatrice che farà tornare a tutti la memoria” spiegò Rose. Calò il silenzio. Poi Gold le disse: “E ora hai la possibilità di farne parte.”
“Contro il mio volere” disse Rose.
“Non ti obbligando, è per aiutare la tua amica” disse Gold.
“Non è da te essere così generoso nei confronti degli altri. Secondo te dovrebbero farsi i propri affari. Invece ora vuoi a tutti i costi aiutare Paige. E non hai pensato ai suoi genitori? La staranno cercando… almeno penso” disse Rose.
“Di loro non me ne frega nulla! Saprò gestirli! Tu invece pensa ad entrare nell’operazione del tuo amico” disse Gold.
“Va bene, ma a questo punto dovremmo inventarci un nome in codice per la nostra, di operazione. Dopotutto stiamo agendo in incognito” disse Rose. Gold la guardò stranamente. Poi Rose aggiunse proponendo: “Che ne dici di “Operazione Tic Toc”?”
“Non mi piace” disse Gold.
“Operazione Coccodrillo”?” propose Rose.
“Assolutamente no! E’ fuori discussione!” replicò Gold.
“Ma bisogna trovare un nome d’effetto. Quello di Henry porta il nome di uno tra i serpenti più velenosi che esistano. Anche il nostro deve essere duro” disse Rose.
“Allora trova un altro animale che non sia il coccodrillo” disse Gold.
“Scusa, ma mi dici cosa hai contro il coccodrillo? Poi suona bene con la nostra operazione… anche se non cacciamo nessun coccodrillo. Ma neanche Henry caccia qualche cobra” chiese Rose.
“E’ che…. non amo particolarmente questo animale” disse Gold. Ma Rose capì che, nella sua voce, stava in realtà mentendo. Che c’era un altro motivo. Preferì non entrare troppo nei particolari. Quindi disse: “ Va bene. Come vuoi.”
“Basta solo che riesci a entrare nell’operazione del tuo amico e scoprire più informazioni possibili riguardo quella bambina” disse Gold.
“Sì, sì, ho capito, vedrai che ci riuscirò. Dopotutto riesco a essere molto persuasiva” disse sorridendo Rose. Gold la guardò e la bambina aggiunse dicendo: “Be', ho preso da te.”
“Se tutto andrà per il verso giusto, forse quella bambina avrà un futuro migliore” disse Gold.
“E’ tutto molto bello, ma papà…” iniziò col dire Rose e, dopo che Gold ebbe voltato lo sguardo verso di lei, continuò: “… possiamo ritornare a letto? Sono solo le cinque del mattino e dovrò svegliarmi presto per andare a scuola. O forse non mi stai mandando a letto perché la scuola non ci sarà?”
“Per domani la scuola rimarrà chiusa. Se la tua preside prova ad aprirla, giuro che sbatto lei e le sue figlie fuori da questa città” disse Gold. Rose sorrise e abbracciandolo disse: “Sei il papà migliore al mondo.”
“Non dicevi questo di me quando eri in punizione” disse Gold. Rose alzò lo sguardo guardandolo e gli disse: “Be', lì era normale, visto che nessun figlio vorrebbe stare in punizione. Ma quando un padre tiene chiusa la scuola, qualunque bambino dovrebbe fare una statua in suo onore.”
“Ora non esagerare e ritorniamo a letto” disse Gold camminando verso le scale, seguito dalla figlia.
“E cosa facciamo con Paige? Morirà congelata là fuori” domandò Rose.
“C’è Excalibur che pensa a lei, e poi è ben coperta e ha già da mangiare. Domani mattina presto le porteremo la colazione e poi andremo da Granny’s” rispose Gold incominciando a salire i gradini.
“Perché da Granny’s? Pensavo facessimo colazione qua a casa” chiese Rose mettendo un piede sul primo gradino. Gold si fermò e, mentre teneva la mano sinistra sul corrimano, voltò lo sguardo rispondendole: “ Perché il tuo amichetto va sempre lì ogni mattina. Quindi sarebbe la giusta occasione per farti entrare nella sua operazione.”
“Io continuo a pensare che sia sleale, ma visto che l’idea è venuta da te, non sarà poi così disonesto” disse Rose.
“E ricordati che non sei obbligata a credere veramente alla sua teoria che gli abitanti di Storybrooke provengano dalle fiabe. Devi solo assecondarlo” disse Gold e, riguardando avanti, finì di salire le scale. Rose se ne rimase lì. Davvero avrebbe tratto in inganno il suo migliore amico? E se lui avesse scoperto, tutto come avrebbe reagito? Doveva veramente fargli questo affronto?
Il mattino seguente, dopo aver messo latte e biscotti freschi davanti a Paige, padre e figlia se ne andarono da Granny’s. La tavola calda già brulicava di persone. Rose si andò a sedere a uno dei tavoli mentre Gold se ne stette in piedi accanto a lei, guardandosi intorno.
“Ancora non c’è. Il che è strano, visto che è sempre uno dei primi ad arrivare” disse Rose.
“Arriverà. Tu nel frattempo tieni gli occhi ben aperti” disse Gold e se ne andò al bancone. Rose si guardò intorno quando al tavolo arrivò Emma. La bambina la guardò.
“Ciao Rose. È bello rivederti” disse la bionda.
“Salve, Signorina Swan. A quanto pare si è fermata veramente. Cosa le ha fatto cambiare idea?” chiese Rose.
“Henry. È stato lui a farmi cambiare idea. Vorrei poterlo conoscere meglio” rispose Emma.
“Se vuole il mio aiuto, al momento non posso. Ho degli impegni con mio padre” disse Rose.
“Riguardo ieri sera... non si sarà arrabbiato dopo che ti ho riportata a casa, vero? Aveva uno sguardo molto preoccupato” domandò Emma.
“Ho solo ricevuto un’altra punizione. Niente di preoccupante. Ormai ci sono abituata” rispose Rose.
“A vederlo non mi è sembrato un tipo molto severo” disse Emma.
“Non lo è. Ma molti lo ritengono tale solo perché possiede tutta la città” disse Rose. Emma la guardò stranamente per poi ripetere: “Possiede tutta la città? Ma com…” Ma non fece in tempo a finire la frase che qualcuno comparve accanto a lei, dicendo: “Signorina Swan, ma che piacevole sorpresa rivederla.” Emma voltò lo sguardo per trovarsi Gold accanto a sé.
“Ieri sera non ci siamo propriamente presentati. Sono il Signor Gold. Proprietario del Negozio dei Pegni qua vicino” disse Gold.
“E a quanto pare anche di tutta la città” aggiunse dicendo Emma.
“Le voci in questa piccola cittadina tendono a girare molto velocemente” disse Gold. Poi guardò Rose aggiungendo: “Vedo che ha già fatto amicizia con mia figlia.”
Emma guardò sbalordita Gold. Era lui il vero padre di Rose e non quell’uomo che pensava che fosse la sera prima quando aveva riportato la bambina a casa. Riguardò Rose dicendole: “Non mi avevi detto che il Signor Gold era tuo padre.”
“Lei non me lo aveva chiesto, e poi ieri sera andava di fretta” disse Rose guardandola.
“Pensavo che quell’uomo fosse tuo padre” disse Emma.
“Dove è la nostra guardia del corpo e papà l’ha assunta perché mi sorvegli” disse Rose.
“Cosa che invece sembra non abbia fatto. Rose, che cos’altro è successo ieri sera che ancora non mi hai raccontato?” chiese Gold. Dal suo tono, Rose capì che si stava arrabbiando. Titubante iniziò col dire: “Ecco… io e Henry stavamo…”, ma Emma continuò: “…girando per la città quando li ho visti, e uscivano proprio da qua.”
Gold inarcò un sopracciglio. Poi, mettendo entrambe le mani sul pomello dorato del bastone domandò: “E cosa ci facevate tu e il tuo amichetto, in giro per la città di sera?”
“Con loro c’era una bambina. Si chiamava Paige, se non ricordo male. Molto probabilmente erano solo usciti per un drink, anche perché quella bambina aveva detto che non voleva ritornare a casa” spiegò fingendo Emma e guardando Gold. Anche Rose lo guardò, non riuscendo però a capire dalla sua espressione se fosse arrabbiato oppure no.
“La prossima volta che esci avverti almeno Dove, o dovrò aumentargli la paga” disse Gold.
“Va bene. Lo farò” disse Rose.
“Su, è ora di andare. Abbiamo delle cose importanti da fare” disse Gold e mentre Rose si alzava Emma chiese: “Quali cose importanti?”
“Faccende personali che riguardano solo me e mia figlia. E gradirei tanto, Signorina Swan, che non si impicciasse più” rispose Gold guardandola.
“D’accordo. Se lo dice lei” disse Emma. Gold camminò verso la porta. Rose passò accanto a Emma dicendole semplicemente “Grazie”, per poi seguire il padre e uscire dal locale. Emma rimase senza parole. Non si sarebbe mai aspettata che Gold fosse il padre di Rose. Insomma, quella bambina era dolce, anche se una peste. Mentre Gold sembrava esattamente il contrario. Ma si vedeva che voleva bene alla figlia.
Gold e Rose stavano camminando fianco a fianco. “Papà, scusami se non ti ho raccontato tutto” disse Rose.
“L’importante è che tu non abbia superato quella linea rossa” disse Gold. Rose si fermò e stupita domandò: “Come facevi a sapere che…”, ma Gold la bloccò dicendole e fermandosi per guardarla: “E’ chiaro che la Signorina Swan abbia mentito per coprirti. Ed era anche chiaro che volessi andare a cercare il tuo amico.”
“Papà, ti ho dato la mia parola che non oltrepasserò mai quella linea e che non lo avrei mai fatto. Ti puoi fidare di me” disse Rose. Ci fu silenzio nel quale Gold guardava la figlia e mentre padre e figlia si guardavano senza dirsi nulla, dal cielo la neve si posava su di loro. Infatti da poco aveva ricominciato a nevicare, ma anche se non erano venuti due metri di neve – come aveva sperato Rose – le scuole rimasero lo stesso chiuse anche perché, in mattinata presto, alle presidi era arrivata una lettera che obbligava loro di tenerle chiuse fino a che la neve non se ne fosse andata via del tutto. Considerando chi aveva scritto quelle lettere, decisero di non opporre resistenza e di ubbidire senza fiatare.
Gold si riavvicinò alla figlia e, dopo averle messo una mano sulla guancia, disse: “Sì, mi fido di te” e Rose sorrise. Poi Gold aggiunse: “Ora dobbiamo trovare il tuo amico.” E ripresero a camminare fianco a fianco.
“Hai qualche idea di dove potrebbe trovarsi?” chiese Rose.
“E’ amico tuo. Lo conosci meglio di me” rispose Gold.
“Escluderei subito casa sua. Meno sta con sua madre e meglio è. Non credo nemmeno che si trovi con il Dottor Hopper. Secondo lui lo crede pazzo” spiegò Rose.
“Dovrebbe smetterla di andare alle sue sedute, ma sua madre lo obbliga e lui non può farci nulla” disse Gold.
“Forse so dove potrebbe trovarsi Henry” disse Rose.
“Il vostro castello sulla spiaggia. Va bene, sei libera di andarci, ma solo perché fa parte dell’operazione. Appena avrai scoperto qualcosa, torna subito a casa” disse Gold.
“Non al negozio?” domandò Rose.
“Oggi non lo apro. Con tutta la neve che è venuta, non credo venga qualcuno” rispose Gold.
“Non che sia mai venuta gente neanche quando non è nevicato” disse a bassa voce Rose, ma Gold la sentì. Quindi le chiese: “Che cosa hai detto?”
“Che fai bene a chiuderlo per oggi, perché tutti se ne staranno al caldo in casa” rispose fingendo Rose.
“Vedi di farti dare più informazioni che puoi. La nostra operazione non può fallire” disse Gold.
“Riuscirò a farmi dire il più possibile. Tu nel frattempo assicurati che Paige non sospetti nulla. Deve capire che nessuno di noi due sa che si trova nel retro di casa nostra” spiegò Rose.
“Sono consapevole di ciò che riguarda l’Operazione Coccodrillo, anche se ancora non sono del tutto convinto di questo nome” disse Gold.
“Spero che lo apprezzerai, almeno dopo che abbiamo risolto tutto con Paige” disse Rose.






Note dell'autrice: Buona sera miei cari Oncers ed eccovi qua con un nuovo capitolo. Ebbene sì non solo c'è l'Operazione Cobra ma ora abbiamo anche l'Operazione Coccodrillo e questa tra Gold e Rose. E visto che l'Operazione prevede che Rose creda a Henry, forse è la volta buona che creda veramente alla teoria dell'amico. Gold non sembra molto apprezzare il nome scelto per l'operazione ma forse il motivo è noto a tutti, no? E Paige si accorgerà che Gold e Rose sanno della sua esistenza? Qualcosa mi dice che nella prossima parte del capitolo succederà qualcosa e vediamo se l'Operazione reggerà ed avrà successo.

Volevo ringraziare tutti coloro che stanno seguendo la storia (anche in silenzio) e coloro che la stanno recensenso. Vi avverto che la trama verrà un pò stravolta (anche perchè sn affezionata ad un personaggio che più avanti ci lascerà (terza serie ed ho detto tutto) e non voglio fargli fare una brutta fine. Quindi ho già in mente altro per lui. Grazie ancora per tutto ed al prossimo aggiornamento

Un notte "Gold" a tutti
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Operazione Coccodrillo - Parte II ***






The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo VII: Operazione Coccodrillo - Seconda Parte

 
Poco dopo, Gold si trovava a casa. Stava pulendo un po’ di oggetti posti in una vetrinetta in salotto quando il campanello suonò. Excalibur, che si trovava in salotto con lui acciambellata in una cesta di vimini posta accanto a una delle poltrone, alzò lo sguardo drizzando le orecchie. Gold la guardò dicendole: “Sai cosa fare.” E mentre la volpe correva nel retro della casa, prese il bastone che aveva momentaneamente appoggiato contro un tavolino e camminò verso l’entrata. Aprì la porta per trovarsi davanti Regina, Graham e altre due persone. Rispettivamente un uomo e una donna.
“Sindaco, a cosa devo questa sua lieta visita? E’ da lei venire senza avvisare, ma stranamente questa volta è in dolce compagnia” disse Gold e guardò sorridendo Graham, il quale disse: “Siamo qua per un’ispezione.”
“Se avessi saputo che mi avreste fatto visita, avrei iniziato prima le mie pulizie di primavera” disse Gold.
“E’ inverno” disse Graham.
“Meglio sempre farle con largo anticipo, o se no non si riesce mai a finirle” disse Gold.
“Poche chiacchiere, Gold, e facci entrare!” replicò Regina. Gold sperava di aver preso molto tempo da permettere a Excalibur di agire il più possibile. Quindi si fece da parte, così che i quattro potessero entrare. Poi chiuse la porta, rivolgendosi a loro: “Allora, con chi ho il piacere di parlare?”
“Loro sono i Signori Grace. È strano che non ti ricordi di loro, visto che la loro casa è di tua proprietà” rispose Regina. Gold li guardò dicendo: “Sì, mi ricordo perfettamente di loro due. L’ultima volta che sono venuto a riscuotere l’affitto non avevate rinchiuso vostra figlia dentro al ripostiglio delle scope?”
“Come osa?! Non ci permetteremo mai di fare una cosa del genere a nostra figlia!” replicò la madre.
“Dico solo ciò che vedo” disse sorridendo Gold. Regina si schiarì la gola portando l’attenzione su di lei, per poi dire: “Siamo qua perché i genitori di Paige hanno visto la loro figlia parlare con la sua”
“Se Rose parla con la loro figlia, non è detto che le sia diventata amica. Parla anche con il Sindaco, ma non gli sta simpatico” disse Gold e Regina lo guardò malamente.
“Credono che la figlia si nasconda qua” disse Graham.
“Casa mia non è un rifugio per bambini dal mancato affetto genitoriale” disse Gold.
“Sceriffo, inizi subito con l’ispezione” disse Regina, ma appena Graham fece un passo avanti, Gold lo bloccò mettendogli davanti il bastone. Lo guardò e gli disse: “Se fossi in lei non lo farei”. I due si guardarono con sguardo come di sfida. Poi indietreggiò. Gold riguardò gli altri tre dicendo: “Se volete fare la vostra ispezione, non dovrete toccare nulla e seguire sempre me. In questa casa ci sono preziosi oggetti che odierei vedere rotti. Quindi vi pregherei di non astenervi da queste regole, oppure quella è la porta.” E indicò la porta d’ingresso con il bastone.
“Ma allora non sarà più un’ispezione se non possiamo toccare nulla” disse Graham.
“C’è ispezione e ispezione, Sceriffo, e visto che vi trovate in casa mia farete ciò che vi ho detto, anche se dubito troverete ciò che state cercando” disse Gold.
“Questo lo dici tu” disse Regina. Poi guardò Graham aggiungendo: “Cerchiamo quella bambina. Devo andare a prendere Henry dal Dottor Hopper”. Gold sapeva benissimo che Henry non si trovava dal Dottor Hopper, ma molto probabilmente sulla spiaggia dove, in quel momento, c’era anche sua figlia. Non poteva permetterle di andare là.
“Molto bene, Sindaco. Questo è il salotto e come ben vedete non c’è nessuna bambina nascosta” disse Gold.
“Avete qualche cane o gatto?” domandò il Signor Grace.
“Perché mi fa questa domanda?” chiese Gold guardandolo.
“Be', perché qua c’è una cesta in vimini” rispose il Signor Grace indicando la cesta accanto a una delle due poltrone.
“Ci metto semplicemente dei gomitoli di lana, e poi non vedo come questo possa avere a che fare con vostra figlia. Ora vi prego di seguirmi in cucina” disse Gold e si incamminò verso la cucina, ma venne bloccato da Graham che disse: “O magari è una cuccia per una volpe”. Gold si fermò. Voltò lo sguardo dicendo: “Non tengo nessuna volpe, e poi le volpi vivono da sole nelle foreste e non in case lussuose.”
“Non si sa mai. Dopotutto lei è un uomo molto misterioso” disse Graham.
“E ancora ho tante cose nascoste che voi non sapete. Ma ora proseguiamo con la visita” disse Gold ed entrò in cucina, seguito dagli altri. Mentre si guardavano intorno, Gold diede un’occhiata veloce dalla finestra – che dava sul retro – per vedere se Excalibur avesse fatto progressi. Non vedendo nessun movimento si rivoltò verso gli altri e disse: “Come vedete, la bambina non si nasconde nemmeno qua. Volete quindi seguirmi al piano superiore? Ma vi avverto che oggi la gamba mi fa più male del solito” e si diresse verso le scale.
“Signor Gold, visto che ci troviamo ancora al piano inferiore, non sarebbe meglio approfittare ed andare nel giardino del retro? Così non perderemo tempo inutilmente ad andare al piano superiore” disse Regina. Gold si fermò e si voltò dicendogli: “Siete venuti senza avvisare e mi incolpate di nascondere una bambina che a malapena conosco. Questa è casa mia e si fa come dico io. Se non siete d’accordo potete anche uscire e lasciarmi alle mie faccende”. Vi fu silenzio. Poi Regina disse: “Molto bene, Gold. Ci mostri il piano superiore” e Gold incominciò a salire su per le scale, seguìto dagli altri. Una volta al piano superiore, guardarono in tutte le camere, ovviamente non trovando chi stavano cercando. Ma a Regina non sfuggì il coniglietto di peluche posto sul letto di Rose. Guardò Gold dicendogli: “Credevo che a tua figlia non comprassi della roba di così basso valore.”
“E’ importante per chi cercate? Credo di no” disse Gold. Regina sorrise e, passandogli accanto, lo guardò come per fargli capire qualcosa, per poi uscire dalla stanza dirigendosi verso le scale. Gold li seguì e, appena ritornarono al piano inferiore, Graham si diresse verso la porta che dava sul retro. Gld, però, con passo piuttosto veloce per uno che zoppica, lo superò, mettendosi tra lui e la porta.
“Gold, si sposti” disse Regina.
“Non troverete nulla sul retro se non solo vecchie cianfrusaglie e un giardino che è uguale identico a quello davanti” disse Gold.
“Normalmente i giardini sono i luoghi ideali dove si nascondono i bambini” disse Graham.
“Non l’avete trovata in casa. Figuriamoci proprio nel giardino sul retro” disse Gold.
“Gold, sta cercando di prendere tempo per qualcuno?” domandò Regina come se sospettasse qualcosa.
“Non me lo permetterei mai. Soprattutto non nei suoi confronti, Sindaco” rispose sorridendo Gold. Regina andò di fronte a lui dicendo: “Qualcuno potrebbe ricevere ben presto in regalo una deliziosa torta di mele.”
“E io l’accetterei, solo che ho insegnato a mia figlia a odiare le mele, soprattutto quelle rosse” disse Gold.
“Ma potrebbe esserci qualcun altro a cui piacciono le mele. Come per esempio a un certo animale con la pelliccia rossa” disse sorridendo maliziosamente Regina.
“Mi dispiace deluderla, Sindaco, ma come ho detto prima, non ci sono volpi in questa casa” disse Gold.
“Ma io sono sicura che prima o poi salterà fuori e se davvero è così, so che lei ci condurrà subito ad ispezionare il retro, se non vuole che faccia una brutta fine” disse Regina. Gold la guardò in silenzio per poi mettere la mano sinistra sul pomello della porta e aprirla. Uscì seguito dai quattro. Camminarono per il sontuoso giardino e Gold si guardò a destra e a sinistra. Arrivarono all’edificio.
“A questo punto spero che Paige si trovi qua dentro” disse la Signora Grace.
“Spera male, Signora” disse a bassa voce Gold, ma la Signora Grace lo sentì. Quindi gli chiese: “Cosa ha detto?”
“Che fa bene a sperare, anche se dubito che la sua amata figlioletta si trovi qua dentro” rispose Gold guardandola e facendo un finto sorriso. Poi riguardò avanti aprendo la porta. I cinque guardarono dentro e….
Regina e gli altri guardarono Gold: “Spero tu stia scherzando” replicò Regina.
“E voi spero abbiate già pronte le scuse per me” disse Gold. All’interno dell’edificio avevano trovato tanta vecchia roba. Un grosso cumulo coperto da un telo non più bianco sopra al quale vi erano sacchi di patate e… quella che sembrava una volpe. Mentre Graham entrava, Regina guardò Gold, il quale disse: “Ma allora una volpe c’è. Peccato che sia impagliata.”
“Ora lo vedremo se è impagliata oppure no” disse Regina ed entrambi riguardarono avanti, quando Graham si abbassò proprio di fronte alla volpe. La guardò. La toccò. Avvicinò il viso per guardarla meglio. Le strofinò un dito sotto il naso. Ma la volpe rimase immobile. Voltò lo sguardo all’indietro dicendo: “E’ proprio impagliata” e, rialzandosi, tornò dagli altri che uscirono dall’edificio. Gold diede un’occhiata di sfuggita alla volpe e poi uscì, dicendo: “Ora vi renderete veramente conto che quella bambina non si nasconde qua e che mi dobbiate delle scuse.”
“Va bene, Gold, avrà le sue scuse, ma io continuo a pensare che sua figlia sia in combutta con quella bambina” disse Regina, quando d'un tratto sentirono starnutire.
“Che cosa è stato?”  domandò il Signor Grace.
“A me è sembrato uno starnuto” disse Regina e si sentì nuovamente starnutire, solo che stavolta anche Gold starnutì. Gli altri lo guardarono. Lui li guardò a sua volta dicendo: “Sono allergico a chi non mi fa le scuse.”
“E va bene, Gold, ci siamo sbagliati. Quella bambina non si trova qua” disse Regina.
“Cosa odono le mie orecchie. Il Sindaco che ammette di essersi sbagliato” disse Gold. Regina gli lanciò un’occhiataccia. Poi guardò gli altri tre dicendo: “La cercheremo da un’altra parte. Storybrooke non è una grande cittadina e vostra figlia non può uscire dalla città.”
“E’ molto brava a leggere nella mente di un bambino. Infatti suo figlio è andato e ritornato da Boston come se niente fosse” disse Gold. Regina lo guardò dicendogli: “L’ho solo perso di vista per un po’.”
“Chissà se lo avesse perso di vista per un’ora che cosa sarebbe successo” disse Gold. Regina lo guardò malamente per poi spostare lo sguardo su Graham dicendogli: “So un altro posto dove potrebbe trovarsi” e rientrò  nella villa seguita da Graham. I Signori Grace stavano per seguirli, quando Gold, camminando accanto a loro disse: “Una parola in privato con voi” e superandoli entrò nella villa. Regina e Graham, nel frattempo, erano già usciti, aspettando la coppia accanto alla macchina dello Sceriffo. Gold si fermò accanto alla tavola, sui cui c'erano degli strani fogli. I Signori Grace si fermarono dal lato opposto del tavolo e notarono anche loro i fogli che prima non c'erano.
“Quanto volete bene a vostra figlia? Siate sinceri almeno su questo” chiese Gold.
“Come sarebbe a dire “almeno su questo”?! Noi vogliamo veramente ritrovarla” replicò la Signora Grace.
“Certo, ma non perché le volete bene. Voi non l’avete adottata perché volevate darle una famiglia. L’avete adottata perché pensavate di pagare meno l’affitto. Forse poteva funzionare con un’altra persona, ma non di certo con me. In questi anni avete usato quella bambina solo per vivere come dei re e spendere meno, senza accorgervi di ciò che le stavate causando. Avete cercato di passare per dei bravi genitori agli occhi dei cittadini, ma non a tutti. Mia figlia è diventata amica con la vostra e si è subito resa conto di quanto voi non l’amiate” spiegò Gold.
“Ma lei prima aveva detto…” iniziò a dire la Signora Grace, ma Gold la interruppe: “So benissimo quello che avevo detto prima, ho mentito. Mia figlia conosce la vostra. Ci ha parlato. Ci è diventata amica e ha cercato di aiutarla ascoltandola, cosa che invece voi non avete mai fatto. Non sta a me giudicare la vostra situazione familiare, ma ho una soluzione che può mettere d’accordo tutti” e mostrò i fogli. I Signori Grace abbassarono lo sguardo su di essi. Poi riguardarono Gold e il Signor Grace domandò: “Che cosa sono?”
“Il vostro lasciapassare per un futuro migliore. In queste carte c’è un accordo da rispettare. Se voi promettete di diventare dei bravi genitori fino al ritorno del genitore biologico, io non vi caccerò da casa vostra come avevo intenzione di fare inizialmente” spiegò Gold.
“Come mai voleva cacciarci da casa?” domandò la Signora Grace.
“Nell’ultimo affitto non ho ricevuto la giusta somma e voi sapete benissimo cosa succede a chi non mi paga in modo adeguato, giusto? Se voi accetterete i termini dell’accordo, chiuderò un occhio sullo scorso pagamento” rispose Gold. I Signori Grace si guardarono. Poi riguardarono Gold e il Signor Grace disse: “Va bene. Accettiamo”. Gold sorrise e mentre estraeva una biro dalla tasca della giacca disse: “Molto bene” e consegnò la biro al Signor Grace che firmò le carte. Poi diede l’oggetto alla moglie che fece altrettanto. Infine la ridiede a Gold che disse: “E’ stato un piacere fare affare con voi, ma mi raccomando di rispettare tutti i termini dell’accordo. Se non lo farete, vi caccerò da casa vostra.”
“E che ne sarà di Paige?” chiese la Signora Grace.
“La affiderò ai Servizi Sociali finché non le troveranno un’adeguata famiglia. E ora, se volete scusarmi, ho le mie pulizie da proseguire. Quindi fuori di qua” rispose Gold. I Signori Grace lo guardarono per poi uscire dalla villa, raggiungendo gli altri due, chiudendo la porta dietro di loro. Dopo essersi assicurato che se ne fossero andati, Gold se ne andò nel retro della casa, fermandosi di fronte all’edificio. Mise entrambe le mani sul pomello dorato del bastone e disse: “Ora potete anche uscire. I cattivi se ne sono andati.”
La prima a uscire fu Excalibur che si andò a sedere accanto al padrone. Gold la guardò dicendo: “Non credere che sia contento di quello che hai fatto, ma ho cercato di rimediare” e riguardò avanti mentre Excalibur abbassò tristemente le orecchie. Vedendo che nessuno usciva aggiunse: “Ti stiamo aspettando… Paige.” Dapprima non uscì nessuno, poi Paige uscì timidamente dall’edificio, guardando Gold, il quale le sorrise.
Intanto Rose aveva raggiunto Henry che, come aveva predetto, si trovava nel castello sulla spiaggia: “Sicura che tuo padre non venga?” domandò Henry.
“Per la centesima volta, no. Non verrà. E poi perché ti preoccupi così? Non è di lui che devi aver paura, ma di tua madre. È lei che, se dovesse scoprire che non sei alla tua seduta giornaliera con il Dottor Hopper, ti rinchiuderà a vita in camera tua” rispose Rose.
“E’ che non voglio più andarci da Archie. Lo reputo un buon amico ma non vuole credermi” disse Henry.
“Io invece ti credo” disse Rose. Henry la guardò incredulo. Stupito, le chiese: “Dici davvero?”
“Certo. Devo dire che la tua teoria sugli abitanti di Storybrooke che provengono dalla Foresta Incantata potrebbe anche essere vera” rispose Rose guardandolo.
“Cosa ti ha fatto cambiare idea? Fino a ieri non mi credevi” domandò Henry.
“Non ha importanza cosa mi abbia fatto cambiare idea. Voglio aiutarti con l’Operazione Cobra. Dopotutto, da solo non potrai mai farcela, visto che la tua madre biologica sembra ancora vivere nel suo mondo dove i personaggi delle fiabe sono solo frutto della nostra fantasia” spiegò Rose.
“Pensavo non ti importasse nulla di lei” disse Henry guardando avanti a se.
“Cosa te lo fa credere?” chiese Rose.
“I dispetti che le facevi in macchina e il modo in cui la guardavi mentre stava qua con noi” rispose Henry.
“Per un buon amico posso anche chiudere un occhio. Emma non sarà la persona più simpatica che ci sia ma almeno è più simpatica di tua madre e di quell’antipatica di Lucy. Oh, e anche di Lady Tremaine e delle sue orribili figlie” spiegò Rose ridendo e anche Henry rise. Entrambi smisero e guardando avanti Henry disse: “L’orologio funziona. Questo significa che il tempo ha ripreso a scorrere.”
“E questo suppongo grazie all’arrivo di Emma?” domandò Rose.
“Sì. Dopotutto, come ti ho detto, sarà lei a salvare tutti” rispose Henry.
“Lo sai che il merito non sarà tutto suo. Ci sei anche tu di mezzo. Cioè… volevo dire noi… ci saremo anche noi di mezzo” disse Rose. Henry la guardò chiedendole: “Allora vuoi proprio fare parte dell’Operazione Cobra?”
“Come te lo devo far capire che sì, voglio entrarci anche io? Quando prima non ti credevo, eri triste. Ora che ti credo, sei triste lo stesso. Io proprio non ti capisco, Henry” rispose Rose guardandolo.
“E’ che ancora non mi sembra vero che tu mi creda” disse Henry.
“Sono la tua migliore amica. È mio preciso diritto e dovere crederti e sostenerti per far sì che la tua madre biologica salvi tutti dalla maledizione scagliata dalla Regina Cattiva ventotto anni fa” disse Rose.
“Allora benvenuta nell’Operazione Cobra” disse Henry e i due si strinsero la mano. Poi Henry aggiunse: “Ma mi raccomando. Tuo padre non dovrà sapere nulla di tutto ciò.”
“Tranquillo. Terrò la bocca chiusa” disse sorridendo Rose.
Venne sera, e a Villa Gold….
“Non dovevi. Non era previsto” disse Rose mentre si trovavano in cucina. Insieme a padre e figlia, c'erano anche Paige e Excalibur.
“Cosa non era previsto?” domandò Paige.
“Che ti dessi questi biscotti” rispose sorridendo Gold, mettendole davanti un piatto con sopra dei biscotti. Paige ne prese uno mangiandolo.
“Ti avevo detto che solo Excalibur doveva sapere della sua esistenza. Invece hai fatto di testa tua” disse Rose.
“Ho dovuto agire diversamente. Le cose sono cambiate all’improvviso” disse Gold.
“Di' la verità. Tu già sapevi cosa sarebbe accaduto. Avevi pianificato tutto già dall’inizio. Se no non si spiegherebbero quelle carte sulla tavola che ho trovato quando sono ritornata” disse Rose.
“Possono essere per qualunque cosa” disse Gold.
“Ho letto le firme. So a chi si riferiscono e un contratto non si prepara in pochi minuti. Ma considerando che sei tu ci può stare” disse Rose.
“Allora non ci pensare più. Ho già sistemato le cose” disse Gold.
“Non direi, visto che Paige si trova qua. A proposito… perché si trova qua? L’hai rapita dai suoi genitori?” chiese Rose.
“Non mi permetterai mai di fare una cosa del genere. Non rubo i bambini. Rimarrà qua finché non avrà cenato. Dopo cena la riaccompagnerò a casa” rispose Gold.
“Suppongo che i suoi genitori siano d’accordo” disse Rose.
“Se proveranno ancora ad alzare un dito su di lei, li sbatterò fuori di casa” disse Gold mettendo altri piatti sulla tavola.
“Credevo che aumentassi loro l’affitto” disse Rose.
“Tra aumentargli l’affitto e buttarli fuori casa, c’è differenza” disse Gold abbassandosi e mettendo la ciotola davanti a Excalibur. La volpe annusò il contenuto e con una zampina spostò la ciotola da una parte. Gli avanzi del giorno prima la disgustavano. Girò per la cucina cercando altro.
“Da quando sei diventato così buono nei confronti degli altri cittadini? Credevo che non ti importasse nulla di loro” disse Rose.
“Quando li minacci possono diventare molto convincenti e collaborativi” disse sorridendo Gold. Rose inarcò un sopracciglio per poi dire: “ Ritornando alla nostra operazione... è tutto filato liscio.”
“Scusa, ma quale operazione?” domandò Paige. Rose la guardò non sapendo inizialmente come rispondere. Poi titubante disse: “Ehm… quella… quella di matematica che stavamo facendo insieme.”
“Operazione di matematica?! Voi due mi state nascondendo qualcosa, vero?” disse Paige guardando entrambi poco convinta.
“Come mai dovremmo nasconderti qualcosa? Da ora in poi i tuoi genitori ti tratteranno meglio, così non dovrai più scappare in chissà quale posto lontano” disse Rose.
“Secondo me c’è sotto altro. Il vero motivo è che mi state usando. Tu mi sei diventata amica solo per spiarmi” replicò Paige alzandosi in piedi.
“Che cosa ti fa credere ciò?” chiese Rose.
“Ti ho vista quanto stai con Henry. Voi due siete inseparabili e l’ho anche sentito parlare di una certa Operazione Cobra. In che cosa consiste? Perché non vuole rivelarla a nessuno?” replicò Paige guardandola.
“Ecco… l’Operazione Cobra è… un modo per scoprire se gli abitanti di Storybrooke provengano dal mondo delle fiabe” spiegò Rose.
“Quindi avevo ragione. Mi sei diventata amica apposta solo per spiarmi! E magari tuo padre era pure d’accordo” replicò Paige.
“Noi ti vogliamo solo aiutare. Ho fatto quell’accordo con i tuoi genitori solo perché non ti trattassero più male” disse Gold.
Mentre i tre parlavano, Excalibur saltò sul lavello trovando una bistecca avvolta in una carta trasparente. Con una zampina alzò la carta e con la bocca prese la bistecca, trascinandosela con sé mentre indietreggiava. Successivamente si voltò. Saltò su uno sgabello, atterrò sul pavimento e, avvicinandosi alla sua ciotola, ci mise dentro la bistecca.
“Voi siete esattamente come loro. Nessuno mi vuole bene. Avrei fatto bene ad andarmene” replicò Paige e corse fuori. Rose la seguì fermandosi sulla soglia della porta e gridando: “Paige! Paige, torna indietro! Non è come sembra”. Anche Gold raggiunse la figlia ed entrambi guardarono la bambina correre per le strade deserte della città.
 




Note dell'autrice: Eccoci qua con la fine del nuovo capitolo. Le cose si stanno facendo interessanti. Scusatemi se mi sto scostando un pò dalla trama ma non preoccupatevi che Emma continua le sue giornate a Storybrooke così come Regina sta ancora architettando di mandarla via. Ma volevo analizzare meglio il personaggio di Paige (visto che nella serie nn c'è per niente per dire) e farla entrare nel magnifico trio (henry, rose e paige. ma sì mettiamoci anche excalibur anche se lei fa più coppia con Gold). Più avanti (forse già nel prossimo capitolo ma nn vi svelo nulla) si scoprirà che Grace/Paige diventa come amica (parolona da usare nel mio caso) di qualcuno di nostra conoscenza nella foresta incantata( capirete chi) per via di una certa volpe molto dispettosa. Attenzione al prossimo episodio ed al prossimo personaggio: la Disney lo ha usato in alcuni suoi film ma nella serie nn è comparso. E' in un libro e avrà qualche connessione con una certa ragazza che ama molto il rosso. Ok fine SPOILER

Con questo passiamo ai ringraziamenti. Ringrazio tutti coloro che seguono la storia (anche in silenzio) . Che le recensiscono. Inoltre volevo ringraziare la mia beta reader Lucia e scusatemi per l'assenza ma dalle mie parti è venuta un sacco di neve che ha fatto saltare la connessione più volte. Con questo concludo dandovi una serena e calda nottata e ricordandovi che manca sempre meno alla seconda parte della questa stagione.
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 15
*** Il Segno del Lupo - Parte I ***






The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo VIII: Il Segno del Lupo - Prima Parte


 
Rose e Gold guardavano Paige correre via mentre se ne stavano sulla soglia della loro abitazione.
“Avrei dovuto tenere la bocca chiusa” disse Rose.
“Sarà meglio andare a riprenderla prima che le cose si complichino” disse Gold rientrando in casa. Rose lo seguì mentre il padre si metteva la giacca e prendeva il cellulare.
“Dove credi sarà andata?” domandò Rose guardandolo.
“Dove voleva andare precedentemente” rispose Gold guardandola a sua volta. Poi guardò in cucina e aggiunse: “Smettila di mangiare quella bistecca cruda e vieni con noi.” Excalibur, con neanche metà bistecca in bocca, alzò lo sguardo verso di lui. Rinunciando a mangiarla seguì i padroni fuori dalla villa. Mentre camminavano verso la macchina, Gold compose un numero sul cellulare per poi mettersi l’apparecchio all’orecchio e aspettare in linea.
“Chi stai chiamando?” chiese Rose mentre gli camminava al fianco.
“Dove. Voglio che sorvegli la casa mentre non ci siamo” rispose Gold e, fermandosi accanto alla macchina, rispose a chi c’era dall’altra parte della linea: “Vieni subito qua. Io, mia figlia e Excalibur usciamo, quindi vieni a sorvegliare la villa.” E chiuse la chiamata. Poi guardò la figlia dicendole: “Sali in macchina.” Rose lo guardò senza dire nulla. Aprì la portiera salendo dalla parte del passeggero. La richiuse. Gold aprì la portiera dalla sua parte. Abbassò lo sguardo guardando Excalibur e replicò: “Tutto questo pasticcio è partito da te! Quegli avanzi che hai scartato prima li avrai anche per i prossimi giorni!” La volpe abbassò tristemente le orecchie. Poi salì in macchina. Salì anche Gold, sbattendo la portiera e mettendo in moto.
Il viaggio fu silenzioso. Poi Rose guardò il padre dicendogli: “Comunque la colpa è tua. L’operazione Coccodrillo è partita tutta da te.”
“Ti ho già detto di non chiamarla così! Non mi piace quel nome! Ed eri comunque d’accordo di farne parte!” replicò Gold guardando la strada.
“Perché tu mi hai obbligato! Non voglio assecondare Henry perché è come se stessi tradendo la nostra amicizia! Ma a te non importa nulla, visto che avevi già pianificato tutto fin dall’inizio!” replicò Rose.
“Voglio solo che quella bambina abbia un futuro migliore” disse Gold.
“Ma se la conosci appena! Come mai così tanto interesse nei suoi confronti? Cosa c’è sotto? Hai un piano tutto tuo che non vuoi nemmeno dire a tua figlia? Pensavo non avessimo segreti” replicò Rose. Gold sospirò. Poi la guardò e le disse: “Tu sei mia figlia e io ti voglio molto bene. Non ti nasconderei nulla, ma ci sono faccende che preferisco affrontare da solo senza che tu venga coinvolta.”
“A me sembra, invece, che ne sia totalmente coinvolta” disse Rose.
“Credimi, piccola mia, è meglio che ti attieni solo in parte a ciò che riguarda la nostra operazione” disse Gold mettendole una mano sotto il mento. Poi riguardò la strada e rimise la mano sul volante.
 
“Quindi l’operazione coccodrillo – o come preferisci chiamarla tu con qualsiasi altro nome – è molto di più che credere a Henry?” domandò Rose.
“Tu pensa solo ad assecondare il tuo amico. Al resto ci penserò io” rispose Gold.
“Prima di tutto, però, dobbiamo ritrovare Paige e scusarci con lei” disse Rose guardando fuori dal finestrino, ma sobbalzò dalla paura quando Gold replicò: “Scusarci con lei?! Perché mai dovremmo scusarci?! E’ stata proprio lei a arrabbiarsi con noi senza alcuna ragione! Io non spreco fiato per una bambina così testona e che vuole pensarla alla sua maniera senza prima ragionare! Ho già i miei problemi a pensare a te, tenendoti costantemente lontana dai guai e dal Sindaco!”
Excalibur emise dei versetti. Gold voltò lo sguardo verso di lei ed esclamò: “E questo vale anche per te! Sei già fortunata ad essere entrata nelle mie grazie. Se così non fosse, ti avrei già usata come pelliccia!” Poi riguardò avanti e aggiunse, a bassa voce: “Anche se, in passato, già qualcun altro ci ha provato.”
“Ehm …papà… sicuro di sentirti bene? Ti vedo alquanto… stressato” chiese con un po’ di paura Rose.
“Sto benissimo ,e se proprio vuoi saperlo, non sono stressato” replicò Gold guardando la strada.
“Ok... ma, secondo me, una seduta o due dal Dottor Hopper non ti dovrebbero far male” disse Rose e guardò fuori dal finestrino. Il viaggio proseguì finché non si fermarono prima della linea di confine. A macchina ferma, scesero tutti e tre.
“Come avrà fatto ad arrivare qua in così poco tempo se è partita solo qualche minuto prima di noi?” domandò Rose.
“Con qualche scorciatoia. E risulta tutto più semplice se scappi spesso da casa” rispose Gold guardando di sfuggita la figlia.
“Ehi, guarda che non scappo spesso da casa!” disse Rose andando al suo fianco.
“Ma da scuola sì, e dovresti incominciare a comportarti da alunna modello” disse Gold.
“Ma io sono già un’alunna modello. Porto a casa tutti bei voti. Tranne quel quattro” disse Rose. Gold la guardò e stupito chiese: “Quale quattro?!”
Rose lo guardò e titubante rispose: “Quello preso in matematica una settimana fa. Ma con tutto quello che è successo mi è sfuggito dalla testa.” Gold riguardò avanti dicendo: “Parleremo di questa storia quando tutto questo sarà finito. Ora sarà meglio ritrovare quella bambina, prima che muoia congelata.” E mentre si abbassava Rose gli domandò: “E suppongo che tu non abbia allontanato Excalibur da quella deliziosa bistecca per niente, vero?”
“Con il suo fiuto, troveremo più alla svelta quella bambina. E poi quella bistecca era cruda, le sarebbe rimasta sullo stomaco” rispose Gold mentre teneva in mano quello che sembrava un fermacapelli che aveva appena tirato fuori dalla tasca della giacca. Lo avvicinò al muso di Excalibur, che lo annusò.
 
“Come mai hai quel fermacapelli? Aspetta… è di Paige, vero?” chiese Rose.
“Le è caduto mentre scappava. Con questo Excalibur troverà una traccia” rispose Gold e, appena ebbe finito la frase, la volpe incominciò a fiutare qualcosa per poi correre nella foresta. Gold e Rose la seguirono. Si inoltrarono sempre più nella foresta mentre continuava a nevicare incessantemente.
“Papà, potremmo ritornarcene a casa? Ho il naso freddo. Le mani fredde. Non mi sento più i piedi e incomincio ad aver fame” disse Rose.
“Credevo ti importasse della tua nuova amica” disse Gold mentre camminava avanti a lei e seguiva Excalibur.
“Sto cominciando a dubitare che sia amica mia. Da quando ho cercato di stringere amicizia con lei, ho ricevuto una punizione dietro l’altra” disse Rose.
“Non ti sei chiesta che, se ricevi una punizione dietro l’altra, la colpa potrebbe essere solo tua?” domandò Gold. Rose si fermò e rispose: “Seguo Henry perché le sono amica e gli amici… be'…fanno tutto insieme. Diciamo quasi tutto.” E riprese a seguirlo.
“Se fate quasi tutto insieme, saresti andata con lui anche a Boston” disse Gold.
“Ti sei già risposto da solo. 'Quasi tutto' non è 'tutto'.” Quindi a Boston non ci sarei mai andata. Forse avrei optato per New York” disse Rose.
“Perché proprio New York?” chiese Gold.
“Ho sentito dire che sia affascinante. Soprattutto di sera, quando si accendono tutte le luci. Come se diventasse magica. È per questo che vorrei visitarla, anche se so che ciò non avverrà mai” rispose Rose. Gold fece un piccolo sorriso. Poi disse: “Se ci credi veramente, magari il tuo desiderio si avvererà.”
“So che non ci andrò mai. Non posso superare quella linea. Ma mai dire mai. Quindi continuerò a sperare. Ma mi prometti che mi porterai con te?” disse Rose. Gold si fermò, facendo fermare di conseguenza anche la figlia. Quindi le domandò: “Cosa ti fa credere che andrò a New York?”
“Be' …era tanto per dire” rispose titubante Rose.
“Non permetto a te di oltrepassare quella linea, figuriamoci se la oltrepasso io. È fuori discussione! Nessuno lascerà la città! Tu prima fra tutti!” replicò Gold.
“Ma se capiterà, me lo prometti?” chiese Rose.
“Vedremo” rispose semplicemente Gold, quando sentirono dei versi. Voltarono lo sguardo per vedere Excalibur, più avanti di loro, guardarli emettendo dei versetti. La raggiunsero per vedere che si era fermata accanto a …
“Paige! Oh, santo cielo! E’ morta!” replicò Rose guardando il corpo dell’amica, sdraiata a terra e priva di sensi. Gold si abbassò e le appoggiò due dita sul collo. Poi disse: “E’ ancora viva, ma ha il respiro molto debole.”
“Che cosa facciamo?” domandò preoccupata Rose.
 
“Aiutami a rialzarla” rispose Gold.
Rialzarono Paige, portandola alla macchina. Ma mentre la trascinavano sulla neve, Rose notò qualcosa a terra. Erano delle impronte e sembravano impronte di un cane. Un cane decisamente grosso, considerate le loro dimensioni. Riguardò avanti non dandoci, al momento, molta importanza e conducendo Paige, insieme al padre, fuori dalla foresta. Excalibur invece si fermò e, voltandosi, ringhiò verso quella figura bianca che aveva visto tra gli alberi. La figura la guardò a sua volta ma senza muoversi, e nemmeno emettendo alcun suono. Poi, come silenziosamente era arrivata, allo stesso modo se ne andò, confondendosi tra la foresta innevata e la neve che continuava a scendere. Excalibur la guardò andarsene. Poi seguì i padroni, raggiungendoli di fianco alla Cadillac. Gold aprì la portiera posteriore e, sempre aiutato da Rose, sdraiò delicatamente Paige sul sedile. Excalibur andò accanto a lei, poi padre e figlia salirono davanti.
“Ok, se siamo stati fortunati nessuno ci ha visto e non finiremo in prigione” disse Rose.
“Nessuno finirà in prigione e nessuno ci ha visto. Siamo stati in mezzo alla foresta e con una tormenta di neve in corso” disse Gold. Rose lo guardò e gli disse: “Ora non esagerare. Non c’è nessuna tormenta di neve. Sta cadendo solo qualche fiocco in più.” Gold si voltò a guardare Paige che respirava a fatica, poi disse: “Dobbiamo portarla in ospedale.” E riguardò avanti.
“Potrebbero insospettirsi. Casa nostra andrà meglio” disse Rose.
“A casa non ho l’occorrente per curarla e il Dottor Whale è l’unico che può farlo” spiegò Gold e, dopo aver avviato la macchina, partì.
“Papà, credi che andrà tutto bene? E se cominciano a fare delle domande?” chiese Rose.
“Sei preoccupata?” domandò Gold.
“Non voglio che finiamo nei guai. È che non è vero che voglio che anche tu finisca nei guai insieme a me. I guai cercano un solo Gold. Ovvero io” rispose Rose.
“Nessuno finirà dei guai. E se dovessero incominciare a fare delle domande, allora rispondi nel modo più sincero che trovi più ovvio” disse Gold.
“Cioè dovrei mentire?” chiese Rose, guardandolo.
“Fa quello che ritieni più opportuno. Ma se non vuoi che qualcuno sospetti qualcosa…” iniziò col rispondere Gold, ma Rose continuò col dire: “…allora sarà meglio mentire. Ho capito. Se non vogliamo finire nei guai, dovrò inventarmi qualcosa sul momento.” Ci fu un po’ di silenzio. Poi Rose guardò Paige e notò qualcosa che non le aveva mai visto prima. Quindi rivolta a suo padre domandò: “Ehi, ma non ti eri mai accorto che Paige portava al collo un ciondolo?”
“Che tipo di ciondolo?” chiese Gold continuando a guardare la strada.
“E’ una catenina con quello che assomiglia un artiglio bianco. Bianco come la neve” rispose Rose. Poi guardò il padre domandandogli: “Ne sai qualcosa?”
“Conosco quella bambina da qualche ora e tu mi chiedi se sapevo che aveva quella specie di artiglio al collo? Potrò anche possedere tutta la città, ma non conosco tutto di tutti. E poi lo sai benissimo che non mi piace impicciarmi delle vite degli altri” spiegò Gold.
Rose riguardò Paige e disse: “Magari quell’artiglio nasconde un segreto. Chissà chi glielo ha dato.”
“La domanda che dovresti porti è: sei sicura che sia proprio un artiglio?” disse Gold e Rose lo guardò in modo strano.

 
Foresta Incantata

 
Grace se ne stava fuori dalla casetta – dove abitava insieme al padre – ad annoiarsi. Era passato un mese da quando suo padre aveva costruito quel cappello magico per il Signor Oscuro. In quel mese suo padre viaggiava per gli altri mondi alla ricerca di oggetti magici da portare a Tremotino. Lei però veniva sempre lasciata a casa. Secondo suo padre, viaggiare per gli altri mondi poteva essere pericoloso e per questo non voleva che le accadesse qualcosa. La madre era morta da poco e non voleva perdere anche lei.
Era ormai inverno inoltrato. Di funghi non se ne trovavano. O almeno qualcuno se ne trovava, ma erano per lo più velenosi. Quindi non avrebbe potuto portarli al villaggio per venderli. Inoltre le mancava molto anche Excalibur. Non voleva dirlo a suo padre perché, secondo lei, lui la odiava. Ma quel cucciolo di volpe le era diventato molto amica, seppur il suo padrone fosse il Signore Oscuro. Non sapendo cosa fare, decise di passeggiare per la foresta, senza però dire nulla al padre. Camminava affondando i piedi nella neve. Non era mai consigliato camminare da soli per la foresta, soprattutto mentre nevicava. La foresta diventava ancora più pericolosa. In quel momento si sentirono dei rumori. La bambina alzò lo sguardo sperando di incrociare quello della sua amica volpe: “Excalibur, sei tu?” chiese. Ma purtroppo non si trattava del cucciolo diventato suo amico.
Davanti a lei, su una collina, si ergeva qualcosa ben più grande di una volpe. Dal manto completamente bianco e dalla corporatura magra. Un muso allungato e dal fiuto così potente in da scovare le prede molto lontane. Grace cominciò a tremare. Ma non dal freddo. Ma per la paura che quell’animale le incuteva. Si trattava di un grosso lupo che la guardava con quegli occhi giallastri che mettevano ancora più paura. La bambina fece qualche passo indietro continuando a guardare il lupo. Finché non si voltò incominciando a correre. Non volse nemmeno lo sguardo indietro per paura di vedere il lupo che la inseguiva. Ma se lo avesse fatto, si sarebbe accorta che l’animale non la stava inseguendo. Era sempre là. Immobile su quella collina ad osservarla mentre scappava. Dopotutto i lupi sono animali docili se non vengono stuzzicati o si fa del male a membri del loro branco o ai loro cuccioli.
Poco dopo, Grace si fermò senza fiato. Non si accorse che era andata lontana da casa. Alzò lo sguardo cercando di capire dove fosse capitata, ma si rese subito conto di essersi persa e di non sapere la strada che l’avrebbe riportata a casa. “Non avrei mai dovuto allontanarmi. Ora non ritroverò mai più la via di casa” disse Grace.
“Non essere sempre così pessimista, cara” disse a un certo punto una voce, e in una nuvola di fumo viola comparve Tremotino. Grace si voltò per guardarlo mentre il Signore Oscuro se ne stava seduto su un grosso tronco di un albero caduto.
“E’ che mi sono persa” disse Grace.
“Tutti si perdono, piccina. Se la gente non si perdesse non esisterebbero persone come me che vanno in loro soccorso” disse Tremotino, scendendo dall’albero e camminando verso la bambina.
“Non volevo allontanarmi da casa, ma un grosso lupo mi stava inseguendo” disse Grace. Tremotino guardò a destra e a sinistra. Riguardò Grace dicendole: “Lupo?! Quale lupo?! Io non vedo nessun lupo. Sicura che non si trattasse di un cagnolino che voleva solo da mangiare?”
“Le ho raccontato la verità, signore. Non le mentirei mai” disse Grace.
“Infatti ti credo, e per premiarti della sua lealtà ti propongo una cosa davvero interessante e che sono sicuro ti piacerà. Che cosa ne dici di venire con me al mio castello e giocare con Excalibur?” propose Tremotino. Gli occhi di Grace brillarono dalla gioia non appena sentì il nome della sua amica. Ma poi l’entusiasmo lasciò il posto alla preoccupazione. Quindi disse: “Non posso, Signore. Grazie dell’offerta, ma ho promesso al mio papà che non mi sarei mai allontanata da casa.”
“Be', a quanto pare non hai mantenuto la tua promessa, perché ti sei già allontanata da casa. E poi vedrai che non si accorgerà di nulla. Andremo e ritorneremo in poco tempo. E poi manchi molto al mio cucciolo di volpe. Non fa altro che cercarti per tutto il castello. Vedrai che ti divertirai un sacco con lei” disse Tremotino.
“Davvero ce ne andremo e ritorneremo in poco tempo così che mio padre non se ne accorga?” domandò Grace.
“Bambina, non sono mica un pappagallo. Le cose le dico una sola volta e basta. E poi stai parlando con il mago più potente al mondo. Andremo e ritorneremo in così poco tempo che non te ne accorgerai nemmeno” disse Tremotino. Grace esitò un po’. Poi allungò una mano. Tremotino roteò gli occhi dicendo: “Avanti, non ho tutto il tempo. Ho anche delle faccende da sbrigare. E poi non ho mai morso un bambino… non ancora, almeno.” E sorrise maliziosamente. Grace si attaccò al suo braccio sinistro ed entrambi svanirono in una nuvola viola per poi comparire all’interno della sala grande del castello del Signore Oscuro. Appena li vide apparire, Excalibur alzò lo sguardo e corse dalla sua cesta in vimini verso i due, balzando tra le braccia di Grace.
“Excalibur, che bello rivederti. Mi sei mancata tanto” disse Grace e il cucciolo di volpe le leccò una guancia. Tremotino roteò nuovamente gli occhi per poi dire: “Excalibur, un po’ di contegno. Lo so che è amica tua, ma non per questo devi comportarti come quando vedi una bistecca.” Grace e Excalibur lo guardarono.
“Ci scusi, signore. Non volevamo mancarle di rispetto” disse Grace.
“Non mi avete mancato di rispetto. È che sto cercando di insegnare a Excalibur le buone maniere, anche se sarà molto difficile considerando che io stesso non rispetto le buone maniere” disse Tremotino e rise. Grace inarcò un sopracciglio mentre Excalibur lo guardò scodinzolando per poi grattarsi dietro un orecchio.
“Allora, piccina, io ho da fare. Quindi sei libera di starmi alla larga e giocare con Excalibur dove vorrai. Ma rimani qua nei paraggi. Non voglio che tu vada a curiosare in posti non adatti a te” spiegò Tremotino.
“Me ne starò alla larga e, visto che lei starà qua e non vuole che le giri intorno, non è che possiamo andare in giardino?” propose Grace.
“Ti lamentavi del freddo della foresta e vorresti andare nel giardino? Va bene, potete andarci, ma Dove verrà con voi. Così vi terrà d’occhio” disse Tremotino mentre il grosso ex cavaliere si avvicinava a loro. Grace lo guardò alzando molto lo sguardo. Non aveva mai visto un uomo così alto.
“Occupati della piccola e della mia adorata volpe. Non perderle mai d’occhio o ci saranno tremende conseguenze per te” disse Tremotino rivolto a Dove che disse: “Certo, mio Signore. Le terrò sempre d’occhio.”
Tremotino sorrise maliziosamente. Poi guardò Grace e Excalibur dicendo loro: “E ora su, sparite dalla mia vista, prima che cambi idea e vi rinchiuda nelle prigioni.” La bambina ed Excalibur corsero fuori dalla stanza, ma poi nel corridoio Tremotino sentì: “Mi scusi. Non volevo venirle addosso.”
“Non fa niente. L’importante è che non ti sia fatta male” sentì dire dall’altra voce.
“No, grazie mille” sentì dire da Grace. Poi vide qualcuno entrare nel salone. Quindi Tremotino le disse: “Era ora che arrivassi. Questo posto pullula di polvere. A momenti ne sono ricoperto anche io. Non ti ho assunta per farti divertire nel mio castello. Quindi mettiti subito al lavoro.”
“Non mi stavo divertendo. Dovrebbe lavarli più spesso, i suoi vestiti” disse l’altra persona.
“Lo terrò presente per la prossima volta. Oh, ma è vero… ora ci sei tu, quindi anche la prossima volta spetterà a te. Poche chiacchiere e torna al lavoro” disse Tremotino e camminò verso l’arcolaio per poi sedersi dietro. Poi guardò Dove replicando: “Sei ancora qua?! Quelle due potrebbero già essere chissà dove! Su, va' da loro!” E Dove uscì.
Tremotino stava per mettersi a filare quando vide l’altra persona guardarsi a destra e a sinistra. Sbuffò e con uno schiocco di dita fece comparire in mano all’altra persona uno straccio alquanto malandato. L’altra persona lo guardò malamente e lui sorrise maliziosamente.
Per fortuna di Dove, Grace ed Excalibur non si erano allontanate dai confini del castello. Stavano giocando con la tanta neve che c’era e che stava continuando a scendere. Le due avevano fatto due sculture: una che sembrava una bambina e l’altra che sembrava una volpe.
“Guarda, Excalibur, siamo io e te” disse Grace mentre se ne stava inginocchiata sulla neve. Excalibur annusò la sua scultura per poi starnutire. Un po’ di neve della scultura le finì sul muso. Grace si mise a ridere mentre la guardava, ma voltò lo sguardo quando Dove andò da loro.
“Sicura che non ha freddo? Vuole che le vada a prendere qualcosa per coprirsi meglio?” chiese Dove.
“No, la ringrazio, non ho freddo” rispose sorridendo Grace e rise quando Excalibur si scosse tirandosi via la neve che le si era depositata sulla pelliccia.
“Se ha bisogno di qualcosa, non deve far altro che chiedere. Io rimarrò qua a sua completa disposizione” disse Dove.
“E’ la prima volta – a parte il mio papà – che qualcuno mi chiede se voglio qualcosa e che è a mia completa disposizione” disse Grace guardandolo.
“E’ mio compito ubbidire a un qualsiasi ordine che mi dà il mio padrone” disse Dove.
“Ma il Signore Oscuro è sempre stato il tuo padrone?” domandò Grace mentre Excalibur drizzava le orecchie per poi fiutare a terra una traccia.
“No. Prima lavoravo per il Re” rispose Dove sedendosi accanto a lei.
“Uao. Re Artù. Mi piacerebbe tanto conoscerlo. Ho sentito che è un re molto buono” disse Grace.
“Infatti lo è. Mette sempre prima i sudditi di se stesso. Tutti gli vogliono bene. Tutti lo rispettano. Be', quasi tutti. Un cavaliere dal cuore nero si trasformò in lui tramite una potente pozione datogli da una strega cattiva. Rubò la spada Excalibur fuggendo via dalle terre di Camelot per ritornare al suo castello. Ma i Cavalieri della Tavola Rotonda riuscirono a fermarlo prima che prendesse pieno controllo della spada” spiegò Dove.
“E la spada che fine ha fatto?” chiese Grace quando sentì dei rumori. Voltò lo sguardo per vedere Excalibur accanto alla siepe intenta ad annusare dentro a essa.
“Durante l’inseguimento, uno dei cavalieri riuscì a bloccarlo, ma a causa della caduta la prodigiosa spada finì dentro un lago. Si narra che quel lago sia protetto da una bellissima Dama Bianca. Solo che ora la spada si trova in possesso del…” spiegò Dove ma non riuscì a finire che Grace si alzò, e mentre andava dal cucciolo di volpe domandò: “Che cosa hai trovato?” E si abbassò accanto a Excalibur. Il cucciolo di volpe ringhiò verso la siepe, finché da essa non uscì un coniglietto bianco.
“Che carino. È un coniglietto” disse Grace. Excalibur gli ringhiò nuovamente contro e il coniglietto, per la paura, si voltò correndo via. Il cucciolo di volpe lo inseguì.
“Ehi, Excalibur, torna qua” disse Grace e seguì entrambi, oltrepassando la siepe e uscendo dai confini del castello senza che Dove se ne accorgesse, perché troppo intento a osservare la scultura di neve che aveva fatto precedentemente la bambina.
I due animali continuavano a correre per la foresta, inseguiti da Grace. Sapeva che aveva già disubbidito al Signore Oscuro, ma non poteva permettere che accadesse qualcosa a Excalibur. Quando il coniglietto scomparve in mezzo ai cespugli, Excalibur si fermò di fronte a essi, ringhiando, ma ormai del coniglietto non c'era più traccia. Grace arrivò accanto a lei con poco fiato. “Excalibur, è inutile. Se ne è già andato. Sarà meglio ritornare al castello prima che il Signore Oscuro, non vedendoci, si arrabbi.” Quando sentirono dei passi e come dei ruggiti, si voltarono e Grace gridò di paura. Dietro di loro era comparso un grosso orso.






Note dell'aurtrice: Ed eccovi qua con un nuovo capitolo. E manca sempre meno al 1 marzo. Dai che vedremo le Queen of Darkness insieme al nostro amato Rumple. Bene qua Paige è stata fortunatamente soccorsa dai Gold ma ecco che spunta uno strano ciondolo che nessuno le aveva mai visto (forse). Nella Foresta Incantata del passato Tremotino permette a Grace di stare un pò nel suo castello per giocare con Excalibur ( e intanto compare anche qualcun altro) con il patto però di non disturbarlo e di non andare in posti proibiti (e anche non oltreppasare i confini del castello, ma ahimè ciò è avvenuto per colpa di quella peste di Excalibur). In tutto questo cosa centra quel misterioso lupo bianco? Vedrete. vedrete e tenete a mente quello che vi dissi nelle note dell'autrice del capitolo precedente: walt disney ci ha fatto dei film su questo animale e pensate agli indiani d'america (per il posto dove era ambientato il film) e un pò a ruby (anche se forse non ha connessione con questo lupo, ma chi lo sa)
Passiamo ai ringraziamenti: come sempre ringrazio tutti coloro che seguono la storia, la recensiscono e l'hanno messa tra le preferite e le seguite. Ringrazio anche la mia beta reader Lucia per la correzzione di eventuali errori. Quindi vi auguro una piacevole serata miei cari Oncers

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Capitolo 16
*** Il Segno del Lupo - Parte II ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo VIII: Il Segno del Lupo - Seconda Parte


Storybrooke
 
I Gold arrivarono all’ospedale. Rose aiutò il padre a portare Paige, con Excalibur che li seguiva. Entrarono nell’edificio proprio mentre il Dottor Whale stava controllando la cartella di un paziente accanto allo sportello informazioni dietro il quale stavano un paio di infermiere. Il Dottore alzò lo sguardo e rimase incredulo nel vedere Gold e la figlia lì. Normalmente il proprietario del Negozio dei Pegni andava in ospedale solo per riscuotere l’affitto.
“Signor Gold, è un piacere vederla, ma sa benissimo che oggi non è il giorno stabilito per la riscossione dell’affitto” disse il Dottor Whale.
“Poche chiacchiere, dottore! Le ho portato una paziente ed è anche piuttosto urgente. Dove possiamo metterla?” replicò Gold. Il Dottor Whale guardò la bambina che i due Gold stavano sorreggendo. Poi riguardò Gold sospirando. Quindi guardò una delle due infermiere dietro al bancone e le disse: “Vada a preparare immediatamente la stanza numero uno otto uno otto.” L’infermiera fece subito quello che le era stato detto. Riguardò Gold e gli disse: “Seguitemi.”
Poco dopo si trovavano nella stanza indicata prima dal dottore, il quale aveva appena finito di visitare Paige.
“Avete fatto bene a portarla subito qua. Questa bambina stava rischiando di morire per ipotermia” disse il Dottor Whale.
“Si riprenderà, non è vero?” chiese preoccupata Rose guardandolo.
“Certo che si riprenderà. Ma quello che voglio sapere è: cosa ci faceva in mezzo al freddo?” domandò il Dottor Whale guardando entrambi.
“Ehm… stava facendo una passeggiata. Voleva prendere una boccata d’aria” rispose titubante Rose.
“Con questo freddo?” chiese il Dottor Whale.
“Si vede che non aveva freddo” rispose Rose. Il Dottor Whale inarcò un sopracciglio non credendo alle parole della bambina. Poi guardò Gold e gli disse: “Non voglio entrare nei particolari di come siano andate veramente le cose, ma vorrei almeno avvertire i genitori che la loro figlia si trova qua.”
“Non c’è bisogno che avverta i genitori. Al momento ci penserò io a lei” disse Gold.
“Mi dispiace contraddirla, Signor Gold, ma da quello che ne so, lei non è il suo guardiano” disse il Dottor Whale.
“Lo sono… per il momento. E se per una volta non si attenesse alle regole di protocollo dell’ospedale, forse io potrei anche chiudere un occhio sul prossimo affitto. Non so se mi sono spiegato” disse Gold, facendo un piccolo sorriso. Ci fu un po’ di silenzio. Poi il Dottor Whale disse: “Va bene, Signor Gold. Allora mi deve firmare queste carte.” E consegnò a Gold la cartella di Paige. Mentre Gold firmava diversi fogli, il Dottor Whale guardò Rose domandandole: “Signorina Gold, sicura di stare bene?”
Rose lo guardò a sua volta chiedendogli: “Perché me lo chiede?”
“La vedo alquanto pallida” rispose il Dottor Whale.
“Saranno le luci presenti in questa stanza” disse Rose mentre Gold riconsegnava la cartella al Dottor Whale, che disse guardandolo: “Vorrei poter visitare sua figlia, se non le dispiace.”
“Perché, che cosa c’è che non va in Rose?” domandò Gold.
“Mi vede alquanto pallida” rispose Rose.
“Mia figlia sta benissimo, e sicuramente saranno le luci di questo postaccio a renderla così” disse Gold.
“Lei non è un dottore per constatare la salute di una persona” disse il Dottor Whale.
“Ma sono pur sempre suo padre e sono consapevole della salute di mia figlia, visto che sono io a occuparmi completamente di lei. Al momento la sua unica preoccupazione è occuparsi di quella bambina. Quindi faccia il suo lavoro” replicò Gold. Il Dottor Whale non poté fare altro che rimanere in silenzio. Sapeva che, se avesse contrastato il Signor Gold, sarebbe finito in seri guai rimettendoci anche la sua professione, considerando che Gold era proprietario dell'ospedale. Ma non poteva permettere che pazienti, dottori e infermieri finissero per strada. Quindi si limitò a tornare accanto al letto di Paige ricominciando a darle le cure prestabilite.
La nottata passò lenta. Gold e Rose si erano seduti in una delle sedie fuori in corridoio. Excalibur invece se ne girava avanti e indietro, curiosando in giro.
“Papà, Paige non morirà, vero?” chiese Rose. Aveva appoggiato la testa sulle ginocchia del padre.
“Hai sentito cosa ha detto prima il Dottor Whale. Guarirà, fidati. Non c’è bisogno di preoccuparsi più del dovuto. Qui è in ottime mani. Ma ora cerca di riposare” rispose Gold, mentre le accarezzava i capelli. Rose alzò lo sguardo e guardandolo gli disse: “Non posso riposare. Quando Paige si sveglierà voglio essere al suo fianco.”
“Quando Paige si risveglierà, ce lo verrà a dire il dottore. Ora dormi” disse Gold, guardandola.
“E i genitori di Paige? Non verranno?” domandò Rose.
“Ho telefonato loro dicendo che Paige avrebbe dormito da noi” rispose Gold.
“Hai mentito? Perché?” chiese Rose.
“Perché non volevo che si preoccupassero troppo” rispose Gold. Rose inarcò un sopracciglio. Sapeva che suo padre non si preoccupava mai di nessuno al di fuori di se stesso e lei, ovviamente. Voltarono lo sguardo quando sentirono un rumore. Videro Excalibur, che aveva fatto cadere delle siringhe. La volpe li guardò abbassando le orecchie. I due Gold scossero negativamente la testa.
Neanche un’ora dopo, Rose si era addormentata sdraiandosi sulle sedie e coperta dalla giacca del padre. Quest’ultimo se ne stava con Excalibur in camera di Paige, osservandola. Il colorito del suo viso era quasi ritornato normale, grazie alle cure prestate dal Dottor Whale. Nelle ultime settimane quella bambina ne aveva passate di ogni genere ed era stata una fortuna che lui e la figlia l’avessero trovata nella foresta prima che morisse congelata. Ma lo sguardo di Gold si fermò sulla catenina che Paige portava al collo e alla quale era attaccato quell’artiglio. L’uomo vi mise sotto una mano guardandolo meglio e sorrise nel sapere che aveva ragione. Quello che all’occhio di Rose era sembrato un artiglio, in realtà era un dente. Bianco come la neve come se fosse stato d’avorio. Ma Gold sapeva benissimo che quel dente era autentico e sapeva anche a chi era appartenuto.
Excalibur saltò sul letto. Gold la guardò dicendole: “Excalibur, scendi dal letto. È già tanto che ti sia stato permesso di rimanere all’interno dell’ospedale.” Prima, infatti, il Dottor Whale era stato molto contrario nell’ammettere un animale all’interno della struttura, ma considerando che il padrone della volpe era l’uomo più ricco nonché proprietario di tutta la città, Excalibur era diventata automaticamente l’unico animale ammesso in ogni locale di Storybrooke.
La volpe guardò il suo padrone. Poi però avvicinò il muso al dente, lasciandoci un po’ di polvere dorata. Gold sapeva del perché Excalibur avesse agito così. Nella Foresta Incantata quel dente si sarebbe illuminato, segno che era magico. In passato il fiuto di quella volpe la conduceva sempre a oggetti magici o a persone che possedevano la magia. Ora, nel mondo senza magia, il suo fiuto serviva solamente per cercare o reclamare cibo dai propri padroni.
Excalibur alzò lo sguardo su Gold. Lui la guardò a sua volta dicendole: “Tu non hai mai perso la tua memoria, vero? Ti ricordi perfettamente di ciò che accadde quella volta e tutto ciò non è avvenuto per caso. Hai voluto che aiutassi questa bambina… ancora una volta.” E la volpe emise dei versetti.
 
Foresta Incantata
 
Grace ed Excalibur guardavano terrorizzate l’enorme orso davanti a loro. Non avendo altra via di scampo, sperarono solo che qualcuno venisse in loro soccorso. Ma Tremotino non sapeva – forse – del loro allontanamento dal castello e, se mai fosse stato avvertito da Dove, non sarebbe comunque arrivato in tempo per salvarle.
L’orso ringhiava contro di loro. Sul suo dorso, Grace poteva vedere tantissime lance, segno dei numerosi scontri subiti o fatti. Aveva una cicatrice sull’occhio sinistro. L’orso era veramente imponente e minaccioso. Si alzò sulle zampe posteriori e con la zampa destra era pronto ad attaccarle, quando il grosso lupo bianco gli piombò addosso, azzannandolo alla gola. Grace ed Excalibur guardavano terrorizzate quel duro scontro, dove l’orso cercava di togliersi il lupo dalla schiena. Nessuno dei due animali dava segni di cedimento. Sarebbe stata una lotta alla pari se non fosse stato per le loro diverse dimensioni. Sembrava in vantaggio il lupo bianco, ma l’orso, con una zampata, riuscì a toglierselo dalla schiena, mandandolo a terra. Ma il lupo si rialzò ringhiando contro il grosso animale. Approfittando di ciò, Grace prese in braccio Excalibur e corse a nascondersi dietro a un albero più in là. Di certo non voleva essere coinvolta in quel duro scontro.
Passò qualche minuto e non si sentì nulla. Grace abbassò lo sguardo, guardando Excalibur ancora tra le sue braccia: “Chissà come sarà andata a finire. Non si sente più nulla.” Il cucciolo di volpe la guardò a sua volta emettendo dei versetti. Grace guardò, con un po’ di paura, al di là del tronco dell’albero contro il quale era appoggiata e… non vide niente. Né l'orso e nemmeno il lupo bianco. Quando  si girò di nuovo, sobbalzò dalla paura trovandosi di fronte una bellissima donna dal lungo abito bianco.
“Non avere paura. Non voglio farti del male” le disse la donna. Grace non sapeva cosa dire. Era ancora un po’ traumatizzata dallo scontro di prima e ora si era vista comparire all’improvviso quella donna davanti a lei che le sorrideva e le porgeva la mano.
“Non temere. Quel grosso orso se ne è andato” disse la donna. Grace sembrò fidarsi di lei e, quindi, le diede una mano. La donna l’aiutò a rialzarsi.
“Stai bene?” domandò la donna e Grace si limitò a annuire. Poi la donna aggiunse: “Non dovreste girare da sole nella foresta. Vivono animali molto pericolosi.”
“Come per esempio quel lupo bianco che voleva mangiarci” disse Grace.
“Non credo che quel lupo volesse mangiarvi” disse la donna.
“Lo ha visto anche lei?” chiese stupita Grace ed Excalibur, ancora tra le sue braccia, drizzò le orecchie.
“No, ma so che i lupi non attaccherebbero mai qualcuno senza un valido motivo e, se voi non gli avete fatto nulla, allora non vi avrebbe mangiato” spiegò la donna. Excalibur emise dei versetti. La donna si abbassò guardandola e sorridendole. Poi disse: “E tu, hai un grande potere dentro di te, Spirito della Foresta. Usalo bene.”
“Spirito della Foresta?! No, si sbaglia. Excalibur è soltanto un cucciolo di volpe con qualcosa di dorato sul muso” disse Grace.
“Ogni animale nato qua viene protetto dalla natura. Ma solo alcuni posseggono doti magiche che gli permettono di aiutare chiunque sia gentile con loro. E questo dolce cucciolo ha quel potere” spiegò la donna accarezzando Excalibur sotto il mento. La piccola volpe scodinzolò contenta.
“Be', Excalibur è magica anche perché vive con un potente stregone… a proposito… saremmo dovuto ritornare al suo castello già da un bel po’. Però non mi ricordo più la strada” disse Grace.
“Chi è questo stregone dal quale devi ritornare?” domandò la donna.
“Non so se posso dirglielo. Non vorrei andare nei guai” rispose Grace.
“Ma se non me lo dirai non potrò aiutarti a ritornare da lui” disse la donna. Ci fu un po’ di silenzio. Poi Grace disse: “Si tratta del Signore Oscuro. Ma non faccia subito delle conclusioni affrettate.”
“Se questo cucciolo di volpe vive con lui, allora sono sicura che non sia poi così tanto malvagio come si dice in giro. Anche se la sua potente magia oscura sta facendo morire gli Spiriti della Foresta” spiegò la donna.
“Gli animali stanno morendo? Che cosa spregevole” disse stupita Grace ed Excalibur abbassò le orecchie.
“Uno Spirito della Foresta non è solo un animale. È anche tutto ciò che è racchiuso dentro agli alberi; ai fiori e ai ruscelli. Gli Spiriti della Foresta sono pura magia bianca. Ma, con il passare dei secoli, la magia oscura del Signore Oscuro si è fatta sempre più potente, e più il suo potere cresce più la magia racchiusa nella foresta diminuisce” spiegò la donna mentre prendeva in mano un fiore e, con un solo soffio, lo faceva appassire.
“Se vuole posso aiutarla” disse Grace. La donna la guardò dicendo: “Aiutarmi? Non c’è modo di fermare la magia oscura.”
“Ma potrei dire al Signore Oscuro di non fare più male alla foresta, così la magia bianca ritornerà in tutto ciò che la compone” disse Grace. La donna sorrise e ritornando da lei le mise una mano su una guancia per poi dirle: “Dolce bambina, il tuo cuore è puro, ma non potrà mai portare la luce in quello del Signore Oscuro. Il suo animo è tormentato da secoli. Il potere lo ha reso così, facendogli perdere ciò che aveva di più caro.”
“E cos’è che aveva di più caro?” chiese Grace guardando la donna.
“Tu cos’hai di più caro?” domandò la donna.
“Il mio papà” rispose semplicemente Grace.
“E il tuo papà ha te” disse la donna.
“Questo significa che il Signore Oscuro aveva un figlio?! Che fine ha fatto ora?” chiese stupita Grace.
“Non si sa. Il Signore Oscuro ama intromettersi nelle vite altrui, ma non ama parlare della sua vita privata. Quindi ti pregherei che questa nostra conversazione rimanesse tra noi” rispose la donna.
“Ha la mia parola che non gli rivelerò nulla. Però lasci lo stesso che l’aiuti. Sono sicura che il Signore Oscuro mi ascolterà. Ci deve essere pur un modo per fermare la sua magia” disse Grace.
“C’è un’arma che lo controlla, ma lui la tiene molto nascosta. Il problema è che, se riuscisse a reperire qualcosa della foresta – un oggetto, per esempio – riuscirebbe a controllare chiunque di magico viva qua” spiegò la donna.
“Il Signore Oscuro ha tanti oggetti strani nel suo castello, ma non ne ho mai visto uno che possa provenire da qua” disse Grace.
“Mi raccomando, piccina. Stai molto attenta a non rivelargli utili informazioni, perché un qualsiasi oggetto in suo possesso può diventare pericoloso” disse la donna.
“Non dirò nulla. Glielo prometto” disse Grace, quando Excalibur si divincolò. Molto probabilmente non voleva più essere tenuta in braccio. La bambina, quindi, la mise a terra e il cucciolo di volpe incominciò a fiutare qualcosa. Quindi seguì quella traccia arrivando, guarda caso, nel posto dove prima l’orso e il lupo bianco si era scontrati.
“Sei davvero una bambina dal cuore d’oro ed è anche per questo motivo che il Signore Oscuro non è cattivo con te” disse la donna.
“Non è cattivo con me perché sono amica con il suo cucciolo di volpe, e anche perché ora il mio papà lavora per lui” disse Grace.
“E in che cosa lo aiuta?” domandò la donna.
“Non so se posso dirglielo, ma visto che lei è così gentile con me, allora glielo rivelo. Mio papà è riuscito a fabbricare un cappello magico che gli permette di viaggiare in altri mondi da dove poter prendere oggetti magici da portare al Signore Oscuro. Anche Excalibur lo aiuta a recuperare oggetti magici, ma non so il perché” spiegò Grace.
“Forse vuole redimersi” disse la donna. Grace la guardò stranamente per poi dire: “Be', quello che è, ma ora io e Excalibur dobbiamo proprio andare.” E voltò lo sguardo quando il cucciolo di volpe ritornò da loro, guardandole e scodinzolando.
Poco dopo, la misteriosa donna le condusse a un sentiero: “Questa strada vi condurrà al castello del Signore Oscuro.”
“Grazie ancora per tutto, signora” disse Grace guardando la donna e sorridendole. Quest’ultima le sorrise a sua volta e, dopo averle messo una mano sulla testa, disse: “Per qualunque cosa tu abbia bisogno, non ti dimenticare mai di ascoltare il tuo cuore puro. E non farti ingannare dal potere oscuro.”
“Cercherò. E grazie ancora” disse Grace. Poi abbassò lo sguardo aggiungendo: “Andiamo, Excalibur, o se no il tuo padrone si arrabbierà non vedendoci.” E insieme al cucciolo di volpe, che stranamente non emise un suono, corse lungo il sentiero. La donna le guardò andarsene per poi voltarsi e ritornare nella foresta, ma poi si fermò e, sorridendo, disse: “Sapevo che c'entrassi tu, Tremotino.” E voltandosi vide il Signore Oscuro spuntare tra gli alberi.
“E devo dire che invece tu, mia cara, mi stai sorprendendo. Da quando sei così gentile nei confronti degli umani? Credevo che li odiassi, dopo tutto quello che hanno fatto al tuo popolo” disse Tremotino allontanandosi dagli alberi.
“Le persone cambiano, Tremotino, ma a quanto pare non tutte. Dovresti smettere di illudere chi è gentile con te” disse la donna guardandolo.
“Illudere?! Io?! Mia cara, io propongo accordi. Poi sono gli altri che decidono di accettarli oppure no. Io non illudo proprio nessuno” disse Tremotino fermandosi di fronte a lei.
“E allora cosa mi dici di quella bambina? La stai solo usando per qualche tuo losco scopo” chiese la donna.
“Io non ho fatto proprio nulla. Dovresti dare la colpa al mio cucciolo di volpe. È lei che le è diventata amica, permettendomi così di fare un accordo con il suo papà” rispose sorridendo Tremotino.
“Hai soggiogato quella volpe portandola dalla tua parte” disse la donna.
“No. Io l’ho solamente salvata da quei cacciatori che la volevano morta. Al resto ci ha pensato da sola” disse Tremotino.
“Perché sei venuto qua? Quella bambina sta ritornando al tuo castello: dovresti essere là” domandò la donna.
“Sarò là a tempo debito. Non ti preoccupare. Lo sai benissimo del perché sono qua” rispose Tremotino incominciando a girarle intorno.
“Riguarda quell’accordo che feci con te tempo fa, non è vero?” chiese la donna, seguendolo con lo sguardo.
“Vedo che hai ottima memoria. Tu mi avevi chiesto aiuto per tua figlia e io ti ho dato ciò che volevi” rispose Tremotino continuando a girarle intorno.
“Ma so anche che i tuoi accordi prevedono sempre qualcosa in cambio” disse la donna.
“Infatti qualcosa mi desti, ma non era ciò che volevo. E non è stato leale dopo tutto quello che ho fatto per te… Aniu” disse sorridendo Tremotino, fermandosi a guardarla.
“Ho parlato con il mio popolo” disse Aniu.
“Ma non sei stata troppo convincente. Infatti sei stata cacciata dal branco” disse Tremotino.
“Forse sono stata io a volermene andare” disse Aniu.
“E io mi chiedo: per quale motivo? Il tuo branco stava su di una terra che mi serviva, ma invece di allontanarli hai fatto accadere tutto il contrario. Hai lasciato il tuo popolo perché non eri più in grado di comandarlo. Ti si stavano rivoltando contro. Soprattutto…” spiegò Tremotino avvicinandosi a lei e, quando le fu accanto, le sussurrò in un orecchio: “…tua sorella gemella.” E si allontanò. Aniu lo guardò senza dire nulla. Ma Tremotino poteva leggere nel suo sguardo paura, rancore e tristezza.
“Lei non fa più parte della mia vita” disse Aniu.
“So della tua tragica infanzia, ma è comune a molte persone e non solo. È grazie a me se sei viva e se tua figlia può passare una vita normale per metà e ora voglio ciò che mi aspetta di diritto. Qualcosa che mi dovevi dare molto tempo fa” disse Tremotino.
“Non ti darò nulla, Tremotino! Non finché non smetterai di essere il Signore Oscuro! Ti ho già dato quello che volevi” replicò Aniu e, per un attimo, i suoi occhi divennero gialli.
“Non rizzare il pelo con me, cucciolotta. Quello che tu desti a me non era ciò che volevo e, quindi, te lo ridò indietro” disse Tremotino e, per magia, fece comparire un dente. Poi domandò: “Te lo ricordi, vero? Apparteneva al tuo caro compagno prima che venisse ucciso dai cacciatori. Questo fu tutto ciò che avevi di più caro di lui, escludendo ovviamente la vostra graziosa figlioletta”. Aniu se ne stette in silenzio. Ripensare al suo compagno le faceva male. Ma poi Tremotino continuò: “Un dente magnifico, non c’è che dire, ma non più bello dei tuoi. Bianchi come la neve. Gli indiani del villaggio ai quali ti affidai quando eri solo una cucciola ti diedero un soprannome. Zanna Bianca, proprio per via dei tuoi denti così bianchi. Peccato che mi accorsi troppo tardi che questo non era il dente che stavo cercando. La mia magia non l’avrebbe mai reso un oggetto potente.”
“E allora perché lo hai tenuto per così tanto tempo se non ti è mai stato utile?” chiese Aniu.
“Perché sapevo, ovviamente, che sarebbe arrivata questa occasione dove il tuo caro Spirito della Foresta ti ha voltato le spalle” rispose sorridendo maliziosamente Tremotino. Aniu non sapeva cosa dire. Quindi Tremotino spiegò: “Quando sono arrivato qua, la mia volpe è venuta da me e, guarda caso, in bocca teneva un dente che aveva trovato nel posto dove tu hai avuto quello scontro quell’orso. Ma tu sai benissimo che io non faccio mai accadere nulla a caso.”
“Mi hai ingannata! Quell’orso…” replicò Aniu. Ma Tremotino la interruppe: “Esatto, mia cara. Ho fatto comparire quell’orso perché volevo che combattessi contro di lui. Sapevo che avresti protetto quella bambina anche se non volevo che quella povera creatura ci andasse di mezzo. E considerando la tua indole misericordiosa nei confronti degli altri, ero sicuro che l’avresti salvata, anche se ciò ha comportato la caduta di un dente”. Istintivamente, Aniu si portò una mano vicino alla bocca, ma Tremotino spiegò: “Tranquilla, li hai ancora tutti: grazie al tuo potere, i denti persi ricrescono nel giro di qualche minuto. Ti fa perdere un po’ di energie, ma è come se non fosse successo nulla” e sorrise come se il merito andasse a lui.
“Non ti ringrazierò mai per questo potere” disse Aniu.
“Mia cara, tu volevi proteggere il tuo branco. La tua famiglia. La tua dolce figlioletta che stava crescendo sotto le amorevoli cure della tua sorella gemella. Un lupo non ha vita lunga, soprattutto in un territorio pericoloso come questo dove si aggirano terribili cacciatori” disse Tremotino.
“O Signori Oscuri in cerca di accordi” disse sorridendo Aniu.
“Quando vuoi sai essere anche simpatica, Invece di essere infelice per la tua vita, dovresti ringraziarmi. Ti ho donato la vita eterna e, detto tra noi, non è privilegio di tutti” disse Tremotino.
“Io volevo solamente il bene per il mio branco e la mia famiglia. Ma non vivere in eterno, sapendo però di non poter stare con loro” disse Aniu.
“Be', questo è un problema tuo. Io la mia parte l’ho già fatta e avresti dovuto pensarci due volte prima di accettare quell’accordo con me” disse Tremotino dandole di schiena per poi guardarla e sorridendo maliziosamente.
“L’ho fatto per mia figlia” replicò Aniu. Tremotino si voltò dicendo: “E quel mantello rosso che ti diedi la proteggerà. Ma visto che la tua cara sorella non voleva più avere a che fare con lei, hai pensato bene di chiedere aiuto a tua madre e ora, quella dolce vecchietta, la sta tirando su come se fosse lei, la madre. È stato davvero vergognoso quello hai fatto. Abbandonare un figlio. Che cosa crudele.”
“Senti chi parla” disse sorridendo Aniu. Lo sguardo di Tremotino divenne minaccioso. Poi però sembrò calmarsi e disse: “Oh, come si è fatto tardi. Quella bambina e la mia volpe saranno già arrivate al castello. Meglio che mi sbrighi.”
“Che fretta c’è. Intanto ritornerai subito al tuo castello svanendo in quella tua nuvola viola” disse Aniu. Tremotino le sorrise per poi dire: “Vedrai che prima o poi ritornerai a chiedermi aiuto.” E, senza dire altro, scomparve nella nuvola viola, lasciando però cadere qualcosa a terra. Aniu si avvicinò al posto dove prima stava Tremotino. Si abbassò raccogliendo ciò che il Signore Oscuro aveva fatto cadere. Era il dente del suo compagno. O almeno così sembrava. Aniu riusciva a conoscere a quale animale apparteneva un qualsiasi oggetto, al solo contatto. Il suo sguardo divenne furioso.
“Maledetto Tremotino! Mi ha ingannata! Questo non è il dente che apparteneva al mio compagno! Questo è il dente di un comunissimo cane! Ma me la pagherà, parola mia!” replicò Aniu e i suoi occhi divennero gialli.
 
Intanto, al Castello Oscuro…
 
“Spero che non sia troppo arrabbiato. Io ed Excalibur non volevamo stare via tanto” disse Grace rivolta alla donna, mentre stavano nell’enorme salone.
“Ha detto che sarebbe uscito per una commissione e, conoscendolo, le sue commissioni non portano mai a nulla di buono” disse la donna. Proprio in quel momento, comparve una nuvola viola e, poi, Tremotino. Questi disse, rivolta alla donna: “Stai sempre a parlare? Dovresti anche lavorare.” E le passò accanto.
“Potrebbe avere un po’ più di rispetto nei miei confronti, visto che tengo in ordine la sua dimora. A quest’ora, senza di me, ci sarebbero ragni ovunque” disse la donna guardandolo.
“Mi è sembrato di vedere un ragnetto lì nell’angolo. Forse gli piaci” disse sorridendo Tremotino fermandosi e voltandosi verso di lei. La donna lo guardò malamente, ma poi ritornò a spolverare alcuni oggetti. Tremotino abbassò lo sguardo, rivolto a Grace e Excalibur. Quindi disse loro: “A quanto pare siete qua. Cosa vi ha trattenute da stare via più del previsto?”
“Ecco… Signore… noi non volevamo, lo giuro, ma… ci siamo avventurate nel bosco, quando lei ci aveva detto di non oltrepassare i confini del castello” spiegò titubante Grace.
“Ti ho per caso chiesto dove siete state? Non me ne frega nulla dove avete gironzolato. L’importante è che siate ritornate” disse Tremotino e si abbassò, aprendo la mano destra sul cui palmo Excalibur sputò sopra… un dente. Mentre il Signore Oscuro si rialzava, osservando quel dente, Grace lo guardò stranamente. Come faceva a sapere che il suo cucciolo di volpe teneva in bocca qualcosa? E soprattutto, Excalibur dove aveva preso quel dente? Riguardò Tremotino mentre si avvicinava a una credenza aprendola ed estraendone una scatolina. La mise poi sulla tavola e l’aprì, tirandone fuori un dente, ma non bianco come quello che gli aveva appena “dato” Excalibur. Accostò i due denti e sorrise quando entrambi brillarono. Excalibur drizzò le orecchie nel vederli brillare in quel modo. Mentre li allontanava l’uno dall’altro, smisero di brillare. Mise quindi il dente più bianco sulla tavola e, con un solo cenno della mano, una nube viola lo avvolse, facendolo attaccare a una catenina. La prese in mano e si voltò verso Grace, che era ancora rimasta senza parole. Si avvicinò a lei dicendole: “Voltati.”
Grace se ne rimase lì, incerta su cosa fare, ma dopo aver visto la già poca pazienza nel Signore Oscuro, si voltò. Bastarono pochi attimi e Grace abbassò lo sguardo, per trovarsi quella catenina, con quel dente bianco, attaccata al collo. Si rivoltò verso Tremotino, incredula da quel piccolo gesto di bontà appena dimostrato.
“Non accettarlo come un regalo. Te l’ho dato solamente perché non saprei cosa farmene” disse Tremotino. Era chiaro, invece, che il Signore Oscuro cercava di camuffare che quello si trattava veramente di un regalo. Che per lui, anche il solo piccolo oggetto, poteva ritenersi utile per qualche accordo o potente magia. Tremotino stava per voltarsi quando Grace lo abbracciò. Il Signore Oscuro rimase senza parole da quel gesto. Nessuno lo aveva mai abbracciato prima o, almeno, erano passati anni, se non secoli, dall’ultima volta.
“Sì, sì, sono contento che tu sia felice. Però ora gira al largo, che ho da fare” disse Tremotino scostandosela da sé.
“Be'… allora grazie” disse Grace.
“Non credere che l’abbia fatto perché mi stai simpatica. Solo perché tuo padre lavora per me e… perché sei amica con la mia volpe” disse Tremotino. Grace si guardò per un attimo il nuovo ciondolo che portava al collo. Poi riguardò il Signore Oscuro domandandogli: “Ehm… potrei fargli una domanda?”
“E’ chiaro che tu me l’abbia già fatta” disse ridendo Tremotino. Poi, però, dopo aver visto lo sguardo strano di Grace, aggiunse: “Ma considerando che non mi stressi troppo, chiedimi quello che vuoi.”
“Vorrei sapere perché continua a far morire la natura circostante. Non è… crudele?” chiese Grace stando attenta alle giuste parole da usare.
“Bambina, perché mai credi che stia facendo morire la natura? Non avrei con me un cucciolo di volpe se facessi così. E poi vorrei tanto sapere chi ti ha detto una cosa del genere” disse Tremotino.
“E’ solo una mia curiosità” disse Grace. Tremotino sorrise. In realtà sapeva perfettamente chi glielo aveva detto, ma naturalmente non lo avrebbe mai fatto capire a quella bambina. Quindi le disse: “Be', di' alla tua curiosità che la natura non morirà.” E si andò a sedere a tavola.
“Anche perché non è in possesso di un oggetto legato a essa” disse Grace guardandolo. Sia Tremotino che Excalibur la guardarono. Persino quella donna, sebbene continuasse a pulire, aveva voltato lo sguardo verso di lei.
“Io no, ma tu sì. Si tratta di un dente, quello che porti ora al collo. Ma non di un dente qualsiasi. Con quello, per te non sarà più un problema gironzolare per la foresta alla ricerca di fughi” disse Tremotino.
“Non capisco” disse Grace.
“Capirai a tempo debito. E ora saluta Excalibur, che ritorni a casa” disse Tremotino. Grace si voltò in direzione del cucciolo di volpe e fece appena in tempo a salutarlo che una nube viola l’avvolse, facendola scomparire. Mentre Tremotino si alzava, la donna lo guardò dicendogli: “Siete stato spregevole. Quella bambina è stata così gentile, eppure voi l’avete trattata male.”
“Non giudicare il mio comportamento, piuttosto occupati della cena. Io ho altro da fare” disse Tremotino mentre si abbassava.
“E potrei sapere cosa?” domandò la donna guardandolo.
“Rinchiudere la mia personale guardia del corpo nelle prigioni per un po’” rispose Tremotino rialzandosi e tenendo per la coda… un topo. La donna rimase senza parole. Ma poi titubante disse: “Quella sarebbe la sua guardia del corpo?! Credevo fosse… diversa.”
“Infatti lo è, ma per il momento ho deciso di cambiarle aspetto. Non ha rispettato un mio ordine e, per questo, ho deciso di punirla. Ma tranquilla, mia cara: rimarrà nelle prigioni finché non avrà imparato che non deve mai disobbedirmi. Perché lui è stato un bambino cattivo” disse ridendo Tremotino mentre guardava Dove tramutato in topo. Poi si diresse verso la porta senza aggiungere altro. La donna lo guardò. Poi abbassò lo sguardo quando Excalibur si avvicinò a lei e sputò qualcosa sul tappeto. La donna si abbassò raccogliendo quella cosa. Si trattava di un dente bianco. Ma non ne aveva già sputato prima uno identico? Riguardò il cucciolo di volpe che la stava guardando a sua volta scodinzolando. Poi si rialzò ma appena si voltò, sobbalzò un po’ dalla paura, quando si trovò di fronte Tremotino.
“Non l’ho sentita rientrare. Ha fatto presto” disse la donna.
“Non sono andato a rinchiuderlo nelle prigioni del castello della Regina. E, ora, se permetti, quello sarebbe mio” disse Tremotino mostrando la mano destra aperta. La donna guardò il dente che teneva in mano. Poi però lo mise nel palmo della mano di Tremotino, che subito richiuse come se fosse stato un tesoro da custodire. Mentre se ne andava verso la tavola, disse: “Non ti avevo detto di andare a preparare la cena? Lo sai che non mi piace ripetere le cose.”
“Ci stavo giusto andando” disse la donna e si avviò verso la porta, ma si fermò quando Tremotino, non guardandola, disse: “E mi raccomando: prepara una bella bistecca grossa per Excalibur”. La donna lo guardò e stupita ripete: “Bistecca?!”
Tremotino la guardò dicendole: “Di solito le faccio mangiare gli avanzi del giorno prima, ma visto che oggi è stata molto brava, voglio premiarla con qualcosa di più sostanzioso. Quindi vedi di sbrigarti. Ah, e porta anche due tazze di tè: una calda per me e una fredda per la mia volpe.” La donna ci rimase male, perché aveva pensato che la seconda tazza fosse per lei. Poi lo guardò. Tremotino la guardò a sua volta, dicendo: “Che cosa stai aspettando? Vuoi vedere se cambio aspetto? Cosa che non avverrà, quindi su, su, vai, prima che ti chieda di preparare anche del formaggio per il nostro ospite nella prigione.”
“Come desidera” disse la donna e, dopo aver sbattuto lo straccio sulla tavola, se ne uscì dal salone. Tremotino la guardò. Poi guardò Excalibur, che nel frattempo era andata nella sua cesta dorata accanto all’arcolaio, dicendole: “Tipetta molto tosta. Mi piace.” E rise. Poi però prese il dente bianco accostandolo all’altro. Entrambi brillarono. Tremotino sorrise e disse: “Mia cara Aniu, ora che posseggo un oggetto della foresta, guardati sempre le spalle. Nessuno trae in inganno il Signore Oscuro.”

Storybrooke
 
Gold sorrise nel ripensare a quel momento. A differenza di altri, lui si ricordava benissimo della sua vita precedente nella Foresta Incantata e quanto pareva, non solo lui e Regina ne erano rimasti illesi: anche Excalibur ne faceva parte. Quella volpe, solo un cucciolo nella Foresta Incantata, sembrava che lo stesse aiutando con il suo piano. Excalibur, nel passato, lo aiutava sempre nel ritrovare oggetti magici. Era formidabile il modo in cui lei gli fosse stata amica per tutto questo tempo. La guardò e le disse: “Tu sei stata la mia prima vera amica, e ti ringrazio per tutto quello che hai fatto e stai facendo ora.” Excalibur lo guardò, drizzando le orecchie e scodinzolando.
In quel momento, Paige riprese i sensi. Si guardò intorno cercando di capire dove si potesse trovare. Poi però fermò lo sguardo su Gold e sussurrò una sola parola: “Tremotino.” Gold rimase senza parole. Come faceva quella bambina a conoscere il suo nome?





Note del'autrice: Altro capitolo finito e, fatemelo dire, Bentornato OUAT. La puntata di domenica è stata eccezionale. Quando Rumple è ritornato..... (ok non faccio spoiler per chi non l'avesse mai vista, ma vi dico feelings al massimo per il nostro amato Rumple e devo dire che mi sn affezionata anche a Crudelia. Un pò meno a Ursula). Comunque passiamo alla fanfict. La famosa donna, non era altri che il lupo bianco che, a quanto pare non solo ha una storia con la madre di Cappuccetto Rosso, ma ha avuto anche un passato con Rumple (e chi non ce l'ha avuto?). E a quanto pare Rumple aveva pianificato tutto, così come anche Excalibur. Che peste questa volpe. E veniamo alla fine: sembra che Paige sappia il nome di Gold. Solo un ricordo del passato o si ricorda anche lei della sua vita precedente nella Foresta Incatata? Ah e per la gioia di noi Rumbelle, sto inserendo sempre più accenni di Belle

Ora passiamo ai ringraziamenti. Ringrazio, come sempre, tutti coloro che mi seguono e hanno messo la storia tra le seguite e le preferite. Ringrazio anche la mia beta reader Lucia (ora Rumbelle anche lei) e le mie grandi recesori veterane Spaponci e vampiretta98. Grazie di cuore ragazze E ovviamente anche grazie a tutti gli altri Oncers.

Passate una bellissima serata e al prossimo episodio. Stay Tuned. The Magic has coming again

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Capitolo 17
*** Strani Sintomi - Parte I ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo IX: Strani Sintomi - Prima Parte
 
Gold rimase senza parole dopo aver sentito ciò che aveva appena detto Paige. Quest’ultima lo guardò ripetendo: “Tremotino.”
Excalibur drizzò le orecchie guardando la bambina. Che lei si ricordasse veramente? Gold non volle rischiare e quindi gridò: “Dottore! Venga subito. Paige sta male.”
E, in men che non si dica, il Dottor Whale, seguito da un’infermiera, corse dentro la stanza, mettendosi subito accanto al letto della bambina, controllandone i segni vitali mentre Excalibur scendeva velocemente dal letto, ritornando da Rose, salendo sulla sedia accanto a dove dormiva.
Poi il dottore guardò Gold e gli disse: “A me sembra tutto a posto. Che cosa ha avuto?”
“Delirava. Diceva cose senza senso. È per questo che l’ho chiamata. Questa bambina potrebbe avere qualcosa di grave, visto anche che i suoi genitori non si sono presi molto cura di lei” rispose Gold guardandolo.
“È solo stanca. Niente di cui preoccuparsi. Ora le consiglio di prendere sua figlia e ritornare a casa. Di più qua non potete fare. Un’infermiera rimarrà con lei” spiegò il Dottor Whale. Gold lo guardò. Poi però uscì, raggiungendo la figlia ed Excalibur. La volpe stava leccando la faccia di Rose, cercando di svegliarla, ma invano.
“Tesoro, svegliati. Ritorniamo a casa” disse Gold, scuotendola leggermente.
“Non ho voglia. Lasciami dormire qua” disse Rose.
“Se ti svegli, il papà ti prenderà un gustoso gelato” disse sorridendo Gold. Sentendo quelle parole, Rose aprì subito gli occhi. Si sedette e poi si alzò, allungando la giacca al padre e, mentre lui se la metteva, la figlia gli chiese: “Davvero mi prenderai un gelato?”
“Ho sempre mantenuto le mie promesse, no?” disse Gold, finendo di mettersi la giacca, per poi prendere il bastone che aveva precedentemente appoggiato contro il muro. Poi si incamminò lungo il corridoio, affiancato da una parte da Rose e dall’altra da Excalibur.
“Sei il papà migliore del mondo” disse Rose
“Non mi consideravi così, quando eri in punizione” disse Gold, mentre uscirono dall’ospedale.
“Be', è normale. Nessun figlio sta bene in punizione. È come stare in prigione” disse Rose fermandosi accanto alla Cadillac.
“Credimi, la prigione è ben più diversa dallo stare rinchiusi in casa” disse Gold, guardandola. Rose lo guardò stranamente per poi domandargli: “Perché, sei stato in prigione?”
Ci fu un po’ di silenzio. Poi Gold rispose: “ No, ma ho visto qualcosa in televisione. E poi nessuno ne ha mai parlato bene.” Aprì la portiera e salì in macchina. Rose aprì la portiera dalla sua parte ma, prima di salire, fece salire Excalibur sul retro. Poi salì anche lei e Gold partì.
Poco dopo arrivarono a casa e, mentre scendevano dall’auto, Rose disse: “Credevo andassimo a prendere un gelato. Mi hai ingannata.”
“Io non ho mai detto quando ci saremmo andati” disse Gold salendo sui gradini.
“Avrei dovuto continuare a dormire” disse Rose fermandosi accanto a lui, insieme a Excalibur, mentre apriva la porta.
“E io avrei continuato a svegliarti. Su, entra e non fare storie” disse Gold aprendo la porta e mettendosi da una parte.
Rose gli passò accanto. Si fermò. Lo guardò dicendogli: “Comunque non è giusto.” E poi entrò, seguita da Excalibur. Gold alzò gli occhi al cielo ed entrò anche lui, chiudendo la porta dietro di sé.
Il mattino seguente, padre, figlia e volpe erano in cucina a fare colazione. Come sempre, Gold aveva preparato un sacco di cose per Rose. Ma quest’ultima non aveva quasi toccato nulla. Il padre ovviamente se ne accorse.
“Piccola, qualcosa non va?” le chiese. Rose alzò lo sguardo e, mentre con la forchetta faceva andare avanti e indietro una omelette sul piatto, rispose: “Sì, sto bene.” Gold le andò accanto, mettendole una mano sulla fronte.
“Non hai la febbre” iniziò col dire Gold. Poi le mise una mano sotto il mento, alzandole il viso e guardandola negli occhi, continuò: “E non hai gli occhi lucidi.”
“Papà sto bene, dico davvero” disse Rose.
“Apri la bocca” disse Gold.
“Ma papà…” ribatté Rose.
“Ho detto, apri la bocca” disse Gold. Rose sbuffò, ma poi aprì la bocca. Gold si abbassò leggermente guardando all’interno di essa, mettendo nuovamente una mano sotto il mento, per alzare il viso in modo che un po’ di luce entrasse nella bocca. Poi disse: “Hai la gola un po’ rossa, ma sicuramente è perché avrai preso del freddo” e tolse la mano. Rose richiuse la bocca per poi dire: “Ora ti sei messo pure a fare il medico?”
“Voglio solo che tu stia bene” disse Gold e camminò verso una credenza.
“Sto bene, te lo ripeto per la centesima volta. È solo che non ho molto appetito. Capita a tutti” disse Rose. Ma, quando abbassò lo sguardo, vide Excalibur finire la sua pappa nella ciotola in pochissimo tempo. “Be', quasi tutti” aggiunse. Poi riguardò il padre mentre questi, dopo aver preso un barattolo dalla credenza, diceva voltandosi verso di lei: “Sono tuo padre ed è compito mio occuparmi di te. E questo sottintende anche della tua salute.” E mise il barattolo sulla tavola.
“Quella che roba è?” domandò Rose guardando il barattolo.
“La tua cura” rispose sorridendo Gold mentre prendeva un cucchiaio. Poi aprì il barattolo versando il contenuto proprio sul cucchiaio. Quella cosa aveva un aspetto davvero orribile, almeno agli occhi di Rose che, appena il padre le avvicinò il cucchiaio, si ritrasse.
“Fa' la brava e prendi la medicina” disse Gold, ma Rose continuava a ritrarsi o spostarsi a destra e a sinistra.
“Smettila, Rose! È per il tuo bene!” replicò Gold, cercando di imboccare la figlia.
“È avvelenamento contro minore!” replicò Rose. Quando Excalibur andò dietro di lei, morsicandole i pantaloni, Rose abbassò lo sguardo, replicando: “Excalibur, smettila!” e appena la figlia aprì bocca, Gold ne approfittò per darle la medicina. Rose fece una faccia disgustata. Guardò il padre chiedendogli: “Che schifezza è?”
“È una medicina che ti farà stare bene e che prenderai due volte al giorno, finché non ti sentirai meglio” rispose Gold chiudendo il barattolo e mettendo il cucchiaio nel lavandino.
“C’è solo un problema: io sto già bene. Quindi quella medicina è solo una perdita di tempo” disse Rose e, abbassando lo sguardo, aggiunse dicendo rivolta a Excalibur: “Traditrice.”
Poi riguardò il padre quando questi disse: “Ricordati che le mie non sono mai delle perdite di tempo. Che tutto ciò che faccio, lo faccio per te e per la tua protezione.”
“È molto gentile da parte tua, papà, ma ti ripeto che non ne ho bisogno. Se dovessi sentirmi male, ti prometto che correrò subito da te e prenderò questa schifo…. Ehm… buonissima medicina. Vedrai che non dovrai preoccuparti più di nulla” disse Rose sorridendo e alzandosi dalla sedia.
“Su questo ne sono sicuro” disse sorridendo Gold.
Poco dopo, padre e figlia si trovavano davanti alla porta di casa. Solo che in Rose c’era qualcosa che non andava. Era completamente imbacuccata. Indossava due magliette. Un cappotto. Una sciarpa che la copriva fino la bocca. Guanti e cuffia.
“Ecco, ora siamo pronti per uscire e andare a trovare la tua amica. Ho telefonato al Dottor Whale e mi ha assicurato che è sveglia” disse Gold mentre prendeva le chiavi della macchina e si accingeva ad aprire la porta.
“Era proprio necessario vestirmi così? Sto crepando dal caldo” domandò Rose, guardandolo.
“È per non farti ammalare ancora di più” disse Gold guardandola e sorridendole. Rose si tolse la sciarpa dalla bocca, dicendogli: “Come sarebbe a dire, ancora di più? Sto benissimo e te l’avrò già detto un centinaio di volte come minimo.”
“È sempre meglio essere previdenti e non rischiare” disse Gold rimettendole la sciarpa sopra la bocca. Poi aprì e uscirono, lasciando Excalibur a dormire nella sua cesta in salotto.
Poco dopo si ritrovarono nella camera da letto dell’ospedale dove era stata messa Paige. Ovviamente Rose si era tolta tutta la pesante roba che le aveva fatto mettere precedentemente il padre.
“Sono contenta che ti stia riprendendo. Secondo il Dottor Whale, potrai uscire tra qualche giorno” disse Rose, mentre se ne stava accanto al letto.
“Non vedo l’ora. Capisco del perché molta gente odi gli ospedali. Qui ci si annoia” disse Paige.
“Be', se ti può rassicurare, ci si annoia di più a stare nel negozio di mio padre” disse Rose. Ma dopo aver visto lo sguardo severo di Gold, la bambina fece un finto sorriso dicendogli: “Sai che sto scherzando, papà. Adoro tantissimo stare nel tuo negozio.”
Paige guardò Gold dicendogli: “Grazie per avermi salvata. Senza di voi sarei sicuramente morta.”
“Non è stato niente di che, piccola. L’importante è che tu ti senta meglio. Ma la prossima volta, ti consiglio di non scappare e starci ad ascoltare” spiegò Gold, guardandola.
“Va bene” disse sorridendo Paige.
“E quando ti sarei ripresa del tutto, io, tu e Henry andremo a giocare insieme nel nostro castello sulla spiaggia” disse Rose.
“Davvero mi volete con voi?” chiese Paige.
“Ma certo. Dopotutto siamo amici, no?” rispose Rose e Paige sorrise. Poi guardò Gold domandandogli: “I miei genitori non sono ancora venuti a trovarmi. Potrei contattarli?”
“Non ce ne è bisogno. Sanno già tutto” rispose Gold.
“Davvero?!” disse stupita Paige.
“Davvero?!” ripeté stupita Rose, guardandolo.
“Li ho avvertiti prima. Ho detto loro di non preoccuparsi e che sei in buone mani” spiegò Gold.
“E loro si sono fidati delle sue parole?” chiese Paige.
“Ma certo. E poi, se non si fidano di me, di chi altri si dovrebbero fidare?” rispose Gold e Rose inarcò un sopracciglio. Paige abbassò lo sguardo guardandosi il dente che portava al collo. Poi riguardò Gold dicendogli: “Volevo ringraziarla.”
“Mi sembra che tu mi abbia già ringraziato prima” disse Gold.
“Non per quello. Ma per questo dente” disse Paige. Gold rimase senza parole. Allora quella bambina ricordava veramente chi fosse nella Foresta Incantata. Rose guardò prima stranamente Paige e poi, allo stesso modo, il padre. Stava per chiedere qualcosa, quando Gold disse: “Rose, rimettiti i vestiti che è ora di andare.”
“Ma perché, crepo con quei vestiti” disse Rose.
“Mettiteli e basta! E non fare storie!” replicò Gold guardandola. Rose preferì non obiettare, quindi iniziò col mettersi i tanti vestiti pesanti. Gold guardò Paige dicendole: “Scusaci, piccola, ma ora dobbiamo proprio andare. Abbiamo delle cose urgenti da fare.”
“Cose urgenti da fare? Quali cose urgenti da fare?” domandò Rose guardandolo, mentre si metteva la seconda maglia.
“Cose molto importanti. Se no, non sarebbero urgenti. Intanto continua a vestirti, che siamo già in ritardo” rispose Gold, non guardandola.
“In ritardo? Non mi sembrava che prima fossimo in ritardo” disse Rose, mentre si metteva la giacca.
“Signor Gold, ho forse detto qualcosa che non va, da farvi andar via così all’improvviso?” chiese Paige guardando l’uomo.
“Tu non hai detto niente di sbagliato. È che mi sono ricordato solo ora di un impegno che avevamo” rispose Gold sorridendole. Poi guardò Rose e, vedendola pronta, aggiunse: “Ritorneremo quando Paige sarà pronta per uscire.”
“Vuol dire che non verranno i miei genitori a prendermi?” domandò Paige. Gold la guardò rispondendole: “No, verremo noi. E poi loro hanno sempre così tanto da fare.”
“Sembrerebbe la nostra descrizione” disse Rose, mentre con una mano si teneva abbassata la sciarpa. Gold la guardò senza dire nulla. Poi riguardò Paige dicendo: “Se hai bisogno di qualcosa, chiama pure il Dottor Whale. Mi ha assicurato che è a tua completa disposizione.”
“Grazie di tutto, Signor Gold. Non è affatto vero quello che si dice in giro su di lei” disse Paige.
“Non stare a lodarlo così tanto o potrebbe “usufruire” troppo di te” disse Rose.
“Non starla ad ascoltare. Non uso persone come oggetti. Però, ad alcune di loro, do parecchie punizioni perché non fanno le brave” disse Gold e, guardando Rose, le sorrise.
“Papà, possiamo andare? Mi sto sciogliendo come un ghiacciolo al sole” disse Rose.
“Rimettiti meglio la sciarpa sulla bocca e andiamo” disse Gold. Poi guardò Paige aggiungendo: “Arrivederci, Signorina Grace” e uscì.
“Arrivederci, Signor Gold” disse Paige guardandolo. Poi seguì con lo sguardo Rose, mentre questi a fatica si muova per la stanza. Sembrava che ai piedi si trascinasse delle palle da carcerato. Era appena arrivata a metà letto quando si fermò a riprendere fiato. Si abbassò la sciarpa, ansimando.
“Scusa, ma perché sei vestita così pesante?” chiese Paige guardandola.
“Chiedilo a mio padre e alla sua nuova mania di cercare di proteggermi da un raffreddore” rispose Rose guardandola.
“Rose! Vieni!” gridò Gold dal corridoio.
“Meglio che non lo faccia aspettare o potrebbe diventare una bestia” disse Rose.
“Non credo che il Signor Gold possa diventare così cattivo” disse Paige.
“Prova ad avercelo come padre durante i giorni no e poi mi dirai” disse Rose e, dopo essersi messa la sciarpa sulla bocca, a fatica si trascinò fuori dalla stanza. Paige la guardò tristemente dicendo: “Preferisco avere un padre come il Signor Gold che come il mio adottivo.” E abbassò lo sguardo.
Poco dopo, padre e figlia stavano camminando lungo una delle strade della cittadina, quando davanti a loro comparve Regina. Gold si fermò e si voltò, camminando nella direzione dalla quale erano appena venuti. Rose, invece, non fu abbastanza veloce e, appena si voltò per seguire il padre, Regina la raggiunse, prendendola per la sciarpa e bloccandola. Gold si fermò, voltandosi verso le due.
“Gold, non mi saluti neanche? Dopotutto siamo vecchi conoscenti” disse Regina sorridendo maliziosamente.
“Perché dovrei? Sta strangolando mia figlia” disse Gold. Regina lasciò andare la sciarpa di Rose, la quale se l’abbassò e riprese fiato.
“Come mai hai conciato così tua figlia? Da chi vuoi nasconderla?” domandò Regina.
“Oh, da un sacco di persone. Soprattutto da quelle che parlano con un sacco di specchi” rispose sorridendo maliziosamente Gold, prendendo Rose e nascondendola dietro di sé.
“Sai che non potrai proteggerla da tutto e tutti. E che tu non ci sarei sempre al suo fianco” disse Regina.
“Non mi sottovaluti, Sindaco” disse Gold.
“Non l’ho mai fatto e so che, abbassando anche per poco la guardia con te, si rischia molto. È un rischio che non voglio correre” disse Regina e guardò sorridendo maliziosamente Rose, la quale la guardò con un po’ di paura, standosene ben sicura dietro al padre.
“Arrivi al sodo. Che cosa vuole? Di solito, quando mi vuole incontrare intenzionalmente, è perché vuole chiedermi qualcosa” chiese Gold.
“Ho sentito voci che tieni segregata in qualche posto, la figlia dei Grace” disse Regina.
“Non rubo bambini. Io ne ho già una e non mi interessano quelli degli altri. Non hanno nessun valore per me. Strillano. Non dormono mai. Fanno venire forti mal di testa” disse Gold.
“Ma noi non stiamo parlando di una neonata. E poi quelli per te sono storia passata. Molto passata” disse Regina.
“Ho voltato pagina con altro” disse Gold cercando di tagliare corto quella conversazione.
“A quanto pare no, visto che hai una figlia” disse Regina.
“Perché ha tanto interesse per la figlia dei Grace? Che cosa ci vuole guadagnare? La loro fiducia? Non pensi che sia così semplice” disse Gold.
“Voglio solo sapere che fine ha fatto la loro figlia. So che ce l’hai nascosta tu da qualche parte e so anche che la stai nascondendo per un motivo ben preciso. Magari per qualche tuo losco scopo” disse Regina.
“E se anche fosse come dice lei? Non dovrebbe essere di suo interesse” disse Gold.
“Ti sei dimenticato che tutto ciò che avviene in questa città è di mio interesse. Che, in quanto Sindaco, le notizie devono passare prima da me” disse Regina.
“Strano, avrei giurato che prima passassero dal suo fidato Sceriffo, ma in momenti intimi” disse Gold. Regina lo guardò malamente. Poi replicò: “Ti piace così tanto provocarmi, ma attento che, prima o poi, ogni mela cade dal suo albero.”
“E ogni albero deve cercare di fare frutti buoni o, se no rischierà di essere tagliato. Se non sbaglio, ha un bellissimo albero di mele nel vostro giardino, vero?” disse Gold.
“E questo che cosa dovrebbe voler dire?” domandò Regina.
“Niente di che. Volevo solo assicurarmi che ci fosse ancora. Con la Signorina Swan appena arrivata in città, non vorrei che accadesse qualcosa di spiacevole alle sue mele” rispose Gold.
“Lei non deve neanche avvicinarsi alle mie mele! Ci deve solo provare che la caccerò da Storybrooke!” replicò Regina.
“Però ci potrebbe essere qualcuno a incitarla nel compiere un gesto simile” disse sorridendo Gold.
“Non oserai!” replicò Regina.
“Le voglio ricordare che ho più potere di lei. Posso far accadere qualsiasi cosa dove voglio e anche convincere le persone a fare ciò che chiedo loro. Non le conviene avermi come nemico” disse Gold.
“Qual è il tuo accordo?” chiese Regina. Gold sorrise per poi rispondere: “Sapevo che prima o poi lo avrebbe chiesto. Voglio semplicemente che lei stia alla larga da mia figlia e da qualunque altro membro della mia famiglia”
“Se ne avesse” disse Regina. Gold la guardò malamente. Poi continuò: “Se solo fa loro del male, potrà dire ben presto addio al suo amato albero.” Regina guardò Rose, che la guardava a sua volta con un po’ di paura. Poi riguardò Gold dicendo: “E va bene. Non toccherò la sua preziosa marmocchia. Ma, in cambio, la Signorina Swan non deve nemmeno avvicinarsi alla mia proprietà. Non ne ha nessun diritto.”
“E nemmeno nessun potere, visto che al momento non è niente. Ma lasci che le dia un consiglio da vecchio compare: tenga sempre d’occhio chi ha di più fidato. Non è sempre bello dare troppa confidenza anche a una persona sulla quale si fa affidamento” spiegò Gold. Poi questi abbassò lo sguardo e, rivolto alla figlia, aggiunse: “Andiamo, Rose. Abbiamo un sacco di cose da fare.” E s’incamminarono, passando accanto a Regina. Quest’ultima si voltò dicendo, mentre padre e figlia voltavano l’angolo: “Scoprirò chi sei veramente, Gold. E quando arriverà quel momento, ti farò soffrire ancora di più.” E sorrise maliziosamente.
La cena passò normalmente anche se Rose dovette ancora prendere, su insistenza del padre, quella disgustosa medicina. Ma fu a letto che la bambina non riuscì a chiudere occhio. Per quasi tutta la notte le fece male la pancia. Preferì non dire nulla a suo padre, per paura che lui continuasse a farle prendere quella medicina. Sperando fosse solo un malessere passeggero, cercò di dormire anche se passò una notte insonne.
Giorni dopo, Paige venne finalmente dimessa. Stranamente la bambina non passò la convalescenza a casa sua, ma nella villa dei Gold. Secondo proprio Gold, quanto detto al Dottor Whale, i Signori Grace non erano idonei nel prendersi cura della figlia dopo l’operazione e, stranamente, il Dottor Whale aveva acconsentito al momentaneo affidamento della bambina al proprietario del Negozio dei Pegni. Non che a Rose dispiacesse avere la sua migliore amica come momentanea inquilina, ma non riusciva a capire di questa decisione del padre. Dopotutto, da quello che si ricordava, suo padre aveva fatto firmare ai Signori Grace un accordo nel quale si prevedeva che avessero dovuto trattare bene Paige fino all’arrivo del genitore biologico. Sapeva che suo padre non faceva mai le cose a caso e che era sempre un passo avanti agli altri. Gli accordi, per lui, erano un’inestimabile fonte di guadagno, ma non in senso di soldi: riusciva sempre ad averla vinta lui e tutti facevano ciò che voleva lui.
Passarono altri giorni e un giorno, Henry, Rose e Paige stavano passeggiando, dopo scuola, lungo la via principale della città.
“È bello vederti finalmente fuori dall’ospedale. Ma almeno stai bene dal Signor Gold?” domandò Henry.
“Non mi posso lamentare” rispose Paige.
“Non ti puoi lamentare?!” ripeté stupita Rose guardandola. Poi guardò Henry, continuando: “L’altra sera c’era il budino al cioccolato per dolce. A me non l’ha dato, dicendo che devo ancora guarire del tutto. A lei sì. Questo è viziare.”
“Be', dopotutto sono l’ospite, no?” disse Paige.
“Un ospite viziato” disse Rose, guardandola.
“Comunque, ora che Paige è fuori dall’ospedale, dobbiamo continuare con l’Operazione Cobra” disse Henry.
“È quella dove, secondo te, i personaggi delle fiabe sono qua, solo che non ricordano chi sono a causa della maledizione della Regina Cattiva?” chiese Paige.
Henry si fermò, facendo fermare di conseguenza le altre due. Guardò Paige e stupito domandò: “E tu come lo sai?”
“Rose me ne ha accennato” rispose Paige. Henry guardò Rose, che disse: “Mi è sfuggito di bocca. E poi, non credi che più siamo e meglio è?”
“Concordo” disse Henry. Poi guardò Paige aggiungendo: “Allora benvenuta nell’Operazione Cobra.” E ripresero a camminare.
“Grazie, ma cosa devo fare?” chiese Paige.
“Oh, è molto semplice: devi cercare di capire chi erano i vari abitanti nella Foresta Incantata e cercare di far tornare loro la memoria. Ah, e cosa più importante, dobbiamo fare in modo di far credere Emma” rispose Rose guardandola.
“La vera mamma di Henry? Perché?” domandò Paige.
“Perché lei è la Salvatrice. Sarà colei che spezzerà la maledizione e, per farlo, deve credere” rispose Henry guardandola.
“Al momento a che punto è col credere?” chiese Rose.
“Non lo so. A dire il vero è un po’ che la vedo pensare ad altro” rispose Henry.
“Altro di che tipo?” domandò Rose.
“Ho sentito dire in giro che lei e lo Sceriffo si stanno frequentando e non come amici” disse Paige. Quindi si fermarono, quando videro dall’altra parte della strada proprio Emma con Graham. I due stavano passeggiando fianco a fianco.
“Odio doverlo ammettere, ma il gossip in questa cittadina è sempre veritiero. Non fai in tempo a fare una cosa che in pochi secondi già tutti lo sanno” disse Rose. Li videro parlare tra loro e poi ridere.
“Sembrano felici” disse Henry.
“Sapete, non è cortese spiare qualcun altro” disse Paige.
“Eppure lo stiamo facendo, e anche tu” disse Rose.
“Perché sono insieme a voi, e non ditemi che questo non fa parte dell’Operazione Cobra” disse Paige.
“Spiare non fa parte dell’operazione, ma possiamo sempre includerlo” disse Rose. Quindi Emma e Graham voltarono lo sguardo verso di loro. I tre entrarono nell’edificio dietro di loro senza accorgersi minimamente di dove fossero finiti. Poi guardarono dal vetro della porta per vedere Emma e lo Sceriffo entrare da Granny’s.
“Per poco non hanno visti” disse Paige.
“Ci hanno visti, ma finché staremo lontani dai loro sguardi inquisitori non ci accadrà nulla” disse Rose allontanandosi, come gli altri due, dalla porta. Si guardarono intorno e videro che erano contornati da una miriade di fiori di ogni genere.
“Ragazzi, perché siamo in un negozio di fiori?” chiese Paige, mentre Rose si incamminò guardandosi incantata intorno.
“Ehm… perché non dovevamo farci vedere da mia madre e dallo Sceriffo?” domandò Henry. Lo sguardo di Rose si fermò su un bellissimo mazzo di rose poste dentro un vaso. Stava per avvicinarsi, quando una voce potente replicò: “Chi c’è?!” Comparve un uomo molto alto, con un cappellino e una casacca sopra alla quale era scritto Game of Thrones.
“Ci scusi, signore. Non volevamo importunarla” rispose timidamente Paige, guardandolo come gli altri due.
“Non voglio mocciosi nel mio negozio! Non c’è merce per voi!” replicò l’uomo.
“Ce ne andiamo subito, signor French” disse Henry.
“Non mi interessa se sei il figlio del Sindaco: non sei ammesso!” replicò Moe guardandolo. Poi guardò Rose aggiungendo: “Soprattutto tu!”
“Io?! Cosa ho fatto? È la prima volta che vengo qua” chiese Rose guardandolo.
“Tu sei una mocciosa viziata! Viziata a causa di tuo padre. Se sei venuta qua per conto suo, sappi che non gli darò un centesimo in più per l’affitto! E ora fuori di qua!” replicò Moe.
“Quanto vuole per quelle rose?” domandò, invece Rose, non muovendosi dalla sua posizione.
“Non sono in vendita” rispose acidamente Moe.
“Se non sono in vendita, perché allora le tiene qua in negozio?” chiese Rose.
“Non sono affari tuoi, mocciosetta!” replicò Moe facendo qualche passo avanti e facendo indietreggiare Rose, la quale disse: “La prego. Le do tutto quello che vuole. Vorrei fare un regalo.” A quel punto, Moe perse del tutto la pazienza. Prese Rose per la bambina, alzandola a mezz’aria. Henry e Paige guardarono l’amica in modo impaurito.
“Allora non mi sono spiegato, mocciosetta: quelle rose non sono in vendita, e se anche lo fossero di certo non le venderei a te! E ora sparite tutti e tre da qua, prima che chiami la polizia!” replicò Moe e mise Rose a terra non molto delicatamente. La bambina venne sorretta dai suoi amici e corsero fuori. Moe guardò la porta chiudersi per poi voltarsi e guardare le rose.
I tre bambini corsero dall’altra parte della strada per poi fermarsi e riprendere fiato.
“Ma quello è pazzo! Come si permette di trattarci così?! E poi non stavamo facendo nulla di male” disse Paige.
“Il Signor French è sempre stato così, anche se non ho ancora capito chi era nella Foresta Incantata” disse Henry.
“Ti sembra il momento di pensare all’Operazione Cobra? Non hai visto come ha trattato Rose? L’ha quasi picchiata” disse Paige, guardando Henry non accorgendosi che la loro amica stava ansimando e si era portata una mano sul lato destro della pancia.
“Non lo avrebbe mai fatto. Il Signor French sa che andare oltre il limite può portare a gravi conseguenze. Soprattutto se avesse fatto del male a Rose. Sa che il Signor Gold gli avrebbe di sicuro fatto chiudere il negozio” spiegò Henry.
“Anche se sono sicura che il Signor French avrebbe detto che lui non ha fatto male a Rose” disse Paige.
“Non lo puoi sapere” disse Henry.
“Credimi, mi è bastato stare in quel negozio per pochi minuti per rendermi che tipo di persona è il Signor French. Posso paragonarlo ai miei genitori adottivi” disse Paige.
“E tu cosa ne pensi, Rose?” domandò Henry, ma appena lui e Paige voltarono lo sguardo verso Rose, quest'ultima cadde a terra. Subito i due si inginocchiarono al suo fianco.
“Rose! Cosa ti prende? Avanti, riprenditi!” replicò Henry.
“È molto pallida. Dobbiamo andare a chiedere aiuto” disse Paige.
“Tu rimani qua con lei. Vado io” disse Henry e, rialzandosi, corse a cercare aiuto, entrando da Granny’s. I presenti voltarono lo sguardo verso di lui, ma il bambino corse da Graham ed Emma. Quest’ultima non fece nemmeno in tempo a chiedere cosa fosse successo che Henry disse: “Presto, venite con me. Rose sta male ed è svenuta a terra qua vicino.” I tre corsero fuori, raggiungendo le due bambine.
“Che cosa le è successo?” chiese Emma, mentre le metteva le mani sulle guance.
“Vorremmo saperlo anche noi” rispose preoccupata Paige. Rose riprese i sensi, dicendo: “Mi fa tanto male la pancia.”
“Dobbiamo portarla subito all’ospedale” disse Graham.
“E avvertire il padre” aggiunse dicendo Emma, alzando lo sguardo guardandolo.
“Va bene. Ci penso io. Tu porta la bambina in ospedale” disse Graham, e stava per andare verso il Negozio dei Pegni quando Emma, alzandosi, lo fermò dicendogli: “No. Vado io ad avvertirlo. Tu porta Rose all’ospedale. Con la tua macchina farete più alla svelta e non avrete problemi nel passare.”
“Possiamo venire con voi?” domandò Henry guardando gli adulti.
“Vi prego. Vorremmo stare accanto alla nostra amica” aggiunse Paige.
“Va bene. Potete venire. Ma mi dovete promettere di fare i bravi” disse Graham e, abbassandosi, prese in braccio Rose, dicendole: “Tranquilla. Ora ti porteremo in un posto dove ti faranno stare bene.”
“Voglio il mio papà” disse Rose.
“Ci raggiungerà in ospedale. Non temere” disse Graham e, voltandosi verso Henry e Paige aggiunse dicendo loro: “Aiutatemi nel metterla in macchina” e Henry aprì la portiera sul dietro. Delicatamente Graham distese Rose sul sedile, mentre Henry si sedeva accanto a lei. Paige, invece, andò a sedersi nel sedile del passeggero. Graham guardò Emma chiedendole: “Sicura che vuoi andarci tu, da Gold? Guarda che sarà una dura impresa.”
“Ho passato di peggio. Tu va', prima che sia troppo tardi” disse Emma. Graham andò verso la macchina, aprendo la portiera dalla parte del conducente. Poi guardò Emma dicendole: “Mi dispiace per il nostro piccolo appuntamento.”
“Sarà per la prossima volta” disse Emma. Graham sorrise. Salì in macchina e partì. Emma li guardò andarsene. Poi corse al Negozio dei Pegni, entrandovi e sbattendo la porta.
Gold, che stava dietro al bancone, alzò lo sguardo dicendole: “Signorina Swan, se continua a entrare così nel mio negozio, dovrò ben presto cambiare quella porta. Ma dubito che mi dia lei i soldi per sostituirla.”
“Le darò tutto quello che vuole, basta solo che ora stia zitto e mi ascolti” replicò Emma.
“È da poco che si trova in questa cittadina, eppure inizia già a dettar legge. Se non la conoscessi, direi che è imparentata con il Sindaco” disse sorridendo Gold.
“Invece non mi conosce. Ora ascolti. Sua figlia si è sentita male e ora lo Sceriffo la sta portando d’urgenza in ospedale. Quindi chiuda tutto e mi segua” replicò Emma.
Gold rimase senza parole. In quei pochi secondi, fu come se il mondo gli fosse crollato addosso. Andò verso la porta, mettendo il cartello da APERTO a CHIUSO. Poi l’aprì.
Emma gli passò accanto guardandolo e uscendo per poi essere seguita da lui. Chiuse la porta a chiave. Stava per dirigersi verso la sua Cadillac, quando Emma gli disse: “Andremo con la mia. E poi lei è troppo scosso per guidare. Potremmo fare qualche indicente.”  Avvicinandosi al maggiolone giallo, aprì la portiera del conducente, per poi salire. Gold la guardò per poi aprire la portiera dalla parte del passeggero e salire. Emma quindi partì.
Il viaggio fu piuttosto silenzioso. Gold non aveva aperto bocca da quando Emma gli aveva detto che la figlia stava male. Quindi fu la stessa Emma a rompere il ghiaccio: “Senta, ancora non la conosco bene, ma ho conosciuto Rose tramite le parole di Henry. Sua figlia ce la farà. È forte. Vedrà che andrà tutto bene. E poi non poteva sapere. I bambini si ammalano di continuo e gli adulti non possono sempre proteggerli da tutto. L’unica cosa che deve fare è restare calmo. Sua figlia non ha bisogno di un padre agitato al suo fianco.”
Ci fu silenzio. Poi Gold disse: “Non ha gusto nel scegliere le macchine. Questo coso è un obbrobrio e assomiglia a una grossa coccinella, solo senza puntini.”
“Non l’ho scelta io. Sono stata costretta a prenderla. E poi cosa c'entra la mia macchina? Dovrebbe pensare a sua figlia” disse Emma.
“Non voglio pensare a che schifo di padre sono. Dovevo proteggerla e non l’ho fatto. È colpa mia se sta male e si trova in ospedale. Non sono un buon padre. Non sono un buon padre” disse Gold continuando a ripetere più volte di non essere un buon padre.
Emma alzò per un attimo gli occhi al cielo per poi dire, riguardando la strada: “Sarà un viaggio molto, molto lungo.”




Note dell'autrice: Buongiorno a tutti ed eccomi qua con la prima parte del nuovo capitolo. Dunque, mentre la 4 sta andando avanti distruggendo sempre di più i nostri cuoricini mentre vediamo Rumple guardare la sua Belle non facendosi vedere (nn almeno nel suo aspetto e chi ha visto la puntata di domenica scorsa mi capisce), qua vediamo un Rumple alle prese nel ruolo di un papà super protettivo ( e oggi, colgo l'occasione di fare gli auguri a Rob per la festa del papà e a tutti gli altri papà) per paura che la figlia si ammali. Ma anche se Rumple è (era) lo stregone più potente di tutti, non può proteggere l'amata figlioletta dalle malattie. Vediamo se la piccolina se la caverà (speriamo dai).

Volevo ringraziare tutti/e coloro che seguono, recensiscono o seguono in silenzio la storia. Grazie ancora alla mia beta reader Lucia. Allora al prossimo aggiornamento miei cari Oncers
 
 

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Capitolo 18
*** Strani Sintomi - Parte II ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo IX: Strani Sintomi - Seconda Parte

 
Graham arrivò in pochissimo tempo in ospedale. Parcheggiò davanti all'entrata e, mentre Paige scendeva, andò velocemente sul retro, prendendo Rose in braccio ed entrando a passo veloce, seguito dagli altri due bambini, nell’ospedale.
“Voglio il mio papà” disse Rose.
“Il tuo papà sta arrivando e sarà al tuo fianco al più presto. Te lo prometto” disse Graham guardandola. Poi alzò lo sguardo quando vide il Dottor Whale. Andò subito da lui.
“Dottore, la figlia di Gold sta male” disse Graham una volta di fronte a lui.
“Perché la cosa non mi sorprende? Sapevo che sarebbe successo” disse il Dottor Whale guardando Rose che disse: “Mi fa tanto male la pancia.”
“Tuo padre avrebbe dovuto darmi ascolto molto prima quando volevo visitarti” disse il Dottor Whale.
“E’ grave?” domandò preoccupato Henry.
“Venite con me” disse il Dottor Whale e andarono in una stanza, facendo distendere Rose su un lettino. Bastò solo che il Dottor Whale premesse, non con molta forza, sulla parte destra della pancia, a far sussultare Rose dal dolore. Il Dottor Whale guardò Graham e gli disse: “Avete fatto bene a portarla qua d’urgenza. Se fosse rimasta ancora a casa, non so quanto grave sarebbe potuta diventare.”
“Che cos’ha?” chiese Paige.
“Appendicite, ma è diventata peritonite. Dobbiamo operarla subito” rispose Whale. Sentendo quelle parole, Rose sgranò gli occhi e replicò: “No! Voglio il mio papà! Voglio vederlo!”
“Rose, ascoltami. Se non ti operiamo subito, diventerà molto grave. Non possiamo aspettare il tuo papà, capisci?” disse il Dottor Whale guardando Rose che, ormai con le lacrime agli occhi, disse: “Voglio il mio papà. Lo Sceriffo mi ha promesso che sarebbe arrivato per poi starmi accanto.”
Il Dottor Whale guardò Graham che disse: “Non sapevo cosa dirle per calmarla.” Il Dottor riguardò Rose dicendole: “Mi dispiace, piccola, ma quando avremo finito, il tuo papà sarà accanto a te.” Poi guardò un’infermiera e aggiunse: “Preparatela e portatela in sala operatoria.”
L’infermiera, allora, spinse la barella con sopra Rose e, mentre andavano verso la sala operatoria, la bambina, con le lacrime che le scendevano lungo il viso, gridava guardando lo Sceriffo: “Me lo aveva promesso! Mi aveva promesso che il mio papà sarebbe stato al mio fianco! Non è vero che mantiene sempre la sua parola! La odio! La odio!” Ed entrò nella sala operatoria.
Graham guardò nella direzione della stanza in cui avevano portato Rose. Il Dottor Whale si fermò accanto a lui, dicendogli: “E’ dura quando ci si affeziona troppo a una persona. Poi non si riesce a farla andare neanche per piccole cose.” E, proseguendo, entrò anche lui in sala operatoria. Henry e Paige si affiancarono a Graham, guardandolo in silenzio.
“Vedrà, andrà tutto bene. Rose è una bambina forte” disse Henry. Fu la parola “forte” che fece scattare qualcosa nella mente di Graham. Qualcosa come un ricordo passato e lontano.

Foresta Incantata
 
Graham camminava per i tetri corridoi del castello di Regina. Proprio lei l’aveva convocato urgentemente per un nuovo compito e, se non avesse compiuto il suo volere, ci sarebbero state terribili conseguenze.
Arrivò in un’enorme stanza, dove trovò Regina e, accanto a lei, un uomo anziano vestito come un maggiordomo. Sebbene il fuoco fosse acceso nel camino, Graham sentì il freddo percorrergli il corpo. Ma era probabile che si trattasse semplicemente di paura.
“Ben arrivato, mio fedele cacciatore. Vuoi qualcosa da bere?” domandò la donna voltandosi verso di lui.
“No. Ma la ringrazio, vostra Maestà” rispose lui facendo un piccolo inchino con la testa. Regina gli sorrise. Ma non si trattava di un sorriso di gratitudine. Graham sapeva che quel sorriso non presagiva mai nulla di buono. Non per niente era stata soprannominata dagli abitanti del villaggio 'Regina Cattiva'.
“Se ti ho convocato, è perché ho un compito speciale per te e so che non mi deluderai” disse Regina, mentre camminava verso la tavola, sopra alla quale, al centro, era posata una ciotola con dentro delle mele.
“Che cosa dovrò fare, vostra Maestà?” chiese Graham, seguendola con lo sguardo.
“C’è qualcuno di molto potente che sta crescendo. Lo percepisco attraverso la sua magia. E io non tollero che ci sia qualcuno più potente di me” disse Regina, prendendo una mela e guardandolo.
“Come potete sapere che costui, o colei, possa essere più potente di voi?” domandò Graham.
“Perché si tratta della figlia del Signore Oscuro e della sua sguattera. La creatura che le sta crescendo in grembo sta diventando ogni giorno più potente, e la sua sarà una magia che andrà al di là della mia. Magia Oscura e Bianca combinate insieme. Potrebbe anche diventare più potente di suo padre” spiegò Regina.
“Che cosa dovrei fare?” chiese Graham.
“Ucciderla. Ucciderla prima che venga alla luce. Il Signore Oscuro non deve avere eredi” rispose Regina.
“Ma, vostra Maestà, si tratta di un’innocente creatura” disse Graham.
“Innocente o no, il suo sangue è sporco quanto quello di suo padre e io non posso permettere che Tremotino la cresca per farla diventare una brava allieva nelle arti oscure, per poi metterla contro di me” spiegò Regina.
“Vuole negargli il suo lieto fine?” domandò Graham.
Regina lo guardò e, sorridendo maliziosamente, rispose: “E’ per questo che sei il mio fedele cacciatore. Perché capisci subito ciò che voglio e sai benissimo che lo ottengo sempre. Ora va' e compi il mio volere. Ma se fallirai avrò il tuo cuore.” Mentre Graham, dopo aver fatto un inchino, usciva dalla stanza, guardò il proprio riflesso nella mela rossa.
Intanto, al Castello del Signore Oscuro, la dolce domestica di Tremotino, Belle, se ne stava nell’immenso giardino del castello a raccogliere fiori. Con lei c’era Excalibur, la fedele volpe del Signore Oscuro, mandata proprio da quest’ultimo per farle compagnia e, nell'eventualità, anche proteggerla.
Seppur la ragazza si trovasse al suo settimo mese di gravidanza, non aveva rinunciato a uscire un po’ all’aria aperta, anche se Tremotino voleva tenerla all’interno del castello.
“Potresti cadere. Farti male. Qualcuno potrebbe arrivare e portarti via e tu e la piccola sareste in pericolo.” Queste erano le raccomandazioni che Tremotino le faceva sempre. Lei sapeva che era più preoccupato per la figlia che le stava crescendo in grembo. Da quando avevano scoperto che sarebbero diventati genitori, Tremotino era diventato molto protettivo. Non faceva quasi mai uscire Belle dal castello. Nemmeno per prendere i panni appena lavati. Ora i vari compiti che prima erano di Belle erano stati affidati a Grachen, una donna di mezza età e balia che stava seguendo la gravidanza della ragazza. Grachen era stata una fata e, seppur Tremotino odiasse le fate, non aveva potuto dire di no alle richieste di Belle di averla come aiutante nel castello. E poi Tremotino sapeva benissimo che Grachen gli doveva un debito per un accordo stipulato con lei anni prima. Lo stesso accordo che aveva causato a Grachen la perdita delle ali. Secondo la Fata Blu, la più alta carica tra le fate, chi cedeva al lato oscuro non poteva più ritenersi dalla parte del bene, nemmeno una fata. E così si era ritrovata a lavorare per il Signore Oscuro. Non che si vivesse male: cibo e un tetto sulla testa erano sempre assicurati. Ma in cuor suo le mancava essere una fata, e il suo sogno era quello di diventare una fata madrina.
Belle raccolse delle calandule. Ne portò una al naso, annusandola a occhi chiusi. Li riaprì e, abbassando lo sguardo, guardando Excalibur, le disse: “Spero che questi fiori piacciano a Tremotino. Tu cosa ne dici, Excalibur?” La volpe emise dei versetti, scodinzolando. Belle sorrise. Poi si avvicinò a un cespuglio pieno di fragole, e disse: “Le fragole sono quasi mature. Spero siano buone. Le adoro.”
Quando Excalibur si voltò e ringhiò, anche Belle si voltò per vedere un uomo con un pugnale in mano. L’uomo alzò il pugnale, pronto ad attaccarla. Belle si portò una mano sulla pancia e, ansimando, disse: “Tremotino. Tremotino. Tremot…” Ma non fece in tempo a pronunciare per la terza volta il nome del Signore Oscuro, che l’uomo, inginocchiandosi, disse: “Non posso. Non posso.”
“Non capisco” disse Belle guardandolo, mentre Excalibur gli ringhiava contro.
“Non posso uccidere la bambina che portate in grembo. Non posso mettere fine alla sua vita. Deve vivere, anche se lei la vuole morta” disse Graham, tenendo la testa abbassata.
“Lei chi?” chiese Belle.
“La Regina” rispose Graham guardandola. Poi si alzò e continuò: “Non vuole che il Signore Oscuro abbia eredi e che ci sia qualcuno più potente di lei. E vostra figlia sarà molto potente.” Belle lo guardò. Era rimasta senza parole. Ma poi lo guardò con sguardo determinato e disse: “Se ne vada da qua! Subito! Prima che chiami il Signore Oscuro.”
“Va bene, me ne vado. Ma mi deve promettere che questa conversazione rimarrà tra noi. Il Signore Oscuro e soprattutto la Regina non devono sapere nulla. Ho la sua parola?” disse Graham.
“Le do la mia parola se se ne va immediatamente” rispose Belle. Graham la guardò. Poi si voltò e disse: “Ho salvato la vita di sua figlia. Mi deve un favore.”
“Magari sarò io ad averle salvato la vita, non avendo chiamato il Signore Oscuro. Nessuno deve entrare nel suo castello” disse Belle.
“Allora vuol dire che sono io a essere in debito con lei” disse Graham e se ne andò. Belle lasciò andare un lungo sospiro che non sapeva di aver trattenuto fino a quel momento. Excalibur la guardò emettendo dei versetti, preoccupata quanto lei per ciò che era appena accaduto.
Poco dopo, entrambe erano ritornate all’interno del castello e ora si trovavano nel grande salone. Belle era seduta al tavolo, mentre il mazzo di rose e calandule stava appoggiato su di esso. Tremotino la stava osservando, standosene seduto accanto a lei, mentre Excalibur si era acciambellata nella sua cesta.
“Mia cara, sei alquanto silenziosa. Di solito mi tormenti con le tue mille domande. Non è da te essere così. Cosa è successo di così interessante, da disinteressarti dal curiosare nel mio passato?” domandò Tremotino. Belle sembrò destarsi dai suoi pensieri. Lo guardò rispondendogli: “Niente di cui preoccuparsi.”
“Io mi preoccuperei più per quei fiori. Poverini: li vedo soffrire” disse Tremotino. Solo a quel punto Belle si ricordò dei fiori raccolti prima nel giardino. A fatica provò a alzarsi, ma Tremotino la bloccò dicendole: “Lascia stare.” E, con un solo cenno della mano, i fiori vennero avvolti in una nube viola, per poi finire dentro a un vaso. Belle lo guardò dicendo: “Non puoi usare la magia per tutto.”
“Lo so, ma mi diverte così tanto farlo” disse ridendo Tremotino.
“Ma non dici che la magia ha sempre un prezzo?” chiese Belle.
“Non ci ho rimesso nulla per dei miseri fiori” rispose Tremotino. Belle abbassò lo sguardo. Tremotino sapeva che ci era rimasta male. Quindi aggiunse: “Sarebbero stati miseri se fossero rimasti sulla tavola. Ma ora sono molto belli. Hai ottima scelta.”
Ma Belle continuava ad avere lo sguardo abbassato. Tremotino capì che non si trattava dei fiori. Quindi disse: “Va bene. Se non me lo vorrai dire, vorrà dire che chiederò all’altra che era presente con te. Ma visto che le volpi non hanno ancora imparato a parlare, allora…”  E stavolta fu Belle a fermarlo, domandandogli, alzando lo sguardo e guardarlo: “La nostra bambina sarà davvero potente?”
“Ma certo. Ricordati che lei sarà l’unione dell’oscurità con la luce. La sua magia sarà molto potente. Quasi come quella del suo paparino” rispose ridendo Tremotino. Belle abbassò lo sguardo sulla pancia, portandosi una mano sopra di essa per poi dire: “Non voglio che qualcuno le faccia del male.”
“Nessuno le farà del male. Se solo ci proveranno, dovranno vedersela con l’ira del Signore Oscuro. Ma per stare sicuri…”  Tremotino, dopo essersi avvicinato a Belle, posò le mani sulla sua pancia. Dalle mani del Signore Oscuro uscì magia viola e, quando ebbe finito, le tolse. Belle lo guardò domandandogli: “Che cosa è successo?”
“Oh, niente di che. Ho solo protetto la piccola. Diciamo che ho bloccato la sua magia fino alla nascita, così che nessuno di nostra conoscenza sappia più di lei” spiegò Tremotino guardandola.
“Ma quando nascerà, la sua magia si sbloccherà. E se qualcuno…” iniziò col dire Belle.
Ma Tremotino la bloccò dicendo: “Ma… ma… se… se… Non stare sempre a pensare dei 'ma' e dei 'se'.” La nostra bambina nascerà e avrà tutta la più potente magia che ci sia. Lei è il frutto del vero amore.” Belle sorrise. Poi Tremotino gridò: “Grachen!” In pochissimo tempo l’ex fata arrivò nel salone.
“Ha gridato, mio Signore?” chiese Grachen. Tremotino e Belle la guardarono. Poi Tremotino domandò: “Perché ti ci vuole sempre così tanto nell’arrivare quando ti chiamo?”
“Ho cercato di venire il prima possibile. Cosa desidera?” chiese Grachen.
“Porta due tazze di tè. Ma quella di Belle non deve essere troppo bollente” rispose Tremotino.
“Oh, non ti preoccupare per questo. Vorrà dire che aspetterò che si raffreddi un po’” disse Belle. Tremotino la guardò dicendole: “Cara, il motivo del perché non voglio che sia troppo bollente è per via della nostra piccola. Non vorrei che le capitasse qualcosa di spiacevole.”
“Come potrebbe mai capitarle qualcosa di spiacevole, con un papà che è lo stregone più potente di tutta la Foresta Incantata?” domandò sorridendogli Belle. Anche Tremotino le fece un piccolo sorriso. Poi guardò Grachen replicando: “Ora va', e non ci mettere troppo. Lo sai che odio aspettare. E già che ci sei, prepara anche una bistecca per Excalibur.”
“Subito, mio Signore” disse Grachen facendo un piccolo inchino con la testa per poi uscire.
“Secondo me, tu ti preoccupi troppo” disse Belle.
Tremotino la riguardò dicendo: “Io mi preoccupo il giusto.”
“Non dovresti essere così severo con Grachen. Ricordati che mi sta aiutando molto con la gravidanza e se non fosse per lei questo castello pullulerebbe di ragni e ragnatele” disse Belle.
“Risplendeva di più con te. Ma non voglio che tu faccia sforzi per via dello stato in cui ti trovi” disse Tremotino.
“Tremotino ce la faccio. Dico davvero. Solo perché sono al settimo mese di gravidanza…” iniziò col dire Belle, ma Tremotino la corresse dicendo: “Settimo mese inoltrato. Sei quasi all’ottavo.”
“Solo perché sono quasi all’ottavo mese non è detto che me ne debba stare sempre seduta a non fare niente” disse Belle.
“Be', leggiti un libro. Li adori, no? Ce ne sono tanti nella biblioteca e, poi, sono sicuro che alla piccola piaccia ascoltare molto la tua voce” disse Tremotino.
“Mi piace leggere i libri, ma non posso passare il tempo così. A momenti non posso neanche più uscire nei giardini a prendere un po’ d’aria” disse Belle.
“Basta aprire le finestre e ci sarà aria anche qua dentro” disse Tremotino. Belle lo guardò malamente. Quindi Tremotino disse: “Lo sai che lo faccio per il tuo bene, cara. Non voglio che ti affatichi troppo e che ti accada qualcosa di brutto. Dentro di te hai una vita che sta crescendo e che, quando nascerà, sarà molto potente. Io vi proteggerò entrambe. Nessuno oserà farvi del male. Ho già perso qualcuno a me molto caro in passato. Non voglio perdere anche voi due.”
A Belle divennero gli occhi lucidi. Lo abbracciò dicendo: “Tremotino, chi dice che sei un bestia è perché non è riuscito a vedere l’uomo dentro di te.”
Tremotino l’abbracciò senza dire nulla. Aveva uno sguardo preoccupato ma, allo stesso tempo, anche arrabbiato. Regina voleva uccidere sua figlia e sapeva che sarebbe andata fino in fondo. A questo punto sperava che il suo incantesimo temporaneo l’avrebbe ingannata. Ma fino a che punto?
Nel frattempo, Graham era già ritornato nel castello di Regina.
“Ne sei assolutamente sicuro?” chiese quest’ultima mentre se ne stava sdraiata su una specie di lettino di pelle rossa.
“Ho messo fine alla vita di quella piccola, uccidendola con il mio stesso pugnale, piantandolo nella pancia della serva” disse Graham a sangue freddo. Dapprima Regina sembrò un po’ restia nel credergli, ma poi si alzò e, dopo essersi fermata di fronte a lui, gli ordinò: “Mostrami il tuo pugnale. Voglio vedere se hai detto il vero.” E Graham estrasse il suo pugnale dalla cinta dei pantaloni, consegnandolo nelle mani di Regina che vide il sangue sulla lama di esso.
“Bravo, mio fidato cacciatore. Hai detto la verità” disse sorridendo maliziosamente Regina, mentre l’anziano signore si avvicinava a lei tenendo in mano una lunga custodia, nella quale depositò delicatamente il pugnale. L’anziano signore richiuse la custodia.
“Lei sa che io non la tradirei mai. Non doveva avere dubbi” disse Graham.
“So che posso sempre contare su di te, ma è sempre meglio non dare troppa fiducia a una persona. Ma ora non importa, perché Tremotino non avrà più eredi. E poi ti credo, anche perché non sento più la magia di quella marmocchia” spiegò Regina.
“Ha altri compiti per me?” domandò Graham. Regina si avvicinò a lui e, dopo avergli messo una mano sulla guancia, rispose: “No, ma hai diritto a una ricompensa.” E sorrise maliziosamente. Graham fu un po’ meno contento ma, finché la sua bugia avesse retto, sarebbe stato salvo. Finché, quindi, la Regina non avesse scoperto che quel sangue non era che quello di un povero cinghiale.
 
Storybrooke
 
Graham ritornò in sé. “Sceriffo, sta bene?” chiese Henry guardandolo. Graham lo guardò. Poi riguardò avanti e, portandosi una mano alla testa, rispose: “Sì. Sì. Stavo solo pensando.”
In quel momento, Emma e Gold arrivarono. Quest’ultimo era molto agitato. Graham andò da loro, ma non fece neanche in tempo a formulare una frase che Gold lo spostò violentemente da una parte per poi proseguire lungo il corridoio, guardando a destra e a sinistra.
“Gold, si calmi” lo richiamò Emma, mentre andava accanto a Graham e lo aiutava a rialzarsi. Lo Sceriffo disse: “Lo lasci fare. Sarà più ragionevole dopo che avrà smaltito la rabbia.”
“Dov’è Rose? Dov’è la mia bambina?” domandò Gold, continuando a guardarsi da tutte le parti.
“Rose è stata portata in sala operatoria. Il Dottor Whale la sta operando di appendicite” rispose Henry. Gold si voltò e, incominciando ad ansimare, si portò una mano sul petto per poi appoggiarsi al muro. Emma e Graham corsero da lui, cercando di sorreggerlo. Ma Gold li scansò e, riprendendo il bastone, che era momentaneamente caduto a terra, si andò a sedere su una delle sedie nella sala d’attesa. Aveva lo sguardo abbassato.
“Gold, deve cercare di calmarsi. Agitarsi la farà finire solo su un letto in una stanza qua dentro” disse Emma guardandolo.
“La smetta di tormentarmi e si faccia gli affaracci suoi. Voglio solo essere lasciato in pace” replicò Gold. Continuando a guardare il pavimento, non si accorse che Henry e Paige si erano seduti ad entrambi i suoi lati.
“Non siete obbligati a stare qua. Potete ritornarvene anche a casa” disse Gold,  non guardandoli.
“Tecnicamente io dovrei venire a casa con lei” disse Paige.
“Signor Gold, noi vorremmo rimanere finché Rose non uscirà dalla sala operatoria e ci assicurano che stia bene. Dopotutto è la nostra migliore amica” disse Henry.
“E i migliori amici stanno sempre insieme” aggiunse dicendo Paige. Gold si mise le mani sulla faccia, dicendo: “Sono un pessimo padre. Dovevo proteggerla e non l’ho fatto. Avrei dovuto ascoltare il Dottor Whale e farla curare. Ora non si troverebbe in quella fredda stanza sotto i ferri. Sta male per causa mia.”
“Non sta male per causa sua. L’appendicite viene fuori da sola e, quando fa tanto male, viene tirata via. Non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo” spiegò Henry.
Gold si tolse le mani dalla faccia e alzando lo sguardo, guardò la sua immagine riflessa nel vetro di fronte a loro. Così com’era. Il suo aspetto in quel mondo. Senza magia. Non avrebbe mai potuto curare la sua bambina. Ma se tutto ciò fosse successo nella Foresta Incantata, con un solo tocco di mano quell’appendicite non avrebbe mai dato problemi. Sarebbe stata solo una parola pronunciata per far paura. E lui alla paura ci rideva sopra. Poi spostò lo sguardo verso Henry, il quale aveva sulle ginocchia il suo libro aperto. Almeno quel bambino non gli dava fastidio come la madre, e si riferiva ad entrambe. Lo vide sfogliare le pagine fino a soffermarsi proprio sulla sua storia. Non quella relativa a lui di Signore Oscuro che stipulava accordi in cambio di qualcosa e nemmeno quella relativa alla Figlia del Mugnaio. No. In quell’immagine c’era lui che si stava baciando con… Belle. La sua Belle. La madre della piccola Rose. Quello sprazzo di luce che era ritornato nel suo cuore oscurato da secoli solo dal potere.
Henry era un bambino molto sveglio. Era riuscito a ritrovare la sua madre biologica, portandola fino a Storybrooke. E ora eccolo lì, al suo fianco, soffermato a guardare quell’immagine. Segno di quel piccolo e breve momento d’amore. Il primo che era sbocciato tra i due, dopo quella tazzina sbeccata e la rosa. Ma ora quell’altra “rosa”, il suo piccolo e dolce fiore, si trovava sotto i ferri dei dottori, pronti a salvarle la vita. Ma quello doveva essere lui fin dal principio, a doverle salvare la vita e, invece, era arrivato troppo tardi e ora si trovava ad aspettarla in quel corridoio dal color bianco acceso. Così acceso da odiare quel posto fin dall’ingresso.
Paige guardò al di là di Gold e, rivolta a Henry, disse: “Non ora. Non è il momento di pensare a quelle cose.”
“Ma Rose lo vorrebbe” disse Henry guardandola a sua volta.
“Che cosa vorrebbe?” chiese Gold. I due lo guardarono e Paige rispose: “ Che rimanessimo qua.”
“Sì. A farle compagnia” aggiunse Henry.
“Sapete. Molti mi hanno detto che io so sempre quando qualcuno mi sta mentendo” disse Gold.
“E’ una cosa che non possiamo dirle, Signor Gold” disse Henry.
“Si tratta dell’Operazione Cobra” disse Paige. Henry la guardò e stupito disse: “Paige!”
“Intanto ne era già a conoscenza. Rose gliene aveva parlato” spiegò Paige.
“Prima che pensi già male di mia figlia, Henry, ti riferisco che me lo ha detto solo a fin di bene. Lei vuole veramente aiutarti e sa che io ho molte conoscenze e che, quindi, potrei esservi d’aiuto. Ma se vi aiuterò è solo per Rose” spiegò Gold e guardò Henry, il quale rimase senza parole. Non si sarebbe mai aspettato che il Signor Gold volesse aiutarli con l’Operazione Cobra. O c’era altro sotto? Henry sicuramente ci avrebbe visto chiaro.
Poco dopo, delle infermiere uscirono dalla sala operatoria, trasportando una barella con sopra Rose. La bambina era leggermente sveglia ma non ancora del tutto. Gold, Henry e Paige si alzarono e Gold fu il primo, a passo veloce, ad affiancare le infermiere. Mentre guardava la figlia, disse: “Rose. Piccola mia. Il papà è qua con te.”
E cercò di prenderle la mano, ma una delle infermiere replicò, allontanandogliela: “Signor Gold, potrà stare con sua figlia dopo che l’avremmo portata nella sua camera.”
“Voglio stare con mia figlia!” replicò Gold.
“Mi dispiace, Signor Gold, ma non può. Protocolli ospedalieri” spiegò l’infermiera.
Gold si fermò per poi replicare: “E lei vuole sentire cosa si prova a essere bersaglio di una bastonata?!”
“Signor Gold” disse qualcuno. Gold si voltò, per vedere il Dottor Whale togliersi la mascherina da sopra la bocca e camminare verso di lui. Poi gli si fermò di fronte.
“Esigo di vedere subito mia figlia! Nessuno mi può impedire di andare da lei!” replicò Gold.
“E’ vero, nessuno può, ma io sì. E, come le ha detto prima quell’infermiera, sono protocolli ospedalieri e potrà andare in camera di sua figlia solo quando si sarà svegliata del tutto” spiegò il Dottor Whale.
Gold strinse l’impugnatura del bastone così forte che le sue nocche sbiancarono. Ma poi cercò di mantenere la calma almeno per il bene della sua bambina. Almeno per quella volta, avrebbe fatto ciò che gli dicevano.
“Molto bene” fu tutto ciò che disse.
“L’operazione è andata bene. L’appendicite è stata asportata, ma quello che le volevo dire è che doveva darmi ascolto prima, invece di ignorare gli strani sintomi che aveva sua figlia. Le do un consiglio: lasci le cose di medicina a chi di dovere e lei impari a fare il padre” spiegò il Dottor Whale e, voltandosi, si incamminò.
Mentre si allontanava, Gold replicò: “Attento a come parli, dottore, perché io la terrò sempre d’occhio. Dovrà sempre stare attento a ogni sua mossa… mio caro.” E sorrise maliziosamente, mentre Henry e Paige si guardarono preoccupati negli occhi.



Note dell'autrice: Eccomi finalmente qua con la seconda parte del capitolo. Scusatemi ma ho il cuoricino a pezzi dopo aver visto l'ultima puntata e soprattutto il promo dove si vede Rumple in ospedale. Oh mio dio, il suo povero cuore, ma anche il mio. Ma veniamo alla mia fanfict (poverooooo rumple....va bè ritorno alla fanfict). Come vedete finalmente ho fatto comparire Belle e scopriamo qualcosa di più sul passato e prima che Rose venisse al mondo. Regina voleva già ucciderla all'ora. figuriamoci nel presente. Graham nn si sa da che parte stia ma vi dico che adora Rose. E quando la piccola Gold si sarà ripresa, il magnifico trio (lei, Henry e Paige) torneranno all'opera, perchè ora che Rose si trova in ospedale, qualcosa accadrà (sia dentro l'ospedale, che fuori tramite Gold)

Passiamo ai ringraziamenti: ringrazio tutti coloro che stanno seguendo la fanfict, che l'hanno messa nei preferiti e che recensiscono. E quelli che smeplicemnete la stann seguendo in silenzio.

Con questo auguro a tutti voi, miei cari Oncers, una bella serata e Buona Pasqua ovviamente

Al prossimo capitolo. P.S. quando Grachen arriva e chiede: Ha gridato Signore? E' un riferimento a una scena nella "Bella e la Bestia: un magico Natale" quando la Bestia chiama Tockins (l'orologio) e lui arriva correndo per poi chiedere: Ha gridato Signore?. Volevo fare un piccolo riferimento a questa breve battuta che mi ha sempre fatto ridere

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Spirito di Esplorazione - Parte I ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo X: Spirito d'esplorazione - Prima Parte
 

Rose aprì piano piano gli occhi. Si sentiva molto debole. Si guardò intorno, notando che era attaccata, tramite dei fili, a una flebo e a una macchina per il cuore. Iniziò a preoccuparsi, non vedendo nessuno al suo fianco. Debolmente, chiamò l’unica persona che la faceva stare sempre al sicuro: “Papà. Papà”, lo chiamò. Ma al posto di Gold entrò il Dottor Whale con un’infermiera.
“Ben svegliata, Rose” le disse sorridendo il Dottor Whale. Rose toccò i fili ai quali era collegata. Quindi il Dottor Whale aggiunse: “Non ti devi preoccupare di nulla. L’operazione è andata a buon fine. Tempo qualche giorno e potrai uscire da qua.”
Rose lo guardò e gli domandò: “Dove è il mio papà? Voglio il mio papà!”
“Il tuo papà è proprio qua fuori. Potrà entrare quando ci saremmo accertati che starai meglio” rispose il Dottor Whale.
“Sto già meglio! Lo voglio vedere!” replicò Rose. Poi come un sussurro aggiunse: “La prego.”
Il Dottor Whale  si addolcì nel vedere lo sguardo supplichevole di quella bambina. Quindi guardò l’infermiera e le disse: “Vada a chiamare il Signor Gold, dicendogli che può entrare.”
L’infermiera uscì per poi ritornare in pochissimo tempo con Gold, il quale andò subito accanto al letto della figlia, prendendo le mani piccole di lei tra le sue e dicendole, mentre gliele baciava: “Il papà è qua, piccola mia. Non ti abbandonerò mai, mai più.” Socchiuse gli occhi, cercando di assaporare quel dolce momento con sua figlia.
“Sua figlia sta bene. Si riprenderà in poco tempo e presto potrà uscire. Non deve però fare troppi sforzi per via dei punti. Quindi veda di non perderla mai d’occhio” spiegò il Dottor Whale.
Gold riaprì gli occhi, senza guardarlo e disse: “La prego, dottore. Si risparmi per lei che non sono un bravo padre.”
“Non voglio dirle questo, ma solamente che, da ora in poi, dovrà tenerla più d’occhio. So che Rose è una bambina molto attiva e proprio per questo motivo non vorrei che si cacciasse in qualche tipo di pericolo da compromettere la sua salute” spiegò il Dottor Whale. Gold riaprì gli occhi e, guardandolo, gli disse: “E’ vero, la prima volta ho sbagliato. Avrei dovuto darle ascolto e farla visitare. Ma la deve smettere di dire quello che devo fare o non devo fare con Rose. È mia figlia e io sono suo padre! So io ciò che è meglio per lei!”
“Molto bene, Signor Gold. Ma finché sua figlia sarà qua dentro, entrambi dovrete sottostare alle regole dell’ospedale, e questo sottintende che nessun cibo può essere portato da fuori. E ora, se volete scusarmi, ho altre cose da fare” spiegò il Dottor Whale e, insieme all’infermiera, uscì.
“Non è giusto. Io volevo un gelato” disse Rose. Gold riguardò Rose e le disse: “Ora non pensare al gelato. Ti prometto che te ne comprerò uno.”
“Sì, come l’ultima volta” disse Rose incrociando le braccia.
“Suvvia piccola, non fare così. Ricordati che hai appena avuto una delicata operazione” disse Gold.
“Papà, mi hanno tirato via solo l’appendicite. Non è che fosse chissà che” disse Rose.
Seppur la gamba gli faceva male, Gold si abbassò e, mentre abbracciava la figlia, disse: “Ma ti ho quasi persa. E io non voglio perderti. Sei l’unica cosa che mi è rimasta di tua madre. Senza di te, la mia vita sarebbe vuota.”
“Papà, mi stai stritolando. Ti prego, papà, allenta la presa” disse Rose cercando di respirare dal forte abbraccio di suo padre.
Gold smise di abbracciarla e, guardandola, disse: “Quando mi hanno detto che ti avevano portata in ospedale, mi si è spezzato il cuore. Soprattutto sapendo che il colpevole ero io. Avrei dovuto accorgermene prima che stavi male, già da quando non hai mangiato la colazione.”
“Ehm… veramente… la colazione non la mangio mai tutta perché c’è troppa roba e…” iniziò col dire Rose, ma Gold continuò col dire: “Invece ho voluto fare di testa mia e ora eccoti qua, in un letto di ospedale.”
“Papà, la colpa non è tua se sono stata male. L’appendicite viene quando meno te lo aspetti. Devi smetterla di darti delle colpe per niente e sicuramente anche qualcun altro te lo avrà detto” disse Rose.
“Certo che gli è stato detto, ma non vuole capire” disse ad un tratto una voce. I due Gold guardarono verso la porta e videro Henry e Paige.
“Henry! Paige! Che bello! Siete venuti a trovarmi!” disse entusiasta Rose mentre i due amici andavano dall’altro lato del letto.
“Ti abbiamo accompagnato qua insieme allo Sceriffo. Ci hai fatto molto preoccupare” disse Paige.
“Scusatemi. Avrei dovuto dirvelo prima che stavo male” disse Rose guardando gli amici. Poi sentirono come uno schiarirsi di voce e voltarono lo sguardo verso Gold, il quale aveva uno sguardo poco contento.
“Qualcosa non va, papà?” chiese Rose.
“No, nulla. E’ solo che avrei preferito che certe cose le dicessi prima a me e, poi, solo dopo ai tuoi amici. Non credi dovresti rendermi un po’ più partecipe della tua salute?” rispose Gold.
“Scusami, papà. Lo sai che ti voglio molto bene e nessuno potrà mai venire prima di te” disse Rose e Gold fece un piccolo sorriso.
Sulla soglia della porta comparvero anche Graham e Emma. Gli altri li guardarono.
“Henry, tua madre mi ha appena chiamata ordinandomi di portarti subito a casa” disse Emma.
“Ma poi potrò ritornare qua da Rose?” domandò Henry.
“Sai che se fosse per me ti porterei anche fuori da questa città. Ma devi chiedere a tua madre” rispose Emma.
“Ma è lei la sua vera mamma. Avrà qualche diritto in più, no?” disse Rose.
“Rose, non ti intromettere. Sono faccende familiari che non ci riguardano. Sono sicuro che il sindaco non dirà di no se Henry verrà a visitarti di tanto in tanto e che la Signorina Swan riuscirà a convincerlo a portarlo” disse Gold e guardò Emma.
“Be', ci posso provare, ma non assicuro nulla” disse Emma.
“E’ riuscita a convincere me. Con il Sindaco sarà come una passeggiata” disse sorridendo Gold.
“Se lo dice lei” disse Emma guardandolo. Poi guardò Henry aggiungendo: “Coraggio, Henry. Andiamo.”
“Va bene” disse un po’ tristemente Henry. Poi guardò Rose e aggiunse: “Cercherò di venirti a trovare più tardi.”
“Fa' con comodo. Intanto non mi muovo da qui” disse Rose e Henry con Emma, se ne andò.
“Sceriffo, lei non ha da fare?” chiese sorridendo Gold guardandolo.
“Può anche darsi, ma di certo non lo verrei a dire a lei. Guarda caso, però, ho degli impegni e mi dispiace non poter rimanere e far compagnia a vostra figlia” rispose Graham.
“Non si preoccupi. Intanto con me ci sono il mio papà e Paige. Volevo comunque ringraziarla per avermi portato qua” disse Rose.
“E’ stato un mio dovere” disse sorridendo Graham e anche lui se ne andò.
“Lo Sceriffo è proprio gentile. Secondo me, metà delle cose che dici su di lui sono sbagliate” disse Rose guardando Gold, che disse: “Le cose che dico rispecchiano sempre la verità e, con il passare del tempo, lo scoprirai. Ma ora cerca di riposare” e l’accarezzò sulla fronte.
“Ho fame. Mi porti un gelato?” domandò Rose.
“Avrai il tuo gelato quando uscirai da qua. E poi hai sentito cosa ha detto il Dottor Whale: non si può portare cibo da fuori” rispose Gold.
“Ehi, da quando in qua ti sottometti alle regole di qualcun altro? Credevo che facessi ciò che volevi” chiese Rose.
“Quando crescerei capirai” rispose Gold.
“Uffa, odio essere piccola” disse Rose.
“Paige, vorresti farmi compagnia?” domandò Gold.
“Volentieri, signor Gold. Ma così Rose non rimarrà sola?” chiese Paige guardandolo.
“Non sarà sola” disse Gold e, guardando verso la porta, così come Paige, fece un fischio e nella stanza entrò Excalibur.
“Ma… ma…” disse titubante Paige, mentre seguiva con lo sguardo la volpe che zampettava nella stanza, sedendosi accanto al padrone.
“Se ti chiedi come possa entrare in ospedale, non ti preoccupare: essendo la volpe di mio padre, lei può entrare dappertutto. Però c’è qualcosa che non mi torna” spiegò Rose grattandosi in testa. Poi guardò suo padre e aggiunse: “Credevo fosse a casa. Cosa ci fa qua?”
“Quando ho detto che non ti avrei lasciata sola, intendevo proprio questo. Le volpi sono animali molto attenti a ogni piccolo movimento e suono ed Excalibur si assicurerà che non ti accada nulla. Con lei sei al sicuro” spiegò Gold.
“Una volta avevi detto le stesse cose anche di Dove. A proposito dov’è?” domandò Rose.
“Sta svolgendo alcuni lavoretti per conto mio. È vero, il suo compito è quello di guardia del corpo, ma ha anche altro da fare. Ma non ti preoccupare, perché lo avvertirò che sei qua” rispose Gold.
“Va bene. Basta solo che mi prometti che, prima o poi, mi comprerai un gelato” disse Rose.
“Se continuerai a pensare a quel gelato, ti verrà il mal di pancia” disse Gold mentre camminava verso la porta.
“Ma se penso a un gelato piccolo, sono sicura che non mi verrà nulla” disse Rose. Gold sorrise, scuotendo negativamente la testa e, insieme a Paige, uscì lasciando così la figlia in compagnia di Excalibur.
Poco dopo, Gold e Paige se ne stavano al piano di sotto vicino al bar e, mentre Gold prendeva un caffè dalla macchinetta, Paige mangiava un panino standosene seduta su una sedia nel corridoio.
“Allora, dove è stata male Rose?” chiese Gold, guardando Paige.
“Di fronte a Granny’s” rispose Paige e diede un morso al panino. Poi aggiunse: “In verità è stata male dopo che siamo usciti da quel negozio di fiori. Il Game of Thornes.” Gold guardò avanti a sé. Poi guardò Paige domandandole: “E cosa è successo mentre eravate lì dentro?”
“Be'… io, Rose e Henry ci stavano semplicemente guardando intorno, quando è venuto questo grosso uomo e con voce arrogante ci ha detto che non ci voleva lì, soprattutto Rose. Ma lei non aveva messo mai piede in quel negozio. L’uomo ha detto che è colpa sua, Signor Gold” spiegò Paige.
Ecco. Gold lo sapeva che sarebbe riaccaduto. Anche sua figlia prendeva le colpe a causa del gene paterno. Ma la sua piccola non doveva avere nessuna colpa. Sicuramente la faccenda con Moe French non si sarebbe chiusa tanto facilmente. Un rumore lo distolse dai suoi pensieri. Prese il bicchiere dalla macchinetta incominciando a sorseggiare il caffè.
“Poi Rose voleva comprare delle rose rosse, per fare un regalo, ma il signor French gliele ha negate, dicendole che, se anche fossero state in vendita, non gliele avrebbe comunque regalate. Rose ha provato a convincerlo, ma lui l’ha presa per il colletto della maglia, alzandola a mezz’aria e dicendole di andarsene. Poi l’ha gettata con noncuranza a terra e… siamo usciti. Ma le giuro che l’appendicite non ha niente a che fare con tutto questo” finì col spiegare Paige.
“E’ tutto?” chiese Gold e finì di bere il caffè.
“Sì, è tutto” rispose Paige. Ci fu un po’ silenzio. Poi Paige domandò: “Signor Gold, non farà del male al Signor French, vero? Dopotutto, come le ho detto, l’appendicite non ha niente a che fare con ciò che è successo all’interno del negozio di fiori.”
Gold accartocciò il bicchiere e, mentre ne studiava i resti nella sua mano, rispose: “No…. per il momento.”
Poco dopo Paige ritornò, da sola, nella camera di Rose. Gold aveva chiamato Dove, facendosi venire a prendere e semplicemente dicendo che aveva da fare. Ma, appena entrò nella stanza, vide Excalibur sul letto che stava rompendo un cuscino coi denti. Ormai c'erano piume dappertutto.
“Ehi, ma cosa sta succedendo qua dentro? Sembra sia appena passato un tornado” disse Paige.
“Stiamo combattendo i cattivi” rispose Rose guardandola mentre alcune piume cadevano sul muso di Excalibur, la quale starnutì.
“I cattivi?! Non credo che il Dottor Whale, o tuo padre, siano felici quando entreranno qua dentro e vedranno il pavimento ricoperto da piume” disse Paige.
“E’ che mi stavo annoiando. Avanti, Paige, andiamo in esplorazione” disse Rose scendendo dal letto, così come Excalibur.
“Sei stata appena operata e tuo padre ha detto che devi riposarti. Quando ritornerà, deve vederti qua” disse Paige.
“Quando ritornerà?!” ripete stupita Rose.
“E’ andato via poco fa con Dove. Ha detto che aveva qualcosa da fare e che ritornerà più tardi” spiegò Paige.
“Va bene. E mentre lo aspettiamo, noi esploriamo. Vieni, Excalibur” disse Rose e uscì dalla camera, seguita dalla fedele volpe.
“Rose, ma dove vai?” chiese Paige seguendola e affiancandosi a lei.
“A esplorare, ovvio” rispose Rose.
“Ma devi rimanere in camera” disse Paige.
“E allora mi dici che divertimento ci sarebbe? Andiamo, Paige, dove è finito il tuo spirito di esplorazione?” domandò Rose.
“Mi sa che finiremo in un mucchio di guai” disse Paige.
Continuarono a camminare finché Rose non si fermò, portandosi entrambi le mani sul fianco destro e appoggiandosi con una spalla al muro.
“Rose, va tutto bene?” chiese preoccupata Paige, andando subito al suo fianco. Anche Excalibur emise dei versetti, guardando la sua padroncina.
“No… nulla… è solo una fitta. Ora è passata” rispose Rose e riprese a camminare.
“Faremmo meglio a ritornarcene in camera prima che quei punti si aprano” disse Paige affiancandosi di nuovo a lei. Anche la volpe si portò al suo fianco.
“Che importa se starò male. Intanto mi trovo già in ospedale. Qualcuno accorrerà e mi riporterà in camera” disse Rose.
“Quanto sei testona. Chissà da chi hai preso” disse Paige.
Excalibur corse davanti a una porta in metallo. Le due bambine, ovviamente, le andarono dietro.
“Excalibur, cosa c’è?” domandò Rose e la volpe, guardandola, emise dei versetti. Poi riguardò la porta, grattando con una zampina contro di essa.
“Vuole che entriamo” disse Rose.
“Ma non possiamo. C’è scritto “VIETATO L’ACCESSO” disse Paige.
“E’ vietato per chi si sta annoiando nella propria camera” disse Rose e incominciò a cercare un possibile modo per aprire quella porta.
“Non credo funzioni proprio così la regola” disse Paige. Rose continuava a cercare un modo per aprire la porta. Poi disse: “Ci deve essere per forza una chiave qua in giro che la apre.”
“Che noi non cercheremo, perché è una pessima idea. E’ meglio se ritorniamo nella tua camera” disse Paige.
“Ma certo, ci sono” disse Rose e, dopo essersi abbassata, aggiunse: “Excalibur cercherà la chiave. Fiuta qualsiasi cosa e trovare una chiave non dovrebbe essere difficile per lei.”
“Ma almeno hai ascoltato quello che ho appena detto? Infrangeremo un sacco di regole” disse Paige.
“Ho già le regole di mio padre da seguire. Non seguirò anche queste” disse Rose rialzandosi. Poi guardò Excalibur e aggiunse: “Coraggio, amica mia. Ora tocca a te” e la volpe se ne andò in esplorazione.
“E noi nel frattempo cosa facciamo?” chiese Paige guardando Rose che, guardandola a sua volta, le rispose: “Semplice: aspettiamo.”
La furba volpe percorse i corridoi dell’ospedale, perlustrando in ogni angolo dove potesse trovarsi la chiave di quella porta. Lei si ricordava benissimo che, in passato, il suo olfatto le aveva fatto trovare oggetti magici o, comunque, persone in grado di praticare la magia. Era proprio grazie a ciò che era riuscita a entrare nelle grazie del Signore Oscuro e scampare alla morte per mano dei cacciatori.
Continuava a zampettare tra le infermiere e i dottori che, a causa del parlottare tra loro, non la degnavano neanche di uno sguardo. Quindi passò accanto alla reception per poi fare marcia indietro e fermarsi a vedere l’infermiera seduta dietro il bancone a mangiarsi una ciambella. Excalibur si leccò i baffi mentre osservava quella gustosa pietanza finire nella bocca di quella donna. Pensò che, ovviamente, quella ciambella e molte altre sue simili sarebbero state meglio nella sua, di pancia. Quindi sgattaiolò dietro a un cestino e, fortuna sua, l’infermiera venne proprio chiamata in quel momento da una sua collega per andare a prendere un caffè. La donna finì, quindi, la sua ciambella. Si alzò e seguì l’amica. Excalibur saltò sulla sedia e incominciò a mangiare le altre ciambelle che erano su di un piatto posto sulla scrivania. Ce ne erano circa tre e le ci vollero cinque minuti per finirle. Poi spostò lo sguardo e vide ciò che stava cercando prima che i suoi occhi si posassero sull’invitante cibo. Un mazzo di chiavi. Lo prese con i denti. Saltò giù dalla sedia e ritornò dalle due bambine.
Rose e Paige stavano aspettando il ritorno di Excalibur.
“Quanto sarà passato? Perché ci mette tanto? Spero solo che non si sia fermata a mangiare. Quella volpe ha sempre fame. Si ciba di tutto” disse Rose.
“Forse perché voi la state viziando troppo” disse Paige.
“Io non la vizio. È papà quello che le dà sempre le bistecche e poi dice a me di non darle i biscotti al cioccolato perché potrebbero farle venire il mal di pancia” disse Rose guardandola. Quindi voltarono lo sguardo sentendo un tintinnio e videro Excalibur, con il mazzo di chiavi tra i denti, zampettare verso di loro.
“Bravissima, Excalibur. Sapevo che ce l’avresti fatta” disse entusiasta Rose e, abbassandosi, la prese in braccio. Ma, appena le tolse le chiavi dai denti, Excalibur fece un piccolo rutto. Sia Rose che Paige fecero una faccia disgustata.
“Che schifo, Excalibur. Ma cosa hai mangiato? Sembrano prugne” disse Rose spostando di lato lo sguardo. Excalibur scodinzolò emettendo dei versetti per poi essere rimessa a terra.
“Non credi che poi starà male?” domandò Paige mentre Rose provava a inserire ogni chiave dentro alla serratura.
“Colpa sua e della sua ingordigia. E’ meglio che dia più ascolto a me e a mio padre, che al suo stomaco” rispose Rose. Finché non si sentì un “click” e la porta si aprì leggermente. Le due amiche si guardarono in silenzio. Sapevano che avrebbero infranto un sacco di regole, ma ormai erano lì. È vero, potevano ancora tornare indietro, ma la loro curiosità, soprattutto quella di Rose, era tanta. Quindi, con un po’ di fatica perché era pesante, aprirono del tutto la porta e davanti a loro si rivelò una serie di scalini che andava verso il basso. Già solo a stare lì, si poteva sentire un forte odore di umidità.
“Sei ancora sicura di quello che fai?” chiese Paige.
“Sicurissima. E ora andiamo” rispose Rose e incominciò a scendere le scale. Venne subito seguita da Excalibur e poi da una titubante Paige. Man mano che scendevano, il freddo si faceva più intenso, così come l’umidità.
“Rose, è tardi per dirti che non sopporto i luoghi umidi?” domandò Paige.
“Se vuoi puoi tornare indietro” propose Rose.
“E lasciarti da sola? Che amica sarei se ritornassi indietro? No, meglio venire con te ed Excalibur e assicurarmi che non combiniate nessun genere di guaio” disse Paige e Rose sorrise. Infine arrivarono alla fine dei gradini, ma si nascosero subito dietro a un muro perché, davanti a loro, un’altra infermiera, intenta a leggersi una rivista, stava seduta dietro alla scrivania.
“E ora che cosa facciamo? Se quella ci vede, finiremo in grossi guai” chiese sottovoce Paige.
“Fidati di me. Seguimi e fa' tutto quello che faccio io” rispose Rose e si mise a gattoni. Paige la imitò e, piano piano, camminando in questo modo, passarono accanto alla scrivania senza che l’infermiera si accorgesse di loro.  Ma Rose aveva anche un altro problema e non si trattava di quel pavimento lurido e freddo dove non vedeva nemmeno la sua immagine riflessa come, invece, riusciva a fare a casa sua. La cicatrice dell’appendicite aveva ripreso a farle male fin da quando stavano scendendo gli scalini, ma per paura che la sua amica insistesse nel ritornare in camera se ne era stata zitta e aveva sopportato, come stava facendo anche ora, il dolore. In cuor suo, sperava tanto che, prima o poi, sarebbe passato da solo. Gattonarono finché non raggiunsero l'angolo, dopodiché svoltarono e si alzarono.
“C’è mancato poco, ma ce l’abbiamo fatta” disse Paige tirando un sospiro di sollievo.
“Mai dubitare delle mie idee” disse Rose e ripresero a camminare. Arrivarono a un lungo corridoio dove, a entrambi i lati, c'erano un sacco di porte blindate.
“Rose… non mi sento molto più sicura a stare qua sotto. Possiamo ritornare su, per favore?” domandò Paige.
“Vuoi andartene proprio ora che siamo dove volevamo essere?” chiese Rose.
“Dove tu volevi essere. Io avrei preferito aspettare il Signor Gold nella tua camera” disse Paige.
“Eppure eccoti qua. Insieme a me e a Excalibur. Avresti potuto andartene molti minuti fa, invece continui a seguirci” disse Rose.
“Lo faccio solo perché gli amici rimangono sempre uniti. Tu hai fatto la stessa per me, quando volevo andarmene da Storybrooke” disse Paige. Continuarono a camminare e, contemporaneamente, anche a leggere le targhette poste accanto a ogni porta.
“S. Glass… chissà chi sarà” disse Paige, mentre leggeva la suddetta targhetta accanto a una porta. Rose andò al suo fianco, dicendo: “Sicuramente uno con molti problemi, considerano che si trova qua sotto. Questo non è certo posto dove vivere o invitare gli amici, qualora ne abbia.” E guardò altre porte.
“Non trovi che il cognome sia familiare?” domandò Paige guardando l’amica.
“Al momento non mi fa venire in mente nulla” rispose Rose. Quindi entrambe spostarono lo sguardo per vedere Excalibur emettere dei versetti, standosene seduta davanti a una porta. Le due bambine andarono dietro di lei.
“Excalibur, cosa c’è?” chiese Rose. La volpe la guardò emettendo dei versetti, come per farle capire qualcosa. Poi riguardò la porta, grattando con una zampina contro di essa. Paige, intanto, guardò la targhetta, ma non c'era scritto nulla.
“Nessun nome. Vuol dire che dentro questa stanza non c’è nessuno” disse Paige.
“Impossibile, o se no Excalibur non si comporterebbe così” disse Rose guardando l’amica.
“Chi c’è? C’è qualcuno lì fuori?” disse d'un tratto una voce. E quella voce non proveniva dal corridoio o dalle scale. Ma dall’interno di quella stanza.
Entrambe guardarono verso la porta e Rose rispose: “Sì. Ci siamo noi.”
“Che bello sentire qualcuno. È molto che non viene nessuno qua” disse la voce.
“Su, Paige, mettiti accanto alla porta e poni le mani una accanto all’altra” disse Rose.
“Ehm… non ho ben capito quello che devo fare” disse titubante Paige guardando l’amica.
“Fallo e basta!” replicò Rose. Paige allora mise le mani una accanto all’altra. Rose vi salì sopra con un piede e, facendosi forza, si alzò, tenendosi con entrambi le mani alla piccola fessura presente nella porta. Quindi cercò di guardare nella stanza.
“Non riesco a vederti. Potresti mostrarti nella luce?” domandò Rose.
“Io… non posso. Io… devo rimanere qua, dove nessuno deve vedermi” rispose titubante la voce. Nel frattempo, a Paige incominciarono a scendere gocce di sudore per lo sforzo che stava compiendo nel tenere su l’amica.
“Chi ti ha detto questo?” chiese Rose.
“Quelli che, ogni tanto, vengono qua e mi danno qualcosa dicendomi che non faccio la brava” rispose la voce.
“Non devi ascoltarli. Sono cattivi. Devi ascoltare te stessa. Solo tu sai veramente come sei” disse Rose.
“Rose, fa' alla svelta, ti prego. Non ce la faccio più” disse Paige ormai allo stremo delle forze.
“Ma io sono una ragazza cattiva. Se no non mi troverei qua” disse la voce.
“Ascolta ciò che ti ho detto. Non ti far condizionare dagli altri. Anche il mio papà mi dice sempre questo solo che io tendo ad ascoltarlo poco. Lui… vuole solo proteggermi. Ha solo me dopo che la mia mamma è morta dandomi alla luce” spiegò Rose, abbassando tristemente lo sguardo. Ci fu un po’ di silenzio. Poi la voce domandò: “Te lo ha detto lui?”
“Sì, anche perché non l’ho mai conosciuta. Ma il  papà mi ha sempre detto che la mia mamma era una ragazza molto dolce, determinata e che riusciva a vedere il buono in tutti, anche in persone come lui. Non ho mai capito cosa mi volesse dire. Ma la cosa più importante è che tu non abbia mai paura di te stessa. Devi affrontare le tue paure e così affronterai anche coloro che ti trattano male” spiegò Rose. Quindi Paige, ormai allo stremo, perse la presa ed entrambe caddero a terra.
“Avresti dovuto resistere di più” disse Rose mentre si massaggiava il sedere.
“Scusami, ma non sei tanto leggera” disse Paige guardandola.
“Ehi! Guarda che non sono grassa!” replicò Rose mentre entrambe si rialzarono in piedi.
“Non ho detto questo” disse Paige.
“Vi siete fatte male?” chiese la voce. Entrambe guardarono verso la porta per vedere due occhi blu comparire dalla fessura dove prima stava guardando Rose.
“No, grazie. Che begli occhi blu che hai. Secondo quanto mi ha detto il mio papà, anche la mia mamma aveva due bellissimi occhi blu” disse sorridendo Rose, ripensando alla frase che suo padre le raccontava spesso prima di farla addormentare:
“Ma ciò che non dimenticherò mai di tua madre erano i suoi bellissimi occhi blu. Occhi che non ho mai potuto conservare con rispetto, a causa di qualcos’altro che bramavo di più. Non ho voluto dare del tutto ascolto al suo cuore e ciò che provava per me.”
 
Eppure, quegli occhi che ora stava guardando combaciavano perfettamente con la descrizione che spesso suo padre le faceva degli occhi di sua madre. Ma, dopotutto, un sacco di persone avevano gli occhi blu.
“Forse ora faremmo meglio ad andare, prima che qualcuno scopra che siamo venute qua giù” disse Paige e lanciò un’occhiataccia a Rose, facendole capire che era ora di ritornare al piano superiore.
“E’ stato bello parlare con voi. Seppur quel poco” disse quella voce flebile. Ormai le bambine avevano capito di aver parlato con una donna e, nonostante lei non si fosse fatta vedere in volto, avevano intuito che era anche dolce.
“Verremo ancora a trovarti. Promesso. Non ti dimenticheremo” disse Rose, mentre Paige la trascinava verso l’uscita.
“Lo spero” disse la donna e poi, dopo che le bambine si furono dileguate, tornò a rintanarsi in un angolo buio della sua cella. Excalibur, per un po’, se ne rimase davanti alla porta, emettendo dei versetti e abbassando tristemente le orecchie. Sentiva di conoscere quella donna da molto tempo e, in parte, si sentiva responsabile per la sua cattura. Poi, non potendo fare nulla, seguì le bambine.
“Perché le persone così dolci finiscono in un posto come questo? Chi è così cattivo da non saper capire quando qualcuno non ha fatto nulla di male?” disse Rose.
“Perché forse pensano che il male sia qualcosa di bello?” disse Paige. Rose la guardò stranamente. Riguardò avanti e Paige aggiunse: “Ok, forse ho detto una cosa strana, ma chi può esistere di così malvagio da imprigionare delle persone qua sotto?”
“Forse qualcuno che non vuole che qualcun altro scopra qualcosa. Qualcuno che sta cercando di mantenere dei segreti da molti anni e lo fa usando qualsiasi cosa a suo favore” disse Rose.
Appena voltarono l’angolo si trovarono di fronte l’infermiera di guardia e il Dottor Whale. Excalibur si andò a nascondere dietro Rose.
“Oh oh. Credo che siamo nei guai” disse Paige.
“Sì. In grossi guai” replicò il Dottor Whale, tenendo le braccia incrociate.
Nel frattempo, dopo aver svolto un lavoretto, Gold era ritornato a casa e ora si trovava nella camera di Rose a cercare nel suo armadio alcuni indumenti da portarle in ospedale per i giorni che avrebbe trascorso lì. Aveva già messo in un borsone un po’ di vestiti quando il suo sguardo si posò su uno scatolone. Lo prese in mano, andandosi poi a sedere sul letto. Lo aprì e sorrise nel vedere molti oggetti appartenenti alla figlia quando era più piccola o solo una neonata. Molti di quegli oggetti provenivano dal loro vecchio mondo. Tra i tanti, prese una tutina, sopra alla quale, al centro, erano state ricamate una tazzina sbeccata e una rosa. Un vecchio ricordo gli ritornò in mente.





Note dell'autrice: Buon pomeriggio miei cari Oncers. Pronti domani per un'altra puntata stavolta Cruella Centric? Povero il cuore del nostro amato Rumple. Non uno ma ben due infarti e il secondo causato da quella Zelena( ci avevo beccato che in realtà nn era Marian ma Zelena. Ho le previsioni del futuro come Rumple ahahahah). Cmq speriamo che vada tutto bene per il nostro amato Rumple e che, soprattutto, ritorni insieme a Belle ( e che facciano un bel baby, che sarebbe anche ora). Passiamo alla fanfict: Rose, come ben sapete, meno segue le regole e meglio è per lei e se poi ci mettiamo la sua nuova migliore amica e una volpe che ha passato anni a lavorare per il signore oscuro, bè allora diventa ancora più pestifera. E il suo spirito d'eplorazione la porta addirittura nei sotteranei dove conosce (indirettamente perchè nn la vede) proprio la sua adorata mamma. Come avrete ben capito dalla fine del capitolo, la seconda parte inizierà con un flshback (vi ricordo che in ordine cronologico sn arrivata alla puntata dedicata a Cenerentola. oh mamma...sto ancora molto indietro....aiuto).

Passiamo ai ringraziamenti. Ringrazio tutti coloro che seguono, recensiscono e hanno messo nei preferiti la fanfict. Inoltre  vi anticipo che io e lucia (la mia fedelissima beta reader) abbiamo appena aperto un nuovo account (dal titolo The Price of Magic) dove scriveremo a quattro mani, storie incentrate principalmente sui Rumbelle (vi consiglio di leggere nel suo account la sua nuovissima one shot incentrata su Rumple a New York http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3091772 ) e altro.

Con questo vi auguro un piacevole proseguimento di giornata e al prossimo aggiornamento. Ah e buona visione per domani con un nuovo episodio di OUAT

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Capitolo 20
*** Spirito di Esplorazione - Parte II ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo X: Spirito d'esplorazione - Seconda Parte

Foresta Incantata
 
Era un pomeriggio come tanti altri al Castello Oscuro. Belle stava ricamando qualcosa, standosene seduta accanto al caminetto spento visto che, ormai, le temperature invernali stavano lasciando del tutto spazio a quelle primaverili. Excalibur dormiva nella sua cesta dorata. Tremotino aveva da poco smesso di filare e, ora, si trovava a osservare la figlia neonata, che lo guardava a sua volta standosene nella sua culla accanto all’arcolaio.
“Ora tu hai tanto, tanto sonno. Dormi. Su, dormi” le disse Tremotino, ma la neonata, con gli occhi più vispi di quelli di un grillo, gli rispose ridendo.
“Non devi sforzarla. Ha fatto il suo pisolino qualche ora fa” disse Belle, guardandolo.
“Se poi non dorme, incomincerà a strillare e farà rimanere svegli noi due. Lo sai che non sopporto i suoi strilli” disse Tremotino, guardandola a sua volta.
“Ma poi si calma ascoltando quella strana ninnananna che le canti sempre. Lei adora la tua voce” disse sorridendo Belle. Tremotino inarcò un sopracciglio. Poi riguardò Rose dicendo: “Quella ninnananna non è strana, e poi, come hai detto tu, a lei piace e non la trova strana.” E allungò un dito. Rose lo prese, giocherellandoci.
Belle sorrise scuotendo negativamente la testa. Poi, dopo aver messo da parte i ferri da maglia, guardò ciò che aveva fatto e disse con soddisfazione: “Ecco fatto. A Rose piacerà un sacco.” Tremotino guardò in sua direzione: si trattava di una tutina con al centro una rosa.
“E’ di tre taglie più grandi. Le starà grande” disse Tremotino.
“Sei sempre contrario a tutto ciò che faccio. Vorrà dire che ci crescerà dentro” disse Belle. Tremotino alzò una mano, pronto a scagliare qualche incantesimo, ma Belle lo fermò dicendogli: “Non ci provare. Niente magia su ciò che creo.”
“Volevo solo renderglielo meno ridicolo. Non voglio che qualcuno rida di lei” disse Tremotino. Ma dopo che Belle lo ebbe guardato malamente, aggiunse: “E va bene, niente magia… ma solo una piccola modifica.” E, con un cenno della mano, la tutina venne avvolta da una nube viola.
“Tremotino! Mi hai mentito. Ti avevo detto niente magia!” replicò Belle.
“Lo so, lo so, cara. Ma ora guarda come è diventata ancora più bella quella tutina che hai fatto” disse Tremotino. Belle, allora, guardò la tutina e notò che, accanto alla rosa, era comparsa la tazzina sbeccata. Belle alzò lo sguardo sorridendo a Tremotino il quale aggiunse: “E inoltre le taglie sono diminuite per adattarsi alla nostra piccolina” e Belle alzò un sopracciglio. Tremotino riguardò Rose dicendo: “E fra non molto, anche quella sguattera avrà presto a che fare con una sua versione in miniatura strillante. Solo che io gliela porterò via.”
“Vuoi portare via il figlio a una madre?” domandò Belle.
“Fa parte dell’accordo, mia cara” rispose sorridendo Tremotino guardandola.
“Accordo o no, non puoi portarle via il figlio. Ti piacerebbe se qualcuno ci portasse via Rose?!” replicò Belle alzandosi in piedi.
“Non mettere Rose in questa storia! Lei non c’entra nulla! E’ stata lei ad accettare l’accordo e doveva essere più previdente a leggere ogni singola riga” replicò Tremotino.
“Sto provando a mettermi nei suoi panni. Da madre a madre” disse Belle.
“I suoi panni ti stanno stretti. E poi non ti si addicono. Tu meriti molto di più” disse Tremotino.
“Ti prego, Tremotino. Ripensaci. E’ come se le portassi via qualcosa di molto prezioso. Una nuova vita da accudire. In così tanti secoli vissuti, avrai sicuramente portato via un sacco di neonati. Almeno per questa volta, fa' un’eccezione” disse Belle.
“Mi dispiace, mia cara, ma un patto è un patto. E lei mi ha detto che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di andarsene dalle sue spregevoli sorellastre e matrigna e, io, ovviamente l’ho accontentata. Ma come ben sai, voglio sempre qualcosa in cambio e so per certo che farà di tutto pur di impedirmi di avere il suo bambino. Chissà cosa starà architettando con il suo nuovo maritino. Le ho dato felicità e amore eterno e lei subito si è data da fare. Non male, per una che lava pavimenti” disse ridendo Tremotino.
“Sei senza pietà. Se ci portassero via Rose, sono sicura che reagiresti proprio come loro perché è questo che fanno i genitori. Proteggono la loro creatura come noi proteggiamo la nostra. Tremotino, disfa quell’accordo e lascia loro il figlio” disse Belle.
“Lo vorrei tanto, ma… non posso. E poi la magia ha sempre un prezzo. Non dono gratis abito e scarpette di cristallo, per poi non ricevere nulla in cambio” disse ridendo Tremotino.
“Quindi reputi un neonato merce di scambio? Bel padre che sei” disse Belle.
“Io sono un buon padre! Voglio bene a Rose, ma non me ne frega nulla degli altri mocciosi! I miei accordi sono affari miei e tu non ti devi immischiare! Quella sguattera ha preso ormai la sua decisione e se dovesse cercare di rompere il patto, ci saranno delle terribili conseguenze per suo marito” replicò Tremotino alzando la voce. Rose incominciò a percepire tensione tra i genitori e abbassò leggermente le piccole labbra pronta a scoppiare in un acuto pianto.
“Credevo ci fosse del buono in te, ma a quanto pare mi sono sbagliata. Pensavo che con la nascita di Rose il tuo cuore avrebbe dato spazio a un briciolo di luce, ma il potere viene ancora prima della tua famiglia. Mi hai delusa, Tremotino. Sono tornata indietro per te quando potevo ritornare da mio padre. Tu mi avevi cacciata, ma io sono ritornata, e lo sai il perché? Perché ti amavo e ti amo ancora, ma se nemmeno le mie suppliche riescono a farti cambiare idea allora penso che la bestia abbia ripreso il posto di quell’uomo dolce e gentile che mi regalò quella rosa e che risparmiò la vita a quel fuorilegge. Lo stesso uomo che canta quella ninnananna inventata per far addormentare la nostra bambina o che non ha mai dimenticato il figlio perduto da tempo. So che c’è del buono in te. Io lo vedo. Gli altri ti considerano un mostro, ma io no. Ti prego, ripensaci. Sei ancora in tempo. Rompi quell’accordo. Non prendere quel bambino. Se solo tu…” spiegò Belle.
“Basta!” gridò Tremotino. Aveva perso completamente la pazienza. L’eco fu talmente forte che si sentì per più volte e in tutto il castello. Persino Excalibur si destò dal suo pisolino, guardando i padroni. Belle si irrigidì. Mai prima d’ora Tremotino aveva perso così tanto la pazienza. Non almeno nei suoi confronti. Forse avrebbe dovuto fermarsi prima.
“Smettila! Basta! Sei tu quella che non capisce! E’ una questione molto importante che deve essere portata a termine. So che loro faranno di tutto pur di impedirmi di prendere il loro pargolo. Solo che stanno aspettando il momento più adatto. E io aspetterò e, quando sarà arrivato, si renderanno veramente conto che nessuno deve scherzare con me” replicò Tremotino.
“Perché è una questione che deve essere portata a termine?” chiese Belle.
“Non capiresti” rispose Tremotino dandole di schiena.
“Che cosa ci sarebbe da capire? Allora spiegamelo” disse Belle.
“Non è affar tuo!” replicò Tremotino riguardandola. Ci fu silenzio che poi venne interrotto dal pianto di Rose. Dopotutto si era sentita messa da parte e le urla dei genitori l’avevano spaventata. Tremotino si rivoltò e, abbassandosi verso la culla disse, con tono più affettuoso: “No, non piangerem mio piccolo fiore. La mamma non voleva agitarti.”
Sentendo quelle parole, con sguardo deciso e arrabbiato Belle andò verso la porta. Tremotino si rialzò e, mentre la seguiva con lo sguardo, domandò: “Dove stai andando?”
“Ad agitare qualcun altro” replicò Belle continuando a camminare.
Tremotino la seguì dicendole: “Suvvia, Belle. Ho solo perso un po’ la pazienza. Non volevo arrabbiarmi con te. Ora è già tutto passato. Belle io…”. Ma non fece in tempo a terminare la frase che le porte gli si chiusero in faccia.
Ora Tremotino era veramente furioso. Camminò verso la culla mentre la figlia continuava a piangere. Replicò guardandola: “Sta' zitta! Smettila! Mi stai facendo venire il mal di testa!” e alzò una mano, pronto a scagliare un incantesimo. Poi si fermò e disse: “Non posso. Non posso. Ho promesso che non avrei mai usato la magia su di te.” E, in un altro attacco di rabbia, si voltò scagliando una palla di fuoco contro il muro.
Rose continuava a piangere. Tremotino si rivoltò verso di lei e, prendendola in braccio, cercò di cullarla per farla calmare, ma con scarsi risultati. Quindi abbassò lo sguardo, gridando: “Excalibur! Vieni qua!”
La volpe, allora, prese in bocca il giocattolo di gomma che teneva nella cesta e si avvicinò al padrone che, nel frattempo si era abbassato. Excalibur morsicò il giocattolo, che era rosso e a forma di mela, facendo uscire da esso dei rumori. Continuò ripetutamente, finché Rose non smise di piangere e, guardando la volpe, rise.
Tremotino tirò un sospiro di sollievo e, con una mano, accarezzò Excalibur sulla testa dicendole: “Ben fatto, mia fedele amica. So che posso sempre contare su di te.”
E la volpe morsicò il giocattolo facendolo nuovamente suonare. Tremotino si rialzò e, mentre cullava Rose, le disse: “Non avrei voluto arrabbiarmi con tua madre e farti piangere. E’ che c’è una cosa che vorrei dirle, ma non posso. Non ancora, almeno. Ma se tutto andrà come ho previsto, presto troverò anche tuo fratello e ritorneremo a essere una famiglia.” La alzò in alto e, mentre Rose rideva, aggiunse: “E tu, quando sarai diventata più grande, diventerai la mia apprendista. Perché dentro di te hai degli enormi poteri magici e io ti aiuterò a controllarli. Diventerai potente come il tuo papà che ti vuole tanto bene” e la neonata rise.
Venne sera e Tremotino, Belle e la piccola Rose erano a cenare nel salone. Excalibur stava mangiando dalla sua ciotola. C’era silenzio. Da quando avevano iniziato la cena, nessuno aveva parlato. Be', Rose non parlava ancora avendo solamente tre mesi. Belle non si era nemmeno seduta accanto a Tremotino, come faceva di solito. Aveva scelto un posto un po’ più lontano da lui, ma comunque sempre accanto alla figlia nella culla per darle il latte qualora ne avesse bisogno. Fortunatamente, Rose dormiva, ma tra non molto si sarebbe svegliata per reclamare la sua dose di attenzioni e cibo. Belle sorseggiava lentamente la minestra di verdure preparata da Grachen. Era ovvio che l’ex fata era molto più abile ai fornelli di Belle, ma a quest’ultima non dispiaceva lasciare gran parte del lavoro a lei così che potesse passare più tempo con la figlia.
Tremotino decise di rompere quel silenzio. “Non mi dire che sei ancora arrabbiata per la piccola litigata che abbiamo avuto oggi pomeriggio? Ormai dovrebbe essere acqua passata. Solo un vecchio e lontanissimo ricordo” disse Tremotino.
Belle alzò lo sguardo dicendogli: “E’ successo solo qualche ora fa. Non lo definirei un lontanissimo ricordo.” E, riabbassando lo sguardo, riprese a mangiare la minestra.
“Dovresti mettere il passato alle spalle e andare avanti proprio come faccio io. E poi devi smetterla di prendertela per nulla. Quella mocciosa non ti è di alcun interesse. Ora hai una figlia a cui pensare e accudire. Dovresti esserne felice” disse Tremotino.
“Lo sono. Ma non trovo giusto questo tuo comportamento. E’ un neonato e tale dovresti trattarlo” disse Belle guardandolo.
“Oh per favore, mia cara, non ritornare su questo discorso. Non si tratta del neonato. Ma del patto che ha stipulato e di tutto ciò che mi ha promesso che mi avrebbe dato pur si sfuggire al suo crudele destino da sguattera. E poi lo sai che so anche essere generoso. Dopotutto, l’ho trasformata in una principessa. Avrebbe dovuto ringraziarmi, invece continuava a chiedermi del perché abbia fatto fuori la sua fata madrina” spiegò Tremotino.
Bello lo guardò in silenzio. Poi spostò lo sguardo sulla figlia che dormiva beata nella culla. Sospirò e, riguardando il Signore Oscuro, gli chiese: “Tremotino, c’è qualcosa che non mi stai dicendo, vero?”
“Cosa  dovrei dirti? Che ti si sta raffreddando la minestra?” rispose ridendo Tremotino.
“Ho paura per il futuro di nostra figlia” disse preoccupata Belle.
“Il suo futuro sarà con noi, ovviamente. Crescerà bella e tenace come la madre e desiderosa del potere come il padre” disse Tremotino. Ma dopo che Belle lo ebbe guardato malamente, continuò col dire: “Ovviamente non voglio che pratichi magia oscura. La farò diventare mia apprendista affinché riesca controllarla al meglio. Non ti devi preoccupare di nulla.”
“Non è della sua magia che mi preoccupo. Ma di chi potrebbe farle male e sai benissimo a chi mi sto riferendo” disse Belle.
“Non stavamo parlando della sguattera? Questi tuoi continui cambi di discorso non mi piacciono affatto. Vorrei essere avvertito quando li fai” disse Tremotino.
“Tremotino che cosa hai in mente?” domandò Belle.
“Qualcosina che potremmo fare quando la piccola sarà del tutto nel mondo dei sogni” rispose sorridendo Tremotino.
“Intendevo, che cosa mi nascondi?” chiese Belle alzandosi e camminando verso di lui.
“Cosa dovrei nasconderti, mia cara? Non ho segreti per te e la piccola. Intanto a lei posso raccontare tutto, perché so che non ti verrà mai a dire nulla” rispose Tremotino.
“Avanti, Tremotino. Sai che puoi dirmi tutto” disse Belle e si sedette sulle sue ginocchia per poi mettergli una mano sul petto.
“Non ora, cara. Potrebbe entrare Grachen. Lo faremo più tardi in camera se proprio ci tieni” disse Tremotino facendole l’occhiolino.
“Non avere segreti per me. Raccontami tutto” disse Belle. Ma Tremotino si alzò e la prese tra le braccia. Belle rimase senza parole. Lo guardò dicendogli: “Che cosa stai facendo? Mettimi giù!”
“Non volevi divertirti?” domandò Tremotino sorridendole per poi camminare verso la porta.
“Sai benissimo che non alludevo a quello. Mettimi giù, ho detto!” replicò Belle. Quando Rose incominciò a piangere. Tremotino si fermò e, voltandosi, disse: “Questo è un attacco da dietro le spalle. Credevo che la piccola fosse dalla mia parte e non dalla tua” e rimise Belle a terra, la quale andò dalla figlia prendendola in braccio e dicendole mentre la cullava: “Non piangere. La mamma e il papà non ti hanno lasciata sola. Il papà stava solo scherzando ed è stato molto cattivo portando via la mamma.”
“Questo è un colpo basso, Belle. Sai benissimo che stavo scherzando” disse Tremotino.
“Scherzare tu?! Non sei mai stato il tipo da scherzare. Avanti, cos’è tutto questo mistero che stai cercando di nascondere in ogni modo?” chiese Belle mentre continuava a cullare una Rose strillante.
“Se te lo dico prometti di non tirare fuori il tuo temperamento isterico?” domandò Tremotino.
“Temperamento isterico?! E’ così che lo hai sempre ritenuto?!” replicò chiedendo Belle.
“Non trarre delle conclusioni affrettate. Dopotutto si tratta solo di una maledizione” disse Tremotino.
“Solo… di… una… maledizione? Tu reputi una maledizione una cosa da nulla? E me la dici così?!” replicò Belle. Poi guardò Rose, che continuava a piangere, aggiungendo: “Su, su piccola. Non è niente.”
Senza dire nulla, Tremotino si avvicinò a loro e allungò istintivamente le braccia. Belle lo guardò. Era incerta se dargli la figlia o no. Sapeva che Tremotino era un buon padre, avendo già cresciuto un figlio tempo addietro e che, quindi, non avrebbe mai potuto fare del male a Rose. Ma con la sfuriata che aveva avuto prima, ora non sapeva se stava mantenendo la pazienza oppure no. Decise di fidarsi e, quindi, gli porse la figlia. A quel punto, il Signore Oscuro lasciò posto a quel padre premuroso di secoli prima, pronto a sacrificare tutto per ciò che aveva creato con la donna che in quel momento gli stava accanto. Guardò la neonata tra le sue braccia e canticchiò una ninnananna creata da lui per la piccola:
 
“Mio piccolo fiore, attento a dove vai. Gira e gira e a terra cadrai. Piangi e una lacrima verserai. Ma arriva il papà e con lui per sempre al sicuro sarai. Mia dolce Rosie. Luce del mio cuore oscuro. Un dì grande diverrai, ma mamma e papà accanto avrai”
 
Rose smise di piangere e guardò sorridendo il padre. Anche Belle sorrise. Dentro a quel cuore oscurato dalla magia nera, si celava ancora un briciolo di luce. Dapprima ritornato grazie all’amore di Belle e, poi, con la nascita della loro piccola. Tutto era perfetto. Erano una famiglia. Ma sembrava che Tremotino le stesse veramente nascondendo qualcosa che, a quanto pare, stentava a dirle. Gli mise una mano sul braccio. Tremotino la guardò. Belle gli disse: “Sei davvero un buon padre e sono sicura che, quando Rose crescerà, ti vorrà ancora più bene.”
Ci fu silenzio. Poi Tremotino le diede di schiena dicendole: “Belle… c’è qualcosa che dovrei dirti e so che non ti piacerà. Si tratta di quella maledizione di cui ti ho parlato prima. E’ qualcosa che va avanti da molto e che io stesso ho pianificato. Ma non volevo che né tu e nemmeno la nostra bambina veniste coinvolte.” Belle lo guardò in silenzio. Stava aspettando il momento più adatto per controbattere o, forse,  sarebbe stata semplicemente lì a guardarlo e sostenerlo.
Tremotino si voltò verso di lei, continuando: “E’ per ritrovare mio figlio. So che si trova in un mondo senza magia e, per poterlo raggiungere, ho creato questa maledizione affinché ci portasse tutti lì. Ma il piano si è dimostrato più complicato del previsto. Ho cercato fra molti la persona più adatta per lanciare la maledizione e, alla fine, la mia scelta è ricaduta su Regina.”
“Regina?! Tremotino, lei voleva uccidere nostra figlia ancora prima che nascesse! Come puoi fidarti di lei?” replicò Belle.
“Perché è l’unica che può lanciare la maledizione, anche se dovrà sacrificare ciò che ha di più caro” disse Tremotino, mentre Rose cercava di prendergli una ciocca di capelli.
“Regina non sarebbe capace di sacrificare nemmeno il suo cuore. Hai fatto affidamento alla persona sbagliata” disse Belle.
“E’ lei quella giusta. Fidati. Ma dovrà scegliere se continuare a essere umiliata dagli eroi, oppure sacrificare qualcuno a lei caro e avere il suo lieto fine. E… Rose, lascia i capelli di papà” disse Tremotino. Rose rideva mentre tirava una ciocca di capelli del padre.
“Vuole portare via il lieto fine a Biancaneve e suo marito? Ma non può! E tu glielo permetti anche!” replicò Belle.
“Ti ho spiegato perché voglio che lanci questa maledizione. Ma ora gradirei tanto che mi aiutassi” disse Tremotino. Belle andò da lui e, delicatamente, prese la manina della figlia facendole lasciare la ciocca di capelli del Signore Oscuro.
“E’ tutto predisposto secondo il piano. Tu e la piccola sarete al sicuro. Inoltre anche Excalibur avrà un ruolo fondamentale” disse Tremotino. Guardarono la volpe che, dalla sua cesta, alzò lo sguardo assopito per poi riappoggiarlo, ritornando a dormire.
“Non lo so, Tremotino. È che ho paura che possa succedere qualcosa di brutto a Rose” disse Belle accarezzando la figlia sulla testa.
“Insomma, Belle, devi avere un po’ di fiducia. Incomincio a pensare che avere sempre il naso nei libri non ti faccia bene. Descrivono solo cose che non sono mai esistite” disse Tremotino.
“I libri mi aiutano anche a vivere in un mondo lontano dagli strilli di Rose e dai tuoi accordi. Adoro nostra figlia, ma a volte mi fa venire un forte mal di testa” disse Belle.
“Hai sentito, piccola? Fa venire dei forti mal di testa alla mamma” disse sorridendo Tremotino alzando a mezz’aria Rose, la quale rise contenta.
“Sembrerebbe che tu voglia metterla contro di me, così quando sarà diventata grande, considererà te il genitore buono mentre io quello cattivo” disse Belle. Tremotino la guardò dicendole: “Come lo intendi tu, sembra un’inversione di ruoli.” E rise.
Ma Belle incrociò le braccia dicendogli: “Ritornando a questo tuo preciso piano, spiegami perché Excalibur dovrebbe essere un elemento fondamentale.”
“Perché sarà lei a condurvi al sicuro mentre la maledizione incombe. Vi condurrà nella tana una volta appartenuta a lei” spiegò Tremotino rimettendo Rose nella culla. Poi con un cenno della mano fece comparire un medaglione. Esso rappresentava un arcolaio dorato accanto al quale era appesa una rosa, anch’essa dorata. Si avvicinò a Belle e si portò alle sue spalle. La ragazza si prese una ciocca di capelli tirandosela leggermente su, così da permettere a Tremotino di metterle il medaglione intorno al collo. Appena ebbe finito, Belle si guardò il medaglione. Si voltò verso il Signore Oscuro che le spiegò: “Questo medaglione è ricoperto della mia magia. Sia esternamente che internamente. Ti proteggerà durante la maledizione facendoti mantenere i tuoi ricordi.”
“Facendomi mantenere i miei ricordi?” ripete Belle.
“La maledizione ci trasporterà in un mondo senza magia, ma con nuove identità e ricordi modificati. Io non voglio dimenticare te e la piccola Rose. Siete la mia famiglia e non posso perdervi. Ed è per ciò che, finché porterai questo medaglione, tutti i tuoi ricordi rimarranno intatti” spiegò Tremotino.
“E tu e Rose come farete?” chiese Belle.
“La maledizione è una mia creazione. Non mi modificherà del tutto i ricordi. E per quanto riguarda Rose, lei è mia figlia e quindi manterrà dei ricordi. Quelli più significativi per lei” rispose Tremotino. Belle si appoggiò contro il petto di Tremotino. Il Signore Oscuro si guardò prima a destra e poi a sinistra, incerto su cosa fare. Lui non era il tipo da abbracci o gesti affettuosi, anche se per più volte lo aveva dimostrato nei confronti della figlia e, indirettamente, anche nei confronti di Belle. Lui non l’aveva mai trattata come una serva. Una serva per lui era Grachen. Quella mezza fata che aveva odiato fin dal primo momento che aveva stipulato il patto con lei. Con Belle invece era diverso. Era sempre stato diverso. Fin da quando l’aveva salvata da quella caduta superiore ai due metri da quella scala accanto alla finestra. Colpa di quelle tende troppo dure da tirare via o colpa di quella ragazza sempre così tenace nelle sue decisioni? E poi era nata Rose. Quella dolce neonata di appena tre mesi che già dimostrava di aver ereditato da entrambi i genitori. Strillava per avere le attenzioni dovute e essere svezzata. Non smetteva finché non le avesse ricevute entrambe. Ovviamente ciò rappresentava la determinazione ereditata dalla madre. Più di una volta, invece, sia Tremotino che Belle avevano assistito a tende che prendevano fuoco quando Rose starnutiva; giocattoli che volavano per pochi secondi sulla culla e altri piccoli momenti simili che Tremotino aveva descritto orgogliosamente come magia accidentale. Essendo l’unione tra l’Oscurità e la Luce, Rose sarebbe diventata molto potente, ma con le dovute esercitazioni avrebbe tenuto la magia sotto controllo. Almeno si sperava.
Tremotino scostò leggermente Belle da sé e guardandola le disse: “Ora non c’è motivo di farsi crollare tutto in una volta il mondo addosso. C’è ancora tempo prima che Regina scagli la maledizione.” Belle si voltò e, mentre teneva lo sguardo abbassato e si toccava il medaglione, domandò: “E quanto prima che tu ti faccia imprigionare?”
Tremotino si riavvicinò a lei e, dopo averle messo le mani sulle spalle, disse: “Ti vuoi proprio sbarazzare di me, vero?”
Ma capì subito che la ragazza non era in vena di scherzare. La sentì irrigidirsi e quasi in procinto di piangere. Ma Belle non avrebbe mai pianto di fronte a lui, non avrebbe versato nemmeno una lacrima. Forse si sarebbe sfogata nella loro camera, ma non lì. La ragazza si voltò e, portandogli anche lei le mani sulle spalle, disse: “Andrà tutto bene. Sono sicura che andrà tutto bene e ci ritroveremo nell’altro mondo, dove potremo stare sempre insieme. E tu ritroverai tuo figlio e saremo finalmente una famiglia.” I due avvicinarono i visi. Stavano per compiere quel piccolo gesto d’amore, quando Rose starnutì e le tende presero fuoco. I genitori guardarono verso le tende infuocate e Belle disse: “Ci risiamo. Vuole l’attenzione come il suo papà.”
“E ti meraviglia come cosa?” disse Tremotino camminando verso le tende. Poi si fermò. Riguardò Belle e sorridendole aggiunse: “Dopotutto, è mia figlia.” E mentre riguardava le tende, Belle sorrise scuotendo negativamente la testa. Con un solo cenno della magia del Signore Oscuro, le tende smisero di bruciare. I genitori guardarono la figlia che li guardò a sua volta ridendo. Tremotino guardò Belle e le disse: “Spero solo che non incendi quel pigiamino che le hai fatto.”
“Se lo farà, chiederò un bel risarcimento al padre” disse Belle guardandolo a sua volta.
“Spero sia un risarcimento che possa ricompensare a dovere” disse Tremotino.
“Lo spero anche io” disse sorridendogli Belle.
 
Storybrooke
 
Gold continuava a guardare quella tutina, che in realtà si trattava di un pigiamino, mentre quel ricordo ritornò nella sua mente. Non avrebbe mai potuto dimenticarlo anche se non aveva mantenuto la promessa alla sua amata. Belle era morta e in quei ventotto anni aveva cresciuto da solo la figlia che, a causa della maledizione e del suo precedente incantesimo fatto su di lei prima di arrivare nel mondo senza magia, era rimasta piccola, crescendo molto lentamente.
Era così intento a osservare quella tutina che non si accorse della comparsa di Dove sulla soglia della porta. La guardia del corpo si schiarì la voce un paio di volte finché Gold non lo guardò.
“Signore, ho fatto ciò che mi aveva chiesto” disse Dove.
“Bene” disse semplicemente Gold e mise la tutina e gli altri vestiti dentro la valigia.
“Desidera altro, Signore?” domandò Dove. A fatica Gold si alzò e, guardandolo, gli rispose: “Porta questa valigia nella mia macchina e poi seguimi con la tua all’ospedale.”
“Subito, Signore” disse Dove e, dopo aver preso la pesante valigia, uscì. Gold riprese il suo bastone che aveva appoggiato contro il letto. Stava per uscire dalla camera, quando si fermò e guardò la rosa dentro alla teca di vetro posta sulla finestra. Si avvicinò a essa e, appoggiando una mano contro la teca, la guardò in silenzio. Quella rosa era stata ritrovata nella cesta della figlia anni prima e, dopo tutti quegli anni, non era mai appassita. Sospirò e poi uscì dalla camera, raggiungendo Dove. Salì sulla Cadillac e poi partì verso l’ospedale, seguito da Dove che guidava una macchina nera.
Poco dopo arrivarono all’ospedale ma, appena vi entrarono, videro il Dottor Whale dare loro di spalle e gridare a qualcuno.
“Lo sapete che non dovevate andarvene in giro ma rimanere nella stanza. Invece voi avete fatto esattamente il contrario! Dovrei punirvi per questo!” replicò il Dottor Whale.
“Io le consiglio di non farlo” disse Gold. Tutti si voltarono nella sua direzione e in quella di Dove dietro di lui.
“Stavo per farla chiamare, Signor Gold” disse il Dottor Whale.
“Be', come ha potuto vedere, non ce ne è stato bisogno visto che sono già qui” disse Gold camminando verso di lui con Dove che lo seguiva. Poi, quando si fermò di fronte al dottore, aggiunse chiedendogli: “Allora, qual è il problema?”
“Sua figlia e la sua amichetta se ne sono andate in giro per l’ospedale” rispose il Dottor Whale.
“Non ne vedo il problema e tu, Dove?” domandò Gold continuando a guardare il dottore.
“Nessuno, Signore” rispose Dove.
“In posti dove non sarebbero dovute andare” finì il Dottor Whale.
“Lei si preoccupa troppo. Nessuno si è fatto male e, anche se fosse accaduto, intanto siamo in un ospedale dove qualcuno si sarebbe prontamente occupato di loro” disse Gold.
“Signor Gold, ci sono posti che sono proibiti per chi non lavora nell’ospedale” disse il Dottor Whale.
“Allora avrebbe dovuto mettere più personale a sorvegliare questi posti proibiti. Spero comunque che non si permetta mai più di sgridare mia figlia. Quello dovrò farlo solo io essendo suo padre. Lei non ha nessuna autorità su di lei” disse Gold.
“E a quanto pare nemmeno sulla sua volpe” disse il Dottor Whale e mostrò Excalibur che aveva preso per la collottola. Gold se ne stette in silenzio mentre il dottore teneva ferma la sua volpe. Poi Whale continuò: “Se ne va in giro a mangiare le ciambelle degli altri dottori.” Excalibur lo guardò emettendo un piccolo rutto. Il Dottor Whale fece una faccia disgustata per poi guardare Gold e digli: “E incominci a insegnarle un po’ di buone maniere.” E, con noncuranza, la depositò a terra. La volpe corse subito accanto al padrone. Ma Gold stava guardando la figlia che, insieme a Paige, era ritornata in camera. Poi disse: “Dove, prendi la Signorina Grace e ritornate alla villa.” Senza dire nulla, la guardia del corpo entrò in stanza. Scambiò due parole con Paige e poi, insieme alla bambina, uscì dalla camera.
“Signor Gold, non sia crudele con Rose. Noi volevamo solo esplorare” disse Paige guardandolo.
“Grazie del consiglio, ma saprò io come comportarmi con mia figlia” disse Gold non guardandola. Paige abbassò tristemente lo sguardo e, insieme a Dove, uscì dall’ospedale. Excalibur li guardò andarsene, tenendo le orecchie abbassate. Poi riguardò avanti quando Gold entrò in camera. Rose abbassò subito lo sguardo.
“E guardi come ha ridotto questa stanza! Sembra un campo di battaglia con tutte queste piume a terra e i cuscini disfatti” replicò il Dottor Whale rimanendo dietro a Gold. Questi si voltò dicendogli: “Cose da niente. Pagherò personalmente per i danni arrecati da mia figlia.” Il Dottor Whale non disse nulla e con sguardo un po’ scocciato se ne andò. Gold si rivoltò verso Rose dicendole: “Pensavo di averti insegnato le buone maniere. Che fine hanno fatto?”
“Sparite quando hanno tolto l’appendicite?” chiese sorridendo Rose. Ma il suo sorriso scomparve non appena vide il padre guardarla malamente.
“Rose, pensavo di essere stato abbastanza chiaro quando ti dissi di rimanere qua. E poi lo sai che il Dottor Whale è un tipo dalla poca pazienza e che tiene molto al suo lavoro e a questo posto” disse Gold.
“Credevo che l’ospedale appartenesse a te” disse Rose.
“Non è quello. Essendo mia figlia, devi essere un esempio per tutta la città” disse Gold.
“Ma se tutta la città ti odia. E poi credevo che quello dovesse essere Henry, in quanto figlio del Sindaco” disse Rose.
“Voglio solo che tu faccia la brava e che non te ne vada in giro in cerca di guai. Devi capire che ho solo te e non posso perderti” disse Gold.
“Papà, ma non mi è successo nulla. E poi mi stavo annoiando” disse Rose.
“Vedo infatti quello che è successo” disse Gold e guardò le tante piume a terra.
“Prometto che me ne starò buona qua e che ripulirò tutto” disse Rose.
“Per pulire non ti preoccupare: ci penseranno le infermiere. Per quanto riguarda di startene buona qua, quello è certo perché rimarrò a sorvegliarti” disse Gold guardandola. Poi guardò Excalibur aggiungendo: “E questo vale anche per te, mia cara. E ti assicuro che quando ritorneremo a casa, mangerai solo avanzi.” E la volpe gli ringhiò contro.
Venne sera e Gold non perse mai di vista la figlia. Fu però una telefonata al cellulare a farlo allontanare momentaneamente dal letto di Rose.
“Ritornerò in poco tempo. Ho una faccenda da sbrigare al negozio” disse Gold mentre si metteva la giacca e depositava il libro che stava leggendo su un tavolino lì vicino.
“Niente di cui preoccupante, vero?” domandò Rose guardandolo.
“Un cliente che non aveva niente da fare per tutta la giornata, ma che ha il tempo di importunarmi anche quando non ci sono. Mi sta aspettando davanti al negozio” rispose Gold. Ovviamente questa non era la versione che gli aveva detto poco fa Dove al cellulare. La guardia del corpo, infatti, dopo aver portato Paige alla villa, era andato a perlustrare, su ordine dello stesso Gold, la zona del negozio mandando via gli scocciatori, e per scocciatori intendeva soprattutto Regina, lo Sceriffo e la Signorina Swan. Aveva trovato però una persona sospetta che si aggirava da quelle parti.
“Poi ritorni, vero?” chiese Rose.
“Ma certo. Ritornerò in poco tempo. Intanto non sei da sola. A farti compagnia c’è Excalibur” rispose Gold mettendole una mano sulla guancia e guardando la volpe acciambellata sul letto. “Tu promettimi di fare la brava. Rimani qua e riposa. Dopotutto non è molto che hai subìto quella delicata operazione” aggiunse Gold.
“Va bene, papà” disse Rose. Gold sorrise. Poi guardò Excalibur dicendole: “L’affido a te. Finché non ritornerò, è sotto la tua responsabilità.” Excalibur alzò la testa guardando il padrone e sbadigliando. Quindi Gold aggiunse: “Se farai bene ciò che ti ho detto, forse ti aspetta anche una bistecca.” La volpe drizzò le orecchie leccandosi già i baffi. Gold l’accarezzò sulla testa per poi uscire.
Fu notte fonda quando Rose si svegliò. Era da diverse notti, soprattutto da quando in città era arrivata Emma, che faceva degli strani sogni. Sognava di un mondo incantato. Di un enorme castello, dentro al quale vivevano una donna dai lunghi capelli scuri e due occhi azzurri e un uomo, intento a filare all’arcolaio. Ma non era la lana trasformata in oro che la colpì. Ma proprio l’uomo, nel quale c’era qualcosa di diverso. Il suo aspetto. La pelle sul verdastro e a scaglie. Le unghie lunghe e i capelli non molto curati. Eppure vedeva quella donna stargli accanto senza avere paura del suo aspetto e sorridergli ogni qual volta lui le parlava. Poi li vide avvicinarsi a una culla posta accanto all’arcolaio e sorridere alla neonata dentro a essa. Si avvicinò anche lei guardando la neonata che, però, aveva lo sguardo solo per i genitori. Eppure quella neonata le sembrava molto familiare, ma non riusciva a ricordarsi dove e se l’avesse già vista. Vedeva i genitori parlare alla neonata ma, per una strana ragione, non riusciva a capirne le parole. Era come se stesse assistendo a un film muto però a colori. Poi il sogno si interrompeva e si svegliava. Non ne aveva ancora parlato con suo padre perché, molto probabilmente, secondo lei, le avrebbe semplicemente detto che erano sogni e che nulla di tutto ciò era reale. Che magari era solo il frutto della sua immaginazione e nulla di più.
Pensò di sentire la mano del padre accarezzarla sulla guancia, assicurandola che tutto andava bene e sussurrandole di tornare a dormire. Invece, quando voltò lo sguardo, la poltrona sulla quale qualche ora fa era seduto Gold  era ancora vuota. Così come il libro che stava leggendo era ancora al suo posto sul comodino. Non era da Gold non mantenere una promessa. Soprattutto nei confronti della figlia. Preoccupata, si alzò da letto mentre Excalibur, ignara che la padroncina si stesse allontanando nuovamente dalla camera, continuava a dormire acciambellata sul letto e sognando, forse, una succulenta e fumante bistecca.
Prima di uscire dalla stanza si accertò che non vi fosse nessuno nei paraggi e, dopo aver visto il corridoio vuoto, si avventurò per l’ospedale. Cercò di fare meno rumore possibile, soprattutto mentre passava davanti alle stanze degli altri pazienti. Quindi, passando per uno dei reparti, ritornò indietro e vide Mary Margaret Blanchard seduta accanto a un letto di un paziente. Rose si avvicinò a lei dicendole: “Salve, Signorina Blanchard.”
Mary Margaret alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo. Guardò la bambina domandandole: “Ciao, Rose. Che cosa ci fai qua?”
“Sono appena stata operata di appendicite. Strano che Henry non glielo abbia detto” rispose Rose.
“Negli ultimi giorni non ho avuto molto tempo per parlare con lui” disse Mary Margaret.
“Mi faccia indovinare: ha passato tutto il tempo accanto a questo bell’uomo” disse Rose. Poi guardò l’uomo sul lettino aggiungendo: “Però è davvero carino. Sembra il principe azzurro.” Infine riguardò Mary Margaret chiedendole: “ Come si chiama?”
“David Nolan” rispose Mary Margaret.
“Dorme perché è stanco?” domandò Rose riguardando David
“E’ molto stanco. In verità dorme da molti anni e nessuno sa se si risveglierà” rispose Mary Margaret con un po’ di tristezza nella sua voce.
Rose la guardò chiedendole: “In che senso? Tutti si risvegliano dopo aver dormito. Io dormirei tanto piuttosto che andare a scuola, ma il mio papà poi si arrabbia se non mi sveglio.”
“Il suo è un sonno diverso. Molto lungo” disse Mary Margaret mettendo delicatamente una mano su quella destra di David.
“Come se fosse sotto sortilegio?” domandò Rose guardandola.
“Sì, solo che lì serve il bacio del vero amore per svegliare qualcuno e, sfortunatamente, non ci troviamo in una favola” spiegò Mary Margaret per poi sospirare.
Rose sembrò pensarci un po’ su. Poi guardò la donna e le propose: “Perché non continua a leggergli quel libro? Penso che lui senta la sua voce. Quando io mi addormento dopo la favola della buonanotte, sento sempre mio padre che dice qualcosa riguardo a quanto odia Regina e che prima o poi gliela farà pagare. Lui pensa che io non lo senta ma invece, anche se dormo, lo sento benissimo. Quindi penso che David abbia sempre sentito la sua voce.”
“Non credo che possa risvegliarsi semplicemente sentendo la mia voce” disse Mary Margaret.
“Ne è innamorata?” chiese Rose.
“Come mai ora mi fai questa domanda?” domandò Mary Margaret.
“Vedo il modo in cui lo guardava prima. È lo stesso sguardo che ha il mio papà quando parla della mia mamma. Io non l’ho mai conosciuta, ma attraverso i suoi racconti capisco che l’amava molto. E poi, se fossi in lei, non mi farei scappare un uomo così attraente come lui. Non so se mi spiego. Lo so, ho solo nove anni per pensare a queste cose. Ma se davvero prova qualcosa per lui allora, secondo me, dovrebbe tentare qualsiasi cosa.”
Mary Margaret la guardò. Poi aprì il libro, riprendendo a leggere dove aveva interrotto prima dell’arrivo della giovane Gold. Rose l’ascoltava incantata. Non c’erano dubbi che fosse diventata maestra della scuola elementare. Ogni bambino l’adorava e anche lei avrebbe tanto voluto averla come maestra, ma purtroppo si doveva subire quella perfida della Signorina Tremaine. La donna continuò a leggere, finché Rose non sentì dei rumori. Voltò lo sguardo per vedere accelerare i battiti del cuore sull’apposita macchina. Poi abbassò lo sguardo per vedere David muovere prima un dito della mano e poi l’altro. Infine alzò lo sguardo e lo vide aprire lentamente gli occhi.
“Ce l’hai fatta! Lo sapevo che tenevi a lui” disse entusiasta Rose. Poi voltò lo sguardo gridando: “Infermiera!”



Note dell'autrice: Ed eccomi qua con la fine di un altro capitolo. Lo so sono molto indietro. Cenerentola e tutto il resto ma mi devo ancora riprendere dal promo del season finale. Rumple cavaliere su quel cavallo bianco............troppi feelings........ok ora mi riprendo (o forse no)
Cmq David si è finalmente svegliato e stavolta sotto anche gli occhi di Rose che, tenace come la mamma, ha dato pure dei consigli sull'amore a Snow. Passiamo alla parte del flashback: ovviamente ciò avviene prima che Rumple venga imprigionato. Ma non dubitate perchè quel medaglione comparirà ancora. Rose vuole sempe avere le attenzioni dei genitori soprattutto quando Rumple aveva altro per la testa con Belle.

Ok passiamo ai ringraziamenti. Volevo ringraziare tutti coloro che stanno seguedo la fanfict e che la seguono anche in silenzio. Inoltre volevo ringraziare tutti coloro che l'hanno recensita, messa tra le seguite o nei preferiti. Grazie anche a tutti coloro che recensiranno. Inoltre volevo ringraziare la mia preziosa amica Lucia per aver creato la magnifica copertina ( e tutte le altre dei precedenti capitoli)

Al prossimo capitolo e buon finale di stagione miei cari Oncers
 
 

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Capitolo 21
*** Bugia a fin di bene - Parte I ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo XI: Bugia a fin di bene - Prima Parte

Il Dottor Whale, con una penna a luce, stava osservando gli occhi di David. Poi si allontanò dal paziente spegnendo la penna. Infine disse: “Non ci posso credere. Lei sta bene.”
“Mi sento bene” disse David guardandolo.
“L’avevamo già data per morto. È stato in coma per molti anni” disse il Dottor Whale.
“Be', ora sono sveglio, no?” disse David.
“Si ricorda come si chiama?” domandò il Dottor Whale.
“David Nolan” rispose David.
“Quanto si ricorda?” gli chiese.
“Mi ricordo solo di essere svenuto e di aver dormito per molti anni. Altro non so. Nemmeno come possa essermi svegliato” rispose David.
“Be', ringrazi la donna che è qua fuori” disse il Dottor Whale.
“Potrebbe farla entrare, se non le dispiace?” domandò David. Il Dottor Whale, allora, chiamò Mary Margaret che entrò nella stanza insieme a Rose.
“Tu no” disse il Dottor Whale guardando la bambina.
“Ehi, guardi che ho contribuito anche io nel risvegliarlo” disse Rose guardandolo a sua volta.
“Allora i ringraziamenti vanno ad entrambe. Anche se ancora non so come tutto questo possa essere stato possibile” disse David guardando le due.
“Ti basterà sapere che la Signorina Blanchnard ti è stata vicina per molto tempo, raccontandoti delle favole” disse Rose. David guardò Mary Margaret e le chiese: “Davvero mi è stata sempre accanto leggendomi delle favole?”
Mary Margaret arrossì in volto. Strinse a sé il libro di favole e rispose: “Sono solo favole. Niente di più.”
“Ma nelle favole si nasconde sempre qualcosa di speciale” disse Rose. Sia Mary Margaret che David la guardarono. Quindi il Dottor Whale le disse: “Signorina Gold, credo sia venuto il momento che lei ritorni nella sua camera e, per fare in modo che non se ne vada più in giro per l’ospedale, la farò scortare da un’infermiera.”
“Devo proprio?” domandò Rose guardandolo.
“Da suo medico le consiglio di sì. E poi, quando ritornerà suo padre, la vorrà vedere nell’ultimo posto dove l’ha lasciata prima di andarsene” rispose il Dottor Whale.
“Come fa a sapere che mio padre se ne è andato?” chiese Rose.
“Be', non se ne sarebbe andata in giro un’altra volta, se suo padre fosse rimasto. Non crede?” spiegò il Dottor Whale.
“Mi creda, ci sono volte che sgattaiolo via anche quando mio padre mi è vicino” disse Rose.
Il mattino dopo, Rose si svegliò. Si stiracchiò, ma appena voltò lo sguardo, suo padre non c’era. La sera prima le aveva promesso che sarebbe ritornato in poco tempo. Eppure la sedia era ancora vuota. Non era da lui non mantenere le promesse. Preoccupata che fosse successo qualcosa, si alzò da letto e, andando verso la valigia che le aveva portato suo padre la sera prima, l’aprì. Prese alcuni vestiti e, a scapito dei punti e dell’operazione appena subita, si andò a cambiare in bagno. Una volta pronta, uscì dalla propria camera, ma non fece in tempo a mettere un piede fuori dalla porta che si sentì tirare la giacca. Voltò lo sguardo per vedere Excalibur che gliela stava mordendo.
“Excalibur, ritorna a dormire” le disse. Ma la volpe non la mollò. Era evidente che non voleva che se ne andasse. La bambina, allora, si abbassò e, mettendole entrambi le mani  sulle guance, le disse: “Sono preoccupata per papà. Aveva promesso che sarebbe ritornato, invece non c’è. Se rimango qua, non potrò fare molto ed è per questo che ho deciso di cercarlo. Tu però rimani qua. Fa' la brava e l’indifferente, come se non ti avessi detto nulla. Ritornerò il prima possibile e spero con lui.” E, rialzandosi, si voltò incamminandosi nel corridoio mentre Excalibur si sedette e la guardò abbassando poi le orecchie.
Sperando che il Dottor Whale non la beccasse, percorse a passo veloce gran parte del corridoio riuscendo, poi, ad uscire dall’ospedale. Era quasi vicina al raggiungimento del suo scopo quando sentì una forte fitta nella parte destra della pancia. Si fermò aprendosi la giacca e vide proprio la parte destra in basso della maglietta sporca di sangue. Se la sollevò e vide che i punti le si erano riaperti. Agitata e preoccupata nello stesso momento, cercò di ritornare dentro l’ospedale, ma le vennero a mancare le forze e svenne. Prima di chiudere gli occhi, vide qualcuno avvicinarsi a lei.
Poco dopo, Rose riaprì gli occhi e si ritrovò seduta su una panchina nel giardino dell’ospedale. Non capì come aveva fatto ad arrivare lì, visto che poco prima era svenuta. Ma la risposta la ebbe quando qualcuno le domandò: “Stai bene?”
Voltò lo sguardo per ritrovarsi David Nolan. Quindi gli rispose: “Credo di sì.”
“Meno male che il sangue ha smesso di uscire o sarebbe stato peggio. Non avresti dovuto uscire dalla tua camera” disse David.
“Nemmeno lei se è per questo” disse Rose. David guardò avanti a sé, spiegando: “I dottori han detto che un po’ d’aria fresca mi avrebbe fatto bene.”
“Strano, perché a me il Dottor Whale ha detto che, invece, mi avrebbe fatto bene starmene rinchiusa in camera” disse Rose. David la riguardò chiedendole: “Perché sei vestita così e stavi uscendo dall’ospedale?”
“Volevo prendere un po’ d’aria” rispose Rose.
“Sarò pure stato in coma per molti anni, ma so ancora riconoscere quando qualcuno non racconta la verità” disse David.
“Volevo ritrovare il mio papà. Ieri sera mi aveva promesso che sarebbe ritornato, invece stamattina ancora non c’era. E se gli fosse successo qualcosa? Io ho solo lui” disse Rose.
“Sono sicuro che il tuo papà sta bene. Però è normale preoccuparsi. Vorrei poterti aiutare di più, ma finché non verremmo dimessi non possiamo fare molto” disse David. Rose riguardò avanti dicendo: “Tutti reputano il mio papà un mostro, ma non sanno che è molto buono. Si è sempre preso cura di me fin da quando ero molto piccola visto che la mia mamma è morta dandomi alla luce. A volte può essere severo per via di tutte quelle regole che devo rispettare, ma so che lo fa per il mio bene e  per proteggermi.”
“Credo che tu non debba dare molto ascolto a ciò che dicono le altre persone. Ognuno di noi ha una propria opinione personale. Lascia che continuino a pensarla come vogliono” disse David. Rose gli sorrise. Quindi in quel momento si sentì chiamare. Entrambi voltarono lo sguardo per vedere il Dottor Whale e un’infermiera correre verso di loro.
“Signorina Gold, finalmente l’abbiamo trovata. Lo sa benissimo che non deve uscire dalla sua camera” disse il Dottor Whale. Dal tono della sua voce, Rose capì subito che si stava arrabbiando. La bambina si alzò e titubante disse: “Ecco… io… io…” Ma fu David, alzatosi anche lui, a parlare al posto suo: “E’ colpa mia, dottore. Ho chiesto io a questa bambina se poteva venire con me e farmi compagnia qua fuori.” Rose lo guardò a bocca aperta. Si stava veramente prendendo la colpa per lei.
“E’ stato un bel gesto da parte sua, Signor Nolan, ma la Signorina Gold non si deve affaticare troppo, visto anche che suo padre è stato perfettamente chiaro che non le doveva accadere nulla durante la sua assenza. Ma ora, se non le dispiace, la riporterei in camera sua” disse il Dottor Whale.
“Come vuole lei” disse David. Poi guardò Rose aggiungendo: “Ehi, grazie per avermi fatto compagnia.”
“Non doveva mentire per me, visto che non ci conosciamo da molto” gli disse sottovoce Rose.
“Be', prima ci siamo presentati. Quindi non siamo più estranei l’uno con l’altra” disse sorridendo David. Anche Rose gli sorrise per poi seguire il Dottor Whale e l’infermiera.
Mentre rientravano nell’ospedale, il Dottor Whale disse: “Il Signor Nolan è stato molto gentile a prendersi le sue colpe. Creda che non me ne sia accorto che voleva scappare? Quelli che indossa non sono abiti propriamente da ospedale.”
“Non stavo scappando. Sarei uscita solo per qualche ora e sarei subito ritornata” disse Rose.
“E dove sarebbe andata, se posso sapere?” domandò il Dottor Whale. Ma dopo che Rose non rispose, aggiunse: “La sono venuta a cercare, anche perché suo padre è ritornato e sembrava già anche molto agitato e arrabbiato. Non faceva altro che darmi dello stupido e incompetente dottore. Che non sono capace di fare il mio lavoro, così come tutti i miei colleghi.” E appena svoltarono l’angolo, videro Gold. Questi scansò un dottore da una parte e andò a passo veloce verso di loro. Appena arrivò si abbassò e abbracciò forte Rose, dicendo: “Bambina mia, ti ho cercata dappertutto. Ero così preoccupato.” Poi la guardò, mettendole le mani sulla guance e chiedendole: “Stai bene?”
“Sì, papà” disse Rose. Ma il padre incominciò a guardarle dalla testa ai piedi. Poi però vide la maglietta sporca di sangue. Gliela alzò per vedere le bende sporche. Gold guardò malamente il Dottor Whale, replicando: “Spero ci sia una dovuta spiegazione per questo e del perché mia figlia perda sangue nel punto dove l’avete operata!”
“E’ normale che i punti si riaprano se la paziente non sta ferma a riposare” disse il Dottor Whale. Gold si rialzò, aiutando con il bastone e replicò: “Ora la colpa sarebbe di mia figlia! Io credo che invece la colpa sia sua! Doveva tenerla d’occhio. Invece chissà cosa sarà andato a fare!”
“A fare il mio lavoro, ovvero curare e visitare altri pazienti. Signor Gold, non è colpa mia se sua figlia non riesce ad attenersi alle regole che qualcuno le impone. Forse lei non dovrebbe lasciarla così libera” replicò il Dottor Whale.
“Non usi questo tono con me, Dottore! Si ricordi il potere che ho su questa città e di conseguenza anche su di lei, il suo lavoro e i suoi colleghi! Quindi le consiglio di non sfidarmi o potrei diventare molto cattivo, con possibili conseguenze su di lei!” replicò Gold. Ci fu silenzio. Poi Gold riportò la figlia in camera, dove Excalibur li aspettava standosene seduta sul letto.
“Papà, sei arrabbiato?” domandò Rose guardandolo.
“Spiegami perché non dovrei esserlo” rispose Gold.
“Perché non mi è successo nulla?” chiese Rose. Ma dopo aver visto lo sguardo poco rassicurante del padre, aggiunse dicendo: “Scusami, papà. Non volevo farti preoccupare.”
“Cosa ci facevi fuori? Ti avevo detto di rimanertene qua. Invece hai fatto di testa tua e guarda cosa è successo” replicò Gold.
“Ieri sera mi avevi promesso che saresti ritornato. Invece questa mattina non c’eri. Così mi sono vestita con ciò che mi avevi portato e sono uscita per cercarti” spiegò Rose.
“Invece ti sei ritrovata con i punti aperti e il Dottor Whale arrabbiato. Non che non mi dispiaccia vederlo arrabbiato” disse Gold e Rose fece un piccolo sorriso. Gold si avvicinò a lei e, mettendole una mano sotto il mento, alzandoglielo in modo che la figlia lo guardasse negli occhi, aggiunse: “Mi dispiace, piccola, se non ho mantenuto la promessa. Ma è accaduto un piccolo contrattempo.”
“Niente di grave, vero?” domandò Rose.
“Quel cliente di cui ti avevo parlato mi ha trattenuto più del previsto. Non finiva di tormentarmi” rispose Gold. Quando in quel momento, Rose notò qualcosa sulla fronte del padre. Quindi indicandola chiese: “Quella cos’è?”
“Quella cosa?” domandò Gold.
“Quella cosa che hai sulla fronte” rispose Rose. Gold, allora, si spostò di lato una ciocca di capelli, rivelando un piccolo taglietto. Quindi spiegò: “Questo me lo sono procurato andando a sbattere contro una credenza.” E rimise a posto la ciocca di capelli. Rose inarcò un sopracciglio. Gold, vedendo lo sguardo poco convinto della figlia, aggiunse: “A luci spente non ci si vede bene. E poi avevo fretta di venire da te.”
“Però stai bene?” chiese Rose.
“Mi sarei già fatto curare se non stessi bene. Non credi? Ma ora non ci pensare, perché ho un regalo per te” rispose Gold sorridendole. E mentre tirava fuori qualcosa dalla tasca della giacca, mettendolo sul comodino, Rose si sedette sul letto.
“Un regalo?! Chissà cosa sarà” disse entusiasta Rose. Excalibur andò accanto a lei, curiosa quanto la padroncina. Gold scoprì dal velluto blu quella cosa, rivelando….
“Ma è la tazzina sbeccata che ho visto nel negozio” disse Rose. Gold andò di fronte alla figlia, abbassandosi e tenendo delicatamente tra le mani la tazzina sbeccata. Quindi spiegò: “Questa apparteneva a tua madre. È stata il nostro primo simbolo d’amore. È molto preziosa per me. Ma voglio che la abbia tu. Tua madre lo avrebbe voluto.” E la consegnò alla figlia. Rose la prese in mano, mentre le mani del padre si posarono sulle sue. Rose guardò in ogni dettaglio quella tazzina. Poi alzò lo sguardo e guardando il padre gli domandò: “Come ha fatto a sbeccarsi?”
“A tua madre era semplicemente caduta per uno spavento” rispose Gold sorridendo e ripensando a quel lontano ricordo.
“A causa di qualcosa o di qualcuno?” chiese Rose.
“Di qualcuno. Ma te lo racconterò un’altra volta. Ora sdraiati e riposati, o se no quei punti continueranno sempre a riaprirsi” rispose Gold e cercò di far stendere la figlia. Ma Rose, continuando a guardare la tazzina, disse: “E’ strano che tu abbia voluto tenerla. Insomma. È sbeccata. Di solito dici sempre di far spazio a cose nuove.”
“E’ vero, di solito lo dico. Ma in questo caso è diverso” disse Gold.
“Non hai detto la stessa cosa quando non ci hai pensato due volte nel gettarmi via quel mio giocattolo a cui ero tanto affezionata” disse Rose.
“Quel tuo giocattolo al quale eri tanto affezionata era una vecchia pallina di plastica che finiva sempre o sotto il divano o contro qualche prezioso vaso. L’ultima volta, l’ho trovata dietro alla caldaia ed era tutta piena di polvere” spiegò Gold.
“Non ricordavo fosse finita lì dietro” disse Rose.
“Avevi quattro anni quando la trovai dietro la caldaia e la gettai” disse Gold.
“Almeno avresti potuto dirmelo. Non sai quanto l’abbia cercata” disse Rose.
“E quando è che l’avresti cercata?” domandò Gold.
“Non molto tempo fa. Quando mi sono ricordata di avere una pallina in plastica che potevo gettare da tutte le parti” rispose Rose.
“Be', facciamo un accordo” disse Gold. Rose spalancò gli occhi. Quindi stupita chiese: “Davvero vuoi fare un accordo con me?”
“Lo faccio praticamente con tutti. Perché non dovrei farne uno anche con mia figlia?” domandò Gold.
“Credevo che avessimo già stipulato un accordo tempo fa. Se riuscivo a scoprire cosa si celasse dentro a quel cofanetto con sopra il cigno che tieni in negozio, la mia punizione sarebbe sparita del tutto” spiegò Rose.
“Allora ribaltiamo le carte in tavola. Se tu mi prometti che ti prenderai molto cura di questa tazzina sbeccata, ti assicurerai di tenerla sempre al sicuro e, cosa più importante, rischierai di non romperla, allora io ti mostrerò cosa c’è all’interno di quel cofanetto. Cosa ne dici?” spiegò Gold.
“Dico che sicuramente c’è qualche fregatura di mezzo” disse Rose.
“Nessuna fregatura e direi che ci guadagneresti ciò che hai sempre voluto sapere. Allora, accetti?” chiese Gold e mostrò la mano. Rose la guardò per poi stringergliela. In quel momento, sulla soglia della porta comparvero Henry e Paige. I due Gold e Excalibur voltarono lo sguardo verso di loro.
“Henry! Paige!” disse entusiasta Rose. Ma i due bambini rimasero sulla soglia della porta. Il loro sguardo si era posato su Gold. Questi disse: “Non dovete avere paura di me. Non ho mai mangiato un bambino. Ho paura che mi vadano di traverso.”
Rose, vedendo che neppure lo strano senso dell’umorismo del padre riuscì a destarli dal loro posto, propose, guardando Gold: “Papà, non è che potrei passeggiare per l’ospedale insieme a loro?”
“Dipende cosa intendi per passeggiare per l’ospedale” disse Gold guardandola a sua volta.
“Tranquillo, non me ne andrò un’altra volta fuori. Ti ho già fatto venire troppi capelli bianchi” disse sorridendo Rose.
“Va bene, potete uscire, ma non dovete allontanarvi troppo. E per essere sicuro che rimarrai all’interno di questo edificio, Excalibur verrà con voi” spiegò Gold e il sorriso di Rose scomparve.
Poco dopo, Rose, Henry e Paige, con al seguito Excalibur che li sorvegliava, stavano camminando per uno dei corridoi dell’ospedale. “Non capisco perché papà continui mandarci appresso Excalibur. Non è mica la mia guardia del corpo. Ce l’ho già una guardia del corpo e in questo momento si trova… si trova…” disse Rose. Poi guardò Paige e le domandò: “Dove è che si trova Dove?”
“Dopo che mi ha lasciata qua, è andato subito via dicendo che aveva qualche cosa da sbrigare per conto di tuo padre” rispose Paige.
“Comunque ho qualcosa di sorprendente da dirvi” disse Rose.
“Anche noi abbiamo qualcosa di sorprendente da dirti” disse Paige.
“E mentre eri ricoverata qua, e lo sei ancora, siamo andati avanti con l’Operazione Cobra” aggiunse Henry.
“Magnifico. Cosa avete scoperto?” chiese Rose.
“Che c’è una ragazza di nome Ashley, che fa la lavandaia e che nella Foresta Incantata era Cenerentola” iniziò col spiegare Henry.
“Ok. Sguattera della matrigna cattiva e delle sorellastre. Arriva la Fata Madrina. Le dona un bell’abito scintillante e scarpette di cristallo. Zucca trasformata in carrozza. Gran ballo al castello con il principe ma ritorno a casa prima dello scoccare della mezzanotte. Storia già sentita molte volte e in tante versioni. Cosa ci sarebbe di sorprendente?” disse Rose.
“E’ incinta” disse Paige.
“Ok, è già qualcosa di eccezionale, visto che questo nella storia non c’era. Ma non mi sorprende, considerando che poi vive felice e contenta con il suo bel principe” disse Rose.
“Ashley vuole disfarsi del bambino, perché non si sente pronta considerando la giovane età” disse Paige.
“Non sono ancora sorpresa. Molte ragazze madri reagiscono così” disse Rose.
“Emma ha parlato con lei e, molto probabilmente è riuscita a convincerla a tenersi il bambino perché stanotte è entrata nel negozio del Signor Gold per riprendersi qualcosa di suo. Il problema è che il Signor Gold si trovava ancora là e…l’ha fatto svenire, spruzzandogli sugli occhi dello spray” spiegò Henry. A quel punto, Rose si fermò. Anche i suoi amici si fermarono un po’ più avanti di lei e si voltarono per guardarla. Paige le chiese: “Qualcosa non va?”
“Ora sì che sono sorpresa. Ma non per la storia di Cenerentola. Ma per mio padre che mi ha mentito. Mi aveva detto che si era procurato quel taglio andando a sbattere contro una credenza a luci spente” spiegò Rose. Paige e Henry si riavvicinarono a lei e Paige le disse: “Molto probabilmente tuo padre non ha voluto raccontarti la verità per paura che poi giudicassi male quella ragazza”
“Neanche la conosco. Come avrei fatto a giudicarla male?” domandò Rose.
“Sei la figlia del proprietario di tutta la città. Come fai a non conoscerla?” chiese stupito Henry.
“Non conosceresti nemmeno tu un sacco di persone, se avessi un padre che ti tiene rinchiusa in casa o nel negozio, per paura che passi un raffreddore di stagione” rispose Rose.
“Lo sai che vuole proteggerti. Ha solo te” disse Paige e ripresero a camminare.
“E per questo lo ringrazio. Ma anche io ho bisogno dei miei spazi. Come reagirà quando fra qualche anno gli porterò a casa un ragazzo?” disse Rose.
“Molto probabilmente sarà il ragazzo a scappare dalla paura ancor prima di varcare la soglia della vostra villa” disse Henry.
“Mio padre non fa così paura” disse Rose.
“Ma è molto protettivo” disse Henry.
“A proposito quale era quella cosa sorprendente che dovevi dirci?” domandò Paige.
“Ieri sera, mentre perlustravo l’ospedale, mi sono imbattuta in Mary Margaret e stava accanto a un uomo in coma, leggendogli una fiaba. Be', vi sorprenderà sapere che poi l’uomo, solo ascoltando la voce di Mary Margaret, si è svegliato da quel lungo sonno” spiegò Rose.
“Uao, ma è stupendo!” disse Paige.
“Sì, considerando che è proprio la risposta che stavamo cercando” disse Henry e, dopo che i tre si furono seduti su delle sedie in una sala d’aspetto, Henry aprì il suo libro di fiabe, sfogliandolo velocemente. Intanto, Excalibur si sedette di fronte a loro e, dopo essersi guardata prima a destra e poi a sinistra, sbadigliò.
“Eccoli qua” disse Henry fermandosi sulla foto del matrimonio tra Biancaneve e il Principe Azzurro. Rose roteò gli occhi per poi dire: “Henry, l’avremmo vista come minimo centinaia di volte questo disegno. Sappiamo tutti che sono Biancaneve e il Principe Azzurro al loro matrimonio dove poi è entrata in scena la Regina Cattiva, furiosa perché non aveva il suo lieto fine come loro”
“Ma non capite. Finalmente si sono ritrovati anche qua. L’amore vince su tutto. Ed è successo proprio ieri sera sotto gli occhi di Rose” disse Henry e sia lui che Paige guardarono la giovane Gold. Anche Excalibur drizzò le orecchie, guardandola.
“Ehi, un momento. Mi stai dicendo che Mary Margaret e David Nolan sono in realtà Biancaneve e il Principe Azzurro?” chiese Rose.
“Veramente è da un po’ che te lo sto dicendo, solo che non avevo ancora capito chi fosse il Principe Azzurro. Fortunatamente lo hai trovato tu” rispose Henry.
“Allora Emma è figlia loro” disse Rose.
“Esatto. E di conseguenza Henry è il loro nipote” aggiunse Paige.
“Se Emma ricordasse, Mary Margaret e David Nolan si ricongiungerebbero e la maledizione si spezzerebbe” disse Rose.
“Ma loro si sono già ritrovati, perché il vero amore, come ti ho detto, vince su tutto” disse Henry. Rose e Paige lo stavano guardando quando videro Excalibur correre via. Rose fu la prima ad alzarsi richiamando la volpe: “Excalibur! Torna qua! Papà ha detto che devi sorvegliarmi!” Ma la volpe non ascoltò la padroncina e corse dritta per la sua strada, uscendo dall’ospedale.
“Chissà che cosa le sarà preso” disse Paige, dopo essersi alzata anche lei insieme a Henry.
“Le andrei dietro, ma con papà nei paraggi non voglio rischiare. E’ già fin troppo arrabbiato. Non voglio farlo diventare furioso” disse Rose.
Excalibur continuava a correre. Finché non si fermò a metà strada per vedere Ashley andare a passo veloce verso una macchina, mentre si teneva stretta a sé il lungo cappotto, probabilmente per il freddo o, forse, per non far cadere qualcosa che nascondeva al suo interno. La volpe aveva fiutato qualcosa che apparteneva al suo padrone e, secondo lei, era quel qualcosa che quella ragazza stava nascondendo. La vide salire in macchina per poi partire velocemente. Excalibur riprese a correre fino a raggiungere il commissariato. Arrivò davanti alla porta e, mettendosi sulle zampe posteriori, grattò contro di essa con quelle anteriori. Notando che nessuno veniva ad aprirla, percorse una via esterna per poi salire su una vecchia scatola in legno e guardare attraverso la finestra. Vide Emma che stava guardando alcune carte. Con una zampina anteriore grattò contro il vetro. Emma alzò lo sguardo, guardandola sorpresa. La volpe la guardò per poi scendere dalla scatola in legno. Emma uscì quindi dall’ufficio per vedere la volpe che la stava a guardare. Proprio in quel momento, il cellulare della ragazza suonò. Lo prese fuori dalla tasca dei pantaloni, aspettandosi che comparisse il nome dello Sceriffo. Invece comparve quello di Ruby. Accettò la chiamata portandosi l’apparecchio all’orecchio: “Ruby, cosa c’è?”
“Ti ricordi quando prima mi avevi detto di tenere d’occhio Ashley? Be'…è scappata” rispose Ruby.
“Come, è scappata?!” ripeté stupita Emma guardando, di tanto in tanto, la volpe davanti a lei.
“Pochi minuti fa si trovava nel retro. Ma dopo che sono andata a controllare, lei non c’era già più. Ho fatto in tempo a vederla salire su una macchina e partire velocemente. Sembrava che nascondesse qualcosa, visto come si teneva stretta il suo cappotto” spiegò Ruby. Emma guardò Excalibur e, dopo aver messo una mano sul cellulare, in modo che Ruby non ascoltasse, disse: “Tu non sei capitata qua per caso, vero? Vuoi aiutarmi nel ritrovare Ashley e riprendere ciò che ha rubato dal tuo padrone.” E la volpe emise dei versetti. Emma si rimise il cellulare all’orecchio, aggiungendo: “Grazie dell’informazione. Cercherò di raggiungerla il prima possibile, visto anche le condizioni in cui è.” E terminò la chiamata. Si rimise il cellulare nella tasca dei pantaloni e guardando la volpe disse: “Allora, sembrerebbe proprio che dobbiamo collaborare. Non so se sei in combutta con il tuo padrone o stai agendo da sola. Ma io voglio semplicemente trovare quella ragazza prima che le cose si complichino. Quindi mi devi promettere di comportarti bene e di non prendere iniziative.” Excalibur spostò lo sguardo da un lato. Emma andò verso la macchina aprendo la portiera dalla parte del guidatore. Velocemente Excalibur salì nel veicolo, andandosi a sedere sul sedile del passeggero. Successivamente anche Emma salì, chiudendo poi la portiera. Guardò per un attimo la volpe per poi partire.




Note dell'autrice: Salve miei Oncers in questo pomeriggio uggioso e nella seconda settimana senza OUAT (luglio arriva presto). Vi dirò, in questo episodio la bugia di Rumple è stata solo per non far preoccupare troppo la figlia ma sappiamo benissimo che Rose, più si preoccupa, e più si va a cacciare nei guai insieme ai suoi due inseparabili amici (più Excalibur mandata da Rumple per tenerla d'occhio). Ci stiamo avvicinando a Skin Deep (il mio episodio preferito) ma vi dirò: aggiungerò qualcosa di mio. Un personaggio nuovo che secondo me starebbe molto bene nella serie di OUAT (vediamo se ci sarà nella quinta stagione). Un personaggio che, a differenza degli altri abitanti di Storybrooke, ha mantenuto la magia (come nn si sa). Un personaggio che stranamente coglie alla sprovvista Rumple. Vedremo chi è

Passiamo ai ringraziamenti: ringrazio tutti coloro che seguono la storia. Che la recensiscono e che la seguono anche solo in silenzio. Inoltre volevo ringraziare la mia cara Lucia per aver creato un'altra bellissima immagine di copertina (adoro Rumple cavaliere). Qua il profilo di Lucia dove ha scritto anche una bellissima One shot su Rumple a New York: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=114161

Con questo concludo, aspettandovi con la seconda parte di questo capitolo. Buona giornata, miei dearies
 
 

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Capitolo 22
*** Bugia a fin di bene - Parte II ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo XI: Bugia a fin di bene - Seconda Parte

 
Durante il tragitto, Excalibur annusava tutto ciò che c’era intorno a lei. Dapprima Emma cercò di ignorarla. Ma poi, vedendo che continuava, replicò: “Se non la smetti, giuro che ti rinchiuderò da qualche parte e ti farò uscire solo quando farai la brava.” Excalibur la guardò, ringhiandole contro. Poi abbassò lo sguardo quando vide un pulsante. Ci mise su una zampina, pigiandolo e abbassando il finestrino. Drizzò le orecchie per questa cosa. Nella macchina del suo padrone ciò non avveniva. Ripigiò il pulsante e il finestrino ritornò su. Rimise la zampina sul pulsante e il finestrino ritornò giù. Le bastò pochissimo per capire come funzionasse quello strano aggeggio, perché ci lasciò su la zampina, facendo andare in continuazione su e giù il finestrino. Emma avrebbe anche potuto sorvolare sui dispetti che quella volpe le stava facendo, se non fosse per il fastidioso rumore che faceva il finestrino nell’andare su e giù. Quel rumore era simile al ronzare di un insetto.
“Smettila, odiosa volpe! Lo so che non ti sto simpatica! Ma se continui, ti sbatto fuori da questa macchina!” replicò Emma ed Excalibur tolse la zampina da sopra il pulsante. Poi, accorgendosi che il finestrino era arrivato a metà, rimise la zampina sul pulsante e, schiacciandolo, lo fece ritornare su. Guardò Emma tenendo le orecchie abbassate. La ragazza sospirò per poi dirle: “Lo so che ti piacciono le cose nuove, ma ciò non sottintende che me le debba rovinare. Non so se il tuo padrone ti abbia insegnato le buone maniere ma, se ci ha provato, non ci è riuscito. Ti sto chiedendo di fare la brava finché non avremo trovato Ashley e l’avremo portata in ospedale. Poi potrai comportarti come ti pare.” Excalibur drizzò le orecchie e scodinzolò.
Arrivarono ai margini della foresta e fu lì che videro una macchina fuori strada. Excalibur emise dei versetti per poi premere il pulsante del finestrino con una zampina e uscire da esso, prima che Emma potesse fermarla.
“Ehi, non così di fretta! Rischi di farti male” disse Emma. Fermò la macchina proprio sul ciglio della strada. Scese raggiungendo Excalibur, che voltò lo sguardo verso di lei emettendo dei versetti. Entrambe riguardarono avanti, per vedere Ashley seduta che si teneva le mani sulla pancia. Guardò le due appena arrivate dicendo: “Mi si sono rotte le acque” ed Excalibur drizzò le orecchie.
“Ok, niente panico. Andrà tutto bene. Ora ti portiamo subito all’ospedale” disse Emma e, abbassandosi, aiutò Ashley a rialzarsi. Mentre la conduceva verso la macchina, Excalibur fiutò a terra, cercando qualcosa. Quando trovò ciò che cercava, lo prese con la bocca e salì sul retro della macchina, dove Emma fece distendere Ashley. Poi, velocemente, Emma salì dalla parte del guidatore e partì verso l’ospedale.
“Non ce la farò! Non ce la farò!” continuava a ripetere Ashley in preda al dolore mentre Excalibur, accanto a lei, la guardava spostando lateralmente lo sguardo.
“Certo che ce la farai. Smettila di dire così e rilassati” disse Emma, guardandola di tanto in tanto, dallo specchietto retrovisore. Excalibur andò lentamente sulla pancia di Ashley, quando proprio quest’ultima urlò dal dolore per un’improvvisa contrazione. Per lo spavento, la volpe cadde dal sedile.
Intanto, in ospedale, a Rose era stato dato il permesso di ritornare a casa.
“Ancora non ci credo che finalmente lascerò questo posto” disse Rose già vestita, mentre Gold metteva via alcuni vestiti nella valigia.
“Ma non credere che, appena ritorneremo a casa, potrai fare quello che vorrai” disse Gold.
“Ma papà…” iniziò col dire Rose.
Ma Gold la bloccò dicendole: “Niente “ma papà”. D’ora in poi ti atterrai a tutte le regole che ho imposto e non verrai mai più persa di vista.”
“Non è giusto. Solo perché sono stata operata all’appendicite” disse Rose.
“E sei andata in un posto proibito e, poco fa, sei anche scappata. Non si tratta solo dell’operazione. Ma anche di tutte le cose che hai fatto mentre ti trovavi qua. Considerati in punizione!” replicò Gold e chiuse la valigia.
“La mia vita è tutta una punizione. Andrà a finire che quando andrò al college sarò in punizione anche lì” disse Rose.
“Per quell’età, spero che avrai più buon senso nel rispettare le regole. E ora fuori” disse Gold. Rose lo guardò per poi uscire dalla camera, seguita dal padre. Camminarono lungo il corridoio, quando davanti a loro comparvero Emma che sorreggeva una Ashley che urlava, seguite da Excalibur.
“Excalibur, devi finirla di andartene in giro. Ogni volta che segui qualcuno che non sia io o papà, questo qualcuno finisce col stare male” disse Rose e Excalibur spostò di lato lo sguardo. In quel momento, entrarono di corsa anche Henry e Paige.
“Henry. Paige. Che cosa ci fate qua?” domandò Rose guardandoli.
“Ehm… ci ha portato Dove” rispose titubante Paige.
“Sì… la vostra guardia del corpo” aggiunse Henry.
“Devo chiamarlo o mi devo fidare delle vostre parole?” chiese Gold, già pronto a tirare fuori il cellulare. I due bambini lo guardarono scuotendo negativamente la testa. Gold fece un piccolo sorriso, dicendo: “Lo sospettavo. Allora, per cosa andavate così di fretta?”
“Per… ehm… mia madre” disse Henry.
“Se ti riferisci a quella isterica, quella non sappiamo dove si trovi” disse Rose.
“Molto probabilmente con un certo Sceriffo” disse Gold. I tre bambini lo guardarono. Poi si riguardarono e Rose aggiunse: “Per quanto riguarda quella naturale, è appena passata con un’altra ragazza che non conosco.”
“Si trattava di Ashley e sta per avere il bambino” disse Henry e Rose lo guardò rimanendo senza parole.
Passarono i minuti e i bambini si erano seduti su delle sedie nella sala d’attesa. Per qualche strana ragione, Excalibur era nuovamente ritornata fuori.
“Ma, normalmente, quanto ci impiega un bambino a venire al mondo?” domandò Rose.
“Hai fretta di ritornare a casa?” chiese Gold. Rose lo guardò, rispondendogli: “E iniziare subito la mia eterna punizione? Preferisco aspettare che nasca il bambino.” In quel momento, arrivarono Emma con una dottoressa. Quest’ultima, sorridente, disse: “ E’ una femmina e pesa due chili e sette. Anche la madre sta bene.” E se ne andò.
“Ma che bella notizia. Ottimo lavoro, signorina Swan. Grazie, mi ha portato la merce e, a quanto pare, non solo quella” disse Gold e guardarono in direzione dell’entrata, per vedere Excalibur andare verso di loro, tenendo in bocca un pezzo di carta. Arrivò di fronte al padrone, il quale si abbassò, prendendo in mano il pezzo di carta. Gold guardò Emma sorridendo maliziosamente.
“Un bambino. Sarebbe questa la sua merce? Perché non me lo ha detto?” domandò Emma, mentre Rose, Henry e Paige guardavano i due adulti.
“In quel momento non le serviva saperlo” rispose Gold.
“Davvero?! O temeva che non accettassi il lavoro?” replicò Emma.
“Al contrario. Credevo sarebbe stato più efficace se l’avesse scoperto da sola. Dopo aver visto la vita che conduce Ashley, avrà capito la situazione. Non è così? Ho pensato che se c’è qualcuno che sa come si abbandona un bambino, non può essere che lei” spiegò Gold.
“Non avrà la figlia di Ashley” disse Emma.
“A dire il vero, c’è un accordo firmato e i miei accordi vengono sempre onorati” disse Gold e mostrò il pezzo di carta che gli aveva portato Excalibur.
“Lo sapevo che la sua volpe voleva collaborare con me solamente per riportarle quel pezzo di carta. Molto astuto da parte sua” disse Emma.
“E’ una volpe. Si aspettava forse del contrario?” disse Gold. Ci fu un attimo di silenzio. Poi continuò: “Se il mio accordo non verrà rispettato, dovrò coinvolgere la polizia e quel bambino finirebbe in affidamento. Sarebbe un peccato. Lei non si è divertita in affidamento, vero, Emma?”
“Bell’esempio che vuole dare a sua figlia. Prendere il bambino di qualcun altro e a quale scopo? Far soffrire così la madre? Non glielo permetterò” replicò Emma.
“Mi dispiace per lei, ma la mia adorata bambina sa che lo faccio solamente per il bene della madre. Ashley non è ancora pronta per compiere questo passo. E’ ancora giovane per accudire una figlia” disse Gold.
“Davvero lei crede che sua figlia capirà? Allora perché non glielo chiede?” chiese Emma e guardarono i bambini. Si avvicinarono a loro e Gold domandò alla figlia: “Rose, è vero che sei d’accordo con me?”
Rose guardò prima Emma. Poi suo padre. Infine rispose: “No, papà. Per me non è giusto che tu porti via il figlio a Ashley. E’ vero, non la conosco bene, ma come avresti reagito se qualcuno, quando ero piccola, avesse voluto portarti via da me?”
Gold lo sapeva benissimo. Purtroppo, per più volte in passato, qualcuno aveva sempre cercato di portagli via la sua adorata figlia. Sia in questo che nell’altro mondo. Guardò Emma quando questi gli disse: “Come vede, Gold, sua figlia non è affatto d’accordo con lei. E io non lo permetterò.”
“Lei è sicura di sé. Mi piace. Ma a me basta sporgere una denuncia. È entrata di notte nel mio negozio per rubare” disse Gold.
“Ha preso un contratto, ci giurerei. Magari lo stesso che gli ha anche appena riportato la sua astuta volpe” disse Emma.
“Chissà cosa cercava di preciso” disse Gold, facendo finta di nulla.
“Sa, nessuna giuria del mondo metterebbe in carcere una donna che ha commesso un furto con scasso solo per non perdere suo figlio. Sono pronta a scommettere che il contratto è illegale. E lei? Per non parlare di che cosa verrebbe fuori su di lei nel processo. Ho il forte sospetto che lei abbia più di un semplice banco dei pegni. È convinto di voler andare avanti? C’è anche il rischio che le portino via sua figlia per affidarla a qualcun altro di più affidabile” spiegò Emma.
Gold guardò Rose che lo guardava a sua volta con sguardo molto preoccupato. Poi riguardò Emma dicendo: “Non le nascondo che l’ammiro. Lei non ha paura di me. È spavalda o presuntuosa. Ma in entrambi i casi, la vorrei al mio fianco.”
“Le lascerà il bambino?” chiese Emma.
“Non così in fretta. Io e la Signorina Boyle abbiamo ancora un accordo in sospeso” rispose Gold.
“Lo stracci. Guardi sua figlia e ripensi alle parole che le ha detto prima” disse Emma.
“Non metta in ballo mia figlia! Non riuscirà a metterla contro di me! E non è mia abitudine stracciare un accordo. Anche prima ne ho fatto uno con Rose. Vede, i contratti… gli accordi… sono le fondamenta di ogni società civilizzata. Le farò una proposta. Se vuole che Ashley tenga il suo bambino, lei dovrà stipulare un accordo con me” spiegò Gold.
“Che cosa vuole?” domandò Emma.
“Ancora non lo so. Diciamo che mi deve un favore” rispose Gold.
“Glielo ho già fatto un favore. Quella volta che le ho riportato Rose a casa” disse Emma.
“Quello non è stato un favore. Mia figlia scappa di continuo per andare a cacciarsi nei guai. Colpa mia che la lascio sempre troppa libera” disse Gold. Henry e Paige guardarono Rose la quale, facendo finta di nulla, guardò da un’altra parte. Tra Emma e Gold ci fu silenzio. Si sentiva solo Excalibur che si stava grattando dietro un orecchio per poi riporre l’attenzione sui due. Poi Emma disse: “Ci sto.” Gold sorrise. I due si guardarono con sguardo di sfida e la ragazza se ne andò verso i bambini.
“Rose. Paige. Andiamo” disse Gold e le due bambine andarono verso di lui, insieme a Excalibur. Lo raggiunsero per poi uscire dall’ospedale, dirigendosi verso la Cadillac. Mentre Gold apriva il baule per metterci la valigia della figlia, Paige ed Excalibur salirono sul retro e Rose dalla parte del passeggero. Successivamente e dopo aver chiuso il baule, salì Gold. Diede il bastone a Paige e poi avviò la macchina.
Il viaggio fu piuttosto silenzioso. Rose guardava costantemente fuori dal finestrino, mentre Paige ed Excalibur guardavano in silenzio i due davanti a loro. Fu Gold che, guardando di sfuggita la figlia, decise di rompere quel silenzio, chiedendole: “Avanti, cosa c’è?”
“Non c’è nulla” rispose Rose.
“Qualcosa c’è, perché non è da te stare muta. Lo sai che puoi dirmi ogni cosa” disse Gold.
“Non si può dire lo stesso di te” disse Rose.
“Rose, lo sai che capisco quando qualcuno…” iniziò col dire Gold. Ma Rose, guardandolo, replicò: “…ti mente! Lo so, non c’è bisogno che continui a ripeterlo! Va bene, vuoi la verità?!”
“Piccola, non c’è bisogno di arrabbiarsi” disse Gold.
“No! Sono arrabbiata perché tu non mi hai detto che volevi prendere il bambino di quella ragazza! Sono arrabbiata perché tu vuoi disfarti di me!” replicò Rose. Gold la guardò per un attimo, non sapendo cosa dire. Poi riguardò avanti rimanendo in silenzio. Rose riprese a guardare fuori dal finestrino, mentre Paige e Excalibur si guardarono preoccupate.
La situazione, una volta arrivati a casa, non era di certo diversa. Gold e Rose continuavano a litigare, mentre Paige e Excalibur li osservavano standosene sulle scale.
“Devi farti andare via queste strane idee. Io non ho mai pensato di disfarmi di te” replicò Gold.
“Allora perché volevi il bambino di quella ragazza?!” domandò Rose.
“Io e la signorina Boyle avevamo un contratto in sospeso da molto tempo che prevedeva suo figlio. Ma ti giuro che non voglio disfarmi di te. Tu sei troppo importante per me” rispose Gold e allungò una mano verso Rose. Ma quest'ultima indietreggiò per poi dire: “Lo dici solamente perché non vuoi che i cittadini ti reputino un cattivo padre e parlino male alle tue spalle.”
“Credimi, parlano già male alle mie spalle. Piccola, finiamola con questa storia. È ridicola” disse Gold.
“Un bambino non è merce di scambio!” replicò Rose. Quella frase. Così uguale a quella che anni prima aveva detto anche la donna che amava. E ora, anche la loro figlia, ribadiva le stesse opinioni.
“Quando diventerai grande capirai” disse Gold.
“Cosa ci sarebbe da capire? Nulla di diverso rispetto a ora” replicò Rose.
“La storia è ben più lunga e complicata di quello che sai e hai visto” disse Gold.
“Cosa ci sarebbe di complicato?” chiese Rose. Gold guardò da una parte rispondendo: “Niente.”
“Perché non vuoi dirmelo? Cosa mi stai nascondendo?” domandò Rose.
“Smettila, Rose!” gridò Gold. Altro silenzio invase la casa. Rose lo guardò malamente per poi andare verso le scale. Gold la seguì, dicendo: “Rose, aspetta. Che ne dici se usciamo e ti prendo quel gelato che desideravi tanto?”
La figlia si fermò e, voltandosi, replicò: “Credi di convincermi a far pace con te proponendomi un gelato?! Lo sai, potrai anche avere tanti soldi ma c’è ben altro che ti potrebbe rendere felice!” E, passando accanto a Paige ed Excalibur, salì sulle scale dove, poco dopo, si sentì sbattere una porta.
Gold abbassò lo sguardo. Non voleva litigare con la sua bambina ma, ultimamente, da quando era arrivata Emma, lo facevano spesso. Sembrava che quella donna avesse risvegliato il lato oscuro di lui. Ma ciò non sottintendeva che dovesse litigare con la figlia. Voleva essere un buon padre per lei ma, continuandole a mentire, di certo non avrebbe rimesso a posto le cose. Rialzò lo sguardo quando Paige propose: “Forse potremmo parlarci noi con lei.”
“Sì. Almeno a voi dà più ascolto che a me” disse Gold e se ne andò in salotto. Paige ed Excalibur salirono le scale. Arrivarono di fronte alla camera e Paige bussò. Si sentì un debole “avanti” e la bambina aprì la porta, seguita dalla volpe. Videro Rose seduta sul letto, che dava loro di schiena.
“Va tutto bene?” chiese Paige.
“Vi ha mandate mio padre?” domandò Rose.
“Ha detto che a noi darai più ascolto che a lui” rispose Paige. Vedendo che però l’amica continuava a dar loro di schiena, le chiese: “Allora, cosa c’è che non va?”
Rose si alzò da letto, dicendo: “Cosa mi sta nascondendo mio padre? Perché mi ha mentito? Voleva veramente disfarsi di me?” E, voltandosi, Paige e Excalibur videro che teneva in mano una tazzina sbeccata. Rose vide i loro sguardi posarsi sull’oggetto. Quindi spiegò loro: “Questa era la tazzina sbeccata della mia mamma. Me l’ha data papà, dicendomi di custodirla molto bene. Se ci riuscirò, mi mostrerà cosa ci sarà all’interno di un cofanetto che tiene in negozio.”
“Sai, non credo che tuo padre voglia disfarsi di te. Dopotutto, sei la sua unica figlia” disse Paige.
“E’ proprio perché sono la sua unica figlia che magari gli è ritornata la voglia di avere ancora per casa un neonato. Se no, come me lo spieghi che volesse il bambino di Ashley?” disse Rose.
“Dovresti smetterla di preoccuparti di nulla e, soprattutto, di essere gelosa” disse Paige.
“Non sono gelosa. Figurati se sono gelosa di una marmocchia nata da poche ore. E poi Ashley se la terrà. Quindi non devo preoccuparmi di essere sostituita” disse Rose. Paige inarcò un sopracciglio proprio sull’ultima parte della frase.
Rose alzò gli occhi al cielo per poi dire: “E va bene, lo confesso. Sono gelosa… ma solo un pochino. E allora, che male c’è? Tutti sono gelosi di qualcosa.”
“Dovresti parlarne con tuo padre. Risolvereste questa faccenda” propose Paige.
“Secondo lui non c’è nulla da risolvere” disse Rose e mise delicatamente la tazzina sbeccata sul comodino. Poi camminò verso la finestra aggiungendo: “Forse… la causa sono solo io.”
“La causa di cosa?” chiese Paige.
Rose si voltò verso di loro, rispondendo: “La causa del dolore di mio padre. Sono io. Mia madre è morta per causa mia e papà non si dà mai pace per ciò. Forse sarebbe stato meglio che non fossi mai venuta al mondo.”
“No! Non dire così! Sono sicura che tuo padre non la pensa alla tua maniera! Parlaci! Chiaritevi! Ma non dire assolutamente queste cose. Tuo padre ti vuole molto bene. Ti ha cresciuta fin da quando eri una neonata. Non ti ha mai fatto mancare nulla” spiegò Paige.
“I soldi non comprano la felicità o l’affetto. Io ho sempre visto del buono in lui, quando gli altri no. Forse, se me ne andassi, starebbe anche meglio” disse Rose.
Excalibur, con le orecchie abbassate, si avvicinò a lei per poi strusciarsi contro una gamba. La bambina si abbassò e, mentre l’accarezzava sulla testa, disse: “Lo so che, invece, se me ne andassi potrei farlo diventare solo più triste. Ma prova un po’ a pensarci: dopotutto ultimamente stiamo sempre litigando anche per cose futili. E come mai voleva, a tutti i costi, la bambina di Ashley? Mi ha detto che aveva un accordo in sospeso con quella ragazza. Deve essere sicuramente successo qualcosa in quel momento e ti ricordo che nessuno rompe gli accordi con mio padre.”
“Quindi, da ciò che mi stai dicendo, in passato Ashley deve aver cercato di rompere l’accordo con tuo padre? E ora, tuo padre vuole ciò che gli sarebbe aspettato anni fa?” domandò Paige ed Excalibur spostò di lato la testa.
“Ma certo. Ora tutto inizia ad avere un senso… be'…più o meno. Ashley è entrata nel negozio di mio padre per riprendersi quel contratto. Contratto che poi Excalibur gli ha riportato… un momento...” iniziò a spiegare Rose. Poi, guardando la volpe, continuò: “Come facevi a sapere che quel pezzo di carta era un contratto? E guarda caso lo stesso contratto che Ashley stava cercando?”
La volpe indietreggiò, tenendo sempre le orecchie abbassate.
“E se Excalibur conoscesse tuo padre da molto più tempo di te?” chiese Paige, mentre le due avanzavano verso la volpe.
“Già. Dopotutto Excalibur fa sempre tutto quello che le dice papà” rispose Rose.
“E il Signor Gold si fida molto di lei” aggiunse Paige.
“Excalibur, se sai qualcosa, devi farcela vedere. Che cosa nasconde papà?!” replicò Rose. Ma, di tutta risposta, la volpe si voltò e incominciò a correre. Le due bambine le corse dietro. Scesero velocemente le scale fino ad arrivare nello scantinato. Ma quando Rose si buttò, prendendo Excalibur e riuscendo a bloccarla, caddero a terra, sbattendo contro una porta. Paige si inginocchiò subito al loro fianco.
“Rose, stai bene?” le domandò.
“Credo di sì” rispose Rose. Poi guardò Excalibur aggiungendo: “Excalibur, ma cosa ti è preso?!” Paige guardò davanti a sé, rimanendo a bocca aperta. Fece cenno all’amica di guardare avanti. Rose voltò lo sguardo rimase a bocca aperta a sua volta. Davanti a loro c'erano un sacco di strani oggetti e… un arcolaio.




Note dell'autrice: Buona sera miei Oncers ed eccoci finalmente arrivati alla seconda parte di questo capitolo. Ho voluto copiare di pari passo il dialogo tra Gold e Emma all'ospedale, includendoci anche Rose. E' grazie proprio alla figlia (e nn del tutto a Emma) che Gold non prenderà più la bambina di Ashley. E Excalibur sa molte cose. Infatti, grazie a lei, le due bambine scoprono qualcosa nello scantinato di Villa Gold. E Rose si farà molte domande.

E ora passiamo ai ringraziamenti. Come sempre ringrazio tutti/e coloro che seguono la storia; la recensiscono e la leggono anche solo in silenzio. Inoltre ringrazio anche la mia fedele beta reader Lucia, che ricordo insieme a lei, abbiamo creato il nuovo account "The Price of Magic" (qua il link:
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=835531 ).  E questo il link alla prima One shot: ( http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3148267&i=1 ).

Una bella serata a tutti e al prossimo aggiornamento
 
 
 
 
 

 
 

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Capitolo 23
*** Timida Riappacificazione - Parte I ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo XII: Timida Riappacificazione - Prima Parte


 
Rose e Paige guardavano a bocca aperta ciò che c’era davanti a loro e, mentre la giovane Gold si alzava in piedi, Paige domandò: “Lo sapevi che tuo padre teneva un arcolaio nel vostro scantinato?”
 “Se lo avessi saputo, sarei venuta qua molto prima a curiosare” rispose Rose e fece qualche passo verso di esso.
 “E guarda qua quanti altri strani oggetti. Sembrano ampolle e ingredienti per qualche pozione magica” disse Paige.
 “Oh andiamo, Paige. Non crederai veramente che mio padre sappia preparare delle pozioni magiche? Lui gestisce solamente un Banco dei Pegni” disse Rose. Stava per toccare l’arcolaio quando una voce la fermò, dicendo: “E tenere una figlia lontano dai guai.”
 Entrambe voltarono lo sguardo per vedere Gold sulla soglia della porta.
 “Come facevi a sapere che eravamo qua?” chiese Rose.
 “Non siete molto aggraziate e silenziose quando scendete le scale. Ma ora vi pregherei di uscire da qua” rispose Gold e si spostò dalla porta. Paige fu la prima a uscire, seguita da Excalibur. Rose passò accanto al padre. Ma si fermò e gli domandò: “Da quanto teniamo un arcolaio nello scantinato?”
 “Da molto tempo” rispose Gold spingendola letteralmente fuori da quella stanza.
 “Precisamente da quanto?” chiese Rose, mentre Gold chiudeva la porta dietro di loro.
 “Da molto, molto tempo. Ma ora basta con le domande” rispose Gold e i quattro si fermarono nel corridoio d’ingresso.
 “E la paglia dov’è?” domandò Rose.
 “Per caso hai visto della paglia in quella stanza?” chiese Gold, tenendo entrambe le mani sul pomello dorato del bastone e, dopo che la figlia ebbe scosso negativamente la testa, proseguì: “Allora direi di non parlare più di quell’arcolaio. È solo un vecchio oggetto che ho portato qua, non trovando posto dove metterlo in negozio. Ma quello che mi domando è che cosa ci facevate nello scantinato. Come avete potuto constatare anche voi, non ci sono giocattoli per bambini.”
 “E’ stata colpa di Excalibur” iniziò col spiegare Rose.
 “Abbiamo intuìto che ci nascondesse qualcosa. Ma lei è corsa fuori dalla camera da letto di Rose” continuò Paige.
 “Così l’abbiamo inseguita per poi finire qua” finì Rose.
 “E così la colpa sarebbe di Excalibur?” disse Gold abbassando lo sguardo per guardare la volpe. Le due bambine annuirono. Poi Gold le riguardò, domandando: “ Invece di dare sempre la colpa a lei, non è meglio che dite subito la verità?”
 “E’ la verità” rispose semplicemente Rose. Ci fu silenzio. Le due bambine pensarono subito che Gold si arrabbiasse. Invece…
 “Non va già meglio così? Raccontare la verità? E poi sono contento che almeno stiamo avendo un dialogo da più di cinque minuti e senza litigare” disse Gold.
 “Oh… be'… magnifico allora. Me ne ritornerei in camera mia se non c’è altro” disse Rose.
 “Che ne dici, invece, se usciamo a prendere un gelato? E’ un pasto completo” propose Gold.
 “Ma tu non dici sempre che un pasto completo equivalente al solo gelato non è salutare?” chiese Rose.
 “E’ vero. Ma non questa volta. E poi per troppo tempo hai dovuto rinunciare a quel gelato. Così passiamo anche una serata fuori, no?” rispose Gold mettendole una mano sulla testa.
“Be'… cambiare un po’ la solita routine non sarebbe male” disse Rose. Excalibur drizzò le orecchie e scodinzolò allegramente. Gold la guardò dicendole: “Tu no. Tu rimarrai qua e farai la brava. Inoltre terrai d’occhio la casa.” Ed Excalibur abbassò tristemente le orecchie e smise di scodinzolare.
 Poco dopo, i tre si trovarono a passeggiare per il centro. Ognuno con un gelato in mano.
 “Perché non hai voluto portare anche Excalibur?” domandò Rose.
 “Perché le volpi non mangiano il gelato” rispose Gold.
 “Però le avrebbe fatto bene una bella passeggiata. Almeno sarebbe dimagrita un po’” disse Rose.
 “La vostra volpe non è grassa” disse Paige.
 “Te ne accorgerai quando anche tu avrai una volpe che mangia in continuazione bistecche per colpa di qualcuno” disse Rose. In quel momento, un po’ più in là di loro, videro correre due bambini.
 “E quei due chi erano?” chiese Rose.
 “Avete fatto in tempo a vedere chi fossero?” domandò Paige. Rose guardò il padre chiedendogli: “Papà, tu sai chi potessero essere?”
 “Scusami, tesoro, ma ero intento a mangiare il gelato” rispose Gold. Rose alzò gli occhi al cielo. Poi Paige disse: “Be', non credo avessero importanza no? Ora se ne sono andati chissà dove.”
 “Se ci fosse stata Excalibur, li avrebbe inseguiti” disse Rose.
 “Non starai pensando veramente di inseguirli, vero?” domandò Paige.
 “Be' …ecco…” disse titubante Rose.
 “Rose! Togliti immediatamente quell’idea dalla testa! Non li inseguirai! Te lo proibisco!” replicò Gold. Rose si fermò, così come gli altri due e, guardandolo, replicò: “Tu non puoi impedirmi di fare una cosa! Sono grande abbastanza da decidere anche da sola!”
 “Hai dieci anni. Non sei grande abbastanza da decidere da sola! E poi sono tuo padre. Quindi farai ciò che ti dirò!” replicò Gold.
 “Sai cosa ti dico?! Che sono stanca delle tue regole! Sono stanca che mi tieni segregata tra quelle quattro mura! E… sono stanca di te!” replicò Rose. Ci fu silenzio. Paige rimase a bocca aperta. Forse quello era il momento più giusto per far accadere qualcosa. Infatti, dì lì stavano passeggiando Graham ed Emma. I due si fermarono per guardare dall’altra parte della strada Gold, Rose e Paige.
 “Te lo avevo detto che mi era sembrato di sentire la voce di Rose. Chissà cosa starà succedendo” disse Graham.
 “Sicuramente qualcosa che non ci riguarda. E ora andiamo, prima che Gold ci maledica per essere passati di qua e aver ficcato il naso nei suoi affari” disse Emma e, trascinando con sé Graham, proseguirono.
 Gold e Paige guardarono senza parole Rose, che a sua volta guardava furente il padre. Gold ruppe in tanti pezzi il cono, sporcandosi la mano di gelato. Paige tirò fuori un fazzoletto dalla tasca della giacca e, mentre lo porgeva lentamente a Gold, disse: “Ecco, tenga Signor Gold. Prenda pure il mio fazzoletto.” Senza guardarla, Gold prese il fazzoletto. Si pulì la mano e riconsegnò l’oggetto a Paige.
 “Ritorniamocene a casa” disse semplicemente Gold e così fecero. I due Gold non si parlarono per tutto il resto della serata. Entrambi si rinchiusero nelle rispettive camere mentre Paige, insieme a Excalibur, se ne stava in una delle camere degli ospiti, seduta sul letto a riflettere sulla situazione. Rose non aveva mai detto quelle cose a suo padre. Era una figlia dolce, ma ora anche con un carattere ribelle e… oscuro. Rose oscura? C’era qualcosa che non andava e Paige, insieme a Henry, avrebbe fatto di tutto pur di rimettere le cose a posto tra padre e figlia.
 I giorni passavano, ma Gold e Rose si ignoravano costantemente a vicenda. Paige cercava di convincere l’amica a parlare con il padre, ma era tutto inutile. I due continuavano a ignorarsi come se non si conoscessero.
 Un giorno, da ritorno da scuola, Henry, Rose e Paige si fermarono alla Dark Star Pharmacy curiosando tra i vari oggetti. Henry e Rose presero ciascuno un fumetto, leggendolo. Paige si avvicinò a Henry e, dandogli dei leggeri colpi contro il braccio, disse: “Dai, su. Chiediglielo.” Henry la guardò non capendo cosa volesse. Quindi Paige ripeté: “Chiediglielo. Chiediglielo.” Henry riguardò Rose e, schiarendosi la voce, le chiese: “Come sta il Signor Gold?”
 “Come sempre” rispose Rose, continuando a leggere il fumetto.
 “Cioè come?” domandò Henry.
 “Come sempre” rispose ancora Rose, girando pagina al fumetto.
 “Quindi sarebbe freddo, distaccato ma solo dolce con te?” chiese Henry. Rose abbassò il fumetto e domandò: “Perché ti interessa tanto sapere come sta il mio papà?! Sta come tutti i giorni, ovvero come lo hai appena descritto tu… tranne per l’ultima cosa.” Accorgendosi poi di aver alzato la voce, sospirò e continuò: “Scusatemi, amici. È che ultimamente io e papà litighiamo per qualsiasi cosa.”
 “Anche se negli ultimi giorni non vi siete proprio parlati” la corresse Paige. Poi guardò Henry e gli spiegò: “L’altro giorno, Rose è scesa più tardi a fare colazione. Appena ha visto che in cucina c’eravamo già io e il Signor Gold, però, ha preso la sua scodella con dentro latte e cereali e se ne è andata a mangiarli da un’altra parte.”
 “Avevo voglia di guardare la televisione” disse Rose.
 “E proprio ieri, il Signor Gold stava leggendo un libro seduto sul divano in salotto. Rose è entrata. Il signor Gold l’ha vista. Ha chiuso il libro e se lo è portato con sé in un’altra stanza. I due non si sono scambiati occhiate e nemmeno una parola” spiegò Paige. Henry guardò Rose che disse: “E allora? Si vede che voleva leggerlo in un ambiente più tranquillo.”
 “Tuo padre non è arrabbiato. Solo….be' …non so come sia in questo momento ma, secondo me, fareste meglio a chiarire questa situazione” disse Paige.
 “Mi dici perché uno che non è arrabbiato dovrebbe frantumare in mille pezzi il cono gelato?” chiese Rose.
 “Probabile che abbia perso leggermente la calma in quel momento... si è sentito dire dire dalla propria figlia che è stanca di lui, manderebbe chiunque su tutte le furie” spiegò Paige.
 “E come mai gli avresti detto che sei stanca di lui? Non mi sembra che ti abbia mai fatto mancare nulla” domandò Henry.
 “Non lo so perché mi sia venuta fuori una frase del genere. Ma ero arrabbiata e stanca di sottostare a tutte quelle regole. Dà più libertà a Excalibur” disse Rose e, dopo aver chiuso il fumetto, lo rimise al suo posto così come fece anche Henry.
 “Ehi, ehi, una volta letti vanno comprati” disse il  Signor Clark, proprietario del negozio, avvicinandosi a loro.
 “Eddai, Tom, siamo i tuoi migliori clienti. Dovresti trattarci meglio” disse Rose, guardandolo.
 “Tutti i clienti sono uguali e tu e Henry non fate eccezione, seppur temo i vostri genitori. Li avete letti e li comprate. Intanto non dovreste avere problemi di soldi” disse il Signor Clark.
 “Intanto il giornalino di Henry non era un granché” disse Rose.
 “Ehi, gli X-Men sono molto forti. E poi era Wolverine contro Hulk” disse Henry guardandola.
 “Preferisco di gran lunga Iron Man” disse Rose guardandolo. Poi entrambi riguardarono il Signor Clark e Rose aggiunse: “E poi lo sai benissimo che i nostri genitori odiano che leggiamo questa roba. Secondo mio padre un uomo che indossa un’armatura è un uomo che non ha coraggio e si nasconde dentro a essa.” Il Signor Clark sembrò sul punto di ribattere. Poi però se ne ritornò dietro al bancone senza dire nulla.
 “Be', poteva andarci peggio. Non pensavo la prendesse così bene. Mio padre e tua madre sono una garanzia. Basta nominarli e gli altri ci lasciano stare. Un solo passo falso e possono finire o in una cripta o presi a bastonate” spiegò Rose guardando Henry.
 In quel momento, ai tre si affiancarono due bambini. “Ehi ciao, problemi con il Signor Clark?” chiese la bambina.
 “No, le solite cose. Non badarci, ma lui è così. Inoltre meglio starci alla larga. Ha sempre il raffreddore” rispose Rose e il Signor Clark starnutì.
 “Ovvio che starnutisce. Lui è uno dei sette nani. Per la precisione è Eolo” disse Henry. I quattro lo guardarono. Poi si riguardarono tra loro e la bambina disse: “Mi chiamo Ava e questo è mio fratello Nicholas.” E indicò il bambino accanto a lei.
 “Io sono Rose e loro sono Paige e Henry” disse Rose presentandosi e presentando i suoi amici. Poi aggiunse: “Siete quei bambini che abbiamo visto l’altra sera correre via. Dove andavate così di fretta?”
 “Da nessuna parte. E poi chi ti dice che eravamo proprio noi?” rispose Ava.
 “Magari ci hai scambiato per qualcun altro. Mai trarre delle conclusioni affrettate” aggiunse Nicholas e se ne andò in giro per il negozio.
 “Scusa, non volevo” disse Rose seguendolo con lo sguardo. Riguardò Ava quando quest'ultima le disse: “Non farci caso. Mio fratello se la prende sempre per poco.”
 “Non importa. Conosco un’altra persona che se la prende per poco” disse Rose.
 “Che cosa stavate leggendo prima?” domandò Ava.
“Il fumetto di Hulk contro Wolverine” rispose Henry.
 “Ti consiglio quello che stavo leggendo io. Iron Man contro il Mandarino. Molto meglio di tre artigli” disse Rose e Henry le lanciò un’occhiataccia.
 “Ora mi ricordo di voi tre. Ci siamo visti a scuola. Tu e lei siete in classe con la maestra Blanchnard, vero?” chiese Ava guardando Henry e Paige, i quali annuirono. Poi guardò Rose e aggiunse: “Invece tu sei nella classe della Signorina Tremaine. Deve essere noioso.”
 “Sagge parole. Ma non farti sentire da mio padre o rischi grosso. Secondo lui la scuola non deve essere noiosa ma istruttiva” disse Rose. Nicholas ritornò accanto alla sorella dicendo: “Non ho trovato nulla di interessante. Andiamo?” E, dopo aver salutato i tre, si diresse verso la porta.
 “Volete venire con noi?” domandò Ava. Henry guardò le amiche. Poi riguardò Ava rispondendole: “Oh sì, certo. Ma non so se anche Paige e Rose vogliano.”
 “Se Rose non ha da fare io verrei. Intanto io e lei viviamo sotto lo stesso tetto” disse Paige.
 “Verrei anche io se solo non dovessi andare nel negozio di mio padre. Mi aveva detto, anzi ordinato, che dopo scuola sarei dovuta andare subito da lui” spiegò Rose e seguirono Nicholas.
 “Allora tu e tuo padre non vi ignorate proprio del tutto” disse Henry.
 “Mi parla solamente quando mi deve ricordare le regole da rispettare” disse Rose. Stavano per aprire la porta quando il Signor Clark si mise davanti a loro, richiudendola e tenendo una mano sopra di essa. Poi li guardò chiedendo loro: “Ma dove pensate di andare voi cinque?” E starnutì, facendo indietreggiare un po’ i bambini.
 “Dovresti farti curare quel raffreddore. Perché non ti prendi una bella vacanza in un paese caldo?” disse Rose. Il Signor Clark prese fuori un fazzoletto e, dopo essersi soffiato il naso, la guardò, replicando: “Fa' meno la spiritosa e apri la tua borsa.” Guardò Henry aggiungendo: “E anche tu.”
 “Cosa?!” disse stupito Henry.
 “Guarda che vi ho visti mentre rubavate. Aprite le borse” disse il Signor Clark.
 "Rubare?! Noi?! Ma sei diventato matto?! Noi non ruberemmo mai” replicò stupita Rose.
 “E’ vero. Loro non hanno fatto nulla” disse Paige.
 “Lo so che li stai solo coprendo. Sei solo in combutta con loro perché vivi con la prediletta e sei protetta da suo padre” replicò il Signor Clark guardandola.
 “Prediletta?!” disse stupita Rose guardandolo stranamente. Vedendo che i bambini non aprivano i loro zaini, il Signor Clark glieli prese entrambi. Si abbassò e, dopo averli messi sul pavimento, li aprì, tirando fuori da essi caramelle e cioccolata. Si rialzò in piedi e, tenendo fra le mani i dolci, guardò Henry e Rose, dicendo loro: “E dite anche tante bugie.”
 I tre bambini guardarono Ava e Nicholas e Henry, rivolto alla bambina, disse: “Per questo sei venuta a parlarci. Così tuo fratello riempieva i nostri zaini.” Rose li guardò malamente. Ma tutti riguardarono il Signor Clark quando questi parlò: “Henry. Rose. Mi avete deluso. Voi siete sempre stati dei bravi bambini ben istruiti. Non mi sarei mai aspettato una cosa del genere da voi due.” Poi guardò Ava e Nicholas e continuò: “ E voi due chi credete di essere?” I due bambini si guardarono tra loro ma non risposero. Il Signor Clark riguardò Henry e Rose e finì: “Mi dispiace, ma mi costringete a chiamare i vostri genitori.” E entrambi deglutirono per la paura.
 Poco dopo, la merce “incriminata” e gli zainetti erano stati messi sul bancone.
 “E’ una cosa ridicola. Io e Henry non abbiamo rubato nulla” disse Rose.
 “Dico solo ciò che ho visto e voi due avete rubato. Quando arriveranno i vostri genitori, chiariremo le cose” disse il Signor Clark.
 “Almeno parlerai con tuo padre” disse Henry. Rose lo guardò dicendogli: “Non sei affatto d’aiuto e in mezzo ci sei anche tu.” In quel momento si aprì la porta ed entrò Regina. La donna guardò i bambini replicando: “Spero che ci sia una dovuta spiegazione del perché sia stata chiamata e mi sono dovuta assentare dall’ufficio. Avevo qualcosa di importante da fare.”
 “Mi dispiace, Signor Sindaco, ma…” iniziò col dire il Signor Clark ma non fece in tempo a finire la frase che entrò anche Gold. Questi, proprio come Regina pochi secondi prima, guardò i bambini. Ma il suo sguardo si fermò sulla figlia, chiedendole: “Rose, che cosa è successo?” La bambina rimase senza parole. Suo padre, dopo giorni, le stava finalmente rivolgendo la parola. Al suo posto, però, parlò il Signor Clark: “Signor Sindaco. Signor Gold. Mi dispiace molto avervi disturbati dai vostri urgenti impegni ma ho pensato che questa faccenda sia molto più urgente.”
 “Basta con i suoi giochi parole e ci spieghi!” replicò Regina. Il Signor Clark fece un lungo respiro. Poi disse: “I vostri figli stavano rubando nel negozio.” Regina e Gold guardarono rispettivamente Henry e Rose e Regina domandò: “E’ vero?” E i due bambini scossero negativamente la testa.
 “Be', guardate voi stessi” disse il Signor Clark e guardò gli oggetti rubati sul bancone. Sia Regina che Gold si avvicinarono a esso, guardando le caramelle e la cioccolata. Poi Regina disse: “A mio figlio i dolci non piacciono. Forse saranno tutti della Signorina Gold.” E guardò Gold, il quale disse: “Le sorprenderà sentire che anche a Rose i dolci non piacciono. Le fanno venire un forte mal di pancia. Quindi non darei del tutto la colpa a mia figlia.”
 “Quindi stai dando la colpa anche al mio Henry, non è così?” chiese Regina.
 “Intuisce velocemente le cose” rispose sorridendo Gold. Poi guardò i due bambini e disse: “E poi a mia figlia rubare non serve di certo. Lei ha tutto quello che le vuole.”
 “Anche Henry ha tutto quello che vuole” disse Regina e, dopo aver preso lo zainetto del figlio e averlo chiuso, guardò Ava e Nicholas aggiungendo: “E’ ovvio che sono stati questi due.” I due bambini non dissero nulla. Riguardò Henry dicendogli: “Ce ne andiamo.” E, mettendo un braccio intorno a Henry, si diresse verso la porta. Ma si fermò quando Gold domandò: “Ha le prove?” Regina voltò lo sguardo chiedendogli: “E anche tu? Non puoi incolpare ingiustamente mio figlio.”
 “Come lei sta incolpando la mia. Non si è mai chiesta perché suo figlio non le dica mai un “ti voglio bene”? Tutti i figli dovrebbero dire queste cose ai propri genitori” disse Gold, camminando verso di lei.
 “E tu non ti sei mai chiesto perché tua figlia scappa in continuazione? Non dovrebbe ubbidirti e fare la brava bambina? Forse non siamo poi così diversi come genitori, non trovi?” disse Regina sorridendo maliziosamente. I due si guardarono in silenzio. Poi Regina, insieme a Henry, ritornò verso la porta. Proprio in quel momento entrò Emma che, vedendo Regina e Gold nello stesso posto, domandò: “Henry. Rose. Che cosa sta succedendo?”
 “Signorina Swan, le ricordo che la genetica non ha importanza. Lei non è sua madre e qui ho sistemato tutto io” rispose Regina. Si sentì come un rumore di disapprovazione e le due donne guardarono Gold. Poi si riguardarono ed Emma spiegò: “Sono qui in veste di aiuto sceriffo, visto che Graham aveva da fare.”
 “Oh, ma certo. Lui è sempre così impegnato. Faccia il suo lavoro e si occupi di quei ladruncoli” disse Regina e, insieme a Henry, uscì dal negozio.
 “Rose. Paige. Ce ne andiamo anche noi” disse Gold e, mentre prendeva lo zainetto di Rose, chiudendolo, la figlia si avvicinò a Emma, dicendole: “Signorina Swan, all’inizio non mi stava molto simpatica. Lo ammetto. Ma la prego, non sia troppo dura con questi due. Forse non era nemmeno loro intenzione far prendere la colpa a me e a Henry. Tutti vogliono mettersi in mostra una volta ogni tanto.”
 “Noi non volevamo metterci in mostra” replicò Ava.
 “Allora perché avete messo quei dolci nello zaino di mia figlia?” chiese Gold affiancandosi a Rose.
 “Perché continua a darci la colpa? Magari è stata sua figlia a fare tutto da sola” rispose Ava. Gold guardò minacciosamente Rose che disse: “Ehi! Non è vero! Papà, non le crederai veramente!” Ma Gold continuava a guardarla in malo modo. Poi guardò il Signor Clark e domandò: “Ha già telefonato ai loro genitori?”
 “Il numero che mi hanno dato i ragazzi suona a vuoto” rispose il Signor Clark guardandolo.
 “E’ logico che avete dato al Signor Clark un numero falso” disse Gold guardandoli minacciosamente. Ma i due bambini impauriti scossero negativamente la testa.
 “Signor Gold, lasci fare a me. Li ha già impauriti abbastanza” disse Emma. Gold la guardò dicendole: “Va bene. Sono un suo problema. Al momento ho altro a cui pensare.” E guardò malamente Rose per poi dirle: “Andiamo. Tutte e due.” E aprì la porta, facendo uscire la figlia e Paige. Diede un’ultima occhiata a Ava e Nicholas e poi uscì anche lui, lasciando Emma con quei bambini. Gold le portò entrambe al negozio dove, acciambellata in una cesta dietro al bancone, dormiva Excalibur. Rose e Paige erano sedute a una tavola nel retro a fare i compiti mentre Gold se ne stava dietro al bancone a sistemare alcuni oggetti. Di tanto in tanto, Paige guardava Rose cercando di capire come si sentisse. La vide con uno sguardo molto arrabbiato mentre scarabocchiava un foglio del quaderno. Alzò lo sguardo guardando l’amica e chiedendole: “Qualcosa non va?”
 “Sto cercando di capire se sei arrabbiata oppure no. Credo però di non avere un superpotere come la tua amica Emma” rispose Paige.
 “Emma non è amica mia! E poi, se mio padre non ha ancora detto una parola, vuol dire che è molto arrabbiato” disse Rose.
 “Forse non aveva nulla da dirti” disse Paige.
 “Paige, è passata più di un’ora da quando siamo qua. È arrabbiato, credimi. Lo conosco meglio di te. Sta solo progettando una punizione che mi terrà occupata per molto tempo” spiegò Rose mentre guardava la porta che conduceva nel davanti del negozio, dalla quale poteva scorgere alcuni oggetti e metà bancone.
 “Sta solo facendo il suo lavoro” disse Paige, riprendendo a scrivere sul quaderno.
 “A quale ti riferisci? A quello di padre in cerca della giusta punizione oppure a quello di proprietario del Negozio dei Pegni, troppo preso a fare accordi con gli abitanti di Storybrooke, che dedica poco tempo a sua figlia?” domandò Rose guardandola.
 “Sai, forse dovresti pensare a fare i compiti. Le equazioni di matematica non si risolveranno da sole” rispose Paige continuando a scrivere.
 “Intanto cosa mi serviranno le equazioni? Quando sarò grande so già che lavorerò qua con papà. L’insegna fuori cambierà con “Il Banco dei Pegni del Signor Gold e figlia”. Passerò il mio futuro tra un sacco di roba piena di polvere e tu e Henry, di tanto in tanto, verrete ad aiutarmi perché tenete molto alla vostra migliore amica” spiegò Rose. Paige annuì in modo assente, continuando a svolgere i compiti. Poi però Rose continuò: “Secondo te quei due bambini chi possono essere? Lo so, sembro Henry, ma è anche vero che dobbiamo andare avanti con l’Operazione Cobra.”
 “Sono fratello e sorella” disse ironicamente Paige guardandola.
 “Molto spiritosa, ma fin lì c’ero arrivata anche io. Avanti, chi potrebbero essere?” disse Rose.
 “Non ne ho idea. Li conosciamo solo di vista. E poi perché così tanta importanza per loro? Hanno fatto prendere la colpa a te e a Henry per nulla” disse Paige.
 “Lo so e ciò mi fa arrabbiare. Ma ho il vago sospetto che stiano nascondendo qualcosa. E so che c’è una persona che potrebbe sapere molte cose” disse Rose ed entrambe guardarono verso la porta.
 “Pensi veramente che tuo padre sappia qualcosa di più su quei due bambini? Non so se hai notato, ma non è che li guardasse con simpatia” disse Paige.
 “Lui è il proprietario di tutta la città. Dovrebbe conoscere qualunque cittadino in ogni particolare” disse Rose.
 “Sì, ma al momento è arrabbiato con te e non parlerebbe tanto volentieri di quei due bambini” disse Paige.
 “Si potrebbe sempre tentare” disse Rose, dopodiché si sentì tintinnare la campanella della porta d’entrata. Videro Excalibur svegliarsi e andare accanto al suo padrone. Rose e Paige si alzarono e, rimanendo accanto al muro e spostando leggermente le tende, guardarono chi era entrato. Si trattava di Emma.
 “Questo si chiama colpo di fortuna. Sicuramente la Signorina Swan sarà venuta per cercare informazioni riguardo a quei due. Informazioni che serviranno anche a noi” disse Rose.
 “Secondo me è una pessima idea. Sì, una pessima idea” disse Paige.
 “Sshhhhh” le disse Rose guardandola e mettendosi un dito sulla bocca. Poi entrambe riguardarono avanti. Spostarono nuovamente le tende e videro Emma dalla parte opposta del bancone. Poi Gold disse: “Emma, ma che piacere vederla. È un onore che mi faccia visita con tutti gli impegni che ha. Che cosa posso fare per lei?”
 “Sto cercando informazioni su questa vecchia bussola” rispose Emma e mise la bussola sul bancone. Rose e Paige sgranarono gli occhi incuriosite. Poi Emma aggiunse: “Può aiutarmi a capire da dove viene?” Gold prese in mano la bussola e, mentre la guardava, spiegò: “Ok, diamo un’occhiata. Osservi i dettagli. Vede, questo è cristallo.” E indicò una parte della bussola. Poi continuò: “Qui c’è un intarsio delizioso. Nonostante versi in uno stato pessimo, direi che si tratta di un pezzo molto raro. È ovvio che il proprietario aveva un ottimo gusto.” E depositò delicatamente la bussola sul bancone.
 “Secondo lei dove può averla comprata?” chiese Emma.
 “Qui da me. È ovvio” rispose Gold. Emma lo guardò stupito. Poi domandò, non del tutto convinta: “Davvero?”
 “Certo. Questo è un pezzo indimenticabile” rispose Gold.
 “Per caso ricorda chi lo ha comprato? È importante” chiese Emma. Gold si spostò un po’ più in là e Rose e Paige, per paura di essere scoperte, si nascosero ancora di più, con la schiena contro il muro. Excalibur seguì con lo sguardo il padrone per poi sbadigliare. Stava dormendo così pacifica prima dell’arrivo di Emma. Chissà se avrebbe di nuovo sognato quella gustosa e fumante bistecca. Poi vide dei movimenti nel retro del negozio e, mentre Gold passava davanti alle tende per poi fermarsi davanti a un cofanetto pieno di fogli, gli andò dietro, però fermandosi ed entrando dalle tende. Rose e Paige abbassarono lo sguardo, vedendosi la volpe seduta di fronte a loro. Quindi Rose sottovoce le disse: “Excalibur, va' via. Va' via.” Ma la volpe spostò lateralmente lo sguardo e scodinzolò.
 “Sono bravo con i nomi, Signorina Swan, ma non così tanto. A ogni modo e, per sua fortuna, io tengo sempre registri molto dettagliati” spiegò Gold e, mentre cercava il foglio giusto, Emma gli andò di fronte. Con la coda dell’occhio, vide le tende muoversi. Poi riguardò Gold quando questi, dopo aver preso un foglio, disse: “Eccolo qui” ma non lo consegnò subito a Emma. La ragazza capì e quindi gli domandò: “Qual è il prezzo oggi?”
 "Mia figlia” rispose Gold. Emma lo guardò stranamente e Rose e Paige, nel retro, si guardarono in modo stupito.
 “Sua… figlia?! In che senso?” chiese Emma non capendo.
 “Mia figlia sembra nutrire una piccola dose di simpatia nei suoi confronti. Ma la mia dolce e piccola Rose ultimamente si caccia sempre in un sacco di guai” spiegò Gold.
 “E io cosa dovrei centrare se sua figlia è così piena di energie?” domandò Emma.
 “In quanto vice Sceriffo, vorrei che la tenesse d’occhio. Mia figlia è molto amica con Graham, ma sappiamo tutti che è sempre occupato con i suoi impegni personali. Quindi vorrei che fosse lei a prendere momentaneamente il suo posto per badare alla mia bambina” continuò Gold.
 “Credevo fosse lei a prendersi cura di Rose” disse Emma.
 “Bado a lei come padre. Ma non so cosa possa combinare quando non è sotto la mia supervisione. Per più volte è scappata dalla mia vista e, negli ultimi giorni, il nostro dialogo non è così aperto come speravo” finì Gold e sospirò.
 “Va bene. Vedrò di tenerla d’occhio il più possibile. Ma l’avverto: mi è già scappata un paio di volte” disse Emma.
 “Mi sta bene anche così. Allora, la bussola fu acquistata da un certo Michael Tillman” disse Gold.
 “C’è altro?” chiese Emma.
 “E’ solo un nome. Ma spesso un nome basta e avanza” rispose Gold. Emma si voltò incamminandosi verso la porta. Poi Gold disse: “Buona fortuna con le ricerche.” La ragazza si fermò. Lo guardò ma poi uscì dal negozio. Gold sorrise mentre rimetteva via il foglio completamente bianco.
 “Ok, è la mia occasione. Seguirò Emma e cercherò di trovare più informazioni possibili riguardo a quei due” disse Rose allontanandosi dal muro insieme a Paige. Poi si fermò. Si voltò verso di lei e aggiunse: “E tu e Excalibur distrarrete mio padre.”
 “Cosa?!” disse stupita Paige e Excalibur drizzò le orecchie.
 “Uscirò per un’oretta. Non se ne accorgerà neanche” disse Rose.
 “Ti voglio ricordare che tuo padre è ancora arrabbiato con te e ti ha limitato le uscite solamente tra casa e scuola. E poi un’oretta? E che cosa gli dovrei dire?” domandò Paige.
 “Ehm... digli… che sono andata in bagno” rispose Rose. Vide l’amica inarcare un sopracciglio ed Excalibur scuotere negativamente la testa. Quindi aggiunse: “Inventati qualsiasi cosa. Ma non digli del bagno.” E, voltandosi, stava per uscire dalla porta del retro quando Gold comparì. Vedendo la figlia che si stava dirigendo verso la porta, le chiese: “Dove stai andando?” Rose si voltò. Titubante provò a rispondere: “Ecco… ehm… io… io… stavo andando…”
 “In bagno. Sua figlia stava andando in bagno” disse Paige. Questa volta fu Gold a inarcare un sopracciglio. Poi mise entrambi le mani sul pomello del bastone e disse: “Va bene, ma non ci impiegare troppo.” Rose sospirò. Mentire ancora a suo padre di certo non avrebbe rimesso a posto le cose tra loro due. Quindi spiegò: “ Non è vero che stavo andando in bagno. Volevo uscire e seguire la Signorina Swan.”
 “E perché mai la volevi seguire?” domandò Gold.
 “Volevo scoprire di più su quei due bambini. Sai, per l’Operazione Cobra” rispose Rose.
 “Rose, lo sai benissimo che hai il permesso di uscire solamente per andare a scuola o ritornare a casa o qua in negozio. Al contrario, la Signorina Grace può uscire. Anche perché vorrei scambiare da solo due parole con te” disse Gold.
 “Perfetto. Allora dammi due minuti con lei” disse Rose e prese da una parte l’amica, dando di schiena al padre.
 “Rose, che cosa hai in mente?” chiese Paige.
 “Segui Emma. E magari cerca anche Henry. Insieme fate ciò che non posso fare io in questo momento. Ho la vaga sensazione che io e papà parleremo per più di cinque minuti. Andrà per le lunghe” spiegò Rose. Paige sospirò per poi dire: “Va bene. Ma tu promettimi che finalmente risolverai la faccenda tra te e tuo padre.”
 “Lo sai che non ti assicuro nulla. Ma ci posso sempre provare. Tu va'” disse Rose e si rivoltarono verso Gold, il quale domandò: “Non ti dispiace se con te verrà anche Excalibur? Vorrei che facesse un po’ di movimento. Passa sempre il suo tempo a dormire nella sua cesta”
 “Oh no, nessun problema” rispose Paige guardandolo. Poi guardò l’amica e aggiunse: “Allora ci vediamo più tardi.” E, voltandosi, Gold la condusse, insieme a Excalibur, nel davanti del negozio dove, pochi secondi dopo, si sentì la campanella tintinnare due volte, segno che Paige e la volpe erano uscite e che Gold, successivamente, aveva chiuso la porta, mettendo il cartello in “Torno fra dieci minuti”.




Note dell'autrice: Ed eccomi finalmente qua con un nuovo capitolo. Tranquilli non sono sparita nel nulla. Ma ho dovuto mettere a posto un pò le idee e poi lavoro tutti i giorni. Allora come avrete capito in questo capitolo il magnifico trio incontra Ava e Nicholas (che ricordo che sn nomi molto familiari a Rob. Ava è il nome della sua primogenita. Nicholash è il nome del personaggio (il Dr. Rush) che interpretava nella serie Stargate Universe) e, mentre cercano di capire chi fossero nella Foresta Incantata, contenporaneamente Rose e Gold non riescono, stavolta, a fare pace. Che sia tutto dovuto dall'arrivo di Emma? E' vero, avevo scritto che finalmente sarei arrivata a Skin Deep, ma bisogna ancora aspettare un pò. anche perchè voglio ancora metterci un paio (se ci riesco) di episodi transitori. Anche perchè Skin Deep voglio farlo bene e non incasinato come questo episodio, che ci ho messo ben due episodi (nella seconda parte capirete quale è l'altro)

Ok passiamo ai ringraziamenti. Ringrazio tutti coloro che, intanto, riusciranno ad arrivare fin qua in fondo. Tutti coloro che recensiscono, recensiranno o metteranno o hanno messo la storia tra le seguite e preferite. Inoltre voltevo ringraziare tantissimo la mia amica Lucia che mi aiuta col correggere i capitoli

Allora al prossimo aggiornamento miei cari Oncers

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Capitolo 24
*** Timida Riappacificazione - Parte II ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo XII: Timida Riappacificazione - Seconda Parte
 

Rose lo stava aspettando nel retro, quando Gold ricomparve. Si sedette alla sedia prima occupata da Paige e guardò la figlia. Ci fu silenzio. Padre e figlia si guardarono. Ma poi Gold parlò: “Rose, lo so che negli ultimi giorni non abbiamo fatto altro che ignorarci. Ma prima o poi dobbiamo arrivare a un compromesso.”
“Esatto. Prima o poi” disse Rose e incrociò le braccia.
“Rose, lo sapevi che non potevi uscire. Eppure mi stavi disubbidendo un’altra volta. Ma quando è che capirai che ho impartito quelle regole per tenerti lontana dai guai e proteggerti? Devi capire che sei l’unica cosa che mi è rimasta di tua madre. Non voglio perderti, piccola mia” spiegò Gold.
“Smettila di dire così. Lo so che mi vuoi bene. Lo so che mi vuoi proteggere. Ma papà, non ho più cinque anni. Ho bisogno anche di un po’ di libertà. Di incominciare a vivere la mia vita anche se non posso uscire da questa città. Devi smetterla di starmi sempre addosso. Tu mi stai rovinando la vita!” replicò Rose e gli diede di schiena. Ci fu silenzio. Gold era rimasto senza parole. Mai prima d’ora sua figlia gli aveva detto quelle cose. Sentiva gli abitanti dire che lo odiavano. Ma non avrebbe mai pensato che anche sua figlia ora la pensasse come loro.
“Scusami se ti ho rovinato la vita. Non avrei mai voluto” disse Gold e si alzò. Rose si rivoltò e lo vide ritornare nel davanti del negozio. Lo seguì per vederlo uscire senza proferire altra parola. Rose ci rimase un po’ male. Non voleva dirgli quelle cose. Ma ciò che aveva detto era vero. Se avesse potuto, Gold le sarebbe stato accanto ventiquattr’ore su ventiquattro. Come una sua seconda ombra. Abbassò lo sguardo e si andò a sedere dietro al bancone, aspettando che suo padre ritornasse. Ma Gold se ne era andato a parlare con qualcuno e, poco dopo, si trovava davanti a quella porta d’appartamento dove accanto c'era quella targhetta dorata sopra alla quale era riportato il nome del proprietario. Con il bastone bussò un paio di volte. Bastarono pochi secondi e il proprietario andò ad aprire. Rimase stupito nel vedersi di fronte Gold.
“Signor Gold, che bella sorpresa. Non l’aspettavo. L’affitto è a fine mese” disse il proprietario.
“Non si tratta dell’affitto. Ero semplicemente passato perché volevo parlare con lei, dottore” disse Gold. Il proprietario, che si trattava del Dottor Hopper, si fece da parte, in modo così che Gold entrasse per poi chiudere la porta dietro di loro. Il cane Pongo alzò la testa dalla sua cesta, guardando il nuovo arrivato.
“Prego. Si sieda pure dove vuole” disse il Dottor Hopper e Gold si andò a sedere sul divano. Il dottore gli si fermò accanto chiedendogli: “Vuole qualcosa da bere? Tè? Caffè?”
“No, grazie” rispose Gold e abbassò lo sguardo. Il Dottor Hopper prese penna e taccuino e si sedette sulla poltrona opposta a Gold. I due erano separati da un tavolino trasparente con sopra degli intarsi in legno. Gold sapeva che il Dottor Hopper e Marco, il falegname della città, erano molto amici.
“Allora, Signor Gold, mi parli pure del suo problema. In questa stanza ci siamo solo io e lei. Nessun altro ci ascolterà” disse il Dottor Hopper. Gold alzò lo sguardo e incominciò col spiegare: “Da un po’ di giorni, io e mia figlia non facciamo altro che litigare. In verità è una cosa che è iniziata da settimane, specialmente da quando in città è arrivata la Signorina Swan”. Si passò una mano tra i capelli, sospirando. Poi continuò: “Non voglio litigare con la mia bambina. Ma lei continua a disubbidirmi e a scappare. Gli altri abitanti pensano e dicono che non sono un bravo padre. In passato, hanno già cercato di portarmela via. Non voglio che ciò accada di nuovo.” E si portò le mani sulle faccia.
“Le faccio una domanda: lei ha mai tenuto conto delle opinioni degli altri?” domandò il Dottor Hopper. Gold si tolse le mani dalla faccia e gli rispose: “No, mai.”
“Ma lo sta facendo ora. Cosa le ha fatto cambiare idea? Se davvero non le importa nulla delle opinioni altrui, allora nemmeno ora dovrebbe essere differente. Non ascolti ciò che dicono gli altri su di lei. Ascolti solo ciò che dice il suo cuore da padre. Cosa farebbe per sua figlia? Ignori ciò che dicono gli altri. Ma non ignori sua figlia. Voi due avete bisogno l’uno dell’altra. Avete creato un rapporto che è aumentato sempre di più con il passare degli anni. Non lo rovini solo per delle dicerie di città” spiegò il Dottor Hopper.
“Cosa mi consiglia di fare?” chiese Gold.
“Di starle accanto. Di ascoltarla. Gli adulti difficilmente tendono ad ascoltare i bambini. Ma lei non sia quel tipo di adulto. Dimostri a sua figlia che può fidarsi di lei. Incominciate a fare molte più attività insieme” rispose il Dottor Hopper.
“Nel mio stato non posso fare molto” disse Gold.
“Tanti  altri padri sono come lei. Se andrete al parco e Rose vorrà correre, lei potrà sempre tenerla d’occhio standosene seduto su una panchina” spiegò il Dottor Hopper.
“E’ proprio questo il problema. Secondo Rose, le sto troppo appiccicato. Dovrei lasciarle i suoi spazi. Forse mi preoccupo troppo anche di cose inutili” disse Gold.
“E lei le dia i suoi spazi. Le faccia vedere che è un padre che la comprende” spiegò il Dottor Hopper.
“Quindi… dovrei assecondarla?” domandò Gold.
“Diciamo di sì. Ma le faccia capire che le dà libertà ma, allo stesso tempo, la segue come padre, senza ascoltare ciò che dicono gli altri. Si ricordi che Rose ha solo lei e, come le ho detto anche prima, avete instaurato un bel rapporto padre-figlia. Non lo rovini” spiegò il Dottor Hopper. Ci fu silenzio. Poi Gold si alzò, così come anche il Dottor Hopper. Camminarono verso la porta. Poi Gold si fermò. Lo guardò e gli disse: “La ringrazio per la sua disponibilità.”
“Intanto non avevo altri pazienti” disse il Dottor Hopper, aprendo la porta.
“Facciamo che siamo già a posto con l’ultima rata dell’affitto. Non mi deve nulla” disse Gold.
“Ma, Signor Gold…” iniziò col controbattere il Dottor Hopper. Ma Gold lo interruppe: “Non mi deve nulla. Arrivederci, dottore.” E, dopo che fu uscito, il Dottor Hopper chiuse la porta. Rimase un po’ lì a ripensare alla conversazione che aveva appena avuto. Come potevano ritenere il Signor Gold un cattivo padre? Si capiva che voleva molto bene a Rose e che soffriva nel vederla triste. A volte le persone avrebbero dovuto conoscerlo meglio prima di giudicare.
Intanto, al Negozio dei Pegni, Rose si stava annoiando. Aveva sperato che suo padre sarebbe ritornato prima. Invece era trascorsa mezz’ora e ancora se ne stava lì, sola, in mezzo a tutti quegli strani oggetti. Ma in quella mezz’ora, aveva anche ripensato alla discussione avuta con suo padre. Che cosa le stava succedendo? Perché continuava a prendersela con lui? Era suo padre. Le voleva bene. Si era sempre preso cura di lei. Eppure, da un po’, litigavano in continuazione.
Era assorta nei suoi pensieri quando alzò lo sguardo per vedere David guardare dentro il negozio. I loro sguardi si incrociarono e Rose gli fece cenno di entrare. L’uomo aprì la porta, facendo tintinnare la campanella sopra di essa e, mentre la richiudeva dietro di sé, disse: “Ho visto il cartello 'Torno fra dieci minuti'. Non sapevo ci fosse qualcuno.”
“Mio papà è uscito un attimo, sicuramente per una commissione. Credo che fra poco sarà di ritorno. Aveva bisogno di lui?” chiese Rose.
“No. Io stavo andando da…” iniziò col rispondere David. Ma poi il suo sguardo si fermò su alcuni unicorni in cristallo appesi. Si avvicinò a loro, mettendo una mano sotto uno di essi.
“Azzurro” disse, ad un certo punto Rose. David alzò lo sguardo, domandando: “Cosa hai detto?”
“Azzurro. E’ così che il mio papà preferisce quell’unicorno. Dice che sono tutti lavorati a mano e sono di ottima fattura” spiegò Rose.
“Tuo padre ha ottimo gusto” disse David. Rose abbassò lo sguardo e tristemente disse: “Sì.”
“Qualcosa non va?” chiese David, vedendo lo sguardo triste della bambina. Questi alzò lo sguardo, rispondendogli: “ E’ da un po’ di tempo che stiamo litigando. Inoltre gli ho detto delle brutte cose. Lui è il mio papà e non dovrei trattarlo male. Ho solo lui. Mia mamma è morta dandomi alla luce. Almeno così mi ha detto.”
“Non gli credi?” domandò David.
“Ultimamente mi sta nascondendo un sacco di cose. Ma molto probabilmente lo fa per proteggermi e farmi stare lontana dai guai. Non avrei mai voluto dirgli quelle brutte cose” rispose Rose.
“Non per impicciarmi dei vostri affari di famiglia ma, secondo me, tu e tuo padre dovreste chiarirvi. Non so che cosa gli hai detto di così brutto ma è pur sempre tuo padre. Non lo conosco molto ma, da come ne parli, gli devi volere molto bene. La famiglia è molto importante. Bisogna rimanere sempre uniti. E anche se siete solo in due, tu e tuo padre siete una famiglia” spiegò David. Rose sorrise per poi chiedergli: “E lei ha ritrovato la sua famiglia?”
“Ho ritrovato mia moglie Kathryn. Non mi ricordavo di essere sposato con lei” rispose David.
“Be', dopotutto ha dormito per molto tempo. È normale non ricordarsi di qualcosa” disse Rose.
“Però è come se ci fosse qualcosa che non va. È come se non provassi amore per lei. È strano perché dovrei, visto che è mia moglie” disse David.
“L’amore per qualcuno non è obbligatorio. Se non la ama allora vuol dire che non è lei quella giusta” disse Rose.
“Ma è mia moglie. La donna che ho sposato. Dovrei amarla. Invece il mio cuore la ripudia” disse David.
“Invece per chi sono i suoi sentimenti? Qualcun'altra dovrà aver preso il posto di sua moglie, no?” domandò Rose. David la guardò non sapendo cosa rispondere. Davvero amava veramente qualcun’altra al posto di sua moglie? Come era possibile dopo ventott’anni di coma?
Il suo sguardo si posò su un piccolo mulino a vento in legno, posto proprio poco distante dal bancone centrale. Rose lo guardò chiedendogli: “C’è qualcosa che le interessa?” David si voltò verso di lei e le domandò: “Dove ha preso tuo padre questo?”
“Da quel che ricordo, è lì da molto tempo. Papà non lo ha mai spostato. Ma non mi ha mai detto da dove viene. Vuole che, quando torni, glielo chieda?” rispose Rose. David riguardò il mulino in legno e, con una mano, fece girare le pale. Poi, titubante disse: “Credo… che… appartenesse… a me.”
“Davvero?! Ne è sicuro?” chiese stupita Rose. David la riguardò, rispondendole: “Sì. Me lo ricordo.” Rose lo guardò non sapendo cosa dire. Come faceva a ricordarsi di quel mulino se era la prima volta che metteva piede nel negozio? Che la teoria di Henry fosse vera? Scosse negativamente la testa. Quindi domandò: “Che cos’è che stava cercando?”
“Credo di essermi perso. Ecco perché sono entrato qua. Vedendoti, pensavo che mi potessi aiutare. Stavo cercando Toll Bridge. Venendo qua, ho incontrato il Sindaco, e mi ha detto che avrei trovato un bivio, ma…” spiegò David, scuotendo la testa e guardando una cartina che aveva appena tirato fuori da una tasca della giacca.
“Non dia retta al Sindaco. Sembra che le abbia dato un’indicazione sbagliata” disse Rose.
“Già. Si direbbe che non conosca la sua città” disse David.
“Sì, infatti” disse semplicemente Rose. Passò un momento di silenzio, nel quale David stava per aprire nuovamente bocca. Poi però la bambina andò  alla cassa e prese qualcosa accanto a essa. Ritornò di fronte a David consegnandogli quella cosa appena presa. Si trattava di un pezzo di carta rettangolare. David lo guardò non capendo subito di cosa si trattasse. Toccò a Rose spiegargli cosa fosse: “ E’ una mappa molto dettagliata di Storybrooke. Con questa non rischierà più di perdersi. Quella che le ha dato il Sindaco non è così” e gliela consegnò. David la prese in mano, guardandola. Poi riguardò Rose dicendo: “Io… non so…. cosa dire…”
“Lo consideri un regalo per quella volta che mi ha bendato meglio i punti.  Così siamo pari” spiegò Rose.
“Allora grazie” disse semplicemente David e si voltò per andarsene. Ma Rose lo fermò dicendogli: “Uscito da qua, prenda la prima strada a destra e arriverà a Toll Bridge”.
David la guardò. La ringraziò e, voltandosi, uscì. Rose guardò per un attimo la porta. Poi però andò di fronte al mulino, osservandolo. Proprio come aveva fatto prima David, anche lei con una mano mosse le pale, facendole girare. Come faceva quell’uomo a ricordarsi che l’oggetto appartenesse a lui? C’era qualcosa che non tornava. Ma appena si voltò, sussultò dallo spavento nel ritrovarsi davanti quelle due strane marionette. Erano davvero raccapriccianti e ancora si chiedeva perché suo padre le tenesse lì, proprio davanti all’entrata. Di certo non brillavano di bellezza. Ma se erano lì, voleva dire che per suo padre valevano qualcosa. Lui non teneva e prendeva nulla a caso.
“Meno male siete solo voi due. Certo che però avete proprio un brutto aspetto. Chissà perché papà vi tiene qua davanti. E soprattutto chissà di chi eravate” disse Rose e se ne ritornò dietro al bancone, curiosando tra i vari oggetti.
Nel frattempo, Henry, Paige ed Excalibur stavano passeggiando per la via principale. Erano riusciti ad aiutare Emma nel ritrovare il padre di Ava e Nicholas, seppur lo stesso padre non voleva saperne di loro.
“Sono contenta che si sia risolto bene per loro due. Così almeno non ruberanno più dal negozio del Signor Clark e incolperanno inutilmente te e Rose” disse Paige.
“A proposito di Rose, guarda chi c’è là” disse Henry. I tre si fermarono, per vedere Gold entrare nel negozio Game of Thorns. I due bambini si guardarono per poi correre, seguiti da Excalibur, dall’altra parte della strada. Cercando di non farsi vedere, si abbassarono e guardarono all’interno della finestra. Videro Gold parlare con Moe French, che stava di fronte a lui. A giudicare da come Moe si puliva la fronte con un fazzoletto, Gold doveva avergli detto qualcosa di minaccioso.
“Scommetti che è arrabbiato per il fatto che il Signor French abbia fatto del male a Rose?” chiese Paige. Henry la guardò e stupito domandò: “E lui come farebbe a sapere che il Signor French ha fatto del male a Rose?” Paige lo guardò a sua volta e titubante rispose: “Be'…perché glielo ho raccontato io mentre eravamo in ospedale e Rose stava riposando nella sua camera.” Henry riguardò avanti e Paige aggiunse chiedendogli: “Non avrei dovuto dirglielo?” E anche lei riguardò avanti.
“Prima o poi lo avrebbe scoperto da solo e sarebbe stato peggio. Quindi meglio che tu glielo abbia detto prima” rispose Henry. Videro Moe French agitarsi, mentre Gold rimanere impassibile. I due bambini si riguardarono e Henry propose: “Ora che abbiamo risolto le cose con quei due fratelli, direi di risolvere le cose anche tra Rose e il Signor Gold.”
“Che cosa consigli di fare?” domandò Paige.
“Li faremo incontrare e so anche il posto giusto” rispose Henry. Paige attese il resto della risposta, così come Excalibur che si era messa accanto a lei, con le orecchie dritte. Il bambino proseguì: “Il pozzo nella foresta.”
“Perché, tra tutti i posti, proprio lì?” chiese Paige.
“Perché è da lì che nascerà tutta la magia, quando la maledizione sarà spezzata. È un posto magico. Me lo sento” rispose Henry. Paige lo guardò stranamente. Excalibur guardò da un’altra parte. Poi la bambina domandò: “Ok. E come faremo?”
“Tu parlerai con il Signor Gold. Inventati che Rose è andata nella foresta per un qualsiasi motivo. Io invece parlerò con Rose. Se siamo fortunati, ci crederanno e andranno nella foresta e speriamo si chiariscano una volta per tutte. Ma non far prendere al Signor Gold la macchina. Devono arrivare quasi insieme. Se lui arriva prima e non vede Rose, capirà che stiamo architettando qualcosa” spiegò Henry. I due riguardarono nel negozio per vedere Moe French andarsene e Gold camminare, invece, verso la porta.
“Ok, in bocca al lupo a tutti e tre” disse Henry e corse in direzione del Banco dei Pegni. Paige e Excalibur fecero appena in tempo ad allontanarsi dalla finestra che Gold uscì dal negozio. Voltò lo sguardo trovandosi di fronte bambina e volpe. Fece un piccolo sorriso per poi chiedere: “Allora, come sta andando la vostra passeggiata?”
“Oh, molto bene. Grazie. Ma… ecco…io ed Excalibur non stavamo passando qua per caso” rispose Paige.
“Perché questa frase mi suona molto familiare? Su, avanti, cosa avete combinato?” domandò Gold.
“Si tratta di Rose. Qualcuno voleva farle del male e l’abbiamo vista correre nella foresta, Se ci sbrighiamo riusciremo a raggiungerla” rispose Paige e si voltò iniziando a correre. Ma si fermò quando Gold le chiese: “Chi è che voleva farle del male?” Paige si rivoltò rispondendogli: “Non lo so. Non lo abbiamo visto in faccia e non sappiamo nemmeno dove sia andato o andata. Ma Rose è sicuramente nella foresta. Excalibur ha fiutato la sua pista lì” E, abbassando lo sguardo, aggiunse: “Vero Excalibur?”
La volpe dapprima scosse negativamente la testa. Poi però ricordandosi che doveva stare al gioco, annuì positivamente. Gold inarcò un sopracciglio. Sembrò poi credere alle parole della bambina e, quindi, andò verso la Cadillac, parcheggiata lì vicino. Paige lo fermò: “No. Meglio andare a piedi. Se Rose ci vede arrivare con la macchina, scapperà ancora. Meglio non recare sospetto.” Gold la guardò e la raggiunse. Poi abbassò lo sguardo dicendo: “Excalibur, portaci da Rose.” La volpe abbassò le orecchie indietreggiando e tenendo alzata una zampa anteriore. Guardò Paige che annuì. Riguardò il padrone e, voltandosi, alzò il muso per poi voltarsi e andare a passo veloce verso la foresta. Gold e Paige la seguirono.
Nello stesso momento, al Negozio dei Pegni…
“Ne sei sicuro?” domandò Rose guardando l’amico.
“Sì. Ho visto tuo padre andare verso la foresta. Aveva un’aria molto afflitta. Forse è meglio se lo seguiamo. Non vorrei che facesse qualcosa di stupido” rispose Henry. Rose abbassò lo sguardo. Henry quindi aggiunse: “Si tratta di tuo padre. Tu e lui siete una famiglia. E la famiglia rimane sempre unita. Lui ti vuole bene e tu ne vuoi a lui. Lo so che ultimamente non avete fatto altro che litigare o ignorarvi. Ma è venuto il momento di metterci una pietra sopra. Hai solo lui. Anche io vorrei avere un padre come il Signor Gold.” Rose alzò lo sguardo. Andò verso la porta. Cambiò il cartello a “CHIUSO”. Guardò l’amico dicendogli: “Portami da lui.” Henry sorrise e i due uscirono dal negozio.
Poco dopo, tutti e cinque arrivarono nella foresta. Precisamente dove c’era il pozzo.
“Come avrà fatto mia figlia ad arrivare qua? Lei nemmeno conosce questo posto. Non è che mi state nascondendo qualcosa, voi due?” disse Gold ma, appena si voltò, di Paige e Excalibur non c'era nessuna traccia. Gold si rivoltò e rimase immobile non appena vide chi c’era dall’altra parte del pozzo.
“Henry, ma sei proprio sicuro che mio padre sia venuto qua? E poi che posto è questo? Non ci sono mai venuta qua. Non è che mi hai detto solo una bugia?” disse Rose ma, appena si voltò, Henry non c’era più. Si rivoltò e rimase immobile non appena vide suo padre dall’altra parte del pozzo. Padre e figlia si guardarono in silenzio, rimanendo fermi nelle loro posizioni. Nessuno dei due muoveva un passo.
Il primo a parlare fu Gold che disse: “Quasi mi ero dimenticato di questo posto. È come se sentissi dentro di me che qua è pieno di magia.” E si avvicinò al pozzo. Rose lo guardò in silenzio mentre il padre continuava: “Si dice che se si getta qualcosa qua dentro, il proprio desiderio si avvera. Io non ho mai gettato nulla qua dentro perché avevo già ciò che desideravo” e guardò Rose che disse: “Non è vero. La mamma è morta.” Gold si avvicinò a lei e, mettendole una mano su una guancia, disse: “Lo so. E non l’ho mai dimenticata. Avrei desiderato che tu l’avessi conosciuta come l’ho conosciuta io. Lei ti voleva bene. Il Dottor Hopper ha ragione: prima o poi devo raccontarti più di lei. Ma ora ci sei tu e io non voglio perderti. Non voglio litigare con te, bambina mia. Sei ciò che ho di più prezioso.” Rose vide che aveva quasi le lacrime agli occhi. Non aveva mai visto suo padre così triste. Anche a Rose divennero gli occhi lucidi e abbracciò il padre. Era ovvio che avevano fatto finalmente pace.
Nascosti dietro a dei cespugli, Henry, Paige ed Excalibur stavano osservando quel dolce momento tra padre e figlia.
“Te lo avevo detto. Questo posto è davvero magico” disse Henry, guardando Paige che disse: “Diciamo che abbiamo fatto tutto da soli.” E si allontanò. Henry guardò Excalibur che emise dei versetti per poi seguire Paige.
“Henry, andiamo” lo chiamò Paige.
“Arrivo” disse Henry. Stava per seguirla, quando sentì Rose e Gold parlare. Riguardò Paige, ma vide che l’amica si era già allontanata insieme alla volpe. Quindi ritornò dietro ai cespugli, ascoltando la conversazione tra padre e figlia.
“E’ strano, ma la tua amica Paige mi aveva detto che qualcuno ti voleva far del male e che, quindi, eri scappata qua” disse Gold.
“Sai, Henry è venuto in negozio dicendomi di averti visto venire qua con un’aria molto afflitta e che dovevamo subito seguirti prima che facessi qualcosa di stupido” disse Rose.
“Mi sa che i tuoi amici hanno organizzato tutto per farci incontrare qua” disse Gold.
“Però, così facendo, finalmente abbiamo fatto pace. Forse potevamo mettere fine a tutto questo anche prima” disse Rose. Gold fece un piccolo sorriso e guardò il pozzo. Poi disse: “Henry è un bravo bambino ma, a volte, ha troppa fantasia.” Riguardò la figlia aggiungendo: “Assicurati di continuare con la nostra operazione.”
“Non ti preoccupare. Henry è convinto che creda veramente alla sua teoria. Invece lo sto solo assecondando. Lui crede facilmente a tutto. E l’Operazione Coccodrillo non fallirà” disse Rose. Henry rimase senza parole. Tutti non gli credevano e ora si sentiva tradito. Tradito dall’unica persona della quale pensava di potersi fidare. Tradito dalla sua migliore amica.



Note dell'autrice: Ed ecco un altro capitolo finito. Lo so. Ho tirato un brutto colpo a Henry. Poveretto. Lui cerca di far credere a Emma e, ora, scopre che la sua migliore amica lo stava solo prendendo in giro, essendo in combutta con il padre. Questi Gold. Se non ci fossero li dovremmo inventare (ahahah)

Dopo questo episodio, credo che ne farò altri due e poi passerò a Skin Deep (il mio preferito). Ma sto pensando di fare un Skin Deep diverso, con magari Belle e Rumple che hanno già Rose ( o l'hanno appena avuta).

Finalmente padre e figlia hanno fatto pace. Ma ora Rose dovrà fare pace con Henry. Vediamo come andranno le cose

Volevo ringraziare tutti/e coloro che passano di qua. Che recensiscono o che leggono solamente la storia. Almeno spero di non annoiarvi. Inoltre volevo ringraziare la mia amica Lucia, che mi aiuta con la stesura dei capitoli e le immagini di copertina (create proprio da lei)

Con questo, vi aspetto al prossimo capitolo. Stay tuned, miei cari Oncers

 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 25
*** Non più migliori amici - Parte I ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/Va/ValeDowney/3238200.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

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Capitolo 26
*** Non più migliori amici - Parte II ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo XIII: Non più migliori amici- Seconda Parte

 
Poco dopo, le tre si trovarono dal Dottor Hopper: “Che cosa ha fatto?! Mi ha detto che distruggere la sua immaginazione sarebbe stato devastante!” replicò Emma.
“Se un percorso terapeutico non funziona, va corretto” disse Archie guardandola.
“E’ Regina?! Le ha fatto delle minacce?! Che cosa può averle detto per convincerla a ignorare la sua coscienza?!” replicò chiedendo Emma.
“Non devo giustificare le mie scelte professionali con lei! È chiaro?!” replicò Archie. In quel momento, il cellulare di Emma squillò. Lo estrasse , roteando gli occhi non appena vide il nome di chi chiamava sul display. Anche Rose cercò di vedere chi fosse. Ma la risposta la ebbe quando Emma, dopo aver accettato la chiamata e aver messo l’apparecchio all’orecchio, replicò: “ Ottimo lavoro, signor Sindaco!”
“E’ con lui?” sentirono domandare Regina dall’altra parte.
“Sì, sono con il Dottor Hopper e mi sembra evidente che ci sia il suo zampino! Se vuole, vi metto in viva voce, così possiamo tutti chiarirci!” replicò Emma e, prima che Regina potesse obiettare, la ragazza schiacciò un tasto sul cellulare. Poi aggiunse: “ Ecco. Ora potete parlare di ciò che avete combinato.”
Regina allontanò il suo cellulare dall’orecchio e, portandolo davanti a sé, lo guardò, lanciando però, di sfuggita, un’occhiata a un “ospite” che aveva nel suo ufficio. Un ospite che, a sua volta, era accompagnato da un animale dalla pelliccia rossa. Si trattava di Gold e stava sorridendo dall’espressione quasi stupita del sindaco. Sembrava che avesse trovato pane per i suoi denti. La signorina Swan riusciva a tenerle ben testa.
“Non mi interessa nulla del Dottor Hopper! Stavo parlando di Henry!” replicò Regina.
“Già e del modo in cui lo sta facendo soffrire!” replicò Rose. Emma la guardò, facendole capire di non intromettersi in quella conversazione. Ma ormai era troppo tardi perché Gold, che gli altri non sapevano si trovasse con Regina, si accorse della presenza della figlia con Emma quando, tempo prima, le aveva detto di rimanersene in casa.
“Rose è con loro! Doveva rimanere in casa! Quel piccolo diavoletto questa volta non la passa liscia!” replicò Gold, cercando di non farsi sentire nel cellulare.
“Volevo sapere se Henry fosse con lei?” chiese Regina.
“Ho lasciato il bambino nel suo ufficio, più di un’ora fa” rispose Emma.
“Be', qui non c’è” replicò Regina, guardando Gold, il quale la guardò a sua volta con sguardo impassibile, non preoccupato per Henry ma più per Rose. La figlia gli aveva disubbidito un’altra volta. Intanto Excalibur aveva incominciato a curiosare per l’ufficio, forse alla ricerca di qualcosa di interessante per se stessa o per il suo padrone. In effetti, qualcosa di interessante lo aveva trovato quella stessa mattina, quando era uscita presto di casa, dirigendosi nel luogo dove Gold le aveva detto di andare il giorno prima. Trovato l’oggetto, era ritornata dal suo padrone e i due, poi, erano andati direttamente da Regina.
Archie guardò lateralmente. Emma capì subito che c’era qualcosa che non andava e, senza aggiungere altro, spense la chiamata. Dall’altra parte Regina guardò il display del cellulare per poi replicare: “Ma come si permette?! Buttarmi giù il telefono in questa maniera!”
“Rose è lì con lei! Le avevo espressamente detto di rimanere in casa!” replicò Gold.
“Non me ne frega niente di sua figlia! E’ di Henry che sono preoccupata. Potrebbe succedergli di tutto e io non sono lì a proteggerlo” disse Regina. Quindi voltarono lo sguardo, sentendo dei rumori, per vedere Excalibur sulla scrivania e lo scrigno a terra. Regina camminò verso il ripiano replicando: “Piccolo sacco di pulci! Ora ti insegno io le buone maniere!” e la prese per la collottola. Excalibur le ringhiò contro e si dimenò, cercando di scappare. Con l’altra mano stava per farle qualcosa, quando Gold disse: “Se fossi in lei, non lo farei. Potrebbe rischiare grosso”.
Regina alzò lo sguardo e, guardandolo, disse: “Non ho paura di rischiare.”
Gold camminò e, fermandosi di fronte a lei, replicò: “Non le consiglio di giocare troppo con il fuoco. Le voglio ricordare del nostro patto.”
“Di patti ne abbiamo fatti tanti in passato” disse Regina, guardandolo.
“E’ uno recente e non faccia finta di nulla. So che se lo ricorda benissimo. E occhio a non rispettarlo, perché ci potrebbero essere gravi conseguenze per il suo amato albero di mele” spiegò Gold. Senza dire nulla, Regina lasciò andare Excalibur che, dopo essere caduta a terra, si andò a mettere velocemente dietro a Gold. Questi lanciò un’occhiata veloce a ciò che c’era accanto allo scrigno caduto precedentemente a terra. I due si guardarono. Poi Gold disse: “Buona giornata, Vostra Altezza” e, voltandosi, si incamminò verso la porta, seguito dalla fedele volpe.
“Io mi dovrò ricordare del nostro patto fatto tempo fa, ma tu vedi di non dimenticarti di ciò che abbiamo stabilito prima” disse Regina.
Gold si fermò e, voltando lo sguardo, disse: “Io non dimentico mai nulla, e poi rispetto sempre un patto.” E, riguardando avanti, aprì la porta per poi uscire. Dopo che fu uscita anche Excalibur, chiuse la porta dietro di sé. Regina se ne stette a guardare la porta chiusa. Poi si avvicinò allo scrigno e, abbassandosi, lo prese in una mano mentre, con l’altra, prendeva ciò che era caduto a fianco. Si rialzò guardandoli entrambi. In una mano teneva lo scrigno, ma il suo sguardo si posò sull’altro oggetto: un cuore rosso pulsante, che custodiva in modo prezioso da molto tempo.

Intanto, nello studio del Dottor Hopper…

“Se sa dove può trovarsi Henry, deve dircelo” disse Emma.
“Io… ecco… ecco…” disse titubante Archie. Rose andò davanti a Emma, dicendogli: “La prego, Dottor Hopper. È importante. Henry potrebbe trovarsi in pericolo”.
Archie guardò la bambina. Poi riguardò Emma e, dopo aver fatto un lungo sospiro, spiegò: “Durante la nostra ultima sessione, Henry mi ha detto che nessuno gli credeva. Nemmeno tu, Rose. Ti credeva la sua migliore amica e, invece, lo hai tradito alle spalle. Così, almeno, sono state le sue parole. Ha detto che il solo modo per far credere era andare in quel posto.”
“Quale posto?” domandò Emma.
“La vecchia miniera” rispose Archie. Le tre rimasero senza parole. Poi Rose disse: “Dobbiamo subito andare da lui. Potrebbe essere pericoloso.”
“Dobbiamo?! No, tu e Paige ritornerete da tuo padre. Questa volta è meglio se rimanete veramente fuori dai guai” disse Emma, guardandola.
“Henry era amico mio. E ora voglio ristabilire questa amicizia. La prego, Signorina Swan, ci faccia venire con lei. Le prometto che, se le cose dovessero complicarsi, ritorneremo subito da mio padre” disse Rose.
Emma le guardò in silenzio per poi dire: “Va bene. Ma al minimo pericolo vi riporterò da Gold.” E andando verso la porta, l’aprì, seguita da Rose, Paige, Archie e Pongo. I cinque fecero appena in tempo a uscire dall’edificio che la Cadillac si fermò sul ciglio della strada e ne uscì un Gold furente che, dopo aver camminato a passo spedito verso la figlia, la prese per un braccio, replicando: “Sei in grossi guai, signorinella! Ora ti riporto dritta a casa!” E incominciò a trascinarla verso la macchina.
“Lasciami, papà! Mi stai facendo male al braccio!” replicò Rose, divincolandosi dal padre.
“Sarà l’ultima volta che mi disubbidisci! Te lo assicuro!” replicò Gold, continuando a trascinarla verso la macchina.
“Ehm… Signor Gold…” provò a parlare Paige. Ma Gold si voltò verso di lei, replicando: “E questo vale anche per lei, Signorina Grace. Non sarò suo padre ma anche lei mi ha disubbidito. Quindi non creda di passarla liscia.” Paige deglutì per la paura.
“Gold, adesso la smetta! Non crede di star un po’ esagerando?” disse Emma.
“Lei non si intrometta! Non sono affari suoi! Inoltre, io stesso sciolgo il nostro patto. Lei non terrà più d’occhio mia figlia! Tutte le volte che è stata con lei, è successo qualcosa di brutto, mettendola così in pericolo” replicò Gold, guardandola.
“Va bene, come vuole lei! Ma poi non venga a chiedere aiuto a me quando sua figlia scapperà” disse Emma.
“Le assicuro che non succederà” disse Gold. Stava per andare verso la macchina, quando Archie lo fermò: “Forse non dovrebbe essere così cattivo con Rose. In fin dei conti, non ha fatto nulla di male”.
Gold lo guardò replicando: “Lei dovrebbe essere l’ultima persona a parlare, Dottor Hopper. Faccia solamente il suo lavoro e veda di non impicciarsi delle vite private altrui.” Senza neanche salutare i due, si voltò, trascinandosi con sé la figlia e Paige in macchina, per poi partire. Emma e Archie seguirono con lo sguardo la macchina.

Poco dopo, a Villa Gold…

“Te ne rimarrai qua dentro finché non avrai capito ciò che hai fatto” disse Gold, mentre se ne stava sulla soglia della camera da letto di Rose. Questi, che era seduta sul letto, lo guardò dicendo: “Ma papà, io…”.
Ma non fece in tempo a finire la frase che Gold replicò: “Niente 'ma papà', Rose. Mi hai disubbidito e stavolta non sarò tanto buono. Avevo fiducia in te. Ti avevo detto di rimanertene in casa. Invece spendo sempre parole al vento! Da adesso in poi, rispetterai tutte le regole che ho imposto!”
Rose lo guardò malamente, rimanendo in silenzio. Gold guardò Paige aggiungendo: “E, in quanto suo guardiano, ritengo opportuno dare una punizione anche lei, Signorina Grace. Visto che mi ha disubbidito, pulirà tutto il pasticcio che avete lasciato in cucina.”
“Va bene” disse semplicemente Paige guardandolo. Gold indietreggiò, chiudendo la porta. Girò la chiave nella serratura, serrando la porta a doppia mandata, per poi mettersi la chiave nella tasca della giacca. Sentendo la serratura chiudersi, Rose scese velocemente dal letto andando verso la porta, trovandosela ovviamente chiusa. Cercò di girare la serratura ma invano. Quindi gridò: “Papà! Papà! Apri! Non puoi farmi questo! Non puoi rinchiudermi qua dentro! Ti prego, apri la porta. Papà!”
Dall’altra parte, Gold e Paige sentirono bussare forte contro la porta e Rose gridare. Poi Gold, senza dire nulla, camminò verso le scale, andando al piano di sotto. Non potendo fare nulla, Paige guardò per un po’ la porta. Sospirò e seguì Gold.
Poco dopo, Paige andò in salotto, dove trovò Gold seduto su una delle poltrone. Teneva un gomito appoggiato a un bracciolo e la mano sotto il mento. Aveva uno sguardo molto pensieroso. Paige era un po’ restia nel parlagli. Ma poi si fece coraggio e disse: “Signor Gold, io avrei finito”.
Gold alzò lo sguardo. Quindi semplicemente disse: “Molto bene. Sei libera di fare ciò che vuoi.”
“Vorrei poter andare da Rose. Almeno così da tirarla su di morale. Posso?” disse Paige e, dopo che Gold ebbe annuito con la testa, la bambina se ne andò al piano superiore. Stava per bussare alla porta della camera da letto dell’amica, quando la sentì parlare… con qualcuno. Era impossibile che ci fosse qualcun altro con lei nella stanza. Ma di certo non stava parlando da sola. Quindi appoggiò l’orecchio alla porta e stette ad ascoltare.
“Henry. Ti prego. Ascoltami. È una cosa da pazzi e, soprattutto, pericolosa” disse Rose, mentre se ne stava seduta sul letto e teneva la ricetrasmittente, che le aveva dato Emma, in mano.
“E’ l’unico modo per far sì che tutti mi credano. Compresa tu” disse Henry.
“Henry, io ti credo. Dico sul serio” disse Rose.
“No! Non è vero! Se mi credesti non avresti detto quelle parole!” replicò Henry.
“Quali parole? Henry di che cosa stai parlando? Riguarda il fatto che tu non voglia più essermi amico?” chiese Rose. Dall’altra parte non si sentì nulla. Poi però Henry rispose: “Mi dispiace, Rose. Ma è l’unica cosa da fare” e interruppe la connessione.
“Henry! Henry!” provò a chiamarlo. Ma niente da fare. Ormai il bambino non era più dall’altra parte. Sarebbe stato in pericolo e, questo, anche per causa sua. Non poteva starsene lì con le mani in mano e, mandando all’aria le raccomandazioni del padre e la sua rabbia, scese da letto e, dopo essersi abbassata, estrasse qualcosa da sotto il letto. Si trattava di lenzuola. Si rialzò e, andando alla finestra, gettò le lenzuola giù dalla finestra. Esse formavano come una corda che scendeva fin verso il basso. Deglutì nel vedere l’altezza. Poi voltò lo sguardo e, guardando la foto sul comodino che ritraeva lei in braccio a suo padre, disse: “Mi dispiace, papà. Ma ho un’amicizia da recuperare.” E, facendosi coraggio, si calò giù dalle lenzuola. Appena ebbe toccato terra, corse via.
Paige, che aveva sentito tutto, scese di nuovo in salotto. Trovò Gold ancora seduto sulla stessa poltrona e con lo sguardo pensieroso. La bambina fu un po’ titubante. Ma poi disse: “Ehm… Signor Gold”.
Gold alzò lo sguardo e, guardandola, le domandò: “Hai già parlato con Rose? E’ andato tutto bene?”
“In effetti… Non ci ho nemmeno parlato con Rose. Anzi, era Rose a parlare con qualcun altro” rispose Paige.
Sentendo quelle parole, Gold alzò lo sguardo e stupito chiese: “Ne sei assolutamente sicura?”
“Non proprio, visto che è impossibile che ci fosse qualcun altro lì con lei. Ma sono certa che stesse parlando con qualcuno” rispose Paige. Gold si alzò in piedi aiutandosi con il bastone e, dopo essere passato accanto a Paige, salì su per le scale dicendo: “Vieni. Dobbiamo saltarci fuori in questa faccenda” e la bambina lo seguì. Vedendo la preoccupazione del suo padrone, Excalibur uscì dalla sua cesta e, dopo aver sbadigliato e essersi stiracchiata, seguì i due. Arrivati al piano superiore, Gold bussò forte alla porta della camera da letto della figlia: “Rose! C’è qualcuno lì con te? Rose, rispondi!”. Ma non ricevette nessuna risposta. Quindi Gold estrasse la chiave dalla tasca della giacca e, dopo averla girata nella serratura, aprì la porta. Rimasero senza parole quando non videro Rose.
“Ma è impossibile! Fino a pochi minuti fa c’era” disse stupita Paige e andò verso la finestra. Gold entrò nella stanza con sguardo molto preoccupato. Si fermò a guardare la fotografia sul comodino, che ritraeva lui mentre teneva in braccio una Rose molto piccola. La aveva appena rimessa al suo posto quando Paige lo chiamò. Andò accanto a lei davanti alla finestra e guardarono giù.
“Sono lenzuola. Rose deve averle usate per calarsi giù” disse Paige. Gold si allontanò un po’ dalla finestra, portandosi una mano sul petto. Paige lo guardò e preoccupata domandò: “Signor Gold, sta bene?”
Gold si tolse la mano dal petto e, guardando la bambina, chiese: “Paige, quando sei venuta per parlare con mia figlia, hai ascoltato quello che stava dicendo?”
“Da quello che ho capito stava parlando con Henry” rispose Paige.
“Henry?! Sicura che stesse parlando con lui?” domandò stupito Gold.
Fu in quel momento che a Paige venne in mente una cosa. Quindi spiegò: “Ma certo. La ricetrasmittente. Rose deve averla usata per comunicare con Henry. Gliel'ha data la Signorina Swan, dicendole di utilizzarla ogni volta volesse parlare con suo figlio. Ecco perché l’avevo sentita parlare con qualcuno.”
“E sei riuscita a capire cosa si stavano dicendo?” chiese Gold.
“Diceva che era una cosa da pazzi e pericolosa” rispose Paige. Gold guardò a terra. Si portò una mano tra i capelli. Per la prima volta, non sapeva cosa fare. Poi alzò lo sguardo e domandò: “Dove stavate andando con la Signorina Swan e il Dottor Hopper?”
“Il Dottor Hopper aveva detto di sapere dove Henry sarebbe andato” rispose Paige. Gold si avvicinò a lei e, dopo averle messo una mano sulla spalla, le chiese: “E dove?”
Paige alzò lo sguardo guardandolo e rispondendogli: “Alla vecchia miniera”. Gold la guardò senza dire nulla. Era rimasto impassibile. Si lasciò sedere sul letto con uno sguardo assente. Paige lo guardò in silenzio. Poi Gold parlò: “Ho sempre cercato di proteggerla. Non potevo permettere di perdere anche lei. È la sola famiglia che mi è rimasta. Rose è ciò che ho di più prezioso.”
“La comprendo, Signor Gold, e magari avessi un padre come lei che si preoccupa così per me. Ma Rose è intenzionata a tutti i costi a ristabilire la sua amicizia con Henry, e credo che andrà fino in fondo” disse Paige. Gold guardò la foto sul comodino e disse: “Anche la madre di Rose voleva sempre andare fino in fondo. Era la donna più coraggiosa che avessi mai conosciuto e sono contento che mia figlia abbia ereditato gran parte del carattere da lei.”
“Be', allora, prima o poi, si renderà conto che Rose le assomiglia più di quanto lei crede” disse Paige.
Gold la guardò e la bambina gli fece un piccolo sorriso. Gold si alzò dicendo: “Sarà meglio che andiamo subito alla miniera, prima che succeda il peggio.” I due uscirono dalla stanza, seguiti da Excalibur che, fino a quel momento, se ne era stata sulla soglia della porta.
Intanto Rose, correndo con tutto il fiato che aveva dentro, era riuscita a raggiungere la vecchia miniera e, all’entrata di essa, vide Emma. Quest'ultima si voltò e, stupita nel vederla, domandò: “Rose, che cosa ci fai qua?”
La bambina, mentre riprendeva fiato, si avvicinò a lei per poi risponderle: “Non potevo permettere che a Henry accadesse qualcosa. E poi, devo capire, una volta per tutte, perché non voglia più essere amico con me.”
“Forse è meglio se te ne ritorni a casa. Tuo padre si potrebbe molto arrabbiare. L’ultima volta che l’ho visto, non era di certo calmo” disse Emma.
“A lui ci penserò dopo. Ora voglio solo cercare di tirare via Henry dai guai” disse Rose.
“Anche tu ti metterai nei guai se non ascolterai i consigli degli altri” disse Emma.
“Se ascoltassi mio padre, dovrei stare a vita rinchiusa in casa o in negozio. Se ascoltassi te, dovrei ritornare da mio padre, con conseguenza delle due cose che ho appena detto. Faccio prima ad ascoltare me stessa” disse Rose.
Emma scosse negativamente la testa. Poi, dall’interno della miniera, si sentirono delle voci in eco. Le due si avvicinarono ancora di più all’entrata e Rose riconobbe le voci come quelle di Henry e Archie. Emma guardò Rose, dicendo: “Conosco quell’espressione e non pensarci minimamente”.
Rose la guardò a sua volta e, non dicendo nulla, entrò dentro la miniera, prima che Emma potesse fermarla.
“Che bambina testona” disse Emma. In quel momento, arrivò la Cadillac, dalla quale scesero Gold, Paige e Excalibur. I tre camminarono verso Emma.
“Dov’è mia figlia?!” chiese replicando Gold.
“E’ appena entrata nella miniera” rispose Emma guardandolo.
“E lei non l’ha neanche fermata?! L’ha fatta andare incontro alla morte! È’ una persona senza cuore!” replicò Gold.
“Mi ha tolto dall’incarico di sorvegliarla. Quindi non devo più tenerla d’occhio per conto suo” disse Emma. Gold la guardò malamente per poi replicare: “Non finisce qua, Signorina Swan!”
“Non ho paura delle sue minacce” disse Emma. Gold continuava a guardarla malamente quando sentirono Pongo abbaiare. Excalibur andò accanto a lui emettendo dei versetti. Entrambi stavano davanti all’entrata della miniera. I tre andarono dietro di loro.
“Rose! Rose! Esci subito da lì! E’ pericoloso!” gridò Gold.
 All’interno della miniera, Rose si fermò, sentendo la voce di suo padre rimbombare. Stette ad ascoltare ma, non sentendo più nulla, riprese a camminare. Svoltò l’angolo per trovarsi di fronte Henry e Archie. I due la guardarono in modo stupito.
“Rose!” disse Henry.
“Rose, che cosa ci fai qua? E’ pericoloso” disse Archie mentre Rose camminò verso di loro. Poi, dopo essersi fermata disse: “Sono venuta a fermare Henry e a parlargli. Dobbiamo chiarirci.”
“Rose, non credo sia il momento adatto per chiarirci. Sto cercando una cosa che sarà fondamentale per non far chiudere la miniera” disse Henry guardandola.
“E cos’è che staresti cercando?” domandò Rose. Ma prima che Henry potesse risponderle, la terra tremò nuovamente. I detriti incominciarono a crollare dal soffitto, così come parti di rocce.
“Presto! Dobbiamo uscire da qua!” disse Archie ma, appena si voltarono, diversi massi caddero dal soffitto, bloccando loro la strada.
“L’uscita è bloccata! Che cosa possiamo fare?” chiese Rose. Archie si guardò intorno. Poi rispose: “Seguitemi” e corse nella direzione opposta. I due bambini lo seguirono.

Intanto, all’esterno della miniera…

“La scossa è passata. Questa, però, è stata più forte dell’altra” disse Emma. Gold andò a passo veloce ancora di più davanti all’entrata. Poi disse: “L’entrata è bloccata e la mia bambina si trova qua dentro.”
“Non si deve disperare. Con loro c’è il Dottor Hopper” disse Emma. Gold la guardò per poi replicare: “Ora sì che sono molto più tranquillo. La mia bambina è in compagnia del figlio della donna più irritabile della città e di uno che si impiccia delle vite altrui e che se ne va in giro con un cane che sembra avere simpatia per la mia volpe!” E guardarono Pongo e Excalibur che, entrambi, spostarono di lato lo sguardo.
“Agitarsi non risolverà le cose. Sicuramente ci sarà un’altra via di fuga” disse Emma.
“Allora aiutiamoli a cercarla” disse Gold.
Nello stesso momento, Archie, Henry e Rose continuavano a camminare per uno dei tunnel semi bui della miniera. A causa dell’ultima scossa di terremoto, c’erano polvere e detriti dappertutto e i tre si stavano facendo luce con una torcia che aveva portato Henry.
“Henry, qua sotto non c’è nulla. Troviamo semplicemente una via d’uscita” disse Archie.
“In verità qualcosa c’è e si tratta di polvere e altra cosa che fa polvere” disse Rose.
“Invece vi dico che qualcosa c’è” disse Henry e, dopo aver fatto qualche altro passo, si fermò davanti a dei grossi massi. Poi si alzò sulle punte dei piedi, prendendo qualcosa tra le insenature delle rocce.
“E’ qualcosa che brilla. Chissà cosa sarà?” disse Rose.
“E’ una prova. E ci servirà per dimostrare che qua sotto c’è effettivamente qualcosa. Con questa non chiuderanno la miniera” disse Henry, guardandoli.
“E, secondo te, cosa potrebbe trattarsi?” domandò Rose.
“Non lo so. Ma forse nel mio libro c’è scritto qualcosa a riguardo” rispose Henry. Stava per estrarre il libro di favole dallo zainetto quando Archie replicò: “Henry, adesso basta!”
“E’ perché mi credi pazzo, vero?” chiese Henry, guardandolo.
“No. È che dobbiamo trovare al più presto una via d’uscita prima che la miniera crolli” rispose Archie. Ci fu silenzio.
Poi però Rose disse: “Be', allora troviamola. Non voglio morire in questo postaccio. E poi… poi” sospirò “...poi vorrei poter rivedere mio padre. Vorrei potergli dire che mi dispiace essere scappata… un’altra volta.” E abbassò lo sguardo.
Archie si abbassò e, mettendole una mano sulla spalla, le disse: “Non ti preoccupare. Vedrai che usciremo da qua. Qua fuori ci sono Pongo e la Signorina Swan. Troveranno un modo per aiutarci e tu potrai riabbracciare il tuo papà. Ma disperarsi e perdere la fiducia non risolverà questa faccenda. Quindi rimbocchiamoci le maniche e troviamo una via d’uscita.”
Rose sorrise. Era amica con Archie e lui cercava sempre di dare utili consigli. Come poteva Regina odiarlo? In verità Regina odiava tutti in quella città, tranne suo figlio Henry, il fidato sceriffo Graham e il giornalista Sydney Glass.
Archie si rialzò e disse: “Coraggio. Andiamo.” E proseguì per il corridoio. Henry e Rose lo seguirono.
Intanto, al di fuori della miniera, erano appena arrivati Regina, Graham e persino i Vigili del Fuoco.
“E io continuo a ripetere che qua c’è troppa gente” disse Gold.
“Non ce l’avremmo fatta solo io e lei. Sono stata costretta a chiamare i soccorsi” disse Emma.
“Il Sindaco non è considerato come soccorso” disse Gold.
“Ma sono pur sempre la madre di Henry. Quindi è mio preciso diritto e dovere essere qua per salvarlo” replicò Regina, guardandolo.
“Allora avrebbe dovuto tenerlo più d’occhio e forse non gli sarebbe accaduto tutto questo” disse Gold, mentre accarezzava il pomello dorato del bastone.
“A quanto pare, anche la sua dolce figlioletta si trova con Henry. Quindi nemmeno tu hai saputo tenerla così tanto d’occhio” disse Regina. Gold la guardò, replicando: “Sa una cosa? La colpa è di suo figlio. Se non avesse smesso di parlare con Rose, lei non avrebbe cercato in tutti i modi di stargli accanto e capire il perché”
“Henry non c'entra nulla. Anzi, lo vedevo molto più sollevato da quando non parlava più con tua figlia. È tua figlia quella che gli porta solo guai” replicò Regina.
“Smettetela! Non è il momento di litigare! I vostri figli si trovano intrappolati in questa miniera e voi non fate altro che battibeccare! Invece di darvi la colpa a vicenda, dovreste collaborare e aiutarci a trovare un modo per liberarli” replicò Emma.
“La Signorina Swan ha ragione. La miniera non è un posto molto sicuro e, con le ultime scosse appena avvenute, potrebbe crollare da un momento all’altro. Dobbiamo trovare al più presto un modo per tirarli fuori” disse Graham, raggiungendoli.
“Ma se la miniera non è sicura, questo vuol dire che, anche al solo minimo spostamento, potrebbe crollare tutto” disse Paige.
“E io, di certo, non voglio rischiare che avvenga ciò. Rose è ancora là sotto” disse Gold.
“Se è per questo, anche Henry è ancora là sotto” disse Regina.
“Non me ne frega nulla di suo figlio. Rivoglio solo Rose sana e salva tra le mie braccia” disse Gold.
“Vediamo come agiranno i Vigili del Fuoco. Sono stati chiamati apposta” disse Graham.
“Io non li ho chiamati. Quindi, se anche non venivano, mi facevano solo un gran favore” disse Gold.
“Gold, la smetta! Se vuole che sua figlia si salvi, allora dobbiamo farci aiutare” replicò Emma. Voltarono lo sguardo verso i Vigili del Fuoco e Gold disse: “Vedo come ci stanno aiutando: non sanno nemmeno da che parte incominciare. E io dovrei lasciare nelle loro mani la vita della mia bambina?! Faccio prima ad arrangiarmi da solo!” E si incamminò verso l’entrata della miniera. Ma Emma, a passo veloce, gli si mise davanti per poi dirgli: “E’ chiaro che lei è agitato. Si vede. Ma compiendo azioni stupide non riavrà Rose tra le sue braccia. Deve cercare di calmarsi, e per una buona volta farsi aiutare da qualcuno.”
“Voglio solo riavere la mia bambina” disse Gold. Emma non poté constatarlo ma sembrava che Gold fosse quasi in procinto di piangere. Ma forse era solo una sua sensazione. Ritornarono dal gruppo quando sentirono Regina replicare: “ Che avete combinato?! Dicevate che si poteva fare! Potreste avere ucciso Henry.”
“Agitarsi non serve. L’ho appena detto anche a Gold. Voi due dovreste cercare di calmarvi, se volete riavere i vostri figli sani e salvi. So perché Henry è andato laggiù. Perché lo fa sentire come se volesse dimostrare qualcosa” disse Emma.
“E perché pensa di dover dimostrare qualcosa?! Chi lo sta incoraggiando?!” replicò Regina. Poi puntò lo sguardo su Gold e aggiunse: “So io chi lo sta incoraggiando. È la mocciosa di Gold! E’ tutta colpa sua! Quella bambina gli sta sempre appiccicato! E ora lo ha messo in pericolo!”
“Non scarichi la colpa su Rose” disse Emma.
“Perché difende quella marmocchia?! E’ in combutta con Gold, vero?! Che cosa avete stipulato contro di me e Henry?! Vuole farmi la predica mentre Henry rischia di morire?!” replicò Regina. Ci fu silenzio. Poi Regina diede di spalle agli altri.
Ma Gold, dopo aver fatto un sospiro, disse: “C’è anche mia figlia là sotto. Rischio di perderla proprio come il suo. So cosa si prova a crescere un figlio fin da neonato e da genitore singolo. Ti rendi conto di quella nuova vita che vuoi proteggere da qualunque cosa ti circonda. Ma non puoi proteggerla da tutto. Forse ultimamente ho nascosto troppe cose a Rose. Ma lo faccio per il suo bene. E lei sta facendo lo stesso con Henry. Le sembrerà strano sentirmi dire ciò ma la Signorina Swan ha ragione: invece di litigare, dovremmo cercare di collaborare per salvarli entrambi”. Regina si rivoltò verso di loro. Si portò una mano tra i capelli per poi dire: “Va bene. Va bene. Che cosa consigliate di fare? Di certo non possiamo starcene qua con le mani in mano.”
“Be', prima sarà meglio cercare una via di fuga più sicura. L’entrata, ormai, è quasi crollata del tutto e, cercando di spostare altri massi, peggioreremo ancora di più la situazione” spiegò Graham.
“Le miniere avevano molte gallerie sotterranee. Forse, Archie, Henry e Rose le stanno esplorando per trovare una via d’uscita. E se le gallerie passano da qua sotto…” iniziò col dire Gold.
“…allora non dovremmo fare altro che seguirle di pari passo anche qua sopra. Ma da dove possiamo incominciare?” finì Emma.
In quel momento, Excalibur drizzò le orecchie e corse in una direzione. Vedendo l’amica muoversi, Pongo la seguì. Gli altri li seguirono con lo sguardo.
“E adesso che cosa stanno facendo quei due?! Non abbiamo tempo da perdere! Quindi rinchiudeteli da qualche parte!” replicò Regina. Ma Excalibur e Pongo, dopo essersi fermati sopra a una collinetta, incominciarono ad abbaiare uno ed emettere dei versetti l’altra. Excalibur, poi, voltò lo sguardo, emettendo altri versetti, per poi scavare, come stava facendo Pongo, sopra la collinetta.
“Stanno cercando di farci capire qualcosa” disse Emma andando da loro e seguita da Gold, Graham, Paige e infine da Regina. Dopo averli raggiunti, Emma e Graham si abbassarono, aiutando i due animali a scavare. Togliendo la terra e l’erba, rivelarono una grata.
All’interno della miniera, Rose, Henry e Archie sentirono dei rumori.
“Li sentite?” chiese Archie, mentre continuavano a camminare.
“E’ Pongo” rispose Henry, sentendo abbaiare e correndo più avanti degli altri due.
“E c’è anche… Excalibur?! Se c’è Excalibur, allora c’è anche il mio papà” disse entusiasta Rose e seguì correndo l’amico.
“Viene da la” disse Archie e li seguì. Arrivarono a una rientranza nel muro.
“Cos’è questo?” domandò Henry.
“Sembra… un vecchio ascensore” rispose Archie.
“Ricordo di aver letto su di un libro che parlava dell’Età dell’Oro, che i minatori usavano dei montacarichi per scendere e salire dalla miniera, trasportando carriolini pieni di roba e lingotti d’oro” spiegò Rose. Archie vi entrò. Alzò lo sguardo e disse: “Arriva fino a su. Ecco perché sentivamo i rumori.”
“Credi che funzioni ancora?” chiese Henry.
“Deve funzionare. Come ho detto poco fa, non ci voglio rimanere in questo postaccio” rispose Rose.
“Allora dobbiamo tentare. Su, venite anche voi” disse Archie e, dopo che anche i due bambini furono entrati nel montacarichi, azionò una leva e successivamente fece ruotare una grossa manopola. Ma era molto arrugginita. Quindi Henry lo aiutò, consegnando il libro a Rose. I due girarono la manopola con fatica e, piano piano, il montacarichi andò verso l’alto. Erano a buon punto quando, sfortunatamente, vi fu un’altra scossa di terremoto. I due lasciarono la presa e il montacarichi ritornò velocemente verso terra.
A scossa passata, chi fu al piano superiore si rialzò, dopo essersi abbassato per sicurezza.
“Basta! Non possiamo andare avanti così!” replicò Regina.
“Lo dica alla terra. Noi non c'entriamo nulla” disse Gold guardandola. Regina lo guardò malamente, non contenta del suo humor. Entrambi riguardarono Emma, quando questi disse: “Almeno abbiamo un punto di partenza grazie a Pongo e Excalibur”. Guardò i due animali, aggiungendo: “Siete stati molto bravi.” Pongo abbaiò e Excalibur emise dei versetti, mettendosi dritta sulle zampe e gonfiando il petto.
“Invece di parlare con questi due, troviamo un modo per aprire la grata” replicò Regina.
“Sarebbe tutto più semplice se qualcuno avesse abbastanza forza necessaria per sollevarla” disse Gold.
“Vuoi essere il primo? Sono proprio curiosa di vederti provare” replicò Regina. Gold la guardò non dicendo nulla. Voltarono lo sguardo verso la stradina adiacente la miniera quando sentirono qualcuno proporre: “Avete bisogno d’aiuto? Passavo di qua e ho pensato di fermarmi.” Si trattava di Billy, un ragazzo che guidava un carroattrezzi e che lavorava presso il Marine Garage.
“Vieni pure e aiutaci a sollevare questa grata” disse Graham. Billy guidò fino alla collinetta per poi fare lentamente retromarcia. Graham prese la corda con il gancio e lo agganciò alla grata. Poi rivolto a Billy disse: “Vai. Dai gas.”
Billy pigiò il pedale dell’acceleratore. Il motore della corda si azionò, facendola muovere verso l’alto. La grata incominciò ad alzarsi. Graham e Emma aiutarono a tirarla via, mettendola da una parte. Guardarono il buco.
“E adesso? Che facciamo?” domandò Regina.
“Dovrete tirarli fuori in fretta o il furgone farà crollare le pareti del condotto”  disse Billy.
“Perché non esci di qua e vieni a darci una mano?! O meglio ancora: perché non te ne vai?!” replicò Regina guardandolo.
“Regina” l’ammonì Emma. Regina la guardò, replicando: “Cosa?! E’ colpa sua se il condotto potrebbe crollare e Henry morire! Nessuno gli ha detto di passare qua per caso.”
“Però ci ha aiutato molto e non lo possiamo negare” disse Graham. Ci fu silenzio. Poi lo stesso Sceriffo aggiunse: “Ho un’imbracatura.” Senza dire nulla, Gold incominciò a togliersi la giacca.
Emma lo guardò, chiedendogli: “Che cosa sta facendo?”
“Non è evidente? Mi preparo a scendere” rispose Gold tenendo la giacca con una mano.
“E’ pazzo! Così si farà ammazzare” disse Emma.
“Meglio io che la mia piccola Rose. Non posso starmene qua a non fare nulla” disse Gold.
“Lei zoppica” disse Emma.
“Grazie per avermelo ricordato, ma lo so da me” disse sarcasticamente Gold. Emma inarcò un sopracciglio.
“Quello che la Signorina Swan voleva dire è che ci vuole qualcuno molto agile per calarsi in questo buco. Quindi vado io” spiegò Graham.
“Se vuole andare, lasciatelo andare. E poi basta perdere tempo in chiacchiere! Vado io!” replicò Regina.
“So di essere storpio ma, per il bene di mia figlia, rischio anche la mia vita” disse Gold.
“Vuoi fare l’eroe?! Bene. Allora calati pure per questo buco. Ma vedi di trarre in salvo anche Henry e non solo la tua cara mocciosa!” replicò Regina.
“Smettetela! Vado io” replicò Emma. Tutti la guardarono.
“Henry è mio figlio” disse Regina.
“E’ anche mio figlio e mi sono affezionata anche a Rose. Lei vive dietro una scrivania da dieci anni” iniziò col dire Emma. Poi guardò Gold, continuando: “Mentre lei, nelle condizioni in cui è, non ce la farebbe. E, poi, Rose ha bisogno ancora di un padre. So come è non avercelo.” Riguardò Regina terminando: “Entrambi dovete ritenervi fortunati ad avere dei figli che vi vogliono così bene e dovreste essere orgogliosi di loro.”
Ci fu silenzio. Poi Regina disse: “ Me lo riporti. La prego.” Ed Emma, dopo aver fatto un piccolo sorriso, andò a prepararsi da una parte insieme a Graham.
Nel frattempo, Henry, Archie e Rose se ne stavano seduti nel montacarichi. Henry aveva preso una pila dal suo zainetto, puntandola verso l’alto. Non vide nulla. Abbassò lo sguardo, guardando quello di Archie. Quindi, abbassando la pila e spegnendola, disse: “Mi dispiace, Archie. Mi dispiace tanto.”
“Sta' tranquillo” disse Archie guardandolo.
“Volevo soltanto trovare delle prove” disse Henry.
“Non scusarti, Henry. È anche colpa mia in fondo. Io… io non credo che tu sia pazzo. Credo solo che tua madre abbia una personalità molto forte. Lei ha le idee chiare sul percorso di vita che vuole per te e, quando ti ribelli, lei… si spaventa. È del tutto naturale” spiegò Archie. Poi guardò Rose, che aveva lo sguardo abbassato sul libro “Once Upon A Time” che teneva in mano, e aggiunse: “E anche il tuo papà è così, Rose. Tu scappi e lui si preoccupa. Ha solo te. Lui non ha mai superato la perdita di tua madre e, per questo, ha paura di perdere anche te.” Rose alzò lo sguardo non dicendo nulla. Poi l’uomo riguardò Henry e aggiunse: “Ma è del tutto naturale che voi due pensiate con le vostre teste. E tu, Henry, che creda ai tuoi pensieri. In verità io non credo alle cose che ti ho detto durante la nostra ultima seduta.”
“Allora, perché le hai dette?” domandò Henry.
“Perché non sono una brava persona” rispose Archie.
“O, forse, perché qualcuno ti ha obbligato a dirle” disse Rose. Archie la guardò e la bambina continuò: “Il mio papà ha sempre parlato bene di te dicendo che sei una persona umile e che cerca sempre di aiutare il prossimo. Non ascoltare quello che ti dicono gli altri. A volte possono essere molto crudeli. Segui solo te stesso.”
“Grazie del consiglio. Ma dovrei essere io a darli” disse Archie. Guardò Henry quando questi gli disse: “Sai, tu puoi essere una brava persona. Insomma, sei il Grillo Parlante.”
Rose roteò gli occhi. Henry lo notò e, guardandola, disse: “Ecco. È proprio per questo che non ti ho voluto più parlare.”
“Riguardo appunto questa faccenda: non ho ancora capito il perché. Cosa ti ho fatto?” gli chiese Rose guardandolo.
“Lo sai cosa hai fatto. Solo che vuoi negare l’evidenza. Tu e tuo padre siete uguali. Anche lui non vuole mai ammettere quando sbaglia” rispose Henry.
“Henry, non credo che Rose sappia con esattezza quello che è successo tra voi due. Se no, non ti avrebbe seguito fin qui. Non credi?” disse Archie.
“Be'… ecco… quando eravamo nella foresta, ho sentito tu e tuo padre che parlavate di una certa Operazione Coccodrillo. E che tu stavi solo assecondando le mie idee. E tuo padre ha detto che dovevi continuare in questo modo” spiegò Henry.
“E’ vero. Faceva tutto parte dell’Operazione Coccodrillo creata da me e mio padre. Secondo lui dovevo solo assecondare le tue idee, in modo che così la Signorina Swan avrebbe creduto più velocemente. Io non ho mai approvato questa sua idea. Ma sai come è fatto mio padre” spiegò Rose mentre faceva andare su e giù un dito sulle scritte dorate della copertina.
“E quindi hai dovuto accettare. Però è stato brutto nel modo in cui l’ho scoperto. Insomma, io e Paige vi avevamo fatto far pace e tu, un secondo dopo, tradisci la nostra amicizia” disse Henry.
“Lo so e ho sbagliato. Credimi, non avrei mai voluto che accadesse ciò. Però, anche tu non avresti dovuto origliare. Lo sai che non si fa?” disse Rose.
“E’ vero. Hai ragione. Quindi suppongo che siamo pari” disse Henry.
“Pari e, spero, di nuovo amici” disse sorridendo Rose e anche Henry sorrise. Poi abbassò lo sguardo e, indicando il libro, aggiunse: “Ehi, ora ci sono. Non è che potresti darmi il libro, per favore?”
Rose glielo porse e, appena Henry lo ebbe in mano, lo aprì sfogliandolo velocemente. Poi si fermò su una pagina e entusiasta disse: “Lo sapevo! Avevo ragione”
“Riguardo cosa?” domandò Archie.
“Riguardo a Rose. Anche lei è nel libro” rispose Henry.
“Henry, io…” iniziò col dire Rose. Ma Henry la bloccò spiegandole: “No. Prima di obiettare, ascolta questo pezzo.” E dopo aver fatto un lungo respiro, lesse un pezzetto di storia: “Da quel momento, la Bella e la Bestia giurarono di proteggere la loro Rosa dal mondo esterno. Nessuno avrebbe scoperto di lei. Nemmeno la Regina Cattiva”. Alzò lo sguardo e spiegò: “Ma non capisci? Rosa è scritto con la lettera maiuscola. Non è il fiore. Ma il nome della loro bambina. Rose. Ovvero te.”
“No. Aspetta un attimo. Se la tua teoria è corretta, perché ultimamente stanno accadendo un sacco di cose strane che non sono coincidenze, questo vuol dire che io sono la figlia della Bella e la Bestia? Ma mio padre non può essere la Bestia” disse stupita Rose.
“In effetti non ho ancora capito chi fosse tuo padre. Ho provato a cercarlo ma nulla” disse Henry.
“Be', prima o poi scopriremo chi è” disse Rose.
“Potresti chiederglielo” propose Henry, chiudendo il libro.
“Non credo che me lo dica e sicuramente mi farà un sacco di domande del tipo: “Perché ti interessa tanto saperlo?” disse Rose, imitando la voce di suo padre nell’ultima parte di frase. I tre risero. Poi, quando smisero, Henry disse rivolto a Archie: “Il Signor Gold ha ragione: tu sei una persona umile  e brava. Sei il Grillo Parlante.”
“Henry, il Grillo Parlante era… un grillo. Rappresentava la coscienza pulita e io non ho la coscienza pulita” disse Archie.
“Prima di diventare un grillo era un ragazzo. Gli ci è voluto molto tempo per capire quale era la cosa giusta” disse Henry.
“Sì… questo sembro io” disse Archie.
“Per colpa del sortilegio, per te è difficile sentire la voce della coscienza ed essere chi vuoi essere davvero” spiegò Henry. Ci fu un’altra scossa.
“Moriremo. Moriremo qua sotto. E io non potrò nemmeno scusarmi con il mio papà e rivederlo per un’ultima volta” disse Rose con le lacrime agli occhi.
“Rose. Rose, ascoltami. Non dire così. Ce la faremo. Ne sono sicuro. Ma ora smettila di piangere” le disse Archie. Ma Rose continuava a piangere. Quindi il dottore aggiunse: “Belle. Tua madre si chiamava Belle.” La bambina lo guardò, rimanendo a bocca aperta e smettendo di piangere.
“Lo sapevo di aver ragione” disse Henry.
Intanto, al piano superiore, Graham aveva appena finito di mettere l’imbracatura a Emma.
“Così dovrebbe andare. Mi raccomando, fai attenzione” disse Graham. I due si guardarono in silenzio.
“Cercherò di tornare in tempo per il nostro appuntamento” disse sarcasticamente Emma.
“In teoria avevamo ancora in sospeso anche l’altro appuntamento” disse Graham.
“Vorrà dire che ne faremmo due in una volta sola” disse Emma. Mentre i due parlavano, Regina li osservava un po’ distante ma con sguardo minaccioso. Ormai, da un po’ di tempo, aveva capito che tra i due scorreva qualcosa di più che semplice amicizia.
Mentre Graham andava da Billy per dargli istruzioni, Gold si avvicinò a Emma: “Signorina Swan, lo so che non le sto molto simpatico, ma voglio solamente che mi riporti la mia bambina. È tutto ciò che mi è rimasta della mia famiglia.”
“Non si preoccupi, Signor Gold. Le riporterò Rose tutta intera” disse Emma. Poi voltò lo sguardo in direzione di Graham, annuendo con la testa. Lo Sceriffo guardò Billy, dicendogli: “Vai”. Il ragazzo pigiò l’acceleratore e la corda, con attaccata Emma, incominciò a scendere, mentre gli altri la guardarono con preoccupazione.
Mentre si calava, dei detriti caddero verso il basso. Gli stessi detriti che andarono a sbattere contro il tettuccio del montacarichi. I tre al suo interno si alzarono in piedi, alzando anche lo sguardo.
“Che succede?” chiese Henry.
“Forse… è un’altra scossa” disse con paura Rose.
“No. Sono i soccorsi” rispose Archie e videro Emma, con torcia in mano. La donna domandò loro: “State bene?”
“Sì. Stiamo bene” rispose entusiasta Archie.
“Ancora un momento” disse Emma. Poi nella ricetrasmittente aggiunse: “ Basta così. Stop” e il cavo si fermò. Tenendosi ben stretta con una mano alla corda, con l’altra aprì una parte del tettuccio del montacarichi. Per primo Archie aiutò Henry, allungandolo a Emma, la quale lo prese. Lo tenne stretto a se.
“Ok. Vai. Ho Henry” disse Emma nella ricetrasmittente e il cavo incominciò a salire. Appena arrivarono in superficie si sentì applaudire. Dopo aver fatto andare Henry tra le braccia di Regina, la ragazza riscese, ritornando sul tettuccio del montacarichi. Poi disse: “Ok Rose. Ora tocca a te.” Ma Rose scosse negativamente la testa e si appoggiò con la schiena a una parete del montacarichi.
“Rose che ti prende? Non è il momento di farsi prendere dal panico” chiese Emma. Ma la bambina rimase lì, contro quella parete.
Dal piano superiore, Gold guardava Regina che abbracciava Henry. Poi disse: “Dov’è Rose? Dov’è la mia piccolina?” Guardò nel buco e gridò: “Rose! Bambina mia! Dove sei?”
Archie si abbassò e, dopo aver messo le mani sulle spalle di Rose, le spiegò: “Lo senti? È il tuo papà che ti sta chiamando. E tu vuoi ritornare da lui, vero? Ascoltami attentamente e forse anche il tuo papà te lo avrà già detto: la tua mamma era una donna molto coraggiosa e non si tirava mai indietro davanti a nulla. E tu hai ereditato questa cosa da lei. Non avere paura, perché la Signorina Swan ti terrà ben stretta e io sarò proprio dietro di voi. Devi solo fidarti.” Quindi il montacarichi tremò.
“Sta per cedere. Non abbiamo più molto tempo” disse Archie e, con decisione, prese in braccio Rose, dandola poi a Emma. La bambina si strinse a lei.
“Ti tengo, piccola. Ti tengo” disse Emma e entrambe guardarono Archie, proprio nel momento in cui il montacarichi cedette del tutto, cadendo vertiginosamente verso il basso.
“Archie!” gridò Rose. Ma, fortunatamente, il dottore si era appigliato, con il manico del suo ombrello, a un gancio dell’imbracatura di Emma. Tutti e tre sorrisero in modo sollevato. Poi Emma parlò nella ricetrasmittente: “Il peggio è passato. Potete tirarci su.” E la corda si mosse. Appena arrivarono in superficie, la folla eruppe in un fragoroso applauso. Emma diede Rose a Gold, che strinse la figlia forte a sé mentre si trovava inginocchiato a terra.
“Mio piccolo dolce fiore. Sei finalmente sana e salva” disse Gold, con quasi le lacrime agli occhi.
“Papà, mi dispiace tantissimo. Scusami se ho di nuovo litigato con te” disse Rose, mentre alcune lacrime le bagnavano il viso.
Gold la guardò e, mettendole le mani sulle guance, disse: “Non ti scusare, bambina mia. L’importante è che ora tu sia qua con me. Ho temuto di perderti, come ho perso tua madre. La mia vita sarebbe stata vuota senza di te.” E dopo averle dato un bacio sulla fronte, la strinse di nuovo contro di sé. Excalibur andò accanto ai suoi padroni, mettendo le zampe anteriori su una gamba di Gold, emettendo dei versetti e scodinzolando. Paige e Henry stavano invece dietro di loro, sorridendo. Regina, intanto, era andata a parlare con Archie che era stato aiutato a uscire dal buco da Emma e Graham.
Venne sera e tutti si trovavano ancora alla vecchia miniera. Gold, però, non aveva mai mollato un secondo la figlia.
“Papà, credimi, non era necessario” disse Rose, mentre si trovava sul sedile del passeggero nella Cadillac del padre con sopra le gambe una coperta di lana che Gold aveva tirato fuori dal baule.
“La sera c’è sempre molto fresco, soprattutto in un luogo come questo. E poi così non rischierai di prenderti un malanno” disse Gold, mentre stava accanto a lei, con una tazza di cioccolata calda in mano. Ne aveva una anche Rose.
“Ci saranno quasi trenta gradi fuori” disse Rose.
“Che non sono alti perché non ti venga un raffreddore” disse Gold, sorseggiando un po’ di cioccolata calda.
“Sembra di essere ritornati in inverno a eccezione che non ci sono alberi di Natale in giro” disse Rose. Ci fu silenzio. Poi Gold disse: “Sono contento che tu e Henry abbiate finalmente fatto pace. A proposito, ti ha detto il motivo del perché non voleva più essere amico con te?”
“Sì, ma non era importante” rispose fingendo Rose, sperando che suo padre non entrasse troppo nei particolari. Di certo non voleva raccontargli che c'entrava lui se Henry aveva smesso di esserle amico. Fortunatamente, Paige capitò lì: “Ehi, Rose, vuoi venire a giocare con me, Henry e Excalibur?”
“Papà, posso?” domandò Rose guardando Gold, il quale guardando Paige disse: “Se giocherete lontano dalla miniera, allora per me va bene”.
Rose sorrise e, dopo aver appoggiato delicatamente la tazza di cioccolata calda sul cruscotto, si tolse la coperta. Abbracciò velocemente il padre e, uscendo dalla macchina, lei e Paige corsero verso Henry e Excalibur. Gold li osservò standosene comodamente seduto nella sua Cadillac e continuando a sorseggiare la cioccolata calda.
Poco dopo, i tre bambini si avvicinarono a Emma e Archie, che erano seduti su di una collinetta a chiacchierare.
“Volevo ringraziarti. Non so cosa mi fosse preso. Ma non ero mai entrata così tanto nel panico” disse Rose.
“E’ una cosa normalissima farsi prendere dal panico in un momento come quello. Ma l’importante è che stiate tutti e due bene” disse Archie guardandola.
“Sapete, ci avete fatto molto preoccupare” disse Emma.
“Non credo che entrerò mai più in una miniera. Anche perché non vorrei far venire un infarto a mio padre. Oggi, per la prima volta, l’ho visto molto sconvolto e scosso. Ma sono contenta che sia ritornato se stesso: prima mi ha portata in macchina, coprendomi con una coperta di lana tirata fuori dal baule e dandomi una tazza di cioccolata calda” disse Rose.
“Sì, è ritornato lo stesso padre protettivo di sempre” disse Paige.
“Credevo di odiare questo lato di lui. Ma mentre ero là giù, ho temuto di morire e di non vederlo mai più. Se io non fossi sopravvissuta, lui sarebbe rimasto solo” disse Rose. Ci fu silenzio. Ma poi Henry chiese: “Li sentite?”
“Cosa?” domandò Emma.
“I grilli. Sono ritornati” rispose Archie.
“E’ vero. Era da tanto che non c’erano” disse Rose.
“Questo vuol dire che le cose stanno cambiando” disse Henry guardando Emma, che lo guardò a sua volta non dicendo nulla. Mentre parlavano, Regina era vicino alla grata. Gold e Excalibur si avvicinarono a lei.
“Avrei potuto perderlo e io non ero con lui” disse Regina.
“Non si dia delle colpe. Prima l’ho fatto anche io. Ma ora Rose è sana e salva, così come suo figlio. Non dovrebbe più pensare a poco fa e di come non sia stata una madre migliore rispetto alla Signorina Swan” spiegò Gold. Regina lo guardò e, semplicemente replicò: “Si disfi della prova.”
“Lo sa che nessuno può lasciare un mio accordo” disse Gold mentre Regina gli passò accanto. Poi la donna replicò: “Lo faccia e basta! Ormai non ha più importanza!”
“Allora vuol dire che mi dovrà dare qualcosa in cambio” disse Gold. Regina si fermò e, voltando lo sguardo, chiese: “E che cosa?”
“Ancora non lo so. Ma, prima o poi, vedrà che mi sarà molto utile” rispose Gold facendo un piccolo sorriso. Regina riguardò avanti, riprendendo a camminare.
Appena fu fuori dalla vista, Gold tirò fuori qualcosa dalla tasca della giacca: si trattava di un pezzo di vetro. Lo stesso pezzo di vetro che Excalibur aveva trovato di mattina presto proprio dentro la miniera. Lo stesso pezzo che poi la fedele volpe aveva consegnato al padrone. Gold guardò quell’oggetto che luccicava. Abbassò lo sguardo quando Excalibur emise dei versetti.
“Noi non le abbiamo promesso che ce ne saremmo disfatti. Andiamo, mia fedele amica” disse sorridendo Gold e, dopo essersi rimesso il pezzo di vetro in tasca, lui e Excalibur ritornarono da Rose e gli altri.




Note dell'autrice: Ed eccomi qua con un altro capitolo finito. Ci ho messo un pò.. E spero di non avervi annoiato con la lunghezza ma avevo un sacco di cose da raccontare. Rose, stavolta,ha rischiato grosso. Nel voler ritornare amica con Henry ( e finalmente sn ritornati amici :)) ha quasi rischiato la vita, con conseguenza di un quasi infarto da parte di Gold. Povero il nostro cucciolo Gold. E, a proposito di cuccioli, credo che tra quella peste di Excalibur e Pongo, ci sia qualcosa di più che una semplice amicizia. Magari si conoscevano già dalla Foresta Incantata. Staremo a vedere. Intanto è già in lavorazione il prossimo capitolo (e purtroppo qualuno morirà :(). Però sono sempre più vicina a Skin Deep (era ora ahahahah)


Passiamo ai ringraziamenti. Ringrazio tutti coloro che seguono e recensiscono la storia. Tutti coloro che hanno messo la storia tra le seguite o preferite. Inoltre ringrazio la mia amica Lucia, che ha creato tutte le copertine dei vari capitoli (abbiamo cambiato l'attrice che interpreta Rose) E con ciò ( e sn contenta perchè sn uscite un sacco di foto promozionali con rob) vi auguro una piacevole giornata. Ci sentiamo al prossimo capitolo. Stay Tuned miei cari Oncers
 
 
 
 
 
 
 
 


 

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Capitolo 27
*** Il Cacciatore e la bambina - Parte I ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo XIV: Il Cacciatore e la bambina -  Prima Parte


 
Storybrooke del passato
 
Graham stava viaggiando sulla sua macchina lungo la strada che percorreva la foresta. Il cielo era uggioso e non prometteva di certo una buona giornata. Ma una buona giornata la sarebbe stata se Graham avesse fatto rispettare la legge tra i cittadini. Dopotutto si trattava del suo compito e il sindaco, che aveva piena fiducia in lui, non voleva errori da parte sua.
Stava per lasciare il confine della foresta quando, con la coda dell’occhio, vide dei movimenti provenire dagli alberi. Gli sembrò di vedere, anche solo per un istante, qualcosa di rosso e bianco muoversi velocemente verso una direzione. Poteva essere un animale, ma da ciò che sapeva non vi erano molti animali – se non nessuno – nella foresta. Decise comunque di togliersi il dubbio e, dopo aver parcheggiato e spento la macchina sul ciglio della foresta, si addentrò  nella vegetazione.
Più camminava per la folta radura e più si sentiva in pace con se stesso. Non lo aveva mai ammesso apertamente, ma odiava la vita di città. Lui amava molto più trascorrere del tempo in posti calmi e isolati dal forte rumore cittadino.
Senza accorgersene, arrivò in un punto della foresta dove la vegetazione era più rigogliosa e, in quel momento, sentì… piangere. Chi poteva piangere? Di certo non un animale. Forse era qualcuno che si era perso e non ritrovava più la strada di casa. Ma quello sembrava il pianto di un neonato, visto che l’intensità del suono era molto alta per essere quella di un adulto.
Graham continuò a seguire quel suono e, appena arrivò a destinazione, rimase a bocca aperta. Davanti a quella che sembrava una piccola tana – e che in realtà lo era, dentro a una cesta si trovava una neonata e stava piangendo.
 
Storybrooke del presente
 
Era trascorsa una settimana da quando era avvenuto l’incidente della miniera. Il luogo era stato messo sotto sequestro fino a nuovo ordine del sindaco. Proprio Regina non voleva che la notizia del salvataggio dei due bambini e di Archie venisse diffusa dalla stampa. Ma in città non si parlava altro che del gesto eroico compiuto da Emma. La ragazza era diventata una “salvatrice” per i cittadini, anche se per Henry lo era sempre stata. E ciò non piacque, ovviamente, a Regina.
“E’ una cosa ineccepibile! Quella donna mi sta rovinando!” replicò Regina un giorno, mentre se ne stava seduta dietro la scrivania nel suo ufficio con Sydney Glass di fronte a lei.
“Ha solo salvato tuo figlio, la figlia di Gold e il Dottor Hopper. Non ha fatto nulla di che” disse Sydney.
“Ma per i cittadini ora è un' eroina! È già tanto che non le abbiano eretto una statua per questo suo gesto. Avrebbe fatto meglio a tenere il naso fuori da quella faccenda!” replicò Regina portandosi una mano su una tempia.
“Dovresti esserle debitrice: dopotutto ha salvato la vita di tuo figlio. Senza di lei, chissà ora dove sarebbe” disse Sydney.
“So solo che ora si trova a casa a fare i compiti. Mentre tu, invece di difendere quella donna, dovresti stare dalla mia parte!” replicò Regina.
“Ma io sono dalla tua parte. Vuoi o non vuoi far soffrire il Signor Gold? Se ben ricordo, abbiamo ancora quella faccenda in sospeso con quella bambina. Com’è che si chiamava? Ah, sì, Lucy Hunter. Voleva farla pagare alla piccola Rose” spiegò Sydney.
“Ti occuperai tu di quella bambina e dei suoi capricci. Ora io ho altri problemi a cui pensare” disse Regina.
“Che cosa devi fare?” domandò Sydney.
“Affari miei! Tu occupati delle due mocciose e vedi di non fallire! O ci saranno amare conseguenze per te” replicò Regina.
Ma a insaputa del sindaco, Henry non si trovava a casa ma…
“E così tua madre pensa che tu ti trovi a casa? Geniale da parte tua mentirle” disse Rose, mentre insieme a Henry e Paige si trovavano nel retro del negozio di Gold.
“Non capisco se la tua frase sia ironica oppure no. Ma ti dirò che non le ho detto assolutamente niente, se non che facevo il bravo e che sarei rimasto in casa” spiegò Henry, mentre davanti a sé, sul tavolo, teneva il suo libro.
“Be', le hai mentito” disse Rose.
“Ok, dobbiamo continuare con l’Operazione Cobra e, già che ci siamo, mettiamoci in mezzo anche l’Operazione Coccodrillo” disse Henry, aprendo il libro.
“Ehm… preferirei non inserire anche l’Operazione Coccodrillo. Non vorrei che mio padre si insospettisse troppo” disse Rose.
“Va bene. Allora, come ben sapete, l’obiettivo dell’Operazione Cobra è quello di far credere a Emma che lei sia la Salvatrice, così la maledizione verrà spezzata e tutti riavranno i loro ricordi della Foresta Incantata. Direi che siamo a buon punto considerando che abbiamo un sacco di persone dalla nostra parte” spiegò Henry.
“Per un sacco di persone quante intendi?” chiese Paige.
“Be', ci sono Emma, il Signor Gold, Archie, Mary Margaret, David Nolan e Ruby” rispose Henry.
“Considerando che mio padre non ama l’Operazione Cobra, Ruby sta in un mondo tutto suo e Mary Margaret e David Nolan – soprattutto quest’ultimo – non si sa che facciano, non abbiamo molte persone dalla nostra parte. Ah, sì, e poi c’è anche Archie” spiegò Rose.
“Ma Archie fa parte dell’Operazione Cobra” disse Henry.
“Era solo un mio temporaneo sostituto. Ora che siamo ritornati amici, il posto è ritornato mio…. almeno spero” disse Rose.
“E che ne dite del cacciatore?” domandò Henry.
“Cacciatore? Quale cacciatore?” chiese Paige.
“Lui. Il nostro sceriffo” rispose Henry indicando un’immagine sulla pagina. Rose e Paige si fecero più vicine e guardarono l’immagine. In effetti si trattava di un cacciatore da come era vestito e stava accanto a un cervo morto con una freccia conficcata nella pancia.
“Graham? Lui sarebbe il cacciatore?” domandò stupita Rose.
“La Regina cattiva si fidava molto di lui e si fida tutt’ora. Faceva qualunque cosa lei gli chiedesse. Be', diciamo non proprio qualunque cosa. Una volta, per esempio, ha risparmiato la vita a una principessa” rispose Henry.
“Ovvio: a Biancaneve. La Regina Cattiva la voleva morta, ma il cacciatore non l’ha uccisa, portandole il cuore di un cinghiale” disse Rose.
“Sarei sorpresa nel sentire che non si trattava di Biancaneve” disse Henry.
“Era Biancaneve: la storia racconta così. O, almeno, quella che mi ha sempre letto mio padre” disse Rose.
“Quella è la versione di tuo padre. Ma c’è un’altra versione ed è in questo libro” disse Henry.
“Se nel libro non è Biancaneve quella che il cacciatore non uccide, allora chi è?” chiese Paige ma, prima che Henry potesse risponderle, sentirono la campanella tintinnare.
“E’ mio padre. Presto, nascondi il libro” disse Rose.
“Perché?” domandò Henry.
“Nascondilo e basta! Non voglio che sospetti qualcosa” replicò Rose. Henry fece appena in tempo a nascondere il libro sulle sue ginocchia che Gold entrò tenendo tra le mani, anche se con la destra faceva un po’ fatica visto che teneva anche il bastone, tre bicchieri di plastica.
“Ho per caso interrotto qualcosa?” chiese Gold guardandoli.
“Niente di che. Noi stavamo solo…solo… guardando queste cose” rispose Rose mentre ognuno dei tre teneva in mano un oggetto diverso preso a caso lì accanto.
“Siete molto gentili a offrirvi volontari così in anticipo per l’inventario che dovrò fare fra qualche mese” disse Gold facendo un piccolo sorriso e i tre rimisero subito a posto gli oggetti.
“Hai fatto presto” disse Rose.
“Granny’s sta solo dall’altra parte della strada. E poi so che a lasciarvi da soli anche solo per cinque minuti metterei a rischio l’incolumità del negozio” disse Gold mettendo davanti a ognuno di loro un bicchiere di plastica. I bambini aprirono i coperchi dei bicchieri, assaporando il dolce profumo di cioccolata calda con cannella per Henry; tè caldo per Paige e tè alla fragola per Rose.
Mentre Henry e Paige incominciarono a sorseggiare le loro bevande, Rose guardò il padre domandogli: “Papà, non è che mentre eri da Granny’s, hai notato qualcosa di strano?”
“Se parli di sua nipote, lei è sempre strana” disse Gold.
“Non parlavo di Ruby. Ma qualcosa di strano riguardante…che ne so… una nuova coppia” disse Rose.
“Figurati se mi vado ad impicciare delle vite altrui. Non sono affari miei ed è meglio per te bere il tuo tè prima che si raffreddi” disse Gold. Senza obiettare, Rose bevve il suo tè alla fragola anche se la sua mente stava già macchinando qualcosa. Sorseggiò un altro sorso. Poi però propose, riguardando il padre: “Non è che potremmo uscire?”
“Avete finito tutti i compiti?” chiese Gold e, dopo che i bambini ebbero annuito, aggiunse: “Va bene. Dopotutto, l’aria naturale è molto più salutare rispetto alla polvere che c’è qua dentro.”
“Forse, se prendessi una domestica, non ci sarebbe tutta questa polvere” suggerì Rose.
“Non ho bisogno di mani estranee tra i miei oggetti. Sono capace anche da solo di riordinare tutto quanto. E poi, la polvere racconta solo le tante storie degli oggetti sulla quale è presente” spiegò Gold e, voltandosi, stava per ritornare nel davanti del negozio, quando si fermò; si avvicinò a Henry e, sussurrandogli, aggiunse: “E, la prossima volta Signorino Mills, veda di nascondere meglio il suo prezioso libro” e se ne andò. I tre bambini si guardarono e Paige stupita domandò: “Ma voi avete capito come fa?”
“Rimarrà un mistero” rispose Rose.
“Il padre è tuo. Dovresti saperlo” disse Henry guardandola. Rose lo guardò senza dire nulla.
 
Poco dopo…
 
“Era questa la tua idea di uscire? Andare al commissariato?” chiese Paige.
“Io la trovo un’idea geniale, così potremmo parlare con Graham dell’Operazione Cobra” disse Henry.
“In realtà la mia idea era un’altra. Henry, mi dici quante persone vuoi nella tua operazione segreta?” domandò Rose.
“Graham è fondamentale, essendo stato un alleato fidato della regina cattiva. Potremmo cercare di fargli ricordare un sacco di cose sulla sua vita passata. E quale sarebbe questa tua idea?” rispose Henry.
“Diciamo che un po’ riguarda anche la nostra operazione” disse Rose ed entrarono nel commissariato. Graham alzò lo sguardo da alcune carte che stava leggendo proprio nel momento in cui i bambini entrarono.
“Mi dite perché voi tre venite sempre qua? Non è un posto per bambini” chiese loro.
“Pensavamo di starti simpatici. È così che tratti i tuoi amici?” domandò Rose.
“Se state cercando la Signorina Swan, è in giro per alcune commissioni e non so quando ritornerà” disse Graham, dando loro la schiena e mettendo via le carte in uno scaffale.
“In verità, eravamo qua per te” disse Rose. Graham si rivoltò verso di loro. Poi chiese: “Riguarda tuo padre? E’ per qualche accordo che non ho rispettato?”
“Mio padre stavolta non c’entra nulla. Volevamo sapere come…ecco… consideri la Signorina Swan” rispose Rose. Henry e Paige la guardarono stupiti. Loro non sapevano nulla dell’idea della loro amica.
“Perché ti interessa? Non credo sia per un compito di scuola” domandò Graham.
“Solo curiosità” rispose Rose.
“Siamo solo amici se è ciò che vuoi sapere” disse Graham.
“Vedo come vi guardate o, specialmente, come tu guardi lei. Vorresti che lei contraccambiasse ma non vuoi rischiare” spiegò Rose.
“Rose, avanti, lo sai che a me puoi dire la verità. Se c’entra tuo padre, dimmelo e basta” disse Graham.
“Ma perché pensi sempre che c'entri mio padre?! E’ solo curiosità mia” disse Rose.
“Va bene. Se proprio vuoi saperlo, i miei sentimenti al momento sono molto confusi. Non so cosa decidere” disse Graham.
“Cosa o chi?” chiese Henry. Graham arrossì leggermente per poi dire: “Ma la volete smettere?! Almeno Paige non si impiccia.”
“Mi son sempre piaciuti gli amori misteriosi” disse Paige.
“Come non detto” disse Graham portandosi una mano sulla faccia.
 “Se sei indeciso, perché non la porti fuori a cena?” domandò Rose.
“Chi scusa?” chiese Graham.
“Ma Emma, naturalmente. E chi se no? Il Sindaco?!” rispose ridendo Rose.
“Già” disse ridendo un po’ Graham. Ma poi si fece serio e domandò: “E se dovesse dire di no?”
“Se non glielo chiederai mai, non potrai mai sapere la sua risposta” rispose Rose.
“Vorrei tanto sapere perché tieni così tanto alla mia vita sentimentale” disse Graham.
“Perché sei amico mio, e da un po’ di giorni ti vedo strano” disse Rose.
“In effetti è diverse notti che faccio sempre lo stesso sogno. Poi mi sveglio come se fosse stato tutto reale” spiegò Graham.
“Magari sono visioni del passato” disse Henry. I tre lo guardarono in silenzio. Poi Graham chiese: “Allora che cosa mi consigliate di fare?”
“Te l’ho già detto prima: invitala fuori a cena o, se proprio non vuoi fare ancora le cose in grande, portala semplicemente da Granny’s” spiegò Rose e Graham la guardò senza dire altro.
Poco dopo, Rose, Henry e Paige stavano passeggiando per la via principale.
“Rose, adesso saresti così gentile da dirci che cosa hai in mente con Graham?” domandò Henry.
“Anche perché sei stata molto misteriosa con noi” aggiunse Paige.
“La mia idea era quella di far mettere insieme Graham ed Emma, in modo che Graham facesse credere a Emma. Ma, ovviamente, noi dovremmo prima far credere a Graham” spiegò Rose.
“Ci ho capito poco in questo tuo giro di parole, ma se facciamo ricordare Graham, di conseguenza lui ci aiuterà a far ricordare Emma, vero?” disse Henry.
“Diciamo di sì. Però prima dobbiamo trovare Emma” disse Rose.
“Perché vuoi trovarla?” chiese Paige.
“Ogni risposta a suo tempo” rispose Rose. Trovarono Emma davanti a Granny’s. Si avvicinarono a lei. La ragazza si voltò verso di loro.
“Buongiorno, Signorina Swan. Bella giornata, vero?” disse Rose. Emma sospirò per poi domandare: “Avanti, che cosa c’è, Rose?”
“Crede che ci sia qualcosa?” chiese Rose.
“Con te c’è sempre qualcosa. O con te o con tuo padre” rispose Emma.
“Anche tu ce l’hai con mio padre?! Ma mi dite che vi ha fatto?!” disse stupita Rose.
“E’ irascibile” rispose Emma.
“Lo posso diventare anche io” disse Rose facendo un piccolo sorriso.
“Non saresti sua figlia. Allora, di cosa volevate parlarmi?” domandò Emma.
“Ha mai pensato di uscire con Graham?” chiese Rose.
“E ora questo da dove salta fuori?” domandò Emma guardando stupita i tre bambini.
“Noi lo troviamo molto carino” disse Paige.
“E, inoltre, è anche molto leale” aggiunse Henry.
“Sul fatto che sia leale, lo metto in dubbio” disse Emma.
“In che senso?” chiese Paige.
“Lasciamo perdere” rispose Emma. Poi guardò Rose e aggiunse: “Ma perché volete che esca proprio con Graham?”
“Non mi dica che ha già puntato gli occhi su qualcun altro?!” domandò stupita Rose.
“No. Non è quello. È solo che…” iniziò col rispondere Emma.
Ma Rose la bloccò dicendole: “Allora vedrà che non se ne pentirà ad uscire con Graham. E poi che cosa le costa?”
Emma ci pensò un po’ su e guardò i tre in silenzio. In quel momento, però, videro un po’ distante Regina che stava parlando con Moe French. Ricordandosi di ciò che era successo l’ultima volta con quell’uomo e della poca simpatia nei confronti del sindaco, Rose disse, riguardando Emma: “Be', sarebbe bello se uscisse con Graham. Voi due formate proprio una bella coppia. Ma ora dobbiamo andare. Abbiamo un sacco di cose da fare.” E, velocemente se ne corse nel negozio di suo padre che si trovava dall’altra parte della strada.
Henry e Paige guardarono Emma e poi, senza dire nulla, seguirono velocemente l’amica. Emma non fece neanche in tempo a chiedere spiegazioni che Regina si avvicinò a lei, parlandole.
Dall’interno del negozio dei Pegni, Rose, Henry e Paige osservarono le due donne parlare, standosene davanti alla porta.
“Ci è andata bene. Per poco non ci vedeva” disse Rose.
“Per poco non vedeva me. Se avesse scoperto che ero in giro con voi, anziché a casa a fare i compiti, mi avrebbe dato una bella sgridata” disse Henry.
“Solo quella? Un po’ pochino considerando che persona è” disse Rose. I tre continuarono a guardare le due fuori, non accorgendosi che dietro era comparso Gold, il quale domandò: “Invece di starvene lì a spiare la gente altrui, perché non mi aiutate qua in negozio?”
I tre bambini si voltarono verso di lui e Rose rispose: “Non stavamo spiando nessuno.”
“A me sembra il contrario. Vi ho visti prima che stavate parlando con la Signorina Swan” disse Gold.
“Esatto. Solo con la Signorina Swan. Il sindaco non era incluso nella conversazione” disse Rose.
“Visto che, per il momento, non avete nulla da fare, vi do due opzioni: aiutarmi a mettere a posto alcuni oggetti oppure fare il bagno a Excalibur” disse Gold e tutti voltarono lo sguardo verso la volpe che, sentendosi nominare, si destò dal suo sonno nella cesta posta dietro al bancone. L’animale scosse negativamente la testa alla sola idea di finire in una bacinella piena d’acqua. Lei e l’acqua non andavano molto d’accordo.
Poco dopo, i tre bambini si trovavano nel retro bottega, seduti a terra intorno a una bacinella colma d’acqua, dentro alla quale vi era Excalibur. I bambini erano ricoperti di schiuma, così come la volpe.
“Forse sarebbe stato meglio se avessimo scelto l’altra opzione. Penso che sarebbe stato meno traumatico che fare il bagno a Excalibur” disse Paige.
“E tu reputi meno traumatico mettere a posto oggetti pieni di polvere? Buon per te” disse Rose.
“Magari troviamo pure qualcosa di interessante” disse Henry.
“Seriamente, Henry, cosa speri di trovare tra cose vecchie di molti anni a parte ragni e ragnatele?” chiese Rose.
“Be', questo è un Negozio dei Pegni: gli oggetti presenti qua dentro nasconderanno sicuramente un passato misterioso” spiegò Henry.
“Pensala come vuoi ma, per me, rimarranno sempre vecchi oggetti portati qua da persone che volevano solo guadagnare qualcosa in cambio di altro” disse Rose. Quando Excalibur si scosse e l’acqua finì addosso a loro.
“Basta! Ci rinuncio! Siamo più zuppi noi di lei. È impossibile farle il bagno” disse Rose, gettando la spugna nella bacinella.
“Quindi, di conseguenza, scegliete l’altra opzione?” si sentirono domandare. I tre voltarono lo sguardo, per vedere Gold sulla soglia della porta, tenendo in mano qualcosa.
“Quello che cosa è?” gli chiese la figlia.
“Un asciugamano” rispose Gold. Rose sgranò gli occhi per poi replicare: “Già sapevi che sarebbe andata a finire così?!”
“Quando voi ve ne andate in giro a curiosare, io mi dedico ad altro e ciò include anche cercare di fare il bagno a Excalibur. Sapevo che non ci sareste riusciti. Io ci ho rimesso tre completi nuovi” spiegò Gold.
“Avresti potuto avvertirci prima” disse Rose mentre si asciugava con l’asciugamano appena datogli dal padre per poi passare l’oggetto agli amici.
“Excalibur non è solo mia. Quindi anche tu devi prenderti cura di lei” disse Gold. Excalibur uscì dalla bacinella con la pelliccia tutta bagnata. Andò accanto a Gold. Questi abbassò lo sguardo, dicendole: “Vedi di non andare a bagnarmi il negozio o se no userò te come straccio.” Excalibur si scosse lì accanto a lui. Gold rivolse lo sguardo ai bambini.
“Dobbiamo proprio fare quell’altra cosa?” domandò Rose.
“Così almeno starete fuori dai guai” rispose Gold e, con il bastone, spostò in avanti un primo scatolone.
“Siamo a casa da scuola e non è giusto farci lavorare” disse Rose.
“Quando sarai diventata grande, potrai decidere anche da sola. Ma finché vivrai con me, rispetterai le mie regole” spiegò Gold spingendo, sempre con il bastone, un secondo scatolone.
“Le tue regole sono infinite. È impossibile rispettarle tutte” disse Rose.
“Sono contento anche se ne rispetterai alcune” disse Gold spingendo, infine, un terzo scatolone. I bambini si avvicinarono a essi, guardando i tanti oggetti che vi erano. Alzarono lo sguardo quando Gold disse loro, facendo un piccolo sorriso: “Buon lavoro” e, insieme a Excalibur, se ne andò nel davanti del negozio.
Passò un’ora da quando i tre avevano iniziato a mettere a posto tutti quegli oggetti presenti negli scatoloni e, se prima con Excalibur si erano bagnati e riempiti di schiuma, ora erano ricoperti di polvere.
“Non so voi, ma sto pensando che tutto ciò sia solo un’altra punizione appositamente pensata dalla mente diabolica di mio padre” disse Rose.
“Non credo, anche perché le punizioni, di solito, le dà solo a te” disse Paige e Rose le lanciò un’occhiataccia.
A un certo punto, Henry disse: “Ehi, guardate cosa ho trovato.”  Dal suo scatolone, estrasse un coltello.
“Davvero magnifico” disse Rose osservando l’oggetto.
“Infatti è stupendo” disse Henry.
“La mia era una frase ironica. È semplicemente un coltello appartenuto a qualcuno” disse Rose.
“E io so anche a chi” disse Henry e, dopo aver appoggiato il coltello a terra, estrasse il suo libro dallo zainetto. Ne voltò velocemente le pagine fino a fermarsi a una storia. Mostrò alle amiche l’immagine.
“Al cacciatore?!” disse stupita Paige.
“Confrontate bene i due coltelli: noterete che sono uguali” disse Henry.
“Io noto solo che hanno una lama e un manico” disse Rose. Henry mise il libro a terra e, riprendendo il coltello, spiegò mostrandolo alle amiche: “ Questo era davvero del cacciatore. Sul manico sono incisi un cervo e un lupo.” Rose osservò il manico del coltello in silenzio.
“E questo sarebbe una buona cosa?” chiese Paige.
“Potrebbe aiutarci con la nostra operazione. Lo daremo a Graham e, forse, lui ricorderà” rispose Henry.
“Che cosa ne pensi, Rose?” domandò Paige e guardarono l’amica. Rose osservò ancora il coltello. Poi alzò lo sguardo e rispose: “E’ solo un coltello. Magari non è nemmeno appartenuto a Graham”
“Però, prova a pensarci: non credo che questo coltello fosse nello scatolone per caso. E, guarda caso, tuo padre ci fa rimettere a posto proprio questi oggetti” spiegò Henry.
“Tra i quali compare anche il coltello” aggiunse Paige.
“Come hai sempre detto, tu non credi alle coincidenze. Come non ci crede tuo padre” iniziò col spiegare Henry e, dopo averle consegnato il coltello e preso il libro, continuò: “Quindi è venuto il momento di credere in quello che c’è qua dentro.” Mise una mano sulla copertina. La stessa cosa la fece anche Paige. I due guardarono Rose. All’inizio esitò. Poi però allungò una mano, appoggiandola sulla copertina.
“Insieme, faremo credere e la maledizione si spezzerà. Uniti si può affrontare ogni sfida” disse Henry. Rose se ne rimase in silenzio, non del tutto convinta.
Venne sera e, a Villa Gold, Paige e Rose si trovavano nella camera da letto di quest’ultima. Erano sedute sul letto e stavano osservando il coltello. Erano riuscite a nasconderlo alla vista di Gold, mettendolo all’interno dello zainetto da scuola, anche se comunque Gold aveva lo stesso sospettato qualcosa, soprattutto dopo che Excalibur aveva incominciato a curiosare all’interno dello zainetto.
“Tu non credi veramente alla teoria di Henry, vero? L’ho notato dal tuo sguardo poco convinto” disse Paige. Rose sospirò per poi dire: “Non è che non gli credo. È che penso sia solamente un’altra coincidenza, anche se ho sempre detto di non credere alle coincidenze”
“Cerca di non commettere l’errore dell’altra volta: Henry non deve pensare che lo stai solo assecondando, invece di credergli” disse Paige.
“Ma io gli credo. Stanno succedendo troppe cose strane tutte in una volta” disse Rose. Si sentì bussare alla porta e la voce di Gold dall’altra parte: “Bambine?”
“Solo un attimo” disse Rose e, guardando Paige, aggiunse sottovoce: “Nascondi il pugnale” e le consegnò l’oggetto. Gold continuò a bussare mentre Paige correva velocemente da tutte le parti cercando un nascondiglio per il coltello. Finalmente lo trovò. Aprì l’armadio e lo nascose tra alcuni vestiti a terra.
“Bambine, posso entrare?” chiese Gold bussando un’altra volta. Paige corse velocemente sul letto al fianco di Rose. Quest’ultima rispose: “Vieni pure dentro.” Gold aprì la porta, seguito da Excalibur.
“Bambine, vi credevo già a letto. Avete visto che ore sono? È tardi” disse Gold.
“Ma noi siamo già a letto” disse sorridendo Rose e Paige annuì.
“Ognuno nel suo. Tu, ci sei già” disse Gold indicando, con il bastone, la figlia. Poi, spostò l’oggetto verso Paige, aggiungendo: “Mentre tu, nella tua camera.” E lo rimise a terra. Le due bambine si guardarono per poi ridere.
“Come mai siete così contente?” domandò Gold. Le due lo riguardarono. Poi Rose rispose: “E’ che sono felice per essere ritornata amica con Henry.
“Solo per quello?” chiese Gold.
“Perché ci deve essere altro?” domandò Rose.
“E’ che, di solito, quando voi tre vi ritrovate insieme, architettate sempre qualcosa. Non è che anche questa volta avete in mente un piano?” chiese Gold.
“Ti sembrerà strano, ma questa volta siamo semplicemente felici. Forse è stato un bene che la miniera sia quasi crollata, così io e Henry abbiamo potuto chiarirci e ritornare a essere amici” rispose Rose.
Ma la bambina non si accorse di aver toccato un tasto dolente. Infatti Gold replicò: “Non dire una cosa del genere! Stavi quasi per morire e io non ero lì a proteggerti! Non voglio più che parli di quella miniera! Capito?!”
Ci fu silenzio. Poi Rose abbassò lo sguardo e tristemente disse: “Scusami papà”.
Gold si sedette sul letto e, mettendo una mano sotto il mento della figlia, in modo che così lei lo guardasse negli occhi, le disse: “Se ti avessi persa, non mi sarebbe rimasto nessuno. Tu sei la mia unica famiglia e sei troppo importante per me. Ricordatelo sempre.”
Rose lo abbracciò. Paige li guardò sorridendo, così come Excalibur li osservava da terra, scodinzolando.
Padre e figlia si guardarono e Gold disse: “E ora a nanna.” Excalibur salì sul letto. Fece un paio di giri e, dopo essersi acciambellata, sbadigliò.
“Ma noi non abbiamo sonno. Non è che potresti raccontarci una storia?” propose Rose. Gold le guardò inarcando un sopracciglio e persino Excalibur alzò la testa.
“E così volete una storia?” disse Gold facendo un piccolo sorriso.
“Sì. Ma deve essere una bella e che Paige non abbia mai sentito” disse Rose. Gold sembrò pensarci un po’ su. Poi disse: “Va bene. Allora vi racconterò del Cacciatore e della bambina.
Rose e Paige si guardarono stupite ed Excalibur drizzò le orecchie. Poi voltarono nuovamente lo sguardo verso Gold e Rose disse: “Non l’ho mai sentita. Sicuro che esista?”
“Volevi che raccontassi una storia che la Signorina Grace non ha mai sentito, vero?” domandò Gold.
“Sì ma…” iniziò col rispondere Rose.
Ma Gold la interruppe dicendo: “Allora lasciamela raccontare. E poi vedrai che piacerà anche a te. Dopotutto è una storia nuova... be'... più o meno."
Le bambine e la volpe porsero del tutto l'attenzione su di lui. Quindi, Gold, incominciò: “Anni fa, un cacciatore stava perlustrando la foresta, quando sentì degli strani rumori. Dapprima pensò che fosse un animale e…”
Ma Rose lo interruppe dicendo: “No. Un momento. Non ci sono animali nella foresta di Storybrooke.”
“Ho mai parlato di Storybrooke? Questa è una foresta di una favola” disse Gold.
“Lascialo continuare, Rose” disse Paige.
“Allora. Dove ero rimasto… ah, già… dapprima il cacciatore pensò che fosse un animale. Seguì i rumori, fino ad arrivare al luogo da dove provenivano. Non si trattava di un animale, ma di una neonata che stava piangendo. La trovò accanto a una piccola tana” continuò Gold.
“Una piccola tana?! Scommetto una tana di volpe, vero? Di certo non poteva essere quella di un lupo” disse Rose, interrompendo nuovamente il padre.
“Vuoi che continui la storia o preferisci interrompermi ogni volta?” chiese Gold.
“Sto incominciando a dubitare che si tratti di una storia. Ma di qualcosa che sia già accaduto” rispose Rose.
“E’ tutto frutto della mia immaginazione. Volevi una storia nuova e io ti sto accontentando. O, almeno, sto cercando di farlo, visto che continui a interrompermi” disse Gold.
“Va bene. Non ti interromperò più” disse Rose. Gold sorrise e proseguì con il racconto.




Note dell'autrice: Buon pomeriggio Oncers. Siete ancora emozionati dalla prima puntata della quinta stagione? Io sì e Rob è stato il migliore. Il momento della rosa incantata dentro alla teca di cristallo non parliamone: feelings a go go per il film d'animazione della Disney che ho sempre adorato e che adoro tutt'ora (è il mio preferito). Non vedo l'ora che arrivi domenica per il secondo episodio. Emma mi mette soggezione. Meglio Rumple. E poi la storia di Excalibur e il pugnale...ok mi fermo per noi spoilerare nulla a chi ancora non ha visto la puntata.
Passiamo quindi al capitolo. Come vi avevo anticipato precedentemente, questo capitolo è incentrato su Graham. Ebbene sì. E' il nostro amato sceriffo/cacciatore a trovare una Rose neonata nella foresta accanto a quella piccola tana (chissà di quale animale). Secondo voi, Graham prenderà con sè la piccola Rose? Forse è anche per questo che i due, in futuro, sono amici.
E ora ai ringraziamenti. Ringrazio tutti/e coloro che recensiscono, leggono o hanno messo tra le preferite e seguite la storia. Ringrazio anche tutti coloro che leggono la storia in silenzio e sono arrivati fin qua, sperando di non avervli annoiato troppo. Inoltre ringrazio anche la mia amica Lucia per il grande aiuto che mi da.
Con questo ci rivediamo alla seconda parte del capitolo e buon inizio di quinta stagione, Oncers

 

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Capitolo 28
*** Il Cacciatore e la bambina - Parte II ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo XIV: Il Cacciatore e la bambina -  Seconda Parte

 
Storybrooke del passato
 
Graham era rimasto spiazzato nel trovarsi di fronte quella neonata che stava piangendo. La bimba si trovava dentro a una cesta di vimini. Accanto alla neonata c’era una rosa che sembrava non essere mai appassita. Inoltre, intorno al collo, la bambina portava un medaglione con un arcolaio dorato, accanto a una rosa anch’essa dorata.
Lo sceriffo si guardò intorno. Chi aveva abbandonato quella bambina poteva essere ancora nei paraggi. Ma, non vedendo nessuno, ripuntò lo sguardo sulla neonata. Era rossa in viso dal gran che piangeva. Si abbassò e, con tono dolce, le parlò: “Shhh, non voglio farti del male. Su, smetti di piangere” Ma, appena avvicinò le mani, la neonata strillò più forte. Graham non sapeva che fare. Ma non poteva nemmeno lasciarla lì a morire di fame anche se, dalla condizioni in cui versava, sembrava godere di ottima salute. No. Non poteva abbandonarla. Quindi prese la cesta con dentro neonata e rosa e si allontanò dalla piccola tana dove, poco dopo, arrivò qualcosa di rosso e bianco. Emise dei versetti e corse dietro allo sceriffo, ma lo raggiunse troppo tardi, perché lo vide partire con la macchina. Quel qualcosa abbassò tristemente le orecchie per poi ritornarsene all’interno della foresta.
Graham arrivò in città. Ma poi fermò la macchina e guardò la neonata nel sedile accanto. Continuava a piangere. Era impossibile che una bambina così piccola – chissà di quanti mesi – potesse piangere così tanto. Quante altre lacrime aveva ancora da versare? Sarebbe morta di pianto? Nessuno era mai morto dal troppo piangere. Ma doveva far cessare quel pianto. Quindi andò dall’unica persona che, secondo lui, lo avrebbe potuto aiutare.
Poco dopo, Graham camminava per i corridoi dell’ospedale, tenendo in mano la cesta con dentro la neonata che, ovviamente, continuava a piangere. Piangeva così forte che i presenti si voltavano per guardarlo. Graham si sentiva quasi in imbarazzo. Finalmente arrivò da chi stava cercando. Si schiarì la voce e questo qualcuno, voltandosi, domandò: “Sceriffo, a cosa devo la sua visita?”
“Dottor Whale, ho bisogno di un… consulto. Ma non per me. Per… lei” rispose Graham ed entrambi abbassarono lo sguardo verso la neonata.
Poco dopo, i due si trovavano in una sala e Graham, seppur con molta fatica, aveva preso la neonata dalla cesta, mettendola sul lettino. Il Dottor Whale incominciò a visitarla, controllandole ogni cosa. A visita finita, il dottore tolse lo stetoscopio da sopra il petto della neonata, che non aveva mai smesso di piangere.
“Allora che cos’ha?” chiese Graham.
“Assolutamente nulla. Questa neonata è in sanissime condizioni. Davvero l’ha trovata nella foresta?” rispose Whale guardandolo.
“Ma è impossibile che non abbia nulla! Perché, allora, continua a piangere? Deve avere qualcosa” replicò Graham.
 
“Sceriffo, le ho già detto che non ha nulla. Questa neonata sta bene. Mi chiedo solo come abbia potuto sopravvivere da sola nella foresta” disse Whale.
“Non saprei. Stavo passando di lì per la mia perlustrazione di routine. L’ho trovata accanto a una piccola tana. Ho guardato intorno, ma non ho trovato nessuno. Ma non capisco perché continui a piangere” disse Graham.
“Piange perché le manca qualcosa” disse Whale.
“E cosa?” domandò lo sceriffo.
“Affetto. La tenga in braccio. L’accudisca” rispose Whale, incominciando ad allontanarsi dal lettino. Whale diede un’occhiata veloce alla neonata, per poi seguire il dottore e in modo stupito chiedere: “Come sarebbe a dire, accudirla?!”
“Crescerla come se fosse sua” rispose Whale, continuando a camminare.
“Ma… ma io non posso. Non so come si cresca un bambino. E poi ho già troppo da fare” disse Graham. Whale si fermò e, guardandolo, disse: “Allora la porti da qualcun altro che non abbia troppo da fare. Ma qua non può stare.” Stava per riprendere a camminare, quando si rivoltò e aggiunse: “Ah sì, un’altra cosa: quando può, passi da Gold e gli dica da parte mia di smetterla di aumentarmi l’affitto!”
“Ma non ci potrebbe andare lei?” domandò Graham.
“A lei darà più ascolto. E mi raccomando: non voglio che cacci i miei pazienti per strada. Quindi deve convincerlo, a tutti i costi, a non aumentare l’affitto” rispose Whale e, voltandosi, se ne andò. Graham sbuffò. Poi si riavvicinò alla neonata che continuava a strillare. Era quasi intenzionato a lasciarla lì. Magari qualcuno di più volenteroso di lui sarebbe passato e l’avrebbe presa con sé. Ma lui non era cattivo. Quindi la prese delicatamente e, dopo averla rimessa nella cesta, uscì.
Sulla strada di casa, però, si fermò. Come avrebbe potuto occuparsi di una neonata? Non lo aveva mai fatto prima. Lui stesso era stato abbandonato. Guardò dall’altra parte della strada. Si era fermato proprio di fronte alla Dark Star Pharmacy. Se doveva crescerla, avrebbe dovuto anche acquistare il necessario per farlo. Guardò la neonata, dicendole: “Vado un attimo in quel negozio. Tu rimani qua e fai la brava.” Non sapeva se la neonata lo avesse capito ma, per un attimo, smise di piangere e lo guardò. Graham non poteva crederci. Aveva smesso di piangere. Fece un piccolo sorriso e mise una mano su quelle piccole di lei.
“Grazie” disse semplicemente. E voltandosi, uscì dalla macchina. Attraversò la strada ed entrò nel negozio dal quale ne uscì poco dopo, con un sacco di buste della spesa. In quel momento, Regina si fermò accanto a lui.
“Ti stavo cercando. Ma dove eri finito?” chiese Regina.
“Ho avuto da fare” rispose Graham. Regina abbassò lo sguardo sulle buste della spesa e intravide dei pannolini per bambini.
“Quelli sono pannolini per bambini. A chi stai facendo da babysitter? A qualcuna che ha appena avuto figlio e io non ne sono stata messa al corrente?” domandò Regina. Si sentì piangere, ed entrambi voltarono lo sguardo verso la macchina dello sceriffo. La donna, a passo spedito, la raggiunse. Guardò all’interno di essa vedendo la neonata, dentro la sua cesta posta sul sedile del passeggero, piangere. Guardò Graham, che si affiancò a lei, e stupita disse: “E’ uno scherzo, vero?!”
“Purtroppo no” rispose Graham.
“Credevo di potermi fidare di te! Credevo non avessimo segreti!” replicò Regina ormai furente.
“Non è come pensi. Ho trovato questa neonata nella foresta qualche ora fa. E ho pensato di…” iniziò col spiegare Graham. Ma Regina lo bloccò: “… di prendertene cura, non è così?! Da' retta a me: tu non sei adatto a fare il padre. Tu stesso sei stato abbandonato dai genitori. Quante probabilità hai di crescerla bene? Ritrova i genitori che l’hanno abbandonata o, ancora meglio, lasciala davanti al convento delle suore. La faranno morire prima loro di te.” Ma lo sguardo del sindaco si fermò sulla rosa e sul medaglione che la neonata portava al collo. Quell’arcolaio dorato le sembrava vagamente familiare. Quindi riguardò Graham e gli chiese: “Dove hai detto che hai trovato questa mocciosa?”
“Nella foresta. Accanto a una piccola tana. Perché ti interessa?” domandò Graham. Regina fece un sorriso malizioso, quasi malefico. Quindi disse: “Niente di importante. Credo che le suore vadano bene per lei. Dopotutto non vogliamo una mocciosa tra i piedi, no?” Graham non disse nulla. Lui già teneva a quella bambina. Perché, invece, Regina voleva disfarsi di lei? Nemmeno la conosceva. Quali problemi le avrebbe potuto arrecare?
Regina mise una mano sotto il mento di Graham e, con voce sensuale ma allo stesso tempo anche acida, disse: “I sentimenti rendono l’uomo debole. Ma tu non sei un uomo debole. In te ho sempre avuto tanta fiducia, mio fedele sceriffo. Non fare in modo che cambi idea. Anche perché il tuo cuore appartiene a me e non a una mocciosa.” E, voltandosi, se ne andò. Graham la seguì con lo sguardo. Poi aprì la portiera dell’auto e vi salì. Mise le buste della spesa sul retro e guardò la neonata che piangeva. Aveva fatto una scelta e l’avrebbe portava avanti fino in fondo. Almeno, ci sperava.
Ovviamente, il resto della giornata non trascorse piacevole in casa dello sceriffo. Graham aveva non pochi problemi nell’occuparsi della neonata. Mentre le faceva il bagno, si era bagnato più lui di lei. Cambiarle il pannolino era stata una grande impresa: da metterlo all’incontrario a non riuscire ad agganciarlo. Alla fine, però, la sua tenacia aveva prevalso sull’oggetto. A fatica era riuscito anche a prepararle il latte. Si era scottato un paio di volte ma, almeno, la neonata era riuscita ad assaporare la bevanda. Ma la sfida più ardua era quella di riuscire a farla dormire. Era già da un’ora che andava avanti e indietro per il salotto, tenendo la bambina su una spalla e dandole leggere pacche sulla schiena cercando di farla smettere di piangere. Ma la neonata sembrava non avere proprio voglia di chiudere occhio.
“Hai pianto per tutta la giornata. Dovrai pur aver sonno” disse Graham. Ma la neonata strillò ancora più forte.
“Eppure il Dottor Whale ha detto che ti mancava l’affetto. Ti ho presa con me. Ti ho dato da mangiare. Lavata. Cambiato il pannolino. Dimmi che altro devo fare?” disse Graham. Poi si fermò. Sorreggendo delicatamente il corpo la mise davanti a sé, aggiungendo: “Ti prego. Te lo chiedo solo per favore. Smetti di piangere. Ti voglio solo aiutare. Voglio solo che tu sia felice.” E la neonata smise di piangere. Lo guardò con quegli occhi così rossi dal troppo pianto. Graham era quasi, anche lui, sul punto di piangere. Ma per la contentezza. Quindi disse: “Grazie. Grazie, piccola.” E, avvicinandola a sé, la baciò delicatamente sulla fronte. Poi la guardò in silenzio. Se davvero nessuno, fino ad ora, si era mai accorto di lei, allora voleva dire che era riuscita a sopravvivere nella foresta. Ma chi allora, se non i suoi genitori, si era preso cura di lei?
L’indomani mattina, dopo aver fatto una veloce colazione e aver dato il latte alla neonata, Graham partì in macchina, portandosi con sé anche la bambina dentro alla cesta con la rosa. Decise di andare da Gold. Voleva risolvere la questione per conto del Dottor Whale.
Parcheggiò di fronte al Negozio dei Pegni. Prese la cesta con la neonata ed entrò nell’edificio.
“Signor Gold, ho bisogno di parlarle” lo chiamò e chiuse la porta dietro di sé. Gold emerse dal retro bottega. Fu stupito nel vedere lo sceriffo con una neonata. Quindi, facendo un piccolo sorriso, disse: “Finalmente, vedo che lei e il sindaco vi siete dati da fare.”
“Non è come crede” disse Graham avvicinandosi al bancone.
“Sa, dicono tutti così solo per coprire la verità. Ma almeno così, il sindaco avrà altro amore da dare” disse Gold. Graham mise la cesta con dentro la neonata, che continuava a piangere, sul bancone per poi spiegare: “Questa bambina non è mia e del sindaco. L’ho trovata ieri nella foresta. E, non essendoci i genitori nei paraggi, ho pensato di portarla con me e prendermene cura. Non potevo abbandonarla.”
“Se è venuto qua per parlarmi di questo, le ricordo che non sono un’agenzia di baby sitter” disse Gold, avvicinandosi cautamente alla cesta.
“Il sindaco vuole che la lasci al convento delle suore. Ma non ho il cuore per riuscirci” disse Graham. Gold si trovava di fronte alla cesta. La neonata, per un po’, smise di piangere anche se continuava a singhiozzare. Lo sguardo di Gold si fermò sul medaglione dorato che la bimba portava al collo. In quel preciso momento, qualcosa gli ritornò in mente. Un lontano ricordo che, forse, aveva dimenticato o, semplicemente, gli era stato sostituito. Allungò le mani verso la bambina, prendendola in braccio, e la piccola smise del tutto di singhiozzare.
Graham rimase stupito. Lo guardò cullare la neonata che, tutto ad un tratto, si era calmata tra le braccia di Gold.
“Come ci è riuscito? In tutto ieri non ha fatto che piangere. Mentre con lei ha smesso subito” chiese Graham.
Ma Gold non rispose. Aveva occhi sono per la neonata che sembrava veramente apprezzarlo. Da quando stava tra le sue braccia, non aveva più versato una lacrima. Poi domandò: “Dov’è che l’ha trovata?”
“Nella foresta. Accanto a una piccola tana. È importante?” chiese Graham. Gold alzò lo sguardo rispondendogli: “E’ mia figlia” Graham rimase lì, stupefatto da quella risposta. Poi ripete: “Come, è sua figlia?”
“Questo medaglione lo avevo donato a sua madre. Evidentemente deve averglielo dato in un momento successivo. Rose. E’ questo il suo nome” rispose Gold, guardando con dolcezza la figlia perduta.
“Ma come è possibile che non abbia mai saputo nulla di lei?” domandò Graham. Era chiaro che voleva capirci di più in quella storia. Qualcosa non gli tornava.
“Mi avevano detto che era morta. Uccisa da dei sacerdoti, dopo che lei e la madre erano andati da loro. Avevano torturato la madre e poi lei, per la pazzia, si era gettata dalla torre dove l’avevano rinchiusa. I sacerdoti, credendo che la bambina fosse figlia del demonio, uccisero anche lei. Se avessi saputo che si trovava nella foresta, sarei andato subito a salvarla” spiegò Gold e strofinò la sua guancia contro quella di Rose, che emise dei versetti di contentezza.
“Chi le ha detto ciò?” chiese Graham.
“Ha importanza?” domandò Gold guardandolo.
“No. Ma vorrei tanto sapere chi è così crudele da mentire a un padre sulla vita della propria figlia” rispose Graham.
“Be', ora la mia piccola è qua e non permetterò mai più a nessuno di separarci. Rimarremmo insieme per sempre” disse Gold.
“Allora, a tale proposito, le vado a prendere tutto ciò che avevo comprato per la piccola” disse Graham e, voltandosi, uscì.
Gold rimase da solo con la piccola Rose. La guardò. Le manine della piccola si muovevano alla ricerca di qualcosa da prendere. Per lei era ancora tutto un ambiente nuovo. Le sue manine si attaccarono alla cravatta. Lui le sorrise amorevolmente. Quella creaturina era davvero sua. Come aveva fatto a crearla? Una cosa era certa: non l’avrebbe mai più lasciata andare.
“Ti prometto che ti proteggerò da qualsiasi cosa. Nessuno deve osare farti del male” le disse dolcemente Gold.
Poco dopo, Graham ritornò con un sacco di roba che, gran parte, depositò sul bancone.
“Questo è tutto ciò che ho acquistato per la piccola. Ho preso il necessario perché non sapevo se l’avrei potuta tenere con me” spiegò Graham e soffermò lo sguardo su Rose. La neonata, però, stava continuando a giocherellare con la cravatta del Signor Gold. Questi disse: “Non si preoccupi, sceriffo. Da ora in poi, a Rose non mancherà nulla.”
“Non ho dubbi” disse Graham. Ci fu silenzio. Lo sceriffo continuava a guardare la neonata. Gold interruppe quel silenzio: “Credo che lei abbia del lavoro da fare. Non è così? Qua, ormai, non è più richiesto.” Graham, però, non si muoveva. Continuava a guardare la neonata. Non voleva abbandonarla. Ma sapeva che ora, con Gold, sarebbe stata bene. Dopotutto era il suo vero papà. Si avviò, quindi, verso la porta. Ma si fermò non appena la piccola emise dei versetti. La guardò e vide che gli stava facendo un piccolo sorriso. Anche Graham le sorrise. Sì. Si era affezionato a quella neonata.
“Sceriffo, è ancora qua?” chiese Gold. Graham lo guardò. Poi si voltò e andò verso la porta. Venne nuovamente fermato, ma stavolta da Gold che gli disse: “Non si preoccupi. Potrà vederla quando vorrà.” Lo sceriffo lo guardò e semplicemente disse: “Grazie.” Ma poi gli venne in mente altro. Quindi domandò: “Le racconterà della madre?”
“Perché mai dovrei?” chiese Gold.
“E’ pur sempre sua madre, seppur non è presente. Ha il diritto di sapere la verità” rispose Graham.
“Saprà il necessario quando sarà il momento. La crescerò come avrebbe voluto anche lei. Le insegnerò ciò che è bene e ciò che è male. La proteggerò da qualsiasi cosa. Nessuno oserà farle del male” spiegò Gold. Graham sorrise. Poi disse: “Per quell’altra cosa che avrei dovuto dirle prima.”
“Come vede, ora sono impegnato. Perché non passa in un altro momento?” propose Gold guardando la figlia. Lo sceriffo stava per aprire bocca. Poi, però, la richiuse. Si voltò e uscì dal negozio. La neonata rise contenta. Gold le sorrise dolcemente per poi dirle: “Mio piccolo fiore. La mia dolce Rose.”
 
Storybrooke del presente
 
Gold fece un piccolo sorriso nel ripensare a quel momento. In realtà, quella storia “inventata” non era altri ciò che era veramente successo in passato, quando Graham gli aveva portato Rose. Erano passati anni ma Gold non si era mai dimenticato del ricongiungimento con l’adorata figlia.
Guardò le due bambine ormai addormentate, così come anche la volpe acciambellata in fondo al letto. Si alzò aiutandosi con il bastone, cercando di far meno rumore possibile. Ma non fece in tempo a fare un passo che una manina prese la sua. Abbassò lo sguardo vedendo Rose sveglia. Si guardarono in silenzio. Poi, con voce assonnata, la bambina domandò: “E l’uomo con quella neonata vissero per sempre felici e contenti?” Gold si abbassò e, accarezzandole la testa, rispose: “Sì, e l’uomo non ha mai fatto mancare nulla alla sua bambina. Le ha sempre voluto molto bene e, anche ora, la riempie sempre d’affetto. Sai, lui si ritiene molto fortunato ad averla come figlia, perché è il suo tesoro più prezioso.”
“Anche tu ritieni me il tuo tesoro più prezioso” disse Rose.
“E lo sarai sempre, mio piccolo fiore. Ma ora dormi” le disse sorridendo Gold e, alzandosi, si diresse verso la porta, non prima però che Rose gli dicesse: “Buona notte, papà. Ti voglio bene.” Gold si fermò e, guardandola, disse: “Buona notte, Rose. Ti voglio bene anche io.” E, lasciando leggermente scostata la porta, uscì.
Il mattino seguente, Gold portò Rose, Paige e Excalibur nella foresta. Le due bambine non sapevano di questa sua improvvisa decisione di portarle lì. Ma durante la colazione, aveva semplicemente detto loro che non le avrebbe lasciate a casa da sole. Il loro sospetto era che il lasciarle a casa da sole equivalesse a farle cacciare nei guai, e portandole con sé Gold avrebbe potuto sorvegliarle meglio.
“Non ho ancora capito perché tu abbia voluto portarci con te nella foresta. Dici sempre di non venire mai qua” disse Rose, mentre lo seguivano, con Excalibur che guidava il gruppetto.
“Perché così potrò sorvegliarvi meglio” disse Gold. Ecco. I loro sospetti erano fondati. Il padre voleva tenerle sotto stretta sorveglianza.
“Non ti fidi di noi, vero?” chiese Rose.
“Mi fiderei ma so di per certo che, se vi lascerò da sole anche per pochi minuti, vi caccerete nei guai” rispose Gold fermandosi. Poi abbassò lo sguardo aggiungendo: “Con volpe compresa,” Ed Excalibur, che stava accanto a lui, lo guardò emettendo dei versetti. Le due bambine li raggiunsero.
“E, comunque, non ho ancora capito che cosa ci siamo venuti a fare qua” disse Rose.
“Voi aspettatemi qua. Io devo fare un lavoretto di giardinaggio” disse Gold.
“Giardinaggio?!” ripete stupita Rose.
“Ho voglia di piantare nuove piante nel nostro giardino, e le piante naturali della foresta sono la scelta migliore” spiegò Gold.
“Ma non va contro la legge se tira via delle piante da qua?” domandò Paige.
“Gran parte di questo terreno è di mia proprietà. Quindi non vado contro nessuna legge” rispose Gold.
“Da quando abbiamo un terreno qua nella foresta?!” chiese stupita Rose.
“Ho deciso di acquistarlo per eventuali future edificazioni” rispose Gold.
“Uao! Così magari potresti farci costruire un campo giochi solo per noi e vietato a persone indesiderate” disse Rose.
“Ora non fantasticare troppo. Rimanete qua e non andate in giro. Farò in un attimo” disse Gold e, insieme a Excalibur, si inoltrò tra alcuni alberi.
“Andiamo in esplorazione?” propose Rose.
“Rose, non incominciare. E poi tuo padre è proprio qua dietro. Si accorgerebbe subito che siamo sparite” disse Paige.
“Ma mi sto annoiando” sbuffò Rose.
“Allora trova qualcosa che non ti annoi” disse Paige. Quando sentirono dei rumori. Guardarono davanti a loro per vedere Graham arrivare di corsa. Lo sceriffo si fermò, riprendendo fiato e rimase stupito nel vedersi di fronte le due bambine.
“Sceriffo, che cosa ci fa qua?” domandò Paige.
“Potrei fare la stessa domanda a voi” rispose Graham.
“Ehi, non è giusto che ci risponda con una domanda. Non è corretto” replicò Rose.
“Stavo inseguendo un lupo” rispose Graham.
“Non ci sono lupi a Storybrooke” disse Rose.
“O, almeno, non ne abbiamo mai visti di recente” aggiunse Paige. Rose la guardò stranamente.
“Era bianco e aveva un occhio rosso. Non so voi ma ero certo che voleva che lo seguissi” spiegò Graham. Quindi si mossero alcune piante e, dietro a Rose e Paige, ricomparì Gold con Excalibur. L’uomo voltò lo sguardo in direzione di Graham.
“Buongiorno, sceriffo. Vedo che è mattiniero. Anche lei è qua per il giardinaggio?” chiese Gold. Graham inarcò un sopracciglio e Rose spiegò: “Papà ci ha portate nella foresta per prendere una pianta da piantare in giardino.” Poi guardò il padre aggiungendo: “Ma non vedo nessuna pianta.”
“Non ne ho trovata nemmeno una adatta per il giardino” rispose Gold. Rose lo guardò stranamente. Forse suo padre non era andato lì per cercare una pianta. Ma per altro di cui sicuramente non avrebbe detto nulla. Entrambi riguardarono lo sceriffo.
“Come mai quell’aria spaventata? Se è per colpa mia, mi scusi ma lo sa benissimo che queste due diavolette non vanno mai lasciate sole” domandò Gold.
“E’ che pensavo fosse un lupo” rispose Graham.
“Eppure ho fatto la barba” disse Gold sorridendo. Rose scosse negativamente la testa.
“Che ci fa qui così presto?” chiese Graham.
“Si vede che, poco fa, non ha ascoltato ciò che ha detto mia figlia. Stavo cercando una pianta da mettere in giardino ma, sfortunatamente, non ne ho trovata nemmeno una. Lei invece?” domandò Gold.
“Io stavo cercando…” iniziò col dire Graham. Ma Gold, Rose e Paige finirono la frase insieme: “…un lupo” e anche Excalibur emise dei versetti. Poi Gold aggiunse: “Sì, inizio a capire la storia. Be', sceriffo, che io sappia non ci sono lupi qui a Storybrooke. Non quelli a quattro zampe, almeno.”
“Glielo abbiamo già detto anche noi. Ma lui sostiene di aver visto un lupo bianco e con un occhio rosso che lo incitava a seguirlo” spiegò Rose.
“Interessante” disse Gold guardando la figlia.
“Per il fatto che sia bianco e con un occhio rosso?” chiese Graham. Gold lo riguardò per poi rispondere: “No. Perché mia figlia ha un vecchio pupazzo di un lupo bianco e con gli occhi rossi, che le era stato regalato dalla Signorina Lucas quando era piccola. Ma, per curiosità, perché lo cerca?”
“Mi darebbe del pazzo” disse Graham.
“Su, provi” disse Gold.
“Ho sognato un lupo la notte passata e, al risveglio, ne ho visto uno davvero. Il tutto poche ore fa. Le due bambine sostengono di non aver visto niente di strano qui. E lei?” spiegò Graham. Gold fece qualche passo avanti, seguito da Excalibur, per poi dire: “Temo di no. Qua non le siamo molto utili. Andiamo, bambine” e riprese a camminare. Titubanti, Rose e Paige lo seguirono. Excalibur andò più avanti del padrone, saltando su un grosso tronco. Poi Gold si fermò e, riguardando Graham, aggiunse: “Sa sceriffo, dicono che i sogni non siano altro che reminiscenze. Ricordi di una vita passata.”
“E lei che cosa ne pensa?” domandò Graham. Gold sorrise e rispose: “ Io non escludo mai niente. Le auguro una buona fortuna. Spero che trovi quello che cerca.” Stava per riprendere a camminare, quando Rose propose: “Emm… papà… non è che potremmo andare con lo sceriffo?”
“E mettervi in pericolo? Non se ne parla proprio” replicò Gold.
“Ma lo sceriffo ci proteggerà da qualsiasi cosa. Non è vero, sceriffo?” disse Rose facendo gli occhioni dolci a Graham e attaccandosi al braccio destro.
“Sì. Non è vero?” aggiunse Paige attaccandosi, invece, al braccio sinistro.
“Ecco… io… io… certo… certo che vi proteggerò” disse titubante Graham.
“E va bene. Potrete rimanere con lui. Ma badi sceriffo, me le deve riportare a casa prima di cena” disse Gold. Excalibur ricomparì con metà corpo dall’altro lato del tronco, tenendo le zampette anteriori sopra di esso.
“Come vuole lei” disse Graham.
“E voi due vedete di non cacciarvi nei guai. E fate sempre tutto ciò che vi dirà lo sceriffo” disse Gold.
“Va bene, papà, e grazie” disse Rose. Gold fece un piccolo sorriso e, voltandosi con fatica, andò oltre il tronco. Excalibur stette a osservare i tre, ma poi venne chiamata da Gold: “Excalibur! Muoviti” e la volpe, scendendo dal tronco, corse verso di lui.
“E ora andiamo alla ricerca di quel lupo” disse Rose. Stava per incamminarsi quando Graham la bloccò per il colletto della giacca, dicendole: “E non dobbiamo avere nessuna fretta.” Rose lo guardò: “Ma se non ci sbrighiamo, scapperà” gli disse.
“Se andremo di fretta scapperà. Dobbiamo fare un passo alla volta” spiegò Graham facendole un piccolo sorriso.
“Non è nel mio carattere fare un passo alla volta. Preferisco agire subito” disse Rose.
“Una cosa alla volta. Coraggio, seguitemi e state allerta” disse Graham e si incamminò seguito dalle due bambine.
Continuarono a camminare per la foresta. Più si inoltravano in essa e più la radura diventava più fitta.
“Se continueremo di questo passo, non troveremo mai quel lupo” disse Rose.
“Devi avere pazienza, piccola. Sono sicuro che è qua vicino” disse Graham e, infatti, si fermò. Davanti a loro, vi era proprio un lupo bianco e con un occhio rosso.
“Uao! Cioè… uao” disse Rose non sapendo cosa dire. Il lupo li guardava. Graham si avvicinò lentamente a lui, ma il lupo si voltò per allontanarsi. Quindi Graham gridò: “Che cosa vuoi da me?!” L’animale continuava ad allontanarsi, ma si fermò non appena lo sceriffo fece un fischio. Il lupo, allora, ritornò da lui, strofinando il muso contro la sua mano.
“Non è cattivo. E poi è come se fosse un tenero cagnolino” disse Paige.
“Un tenero cagnolino che ti potrebbe azzannare in qualsiasi momento” disse Rose. Paige la guardò stranamente. Graham mise la mano sopra alla testa del lupo e, in quel momento, gli vennero in mente dei ricordi. Tolse la mano e il lupo era come magicamente sparito.
“Ehi, ma dove è andato?” disse stupita Paige.
“Forse ha fiutato una preda migliore di noi” disse Rose.
“Smettila, Rose” disse Paige. Entrambe guardarono lo sceriffo e Paige aggiunse: “Si sente bene? Ha un’aria…strana.”
“Ho visto dei ricordi. Sembravano così reali” rispose Graham ancora sotto shock.
“Ho già capito. Ci penso io” disse Rose e, dalla tasca della giacca, tirò fuori la sua ricetrasmittente. Girò un pulsante e, appena ebbe segnale, parlò nell’apparecchio: “Nala chiama Simba. Nala chiama Simba. Mi ricevi, Simba?” e, dall’altra parte, si sentì una voce: “Sono Simba.”
“La tana è libera?” domandò Rose.
“Il leone è uscito” rispose chi c’era dall’altra parte.
“Benissimo. Abbiamo una preda da portare. Arriviamo subito” disse Rose e chiuse la chiamata. Alzò lo sguardo per vedere gli altri due che la guardavano in modo stupito. Quindi spiegò: “Era Henry. Usiamo nomi e parole in codice per evitare che sua madre ci scopra” e rimise la ricetrasmittente nella tasca della giacca. I tre incominciarono a camminare verso la strada che conduceva in città.
“Nala e Simba?! Sono degli strani nomi” disse stupita Paige.
“Li ha scelti Henry. Ma non chiedermi il perché” spiegò Rose.
“Credi che Henry mi possa aiutare?” chiese Graham.
“Sì. Ha qualcosa che spero potrà darti delle risposte” rispose Rose.
Poco dopo, i tre arrivarono a casa del sindaco. Suonarono e Henry andò ad aprire.
“Finalmente siete arrivati” disse il bambino.
“Be', ora siamo qua e direi di sbrigarci, prima che il leone ritorni a casa” disse Rose e Henry li fece entrare, conducendoli in camera sua. Lui e Graham si sedettero sul letto. Paige e Rose guardavano fuori dalla finestra. Henry aveva sulle ginocchia il libro “Once Upon a Time” e lo stava sfogliando fino ad arrivare alla storia del cacciatore. Henry guardò Graham domandandogli: “Le visioni quando sono incominciate?”
“Dopo aver baciato Emma” rispose Graham.
“Ha baciato la mia mamma?!” disse stupito Henry e Rose fece una faccia disgustata. Poi il bambino aggiunse: “Cosa ha visto?”
“Un lupo” disse Graham.
“Sì. E lo abbiamo visto anche noi poco fa nella foresta. Era bianco e aveva un occhio rosso. Sembrava volesse azzannarci da un momento all’altro” aggiunse Rose.
“Lo sai che non è vero. Non ci stava per attaccare. Mi dici che cos’hai contro i lupi?” disse Paige.
“Non ho niente contro i lupi. È solo che non mi piace il loro sguardo. Incute sempre timore e non sai mai quale sarà la loro prossima mossa” spiegò Rose e Paige scosse negativamente la testa.
“Inoltre, ho visto che avevo un coltello in mano e che ero con una donna. Ma non riuscivo a focalizzare bene chi fosse. Ricordo solo che ci trovavamo dentro a un enorme giardino e lei stava accanto a un cespuglio di fragole. In mano teneva in mano dei fiori tra i quali anche delle rose” spiegò Graham. Al solo nominare le rose, Rose si scostò leggermente dalla finestra.
“E la stavi per uccidere?” chiese Henry.
“Sì. Ma tu come lo sai?” domandò incredulo Graham.
“Be', perché poteva benissimo trattarsi di Biancaneve che, qua a Storybrooke, è Mary Margaret. Oppure un’altra donna. Solo che qua non c’è la sua storia ma quella del cacciatore” spiegò Henry sfogliando un paio di pagine. Poi si fermò sull’immagine del cacciatore, terminando: “Ovvero tu.”
“Quindi pensi davvero che io prima fossi un’altra persona?” chiese Graham.
“Ma sì. Torna tutto. Lei è stato allevato dai lupi. Ecco perché ne vede sempre uno. È un suo amico. La sua guida. Vuole aiutarla a modo suo” spiegò Henry.
“Così da portarlo nella sua tana e farlo fuori” disse Rose.
“Rose!” la richiamarono Paige, Henry e Graham.
“Come siete difficili” sbuffò Rose.
“E mi ricordo tutto questo perché ho baciato Emma?! Come è possibile?” domandò stupito Graham.
“Be', tra voi due c’è un legame davvero speciale, proprio come c’era tra i genitori di Rose” rispose Henry. Graham guardò Rose che disse: “Henry pensa che io sia la figlia della Bella e la Bestia. La loro Rosa che hanno cercato di tenere segreta da tutti. Specialmente dalla Regina Cattiva.” Lo Sceriffo riguardò Henry che spiegò: “Forse quella donna che vede nei suoi ricordi non si tratta di Biancaneve. Forse era una donna che la Regina Cattiva odiava e che non voleva avesse il suo lieto fine con la persona che amava. Però non l’ha uccisa perché lei è buono.”
“E dopo che ho risparmiato quella donna che cosa succede?” chiese Graham.
“La Regina si vendica con il cacciatore e gli strappa via il cuore. È tipico di lei. In questo modo non avrebbe più avuto sentimenti” rispose Henry. Graham sembrò pensarci un po’ su. Poi disse: “Dammi quel libro” e, mentre il bambino gli dava il libro e lo sceriffo lo sfogliava di un paio di pagine, Rose si avvicinò a loro.
Graham si fermò su un’immagine che ritraeva la Regina Cattiva davanti a quella che sembrava una cripta. Indicò un simbolo sopra di essa: “Cos’è questo? Nella visione il lupo gli ululava contro.”
“E’ il suo mausoleo. È lì che ha messo il cuore” rispose Henry. Rose sgranò gli occhi. Quello era lo stesso mausoleo dove, quella volta, aveva visto Regina e Graham baciarsi. Proprio mentre lei era nella foresta dopo che era andata a trovare Excalibur, per poi essere attaccata da Lucy. Come mai Graham non si ricordava? O forse non aveva mai badato a quel simbolo? Decise di intervenire.
“Se vuole veramente sapere chi è, allora dovrà seguire l’Operazione Cobra” disse.
“E cosa sarebbe?” domandò Graham guardandola.
“Cerchiamo di far credere a Emma che lei sia la Salvatrice, in modo che il sortilegio si spezzi e tutti riacquistino i loro vecchi ricordi. Se davvero vuole avere delle risposte più concrete di quanto non te le abbia già date Henry, allora lascia che la aiutiamo” spiegò Rose. Ci fu silenzio. Poi Graham, alzandosi dal letto, disse: “Va bene. Tu e Paige potrete venire, anche perché il Signor Gold vi ha affidate a me” Guardò Henry e aggiunse: “Grazie, Henry.”
“Si figuri e, mi raccomando, state attenti” disse Henry e i tre uscirono ma, fuori dal vialetto di casa, trovarono Emma appoggiata al suo maggiolone giallo.
“Ci mancava solo lei” disse Rose.
“Be', è un bene che ci sia, no? Vogliamo che creda, e se è con noi, sarà più facile” le disse Paige.
“Ho sentito che non stai bene” disse Emma rivolta a Graham che, a sua volta, chiese: “Chi te lo ha detto?”
“Più o meno tutti” rispose Emma. Ci fu silenzio. Poi la ragazza propose: “Dovresti andare a casa a riposarti.”
“Sto bene” disse Graham e riprese a camminare. Ma si fermò non appena Emma gli disse: “No. Non è vero. Sei appena andato a chiedere aiuto a un bambino e anche ora Rose e Paige stanno facendo la stessa cosa.”
“Mio padre ci ha affidato a lui fino a cena. Per… ehm…” iniziò col dire Rose.
“Motivi personali” finì Paige.
“Sì. Motivi personali” ripeté Rose e tutte e due annuirono con la testa. Emma inarcò un sopracciglio. Poi riguardò Graham che disse: “Almeno loro e Henry mi stanno veramente aiutando e la spiegazione del bambino ha un senso.”
“Che sta succedendo? Intendo che sta succedendo…davvero” domandò preoccupata Emma.
“E’ il mio cuore, Emma. Io devo trovarlo” rispose Graham. Emma lo guardò stupita per poi chiedergli: “D’accordo e come pensi di fare?”
“Devo soltanto seguire il lupo” rispose Graham.
“Cosa?! Quale lupo?!” domandò stupita Emma.
“Quello che appare nelle visioni” rispose Graham.
“E quello che abbiamo visto anche noi. Coraggio, Graham, andiamo: qua stiamo solo perdendo tempo” disse Rose tirandolo per una manica della giacca.
Emma cambiò espressione. Poi disse: “Scusami. Credevo che parlassi metaforicamente. Pensi davvero di non avere un cuore?”
“E’ l’unica spiegazione sensata. L’unica che spiega perché non sento niente e quel lupo mi aiuterà, proprio come stanno facendo Henry, Rose e Paige” disse Graham.
“Ascoltami, Graham. Tu ce l’hai un cuore e te lo dimostro” disse Emma e, facendo qualche passo avanti, prese la mano di lui, mettendogliela sul petto. I due si guardarono. Poi aggiunse: “Sentilo. È il tuo cuore.”
Graham scosse negativamente la testa e, scostando la sua mano e quella di Emma dal petto, disse: “No. È il sortilegio.”
“Non mi dirai che ci credi sul serio?!” disse stupita Emma.
“Henry, Rose e Paige ci credono. Perché non dovrebbe essere così? E poi è vero quello che ti ho detto prima: non sento nulla” disse Graham. Emma avvicinò il suo viso a quello di lui.
“Oddio, che schifo: ora si baciano” disse Rose.
“Non è poi così una brutta cosa. E poi ricordati che tu sei nata grazie a più di un semplice bacio” disse Paige.
“Ti prego, non andare avanti” disse Rose.
In effetti, Emma stava veramente per baciare Graham quando si fermò e sgranò gli occhi. Gli altri tre voltarono lo sguardo, per vedere un po’ più distante il lupo bianco. L’animale corse via e i quattro gli corsero dietro.
Continuarono a correre non accorgendosi di essere arrivati al cimitero. Il lupo, poi, si fermò. Ululò e poi scomparve. I quattro alzarono lo sguardo, per vedere che si erano fermati esattamente davanti a un mausoleo. Ma non si trattava di un mausoleo qualunque. In alto c’era lo stesso simbolo che Graham aveva visto sia nelle sue visioni che sul libro di Henry.
“Quel lupo è bravissimo a sparire così velocemente. Ci dovrebbe insegnare questo trucchetto” disse Rose.
“Ma non eri tu che avevi paura di lui?” chiese Paige.
“Sì ma, per queste cose ci potrebbe essere utile per scappare indisturbate da mio padre” rispose Rose.
Emma alzò lo sguardo. Guardò il simbolo sul mausoleo e domandò: “Che cos’è?”
“E’ il mio cuore. È lì dentro” rispose Graham.
“Ok. Ora incomincio ad avere i brividi e non è per il freddo” disse Rose.
“Tu e Paige potreste sempre ritornare a casa” disse Emma.
“Se lo sceriffo non viene, noi non possiamo ritornare a casa da sole. O si è dimenticata che mio padre ci ha affidate a lui?” spiegò Rose. Emma non replicò.
Graham prese una pila, accendendola. Poi disse: “Io vado dentro.” Ma fece appena in tempo a compiere un passo che Emma lo bloccò, dicendogli: “No. No. Fermo. Pensi davvero che il tuo cuore sia lì dentro?”
“Ne sono certo” rispose Graham.
“Ok. Allora scopriamolo” disse Emma. Poi guardò Rose e Paige, aggiungendo: “E voi due, rimarrete qua fuori.”
“Sa, se rimanessimo qua fuori, potremmo benissimo cacciarci in qualche guaio. Mio padre si infurierebbe e lo sceriffo prenderebbe la colpa” disse Rose, facendo un piccolo sorriso così uguale a quello di Gold.
“Il Signor Gold le ha affidate a me. Se verranno, potrò tenerle più d’occhio” spiegò Graham. Emma alzò gli occhi al cielo. Poi disse: “E va bene. Potete venire. Ma badate a non toccare nulla. Non sappiamo cosa potremmo trovare qua dentro.”
“Faremo le brave… forse” disse Rose, dicendo l’ultima parola quasi come un sussurro. Emma si voltò e, a fatica, aprì l’enorme porta. Ma… non si apriva.
“Dannazione! Non si apre!” replicò Emma. Poi diede un calcio contro la porta che si aprì. I quattro entrarono.
 
Nel frattempo, a Villa Gold…
 
“Excalibur, te l’ho già detto: la tua palla si trova sotto il divano in salotto e non nella camera da letto di Rose” disse Gold mentre finiva di salire le scale, seguendo la volpe nella camera da letto della figlia. Gold aveva già finito di preparare la cena. Aveva chiuso prima il negozio – anche per evitare alcuni scocciatori dell’ultimo minuto – ed era ritornato a casa, volendo preparare i piatti preferiti della sua prediletta.
I due entrarono nella camera e, mentre Excalibur fiutava dappertutto alla ricerca della sua palla, Gold si guardò intorno per poi sedersi sul letto e osservare la volpe.
Aveva cercato di educare la figlia nel miglior modo possibile ma, ogni volta che entrava in quella camera, sembrava che ogni suo tentativo fosse sfumato, considerando il disordine che regnava in quel posto. Più volte aveva detto a Rose di rimettere a posto la sua camera. E lei, per più volte, gli aveva detto che lo avrebbe fatto. Lui l’aveva lasciata fare, fidandosi delle sue parole ma, accorgendosi che gli stessi giocattoli si trovavano esattamente nello stesso posto dell’ultima volta e non rimessi nel loro ripiano appropriato, si rese conto che doveva usare più polso con la figlia. Forse le lasciava veramente troppa libertà. Ma, dopotutto, le voleva molto bene e non andava mai fino in fondo con le punizioni.
Excalibur continuò le ricerche della palla nell’armadio, muovendo il muso tra i tanti indumenti presenti. Lo sguardo di Gold si spostò sulla foto del comodino mentre ritraeva lui che teneva in braccio sua figlia molto piccola. Si ricordava che era stato Archie a scattarla e che ci aveva impiegato anche molto tempo per farla. Rose non voleva mai stare ferma. Ma alla fine la bimba aveva ceduto alla richiesta del padre che, se fosse stata brava per pochi secondi, le avrebbe comprato un gelato.
Ma qualcosa lo distolse dalla fotografia. Qualcosa che sbucava da sotto il cuscino. Lo prese e lo guardò. Si trattava di un coltello sul quale manico erano incisi un cervo e un lupo. Come ci era finito lì e soprattutto nella camera della figlia? Forse Rose lo aveva trovato in uno di quegli scatoloni che aveva dato lui stesso ai bambini per aiutarlo a rimettere a posto delle vecchie cose. Ma non si sarebbe mai aspettato che quel coltello si trovasse dentro a uno di essi. Continuò a osservare in silenzio l’oggetto. Poi, tenendolo in mano, si alzò e, incamminandosi verso la porta, disse: “Excalibur, andiamo. Qua la tua palla non c’è. Ritorniamo a cercarla di sotto.” La volpe uscì dai vestiti per terra e seguì il padrone di sotto.
 
Intanto, al mausoleo…
 
Davanti a loro c'era una bara. Mentre gli adulti cercavano, Rose si avvicinò alla bara, leggendone la targhetta. Paige si affiancò all’amica chiedendole: “Trovato qualcosa d’interessante?”
“So perché Henry si chiama così” rispose Rose. Anche Paige guardò la targhetta dorata. Sopra di essa vi era scritto: “Henry Mills.”
“E’ il padre di Regina” disse Paige.
“Deve avergli voluto molto bene” disse Rose. Poi qualcuno li chiamò. Voltarono lo sguardo per vedere Regina al di fuori del mausoleo, che replicò: “Che cosa state facendo?” Lentamente uscirono. La prima fu Emma, seguita dagli altri.
“Che ci fa lei qui?” domandò Emma.
“Porto dei fiori sulla tomba di mio padre. Come faccio ogni mercoledì” rispose Regina, mostrando un mazzo di fiori bianchi che teneva in mano.
“Ma oggi non è mica Giovedì?” chiese sottovoce Paige a Rose, la quale, sempre sottovoce, le rispose: “O è in ritardo di un giorno. Oppure ci sta nascondendo qualcosa. Ma conoscendo chi abbiamo di fronte, direi la seconda opzione.”
“E vedo che ci sono anche le mocciosette. Lo sapete che i bambini non possono stare fuori fino a quest’ora? Potrebbero esserci dei pericoli” disse Regina, facendo un piccolo sorriso.
“Non prendertela con loro. È colpa mia. Volevo guardare dentro” disse Graham, mettendosi davanti a loro e avvicinandosi a Regina. Questi, avvicinandosi a lui, domandò: “Davvero? Perché? Che cosa stavi cercando?”
“Qui si mette male” disse Rose.
“Niente. Non cercavo niente” rispose fingendo Graham, mentre Emma andò accanto a lui.
“Hai una brutta cera. Coraggio andiamo” disse Regina e lo prese per una mano, trascinandolo. Ma Graham fece resistenza e mollò la mano per poi replicare: “Io non voglio andare a casa! Non con te.”
“Il cagnolino si sta ribellando” disse Rose.
“Shhhh, Rose” le disse Paige.
“Oh. Vuoi andarci con lei?!” replicò Regina, riferendosi a Emma.
“Ehi. Questi sono affari vostri. Lasciatemi fuori” disse Emma. Regina le lanciò un’occhiataccia. Riguardò Graham quando questi le disse: “Ha ragione. È una cosa tra noi. Le cose devono cambiare.”
“Mi chiedo come mai proprio adesso. E, guarda caso, c’è anche la mocciosetta di Gold. Hai dei rimpianti per averla data a lui?” disse Regina e Rose la guardò stranamente. Poi guardò Graham chiedendogli: “Di che cosa sta parlando?”
“Di nulla. Non ti preoccupare, piccola” rispose Graham guardandola. Poi guardò Regina aggiunse: “ Loro non c’entrano niente. È che mi sono reso conto che io non sento niente, Regina. E la colpa non è mia. È tua”
“Quindi mi stai abbandonando per lei?” domandò Regina.
“Sento aria di gelosia” disse Rose e Paige le mise una mano sulla bocca, cercando di non farle dire altre battute che potevano complicare la situazione.
“Ti sto abbandonando per me” disse Graham. Regina si avvicinò sensualmente a lui, dicendogli: “Graham, non sei lucido adesso”
“Sono lucido più che mai! Preferisco non avere niente che accontentarmi! Niente è meglio di quello che c’è tra noi. Ho bisogno di sentire qualcosa, e l’unico modo per farlo è darmene l’occasione” spiegò Graham.
“Graham…” iniziò col dire Regina cercando di farlo ragionare. Ma lo sceriffo indietreggiò, dicendo: “Per favore. È finita.” Rose cercava ancora di togliersi la mano di Paige da sopra la bocca, ma l’amica non voleva mollare. Regina guardò Emma, chiedendole: “Cosa le ho fatto, Signorina Swan, per meritarmi tutto questo? Lei cerca sempre di demolire tutto ciò che mi è caro!”
“Te l’ho detto! Lei non c’entra!” replicò Graham.
“Non era mai successo niente prima che arrivasse lei!” replicò Regina. Rose riuscì a togliersi la mano di Paige da sopra la bocca per poi dire: “Arriveranno alle botte. Me lo sento.”
“Non complicare la situazione di quanto non lo sia già. Ti voglio ricordare che noi avremmo già dovute essere da tuo padre. Credo che l’ora di cena sia già passata” disse Paige.
“Mi scusi: ha mai pensato che il problema non sia io, ma forse lei?” domandò Emma.
“Come si permette?” replicò Regina.
“Punto dieci dollari che Regina le prende seriamente da Emma” disse Rose.
“Rose, ti prego, non aizzarle. Così peggiorerai le cose” disse Paige.
“Allora, abbiamo un patto, cara?” chiese Rose e Paige scosse negativamente la testa.
“Henry è venuto a cercarmi. Graham a baciarmi. Entrambi erano disperati. Se mi trovassi al suo posto io mi guarderei dritta nello specchio e cercherei di capire il motivo. Si chieda come mai tutti scappano da lei” spiegò Emma. Regina fece un sorrisetto per poi mollare un forte pugno in faccia a Emma, che venne presa da Graham.
“Cavolo! Avrei perso i miei dieci dollari. Meno male che non hai accettato il mio patto” disse Rose. Ma Emma si riprese e diede anche lei un forte pugno a Regina.
“O forse no. Posso ancora vincerli” disse Rose. Poi Emma prese Regina buttandola con la schiena contro il muro del mausoleo.
“E tu che volevi andare a cena. Se fossimo andate a cena, ci saremmo perse tutto questo” disse Rose.
“E non essendoci a cena, tuo padre si sarà già infuriato” disse Paige.
“Sicuramente ci avrà preparato dei panini” disse Rose.
“Davvero?! A me sembra che prepari sempre per un esercito. Proprio come per la colazione: croissant; toast…” iniziò con l’elencare Paige.
“… omelette; fette biscottate con la marmellata; succo di frutta…” continuò Rose.
“…caffè per lui e tè freddo per Excalibur. Credi che ci vizi?” finì Paige.
“No. Vuole solo farci crescere sane e forti. Per lui viziare significa regalarmi vestiti nuovi quasi tutti i giorni. Riempirmi di coccole e comprarmi il gelato. Intanto quest’ultimo piace più a lui che a me. Ma non lo ammetterà mai” disse Rose.
“O rinchiuderti in casa o nel negozio” disse Paige.
“Quello non è viziare. È proteggere. È quando usa il suo lato super protettivo da padre. Quello che mi è mancato mentre mi trovavo nella miniera” spiegò Rose.
Graham riuscì a dividere le due donne. Regina si allontanò dal mausoleo, riprendendo il mazzo di fiori che aveva fatto cadere precedentemente. Emma le passò accanto, dicendo: “Non ne vale la pena” e se ne andò. Graham e Regina si guardarono. Quest’ultima si avvicinò a lui ma lo sceriffo seguì Emma. La donna guardò minacciosamente Rose e Paige e replicò loro: “Fareste meglio ad andare anche voi, prima che qualcuno si faccia molto male.” Le due bambine la guardarono e seguirono gli altri due, ritornando al commissariato dove, poco dopo, da una cassetta del pronto soccorso, Graham tirò fuori un sacchetto con del ghiaccio. Emma si era seduta su una delle scrivanie.
“Mi dispiace. Non so cosa mi sia successo. Ho perso la testa” disse Graham e mise la borsa del ghiaccio sopra l’occhio di Emma, che disse: “Tranquillo. Sei stanco. Avevi la febbre. E il cuore a pezzi.”
“Non so perché mi sia lasciato accalappiare da lei” disse Graham.
“Perché era facile. Indolore. A volte conviene non sentire niente se quello che provi fa schifo” disse Emma. I due erano molto vicini. Le bambine li stavano guardando in silenzio.
Nel frattempo, Regina era ritornata dentro al suo mausoleo. Aveva messo il mazzo di fiori bianchi sulla bara del padre e poi aveva spostato la stessa bara, rivelando delle scale. Le scese fino in basso, arrivando a una stanza sotterranea, nella quale erano presenti tante cripte, dentro alle quali si sentivano come dei cuori pulsare.
 
Foresta Incantata. Mesi prima della maledizione
 
Regina era furiosa. La figlia di Tremotino era ancora viva. Lo aveva percepito durante quelle ore, quando una potente magia si era appena sprigionata e, le sue supposizioni si rivelarono fondate anche dopo le parole del suo Specchio:
“Specchio, specchio delle mie brame. Chi è la più potente del reame?” gli aveva domandato.
 “La più potente sei tu. Ma qualcuno appena nato lo sarà ancora di più. Porta il nome del fiore dell’amore. Puro è il suo cuore. Magia della luce e dell’oscurità ha con sé. Dalla figlia di Tremotino in guardia dovrai stare o la maledizione non riuscirai a scagliare” spiegò lo specchio.
 Sì. Regina era veramente furiosa. Si voltò e, rivolta a una delle sue guardie, replicò: “Portami subito il cacciatore!” E la guardia, dopo aver fatto un inchino con la testa, se ne andò.
Il suo anziano maggiordomo disse: “Perché così tanto astio nei confronti di una piccola creatura nata da poche ore? Che cosa ti ha fatto?”
“Sta' zitto! Sono affari miei! Non ti impicciare!” replicò Regina guardandolo. Voltò lo sguardo quando sentì dei passi e comparvero la guardia di prima e il cacciatore, quest’ultimo bagnato dal gran temporale che echeggiava fuori.
“Bene! Puoi andare!” ordinò alla guardia, che uscì.
“Perché mi avete fatto chiamare?” chiese Graham.
“Non hai sentito la lieta notizia?” domandò Regina.
“Non ne sono al corrente” rispose lui.
“Non fare finta di nulla! Lo sai benissimo cosa è successo!” replicò Regina.
“Le giuro, Vostra altezza, che non so nulla” disse Graham.
“E’ appena nata la figlia di Tremotino e della sua sguattera. Per caso ti ricordi quale era stato il compito che ti affidai mesi fa?” spiegò Regina, avvicinandosi a lui, tenendo in mano un cofanetto. Graham incominciò a sudare. Si ricordava benissimo quello che avrebbe dovuto fare, un compito al quale, non aveva adempiuto.
“Ebbene?! Vedo che non rispondi! Allora ti rinfrescherò io la memoria. Dovevi uccidere quella sguattera e la mocciosa che portava in grembo. Invece hai pensato bene di farle vivere. Di far avere il loro lieto fine. Ma non hai pensato ai miei sentimenti” replicò Regina.
“Non avevano fatto nulla di male” disse Graham.
“No! Sei tu ad essere diventato una pecora! Ti credevo un lupo. Invece ti sei rammollito davanti a una sguattera e a quella mocciosa che portava in grembo. Ti avevo dato un compito e tu hai fallito! Credevi di fregarmi?! Sicuramente Tremotino avrà fatto qualche sua strana magia per tenermi nascosta la sua preziosa creatura. Ma non mi importa! Riuscirò a strappargli via tutto ciò che ama” replicò Regina.
Graham se ne stette in silenzio e, incominciò a indietreggiare. Ma Regina si voltò e, con un solo cenno della mano, gli chiuse le porte dietro di sé. Poi replicò, avvicinandosi a lui: “Ti avevo chiesto un cuore. Ma non quello di un cinghiale!”
“Non si meritavano quella fine” disse Graham.
“Ma questo non puoi deciderlo tu. Volevo la loro fine. Volevo che Tremotino soffrisse. Che perdesse la sua piccola creatura. Il Signore Oscuro non doveva avere eredi. Sai che cosa significa? Che dovrò pensare a un modo per sbarazzarmi di quella mocciosa” replicò Regina.
“E’ solo una neonata. Non ha colpa lei se è nata sia con la magia oscura che non quella bianca” disse Graham.
“Non mi interessa! E, visto che hai avuto il coraggio di disubbidire a un mio ordine, ti infliggerò una pena che non dimenticherai mai. Volevo un cuore e un cuore è quello che avrò!” replicò Regina e mise una mano nel petto di Graham dal quale tirò fuori il suo cuore. Lo guardava come se fosse il suo tesoro più prezioso.
“Cosa… cosa farete di me?” chiese sudato e preoccupato Graham. Regina, invece di rispondergli, lo baciò. Il cacciatore sgranò gli occhi. Poi lei, dopo il bacio e lasciandogli una mano sulla guancia, disse: “Da ora sei il mio bel cagnolino.” Poi andò verso una cripta che si aprì al solo contatto con il cuore. Il cofanetto si aprì e la donna aggiunse: “E questa sarà la tua cuccia. Da questo momento in poi farai tutto quello che ti dirò di fare! E se dovessi disobbedirmi, se dovessi provare a fuggire, mi basterà stringere.” E strinse il cuore. Graham cadde a terra in preda al dolore. Poi gridò: “Guardie!” Due guardie entrarono e sollevarono il cacciatore con noncuranza. Infine disse: “Ora la tua vita è nelle mie mani. Per sempre!” Graham rimase a bocca aperta.
 
Storybrooke del presente
 
Regina guardò le cripte. Ne aprì una. Al suo interno vi era un cofanetto. Lo prese delicatamente per poi aprirlo. Dentro vi era un cuore. Lo aveva rimesso lì, dopo che la volpe di Gold – e lo stesso Gold – lo avevano visto nel suo ufficio. Quel maledetto animale – pensò – doveva sempre andare a ficcare il naso dappertutto.
Estrasse il cuore dal cofanetto. Depositò l’oggetto su un tavolo lì vicino e alzò il cuore. Lo osservò sorridendo maliziosamente.
Intanto, al commissariato, Graham aveva appena finito di medicare la piccola ferita che Emma aveva sulla fronte. Stava rimettendo via il cotone nel kit del pronto soccorso, quando Emma si alzò dalla scrivania, avvicinandosi a lui. Graham fece appena in tempo a voltare lo sguardo che la ragazza lo baciò.
“Che schifo! Ma non potevano prendersi una stanza invece che farlo proprio davanti a noi?” disse Rose, facendo una faccia disgustata.
“Io lo trovo romantico” disse Paige. In quel momento, Graham sgranò gli occhi e staccò Emma da sé, per poi appoggiarsi all’altra scrivania. Le tre lo guardarono in modo preoccupato. Poi Emma gli domandò: “Va tutto bene?”
“Io mi ricordo. Io mi ricordo” continuava a ripetere Graham, avvicinandosi a Emma che chiese: “Di cosa parli?” Graham guardò Rose, spiegandole e mettendole le mani sulle spalle: “Rose, piccola, tua madre era una brava donna. Sapeva vedere il buono in tutti. Ma c’è chi non voleva il suo lieto fine con tuo padre. Così mi aveva ordinato di ucciderla. Andai al castello oscuro e la trovai a raccogliere fiori nel giardino insieme a una volpe. Avevo il mio coltello in mano. Ero pronto a colpirla in ventre ma… non lo feci. Non ne avevo il coraggio. Non potevo mettere fine alla sua vita e a quella che le stava crescendo dentro.”
“Volevi uccidere la mia mamma e me?! Sei un mostro!” replicò Rose, scostando le mani dello sceriffo da lei.
“No. No. Rose. Non lo avrei mai fatto, credimi. Tu e tua madre non meritavate di morire. Belle amava tuo padre e non avrebbe mai rinunciato a te” disse Graham.
“Allora è vero. La mia mamma si chiamava veramente Belle. Anche Archie mi aveva detto il suo nome” disse Rose.
“Io le ho risparmiato la vita e lei aveva promesso che non avrebbe raccontato nulla di tutto ciò a tuo padre. Fui io a essere in debito con lei e, così, quando ti trovai nella foresta qua a Storybrooke, mantenni la promessa. Ti salvai e mi presi cura di te, seppur solo per un giorno. Poi trovai il tuo vero padre, ovvero il Signor Gold. Ti riconobbe per un medaglione che portavi al collo” spiegò Graham.
“Medaglione?! Quale medaglione? Io non ho mai avuto nessun medaglione” disse stupita Rose.
“Tuo padre sicuramente lo avrà messo al sicuro da qualche parte. Diceva che apparteneva a tua madre. Glielo aveva regalato lui a lei. Ma il punto, Rose, è che qualcuno non vuole farti avere il tuo lieto fine con il tuo papà. Già in passato ci ha provato, cercando di portarti via da lui. Quindi, sii forte e segui sempre il tuo cuore. Io che non l’ho mai avuto, mi accorgo solo ora di tutto ciò che ho perso. Ma tu, piccola, hai tutto il tempo per cercare il tuo lieto fine. Il tuo papà ti vuole molto bene, e se ti dà tutte quelle regole è solo per proteggerti. Lui non ha mai sopportato l’idea di perdere te e tua madre. Gli è crollato il mondo addosso quando gli dissero che eravate entrambe morte. Promettimi che starete sempre insieme. Siete una famiglia e, uniti, potete raggiungere qualsiasi obiettivo. Anche se per un giorno ti ho voluto bene come una figlia che non ho mai avuto. Non dimenticartelo mai, piccola Rose” spiegò Graham.
Rose sorrise e lo abbracciò. Graham la strinse forte a sé quando, in quel momento, sentì dentro un forte dolore. Si scostò dalla bambina, cadendo a terra.
“Graham!” gridò Rose, inginocchiandosi, insieme a Emma, accanto a lui. La donna incominciò a praticargli il massaggio cardiaco, per poi soffiargli dentro alla bocca. Mentre lo faceva, disse: “Coraggio, Graham! Non puoi mollare proprio adesso!” Ma lo sceriffo non dava segni di riprendere i sensi.
Nello stesso momento a Villa Gold, quest’ultimo si stava bevendo un sorso di brandy, mentre la candela in centro tavola in cucina, si era spenta e consumata da un bel po’. Era chiaro che, ormai, la cenetta preparata per la figlia – e Paige – si era raffreddata. Excalibur era nella sua cesta e si era incantata a guardare il pendolo in salotto andare a destra e a sinistra. Ormai quello era diventato il suo passatempo nell’ultima mezz’ora considerando che, la mezz’ora prima, l’aveva passata a divorarsi una bistecca visto anche che il suo padrone non aveva fatto obiezione. Spostò lo sguardo, sussultando e drizzando le orecchie, quando Gold mise con poca noncuranza il bicchiere sul tavolo per poi replicare: “Perché sto ancora aspettando?! Lo sceriffo avrebbe dovuto riportarmi le bambine prima di cena. Non ha rispettato il nostro accordo!” Estrasse il cellulare dalla tasca della giacca e, dopo aver digitato un numero, aggiunse: “Adesso mi sente!”
Al commissariato, Emma continuava a fare il massaggio cardiaco a Graham, mentre Rose, ormai, stava piangendo disperatamente. In quel momento, squillò il cellulare dello sceriffo ma, né Rose e nemmeno Emma – quest’ultima intenta a salvargli la vita – ne diedero importanza. Fu Paige, però, che ci prestò attenzione: “Ehm… non per interrompere, ma c’è il cellulare dello sceriffo che sta suonando.”
“Non ce ne frega nulla del cellulare! Chi ci sarà dall’altra parte, si stancherà e smetterà!” replicò Rose guardandola. Poi riguardò Emma, che continuava a premere sul petto di Graham.
Gold spense il cellulare, non ricevendo nessuna risposta dall’altra parte. Lo mise in tasca e preoccupato disse: “E’ strano. Lo sceriffo, di solito, risponde sempre. Deve essere successo qualcosa” e, a passo veloce, uscì dalla cucina. Passò accanto alla cesta di Excalibur, aggiungendo: “Excalibur, andiamo. Le bambine potrebbero essere in pericolo.” La volpe uscì velocemente dalla cesta, raggiungendo il padrone, ed entrambi uscirono dalla villa.
Le tre guardarono il corpo ormai primo di vita di Graham. Rose e Emma piangevano e Paige abbassò lo sguardo. Sentirono una porta aprirsi e dei passi veloci. Voltarono lo sguardo. Sulla soglia della porta comparvero Gold ed Excalibur. Gold rimase a bocca aperta nel vedersi quella scena davanti.
“Papà!” gridò Rose con le lacrime agli occhi. Corse da lui. Tra le sue braccia. Gold la strinse forte a sé, mentre la figlia piangeva. Poi chiese: “Ma che cosa è successo qua?” Rose alzò lo sguardo rispondendogli: “Graham è morto! E non ritornerà mai più” Lo sceriffo era morto e nessuno aveva potuto fare nulla. Nemmeno il silenzio poteva descrivere ciò che stavano passando.
 


Note dell'autrice: Ed eccomi di nuovo qua Oncers. Io mi devo ancora riprendere dall'episodio di domenica e voi? Rumple e Belle fantastici. Robert e Emilie fantastici. Straordinari e, Rumple è diventato, finalmente, un eroe (anche se lo era già almeno per me). Ma estraendo Excalibur non si diventa anche Re di Camelot? Va bè, sogno solo io. Emma dovrà stare attenta: si è fatto un grande nemico e Rumple andrà fino in fondo per sconfiggerla. Spero anche che impari la magia bianca: scommetto che diventerà ancora più potente di quando aveva la magia oscura. Ora passiamo al capitolo. Purtroppo ho fatto morire Graham. Ero indecisa, fino all'ultimo, se tenerlo in vita o no. Ma poi ho deciso per il no (più avanti, come ben sapete, ci sarà qualcun altro che morirà ma, da me, resterà)  Abbiamo scoperto come Gold (nel passato) si sia ricongiunto alla figlia. Come si sia ricordato di lei. E' stato grazie all'amato sceriffo ed ecco perchè Rose gli è molto amica e Gold si fida(un pò) di lui. Vediamo cosa accadrà nel prossimo capitolo (già in lavorazione): è un capitolo di transito per arrivare poi a Skin Deep. Ci sarà un personaggio nuovo che potrebbero benissimo (per me) inserire nella serie

Ok, passiamo ai ringraziamenti. Ringrazio di cuore tutti coloro che recensiscono / leggono o leggono in silenzio la fanfict o l'hanno messa tra le seguite e preferiti. Ringrazio anche tutti coloro che sono riusciti ad arrivare fin qua senza essersi annoiati (almeno lo spero). Ringrazio anche la mia amica Lucia, che mi aiuta con la stesura dei capitoli. Con ciò, vi aspetto al prossimo capitolo. Buona lettura e buona giornata, dearies
 
 
 
 
 


 

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Capitolo 29
*** Supercalifragilistichespiralidoso - Parte I ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo XV: Supercalifragilistichespiralidoso -  Prima Parte


 
Pioggia e una fitta nebbiolina facevano da padrone a quella giornata che gli abitanti di Storybrooke non avrebbero dimenticato. Si trovavano infatti, al locale cimitero, davanti alla tomba di Graham. C’erano quasi tutti. Non si poteva dire che lo sceriffo non fosse amato.
Il prete finì la cerimonia e alcuni se ne andarono. Rose se ne stette ad osservare quella buca nel terreno dove era appena stato sotterrato il compianto amico. Ancora non voleva credere che non lo avrebbe più rivisto. Eppure aveva parlato con lui qualche giorno fa. Lo aveva abbracciato e lui l’aveva consolata. Ora se ne era andato per sempre. Voltò lo sguardo per vedere Regina andarsene con Henry, tenendolo stretto a sé. Camminò da lei esclamando: “E’ colpa sua! E’ colpa sua se Graham è morto!” Regina, Henry e alcuni presenti si fermarono e la guardarono.
“E’ morto per causa sua!” replicò Rose.
“Non dire sciocchezze, bambina. E poi come avrei mai potuto ucciderlo? Non ero presente” disse Regina. Gold si avvicinò alla figlia, mettendole le mani sulle spalle e dicendole: “Vieni, Rose. Ritorniamo a casa” e cercò di condurla verso la macchina. Ma Rose fece un po’ resistenza e replicò, mentre le lacrime le rigavano il viso: “E’ stata lei! Lei non poteva sopportare l’idea che Graham non l’amasse più ma che amasse, invece, la Signorina Swan! Così gli ha spezzato il cuore! E ora uno dei miei migliori amici non ritornerà mai più. L’uomo che mi aveva salvata dalla foresta e che mi ha fatta ricongiungere con il mio papà. Mi voleva bene come una figlia che non aveva mai avuto. E io ne volevo a lui. Ora non potrò mai più rivederlo, e questo solo perché lei era gelosa.”
Ci fu silenzio. Regina non proferì parola. Gold riuscì a condurre la figlia, Paige ed Excalibur verso la macchina, dove ad aspettarli c'era Dove, ma non prima di aver dato un’occhiataccia al sindaco che, di tutta risposta, guardò il figlio. Salirono in macchina e, dopo che Dove fu andato al posto di guida, partirono.
Poco dopo si trovavano a casa, ma Rose si era rinchiusa in camera sua. Se ne stava distesa sul letto a osservare la tazzina sbeccata posta sul comodino. Non si accorse nemmeno del padre che, delicatamente, aveva aperto la porta, portando un vassoio. Si avvicinò al letto, depositando l’oggetto sopra una sedia lì accanto. Poi guardò la figlia. Doveva scegliere le parole adatte. Non voleva rattristirla ancora di più. Quindi si sedette sul letto e, dopo averle messo una mano sulla schiena, disse: “Ti ho portato qualcosa da mangiare. Ho preparato uno dei tuoi piatti preferiti.”
Ma Rose se ne stette in silenzio. Quindi Gold aggiunse: “Bambina mia, devi cercare di mangiare qualcosa. Graham non avrebbe voluto vederti così.” Ma di tutta risposta ricevette un lungo sospiro.
Gold si morse il labbro inferiore, pensando a qualcos’altro con cui migliorare l'umore della figlia. Gli venne in mente qualcosa. Quindi le propose: “Che cosa ne dici se ti leggo una bella favola? Magari una nuova. Oppure, ti vado a prendere il tuo gelato preferito.”
“Non ne ho voglia” disse Rose.
“Piccola, so come ti senti. Se solo mi permetti di aiutarti” disse Gold.
“No! Non sai come mi sento! Smettila e lasciami stare! Voglio rimanere da sola!” replicò Rose, per poi rimettere la testa sul cuscino e osservare nuovamente la tazzina sbeccata.
Ci fu silenzio. Poi Gold si alzò, dicendole: “Non ho mai superato la perdita di tua madre. Lei era molto importante per me. Così come lo sei tu.” Stava per uscire quando Rose disse: “Scusami.”
Gold volse lo sguardo verso di lei, vedendo che non stava più piangendo, ma che le lacrime rigavano, lo stesso, il suo viso. Il padre guardò in silenzio la figlia. Poi gli venne in mente un’idea e, senza dirle nulla, uscì. Ritornò poco dopo, tenendo in mano una custodia. Si sedette sul letto. Rose alzò la testa, guardandolo.
“Graham era una brava persona. Ma questo non glielo ho mai detto. Se non fosse stato per lui, ora tu non saresti qua. Mi ha fatto riunire con il mio tesoro più prezioso. Piccola mia, devi capire che anche le piccole cose non ci fanno mai dimenticare le persone che amiamo” spiegò Gold e aprì la custodia. Al suo interno c'era un coltello. Ma non era un semplice coltello e Rose lo conosceva benissimo. Guardò il padre, dicendo: “Papà… te lo avrei detto. Lo avevo nascosto perché avevo paura che tu poi lo avresti riportato in negozio.”
“Non lo riporterò in negozio. Penso che Graham volesse che lo tenessi tu. È per questo che lo dono a te. Così avrai qualcosa, seppur poco, con cui ricordarti di lui” spiegò il padre e consegnò la custodia alla figlia. Rose la prese, per poi accarezzare con la mano destra il manico del coltello. Gold si alzò, camminando verso la porta. Si fermò e disse: “Conservalo con cura” e uscì. Rose continuava a guardare il coltello e una lacrima le rigò il viso.
Passarono i giorni, ma Rose era sempre giù di morale. Faceva compagnia a suo padre, Paige ed Excalibur solamente durante pranzi e cene. Per il resto, trascorreva tutto il tempo nella sua camera. A loro mancava la Rose solare e sorridente, il cui posto, ormai da giorni, era stato preso da una bambina che si era isolata da tutti. Nessuno riusciva a tirarla su di morale.
Un giorno, qualcuno suonò. Gold si alzò dalla poltrona in salotto, camminando verso la porta. L’aprì rivelando Henry.
“Henry. Che piacevole sorpresa” gli disse.
“Ero passato per vedere come stava Rose. E’ da giorni che non la vedo e mi stavo preoccupando” disse Henry.
“Purtroppo la Rose che conoscevamo non c’è più. Vorrei poter riavere indietro la mia bambina sorridente e capace di portare il buon umore anche in giornate di pioggia. Se ne sta sempre rintanata in camera sua. La morte di Graham è stata un grosso e duro colpo per lei” spiegò Gold.
“Le può dire che sono passato?” domandò Henry.
“Certo. Glielo riferirò” rispose Gold.
“Ah, può darle questo? Ho messo un segno in una storia che dovrebbe leggere” disse Henry, consegnando il libro 'Once Upon a Time' a Gold che, prendendolo in mano, annuì semplicemente. Il bambino, dopo averlo salutato, se ne andò e Gold rientrò in casa. Si avvicinò a Paige, che lo stava guardando in silenzio e in piedi nel corridoio, chiedendole: “Potresti dare questo a Rose?”
“Certo” rispose semplicemente la bambina e, dopo aver preso il libro, andò al piano superiore. Si fermò di fronte alla camera da letto dell’amica, bussando. Poi disse: “Rose, ho una cosa per te. Se non vuoi aprirmi non fa niente. Te lo lascio qua davanti. Ma vorrei che lo prendessi” e, abbassandosi, mise il libro sul pavimento. Poi ritornò al piano di sotto.
La porta si aprì e Rose, dopo essersi guardata a destra e a sinistra, prese il libro, per poi richiudere velocemente la porta. Gold e Paige avevano visto tutto rimanendo ai piedi delle scale.
“Davvero non c’è proprio nulla da fare?” chiese Paige.
“C’è sempre una soluzione per tutto, ma in questo caso è meglio lasciare scorrere i fatti” rispose Gold, camminando in salotto.
Paige lo seguì dicendo: “Stiamo già lasciando scorrere i fatti e non è che le cose stiano andando bene.”
Gold si sedette sulla poltrona. Allungò la gamba destra e, mentre se la massaggiava, guardò Paige, dicendole: “Rose ha solo bisogno di tempo. Voleva molto bene a Graham e non è facile rendersi conto che non lo rivedrai mai più. Ma si deve anche rendere conto da sola che bisogna andare avanti. Ma noi le staremo sempre accanto. Non sarà mai sola.” Paige non obiettò. Sapeva che Gold aveva ragione. Conosceva la figlia e non voleva farla soffrire ancora di più. Ciò, infatti, sottintendeva starle accanto e aiutarla a superare quel brutto evento.
Ma la situazione non migliorò nemmeno nei giorni seguenti. In uno di questi, Paige e Rose se ne stavano nella camera di quest’ultima a osservare fuori dalla finestra.
“Mi dici che cosa stiamo osservando?” domandò Paige.
“Niente di particolare” rispose Rose.
“Niente di particolare da mezz’ora. Avanti, Rose, troviamo qualcosa di interessante da fare. Mi sto annoiando” disse Paige.
“Va bene. Quando lo troverai, avvertimi” disse Rose. Paige sbuffò. Improvvisamente, incominciò a soffiare un forte vento.
“Che cosa sta succedendo?” chiese un po’ preoccupata Paige. Rose guardò la banderuola posta in cima al tetto dei vicini e la vide girare.
“Vento da Est. Il vento è cambiato. Qualcosa di strano accadrà” rispose Rose e si allontanò dalla finestra.
“E tu come lo sai?” domandò Paige guardandola. Sentirono suonare alla porta. Corsero fuori dalla camera, fermandosi sul pianerottolo delle scale e vedendo Gold andare verso di essa. L’aprì e fu sorpreso di chi si trovò davanti. Si trattava di una donna, con un lungo cappotto nero; una gonna blu; una sciarpa arancione e rossa e un cappellino con dei fiorellini bianchi. Nella mano sinistra teneva un’enorme borsa e, nella destra, un ombrello il cui manico era scolpito a forma di testa di pappagallo.
“E’ bello rivederla, Signor Gold” disse la donna.
“E’ bello rivedere anche lei… signorina Poppins” disse Gold, facendo un piccolo sorriso.
“Perché è già accaduto” rispose Rose alla domanda fatta prima dall’amica.

 
Storybrooke del passato

 
“Rose! Scendi da quel lampadario! Potresti farti male” gridò Gold, tentando di far scendere la figlioletta di quasi sei anni che si era messa in testa di trovarsi in una specie di giungla e che il lampadario si era magicamente trasformato in una liana con la quale dondolarsi.
“Ma, papino, mi sto divertendo un sacco” disse Rose, continuando a dondolarsi.
“Ti divertirai meno quando ti prenderò e ti sculaccerò! Scendi o rischi di romperti l’osso del collo” replicò Gold. Ma, di tutta risposta, Rose continuò a dondolarsi, poi gridò: “Sono Tarzan!” e si lasciò andare. Gold si buttò a terra, lanciando il bastone da una parte e riuscendo a prenderla in tempo.
“Tu non sei Tarzan! Sei in un mucchio di guai!” replicò Gold.
“Lo rifacciamo, papino?” chiese Rose, guardandolo.
“No! Non è un gioco e ci si può anche fare male. Ora per te ti aspetta l’angolo” rispose Gold, alzandosi in piedi e mettendo la figlia con i piedi per terra.
“Ancora l’angolo?! Ma ci sono già stata ieri” disse stupita Rose, mentre Gold riprendeva il bastone.
“Rose, devi capire che non posso gestire contemporaneamente te e i clienti. Ultimamente sei diventata un piccolo terremoto e lo sai benissimo che il negozio non è un parco giochi” disse Gold.
“Ma il parco giochi è qua vicino. Solo che tu non mi ci fai mai andare da sola” disse Rose.
“Perché è troppo pericoloso e ti potrebbe accadere qualcosa” disse Gold, accarezzandole una guancia.
“Magari ci potrei andare con Henry. Solo che tu hai sempre detto che non è leale” disse Rose.
“Male. Non leale. È male andarci con lui” la corresse il padre.
“Ma Henry è il mio migliore amico” disse Rose.
“Non è lui che mi preoccupa. Ma sua madre: ha una cattiva influenza e devi stare alla larga da lei” spiegò Gold. Sentirono la campanella della porta. Quindi Gold aggiunse: “Ora devo andare di là a servire un cliente. Tu vai nell’angolo e fai la brava” e, mettendole le mani sulle spalle, la condusse verso un angolo del muro per poi dirle: “E, quando ritorneremo a casa, ti prometto che giocheremo insieme.”
“E va bene” disse Rose.
“Brava la mia bambina. E mi raccomando, stai sempre qua nell’angolo” disse Gold e, dopo averla accarezzata sulla testa, se ne andò dal cliente.
Rose sbuffò, mentre guardava il muro davanti a sé. Poi volse lo sguardo per vedere alcuni oggetti posti a casaccio uno sopra l’altro, con un grosso tappeto viola, blu e dorato sotto di essi. Quindi disse: “Papà non si arrabbierà se gli do una mano a mettere a posto un po’ di cose” e, allontanandosi dall’angolo, si avvicinò a quegli oggetti. Li guardò. Li osservò in ogni minimo dettaglio. Provò a prenderne uno ma, appena lo fece, gli altri si mossero.
“Se ne muovo uno, c’è il rischio che faccia cadere anche gli altri. Devo trovare un modo per non farli cadere” disse. Quando abbassò lo sguardo verso il tappeto, un’idea le balenò in testa, così come un sorrisetto le comparve in volto.
Intanto, Gold stava gestendo un Leroy alquanto scorbutico. Be', in realtà lo era sempre stato.
“Non mi interessa quanto tempo ci vorrà. Ma lo voglio” replicò Leroy.
“Hai finito con le tue lamentele o sei venuto qua solo per quelle? Perché avrei altro di più importante del quale occuparmi” disse Gold, massaggiandosi la fronte, ormai prossimo a un mal di testa.
“Altro di più importante del quale occuparti?! Anche la mia cosa è importante!” replicò Leroy. In quel momento sentirono gran baccano provenire dal retro.
“Ora devo andare” disse Gold e, voltandosi, stava per andare nel retro, quando Leroy replicò: “Ma noi non abbiamo ancora finito!”
Gold lo guardò, dicendo: “Ho un terremoto formato figlia di cui occuparmi. Torna un’altra volta. Anzi, non tornare più!”
“Non finisce qua, Gold!” replicò Leroy e uscì dal negozio sbattendo la porta. Gold sospirò. Poi andò nel retro, ma si fermò non appena vide il macello di oggetti sparpagliati a terra e Rose con in mano un tappeto blu, viola e dorato. La figlia sorrise come se non fosse successo nulla.
“Rose” disse semplicemente Gold, riportandosi la mano sulla fronte. Ormai il mal di testa aveva preso il sopravvento.
“Scusami, papà. Volevo solamente aiutarti” disse Rose.
“Non è distruggendomi il negozio che mi aiuterai. Vedo che l’angolo non è più di tuo gradimento” disse Gold.
“In verità mi stavo annoiando a fissare il muro, quindi ho pensato di rimettere a posto alcune cose. Hai molto disordine qua” spiegò Rose.
“E’ molto carino da parte tua aiutarmi. Ma così metterai ancora più in disordine” disse Gold, facendo un piccolo sorriso.
“Ho visto che c’erano parecchi oggetti messi a casaccio, e così ho pensato di rimetterli a posto” spiegò Rose.
“Rose, devi capire che non posso gestire contemporaneamente te e i clienti. Te l’ho detto anche prima. Quindi mi trovi costretto a cercare un altro rimedio per tenerti buona per un po’” disse Gold. Ci pensò su. Poi gli venne in mente qualcosa: “Ti farò guardare un bel cartone animato alla televisione” e, mentre andava a prendere una piccola televisione, Rose entusiasta disse: “Che bello! Voglio La Bella e la Bestia!”
“Mi dispiace, piccola. Ma non ho quel film” disse Gold, spingendo con una mano un carrellino sopra al quale c'era una piccola tv. Di fianco a essa c'era una videocassetta. La prese e, mentre si abbassava – mettendola nell’apposito lettore posto al di sotto della televisione – aggiunse: “Ho solo a disposizione Robin Hood.”
“Che schifo! Non mi piace Robin Hood” replicò Rose.
“E’ il solo cartone animato che ho qua al momento. Quindi ti devi accontentare” iniziò col dire Gold e, mentre sullo schermo scorrevano i titoli di testa, andò dietro la figlia e, mettendole le mani sulle spalle, avvicinando poi il viso a quello di lei, continuò: “E poi hai sempre ammirato il Medioevo. Camelot. Excalibur.”
“Papà, quella è La Spada nella Roccia” disse Rose, guardandolo.
“Be', più o meno è uguale. E poi si svolgono nella stessa epoca” disse Gold.
Rose riguardò lo schermo e disse: “Be'… sì. E poi c’è il coniglietto bianco che mi piace.”
“Ecco. Lo vedi che poi tanto male non lo è? Goditi il film, mentre io vado a servire il prossimo cliente. E ti prometto che, quando ritorneremo a casa, potrai distruggere tutte le cose del vicino” disse Gold.
“Perché devo distruggere le cose del nostro vicino?” domandò stupita Rose.
“Perché così non distruggerai casa nostra. E ora fa la brava” rispose Gold e, dopo averle baciato una guancia, se ne andò ad accogliere il cliente che era appena entrato.
Passarono i minuti. Rose aveva ormai perso interesse per il cartone animato. Non che ne avesse mai avuto. Robin Hood non era mai stato il suo preferito. Lei adorava La Bella e la Bestia. Una storia che l’aveva da sempre affascinata. Anche se preferiva di gran lunga la versione narrata da suo padre. Raccontava fatti che nel cartone animato non c’erano. Adorava le fantasie del padre per qualsiasi storia. E poi cambiava voce per ogni personaggio. Rideva ogni qual volta faceva quella voce acuta e stridula, soprattutto quando le leggeva un’altra sua storia preferita: quella riguardante Tremotino e la figlia del mugnaio. Molti ripudiavano quel piccolo folletto dall’aspetto sgradevole. Ma lei ne era affascinata. Soprattutto per il fatto che sapesse tramutare la paglia in oro. Le sarebbe piaciuto vedere una cosa del genere. Ma sapeva che la magia esisteva solo nelle favole.
Venne distolta dai suoi pensieri quando sullo schermo comparve Robin Hood – travestito da cicogna per non farsi riconoscere dal Principe Giovanni – intento a gareggiare nel tiro con l’arco. Fu lì che le venne in mente un’idea. Si guardò intorno. Su uno scaffale a portata della sua altezza, vide una balestra e, accanto a essa, una faretra piena di frecce. Si alzò dalla sedia e camminò verso lo scaffale per poi prendere delicatamente in mano la balestra. Guardò anche la faretra, estraendo una freccia. Volse lo sguardo verso la televisione, osservando i movimenti che compiva Robin Hood. Riguardò la balestra e la freccia che teneva in mano e le comparve un sorrisetto in volto.
Nel frattempo, Gold stava parlando con Archie, il cliente entrato poco prima. Lo psicologo, vedendo l’espressione stanca di Gold, gli aveva domandato cosa fosse successo e lui gli aveva spiegato ogni cosa.
“Ha mai pensato di assumere una tata?” gli propose.
“Non voglio lasciare mia figlia in custodia a una sconosciuta!” replicò Gold.
“Ci sono tante ragazze qua che cercano lavoro. Sarebbe una bella opportunità” disse Archie.
“Non mi interessa! Riesco a cavarmela benissimo anche così. Vorrà dire che gestirò meglio entrambe le cose” disse Gold. All’improvviso, una freccia passò accanto a loro, sfiorandoli e andandosi a conficcare contro un quadro appeso a una parete.
“Rose!” gridò Gold e la figlia, trascinandosi a terra la balestra con fatica, andò dal padre.
“Ciao, Rose. Non mi dire che sei stata tu a scoccare quella freccia?” chiese Archie, facendo un piccolo sorriso.
“Papà mi stava facendo guardare il cartone animato di Robin Hood in televisione. Volevo anche io usare l’arco come lui, solo che ho trovato questa cosa molto pesante. Ci ho messo una freccia. Ho toccato questo coso e la freccia è partita da sola” spiegò Rose.
Gold sospirò per poi domandarle: “Rose, che cosa ti avevo detto prima?”
“Di fare la brava e guardare il cartone animato” rispose Rose.
“E perché invece hai fatto altro?” chiese Gold.
“Te l’ho detto il perché: volevo imitare Robin Hood e…” rispose Rose.
“E… e cosa? C’è altro, vero?” domandò Gold.
“… e mi stavo annoiando. Se solo mi lasciassi uscire” rispose Rose.
“Lo sai che non puoi! E’ pericoloso e ti potrebbe accadere qualcosa! E io non sarei lì a proteggerti. Solo stando accanto a me so che sarai al sicuro” disse Gold.
“Forse, se solo chiudesse il negozio anche per un po’, potrebbe andare con lei al parco. Ci sono tantissime attività che potete svolgere insieme” propose Archie.
“Grazie per la proposta, ma gradirei che non si immischiasse, dottore. È una faccenda che riguarda solo me e Rose. Io sono suo padre e so ciò che è meglio per lei” disse Gold.
“Allora, se sa ciò che è meglio per lei, ripensi all’offerta di assumere una tata” disse Archie.
“Tata?! Quale tata?” chiese stupita Rose.
“Nessuna tata entrerà nella vita di mia figlia. Finora sono riuscito benissimo a crescerla anche da solo” disse Gold.
“E’ vero. Ma quanto ancora potrà andare avanti così? Cioè, vuole veramente che le distrugga il negozio?” domandò Archie.
Gold stette in silenzio. Poi volse lo sguardo alla figlia, che guardava con curiosità i due adulti. Riguardò lo psicologo e fece un lungo sospiro.
Venne sera e Gold si trovava nel salotto di casa, seduto sul divano a rileggere per la quarta o quinta volta – ormai aveva perso il conto – l’annuncio che avrebbe fatto pubblicare sul The Mirror il giorno dopo. Alla fine, dopo i consigli del Dottor Hopper, aveva deciso di assumere una tata che si occupasse di Rose mentre lui gestiva il negozio. Secondo ciò che aveva scritto, la tata per Rose sarebbe dovuta essere severa, ma non troppo. Esigente e capace di tenere la vitalità della figlia a freno. Che fosse rispettabile e, ovviamente, accettabile per lui. Se fosse entrata nelle sue grazie, avrebbe ottenuto il posto.
Alzò lo sguardo quando sentì dei passetti e vide Rose, in pigiama, sulla soglia del salotto. La bambina teneva in mano un foglio.
“Rose, ti avevo messo a letto quasi un’ora fa. Cosa ci fai ancora sveglia?” chiese lui, guardandola premurosamente.
“Non riuscivo a dormire. Così ho pensato che avresti avuto bisogno di una mano” rispose lei, mentre si avvicinava.
“Una mano per cosa?” domandò Gold.
“Per la nuova tata. Dopotutto, la stai cercando perché io non faccio la brava in negozio. Quindi voglio aiutarti. Così ho scritto una lettera che potrai pubblicare sul giornale” spiegò Rose fermandosi di fronte a lui.
La bambina, seppur frequentasse solamente la prima elementare, già dimostrava di essere molto brava nel leggere e nello scrivere. Apprendeva anche velocemente le cose. Dopotutto, come le aveva detto più volte il padre, aveva ereditato tutto ciò dalla madre… ma anche un po’ da lui. E lui stesso ne andava molto orgoglioso.
“Non credo sia necessario, piccola” disse Gold, facendo un piccolo sorriso.
“Almeno ascolta ciò che ho scritto” disse Rose e, dopo aver schiarito la voce, iniziò:
 
“Cercasi tata per un’adorabile bambina”
 
“Adorabile?! Be', questo è da vedere. Non sei di certo una santarellina, mio piccolo fiore” disse Gold.
 
“Devi essere buona, brava e paziente e soprattutto non esigente.
Devi cantar e far divertire, ma mai farmi soffrire.
Scherzi non ti farò, se compiti da te non avrò.
Se te la senti di ubbidire, non te ne farò mai pentire.
Fai presto.
Rose Gold
 
Ci fu silenzio. Poi Gold disse: “Grazie del pensiero, piccola. Ma ora sarà meglio che te ne ritorni a letto” Rose abbassò tristemente lo sguardo. Lasciò il foglio sul tavolino e, voltandosi, uscì dal salotto, ritornando al piano di sopra. Gold prese in mano il foglio. Poi si alzò e, mentre si avvicinava al caminetto, disse: “Mi dispiace, piccola mia. Ma la tua tata non sarà così” e, dopo aver strappato in tanti pezzi il foglio, lo gettò nel caminetto. Poi prese il suo e andò a telefonare alla redazione del giornale.
Passarono i giorni. In uno di questi, Rose se ne stava a guardare fuori dalla finestra la fila di tate posta davanti a casa, pronte per essere ricevute – una dopo l’altra – da suo padre.
“E’ strano, ma nessuna di quelle assomiglia a quella descritta nel mio annuncio. Forse non ho scritto bene la lettera o forse sono loro a non averla letta bene” disse Rose, mettendosi una mano sotto il mento e poggiando il gomito sul davanzale. Improvvisamente cominciò ad alzarsi un forte vento. La bambina vide la banderuola dei vicini girare verso est. Poi riguardò le donne, le quali cercavano di proteggersi con braccia, ombrelli e ciò che potevano. Ma fu invano perché, una dopo l’altra, vennero spazzate via. Quando il viale fu deserto, accadde qualcosa. Rose alzò lo sguardo per vedere una donna volare giù dal cielo tenendo aperto l’ombrello. La bambina non poteva credere a ciò che vedeva. Non era possibile. Le persone che volavano esistevano solamente nei suoi libri di fiabe. Quella donna atterrò proprio davanti alla villa e bussò alla porta. Rose sorrise. Sì, quella era la tata perfetta per lei. Corse al pianerottolo per vedere suo padre aprire la porta e far entrare la donna. Ma rimase sorpreso quando non vide nessun'altra. Richiuse la porta, raggiungendo la donna in salotto.
“E’ lei il padre di Rose Gold?” chiese la donna. Gold la guardò senza rispondere. Come sapeva quella donna il nome di sua figlia? Non l’aveva scritto nell’annuncio. Quindi la donna ripeté la domanda: “E’ lei il padre di Rose Gold? Sì o no?”
“Ovvio che sì. E lei chi sarebbe?” le domandò.
“Sono Mary Poppins e ho risposto al suo annuncio. Allora vediamo un po’” rispose la donna. Dalla tasca del cappotto estrasse una lettera. Gold socchiuse gli occhi per vederla meglio, per poi sgranarli quando si rese conto che quella lettera era stata precedentemente strappata, considerata che ora era messa insieme da dello scotch. Si avvicinò alla donna mentre quest'ultima iniziava a leggere la lettera: “Punto primo: devi essere buona, brava e paziente. Io non mi arrabbio mai. Sono molto paziente, ma posso anche diventare molto severa.”
“Mi scusi, ma quella lettera dove l’ha presa?” chiese Gold. Mary Poppins lo guardò e, mentre Gold se ne andava verso il caminetto, continuò: “Punto secondo: devi far cantar e divertire. Sua figlia troverà molto divertenti i miei giochi.”
Vide Gold che guardava all’interno del caminetto, quindi gli domandò: “Signor Gold, si sente bene?” Gold batté la testa contro uno dei muretti del caminetto e, mentre se la massaggiava, disse: “Quel foglio… credevo di averlo strappato” e riguardò nel caminetto. Mary Poppins si affiancò a lui, imitandolo. Poi guardò l’uomo, dicendogli: “Facciamo una settimana di prova. Le voglio ricordare che voglio ogni mercoledì libero. Be', per ora è tutto. Vado a vedere sua figlia. Buona giornata.”
E si diresse al piano superiore. Ma, invece, di usare le scale, si sedette sullo corrimano e… salì tramite quello. Arrivò al pianerottolo, dove Rose la guardava con la bocca aperta.
“Chiudi la bocca, Rose: non sei un merluzzo” disse Mary Poppins e la bambina chiuse la bocca. La donna scese dallo corrimano e, affiancandosi alla bambina, aggiunse: “Su, oplà, mostrami la tua camera.” Le due entrarono nella camera della bambina, dove regnava il caos più totale.
“Tuo padre ti ha mai detto di metterla in ordine?” chiese Mary Poppins, mentre si addentravano nel caos.
“Qualche volta. O sempre. Non ricordo” rispose Rose e andarono nella camera accanto, quella degli ospiti. La bambina aggiunse: “Questa sarà la tua camera. Spero sia di tuo gradimento.”
“Sembra molto accogliente. Ma, secondo me, manca ancora qualcosa” disse Mary Poppins e depositò la grossa borsa sulla tavola. Poi l’aprì e, da essa, ne estrasse un grosso specchio che andò ad appendere a una parete. Rose rimase a bocca aperta. Come aveva fatto a starci uno specchio così grosso in una borsa non così piccola ma nemmeno così alta? Mary Poppins ritornò alla borsa, estraendone una pianta, che andò a mettere nell’angolo. Rose si grattò la testa. Proprio non riusciva a capire come potevano stare tutti quegli oggetti – di grosse dimensioni – in quella borsa. Mentre la donna cercava qualcosa nella borsa, Rose le domandò: “Come fai a volare?”
“Ti sembra che abbia volato?” chiese Mary Poppins.
“Be', ti ho vista scendere giù dal cielo e atterrare nel nostro vialetto” rispose Rose.
“E’ stato solo frutto della tua immaginazione. Le persone non volano o, almeno, non come pensi di aver visto tu” rispose Mary Poppins, guardandola e mentre teneva in mano un oggetto.
“Però io ti ho vista farlo veramente. Scendevi dal cielo tenendo aperto il tuo ombrello. E poi, secondo il mio amico Henry, nessuno può entrare o uscire da Storybrooke. Tu come ci sei riuscita?” domandò Rose.
“Ci sono tante possibilità. Ma riserverò a te la sorpresa. Ora, però, basta con le domande: stai dritta e ferma” rispose Mary Poppins e, abbassandosi, le mise accanto quell’oggetto, trascinandolo verso terra. Si trattava di un metro. Ma non un metro qualunque. La donna lo portò ad altezza viso, leggendo la misura, ovvero il nome della bambina.
“Ummm... sei dolce e premurosa verso il prossimo. Ma sei anche incline a persuadere gli altri e cacciarti nei guai” disse Mary Poppins.
“Ehi, non è vero. Non sono persuasiva e, se mi caccio nei guai, è solo perché papà non mi fa mai uscire” disse Rose.
“Tuo padre ti vuole solo proteggere. E poi, il metro non sbaglia mai” disse Mary Poppins.
“Ammettiamo che sia così. Ora voglio vedere te” disse Rose.
Mary Poppins sorrise per poi dire: “Va bene. Reggi un momento” e, mentre lei teneva un’estremità del metro, Rose tenne l’altra, trascinandola verso il basso. Poi la lasciò e la donna sorrise nel leggere sotto il suo nome: “Mary Poppins. Praticamente perfetta sotto ogni aspetto.”
“Mary Poppins. Mi piace come nome ma mi suona anche familiare” disse Rose.
“Grazie. Ma ora vogliamo incominciare?” chiese Mary Poppins.
“Cominciare cosa?” domandò Rose, inarcando un sopracciglio.
“Nel tuo annuncio non avevi scritto che volevi che ti facessi divertire?” chiese la donna.
“Certo. Ma perché ho lo stesso un brutto presentimento?” domandò Rose mentre seguiva Mary Poppins in camera sua.
“Rimetteremo in ordine la tua camera” spiegò.
“Ecco… riguardo questo… potremmo semplicemente saltare questa fase e passare ad altro? E poi credo che papà mi stia chiamando” disse Rose.
“Rose, rimettere a posto la camera potrebbe anche essere divertente” disse Mary Poppins, sorridendole.
“Scusami se ti contraddico, ma non ci trovo nulla di divertente nel rimettere a posto la propria camera” disse Rose.
“Non dal punto di vista che pensi tu. Intendilo come un poco di zucchero e la pillola va giù” spiegò Mary Poppins. Rose la guardò stranamente. Vedendo l’espressione della bambina, Mary si volse verso il letto e, con uno schiocco di dita, esso si rifece da solo. Rose rimase a bocca aperta. La donna schioccò nuovamente le dita verso l’armadio e i vestiti, si piegarono da soli e altri ritornarono al proprio posto appesi. Rose volle provarci. Andò, quindi, davanti a dei suoi giocattoli e schioccò le dita. Ma non accadde nulla. Ci provò altre volte. Ma nulla. Guardò Mary Poppins che la guardò a sua volta sorridendo. Riguardò avanti sé e, con tenacia, schioccò le dita. I giocattoli ritornarono nella cesta dietro di loro. La bambina, entusiasta, andò in altre parti della camera, schioccando le dita e rimettendo a posto ciò che c’era in disordine. Poco dopo, la stanza fu in ordine.
“E ora mettiti il cappotto. Andiamo a fare una bella passeggiata nel parco” disse Mary Poppins, mentre tirava fuori un cappotto molto pregiato – Gold non voleva far mancare nulla alla figlia – dall’armadio.
“Ma dobbiamo proprio? Voglio rimettere di nuovo la stanza” disse Rose, mentre si faceva mettere il cappotto.
“La stanza è già in ordine. E poi, il troppo stroppia” disse Mary Poppins. Rose la guardò stranamente. Scesero le scale e uscirono.




Note dell'autrice: Buongiorno Oncers. Settimana senza ONCE, ma nel prossimo speriamo di vedere Gold vincere, finalmente, contro Uncino. Eccomi qua, come di consueto, con la prima parte del nuovo capitolo. Come avrete capito dal titolo (e siete arrivati anche fin qua), ecco il nuovo personaggio che ho introdoto e del quale vi ho parlato precedentemente. E' un capitolo transitorio che ci porterà, successivamente, a Skin Deep. Ma è anche un capitolo importante. Come farà questa Mary Poppins a entrare e uscire da Storybrooke senza perdere la memoria? E, soprattutto, come conosce tutto di tutti? Molti di voi avranno sicuramente già la risposta. Gran parte della vicenda - come avete visto - si svolge nel passato di Storybrooke. (Piccola nota: se Rose riesce a praticare quella magia, se ben ricorderete nei capitoli precedenti, la bambina riusciva anche a vedere "attraverso" la maledizione, identificando le persone come le loro controparti nella Foresta Incantata. Questo perchè Rose mantiene ancora un pò di magia da bambina, cosa che poi perderà crescendo. Questo perchè i bambini sono puri e credono (vedere Isola che Non c'è)
Con ciò, passo ai ringraziamenti. Grazie di cuore a tutti coloro che stanno recensendo, seguendo o semplicemente leggendo la fanfict. Spero di non avervi troppo annoiato. Tante cose devono ancora succedere anche se piano, piano i pezzi del puzzle si stanno mettendo insieme. Ringrazio, inoltre, anche la mia cara amica Lucia.
Concludo che vi aspetto prossimamente con la seconda parte del capitolo. Buon proseguimento di giornata, dearies


 
 
 
 

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Capitolo 30
*** Supercalifragilistichespiralidoso - Parte II ***






The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo XV: Supercalifragilistichespiralidoso -  Seconda Parte


Storybrooke del presente
 
“Come mai è qua? Nessuno, stavolta, l’ha chiamata” chiese Gold.
“E’ vero. Ma ho percepito che qualcuno ha bisogno del mio aiuto” rispose Mary Poppins.
“Lei è sempre stata molto previdente. Lo devo ammettere” disse Gold, facendo un piccolo sorriso.
“La previdenza è una delle mie caratteristiche. Soprattutto riguardo alle persone a cui ho già prestato aiuto” disse la donna.
“Ultimamente non stiamo passando un bel periodo. E mia figlia è quella che sta soffrendo di più” disse Gold.
“Perdere un caro amico è sempre un duro colpo” disse Mary Poppins. Gold la guardò sorpreso. Come faceva quella donna a sapere della morte di Graham? Si sorprese ancora di più quando la donna aggiunse: “E so anche che avete ben due nuovi membri in famiglia. È stato molto gentile da parte sua, Signor Gold, aiutare quella bambina e tenerla qua al sicuro, finché non troverete il padre naturale. E per quanto riguarda quella volpe, ritrovarla deve essere stata una sorpresa.” Gold se ne rimase lì, a fissarla in silenzio. Per poi dire semplicemente: “Be'… sì.”
“Ora vado dalle bambine. A dopo” disse Mary Poppins sorridendo, e salì su per le scale, raggiungendole sul pianerottolo.
“Ciao, Rose. Sei cresciuta dall’ultima volta” le disse la donna.
“Be', è passato un po’ di tempo. Avevo sei anni” disse Rose. Mary Poppins guardò l’altra bambina, dicendole: “E tu, invece, devi essere Paige.” Questa sgranò gli occhi e stupita domandò: “Come sa che mi chiamo così?”
“E’ un nome molto comune” rispose semplicemente Mary Poppins. Le due bambine si guardarono stranamente. Poi guardarono la camera da letto e la donna aggiunse: “L’ultima volta era molto più in disordine.”
“Cerco di ascoltare papà… almeno un po’. Credo di avergli fatto venire già abbastanza capelli bianchi” disse Rose. Ma si vedeva che la bambina era triste. Quindi Mary Poppins si fece seria: “Rose, so che la  morte del tuo amico ti ha molto segnata. Ma non per questo devi abbatterti ed escludere la tua famiglia e gli altri. Graham non lo avrebbe voluto.” Rose guardò da una parte, per poi dire: “Non sarebbe dovuto succedere. Lui non ne aveva colpa” e riguardò Mary Poppins con gli occhi lucidi.
“E’ giusto che tu pianga. Sfogati e ti sentirai meglio” disse Mary Poppins, mettendole una mano su una guancia.
“Credo di aver già versato troppe lacrime” disse Rose.
“Ma piangere ancora potrebbe farti bene” disse Mary Poppins.
“Le mie lacrime non riporteranno in vita Graham. E poi bisogna andare avanti” disse Rose e si asciugò le lacrime. Mary Poppins sorrise per poi proporre: “Che ne dite se andiamo a fare una bella passeggiata nel parco?”
“L’ultima volta non è finita molto bene” disse Rose.
“Oh, suvvia, è anche una bella giornata di sole. Su, oplà. Passo avanti a me, bambine” disse Mary Poppins e le due bambine scesero le scale, seguite dalla donna. Gold le raggiunse insieme a Excalibur.
“Dove pensate di andare?” chiese loro.
“Mary Poppins ci sta portando al parco” rispose Rose.
“E’ meraviglioso. Dopo tanto, mio piccolo fiore, esci da questa casa” disse Gold, facendo un piccolo sorriso.
“E sono sicura che ci divertiremo un sacco” disse Mary Poppins. Gold ridivenne serio per poi replicare: “Lei non le porterà fuori!”
“Ma Signor Gold, andremo solo al parco. Ci siamo sempre state” disse Paige.
“Voi non ci andrete! E questa è la mia ultima parola” replicò Gold. Ci fu silenzio. Poi Mary Poppins propose: “Se non si fida di me, potrebbe anche lei venire con noi” Gold la guardò non dicendo nulla.
Poco dopo, Mary Poppins e le bambine stavano camminando verso il parco, accompagnate da Gold e Excalibur.
“Ha visto che ha fatto bene a venire con noi? E’ una bellissima giornata di sole” disse Mary Poppins. Gold alzò lo sguardo dicendo: “Io non la reputerei bellissima: quelle nuvole grigie non promettono nulla di buono” e riguardò avanti.
“Non sia sempre così pessimista. Bisogna anche vedere il bello in ogni cosa” disse Mary Poppins. Gold la guardò in silenzio. Arrivarono all’entrata del parco, per vedere un uomo inginocchiato a terra, intento a disegnare sui blocchi del marciapiede. Si fermarono ad osservarlo. L’uomo alzò lo sguardo e sorrise nel vedere la donna: “Mary Poppins! Che bello rivederti!” e si alzò in piedi.
“Mi fa piacere rivedere anche te, Dick” disse Mary Poppins, sorridendo. Dick guardò le altre persone e sbiancò non appena vide Gold. Ma poi le salutò ugualmente: “E vedo che sei anche in buona compagnia.”
“Ti ricordi di Rose, vero?” domandò Mary Poppins. Dick guardò la giovane bambina: “Ma certo. L’ultima volta, se non ricordo male, davi la caccia a un aquilone.”
“Signor Dick, le consiglio di non ritornare su quell’argomento. O, forse, si dimentica come andò a finire l’ultima volta?” disse Gold.
“No. No. Me lo ricordo benissimo. Ma per farle piacere, Signor Gold, non tirerò più in ballo l’argomento aquilone” disse Dick.
“Sarà meglio per lei” disse Gold. Paige si avvicinò a uno dei dipinti, per poi dire: “Sono molto belli. Sei bravissimo a disegnare.” Dick si avvicinò a lei, dicendo: “Grazie per i complimenti, signorina.”
“Mi chiamo Paige e, prima che faccia troppe domande, attualmente sto vivendo con il Signor Gold, sua figlia ed Excalibur” spiegò Paige, guardandolo.
“E chi sarebbe Excalibur? La prodigiosa spada di Artù?” chiese ridendo Dick. Ma smise quando entrambi voltarono lo sguardo per vedere Excalibur che stava starnutendo su un disegno, per poi guardare i suoi padroni. Essi notarono il colore dei gessetti – usati da Dick per disegnare – sul suo muso.
“No. È solamente la nostra volpe combina guai” rispose Rose, avvicinandosi ai due e ammirando il disegno che stavano guardando. Si trattava di un paesaggio alquanto bizzarro: “Sai, assomiglia molto al Paese delle Meraviglie. Ci sono funghi; fiori e persino un bruco blu”
“Sì, è proprio questo che stavo guardando. Ma non credo assomigli al Paese delle Meraviglie” disse Paige.
“Be', mettici uno fuori di testa; un coniglio sempre in ritardo e una che adora tagliare le teste e il dipinto è completo” disse Rose.
“Ma tuo padre che storie ti racconta?!” disse stupita Paige.
“Sarebbe bello passeggiare per le strade presenti in questi dipinti. Non trovate anche voi?” disse Dick.
“Trovo solo, invece, che sia una grossa perdita di tempo. Tempo che avrei volentieri speso in negozio” replicò Gold. Rose abbassò lo sguardo. A volte, suo padre metteva sempre il lavoro prima di lei e ciò la rendeva come tutti quegli oggetti nel negozio: dimenticati. Ma come, poteva, suo padre dimenticarsi della sua adorata figlia? Lo faceva e, forse, era anche per quello che aveva assunto anni prima una tata che si occupasse di lei.
“Signor Gold, avrà sempre tempo per il suo negozio. Direi, invece, che dovrebbe avere più tempo da trascorrere per sua figlia. Dopotutto, lei e Rose siete una famiglia” disse Mary Poppins.
“Stia zitta! Lei non sa nulla del concetto di 'famiglia'!” replicò Gold e diede di spalle al gruppetto. Ci fu silenzio. Ma poi Mary Poppins disse: “Invece lo so e so come è perdere qualcuno” Gold la riguardò e la donna continuò: “Ma, nella vita, bisogna prendere delle decisioni anche se queste possono far soffrire qualcuno a cui vuoi bene o… te stesso.” Gold non sapeva cosa dire. Non l’aveva mai vista così. Quella donna era sempre così misteriosa. Chissà cosa nascondeva.
Sì sentì tuonare e, come aveva previsto prima Gold, iniziò a piovere a dirotto. Mary Poppins aprì l’ombrello, sotto al quale corsero subito Rose e Paige.
“Signor Gold, farebbe meglio a venire sotto anche lei prima che si prenda un malanno” disse Mary Poppins.
“Non dica sciocchezze! Io non mi sono mai ammalato in vita mia. E poi, prima devo cercare di prendere la mia volpe” disse Gold. Excalibur, infatti, stava giocando in mezzo alle pozzanghere appena formatesi e non sentiva ragione di essere presa dal padrone. Fortunatamente, fu Dick che riuscì a prenderla. Andò di fronte a Gold, dicendogli: “Ecco la sua volpe, Signor Gold.” Questi la prese e, senza ringraziarlo, passò accanto a Mary Poppins e le bambine.
“Dick, hai mai pensato di fare lo spazzacamino? Ti ci vedrei bene. E poi il nostro camino sarà sporchissimo. Papà non lo fa pulire da molto tempo” propose Rose.
“Lo terrò in considerazione. Grazie per l’idea. Ma questo è il tempo adatto per le caldarroste” disse Dick, facendo una veloce carezza sulla testa di Rose.
“Coraggio, bambine, è ora di andare” disse Mary Poppins e, dopo aver salutato Dick, se ne ritornarono a casa.
Poco dopo, si ritrovarono nel salotto di Villa Gold. I loro vestiti erano stati appesi accanto al caminetto per farli asciugare. Mary Poppins se ne stava davanti alle due bambine, tenendo in mano una boccetta e un cucchiaio. Gold e Excalibur, invece, se ne stavano in disparte.
“Non la prendo, quella cattiva medicina. Ne avevo già presa una, tempo fa, di papà, ed era amarissima” disse Rose.
“Ma poi ti aveva fatta stare meglio” disse Gold. Rose volse lo sguardo verso di lui per poi dirgli: “In teoria non mi ha fatto nulla, visto che avevo l’appendicite e non la febbre o la tosse come pensavi tu.” E riguardò Mary Poppins che versò un po’ di medicina nel cucchiaio.
“Dobbiamo proprio prenderla?” domandò Paige.
“E’ per il vostro bene se non volete ammalarvi” rispose Mary Poppins e diede il cucchiaio a Rose. L’assaggiò per poi esclamare: “Sa di fragole. Buona” e diede il cucchiaio a Paige. Mary Poppins versò anche a lei la medicina e la bambina disse: “Sa di menta. Deliziosa” e consegnò l’oggetto alla donna che disse: “Signor Gold, tocca a lei.”
“Io non la prendo. Come le avevo detto poco fa, non mi ammalo mai e, di certo, non mi abbasso a prendere una medicina” disse Gold. Quindi starnutì. Mary Poppins si avvicinò a lui dicendo: “Su, non faccia il bambino. Chiunque si bagna i piedi, deve prendere qualche cosa.” E, dopo avergli dato il cucchiaio, gli versò la medicina. Gold era ancora un po’ restio. Poi disse: “Lei non è mia madre. Non può dirmi quello che devo fare.”
“Va bene. Faccia come vuole. Non prenda la medicina, ma l’avverto: un padre con l’influenza non viene molto ascoltato dalla propria figlia, né preso in considerazione. Quindi, le consiglio di essere in piena forma se vuole badare a Rose” disse Mary Poppins. Stavolta, senza obiettare, Gold prese la medicina.
“Allora, di cosa sa?” chiese Rose, guardandolo.
“Brandy” rispose semplicemente Gold, consegnando il cucchiaio a Mary Poppins che si abbassò, riempiendolo nuovamente con la medicina. Poi disse: “Ora tocca a te, Excalibur” La volpe indietreggiò un po’ andando a sbattere contro il caminetto e scuotendo negativamente la testa.
“Non fare i capricci. Scommetto che ti piacerà” disse la donna e mise il cucchiaio nella bocca della volpe. Mentre questa mandava giù controvoglia, Mary Poppins pulì il cucchiaio nel grembiule, per poi rimetterci la medicina. Excalibur, però, si leccò i baffi. Le piaceva quel gusto di bistecca. Strano sapore per una medicina. Anche Mary Poppins la prese, per poi dire: “Punch al rum. Davvero ottima” e la chiuse.
“E tu che facevi tante storie, papà. Non era poi così malvagia. Anche a Excalibur è piaciuta” disse Rose.
“Senti chi parla. Hai sempre fatto storie quando ti dovevo dare delle medicine o farti assaggiare delle cose nuove” disse Gold.
“Però non trovate strano che, in una sola boccetta, ci siano così tanti gusti?” disse Paige.
“E’ stata solo una vostra impressione. E ora a nanna. È tardi” disse Mary Poppins.
“Ma dobbiamo proprio? Non abbiamo sonno” disse Rose e guardò con occhi supplichevoli il padre che disse: “Fate come vi ha detto. Vi raggiungerò dopo per la buonanotte.” Rose non poteva credere alle proprie orecchie: suo padre non dava mai retta a nessuno – a eccezione di lei. E, ora, ascoltava Mary Poppins. Quella donna così misteriosa, capace persino di mettere in riga un uomo come lui.
“Va bene” disse sbuffando Rose e, insieme a Paige ed Excalibur, se ne andò al piano superiore. Mary Poppins stava per seguirle quando Gold la fermò: “Signorina Poppins.” La donna si fermò e, guardandolo, gli domandò “Sì, Signor Gold?”
Gold se ne rimase in silenzio. Poi scosse negativamente la testa e rispose: “No. Nulla. Può andare.” E Mary Poppins andò al piano superiore dove, nella camera di Rose, trovò quest’ultima con Paige e Excalibur. Tutte e tre erano ancora sveglie.
“Vi credevo già addormentate. Come mai siete ancora sveglie?” chiese Mary Poppins socchiudendo la porta dietro di sé.
“Non abbiamo sonno” dissero insieme Rose e Paige e anche Excalibur annuì con la testa.
“E’ tardi. Su, coricatevi e provate a chiudere gli occhi” disse Mary Poppins, avvicinandosi al letto.
“Perché, invece, non ci racconti cosa accadde veramente anni fa al parco?” propose Paige.
“Credi che sia accaduto qualcosa?” domandò la donna.
“Quando oggi hai proposto di andare al parco, il Signor Gold si è infuriato e Rose ha anche detto che l’ultima volta non è finita bene. Quindi sì, credo sia accaduto qualcosa” spiegò Paige. Mary Poppins guardò Rose: sapeva come si sentiva la bambina a ricordare ciò che accadde quel giorno. Ma poi, vedendo che non obiettava, si sedette a bordo letto e cominciò col raccontare.
 
Storybrooke del passato

Mary Poppins e Rose stavano passeggiando verso il parco. Arrivarono all’ingresso dove vi era un uomo che vendeva degli aquiloni.
“Splendidi aquiloni per tutti. Splendidi e colorati. Lasciatevi trasportar e con lui vi parrà di volar” incitava i clienti. Mary Poppins e Rose si fermarono accanto a lui. Questi voltò lo sguardo e sorrise non appena vide la donna.
“Non ci posso credere. Mary Poppins! Sono passati secoli dall’ultima volta che ci siamo visti” le disse.
“Mi fa piacere che ti ricordi di me, Dick” disse sorridendo Mary Poppins. Dick si abbassò e, guardando Rose, chiese: “E questa bella signorina chi è?”
“Lei è Rose Gold” rispose Mary Poppins.
“Finalmente vedo di persona la famosa figlia del Signor Gold” disse Dick.
“Non pensavo di essere famosa” disse Rose.
“Lo sei, perché il Signor Gold non ti fa mai uscire da casa o dal negozio” disse Dick.
“Be', lui lo fa per proteggermi. Dice sempre che qualcuno potrebbe portarmi via e farmi del male” spiegò Rose.
“E’ naturale. Dopotutto è tuo padre” disse Dick accarezzandola sulla testa. La bambina guardò gli aquiloni, per poi esclamare: “Che begli aquiloni! Mi piacciono molto.”
“Se allora ti piacciono, perché non ne scegli uno?” propose Dick.
“Non saprei. E poi, non credo che al mio papà farebbe piacere che comprassi un aquilone” disse Rose.
“E come mai no?” domandò Dick.
“Perché lui zoppica e non potrebbe mai correre insieme a me per il parco, mentre facciamo volare l’aquilone. E io non voglio farlo diventare ancora più triste” rispose Rose. Mary Poppins sorrise. Rose era una bambina molto dolce che pensava sempre prima agli altri, e poi a se stessa. Proprio come la madre.
“Sei davvero una bambina molto dolce” disse sorridendo Dick.
“Magari potrei comprarne uno e regalarlo a Henry. Credo che gli farebbe piacere” disse Rose.
“Ottima idea, piccola. E visto che da ora sei diventata la mia cliente preferita, ho deciso di donartene uno” disse Dick e gliene diede uno con tanti colori. Rose lo prese, per poi dire: “Grazie, sei molto gentile. Ma vorrei pagarti lo stesso.”
“Non ce n’è bisogno. Dico davvero” disse Dick.
“Allora dirò al mio papà di non farti pagare l’ultima rata dell’affitto. Così siamo pari” disse Rose.
“Non credo che il tuo papà sarà d’accordo” disse Dick.
“Non ti preoccupare. Riuscirò a convincerlo. Sai, riesco a essere molto persuasiva anche con lui” disse Rose e guardò Mary Poppins, ricordandosi di ciò che aveva letto sul metro.
“Ora dobbiamo proprio andare” disse Mary Poppins.
“Spero di rivederti ancora in giro, piccola Gold” disse Dick.
“Lo spero anche io” disse Rose e, dopo averlo salutato, entrarono nel parco.
Poco dopo, Rose stava correndo per il prato facendo volare l’aquilone. È vero: aveva deciso di regalarlo al suo amico Henry ma, alla fine, aveva ceduto alla tentazione di volerlo provare tirando fuori la scusa di voler vedere che fosse tutto a posto e che non avesse nessuno strappo.
Era così intenta a guardare l’aquilone nel cielo che non si accorse di qualcuno davanti a lei. Infatti ci andò a sbattere contro cadendo a terra. Di conseguenza, l’aquilone ritornò accanto a lei. La bambina si massaggiò la testa. Alzò lo sguardo per vedersi di fronte Regina, insieme a Henry e a un uomo molto alto e pelato. La donna fece un sorriso malizioso per poi dire: “Bene. Bene. Ma guarda chi abbiamo qua.”
Rose si alzò e disse: “Salve, Signor Sindaco. Ciao, Henry.” Poi guardò l’uomo alto ma, non sapendo il suo nome, non disse altro.
“Lui è Dove. La mia guardia del corpo” disse semplicemente Regina. Poi riguardò Rose, aggiungendo: “Ma tu, cosa ci fai qua tutta sola? Il tuo papà lo sa o sei scappata?”
“Lei è con me” disse Mary Poppins raggiungendo il gruppetto.
“E lei chi sarebbe? Non l’ho mai vista qua nella mia città” chiese Regina.
“Sono Mary Poppins e mi occupo di Rose mentre il Signor Gold è impegnato con il negozio” rispose Mary Poppins.
“Quella Mary Poppins?! La stessa nel mio libro che scende dal cielo con l’ombrello?” domandò stupito Henry.
“Sì, proprio lei. L’ho vista dalla mia finestra scendere dal cielo tenendo aperto l’ombrello. Solo che lei non lo vuole ammettere. Dice che è stato frutto della mia fantasia” spiegò Rose.
“Signorina Poppins, visto che il Signor Gold le ha affidato la figlia, direi di tenerla più sott’occhio visto anche che mi è venuta addosso” disse Regina.
“Rose non stava facendo nulla di male” disse Mary Poppins.
“E’ venuta addosso a me. Qualcosa di male lo ha fatto. Deve portare rispetto a chi è più grande di lei” disse Regina.
“Giocare con un aquilone non è male. Dovrebbe essere lei a stare più attenta e, soprattutto, a stare più calma” disse Mary Poppins.
“Come si permette di dirmi cosa devo fare?! Io qua sono il Sindaco e…” replicò Regina. Ma Mary Poppins la bloccò, dicendo: “E in quanto tale ha tutto il diritto di decidere il bene della sua città. Se vuole posso badare a suo figlio Henry, mentre lei così potrà occuparsi di affari importanti.”
“C’è già la mia guardia del corpo che si occupa di Henry” replicò Regina.
“Se non si fida di me, anche Dove potrà rimanere a sorvegliare suo figlio” propose Mary Poppins. Regina sembrò pensarci un po’ su. Poi disse: “Va bene. Ma badi, Signorina Poppins: un solo passo falso e sarò ben lieta di buttarla fuori dalla mia città.” Mary Poppins fece un piccolo sorriso e, dopo che Regina ebbe salutato il figlio, se ne andò.
Poco dopo i due bambini se ne stavano fermi con il naso all’insù a osservare l’aquilone che volava pacificamente nel cielo, mentre Henry teneva la cordicina. Proprio il bambino chiese: “Davvero questo aquilone è per me?”
“Certo. È un mio regalo per te” rispose Rose.
“Potresti sempre regalarlo a tuo padre” propose Henry.
“Sarebbe inutile e sai già perché” disse Rose.
“Perché zoppica? Sai, potrebbe anche semplicemente stare seduto su una panchina; tenere la cordicina e farlo volare da lì. O semplicemente, stare seduto a guardarti” propose Henry.
“Non ce lo vedo mio padre che fa volare un aquilone” disse Rose.
“Ma alcuni abitanti di Storybrooke non ce lo vedevano nemmeno a fare il padre. Eppure, guarda come ti sta crescendo bene” disse Henry.
“Certo, ma con la sola differenza che pensa più al lavoro in negozio che a me” disse Rose e abbassò lo sguardo.
“Ehi, lui ti vuole bene e non metterebbe mai il lavoro prima di te. Siete una famiglia e rimarrete sempre uniti” disse Henry. Rose lo guardò, sorridendogli. Il suo migliore amico sapeva sempre come tirarla su di morale. Improvvisamente si alzò un forte vento. L’aquilone fu come impazzito e Henry faticava a tenere la cordicina.
“Henry, cerca di tenerlo” disse Rose.
“Non ci riesco! Il vento è troppo forte” disse Henry e, come volevasi dimostrare, la cordicina gli sfuggì di mano e l’aquilone si andò a intrappolare in alcuni rami di un albero al confine tra il parco e la strada. I bambini si appostarono sotto l’albero.
“Questa non ci voleva. E ora come facciamo a riprenderlo?” disse Henry.
“Semplice: ci arrampichiamo” disse Rose.
“Potrebbe essere pericoloso. Meglio non rischiare e pensare ad altro” disse Henry. Ma, appena voltò lo sguardo, non vide più l’amica al suo fianco. La vide però ritornare tenendo tra le mani un grosso ramo.
“Allora vorrà dire che useremo altri metodi” disse, con fatica, Rose.
“Ehm… Rose… non per dar contro alla tua idea, ma quel ramo mi sembra molto grosso. Rischieremo di farci male” disse Henry.
 “Non ti preoccupare più del previsto. Con questo butterò giù l’aquilone” disse Rose e, dopo essersi avvicinata all’albero, con il ramo cercò di togliere l’aquilone dal folto fogliame. Ma più ci provava, più l’aquilone si andava a nascondere ancora di più tra le foglie.
Mary Poppins li stava osservando standosene seduta su una panchina con Dove, in piedi, al suo fianco. La donna fece un piccolo sorriso e soffiò su una mano. In quel momento, si alzò il vento che mosse l’aquilone.
“Dai Rose, si sta muovendo” la incitava Henry. Ma l’aquilone, invece di cadere a terra, se ne volò in mezzo alla strada. I due bambini andarono accanto al muretto.
“Questa non ci voleva” disse Henry. Rose stava per oltrepassare il muretto quando Henry le disse: “No, ferma! E’ pericoloso!”
“Ma è il mio aquilone. Devo recuperarlo” replicò Rose.
“Ma andando in strada rischierai che qualche macchina ti venga contro. Ed è più importante la tua vita che un aquilone” disse Henry. Rose sembrò pensarci su. Poi, però, oltrepassò il muretto andando in strada.
“Rose! Rose, torna indietro. È pericoloso” la richiamò Henry. Ma la bambina, testarda com’era, arrivò dal suo amato aquilone, prendendolo in mano. Lo guardò per poi dire: “No. Si è rotto. E ora come lo riparo?”
“Non ci pensare e ritorna subito qua, prima che ti accada qualcosa” disse Henry e, proprio in quel momento, si sentì un clacson. Entrambi voltarono lo sguardo per vedere una macchina che stava arrivando a tutta velocità.
“Rose! Spostati da lì!” gridò Henry, ma l’amica era rimasta pietrificata. Osservava con paura il veicolo che si stava avvicinando sempre di più a lei.
Come volevasi dimostrare, Gold – che aveva chiuso prima il negozio, avendo deciso di raggiungere la figlia al parco – stava passeggiando dall’altra parte della strada e, come Rose, si pietrificò vedendola al centro della via.
“Rose!” gridò e a passo veloce andò in suo soccorso. Ma con la storpiatura al piede, molto probabilmente, non sarebbe riuscito in tempo a salvare l’amata figlia.
Nello stesso momento, Mary Poppins si alzò. Guardò Dove accanto a sé, dicendogli: “Sai cosa fare” e il possente uomo corse a tutta velocità verso Rose. Scavalcò il muretto e prese la bambina poco prima che la macchina li investisse. Caddero sull’altro lato della strada. Gold andò a passo veloce da loro, insieme a Henry.
“Rose! Bambina mia!” disse Gold, inginocchiandosi, lasciando cadere il bastone a terra e abbracciando forte la figlia.
“Rose, stai bene? Ti avevo detto di non andare in strada” disse Henry. Gold guardò la figlia, replicando: “Come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere?! Potevi morire!” Solo in quel momento, Rose sembrò focalizzare chi l’aveva abbracciata. Quindi lo guardò e gli domandò: “Papà, che cosa ci fai qua? Non eri in negozio?”
“A quanto pare ho fatto bene a chiudere prima! E dov’è la tua tata?!” replicò Gold. Alzò lo sguardo per vedere Mary Poppins raggiungerli.
“Mary Poppins, vuole spiegarmi perché mia figlia ha quasi rischiato di essere investita da una macchina?” chiese Gold, guardandola.
“Papà, non dare la colpa a lei. La colpa è solo mia. Ecco, tutto è iniziato quando io e Henry stavamo facendo volare l’aquilone e…” iniziò a spiegare Rose. Ma Gold la interruppe: “Aquilone?! Quale aquilone?” La figlia, allora, gli mostrò l’oggetto. Gold riguardò Mary Poppins, replicando: “Un aquilone?! Ha comprato a mia figlia un aquilone?! Non lo sa che gli aquiloni sono uno degli oggetti che causano più incidenti?”
“E’ provato?” domandò Mary Poppins.
“Lo so e basta! E poi, un aquilone è solo uno spreco inutile di soldi!” replicò Gold. Rose abbassò tristemente lo sguardo. Gold si alzò e guardò Dove. Mary Poppins disse: “Lui è Dove. Ha salvato la vita di sua figlia.”
“Dove. Che strano nome. Venga con me. Vorrei scambiare due chiacchiere con lei” disse Gold guardando l’uomo. Poi guardò Mary Poppins aggiungendo: “E in quanto a lei, Signorina Poppins, finiremo stasera.” E, dopo aver preso per mano Rose, che si trascinava a terra l’aquilone strappato, se ne andò verso il negozio, seguito da Dove. Henry si avvicinò a Mary Poppins chiedendole: “Aveva già previsto tutto questo, vero?” Mary Poppins lo guardò e sorrise.
Venne sera e, a Villa Gold, proprio questi stava facendo una bella ramanzina a Mary Poppins mentre Rose era già a letto.
“Le avevo affidato mia figlia! Avevo riposto la mia fiducia in lei! Eppure, anche se oggi è stato il suo primo giorno di lavoro per me, ha quasi rischiato che mia figlia morisse! E’ così che si è comportata con tutti gli altri bambini che ha accudito?! Li lascia correre in mezzo alla strada verso una morta certa?!” esclamava Gold, andando avanti e indietro alla donna in salotto.
“Lei ha perfettamente ragione, Signor Gold. Ma, così facendo, ha assunto una nuova guardia del corpo, no? E poi sono sicura che quell’uomo si trovi meglio con lei che con il sindaco” disse Mary Poppins. Infatti, dopo aver fatto una bella chiacchierata in negozio, Gold aveva capito che quell’uomo – Dove il suo nome – veniva trattato male da Regina. Così, visto anche che si trovava in debito con lui per aver salvato la figlia, aveva deciso di assumerlo come sua guardia del corpo. L’uomo aveva accettato, promettendogli fedeltà e lealtà eterna.
“E’ vero. Ma questo non toglie il compito che le avevo affidato” disse Gold. Sospirò, portandosi una mano nei capelli.
“Signor Gold, se posso permettermi, non dovrebbe sgridare sua figlia. Rose è una bambina molto dolce e voleva quell’aquilone per donarlo a lei. All’inizio non voleva comprarlo perché pensava che lei si rattristasse ancora di più, non potendo correrle appresso mentre lo facevate volare. Rose vorrebbe solo un po’ di affetto paterno. Lo so che non le fa mai mancare nulla, ma quello che vuole lei è che dedichi meno tempo al lavoro. Ci pensi su” spiegò Mary Poppins. Ci fu silenzio. Gold era rimasto senza parole. Poi la donna aggiunse: “Ora, se non le dispiace, vado a mettere a letto Rose. Sono sicura che sia ancora sveglia.” E se ne andò al piano superiore. Appena Rose la vide entrare in camera, scese dal letto e, andandole di fretta, disse: “Mary Poppins, non voglio che tu venga licenziata!”
“Licenziata?! Io non vengo mai licenziata” disse Mary Poppins.
“Quindi rimarrai ancora, vero?” chiese entusiasta Rose.
“Rimarrò finché non cambierà il vento. Ma ora a nanna” rispose sorridendo Mary Poppins e, mentre Rose ritornava a letto, disse: “E’ che avevo visto papà molto arrabbiato e, di solito, vuole sempre averla lui l’ultima parola. Quindi avevo paura che ti licenziasse.”
“Tuo padre ha un caratteraccio, ma è anche molto buono. Ti vuole bene e tu non dovresti disobbedirgli così tante volte” disse Mary Poppins mentre le sistemava meglio le coperte, per poi andare verso un armadio.
“Ma io sono una brava bambina e cerco di essere ubbidiente. Ma lui mi dà sempre così tante regole da rispettare” disse Rose guardandola.
“Se ti ha dato così tante regole è solo perché vuole proteggerti. Ha solo te” disse Mary Poppins, ritornando da lei e sedendosi sul letto, tenendo in mano un oggetto: si trattava di una palla di vetro. C'era qualcosa al suo interno. Rose si avvicinò per osservarla meglio.
“Ma è la torre dell’orologio della biblioteca” disse la bambina osservando l’ oggetto.
“Rose, devi capire che anche le piccole cose possono portare a tanto” disse Mary Poppins e, dopo aver capovolto la palla di vetro, in essa scese come della neve. Rose l’osservava incantata. Poi la donna continuò: “E, se ci si crede, si può vedere ciò che si desidera con tutto il cuore.” In un attimo, Rose vide comparire l’immagine di una bellissima donna dagli occhi azzurri e i capelli mossi che le sorrideva, per poi scomparire. La bambina batté più volte gli occhi, non credendo a ciò che aveva appena visto. Che quella donna fosse la sua mamma? Impossibile, visto che era morta. Ma Rose non l’aveva mai conosciuta, perciò avrebbe tanto voluto conoscere più di lei. Ogni volta che chiedeva al padre, lui cambiava subito discorso. Lo vedeva soffrire per la perdita della donna amata. Rose riguardò Mary Poppins, la quale incominciò a cantare una dolce ninnananna. In poco tempo, la bambina si ridistese sul letto, per poi chiudere gli occhi e addormentarsi. Mary Poppins finì la ninnananna e, dopo aver depositato la palla di vetro sul comodino e aver aggiustato meglio le coperte a Rose – accarezzandola dolcemente sulla testa – uscì dalla camera. Appena si voltò, si trovò Gold intento a entrare nella sua camera. O, almeno, così voleva far capire lui. L’uomo, infatti, era stato fino a quel momento fuori dalla camera della figlia ad ascoltare ciò che si erano dette lei e Mary Poppins.
“Signor Gold” lo richiamò la donna. Gold si voltò, dicendo: “Io… ecco… stavo andando a letto” Mary Poppins sorrise per poi dire: “Allora… buonanotte.” Voltandosi, stava per andarsene quando Gold la fermò: “Signorina Poppins.” La donna si voltò: “Sì, Signor Gold?”
“Io… volevo scusarmi per prima. Ha ragione: dovrei essere più presente per mia figlia e pensare meno al lavoro” disse Gold.
“Non si deve scusare. Aveva tutte le ragioni nell’essere arrabbiato. Sua figlia si trovava in mezzo alla strada e stava per essere investita da un’auto. Qualunque genitore, nella sua stessa situazione, si sarebbe arrabbiato. E poi la colpa è esclusivamente mia: avrei dovuto tenerla maggiormente d’occhio” spiegò Mary Poppins.
“L’importante è che ora Rose stia bene. Così come anche Dove: non dovrà più sottostare alle tirannie del sindaco” disse Gold. Mary Poppins sorrise per poi dire: “Sarà meglio che vada a dormire. È stata una giornata abbastanza pesante e sicuramente domani Rose vorrà divertirsi. Buonanotte, Signor Gold” e voltandosi se ne andò in camera.
“Buona notte, signorina Poppins” disse Gold. Ma, invece di entrare in camera sua, entrò in quella della figlia. Si avvicinò al letto e accarezzò delicatamente Rose sulla testa. La bambina si mosse un po’, ma non si svegliò. Poi il suo sguardo si posò sulla palla di vetro. La prese in mano, osservandola. La capovolse, facendone scendere la neve. La stava per rimettere sul comodino, quando gli sembrò di vedere l’immagine di una donna dagli occhi blu e i capelli mossi che sorrideva a qualcuno opposto a lei.
“Belle” sussurrò Gold quasi con le lacrime agli occhi. Ma poi scosse negativamente la testa e, dopo aver rimesso la palla di vetro sul comodino, si abbassò baciando delicatamente la figlia su una guancia. Poi le disse: “Il papà ti vuole molto bene, mio piccolo fiore. E te ne vorrà sempre. Non dimenticartelo mai.” E, silenziosamente, uscì.
 
Storybrooke del presente
 
Passarono i giorni e Rose si era completamente ripresa. Un giorno della settimana a scelta, si recava al cimitero locale per portare fiori freschi sulla tomba di Graham. Su richiesta di Gold – per voler far felice la figlia -  la tomba era in legno di rosa. Uno dei legni più pregiati in circolazione. Sulla tomba – fabbricata personalmente da Marco - erano incisi un cervo, il nome e una frase. Quest’ultima diceva: “Graham – Caro amico. Per sempre nei nostri Cuori
Rose si abbassò depositando le rose. Poi domandò: “Credi che non gli dispiaccia se sono venuta con un giorno di ritardo, vero?”
“No. Graham ti voleva molto bene. E poi queste rose sono molto belle” rispose Mary Poppins, mentre se ne stava dietro a lei insieme a Paige. Ci fu silenzio. Poi Rose disse: “Papà è stato molto gentile nel voler far fare da Marco una tomba così bella. Be'… non che le tombe siano belle. Ma questa è venuta bene e, come mi ha detto papà, è legno pregiato di rosa.”
“Tuo padre ha voluto il meglio per Graham. Dopotutto, è stato lui a farvi ritrovare” disse Paige.
“Grazie, Graham. Senza di te il mio papà sarebbe stato perso” disse Rose. Rimasero ancora un po’ lì per poi proseguire con i loro impegni mattutini. Finché Mary Poppins non imboccò una strada sconosciuta alle bambine.
“Ehm… Mary Poppins… non perché non ci fidiamo di te, ma dove ci stai portando? Non mi pare di essere mai venuta per questa strada” chiese preoccupata Rose.
“Vedrai che vi piacerà” disse Mary Poppins.
“Perché sono preoccupata quando, invece, secondo te non dovrei esserlo?” disse Rose. Si fermarono davanti a una villa. Il numero della targhetta posto sul muretto esterno era il trecentosedici. Mentre le bambine alzavano lo sguardo verso l’alto, guardando fino la punta del tetto, Mary Poppins suonò al campanello. Dapprima non si sentì nulla. Poi, però, dall’altra parte, risposte la voce di un uomo: “Chi è?”
“Una persona che sicuramente non hai mai dimenticato” rispose Mary Poppins. Non si sentì nulla. Ma poi il cancello si aprì. La donna entrò. Le due bambine la seguirono titubanti. La villa aveva fin quasi un’aria spettrale. Rose e Paige se ne rimasero in silenzio finché non arrivarono davanti alla porta, che un uomo aprì. Sorrise nel vedere la donna.
“Certo che non ti ho mai dimenticato, Mary Poppins. Come avrei potuto” disse l’uomo.
“Ma non mi riferivo a me” disse Mary Poppins facendo un piccolo sorriso e passandogli accanto. L’uomo abbassò lo sguardo verso le bambine ma, in special modo, lo puntò su Paige. Sapeva chi era quella bambina ma, molto probabilmente, lei non si ricordava di lui. Le due entrarono, seguite dall’uomo che chiuse la porta dietro di sé. Andarono in salotto.
“Allora, a cosa devo questa vostra lieta visita?” domandò l’uomo.
“Passavamo qua per caso e ho pensato di rivedere un vecchio amico” rispose Mary Poppins.
“Sicura proprio per caso?” chiese l’uomo avvicinandosi a lei e sorridendole maliziosamente. Le bambine, intanto, si guardavano intorno. Paige poi disse: “Avete una casa molto bella.”
“Grazie, piccola. Almeno cerco di tenerla il più in ordine possibile… anche se non viene molta gente a visitarla” disse l’uomo. Rose alzò lo sguardo e stupita disse: “Sedie sul soffitto?!” Guardando l’uomo aggiunse: “Come mai ci sono delle sedie sul soffitto?”
“Per un tè sul soffitto” rispose l’uomo. Rose lo guardò stranamente.
“Lo trovo bello” disse Paige.
“E io strano. Sa, cose di questo genere avvengono in un posto presente in un libro di favole che mi legge sempre il mio papà. Un posto dove la gente è pazza” spiegò Rose.
“Mi piacerebbe visitarlo” disse Paige.
“Mio papà dice sempre che un pazzo lo è quando pensa di esserlo se è anche pazzo ciò che fa. Non ci ho mai capito nulla in questo gioco di parole. Ma un senso lo dovrà pure avere” spiegò Rose.
“Tu devi essere la figlia di Gold, vero? Ci assomigli” disse l’uomo. Rose lo guardò, dicendogli: “E lei è uno che non ho mai visto in città.  Mio padre conosce tutti e tutto di loro. Ma non mi ha mai parlato di lei e nemmeno di questa casa stupenda. Come mai non si è mai fatto vedere prima?”
“Mi piace la tranquillità. E poi ti confido un segreto: anche la tua mamma era molto curiosa” disse l’uomo. Rose sgranò gli occhi e stupita chiese: “Conosceva la mia mamma?!”
“Belle era una donna straordinaria e dalle mille risorse. Riusciva a trovare il buono in chiunque e a nasconderne i difetti. Persino in tuo padre. Lui che non prendeva mai ordini da nessuno. Che voleva sempre fare di testa propria e agire da solo. Con tua madre cambiò. Be'… non del tutto. Ma almeno a lei dava ascolto” spiegò l’uomo.
“E quando ha conosciuto la mia mamma?” domandò Rose. Ma prima che l’uomo potesse risponderle, Mary Poppins propose: “Perché non ci offri del tè? Ho sentito dire che sei il migliore a prepararlo.”
“L’ho già sul fornello” disse l’uomo e andò in cucina. Mary Poppins lo seguì. Le due bambine, rimaste sole, si guardarono intorno.
“Questa casa è fantastica e quell’uomo mi sembra anche molto simpatico e gentile. Mi chiedo perché viva da solo e nessuno lo venga a trovare” disse Paige.
“Perché è pazzo” replicò Rose. L’amica la guardò chiedendole: “Rose, cosa c’è? Come mai ti sei arrabbiata tutta ad un tratto?”
“Non sono arrabbiata!” replicò Rose.
“Sì, che lo sei. Avanti, che c’è?” domandò nuovamente Paige.
“Quell’uomo conosceva la mia mamma. Mi stava dicendo di più, ma Mary Poppins lo ha bloccato. È logico che la mia tata non voglia che sappia. Lei e papà sono uguali. Anche lui, quando gli chiedo della mamma, cambia subito discorso. Perché non vogliono dirmi di lei? Cosa mi stanno nascondendo?” spiegò Rose.
“Forse vogliono proteggerti” disse Paige.
“E da cosa?” chiese Rose.
“Dalla verità” rispose Paige, e Rose la guardò in silenzio. Nel frattempo, in cucina…
“Avresti dovuto avvertirmi che portavi anche lei” disse l’uomo.
“Lo so. Vedere la figlia di Gold è stata una sorpresa. Normalmente lui la tiene sempre segregata in casa o in negozio” disse Mary Poppins.
“Non mi riferivo a lei ma… a Grace. Non fare finta di nulla. Lo hai fatto apposta!” replicò l’uomo.
“Sai che ora si chiama Paige ma sai anche che è in buone mani. Gold la sta proteggendo e tu sarai in debito con lui. In passato eravate amici e scommetto che lo siete ancora. Solo che tu ti sei isolato da tutto e tutti” disse Mary Poppins.
“L’ho fatto per proteggere la mia bambina” disse l’uomo.
“Davvero? E da chi la vuoi proteggere?” domandò Mary Poppins.
“Da me. Io ricordo tutto e non so come” rispose l’uomo.
“Ma lei non si ricorda di te” disse Mary Poppins.
“Ed è questo che mi rende pazzo!” replicò l’uomo e colpì una tazzina che cadde a terra rompendosi. Mary Poppins gli mise una mano su una spalla dicendogli: “Jefferson…” L’uomo, dopo essersi voltato, porse la completa attenzione su di lei: “… anche il Signor Gold si ricorda tutto. Non vorrebbe, e lo sai perché? Perché ciò lo fa soffrire per la mancanza del suo compianto amore. Ma lui va avanti per il bene di sua figlia. Cerca di proteggere e crescere Rose al meglio, proprio come avrebbe voluto Belle. Jefferson, non dovresti proteggere tua figlia da te stesso. eVedrai che tra non molto vi ritroverete.” Jefferson se ne rimase in silenzio. Ma poi disse: “Voglio solo riaverla con me. Per troppo siamo dovuti stare lontani.”
“E questo per colpa di chi? Per colpa di una persona che, per questi anni, ha voluto comandare su tutti. Una persona che non voleva il lieto fine degli altri ma solo il proprio” disse Mary Poppins.
“E questa persona prima o poi la pagherà” disse Jefferson.
Poco dopo, Mary Poppins e le bambine ritornarono a casa ma, appena varcarono la soglia della porta, videro tutti i mobili in salotto coperti con dei teli bianchi. Nella stanza c'erano anche Gold e Dick.
“Dick?!” disse stupita Rose. I due si voltarono.
“Bentornate. Come è andata la vostra passeggiata?” chiese Gold.
“Direi… bene. Ma papà, come mai Dick è qua? E, soprattutto, come mai è vestito di nero ed è così…sporco?” domandò Rose.
“Faccio lo spazzacamino e tuo padre mi ha chiamato per pulirvi il camino” rispose Dick. Excalibur, che stava curiosando in giro, entrò nel camino. Poi starnutì per la troppa fuliggine e ne uscì coperta per metà di nero.
“Rose, perché non andiamo a giocare in camera tua? Magari possiamo anche immaginare di prendere un tè sul soffitto” propose Paige, mentre le bambine andavano verso la scala seguite da Mary Poppins.
“Paige, ora non ricominciare. Piuttosto potremmo incominciare a fabbricare qualche strano cappello” disse Rose.
“Tè sul soffitto?! Strano cappello?! Che accidenti state blaterando?!” disse stupito Gold, raggiungendole ai piedi della scala. Le due bambine si fermarono. Mary Poppins si fermò un po’ più avanti di loro. Lo guardarono.
“Prima Mary Poppins ci ha portate da uno strano uomo che abita in una sontuosa villa quasi al confine con la foresta. Ha sedie attaccate al soffitto e cappelli di ogni tipo dappertutto” spiegò Rose.
“Mary Poppins, le ho forse dato il permesso di portare le bambine da perfetti estranei?!” replicò Gold.
“No, non l’ha specificato. In effetti mi ha solo detto di tenerle d’occhio ed è ciò che ho sempre fatto in questi giorni. Specialmente con Rose” disse Mary Poppins.
“Sarebbe potuto accadere loro qualcosa! Quell’uomo è pazzo! E’ per questo che si è isolato da tutti! Non le permetterò mai più di portarle da lui! D’ora in poi le passeggiate saranno solo al parco” replicò Gold.
“Ma papà, non ci è successo nulla. E poi quell’uomo mi ha anche parlato della mamma” disse Rose. A quel punto Gold scoppiò del tutto dalla rabbia: “Così ho deciso e così sarà! Se no non uscirete più!” Poi guardò Mary Poppins e aggiunse: “Questa è tutta colpa sua! La deve smettere di immischiarsi nelle vite degli altri!”
Lo sguardo di Mary Poppins divenne minaccioso. Per poi dire: “Signor Gold, mi lasci chiarire una cosa.”
“Sì, signorina Poppins” disse Gold.
“Io non chiarisco mai nulla” disse sorridendo Mary Poppins e, insieme alle bambine, salì al piano superiore. Gold la guardò incredulo, per poi ritornare in salotto dove Dick stava pulendo con un panno la parte superiore del caminetto, tirando via la fuliggine in eccesso.
“Quella donna! Ma come si permette?! E’ lei la causa di tutto!” replicò Gold.
“Di chi sta parlando, se posso saperlo?” chiese Dick.
“Mary Poppins. Da quando è ritornata, è come se tutti mi stessero contro. Be', mi sono sempre tutti contro, ma non la mia piccola Rose. Dà più retta a quella donna che a me, che sono suo padre” replicò Gold mentre camminava avanti e indietro. Excalibur lo seguiva con lo sguardo per poi starnutire per la fuliggine che aveva ancora addosso.
“Quella Mary Poppins? La conosco. È solita dire un poco di zucchero e la pillola va giù. Che anche le piccole cose possono fare molto” disse Dick.
“Ecco, proprio a questo alludevo! Per lei tutto deve sembrare semplice, quando invece non lo è! Lei non sa come è la vera vita! Non sa come è crescere da solo una figlia! Cercare di renderla felice e proteggerla da chiunque voglia farle del male. Mary Poppins queste cose non le sa!” replicò Gold fermandosi e guardandolo.
“Mary Poppins le ha fatto tutto questo? Ma come si è permessa? Proprio lei che è un uomo che vuole solo il meglio per Rose. Un uomo così pieno di lavoro da pensare poco a sua figlia che ha assunto una tata che si occupasse di lei, così da gestire al meglio entrambe le cose” spiegò Dick guardandolo.
“Be'… ecco… io…” disse titubante Gold.
“Sì, come dice lei Signor Gold. Lei è un brav’uomo secondo alcuni. Mentre per altri – molti altri; direi parecchi – è visto come un tiranno dal cuore nero e non capace d’amare. Ma in lei c’è una luce e si chiama Rose. Quella dolce bambina che ha solo bisogno di avere accanto il suo papà, troppo occupato con il suo tram tram giornaliero. E troppo occupato con il lavoro e a gestire gli affitti degli abitanti di Storybrooke. È vero, se Rose sta male lei è subito lì al suo fianco. Ma se continuerà a pensare prima al negozio che a sua figlia, come crede andranno le cose? Quando Rose diventerà grande, penserà più ad altro che al suo papà. Mary Poppins sta solo cercando di farle capire tutto questo e di non farle commettere degli errori dei quali poi si pentirà. Non sto difendendo Mary Poppins, ma ci rifletta” spiegò Dick e, dopo aver preso tre scope per pulire il camino, salutò Gold e, fischiettando un motivetto, uscì di casa. Gold lo guardò andarsene e, dopo aver sospirato, si sedette su una delle poltrone. Si mise le mani tra i capelli mentre Excalibur si sedeva di fronte a lui, emettendo dei versetti. Gold la guardò, dicendole: “Quell’uomo ha ragione: sto allontanando Rose da me. Non voglio perderla. Cosa posso fare, Excalibur?” Excalibur abbassò tristemente orecchie e testa.
Passarono altri giorni, nei quali successe anche che Emma,  dopo aver salvato Regina da un incendio improvviso – anche se poi si scoprì che fu Gold ad appiccarlo – venne eletta nuovo sceriffo e il vento cambiò. Mary Poppins, come aveva detto, stava facendo la valigia. Rose, Paige e Excalibur erano nella sua camera.
“Devi proprio andartene?” domandò Rose, mentre singhiozzava.
“Potreste passarmi la pianta?” disse Mary Poppins, cercando di rimanere impassibile. Rose e Paige presero la pianta e, dopo avergliela data, Rose disse: “Tu non mi vuoi bene. Se no saresti rimasta.”
“E allora cosa devo dire di tutti quei bambini a cui ho detto addio? E poi lo sapevi che, appena sarebbe cambiato il vento, me ne sarei andata” disse Mary Poppins.
“Ma non puoi andartene. Papà non mi parla. In effetti è da giorni che si è rinchiuso nello scantinato a fare non so cosa. Tu sei venuta qua per aiutarci” disse Rose.
“Sono venuta qua per aiutare te. Tuo padre è un caso a parte” disse Mary Poppins.
“Mary Poppins, ti prego, rimani. Ci sono ancora tante cose che devi risolvere” disse Rose andando dalla donna.
“Rose, ascoltami. Io non devo risolvere più nulla: tocca solo a te e a tuo padre. Il mio compito qua è finito. Altri bambini hanno bisogno di me. Vedrai, andrà tutto bene” disse Mary Poppins mettendole una mano su una guancia.
“No, non è vero che andrà tutto bene! Appena te ne andrai, succederà qualcosa. Ne sono sicura, perché nella favole succede così: appena l’aiutante se ne va, accade qualcosa di brutto” disse Rose.
“Ma qua non siamo in una favola” disse Mary Poppins facendole un piccolo sorriso. Poi ritornò a mettere via gli oggetti nella propria borsa. In quel momento, sentirono Gold gridare dal piano inferiore: “Rose! Paige!”
“Tuo padre vi sta chiamando” disse Mary Poppins.
“A me non sembra papà” disse Rose.
“Rose! Paige! Venite giù!” gridò Gold.
“Se non è lui, è uno che ha la voce uguale alla sua e che imita molto bene il suo accento scozzese” disse Paige. Rose la guardò stranamente e Paige aggiunse: “Che c’è?! Mi piace il suo accento scozzese.”
“Rose! Paige!” le richiamò Gold.
“Su. Andate da lui” disse Mary Poppins. Rose, Paige ed Excalibur andarono verso le porte e, mentre Paige e la volpe uscivano dalla stanza, Rose si fermò, guardando la tata. Questi le sorrise e Rose, non dicendo nulla, uscì, raggiungendo le altre due sul pianerottolo. Abbassarono lo sguardo, per vedere Gold che le stava guardando. L’uomo sorrise e, da dietro la schiena, estrasse un aquilone. Ma non era un aquilone qualunque. Era lo stesso aquilone che, anni prima, Rose aveva preso e che poi si era rotto.
“Il mio aquilone!” disse entusiasta Rose e, insieme a Paige e Excalibur, corse giù dalle scale, fermandosi di fronte al padre, il quale le consegnò l’oggetto.
“Allora è questo il famoso aquilone che si era impigliato in quell’albero per poi finire in strada” disse Paige. Quello strappo che aveva era ora cucito finemente. Rose guardò sorridendo il padre per poi chiedergli: “Come ci sei riuscito?”
“Ho i miei assi nella manica” rispose Gold sorridendole.
“E’ per questo che sei stato nello scantinato per tutti questi giorni? Scommetto che hai usato l’arcolaio per ricucire l’aquilone, vero?” disse Rose.
“Perché non andate a provarlo nel retro? Io vi raggiungerò più tardi” propose Gold, spingendo delicatamente la figlia verso la porta.
“Coraggio, Rose: l’ultima che arriva dovrà fare il bagno a Excalibur” disse Paige correndo verso la porta. L’aprì e uscì. Excalibur drizzò le orecchie al solo sentir nominare il bagno e corse a nascondersi dietro una delle poltrone. Rose guardò il padre il quale, con il solo cenno della testa, le fece capire di seguire l’amica. Così fece.
Appena la figlia uscì, Gold sentì una presenza dietro di sé. Fece un piccolo sorriso e disse: “Allora è proprio vero: se ne sta andando.” Voltandosi, si trovò di fronte Mary Poppins con ombrello in una mano e borsa nell’altra.
“Il vento soffia in un’altra direzione e qualche altro bambino ha bisogno di me” disse Mary Poppins.
“L’ultima volta se ne è andata senza neanche salutarci. Almeno oggi è diverso” disse Gold camminando verso di lei.
“E’ che non mi sono mai piaciuti gli addii” disse Mary Poppins.
“Se è per questo, nemmeno a me” disse Gold.
“Almeno abbiamo una cosa in comune” disse Mary Poppins facendo un piccolo sorriso. Ci fu silenzio, nel quale però si poterono sentire le urla di gioia di Rose e Paige, intente a giocare fuori nel giardino del retro con l’aquilone.
“Dovrebbe andare a salutare Rose. Ci rimarrebbe male non vedendola più” disse Gold.
“Non vorrei farla soffrire. È così felice ora” disse Mary Poppins. Mentre i due parlavano, Excalibur uscì dal suo nascondiglio, correndo poi fuori nel giardino.
“Sarebbe più felice se rimanesse” disse Gold.
“Glielo ho detto: non posso” disse Mary Poppins e Gold vide i suoi occhi come se stesse per piangere.
“E’ triste perché ci lascia?” domandò Gold.
“Una persona praticamente perfetta come me non si lascia confondere dai sentimenti” rispose Mary Poppins, cercando di rimanere impassibile.
“Già” disse semplicemente Gold ma con un velo di tristezza nella voce. Non voleva ammetterlo. Non lo avrebbe mai detto, ma quella donna gli stava simpatica. O, almeno, non lo seccava e importunava come facevano certe persone di sua conoscenza.
“Ho qualcosa per lei” disse Mary Poppins e, dopo aver tirato fuori un oggetto dalla borsa, si avvicinò a Gold. Poi aggiunse: “Mi dia la mano.” Gold fece ciò e, sul suo palmo, Mary Poppins gli mise una palla di vetro. Gold la guardò più attentamente per poi dire: “Cosa ci fa la torre della biblioteca di Storybrooke dentro a questa palla di vetro? E poi cosa me ne dovrei fare di questo oggetto?”
“E’ un mio regalo. Ma mi ascolti bene: ci sono persone che non riescono a guardare in là del proprio naso” disse Mary Poppins.
“Io riesco perfettamente a guardare al di là del mio naso!” replicò Gold.
“Io non ho mai detto questo, Signor Gold. Quello che le voglio far capire è che anche le piccole cose possono portare a tanto” disse Mary Poppins e, dopo aver messo una mano sotto a quella di Gold, capovolse la palla di vetro e, in essa, scese la neve. Quindi aggiunse: “ E bisogna crederci.”
Gold avvicinò il viso e, tra la neve, gli parve di vedere, anche solo per un attimo, una donna cadere da una scala e qualcuno prenderla al volo. L’immagine poi svanì. Gold alzò lo sguardo verso Mary Poppins, incredulo da ciò che aveva appena visto. La donna gli sorrise per poi spiegargli: “Per qualunque cosa tu e Rose aveste bisogno, non dovete fare altro che guardare in questa palla di vetro e ogni risposta vi verrà data.”
“Perché solo io e Rose?” chiese Gold.
“Lei crede alla magia, signor Gold?” domandò Mary Poppins.
“Io non escludo mai nulla” rispose Gold.
“Allora, col tempo, avrà tutte le risposte che desidera. Ma, al momento, visto che a entrambi non piacciono gli addii, le dico arrivederci e speriamo di vederci presto” disse Mary Poppins avvicinandosi alla porta.
“Non in circostanze che riguardino la perdita di qualcuno a noi caro” disse Gold seguendola. Mary Poppins lo guardò sorridendo. Poi aprì la porta e uscì. Si fermò nel vialetto e, dopo aver aperto l’ombrello, si alzò in volo. Gold stette sulla soglia a guardarla, mentre il vento gli soffiava tra i capelli. Poi abbassò lo sguardo, guardando la palla di vetro. Come mai quella donna gliela aveva donata? Dopo essere rientrato e aver messo l’oggetto sulla tavola in salotto, raggiunse nel retro le bambine ed Excalibur, mettendosi dietro a Rose. La figlia lo guardò e, sorridendogli, semplicemente gli disse: “Grazie.”
“Per cosa?” chiese Gold.
“Per tutto e per essere il mio papà” rispose Rose e Gold le sorrise. Mary Poppins aveva ragione: tutti e due avevano bisogno l’uno dell’altra. Erano una famiglia e dovevano rimanere uniti. Gold baciò la figlia sulla testa e, dopo averle messo le mani sulle spalle, entrambi alzarono lo sguardo verso l’aquilone.
Henry stava leggendo il libro di Mary Poppins – volendoci capire di più- con il libro sul davanzale della finestra in camera sua, quando, alzando lo sguardo, vide Mary Poppins volare nel cielo. La donna lo guardò sorridendogli. Anche Henry le sorrise, sapendo di aver avuto sempre ragione. E mentre Mary Poppins lasciava Storybrooke, il vento entrò nella camera da letto di Rose, sfogliando velocemente le pagine del libro “Once Upon a Time” che la bambina aveva lasciato aperto sul letto. Poi si fermò proprio sulla storia della Bella e la Bestia.


Note dell'autrice: Buona sera Oncers ed eccomi finalmente con la seconda parte del capitolo. Ce ne ho messo di tempo ma alla fine eccolo qua. Ho dovuto spiegare un sacco di cose. Come avete potuto capire da entrambe le parti del capitolo, ho voluto includere molte cose che sono presenti nel film Mary Poppins, dove però qua la parte del Signor Banks, troppo impegnato con il lavoro da badare ai figli, è "affidata" a Rumple. Alla fine, però, le cose finiscono bene (come nelle favole :)) e Rumple riceve pure un regalo da Mary Poppins: una palla di vetro con dentro la torre della biblioteca di Storybrooke. Ma ecco la sorpresa: dove avete già visto questa palla di vetro? Ebbene sì, in un episodio della quarta stagione, dove Rumple la tiene in mano e la guarda ( e dove poco dopo entra la Regina delle Nevi nel suo ghiaccio e la congela). E' lì che mi è venuto in mente dove Rumple dove ( o chi) possa aver trovato quella palla di vetro ( vi allego lo screenshot dell'episodio) E, altra lieta notizia, finalmente sono arrivata a Skin Deep

Come di consueto ringrazio tutti/e coloro che stanno recensendo questa fanfict; chi la sta semplicemente seguendo; leggendo e messa nei preferiti. Grazie davvero di cuore e spero che continuerete a leggerla e che non vi stia annoiando. Inoltre ringrazio la mia amica Lucia per tutto l'aiuto che mi sta dando. Allora alla prossima Oncers e buona serata


 
 
 
 
 
 
 
 


 
 

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Capitolo 31
*** The Rose of True Love - Parte I ***





The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo XVI: The Rose of True Love -  Prima Parte

 

Foresta Incantata del passato
 
Per quanto tempo sarebbe ancora rimasta in quella lurida e fredda cella? Era ritornata da lui. Voleva cambiarlo o, almeno, così aveva sperato. Ma quel bacio non era contato nulla. Lui voleva il potere e nient’altro. Si era sentito tradito e, così, l’aveva rinchiusa nuovamente in quella cella, suo primo luogo da quando si era offerta di andare con lui e salvare la sua gente.
“Dovresti ritenerti fortunata” aveva iniziato lui un giorno. “Se non fosse per la mia virtù misericordiosa, saresti già fuori da queste mura a morire dal freddo. Oh, ma è vero: tu sei mia per sempre” e con una risatina le aveva sbattuto nuovamente la porta in faccia. Ma lei aveva accettato quel patto e sarebbe rimasta. Avrebbe combattuto in ciò che credeva. La sua determinazione e la sua bontà l’avrebbero aiutata a fare luce nel cuore di Tremotino. Ma, come le aveva detto lui, era un uomo difficile d’amare e, soprattutto, chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
 
Storybrooke del presente
 
Gold tirò via il termometro dalla bocca di Rose. Quest’ultima si trovava in camera sua insieme al padre e a Paige. La bambina, da un paio di giorni, si sentiva strana e, quella mattina, dopo vari richiami da parte del padre, non si era nemmeno alzata da letto. Gold, insospettito che la figlia potesse mentire sulla propria salute per evitare la scuola e un qualsiasi compito in classe, volle constatare personalmente la situazione e così, quella mattina di febbraio, con termometro in mano, si presentò nella camera della figlia.
Gold guardò il termometro. Poi guardò Rose. Il padre fece un piccolo sorriso. Quindi Rose disse: “Non mi piace quel sorrisetto, e ti dico subito che non ho messo il termometro sulla lampada e non ho nemmeno usato nessun tipo di borsa dell’acqua calda.”
“Anche perché eravamo tutti e due presenti, mentre ti provavi la febbre” disse Paige.
“Trentotto e mezzo. Hai la febbre” disse Gold e mise il termometro sul comodino.
“E tu che non mi volevi neanche credere che, praticamente, sono sangue del tuo sangue” disse Rose mentre Gold si alzava, dicendole: “La sola cosa che farai oggi è l’assoluto riposo.”
“Cioè non mi concedi nemmeno di uscire?!” domandò stupita Rose.
“Ti concedo di guardare la televisione. Ma niente videogiochi: quelli fanno male” rispose Gold.
“Stare rinchiusa in casa mi farà male” disse Rose.
“Prendila dal lato positivo. Qualsiasi bambino vorrebbe essere nelle tue condizioni e saltare la scuola. Sfrutta la situazione” disse Paige sorridendo ma, dopo aver visto lo sguardo di disapprovazione di Gold, il sorriso scomparve.
“Papà, ti prego, almeno fammi uscire da questa camera” disse Rose.
“Non ho detto che non potrai uscire dalla tua camera. Ho solo detto che dovrai riposare e niente scuola, almeno finché non ti sarà passata del tutto la febbre. E ciò sottintende che mangerai anche della buona zuppa calda” spiegò Gold andando verso la porta.
“Sei serio?!” chiese stupita Rose.
“Mai stato più serio di così” rispose sorridendo Gold e uscì. Rose incrociò le braccia.
“Dai, Rose, non te la prendere. Ti prometto che ti porterò tutti i compiti” disse Paige. Dopo tutto ciò che era successo, Gold aveva deciso di spostare Rose nella classe di Paige e Henry. Aveva minacciato entrambe le sorelle Tremaine e la loro madre che se, mai avessero ancora alzato un dito sulla sua bambina, le avrebbe fatte lavorare nelle stalle e cacciate dalla loro casa. E le minacce di Gold andavano sempre fino in fondo.
“E’ brutto essere ammalati proprio il giorno di San Valentino” disse Rose.
“Aspettavi il fidanzato segreto?” chiese Paige.
“Non scherzare. E, poi, queste sono robe da grandi. È che speravo di trovare anche quest’anno una rosa rossa sul mio banco” disse Rose. Ma dopo aver visto lo sguardo curioso dell’amica, continuò: “Ogni anno, per San Valentino, trovo sempre una rosa rossa sul mio banco.  E un biglietto, con scritto “ Per la  Rosa del Vero Amore.
“E non sai di chi sia?” domandò Paige.
“Nessun nome. So solo che il messaggio è uguale tutti gli anni e che Rosa è scritto con la lettera maiuscola. Quindi penso si riferisca a me e non al fiore” rispose Rose.
“Non saprei, Rose. E se è qualcuno che ti prende in giro? Qualcuno che ti vuole solamente illudere? Io ci andrei piano e direi tutto a tuo padre” disse Paige.
“Scherzi?! Non posso dire tutto a mio padre! Se scopre che c’è qualcuno che ogni anno, per San Valentino, mi lascia una rosa rossa sul banco, andrà alla sua ricerca e lo ammazzerà. È meglio lasciare mio padre, per il momento, da una parte. Poi se la faccenda dovesse diventare più ardua del previsto, allora gli chiederò un parere” spiegò Rose. Ci fu silenzio. Ma poi Rose aggiunse: “Ehi, forse ci sono: potrai indagare tu su questa cosa.”
“Io cosa devo indagare cosa su chi?!” domandò stupita Paige.
“Devi scoprire chi mi manda quelle rose. Se non è della nostra classe, cerca nelle altre. Cerca per tutta la scuola. Ma almeno non farmi stare qua ad annoiarmi. E magari fatti aiutare anche da Henry” rispose Rose.
“Non credo sia ciò che voglia tuo padre” disse Paige.
“Cos’è che non vorrei io?” chiese Gold entrando nella camera e tenendo in mano un vassoio con sopra una ciotola e un barattolo. Al suo fianco c'era Excalibur, che saltò sul letto.
“Rose vorrebbe uscire dalla camera per… ehmm… andare in salotto e… ehm… giocare ai videogiochi” rispose Paige, sperando che Gold non avesse ascoltato la loro conversazione. Fortunatamente Gold disse: “Rose, te l’ho detto anche prima: niente videogiochi. Fanno male.”
“Allora perché mi hai comprato la Playstation 3 e la Wii se dici che fanno male? Avresti potuto risparmiare i soldi per altro” domandò Rose.
“Perché li aveva comprati Regina a suo figlio e pensavo che quelle strane scatole avrebbero potuto far felici anche te” rispose Gold.
“Grazie, mi hanno fatto felice. Ma non dovevi far a gara con il Sindaco solo per vedere chi era il migliore genitore in circolazione” disse Rose.
“Non stavo facendo a gara per la carica di genitore migliore. Volevo solo renderti felice. Come ho sempre fatto anche dopo” spiegò Gold.
“Papà, tu mi fai sempre felice. Non c’è bisogno che mi regali i videogiochi. Anche se… i miei sono migliori rispetto a quelli di Henry. Ma che rimanga tra noi: non voglio che il Sindaco lo senta e se ne abbia a male” disse Rose. Gold fece un piccolo sorriso per poi dire: “Apprezzo questo tuo complimento. Ma apprezzerei di più se ora mangiassi questa zuppa calda che ho preparato per te” e mise il vassoio sulle ginocchia.
“E questo barattolo cosa contiene?” chiese Rose.
“La tua medicina. Dove, comunque, sa già tutto” rispose Gold.
“Che cosa c'entra lui?” domandò Rose.
“E’ o non è la nostra guardia del corpo? Quindi fa solamente il suo mestiere” rispose Gold.
“Ovvero tenerti d’occhio” disse Paige. Rose le lanciò un’occhiataccia. Riguardò il padre quando questi disse: “Dove dovrà venire un attimo con me per svolgere un piccolo lavoretto. Poi ritornerà qua e si prenderà cura di te finché non ritornerò dal negozio. Nel frattempo, finisci la tua zuppa. Stai a letto e riposati” e la  baciò sulla testa. Rose non disse nulla. Excalibur si avvicinò alla ciotola sul vassoio, annusandone il contenuto. Ma si allontanò subito quando Gold la richiamò: “Excalibur! Quella zuppa non è per te. Giraci alla larga. E poi ho già riempito la tua ciotola giù in cucina.”
La volpe emise un versetto di disapprovazione: odiava gli avanzi. Da quando l’avevano portata dal veterinario per la visita annuale, scoprendo che era in sovrappeso – almeno riguardo le dimensioni di una qualsiasi volpe – Gold aveva deciso di metterla a dieta e ciò significava dover rinunciare a quelle succulente bistecche. Forse anche quella zuppa calda era addirittura più buona degli avanzi.
Gold si voltò verso Paige dicendole: “Andiamo, Signorina Grace, o faremo tardi a scuola” e uscì.
“Non ti preoccupare. Ti prenderò tutti i compiti” disse Paige.
“Sprizzo gioia dappertutto” disse sarcasticamente Rose. Poi aggiunse: “Tu e Henry vedete di indagare su quella cosa.”
“Vedremo di fare il possibile” disse Paige e uscì anche lei. Rose sbuffò.
Poco dopo, Rose e Excalibur guardavano la zuppa calda in mezzo a loro. Di tanto in tanto, la volpe si leccava i baffi ma, ricordandosi delle parole del padrone dette poco prima, fu restia a mangiarla. Fu Rose a rompere quel silenzio: “Ok, facciamo un patto: se mangi questa zuppa io ti mostro un barattolo pieno di biscotti che papà tiene nascosto in una credenza.”
Excalibur si leccò subito i baffi. Poi però scosse negativamente la testa. Non avrebbe mai disubbidito al suo padrone. Rose sbuffò. Quindi prese il telecomando e, accendendo la televisione, disse: “Va bene. Allora, intanto che decidi, mi guarderò i cartoni animati” e guardò la volpe che scosse nuovamente la testa.
“Papà mi ha proibito solamente di giocare ai videogiochi e non di guardare la televisione” aggiunse. Ma quando la televisione si accese, non c’era ciò che cercava.
“Un sacco di canali e neanche uno che trasmetta i cartoni animati. Ovvio: neanche un bambino a casa ma tutti a scuola. Dovrebbero pensare a quelli che come me sono stati così sfortunati da essersi presi l’influenza. Ma perché papà non ha preso un’antenna parabolica per beccare più canali? Ah sì, perché Storybrooke è isolata dal resto dal mondo” disse Rose e spense la televisione. Si guardò intorno cercando qualcosa per ingannare il tempo. Il suo sguardo si posò sul libro “Once Upon A Time”. Lo prese per poi dire: “Forse potrei continuare a leggere la storia dove Henry mi aveva messo il segno. Anche perché dovrei darglielo indietro. È mesi che ce l’ho” e, dopo averlo aperto, fermandosi sulla storia de La Bella e La Bestia, continuò a leggerlo: “Belle rimase per giorni in quella cella. L’unica illuminazione disponibile era la poca luce che filtrava da quella piccola finestra. Tremotino le faceva portare da mangiare costantemente. Di certo non voleva che la sua serva morisse di fame. Aveva bisogno di qualcuno in forma che gli pulisse l’intero castello. La ragazza si sentiva sola. Le mancava suo padre. Il suo regno. Ma non si sarebbe neanche immaginata che le cose, di lì a poco, sarebbero cambiate, soprattutto con l’inizio di una nuova amicizia
 
Foresta Incantata del passato
 
Belle se ne stava seduta su quel freddo pavimento nella sua piccola cella dei sotterranei del Castello Oscuro. Ormai ci aveva fatto l’abitudine. Era da giorni che si trovava lì. Tremotino l’aveva definita la sua nuova camera. Accanto a sé, aveva un piattino con dentro qualche cosa che non si poteva di certo definire cibo. Era fortunata che almeno lì non ci fossero i topi. Pensava a suo padre. A quanto si sentisse solo nel loro castello ad Avonlea. Ma lei aveva giurato eterna servitù al Signore Oscuro affinché con la sua potente magia potesse mettere per sempre fine alla guerra degli orchi. Così, infatti, era stato. E lei sarebbe andata fino in fondo alla sua promessa.
Era così assorta nei suoi pensieri che non si accorse nemmeno che qualcuno entrò dalla piccola porticina presente nella porta. La ragazza abbassò lo sguardo non appena sentì dei versetti e si ritrovò il cucciolo di volpe del Signore Oscuro con in bocca una mela rossa. Excalibur mise la mela a terra e, con un leggero colpo del muso, la fece rotolare accanto a Belle. Quest’ultima prese in mano il frutto e, osservando la volpe, disse: “Non credevo che il tuo padrone si abbassasse a così poco: se voleva avvelenarmi poteva benissimo usare altro.”
Excalibur spostò lateralmente lo sguardo. Belle quindi aggiunse: “Ma, forse, questa mela non viene neanche da lui, non è così?” Il cucciolo emise come una specie di piccolo guaito. La ragazza diede un morso alla mela. Era squisita. Diede altri morsi, assaporandone pienamente il gusto. Era da un po’ che non mangiava così bene. Riabbassò lo sguardo quando sentì dei movimenti e, infatti, vide il cucciolo di volpe che si era seduto sulle sue ginocchia e la stava guardando. Avvicinò la mela al cucciolo chiedendole: “Ne vuoi un po’?”
La risposta la ebbe subito: Excalibur diede dei piccoli morsi al frutto, gustandoselo. Belle sorrise e, mentre il cucciolo mangiava, l’accarezzò delicatamente sulla testa per poi dire: “ Sei proprio una tenera volpe. Ancora mi chiedo come tu faccia a vivere con il Signore Oscuro. Ma ho visto come ti tratta: come se fossi sua figlia. Un suo tesoro da custodire. È da mesi che sono in questo castello, eppure so che non l’ho ancora conosciuto del tutto. Cerca di nascondere i suoi sentimenti, ma penso che in cuor suo forse prova qualcosa per me. Quel bacio aveva quasi funzionato. Ma lui non ha voluto cedere al suo potere. Ma sono fiduciosa che le cose andranno bene, soprattutto ora che ho una nuova amica.” Excalibur la guardò e scodinzolò.
In quel momento, la porta si aprì magicamente. Entrambe voltarono lo sguardo per vedere Tremotino entrare. Il Signore Oscuro si fermò sulla soglia e unì i polpastrelli delle mani, accennando un sorrisetto non appena vide chi altri c’era nella cella. Quindi disse: “Bene, vedo che hai finalmente un po’ di compagnia. Peccato che non possiate parlare del più e del meno, ma almeno vedo che hai riacquistato il tuo appetito. Sembra proprio che sia merito del mio cucciolo e per questo voglio premiarti. Su, in piedi” Belle si alzò e stette lì, ferma davanti a lui senza dire nulla. Quindi Tremotino aggiunse: “Be', che cosa stai aspettando?! Che ti dia un regalo? Non certamente dopo ciò che hai cercato di farmi.”
“Ma lei ha appena detto…” iniziò col dire Belle. Ma il Signore Oscuro la bloccò: “So perfettamente ciò che ho detto. Semplicemente riprenderai con le tue mansioni di sempre. Spero che te le ricorderai tutte.”
“Certo” disse Belle.
“Il castello deve risplendere e la mia volpe deve essere nutrita e lavata” disse sorridendo Tremotino ed Excalibur drizzò le orecchie. Odiava fare il bagno. Lei e l’acqua non andavano molto d’accordo.
“E ora va’, prima che cambi nuovamente idea” aggiunse e Belle, passandogli accanto, uscì. Excalibur si affiancò al padrone che, abbassando lo sguardo, disse: “Noto con piacere che la mela è stata di suo gradimento. Ben fatto, mia fedele amica.” Excalibur spostò lateralmente lo sguardo. Tremotino la guardò in silenzio, finché il cucciolo non emise dei versetti. Quindi aggiunse: “E va bene, lo ammetto: tu hai fatto solo da tramite per la mela che ti ho detto di portarle. Ma che non si sappia in giro. Deve rimanere tra noi. Ho una reputazione da mantenere. E ora vieni: hai un compito da rispettare” e, mentre si allontanava dalla cella, seguito dalla volpe, la porta si chiuse dietro di loro. Ma qual era il compito che Excalibur doveva eseguire per conto del suo padrone? Semplicemente tenere d’occhio Belle e fare in modo che non andasse a curiosare in alcuni posti.
“Continuerai a servirmi i pasti; a pulire il castello; a spolverare la collezione e lavare le mie vesti. Porterai la paglia fresca mentre lavoro all’arcolaio e inoltre sfamerai Excalibur mentre lei si occuperà di te” spiegò Tremotino mentre entrava, con volpe appresso, nel grande salone dove Belle stava pulendo, con uno spolverino, uno scaffale.
La ragazza lo guardò per poi dire: “Queste cose me le avete già dette il primo giorno che sono arrivata.”
“Sì, lo so, ma rinfrescarti la memoria di tanto in tanto non fa mai male. E poi, non hai prestato attenzione all’ultima cosa che ho cambiato sul momento” disse Tremotino.
“Ho capito perfettamente che devo sfamare la sua volpe” disse Belle.
“Esatto: sfamarla. Ma sarà Excalibur a occuparsi di te” disse Tremotino. Belle fece cadere lo spolverino. Mentre si abbassava per raccoglierlo, guardò il Signore Oscuro che le sorrideva maliziosamente e la volpe che aveva spostato lateralmente lo sguardo. Si rialzò e titubante disse: “Io… io… ecco… ecco…”
“Oh per favore, fa’ almeno una frase di senso compiuto. So benissimo che hai capito ciò che ho detto. Ma guardala dal lato positivo: con Excalibur sempre al tuo fianco, non perderai tempo tra i tuoi libri e a ficcanasare in giro. Così almeno, finalmente, farai meglio le faccende assegnate” disse Tremotino e si andò a sedere dietro all’arcolaio.
“Io non riesco a capire” disse Belle guardandolo.
“Cosa ci sarebbe da capire? Sono solo delle comuni faccende. Persino un bambino le capirebbe” disse Tremotino guardandola a sua volta per poi ridere. La ragazza non disse nulla. Il Signore Oscuro aggiunse: “Non stare lì a non fare nulla. Esci di qua e va’ a pulire il resto del castello” e, voltandosi, iniziò a filare. Belle lo guardò malamente. Poi si voltò. Stava per uscire dal salone, quando Tremotino disse: “Ah, e se dovessi entrare in posti non adatti, io lo saprò.”
La ragazza non disse nulla e uscì, seguita da Excalibur mentre Tremotino sorrise maliziosamente.
Ore dopo, Belle aveva già pulito gran parte del castello. Ora era arrivata al piano superiore. Excalibur se ne stava sempre al suo fianco ma, durante tutto questo tempo, si era messa a giocare con una pallina che aveva trovato in giro per il castello, persa qualche tempo e gioco fa. La ragazza stava pulendo un antico vaso posto su un tavolino quando il suo sguardo si posò sull’enorme porta lì accanto. Guardò le maniglie dorate rappresentate da due teste mostruose di creature non ben definite. Depositò lo spolverino sul tavolo e allungò una mano verso le maniglie. Ma poi la ritrasse subito. Non voleva disubbidire a Tremotino. Lui le aveva proibito di andare a ficcanasare in posti proibiti e, se quella stanza era chiusa, voleva dire che era anche proibita. Ma la curiosità era tanta e poi, dopotutto, una sbirciatina non avrebbe cambiato le cose. Aprì di poco una delle porte e guardò dentro. Ma l’oscurità presente non permise alla ragazza di osservare più del dovuto. Belle si spostò leggermente quando qualcosa le rotolò accanto per poi essere seguita da Excalibur, che entrò nella stanza. Il Signore Oscuro le aveva affidato la sua volpe e ciò sottintendeva che non doveva mai perderla d’occhio e farla finire nei guai. Anche se era proprio Excalibur a finire consapevolmente nei guai. Quindi fece un lungo respiro ed entrò nella stanza.
C’era silenzio e sarebbe stata completamente buia se non fosse per la luce della luna che proveniva dalla finestra. Belle si addentrò tra specchi coperti, mobili a terra e rotti e un sacco di altra roba. Chiamò la volpe, sperando che potesse uscire allo scoperto nel più breve tempo prima che Tremotino la scoprisse: “Excalibur. Excalibur, vieni fuori. Questo non è un posto dove giocare.” Sentì dei versetti. Li seguì e, abbassandosi, vide il cucciolo sotto a un tavolo.
“Ecco dove eri finita. Su, vieni fuori, prima che arrivi il tuo padrone e ci scopra qua. Sai che è un tipo dalla poca pazienza. Ormai dovresti conoscerlo meglio di me” disse Belle. La volpe spostò lateralmente lo sguardo e, appena la ragazza allungò una mano verso di lei, scappò dalla sua presa, correndo- la pallina in bocca – da un’altra parte della stanza.
“Che piccola peste” borbottò Belle ma, appena si alzò, batté la testa contro la tavola. Mentre se la massaggiava, guardò gli oggetti e notò- tra alcune ampolle piene di strani liquidi – anche un ritratto di un bambino e uno scialle. Lo prese delicatamente in mano. Lo strofinò contro una guancia. Era morbidissimo. Quindi un’ombra la oscurò. Si voltò e sobbalzò di paura quando vide che si trattava di Tremotino e il suo sguardo non era di certo compiaciuto.
“Che cosa sei venuta fare qua?!” replicò Tremotino.
“Io… mi dispiace” disse Belle. Il Signore Oscuro adocchiò lo scialle che la ragazza stava tenendo in mano. Quindi replicò: “Mettilo subito giù! Non è tuo!”
Senza obiettare, la ragazza depositò lo scialle sulla tavola. Tremotino avanzò verso di lei per poi domandarle: “Quando ti avevo detto che ti era proibito venire a ficcanasare in posti proibiti, cosa non ti è stato chiaro in questo ordine?!”
“Io non volevo. Mi dispiace. È che ho seguito la vostra volpe e volevo riprenderla” rispose Belle indietreggiando.
“Ora non tirare in ballo il mio cucciolo solo per discolparti! Lo so cosa volevi fare: volevi scoprire le mie debolezze così poi da andarle a spifferare alla regina! Da quando mi hai dato quel bacio, sei sempre stata in combutta con lei, cospirando alle mie spalle! Lei vuole che rinunci al mio grande potere e tu hai fatto da tramite! Avevo riposto la mia fiducia in te! Ti ho dato un tetto sopra alla testa! Ho salvato il tuo popolo dagli orchi! Ed è così che mi ripaghi?! Voltandomi le spalle?!” replicò furente Tremotino alzando la voce e continuando ad avanzare.
“La prego. La smetta. Io non volevo fare niente di male!” disse Belle andando a sbattere con la schiena contro un vecchio armadio.
“Tu non conosci il tormento che mi perseguita! Tu non conosci niente di me! Vattene via di qua e non tornare mai più!” replicò Tremotino e, nella sua mano destra, si formò una palla di fuoco. Per la paura, Belle corse via mentre la palla di fuoco colpì il vecchio armadio, distruggendolo in mille pezzi.
La ragazza corse fuori dalla stanza mentre in essa riecheggiavano le urla del Signore Oscuro: “Nessuno mi amerà mai! Mai!” e dopo aver distrutto altre cose, mise le mani sul tavolo, proprio accanto al ritratto di quel bambino. Si portò una mano sul viso. Poi però abbassò lo sguardo quando sentì dei versetti e vide Excalibur spuntare da dietro una vecchia poltrona per poi sedersi di fronte a lui e con la pallina accanto.
Belle prese il suo mantello e, correndo velocemente giù dalle scale, aprì il portone e uscì, avventurandosi nel gelido e in mezzo alla neve. Continuò a correre e, ormai, il castello oscuro era alle sue spalle. Corse a perdifiato. Voleva ritornare ad Avonlea. A casa sua. Tra le braccia di suo padre. Da chi conosceva e lontana da quella bestia. Ma non si accorse che si era addentrata nella Foresta Nera. La vegetazione si faceva sempre più fitta e, mentre correva, diversi occhi gialli avevano incominciato a fissarla. Belle si fermò per riprendere fiato. Ma voltò lo sguardo quando sentì ringhiare e, tra gli alberi, comparvero quattro grossi lupi. Belle li vide e riprese a correre con tutto il fiato che aveva, mentre i lupi la inseguivano.
La ragazza continuava a correre tra l’abbondante coltre di neve, il che rendeva le cose molto più complicate. I lupi la inseguivano. Belle correva senza voltare lo sguardo. Sperava che i suoi inseguitori ben presto si sarebbero stancati di cacciarla ma, purtroppo, non era così. Con quell’inverno così gelido, ogni genere di animale cacciatore aveva fame, soprattutto i lupi.
All’improvviso, Belle inciampò in una piccola radice sporgente, cadendo a terra. Provò a rialzarsi, ma si accorse di essersi slogata la caviglia. Alzò lo sguardo, quando sentì ringhiare: i lupi l’avevano raggiunta e, ora, stavano intorno a lei. I loro respiri a bocca aperta si condensavano in nuvolette di fumo. Il capo branco balzò, pronto ad attaccarla. Belle si protesse con un braccio, ma quell’attacco non arrivò mai. Al contrario sentì come un gemito. Ma non un gemito animale. Bensì… umano. Si tolse il braccio da davanti il viso e vide, davanti a lei, una figura. Tremotino se ne stava tra lei e i lupi, con le fauci del capo branco affondante nel suo braccio destro. Il Signore Oscuro guardò minacciosamente il lupo che lo aveva attaccato, quindi, con uno strattone, lo scaraventò contro un albero. Poi formò delle palle di fuoco in entrambe le mani, mandandole contro gli altri lupi, che scapparono via impauriti. Ci fu silenzio. Si sentiva solamente il rumore del vento tra i rami spogli degli alberi.
Belle stava per dire qualcosa, ma si trattenne non appena Tremotino si voltò verso di lei con sguardo furente. Quindi disse: “Mi hai disubbidito! Ti avevo ordinato di rimanere tra le mura del castello! Invece sei scappata!”
“Sono scappata perché voi mi avete spaventata!” replicò Belle. Lo sguardo di Tremotino sembrò addolcirsi. Quindi disse: “Avresti potuto farti male. Qua vivono creature ben più spaventose di me.”
“Voi non siete spaventoso. A volte tendete a perdere la pazienza, ma non fate paura” disse Belle e provò a rialzarsi, ma ricadde subito a terra. Tremotino si inginocchiò e le chiese: “Che cosa c’è?”
“E’ la mia caviglia. Me la sono slogata dopo che sono inciampicata in una piccola radice sporgente” rispose Belle. Con un solo cenno della mano, Tremotino guarì la caviglia della ragazza. Belle lo guardò sorridendogli. Ma il suo sorriso lasciò posto alla preoccupazione non appena vide la profonda ferita sul braccio destro del Signore Oscuro e il sangue che gli macchiava la manica del vestito e che scendeva fino a sporcare la neve di rosso.
“Voi siete ferito. Lasci che vi curi” disse Belle.
“Lascia stare. Farò in un attimo con la magia” disse Tremotino. Stava per passare la mano sopra la ferita, quando Belle gliela prese. I loro sguardi si incrociarono e Belle disse: “No. Voglio sdebitarmi.”
“Credo che tu lo abbia già fatto non appena hai accettato di servirmi per sempre” disse Tremotino.
“Non alludevo a quello. Ma a ora, che mi avete salvato la vita” disse Belle. Tremotino la guardò. Poi si guardò intorno e, quando in lontananza si sentirono gli ululati dei lupi, riguardò la ragazza e disse: “Allora è meglio ritornare al castello” e, con un cenno della mano, i due vennero avvolti in una nuvola viola, che li fece scomparire dalla foresta.
Poco dopo si ritrovarono nel salottino e Tremotino se ne stava seduto su una poltrona davanti al caminetto con il fuoco acceso. Excalibur era nella sua cesta lì accanto, intenta a bere del tè freddo. Mentre Dove, su richiesta di Belle, aveva appena portato una ciotola, un panno e dell’acqua calda, per poi ritirarsi con il compito affidatogli, ovvero girare per il castello e assicurarsi che non entrasse nessuno. Anche se non aveva mai capito se fosse un vero compito – considerando che Tremotino poteva sapere già lui stesso se entrava qualcuno – o solo un pretesto per il Signore Oscuro di tenerlo lontano da sé.
Belle bagnò il panno nell’acqua calda e poi, inginocchiata, si avvicinò a Tremotino. Lui la guardò per poi dire: “Non ce ne è bisogno.”
“Si infetterà se non verrà curata” gli disse lei.
“Come te lo devo far capire? Io non ho bisogno di….”  disse Tremotino. Ma non fece in tempo a finire la frase che sussultò dal dolore non appena Belle mise il panno bollente sulla ferita. Tremotino allontanò subito il braccio.
“Stia fermo. Sentirà solo un po’ bruciare” disse Belle.
“Una magia e non sentirò nulla. Proprio come avrei dovuto fare anche prima” disse Tremotino.
“Invece non lo avete fatto. Come mai?” domandò Belle. Tremotino la fissò. Non sapeva cosa rispondere. Persino Excalibur smise, per un attimo, di bere il suo tè freddo e l’osservò. Ma poi il Signore Oscuro guardò davanti a sé e rispose: “Perché me lo avevate chiesto voi.”
Belle fece un piccolo sorriso ed Excalibur emise dei versetti. La ragazza rimise delicatamente il panno bagnato sulla ferita e, stavolta, Tremotino si limitò solamente a guardarla, senza ritrarre il braccio. Vi fu silenzio. Si sentiva lo scoppiettare del fuoco. Poi però Belle disse: “Comunque, volevo ringraziarla per avermi salvato la vita.”
“Era un mio dovere, se no mi sarei ritrovato senza qualcuno che mi pulisse il castello” disse Tremotino. Belle sorrise: era ovvio che il Signore Oscuro stava mascherando la realtà. Il vero motivo del perché l’avesse salvata. Perché teneva a lei. Ma lui lo avrebbe mai ammesso?
 




Note dell'autrice: Buona sera miei cari Oncers con questa prima parte del nuovo capitolo che, come avrete capito (se siete arrivati fin qua) è su Skin Deep. Ma una mia versione di Skin Deep (anche se so che non sarà mai all'altezza del nostro amatissimo episodio)
Prima di tutto, però, vorrei fare un grossissimo e lungo minuto di silenzio. Perchè la settimana scorsa, non solo David Bowie ci ha lasciato, ma anche - inaspettatamente- quel grande attore di Alan Rickman. Lo adoravo. Lo adorerò sempre. Era (ed è) uno dei miei attori preferiti e l'ho conosciuto non per il suo famosissimo ruolo del professor Severus Piton, ma in quello del Colonello Brandon in Ragione e Sentimento. Riposa in pace grande Alan. La sù hanno trovato un altro angelo :(

Ritorniamo al capitolo. Come avrete notato ho aggiunto una scena presente nel cartone animato ma non nella serie. Mi è sembrato dovuto metterla per far rimanere Belle (se no Rose come nasce?). Inoltre qua da me Rumple non ha ancora detto nulla di Bae a Belle ed ecco perchè si arrabbia quando lei scopre gli oggetti del figlio. E a Storybrooke del presente chi sarà mai chi lascia per ogni san valentino, una singola rosa rossa sul banco di Rose? Se Gold lo scoprisse.....

Passiamo ai ringraziamenti. Ringrazio tutti/e coloro che recensiscono, che leggono o anche solo che riescono ad arrivare fin qua in fondo senza annoiarsi. Inoltre ringrazio anche la mia amica Lucia per aver creato la nuovissima copertina. Con ciò vi aspetto alla seconda parte. Buona serata, dearies

 
 
 

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Capitolo 32
*** The Rose of True Love - Parte II ***





The Rose of true Love


 
 
 
Capitolo XVI: The Rose of True Love -  Seconda Parte


 
 
Storybrooke del presente
 
Rose allontanò il libro. Se davvero Tremotino e Belle erano i suoi genitori, allora era così che si erano innamorati. Lui l’aveva salvata dai lupi. Ma se non fosse andato in suo soccorso? Lei non sarebbe mai nata. E dire che suo padre le aveva sempre detto che ciò che veniva mostrato nel cartone della Disney non era del tutto vero. Be', i lupi c’erano anche lì. Cos’altro mancava, allora?
Depositò delicatamente il libro sul letto, mentre Excalibur finì la zuppa calda. Alla fine, piuttosto che mangiare gli avanzi lasciati nella sua ciotola, aveva deciso di mangiare la zuppa preparata da Gold per la figlia. Nel frattempo era anche ritornato Dove. L’aveva salutata, assicurandole che sarebbe rimasto al piano di sotto finché suo padre non fosse tornato.
Rose si avvicinò al comodino, prendendo in mano la tazzina sbeccata. Poi guardò Excalibur e disse: “Visto che sei stata così brava da mangiare la zuppa al posto mio, ti farò vedere dove papà tiene nascosto quel barattolo di biscotti” e la volpe, leccandosi i baffi, seguì la padroncina fuori dalla camera. Rose scese lentamente le scale, cercando di non farsi scoprire da Dove. Quest’ultimo se ne stava seduto sul divano in salotto a guardare la televisione. Quella scatola magica – come la chiamavano lui e Gold – lo affascinava molto e ancora – seppur dopo tanti anni- si chiedeva come le persone potessero entrare lì e cambiare continuamente scenario. Fortunatamente per andare in cucina non doveva passare per il salotto. Vi entrò, guardandosi intorno. Meno rumore possibile avrebbe fatto e meno avrebbe creato sospetti in Dove. Alla guardia del corpo era stato dato il compito, dallo stesso Gold, di fare in modo che la figlia se ne rimanesse in camera, lontano da qualsiasi cosa che la potesse stancare.
“Allora, dove potrebbe trovarsi?” disse Rose e, dopo aver preso una sedia – spostandola accanto al bancone principale – vi salì sopra e aprì una delle credenze. Guardò tra i barattoli e le scatole presenti. “Eppure dovrebbe essere qua, da qualche parte” aggiunse e, dopo aver spostato un barattolo di marmellata, esclamò: “Eccolo lì.” Infatti, in fondo in un angolo, c'era un barattolo pieno di biscotti di ogni tipo. Allungando la mano destra l’afferrò e lo guardò. Excalibur, dal basso, si leccò i baffi.
“Mi chiedo ancora perché papà lo abbia nascosto. Ci sono così tante leccornie qua dentro” disse Rose e, dopo essere scesa dalla sedia, mise il barattolo sul bancone e lo aprì. Prese due biscotti: uno se lo mangiò lei. L’altro lo diede a Excalibur. Al diavolo l’influenza. Non sarebbero di certo stati un paio di biscotti a farle peggiorare la salute. Suo padre, a volte, risultava davvero troppo protettivo e si preoccupava per nulla. Per lui anche un raffreddore poteva esserle pericoloso. Ma quel momento di quiete venne interrotto da uno strano e forte rumore che proveniva dalla porta d’entrata. La bambina si affacciò al corridoio, per vedere Dove andare verso la porta ma, appena l’aprì, accadde l’imprevedibile: una persona alta, con addosso un lungo cappotto nero e i guanti neri cercò di entrare. Ovviamente Dove cercò di impedirglielo in tutti i modi, finché l’opponente non estrasse una bomboletta che spruzzò negli occhi della guardia. Dove si coprì la vista e urlò per il forte dolore. Approfittandone, l’altro uomo gli diede una botta in testa con un ferro, facendolo cadere a terra privo di sensi.
Per la paura, Rose ed Excalibur corsero su per le scale e, mentre l’uomo entrava con circospezione nella villa, la bambina compose velocemente un numero sul cellulare che le aveva lasciato il padre in caso di emergenza. E quella, di certo, era proprio un’emergenza. Quando qualcuno dall’altra parte accettò la chiamata, Rose parlò: “Ti prego, fai presto. Un ladro è entrato in casa mia. Sono sola e la nostra guardia del corpo è svenuta. Ti prego, vieni subito” e riattaccò, prima che colui o colei dall’altra parte potesse chiedere di più. Rose fece un lungo respiro. Per la prima volta in vita sua aveva paura. Molta paura. Avrebbe tanto voluto suo padre accanto a lei. Ma non poteva di certo sapere che la sua adorata figlia si trovava in pericolo. L’idea di chiamarlo, però, non venne esclusa. Guardò il cellulare e il nome di suo padre nella rubrica. Doveva solo premere un tasto e avrebbe potuto avvertirlo. Stava per farlo quando Excalibur, seguendo il suo istinto di protezione, ringhiò e corse verso l’uomo, azzannandolo a una gamba. L’uomo, ovviamente, cercò di togliersela di dosso. Ma la volpe era molto tenace e, tirando all’indietro, cercò in tutti i modi di farlo cadere.
Rose se ne stava seduta su un gradino della scala, guardando la tazzina sbeccata che teneva in mano. Temeva che potesse accadere qualcosa di brutto prima dell’arrivo dei soccorsi e, infatti, sentì dei guaiti. Cautamente si affacciò, per vedere Excalibur distesa a terra e l’uomo con una profonda ferita alla gamba destra. La volpe era riuscita nel suo intento solo in parte, ma era evidente fin dall’inizio che non ce l’avrebbe mai fatta contro di lui.
“Fuori due. E ora ritorniamo al lavoro” disse l’uomo e incominciò a cercare qualcosa, rovesciando ciò che trovava. Rose lo vedeva rompere alcune cose. Chissà cosa stava cercando? Ma non poteva permettergli di andare avanti. Quindi guardò la tazzina e disse: “Fa' ciò che ritieni più coraggioso.”  Era la frase che le ripeteva sempre suo padre. Le aveva detto che era sua madre a dirla. Si fece coraggio. Si alzò ed entrò nel salotto. Quindi disse: “Ehi tu, smettila! Non puoi distruggere le cose del mio papà!” L’uomo si voltò e Rose rimase a bocca aperta. Conosceva quell’uomo.
“Tu non eri prevista” disse costui. “Ma non sei un problema: provvederò subito” aggiunse. Ma il suo sguardo si posò sulla tazzina sbeccata che la bambina teneva in mano.
“Fa’ la brava bambina e dammi quella tazzina” disse l’uomo allungando una mano e avanzando verso di lei.
“Perché ti interessa?” chiese Rose indietreggiando.
“Non sono affari tuoi! Tu dammela e basta e me ne andrò da qua” rispose lui continuando ad avanzare.
“No! Apparteneva alla mia mamma! E’ l’unico ricordo che ho di lei e mio papà l’ha affidata a me! Non l’avrai mai!” replicò Rose, stringendo forte a sé la tazzina. L’uomo perse la pazienza e, con uno scatto veloce, agguantò la tazzina, tirandola verso di sé. Ma Rose non voleva mollare la presa. Quella tazzina era molto importante per il suo papà. Era molto importante per lei.
Tirando da una parte e tirando dall’altra, finì che l’uomo riuscì a prendere la tazzina sbeccata. L’uomo guardò la bambina sorridendo maliziosamente. Poi si voltò. Stava per andarsene, quando Rose lo prese per il cappotto, tirandolo e replicando: “Ridammela! Ridammela! Non è tua!” L’uomo si voltò e replicò: “Da ora sì!” e le diede un forte schiaffo in faccia. Rose cadde a terra, sbattendo la testa e perdendo i sensi. Infine, l’uomo se ne corse via.
Poco dopo Emma arrivò a Villa Gold. Era stata chiamata d’urgenza mentre si trovava da Granny’s insieme a Mary Margaret e Ashley e la voce dall’altra parte le sembrava quella di Rose. Entrò cautamente ma, appena vide Dove sulla soglia della porta, si abbassò, mettendogli due dita sul collo. Quando ne sentì il battito, tirò un sospiro di sollievo. Proprio in quel momento, l’uomo riprese i sensi. Si guardò intorno per poi soffermare lo sguardo su Emma davanti a sé.
“Meno male che sta bene” disse Emma. Dove si portò una mano sopra la testa dolorante. Sembrava confuso, ma poi sembrò ricordarsi gli avvenimenti precedenti: “ Quell’uomo è entrato qua! Ho cercato di fermarlo ma poi non ricordo più nulla.”
Emma abbassò lo sguardo sul piede di porco. Quindi disse: “Forse so il perché” e riguardò Dove, il quale sbiancò. La donna gli domandò: “Cosa c’è?”
“La signorina Gold. Devo andare da lei” rispose Dove e cercò di alzarsi. Ma barcollò, ancora troppo debole per la forte botta alla testa ricevuta.
“No, lei deve andare in ospedale a farsi vedere” disse Emma aiutandolo a rialzarsi. Poi aggiunse: “Rose è qua? Ma non doveva essere a scuola?”
“No. Ha la febbre e il Signor Gold ha deciso di farla rimanere a casa. Dovevo io badare a lei. Giuro che se quell’uomo le ha fatto del male, io…” replicò Dove riuscendo a rialzarsi.
“Lei non potrà fare nulla. C’è una legge da rispettare. Ci penserò io. Dunque, dove si trova la bambina?” chiese Emma.
“In camera sua. Il Signor Gold mi ha espressamente ordinato di non farla uscire per nessuno motivo da lì” rispose Dove.
“Bene. Con molta probabilità si trova ancora lì. Quindi non le dovrebbe essere accaduto nulla. Sempre se quell’uomo non si sia accorto di lei” disse Emma. Stavano per andare al piano di sopra quando sentirono dei versetti e, all’entrata del salotto, videro Excalibur distesa.
“Excalibur!” esclamò Emma e, i due, furono subito accanto a lei.
“Farabutto! E’ arrivato anche a questo!” replicò Dove. Excalibur emise altri versetti e mosse leggermente la coda. Poi cercò di alzarsi. Ci riuscì e, voltandosi, andò verso il divano. I due la seguirono con lo sguardo, finché non si fermò accanto al divano e “indicò” qualcosa con il muso. Emma e Dove si guardarono. Poi andarono da lei e rimasero senza parole quando videro Rose distesa e priva di sensi.
“Signorina Gold!” disse Dove inginocchiandosi accanto a lei. Poi aggiunse: “E’ tutta colpa mia! Dovevo sorvegliarla. Invece quell’uomo ha osato fare del male anche a lei! Non la passerà liscia!” Emma sentì dei rumori. Estrasse la sua pistola e camminò lentamente verso l’entrata. All’improvviso comparve Gold, anch’esso con una pistola in mano. L’uomo tirò un sospiro di sollievo per poi dire: “Sceriffo Swan.”
“Sono stata chiamata urgentemente” disse Emma.
“Sembra che siano venuti a rubare” disse Gold guardandosi intorno, abbassando la pistola, senza accorgendosi di Dove, la figlia ed Excalibur dietro al divano.
“Che strano: capita sempre a lei” disse Emma.
“Come dire. Sono un uomo difficile da amare” disse Gold.
“Allora lo dica a sua figlia. Rose le vuole bene” disse Emma abbassando anche lei la pistola. Solo a quel punto Gold sembrò ricordarsi della figlia. Si voltò e in uno scatto fu accanto a Dove. Rimase a bocca aperta non appena vide l’amata figlia distesa e priva di senti.
“Rose! Bambina mia!” replicò e allungò una mano, mettendogliela su una guancia. Gli divennero gli occhi lucidi. Poi avvicinò il viso a quello di lei, sussurrandole: “Non posso perderti, piccola mia, come ho perso tua madre. Ora c’è qua il tuo papà. Come avrei dovuto esserci anche prima. Chi ti ha fatto questo la pagherà cara. Questa volta ha superato se stesso.” Emma aveva ascoltato tutto. Ma non potendo fare nulla in quel momento, prese il suo cellulare e chiamò un’ambulanza.
Quasi un’ora dopo Rose, già sveglia, si trovava in un letto d’ospedale con un cerotto sulla fronte e suo padre accanto a lei.
“Quando potrò uscire? Lo sai che odio l’ospedale” domandò Rose.
“Quando starai meglio” rispose Gold, mentre le accarezzava la testa.
“Io sto già meglio. Ti prego, papà: fammi uscire da qua” disse Rose.
“Piccola, te l’ho già detto: uscirai quando starai meglio. E poi è per la tua sicurezza. Qualcuno ti ha fatto del male e hai l’influenza” disse Gold.
“E quest’ultima cosa che c’entra?” chiese Rose.
“Che se fossi rimasta in camera tua, tutto questo non sarebbe successo. Ti avevo detto di rimanertene a letto e riposarti” rispose Gold.
“Papà, c’era un ladro in casa nostra. Che cosa avrei dovuto fare, secondo te? Ho chiamato la signorina Swan apposta” disse Rose.
“E avresti dovuto lasciare fare a Dove” disse Gold.
“Infatti si è visto cosa gli è successo. Papà, io lo so perché quel ladro è entrato in casa nostra. Voleva la tazzina sbeccata e io l’avevo in mano” spiegò Rose e alcune lacrime le scesero lungo il viso. Gold si abbassò e la bambina aggiunse: “E’ colpa mia. L’avevi affidata a me e, ora, l’unico oggetto che ci era rimasto della mamma è perduto per sempre. Non ho mantenuto il nostro accordo. Mi dispiace tanto.”
“No, piccola, la colpa è solo mia. Non avrei mai dovuto lasciarti a casa da sola con la febbre. Mary Poppins me lo aveva sempre fatto capire” disse Gold.
“Fatto capire che cosa?” domandò Rose.
“Che la mia bambina viene prima di qualunque altra cosa. Avrei dovuto tenere chiuso il negozio e passare il tempo con te. E forse tutto questo non sarebbe mai accaduto” rispose Gold e chiuse gli occhi. Li riaprì non appena sentì una mano sulla guancia e vide che era di Rose. Mise una mano sopra quella della bambina.
“Papà, io non voglio essere un peso per te. Devi vivere anche la tua vita. So che mi vuoi bene e io ne voglio molto a te. Ma devi anche pensare al negozio. E poi c’è Dove che mi protegge. O almeno ci prova senza finire con una botta in testa. Lo so che la colpa è mia: se me ne fossi stata in camera mia, lui non mi avrebbe mai vista e io sarei riuscita a proteggere meglio la tazzina della mamma. Tu ci tenevi tanto. Ma io non l’ho protetta come si deve” spiegò Rose.
“Ora non ci pensare e cerca di riposare. Ti prometto che la ritroverò e manterrò il nostro accordo, perché tu sei stata molto brava. Da ora in poi penserò tutto io” disse Gold e la baciò sulla fronte.
“Papà, ma anche quando la mamma ha scoperto di aspettarmi non ero un peso per te, vero?” chiese Rose e a Gold ritornò in mente un vecchio ricordo.
 
Foresta Incantata del passato
 
Erano passati molti mesi da quello spaventoso incontro con i lupi nella foresta e il rapporto tra Belle e Tremotino era notevolmente cambiato. Lui aveva addirittura spostato l’arcolaio nella biblioteca per farle compagnia, anche se il Signore Oscuro le aveva detto che, se aveva fatto ciò, era solamente per tenerla d’occhio ancora di più di quanto non facesse già Excalibur. Il cucciolo di volpe, ora nettamente cresciuto, era diventato un inseparabile amico di Belle e, quest’ultima, lo faceva sempre giocare, riempiendolo anche di coccole. Proprio come se fosse stato il suo bambino. Proprio riguardo a ciò, ultimamente Belle e Tremotino erano stati anche molto in intimità, tanto che la ragazza dormiva quasi ogni notte nella camera del Signore Oscuro. Era evidente che per lui Belle non era mai stata veramente la sua serva e qualcosa, più di una semplice amicizia, era sbocciata già da un po’, specialmente dopo quel bacio.
Passarono altri mesi e, un giorno, Belle andò al villaggio a prendere della paglia per l’arcolaio. Stavolta, però, Tremotino volle seguirla. Lei aveva insistito che, come aveva già fatto altre volte, poteva benissimo andarci da sola. E lui, di conseguenza, aveva ribattuto che, da quando era successo l’attacco dei lupi, non l’avrebbe mai più persa di vista. Regole e ordini suoi, come aveva più volte detto, e Belle aveva dovuto rassegnarsi. Ma dopotutto, la compagnia di Tremotino non le era mai dispiaciuta.
“Non hai paura che ti possano riconoscere?” domandò Belle, mentre camminavano fianco a fianco verso il villaggio. Il viso di Tremotino era in ombra sotto il cappuccio nero del suo mantello, per impedire che i viandanti lo riconoscessero. Belle era vestita in modo simile, con un cappuccio verde che si adattava bene all'ovale del suo viso e che la riparava dal freddo.
“Dovranno avere paura della mia magia” rispose Tremotino.
“E perché dovrebbero aver paura della tua magia?” chiese la ragazza.
“Perché devono riconoscere subito chi io sia” rispose Tremotino. Ma, in realtà, la verità era un'altra. Infatti Belle domandò: “Non è che magari, invece, potrebbero farmi del male e tu vuoi proteggermi?” Tremotino non rispose. La ragazza sorrise per poi dire: “Ormai non c’è più bisogno di nascondere il fatto che mi ami.”
Tremotino la guardò e replicò: “E va bene, mettiamola come vuoi tu, so tutto io! Ma se anche fosse così, rimani al tuo posto e non una parola su questo argomento: ho una reputazione da mantenere!” e riguardò avanti. Belle sorrise soddisfatta.
Finalmente arrivarono al villaggio. Fortunatamente non vi era molta gente. ma comunque ce ne era abbastanza che potesse accorgersi di loro.
“Sai, avremmo potuto portare anche Excalibur. Le avrebbe fatto bene camminare. Ultimamente non fa altro che mangiare” propose Belle.
“No. Lei non è adatta per le lunghe passeggiate. Preferisce dormire nella sua cesta o mangiare bistecche. Ah, e ovviamente le ho affidato anche il castello” spiegò Tremotino.
“Le hai affidato il castello?! Ma… Ma Dove?!” ripeté stupita Belle.
“Non è compito di Dove badare al castello. O forse sì. Non ricordo. Comunque, Excalibur è più affidabile di lui. Insomma, la conosco da molto più tempo di Dove. L’ho cresciuta fin da quando era una piccola palla di pelo che voleva solo le mie attenzioni” disse Tremotino. Belle fece una piccola risatina per poi dire: “Parli di lei come se fosse tua figlia.”
“Deve essere educata come un bambino. Ma almeno Bae rispettava meglio le regole più di lei” disse Tremotino e si fermò. Era da tanto che Belle non sentiva nominare il nome del figlio perduto. A Tremotino faceva male parlare di lui. A ogni compleanno di Baelfire accendeva una candela, spiegando che gli avrebbe indicato la via di casa. Ogni giorno sperava sempre che il figlio ritornasse da lui e lo perdonasse. Ma sapeva che si trovava in un mondo senza magia e, durante gli anni, aveva raccolto – o fatto raccogliere – ogni cosa che gli potesse servire per ritrovarlo.
Belle gli mise una mano sulla spalla. Poi gli disse: “Sono sicura che a Bealfire sarebbe molto piaciuta Excalibur e avrebbero sempre giocato insieme. Sarebbero diventati ottimi amici.”
“Bae non aveva amici per colpa mia. Tutti avevano paura di me e, di conseguenza, anche di lui” disse Tremotino, dopo aver fatto un lungo sospiro che aveva trattenuto fino a quel momento.
“E’ che non riuscivano ad andare oltre l’aspetto. È vero, avevi un grande potere oscuro. Ma eri anche un padre premuroso e protettivo nei confronti di un figlio che hai cresciuto da solo fin da quando era un bambino. Ritroveremo Bae e insieme saremo una famiglia” spiegò sorridendo Belle. Tremotino si voltò verso di lei e, mettendole una mano su una guancia, le disse: “ Tu hai sempre visto del buono in me. All’inizio volevo allontanarti: ogni persona che mi è stata accanto ha sempre sofferto per causa mia e non volevo fare soffrire anche te. Non te lo meritavi. Non dopo tutto quello cui hai dovuto rinunciare.”
“Avrò rinunciato a mio padre. Alla mia casa. Ma ho trovato l’amore” disse Belle e avvicinò il viso per baciarlo. Poi però Tremotino si schiarì la voce e disse, allontanando il suo viso: “Faremmo meglio a sbrigarci con le compere: non voglio lasciare Excalibur da sola al castello per molto tempo” e si incamminò. Belle fece un piccolo sorriso e lo seguì. Arrivarono nella piazzetta centrale, dove si trovava una fontana.
“Bene, mentre vado a prendere la paglia, tu sei libera di girovagare. Ma non dare troppo nell’occhio e, soprattutto, non dare troppa confidenza a questi paesani: non mi fido molto di loro” disse Tremotino e se ne andò verso una casetta al confine con il villaggio. Belle si guardò intorno. Era da molto che non metteva piede lì, ma le cose non erano cambiate, se non per…
“Bella signorina, le andrebbe di comprare queste squisite fragole?” domandò, a un certo punto, qualcuno. Belle si voltò per vedere un’anziana signora dietro a una bancarella piena di fragole. Ecco, quella donna l’ultima volta non era presente. Belle si avvicinò, per poi dirle: “Io… ecco… non saprei.”
“Su, non faccia la timida. Tenga, ne assaggi una” disse l’anziana e le porse una fragola. Belle dapprima esitò. Poi si guardò intorno e, non vedendo Tremotino nei paraggi, riguardò l’anziana, prendendone la fragola e mangiandola. Infine disse: “E’ squisita,”
“Perché non ne prendi altre? Dopotutto avrai molta fame…ultimamente” disse l’anziana sorridendo.
“Stranamente sì, ma non mangio più del dovuto” disse Belle.
“Sei alquanto pallida, mia cara. Perché non vieni dentro? Ho giusto ciò che fa per te” propose l’anziana.
“Io non vorrei disturbare e poi sto…” iniziò col dire Belle. Ma l’anziana la interruppe dicendo: “Non disturbi affatto, e poi il tuo caro accompagnatore può anche aspettare. Ha aspettato per molti anni” e, spostando la tenda dietro di sé, entrò nella casetta. Belle rimase senza parole. Come faceva quella donna a sapere che era venuta con Tremotino? Si guardò intorno e, ancora non notando nei paraggi il Signore Oscuro, si fece coraggio ed entrò. Appena spostò la tenda rimase senza parole: sui muri della casa vi erano tantissime rose di ogni tipo e colore.
“Vieni. Vieni. Non avere paura” disse l’anziana. Belle si avvicinò al tavolino, sedendosi, mentre l’anziana le mise davanti una tazza fumante, per poi sedersi opposta alla ragazza. Belle prese la tazza e, dopo aver soffiato un po’, ne bevve un sorso. Alzò gli occhi verso l’anziana che le disse: “E’ tè alle fragole con un pizzico di rosa. Ottima per addolcire il tutto” e Belle rimise la tazza sul tavolino. Poi si guardò intorno e il suo sguardo si fermò su un mazzo di rose rosse che, con la luce del sole che le illuminava, erano ancora più belle.
“Le rose sono da sempre dei fiori meravigliosi. Soprattutto quelle rosse: hanno un potere alquanto speciale che le differenzia dalle altre. Per questo sono considerate il simbolo del vero amore” disse l’anziana. Belle non disse nulla e si limitò a guardare i fiori. Ma ripose l’attenzione sull’altra donna quando quest’ultima continuò: “Ma ti starai chiedendo perché ti abbia fatto venire qua. Mia cara, da giorni ti senti per caso male?”
“Sì. Ma penso che sia un malessere passeggero. Perché è male?” chiese preoccupata Belle.
“Ciò che hai è un “male” che è considerato un bene” rispose l’anziana. Belle la guardò stranamente. Quindi, in quel momento entrò Tremotino e il suo sguardo si incupì non appena vide l’anziana. Quindi replicò: “Tu che ci fai qua?!”
“Io qua ci vivo. Ma è questo che mi dici dopo molto tempo che non ci vediamo? Pensavo in un’accoglienza diversa” disse l’anziana sorridendogli. Tremotino guardò Belle dicendole: “Andiamo! Abbiamo già perso troppo tempo!” e stava per uscire, quando l’anziana gli domandò: “Non vuoi sapere perché la tua amata ultimamente sta male?” Tremotino si voltò e porse l’attenzione su di lei. L’anziana sorrise e, guardando Belle, disse: “Mia cara, ciò che ti ho detto prima è vero: il “male” che hai è considerato un bene. Perché tu non hai un malessere passeggero. Ma c’è una nuova vita che ti sta crescendo in grembo.” Belle rimase a bocca aperta. Tremotino invece sembrò impassibile.
“Io... cioè... io… aspetto un bambino?” chiese stupita Belle.
“Sì. È strano che il nostro caro Signore Oscuro qua presente non se ne sia accorto prima, considerando che questo bambino – o bambina – avrà degli enormi poteri” disse l’anziana, sorseggiando un altro sorso del tè. Poi depositò la tazza e aggiunse: “O, forse, lui già lo sapeva e non ha detto nulla” e guardò Tremotino. Anche Belle lo guardò. Ma il Signore Oscuro se ne stava muto.
“Mi chiedo perché” disse l’anziana.
“Non sono affari tuoi! Non ti impicciare più delle nostre vite!” replicò Tremotino, puntandole contro un dito. Poi guardò Belle e aggiunse: “Andiamocene!” e uscì. Belle si alzò e si voltò per uscire. L’anziana domandò: “Lo desideri?” Belle la guardò chiedendole: “Che cosa?”
“La domanda che dovresti porti è chi. Il bambino. Lo desideri? Non rispondere subito. Al momento nella tua mente c’è così tanta confusione che nemmeno tu sai quanta. Vedrai che con il passare del tempo troverai risposta a questa domanda e… anche lui. Tremotino. Riempirà quella parte del suo cuore rimasta vuota per secoli a causa della perdita del suo amato figlio Baelfire e sarà proprio quel bambino a portargli nuovamente speranza. Tu e quella creaturina di appena pochi mesi siete il suo bilanciamento alla luce. Le uniche cose che riescono a tenerlo ancora sano di mente. Aggiungerei anche quella peste di volpe, anche se lei ama più cacciarsi nei guai e mangiare bistecche. Ma tu, mia cara, ricordati bene le parole che ti ho detto. Solamente tu deciderai il tuo stesso fato” spiegò l’anziana. Belle la guardò non dicendo nulla per poi uscire e raggiungere Tremotino. Prima che la ragazza potesse dire qualcosa, il Signore Oscuro replicò: “Ti avevo detto di non dare troppa confidenza a questi paesani! Invece ti trovo a bere del tè con quella vecchia!”
“Mi era sembrata molto gentile. E poi, senza di lei, non avrei mai scoperto di essere incinta e, a quanto pare, tu già lo sapevi. Perché non me lo hai mai detto?” disse Belle.
“Affari miei! E poi non ti devi fidare delle parole di quella donna: è solo una ciarlatana! Una volta, parecchio tempo fa, si faceva chiamare Madame Leota, colei che tutto vede. Mi irritava con le sue frasi in rima” spiegò Tremotino.
 “Allora chi sarebbe?” domandò Belle.
“Nessuno di importante per te. Non ci scoccerà più, anche perché, se dovesse farlo, le spezzerò le ali” rispose Tremotino. Ma subito si rese conto di ciò che aveva appena rivelato.
“Ali?! Quella donna non aveva ali. Aspetta un momento… tu sai chi è veramente, vero? Tremotino, è pericolosa per il bene del nostro bambino?” chiese Belle e si portò una mano sul ventre.
“Sì… e no. Ma devi sapere che quella donna in realtà è ciò che non sembra” disse Tremotino. Belle lo guardò stranamente. Quindi il Signore Oscuro le spiegò: “Cambia aspetto per mischiarsi tra gli umani, studiandone i comportamenti e aiutandoli. Il suo nome è Clarion ed è la Regina di tutte le fate.”
“Pensavo fosse Reul Ghorm la regina di tutte le fate” disse Belle, riferendosi alla Fata Turchina.
“No. È Clarion, e devo dirti che, da questo lato, sono contento che quell’odiosa nanetta blu non sia Regina delle fate, perché se no il mondo magico sarebbe caduto subito in disgrazia” disse Tremotino.
“Be', a me non è sembrata così cattiva. So che ce l’hai con le fate, ma non per questo tutte devono essere uguali. Magari questa Clarion è diversa, se no non sarebbe stata eletta loro regina. Credo che, invece, sia molto dolce e premurosa verso il prossimo” disse Belle. Tremotino alzò gli occhi al cielo e guardandola disse: “Va bene, va bene, ho capito che ti sta simpatica sua regalità in persona. Ma ora ritorniamo al castello: ho paglia a sufficienza e una gran voglia di prendermela con Dove.”
“Perché dovresti prendertela con Dove?” domandò Belle.
“Perché... perché mi va e basta” rispose Tremotino e, con un cenno della mano, lui e Belle vennero avvolti in una nube viola. Poco dopo, al castello, le cose peggiorarono. Tremotino si era rinchiuso nella sua stanza – tecnicamente era diventata anche la stanza di Belle – a fare chissà cosa da un’ora e passa anche se Belle non era convinta che fosse passato così tanto tempo. Alla fine Tremotino non se l’era nemmeno presa con Dove. Gli aveva semplicemente detto di non fare domande e di ritornare al suo lavoro. Poi si era rinchiuso in camera. Ed era lì che Belle si trovava. Davanti alla porta chiusa. Mise una mano a pugno pronta a bussare. Ma poi la ritirò. Sospirò e, abbassando lo sguardo, disse: “Non so proprio come fare. E se è ancora arrabbiato? Lo so perché è così: è per il bambino. Ma gli devo far capire che non dovrà temere nulla. Oh, dimmi tu cosa posso fare, ti prego.” Ed Excalibur, che stava accanto a lei, spostò lateralmente lo sguardo. Poi con una zampina toccò la porta un paio di volte.
“Va bene, ho capito. Proverò a parlargli, ma non ti assicuro nulla. Lo sai benissimo che è molto testone” disse Belle e bussò. Dapprima non si sentì nulla. Quindi bussò nuovamente. Stavolta Tremotino disse: “Ti avevo già sentito la prima volta”
“Posso entrare?” chiese Belle.
“Non ci sono” rispose lui.
“Ma come non ci sei?! Mi hai appena risposto. Allora posso entrare?” ripeté stupita Belle. Non sentì nulla. La ragazza guardò Excalibur che spostò lateralmente lo sguardo come se non capisse nulla dello strano comportamento del padrone. Belle aprì la porta e… effettivamente, Tremotino non c’era.
“Questo non è divertente” disse Belle.
“Invece io mi diverto così tanto a farlo” disse Tremotino comparendo sulla soglia della porta, accanto alla volpe. Belle si voltò di colpo. Il Signore Oscuro aggiunse: “Ti avevo detto che non c’ero.” Belle alzò un sopracciglio per poi dirgli: “So che non vuoi parlare, ma dobbiamo.”
“Se vuoi farmi la predica perché non sono stato bravo a rivelarti prima che aspettassi un piccolo, allora puoi anche ritornartene con il naso tra i tuoi libri, perché sprecherai solo il tuo tempo e ti renderai conto che, sebbene sei qua da parecchio tempo che neanche io ormai tengo più in considerazione, ancora non sai che mi piacciono le sorprese. E farle, ovviamente” spiegò Tremotino.
“Tremotino, so che la questione di diventare padre ancora ti spaventa. Ma non devi avere paura, perché insieme ce la faremo” disse Belle avvicinandosi e prendendo le mani di lui tra le sue.
“Belle, sai già come è finita l’ultima volta. Non sono degno di fare il padre” disse Tremotino.
“Non dire così. Le cose, ora, andranno diversamente: il nostro bambino ti vorrà bene e si renderà conto che padre eccezionale e premuroso ha. E poi sono sicura che Baelfire abbia sempre desiderato un fratellino o una sorellina” disse Belle.
“Be', Milah e io avremmo tanto voluto un altro figlio. Se fosse nata femmina l’avremmo chiamata Morraine. Era la più cara amica – e unica- di Bae. Ma poi le cose sono andate come dovevano andare e Bae non ha mai potuto avere il privilegio di diventare un fratello maggiore” spiegò Tremotino.
“Ma io non sono Milah e non ti abbandonerò mai come ha fatto lei. Il mio cuore sarà sempre con te” disse Belle e appoggiò la testa contro il petto di Tremotino. Quest’ultimo non seppe cosa fare. Non era un tipo da aprire i propri sentimenti. Ma con Belle era diverso. Lo era sempre stato. Quindi l’abbracciò, stringendola forte a sé. Belle lo guardò per poi domandargli: “ Da quanto sai che sono incinta?”
“Da circa un paio di settimane. Ho incominciato a sentire una forte presenza magica e veniva proprio da qua” rispose Tremotino e le mise una mano sulla pancia. Belle mise una mano su quella di lui, sorridendo. Anche il Signore Oscuro abbassò lo sguardo verso le loro mani congiunte sul ventre. Sulla nuova vita che avevano creato e che ora stava crescendo.
Passarono i mesi e Belle entrò nel quinto mese di gravidanza. Durante questo tempo, avevano assunto una governante che l’aiutasse. Si chiamava Grachen e si trattava di una ex fata. Con Tremotino era ancora in debito – debito che le era costato il posto di fata e le ali e, quindi, di conseguenza, anche la magia - e, secondo il Signore Oscuro, questo era il modo migliore per ripagarlo.
Grachen depositò il vassoio con il tè sul tavolo nel grande salone, mentre Belle se ne stava seduta su una sedia a leggere un libro. Belle alzò lo sguardo e, guardandola, le disse: “Oh grazie, Grachen” e, dopo aver messo il libro accanto al vassoio, prese una tazza e, dopo aver soffiato un po’, ne sorseggiò un sorso. Riguardò la governante: “Il tuo tè è sempre buono.”
“Secondo il padrone anche la volpe saprebbe fare un tè migliore del mio” disse Grachen.
“Non starlo ad ascoltare. A lui piace stuzzicare le persone. A me il tuo tè piace e piace anche alla bambina” disse Belle sorridendole. Anche Grachen sorrise, ma il suo sorriso scomparve non appena Tremotino, con al seguito Excalibur, entrò nel salone replicando: “Ah, ecco dove eri finita: ti stavo cercando dappertutto.”
“Mi scusi, mio signore, ma ho portato il tè alla signora come lei stessa mi aveva chiesto” spiegò Grachen, facendo un piccolo inchino con la testa.
“Non parlavo con te. A proposito, ci sono ancora un sacco di panni da lavare. Non voglio che facciano polvere, quindi sparisci da qui all’istante prima che trasformi te in polvere” replicò Tremotino, guardandola. Grachen lo guardò malamente ma, dopo aver fatto un altro inchino con la testa, uscì.
“Non dovresti essere così sgarbato con lei. Dopotutto, mi sta aiutando molto con la gravidanza” disse Belle.
“E’ solo la governante. Dovresti approfittarne e dirle tutte le cose che vuoi e mettere da parte, almeno per una volta, la tua gentilezza” disse Tremotino.
“E’ la mia balia. L’hai assunta tu perché mi seguisse in ogni passo della gravidanza” lo corresse Belle, riprendendo in mano la tazza.
“E facesse tutti i lavori che prima facevi tu. Lo sai che non voglio che ti affatichi troppo. La bambina potrebbe risentirne” aggiunse lui.
“Sei molto premuroso e la bambina già ti vuole bene. Ma smettila di preoccuparti così tanto” disse Belle e, stava per bere, quando Tremotino le prese la tazza.
“Tremotino!” replicò lei.
“E non voglio che bevi questa roba: è veleno!” replicò Tremotino.
“E’ tè alle fragole che ha preparato Grachen. Glielo avevo chiesto poco fa” spiegò Belle.
“E’ veleno. Tè alle fragole o meno” disse Tremotino e, dopo aver depositato la tazzina davanti a Excalibur, ne fece comparire un’altra – quella sbeccata – già fumante. Quindi aggiunse: “Questo, al contrario, puoi berlo” e le porse la tazzina. Belle la prese. Soffiò un po’ e ne bevve un sorso. Poi disse: “Ha un sapore vagamente familiare.”
“Perché è tè alle fragole” disse Tremotino facendo un piccolo sorriso.
“Fammi capire: non posso bere il tè alle fragole preparato da Grachen perché secondo te è veleno e potrebbe far male a me e alla piccola, mentre posso bere il tuo tè alle fragole perché è sano?” disse Belle guardandolo.
 “Esatto. Hai colto nel segno. Centri sempre le mie motivazioni” disse Tremotino.
“Che differenza c’è?” chiese Belle.
“Che il mio tè non è nocivo, e così sono anche più sicuro per te e la piccola. Non voglio che quella ex lucciola faccia del male alla piccola o la infesti con la sua magia. Anche se ora non ha più magia. Comunque, non berrai più robe sue. Sono stato chiaro?” spiegò Tremotino.
“Il papà è iperprotettivo anche oggi, non è vero?” disse Belle, “parlando” alla pancia e tenendo una mano sopra di essa.
“Belle, non mi stai ascoltando” disse Tremotino.
“Ma il papà vuole solo il bene per noi due e, quando nascerai, sono sicura che non ti mollerà mai di vista. Creerà un sacco di regole e terrà lontani i ragazzi” disse Belle.
“Continui a non ascoltarmi, e poi due precisazioni: non creerò un sacco di regole per lei. Solo qualcuna. Le essenziali e più importanti. Secondo: i ragazzi non li terrò lontani. Li brucerò e disintegrerò. E poi nessun ragazzo si dovrà avvicinare a lei non prima che sia passato da me. Se starà simpatico a me, allora gli permetterò di stare accanto alla mia bambina. Almeno a dieci metri di distanza da lei” spiegò Tremotino. Belle sorrise scuotendo negativamente la testa. Poi, a fatica, si alzò. Tremotino fu subito al suo fianco dicendole: “Non dovresti alzarti.”
“Non posso starmene per sempre seduta su una sedia. Devo anche muovermi” disse Belle.
“Sai che non devi fare sforzi” disse Tremotino.
“Tremotino, sto bene. La bambina sta bene. Stiamo tutte e due bene. Non devi preoccuparti più del dovuto” disse Belle. Mentre i due parlavano, Excalibur stava bevendo il tè alle fragole dalla tazza che precedentemente Tremotino le aveva messo davanti.
“Invece mi preoccupo più del dovuto. Sei al quinto mese di gravidanza e la bambina è piena d’energia. Lo sento. Energia che priva da te. Quindi meno sforzi fai e meglio è” disse Tremotino mentre seguiva Belle che andava verso una delle enormi finestre.
“Come vuoi tu, mio padrone” disse Belle.
“Non sei seria. Belle, io mi preoccupo” disse Tremotino, seguendola. La ragazza lo guardò e, mettendogli una mano su una guancia, disse: “E lo apprezzo. Ma così facendo ti metti solo tanta ansia per niente. Perché non vai a filare e ti rilassi?” Le sorrise. Quindi alzò lo sguardo e andò verso la finestra. Belle lo guardò e preoccupata domandò: “Che cosa c’è?” e, quando il Signore Oscuro non le rispose, andò al suo fianco. Anche Excalibur, dopo aver finito il tè, andò al loro fianco e drizzò le orecchie quando vide cosa c’era in giardino.
“E’ stupendo” disse Belle.
“Sì… come no” disse ironicamente Tremotino. Davanti a loro c'era un bellissimo unicorno bianco che stava brucando l’erba.
“E’ un unicorno” disse Belle.
“E’ un semplice cavallo bianco con un corno. Niente di più” disse Tremotino.
“Ma perché devi sempre rovinare i momenti più belli? Su, dai, andiamo fuori a vederlo meglio” disse Belle.
“E appena ci vedrà scapperà” disse Tremotino.
“Non puoi esserne così sicuro. È venuto qua per un motivo. Avanti, Tremotino: un’occhiata veloce e poi ritorneremo qua” disse Belle e lo prese per mano. A quel punto Tremotino capì che non aveva più scampo. Quando gli prendeva la mano, non poteva più scappare.
Poco dopo si ritrovarono nel giardino del castello a camminare verso quell’unicorno bianco.
“Belle, torniamo dentro” disse Tremotino.
“Non avrai mica paura?” chiese Belle, mentre teneva in mano un cesto con dentro delle mele.
“Non ho paura di nulla. Sono il Signore Oscuro: sono gli altri ad aver paura di me” rispose Tremotino.
“Allora rilassati. Andrà tutto bene” disse Belle e lo prese di nuovo per mano. Ecco, lo aveva fatto di nuovo e, per la seconda volta in pochi minuti, non poteva fare dietro front e rientrare nel castello dove, ad osservali ad una delle finestre, c'erano Dove, Grachen e Excalibur.
“Se scappa gli starà bene e, di certo, non mi riferisco a Lady Belle” disse Grachen.
“Non provi così tanto astio nei confronti del padrone. Lo sa che vuole solo il bene per la padrona e la piccolina che le sta crescendo in grembo. E poi ognuno di noi ha i suoi momenti di rabbia” disse Dove.
“Lui li ha sempre” disse Grachen.
L’unicorno alzò lo sguardo verso le due persone che si stavano avvicinando a lui. Ma, appena vide Tremotino, si rizzò sulle zampe posteriori, nitrendo.
“Visto, non è stupido come credevo. Su, ritorniamo dentro” disse Tremotino. Ma Belle lo ignorò e, avvicinandosi all’animale, disse: “Fai il bravo. È tutto a posto. Non vogliamo farti del male” e dopo che l’unicorno si calmò, ritornando su tutte e quattro le zampe, continuò: “ Ecco. Così. Ma lo sai che sei proprio bravo?” e, fermandosi di fronte a lui, riuscì a mettergli una mano sul muso. L’unicorno si fece accarezzare. Tremotino li guardava e fece un piccolo sorriso. Belle era davvero incredibile. Ogni giorno che passava, lo stupiva sempre di più. Se era così gentile con gli animali, con la loro bambina sarebbe stata una madre fantastica e premurosa.
Belle tolse la mano da sopra il muso dell’unicorno e, mettendola dentro al cestino, ne estrasse una mela.
“Avevi detto che avremmo dato solo un’occhiata, non che lo avremmo anche sfamato” disse Tremotino.
“Non possiamo lasciarlo andare via senza prima avergli dato qualcosa di succulento” disse Belle, dando la mela all’unicorno, il quale l’annusò.
“Parli di lui come se fosse un lupo famelico. Quando invece è solo un cavallo senza il senso dell’orientamento. Oltre ad avere un corno in testa, ha anche le pigne nel cervello” replicò Tremotino.
“Oh, smettila di fare il bambino e goditi questo momento” disse Belle e l’unicorno incominciò a mangiare la mela. Di tanto in tanto guardava Tremotino che, guardandolo a sua volta, disse: “E’ inutile che continui a fissarmi, perché non ho con me né una mela e nemmeno un qualsiasi altro frutto o cosa da mangiare che ti possa piacere. Quindi gira il tuo sguardo da un’altra parte.” Ma l’unicorno continuava a fissarlo. Tremotino roteò gli occhi.
Quando finì la mela, l’unicorno fece una cosa inaspettata – almeno nei riguardi di un essere umano: mise la fronte sotto la mano di Belle. La ragazza rimase senza parole. Poi guardò Tremotino che sarcasticamente disse: “Fantastico. Ora lo portiamo dentro e gli diamo pure un nome, così Excalibur avrà un amichetto con il quale giocare.”
“Hai finito?” domandò Belle.
“Avrei tante altre cose da dire sul mulo bianco, ma le tengo per me stesso” rispose Tremotino. L’unicorno nitrì. Quindi Tremotino aggiunse: “ Visto? Non mi vuole.”
“Invece, secondo me, vuole che anche tu metta la tua mano sopra la sua fronte” disse Belle.
“E l’hai capito da un nitrito?” chiese Tremotino ma, dopo che Belle ebbe alzato un sopracciglio, aggiunse: “Belle, sai già che non può funzionare.”
“Se non ci provi, non potrai mai saperlo” disse Belle.
“Lo so e basta! Gli unicorni arrivano quando c’è una forte presenza magica pura e non è che il mio cuore sia bianco” spiegò Tremotino.
“Magari a lui non interessa come è il tuo cuore” disse Belle. Tremotino capì che si trattava di una battaglia persa. Non avrebbe mai vinto contro Belle. Quindi si affiancò a lei e, come la ragazza, mise la mano sopra la fronte dell’unicorno.
“Visto: non è scappato” disse Belle sorridendo.
“Smettila di sorridere. So che ti piace così tanto farlo quando vinci contro di me” disse Tremotino.
“Si chiama fiducia e, a quanto pare, anche l’unicorno si fida di te” disse Belle. In quel momento, i due vennero avvolti da una forte luce bianca che proveniva proprio dall’unicorno.
Belle riprese i senti. Si trovava sul prato, ma con lei non  c'erano né l’unicorno e nemmeno Tremotino. Si preoccupò. Lo chiamò: “Tremotino. Tremotino, non scherzare. Dove sei?”
Sentì dei passetti veloci. Si voltò, ma non vide nessuno. Sentì altri passetti veloci e, voltandosi in un’altra direzione, stavolta vide qualcosa correre via. Decise di seguirlo.
“Aspetta! Chi sei? Non voglio farti del male” disse Belle andando a passo veloce, visto che non poteva correre per via della pancia. Si fermò. Davanti a lei – e di schiena – c'era qualcuno. Questo qualcuno si voltò, rivelando una bambina all’incirca sui sei anni. Dai lunghi capelli mossi e scuri. E gli occhi marroni. Teneva in mano una rosa.
“Ciao, piccolina. Sei qui tutta sola? Dove sono i tuoi genitori?” domandò Belle avvicinandosi cautamente a lei. La bambina non rispose. Ma si avvicinò alla ragazza e, sorridendole, la prese per mano per poi condurla verso un cespuglio. Belle rimase a bocca aperta. Nascosto nel cespuglio, c'era un coniglietto con una zampa ferita. La bambina diede la rosa a Belle e, poi, si inginocchiò accanto al coniglietto, curandone la zampa ferita tramite un pezzo di vestito. Belle notò infatti solo in quel momento che una piccola parte del vestito della bambina era strappato.
Belle annusò la rosa e, guardando la bambina, chiese: “I tuoi genitori sanno che sei qua fuori tutta sola a prenderti cura di quel coniglietto?” Ma, come prima, la bambina non le rispose. Finì di medicare la ferita del coniglietto. Si alzò e, guardando Belle, le sorrise. Poi appoggiò la testa contro la sua pancia. Belle la guardò e l’accarezzò la testa. Sentì qualcosa provenire da quella bambina e non se lo sapeva spiegare. La stessa energia che le proveniva anche da dentro. E fu lì che capì. La rosa. La bambina. Quella bambina era la sua bambina. Sua e di Tremotino. La loro rosa.
Tremotino si ritrovò nella foresta. Sapeva che era stato quell’unicorno a portarlo lì. Ma a quale scopo? Continuò a camminare. Quindi davanti a sé trovò una bambina dai lunghi capelli mossi e scuri. Gli occhi marroni – così uguali ai suoi quando ancora non aveva la maledizione. All’incirca, doveva avere sui sei anni. Ma ciò che attirò l’attenzione di Tremotino fu il cuore che teneva nella mano destra. Era nero ma con ancora alcune macchie rosse. Mentre nella mano sinistra aveva una rosa.
“Piccolina, quello non è un giocattolo. Posalo subito” disse Tremotino. Ma la bambina incominciò a stringere il cuore e Tremotino si posò una mano sul petto, ansimando. Alzò lo sguardo verso la bambina – che sorrideva maliziosamente - e capì che quel cuore era il suo.
“Smettila! Ti prego, smettila” disse Tremotino ansimando. Ma la bambina continuava a stritolare il cuore per poi dire: “Devi salvare tua figlia. Non devi farla abbracciare dall’oscurità.” A Tremotino mancava il fiato. Come aveva fatto quella bambina a prendergli il cuore? Nessuno ci era mai riuscito. Che lo stesse davvero uccidendo? Impossibile, visto che l’unica arma per ucciderlo si trovava al castello oscuro.
La bambina fece qualche passo verso di lui e, fermandosi di fronte, stritolò ancora il cuore. Tremotino cadde, con schiena a terra. Ansimava. Si sentiva sempre più mancare il respiro. La bambina disse: “Devi salvare tua figlia. Devi salvarla dall’oscurità. Ti è stata data una seconda possibilità. Non commettere gli stessi errori che hai commesso con tuo figlio. Sii un buon padre per lei. Nel tuo cuore c’è ancora del buono.”
“Io già le voglio bene” disse Tremotino con sempre meno fiato. La bambina si abbassò e gli rimise il cuore nel petto. Tremotino fece un lungo respiro. Poi si sedette e guardò la bambina. Quindi domandò: “Ma tu chi sei? E perché mi hai fatto questo?” La bambina gli porse la rosa. Tremotino non seppe che fare. Poi la prese e la bambina si inginocchiò, abbracciandolo. Il Signore Oscuro rimase spiazzato da quel gesto.
“Prima cerchi di uccidermi e ora mi abbracci? Che cos’hai in mente, piccolo diavoletto?” chiese Tremotino. La bambina continuava ad abbracciarlo. Il Signore Oscuro guardò la rosa e fu lì che capì. “Rose” disse semplicemente e guardò la bambina, facendo un piccolo sorriso. Quella bambina era la sua bambina. Sua e di Belle. Sarebbe diventata molto potente e lui le avrebbe insegnato a controllare la magia oscura. Improvvisamente, una luce lo avvolse e si ritrovò con Belle nel giardino del castello oscuro. Ma dell’unicorno non vi era più nessuna traccia.
“Belle, stai bene?” domandò preoccupato Tremotino andando subito al suo fianco.
“Oh, Tremotino, non sai che cosa magnifica ho visto. La nostra bambina che si stava occupando di un coniglietto ferito. Avresti dovuto vederla: era così gentile” spiegò Belle sorridendo.
“Sei stata fortunata. Io ho quasi rischiato di morire per colpa della nostra bambina” disse Tremotino.
“Che cosa?!” disse stupita Belle guardandolo.
“Stava stritolando il mio cuore. Sta ereditando troppo da me. Aveva anche il mio stesso sorrisetto. Spero che impari anche a trasformare le persone in lumache per poi schiacciarle” spiegò Tremotino.
“Non voglio che la nostra bambina trasformi le persone in lumache o che lanci palle di fuoco” replicò Belle.
“Tranquilla. La istruirò affinché riesca a tenere a bada il suo lato oscuro. Dopotutto non vogliamo che la gente la veda come un mostro come il suo papà, vero?” disse Tremotino e le diede di spalle. Belle aveva da sempre capito il suo tormento. Sapeva come si sentiva. Quindi disse: “Tu non sei un mostro e non lo sarà nemmeno la nostra bambina. Lei crescerà ben voluta da tutti, perché avrà due genitori che le vorranno molto bene e un papà che la proteggerà da qualsiasi cosa.” Tremotino si voltò verso di lei e, prendendo le mani di lei tra le sue, le chiese: “Come fai ad amare uno come me? Io sono un uomo difficile da amare.”
“E’ che non bisogna mai fermarsi alle apparenze. Sei una persona buona e ne ho avuto la prova più volte. E sono sicura che sarai anche un bravissimo padre per la nostra bambina e lei ti vorrà un mondo di bene” disse Belle. Quindi, in mezzo a loro comparve una fortissima luce. La luce scomparve, lasciando il posto a una rosa tra le loro mani. I due la guardarono e Tremotino disse: “A quanto pare, Rose non vuole essere messa in disparte.” Belle lo guardò e gli sorrise.

 
Storybrooke del presente
 
Rose era ritornata a casa il giorno stesso. Stranamente, suo padre non era con lei. A farle compagnia alla villa c'erano Paige, Excalibur, Dove e persino Henry. Era evidente che suo padre non volesse che stesse mai più da sola. L’aveva, ovviamente, accompagnata a casa. E poi di fretta era uscito, salendo sulla sua Cadillac, lasciando la figlia in custodia della loro guardia del corpo, dopo che quest’ultima era andata a prendere Paige a scuola. L’amica si era portata con sé anche Henry che, saputo ciò che era accaduto a Rose, volle andare a trovarla. I tre bambini, più volpe sul tappeto, stavano guardando la televisione standosene seduti sul divano.
“Allora, avete scoperto chi è che mi mette sempre una rosa sul mio banco?” domandò Rose.
“Purtroppo no” rispose Paige.
“Anche perché non c’era nessuna rosa sul tuo banco” aggiunse Henry.
“Cosa?! Ma è impossibile! Cioè… è sempre stata presente tutti gli anni. Siete sicuri di aver guardato bene?” disse stupita Rose.
“Sicurissimi” disse Henry.
“Rose, ci dispiace molto. Dico davvero” disse Paige.
“Già. Paige mi ha detto che ci avresti tenuto tanto a sapere chi ti manda sempre quella rosa rossa e quel biglietto. Ci dispiace veramente di non aver potuto fare di più” disse Harry.
“Non fa niente, amici. Ci avete provato e sono lo stesso contenta. Magari questo misterioso corteggiatore salterà fuori da solo. Oppure no. Chi lo sa” disse Rose.
“Se salterà fuori da solo, dovrà anche armarsi di una grande quantità di coraggio se vorrà affrontare tuo padre” disse Harry.
“Già. Con il Signor Gold non si scherza. Mai mettersi contro di lui e il suo bastone” aggiunse Paige e i tre si misero a ridere.
Venne sera. Dove riportò a casa Henry per poi ritornare in villa e mettere a letto le due bambine – dopo ovviamente aver cenato. Non aveva più avuto notizie dal suo padrone quando, proprio in quel momento, il furgone di Game of Thorns parcheggiò nel vialetto di casa. Da esso scese Gold.
“Signor Gold, finalmente è ritornato a casa” disse Dove. Gold lo raggiunse per poi dire: “Sì, ma non mi tratterrò per molto. Ho una cosa urgente da fare.” Ed entrarono in casa.
“Come mai è ritornato con il furgone del negozio di fiori? Dove ha lasciato la Cadillac?” chiese Dove seguendolo, mentre salivano le scale.
“Affari miei. E la Cadillac è rimasta davanti al negozio. Spero che le bambine siano già addormentate” rispose Gold, arrivando al piano superiore.
“Sì, si sono addormentate quasi un’ora fa, volpe compresa” rispose Dove. Ma dopo essersi fermati davanti alla porta della camera da letto di Rose, aggiunse: “Signore, ma cosa sta succedendo?” Gold lo guardò rispondendogli: “Ogni cosa a suo tempo. Ora devo fare altro di più importante” e, aprendo la porta, entrò nella camera da letto della figlia. Dove stette a guardarlo sulla soglia e, solo in quel momento, si rese conto che Gold stava tenendo in mano una rosa rossa e un bigliettino. Gold si avvicinò cautamente al letto della figlia. La guardò sorridendo. Mise la rosa rossa e il bigliettino sul comodino. Poi si abbassò e baciò Rose su una guancia. La bambina si mosse, ma non si svegliò. Mentre le spostava una ciocca di capelli dalla fronte, disse: “Mi raccomando, occupati di loro, soprattutto della mia bambina.”
“Non le perderò mai d’occhio, signore” disse Dove. Gold lo guardò e sospirò. Dove quindi gli domandò: “Signore, tutto bene?”
“Sì. Sì, sto bene. Assicurati solamente che Rose stia bene” rispose Gold e, dopo aver guardato velocemente Excalibur acciambellata in fondo al letto e dato un’ultima occhiata alla sua adorata figlia, passò accanto a Dove, uscendo e scendendo le scale. Ovviamente, la guardia del corpo lo seguì, per poi dirgli: “Signore, non per impicciarmi, ma è sicuro di quello che fa? Non vorrei che le accadesse qualcosa di spiacevole.”
“Non ti preoccupare per me, Dove. Se dovesse accadermi qualcosa, saprò come gestire il tutto” disse Gold, arrivando al piano inferiore.
“Io mi preoccupo sempre per lei, Signore. Dopotutto, le ho giurato eterna fedeltà e protezione” disse Dove. Gold si fermò davanti alla porta e, guardandolo, gli spiegò: “Dove, tu sei una bravissima guardia del corpo e un ottimo amico. Sì, non te l’ho mai detto, ma tu sei veramente un amico che ci è sempre stato vicino. Soprattutto a mia figlia. E, visto che mi hai giurato eterna fedeltà, allora obbedisci a questo: rimani qua a casa e, se mai dovesse succedermi qualcosa, fa' che entrambe le bambine – soprattutto Rose – continuino a vivere felice. Occupati anche di Excalibur, ma assicurati che non finisca tutte le provviste sia nel frigorifero che nella dispensa. Quella volpe ha sempre fame e troppo cibo le causerà solo un gran mal di pancia. Ho la tua parola che non mi seguirai?” Dove sembrò indeciso. Ma poi rispose, facendo un piccolo inchino con la testa: “Certo, Signore.”
Gold aprì la porta e, dopo essere salito sul furgone, partì sotto lo sguardo di Dove che, dopo aver sospirato, disse: “Speriamo vada tutto bene.”
Fu un nuovo giorno. Il sole fece capolino tra la finestra di Rose, illuminando il volto della bambina e ricordandole che era già mattino. Rose si stropicciò gli occhi, ma il suo sguardo si illuminò di gioia non appena vide la rosa rossa e il biglietto sul suo comodino. Li prese e, mentre correva giù dalle scale, disse: “Paige! Papà! Excalibur! Dove! Guardate cos’ho-” Ma appena arrivò in cucina, trovò solamente Dove, Paige ed Excalibur che stava mangiando nella sua ciotola.
“Dov’è papà?” chiese Rose.
“Buongiorno, signorina Gold. Suo padre ha avuto un impegno molto urgente che lo ha trattenuto fuori per tutta la notte” rispose Dove guardandola. In verità non sapeva nemmeno lui che cosa avesse fatto Gold per tutta la notte. Rose abbassò tristemente lo sguardo, ma lo rialzò non appena Paige disse: “Ehi, ma hai in mano la rosa rossa e il bigliettino. Oh, oh, questo vuol dire che il tuo spasimante segreto deve essere stato qua stanotte.”
“Quale spasimante segreto?” domandò Dove.
“Come te lo devo far capire che non ho nessun spasimante segreto?” chiese Rose.
“Ogni San Valentino, Rose trova sul suo banco a scuola una rosa rossa e un bigliettino con lo stesso messaggio ogni anno. Solo che ieri mattina non c'era nessuna rosa rossa sul suo banco. Io e Henry abbiamo provato a cercare dappertutto chi potesse essere stato, ma non lo abbiamo trovato” spiegò Paige guardando Dove. Quest’ultimo guardò Rose, dicendole: “Se c’è qualcuno che la tormenta, mi dispiace ma dovrò intervenire.”
“No. No. Ma cosa hai capito?! Non c’è nessuno che mi tormenta come non c’è nessun spasimante. E poi, se ci fosse, non credi che papà lo avrebbe già minacciato di morte?” disse Rose e si mise a ridere. Suonarono alla porta e, mentre Dove andava ad aprire, Paige guardò l’amica domandandole: “Almeno stavolta c’è scritto qualcosa di più sul biglietto?”
“In effetti, ora che mi ci fai pensare, il biglietto non l’ho ancora letto” rispose Rose.
“Be', allora che cosa stai aspettando? Su, dai, leggilo. Magari stavolta scopriamo finalmente chi ti ha mandato le altre rose rosse e il biglietto” disse Paige. Rose riuscì a leggerlo mentalmente e stava per ripeterlo a Paige, quando Dove ritornò da loro con…
“Emma” disse stupita Paige. Anche Rose si voltò e stupita chiese: “Emma, che cosa ci fai qua?”
“Rose, devi venire con me al commissariato. Si tratta di tuo padre” rispose Emma e Rose fece cadere la rosa rossa e il bigliettino.
Poco dopo arrivarono al commissariato. Rose scese velocemente dall’auto di Emma, correndo dentro alla struttura, ma si fermò dietro a un muro non appena vide Regina che stava parlando con suo padre. Quest’ultimo era in una piccola cella. Quindi stette ad ascoltare cosa si stavano dicendo.
“Qual è il suo nome?” domandò Regina.
“Sono il Signor Gold” rispose Gold.
“Il suo vero nome” replicò Regina.
“In ogni momento passato su questa terra, mi sono chiamato così” disse Gold.
“Ma che mi dice dei momenti passati in un altro posto? Con la sua sguattera e la vostra dolce neonata?” chiese Regina.
“Di che cosa sta parlando?” domandò stupito Gold.
“Io credo che lei lo sappia. Se vuole riavere ciò che è suo e vuole il bene della sua adorata figlioletta, deve dirmi il suo nome” rispose Regina. Ci fu un po’ di silenzio. Poi Gold, sorridendo maliziosamente, disse: “E’ Tremotino” Rose rimase a bocca aperta. Tremotino era anche il nome di quella “bestia” presente nel libro che gli aveva dato Henry. Quell’uomo che stava con la sua mamma. Il suo papà in quel mondo di fiabe e il suo papà nel mondo dove si trovavano ora.
Gold si alzò e, tenendosi alle sbarre, replicò: “Soddisfatta?! E ora mi dia ciò che voglio e, soprattutto, lasci stare la mia piccola Rose! E’ colpa sua se quel lurido bastardo l’ha picchiata! E’ colpa sua se mi sono dovuto separare da lei quando ancora era solo una neonata! E’ colpa sua se, per molti anni, l’ho creduta morta, quando invece era sicura nella foresta! Lei non sa come è perdere un figlio! Non sa niente di come mi sono sentito quando mi aveva detto che le avevo perse entrambe!”
Regina sorrise maliziosamente per poi dire: “Che aggressività” e, dopo aver tirato fuori qualcosa dalla borsa, aggiunse: “E tutto per questa.” Rose sgranò gli occhi: Regina stava tenendo in mano la tazzina sbeccata.
Gold cercò di prenderla, ma Regina gliela allontanava, spostandogliela prima a destra, poi a sinistra e poi di nuovo a destra. Rose voleva uscire e dare un bel calcio a quella donna che si stava prendendo gioco del suo papà. Ma così facendo sarebbe solo passata dalla parte del torto, rendendo ancora più complicate le cose per il suo papà.
“Non l’avrei mai detto, ma lei è veramente un sentimentale” disse Regina, fermandosi in modo che Gold poté prendere la tazzina. L’uomo poi ironicamente replicò: “Grazie tante…vostra maestà” e, zoppicando, si sedette sul lettino nella cella. Guardò la tazzina tra le mani. Poi guardò Regina e disse: “Dunque, ora che possiamo finalmente essere onesti, cerchiamo di ricordarci come stanno davvero le cose. Questa cella potrebbe ingannarla. Il potere è nelle mie mani, se lo ricordi. Uscirò in men che non si dica e non sarà cambiato nulla! Tranne lei!”
“Questo è tutto da vedere!” replicò sorridendo Regina. Ma quando si voltò vide Rose. Quindi aggiunse: “Oh, ma guarda un po’ chi è venuto a farle visita. Sai, stavamo giusto parlando di te e di come il tuo dolce papà ti voglia molto bene. Ma non stare lì ferma. Avvicinati pure. Mica ti mangio.”
Timidamente, Rose entrò e Regina, raggiungendola, fermandosi di fronte a lei, disse: “Il tuo papà si sentiva tanto solo in quella cella. Gli manchi e sei stata tanto gentile a venire a trovarlo. Una così buona bambina. Proprio come lo era la tua mamma” e, con il dorso della mano, le accarezzò una guancia. Gold si alzò e, tenendosi alle sbarre, guardò le due. Strinse così forte le sbarre che le nocche sbiancarono. Aveva paura che quella donna potesse farle del male e lui era lì, in quella piccola prigione, incapace di fare qualcosa per proteggere la sua bambina.
“Anche lei conosceva la mia mamma?” chiese Rose.
“Ma certo, piccina. La tua mamma era una donna davvero straordinaria, capace di vedere il buono in chiunque. Persino in tuo padre” rispose Regina e, guardando Gold, gli sorrise maliziosamente. Gold, di controparte, la guardò malamente. La donna riguardò Rose aggiungendo: “E tu le assomigli più di quanto tu creda. E che rimanga tra me e te, noi due sappiamo chi è la colpa se lei è morta.” Rose guardò Gold il quale scosse negativamente la testa, facendole capire di non ascoltarla. Riguardò Regina quando questi disse: “No, la colpa non è sua. Ma solo tua, piccina.”
“Mia?” ripeté stupita Rose.
“Ma certo. È morta proteggendoti” disse Regina.
“No. La mia mamma è morta dandomi alla luce” la corresse Rose.
“E’ così che ti è stato detto?” domandò Regina. Poi guardò Gold e aggiunse: “Oh. Be', non importa, perché la colpa rimane tua in entrambe le versioni, no?” Rose abbassò tristemente lo sguardo e Gold guardò furente Regina. Quest’ultima, guardando l’orologio appeso alla parete, disse: “Come si è fatto tardi. Ho lasciato Henry fuori da solo per molto tempo. Be', ci vediamo, e poi sono sicura che ora avrete molto di cui parlare” e uscì, con un sorrisetto beffardo in volto. Rose stette a guardare nella direzione dalla quale era appena andata Regina. Ma voltò lo sguardo verso suo padre quando quest’ultimo le disse: “Non devi stare ad ascoltare quella donna. Non la devi ascoltare mai!”
Rose si avvicinò lentamente a lui e Gold aggiunse: “Oh, bambina mia. Niente è vero di tutto ciò che ti ha raccontato. La colpa non è tua se la mamma è morta.”
“Però tu sei sempre triste per lei. E mi hai detto che è morta dandomi alla luce. Quindi…” disse Rose. Ma Gold la bloccò, replicando: “ Smettila! La colpa non è tua! Non darti colpe che non hai!”
“Anche tu dovresti smetterla di darti colpe che non hai” disse Rose e, dopo che Gold ebbe inarcato un sopracciglio, continuò: “Quando mi è venuta l’appendicite, hai detto che la colpa era tua. Così come era tua quando sono rimasta intrappolata nella miniera. L’appendicite viene quando meno te lo aspetti: non puoi farci nulla. Nemmeno tu. Si va in ospedale e poi lì è compito dei dottori. Per quando riguarda la miniera, tu mi avevi detto di lasciare scorrere i fatti. Invece io ho voluto fare di testa mia – come faccio d’altronde il più delle volte. Ti ho disubbidito e mi sono andata a mettere nei guai. Papà, so che mi vuoi molto bene, ma non per questo ti devi dare colpe per nulla, soprattutto quando non ce le hai. Ti fai solo del male e io non voglio vederti soffrire.”
Gold allungò una mano e, mentre le accarezzava la guancia, disse: “Tua madre sarebbe così fiera di te. Regina è una donna cattiva: lei l’ha sempre odiata. Non voleva che avesse il suo lieto fine con me. Tra non molto uscirò da qua e ti prometto che non ti lascerò mai più sola. E visto che sei stata una brava bambina e hai mantenuto il nostro accordo, voglio anche io mantenere la mia promessa” e con l’altra mano, le diede la tazzina sbeccata.
“No, io… io non la merito” disse Rose.
“Invece sì. Tua madre avrebbe voluto così” disse Gold. Rose mise le mani su quelle del padre per poi dire: “Hai visto che cosa è successo mentre l’avevo io. Hai rischiato di non rivederla mai più solo perché io non sono stata abbastanza brava nel proteggerla. Con te è più al sicuro” Gold sorrise e allungò un braccio, cercando di portarsi più vicino la figlia e abbracciarla. Ma quelle sbarre glielo impedivano. Rose vide il sorriso di suo padre scomparire e comprese la sua tristezza nel non poter starle accanto. Quindi allungò lei stessa le sue braccia – visto che erano più piccole e passavano più facilmente attraverso le sbarre – e lo abbracciò, seppur con fatica, attorno alla vita. Gold abbassò lo sguardo e mise la mano destra – quella con cui non teneva la tazzina- dietro la testa della figlia, accarezzandogliela. Poi dolcemente le disse: “Mio piccolo e dolce fiore. Sarei stato perso senza di te. Tu sei il più bel regalo che tua madre mi ha donato” e Rose sorrise, per poi dire: “Grazie per tutte quelle rose rosse e quel bigliettini sul mio banco.”
“Grazie a te per essere La Rosa del mio vero Amore” disse sorridendo Gold.
Emma, che nel frattempo era entrata dopo aver parlato fuori con Henry, stette a osservali standosene sulla soglia della porta, evitando di fare qualsiasi rumore per non interrompere quel dolce momento padre-figlia.
 
Foresta Incantata del passato
 
Tremotino camminava avanti e indietro per la stanza. Da quasi un’ora, a Belle si erano rotte le acque e ora la vedeva lì soffrire sul loro letto e lui non poteva fare nulla. Nemmeno la magia più potente avrebbe potuto calmare il suo “male”.
 “Tremotino” lo chiamò. Il Signore fu subito al suo fianco e, dopo che le ebbe preso la mano, disse: “Vedrai che passerà tutto. Vorrei poter far qualcosa. ma non posso. Non posso usare la mia magia su di te e su di lei. Potrei farvi del male.”
“Tu non potrai mai farci del male” disse Belle, facendo un debole sorriso. Anche Tremotino sorrise. Poi Belle aggiunse: “Dov’è il dottore?”
“Quale dottore?” chiese Tremotino.
“Il dottore che hai chiamato. Quando arriva? Ormai dovrebbe essere quasi qua” rispose Belle. Tremotino le lasciò la mano e, titubante, disse, mentre si allontanava un po’ dal letto: “Ecco… riguardo proprio al dottore… non credo che verrà.” Belle sgranò gli occhi per poi domandare: “E tu come lo sai?”
“Perché… ecco… non l’ho chiamato” rispose Tremotino indietreggiando. Belle cercò di mettersi seduta e, tenendo i gomiti appoggiati al materasso, replicò: “E per quale strana ragione non lo avresti chiamato?”
“Hai visto che temporale echeggia fuori? Non vorrei farlo ammalare” rispose Tremotino. Fuori, infatti, c'era un fortissimo temporale.
“E tu ti preoccupi più della sua salute che quella di tua figlia?! Dimmi la verità!” replicò Belle.
“Non voglio che mani estranee ti tocchino e tocchino nostra figlia” rispose Tremotino. Lo sguardo di Belle divenne furente. Il Signore Oscuro incominciò a sudare freddo. Mai prima d’ora aveva avuto paura di qualcuno. Quindi disse: “Belle, che intenzioni hai?”
Fuori in corridoio, Dove, Grechen e Excalibur stavano camminando verso la camera quando sentirono un forte rumore provenire proprio dall’interno di questa.
“Credo che dovremmo entrare” disse Grechen.
“Il padrone ha ordinato di non essere disturbato mentre stava con la signora” disse Dove.
“Lady Belle sta per partorire e io non ho ancora visto arrivare nessun dottore. La bambina potrebbe morire se non nasce in tempo. E poi potrebbe toccare anche alla madre. E non credo che, infine, il padrone rimarrà tanto calmo” spiegò Grachen. Dall’interno sentirono altri rumori e Tremotino dire: “Belle, ti prego, non sai quello che fai” ed Excalibur, che aveva l’orecchio teso contro la porta, per lo spavento si andò a nascondere dietro a Dove.
“Io entro” disse Grachen e, prima che Dove potesse fermarla, entrò nella stanza. Ciò che vide la fece rimanere stupita. Belle era semi seduta sul letto. Tremotino era dall’altro lato della stanza e, accanto a lui, c'erano diversi pezzi di quelli che prima sembravano vasi. Inoltre, sempre accanto a lui,  c'erano un sacco di libri. Grachen andò accanto a Belle chiedendole: “Lady Belle state bene?” La ragazza voltò lo sguardo, accorgendosi solo in quel momento dell’entrata della balia. Quindi rispose: “Io… non so cosa mi sia preso.”
“Non si preoccupi. È tutto normale, soprattutto quando qualcuno non vuole collaborare” disse Grachen, ed entrambe guardarono Tremotino che disse: “Io collaborerei se lei la smettesse di lanciarmi cose addosso.”
“Dov’è il dottore? Ormai non ce la faccio quasi più” domandò Belle. Si sentì un forte tuono. Grachen rispose: “Non credo che il dottore possa venire con questo brutto tempo.”
“Oh, rimediamo subito: ci andrà Dove a prenderlo” disse Tremotino, indicando la guardia del corpo che se ne stava sulla soglia della porta insieme a Excalibur.
“Ma, mio signore, io…” iniziò col dire Dove. Ma Tremotino lo interruppe dicendo: “Tieni, prendi una mantellina. Così ti coprirai” e, con uno schiocco delle dita, gli fece comparire in mano un mantello con cappuccio. Dove guardò il mantello e Tremotino disse: “Non ti preoccupare se il dottore si dovesse bagnare: l’importante è che arrivi qua senza un raffreddore. Non voglio anche i suoi germi.” Dove lo guardò stranamente. Abbassò lo sguardo quando Excalibur starnutì.
“Alludevo a lei. Ultimamente è una portatrice di germi” aggiunse Tremotino.
“Finiscila di parlare di quella volpe e pensa a chiamare quel maledetto dottore!” replicò Belle.
“Belle, cara, non sei in te. Ora cerca di calmarti e andrà tutto bene” disse Tremotino avvicinandosi a lei. Ma appena le fu accanto, Belle lo prese per il panciotto e, tirandolo verso di lei, replicò: “E’ tutta colpa tua se sono in questo stato! O tu ora mi vai a chiamare quel dottore o chi diavolo vuoi tu, oppure giuro che ti renderò la vita un inferno!” e lo lasciò andare. Tremotino si allontanò leggermente e guardò Grachen, Dove ed Excalibur in cerca di aiuto. Be', Dove scosse negativamente la testa. Excalibur si stava grattando dietro un orecchio. Grachen, invece…
“Ho seguito Lady Belle durante tutta la gravidanza. Farò io nascere la bambina” disse Grachen.
“No, no, no, no. Tu sei un’ex fata: la riempirai con la tua insulsa polvere magica” disse Tremotino, puntandole un dito contro.
“Se ben ricorda, non ho più la magia da quando mi hanno tolto le ali e, di conseguenza, anche l’incarico da fata. È stato lei a farmi diventare una comune essere umana” spiegò Grachen.
“E di questo ne vado molto fiero” disse sorridendo Tremotino, facendo una piccola risata.
“Tremotino, smettila di renderti orgoglioso e per una buona volta metti da parte il tuo odio delle fate e fa' che sia lei a far nascere la bambina” replicò Belle. Tremotino stava per aprire bocca. Ma Belle lo bloccò: “E non provare a dire che non vuoi che mani estranee mi tocchino e tocchino la bambina! Sarà Grachen a farla nascere! Che tu lo voglia o no!” Ci fu silenzio. Poi Tremotino guardò Grachen, replicando: “Contenta, governante?! Hai vinto tu! Ma bada di fare un ottimo lavoro, perché oltre alle ali, ti toglierò anche la vita!”
“Il padrone qua è lei” disse semplicemente Grachen guardandolo.
“Allora, di cosa hai bisogno?” chiese Tremotino.
“Di molti asciugami e acqua calda. E inoltre di una forbice pulita” rispose Grachen. Tremotino andò da Dove e, dopo avergli detto semplicemente : “Seguimi senza obiettare” lui, la guardia del corpo ed Excalibur uscirono dalla stanza a passo veloce.
Grachen si avvicinò a Belle. Quest’ultima disse: “Grachen, ho molta paura.” L’ex fata le mise una mano sulla fronte, dicendole: “Lo so. È normale. Ma io sarò sempre qua e farò di tutto pur di farvi stare entrambe bene. Non permetterò che vi accada qualcosa. E poi il padrone mi ucciderà se vi succederà qualcosa di brutto.”
“Non credo dicesse sul serio” disse Belle.
“Invece dicevo proprio sul serio” disse Tremotino, rientrando nella stanza insieme a Dove e Excalibur. Lui e la guardia del corpo tenevano in mano un sacco di asciugami. Mentre la volpe teneva in bocca una piccola bacinella piena d’acqua calda. Grachen riguardò Belle, dicendole: “E ora mettiamo al mondo la piccola creatura.”
Il temporale era sempre più forte. Belle stava gridando. Lampi echeggiavano in cielo, illuminandolo quasi a giorno. Belle continuava a gridare, mentre Grachen, opposta a lei, disse: “Coraggio, continua così. Dovrebbe uscire a momenti.”
Tremotino, insieme a Dove ed Excalibur, se ne stava in un angolo della stanza. Era voltato verso il muro per non vedere soffrire la sua amata. Ma era quasi impossibile ignorare quelle atroci urla. Belle urlava sempre più forte e più lampi squarciavano il cielo. Quando si sentì: “Tremotino!”, Il Signore Oscuro si voltò, per vedere Belle porgergli la mano. Si avvicinò a lei, prendendogliela. Sudava. Lei per il forte sforzo che ci stava mettendo. Lui per paura. Paura che Belle potesse morire. E che potesse morire anche la loro bambina.
“Sono qua. Sono qua. Ti ho promesso che non ti avrei mai più abbandonata” le disse affettuosamente.
“Lo so che tu sarai sempre al mio fianco” disse Belle, facendo un piccolo sorriso.
“Lady Belle, ho bisogno che spinga ora. E molto forte” disse Grachen e Belle, gridando, spinse. Spinse più che poteva.
“Vedo la testa. Continui così” disse Grachen.
“Coraggio, Belle. Tu sei forte. Ce la puoi fare. Io conto su di te. Forza, cara” disse Tremotino, stringendole più forte la mano, per darle coraggio. Belle continuava a gridare e la bambina ad uscire. Finché, dopo un forte lampo… si sentì piangere.
“Eccola qua. La nostra piccola principessa” disse sorridendo Grachen, mentre Dove, subito al suo fianco, le porgeva un asciugamano, nel quale avvolse la neonata. Poi prese le forbici sempre da Dove, tagliandone il cordone ombelicale. Successivamente andò verso una tavola, appoggiandoci sopra la neonata. Excalibur andò al suo fianco, tenendo con la bocca la ciotola con dentro l’acqua calda.
“Sono così fiero di te. Ma non avevo dubbi che ce l’avresti fatta” disse sorridendo Tremotino, accarezzando Belle sulla fronte.
“Scusami per tutte le brutte cose che ti ho detto prima. E soprattutto scusami per i vasi e i libri che ti ho lanciato. Non ero in me” disse Belle.
“Oh, non importa. Tanta gente mi ha lanciato frecce. O coltelli. E poi quei vasi erano vecchi di secoli. Portavano solo polvere e non mi piacevano neanche” disse Tremotino. Belle sorrise e gli mise una mano sulla guancia.
Grachen ritornò tenendo tra le braccia un fagottino avvolto in un asciugamano per poi domandare: “Mamma e papà, siete pronti per incontrare qualcuno di molto speciale?”
“Ma che razza di domanda è?! Faccia meno la spiritosa!” replicò Tremotino. Ma dopo che ebbe ricevuto un’occhiataccia da parte di Belle, aggiunse: “Sì certo. Siamo pronti. Ovviamente” Grachen sorrise. Si avvicinò al letto e mise delicatamente il fagottino tra le braccia di Belle. Poi insieme a Dove si avviò fuori dalla porta, ma Tremotino, alzandosi dal letto, la raggiunse dicendole: “Volevo ringraziarla.” Grachen si voltò, dicendogli: “Non ce ne è bisogno.”
“Ne approfitti, perché succede raramente che io faccia i complimenti al di fuori di qualcuno che non sia la mia famiglia. Ha salvato la vita delle due donne che compongono la mia vita. Sarei stato perso senza entrambe. Quindi… grazie” spiegò Tremotino. Grachen sorrise e insieme a Dove uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé. Excalibur andò accanto a Tremotino, emettendo dei versetti e scodinzolando. Tremotino si abbassò e, prendendole in braccio, le disse: “Ora sei diventata una sorella maggiore e avrai qualcuno con cui giocare. Ovviamente quando crescerà. Ma mi devi promettere che, come me e Belle, anche tu ti occuperai di lei. Ho la tua parola di volpe fidata?” ed Excalibur lo leccò sulla faccia.
Belle lo chiamò e Tremotino si avvicinò nuovamente al letto, depositando Excalibur in fondo. Poi si distese accanto alla sua amata ed entrambi guardarono la neonata.
“Ancora non ci credo che dopo mesi di attesa, finalmente sia qui” disse sorridendo Belle, guardando amorevolmente la figlia che fece un piccolo sbadiglio.
 “E’ bella come la sua mamma” disse Tremotino.
“E’ anche figlia tua” disse Belle guardandolo.
“La bellezza l’ha ereditata da te, ovviamente” disse Tremotino. In quel momento, la neonata aprì gli occhi. I genitori la guardarono e Belle aggiunse: “Ma gli occhi sono tuoi.” Gli occhi della piccolina infatti non erano blu come quelli della madre, ma marroni con qualche macchia dorata. Tremotino sorrise. La neonata lo stava guardando.
Belle gli chiese: “Vuoi tenerla in braccio?” Tremotino dapprima esitò. Poi però le sue braccia si allungarono istintivamente e, presto, accolsero la figlia.
“Ciao, piccolina. Sono il tuo papà. Ancora non ci credo di essere riuscito a creare una così bella principessa. Il destino mi ha dato una seconda possibilità. Prima con tua madre e ora con te” le disse dolcemente. La bambina allungò una manina, portandola sul naso del padre. A Tremotino venne in mente che, anni prima, anche suo figlio aveva fatto la stessa identica cosa, non appena lo aveva tenuto tra le braccia. Lui non aveva avuto la fortuna di vederlo nascere perché, mentre sua moglie stava partorendo, lui si trovava in guerra contro gli orchi. Con la sua bambina era diverso. Era stato presente per tutta la durata della gravidanza di Belle. Poi durante la nascita. E, ora, la teneva tra le braccia e sentiva nuovamente il bisogno di proteggerla. Quindi le disse: “Va tutto bene, piccolina. Il tuo papà è qui. E ti prometto che non ti lascerò. Non ti lascerò mai come avevo fatto con tuo fratello. Non commetterò gli stessi errori che ho commesso con lui. La mamma e il papà ti staranno sempre accanto e ti vorranno molto bene. Tu sei il mio tesoro più prezioso. Nessuno ti porterà via. Io ci sarò sempre per te.”
“Come vuoi chiamarla?” domandò Belle. Durante i mesi avevano pensato a diversi nomi per la figlia.
“Rose” rispose semplicemente Tremotino, continuando a guardare amorevolmente la neonata.
“Morraine. Rose Morraine” aggiunse Belle. Tremotino la guardò sorridendo. Entrambi riguardarono la neonata e Tremotino aggiunse: “Rose Morraine. La Rosa del nostro Vero Amore” ed Excalibur, seduta in fondo al letto, guardò la nuova famiglia, scodinzolando, mentre fuori il temporale si era calmato, lasciando posto a una lieve pioggia.




Note dell'autrice: Ed eccomi qua con la seconda parte del capitolo dedicato a Skin Deep. Spero di aver fatto un bel capitolo e spero, soprattutto, di non avervi annoiato. So di non essere stata all'altezza del nostro amato Skin Deep ma ho cercato di far incastrare il tutto, evitando spazi temporali come hanno fatto Adam e socio. Questo è il capitolo più importante di tutta la storia. Si è scoperto chi è The Rose of True Love (La Rosa del Vero Amore) che dà il titolo alla mia fanfict (ovviamente è la piccola Rose. Che è la Rosa del verso amore per Tremotino e Belle). Sono al giro di boa. Sono a metà stagione (ma non farò tutti gli episodi)
Ora ai consueti ringraziamenti. Grazie veramente di cuore a tutti/e coloro che stanno seguendo la storia (anche in silenzio). Che la recensiscono e che l'hanno messa tra le preferite. Grazie di cuore alla mia amica di sempre Lucia (sua sono anche le copertine ad inizio capitolo) Con ciò vi auguro un buon proseguimento di serata e al prossimo capitolo. Dearies
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 33
*** Affari di famiglia - Parte I ***






The Rose of true Love


 
 
  Capitolo XVII: Affari di famiglia -  Prima Parte
 

I mesi trascorsero tranquillamente. Non accadde nulla di particolare. Suonò la campanella e le lezioni, anche per quel giorno, finirono. Gli studenti corsero fuori dalla scuola, contenti di ritornare finalmente ognuno nella propria casa.
Anche Rose e Paige stavano rimettendo libri e quaderni nelle loro cartelle. Videro Henry, qualche banco più in là del loro, chiudere la cartella e uscire dalla classe, prima che le amiche potessero fermarlo.
“Si comporta così da giorni. Tu, per caso, sai cosa possa avere?” domandò Paige.
“Non credi che, se lo sapessi, non avrei già risolto la faccenda diverso tempo fa? Non vorrei che finisse come l’ultima volta, dove abbiamo quasi rischiato di rimanere in quella miniera per sempre e a mio padre è quasi venuto un infarto” rispose Rose e, dopo che ebbero chiuso la cartella, uscirono dalla classe. Camminarono per il corridoio e Paige disse: “E’ nostro amico. Dovremmo aiutarlo.”
“Ho paura, aiutandolo, di cacciarmi nei guai” disse Rose. Si fermarono e Paige propose: “Potremmo sempre seguirlo e scoprire cosa abbia in mente.”
Rose scosse negativamente la testa, per poi dire: “Mi dispiace, ma papà mi ha detto che, dopo scuola, sarei dovuta andare subito in negozio. Ho capito che meno gli disubbidisco e meno finisco in punizione.”
“Concordo. Allora facciamo così: lo seguirò solo io e ti chiamerò tramite la sua ricetrasmittente se mai dovesse succedere qualcosa di brutto” propose Paige.
“Ottimo. Così mentre tu cerchi di capire cosa abbia il nostro amico, io mi occupo di Mary Margaret” disse Rose e videro la loro maestra uscire dall’aula, passando loro accanto. La guardarono, seppur lei dava loro di schiena.
“Sai, non dovrei dirlo, ma mi fa pena vederla così. Tutti gli abitanti la vedono come un mostro. Io, invece, non la penso così. Dovrebbero andare al di là delle semplici dicerie e fidarsi solo di loro stessi” disse Rose.
“Non le definirei semplici dicerie. Purtroppo, gli abitanti ci vanno giù pesante con lei dopo ciò che ha fatto” disse Paige.
“Ci sono persone che hanno fatto cose ben più peggiori di ciò che ha fatto lei. E poi non è mica la fine del mondo” disse Rose. Paige scosse negativamente la testa, per poi dirle: “Segui il mio consiglio: non ti immischiare in questa faccenda o finirai per non uscirne più. E poi chi lo sente, tuo padre. Ha già fin troppi problemi a gestire i clienti isterici nel negozio; gli affitti incompleti di alcuni cittadini e una figlia che adora con tutto il cuore, ma che ama cacciarsi costantemente nei guai. La sua vita non è di certo semplice.”
“So che sono io la causa di tutti quei capelli bianchi. Ma mi sento di dover aiutare Mary Margaret. Non merita tutto questo odio” disse Rose. Voltarono lo sguardo non appena sentirono pronunciare il nome Kathryn dalla loro maestra. L’altra donna schiaffeggiò Mary Margaret. Chi era presente si fermò a osservare la scena.
“Che cosa vuoi me ne importi?!” replicò Kathryn.
“Sei sconvolta. Lo capisco. Ne hai il diritto” disse Mary Margaret.
“Grazie per la comprensione!” disse sarcasticamente Kathryn.
“Possiamo parlarne in privato” propose Mary Margaret, guardandosi intorno e vedendo i presenti che le osservavano.
“In privato?! Perché dovrei trattarti con rispetto?! Tu non ne hai avuto per me! E neanche David! Avete mentito in continuazione!” replicò Kathryn.
“Avremmo dovuto dirtelo prima. Ma siamo stati completamente sinceri. Non ti abbiamo mentito” disse Mary Margaret.
“Davvero?! Tu lo hai sedotto! Hai distrutto il nostro matrimonio con un mucchio di bugie! Con delle stupidaggini sul non essere capace di legarsi a me! Non ha avuto problemi a legarsi a te, a quanto pare” replicò Kathryn.
“Ma non è stato David a parlarti di noi?” chiese Mary Margaret.
“No. Certo che no! Sarebbe stato un comportamento responsabile” rispose l’altra.
“Ma lui mi ha detto che te lo avrebbe raccontato” disse Mary Margaret alquanto confusa.
“Be', allora ha mentito anche a te. Non mi sembra un buon modo per iniziare una storia. Voi due vi meritate a vicenda” disse Kathyrn e, voltandosi, se ne andò, lasciando Mary Margaret senza parole.
“Credi ancora che non debba aiutare la nostra maestra?” domandò Rose.
“Se ti dicessi di no, so che farai lo stesso di testa tua. Vado a capire cos’ha Henry. Ci rivediamo o al negozio o alla villa” rispose Paige e se ne andò per la sua strada. Rose guardò Mary Margaret che se ne andava sotto lo sguardo di tutti i curiosi. La bambina si sentiva triste per lei. Ma, per il momento, decise di andare semplicemente al negozio del padre. Mentre però usciva da scuola, più di una persona la stava osservando. Una si trattava di Lucy, che non aveva perso il suo odio nei confronti della giovane Gold. Stava ancora pianificando un modo per fargliela pagare da quella volta dell’attacco nella foresta. E l’altra si trattava di un uomo con la barba e un giubbotto di pelle. Era il nuovo arrivato in città da qualche giorno. Diceva di fare lo scrittore. Ma Rose non gli aveva dato molta importanza, e poi suo padre le aveva detto di non dare troppa confidenza agli stranieri.
All’uomo si affiancò Lucy, che chiese: “Come mai così tanto interesse per Goldie? Ovvio, tutti ne hanno per lei.”
“Non so a cosa alludi” disse l’uomo continuando a guardare dove era appena uscita Rose.
“Ah, già, lei è quello nuovo. Quello appena arrivato in città” disse Lucy e, dopo che l’uomo ebbe l’attenzione su di lei, continuò: “Si chiama Rose ed è la figlia del signor Gold. Tutti le devono portare rispetto o il suo caro papà aumenta loro l’affitto. È una persona spregevole e senza cuore e sua figlia è uguale a lui. Continua a portarmi via la popolarità qua a scuola. Proprio non la sopporto. Dia retta a me: ci giri alla larga. Da lei e quei due suoi strambi amici. Ok che Henry è il figlio del sindaco. Ma è pazzo. E pazza è anche Paige, la loro migliore amica. È scappata dai suoi genitori adottivi per essere presa in custodia dal signor Gold. Piuttosto che andare a vivere con un uomo come lui, preferisco buttarmi nel fiume. Si fidi, è meglio che frequenti altri tipi di persone. Persone come me” e sorrise.
“Ci penserò” disse semplicemente l’uomo e uscì. Il sorriso di Lucy scomparve e la bambina lo guardò malamente. Doveva tenere quell’uomo lontano da Rose.
Rose era ormai arrivata davanti al negozio di suo padre. Quindi si fermò e voltò lo sguardo verso la strada, per vedere passare a tutta velocità quello straniero sulla moto. Proprio costui la guardò per un istante per poi riportare lo sguardo sulla strada. Rose non si fidava molto di lui. Ma ora aveva altro a cui pensare. Entrò nel negozio, per vedere suo padre dietro al bancone e al cellulare. Dal tono della voce che stava usando, sembrava molto arrabbiato.
“Il terreno è mio. Quindi decido io! Avevamo un accordo, e lei lo sa benissimo come sono i miei accordi. Quindi veda di rispettarlo. Niente accordo, niente terreno” replicava Gold. Rose gli passò accanto, salutandolo semplicemente con il capo. Il padre fece lo stesso e, mentre continuava a controbattere al cellulare, Rose si avvicinò alla cesta posta dietro all’altro bancone dove dormiva Excalibur. La volpe si svegliò non appena sentì la mano della padroncina accarezzarle la testa.
“Papà è alquanto arrabbiato, vero? Forse non è il caso di farlo arrabbiare di più, raccontandogli anche di quell’altra cosa che voglio fare. Tu che cosa mi consigli?” disse Rose. Di tutta risposta, Excalibur sbadigliò. Rose roteò gli occhi per poi dire: “Lo sai: così non mi sei affatto di grande aiuto. Sei proprio una pigrona” e ritornò di fronte al padre, quando quest’ultimo disse: “Se ciò non le va bene, allora si faccia dare il terreno da qualcun altro. E questa è la mia ultima parola” e riattaccò.
“Giornataccia?” domandò Rose.
“Da mal di testa” rispose Gold chiudendo gli occhi e massaggiandosi la fronte.
“Bene. Allora ti lascerò stare. Non sentirai neanche un rumore da me” disse Rose. Stava per andare nel retro del negozio quando il padre la fermò, dicendole: “Ma posso sempre sopportare le richieste di mia figlia” e riaprì gli occhi, guardandola.
“Cosa ti fa pensare che abbia qualche richiesta da proporti?” chiese Rose.
“Sono tuo padre: mi basta guardarti negli occhi per capire che hai qualcosa da chiedermi. Se hai bisogno di una paghetta, potresti sempre ricominciare a lavorare dopo scuola qua da me. Se hai bisogno di altro, spero non riguardi qualcosa in cui ti metterai nei guai con i tuoi amichetti” rispose Gold, mettendo il cellulare in tasca.
“Ho smesso di mettermi nei guai con i miei amici” disse Rose. Ma dopo che Gold ebbe inarcato un sopracciglio – poco convinto da ciò che aveva appena detto la figlia – aggiunse: “Hai presente Mary Margaret? Hai presente tutto quello che le sta accadendo? Be', vorrei aiutarla. Per me le persone giudicano troppo presto qualcuno senza prima prendere in considerazione eventuali difese.”
“E suppongo che queste difese dovrebbero venire da te, vero?” domandò Gold.
“Nessuno vuole aiutarla. Ti prego, papà” rispose Rose.
“No” rispose semplicemente Gold.
“Papà, ti prometto che, nell’aiutarla, non mi caccerò nei guai” disse Rose.
“E’ proprio aiutandola che ti caccerai nei guai. È una storia troppo complicata per una bambina della tua età e io non voglio che tu ne faccia parte. Tu non aiuterai quella donna. Sicuramente ci sarà già la signorina Swan al suo fianco” disse Gold, mentre si allontanava dal bancone.
“Non credi che, invece, la signorina Swan non stia già pensando al nuovo arrivato? Dopotutto, potrebbe trattarsi di un pericoloso serial killer” disse Rose dopo che il padre si fermò di fronte a lei.
“Devi smetterla di guardare certi film. Te l’ho detto già parecchie volte e poi ti vengono anche gli incubi. Da oggi stesso, appena ritorneremo a casa, metterò il blocco ad alcuni canali” disse Gold.
“Ok, probabile che non sia un serial killer, anche perché se no Henry non ci parlerebbe – anche se lui parlerebbe persino con il più cattivo dei cattivi. Però, ti prego, fammi almeno dare una piccola, piccolissima mano a Mary Margaret e ti prometto che, dopo scuola, verrò qua e ti pulirò il negozio” disse Rose.
“Stai cercando di fare un patto con me?” chiese Gold.
“Più o meno sì” rispose Rose.
“Mi garba l’idea della tua spontanea offerta di venire qua tutti i giorni dopo scuola e aiutarmi. Ma le pene d’amore che affliggono la signorina Blanchard non riguardano te. Lei stessa deve decidere come reagire e preferirei che tu non ne facessi parte. Non è un argomento da bambina della tua età e preferisco che dedichi il tuo tempo allo studio. La scuola sta per finire e lo sai che voglio una pagella perfetta da te” spiegò Gold mentre camminava verso l’altro bancone.
“Lo so, papà, ma non mi sembra che, ultimamente, ti abbia portato a casa voti brutti” disse Rose, seguendolo con lo sguardo.
“E di cosa mi dici di quel quattro che hai preso il mese scorso in matematica? Seguito da quel quattro in latino” disse Gold aprendo la credenza.
“Guardala dal lato positivo: somma i due e otterrai un bell’otto” disse Rose. Gold la guardò poco convinto e, mentre camminava verso il bancone, tenendo in mano un cofanetto, la bambina aggiunse: “E va bene, ti confesso che matematica e latino non mi piacciono. Ma a chi piace matematica? E poi latino è noioso e, secondo me, non fa bene insegnarlo a dei bambini delle elementari. È roba più da grandi.”
“Dici sempre di essere ormai grande. Quindi latino fa per te” disse Gold, mettendo il cofanetto sul bancone. Rose roteò gli occhi. Poi si avvicinò al bancone dopo che il padre la chiamò e le domandò: “Ti ricordi di questo?” Rose guardò attentamente il cofanetto e, notando il cigno dorato posto in alto, rispose: “Certo. È quel cofanetto del quale volevo scoprire cosa contenesse. Ma prima dovevo cercare la chiave.”
Sorridendo, Gold estrasse una chiave dorata dalla tasca della giacca. Rose sgranò gli occhi e esclamò: “Ehi, non è giusto! L’hai sempre avuta tu per tutto questo tempo! Avresti potuto aiutarmi!”
“E allora che divertimento ci sarebbe stato? E poi, se ben ricordi, avevamo stretto un accordo. E di certo non aiuto chi fa un accordo con me. Se no, mi dici cosa ci guadagno?” disse Gold e, mentre inseriva la chiave nella serratura del cofanetto, Rose disse: “Nei confronti degli altri. Ma almeno ne miei confronti avresti potuto comportarti diversamente.”
“Un accordo è un accordo, mia cara. E nemmeno con te faccio differenze” disse Gold e, dopo che il cofanetto si aprì, ne estrasse qualcosa. Rose cercò di vedere cosa fosse. Poi il padre le disse: “Voltati.” La figlia si voltò. Gold le spostò una ciocca di capelli per poi metterle qualcosa al collo. Rose abbassò lo sguardo per vedere un medaglione con un arcolaio e una rosa. Entrambi erano dorati. Rose si voltò e Gold spiegò: “Lo avevi quando Graham ti trovò nella foresta. Fu un mio regalo per tua madre, dicendole che questo oggetto l’avrebbe protetta sia esternamente che internamente. Tua madre deve avertelo donato prima che… che…” e abbassò lo sguardo, non riuscendo a finire la frase. Rose lo sentì come singhiozzare: che suo padre stesse piangendo? Lui era un uomo forte. Almeno esternamente. Ma internamente era pur sempre un essere umano e un uomo che aveva perso la donna che amava. Si avvicinò e lo abbracciò. Poi gli disse: “E’ un bellissimo regalo e ti prometto che lo porterò dovunque io vada. Così è come se avessi sempre la mamma con me. Non ti preoccupare, papà: io ci sarò sempre per te.” A Gold scesero alcune lacrime e avvolse le sue braccia intorno alla figlia, stringendola forte a sé. Excalibur, uscita dalla sua cesta, li guardò standosene accanto a loro. Per poi sedersi e spostare di lato lo sguardo.
Quel dolce momento venne però interrotto da un suono a intermittenza ma insistente. Padre e figlia si staccarono dall’abbraccio e Rose, accorgendosi che il suono proveniva dalla sua cartella, da essa ne estrasse la ricetrasmittente. L’accese sulla frequenza giusta e dall’altra parte provenne la voce di Paige: “Qui parla Alice. Mi ricevi, Nala?” chiese.
“Qui Nala. Dimmi pure” rispose Rose. Gold inarcò un sopracciglio. Rose lo guardò e, sottovoce gli disse: “E’ una lunga storia. Poi ti spiego” e concentrò l’attenzione sulla ricetrasmittente.
“Abbiamo un problema alla spiaggia e con Simba. Riesci a venire immediatamente qua?” domandò Paige. Rose riguardò Gold, il quale annuì semplicemente. Quindi rispose: “Arrivo subito” e chiuse la chiamata. Mentre Rose rimetteva via la ricetrasmittente nella cartella, disse: “Scusami, papà, ma i miei amici hanno bisogno di me. Vorrei rimanere, ma…” Gold la interruppe: “Non ti preoccupare per me. Tu va’ pure da loro.” Rose lo guardò. Dalla sua voce aveva capito che il padre si trovava in un momento in cui avrebbe voluto stare da solo, ma non voleva che la figlia se ne andasse. Quindi propose: “Potresti sempre venire con me. Così mi tieni anche d’occhio” e Gold fece un piccolo sorriso.
Poco dopo, arrivarono alla spiaggia. Rose fu la prima a uscire dalla macchina e, correndo, si affiancò a Paige e Henry. Sul posto c'erano anche Emma, Regina e una squadra di uomini con ruspe e badili.
“Che diavolo sta succedendo?” chiese stupita Rose.
“Meno male che sei arrivata” disse Paige guardandola. Ma spostò lo sguardo quando vide sopraggiungere anche Gold e Excalibur. Quindi aggiunse, riguardando l’amica: “Come mai ci sono anche tuo padre ed Excalibur?”
“Storia lunga. Ma mi volete spiegare che sta accadendo?” disse Rose.
“Mia madre sta facendo abbattere il castello” disse Henry e, mentre si avvicinava a una buca, Rose disse: “La nostra base segreta. E ora dove andremo?” Poi guardò furente Regina e aggiunse: “Quella donna la pagherà” e, per un attimo, il suo medaglione si illuminò. Paige batté un paio di volte gli occhi, incredula per ciò che aveva appena visto. Poi però scosse negativamente la testa e riguardò avanti non appena Henry disse: “Il mio libro. È scomparso.” Le amiche si avvicinarono a lui, così come Emma. Ma poi la ragazza andò da Regina, replicando: “Congratulazioni, signor sindaco: ha distrutto le cose che Henry ama di più.”
“E’ un luogo pericoloso dove chiunque poteva farsi male” disse Regina.
“Era la nostra base segreta. Il nostro posto dove giocare e lei non aveva alcun diritto di distruggercelo” replicò Rose, avvicinandosi a Emma, mentre i suoi amici rimasero un po’ più indietro. Regina la guardò, dicendole: “Forse non lo sai, ma tuo padre era d’accordo con me.” Tutti guardarono Gold, che rimase impassibile nella posizione in cui era, con Excalibur accanto a lui. Guardò la figlia senza proferire parola. Rose riguardò Regina che, facendo un sorriso malizioso, disse: “Vedo che tuo padre continua a tenerti nascoste le cose. Be', non che la cosa mi interessi visto che, al momento, ho altro a cui pensare. Ma signorina Gold, come le ho detto anche tempo fa, le consiglio di non immischiarsi troppo in faccende che non la riguardano” e se ne andò.
“Il mio libro. E ora dove sarà finito?” disse Henry.
“Smettila di preoccuparti del libro. Lo ritroveremo, promesso. Ora ho altri problemi a cui pensare” disse Rose e guardò suo padre.
“Non trarre subito delle conclusioni affrettate” disse Paige.
“Paige, è sotto gli occhi di tutti. Mio padre è in combutta con Regina. Quando sono ritornata al negozio, era al telefono e ci scommetto che stava parlando con lei. Discutevano di un terreno da cedere e penso proprio si riferisse alla spiaggia” spiegò Rose.
“Tuo padre è il proprietario di tutta la città: magari si riferiva a un altro terreno” disse Paige.
“Che sia la spiaggia o no, non fa differenza: mio padre continua a nascondermi le cose. E questo significa che non si fida ancora di me” disse Rose.
Fu sera e, a Villa Gold, quest’ultimo stava cenando con la figlia, Paige ee Excalibur – anche se la volpe mangiava nella sua ciotola standosene in un angolino. Nessuno aveva proferito parola da quando erano ritornati a casa. Finché Rose non disse, guardando il padre: “Credevo avessi più fiducia in me. Invece continui a nascondermi le cose. Ora capisco perché tu non abbia fatto obiezione quando dovevo andare alla spiaggia: già sapevi cosa stava accadendo. Come hai potuto far distruggere il nostro castello? Hai sempre detto di non fidarti di Regina e tu sei persino in combutta con lei. Perché non me ne hai parlato?”
“Perché non ti riguarda. E ora finisci la cena” disse Gold, bevendo un po’ di vino.
“Non mi riguarda?! Mi riguarda eccome! Hai permesso a quella strega di distruggere l’unico posto dove io e miei amici potevano incontrarci senza che venissimo disturbati ogni minuto” replicò Rose.
“Era instabile ed io l’ho sempre ritenuto pericoloso. Lo sai che non approvavo che tu andassi lì” disse Gold.
“Eppure mi lasciavi andare senza battere ciglio” disse Rose.
“Se lo facevo era solamente perché faceva parte della nostra Operazione, della quale ultimamente non ho più ricevuto notizia” disse Gold.
“Sta procedendo bene. Ma non cambiare discorso. Ora Henry è disperato. Lo sono anche io e tu non dovevi” disse Rose.
“E’ stata una faccenda che avrei dovuto prendere in considerazione diverso tempo fa. Ma poi, non avendo avuto il tempo necessario, ho messo da parte. Ma grazie al sindaco si è ripresentata l’occasione. Una firma e tutto si sistemerà” spiegò Gold.
“Certo, così tutti gli abitanti loderanno Regina ma, al contempo, il cuore di Henry sarà spezzato. E tutto perché sua madre rivuole la città ai suoi piedi” disse Rose.
“Finisci la tua cena, ché si sta raffreddando” disse semplicemente Gold.
“Perché non vuoi ammettere che ho ragione? È per questo che Regina lo ha fatto? Per i soldi e per riavere gli abitanti dalla sua parte? O c’è altro sotto?” domandò Rose. Gold sospirò. Poi rispose: “Il castello è l’ultimo dei miei problemi. Al momento c’è qualcos’altro di più importante e riguarda la signorina Grace” ed entrambi guardarono Paige, che stupita disse: “Io?! Cosa c’entro io, ora?”
“Da domani mattina e per tutti i giorni seguenti, vorrei portarla da un mio conoscente. È un tipo molto solitario, ma è una brava persona. E sono sicuro che sarà molto felice di vederla e trascorrere un po’ di tempo con lei” disse Gold.
“No, no, un momento! Tutto questo cosa sta a significare?!” chiese stupita Rose.
“Ho alcuni accordi ancora in sospeso che vorrei portare a termine. E quello che riguarda la signorina Grace è uno di questi” rispose Gold.
“Riguarda quel contratto che facesti con i suoi genitori adottivi, vero?” domandò Rose e Gold annuì.
“Che cosa significa? Quale contratto?” chiese Paige volendoci capire di più.
“E’ un contratto che mio padre ha fatto firmare ai tuoi genitori adottivi. Lui sarebbe diventato e rimasto il tuo guardiano fino all’arrivo del padre biologico” spiegò Rose guardandola.
“Cioè mio padre sarebbe vivo e vivrebbe qua in città?” domandò stupita Paige.
“Ma certo che è vivo. Credevi fosse morto?” disse Gold.
“Be'… sì… considerando quello che mi avevano detto i miei genitori adottivi” rispose Paige.
“Ora non ti dovrai più preoccupare di loro e nemmeno pensarci. Da domani le cose cambieranno” disse Gold.
“Credevo fossero già cambiate da quando mi avete presa qua con voi. Io mi trovo bene. Siete la mia famiglia” disse Paige. Rose sorrise. Ma il suo sorriso scomparve quando Gold disse: “Sono molto felice di sentire ciò. Ma credo che la tua permanenza qua da noi stia per finire. Dopotutto, io non vengo mai a meno in un mio accordo.”
Rose lo guardò malamente e, alzandosi, replicò: “A te non importa nulla di Paige o di come si sentirà andandosene con uno sconosciuto! A te non importa nemmeno di me. Ma solo di te stesso!” e, con le lacrime agli occhi, corse al piano superiore, dove sentirono sbattere una porta. Excalibur abbassò tristemente le orecchie e tra Gold e Paige calò il silenzio. Era evidente che, ormai, la cena era rovinata.
Poco dopo, Rose sentì bussare alla porta. La bambina non disse nemmeno un “avanti”. Non voleva parlare con nessuno. Preferiva rimanersene da sola e sola con i suoi pensieri. Pensava di aver instaurato una pace duratura con suo padre. Invece c’erano ancora molte cose che lui le teneva nascosto. Perché lo faceva? Di sicuro le avrebbe detto che era per proteggerla. Ma lei credeva che fosse per altro e, molto probabilmente, era così.
Gold entrò nella camera della figlia. Quest’ultima alzò di poco la testa dal cuscino, guardandolo. L’uomo si fermò di fronte a lei. Poi Rose gli chiese: “Per quanto ancora pensavi di tenermi nascosto il fatto che Paige se ne sarebbe dovuta andare via?”
Gold sospirò. Poi rispose: “Ti vedevo felice. Non volevo renderti triste.” Rose si sedette – con la schiena contro lo schienale del letto – e guardandolo domandò: “E dicendomelo dopo, non credi di avermi fatto diventare lo stesso triste?”
“Rose, non ho altra scelta: Paige non è la mia vera figlia e io, in quanto suo guardiano, devo rispettare l’accordo stipulato” disse Gold.
“Hai stipulato quell’accordo solo con i suoi genitori adottivi. Potresti cambiare qualcosa” disse Rose.
“Non è così semplice. E poi quell’accordo…” iniziò col dire Gold. Ma si fermò.
“Papà, quell’accordo riguarda altro, vero?” chiese Rose. Il padre non rispose. La figlia aggiunse: “Cos’altro mi stai ancora nascondendo? Ci avevamo dato reciproca fiducia. Perché ti comporti così?”
“Ciò che riguarda il mio lavoro non ti interessa. E poi ho tutto sotto controllo: la signorina Grace starà bene” disse Gold.
“Paige sta già bene. Lo ha detto anche lei prima. Ma perché vuoi cacciarla? Credevo le volessi bene” disse Rose.
“Le voglio bene! E’ solo che glielo avevo promesso” replicò Gold.
“Promesso che cosa? E a chi?” domandò Rose. Gold voltò lo sguardo lateralmente. Diglielo o non diglielo. Riguardò la figlia, rispondendole: “Starà bene. Devi solo avere fiducia in me. Non chiedo altro. La signorina Grace ha già sofferto troppo in passato. Non soffrirà ancora. E poi, anche se non vivrà più qua con noi, potrai continuarla a vedere quando vorrai.” Rose abbassò lo sguardo e Gold, avvicinandosi a lei, la baciò sulla testa per poi dirle: “Ora cerca di riposare, mio piccolo fiore. Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi. Buonanotte, Rose” e uscì, lasciando un po’ aperta la porta. Rose sospirò. Alzò lo sguardo verso la porta quando sulla soglia comparve Paigem che le chiese: “Posso entrare?” La giovane Gold annuì.
Paige si andò a sedere sul letto, opposta all’amica. Poi le domandò: “Allora, come ti senti?”
“Dovrei fare io questa domanda a te” disse Rose.
“Ho un po’ di paura, ma confido nel Signor Gold. Da quando è diventato il mio guardiano mi ha sempre trattata bene. Non penso mi mandi da un uomo cattivo. I miei genitori adottivi erano cattivi” spiegò Paige. Ci fu silenzio. Poi Rose disse: “La casa sarà vuota senza di te.”
“Lo sai anche tu che non è vero. Avrai pur sempre tuo padre, Dove e Excalibur. Questa casa non sarà mai vuota” disse Paige.
“Mi mancherai molto” disse Rose. Paige sorrise e, dopo aver stretto le mani di Rose nelle sue, disse: “Anche tu. Ma potremmo vederci quando lo vorremo. E io verrò sempre a trovarvi. Dopotutto, siete stati la mia famiglia. Mi avete amata come se fossi stata parte di voi. Nessuno si era mai comportato così con me.”
“Promettimi che non ti dimenticherai di noi” disse Rose.
“Non vivremo più sotto lo stesso tetto, ma come potrei mai dimenticare la mia migliore amica e l’uomo che mi salvata? Tu, però, promettimi che quando tu, io e Henry staremo insieme, non ci farai cacciare ancora nei guai.”
“Questo sarà difficile da promettere. Ricordati che stai pur sempre parlando a una Gold: gli accordi vanno solo con mio padre. Mentre i guai con me” disse Rose.
“L’importante è che rimarremo amiche per sempre” disse Paige.
“Sì. Per sempre” disse Rose e le due sorrisero. Da fuori la camera, Gold sbirciò le due bambine. Poi si mise con la schiena contro il muro e sorrise. Era contento che la sua adorata figlia avesse trovato una valida amica in Paige e sperava che la sua idea di portarla da quel suo conoscente finisse bene per entrambi. Dopotutto, aveva un accordo da rispettare. Un accordo che si protraeva da molto tempo. Da ancora prima della maledizione.



Note dell'autrice: Buona sera miei cari Oncers. Sempre meno al ritorno al ritorno della nostra amata serie. Eccomi qua con la prima parte del nuovo capitolo. Le cose si stanno facendo interessanti. Qua cercherò di includere ben tre episodi in uno (spero ahahah). Come avrete letto si è parlato di fiducia: gold ancora nn si fida della figlia. Vorrebbe raccontarle un sacco di cose ma secondo lui la vuole proteggere. Proteggere , probabile, dalla verità? Verità di cosa? Lo scopriremo ....forse sì o forse no. E Paige si troverà bene con questo conoscente di Gold? Vedremo. Nella prossima parte di capitolo si scoprirà anche questo accordo che Gold fece ancora prima della maledizione (ma con già Rose nata)
Passiamo ai ringraziamenti. Ringrazio tutti coloro che recensiscono e che continuano a seguire la storia (sperando di non annoiarvi). Grazie anche a coloro che la stanno seguendo in silenzio e che l'hanno messa tra le preferite o seguite. Grazie immensamente alla mia amica Lucia. Con ciò vi aspetto alla prossima parte di capitolo. Buona serata, dearies

 
 

 

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Capitolo 34
*** Affari di famiglia - Parte II ***





The Rose of true Love


 
 
  Capitolo XVII: Affari di famiglia -  Seconda Parte


Foresta Incantata del passato
 
Jefferson se ne stava nella sua casetta nella foresta. Teneva in mano quel cappello magico che, per tutto quel tempo, lo aveva trasportato in altri mondi. Alzò lo sguardo osservando la figlia Grace giocare fuori. Era la sola famiglia che gli era rimasta, dopo che la madre era tragicamente scomparsa tempo prima.
“Simpatica bambina, non trovi?” disse a un certo punto una voce. Jefferson si voltò e, in una nube viola, comparve Tremotino.
“Ormai dovresti conoscerla abbastanza bene per risponderti anche da solo” disse Jefferson.
“Mi sono sempre piaciute le tue risposte. Competono con le mie” disse Tremotino, facendo una risatina.
“Perché sei qua? Quale altro oggetto vuoi, in quale altro mondo ti devo portare questa volta?” chiese Jefferson, mentre Tremotino camminava per la stanza.
“Sarai sorpreso di sentire che questa volta non mi occorre nessun oggetto” rispose Tremotino, fermandosi accanto al caminetto e prendendo in mano un piccolo drago in terracotta, preso in “prestito” da Jefferson – su commissione di Tremotino – nelle antiche terre cinesi. Il Signore Oscuro, infatti, permetteva al suo fidato aiutante di poter tenere alcuni oggetti considerati da lui non esigenti per ciò che stava architettando. Una piccola ricompensa per il lavoro ben svolto, così almeno gli aveva detto.
“Allora, cosa ti serve? Come vedi sono occupato” domandò Jefferson.
“Tranquillo, sarà una cosa veloce e poi ti lascerò continuare a guardare la tua preziosa figlia. Il motivo per cui sono qui è un patto che ti voglio proporre” rispose Tremotino dopo aver rimesso l’oggetto sulla mensola del caminetto.
“Conosco i tuoi patti e, facendone uno, finisce sempre a tuo favore” disse Jefferson.
“Ma questa volta è un patto totalmente diverso. Chiedo solo una protezione per un’altra protezione” disse Tremotino.
“Che tipo di protezione?” chiese Jefferson. Tremotino sorrise. Ora aveva la sua completa attenzione. Quindi spiegò: “Come ben sai sono diventato da poco padre e la mia piccola Rose mi riempie d’affetto ogni giorno che passa. Ma sei anche al corrente di ciò che ho in mente e, tra molte decisioni, ho scelto chi scaglierà la maledizione.”
“Fammici pensare: avrai sicuramente scelto una persona che ha il cuore a pezzi a causa di un’altra persona che le ha portato via il suo lieto fine. Si tratta della nostra cara Regina?” domandò Jefferson.
“Sono contento che il mio fidato collaboratore abbia un cervello che funziona. Sai, avevo qualche dubbio dopo ciò che ti è successo. È facile perdere la testa per qualunque cosa” disse Tremotino, facendo un piccolo sorriso.
“Ti prego di non ritornare su quella storia. Ne ho avuto abbastanza di quel posto” disse Jefferson.
“Comunque, sono sicuro che accetterai il mio accordo” disse Tremotino, camminando per la stanza, fino a fermarsi davanti alla finestra.
“E cosa ti fa credere che io accetti così tanto facilmente?” chiese Jefferson guardandolo.
“Perché, nel mondo dove andremo, tutti noi perderemo la memoria. Be', proprio tutti no, visto che la nostra cara Regina ne rimarrà illesa. Avremo ricordi e personalità diverse” spiegò Tremotino, mentre osservava Grace giocare fuori.
“Questo non è giusto!” replicò Jefferson.
“Mio caro, nulla è giusto al mondo” disse Tremotino. Ci fu silenzio. Poi il Signore Oscuro propose: “Ma, forse, posso aiutarti.”
“Non voglio il tuo aiuto!” replicò Jefferson.
“Fai come ti pare ma, così facendo non ti ricorderai più della tua amata figlia” disse Tremotino e, guardandolo, sorrise.
“Non voglio dimenticarmi di Grace. È tutto ciò che mi è rimasto al mondo” disse Jefferson.
“Allora lascia che ti aiuti. Dopotutto mi trovo nella tua stessa situazione. Non proprio uguale, ma ci andiamo vicino” disse Tremotino.
“E chi mi dice che non mi stai ingannando? Conoscendoti, avrai già inventato qualcosa per far mantenere i ricordi a Belle e a tua figlia” disse Jefferson.
“Dammi un solo motivo del perché dovrei ingannarti” disse Tremotino.
“Sei un piccolo folletto impertinente” disse Jefferson. Tremotino fece una risatina per poi dire: “Sì, lo ammetto, ma il tuo è il complimento migliore che ho ricevuto. Quindi ti aiuterò” e fece comparire nella mano sinistra una boccetta con dentro del liquido viola. Jefferson allungò una mano. Ma Tremotino ritrasse la boccetta. Per poi dire: “Non così in fretta, mio caro cappellaio. Prima abbiamo ancora un accordo da stipulare” e nella mano destra fece comparire una pergamena e una piuma. Jefferson lo guardò perplesso. Ma poi domandò: “Qual è il prezzo?”
“Protezione. Proteggi Belle e Rose prima della maledizione” rispose Tremotino.
“Come mai prima? Credevo durante” chiese Jefferson.
“Sono affari miei! Proteggi le due persone che ho di più caro e io, in cambio, quando saremo nel mondo senza magia, ti prometto che mi prenderò cura di tua figlia” rispose Tremotino. Jefferson lo stette a guardare. Poi Tremotino aggiunse: “Allora, ho la tua parola? Io manterrò la mia. Non vengo mai a meno nei miei accordi.” Jefferson prese la piuma e firmò in fondo al contratto. Tremotino sorrise soddisfatto e fece scomparire piuma e contratto. Poi disse: “Bevi questa pozione e manterrai i tuoi ricordi” e gli consegnò la boccetta.
“E come farò con Grace?” domandò Jefferson.
“Non credo che questo sia un problema mio” rispose Tremotino e, ridendo, scomparve.
“Lo odio ancora di più quando si comporta così” disse Jefferson. Poi guardò fuori dalla finestra. Sua figlia era così felice. Guardò la boccetta in mano. Come avrebbe fatto a far mantenere i ricordi a Grace?
Dopo cena, Jefferson era davanti al caminetto. Guardava la boccetta. Per tutto il resto della giornata non aveva fatto altro che pensare a un modo per proteggere la sua bambina dal perdere i suoi preziosi ricordi. Tremotino gli aveva semplicemente detto che, per far sì che la pozione funzionasse, doveva berla. Forse…
L’uomo si avvicinò al lettino dove la figlia si era addormentata da un po’. Era così beata. Le accarezzò la fronte. Il suo sguardo si posò sul ciondolo e il dente di lupo che portava al collo. La bambina gli aveva raccontato che era stato un regalo del Signore Oscuro. Probabile che quel ciondolo già contenesse magia. Ma era sufficiente a resistere alla maledizione? Aprì la boccetta e versò poche gocce sul ciondolo. Questi si illuminò, ma durò poco. Che avesse funzionato? Solo il tempo glielo avrebbe detto.

 
Storybrooke del presente
 
Gold e Paige arrivarono, con la Cadillac, davanti a un’enorme villa quasi vicino alla foresta. Rose era voluta rimanere a casa con Dove ed Excalibur, non sentendosi di voler dire addio all’amica – anche se il padre le aveva già detto che non si sarebbe trattato di un vero addio e che, in serata, l’amica sarebbe ritornata a casa.
Entrambi scesero dalla macchina e, mentre camminavano per il vialetto di casa, Gold disse: “So che c’è qualcosa che vorresti dirmi. Sei taciturna da stamattina. Di cosa si tratta?”
“Perché vuole disfarsi di me?” chiese Paige.
“Cosa ti fa credere che voglia disfarmi di te?” domandò Gold.
“Be', mi sta portando da un uomo che nemmeno conosco” rispose Paige. Gold si fermò, così come la bambina e, dopo averle messo una mano sulla guancia, le spiegò: “Ascoltami, Paige: io ti ho sempre considerato come una figlia. Ti voglio bene e non mi permetterei mai di mandarti da un uomo cattivo. Voglio solo che trascorri del tempo con lui e, quando sarai pronta, potrete vivere insieme” Paige sorrise e fece una cosa inaspettata: lo abbracciò. Gold rimase spiazzato. Poi si schiarì la voce e, scostando la bambina da sé, disse: “Faremo meglio ad andare. Siamo già in ritardo” e riprese a camminare, affiancato da Paige, la quale chiese: “Ma prima, in macchina, non aveva detto che eravamo in anticipo?”
“Mi sono sbagliato” rispose velocemente Gold, volendo tagliare corto quel discorso.
“Lei dice sempre che non si sbaglia mai” disse Paige.
“Mi sono sbagliato nell’essermi sbagliato. Chiaro?!” replicò Gold. Paige lo guardò stranamente non avendoci capito gran che in quel giro di parole. Arrivarono davanti alla porta e Gold suonò. Dopo pochi secondi un uomo aprì loro la porta.
“Come promesso, ti ho portato la tua ospite. Vedi di trattarla bene e non andare fuori di testa” disse Gold. Paige lo guardò poco convinta. Ma guardò l’altro uomo, quando quest’ultimo disse: “Lo sai che con me sarà in buone mani. Dopotutto, non sono molte le persone delle quali ti fidi e, se non ti fidassi di me, non me l’avresti portata.”
“Già. Comunque cerca solo di rispettare il nostro accordo. Sai che succederà se non lo farai” disse Gold.
“No. Non lo so. Vorresti illuminarmi?” domandò l’altro uomo.
“C’è una bambina qua con noi: meglio che non entri troppo nei particolari” rispose Gold, sorridendo a Paige.
“Te la ridarò intera. Promesso” disse l’uomo.
“Molto bene” disse Gold. Poi guardò Paige e aggiunse: “Siamo d’accordo che, per qualunque problema, mi chiami. Ci vediamo stasera” e, voltandosi, ritornò alla Cadillac, per poi avviarla e partire. Paige lo guardò andarsene. Voltò lo sguardo verso l’altro uomo, quando quest’ultimo le chiese: “Allora, cosa ti piacerebbe fare?”
Nel frattempo Rose, stufa di starsene in casa a non fare nulla, si era fatta portare da Dove da Granny’s. Appena entrò nel locale – Dove la stava aspettando in macchina – i presenti la guardarono. Tra questi riconobbe Leroy al bancone e sembrava che l’uomo fosse al terzo o quarto bicchiere – considerando i bicchieri accanto a lui tutti vuoti – e Henry seduto al tavolo con… il nuovo arrivato ed Emma. I tre stavano, ovviamente, parlando animatamente. Li tenne d’occhio mentre si avvicinava al bancone per poi sedersi accanto a Leroy, che buttò giù un altro sorso. Per poi replicare, rivolto a Granny, che stava dietro al bancone: “Ehi sorella, portamene un altro!” e batté con forza il bicchiere sulla superficie del bancone.
“Non ti sembra di averne avuto abbastanza per oggi? È già il quarto che butti giù” domandò Granny, andandogli di fronte.
“Finché pago tu mi servi, chiaro, sorella?!” replicò Leroy. Granny lo guardò senza rispondere e prendendo semplicemente il bicchiere. Poi guardò Rose e chiese: “Signorina Gold, suo padre l’ha mandata in perlustrazione?”
“Mio padre è in giro con Paige. Mentre io sono qua da sola, anche se la mia guardia del corpo è fuori in macchina. Gradirei qualcosa da bere, posso?” rispose Rose.
“Finché non è qua per conto di suo padre, allora può prendere tutto quello che vuole” rispose Granny.
“Grazie. Allora vorrei un tè alle fragole, se non le dispiace” disse Rose.
“Tè alle fragole per lei e un altro brandy per lui” disse Granny guardando malamente Leroy, per poi andare a preparare le bevande richieste. Ci fu silenzio. Poi Leroy replicò: “Tè alle fragole. Che schifezza!”
“Scusami tanto, ma a me piace e poi il mio papà me lo prepara sempre fin da quando ero molto piccola. Ognuno ha i suoi gusti. Come tu hai i tuoi” disse Rose guardandolo.
“Sai una cosa? Non me ne frega nulla se il tuo caro paparino ti preparava il tè alle fragole anche quando eri molto piccola. In teoria non me ne frega nulla di quello che dice o pensa tuo padre. Più mi sta alla larga e meglio è” replicò Leroy e, dopo che Granny gli ebbe portato un altro bicchiere colmo di brandy, lo prese in mano. Si sentì tintinnare la campanella. Tutti voltarono lo sguardo per vedere Mary Margaret. Quindi aggiunse: “E non me ne frega nulla nemmeno di lei” e bevve un sorso.
“Ci mancava solo lei” replicò Granny mettendo il tè alle fragole davanti a Rose. Quest’ultima, continuando a guardare Mary Margaret, disse: “Secondo me non ha fatto nulla di male.”
“Vallo a dire alla moglie del Signor Nolan” sbuffò Granny e, prendendo uno strofinaccio, andò a pulire alcuni bicchieri. A Rose non importava molto l’opinione di Granny. In realtà non le importavano nemmeno le opinioni degli altri. Lei credeva solo nella sua e sarebbe andata fino in fondo per aiutare la sua maestra.
Mary Margaret si schiarì la voce un paio di volte, cercando di avere l’attenzione dei presenti anche se alcuni, dopo averla osservata per poco, ritornarono alle loro ordinazioni. La ragazza, allora, si fece coraggio e spiegò, mentre guardava la cartellina che teneva in mano: “Mi scuso per l’interruzione, ma sono qui per ricordare a tutti voi che ci sarà un evento molto speciale. Si tratta della Festa del Minatore e, come ogni anno, le suore di Storybrooke vi chiedono un contributo per la vendita delle loro splendide candele artigianali. Abbiamo bisogno di volontari con braccia forti. Allora, chi vuole partecipare?” Calò il silenzio. Nessuno si mosse. Poi ripresero a mangiare, a bere. Gli unici che continuarono a guardarla furono Rose, Emma, Henry e il nuovo arrivato. Poi Leroy si alzò e si fermò di fronte a Mary Margaret. Quest’ultima gli domandò: “Ti offri come volontario?”
“Voglio andare via, sorella, ma sei davanti alla porta” replicò Leroy. Rose li guardava, sorseggiando di tanto in tanto il tè alle fragole.
“Hai ragione” disse Mary Margaret e si fece da parte. Ma poi aggiunse: “Se volessi dare una mano, sarebbe un ottimo…” Ma Leroy la bloccò, replicando: “Certo, come no. Saremo una coppia formidabile. La sgualdrina e l’ubriacone di questa città. L’unica persona che Storybrooke detesta più di me sei tu.”
Rose non ne poteva più di sentire che tutti davano contro alla sua maestra. Quindi si alzò in piedi e replicò: “Smettila di aggredirla! C’è gente che ha fatto cose ben più peggiori delle sue. Eppure nessuno dice nulla! Continuate ad affidarvi a delle dicerie, invece dovreste solo fidarvi di voi stessi!” Tutti la osservarono. Poi Leroy la guardò e replicò: “Tu sta' zitta, piccola Gold! Devi ritenerti fortunata che nessuno se la sia ancora presa con te, grazie alla protezione di tuo padre. Vedi di non prendere troppo le difese di questa sorella o se no finirà molto male per te” e, riguardando Mary Margaret aggiunse: “E le cose peggioreranno anche per te, se mi starai accanto” e uscì. Mary Margaret guardò Rose che scosse negativamente la testa. Poi la ragazza si voltò, e anche lei uscì. Gli altri non la degnarono nemmeno di uno sguardo. Tranne Emma che, fermandosi accanto a Rose, disse: “Sei stata molto coraggiosa e sei una delle poche che ha preso le sue difese. Ma ti consiglierei di non dire nulla a tuo padre di ciò che hai appena fatto. Non so lui da che parte stia.”
“Io… io… non so cosa mi sia preso. Non mi ero mai comportata prima così” disse Rose.
“Capitano gli sbalzi di umore, soprattutto con un padre che ti ha riempito di regole. Ma non ti preoccupare: ci vado io a parlare con lei” disse Emma e uscì. Rose stette a osservare la porta. Non si accorse nemmeno di Henry che, dopo essersi alzato, le si era fermato dietro per poi dirle: “Ehi, ciao, Rose.” La bambina si voltò e lo salutò: “Ciao, Henry.” Passò un po’ di silenzio. Ma poi Henry, titubante, chiese: “Senti… volevo sapere come stava andando con Paige? Ho sentito che tuo padre l’ha portata da uno che vive quasi al confine con la foresta.”
“E tu come faresti a sapere questo?” domandò Rose.
“Be', Storybrooke è una piccola cittadina e le notizie girano molto velocemente” rispose Henry. Rose non disse nulla. Fu Henry a continuare: “So che negli ultimi giorni vi ho evitate. Scusatemi, ma è che non volevo tirarvi in ballo nei miei pasticci.”
“Siamo le tue migliori amiche. Lo sai che puoi confidarti con noi. Invece ci hai ignorate” disse Rose.
“Ti ho appena detto che mi dispiace. Ma non vorrei che iniziassimo a litigare su questo. Credo che ci sia altro a cui pensare” disse Henry.
“Mio padre non vuole che mi impicci delle faccende amorose della Signorina Blanchard. Secondo lui, se mi dovessi intromettere, farei molto fatica a uscirne” spiegò Rose.
“Forse potrei darti una mano. Almeno così non penso al mio libro” propose Henry.
“Non lo hai ancora trovato?” chiese Rose. Henry scosse negativamente la testa. Per poi rispondere: “Ma so – e spero – che prima o poi salti fuori. Devo solo avere pazienza. Non posso trascurare le mie migliori amiche per un libro.”
“Henry, non è un semplice libro. È il tuo libro. Ti ha aiutato come ha aiutato anche me. Mi ha fatto scoprire, anche solo in parte, un passato che mio padre non ha voluto raccontarmi. Magari verrà fuori anche da solo o forse no. E se così non fosse, io e Paige ti aiuteremo a ritrovarlo. Dopotutto gli amici servono anche a questo, no?” spiegò Rose. Henry sorrise e l’abbracciò. Poi disse: “Sono contento di avere un’amica come te. E ovviamente anche come Paige”
“Scommetto che non hai detto così quando eri arrabbiato con me” disse Rose, dopo l’abbraccio.
“Be', quando uno è arrabbiato pensa a tante cose brutte. Ma ora è storia passata e dobbiamo dedicarci all’Operazione Cobra” disse Henry.
“Ehm… vuoi veramente includere l’aiutare Mary Margaret nell’Operazione Cobra? Pensavo che si riferisse solamente nel far credere a Emma che sia la salvatrice” domandò Rose.
“Uhm… forse hai ragione: meglio non mettere troppe cose nell’Operazione Cobra. Ma ora è meglio che vada: mia madre mi voleva a casa circa dieci minuti fa. A più tardi” rispose Henry e, prima che Rose potesse aggiungere altro, uscì di corsa.
“Mi sa che qua dovrò cavarmela da sola” disse Rose.
“Be', più si è meglio è” disse una voce. Rose si voltò per vedere che era stato il nuovo arrivato ad aver parlato.
“Preferisco meglio soli che mal accompagnati” disse Rose. Il nuovo arrivato sorrise per poi dire: “Sei uguale a tuo padre: hai la sua stessa disapprovazione nei confronti degli altri, ma non in te stessa” Rose si sedette di fronte a lui, per poi digli: “Strano, perché negli ultimi mesi ho avuto molta disapprovazione in me stessa.”
“Sembra che tu non abbia fiducia in te stessa” disse il nuovo arrivato.
“Sì. Sembra proprio così. È che tanta gente mi dice cosa devo fare. Come devo comportarmi. Solo che a me non piace tutto ciò. Vorrei poter gestire la mia vita da sola” spiegò Rose.
“Allora siamo in due: anche io non ho mai amato sottostare alle richieste degli altri. Soprattutto a quelle di mio padre” disse il nuovo arrivato.
“Il mio mi ha imposto un sacco di regole che, ovviamente, non rispetterò mai tutte. E poi mi tiene come prigioniera o nella villa o nel negozio. Lo so che lo fa per proteggermi, soprattutto dopo che la mia mamma è morta” spiegò Rose.
“Mi dispiace tanto” disse il nuovo arrivato.
“Oh, non importa. Intanto non mi ricordo quasi nulla di lei. Vorrei averla potuta conoscere meglio. Però c’è una cosa che mi è rimasta impressa quando ero una neonata: il suo sorriso. Ricordo che mi sorrideva sempre. Mi prendeva in braccio. Mi cullava e mi sussurrava dolci parole. Potrà sembrarti strana come cosa, visto che ero solo una neonata. Ma è così” spiegò Rose.
“Io non la trovo una cosa strana, anche se dovrebbe essere tuo padre a parlarti di tua madre” disse il nuovo arrivato.
“Lui preferisce non andare mai sull’argomento. Lo rende ancora più triste e io non voglio chiedergli del suo passato. Credo che lo faccia stare ancora più male” disse Rose.
“Forse non diventa triste solo per tua madre. Ma anche per ciò che ha commesso” disse il nuovo arrivato.
“Perché, che cosa ha commesso?” chiese Rose.
“Qualcosa che credo lo abbia fatto pentire per molto tempo. Forse, la sua iperprotezione nei tuoi confronti ha proprio a che fare con ciò che ha commesso nel passato e non solo per la perdita di tua madre. Non ti ha raccontato nulla, vero?” rispose il nuovo arrivato.
“Papà non mi racconta mai nulla della sua o della mia vita passata. Ho scoperto più cose dalle altre persone. Anche da te, a quanto pare” disse Rose. Ci fu silenzio. Poi la bambina aggiunse: “Allora, ho sentito dire in giro che fai lo scrittore. E cosa scrivi di bello?”
“Un po’ di tutto. Prendo ispirazione da ciò che vedo” disse il nuovo arrivato.
“Ma visto che sei un semplice scrittore, come fai a sapere così tante cose su mio padre e sul suo passato?” domandò Rose. Il nuovo arrivato si alzò in piedi per poi dirle: “Vieni con me” e, dopo aver lasciato i soldi sul tavolo, uscì. Rose lo seguì chiedendogli: “Venire con te dove?”
“Vorrei visitare la città. Scoprire di più i luoghi da trarre ispirazione per ciò che scriverò. Il tuo amico mi ha detto che sei una bambina molto dolce e che cerchi sempre di aiutare il prossimo proprio come faceva tua madre” rispose il nuovo arrivato, fermandosi.
“Ci provo, anche se mio padre non vuole. Dice che, se continuo così, gli abitanti si dimenticheranno di chi sono figlia dalla parte paterna. Mio padre è molto temuto da tutti. Ma per me è una persona buona e gentile. Non mi ha mai fatto mancare nulla e mi dispiace farlo sempre preoccupare. So che non è facile tirare su una figlia da sola. Penso solo che gli altri dovrebbero sforzarsi a conoscerlo meglio come lo conosco io” spiegò Rose, fermandosi di fronte a lui.
“Sai, verrebbe fuori una bella storia su di te” disse il nuovo arrivato.
“Sì, come no. Già vedo il titolo: la figlia del malefico proprietario del banco dei pegni. La storia di un padre che non lascia uscire la figlia per paura che qualcuno le faccia del male o la porti via da lui. Sì, credo che avrà successo” disse sarcasticamente Rose.
“Per me ogni storia ha un suo fascino e anche la tua, e quella dei tuoi genitori, ne ha” disse il nuovo arrivato. Rose lo guardò stranamente non dicendo nulla. Poi il nuovo arrivato si avvicinò alla sua moto e propose: “Allora, vuoi ancora venire con me o hai paura che qualcuno, vedendoti in mia compagnia, incominci già a pensare male?”
“Non me ne frega nulla del parere degli altri. Dovrebbero incominciare a farsi i loro affari” disse Rose.
“Ora sì che vedo in te tuo padre. Su, sali” disse il nuovo arrivato e salì sulla moto. Anche Rose stava per salirci, quando Dove – che li aveva osservati per tutto il tempo standosene nella macchina – si avvicinò a loro per poi chiedere: “Signorina Gold, dove sta andando?” I due lo guardarono.
“Con lui. Volevo mostrargli la città” rispose Rose.
“Mi dispiace, signorina Gold, ma non posso lasciarla andare con uno sconosciuto” disse Dove.
“Ma ormai io per la piccola non sono più uno sconosciuto. Abbiamo parlato e fatto amicizia. Vero piccola?” disse il nuovo arrivato.
“Be'… sì. Credo di sì” disse titubante Rose.
“E poi non si deve preoccupare, buon uomo: la riporterò dal caro papà in poco tempo e tutta intera” disse il nuovo arrivato.
“Non vorrei che suo padre si arrabbiasse. Mi dispiace, ma devo rispettare gli ordini del Signor Gold” disse Dove.
“Ti prego, Dove, prometto che ritorneremo presto. Prima di cena. Ma ti scongiuro, almeno per questa volta, non rispettare un ordine di papà. È che vorrei così tanto uscire e non stare sempre tra le mura o di casa o del negozio. Ti prometto che sarà solo per questa volta. E poi il nuovo arrivato è una brava persona. Lo sai che io è come se capissi quando qualcuno è cattivo oppure no. E lui non rientra tra quest’ultimi” spiegò Rose. Dove sembrò pensarci un po’ su. Poi disse: “Va bene. Può andare con lui. Ma solo per questa volta.” Rose sorrise entusiasta e, abbracciandolo – seppur con molta fatica – disse: “Grazie. Grazie Dove. E mi prenderò io la colpa, qualora papà si accorgesse prima della mia scomparsa” e, dopo che il nuovo arrivato le ebbe dato il casco e fu salita sulla moto dietro di lui – tenendosi alla vita – partirono. Ma, dall’altra parte della strada, qualcuno li aveva osservati per tutto quel tempo. Si trattava di Lucy e dal suo sorriso beffardo non ci si poteva aspettare nulla di buono.
I due viaggiavano su quella moto per le strade di Storybrooke e Rose gli spiegava ogni singolo posto.
“E questo?” domandò il nuovo arrivato, dopo essersi fermato con la moto.
“Questo non è un bel posto” rispose Rose. I due si erano fermati davanti a un negozio. Ma non era un negozio qualunque.
“Game of Thorns. Il nome non mi sembra tanto spregevole” disse il nuovo arrivato, leggendo il nome sull’insegna.
“Non è il nome a essere spregevole: ma la persona che lo gestisce. Si chiama Moe French e non molto tempo fa ha rubato qualcosa di molto importante a mio padre. E…“ sospirò ”… mi ha fatto anche del male” spiegò con voce quasi roca Rose. Ripensare a quel giorno le faceva male. Il nuovo arrivato la guardò per poi chiederle: “Come è andata a finire? Spero sia stato punito, anche se la violenza non è la soluzione migliore.”
“Mio padre l’ha picchiato. Be', prima lo ha rapito. Portato in una casetta nel bosco e poi picchiato. Poi lo sceriffo Swan lo ha portato in prigione, mentre il signor French è stato ricoverato in ospedale” spiegò Rose. Il nuovo arrivato le diede un buffetto veloce sulla guancia, dicendole: “Ehi, su col morale, piccola: il tuo papà è fuori di prigione, tu stai bene e scommetto che quel Moe French non si avvicinerà più tanto facilmente a te. Le cose andranno meglio.” Rose sorrise e poi il nuovo arrivato ripartì.
Nel frattempo, Gold era in negozio e stava tenendo in mano un oggetto, guardandolo con una lenta d’ingrandimento che teneva con l’altra mano. Excalibur era nella sua cesta – a dormire- accanto a lui. Ma si svegliò, drizzando anche le orecchie, quando tintinnò la campanella e, dalla porta d’ingresso, entrò Lucy. Anche Gold alzò lo sguardo e, facendo un piccolo sorriso – poco contento dal cliente appena entrato – domandò: “Signorina Hunter, qual buon vento la porta nel mio umile negozio?”
“Ero solo venuta a curiosare. Non sapevo avesse così tanta robaccia” rispose Lucy, guardandosi intorno, toccando con una mano un oggetto.
“Se per lei è robaccia, allora le consiglio di non toccarla: potrebbe infettarsi le sue mani di fata” disse Gold. Lucy ritrasse subito la mano e guardò Gold, che fece un piccolo sorriso. Poi l’uomo, depositando l’oggetto e la lente d’ingrandimento sul bancone, aggiunse: “ Allora, Signorina Hunter, che cosa le interessa? Come può vedere, non ho oggetti preziosi che si addicono alla sua regale persona.”
“Come le ho detto, sono venuta a curiosare. Ma anche a parlarle” disse Lucy, avvicinandosi al bancone.
“Non credo di essere la persona più adatta per scambiare due parole con lei. Perché non prova con il Dottor Hopper? O, ancora meglio, con il sindaco? Dovreste andare d’amore e d’accordo” propose Gold.
“No, credo che lei vada bene. Visto ciò che ho da dirle” disse Lucy facendo un piccolo sorriso.
“Allora le consiglio di sbrigarsi, perché ho un sacco di cose da fare” disse Gold, cercando di cacciare la bambina. Quest’ultima abbassò lo sguardo verso la volpe, che le ringhiò contro. Quindi disse: “E’ cresciuta dall’ultima volta che l’ho vista.” Excalibur le ringhiò nuovamente.
“Signorina Hunter, se è venuta qua per parlarmi di quanto sia estasiata di rivedere la mia volpe, le voglio ricordare che il negozio di animali o il veterinario si trovano da un’altra parte” disse Gold.
“Lei fa tanto il cattivo solo perché chiede gli affitti a noi altri. Ma so che, in realtà, è un codardo e le consiglio di tenere più d’occhio la sua amata figlia” disse Lucy.
“Che cosa c’entra ora la mia Rose?” chiese Gold. Lucy sorrise. Poi rispose: “Ha presente il nuovo arrivato in città? Be', si dà il caso passassi per caso da Granny’s mentre sua figlia e, appunto, il nuovo arrivato, uscivano da lì e parlavano animatamente. Per poi salire sulla moto e partire senza che la vostra guardia del corpo li fermasse. Le consiglio di tenere sua figlia alla larga da quell’uomo: è meglio non fidarsi troppo degli stranieri.”
“E mi dovrei, invece, fidare di lei?” domandò facendo un piccolo sorriso Gold, prendendo il suo bastone e uscendo da dietro al bancone per poi fermarsi di fronte alla bambina. Quest’ultima rispose: “Be', io non sono una straniera, e poi conosco molto bene sua figlia e, di certo, non vorrei che Rose si cacciasse nei guai. Sa, poi non vorrei che gli altri abitanti pensassero male a quanto lei non sia un buon padre.”
Gold guardò Excalibur che abbassò tristemente le orecchie. Poi riguardò Lucy e, facendo un piccolo – ma finto – sorriso disse: “Grazie per questa importante informazione. Non so cosa avrei fatto se non lo avessi scoperto. Dico davvero. Se non ci fosse lei, be', io sarei a corto di utili informatori.”
“Voglio solo il bene per le mie ex compagne di scuola. E mi dispiace che Rose non sia più in classe con me” disse Lucy.
“Chissà come mai” disse Gold sorridendo. Poi aggiunse: “Ora, mi scusi veramente, Signorina Hunter, ma devo occuparmi di quella cosa importante. Grazie ancora per il suo immenso aiuto” e la spinse letteralmente verso la porta.
“Per qualsiasi cosa, sarò a sua disposizione” disse Lucy.
“Grazie ancora. Ma credo, con oggi, di aver finito di ascoltare i suoi pettegolezzi” disse Gold. Lucy lo guardò malamente ma, prima che potesse ribattere, si trovò la porta sbattuta in faccia. Gold si passò una mano tra i capelli. Poi si voltò, con la schiena contro la porta, e disse: “Lascio libera Rose per poco e lei cosa fa? Va a parlare con quello straniero. Dovrò veramente metterle il guinzaglio” e, allontanandosi dalla porta, ritornò al bancone. Excalibur, che nel frattempo era uscita dalla sua cesta, si affiancò a lui. Scodinzolò emettendo anche dei versetti, cercando di tirare su di morale il padrone. Ma Gold si limitò ad andare nel retro bottega non proferendo altra parola.
Passò più di un’ora quando Rose e il nuovo arrivato ritornarono dal loro giro. Fermarono la moto proprio davanti al negozio dei pegni. Il nuovo arrivato spense la moto e, mentre sia lui che Rose si toglievano i caschi, disse: “Ti ringrazio per avermi mostrato meglio questa cittadina. Seppur piccola, ha molto da raccontare” Rose scese dalla moto e gli disse: “In effetti non è brutto vivere qua e, se decidi di rimanere, sono sicura che piacerà anche a te.”
“Al momento sono solo di passaggio. Ma può anche darsi che cambi idea” disse il nuovo arrivato. Rose sorrise. Poi disse: “Allora, ci vediamo in giro.”
Anche il nuovo arrivato sorrise per poi dire: “Credo proprio di sì” e, dopo aver riavviato la moto, partì. Rose lo seguì con lo sguardo. Poi si voltò ed entrò nel negozio. Fece appena in tempo a chiudere la porta che Gold andò da lei, replicando: “Dove sei stata per tutto questo tempo?!”
“In giro” rispose semplicemente Rose, già terrorizzata dal padre.
“Con chi?! No, aspetta, non rispondermi. So io con chi: con quello straniero, vero?!” replicò Gold.
“Papà hai per caso bevuto? Hai l’alito che puzza di whisky”  chiese Rose, facendo qualche passo indietro.
“Ora non cambiare discorso! Sei in seri guai, signorinella! Ti sei già dimenticata di una delle regole che ti ho imposto?!” replicò Gold.
“Papà… è che ce ne sono tante e io…” disse titubante Rose. Ma Gold la bloccò replicando: “Adesso basta! Basta! Da oggi in poi non uscirai più da sola! Te ne starai qua o nella villa. Uscirai solamente o con me o con Dove. Anche se dovrai vedere i tuoi amici, ci sarà sempre qualcuno con te.”
“Non puoi decidere della mia vita!” replicò Rose.
“Invece sì che posso: sono tuo padre! E se mi disubbidirai ancora, non vedrai nemmeno più i tuoi amici” replicò Gold. Excalibur li osservava, spuntando con la testa dal retro bottega. Se ne stava bassa, segno che aveva molta paura.
“Non puoi impedirmi di vederli. Tolti loro, che cosa mi rimane? Diventerei una prigioniera nella nostra stessa casa. È così che vuoi farmi diventare? La mamma non avrebbe voluto tutto ciò” replicò Rose.
“Non tirare in ballo tua madre! Lei è morta e, purtroppo, non può fare nulla!” replicò Gold.
“Non ti rendi nemmeno conto di quello che stai dicendo. Sei ubriaco e mi fai paura. Se solo mi  ascol…” disse Rose. Ma non fece nemmeno in tempo a finire la frase che Gold la prese per le braccia e, scuotendola, gridò: “Smettila! Sta' zitta! Sei tu quella che mi deve ascoltare! E’ colpa tua se tua madre è morta! E’ colpa tua se sono rimasto solo! E’ colpa tua se mi sono dovuto occupare da solo di una neonata!”
“Papà, mi stai facendo male! Basta!” replicò Rose.
Gold sembrò tornare in sé e la lasciò andare. Ci fu silenzio, nel quale la bambina strinse le braccia a sé. Le facevano male. Suo padre l’aveva stretta davvero forte. Gold guardò la figlia che aveva le lacrime agli occhi. Si addolcì e disse: “Oh, bambina mia, mi dispiace. Non volevo” e allungò una mano. Ma Rose indietreggiò. Gold fece qualche passo avanti, ma la figlia continuò a indietreggiare.
“Rose, mio piccolo fiore. Non fare così. Io… non volevo, lo giuro. Mi dispiace. Vieni dal tuo papà” disse Gold, tenendo ancora il braccio allungato. Ma Rose, dopo aver scosso negativamente la testa, replicò: “Stammi lontano! In questo momento tu non sei mio padre! Sei solo un uomo ubriaco e troppo preso ad ascoltare quello che dicono gli altri e non sua figlia! Finché il mio “vero” papà non sarà ritornato, devi starmi lontano!” e, voltandosi corse fuori.
“Rose!” la richiamò il padre. Uscì dalla porta, richiamandola ancora: “Rose! Torna qua!” Ma la bambina corse più che poteva. Senza voltare lo sguardo e piangendo. Per poi svoltare l’angolo. Gold, non vedendo più la figlia, rientrò. Excalibur si avvicinò a lui, strusciandosi contro una gamba. L’uomo si abbassò e, dopo averle messo una mano sotto il mento – in modo che la volpe lo guardasse – disse: “ Che cosa ho combinato? Sono riuscito a scacciare l’unica persona che ancora mi voleva bene. Sono un mostro! Una bestia!” e Excalibur abbassò le orecchie.
Rose continuava a correre, con le lacrime che le rigavano il viso. Quando un po’ più in là, vide Paige che camminava accanto a un uomo. Accelerò di più il passo, raggiungendoli. I due, vedendola, si fermarono.
“Rose, che cosa è successo?” domandò preoccupata Paige, vedendo le lacrime dell’amica.
“Si tratta di mio padre. Non lo riconosco più. Non so cosa possa essergli successo. È cambiato” rispose Rose. Paige la strinse a sé e l’uomo disse: “Su, su non piangere piccola. Vedrai che tutto si sistemerà.”
“No. Credo che questa volta non si sistemerà nulla” disse Rose guardandolo.
“Il Signor Gold è sempre stato una persona buona. Be', almeno per me e con te. Gli altri lo hanno sempre visto spregevole” disse Paige.
“Ed è come l’ho visto anche io oggi” disse Rose.
“Che cosa ne dici se ora ti asciughi queste lacrime e poi ritorniamo da lui e ci parliamo?” propose l’uomo. Rose si asciugò le lacrime. Ma disse: “Non ci voglio ritornare da lui.” Poi aggiunse: “Come mai siete da queste parti?”
“Il Signor Gold sarebbe dovuto venire a prendere Paige prima di sera. Invece…” iniziò a spiegare l’uomo.
“… invece non è venuto e abbiamo pensato noi di andare da lui. Stavamo venendo al negozio quando ti abbiamo incontrata” finì Paige.
“Be', io al negozio non ci voglio ritornare. Non lo voglio rivedere” disse Rose abbassando lo sguardo. L’uomo sospirò. Si passò una mano tra i capelli. Poi gli venne in mente un’idea. Quindi propose: “Potresti sempre venire da me e passare il tempo con Paige. Domani mattina, quando le acque si saranno calmate, ti riporterò da tuo padre. Che cosa ne dici?” Rose rialzò lo sguardo e annuì semplicemente.
Poco dopo, mentre le bambine stavano guardando la televisione nel salotto della villa di Jefferson – questo il nome dell’uomo – proprio Jefferson stava camminando avanti e indietro fuori nel corridoio, mentre parlava al cellulare con un Gold alquanto disperato.
“E ti ripeto per la centesima volta che sta bene. Non ha un graffio. È sana. Vuole solo stare un po’ da sola” disse Jefferson. Ma si dovette togliere l’apparecchio dall’orecchio quando Gold – dall’altra parte – gridò: “Stare da sola?! Vuoi dire stare con te! Passamela: voglio parlarci!”
Jefferson si rimise il cellulare all’orecchio, dicendogli, mentre sbirciava in salotto: “Ehm… non credo che in questo momento voglia parlare con te. Sai, è un po’ occupata con Paige a guardare i cartoni animati. Le sto facendo guardare un certo film chiamato “Alice nel paese delle meraviglie” Quei birboni mi hanno disegnato proprio male” e rise. Ma si ritolse l’apparecchio dall’orecchio quando Gold gridò: “Le stai facendo guardare quella brutta roba?! Avrà gli incubi per tutta la notte! Togli subito quel coso.”
“Senti, neanche io amo il paese delle meraviglie e sai il perché. Ma le bambine si stanno divertendo e, al momento, è uno dei pochi cartoni animati che mi ritrovo in casa. O quello o, la prossima scelta per farle divertire, è Peter Pan” disse Jefferson continuando a guardare nel salotto. Tirò via, per la terza volta, il cellulare dall’orecchio quando Gold gridò: “No! Tutto, ma non quello! Quello è peggio di un film horror. Lascia che finiscano di guardare il paese dei matti e poi mandale a letto. È già oltre il loro consueto orario.”
Jefferson sorrise e, dopo essersi rimesso il cellulare all’orecchio, disse: “Gold, anche io ho cresciuto una figlia da solo anni fa. Non ti devi preoccupare di nulla. Domani mattina te la riporto. Tutta intera, ovviamente.” Sentì Gold sospirare. Per poi dire: “Jefferson, so che sei un brav’uomo e che ti è bastato perdere la testa solo una volta. Sei una delle poche persone che non mi sei contro e non lo sei stato nemmeno in passato. So che la mia bambina è in buone mani.”
“Be', la mia lo è stata con te” disse Jefferson.
“Vorrei solo poter parlare con lei. Ti prego” disse Gold. Jefferson aveva sentito bene? Gold aveva detto 'ti prego'? Batté incredulo un paio di volte gli occhi. Poi disse: “Va bene. Ma non ti assicuro nulla” Quindi se ne andò in salotto e, avvicinandosi al divano, aggiunse rivolto a Rose: “C’è tuo padre al telefono e vorrebbe parlare con te.”
“Digli che non ho ancora nessuna intenzione di parlare con lui. Prima dovrà smaltire tutto il whisky che si è bevuto” replicò Rose.
“Io penso che l’abbia già del tutto smaltito. O, se non del tutto, almeno gran parte. È molto lucido. Credimi” disse Jefferson. Rose sembrò pensarci un po’ su. Poi prese il cellulare e, dopo essere scesa dal divano, se ne andò in corridoio. Quindi si mise l’apparecchio all’orecchio e semplicemente disse: “Papà.”
Dall’altra parte, anche se Rose non lo poté vedere, Gold sorrise e disse: “Oh bambina mia. Come stai?”
“Io bene. E tu?” chiese la figlia.
“Ho un po’ di mal di testa. Ma con un buon tè caldo mi passerà. Almeno spero” rispose Gold, mentre se ne stava seduto sul divano del salotto di casa. Excalibur era nella sua cesta, con lo sguardo fermo sul suo padrone. Ci fu silenzio. Poi Gold aggiunse: “Mi dispiace per come mi sono comportato oggi. Non avevo mai alzato prima così la voce con te. Sappi che tutte le cose brutte che ho detto non sono vere. Io ti voglio un mondo di bene e non è colpa tua se la mamma è morta. Ti prego, bambina mia, ho bisogno di te. Torna a casa.”
“Papà, credo di non essere pronta per ritornare a casa. Prima aspettiamo che tu stia completamente bene” disse Rose.
“Io sto già bene!” replicò Gold. Ma dopo essersi accorto di aver alzato nuovamente la voce, si calmò e disse: “Mio piccolo fiore, oggi hai visto un lato di me che non avrei mai voluto che tu vedessi. È ciò che gli altri hanno sempre pensato di me. Una bestia.”
Rose si morse il labbro inferiore. Ora cosa gli avrebbe detto? Una parola sbagliata, o di troppo, e lo avrebbe ferito ancora di più. Doveva procedere con cautela. Quindi disse: “E’ che loro non sono mai riusciti ad andare oltre l’apparenza. Anche se una copertina può essere ruvida al contatto, il suo interno nasconde una storia affascinante. Piena di mistero e segreti ancora da svelare. Tu non sei una bestia. Bestia è chi ti giudica senza sapere veramente che persona sei. Tu sei il mio papà. Ma sei anche il mio eroe. Non dimenticartelo mai.”
A Gold divennero gli occhi lucidi. Si mise una mano sopra di essi, cercando di trattenere le lacrime che però, ormai, gli stavano bagnando il viso. Era da anni che non piangeva. L’ultima volta era stata quando una persona cattiva gli aveva detto che le due donne più importanti della sua vita erano morte, lasciando un enorme vuoto nel suo cuore.
“Papà, stai piangendo?” domandò Rose. Gold si asciugò le lacrime, per poi rispondere: “No. È che avevo un po’ di polvere negli occhi. Si vede che non ho pulito bene.”
“Papà, forse ora è meglio che ritorni da Paige. Che rimanga tra me e te: sto guardando Alice nel Paese delle Meraviglie solo perché piace anche a lei. Sai che io lo odio” disse Rose. Gold sorrise. Quella era proprio sua figlia. Poi disse: “Ci vedremo domani mattina. Fa' la brava e… buonanotte, mio piccolo fiore.”
“Buona notte, papà, e mi raccomando, non fare niente di stupido mentre non ci sono” disse Rose mentre ritornava in salotto.
“Tenterò solo per te” disse Gold. Rose ridiede il cellulare a Jefferson per poi risedersi accanto a Paige.
“Jefferson, mi raccomando, trattamela bene finché non sarà di nuovo tra le mie braccia” disse Gold.
“Perché diffidi ancora di me? Abbiamo un accordo da molto tempo e intendo portarlo a termine. Dopotutto, siamo vecchi collaboratori” disse Jefferson.
“Parla per te: io porto bene i miei anni” disse Gold.
“Vedo che non hai perso il tuo sarcasmo, piccolo folletto impertinente” disse Jefferson sorridendo.
“E tu non hai più perso la testa. Vedi di tenerla ben salda… stavolta” disse Gold anche lui sorridendo, per poi chiudere la conversazione.
“Sì, non è affatto cambiato” disse Jefferson e raggiunse le bambine.
Il giorno seguente, Jefferson e le bambine, dopo aver fatto colazione, stavano camminando verso il negozio ma, quando voltarono l’angolo, videro Gold andare via con la Cadillac.
“Ehi, ma dove se ne starà andando così di corsa? Avrebbe dovuto aspettarci” disse stupito Jefferson.
“Non so voi, ma secondo me ha in mente qualcosa e spero proprio che non faccia di testa sua” disse Rose.
“Purtroppo è sua abitudine fare di testa sua. Anche in passato si comportava così” disse Jefferson e ripresero a camminare.
“Spero solo che non gli succeda come l’ultima volta” disse Rose.
“Perché, che cosa è successo?” chiese Jefferson.
“E’ finito in prigione perché ha quasi picchiato a morte Moe French. Ma aveva ragione: quell’uomo aveva picchiato me e rubato qualcosa di molto importante” rispose Rose.
“Sì, tuo padre non ha mai potuto sopportare quell’uomo. Secondo lui è per colpa sua se tua madre è morta” disse Jefferson. Rose lo guardò stranamente. Quella era la terza versione diversa che le davano sulla presunta morte della madre. Arrivarono in centro dove c’era gran fermento. Tutti, infatti, stavano preparandosi per la Festa del Minatore che si sarebbe tenuta proprio quella sera.
“Stasera dovremmo venirci. Credi che tuo padre ti lascerà venire con noi?” domandò Paige.
“Glielo chiederò quando avrà finito con il suo lavoro da spia” rispose Rose.
“Spia?!” ripeté stupita Paige, guardandola.
“Dove credi andasse così di corsa con la sua Cadillac? A spiare qualcuno, ovviamente. Non è da lui chiudere il negozio di prima mattina. Non lo chiuderebbe neanche se venissero due metri di neve” spiegò Rose.
“E chi è che dovrebbe spiare?” chiese Paige.
“Prova un po’ a pensarci. Chi è che è appena arrivato in città? Chi è che parla con la sottoscritta che poi, appena arrivata a casa, litiga con il proprio padre ubriaco?” rispose Rose.
“Il motociclista scrittore? Credi che stesse seguendo proprio lui?” domandò stupita Paige.
“Non credo. Ne sono sicura. E, come ti ho detto, spero che non faccia nulla di stupito” rispose Rose. Si fermarono, per vedere Leroy parlare con una delle suore.
“Ehi, ma quello non è quello scorbutico di Leroy?” disse Paige.
“Se è scorbutico, allora perché sta sorridendo a quella suora?” chiese Rose.
“Non crederai veramente che…” iniziò a dire Paige. Rose annuì e disse: “Sì. Che si è preso una bella cotta per lei. Chi lo avrebbe mai detto?”
“Be', l’amore a volte gioca in modo strano” disse Jefferson.
“Molto strano riguardo Leroy. Insomma, chi mai andrebbe con uno scorbutico come lui?” disse Rose.
“Molte persone pensano la stessa cosa dei tuoi genitori: come avrà fatto tua madre ad andare con un uomo spregevole come tuo padre? Prova un po’ a pensarci” disse Jefferson e Rose non aggiunse altro.
Videro la suora sorridere e togliergli della roba bianca dalla testa e sul giubbotto. I due parlavano e la suora sembrava alquanto preoccupata, visto che a loro se ne aggiunse un’altra con un foglietto in mano. Videro la suora che aveva sorriso a Leroy mettersi una mano sulla fronte e scuotere negativamente la testa. Poi l’altra suora se ne andò. Leroy parlò nuovamente con la suora di prima. Rose si avvicinò un po’ e sentì la suora dire: “Il problema è che, purtroppo, sono una sciocca. Noi suore riceviamo una congrua per le spese e dovremmo amministrarla con attenzione ma, per uno stupido errore, l’ho spesa tutta, acquistando elio in bombole. E ora non abbiamo soldi per l’affitto.”
“Userete la prossima congrua per pagarlo” disse Leroy.
“Ma non arriverà che fra un mese. L’affitto scade tra una settimana. Ora possiamo affidarci solo alla vendita delle candele” spiegò la suora.
“Quante candele dovreste vendere?” domandò Leroy.
“Direi almeno mille” rispose la suora.
“Come è andata l’anno scorso?” chiese Leroy.
“Quarantadue” rispose la suora.
“Chiedete una proroga al padrone” propose Leroy.
“Il Signor Gold di solito non è molto disponibile” disse la suora.
“Il padrone è il Signor Gold?!” disse stupito Leroy. Rose inarcò un sopracciglio. Ma ovvio che lo era suo padre, in quanto padrone anche di tutta la città.
“Se salta un pagamento ci butterà fuori. Lo stabile andrà a qualcun altro e noi dovremo lasciare Storybrooke” spiegò la suora. Rose fece qualche passo avanti. Per quanto suo padre odiasse le suore a lei invece, stranamente, le stavano un po’ simpatiche. Si fermò però quando Leroy disse: “No, non succederà! L’anno scorso ne avete vendute quarantadue solo perché non avevate me. Ma quest’anno le venderemo tutte!”
“Leroy, tu sei veramente il mio eroe!” disse entusiasta la suora e, dopo averlo baciato velocemente su una guancia, rientrò nell’edificio dietro di loro. Leroy rimase lì, senza parole, portandosi una mano sulla guancia dove aveva appena ricevuto il bacio. Poi si voltò e andò verso la bancarella dove vendevano le candele che, guarda caso, era gestita da Mary Margaret. A Rose venne in mente un’idea. Quindi, rivolta a Paige, domandò: “Pensi anche tu a quello che penso io?”
“In questo momento sto pensando a una bella cioccolata calda. Tu, invece?” chiese Paige. Rose alzò gli occhi al cielo. Poi rispose: “Ti ricordi il mio piano di voler aiutare Mary Margaret? Be', voglio metterlo in atto ora” e si incamminò verso la bancarella. Paige la seguì e stupita domandò: “Ora?! Cioè in questo preciso istante?”
“Sì, in questo preciso istante. Se hai seguito la loro conversazione, avrai capito – ma forse lo sapevi già- che mio padre è il padrone del convento e se non vendono la maggior parte delle candele non riusciranno a pagargli l’affitto, e sono sicura al cento per cento che mio padre sarà molto lieto di sbatterle fuori. Ma, se li aiuteremo anche noi, mio padre non potrà obiettare e, così facendo e di conseguenza, aiuterò anche Mary Margaret provando a tutti gli abitanti di Storybrooke che è una brava persona” spiegò Rose.
“Sei sicura di potercela fare? Insomma, non è la stessa cosa che cercare di far credere a una sola persona che la maledizione è vera. Qua è far credere a tutti gli abitanti che una donna non stia rovinando una relazione tra marito e moglie” disse Paige affiancandola.
“Ed è qui che ti sbagli, mia cara. Alcuni abitanti sono già dalla nostra parte” la corresse Rose.
“Per caso li hai avvisati, questi abitanti, dicendo loro: “Ehi, che bello, siete dalla nostra parte per difendere la Signorina Blanchard”. Faranno i salti di gioia vedrai” disse sarcasticamente Paige.
“Sì, sì prima o poi glielo riferirò. Ma ora fa' quello che faccio io” disse Rose e, dopo essere arrivate alla bancarella, aggiunse, facendo un enorme sorriso: “Salve, Signorina Blanchard. Non pensavo di trovarla qua.”
“Neanche noi di trovare tu qua. Credevo che tuo padre ti avesse insegnato a non bazzicare tra la plebe” replicò Leroy. Rose lo guardò e, continuando a sorridere, disse: “Nemmeno tu, se è per questo. Considerando che odi aiutare la gente. Ma, a quanto pare, c’è una certa suora che ti ha fatto cambiare idea.”
“Piccola insolente! Come…” iniziò a replicare Leroy. Ma Rose lo bloccò: “So che hai una reputazione da mantenere. Quindi facciamo così: io e Paige non andremo a raccontare in giro che ti sei rammollito e tu, in cambio, ci permetterai di aiutarvi nel vendere queste candele. Allora, accetti questo patto?” Leroy la guardò malamente. Guardò Mary Margaret quando quest'ultima disse: “E’ molto gentile da parte tua, Rose, aiutarci, ma non credo che tuo padre sia d’accordo.”
“Oh, lasci perdere mio padre. E poi, al momento non c’è. Quindi vi consiglio di accettare l’offerta finché lui non bazzica da queste parti e, detta da me, non me la farei scappare. Considerando anche che, vedendomi a lavorare con voi, difficilmente caccerà le suore dal convento” spiegò Rose.
“Be'… ecco… noi…” disse indecisa Mary Margaret.
“Accettiamo!” disse Leroy. Mary Margaret lo guardò stranamente. Rose sorrise per poi dire: “Perfetto. Allora, che cosa dobbiamo fare?”
“Accettiamo se ci aiuterà anche lui” aggiunse Leroy indicando Jefferson. Quest’ultimo, sentendosi nominato, si avvicinò a loro per poi chiedere: “Io cosa dovrei fare?”
“Aiutarci a vendere le candele. Tu sembri avere la faccia di uno che sa convincere le persone a comprare” rispose Leroy. Rose alzò gli occhi al cielo. Jefferson sorrise per poi dire: “Non credo di aver capito bene.”
“Sei sordo o stai facendo apposta?! Potrai aiutarci nel vendere le candele” replicò Leroy.
“E che cosa succede se non le vendete?” domandò Jefferson.
“Le suore del convento verranno sfrattate” rispose Mary Margaret.
“E il padrone ne gioirà” aggiunse Leroy. Jefferson stava per aprire bocca. Ma Rose guardandolo, lo bloccò: “Prima che tu lo chieda, il padrone è mio padre.” Riguardò Leroy e Mary Margaret e aggiunse: “E prima che voi partiate con l’interrogatorio di terzo grado, lui si chiama Jefferson e, a quanto pare, è un vecchio conoscente di mio padre. No, non è in combutta con lui. No, non lo siamo nemmeno io e Paige. No, non ha la faccia di uno che sa vendere. Al massimo potrà fabbricare un cappello.”
“E a proposito di cappelli, credo che bazzicherò intorno alla bancarella dei cappelli. Ne ho visti alcuni fatti bene. A dopo bambine e, mi raccomando, vendete tante candele” disse Jefferson e si allontanò.
“Quello è tutto matto” disse Leroy.
“Allora, che cosa dobbiamo fare?” chiese sorridendo Rose.
Nel frattempo, Gold aveva seguito il nuovo arrivato fino al convento. Lo aveva visto parlare con la suora superiora per poi andarsene nuovamente in moto. Quindi scese dalla Cadillac, riuscendo a raggiungere proprio la suora superiora. Le stava antipatica, questo era certo. Come lui stava antipatica a lei. Di fatti scambiarono poche chiacchiere ma, almeno, Gold riuscì a farle trapelare qualche informazione riguardate il nuovo arrivato. Scoprì di fatti che stava cercando il padre dopo una lunga separazione e che lo aveva ritrovato. Purtroppo, padre e figlio non si erano ancora ricongiunti, dicendo che si trattava di una storia dolorosa, con molte questioni lasciate in sospeso. La madre superiora si congedò, lasciando Gold con mille pensieri per la testa. Che il nuovo arrivato fosse la persona che stava cercando da tempo?
Stava per ritornarsene alla Cadillac quando un’altra suora gli passò accanto e, fermandosi disse: “Oh, Signor Gold, che piacere rivederla.”
Gold si fermò e, guardandola disse: “Sorella Grey, lei è l’unica che ha così piacere di rivedermi.”
“Be', con me lei non è mai stato crudele. Forse una volta o due, ma non così tanto da renderla antipatico” disse Grey. Gold fece un piccolo sorriso. Poi la suora aggiunse: “Come sta la piccola Rose? E’ da molto che non la vedo.”
“Sta bene. Anche se tende costantemente a cacciarsi nei guai” rispose Gold.
“Sono sicura però che abbia sempre il suo papà accanto che la protegge” disse sorridendo Grey.
“Faccio il possibile. Ma ogni giorno che passa è come se la mia bambina si stesse allontanando da me. Forse è anche per colpa mia, tendo a nasconderle delle cose” disse Gold.
“Ma se lo fa è per proteggerla, vero? Dopotutto ha solo lei, dopo la morte della madre” disse Grey. Gold non disse nulla. Fu Grey però ad aggiungere: “Signor Gold, posso farle una domanda?”
“Sì, certo” rispose lui.
“La troverà strana come cosa, ma è da un po’ di tempo che faccio dei sogni alquanto bizzarri. Sogno che mi trovo in un castello e insieme a me ci sono una donna bellissima dai capelli scuri e gli occhi azzurri come il cielo e un uomo dalla pelle verdastra e una risata sinistra. L’uomo continuava a chiamare la ragazza Belle mentre lei lo chiamava Tremotino. E io ero lì, vicino alla ragazza e…stavo facendo nascere suo figlio. Subito dopo mi ritrovo tra le braccia una neonata che poi, dopo averla lavata e curata, avvolgo in un asciugamano e depongo delicatamente tra le braccia della madre. Sto per uscire quando questo Tremotino mi chiama. Non Grey. Ma Grachen. Lui mi ringrazia e ritorna dalla ragazza e la figlia appena nata. Poi il sogno si interrompe. Lei che cosa pensa di tutto ciò?” spiegò Grey. Gold non disse nulla subito dopo che la suora aveva nominato il suo nome. Il suo vero nome nella vita passata e di ora. La sua mente era ritornata al giorno in cui Rose era nata. Si destò da quei ricordi, guardando la suora e rispondendole: “Io non escludo mai nulla. Per me i sogni possono anche essere reminiscenze del proprio passato. Ci rifletta su. Arrivederci, sorella Grey” e, voltandosi, ritornò alla Cadillac.
“Arrivederci, Signor Gold” disse Grey guardandolo. Gold rientrò in macchina e guardò la suora. In realtà lui sapeva benissimo che lei e Grachen erano la stessa persona ed era per questo motivo che quella era l’unica suora che gli stava simpatica. Se non fosse stato per lei, la sua dolce Rose non sarebbe mai nata. Avviò la macchina e partì.
Intanto, la gente aveva già cominciato a brulicare tra le bancarelle del centro. Ma nessuno aveva ancora comprato una candela.
“Comperate una candela per la festa del minatore. Fatte a mano dalle suore di Storybrooke. Accorrete. Forza, signori, è per una buona causa” li incitava Mary Margaret a comprarle. I passanti, però, la guardavano e proseguivano.
“Non sta funzionando” disse Paige.
“Hai ragione. Bisogna minacciarli” disse Rose. Paige la guardò stranamente. Rose quindi aggiunse: “Comprate queste bellissime candele fatte a mano. Se lo farete dirò a mio padre di abbassarvi l’affitto. Se non lo farete…” Ma Paige la bloccò, dicendole: “Ehm…non credo che minacciandoli attraverso tuo padre li faccia avvicinare.”
“Allora che cosa proponete? Non è che gli affari stiano andando bene”  domandò Rose.
“Mettiamo via tutto” disse Leroy.
“Ci stai mollando?” chiese Mary Margaret guardandolo.
“Ma sì, dai, lascialo andare. Intanto chi ha bisogno di lui?” replicò Rose. Leroy le guardò e spiegò: “I clienti non vengono da noi. Quindi andiamo noi da loro. Porta a porta.”
“Non ci vogliono. E pensi che ci vogliamo alla loro porta?” domandò Mary Margaret.
“E’ questo il punto: ci pagheranno soltanto per andare via” rispose sorridendo Leroy. E incominciò a mettere via le candele nelle scatole.
“Non pensavo avessi un cervello che lavorasse. Mi piace come idea. È un ricatto, dopotutto” disse Rose.
“Non sono mai andata porta a porta. Credi che stia bene vestita così?” chiese Paige guardando Rose. Quest’ultima la guardò a sua volta, rispondendole: “Non baderanno ai vestiti. Fidati. Dovranno solamente sganciare.”
“Voi non verrete” disse Leroy, chiudendo la seconda scatola. Le bambine lo guardarono e Rose stupita domandò: “E come mai no?” 
“Perché qualcuno dovrà rimanere qua e continuare a vendere le altre candele” rispose Leroy.
“Non è giusto! Solo perché siamo piccole non è detto che non possiamo anche noi andare porta a porta” replicò Rose.
“Oh, scusami tanto, piccola Gold. Ma credo proprio che alle bambine non diano molta importanza, soprattutto se vedranno te, la figlia dell’uomo più spregevole di tutta Storybrooke” disse Leroy guardandola. Rose lo guardò malamente e poi replicò: “Te ne pentirai di ciò che hai appena detto. Te la farò pagare. Hai la mia parola.”
“Sto tremando di paura” disse sarcasticamente Leroy e, sorridendo maliziosamente, finì di riempire altre scatole. Poi guardò Mary Margaret e, prendendo alcune candele, semplicemente aggiunse: “Andiamo” e uscì dalla bancarella.
“Ehm… mi raccomando… fate le brave e non lasciate mai incustodita la bancarella” disse Mary Margaret con anche lei in mano alcune candele.
“Non si preoccupi, signorina Blanchard: rimarremo sempre qua” disse Paige guardandola.
“Muoviti, sorella! Intanto non incendieranno la bancarella” gridò Leroy e Mary Margaret lo seguì.
“Però potrebbe essere un’idea” disse Rose. Paige la guardò, dicendole: “Fattela andare via dalla testa” e Rose sbuffò.
Intanto, Gold era ritornato di fronte al negozio. Spense la macchina e scese ma, prima di chiudere la portiera, aspettò che scendesse anche Excalibur. Gold non si era fidato di lasciare la volpe in negozio: sebbene dormisse quanto un gatto, poteva risultare anche molto pericolosa. Soprattutto quando si trovava da sola in un ambiente pieno di oggetti delicati di ogni tipo. Il paese delle meraviglie per una volpe curiosa come Excalibur. E così, mentre lui se ne era stato a parlare con le suore, lei si era addormentata nella macchina.
La volpe scese e guardò, con occhi ancora mezzi addormentati, il padrone. Quest’ultimo la guardò e, dopo aver chiuso la portiera, disse: “Vieni con me. Hai bisogno di una bella passeggiata per risvegliarti” e si incamminò, con Excalibur al suo fianco. Di tanto in tanto sbadigliava. Gold quindi disse: “Non mi incanti. Non ti riporterò né a casa e né in negozio per farti oziare nella tua cesta. E poi una bella passeggiata è quella che ci vuole anche per farti dimagrire. Non capisco perché ti faccia mangiare poco, eppure continui a ingrassare.”
Excalibur lo guardò e poi guardò subito da un’altra parte. In realtà in giardino aveva nascosto in una buca un bel po’ di carne e altri alimenti che non si potevano di certo definire dietetici. Nessuno dei suoi due padroni era a conoscenza di questo nascondiglio e tale doveva rimanere.
Arrivarono in centro, passeggiando tra la tanta gente che si era accumulata in quelle ore, alla ricerca di qualche regalo tra le varie bancarelle. Excalibur si fermò non appena vide la bancarella dello zucchero filato. Si leccò i baffi, vedendo quella leccornia. Stava per andarci quando però si sentì tirare. Voltò lo sguardo per vedere Gold che le aveva bloccato la parte finale della coda con il bastone. Smise quindi di muovere le zampette e guardò il padrone. Quest’ultimo disse: “Troppo zucchero ti fa venire il mal di pancia. Cammina davanti a me” e tolse il bastone da sopra la coda. A orecchie abbassate, Excalibur gli passò accanto per poi camminare. Gold, facendo un piccolo sorriso, la seguì.
Intanto, alla bancarella delle candele, Paige incitava i passanti: “Comprate queste bellissime candele. Ce ne sono per tutti.”
“Per forza ce ne sono per tutti: non ne abbiamo ancora venduta una” disse Rose. Paige la guardò, dicendole: “Se non mi aiuti, non ce la faremo mai. Su con il morale.”
“Gliela farò pagare, a Leroy, per non averci fatto andare con loro porta a porta. E per avermi insultata” replicò Rose.
“Non è vero che ti ha insultata. E poi come credi di fargliela pagare?” chiese Paige. In quel momento Gold, che passava di lì, le vide e stupito domandò: “Rose. Paige. Che cosa ci fate qua?”
A Rose si illuminarono gli occhi nel sentire la voce del padre e, guardandolo, uscì dalla bancarella correndo da lui e abbracciandolo. Poi disse: “Oh, papino adorato come sono contenta che sei qua. Portami via da questo inferno” e Paige roteò gli occhi.
“Che cosa è successo? E perché state vendendo candele?” chiese Gold.
“Leroy e la Signorina Blanchard sono andati porta a porta a venderle, perché qua non le comprava nessuno” rispose Paige.
“Intanto non le stiamo vendendo ugualmente. Ma papà, il problema è un altro: Leroy è stato cattivo con me. Mi ha insultata” disse Rose. Paige scosse negativamente la testa.
“Che cosa?!” replicò già furente Gold.
“Ha detto che siamo troppo piccole per andare porta a porta e che le persone non mi avrebbero aperto vedendomi perché sono figlia di un uomo spregevole come te. Ha detto che non valgo nulla” spiegò Rose. Gold le accarezzò la testa per poi dire: “Tranquilla, piccola, ci penserà il tuo papà. Appena Leroy ritornerà, se la dovrà vedere con me.”
“Grazie, papà. So che tu sei il migliore” disse Rose e, guardando Paige, fece un piccolo sorriso beffardo. Paige scosse nuovamente negativamente la testa, ma guardò Gold quando questi le disse: “Spero per lei che non sia venuta qua da sola. Dov’è Jefferson?”
“Ha detto che avrebbe bazzicato da queste parti” rispose Paige. Gold si guardò intorno quando lo vide accanto a una bancarella che vendeva dei cappelli. Quindi disse: “Tenete d’occhio Excalibur. Non voglio che se ne vada in giro alla ricerca di dolci” e se ne andò da Jefferson. Quando lo raggiunse, gli diede una leggera bastonata dietro a una gamba. Jefferson lo guardò.
“E’ così che rispetti il nostro accordo? Guardando dei cappelli?” domandò Gold.
“Non so a cosa alludi, ma il nostro accordo l’ho rispettato a pieno. Sei tu, piuttosto, che non lo hai rispettato del tutto” rispose Jefferson.
“Ah, davvero? E in che cosa non lo avrei rispettato del tutto?” chiese Gold, facendo un piccolo sorriso.
“Be', mi dici di tenere Paige per la notte, ma poi dici di riportartela in mattinata. Stavamo venendo al tuo negozio quando tu te ne sei andato di corsa con la tua Cadillac. Questo non è rispettare del tutto un accordo” spiegò Jefferson.
“Il nostro accordo prevedeva protezione reciproca e mi pare che ciò sia avvenuta in entrambi i casi. Ma proporrei di portarlo avanti” disse Gold.
“Portarlo avanti?! E di quanto?!” domandò stupito Jefferson.
“Almeno finché la maledizione non sarà stata spezzata” rispose Gold. Jefferson lo guardò stranamente non obiettando. Quindi Gold aggiunse: “Credevo avessi trovato una soluzione per far mantenere i ricordi a tua figlia.”
“Lo credevo anche io. Pensavo che quella pozione che mi avevi dato avrebbe potuto funzionare anche per lei” disse Jefferson.
“Avevi la testa salda sulle spalle: un’idea ti deve essere saltata fuori” disse Gold.
“Grazie per il complimento e sì, ho trovato qualcosa: ho messo un paio di gocce della pozione sul suo ciondolo. Guarda caso, proprio quello che le avevi regalato quando era scappata da casa” disse Jefferson.
“Non era scappata: si era solo un po’ allontanata. Diceva che un lupo l’aveva inseguita e, così, sono apparso per aiutarla” disse Gold.
“E l’hai portata al tuo castello dove, con la tua volpe, si è poi avventurata nella foresta. Avresti dovuto tenerla d’occhio” disse Jefferson.
“Io?!” disse stupito Gold e, dopo aver riso, continuò: “Non ero mica il suo babysitter. E poi, grazie a lei, ho potuto prendere un oggetto molto prezioso appartenuto a una protettrice della foresta” e sorrise. Voltarono lo sguardo quando sentirono gridare Leroy. Quindi si riavvicinarono alla bancarella delle candele.
“Come sarebbe a dire che non ne avete venduta neanche una?!” replicò Leroy.
“E’ proprio così e, a quanto pare, neanche voi non ne avete venduta nemmeno una” disse Rose.
“Vi avevamo lasciate qua per uno scopo. Uno solo! Ma non lo avete rispettato!” replicò Leroy.
“Signor Leroy, spero che ci sia una dovuta spiegazione del perché stia gridando a mia figlia e alla sua amica” disse Gold fermandosi da loro, insieme a Jefferson.
“Signor Gold, proprio lei stavo cercando” disse Leroy guardandolo.
“Ma che strana coincidenza, perché anche io stavo cercando lei” disse Gold.
“Bene, perché avrei da mostrarle una cosa molto importante. Quindi, se vuole seguirmi” replicò Leroy e, voltandosi, stava per incamminarsi quando Gold lo bloccò: “Non mi pare che sia lei a dettare legge, qui.”
Leroy lo guardò dicendo: “Mi dispiace tanto non dettarla, perché le cose andrebbero meglio per tutti. Ma la cosa che vorrei mostrarle non ha né le ruote e nemmeno le gambe per venire qua” Gold alzò gli occhi al cielo. Poi riguardò Leroy e disse: “E va bene. Verrò con lei. Ma badi che deve essere una cosa interessante.”
“Oh, non si preoccupi, Signor Gold: le interesserà eccome” disse Leroy e si incamminò. Gold guardò la figlia, dicendole: “Rose, andiamo.”
“Ma devo proprio venire con te?” chiese Rose. Ma dopo aver visto lo sguardo non tanto benevole del padre, sbuffò e aggiunse: “E va bene” e gli passò accanto, seguendo Leroy. Gold si guardò intorno per poi domandare: “Dov’è Excalibur?” Sentirono un piccolo rutto. Tutti abbassarono lo sguardo per vedere la volpe sbucare da dietro la bancarella dello zucchero filato. Gold alzò gli occhi al cielo.
“Non pensavo che alle volpi piacesse lo zucchero filato” disse Jefferson.
“Neanche io. Ogni giorno che passa Excalibur mangia qualcosa di nuovo. Il che mi preoccupa” disse Gold.
Poco dopo Gold, Rose e Leroy si trovarono al porto e Leroy stava mostrando loro una barca. La sua barca, per la precisione. Mentre i due parlavano, Rose si allontanò leggermente da loro – incominciando a dare dei calci a un piccolo sasso – ma poté comunque sentire ciò che si stavano dicendo.
“Lo so, adesso non è messa molto bene. Ha di sicuro bisogno di una mano di vernice e una rinfrescata nella parte interna. Ma non può dirmi che cinquemila dollari non siano un prezzo ragionevole per questo gioiellino.”
“Tremila dollari, non di più” disse Gold.
“Me ne servono cinque!” replicò Leroy guardandolo.
“Gliene servono cinque?! E a cosa dobbiamo tanta precisione?” chiese Gold guardandolo a sua volta.
“Devo aiutare un’amica” rispose Leroy.
“Capisco” disse semplicemente Gold facendo un piccolo sorriso.
“Ascolti. Non c’è neanche bisogno che mi paghi. Conceda alle suore più tempo per l’affitto” disse Leroy.
“Alle suore?!” disse stupito Gold.
“Si prenda la barca. Loro alla fine pagheranno e lei otterrà entrambe le cose” spiegò Leroy.
“Crede che sia tutto così semplice?” domandò Gold.
“Lei è un uomo ricco: può concedere alle suore un po’ di tempo in più” rispose Leroy.
“Potrei farlo” disse Gold.
“Magnifico!” disse Leroy.
“Ma non lo farò. Il contratto stipulato è chiaro e preciso. Se salta un pagamento ho il diritto di sfrattarle” spiegò Gold.
“Oh, andiamo. Ma perché…” iniziò col dire Leroy. Ma venne bloccato da Gold: “E detto tra noi, sarebbe un gran sollievo liberarsi di inquiline così sgradevoli.”
“Non le piacciono le suore?! A tutti piacciono le suore!” disse stupito Leroy.
“Ho le mie ragioni. E sono private. Diciamo che dietro c’è una storia molto lunga e complicata. Le basti questo” spiegò Gold e, voltandosi si incamminò. Ma poi si fermò e, riguardando Leroy aggiunse: “Ah, e un altro motivo del perché non le compro la barca è il suo comportamento con mia figlia.”
“E sentiamo, come avrei dovuto comportarmi con la sua piccola principessa?” chiese Leroy.
“Le dico solamente che non l’ha trattata come avrebbe dovuto. Le ha detto che non vale nulla” rispose Gold.
“Davvero le avrei detto questo?” domandò Leroy.
“Non mi dica che era presente un sosia al posto suo?” disse sarcasticamente Gold.
“Non intendevo quello. È che io non ho mai detto alla sua preziosa figlia che non vale nulla. Quella peste si è inventata tutto solo per farmela pagare” spiegò Leroy.
“Sta per caso dando della bugiarda alla mia Rose?” chiese Gold.
“Non le crederà veramente?” domandò Leroy.
“E dovrei credere a lei, invece che al sangue del mio sangue? Rose non mi direbbe mai le bugie. E poi conosco il suo carattere, Signor Leroy: è scorbutico con tutti e non mi meraviglia il fatto che lo sia stato anche con mia figlia, visto che non le ha permesso, insieme a Paige, di venire con voi a vendere le candele porta a porta” spiegò Gold.
“Vendere candele porta a porta non è lavoro da bambine. Ma a quanto pare non è lavoro loro nemmeno stare dietro a una bancarella” disse Leroy.
Mentre i due discutevano, Rose continuava a dare dei calci a quel piccolo sasso. Quindi, dandogli un calcio leggermente più forte, lo fece rotolare più avanti. Il sasso andò a sbattere contro le scarpe di qualcuno. Questo qualcuno si abbassò per raccoglierlo. Rose alzò lo sguardo per vederlo in faccia  e sorrise non appena lo riconobbe.
“Lo sai che è pericoloso far rotolare dei sassi?” chiese il nuovo arrivato.
“Non ti avrebbe fatto del male. Non avrebbe neanche scheggiato il legno più duro” disse Rose.
“Già” disse semplicemente il nuovo arrivato guardando da una parte. Sembrava pensieroso. Poi riguardò Rose e le domandò: “Che cosa ci fai qua?”
“Mio padre ha voluto che lo accompagnassi. Penso che voglia sorvegliarmi ventiquattr’ore su ventiquattro. Lui e Leroy stanno discutendo per una barca e, a quanto pare, ora anche su di me. Tu, invece?” rispose Rose.
“Cerco delle ispirazioni per la mie storie” disse il nuovo arrivato. Ci fu silenzio. Ma poi Rose chiese: “ Allora come ti dovrei chiamare?”
“Come, scusa?” domandò il nuovo arrivato.
“Non far finta di non aver capito. Non ti posso sempre chiamare nuovo arrivato o scrittore motociclista” rispose Rose.
“Scrittore motociclista. Questo mi piace. Comunque mi chiamo August Booth” disse August.
“Ed è sempre stato il tuo nome di questo mondo?” chiese Rose.
“Il mio nome da queste parti” rispose sorridendo August e Rose inarcò un sopracciglio. Voltarono lo sguardo per vedere Gold voltare le spalle a Leroy e alzare una mano al cielo per poi camminare verso di loro. Fece un piccolo sorriso e disse: “Ah, il nuovo arrivato.” Poi guardò Rose e aggiunse: “Forse non ero stato abbastanza chiaro quando ti avevo detto di stare alla larga da lui.”
“Non si preoccupi, Signor Gold: non sono contagioso. E poi io e sua figlia ormai ci conosciamo molto bene” disse August. Gold lo guardò dicendogli: “Mia figlia sa che non deve mai parlare con gli sconosciuti.”
“Ma lui ormai non è più uno sconosciuto. Dice di chiamarsi August Booth. Almeno, il suo nome da queste parti” disse Rose guardando il padre. Gold la guardò a sua volta. Ma riguardò August quando questi gli disse: “Sua figlia ha ragione: ormai non sono più uno sconosciuto.”
“E cosa ci farebbe da queste parti, Signor Booth?” domandò Gold. Ma al posto di August rispose Rose: “Prende ispirazione per le sue storie.”
“Ma davvero. Be', allora le consiglio di prendere ispirazione cominciando co lo stare lontano da mia figlia” disse Gold e, dopo aver messo un braccio intorno a Rose, la strinse accanto a sé. Poi incominciò a camminare – con figlia accanto – ma si fermò. Guardò August e gli disse: “Vorrei parlare con lei. Se non le dispiace. E in privato.”
“Riguardo cosa?” chiese August.
“Faccende personali. Incontriamoci stasera di fianco al mio cottage nella foresta vicino al lago” rispose Gold e, riguardando avanti, lui e Rose ripresero a camminare.
Venne sera e quasi tutti gli abitanti erano in piazza per festeggiare la Festa del Minatore. Mary Margaret e Leroy erano dietro la bancarella ma, come per la mattina e il pomeriggio, non avevano ancora venduto nemmeno una candela. Per colpa di quella piccola peste di Rose, Leroy non era nemmeno riuscito a vendere la sua barca a Gold. L’uomo aveva preferito credere alle suppliche della figlia, piuttosto che cedere i suoi soldi a favore delle suore. Ma, dopotutto, le detestava.
Proprio Gold stava camminando per la foresta da solo. Aveva lasciato Rose a casa con Dove. Non voleva che andasse alla festa, né che lo accompagnasse nella foresta. Meno vedeva August e più stava tranquillo. Ma l’uomo non aveva fatto i conti con l’innata curiosità della figlia. Infatti, per poter seguire il padre, aveva messo un potente sonnifero nel tè di Dove. La guardia del corpo, abituato a berlo ogni sera, lo sorseggiò, cadendo così in un sonno profondo. E così ora la giovane Gold, con Excalibur appresso, si trovava a seguire il padre a debita distanza per non essere vista, per poi nascondersi dietro a un albero e osservare Gold che si avvicinava a August.
“Vedo che hai accettato il mio invito. Apprezzo che qualcuno almeno mi ascolti” disse Gold. Rose si nascose ancora di più dietro all’albero: che suo padre l’avesse scoperta? Vide però August porgere l’attenzione e Gold aggiunse: “ Io so chi sei e so cosa stai cercando.”
“Be', allora possiamo smettere di fingere, finalmente” disse August. Poi aggiunse quell’unica parola che Gold non sentiva da tanto tempo da parte di quella persona: “Papà” e Rose rimase a bocca aperta. Aveva un fratello? Allora come mai suo padre non le aveva mai parlato di lui? Troppe cose ancora non tornavano e voleva capire. Capire la verità.
 


Note dell'autrice: Buona sera Oncers ed eccomi qua con un altro capitolo terminato. Ormai sono alla fine della prima stagione. Credo altri due capitoli e poi passerò alla seconda stagione. Che dire è successo di tutto. Cmq volevo fare i complimenti al grande Ade: lo adoro. Va bè, mi sta già piacendo questa quinta stagione, ma voglio vedere più rumple (la 5x14 sarà rumple centri yeahhhhhhhhh) e più rumbelle....e baby ( a proposito congratulazioni a emilie che è diventata mamma della piccola Vera Audrey)
Ripassiamo al capitolo... come vi ho detto è successo di tutto. Ma cosa più importante Gold racconterà tutta la verità a Rose? Staremo a vedere
Volevo ringraziare tutti coloro che stanno seguendo la storia. che la stanno recensendo o semplicemente leggendo. E anche che l'hanno messa tra le preferite. Grazie. Inoltre un enorme grazie alla mia amica Lucia.
Con ciò (e sperando di non avervi troppo annoiato) vi aspetto al prossimo capitolo. Buona serata, dearies
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 



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Capitolo 35
*** Verità e spiegazioni - Parte I ***





The Rose of true Love


 
 
  Capitolo XVIII: Verità e spiegazioni -  Prima Parte

 
Rose rimase a bocca aperta. Da quando aveva un fratello? Suo padre non gliene aveva mai parlato. Tante cose non tornavano e suo padre le stava tenendo nascosta la verità sul passato. Li vide abbracciarsi e vide suo padre… piangere. L’ultima volta aveva pianto quando l’aveva riabbracciata dopo che lei era stata salvata dalla miniera.
“Figlio mio. Figlio mio adorato. È chiedere molto, ma riuscirai a perdonarmi?” domandò Gold tra le lacrime.
“Sì, padre. Ti perdono” rispose August. Anche Rose stava piangendo. Ma non sapeva se per quel dolce ricongiungimento o perché suo padre le aveva nascosto di avere un fratello.
I due si strinsero forte per poi lasciarsi. Poi Gold disse: “Stavi cercando il pugnale, vero?”
“Volevo vedere se l’avevi ancora con te. Perché avrebbe significato che non sei cambiato” disse August. Rose si asciugò le lacrime e sgranò gli occhi. Di quale pugnale stavano parlando?
“Ma io sono cambiato. Lo sono per la piccola Rose” disse Gold. Ma, dopo aver visto lo sguardo poco convinto di August, aggiunse: “Recuperiamolo e me lo dirai tu stesso” e, dopo aver preso una pala lì accanto al cottage, si avventurarono nella foresta. Rose guardò Excalibur e sottovoce le disse: “Seguiamoli. Voglio scoprire di più” ma la volpe scosse negativamente la testa. Quindi Rose aggiunse: “Anche tu stai nascondendo qualcosa come papà? Senti, se verrai con me, non svelerò a papà il tuo nascondiglio segreto di carne che hai vicino alla siepe. Ti ho vista l’altro giorno mentre ci portavi una bistecca che papà aveva appena preso al supermercato. Quindi vedi di seguirmi o spiffererò tutto” e si incamminò per la foresta. Excalibur fece rotolare– per la rabbia – un sasso con una zampetta per poi seguire la padroncina.
Poco dopo, sempre stando nascosti dietro a un albero, videro August scavare con la pala, mentre Gold accanto a lui diceva “L’ho sepolto qui quando è arrivata Emma in città. Le cose stavano cambiando. Non volevo rischiare che lo trovasse Regina.”
“Capisco. E Rose sa di tutto questo?” chiese August continuando a scavare.
“Certo che no. Ho cercato di tenerle nascosto il più possibile sul mio passato” rispose Gold.
“Quindi anche di me?” domandò August guardandolo.
“Non volevo commettere gli stessi errori che avevo commesso con te. Ho cercato sempre di essere un buon padre per lei. Di non farle mancare nulla. Di renderla felice come invece non ho fatto con te. Perdonami per tutti gli sbagli che ho commesso. Voglio molto bene alla mia bambina. Ma voglio molto bene anche a te, Bae” spiegò Gold.
August non disse nulla e continuò a scavare, finché Gold non disse: “Ecco. Dovrebbe essere proprio qui. Guarda” e, dopo essersi abbassato, con una mano tirò via un po’ di terra, dalla quale ne estrasse un panno. Lo adagiò a terra e, aprendolo, prese il pugnale. Era ondulato, grigio e c’era scritto Tremotino. Gold si rialzò aiutandosi con il bastone. Excalibur emise dei versetti e Rose le coprì subito la bocca. Sia Gold che August voltarono gli sguardi nella direzione dalla quale avevano sentito i versetti. Ma, non vedendo nessuno, si riguardarono e Gold, porgendo il pugnale ad August, gli disse: “Prendilo tu. Distruggilo! So che hai sempre desiderato farlo. Ora che ti ho trovato non mi serve più. L’ho scelto a suo tempo. Ora scelgo te.”
August prese in mano l’oggetto per poi dire: “Un gesto ammirevole. Sei davvero cambiato per la piccola Rose.” Ma poi, facendo qualche passo indietro, glielo puntò contro aggiungendo: “In nome del buio e delle tenebre sottomettiti, Oscuro Signore.”
Rose rimase a bocca aperta ed Excalibur drizzò le orecchie. Suo padre era il Signore Oscuro? Henry gli aveva accennato di lui. Ma non si sarebbe mai immaginata di essere sua figlia.
Gold guardò stranamente August. Poi stupito domandò: “Stai cercando di controllarmi?!”
“Obbedisci ai miei ordini, Oscuro Signore!” gridò August. Rose voleva tanto uscire e aiutare suo padre, ma sapeva benissimo che quest’ultimo sapeva difendersi anche da solo. Infatti Gold, dopo aver fatto qualche passo verso August, replicò puntandogli un dito contro: “Tu non sei mio figlio! Tu non sei Baelfire, vero?!”
“Padre, perché pensi questo? Cerco solo di usare il tuo potere per…” chiese August. Gold lo bloccò, replicando: “Fa' silenzio! E’ finita, Booth, o chiunque tu sia! Mio figlio non avrebbe mai cercato di usarmi! Lui saprebbe che questo pugnale non è in grado di fare magie in questo mondo perché non esiste la magia in questo mondo! Ecco il motivo per cui ha scelto questo posto: non voleva che adoperassi la magia!” e, prendendo August per il polso, riuscì a riprendersi il pugnale.
“Perché seppellirlo se è inoffensivo?” domandò August.
“Io non lo definirei inoffensivo: è affilato e taglia la carne in modo eccellente. Ma ora è giunta l’ora di rispondere a qualche domanda, non trovi? Perché questa messinscena? Ma perché non venire subito da me?” chiese Gold.
“Dovevi desiderare questo incontro. E desiderarlo così disperatamente da ignorare quello che ti dicevano i tuoi occhi. Gli assomiglio almeno un po’?” rispose August.
“E come facevi a sapere del pugnale?” replicò Gold.
“Ho sentito delle cose” rispose August.
“Qui nessuno sa di questo pugnale!” replicò Gold avvicinandosi a lui. August indietreggiò fino a finire con la schiena contro un albero. Per poi dire: “No. Qui nessuno ne ha memoria.”
“Tu sì, però. Tu vieni da lì, dico bene? Dal mio mondo” disse Gold.
“Se mi fai questa domanda vuol dire che sai già la risposta” disse August.
“Ora che questo dettaglio è stato chiarito” iniziò col dire Gold e, avventandosi su August, mettendogli il pugnale alla gola, aggiunse: “ Potrai rispondere alle altre domande. Come fai a sapere di me e di questo pugnale?”
“Me l’ha detto una fata” rispose August.
“Per quale ragione lo volevi? Appurato che sai ogni cosa di me, dovresti anche sapere di cosa sono capace e che le tue possibilità di sopravvivere a questo incontro sono piuttosto limitate. Perché correre un rischio simile? Soprattutto se consideriamo il fatto che hai usato la mia piccola Rose per arrivare a me! Nessuno si serve della mia bambina per dei loschi scopi come i tuoi! Ti sei approfittato della sua gentilezza per diventarle amico e avvicinarti ancora di più a me! Sappilo, mio caro, che non le starai più accanto e non la rivedrai più!”
“Coraggio, uccidimi. Intanto sono destinato a morire comunque” disse August. Gold stupito disse: “Cosa?” e Rose rimase a bocca aperta.
“Sono malato e ho bisogno della magia. Volevo che la Salvatrice iniziasse a credere. Ma è testarda e io non vivrò abbastanza per assistere all’evento. Così ho pensato di tentare con Rose. Ma anche con tua figlia, all’inizio, è stato molto difficile. Stentava ad avvicinarsi a me. Diceva che tu non volevi che parlasse con gli sconosciuti. Hai una brava bambina e dovresti essere orgoglioso di lei” spiegò August. Gold gli spostò il pugnale sulla guancia, costringendolo a voltarsi da una parte. Poi replicò: “Lo sono e molto. Ma mia figlia non è più di tua importanza. Il tuo unico scopo deve rimanere la Signorina Swan. Lei si fida di te e potrebbe bastare. Tenta di nuovo” e gli tolse il pugnale da sopra la guancia per poi allontanarsi.
“Non mi vuoi uccidere?” domandò August.
“Sei destinato a morire comunque. Se non ti uccido ho la possibilità di guadagnarci qualcosa. E poi, odio doverlo ammettere, ma sembri simpatico a Rose” rispose Gold e, voltandosi, si incamminò. Si sentirono dei versetti e videro comparire Excalibur, che camminò verso August. Gold la seguì con lo sguardo e stupito disse: “Excalibur?! Tu dovevi essere a casa con…” Ma non fece in tempo a finire la frase che da dietro un albero vide spuntare Rose, che semplicemente disse: “Ciao, papà.”
“Rose, che cosa ci fai qua? Ti avevo detto di rimanere a casa” chiese Gold.
“E invece, a quanto pare, ho fatto bene a venire, perché non avrei mai scoperto di avere un fratello. Anche se non è August. E non avrei neanche scoperto che tu sei il Signore Oscuro. Che cos’altro mi vuoi ancora nascondere?!” replicò Rose. Gold non disse nulla. Rose si voltò per andarsene. Ma il padre la raggiunse e, dopo averle messo una mano sulla spalla, la girò verso di sé, dicendole: “Pensavo che dirti la verità, ti avrebbe fatto scoprire quel lato oscuro di me e io non volevo che mi vedessi come un padre cattivo.”
“Non è il nascondermi di avere un fratello che ti rende un cattivo padre. Ma il fatto che continui a non rivelarmi nulla sul tuo passato. Sul nostro passato. Ho scoperto più cose dagli altri che da te, che sei mio padre. Perché ti comporti così?” disse Rose. Gold la guardò. Poi, disse: “Vieni con me. Ho molte cose da dirti” e si incamminò verso il cottage. Rose guardò August e, vedendo che stava accarezzando Excalibur sulla testa, decise di lasciarli da solo e seguire il padre.
Poco dopo, Gold e Rose erano seduti nel retro del cottage e stavano guardando il lago davanti a loro. C’era silenzio. Ma poi Gold parlò: “Quando eri piccola ti portavo qua ogni estate, per stare lontano dagli sguardi indiscreti degli altri abitanti. Loro hanno sempre pensato che io non fossi capace di fare il padre e amare qualcun altro. Così venivamo qua. Volevo stare solo con te.” Ci fu altro silenzio. Poi fu Rose a parlare: “Come hai perso Baelfire?” e guardò il padre. Quest’ultimo la guardò a sua volta e, dopo aver fatto un lungo sospiro, spiegò: “A causa del potere. L’ho scelto al posto di mio figlio. Lui vedeva che il potere mi stava consumando. Mi stava facendo diventare oscuro e sempre meno il padre premuroso che lui conosceva e che l’aveva allevato da solo.”
“Da solo? E la sua mamma?” domandò Rose.
“Mia moglie – Milah era il suo nome – non voleva più stare con un uomo come me. Ero diventato il codardo del villaggio, dopo che avevo abbandonato la guerra degli orchi lasciando che i miei compagni andassero incontro a morte certa. Ma non volevo che mio figlio restasse senza padre. Così ritornai da mia moglie e da Bae appena nato. Appena me lo mise tra le braccia, capii subito che dovevo proteggerlo. Gli sarei sempre stato accanto. Così come ho fatto la stessa identica promessa quando tenni te per la prima volta tra le mie braccia” spiegò Gold e le accarezzò una guancia con il dorso della mano. Rose sorrise. Poi chiese: “Ma Milah che fine ha fatto?”
“L’hanno presa dei pirati e non è più tornata. Così ho dovuto raccontare a Bae che sua madre era morta. Mi sono occupato di lui fino all’adolescenza. Fino a che non doveva essere preso per la guerra degli orchi. A quel tempo, venivano reclutati i ragazzi e le ragazze che avevano compiuto quattordici anni. Non volevo perdere mio figlio e così scappammo. Fu però invano. Bae doveva andare in guerra. Così decisi di affrontare il Signore Oscuro e lo uccisi non rendendomi conto che tutto quel potere passò poi a me. Con il trascorrere del tempo il potere mi dava soddisfazione.  Mi stava anche facendo cambiare e Bae lo aveva notato. Così chiese aiuto a Reul Ghorm, la Fata Turchina, che gli diede un fagiolo magico” spiegò Gold.
“Un fagiolo magico?! Proprio come quello che c’è nella storia che mi racconti di “Jack e il Fagiolo Magico" disse stupita Rose.
“Sì, ma questo non fece crescere un’enorme pianta di fagiolo. Aprì un portale per un altro mondo. Un mondo senza magia. Dove voleva andare Bae insieme a me. Lui ci scivolò dentro e non riuscii a tenergli la mano. Il portale si chiuse e lo persi per sempre. Passai anni per cercare un sortilegio adatto per venire qua. Fu così che creai la maledizione che poi Regina scagliò” spiegò Gold. Nessuno dei due proferì parola. Poi Rose domandò: “E per quanto riguarda la mamma? Come vi siete conosciuti? Ed è vero che l’hai salvata dai lupi?”
Gold la guardò stranamente. Poi rispose: “Sì, l’ho salvata dai lupi. Tua madre era una testona e…” dopo aver visto Rose inarcare un sopracciglio, si schiarì la voce e proseguì: “Diciamo che l’avevo un po’ spaventata. Lei scappò via nella foresta per poi essere inseguita dai lupi. Fortunatamente arrivai in suo soccorso. Spaventai i lupi e ritornammo al castello. Da quel momento mi promisi di non perderla più d’occhio. E per quanto riguarda come l’ho conosciuta, è stato tramite un patto. Lei chiamò aiuto per fermare la guerra degli orchi nel suo regno. Avonlea. Fermai la guerra ma, in cambio, volevo tua madre con me, per sempre. Lei accettò. Rinunciò a tutto. A suo padre. Al suo regno. Lei era la donna più coraggiosa che conoscessi e non la trattai mai come una serva. Lei era una donna eccezionale. Premurosa e gentile, seppur io la trattassi a volte male. Lei vide del buono in me. Riuscì ad andare oltre le apparenze. Ritrovò quel lato umano che avevo perso da tempo. Ci innamorammo e tempo dopo nacqui tu. Insieme a tua madre eravate ciò che avevo di più prezioso e sapevo che avrei dovuto proteggervi da qualunque cosa.” Rose si appoggiò contro la spalla di suo padre e quest’ultimo la strinse forte a sé.
I due guardarono in silenzio il lago di fronte a loro. Poi Rose chiese: “Allora, come ti senti?”
“Dovrei essere io a fare questa domanda a te, no?” domandò Gold.
“Sì… Allora come ti senti?” chiese nuovamente Rose. Gold sorrise e scosse negativamente la testa. Poi baciò Rose sulla fronte e  guardandola  le rispose: “Bene. Molto bene” e anche Rose sorrise.
Poco dopo i quattro – ormai usciti dalla foresta – si incamminarono verso il centro della città.
“Sai papà, dovremmo andare spesso al tuo cottage: si sta bene” propose Rose mentre camminava di fianco a Gold, che disse: “Quando tutto questo sarà finito, ti prometto che ci andremo e passeremo lì tutto il tempo che vorrai.” Sentirono dei rumori e poi August, dietro di loro, replicare: “Per favore, potete farla smettere? Mi sta irritando.” Voltarono lo sguardo per vedere Excalibur mordere un rametto. Guardare August e morderlo nuovamente.
“Si sta solo divertendo” disse Gold.
“Divertendo?! Lo sta facendo apposta!” replicò August ed Excalibur morse ancora il rametto. Gold riguardò avanti e, facendo un piccolo sorriso, disse: “Se ti dà tanto fastidio la cosa, perché non le giri semplicemente alla larga? Non vedo quale sia il problema.” August preferì non replicare. Sapeva che con Gold era una battaglia persa.
Arrivarono in centro. C’era tanta gente intenta a fare compere tra le varie bancarelle. A loro si affiancarono Jefferson e Paige.
“Ma dove eravate finiti? Vi abbiamo cercato dappertutto” domandò Jefferson.
“A fare una passeggiata nel bosco” rispose Gold.
“A quest’ora?!” disse stupito Jefferson.
“Ci andava di fare una passeggiata nel bosco a quest’ora. E, per la cronaca, non sono affari tuoi” disse Gold.
“A proposito di affari, dovresti andarne fiero: alla bancarella del convento non è ancora stata venduta nessuna candela. Sai cosa vuol dire?” disse Jefferson.
“Che tutti usano l’elettricità” disse Gold. Ma dopo che Jefferson lo ebbe guardato stranamente, aggiunse: “So benissimo cosa vuol dire ma la cosa, per ora, non mi importa.”
“Dovrebbe, anche perché la Signorina Blanchard e Leroy sono spariti” disse Paige. Quindi Rose, alzando lo sguardo, disse: “Ehi, guardate là” e anche gli altri cinque alzarono lo sguardo nella direzione che stava indicando, per vedere Leroy e Mary Margaret sul tetto dell’edificio dietro di loro.
“Che stanno facendo?” chiese Jefferson.
“Non lo so e non mi interessa” replicò Gold.
“Gentile come sempre nel preoccuparti dei tuoi affittuari” disse Jefferson. Quindi Leroy, utilizzando un piccone, ruppe le luci. Tutto divenne buio. La gente incominciò ad andare nel panico.
“Jefferson, lasciami subito la mano” disse Gold.
“Come hai fatto a capire che sono io?” domandò Jefferson.
“Perché uno sano di mente non lo avrebbe mai fatto. E tu non sei sano di mente” rispose Gold. Jefferson tolse subito la mano per poi dire: “Rilassati, amico. E goditi ogni giorno come se fosse il tuo compleanno.”
“Volevi dire non compleanno” lo corresse Gold.
“Mi hai preceduto, ma sai bene quanto me che meno nomino quel posto e meglio sto” disse Jefferson. La gente continuava ad agitarsi, quindi Gold disse alla figlia: “Rose, mi raccomando, stammi vicino.” Seppur il padre non potesse vederla, la bambina annuì. Poco a poco le acque si calmarono e tutti, per farsi luce, acquistarono le candele delle suore. Leroy e Mary Margaret le venderono tutte. Quasi tutte.
“Una, per favore” disse sorridendo Rose, mostrando ai due una banconota da dieci dollari.
“Rose, dieci dollari ma…” iniziò col dire stupita Mary Margaret. Ma Leroy, prendendo la banconota, disse: “Vanno benissimo ed è fortunata, Signorina Gold, perché è rimasta giusto l’ultima candela. Chissà che non sia speciale” e consegnò la candela a Rose. A lei si affiancò Gold che, con accendino in mano, disse: “Come è diventato caritatevole, e tutto per avere cinquemila dollari. Si è abbassato bene per delle suore” e accese la candela.
“A quanto pare anche lei si è abbassato bene, visto che ha acquistato una candela. Oh, ma se ben ricordo, era già accaduto anche quella volta davanti al supermercato dove prese una candela a sua figlia che ne voleva una. Si potrebbe pensare che non voglia proprio chiudere il convento e che le suore, sotto sotto, le stiano anche simpatiche” spiegò Leroy. Gold lo guardò malamente per poi dire: “Attento a come parli, perché il naso ti si potrebbe anche allungare” e, mettendo un braccio intorno a Rose, si allontanò dalla bancarella.
“Sa benissimo che è la verità” disse Leroy.
Gold e Rose raggiunsero Jefferson, Paige, August ed Excalibur.
“Tutto è bene quel che finisce bene e sono contenta che la tua idea di aiutare Mary Margaret sia andata a buon fine” disse Paige.
“Shhh! Zitta, Paige” disse Rose. Ma era troppo tardi, perché Gold aveva già ascoltato tutto. Infatti chiese, guardando la figlia: “Che cosa ti avevo detto a proposito della Signorina Blanchard?”
“Che è una brava ragazza che non ha mai fatto del male a nessuno e che odia le mele rosse?” domandò Rose, sorridendo.
“Sul fatto che odi le mele rosse ti do ragione. Ma è sul resto che non mi hai ascoltato. Ti avevo detto di lasciare perdere e di non immischiarti nelle sue faccende sentimentali. Invece ti becco a vendere candele insieme a lei e a quel nanerottolo scorbutico” spiegò Gold. Poi guardò Jefferson e aggiunse: “E tu non glielo hai nemmeno impedito!”
“Ehi, perché mi tiri in ballo?! Non è mica mia figlia!” replicò Jefferson.
“Erano sotto la tua responsabilità” disse Gold.
“E tu te ne andavi a zonzo per seguire questo qua” disse Jefferson indicando August. Quest’ultimo disse: “Per favore, ora non tiratemi in ballo. Preferisco non prendere le difese di nessuno.”
“Infatti non voglio la tua difesa” replicò Gold.
“Non starlo ad ascoltare. Comunque, non credo di esserci mai presentati” disse Jefferson e, allungando un braccio, aggiunse: “Jefferson”
“August Booth” disse August e i due finirono di stringersi le mani.
“Bene. Ora che vi siete presentati possiamo anche andarcene a casa” disse Gold.
“Che fretta hai? Qui si sta benissimo” disse Jefferson.
“Parla per te. Per me ci sono troppe persone nocive” disse Gold e squadrò le suore.
“La metti sempre sul catastrofico. Dovresti invece prendere il tutto con serenità. Sai, staresti anche meglio” disse Jefferson.
“Sto già meglio, senza che tu mi consigli i metodi migliori per farmi piacere quelle suore! Non lo prenderò mai in considerazione” replicò Gold. Mentre loro parlavano, Excalibur drizzò le orecchie. Voltò lo sguardo quando sentì dei fischietti e vide una mano tra i cespugli che teneva una pallina. La volpe andò quatta quatta verso la siepe e, quando vi fu vicina, la mano scomparve. Excalibur, allora, sorpassò la siepe. Rose e Paige la guardarono appena videro scomparire la lunga coda al di là della siepe.
“Dove pensi stia andando?” chiese Paige.
“Non lo so. Ma sento che succederà qualcosa di brutto se non la fermiamo” rispose Rose e seguì la volpe.
“Rose, ma dove vai?” disse Paige. Vedendo che l’amica non l’ascoltava, stava per seguirla quando a lei si affiancò Henry. Quest’ultimo la salutò per poi domandarle: “Dove è andata Rose?”
“Sta seguendo Excalibur che, a sua volta, segue qualcosa per lei interessante” rispose Paige. Henry la guardò stranamente. Quindi Paige spiegò: “Henry, è una volpe: seguirebbe qualsiasi cosa che l’attiri. Anche qualcuno che non conosce che la vuole attirare da qualche parte… …oh …oh.”
“Che c’è?” chiese preoccupato Henry.
“C’è che Excalibur e Rose sono nei guai. Presto, dobbiamo seguirle” rispose Paige e, dopo aver preso l’amico per mano, corse nella direzione nella quale erano andate Rose ed Excalibur. Proprio queste due si erano ritrovate in mezzo a una piccola boscaglia. Era ormai evidente che non si trovavano più in centro città. Excalibur annusava a terra alla ricerca della pallina – ma soprattutto di quel qualcuno che l’aveva - ma, stranamente, si era come volatilizzata.
“Excalibur, ritorniamo dagli altri. Quella cosa che stavi seguendo non c’è più. Anche se non capisco il senso di tutto questo” disse Rose.
“Ma noi invece sì” disse, a un certo punto, una voce e davanti alle due comparve una persona. Excalibur le ringhiò contro.
“Lucy! Che cosa ci f…” replicò Rose. Ma non fece in tempo a finire la frase che qualcuno comparve dietro di lei, mettendole un panno sotto il naso. Rose si sentì mancare e svenne tra le braccia di questo qualcuno.
“Ottimo lavoro, mio fido collaboratore. Ora portiamola via prima che arrivino i suoi soccorritori. Prima mi è sembrato di sentire dei passi” disse Lucy. Ma, prima che i due se ne andassero, Excalibur saltò addosso a questo qualcuno, mordendogli il sedere.  Henry e Paige fortunatamente sentirono il grido.
“Hai sentito anche tu?” domandò Paige, fermandosi.
“Sì: sembrava un grido” rispose Henry.
“Presto, non c’è un minuto da perdere” disse Paige e ripresero a camminare nella direzione dalla quale avevano sentito il grido.
Le mandibole di Excalibur erano ben salde sul sedere dell’aggressore, che non riusciva  a togliersi di dosso la volpe. Quindi gettò lo sguardo su Lucy, che lo fissava a sua volta divertita.
“Non stare lì a non fare nulla e aiutami!” replicò l’aggressore. Lucy sbuffò e, dopo aver preso un rametto lì a terra, si avvicinò a lui dicendo: “Quanto la fai tragica. È solo un piccolo sacco di pulci che non smette di ficcanasare il naso in faccende che non le riguardano” e colpì Excalibur con il rametto, facendola guaire e cadere a terra. Gettò quindi il rametto da una parte e, guardando l’aggressore, aggiunse: “E ora andiamocene prima che il caro paparino si accorga della scomparsa della sua adorata figlia. E poi dobbiamo continuare a rispettare il piano stabilito” e, con l’aggressore che teneva una Rose svenuta sulla schiena, se ne andarono.
Poco dopo, in quello stesso posto, arrivarono Paige e Henry. Si fermarono e, mentre riprendevano fiato per la corsa appena fatta, si guardarono intorno cercando la loro amica.
“Sei sicura che il grido provenisse proprio da qua?” chiese Henry.
“Sicurissima. Rose ed Excalibur devono essere state qua. E scommetto che con loro c’era anche qualcun altro” rispose Paige. Sentirono dei guaiti. Abbassarono lo sguardo per vedere Excalibur – con qualcosa in bocca – zoppicare verso di loro. Si inginocchiarono.
“Excalibur, che cosa ti è successo? Sembra che qualcuno ti abbia fatto del male” disse stupita Paige accarezzando la volpe sulla testa.
“Che cosa ha in bocca?” domandò Henry e prese quel che la volpe teneva fra i denti. Entrambi guardarono l’oggetto.
“Sembrerebbe un pezzo di vestito” rispose Paige.
“Excalibur deve averlo strappato a colui che abbiamo sentito gridare prima. Ben fatto” disse Henry guardando la volpe.
“Ma Rose dov’è? Non mi dire che…” disse preoccupata Paige.
“… che qualcuno l’ha rapita” finì Henry.
“No. Fa’ che non sia vero. Ti prego” disse Paige.
“Purtroppo credo che sia così” disse Henry guardandola. Sentirono Excalibur emettere dei guaiti. La guardarono e videro che con il muso stava indicando qualcosa. Paige si avvicinò e prese in mano l’oggetto: si trattava di un taccuino.
“L’aggressore deve averlo perso quando Excalibur lo ha morso ….lì” spiegò Paige un po’ imbarazzata.
“Credi veramente che appartenga all’aggressore?” chiese Henry, prendendo il taccuino. Entrambi si rialzarono.
“Henry, quanta gente perde taccuini nel bosco? E’ una prova per scoprire chi ha portato via Rose” rispose Paige.
“Allora faremo meglio a ritornare dagli altri e avvertirli. E prepararci alle ire del Signor Gold” disse Henry e, dopo che Paige ebbe preso in braccio Excalibur, se ne ritornarono al centro.




Note dell'autrice: Buona sera ed eccomi qua con la prima parte di un nuovo capitolo. Siamo agli sgoccioli della prima stagione (conto di fare altri due episodi e poi di passare alla seconda) Qua Gold si apre del tutto alla figlia (finalmente. ma nn diciamo proprio del tutto (nn le dice come è morta Belle) ) e Rose è felice che finalmente sia il padre  (e nn qualcun altro) a raccontarle la verità. Ma non è finita qua: Rose viene rapita da Lucy (che vuole fargliela pagare dal capitolo Polvere Dorata) insieme a .... (vediamo se indovinate) Chissà dove sarà stata portata? E Gold quando lo saprà come reagirà?
Ringrazio tutti coloro che continuano a seguire la fanfict (sperando di nn annoiarvi); chi la recensisce e l'ha messa tra le preferite o seguite. Grazie ancora infinitamente alla mia amica Lucia
Alla prossima Oncers e buona notte
 


 





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Capitolo 36
*** Verità e spiegazioni - Parte II ***






The Rose of true Love


 
 
  Capitolo XVIII: Verità e spiegazioni -  Seconda Parte

 
Poco dopo – e dopo anche aver raccontato tutto – Gold era furioso. Jefferson e August cercavano di calmarlo, ma inutilmente.
“Gold, agitarsi non risolverà le cose. Ritroveremo Rose. Sta' tranquillo” disse Jefferson.
“Tranquillo?! La mia bambina è stata rapita e potrebbero farle del male. È già successo tempo fa e io non ero lì per lei. Come non lo sono stato prima” replicò Gold e si passò una mano tra i capelli.
“Signor Gold, forse questo potrebbe aiutarla. L’abbiamo trovato nel luogo dove è stata rapita Rose e aggredita Excalibur” disse Paige e consegnò il taccuino a Gold. Quest’ultimo lo prese in mano, guardandolo e stringendolo, quasi accartocciandolo. Fu Jefferson a fermarlo: “Che stai facendo? Come ha detto Paige, questo potrebbe aiutarci per ritrovare tua figlia.”
“Farò la stessa identica cosa a chi ha rapito la mia bambina!” replicò Gold guardando Jefferson.
“Inoltre, Excalibur è riuscita a strappare questo dall’aggressore” disse Henry e gli consegnò anche il pezzo di indumento. Gold guardò entrambi gli oggetti. Poi volse lo sguardo verso Paige e le disse: “Hai detto che Excalibur è stata aggredita.”
“Sì, zoppicava quando siamo arrivati sul posto” disse Paige. Gold mise una mano sulla testa della volpe, disse: “Chiunque abbia fatto del male alla mia volpe e rapito la mia bambina pagherà molto amaramente!”
“Sai che le minacce non hanno mai portato a nulla?” domandò Jefferson.
“Le minacce degli altri. Ma non le mie” rispose Gold e lo guardò.
“Perfetto. Ma, prima di fare nuovamente di testa tua, ti consiglio questa volta di chiedere aiuto a qualcuno che ci possa aiutare a ritrovare Rose. Che ne dici di Emma?” propose Jefferson.
“Non credo che lo Sceriffo Swan sia molto incline nell’aiutarmi. Non le sto molto simpatico” disse Gold.
“Ma le sta simpatica Rose. Vedrai: ci aiuterà” disse Jefferson.
Poco dopo, si trovarono al commissariato. Appena entrarono, però, non solo videro Emma ma anche Ruby.
“Signorina Lucas, forse lei ci sarà più d’aiuto che lo sceriffo” disse Gold mentre teneva in braccio Excalibur.
“Grazie tante per la fiducia. Mi chiedo perché siate venuti qua se non vi serve il mio aiuto” disse Emma.
“No, no, ci serve eccome. Ma la Signorina Lucas ha ottimo fiuto per il nostro compito” disse Gold, facendo poi un piccolo sorriso.
“Sono la nuova aiutante di Emma. Ditemi tutto” disse Ruby.
“Qualcuno ha rapito mia figlia e fatto del male a Excalibur. E vorrei tanto avere qui davanti chi si è permesso di far loro del male” spiegò Gold.
“Rose è stata rapita?! E quando?!” disse stupita Ruby, alzandosi.
“Prima. Ma basta perdere tempo in chiacchiere. La mia bambina è in pericolo e io non sono al suo fianco per proteggerla. E se voi non volete collaborare, agirò da solo e qualcuno si farà molto male” rispose Gold.
“Così la risbatterò in prigione” disse Emma.
“So che sarà ben lieta di rifarlo. Ma questa volta andrò fino in fondo. Nessuno doveva toccare la mia bambina e un papà arrabbiato può diventare incontrollabile” disse Gold guardandola. Ci fu silenzio. Poi Gold aggiunse: “Bene. Se nessuno mi vuole aiutare, allora farò da solo. Ma vi avverto: così facendo mi state dando carta bianca.” Stava per uscire, quando Ruby lo raggiunse per poi digli: “Verrò con lei, Signor Gold. L’aiuterò a ritrovare Rose.”
“Bene. Almeno qualcuno ha del sale in zucca” disse Gold guardandola. Anche Emma li raggiunse. Gold, guardandola, disse: “Sceriffo Swan, vedo che ci lieta con il suo aiuto.”
“Non creda, Gold, che lo faccia per lei: lo faccio per Rose. Ancora non riesco a capacitarmi di come possa essere sua figlia” disse Emma. Gold fece un piccolo sorriso e, insieme alle due – e a Excalibur che aveva ancora in braccio – uscì dal commissariato.
Una volta fuori, Ruby chiese: “Allora, da dove incominciamo?”
“Da questo” rispose Gold e, dopo aver tirato fuori il pezzo di indumento – precedentemente consegnatoli da Henry – lo fece annusare a Excalibur e, quando ebbe finito, la stessa volpe emise dei versetti, voltando il muso a destra.
“Bene. Abbiamo una pista. Signorina Swan, a lei il prossimo passo” disse Gold. Emma lo guardò. Poi si avvicinò al suo maggiolone e, dopo aver aperto la portiera, spostò il sedile: nel retro salì Ruby, mentre davanti salì Gold. Dopo aver richiuso la portiera, Emma salì dalla parte del guidatore e partì. Non passò molto prima che domandasse: “Allora, dove siamo diretti? Spero che il fiuto della sua volpe non ci porti in qualche ristorante.”
“Lei mette sempre in dubbio le capacità altrui. Le potenzialità di una volpe vanno ben oltre che cercare cibo” rispose Gold e, dopo aver premuto un pulsante, il finestrino si abbassò. Excalibur si sporse in fuori con la testa.
“Oh mio dio: vuole uccidere la sua volpe” disse Ruby. Gold alzò gli occhi al soffitto per poi dire: “Non voglio affatto uccidere la mia volpe. Sta solo continuando a fiutare la traccia.”
Il fiuto di Excalibur li condusse davanti all’ospedale. Emma fermò la macchina e tutti guardarono l’edificio.
“Forse il ristorante era meglio” disse Emma. Senza dire nulla, Gold aprì la portiera, uscendo dalla macchina e tenendo sempre in braccio la fedele volpe. Successivamente uscirono anche Emma e Ruby. Quest’ultima, mentre camminavano verso l’edificio, chiese: “Siamo proprio sicuri che questo sia il posto giusto? Non credo che Rose lo adori alla follia.”
“Il fiuto di Excalibur non ha mai sbagliato. Perché dovrebbe proprio ora?” domandò Gold.
“Magari qua dentro c’è qualcosa da mangiare che le interessa” disse Emma. Entrarono ed Excalibur continuò a muovere il muso nella direzione della traccia fiutata poco prima. Il Dottor Whale, che stava parlando con un’infermiera, li vide e, congedandosi dalla donna, andò da loro per poi dire: “Non ricordavo che nel mio ospedale si facessero visite guidate.”
“Per correttezza si tratta del mio ospedale, Dottor Whale. E di certo non siamo qui per vederla. Il problema è un altro: mia figlia è stata rapita” disse Gold.
“E pensate di trovarla proprio qui?” chiese il Dottor Whale.
“Il fiuto della volpe ci ha portato qua” rispose Ruby.
“Signor Gold, le voglio ricordare che l’ultima volta la sua volpe si è fatta fuori tutte le ciambelle delle infermiere. Magari ,anche questa volta si è fatta guidare dal profumo del cibo” disse il Dottor Whale.
“Questa volta è diverso, perché c’è in ballo la vita di mia figlia e sono sicuro che Excalibur non sbagli” disse Gold.
“E lei crede veramente alla sua volpe? Signor Gold, mi aspettavo molto di più da lei” disse il Dottor Whale. Gold perse del tutto la pazienza e, dopo aver dato Excalibur a Ruby, spinse il dottore contro una parete, per poi mettergli il bastone – in orizzontale – contro il collo, premendolo. Poi replicò: “Stia zitto e mi ascolti! Il fiuto di Excalibur ha sempre funzionato bene. E poi, il mio istinto da padre mi dice che mia figlia si trova qua. Quindi, faccia uscire immediatamente Rose dovunque si trovi o mi basterà premere più forte contro il suo collo.”
“E a me basterà chiamare due guardie per sbatterla fuori di qua” disse il Dottor Whale. Gold digrignò i denti e premette più forte il bastone contro il collo del dottore. Quest’ultimo ormai non aveva quasi più fiato.
“Gold, adesso basta. Questo non è il modo per riavere Rose. Poi così rischia di ritornare in prigione e credo che non voglia che sua figlia la riveda dietro le sbarre, vero?” disse Emma. Gold allentò la presa e abbassò il bastone. Il Dottor Whale si portò una mano sul collo, facendo lunghi respiri.
“Così va meglio. E ora ci dica dove si trova Rose” disse Emma.  
“Stava quasi per uccidermi” disse Whale ansimando.
“Non sarebbe stata una grossa perdita” disse Gold. Whale lo guardò malamente. Poi però disse: “Non so dove si trovi vostra figlia. Ma di certo so che non è qua, o se no mi sarei accorto dei pasticci che lascia.”
“Mentire non l’aiuterà di certo. Quindi le consiglio di collaborare” disse Emma.
“Perché mai vi dovrei mentire? Quella peste non si trova qua!” replicò Whale.
“Attento a parlare male di Rose, perché ci impiegherò poco a far chiudere questa baracca” replicò Gold.
“Questa baracca ha salvato la vita di sua figlia” replicò Whale. Nessuno parlò. Poi Whale aggiunse: “La sola sfortuna di quella bambina è di avere un padre come lei. E ora, se volete scusarmi, ho dei pazienti da visitare.” E se ne andò per la sua strada.
“E ora che cosa facciamo?” domandò Ruby, mentre accarezzava Excalibur.
“Continueremo a cercarla da altre parti” rispose Emma e, insieme a Ruby, si avviò verso l’uscita. Gold, invece, andò esattamente dalla parte opposta. Le due, quindi, si fermarono e lo guardarono.
“Gold, dove sta andando?” chiese Emma.
“A cercare Rose” rispose Gold continuando a camminare.
“Ma il Dottor Whale ha detto che non si trova qua” disse Ruby.
“Il Dottor Whale può dire quello che gli pare. Ma io troverò Rose anche a costo di mettere sottosopra questo posto” disse Gold e voltò l’angolo.
“Non diceva sul serio vero? O sì?” domandò preoccupata Ruby.
“Gold non è problema nostro. È grande e sa badare benissimo anche da solo. Noi intanto continueremo a cercare Rose da un’altra parte” rispose Emma e si avviò verso l’uscita.
“E cosa ne facciamo della volpe?” chiese Ruby.
“La porteremo con noi e quando Gold avrà finito di creare casino qua dentro, verrà a riprendersela” rispose Emma uscendo dall’ospedale. Ruby guardò Excalibur, la quale spostò lateralmente lo sguardo. Quindi la ragazza le disse: “Sembrerebbe proprio che passerai un po’ di tempo con noi. Vedrai che non ti annoierai e, se avremo tempo, ti darò anche da mangiare.” Ed Excalibur drizzò le orecchie. Poi uscirono.
Ma, proprio in quel momento, nel corridoio passarono Lucy e il suo aiutante. La bambina disse: “Il piano, finora, è andato come previsto. La prediletta se ne rimarrà rinchiusa là sotto per un bel po’. Diciamo giusto il tempo per far impazzire il suo caro papà e far diventare di nuovo me popolare.” L’aiutante non disse nulla. Lucy lo guardò e gli domandò: “Hai un’aria perplessa. Che cos’hai?”
“E’ che, secondo me, siamo stati un po’ troppo crudeli con lei. Dopotutto, non ha fatto nulla di male” rispose l’aiutante.
“Non ha fatto nulla di male?! Lo ha fatto a me! Mi ha messa in ombra! Ed è tempo che lei e il suo papà paghino per questo affronto. È  tardi per farti venire i sensi di colpa!” replicò Lucy. L’aiutante non disse nulla e uscirono.
Nello stesso momento, Rose riprese i sensi. Sentì freddo e, appena aprì del tutto gli occhi, si accorse che si trovava distesa su un pavimento. Debolmente si alzò e si guardò intorno. Si trovava in una cella, ma non sapeva dove. Preoccupata e impaurita, chiamò il padre: “Papà, dove sei?”
“Non avere paura” disse a un certo punto una voce. Rose si voltò e vide qualcuno seduto sull’unico e piccolo letto presente. La bambina chiese: “Chi sei?” Quel qualcuno si mostrò nella luce: si trattava di una bellissima donna dai capelli lunghi e mossi e due occhi azzurri. Indossava una vestaglia.
“Quegli occhi… sei quella ragazza con cui ho parlato quel giorno mentre ero ricoverata qua” disse Rose.
“E tu sei quella bambina così dolce che si era preoccupata di me e che aveva detto tutte quelle belle cose su chi siamo” disse la ragazza. Rose si guardava intorno preoccupata. La donna quindi le domandò: “Che cosa ci fai qua? Non è un bel posto.”
“Non lo so. L’unica cosa che ricordo è che qualcuno ha aggredito me e la mia volpe mentre mi trovavo nella foresta” rispose Rose guardandola.
“E, se posso sapere, cosa ci facevi da sola nella foresta?” chiese la donna.
“Stavo seguendo la mia volpe che, di conseguenza, seguiva qualcun altro. E…“ sospirò ”…mi sono ritrovata qua” rispose Rose e si andò a sedere sul letto. La donna la guardò, per poi dirle: “Come può esserci qualcuno che ti odia? Sei così gentile.” Rose sorrise e disse: “Anche tu sei così gentile. Come hai fatto a finire in questo postaccio?”
“Da quel che ricordo, sono sempre stata qua e nessuno, eccetto te, è mai venuto a trovarmi” rispose la donna.
“Proprio nessuno? E i tuoi genitori? E la tua famiglia? Devi pure averceli, no?” domandò Rose.
“Mia madre è morta. Mio padre non so dove sia. E per quanto riguarda degli amici, non ne ho. Almeno da quello che ricordo” rispose la donna.
“Be', ora hai me” disse sorridendo Rose. Anche la donna sorrise e si andò a sedere accanto alla bambina.
Intanto Gold continuava a camminare per i corridoi soprastanti, non accorgendosi minimamente che la sua adorata figlia si trovasse proprio sotto di lui. Già più di una volta gliel’avevano portata via. Non avrebbe permesso che accadesse nuovamente. Era assorto nei suoi pensieri quando qualcuno disse: “Signore, vorrebbe qualcosa da bere?” Si voltò per vedere una signora di mezza età dietro al bancone, intenta a pulire un bicchiere con uno strofinaccio.
“Io e il bere non andiamo molto d’accordo” disse Gold.
“Un bicchierino non le farà male. E poi offro io” disse la signora sorridendo e mettendo il bicchiere, appena pulito, sul bancone. Gold si avvicinò. La donna gli versò qualcosa nel bicchiere. Gold fu un po’ restio. Ma poi prese il bicchiere e bevve un sorso.
“Sa Signor Gold, lei è molto famoso” disse la donna.
“Lo sono, perché vengo considerato da tutti una bestia” disse Gold.
“E’ lei che lo pensa. Ma è famosa anche la sua adorata figlia Rose che lei adora con tutto il cuore” disse la donna. Gold si fece serio e chiese: “Come conosce mia figlia?”
“Tutti conoscono la dolce figlioletta dell’uomo più temuto di tutta Storybrooke e della sua innata benevolenza nei confronti degli altri. Tratto che sicuramente avrà ereditato dalla madre” rispose la donna sorridendo.
“E lei cosa ne sa della madre?” domandò Gold.
“Oh, io so molte cose di te… Tremotino” rispose la donna. Gold inarcò un sopracciglio e, dopo aver preso il bastone che aveva momentaneamente appoggiato al bancone, si alzò, per poi allontanarsi. Ma venne fermato quando la donna aggiunse: “E so anche riconoscere un’anima disperata” Gold voltò lo sguardo. Ritornò da lei chiedendole: “Chi è lei, veramente?”
“Una persona che ti ha già aiutato in passato e che ti vuole aiutare anche ora. So che stai cercando tua figlia e che ti stai anche facendo aiutare. Ma i tuoi amici non stanno cercando nel posto giusto” rispose la donna.
“Loro non sono miei amici! E poi io lavoro molto meglio da solo!” replicò Gold.
“Vuoi ritrovare la tua amata creatura? Allora non fare di testa tua ma segui il tuo cuore. Cosa ti sta dicendo?” domandò la donna.
“Che c’è una barista che si sta immischiando nella mia vita” rispose Gold.
“Sono anche le tue battutine che non mi hanno mai fatto recare odio nei tuoi confronti, Tremotino. Ma sai anche tu stesso che il tuo cuore non è del tutto pieno d’odio. Che quel briciolo di luce è per l’amore che provi per la tua bambina. L’oscurità non ti ha del tutto privato della tua umanità. Il dolce padre è ancora lì dentro pronto a saltare fuori per proteggere la sua rosa” spiegò la donna. Gold la guardò. Poi replicò: “Lei non sa nulla della mia vita! Le ho già detto di non immischiarsi. Ritroverò da solo la mia bambina, anche se dovessi mettere a soqquadro questo posto.” Si voltò, incamminandosi.
“Se lo farà, le toglieranno la sua dolce Rose” disse la donna. Gold si fermò e la guardò. Poi disse: “Sa, potrei anche farle causa per questo.”
“Per un avvertimento? Be', se proprio vuole, allora meglio che sappia il mio nome. Mi chiamo Leota” disse la donna e gli fece l’occhiolino. Gold inarcò un sopracciglio e, dopo aver scosso negativamente la testa, si rivoltò e se ne andò. La donna lo guardò sorridendo. Lei si ricordava tutto.
Intanto, gli altri stavano proseguendo le ricerche altrove ma con scarsi risultati.
“E’ impossibile che non riusciamo a trovare una bambina di dieci anni. Non può essere sparita nel nulla” disse Jefferson.
“Be', Rose è molto brava a nascondersi. Persino il Signor Gold fa’ fatica a trovarla. Ed è suo padre. Quante probabilità abbiamo noi?” disse Paige.
“Forse sempre più di loro. Non sembra abbiano una bambina con sé” disse August vedendo Emma e Ruby raggiungerli.
“Ma hanno solo una volpe” disse Jefferson.
“Ce l’ha lasciata il Signor Gold dopo che è voluto rimanere in ospedale” disse Ruby.
“E voi lo avete lasciato fare?!” chiese stupito Jefferson.
“Non siamo le sue babysitter che dobbiamo tenerlo d’occhio” rispose Emma.
“Così facendo gli avete lasciato carta bianca. Distruggerà l’ospedale” disse Jefferson.
“Ha detto che lo metterà a soqquadro. Non che lo distruggerà. C’è differenza” disse Ruby ed Excalibur alzò gli occhi al cielo per poi scuotere negativamente la testa.
“Credimi sulla parola. Lo distruggerà. Un papà incavolato e alla ricerca della propria figlia è impossibile da fermare. Anzi, l’unica che poteva fermarlo era proprio Rose” disse Jefferson.
“Be', se ci proverà, lo risbatterò dietro le sbarre e non credo che poi Rose ne sia felice. Quindi, deve sottostare alle regole” disse Emma.
“Non credo che il Signor Gold voglia sottostare le regole. Lui stesso ne ha imposte tante a Rose” disse Paige.
“E poi nessuno è mai riuscito a imporgli qualcosa” aggiunse Henry.
“Vorrà dire che io sarò la prima” disse Emma guardandolo. Poi rivolse lo sguardo verso Jefferson quando questi disse: “ Swan, arrenditi. È una battaglia persa. E’ come se mettessi un leone in una gabbia e davanti gli mostrassi una succulente bistecca fumante.” Al sol nominare la bistecca, Excalibur si leccò i baffi e aveva ormai già anche la bava alla bocca. Poi Jefferson continuò: “Il leone farà di tutto pur di prendersi quella bistecca. Anche distruggere la gabbia nella quale è rinchiuso. Gold farà la stessa cosa con l’ospedale, pur di riprendersi Rose.”
“In quanto sceriffo, è compito mio impedirgli di commettere qualcosa di stupido. Quindi prima troveremo Rose e prima fermeremo Gold” disse Emma.
“E dove possiamo cercarla? Abbiamo praticamente guardato dappertutto” disse Ruby.
“Non dappertutto. Se no l’avremmo trovata e non saremmo qua a preoccuparci di scappare dalle ire di Gold” disse Jefferson.
“Noi non scapperemo. E per trovare Rose avremo bisogno di una pista da seguire. È così che il fiuto di Excalibur ci ha portato all’ospedale” disse Emma.
“Forse potremmo usare il taccuino e il pezzo di stoffa che avevamo trovato” propose Henry. In quel momento, Excalibur drizzò le orecchie e fiutò qualcosa. Voltò lo sguardo e ringhiò. Anche gli altri voltarono lo sguardo nella stessa direzione di Excalibur per vedere…
“Perché mai Excalibur dovrebbe ringhiare contro Sidney Glass? Non ditemi che…” disse Ruby.
“Ma certo. Abbiamo trovato un taccuino sul luogo dove Rose è stata rapita, ricordate?” disse Henry.
“E di solito i taccuini vengono utilizzati normalmente dai giornalisti per prendere appunti” aggiunse Paige.
“E Sidney Glass è un giornalista” disse Emma. Ci fu silenzio. Poi tutti corsero verso Sidney. Questi, nel vederli, cercò di scappare, ma Excalibur gli saltò addosso, mordendolo al sedere. L’uomo cadde a terra. La volpe si staccò, con un pezzo di indumento in bocca e Jefferson, accorso per primo, riuscì a bloccare Sidney.
“Salve, mio caro, vai per caso da qualche parte?” domandò Jefferson rialzandosi in piedi. Anche Sidney, tenuto da Jefferson, si rialzò per poi rispondere: “Sì, per i fatti miei.”
“Sidney Glass, sei in arresto per aver rapito la piccola Rose Gold” disse Emma.
“Non avete le prove che possa essere stato io. Non potete accusarmi ingiustamente” replicò Sidney. Emma gli mostrò il taccuino per poi chiedergli: “Questo lo riconosce?”
“Potrebbe essere di chiunque” rispose Sidney.
“Guarda caso è stato trovato proprio nel posto dove Rose è sparita e non sono in molti a girare con dei taccuini. Per lo più sono giornalisti o scrittori” spiegò Emma.
“E io ero con loro” disse August. Sidney lo guardò. Quindi August aggiunse: “Oh è vero, lei ancora non mi conosce. Mi chiamo August Booth e sono uno scrittore.”
“August, non credo che ora le presentazioni siano importanti. Abbiamo altro a cui pensare” disse Jefferson.
“Anche io. Quindi lasciatemi andare” replicò Sidney. Ma Jefferson gli strinse ancora di più una mano dietro la schiena. Per poi dire: “Perché tanta fretta? Non ti piace la nostra compagnia? E poi perché scappare se ti ritieni innocente? O forse non lo sei?” Sidney non rispose. Guardò Emma quando quest’ultima gli propose: “Se collaborerà, per lei potrebbe anche finire bene.”
“E chi mi dice che non mi prendiate in giro e poi mi sbattiate lo stesso in carcere?” domandò Sidney.
“Sono lo sceriffo. Perché mai dovrei mentirle? E poi nell’aiutarci eviterà che Gold scateni la sua ira su tutti noi. Lo sa di cosa è capace. Quindi veda di collaborare e forse si salverà” rispose Emma. Sidney non disse nulla. Jefferson allora propose: “Allora facciamo così: se non ci racconti subito la verità, ti porteremo immediatamente da Gold e poi sarà lui a pensare al resto. Sono sicuro che sarà molto contento di darti una bella bastonata in testa.”
“Non ho paura di Gold” disse Sidney.
“Davvero? Dovresti. Perché in questo momento sono sicuro che è molto incavolato per la scomparsa della sua bambina e la sua ira non può che essere fermata solamente da Rose. E se Rose manca… be’… sai già la risposta” spiegò Jefferson. Sidney se ne rimase zitto. Ma stavolta fu Excalibur che gli ringhiò contro. L’uomo la guardò, per poi dirle: “Smettila di avercela con me. Non ti ho fatto nulla.”
La volpe, camminando lentamente verso di lui per il dolore alla zampa, continuò a ringhiare. Quindi a Henry venne in mente qualcosa. Prese il pezzo di stoffa che lui e Paige avevano trovato nella foresta e lo confrontò con il pezzo di stoffa che aveva prima Excalibur tra i denti: combaciavano perfettamente. Guardò dietro Sidney e vide uno squarcio nei pantaloni. Alzò lo sguardo incrociando quello del giornalista e disse: “E’ stato lei. Lei ha rapito Rose e fatto del male a Excalibur.”
“Non avevo scelta. Sono stato costretto” disse Sidney.
“Davvero? E da chi?” chiese Emma.
“Non posso dirvelo” rispose Sidney.
“Va bene. A noi puoi anche non dire nulla. Ma vedrai che parlerai davanti a una persona” disse Jefferson. Gli altri – Sidney compreso – volsero lo sguardo verso di lui.
Nel frattempo Gold era fermo a guardare i neonati della nursery. Il vetro rifletteva l’immagine di un uomo che ormai aveva perso tutto. Sì, perché ora Gold aveva pure perso la fiducia in se stesso. Aveva cercato l’adorata figlia dappertutto. In ogni angolo, stanza e corridoio. Ma di Rose nemmeno una traccia. Sembrava sparita nel nulla.
Guardava quei neonati nati da poco. Si ricordò della sua Rose, quando Graham gliela portò in negozio dopo averla trovata nella foresta. Di quando la strinse nuovamente – dopo anni – tra le braccia. Aveva cercato di proteggerla da tutto e tutti. Si sentiva un fallito per aver mancato ai doveri di genitore. Rose non c’era e lui non poteva fare altro che colmare quel profondo vuoto che si era nuovamente formato nel suo cuore.
Guardò a destra e poi a sinistra e, dopo essersi accertato che nei paraggi non ci fosse nessuno, entrò nella nursery. I neonati stavano quasi tutti dormendo. Alcuni di loro osservavano con curiosità lo sconosciuto appena entrato nella stanza. Gold li guardava mentre passava lentamente tra le culle, ma cercava di non incrociare troppo i loro sguardi. Sembravano come lame affilate che gli trafiggevano il suo cuore già spezzato per la perdita del suo piccolo fiore.
Poi si fermò accanto a una culla dove al suo interno dormiva una neonata – a giudicare dalla cuffietta rosa che indossava. Appoggiò il bastone contro la culla. Osservava quella piccola creatura che dormiva noncurante dell’uomo che le stava accanto. Un’unica idea gli passava in quel momento per la testa. Avrebbe rischiato e lo sapeva. Ma non voleva che si ripresentasse il pensiero di rimanere nuovamente solo. Aveva già sofferto e questa volta non lo avrebbe più permesso.
Pensò agli altri genitori. Persone insignificanti al suo cospetto. Ma con un futuro più roseo già segnato dal destino. Già, perché le vite dei loro figli sarebbero state sempre al sicuro. Lontani dai pericoli che incombevano veramente in quella città celata nel mistero. E lui invece era come se fosse stato colpito da una maledizione. Una maledizione che lo tormentava da secoli e che infliggeva dolore non solo a lui ma anche a ogni membro della sua famiglia. Prima con suo figlio, perso a causa dell’avidità di potere oscuro. Poi la sua amata Belle. Una vita spezzata  troppo presto dal suo stesso padre. Accecato dalla rabbia per aver perso la figlia a causa di una bestia e dell’amore che provava. E ora la sua piccola Rose. Il più bel regalo che Belle gli avesse mai fatto. Il suo tesoro più prezioso, sempre custodito gelosamente e protetto dagli abitanti che lui stesso disprezzava. Quella dolce bambina che gli aveva ridato una speranza per vivere. Combattere per qualcosa. Combattere per quella luce che gli era rimasta nel cuore. Ma ora l’aveva persa per sempre ed era rimasto nuovamente da solo. Nessuno lo avrebbe mai più amato. Anche se…
Allungò una mano accarezzando dolcemente con il dorso la guancia della neonata. Poi disse: “Perdonami, Rose. Ma non posso permettere di sopportare altro dolore. Non verrai mai dimenticata, piccola mia. Come non ho mai dimenticato tuo fratello.” E prese in braccio la neonata. La guardò e si ricordò di quando anni fa prendeva i neonati per poi scambiarli con accordi tra le varie famiglie.
Era così intento a guardarla che non si accorse delle persone che comparvero al di là del vetro. Una di queste disse: “Gold! Rimetta subito quella neonata nella sua culla” Gold alzò lo sguardo, per trovarsi di fronte Emma, Jefferson, Ruby- con in braccio Excalibur – Henry e Paige.
“Non si intrometta, Sceriffo Swan! Non riguarda lei! Ma me!” replicò Gold.
“Gold, cerca di ascoltarla… almeno questa volta. E non fare cose stupide. Rapire una neonata non ti farà ridare indietro Rose” disse Jefferson.
“Non hai capito che Rose non ritornerà mai più da me?! L’ho perduta per sempre! E questa neonata mi riempirà quel vuoto lasciato dalla mia bambina” replicò Gold.
“Non è vero che Rose è perduta per sempre. Lei è suo padre e un padre ritrova sempre sua figlia e vuole sapere il perché? Perché non molla. Va’ fino in fondo e cerca in tutti i modi di proteggere il suo cucciolo” spiegò Henry.
“Signor Gold, non molli proprio ora: Rose ha bisogno di lei” aggiunse Paige.
“Rose non ha bisogno di me. Lei è sempre riuscita a cavarsela anche da sola, proprio come faceva sua madre. Belle amava l’avventura e voleva esplorare nuovi posti. E Rose è come lei. Solo che, riempiendola di tutte quelle regole, le ho tolto la possibilità di esaudire il sogno della madre. Facendola vivere come una prigioniera nella sua stessa casa o nel negozio. La colpa è mia. Non sono mai stato un bravo padre e mi merito  ciò che è successo. Ma…” - fece una piccola pausa - e, dopo aver guardato la neonata, continuò: “… con lei sarà diverso. Ricomincerò da capo. Non commetterò di nuovo gli stessi errori.”
“Bè, sarà felice di sapere che noi sappiamo dove si trova Rose” disse Emma. Gold alzò incredulo lo sguardo.
“O almeno sappiamo chi ci può condurre da lei” aggiunse Jefferson e fece comparire Sidney, che teneva stretto per un braccio. Lo sguardo di Gold divenne furioso.
Poco dopo – e dopo anche aver rimesso la neonata nella culla – Gold buttò Sidney contro una parete in un corridoio. Poi arrabbiato domandò: “Dov’è Rose?!”
“Non lo so” rispose Sidney.
“Non menta a me! Non glielo ripeterò più: dov’è Rose?! Dove l’avete nascosta?!” chiese Gold.
“Non ne ho idea” rispose Sidney. A quel punto, Gold perse del tutto quella poca pazienza che aveva e, dopo aver scaraventato l’uomo a terra, incominciò a picchiarlo con il bastone, proprio come quando tempo prima aveva fatto con Moe.
“Dov’è la mia bambina?! La rivoglio tra le mie braccia! Rivoglio Rose con me! Falla saltare fuori subito!” replicò Gold, continuando a picchiare l’uomo. Emma e Jefferson si posero a entrambi i lati di Gold, cercando di bloccarlo per le braccia. Quando ci riuscirono, Emma disse: “Ora basta, Gold! Credo che abbia imparato la lezione. Almeno spero.”
“Ha ragione. Non bisogna sporcarsi le mani con uomini come lui. Non ne vale la pena” disse Gold, guardando minacciosamente Sidney, il quale mentre si toccava con una mano il naso sporco di sangue – e forse anche rotto – disse: “Sua figlia si trova qua, nell’ospedale. Ma lei mi ha proibito di raccontarvi ogni cosa.”
“Lei chi?” domandò Jefferson.
“Lucy Hunter. È lei che ha quasi ideato tutto ciò. Ha sempre provato odio profondo nei confronti della Signorina Gold e voleva fargliela pagare. È da molto che escogita un piano in modo che soffrisse” rispose Sidney.
“Ora capisco perché quel giorno era venuta nel mio negozio a raccontarmi tutte quelle cose. Voleva che mi arrabbiassi di proposito con Rose e che lei, di conseguenza, si allontanasse da me. Avrei dovuto immaginarlo che quell’odiosa bambina avrebbe fatto di tutto per farla pagare alla mia” spiegò Gold.
“E’ strano che tu non lo abbia immaginato” disse Jefferson, ma dopo aver ricevuto un’occhiataccia da parte di Gold non aggiunse altro.
“Bene, ora non ci resta che perlustrare tutto l’ospedale. Rose sarà qua nei paraggi” disse Emma.
“Ho guardato dappertutto. In ogni angolo. Stanza e corridoio. Dove potrebbe essere?” disse Gold. In quel momento a Paige ritornò in mente di quella volta in cui lei, Rose ed Excalibur si erano avventurate per l’ospedale, fino ad arrivare…
“In verità ci potrebbe essere ancora un posto dove non abbiamo guardato” disse Paige. Gli altri la guardarono. Poco dopo, si trovarono davanti a una porta blindata.
“Sicura che sia qui?” chiese Ruby.
“Spero di sì” rispose Paige.
“E’ blindata. Come faremo ad aprirla?” domandò Ruby.
“Con una chiave. È così che io e Rose abbiamo fatto l’ultima volta” rispose Paige.
“Magnifico. Troviamola e salviamo Rose” disse Jefferson. Gold guardava in silenzio quella porta che gli stava di fronte. Eppure aveva cercato la sua bambina per tutto l’ospedale. Come faceva ad essergli sfuggita quella porta? Quindi guardò Excalibur ancora tra le braccia di Ruby e disse: “Scommetto che è stata Excalibur a trovare la chiave.”
“Quella, ma anche tutte le ciambelle delle infermiere” aggiunse Paige.
“Ruby, Paige, Henry, fatevi condurre dal fiuto di Excalibur. Grazie a lei troverete la chiave. Poi ritornate qua” spiegò Gold e i menzionati, insieme alla volpe, andarono alla ricerca del prezioso oggetto.
“Ci sarei potuta andare benissimo anche io” disse Emma.
“Loro sono più che sufficienti. E poi qua serve qualcuno che tenga a bada il prigioniero” disse Gold e  sorrise maliziosamente a Sidney.
“No, è che lei non si fida di loro due” disse Emma e guardò prima Jefferson e poi August.
“E secondo lei dovrei, considerando che il primo è stato isolato da tutti fino a qualche giorno fa e il secondo ha usato mia figlia per arrivare a me solo per i suoi scopi? La mia volpe è più affidabile di loro due messi insieme” spiegò Gold.
“Bel ringraziamento, dopo tutto quello che ho fatto in passato per te” disse Jefferson.
“Siamo pari, considerando quanto ho fatto anche io per te di recente” disse Gold. Jefferson non replicò. Con Gold era sempre una battaglia persa.
Fortunatamente l’attesa fu poca. Gli altri ritornarono immediatamente con le chiavi – il fiuto di Excalibur li aveva nuovamente condotti non solo alle chiavi ma anche alle ciambelle delle infermiere – che poi consegnarono a Gold. Le inserì nella serratura e la porta si aprì.
Nello stesso momento, Rose e la ragazza erano rimaste sedute sul letto della cella a parlare di ogni cosa. Quindi sentirono dei rumori. Mentre Rose si alzò, cercando almeno di sbirciare dalla finestra chi potesse essere, la ragazza disse: “Sono loro.”
“Loro chi?” chiese Rose.
“Quelli che mi danno qualcosa per farmi stare buona perché non faccio la brava. E, vedendoti, faranno del male anche a te. Devi andartene da qua” rispose la ragazza. Rose la guardò dicendole: “Non posso lasciarti qua. Anche tu devi venire con me.”
“No! Il mio posto è qua. Ci deve essere un motivo del perché io sia qua sotto. Ma tu puoi ancora scappare. Ti aiuterò io” disse la ragazza alzandosi dal letto e fermandosi di fronte a Rose. Quest’ultima prese le mani della ragazza per poi dirle: “ Tu sei una persona buona e non meriti di stare qua. Vieni con me. Vivrai con me e mio padre. Avrai qualcuno che ti vorrà bene.”
La ragazza sorrise e, dopo aver messo una mano sulla guancia della bambina, disse: “Grazie. Ma come ti ho detto, il mio posto è qua. Non ti preoccupare per me, piccola.” Anche Rose sorrise. Ma quel dolce momento venne interrotto dall’aprirsi della porta e da due infermieri, vestiti di bianco e con un carrellino con sopra siringhe e boccette. Nel vedere Rose, uno di loro, sorridendo maliziosamente, disse: “Non ci avevano avvertito dell’arrivo di una nuova paziente. Ma rimedieremo subito.” E l’altro infermiere, dopo essersi messo i guanti, prese una delle siringhe. La ragazza mise protettivamente Rose dietro di sé.
“Su, fate le brave. Non vogliamo farvi nulla di male. Solo un pizzicotto e dormirete un po’” disse il primo infermiere avanzando, insieme al collega, verso le due.
“Mentre io li distraggo, tu scappa. Si sono dimenticati la porta aperta. Di solito la chiudono sempre” disse sottovoce la ragazza.
“Non posso lasciarti qua con questi due: ti faranno del male. Scapperai con me” disse Rose.
“Non obiettare e fa’ ciò che ti ho detto” replicò la ragazza e Rose non aggiunse altro. I due infermieri erano sempre più vicini. Quindi il primo, in un movimento veloce, prese la ragazza per un braccio. L’altro allontanò Rose.
“No! Lasciatela stare! Non vi ha fatto nulla!” gridò la ragazza.
“Sta’ zitta o aumenterò la dose! E farò lo stesso anche con la mocciosa!” replicò l’infermiere che le teneva bloccato il braccio.
L’altro infermiere stava per fare la puntura a Rose. La donna, capendo subito la sua intenzione, gli diede uno spintone. L’uomo lasciò andare il braccio della bambina.
“Scappa, Rose! Va’ via da qui e ritorna da tuo padre!” replicò la ragazza. Rose la guardò, dicendole: “Ti prometto che uscirai da questo posto. O per mano mia o per mano di qualcun altro. Non verrai dimenticata. Hai la mia parola. E io la mantengo sempre” Il primo infermiere stava per prenderla, ma Rose riuscì a fuggire via.
“Non fare promesse che non manterrai” disse tristemente la ragazza abbassando lo sguardo, mentre i due infermieri, infuriati, si avvicinarono a lei, chiudendo anche la porta.
Rose correva a perdifiato quando andò a sbattere contro…
“Rose, stai bene?” domandò questo qualcuno. Rose alzò lo sguardo per vedersi di fronte Jefferson. La bambina semplicemente disse: “Portami via da qui.”
Jefferson non disse nulla e, dopo averle messo un braccio intorno, risalirono le scale. Poi, però, Rose si fermò. Quindi l’uomo, preoccupato, le chiese: “Cosa c’è? Qualcosa non va?”
“C’è una ragazza, qua sotto. Se non fosse stato per lei, non sarei mai riuscita a scappare. Le ho promesso che l’avrei fatta fuggire. O io o qualcun altro. Jefferson, voglio mantenere questa promessa. Lei non merita di stare in questo posto. Le fanno solo del male” spiegò Rose.
“Non ti preoccupare, piccola. Vedrai che le cose si aggiusteranno anche per lei. Ma ora ritorniamo di sopra, o tuo padre veramente distruggerà l’ospedale” disse Jefferson e, dopo che furono ritornati al piano superiore, Gold strinse forte a sé la sua bambina.
“Mio piccolo fiore. Sei sana e salva. Non ti lascerò mai più andare via. Mai più. Sarei stato perso senza di te” disse Gold mentre alcune lacrime gli rigavano il viso. Anche Rose stava piangendo tra le braccia del padre. Era felice di essere nuovamente con lui. Aveva paura che non l’avrebbe mai più rivisto. Invece, una ragazza dal cuore d’oro l’aveva aiutata a riunirsi con lui. Le aveva promesso che l’avrebbe salvata. E lei manteneva sempre le sue promesse.
L’abbraccio finì. Padre e figlia si guardarono e, mentre Gold teneva le mani sulle guance di Rose, Ruby domandò: “Cosa ne facciamo di lui?”
“Mandiamolo sotto un ponte” propose Paige.
“Non mettiamolo: gettiamolo” disse Rose. Excalibur ringhiò.
“Sono d’accordo con la volpe… volevo dire con Paige” disse Jefferson.
“Rose, troppo crudele. Anche se ciò che il Signor Glass ha fatto non passerà di certo inosservato ai miei occhi. Ha fatto del male sia a te che a Excalibur” disse Gold, rialzandosi in piedi.
“Lo metterò in cella” disse Emma.
“No. Ho detto che ciò che ha proposto Rose è troppo crudele. Ma ci potrebbe essere una via di mezzo tra l’ annegamento e la prigione” disse Gold e sorrise maliziosamente a Sidney, il quale però lo guardò a sua volta in modo preoccupato. E così Sidney venne messo in una delle celle d’isolamento poste al di sotto dell’ospedale.
Tutto sembrò tornare alla normalità. Paige ritornò a casa con Jefferson – ormai i due stavano formando un buon rapporto. A Excalibur venne fasciata la zampetta, in modo che non compromettesse la ferita, anche se la volpe faticava a stare ferma ed era alla costante ricerca di cibo. E per quanto riguardava Rose, Gold per sicurezza prese un paio di appuntamenti per lei dal Dottor Hopper. Non voleva che la figlia avesse incubi riguardo al posto nel quale era stata rinchiusa.
Una sera, Gold stava mettendo a letto Rose quando la bambina gli chiese: “Papà posso chiederti una cosa?” Gold la guardò e, sorridendole, le rispose: “Sì, certo, piccola.”
“Tu mi hai detto che la mamma è morta dandomi alla luce. Il Sindaco mi ha detto che è morta per causa mia. Graham mi disse che era morta proteggendomi. E se invece la mamma non fosse mai morta? Se fosse viva e qualcuno ti ha mentito per molti anni solo per farti soffrire?” domandò Rose. Excalibur, che era acciambellata in fondo al letto, alzò la testa guardando la padroncina.
Gold era rimasto spiazzato da quella domanda. Davvero c’era una possibilità, anche minima, che la sua Belle fosse ancora viva e che qualcuno gli avesse mentito per tutti quegli anni solo per farlo soffrire? E se ciò era vero, allora c’era solo una persona che avrebbe potuto architettare tutto questo.
Fece un lungo sospiro e dopo aver messo una mano sulla guancia della figlia, le rispose: “Vorrei con tutto il cuore che tua madre fosse viva. Lei ti avrebbe voluto molto bene. Anche di più di quanto te ne voglia io. Ma lei vivrà nei nostri ricordi e in quelli che l’hanno conosciuta. Non è mai stata dimenticata. Ma lascia che ti dia un consiglio: non ascoltare mai ciò che ti dicono gli altri, perché possono condurti su una strada sbagliata. Ascolta ciò che ti dice il tuo cuore. È la parte più pura di te. Non ti darà mai consigli sbagliati.”
Rose sorrise e poi disse: “Grazie, papà. Cercherò di tenerlo in mente” Anche Gold sorrise per poi dirle: “E ora dormi. È già tardi.” E le aggiustò meglio la coperta. Poi, aiutandosi con il bastone, si alzò, aggiungendo: “E se hai bisogno di qualcosa, non esitare a chiamarmi” Rose annuì. Poi disse: “Buona notte, papà. Ti voglio bene.”
“Buona notte, mio piccolo fiore. Ti voglio bene anche io” disse Gold e, dopo averla baciata sulla fronte, diede una carezza a Excalibur – che gli leccò la mano – e poi uscì. Prima di addormentarsi, Rose si rigirò un paio di volte nel letto. Poi, prese la palla di vetro che era sul comodino e la rovesciò sottosopra. Un fiocco di neve dopo l’altro incominciò a scendere lentamente sul fondo, imbiancando la riproduzione della biblioteca.  Il loro silenzio fece chiudere gli occhi della bambina, proprio nello stesso istante in cui comparve l’immagine di una donna che, dopo che due infermieri le ebbero fatto un’altra puntura, giaceva impaurita in un angolo del letto della sua cella. Dopotutto, quella palla di vetro mostrava ciò che il proprio cuore desiderava e, ciò che più Rose desiderava era poter vedere la sua mamma.



Note dell'autrice: Buona sera miei cari Oncers ed eccomi finalmente qua con la seconda parte del capitolo. Prima di tutto volevo scusarmi per l'attesa ma tra vari impegni e altro non sono riuscita ad aggiornare in tempo. Inoltre cambiavo continuamente idee e non volevo creare pasticci.
Come avrete potuto notare, Rose e Belle si sono finalmente ri incontrate dopo ben ventotto anni ( la donna ovviamente è Belle e ovviamente entrambe non sanno di essere madre e figlia). Ho voluto creare questo momento anche per far vedere un primo approccio che Rose avrebbe avuto con la madre (seppur come detto lei non sa che è sua madre) e di come Belle si sarebbe comportata nei confronti della figlia (nn sapendo che è sua figlia quella che ha di fronte). Inoltre da me Jefferson non libererà Belle per farla pagare a Regina. La libererà perchè glielo ha chiesto Rose (da me Jefferson e Paige/Grace saranno quasi dei personaggi regular. Non li metterò da parte come hanno fatto Adam e socio).
Comunque, inizialmente avevo previsto altri due capitoli prima della conclusione della prima stagione. Be' se ne è aggiunto un altro con un altro nuovo personaggio che, secondo me, ci starebbe bene nella serie (e spero lo mettano almeno nella sesta)
Con ciò ringrazio tutti/e coloro che sono arrivati fin qua senza essersi annoiati. Tutti/e coloro che hanno messo la storia tra le preferite e o seguite. Ringrazio la mia cara amica Lucia, per la sua santa pazienza
Vi auguro una piacevole nottata e al prossimo capitolo.

 

 

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Capitolo 37
*** Mai giudicare un libro dalla copertina - Parte I ***





The Rose of true Love


 
 
  Capitolo XIX: Mai giudicare un libro dalla copertina -  Prima Parte

 
Foresta Incantata
 
Qualcosa era arrivato nella foresta incantata di recente. Qualcosa che poteva sconvolgere la vita già troppo movimentata degli abitanti del luogo. E anche Belle, presa dalla sua curiosità, volle scoprire di che cosa si trattava. Ovviamente Tremotino andò con lei, prendendosi con sé anche la piccola Rose.
“Potevamo rimanercene a casa” disse Tremotino, mentre camminava per la foresta. Al suo fianco c’era Belle con Rose tra le braccia. I due adulti indossavano dei mantelli con copricapo, evitando così di essere riconosciuti e, di conseguenza, mettere in pericolo la vita della loro bambina.
“Be’, non ti ho mica chiesto di venire con noi e nemmeno obbligato. E poi io e Rose sappiamo benissimo cavarcela anche da sole. Non è vero, piccolina mia?” disse Belle, solleticando la pancia della figlia con un dito. Rose emise una piccola risata.
“Questo è un colpo basso, Belle. E poi lo sai che se sono venuto con voi, è solo per tenervi più d’occhio… e proteggervi. Se qualcuno di nostra conoscenza venisse a scoprire che Rose è viva, non sai cosa potrebbe accadere” spiegò Tremotino.
“E lo apprezziamo molto. Dico davvero. Ma dovresti anche cercare di rilassarti e goderti questo momento con la tua famiglia. E poi non riesco a capire perché tu non abbia voluto portare Excalibur” disse Belle.
“Perché deve badare al castello” disse Tremotino.
“Sii serio” disse Belle.
“Ma io sono serio. Excalibur è più affidabile di Dove e Grachen messi insieme. Della mia volpe mi fido. Di quei due no. Soprattutto di Grachen” spiegò Tremotino.
“Ricordati che devi a Grachen la vita di tua figlia. Se non fosse stato per lei, Rose non sarebbe mai nata” disse Belle.
“Me lo ricorderò quando dovrò sdebitarmi con lei. Il che non avverrà mai. Perché io non ho debiti con le fate” disse Tremotino. Belle scosse negativamente la testa.
Continuarono a camminare tra la flora, finché non sentirono una musica vivace. Emersero dal bosco e, guardando l’orizzonte aperto, scorsero il profilo lontano di tendoni da saltimbanco e artisti di strada.
 Tremotino e Belle – quest’ultima tenendo sempre ben sicura tra le braccia la piccola Rose – camminarono tra le varie bancarelle. Ma fu Belle la più curiosa. Guardava a destra e a sinistra, non riuscendo a decidere dove fermarsi. Mangiafuoco. Giocolieri. Fachiri. Facevano da padrone in quel posto quasi surreale. Lei ne rimase incantata. Mentre Tremotino tremendamente annoiato. La donna indicò poi davanti: “ Guarda. Uno spettacolo di magia!”
“Belle. Davvero. Non sei divertente” disse Tremotino.
“Sarà bellissimo. Ne sono sicura. E poi tutte quelle magie” disse Belle.
“Non scherzare. E poi sai benissimo che mi basta uno schiocco di dita per incantarti” disse Tremotino.
“Non è con la tua magia che mi incanti” disse Belle guardandolo e sorridendogli maliziosamente. Anche Tremotino le sorrise. Aveva già intuito cosa in verità dicevano le sue parole. Quella sera, dopo aver messo Rose a letto, si sarebbero divertiti.
Arrivarono in un punto dove gran parte della folla si era radunata. Si fermarono in fondo e in disparte, per non dare nell’occhio. Dopotutto, nessuno doveva scoprire che il Signore Oscuro si aggirava tra loro.
All’improvviso si creò una nube di fumo e comparve un uomo vestito di abiti colorati e adornati da campanellini. In testa indossava un grosso cappello piumato. Le persone rimasero affascinate dalla sua improvvisa comparsa. Tremotino, dall’altro canto, non ne sembrò affatto entusiasta: “Dilettante” si limitò ad esprimere. Belle lo guardò di sfuggita per poi riguardò il presentatore che, con un accenno di accento francese, disse: “Madames e messieurs, benvenuti nel mondo dove i vostri sogni si avverano. Qua incontrerete creature di ogni tipo. Alcune anche mai viste. Verranno messe alla prova le vostre paure più profonde e si alimenteranno i vostri sentimenti” e la folla emise un “ohhh” di entusiasmo e contemporaneamente stupore.
“Tutte fesserie per attirare la gente. Guardali: pendono dalla sua bocca” disse Tremotino.
“E’ il suo lavoro in quanto intrattenitore e, a quanto pare, lo sta eseguendo bene” disse Belle.
“Be’, non ci sta riuscendo con me” disse Tremotino e Belle scosse negativamente la testa. Riguardarono sul palco, dove il presentatore proseguì: “E ora, rimarrete affascinati da ciò che vi mostrerò. Occhi ben aperti per una delle creature più spaventose di questo e altri mondi e che compare solo nei vostri peggiori incubi” Scosse la mano a pugno, lasciando cadere a terra della polvere che, come prima, creò fumo. Mano a mano che scompariva portato via dal vento, si poté intravedere una figura che si muoveva o, almeno, cercava di liberarsi dalle catene che le tenevano bloccati i polsi.
Appena il fumo si dissolse del tutto, la folla rimase impassibile. Solo terrore si poté scorgere nei loro occhi. Sul palco e incatenato, c’era un ragazzo deformato. Ma non solo in viso. Ciò che colpì di più fu la gobba che gli sporgeva dalla schiena. La folla era restia nel guardarlo.
“Non abbiate paura” li rassicurò il presentatore. “Incatenato è innocuo ed è abituato alla presenza di estranei. Ma orsù, ora pensate a divertirvi. Lui non se ne avrà a male” continuò, mentre tra la folla passarono alcuni con ceste piene di frutta. Le persone presero in mano mele e arance, che poi incominciarono a lanciare al povero ragazzo. Mentre lo facevano, ridevano malignamente.
“Tremotino, dobbiamo fermare questa cosa oltraggiosa” disse Belle.
“Mi dispiace, mia cara, ma non posso fare nulla” disse Tremotino. A quel punto, Belle gli mise una mano sul braccio e, mentre lo guardava, disse: “Ma sta soffrendo. Non ha fatto nulla di male, se non solo quella di nascere così. Ti prego, per amor mio e di tua figlia, fa’ qualcosa.”
Tremotino la guardò in silenzio. Il suo sguardo si perse in quello così dolce di lei. Come aveva fatto una ragazza così ad innamorarsi di uno come lui? La risposta era tra le braccia di lei. La loro piccola Rose che, come se sentisse il dolore e l’umiliazione che quel ragazzo stava provando, aveva abbassato le piccole labbra pronta a scoppiare in un acuto pianto. E Tremotino non voleva vedere la sua bambina triste.
Con uno schiocco di dita, un fumo viola avvolse entrambe le catene ai polsi del ragazzo, liberandolo. La folla smise di lanciare la frutta e, impaurita, fece qualche passo indietro.
“E’ tutto sotto controllo. Non vi farà nulla. È innocuo” disse il presentatore. Poi, rivolto ai suoi aiutanti, aggiunse: “Prendetelo e rinchiudetelo nella sua gabbia.” Tre degli aiutanti si avvicinarono al palco da tre direzioni diverse. Il gobbo cercò di scappare, ma si trovava sempre la strada chiusa.
“Tremotino, dobbiamo aiutarlo” disse Belle.
“L’ho già aiutato prima. E poi sai benissimo che la magia ha sempre un prezzo” disse Tremotino.
“Lo so! Ma al momento fregatene! Quel ragazzo non ha fatto nulla di male e quei tre vogliono sbatterlo in una gabbia! Le gabbie sono fatte per chi si comporta male” replicò Belle.
“Pensavo dicessi che fossero per gli animali cattivi” disse Tremotino.
“Gli animali non sono cattivi. Siamo noi che li giudichiamo così, ma sono molto più intelligenti degli esseri umani” spiegò Belle. I tre balzarono sul palco ma, poco prima che prendessero il gobbo, una nube viola li avvolse, trasformandoli in tre cagnolini. Il pubblico rimase senza parole, così come anche il presentatore e lo stesso gobbo.
“Grazie, Tremotino. Sapevo che avresti capito” disse Belle sorridendogli amorevolmente.
“Ma io non ho fatto nulla. E poi non trasformo le persone in teneri cagnolini. Piuttosto, li avrei trasformati in lumache da schiacciare” disse Tremotino. Sentirono una piccola risata. Abbassarono lo sguardo e videro Rose ridere, con le manine che si muovevano al di fuori dell’asciugamano nel quale era avvolta. Capirono che era stata lei a praticare quella magia.
Tremotino mise un braccio intorno a Belle e, mentre si allontanavano dalla folla, disse: “Andiamocene da qua e ritorniamo al castello prima che Rose trasformi tutti nella carica dei dalmata.”
“Perché proprio in dalmata?” domandò Belle.
“E’ il primo cane che mi è venuto in mente” rispose Tremotino. Quindi si fermarono, sentendo gridare. Voltarono lo sguardo per vedere il gobbo scendere in mezzo alla folla  che corse da tutte le parti cercando di evitarlo.
Tremotino tenne stretta a sé Belle, cercando di proteggere come poteva le due persone più care a lui. Rose – tra le braccia di sua madre – non capiva cosa stesse succedendo. All’improvviso il gobbo capitò accanto a loro. I tre si guardarono, ma poi il ragazzo deformato puntò lo sguardo su Rose. In uno scatto veloce la prese dalle braccia di Belle e, prima che Tremotino potesse fermarlo, se ne corse via nella foresta.
“La mia bambina! Ha preso la mia bambina!” disse Belle quasi con le lacrime agli occhi.
“La pagherà molto cara! Nessuno prende qualcosa dal Signore Oscuro!” replicò arrabbiato Tremotino e scomparve in una nube viola. Belle, lasciata sola, decise di correre dietro al gobbo. Proprio quest’ultimo, con una Rose ormai in preda a un acuto pianto tra le sue braccia, stava correndo tra la folta radura e, di tanto in tanto, si arrampicava da un albero all’ altro come se fosse stato una scimmia. Ma appena scese, davanti a lui e in una nube viola, comparve Tremotino il quale, dopo essersi tolto il cappuccio da sopra il capo, replicò: “Dammi subito la bambina.”
Il gobbo si tenne stretta la bambina cercando di evitare – ma con scarsi risultati – lo sguardo poco rassicurante del Signore Oscuro. Quest’ultimo replicò: “Non mi piace ripetermi: dammi subito la bambina e non subirai tremende conseguenze!” Ma il gobbo continuava a esitare. Quella bambina poteva essere la sua via di fuga ma, se non l’avesse consegnata all’uomo davanti a lui, gli avrebbe anche potuto costare la vita.
Belle, finalmente, li raggiunse. Il ragazzo la guardò. Vide tristezza e preoccupazione nello sguardo di lei. La donna, dopo aver ripreso fiato dalla corsa appena fatta, fece qualche passo verso di loro per poi dire: “Ti prego, ridammi la mia bambina. La nostra bambina. Se ce la ridai, ti prometto che ti aiuteremo.”
“Belle” la rimproverò Tremotino. Ma la donna, continuando ad avanzare verso il gobbo, disse: “So che hai paura. So che quelle persone ti faranno nuovamente del male. Ma se verrai con noi, ti proteggeremo. Noi non siamo persone cattive.”
A quel punto, il gobbo guardò Tremotino, il quale disse: “Sei fortunato che ci siano anche lei e mia figlia qua, perché se no per te sarebbe già finita male da un po’. Ma ora gradirei che mi consegnassi mia figlia.”
Il gobbo fu un po’ titubante ma poi, avvicinandosi a Tremotino, gli consegnò Rose che, appena si accorse di essere tra le braccia del padre, smise di piangere.
Il gobbo guardò Belle che, sorridendogli, gli disse: “Grazie. Sapevo che avresti capito.”
Sentirono gridare, segno che la folla – o chiunque altro avesse inseguito il gobbo – si stava avvicinando. Il ragazzo deformato si guardò intorno preoccupato per poi dire: “Stanno venendo a prendermi. Mi riporteranno nella mia gabbia.”
“Allora parli. Stavo incominciando a pensare che fossi muto. Il che mi sarebbe andato anche bene” disse Tremotino, facendo una piccola risata. Il gobbo era sempre più preoccupato e le persone che lo volevano in gabbia si stavano sempre di più avvicinando. Poi guardò Belle quando gli disse: “Vieni con noi: ti proteggeremo e nessuno di cattivo ti farà mai più del male” ed entrambi guardarono Tremotino che stava giocherellando con Rose, mentre quest’ultima con la manina gli teneva una ciocca di capelli. Il Signore Oscuro – altamente scocciato per essere stato disturbato da quel momento padre – figlia, alzò lo sguardo per poi dire: “E va bene. Attaccatevi a me” e dopo che sia Belle e il gobbo si furono attaccati al braccio, svanirono in una nube viola.


 
Storybrooke del presente
 
I mesi passarono. Gold sfrattò Lucy e la sua famiglia, mandandoli a vivere in una vecchia casa di campagna quasi al confine della città e il padre di Lucy, da uno dei più stretti collaboratori del Sindaco e del precedente sceriffo, divenne un comune contadino e allevatore di mucche. Inoltre Mary Margaret, accusata di aver ucciso Kathryn Nolan, fu scagionata e lei e David ripresero a vedersi più spesso – seppur ancora visti malamente dalla maggior parte dei cittadini.
L’Operazione Cobra stava proseguendo bene, così come anche il rapporto tra Jefferson e Paige. La bambina si era affezionata all’uomo e quest’ultimo sperava tanto che lei si ricordasse di essere sua figlia. Le cose sarebbero state più semplici se la maledizione fosse stata in procinto di spezzarsi. Ma se da una parte Rose, Henry e Paige portavano avanti la loro operazione, dall’altra Regina cercava in tutti i modi di mettere loro i bastoni tra le ruote. Dopotutto non voleva che la maledizione si spezzasse, perché se così fosse avvenuto, lei sarebbe stata un bersaglio per tutti gli abitanti e, se anche Gold avesse scoperto chi nascondeva, la sua vita sarebbe stata molto breve.
Un giorno, Rose si trovava nel negozio del padre, china davanti alla cesta di Excalibur. Quest’ultima stava dormendo beata quando, sentendo qualcuno che la stava chiamando, aprì piano piano gli occhi per trovarsi davanti la sua padroncina.
“Excalibur. Excalibur. Su avanti, svegliati” la chiamava Rose. Di tutta risposta, la volpe sbadigliò per poi richiudere gli occhi. Rose sbuffò. Poi aggiunse: “Excalibur, non fare la dormigliona. Avanti, svegliati.”
“Rose, smettila e lasciala dormire” disse Gold da dietro il bancone. Rose alzò lo sguardo per incrociare quello del padre. Quindi gli disse: “Ma papà, non fa altro che dormire e… mangiare.”
“E’ normale per una volpe dormire tanto… e mangiare” disse Gold, facendo un piccolo sorriso.
“Papà, stiamo parlando di una volpe e non di un gatto” disse Rose e, riguardando Excalibur, aggiunse: “Excalibur, se ti svegli ti do dei buonissimi biscotti al cioccolato.”
“Rose!” la rimproverò Gold e, dopo che la figlia lo ebbe guardato, continuò: “Te l’ho già detto: niente biscotti a Excalibur! Le fanno venire un forte mal di pancia.”
“E tu cosa ne sai?” chiese Rose, alzandosi.
“Le volpi non mangiano i biscotti al cioccolato. Tu mangeresti i lombrichi?” rispose Gold. Rose fece una faccia disgustata. Gold, dopo aver sorriso soddisfatto, aggiunse: “Lo vedi? Quindi, lasciala dormire.”
“Ma vorrei portarla un po’ fuori. All’aria aperta. Nel suo ambiente naturale. Il negozio è pieno di polvere e cianfrusaglie che non fanno bene per lei” disse Rose.
“E dov’è che vorresti portarla, tanto per curiosità?” domandò Gold.
“Emmm… dal… dal… dal veterinario” rispose titubante Rose.
“Ce l’abbiamo portata l’altro giorno e ha detto che, se la sua zampa è guarita completamente, ha ancora bisogno di non sforzarla troppo. Tu non vuoi andare dal veterinario. Sei curiosa di vedere come se la cava il Signor Nolan nel nuovo posto dove l’ho fatto assumere, non è vero?” disse Gold.
“Be’… sì. Anche perché ho sentito che le cose tra lui e Mary Margaret stanno andando bene. Almeno, l’ho sentito da Henry che lo ha sentito da qualcun altro di cui non ricordo il nome” disse Rose.
Gold fece un piccolo sorriso. Per poi dire: “Ah già, ricordo che tu e i tuoi amichetti avete aiutato la Signorina Blanchard, rendendola innocente agli occhi degli altri abitanti. Ma forse ti sei dimenticata di quello che ti avevo detto, ovvero di non intrometterti nelle sue faccende sentimentali.”
“Però devi ammettere che tutto si è risolto per il meglio e che anche tu hai fatto la tua parte, in quanto eri stato il suo provvisorio avvocato” disse Rose.
“Non potevo dire di no alle suppliche di mia figlia” disse Gold.
“Ehi! Non ti stavo supplicando! Be’… forse un pochino l’ho fatto, ma almeno Mary Margaret è stata scarcerata. Katryn è viva e vegeta e David… be’… lui ora ha un nuovo lavoro e vorrei tanto vedere come se la cava. Quindi ti prego, papino, fammi portare anche Excalibur. Prometto che te la riporto tutta intera” disse Rose, facendo gli occhi da cucciola al padre. Gold cercò di evitare lo sguardo della figlia. Ogni volta che lo guardava così e lo chiamava papino, andava a toccare quella parte del suo cuore che era destinata alla famiglia. Quel bagliore di luce che ancora non era stato consumato dall’oscurità.
Sospirò per poi dire: “E va bene. Ma vedi di ritornare prima che faccia troppo buio e non far stancare troppo Excalibur. Deve ancora rimettersi del tutto.”
Rose sorrise e, dopo essersi abbassata, prese in braccio la volpe che emise un verso di disapprovazione, per essere stata svegliata improvvisamente. Poi guardò il padre, dicendogli: “Grazie, papà. Ti prometto che ritornerò prima che faccia troppo buio come mi hai detto” e corse verso la porta. Ma prima che appoggiasse una mano sulla maniglia della porta, Gold le disse: “Oggi hai giornata libera, ma da domani lavorerai qua con me.” Rose lo guardò e, stupita, chiese: “E perché?”
“Perché si dà il caso che, grazie al casino in camera tua che non viene mai messo a posto quando ti viene chiesto, sono venuto in possesso di questa” rispose Gold e da un cassetto estrasse un foglio. Poi aggiunse: “Ti dice niente?” Rose scosse negativamente la testa. Quindi Gold prese il bastone con una mano - che aveva precedentemente appoggiato al muro – il foglio con l’altra e uscì da dietro il bancone. Una volta arrivato di fronte alla figlia, continuò:
 “Dovrebbe, invece, perché questi voti in rosso non penso siano comparsi da soli, vero?” e le mostrò il foglio che, in realtà, si trattava della sua pagella scolastica. Rose era rimasta fregata. Appena ricevuta – e aver visto i brutti voti di matematica e geografia – aveva deciso di nasconderla agli occhi del padre. Ma, come sempre, lui era sempre un passo avanti a lei. Se solo per una buona volta avesse messo a posto la sua camera, forse quel foglio non sarebbe finito tra le mani di Gold.
“Scusami” disse semplicemente Rose.
“E’ tutto ciò che hai da dire a tua discolpa? Pensavo di essere stato abbastanza chiaro quando tempo fa ti dissi di impegnarti di più a scuola e, di conseguenza, portarmi a casa una bella pagella. Invece tutto ciò che ricevo è questo foglio nel quale due materie sono insufficienti, e questo perché? Perché mia figlia ha preferito passare tempo con i suoi amichetti, cercando di aiutare gli abitanti a ricordare le loro vere identità, invece di mettersi d’impegno e studiare come si deve” replicò Gold. Era chiaro che ormai si era arrabbiato.
“Scusami di nuovo, papà. Ti prometto che mi impegnerò di più l’anno prossimo. E, per quanto riguarda lavorare qua, devo proprio?” disse Rose, cercando in tutti i modi di fargli cambiare idea.
“Sì. Devi proprio e consideralo il tuo lavoro estivo. Dopotutto è il negozio di famiglia e, di conseguenza, sei inclusa anche tu” disse Gold.
“Non mi sembra che fuori ci sia scritto anche il mio nome” disse Rose.
“E’ inutile che cerchi in tutti i modi di evitare questa tua nuova opportunità di cimentarti nel mondo delle vendite” disse Gold, facendo un piccolo sorriso.
“Strano, perché per me invece ha tutta l’aria di una punizione escogitata da giorni” disse Rose.
“Guardala dal lato positivo: avrai tutta l’estate occupata e non la passerai ad annoiarti a non fare nulla” disse Gold accarezzandola sulla testa.
“Sprizzo gioia da ogni parte” disse sarcasticamente Rose.
“E ora fuori di qua, prima che cambi idea e incominci a farti lavorare già da ora” disse Gold aprendo la porta per lei e, con una mano, spingendola letteralmente fuori dal negozio. Rose si voltò e non fece neanche in tempo a chiedergli il perché di così tanta fretta di farla uscire, che Gold le chiuse la porta in faccia. Rose sospirò ed Excalibur abbassò le orecchie.
“Coraggio. Andiamo a trovare il Signor Nolan” disse Rose e, voltandosi, si incamminò. Excalibur emise un altro versetto di disapprovazione. Avrebbe tanto voluto ritornarsene a dormire nella sua cesta in negozio. Ma a quanto pareva, non aveva altra scelta che andare con la sua padroncina.
Poco dopo, Rose arrivò al canile. Era lì che Davi Nolan lavorava da un po’ di giorni. Entrò e notò subito che da ogni lato c’ erano tante gabbie con dentro varie razze di cani. Mentre camminava, essi abbaiavano cercando di attirare la sua attenzione o, semplicemente, perché avevano avvistato Excalibur. Cani e volpi non erano mai andati molto d’accordo. Da sempre acerrimi nemici anche nel passato. Si fermò non appena arrivò davanti al bancone principale. Non c’ era nessuno. Finché una delle porte si aprì e comparve David. Quest’ultimo, non appena vide la bambina, sorrise per poi dire: “Rose, che piacevole sorpresa. Che cosa ci fai qua?”
“Sono venuta a trovarti e a vedere come te la cavi con il nuovo lavoro. Allora, ti piace?” rispose Rose.
“Non mi ricorderò cosa facevo prima, ma almeno non mi posso lamentare. E devo tutto a tuo padre” disse David. Rose sorrise, mentre Excalibur teneva ancora le orecchie abbassate per poi mugugnare. Quindi David domandò: “Excalibur, che cosa c’è che non va?”
“E’ arrabbiata perché, invece di venire con me, preferiva starsene nella sua cesta in negozio a dormire e sognare chissà quale prelibatezza” rispose Rose.
“Le passerà, vedrai” disse David.
“Sì, se le metterò davanti una bella bistecca fumante” disse Rose. Al solo nominare il suo cibo preferito, Excalibur drizzò le orecchie e scodinzolò allegramente. David sorrise, ma poi alzò lo sguardo quando vide la porta d’entrata aprirsi. Rose si voltò per vedere Mary Margaret. La donna, nel vederla, disse: “Oh, ciao, Rose. Che cosa ci fai qua?”
“Salve, Signorina Blanchard. Sono solo venuta a trovare David e a vedere come se la cava nel nuovo lavoro che gli ha dato papà. Lei come sta?” rispose Rose.
“Non mi posso lamentare, anche se parecchi abitanti mi guardano ancora malamente” disse Mary Margaret.
“Non dia loro molta importanza. Mio padre dice di ascoltare sempre se stessi e mai quello che dicono gli altri, perché possono anche condurti sulla cattiva strada” spiegò Rose.
“Non pensavo che il Signor Gold fosse un uomo da dare questi consigli” disse Mary Margaret facendo un piccolo sorriso.
“Mio padre è un uomo molto misterioso e anche io non conosco ancora tutto di lui” disse Rose ed Excalibur emise dei versetti. Mary Margaret guardò David, chiedendogli: “Sei pronto?”
“Sì, sì. Lascia che mi metta la giacca e arrivo” rispose David e, dopo aver messo uno strofinaccio da una parte, andò verso l’attaccapanni.
“Pronto per cosa?” domandò Rose, mentre David raggiungeva Mary Margaret. Poi l’uomo le rispose: “Io e Mary Margaret usciamo per… una passeggiata.” Rose inarcò un sopracciglio. Più che passeggiata, quello aveva tutta l’aria di un appuntamento.
“Scusami, Rose, se non ti ho detto nulla a riguardo. Spero che tu non ci sia rimasta male” aggiunse David.
“Oh no, niente affatto. E poi ero solo di passaggio. Andate pure tranquilli e godetevi la vostra passeggiata” disse Rose. I due la salutarono e uscirono. E la giovane Gold se ne rimase lì. Contornata dai cani.
“Certo che non ci sono rimasta male. Ci sono rimasta malissimo. Ormai dedica tutto il suo tempo a quella là. Non è possibile!” replicò Rose e lasciò andare Excalibur che cadde a terra, emettendo un piccolo guaito. La bambina, quindi, disse, guardando la volpe: “Scusami. Non volevo.” Excalibur la guardò per poi grattarsi dietro un orecchio.
“Se torno in negozio, papà mi farà incominciare ora a lavorare. E per quanto riguarda Henry e Paige non so nemmeno dove siano. Non mi informano mai di nulla e, quando lo fanno, finiamo sempre nei guai” aggiunse la bambina.
Sentirono dei cigolii. Voltarono lo sguardo per vedere una delle due porte dietro al bancone aprirsi ed entrare qualcuno. Si trattava di un ragazzo e, appena si voltò, Rose rimase a bocca aperta: era deforme in viso e aveva la gobba. Il ragazzo se ne rimase immobile. Stava per andarsene quando fu Rose a fermarlo: “No, aspetta, non andartene.”
Il ragazzo si voltò e titubante disse: “Io… io… devo andare. Non posso rimanere.”
“Perché?” chiese Rose.
“Io… io… ti prego, non guardami” rispose il gobbo e si coprì il volto con le mani.
“Non fare così. Io non ho paura di te” disse Rose.
“Be’, dovresti! Sono un mostro!” replicò il ragazzo togliendosi le mani dal volto e guardandola.
“Anche il mio papà è considerato un mostro perché è crudele con tutti e a tutti fa pagare un affitto molto alto. Solo con me, Excalibur e Paige è dolce. Mio padre mi dice una frase che diceva mia madre: “Mai giudicare un libro dalla copertina.” Mi ha detto che lei non lo faceva mai e non lo ho fatto neanche con lui. È riuscita a guardare oltre la sua oscurità. E poi, chi ti dice che sei un mostro è un mostro lui stesso, perché non riesce a guardare la propria cattiveria” spiegò Rose. Il gobbo non disse nulla. Era rimasto senza parole da ciò che aveva detto quella bambina. Lei che non lo aveva mai visto e sembrava non aver paura di lui.
“Come ti chiami?” domandò Rose.
“Vi… Victor” rispose balbettando il gobbo. Poi aggiunse: “E tu?”
“Rose Gold” rispose la bambina. Victor sbiancò. Fu come se si facesse piccolo, piccolo. Rose ovviamente se ne accorse. Quindi chiese: “Che cosa c’è?”
“Sei… sei la figlia del Signor Gold. Io non sono bravo e lui non lo sa. Ma se lo dovesse sapere, mi butterà fuori dalla città” rispose tremando Victor.
“Ehi, è tutto a posto. Dirò a mio padre di non sbatterti fuori città. E poi perché mai dovrebbe farlo? In cosa non sei bravo? A me puoi dirlo” disse Rose.
“Perché dovrei fidarmi di te? Ti ho appena conosciuta e tu non conosci me e sicuramente, da brava figlia, racconterai tutto al tuo papà” domandò Victor.
“Non sono quel tipo di persona che va a raccontare tutto a tutti. Specialmente a mio padre: meno gli racconto ciò che combino e meno rischio di finire nei guai. Anche se c’è già qualcun altro che mi fa finire nei guai” disse Rose e guardò malamente Excalibur, la quale abbassò le orecchie e mise la coda tra le zampe. Poi riguardò Victor e continuò: “E poi se non so di cosa tu abbia paura, non posso rivelare nulla. Quindi, penso che tu possa fidarti di me. Sempre che tu lo voglia.”
Victor la guardò. Ci pensò. Poi disse: “Te lo mostrerò.”
Rose lo guardò con curiosità ed Excalibur drizzò le orecchie, anche lei curiosa di cosa quel ragazzo volesse mostrare loro.



Note dell'autrice: Buona sera. Credavate di esservi sbarazzati di me. Invece eccomi qua con la prima parte del nuovo capitolo. Capitolo inaspettato. Non avevo intenzione di scriverlo. Ma eccolo qua. E con un nuovo personaggio.
Sarà un episodio incentrato per lo più sui flashback nella Foresta Incantata. Conosceremo questo ragazzo deformato e con la gobba e la sua controparte a Storybrooke, ovvero Victor (chissà chi sarà mai. Ma forse lo avrete già scoperto. P.S.: Victor è il nome di un autore di un famoso romanzo ambientato in Francia e altro non vi dico) e del suo rapporto con Tremotino e la sua famiglia (Excalibur compresa ovviamente )
Sperando di non avervi annoiato, vi ringrazio per la vostra  pazienza nell'essere arrivati fino a qua (fra poco la prima serie sarà finita). Ringrazio tutti coloro che stanno recensendo la fanfict; che l'hanno messa tra le preferite e seguite. Grazie anche a tutti i nuovi lettori e nuove lettrici. E grazie ancora alla mia amica Lucia.
Con ciò ci risentiamo alla prossima parte del capitolo. Buona notte dearies e sogni "Gold"

 

 

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Capitolo 38
*** Mai giudicare un libro dalla copertina - Parte II ***





The Rose of true Love


 
 
  Capitolo XIX: Mai giudicare un libro dalla copertina -  Seconda Parte


Foresta Incantata
 
Tremotino, Rose, Belle e il gobbo arrivarono al Castello Oscuro e, mentre camminavano per uno dei corridoi, Tremotino disse: “Vedi di prestare bene attenzione a ciò che ti dirò, perché come ti ho detto prima, non mi piace ripetermi. Orecchie aperte o la tua camera saranno le prigioni”
“Mi sembra una cosa molto familiare. Dopotutto, è così che tratti la prima volta i tuoi ospiti” disse Belle. Tremotino la guardò ma non disse nulla. Riguardò avanti e, dopo essersi fermato di fronte a una porta, con un cenno della mano la fece aprire. Quindi disse: “Questa sarà la tua camera. Vedi di comportati bene e lasciarla in ordine o se no veramente ti sbatterò in prigione. È chiaro?”
“Chiaro, padrone” disse il gobbo.
“Non chiamarmi padrone! Non lo sono! La tua permanenza qua al castello non è per sempre” replicò Tremotino. Ci fu silenzio, nel quale Tremotino scambiò uno sguardo veloce con Belle. Poi abbassò lo sguardo verso la piccola Rose che teneva ancora in braccio. La bambina rideva e teneva le manine verso il gobbo. Sembrava che provasse simpatia per lui. Quindi riguardò il gobbo e aggiunse: “Ma visto che, per il momento, non potrai stare qua con le mani in mano, ti troverò qualcosa da fare. Così mi starai anche alla larga mentre faccio i fatti miei.”
“Oh, grazie, grazie. Lei è molto gentile” disse il gobbo.
“Sì, sì, sì. Ma gradirei tanto che non mi supplicassi. L’ultima persona che lo ha fatto, è finita trasformata in una lumaca” disse sorridendo Tremotino. Il gobbo guardò Belle, che disse: “Adora trasformare le persone in lumache. Anche se andrebbe bene un altro animale che non sia così viscido.”
“Ma le lumache sono importanti per l’ecosistema” disse il gobbo. Belle e Tremotino si guardarono stupiti in silenzio. Poi il Signore Oscuro, disse: “Be’… diventano soprattutto importanti quando sono io a trasformarle e a schiacciarle” ed emise una risatina. Poi aggiunse: “Ma ora basta parlare delle mie punizioni. Abbiamo altro a cui pensare” e, dopo che ebbe dato Rose a Belle, lui e il gobbo vennero avvolti in una nube viola.
Poco dopo, Belle, Rose e Tremotino si trovavano nella loro camera e, mentre Tremotino stava cambiando Rose, Belle disse: “Non dovresti essere così scontroso con quel ragazzo. Dopotutto è nostro ospite e anche tu ti sei offerto volontario per aiutarlo.”
“E quest’ultima cosa quando sarebbe venuta fuori? Forse avevo qualcosa nell’orecchio e non  avevo sentito bene” disse Tremotino guardandola.
“E’ così indifeso. Non farebbe male a una mosca. E poi Rose lo adora” disse Belle e Rose rise.
“Belle, se incomincio a ospitare persone in difficoltà, dovrei cambiare nome al Castello Oscuro e richiamarlo Castello Gioioso. Mia cara, devo mantenere una reputazione o nostre certe conoscenze inizieranno a pensare che mi sia rammollito” spiegò Tremotino e finì di cambiare la figlia.
“E va bene, ho capito che vuoi sbatterlo fuori. Ma prima di farlo, cerca di trovargli un’attività. Sono sicura che sia un ragazzo dalle mille risorse” disse Belle.
“Al momento l’ho mandato con quella odiosa portatrice di polvere magica. Se non farà il bravo con Grachen, allora mi inventerò qualcos’altro” spiegò Tremotino e, dopo aver preso in braccio Rose, si voltò verso Belle. Quest’ultima gli cinse le mani al collo e disse: “Ha solo bisogno d’affetto e di una seconda possibilità. Dopotutto, qualcosa in comune l’avete già.”
 “Non credo. Perché lui non ha due bellissime principesse come ho io” disse Tremotino e si misero fronte contro fronte mentre Rose, in mezzo a loro, rise contenta.
Poco dopo a cena, Grachen aveva appena finito di servirla. La famiglia la stava assaporando – Excalibur compresa nella sua ciotola – quando Tremotino esclamò: “Che cos’è questa schifezza?! Come al solito, Grachen, non mi stupisci affatto.”
“Gradirà sapere, padrone, che stavolta la zuppa non l’ho preparata io. Ma è opera del nuovo ragazzo che mi ha affiancato poco fa” spiegò Grachen. Tremotino, allora, guardò il gobbo, il quale balbettando disse: “Mi… mi dispiace padrone… se la zuppa non è di suo gradimento. Non…non volevo mancarle di rispetto.”
“A me la zuppa piace molto. È lui che è di difficili gusti” disse Belle. Il gobbo la guardò sorridendole. Ma riguardò Tremotino, quando disse: “Ho capito che la cucina non fa per te e, sfortunatamente, la zuppa di Grachen non mi ha ancora avvelenato.” Poi gridò: “Dove!” e, quando la guardia del corpo arrivò immediatamente al suo fianco, aggiunse: “Porta con te questo ragazzo e… e… fagli fare qualcosa. L’importante è che non mi stia tra i piedi.” Il gobbo abbassò tristemente lo sguardo e venne portato via da Dove.
“Grachen, porta via questa cosa e prepara una delle tue brodaglie che mi fanno venire il voltastomaco” disse Tremotino e Grachen, dopo aver preso il piatto, con sguardo offeso se ne ritornò in cucina. Il Signore Oscuro guardò poi Belle, che continuava a mangiare la zuppa. Quindi disse: “Smettila di mangiarla o starai male tutta notte. Mi dici poi chi penserà a Rose, quando reclamerà il latte?”
“E’ buona. Quel ragazzo ci sa fare. Non avresti dovuto fare tante storie. Tanto lo so che piaceva anche a te. Solo che le cose erano due: non volevi dare la soddisfazione a Grachen, che c’era qualcuno più bravo di lei in cucina. Il tuo orgoglio ti ha annebbiato ancora il cuore, non permettendoti di apprezzare le sue doti” spiegò Belle.
 “E ti sei dimenticata di aggiungere che ho voglia di sbatterlo fuori” disse Tremotino, alzandosi. Per poi voltarsi e camminare verso le porte, che si stavano aprendo magicamente. Poi, aggiunse: “E non dare quella roba a Rose. Se no ci terrà svegli tutta la notte e saprò a chi dare la colpa” e uscì. Belle guardò Rose nella culla accanto a sé, dicendole: “Papà ha sempre un caratteraccio. Ma non ti preoccupare: in fondo so che vuole già bene a quel ragazzo. Solo che non lo mostra, come fa con me, te ed Excalibur. Che ne dici, piccolina: più tardi andiamo a trovare quel ragazzo?” e Rose, ridendo contenta e muovendo le manine, fece alzare la tazzina sbeccata che stava di fronte alla madre, facendola sorridere.
Poco dopo Belle, con in braccio Rose e accanto Excalibur, stava camminando verso la camera del ragazzo. Bussò un paio di volte alla porta, non ricevendo alcuna risposta.
“Forse è già a letto. Dopotutto, con la giornata che ha passato, sarà molto stanco. Meglio non disturbarlo” disse Belle. Ma Excalibur, alzandosi sulle zampe posteriori, con quelle anteriori spinse la porta, aprendola.
“Excalibur, questo non si fa. Il tuo padrone non ti ha insegnato le buone maniere?” disse Belle guardando la volpe. Quest’ultima la guardò a sua volta, spostando di lato lo sguardo. Belle sospirò, per poi dire: “Evidentemente ci ha rinunciato. Be’, tanto vale entrare e dare un’occhiata” e, silenziosamente entrò, seguita dalla volpe.
Nella stanza vi era silenzio e la poca luce della luna proveniva dalla finestra aperta. Belle si preoccupò. E lo fu ancora di più quando vide il letto vuoto.
“Oh mio dio. È scappato. Devo avvertire subito Tremotino” disse Belle. Ma non fece in tempo a pronunciare il nome del Signore Oscuro che il ragazzo comparve davanti a lei. Belle tirò un sospiro di sollievo. Poi disse: “Eccoti. Ma dov’eri finito?” Il ragazzo rientrò in camera, per poi spiegarle: “Sul tetto. A me piace salirci ed ammirare le stelle. Mi fa sentire libero.”
“Ti senti prigioniero qua?” chiese Belle.
“Oh no, niente affatto. Voi siete stati così gentili con me. Anche se il padrone non sembra avere molta simpatia nei miei confronti” rispose il ragazzo. Belle gli mise una mano sulla gobba, per poi digli: “Lui fa tanto il cattivo, ma sotto sotto è buono. Molti lo considerano una bestia, ma solo perché non sono riusciti ad andare oltre le apparenze. Mai giudicare un libro dalla copertina. E non lo devono fare neanche con te. Sei un ragazzo buono e dalle grandi doti.”
“Siete molto gentile. Ma non credo di avere delle grandi doti” disse il gobbo. Rose rise. Il ragazzo avvicinò il viso e la bambina gli mise su le manine.
“A quanto pare, Rose non è d’accordo con te. Secondo me anche lei crede che tu possieda qualcosa di speciale” disse Belle.
“Forse non per il Signore Oscuro. Mi ha affidato a Grachen e sono stato un disastro. Poi sono stato con Dove e non riuscivo a seguire tutto ciò che mi spiegava. Non credo che questo posto faccia per me e sono sicuro che lui sia molto contento di sbattermi fuori” spiegò il gobbo.
“Non mi dire che preferisci ritornare da quella gente cattiva che ti teneva in gabbia?!” disse stupita Belle.
“Oh, no, no, no. Non intendevo quello. È che, vivendo con quel circo, non ho mai visto la libertà” disse il ragazzo.
“Che ne è stato della tua famiglia?” domandò Belle.
“Mia madre mi ha abbandonato dopo che sono nato. L’unico che si è occupato di me è stato il mio padrone al circo” spiegò il ragazzo.
“Come può una madre abbandonare il proprio figlio in fasce? Non può essere considerata tale. Io non lo farei mai con la mia piccola Rose. Lei è troppo importante per me e Tremotino” disse Belle, guardando amorevolmente la figlia.
“Ora ho capito perché il Signore Oscuro si sia innamorato di lei: voi siete una donna molto gentile e premurosa. E che riesce ad andare oltre le apparenze” disse il ragazzo. Belle sorrise e, dopo avergli messo una mano sulla gobba, chiese: “Credo che non ci siamo ancora presentati a dovere. Come ti chiami?”
“Quasimodo. È stato il mio padrone a darmi questo nome. Lo so. È un nome brutto. Significa “formato a metà” E’ un nome adatto per un mostro come me” rispose il ragazzo.
“Io lo trovo affascinante e misterioso. E poi, ogni nome può portare a tanto. Può essere riconosciuto, nel bene o nel male, per le azioni compiute” spiegò Belle e Quasimodo sorrise. Poi la donna spostò lo sguardo su alcuni animaletti intagliati in legno. Si avvicinò a essi e, dopo aver preso un cavallo, disse: “Sono molto belli.”
“Grazie, mia signora. Lei è molto gentile ad apprezzarli” disse Quasimodo. Belle lo guardò e, sorridendo, disse: “Sei molto bravo. Allora possiedi veramente delle doti” e, mentre parlava, Rose aveva allungato le manine verso il cavallo in legno.
“Dove mi aveva dato della vecchia legna da buttare e non più utile per ardere. Così, invece di gettarla, con un piccolo coltello che ho trovato in cucina ho deciso di intagliare qualcosa. Lo facevo sempre quando ero al circo. O almeno, quando ero solo” spiegò Quasimodo. Belle sorrise. In quel momento, gli altri animaletti di legno volarono a mezz’aria. Quasimodo sgranò gli occhi. Belle, invece, guardò la figlioletta tra le braccia, dicendole: “Rose, lo sai che non devi usare la magia. Io e il papà te lo abbiamo già detto tante volte.” Ma Rose continuava a ridere mentre guardava gli animaletti volare. La ragazza riguardò il gobbo: “Perdonala, ma a volte non riesce a controllare la sua magia. Ma Tremotino ne è orgoglioso” e Quasimodo sorrise.
Rose sbadigliò e gli animaletti ritornarono sulla mensola. Belle quindi disse: “È ora di portare a letto questo diavoletto. È stato un piacere parlare con te, Quasimodo, e cerca di ricordare ciò che ti ho detto: tu sei un ragazzo dalle tante doti. Non sprecarle e non cercarle di nasconderle solo perché qualcuno ha paura di te o non vuole conoscerti meglio. Devi cercare di avere fiducia in te stesso e riuscirai a costruirti il tuo futuro. Non essere prigioniero della tua stessa vita.”
“Cercherò di ricordarmelo, mia signora” disse Quasimodo.
“Belle. Chiamami semplicemente Belle e se dovessi avere bisogno di qualcosa, non esitare a chiamarci” disse Belle.
“Non ne avrò. Grazie lo stesso” disse lui. Belle sorrise e con una Rose ormai quasi del tutta addormentata in braccio, dopo aver dato la buonanotte al ragazzo, insieme a Excalibur uscì, dirigendosi in camera sua. Ma nessuno si era accorto che, nascosto nell’ombra, Tremotino aveva ascoltato la loro conversazione per tutto il tempo e forse, ora, non era più tanto intenzionato a buttare fuori quel ragazzo.
 
Storybrooke
 
Victor, Rose ed Excalibur arrivarono in una vecchia casa abbandonata. Mentre il ragazzo camminava verso di essa, entrando per la porta , Rose si fermò a osservarla. Alzò lo sguardo fin sopra il tetto, la quale forma lo faceva assomigliare più a quello di una chiesa o, addirittura, un campanile.
“Tu vivi qua?” domandò Rose.
“Be'… sì” rispose Victor, guardandola. Rose abbassò lo sguardo verso Excalibur, che si sedette accanto a lei. Non aveva voglia di camminare ancora. Voleva solo ritornare nella sua cesta in negozio e dormire. Ma sfortunatamente ciò non sarebbe avvenuto in un imminente futuro, perché Rose la prese in braccio e seguì Victor dentro l’abitazione. Ma se il piano inferiore era decisamente lasciato andare, non si poteva dire lo stesso del superiore o, più precisamente, della mansarda, dove alloggiava il ragazzo.
Una tenue luce filtrava da una finestra semiaperta, molto probabilmente per far entrare aria,illuminando una tavola sopra alla quale erano poste tante piccole sculture realizzate in legno. Rose si avvicinò, ammirandole una ad una. Esse raffiguravano sia persone che animali. Difatti, una di quest’ultime attirò la sua attenzione: si trattava di un cavallo. Lo prese in mano per poi voltarsi verso Victor e dire: “Che strano. Sai, ne ho una uguale identica anche a casa. Papà mi ha detto che ce l’ho da quando ero molto piccola. Ma non mi ha mai detto da dove venga.”
“Forse l’avrà presa da qualcuno” disse Victor.
“Probabile, considerando che nel suo negozio ci sono oggetti di ogni tipo. A proposito, ci sei mai stato?” chiese Rose, rimettendo l’oggetto sulla tavola.
“No e non credo che ci metterò mai piede. Il Signor Gold è…” iniziò a dire Victor.
“…cattivo. Sì lo so. Tutti lo vedono così. Mio padre si è creato proprio una bella reputazione in questa cittadina” concluse la frase Rose. Mentre i due parlavano, Excalibur, che era stata messa precedentemente a terra, esplorò quel luogo ma ciò che trovò non era di suo gradimento, visto che consisteva per lo più in oggetti di vario tipo e niente cibo sostanzioso, e con sostanzioso lei intendeva una bella e succulenta bistecca.
“Non volevo dire cattivo. Solo che mette molta soggezione” disse Victor.
“Fa questo effetto a tutti. Ma è mio padre. Mi vuole bene e se mi ha dato tutte quelle regole da rispettare, è solo per proteggermi. Lui mi ha cresciuta da solo. Mia mamma è morta quando ero molto piccola. Non l’ho mai conosciuta e, quando chiedo di lei, lui cambia subito discorso. Credo che l’amasse molto e che l’ami ancora. Se la gente lo conoscesse come lo conosco io, forse non lo vedrebbe come il cattivo di Storybrooke” spiegò Rose.
Victor l’aveva ascoltata in silenzio. Excalibur abbassò tristemente testa e orecchie. Le faceva male sentire parlare del suo padrone. Dopotutto lei si ricordava anche della precedente vita nella Foresta Incantata dove proprio Tremotino si era preso cura di lei sin da quando ero un cucciolo, salvandola dal freddo e da quei cacciatori. Dandole un tetto sopra la testa e cibo tutti i giorni. Dopotutto, essere l’animale del Signore Oscuro aveva i suoi frutti: protezione da qualsiasi cosa e paura. Paura che, se qualcuno faceva del male a lei, poi Tremotino ne avrebbe fatto altrettanto – se non il doppio – a loro. Nessuno doveva torcere un solo pelo della sua pregiata pelliccia rossa.
Rose sospirò. Per poi dire: “Ma, dopotutto, ognuno è libero di pensare quello che vuole, no? E mio padre è grande e sa benissimo difendersi anche da solo. Non penso abbia bisogno del mio aiuto.”
“No… no… invece io credo che il tuo aiuto sia molto importante. Vedo come gli altri lo guardano. Sento come lo giudicano. Ma lui va sempre avanti per la sua strada, ignorando qualsiasi commento. Quindi, se sa che ha la figlia dalla sua parte, credo che sia più contento e sollevato” spiegò Victor.
“E qual è il tuo giudizio su di lui?” chiese la bambina guardandolo.
“Io non giudico nessuno. Non mi piace. Sono gli altri che giudicano me. Hanno sempre visto un ragazzo deforme. Senza genitori e senza qualcuno che gli fosse amico” rispose Victor, dandole di schiena.
“Non è vero. Un amico ce l’hai. Anzi due, e si trovano in questa stanza con te” disse Rose. Excalibur drizzò le orecchie e Victor la guardò sorpreso. Poi si voltò del tutto verso di loro e domandò: “Davvero volete essere amici con me?”
“Ma certo. E poi voglio aiutarti anche in un altro modo” rispose Rose.
“E come?” chiese Victor e Excalibur guardò sorpresa la padroncina, la quale aveva un sorrisetto in viso.
 
Poco dopo…
 
“Scusa, potresti ripetere?” domandò incredulo Gold, guardando Rose e Excalibur davanti a lui.
“Che sarebbe un ottimo aiuto per te qua in negozio” ripeté Rose.
“In modo che la tua punizione salti. Non se ne parla, mia cara. Da domani inizierai a lavorare qua con me. Questa volta la tua punizione non viene tolta” disse Gold.
 “Tecnicamente non stavo pensando a quello… forse solo un po’. Ma ha veramente bisogno di un aiuto e so che tu puoi dargliene” disse Rose, avvicinandosi al padre.
“Rose, no! Quell’aiuto non verrà da me. E poi non posso assumere una persona che non conosco nemmeno” disse Gold.
“Ma è un bravo ragazzo” disse Rose. Gold inarcò un sopracciglio e disse: “E’ un ragazzo? Rose, ti voglio rammentare una delle regole fondamentali che ho fatto per te, ovvero che ti dovrai avvicinare a un ragazzo solamente in maggiore età.”
Rose divenne rossa in faccia. Poi disse: “Ma… ma cosa hai capito?! Ho solo dieci anni! Lui è molto bravo. Ha grandi doti. Guarda cosa ha fatto” e dalla tasca della giacca, estrasse il cavallo fatto in legno. Gold lo guardò e un lontano ricordo gli ritornò in mente.
 
Foresta Incantata
 
Rose stava guardando ridendo Quasimodo che, seduto davanti a lei sul tappeto nella nursery della bambina, stava intagliando altri animaletti con il legno. In quel momento, passò di lì Tremotino che si fermò a osservare la scena.
“Nessuno aveva mai apprezzato così tanto le mie piccole sculture” disse Quasimodo.
“Bè, a quanto pare, non è così” disse Tremotino. Quasimodo voltò lo sguardo e si alzò velocemente non appena il Signore Oscuro entrò nella stanza.
“Mi… mi dispiace, padrone, se ho mancato di rispetto in qualche maniera. Mi può punire come vuole” disse balbettando il ragazzo.
“Perché mi dovrei sporcare le mani con una roba del genere? Punisco chi mi secca o chi mi sta sempre tra i piedi. Punisco volentieri Grachen, anche quando non la devo punire. Ma perché mai dovresti rendermi il compito così facile, quando non c’è alcun motivo di punirti. Non ora, almeno” spiegò Tremotino e fece un piccolo sorriso. Quasimodo non disse nulla. Era però completamente sbiancato. Il Signore Oscuro gli metteva sempre soggezione. Ma dopotutto a chi non ne metteva?
Tremotino camminò per la stanza, per poi abbassarsi accanto a Rose, che voltò lo sguardo verso il padre e allungò le manine verso di lui. Ma il Signore Oscuro osservò gli animaletti in legno e prese in mano un cavallo. Lo guardò mentre lo teneva in mano e anche la figlia spostò lo sguardo sull’animaletto in legno che aveva il padre.
“E sarebbero queste le tue grandi doti? Fabbricare animali con la legna da ardere? Ragazzo mio, ti credevo più sveglio” disse Tremotino e lo guardò. Quasimodo lo guardò come sorpreso. Tremotino sorrise per poi dire: “ Ho orecchie dappertutto. Non guardarmi con quello sguardo così sorpreso. Io sono il Signore Oscuro dopotutto. Ho poteri immensi. E poi questo castello è mio: so sempre ciò che accade qua dentro.”
“Mi… mi dispiace mio padrone. So di non avere qualità o abilità speciali” disse Quasimodo chinando il capo. Tremotino lo guardò, ma abbassò lo sguardo verso Rose quando questa rise contenta e mise le manine sul cavallo in legno.
“Se… se vuole li brucio subito” disse Quasimodo.
“No. Lascia perdere. Intanto è legna vecchia e non riscalderebbe a sufficienza. E poi sembrerebbe che la mia piccolina adori queste cianfrusaglie” disse Tremotino. Quasimodo rialzò lo sguardo. Ora era sorpreso per qualcos’altro: sembrava che il Signore Oscuro apprezzasse le sue piccole creature in legno. Ma forse era solo perché piacevano all’adorata figlia.
Tremotino accarezzò dolcemente Rose su una guancia, facendola ridere. Poi, mentre la guardava, chiese: “Hai mai badato prima a un bambino?”
“No… no, mio padrone” rispose Quasimodo. Tremotino lo guardò: “Rose è il mio tesoro più prezioso insieme a Belle. Se qualcuno oserà far loro del male, subirà delle tremende conseguenze da parte mia. Nessuno deve toccarle, né tantomeno sfiorarle.”
“Sono… sono d’accordo con lei, padrone. Ma non vedo cosa possa centrare con questo” disse Quasimodo.
“Dovrai badare alla mia piccola Rose, quando né io, né Belle ci siamo” disse Tremotino.
“Ma padrone e la volpe, la vostra guardia del corpo e…” iniziò col dire Quasimodo. Ma Tremotino, dopo essersi rialzato in piedi, lo bloccò replicando: “Non mi interessa! Tu baderai a Rose! Così ho deciso e così sarà! Ma bada, gobbo, un solo passo falso, una sola svista e ti rinchiuderò per sempre nelle prigioni. Non rivedrai mai più il mondo esterno. Ritornerai a essere rinchiuso come quando eri in gabbia.”
“Le prometto, padrone, che baderò molto bene a sua figlia” disse Quasimodo, tremando. Tremotino lo guardò minacciosamente. Poi guardò Rose, la quale teneva tra le mani il cavallo in legno che le aveva lasciato il padre. Le sorrise e la bambina contraccambiò. Tremotino riguardò con sguardo cupo il gobbo. Poi si fermò sulla soglia della porta e disse: “E non chiamarmi padrone! Non lo sono per te! Non lo sarò mai!” e uscì. Quasimodo non disse nulla. Era rimasto come pietrificato. Si voltò verso la bambina quando la sentì ridere e vide gli animaletti volare a mezz’aria, mentre Rose batteva contenta le mani. Quasimodo si chiese come quella bambina così graziosa potesse essere la figlia del temuto Signore Oscuro.
 
Storybrooke
Gold continuava a guardare quel cavallo intagliato con il legno. Spostò lo sguardo sulla figlia, quando quest’ultima gli disse: “E ne ha fatti anche molti altri e sono tutti belli.”
“Se è così bravo a intagliare il legno, perché non va a chiedere a Marco se ha bisogno di un aiuto? Io gestisco un banco dei pegni e non una falegnameria” disse Gold. Rose sbuffò. Poi disse: “Papà, ti darà una grande mano. A lui piace rendersi utile e aiutare il prossimo. Ti prego, papà, concedigli una possibilità.” Lo guardò con occhi supplichevoli. Gold cercò di evitare quello sguardo. Ma non riusciva quasi mai a resistere a quello sguardo della figlia. Sospirò per poi dire: “Digli che gli darò una settimana di prova.”
“Benissimo. Glielo potrai dire di persona” disse Rose e, prima che Gold potesse aggiungere altro, Rose aprì velocemente la porta e trascinò dentro Victor per un braccio. Il ragazzo si sentiva molto a disagio, soprattutto quando puntò lo sguardo sulle due strane e orribili marionette poste all’entrata del negozio. Riguardò Gold quando questi, sorridendogli, gli disse: “So chi sei.”
“Da… davvero?” domandò sorpreso Victor e, con la stessa espressione, lo guardarono sia Rose che Excalibur.
“Sei quel ragazzo che lavora al canile insieme al Signor Nolan. Ho sentito molto parlare di te” rispose Gold. Victor non disse nulla. Fu Gold a continuare: “Mia figlia mi ha detto che sei molto bravo a intagliare il legno.”
“È solo un piccolo hobby. Niente di che, signore” disse Victor.
 “E sai fare altro oltre a intagliare cose con il legno o occuparti degli animali al canile?” chiese Gold.
“No, signore. Ma posso imparare” rispose Victor. Stava incominciando a sudare. Aveva paura che Gold lo cacciasse in malo modo per la sua poca esperienza. Invece disse: “Molto bene. Ti do una settimana di prova. Se farai il bravo, può anche darsi che ti assuma definitivamente. Se invece non ti impegnerai, sarò ben lieto di cacciarti. Chiaro?”
“Gr-grazie, padrone. Lei è molto gentile” disse Victor.
“Per prima cosa, ti occuperai di Rose” disse Gold. Rose lo guardò stranamente e sorpresa. Quindi stupita disse: “Co-come?! Ma… ma credevo dovesse aiutarti qua nel negozio!”
“Perché mai dovrebbe aiutarmi, quando ho già un valido aiuto come te, mia cara?” disse Gold guardandola e facendo un piccolo sorriso. Poi aggiunse: “Tenendoti d’occhio, non ti caccerai nei guai con i tuoi amichetti.”
“Non è giusto! Ti ho portato Victor perché gli dessi un lavoro! Una nuova opportunità!” replicò Rose.
“Infatti è proprio ciò che ho fatto. Un’opportunità per cimentarsi con un nuovo lavoro che non ha mai svolto, ovvero occuparsi di te” disse Gold. Poi guardò Victor e aggiunse: “Sei in grado di badare a mia figlia?”
“Ci… ci proverò” disse Victor.
“Bene. Ora puoi anche andare. Per oggi non mi servi” disse Gold. Rose andò di fronte al bancone e replicò: “Non puoi farmi questo! Credevo di farti un piacere!”
“Un piacere a me? Magari lo hai voluto fare a te stessa. Lavorerai qua che tu lo voglia o no. Che ti serva da lezione per non aver fatto la brava a scuola e… anche come figlia” replicò Gold. Rose lo guardò furente. Ma ci rimase anche un po’ male da ciò che aveva detto. Lui continuava a non fidarsi di lei. Quindi replicò: “Se forse la smettesti di tenerti tutto dentro, forse a quest’ora saprei più cose da te che dagli altri.”
“Non usare questo tono con me, signorinella! Ricordati che sono pur sempre tuo padre e sei ancora in punizione. Ora tu e il tuo amichetto filate via da qua, prima che cambi idea sul nostro accordo” replicò Gold. Rose lo guardò furente. Poi andò verso la porta, aprendola e uscendo. Victor guardò in silenzio Gold, che lo guardò a sua volta con sguardo truce. Quindi seguì la bambina ma, prima che potesse uscire, Gold gli disse: “Bada di sorvegliarla, se no sarò ben lieto di sbatterti fuori da quella catapecchia che tu chiami casa. E un’altra cosa: non chiamarmi padrone. Non lo sarò mai per te” Victor volse lo sguardo. Gold fece un piccolo sorriso quasi lugubre.
Il ragazzo uscì dal negozio, chiudendosi dietro la porta. Victor provò un brivido mentre teneva la schiena appoggiata alla porta del negozio. Quell’uomo continuava a mettergli soggezione e ancora si chiedeva – come tutti in città – come una dolce bambina come Rose potesse essere sua figlia. Sospirò e seguì la giovane Gold.
Rose era furente. Camminava dando, di tanto in tanto, dei calcetti a una piccola pietra. Teneva anche le braccia incrociate.
“Come si permette” diceva. “Lui ancora non si fida di me. Sono sangue del suo sangue. Dovrebbe praticamente raccontarmi tutto. Invece so più cose dalle altre persone. E ora, come se non bastasse, mi manda anche appresso un babysitter, come se avessi ancora cinque anni “ aggiunse.
“Emm…. Rose….” disse Victor, raggiungendola.
“Che c’è?!” replicò Rose voltandosi. Poi rendendosi conto che era Victor, proseguì più con calma: “Ah sei tu, Victor. Scusami, credevo fosse mio padre venuto fuori apposta dal negozio per dettarmi altre regole o...” sospirò “dirmi quanto faccio schifo come figlia.”
“Non credo che tu faccia schifo come figlia” disse Victor.
“Lo hai sentito quello che ha detto prima. C’eri anche tu quando manifestava il suo disprezzo nei miei confronti. “Devi fare la brava a scuola e anche come figlia” aveva detto. Ogni cosa che faccio. Ogni passo che faccio. Lui è lì, a sorvegliarmi o se non c’è lui, manda qualcun altro che funge da suoi occhi e orecchie” disse Rose. Victor abbassò lo sguardo.
Rose sospirò. Quindi aggiunse: “Non ce l’ho con te, Victor. La colpa è solo di mio padre.”
“Ma lui vuole proteggerti. Lo fa per il tuo bene” disse Victor.
“È quello che dice lui. Invece lo fa solo per se stesso” disse Rose e, voltandosi, si incamminò. Victor ovviamente la seguì.
Passeggiarono per un po’, finché Rose non si sedette su una panchina al parco. Victor si fermò lì accanto incerto su cosa fare.
“Non sei obbligato a restare” disse Rose.
Victor la guardò dicendole: “Devo. O se no suo padre…”
Rose lo bloccò: “Non stare sempre a pensare ciò che potrebbe farti mio padre. Mica morde e di sicuro non potrà farti qualche strana magia da rinchiuderti a vita da qualche parte.”
“Mi… mi dispiace, ma tuo padre mi sbatterà fuori di casa se non ti terrò d’occhio. Purtroppo sa dove vivo e penso sappia anche che non gli pago l’affitto” disse Victor.
Rose sbuffò e si guardò intorno. Victor se ne stava lì, accanto a lei non pronunciando parola. Poi però guardò la bambina quando questa disse: “Vorrei che Henry e Paige fossero qua. Ultimamente sono da altre parti.”
“Siete molto amici” disse Victor. Rose lo guardò dicendogli: “Sono gli unici che ho.”
“Non credo che una bambina così dolce come te abbia pochi amici” disse Victor.
“È per via di mio padre. Hanno paura di lui e, di conseguenza, anche di me. È che non lo conoscono come lo conosco io. Si fermano solo a ciò che vedono i loro occhi” spiegò Rose e sospirò. Poi aggiunse: “So che lui si preoccupa per me. Che mi ha dato tutte quelle regole solo per tenermi al sicuro e soprattutto lontana dai guai. Ha già perso mia madre. Non vuole perdere anche me.”
“Mi… mi dispiace molto. Forse è anche per questo che mi ha affidato a te” disse Victor. Rose non replicò. Poi il ragazzo aggiunse: “Se posso sapere, come è morta tua madre?”
“È questo il bello: non lo so. Mi hanno dato così tante versioni differenti che sto incominciando a sospettare che qualcuno stia dicendo il falso solo per far soffrire ancora di più mio padre” rispose Rose.
“Quanto ti ricordi di lei?” domandò Victor.
“Il suo sorriso quando mi prendeva in braccio. Mi coccolava o mi metteva semplicemente nella culla. E lei era lì a guardarmi. Con dolcezza. Ricordo solo questo. Vorrei poter ricordare di più di lei e, quando chiedo a mio padre come fosse, lui cambia discorso. Solo ultimamente mi racconta poco del suo passato, ma sento che mi nasconde ancora qualcosa di molto importante. Qualcosa che non sia solo parte di me e lui, ma di tutto quello che ci circonda” spiegò Rose.
Victor non disse nulla. Quando Rose gli chiese: “Ehi, e quello come te lo sei fatto?”
Victor la guardò, domandandole: “Quello cosa?”
“Quella ferita sul petto. Come te la sei procurata?” chiese nuovamente la bambina. Victor abbassò lo sguardo. La maglietta un po’ aperta aveva fatto sì che parte della sua cicatrice sul petto si mostrasse agli occhi di Rose. Lui aveva sempre cercato di nasconderla. In verità non si ricordava bene come se la fosse procurata. A vederla meglio, solcava il centro del petto e sembrava che un tempo – non sapeva di preciso quando – fosse stata anche abbastanza profonda. Ma la domanda era: come era accaduto?
 
Foresta Incantata
 
Tremotino, Belle ed Excalibur erano accanto al portone d’ingresso con indosso i loro mantelli. Belle teneva tra le braccia Rose, che guardava con curiosità i genitori.
“Mentre non ci siamo, il castello e Rose sono affidati a te. Bada che non accada nulla alla mia bambina, o se no ti torturerò molto lentamente” replicò Tremotino, guardandolo. Quasimodo deglutì per la paura.
“Tremotino” lo richiamò Belle. Il Signore Oscuro la guardò. Sembrò addolcirsi  con lo sguardo di lei e della piccola. Riguardò il gobbo dicendogli: “Bada solo di fare il bravo e forse non penserò a una punizione da darti” e gli sorrise maliziosamente. Quasimodo lo guardò con paura. Quando sorrideva in quel modo metteva ancora più soggezione.
Era così preso da quella paura che non si accorse di Belle che si era avvicinata a lui. Entrambi si guardarono mentre la ragazza gli porse Rose. Ma la piccola, sentendosi allontanare dalle braccia della madre, iniziò a singhiozzare. Tremotino guardò truce il gobbo, pronto a scagliargli qualche sorta di incantesimo qualora avesse fatto piangere la sua adorata bambina. Ma mentre Belle le sussurrava dolci parole, la mise delicatamente tra le braccia del ragazzo che la guardò. Rose guardò la madre allontanarsi e andando accanto al padre. Non capiva perché i genitori la stessero abbandonando.
Era già pronta a scoppiare in un acuto pianto, tanto che alcuni oggetti presenti lì vicino su alcune mensole iniziarono a muoversi. Tremotino fece qualche passo verso il gobbo ma, proprio questi, prese un piccolo cavallo in legno e lo mostrò alla piccola. Rose guardò l’oggetto e allungò le manine verso di esso. Quasimodo lo faceva andare avanti e indietro come se fosse stato vivo e Rose rideva felice. Tremotino e Belle li guardarono, mentre Excalibur sbadigliò quasi del tutto annoiata a non fare nulla.
“Direi che possiamo anche andare” disse Belle vedendo che la situazione per Quasimodo sembrava sotto controllo….almeno al momento. Si voltò e uscì aprendo la porta, seguita da Excalibur. Tremotino, invece, stette ancora un po’ a osservare quel ragazzo che stava facendo ridere la sua piccolina. Non voleva affidarla a mani estranee – come le aveva definite lui – ma Belle aveva tanto insistito nei giorni precedenti, a concedere al ragazzo un’altra possibilità. E poi a Rose stava simpatico.
Non proferendo parola, uscì anche lui, e le porte si chiusero magicamente. Quasimodo guardava sorridendo la bambina tra le sue braccia, mentre la piccola rideva felice e il piccolo cavallo in legno si librò a mezz’aria, volando sopra di loro.
La giornata al castello oscuro trascorse pacificamente. Quasimodo e Rose si trovavano nell’enorme giardino sul retro, seduti sull’erba ancora leggermente bagnata dal temporale della notte precedente. Il ragazzo teneva la piccola sulle sue ginocchia, mentre la faceva andare su e giù come se fosse stata su un cavallo. Rose rideva e Quasimodo era felice come non lo era mai stato.
Ormai si trovava lì da diversi giorni e seppur all’inizio pensava che Tremotino lo volesse sbattere fuori, ora non ne era più tanto sicuro. Vedeva come il signore oscuro, seppur solo in presenza della figlia e di Belle, esitasse nel prendere alcune decisioni nei suoi confronti, come, per esempio, punizioni mai arrivate, prigione mai vista e una camera accogliente. Che fosse entrato nelle grazie del signore oscuro?
Ma purtroppo quella quiete durò poco. Quasimodo sentì dei rumori. Alzò lo sguardo dalla piccola che, invece ignara, continuava a starsene seduta sulle sue ginocchia intenta a guardare una farfalla che le volava accanto. Vide gli arbusti della siepe muoversi. Di certo non potevano essere Belle e Tremotino già di ritorno. E nemmeno Dove e Grachen, visto che questi ultimi erano stati mandati dal signore oscuro a prendere provviste in un villaggio non molto lontano. Forse avrebbe potuto trattarsi della volpe. Excalibur, a differenza dei padroni, preferiva il più delle volte usare scorciatoie per rientrare prima a casa e andarsene subito nella sua cesta dorata ad appisolarsi.
Si alzò tenendo in braccio Rose che, come lui, porse lo sguardo sulla siepe. Quasimodo non riuscì neanche a fare un passo che alcuni uomini, che riconobbe come quelli del circo, lo circondarono. Cercò di scappare, ma riuscirono a bloccargli la strada. Quasimodo si voltò, stringendo forte a sé la piccolina, che guardava con paura quegli estranei. Si sentì ridere e comparvero il presentatore del circo e il padrone. Quasimodo sbiancò, ma continuò a tenersi ben stretto Rose.
“Bene, bene, bene, finalmente ti abbiamo ritrovato. Non sai quanto ci sei mancato. Scappare in quel modo dal circo. Non si fa. Dopo tutto quello che ho fatto per te. Ti ho accolto e allevato come un figlio dopo che la tua spregevole madre ti ha abbandonato. Non ti avrebbe voluto nessuno. Ma io ho avuto pietà per te. E tu, dopo tutto ciò, mi ripaghi così? Quasimodo lo sai cosa succede quando non si fa il bravo?” spiegò il padrone mentre, insieme al presentatore, avanzava.
“Si… si finisce in gabbia” disse Quasimodo.
“Esatto. Quindi ora fai il bravo e vieni con noi” disse il padrone.
“No!” replicò Quasimodo.
“Come scusa? Credo di non aver capito bene” disse il padrone.
“Ho detto no! Non ritornerò più con voi! Io qua ho qualcuno che mi vuole bene” replicò Quasimodo.
“Ma noi ti vogliamo bene” disse il padrone.
“Intendo per davvero. Voi mi avete sempre trattato come un diverso. Invece qua sono trattato alla pari con loro. Loro non mi giudicano per il mio aspetto. Loro mi vogliono bene per chi sono” spiegò Quasimodo.
“Ovvero come uno sporco traditore” replicò il presentatore. Il padrone gli mise una mano davanti, facendogli capire di tacere. Poi guardò Quasimodo e gli domandò: “Sei proprio sicuro di quello che stai dicendo? Magari queste persone ti hanno fatto il lavaggio del cervello.”
“Non mi hanno fatto il lavaggio del cervello! Loro sono buone e mi vogliono bene. Mi hanno salvato dal vostro spregevole mondo. Siete voi i cattivi e non il signore oscuro che mi ha accolto nella sua famiglia senza neanche sapere chi fossi. Non ritornerò più con voi! Mai più!” replicò Quasimodo.
“Allora morirai e ci porteremo via la mocciosa che tieni in braccio. Le insegneremo a rispettarci, cosa che tu non hai fatto e ben presto imparerà cosa vuol dire sottomettersi a qualcuno” replicò il padrone mentre alcuni uomini si avvicinavano a Quasimodo. Questi, mentre cercava di indietreggiare e proteggere la piccola, disse: “Non la porterete via. Non ve lo permetterò!”
“Questo sarà tutto da vedere” disse il padrone e, schioccando le dita, i suoi uomini attaccarono. Con delle corde presero il braccio destro di Quasimodo. Questi li guardò, tenendo ben salda Rose con il braccio sinistro. Gli uomini tiravano dalla loro parte mentre Quasimodo dalla sua, cercando di liberarsi con scarsi risultati. Purtroppo, mentre era distratto, il presentatore si avvicinò e velocemente gli portò via Rose, andando verso il padrone.
“Rose! No!” gridò Quasimodo guardandolo. Il presentatore rise e, dopo essere arrivato accanto al padrone, gliela porse. Il crudele uomo la guardò mentre Rose abbassò il labbro inferiore.
“Ma che splendida bambina. Dicono che sia la figlia di una bellissima donna e del potente signore oscuro. Come può quel mostro essersi riprodotto in così tale bellezza? Creature come lui non sono degne di avere degli eredi, né avere un lieto fine” disse il padrone, mentre la guardava. Poi, dopo essersela messa meglio in braccio, guardò Quasimodo aggiungendo: “Non ti sembra qualcosa di familiare, Quasimodo? Anche tu sei proprio come il signore oscuro: un orribile creatura odiata e disprezzata da tutti e che non merita di avere il suo lieto fine. Ma non ti preoccupare: presto sarà tutto finito… per te.”
Altri uomini gli legarono l’altro braccio. Quasimodo cercava di liberarsi. Il padrone guardava Rose che lo guardava a sua volta con paura. Qualcosa scattò dentro a Quasimodo. Una rabbia che non aveva mai provato prima.
“No!” gridò e, con due strattoni, riuscì a far cadere gli uomini da entrambe le parti. Si liberò delle corde e corse verso il padrone. Prese velocemente Rose e scappò via.
“Prendetelo! Portatemi quella mocciosa! Lui lo voglio morto!” ordinò il padrone e gli corsero dietro.
L’intenzione di Quasimodo era quella di andare a cercare Belle e Tremotino ma, purtroppo, la sua fuga durò poco. Davanti a lui comparve il presentatore che, con il coltello, riuscì a ferirlo al petto. Quasimodo cadde a terra tenendo ben stretta Rose.
Mentre gli uomini del padrone, e il padrone stesso, andavano da loro, Quasimodo, sofferente, guardò la piccola, sussurrandole: “Andrà tutto bene, Rose. Non ti permetterò che ti portino via.” Rose lo guardava a sua volta. Sentiva che il suo amico stava male. Sentiva il suo dolore.
Il presentatore prese la bambina tra le braccia. Quasimodo, a causa della profonda ferita sul petto, non riuscì a fare resistenza. Ebbe solamente le forze per voltarsi e vedere il presentatore passare la bambina nelle grinfie del padrone.
“Vedi cosa succede a non sottomettersi a me? Si finisce col ferirsi gravemente e mettere fine alla propria vita così presto. Affascinante, vero, come il veleno si diffonda così velocemente nel tuo corpo?” spiegò il presentatore guardandolo con crudeltà.
“Cosa?!” disse stupito Quasimodo.
“Veleno della vipera del deserto. Donatomi da un potente visir dalle terre arabe. Io non giro mai senza un po’ di protezione, e non mi riferisco solamente ai miei uomini. Presto lascerai questo mondo e dirai addio alle persone che ti vogliono bene…. oh, è vero, tu non hai nessuno che ti voglia bene. Quindi la tua morte non sarà di certo importante” spiegò il presentatore e guardò malignamente Rose che, però, scoppiò a piangere.
Dapprima non accadde nulla. Poi, però, una nuvola viola avvolse il terreno, facendo uscire da esso le radici degli alberi che incominciarono ad avvinghiarsi intorno agli uomini, al presentatore e allo stesso padrone, non facendo però male a Rose. Quasimodo guardava mentre la bambina si difendeva con la sua potente magia e lui, piano piano, si stava spegnendo.
Nel frattempo, un po’ distante da lì, Tremotino, Belle ed Excalibur stavano passeggiando per la foresta quando la volpe si fermò: drizzò le orecchie e alzò una zampina. Anche Tremotino si fermò. Belle, preoccupata, li guardò chiedendo: “Cosa c’è? Perché tutto a un tratto vi siete fermati?”
“Sento una forte presenza magica. Rose è in pericolo” rispose Tremotino e la guardò. Belle si mise una mano sulla bocca per poi dire: “Dobbiamo subito ritornare a casa” e, dopo che Excalibur fu andata accanto a loro, scomparvero in una nube viola per poi ricomparire nel giardino del castello.
Rimasero stupiti appena videro ciò che stava accadendo: uomini legati da enormi radici e alcuni anche a testa in giù. Rose che piangeva tra le braccia di uno sconosciuto e Quasimodo semidisteso a terra con una profonda ferita sanguinante sul petto. Belle ed Excalibur corsero da lui mentre Tremotino si avvicinava a loro, replicando: “Come avete osato venire nella mia proprietà, cercando di rapire la mia bambina? Ma mi chiedo, come siete riusciti a oltrepassare la barriera magica che io stesso avevo messo a protezione del castello?” e camminò avanti e indietro, guardandoli in modo truce. Ma nessuno osava parlare.
Quindi Tremotino si fermò. Voltò lo sguardo verso Quasimodo e Belle che, con un pezzo di vestito, cercava di tamponargli la ferita. Riguardò gli uomini e, dopo essersi fermato di fronte al presentatore, disse: “Sapete quale è la punizione per essere entrati qua e aver cercato di far del male alle persone a cui tengo?”
“Non ho paura di morire!” replicò il padrone, mentre Rose continuava a piangere tra le sue braccia. Tremotino abbassò lo sguardo sulla figlia e, con uno schiocco di dita, la riebbe tra le sue braccia. La bambina, nell’accorgersi di essere nuovamente dal padre, smise di piangere e lo guardò ridendo. Tremotino fece un piccolo sorriso. Poi, però, ridivenne serie e guardò il padrone. Guardò i suoi uomini e infine lo riguardò. Quindi disse: “Tu sembri quello con un po’ di sale in zucca, quindi vedi di rispondermi e forse sarò clemente nei vostri confronti.” Poi, con la mano libera, gli prese il mento e, mentre stringeva, chiese: “Come avete fatto a entrare nella mia proprietà? E come mai avevate così tanto interesse per la mia bambina?!”
“Ho giurato che non avrei detto una parola” replicò il padrone. Tremotino lo guardava furente. Poi spostò lo sguardo quando Belle, ancora accanto a Quasimodo, disse: “Tremotino, Quasimodo ha bisogno di cure: credo sia stato avvelenato” Il signore oscuro spostò lo sguardo sul ragazzo sofferente a terra. Quindi riguardò il padrone e, continuando a stringergli la mandibola, replicò: “Nessuno fa del male a un membro della mia famiglia.”
“Io non ti consiglierei di fartelo amico: è solo una gran perdita di tempo” disse il padrone. In uno scatto di rabbia, Tremotino lo scagliò a terra. Tutti lo guardarono e persino Excalibur drizzò le orecchie. Rose guardò con curiosità il padre che aprì una mano davanti a sé, pronto a scagliare un incantesimo contro il padrone.
Questi disse: “Pietà. Ti prego, abbi pietà, grande signore oscuro. Prometto che me ne andrò e non mi rivedrai mai più.”
“Perché mai dovrei avere pietà per una persona come te che maltratta le altre? Quel ragazzo, seppur deforme, ha un animo puro che tu non hai e mai avrai. La sola cosa che meriti è la morte” replicò Tremotino e una palla di fuoco si formò nella sua mano. Stava per lanciarla, quando sentì dei risolini. Abbassò lo sguardo: Rose lo stava guardando. Lui la guardò in quegli occhi così uguali ai suoi. Con quelle piccole sfumature dorate. È vero, quell’uomo meritava di essere punito, ma non poteva ucciderlo davanti agli occhi di sua figlia. Che insegnamento le avrebbe dato dopo ciò che le diceva sempre sul bene e sul male?
Rivolse lo sguardo al padrone e ai suoi uomini. Fece sparire la palla di fuoco e abbassò la mano. Quindi disse: “Sì, forse hai ragione. Potrei darti un po’ di pietà se… riesci ad andartene da qua.” Il padrone lo guardò stranamente. Ma poi si alzò in piedi e velocemente corse via, seguito dai suoi uomini e dal presentatore. Ma non fecero in tempo a scappare che Tremotino, con uno schiocco di dita, li fece avvolgere da una nube viola. Essi vennero trasformati in asini. Tremotino sorrise compiaciuto e, dopo essersi avvicinato a loro, disse: “Be', peccato, non siete riusciti ad andarvene da qua.”
Rose rideva contenta mentre guardava gli asini che ragliavano. In quel momento arrivò di corsa Dove. Tremotino lo guardò “Alla buon'ora. Ma dove eri finito?”
La guardia del corpo stava per rispondergli che, ovviamente, era andato a fare delle commissioni per conto suo. Ma Tremotino lo bloccò, aggiungendo: “Non importa. Ora porta questi asini al villaggio e vendili a chiunque interessino. Qualunque cifra andrà bene. Intanto non hanno nessuna importanza.” Dove, dopo aver preso delle corde – che legò ai colli degli asini – li portò verso il villaggio.
Rose continuava a ridere contenta. Tremotino la guardò sorridendo accarezzandole dolcemente una guancia. La bambina sembrava stare bene e non aveva alcun graffio. Ma quello che stava peggio era Quasimodo, al quale mancavano sempre di più le forze. Tremotino avvolse tutti in una nube viola, che li fece comparire nella camera da letto del ragazzo. Belle aiutò Quasimodo a distendersi sul letto e poi gli aprì la maglietta. Rimase a bocca aperta non appena vide quanto profonda era la ferita. Tremotino si affiancò a lei.
“Non puoi usare la magia per curarlo?” domandò Belle.
“Vorrei poterlo fare, ma lo sai che la magia ha sempre un prezzo e, questa volta, dovrei usare una magia molto potente. Di conseguenza, anche il prezzo sarebbe molto più alto. No, qua ci vuole altro e so già chi ci potrà aiutare. Tieni Rose e rimanete qua con lui” rispose Tremotino e, dopo averle consegnato la piccola, svanì in una nube viola.
Belle e Rose guardarono Quasimodo che respirava affannosamente. Excalibur si mise con le zampe anteriori sul letto e abbassò tristemente le orecchie.
Poco dopo, Belle stava asciugando la fronte del ragazzo tramite un panno e dell’acqua calda che le aveva portato precedentemente Grachen. Rose era stata messa nella sua culla con Excalibur vigile accanto a lei qualora la bambina si fosse svegliata e avesse reclamato la madre.
Quasimodo stava sempre peggio e Belle temeva che il ragazzo non ce la facesse. In quel momento Tremotino ricomparve in una nube viola. In mano teneva un'ampolla con dentro dello strano liquido rosso. Si avvicinò a Belle per poi chiederle, guardando Quasimodo: “Come sta?”
“Sempre peggio. Il veleno lo sta lentamente privando di tutte le forze” rispose sospirando Belle, mentre continuava a inumidire la fronte del ragazzo con il panno.
“Be', ora non più” disse Tremotino e aprì l’ampolla. Belle lo guardò e domandò: “Che cos’è?”
“Mi piace chiamarlo 'Cuore di Drago'. L’ho preso in prestito da Jefferson. Glielo avevo fatto prendere durante un viaggio nelle antiche terre cinesi. Dicono che abbia poteri curativi” rispose Tremotino, guardandola.
“Be', allora che cosa stai aspettando? Daglielo” disse Belle.
“Non così in fretta, mia cara. Questo liquido non è completo senza una lacrima di drago che…” disse Tremotino e, dopo aver tirato fuori una fialetta dall’interno della camicetta, finì: “…fortunatamente ho in mio possesso.” Belle tirò un sospiro di sollievo. Già temeva che mancasse quella lacrima, ma sapeva benissimo di non poter dubitare mai di Tremotino.
Quest’ultimo versò il contenuto della fialetta dentro l’ampolla. Poi si avvicinò a Quasimodo e versò il tutto sulla ferita del ragazzo. Questi sussultò per il dolore.
“Tranquillo Quasimodo, ora passa tutto. Resisti” gli sussurrava Belle, cercando di rassicurarlo mentre gli accarezzava la fronte. Quasimodo un po’ si calmò.
Tremotino richiuse l’ampolla e la mise sul comodino lì accanto. Poi disse: “E ora non ci resta che aspettare.”
“Dici che se la caverà?” chiese Belle.
“Se supera la notte, probabile di sì” rispose Tremotino e guardarono in silenzio il ragazzo.
Passarono le ore. A turno stavano al capezzale di Quasimodo. Non volevano mai lasciarlo e speravano si salvasse.
Venne sera. Belle raggiunse Tremotino fuori sul balcone della loro camera da letto. Il signore oscuro stava guardando la foresta incantata. Belle andò al suo fianco, per poi dire: “Si è addormentato. Ora c’è Grachen con lui.”
Tremotino continuava a guardare in silenzio la foresta incantata. Si sentiva solo il suono di qualche grillo. Teneva le mani sul bordo del balcone. Belle mise una mano sopra quelle di lui. Quindi gli domandò: “Qualcosa ti turba?”
“Ripensavo a Rose e al modo in cui si è difesa. La magia viene alimentata dalle nostre emozioni e lei, in quel momento, aveva paura ed era anche triste. Ma ciò che abbiamo visto era magia oscura. Quelle radici stavano per uccidere quegli uomini ed era proprio ciò che voleva fare Rose. Mi sono ripromesso a me stesso che non l’avrei mai condotta sulla via del male. Invece sto fallendo!” spiegò Tremotino e batté un pugno.
“Non è colpa tua. Rose si stava solo difendendo ed era arrabbiata perché avevano fatto del male a Quasimodo. E poi ha solo pochi mesi. Imparerà a controllare la magia perché avrà un valido insegnante in te” disse Belle sorridendogli. Tremotino la guardò. Quella donna riusciva sempre a vedere il bene in ogni cosa. Soprattutto in lui. Era così che si erano innamorati.
Riguardò la Foresta Incantata e semplicemente disse: “Regina.”
“Cosa?” chiese Belle.
“Regina. È stata lei a mandarli. Qualche ora fa sono ritornato in giardino e accanto alla siepe ho trovato un pezzo di specchio e questa…” rispose Tremotino e mostrò una fialetta a Belle. Quindi continuò, mentre volse lo sguardo alla ragazza: “È polvere delle Sabbie Nere. Spezza per un po’ anche un potente sortilegio, ma concede il tempo necessario per poter entrare da qualche parte. Come per esempio qua. Sai, meglio nasconderla: non vorrei che Excalibur la usasse per entrare nella dispensa” e rise, mettendo via la fialetta.
“Regina vuole ancora uccidere la nostra bambina. Rose non è ancora abbastanza al sicuro. Dobbiamo trovare un modo per proteggerla da quella strega” disse Belle.
“Ora la nostra priorità è quel ragazzo. Ha protetto la nostra piccolina anche a costo della sua vita. All’inizio volevo sbatterlo fuori ma…. avrei fatto male” disse Tremotino.
Belle sorrise e gli mise una mano su una guancia. Tremotino la guardò e aggiunse: “Come sempre avevi ragione: mai giudicare un libro dalla copertina. Tutti hanno bisogno di una seconda possibilità, proprio come tu l’hai data a me.”
I loro visi si avvicinarono. Stavano per baciarsi quando apparve Grachen. Quest’ultima disse: “Padrone, il gobbo si è svegliato.”
Tremotino e Belle voltarono gli sguardi verso di lei e il signore oscuro replicò: “Quante volte ti ho detto di non chiamarlo gobbo?! Ha un nome! Inoltre sai benissimo che odio essere disturbato da te. Quindi fila via prima che ti trasformi in uno scarafaggio e ti schiacci” Grachen lo guardò malamente e, senza proferire parola, se ne andò.
“Se si è svegliato, vuol dire che sta bene. Oh Tremotino, come sempre le tue magie funzionano” disse Belle guardandolo.
“Non mi dire che avevi dei dubbi. Devi smetterla di stare accanto a Grachen o sarò costretto a rinchiuderla in una gabbietta per uccelli. Ovviamente, dopo averla rimpicciolita” disse ridendo Tremotino.
Poco dopo si trovavano accanto al letto di Quasimodo. Il ragazzo disse, guardandoli: “Volevo ringraziarvi per tutto. Siete le prime persone gentili con me.”
“Se reputi me gentile, allora non devi aver conosciuto molte persone gentili” disse Tremotino. Quasimodo fece un debole sorriso.
“Ora cerca di riposare. Ormai il peggio è passato” disse Belle. Si sentì piangere. Belle aggiunse: “Meglio che vada: Rose sa essere molto impaziente quando non viene ascoltata subito. Assomiglia a una certa persona.” E, dopo aver sorriso maliziosamente a Tremotino, uscì, andando dalla figlia.
“Si riferiva sicuramente a lei. Era molto impaziente quando è venuta per la prima volta qua. Non vedeva l’ora di esplorare tutto” disse Tremotino emettendo una risatina. Ovvio che non avrebbe mai raccontato a Quasimodo come erano andati realmente i fatti. Ovvero che aveva rinchiuso Belle in una cella durante il suo primo giorno di soggiorno al castello oscuro.
“È fortunato ad avere una famiglia così. Rose è una brava e dolce bambina. Ed è una delle poche persone che non hanno paura di me” disse Quasimodo. Tremotino guardò da una parte soffermando lo sguardo su Excalibur, che si era destata dal suo pisolino, acciambellata sul tappetto in fondo al letto. La volpe guardava il suo padrone, spostando di lato la testa. Poi emise dei versetti. Tremotino si schiarì la voce. Riguardò Quasimodo e disse velocemente: “Anchetufaipartedellafamiglia.”
Quasimodo lo guardò stranamente non avendo capito una parola. Quindi domandò: “Mi scusi, ma non ho capito quello che ha detto. So che non ama ripetere le cose, ma…” Ma Tremotino lo bloccò: “Anche tu fai parte della famiglia. E no, non farmelo ripetere ancora!” Quasimodo fece un piccolo sorriso.”
Calò il silenzio. Poi Tremotino disse: “Ora devo andare per…. per affari miei. Tu non muoverti da lì, se no ti legherò al letto” e andò verso la porta.
“Come vuole lei, padrone” disse Quasimodo, ma si coprì subito la bocca non appena si accorse della parola appena detta. Tremotino si voltò verso di lui. Il ragazzo già sbiancò, pronto a ricevere l’ennesima sgridata. Invece il signore oscuro si limitò a dirgli: “Cerca di riposare. Ne hai bisogno.” Poi guardò Excalibur e aggiunse: “Il ragazzo è affidato a te. Se dovesse uscire dal letto o dovesse star male, vieni subito ad avvisarmi.”
Excalibur lo guardò emettendo dei versetti. Tremotino si abbassò, inginocchiandosi con un ginocchio. Con una mano prese il mento della sua fidata volpe per poi dirle: “E se farai la brava, il papà ti darà una bella e succulenta bistecca che ti piace tanto.” Excalibur aveva già la bava alla bocca ed emise altri versetti. Poi Tremotino si rialzò. Guardò nuovamente Quasimodo e infine uscì.
Quasimodo era felice. Finalmente era parte di una famiglia e, soprattutto, non veniva più trattato come un animale da circo. Forse ora la vita sarebbe stata diversa. Ma non aveva fatto i conti con il piano di Tremotino, che prevedeva una potente maledizione che avrebbe cambiato la vita di chiunque nella Foresta Incantata.
 
Storybrooke
 
Victor riguardò Rose. La bambina lo guardò sorridendo. Era come se lui la conoscesse da tempo. Da molto tempo. Ma come era possibile, se si conoscevano solamente da un giorno?
In quel momento Paige corse da loro. La bambina non sembrò badare a lui, perché ebbe subito tutta l’attenzione su Rose, che si alzò in piedi. Paige sembrava anche piuttosto agitata e ansimava per la corsa appena fatta. Quindi disse: “Rose, presto, devi venire subito con me” e la prese per una mano. Ma Rose, non muovendosi, chiese: “Paige, calmati. Ma cosa è successo?”
“Non c’è un minuto da perdere. Hanno portato Henry in ospedale. È in pericolo di vita” rispose Paige guardandola e a Rose fu come se le crollasse il mondo addosso.




Note dell'autrice: Sono viva! Eccomi qua dopo secoli a finire finalmente questo 19 capitolo. Il penultimo per la serie. Scusatemi se mi sono dilungata con l'attesa ma ho voluto ripagare (forse) con un bel capitolo abbastanza lunghetto (soprattutto per quanto riguarda la parte del flashback). Siamo quasi alla conclusione: nel prossimo capitolo si è giunti alla fine .....della prima stagione, ovvio. Spiegherò come Belle ha salvato Rose. Come Rose sia potuta rimanere neonata per ben 28 anni (e crescere quando è arrivato Henry) e altre cosucce varie.
Volevo ringraziarvi per la vostra immensa pazienza. Spero di non sparire per altro tempo per l'altro capitolo.
Volevo ringraziare tutti coloro che seguono, recensiscono o leggono semplicemente. Un grazie infinite a Lucia (che ha creato anche le varie copertine e mi sopporta con la sua immensa pazienza) e Laura, una mia carissima amica (e "sorellina") di twitter che con me ha in comune tantissime passioni.
Con ciò ci sentiamo al prossimo capitolo e vi auguro una calorosa (no forse no con questo caldo).... una buona notte.

 
 
 
 
 
 
 
 

 


 

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Capitolo 39
*** Il Vero Amore vince sempre - Parte I ***





The Rose of true Love


 
 
  Capitolo XX: Il Vero Amore vince sempre -  Prima Parte

 
Foresta Incantata
 
Un acuto pianto echeggiava tra le varie stanze del castello oscuro. Belle stava andando avanti e indietro per la stanza, cercando di calmare Rose che piangeva tra le sue braccia. Ormai la piccola stava piangendo già da diverso tempo e non c’era modo di farla smettere.
Belle aveva provato con ninnenanne e latte, ma non c’era stato nulla da fare. Sembrava che, quel giorno, Rose volesse esprimere tutte le sue doti canore, soprattutto in quel momento in cui mancava il padre. Sembrava che Tremotino avesse una strana magia per la sua piccolina. Ma non una magia che di solito praticava. Era più una specie di legame speciale che aveva sempre avuto con Rose quando questa si trovava ancora nella pancia di Belle.
“Dai Rose, fa' la brava. La mamma è qui. Su, su, fai la brava” le diceva dolcemente cullandola. Ma, di tutta risposta, ricevette un pianto più acuto. In quel momento Belle sentì degli scricchiolii: alzò lo sguardo per vedere il lampadario in vetro traballare per poi staccarsi dal soffitto. Belle si spostò appena in tempo prima che il lampadario le crollasse addosso, cadendo a terra e rompendosi. Grachen accorse.
“Lady Belle, cosa è successo?” domandò preoccupata. Poi abbassò lo sguardo sul lampadario rotto. Si mise una mano sulla bocca e aggiunse: “Oh, santo cielo” e riguardò Belle. Rose continuava a piangere.
“Non è successo niente, Grachen. Stiamo tutte e due bene. Diciamo che Rose è un po’ agitata” disse Belle, cullando la figlia.
“La sua magia sta diventando pericolosa: dovete fare qualcosa” disse Grachen.
“Voi non farete un bel niente!” replicò una voce e apparvero Tremotino ed Excalibur. Mentre avanzava verso di loro, il signore oscuro aggiunse: “La magia di Rose non va bloccata o causerebbe danni peggiori.”
“Ha rotto un lampadario in vetro” disse Grachen guardandolo.
“Non ne vedo il problema. Vorrà dire che prenderemo un altro lampadario” disse ridendo Tremotino.
“Ha fatto quasi del male a Lady Belle e alla piccola” disse Grachen. Tremotino guardò Excalibur accanto a lui che, guardandolo a sua volta, scosse negativamente la testa. Riguardò Grachen dicendole: “Anche questo non è un problema, considerando che entrambe le mie donne sono sane e salve. Tu, invece, perché te ne stai qua a cincischiare quando c’è un intero castello da pulire? Su, su, pussa via.”
Grachen lo guardò malamente. Si volse verso Belle dicendole: “Se ha bisogno di qualcosa, non esiti a chiamarmi.”
“Grazie mille per la tua preoccupazione, ma non ce ne sarà bisogno” disse Belle sorridendole. Grachen se ne andò, non scambiando occhiata con Tremotino. Questi la guardò uscire. Poi guardò Belle e disse: “Deve essersi svegliata, come ogni giorno, con la luna storta.”
Belle si limitò a guardare la figlia in braccio che continuava a piangere. Quindi disse: “Non capisco cosa possa avere: è da un bel po’ che piange.”
“È una cosa normalissima se si sta avvicinando qualcosa di molto grosso e importante. Ma soprattutto se il suo papà manca” disse Tremotino. Belle gliela consegnò e, piano piano, il pianto di Rose cessò, limitandosi a singhiozzi. La ragazza lo guardò e stupita chiese: “Come ci sei riuscito? Con qualche magia, per caso?”
“No, non si tratta di magia. È come se io e Rose fossimo sempre stati connessi. Appena la prendo in braccio è come se lei mi riconoscesse subito. Come se sapesse chi sono per lei” rispose Tremotino e guardò Rose che lo guardava senza piangere e, ora, senza neanche un singhiozzo. Il signore oscuro la baciò sulla fronte e Rose gli prese una ciocca di capelli. Belle li guardò sorridendo. Poi si avvicinò a loro e domandò: “Come è andata?”
“Direi egregiamente, se tralasciamo un paio di particolari” rispose Tremotino.
“Un paio di particolari?” ripete stupita Belle. Tremotino la guardò e spiegò, dopo aver sospirato: “Sai benissimo che dove andremo verremo privati delle nostre memorie e avremo nuove identità. È per questo motivo che dovrai sempre portare con te il medaglione che ti ho regalato: non solo è protetto esternamente da un mio incantesimo, ma internamente ha una magia ancora più potente. Più potente di qualsiasi cosa che io stesso abbia creato.”
Belle toccò con una mano il medaglione – con arcolaio e rosa dorati uno accanto all’altro – che portava al collo. Poi alzò lo sguardo e chiese: “E per quanto riguarda Rose?”
“Prima io ed Excalibur siamo stati nella foresta e nel posto che un tempo era la sua tana dove è nata. Ho praticato in essa un potente incantesimo. Non bisogna far altro che mettere Rose al suo interno, in modo che i suoi ricordi rimangano intatti o, almeno, quelli più significativi” spiegò Tremotino guardandola. Belle, però, abbassò lo sguardo. Il signore oscuro quindi le domandò: “Cosa c’è?”
“Mi sento che accadrà qualcosa di brutto” rispose Belle. Lo guardò e aggiunse: “E se non dovessimo ritrovarci? E se Regina trovasse Rose prima di noi? No, non sono sicura di tutto questo.”
“Belle, cerca di ragionare: è il solo modo per potervi salvare entrambe. E poi Jefferson vi aiuterà” disse Tremotino.
“Jefferson?! Cosa c’entra lui? Perché hai dovuto coinvolgerlo?” chiese Belle.
“È… per un patto che abbiamo fatto. Ma è tutto sotto controllo e lui ha accettato” rispose Tremotino.
“Sicuramente lo avrai messo in condizioni di accettare. Non lo so. Regina è molto astuta” disse Belle.
“Ma io lo sono di più. Prometto che ci ritroveremo e saremo tutti insieme” disse Tremotino, mettendole una mano sulla spalla. Belle si avvicinò. Mise una mano sulla testa di Rose che guardò la madre e le sorrise. Belle le sorrise a sua volta. Quindi riguardò Tremotino e disse: “Ma se non dovessimo essere insieme, se qualcosa dovesse accadere, devi promettermi che crescerai Rose come lo avrei voluto anche io. Deve essere felice. Deve avere il suo papà sempre accanto e proteggerla da qualsiasi cosa. Non farle mancare mai nulla ma, soprattutto, non deve mai mancarle il tuo affetto. Non importa ciò che avrà ma chi avrà accanto a sé, e io voglio che sia tu a starle accanto.”
Tremotino era rimasto senza parole. Sembrò che gli occhi gli diventassero lucidi. Stava davvero per mettersi a piangere? Non poteva pensare a una vita senza la sua Belle accanto. Forse un tempo sì, quando aveva solo sete di potere e ritrovare suo figlio Baelfire. Ma ora era diverso. Belle era la luce nel suo cuore. Ciò che lo faceva rimanere ancora umano. E Rose era il frutto del loro amore. La loro rosa da proteggere da chi voleva portarla via e farle del male. Non poteva e non voleva sentire quelle parole provenire dall’unica persona che aveva – e amava – per davvero. Il bacio del vero amore poteva anche aver funzionato a metà, ma solo per codardia sua nel non voler rinunciare al potere. Ma lei era rimasta ed era nata Rose. Erano una famiglia e non poteva pensare che fra qualche giorno forse non si sarebbero mai più rivisti.
Le accarezzò dolcemente una guancia con il dorso della mano. Belle chiuse gli occhi, assaporando quella calda carezza.
“Te lo prometto” le disse semplicemente. Belle riaprì gli occhi. Stavano per baciarsi quando un forte tuono li fece voltare lo sguardo verso la finestra. Iniziò a piovere forte. Rose abbassò il labbro inferiore e lasciò andare la ciocca di capelli del padre. La piccola emise dei piccoli singhiozzi.
“No, piccolina, non piangere. È solo un temporale. Ci sono mamma e papà qua con te. Ora passa tutto” cercava di rassicurarla Belle con dolci parole mentre le accarezzava la testa. Ma Tremotino, continuando a guardare il forte temporale, sapeva benissimo che qualcosa stava per accadere.
 

Storybrooke
 
Rose, Paige e Victor corsero con quanto fiato avevano, raggiugendo in breve tempo l’ospedale. Percorsero i vari corridoi, fino ad arrivare al pronto soccorso dove vari medici e infermieri erano attorno a un paziente. Ma non era un paziente qualunque: Henry stava su quella barella, a maglietta scoperta, mentre continuavano a praticargli il massaggio cardiaco.
“Dategli altra morfina” disse il Dottor Whale.
“Dottore, ci siamo dietro da più di dieci minuti. Il cervello potrebbe aver subìto dei danni in mancanza di ossigeno” disse un’infermiera.
“Non mi interessa! Dobbiamo fare il possibile affinché questo bambino non muoia. Andremo avanti finché non si riprenderà” replicò il Dottor Whale.
Rose non poteva starsene lì a guardare. Quindi entrò nella stanza e, facendosi largo tra dottori e infermieri, andò accanto al lettino e, guardando l’amico, disse: “Henry, sono Rose. Ti prego, apri gli occhi. Non puoi andartene proprio ora che siamo vicini alla soluzione. Ti prego Henry, non ci abbandonare. Abbiamo bisogno di te. Sei il mio migliore amico: non posso perderti. Tu mi sei sempre stato accanto anche quando, magari, non volevo. Henry, ti scongiuro, devi lottare con tutte le tue forze.” Gli prese una mano, mentre le lacrime le bagnavano il viso, finendo su quello di lui.
Paige li guardò, poi il suo sguardo si posò sulla mano di Rose che teneva quella di Henry. Provò qualcosa dentro di sé che non aveva mai provato prima. Forse era gelosa? Ma come poteva esserlo? Erano solo dei bambini e l’amore era una cosa da adulti… o forse no?
I dottori continuavano a rianimare Henry. Si sentiva il battito del suo cuore sulla macchina accanto. Ma poi... un lungo suono continuo.
“No! No!” replicò il Dottor Whale, mentre guardava la linea piatta. Poi guardò gli altri e aggiunse: “Coraggio, usate i defibrillatori e portate via questa bambina!”
Un’infermiera, allontanò Rose da Henry. Rose lasciò la mano di Henry e, mentre veniva allontanata, gridò: “Henry! Henry, devi svegliarti! Henry, ti prego, svegliati! Avevi ragione: la maledizione esiste veramente! Henry, svegliati!” L’infermiera la condusse fuori, da Victor e Paige, per poi rientrare dai colleghi.
Rose se ne stava lì, oltre la vetrata insieme a Victor e Paige, a guardare il suo migliore amico lottare tra la vita e la morte e lei era lì a non fare niente. Ma non era da lei starsene con le mani in mano.
“Povero bambino. Sta… sta morendo” disse Victor.
“Non morirà! Non glielo permetterò!” replicò Rose. Poi voltò lo sguardo e, su un lettino, vide lo zainetto di Henry e tutta la roba, precedentemente in esso, sparsa sul lettino stesso compreso…. il libro. Rose si avvicinò e prese in mano il volume. Sfiorò con le dita la scritta dorata “Once Upon a Time”. Lo strinse forte a sé per poi voltarsi e guardare i dottori che tentavano di rianimare il suo migliore amico. Il primo amico che aveva avuto il coraggio di parlarle. Che non aveva mai avuto paura di suo padre.
 
Storybrooke anni prima
 
Gold e una piccola Rose stavano camminando, mano nella mano, per la via principale della città. Era il primo giorno d’asilo anche se al mattino Rose aveva fatto non pochi capricci. Di tanto in tanto, Gold abbassava lo sguardo per vedere la figlia pensierosa. Di solito era molto chiacchierona, ma quella mattina, già a colazione, non aveva proferito parola.  Riguardò avanti.
“Vedrai, l’asilo ti piacerà” le disse.
“Ma non posso stare a casa con te o venire in negozio?”  domandò Rose guardandolo.
“Piccola mia, lo sai che lo vorrei tanto ma, standotene a casa, non imparerai tante cose belle quante te ne insegneranno all’asilo. E poi così ti farai un sacco di amici” rispose Gold, facendo un piccolo sorriso, anche se gli si spezzava il cuore a lasciarla andare. Ovviamente non sarebbe stato per sempre ma, finora, non si era mai separato da lei nemmeno per mezza giornata.
Arrivarono davanti all’asilo. C’erano tanti genitori che stavano salutando i loro figli. Gold si abbassò davanti a Rose e, mettendole le mani sulle spalle, disse, dopo aver sospirato: “Sai già che mi mancherai tantissimo. Ma vedrai che ti divertirai un sacco anche senza di me.”
Rose non disse nulla. Si limitò ad abbracciarlo. Gold fece altrettanto. Chiuse gli occhi mentre teneva il volto sui capelli della figlia. Profumavano di rose. Era il suo profumo preferito. Lo era stato anche della madre.
Gold riaprì gli occhi e la guardò. Rose lo guardò chiedendogli: “Papà, perché stai piangendo?”
“No… è solo che era ieri quando ti tenevo tra le mie braccia e ti cullavo per farti addormentare, sussurrandoti dolci parole. Mentre ora vai già all’asilo. Vorrei che il tempo non passasse mai per poterti avere per sempre” rispose Gold, dopo essersi tolto velocemente una lacrima.
“Ma tu mi avrai per sempre: non me ne andrò da Storybrooke. Sei il mio papà e non potrei mai lasciarti solo. Siamo una famiglia, no?” disse Rose. Gold sorrise e le accarezzò dolcemente una guancia. Anche Rose gli sorrise, ma entrambi voltarono lo sguardo quando una voce disse: “Vedo che siamo di facili sentimentalismi.” Videro Regina che teneva per mano suo figlio Henry.
Gold si rialzò e, dopo aver messo protettivamente Rose dietro di sé, disse: “Vostra maestà, non la credevo così solitaria. Dove si trova il vostro caro sceriffo?” e sorrise maliziosamente.
“Non so a cosa alluda ma, come può vedere, non sono da sola: ho accompagnato mio figlio Henry per il suo primo giorno d’asilo, anche se già so di pentirmene. Odio dover lasciare il mio adorato Henry nelle mani di quelle suore” disse Regina.
“La penso esattamente come lei ma, come ben sa, non possiamo tenere prigioniero qualcuno per molto tempo” disse Gold. Regina strinse forte la mano di Henry. Temeva che Gold avesse scoperto di… no, non era possibile. Gold non si ricordava nulla, oppure sì? Mentre i due adulti parlavano, Rose spuntò da dietro suo padre e guardò Henry. Lo aveva già visto in precedenza, ma non c’era mai stata vicina né gli aveva mai parlato. Lo aveva incontrato più volte al parco, ma con suo padre che la teneva costantemente sorvegliata non aveva mai avuto l’opportunità di andare da lui.
Regina lo guardò per poi, come aveva fatto precedentemente Gold, abbassarsi davanti a Henry e parlargli. Gold abbassò lo sguardo e mise una mano intorno alla figlia. Rose lo guardò, sorridendogli. Gold le sorrise a sua volta.
“E mi raccomando, sta' lontano da certe persone: potrebbero avere una brutta influenza su di te” finì Regina di dire a Henry. Gold e Rose li guardarono e sapevano benissimo che la donna si stava riferendo alla bambina. Regina li guardò e sorrise maliziosamente. Henry l’abbracciò e corse dentro l’edificio.
Rose si strinse al padre. Non voleva allontanarsi da lui. Gold la strinse a sé, ma poi le disse: “Ora devi andare. Ci vediamo oggi pomeriggio” Rose alzò lo sguardo dicendogli: “Ti voglio tanto bene, papà.”
“Te ne voglio tanto anche io, mio piccolo fiore” le disse sorridendo. Rose, con tristezza, entrò anche lei nell’edificio. Gold la guardava per poi sospirare.
“È dura quando si manda via una persona. Ma si tenga ben stretta la sua piccola mocciosa” disse Regina. Gold la guardò minacciosamente. La donna si limitò a sorridergli per poi voltarsi e andarsene.
Gold non si fidava di quella donna. Se solo avesse provato a toccare la sua adorata Rose, gliela avrebbe fatta pagare molto amaramente. E lui aveva il potere di farlo. Riguardò un’ultima volta l’asilo e poi se ne andò anche lui.
Passarono le ore, ma Rose non si era affatto integrata. Nessuno le stava accanto. La guardavano per poi fare gruppetto tra di loro. La evitavano spontaneamente. Non vedeva l’ora di ritornare da suo padre e andarsene da quel brutto posto. Persino le suore la guardavano quasi con indifferenza. Vedeva in loro quei loro sorrisi forzati solo per guadagnarsi la sua fiducia in modo che il padre non le sbattesse fuori dal convento. Ma così non si rendevano conto di peggiorare solo le cose.
Era tempo di ricreazione e Rose si trovava sola sotto a un albero. Gli altri bambini non l’avevano neanche presa in considerazione per giocare con loro. Aveva lo sguardo abbassato, ma lo alzò quando comparì un’ombra. Si trattava di Henry.
“Ciao” le disse semplicemente Henry.
“Ciao” contraccambiò lei. Ci fu silenzio ma poi Henry domandò: “Vuoi venire a giocare con me?”
“Vuoi veramente che giochi con te?” chiese stupita Rose.
“Certo. Perché, c’è qualcosa che non va?” domandò Henry.
“No… è che nessuno vuole mai giocare con me e cerca sempre di starmi alla larga” rispose Rose.
“Lo fanno per via di tuo padre. Ma tu non sei tuo padre. Tu sei diversa” disse Henry.
Rose fece un piccolo sorriso. Proprio in quel momento, una palla rotolò accanto a loro. Videro delle bambine correre verso di loro per poi fermarsi. Una di loro disse, ignorando completamente Rose: “Ehi Henry, dai, dacci la palla e poi vieni a giocare con noi.”
“Va bene, ma può venire anche Rose?” chiese Henry. Le bambine parlarono tra di loro sottovoce. Poi li riguardarono e la bambina di prima rispose: “Certo che no. È stramba come il padre e sicuramente farà qualche trucchetto per farci perdere tempo.”
Henry prese la palla e disse: “Allora rimango qua con lei” e lanciò la palla alla bambina, che stupita domandò: “Non starai dicendo sul serio?!”
“Certo che dico sul serio. Lei non è come suo padre. Dovreste imparare a conoscere meglio una persona prima di giudicarla” rispose Henry. Rose rimase senza parole. Quel bambino la stava difendendo.
La bambina alzò le spalle. Per poi dire: “Fa’ come ti pare. Perderai solo del tempo con lei.” E, insieme alle altre, se ne andò via.
“Invece siete voi che non sapete cosa vi state perdendo” disse Henry. Poi si voltò verso Rose. Quest’ultima gli disse: “Grazie. Nessuno mai prima d’ora, eccetto per mio padre, aveva preso le mie difese”
“Be', gli amici servono anche a questo, no?” disse Henry e Rose sorrise. Da quel giorno i due divennero amici inseparabili.



 
Note dell'autrice: Buona sera ed eccomi qua con la prima dell'ultimo capitolo....di questa prima stagione. Ebbene sì finalmente dopo tanto tempo, sono arrivata alla fine della prima stagione (in netto ritardo con il resto della serie ma, come si dice, meglio tardi che mai, no?) Comunque come noterete ho voluto cambiare un pò di cose (soprattutto lo vedrete nella seconda parte) e spero di essere riuscita a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle. Del perchè Rose sia rimasta piccola per ben 28 anni. Perchè Belle e Rose non erano con Tremotino e di come Excalibur (e non solo lei) sia stata fondamentale.
Con ciò ringrazio, come sempre, tutti coloro che hanno avuto pazienza nell'arrivare fin qua. Che recensiscono o leggono. Un grazie in particolare a Lucia e alla mia "sorellina" Laura
Vi aspetto al prossimo aggiornamento. All'ultimo per quanto riguarda la prima stagione.
Un buon proseguimento di serata, miei cari Oncers

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Capitolo 40
*** Il Vero Amore vince sempre - Parte II ***





The Rose of true Love


 
 
  Capitolo XX: Il Vero Amore vince sempre -  Seconda Parte

 
Storybrooke
 
Con libro in mano, Rose si riavvicinò a Paige e Victor, guardando al di là della vetrata, i medici che cercavano di rianimare Henry. Lui c’era sempre stato per lei e ora doveva essere lei a esserci per lui. Fargli vedere a cosa servono i veri amici.
Senza dire nulla, si incamminò per il corridoio. Victor e Paige la guardarono. Paige le chiese: “Dove stai andando?”
“A salvare Henry, e c’è solo una persona che può aiutarci” rispose Rose continuando a camminare.
“Se stai pensando di andare da Emma, allora…” iniziò col dire Paige ma Rose, voltandosi e fermandosi, la bloccò dicendole: “Non sto andando da Emma. Vado da mio padre. Sembra sapere molte cose ed è venuto il momento della verità.” E, rivoltandosi, uscì. Victor e Paige la guardarono uscire per poi riporre lo sguardo sui dottori che tentavano di salvare la vita a Henry.
Rose camminava a passo spedito. Quindi si fermò nel vedere il padre uscire, stranamente, dalla biblioteca con in mano quello che sembrava essere un uovo, per poi entrare nel suo negozio. Aveva anche un’aria molto discreta. Lo seguì. Stavolta era decisa ad andare fino in fondo. Entrò anche lei nel negozio, sbattendo la porta dietro di sé. Gold, che era al bancone, si voltò e fu sorpreso nel vedere la figlia. Ma si limitò a domandarle: “Dove si trova quel ragazzo?”
“Non importa, e ora stammi ad ascoltare!” replicò Rose avvicinandosi.
“Modera il tuo linguaggio. Ricordati che sei ancora in punizione” disse Gold mentre osservava l’uovo dorato davanti a sé. Excalibur andò accanto a lui, spostando lo sguardo su entrambi i padroni.
“Non me ne frega nulla della punizione. Quello che voglio ora sono risposte!” replicò Rose e mise il libro 'Once Upon a Time' sul bancone. Gold lo osservò per un breve istante. Poi guardò la figlia e disse: “Non è il momento più adatto”
“Per te non è mai il momento più adatto e mai lo sarà! Vorrei che per una buona volta fossi tu a raccontarmi tutto e non le altre persone” replicò Rose.
“E cosa ci sarebbe da raccontare? Sentiamo” chiese Gold facendo un piccolo sorriso. Rose aprì il libro fino a fermarsi a un’immagine e, indicandola, rispose: “Di questo.” Gold guardò l’immagine: ritraeva lui in sembianze di Signore Oscuro e Belle. Lui teneva in mano la tazzina sbeccata. Alzò lo sguardo verso la figlia. Lo abbassò quando Excalibur emise dei versetti. Era veramente arrivato il momento di raccontarle la verità? Riguardò la figlia quando questa disse: “Henry sta morendo e io vorrei poterlo aiutare.”
“Non si può” disse semplicemente Gold guardando di lato.
“Come sarebbe a dire non si può?! È il mio migliore amico. Il primo che c’è sempre stato e noi siamo qua a non fare nulla. No! Non lo posso accettare! Non posso permettergli di morire! Qua dentro avrai pure qualcosa che possa aiutarlo, no?” replicò Rose con quasi le lacrime agli occhi.
Gold la guardò e replicò: “Non ho nulla per salvarlo! L’unica persona che può farlo è la Signorina Swan.” Padre e figlia si guardarono in silenzio. Poi Rose distolse lo sguardo quando le lacrime iniziarono a bagnarle il viso. Strinse i pugni per la rabbia. Sapeva benissimo che quella donna non avrebbe mai creduto nella maledizione e, di conseguenza, Henry sarebbe morto. Gold la guardò piangere. Un senso di colpa si formò dentro di lui. Non voleva vedere l’amata figlia in quello stato.
“Mi dispiace per il tuo amico” furono le uniche parole che riuscì a pronunciare. Rialzò lo sguardo quando Rose, con il viso bagnato dal pianto, lo guardò domandandogli: “Perché mi avete abbandonata? Non mi volevate bene?”
“Certo che ti volevamo bene. Eri la cosa più bella che ci fosse mai capitata. È per questo che abbiamo cercato di proteggerti da qualunque cosa” rispose Gold.
“Allora perché mi sono ritrovata nella foresta senza nessuno di voi accanto?” chiese Rose.
“Non so cosa possa essere successo, anche perché non ero presente” rispose Gold.
“Non tentare di discolparti! So benissimo che c’entri con tutta questa storia. Magari è anche colpa tua se la mamma è morta!” replicò Rose. Gold andò da lei e, dopo averle preso le mani, replicò: “Io amavo tua madre! E volevo bene anche a te! Usai tutto ciò che avevo per trovare un modo di proteggervi dalla maledizione! Ma evidentemente qualcosa non deve essere andato come previsto.”
Rose lo guardò in silenzio. Poi Gold, calmandosi, proseguì: “Ero in cella quando tu e tua madre scappaste nella foresta. Le avevo detto di andare alla tana che una volta apparteneva a Excalibur.”
“Sono stata trovata da Graham accanto a una tana nella foresta” disse Rose, mettendo insieme tutti i pezzi della storia.
“Ma non so poi cosa sia accaduto. So solo che il mio cuore si spezzò quando Regina venne da me e mi disse che eravate entrambe morte. Ero distrutto. La mia vita era distrutta. Ero nuovamente rimasto solo. Ma ormai la maledizione incombeva e, con ormai tutto perso, mi ripromisi che una volta arrivato nel mondo senza magia avrei cercato tuo fratello. Per poi rendermi conto che nessuno poteva uscire da questa cittadina: se si oltrepassava la linea rossa, non solo non si poteva tornare indietro, ma si perdevano anche la memoria e… la propria identità” spiegò Gold ed Excalibur, accanto a lui, abbassò tristemente orecchie e testa.
“Ora capisco perché non hai mai voluto che oltrepassassi quella linea. Hai sempre cercato di proteggermi mentre io mi cacciavo – e mi caccio – costantemente nei guai” disse Rose.
“No. Ho cercato di proteggerti dalla verità. Non volevo che mi reputassi un codardo. Non ho mantenuto la promessa che feci a tua madre prima della maledizione. Forse avresti preferito un padre diverso” disse Gold. Rose lo abbracciò e, mentre teneva la testa appoggiata al suo petto, disse: “No. Io ho sempre desiderato un padre come te. Sono contenta di essere tua figlia e mi… mi dispiace per tutte quelle volte che ti ho disubbidito. Ti voglio bene.”
Gold chiuse gli occhi e strinse forte a sé la figlia. Più volte aveva cercato di non compiere gli stessi errori fatti con Baelfire. Ma più cercava di evitare quegli errori, più invece ne commetteva. Invece la sua piccola e dolce Rose riusciva sempre a perdonarlo, proprio come faceva la madre in passato. Riusciva a vedere ciò che gli altri non vedevano: un uomo che amava la propria famiglia e che cercava di proteggerla da qualunque cosa, utilizzando qualsiasi mezzo.
Excalibur si mise retta sulle zampe posteriori, appoggiando quelle anteriori su una gamba di Gold. Scodinzolò mentre guardava i padroni abbracciarsi. Lei si ricordava benissimo che era stata parte importante del piano del padrone affinché Belle e Rose si salvassero, ma sapeva anche come erano andate veramente le cose e perché le due persone amate da Tremotino non si fossero ritrovate con lui nel mondo senza magia.

 
Foresta Incantata

 
Belle, con in braccio Rose, era fuori sul balcone della sua camera da letto a osservare il cielo scuro. Sapeva benissimo che fra poco Regina avrebbe scagliato la maledizione che li avrebbe tutti condotti in un mondo senza magia, dove avrebbero avuto nuove memorie e nuove identità.
Per quel motivo, Tremotino aveva preparato, da mesi, un piano affinché lei e Rose mantenessero i loro ricordi: Belle sarebbe stata protetta con il medaglione che portava al collo – regalo di Tremotino – mentre Rose sarebbe stata nella tana una volta appartenuta a Excalibur, ora protetta da un potente incantesimo fatto dallo stesso signore oscuro.
Belle, avvolta nel suo mantello, abbassò lo sguardo sulla piccola che, ignara di ciò che sarebbe successo, stava dormendo beata anche se, già precedentemente, si era svegliata e aveva pianto a causa della mancanza del padre da quasi un mese.
Tremotino, infatti, si era fatto imprigionare di sua spontanea volontà e ora si trovava nelle prigioni sotterranee del castello di Biancaneve e del suo principe. Non era mai riuscita a capire il perché di questa sua scelta e lui non glielo aveva mai spiegato.
Rientrò nella stanza e, mentre camminava, disse: “Dobbiamo andare. Devi portarmi subito da Tremotino.” Dove, la persona che si trovava nella stanza insieme a Excalibur, la guardò dicendo: “Milady, il padrone, prima di andarsene, è stato espressamente chiaro con me: non voleva che lei e la piccola usciste dal castello, visto che questo edificio è protetto da una sua potente magia e che qui dentro, di conseguenza, sareste al sicuro da qualsiasi cosa.”
“Ma lo voglio io. Non sono sicura se ci rivedremo ancora e, per questo motivo, voglio che lui riveda la figlia per un’ultima volta. Ti prego, Dove” disse Belle. Dove la guardò in silenzio. Poi abbassò lo sguardo su Excalibur che, guardandolo a sua volta, emise dei versetti. Riguardò Belle e, dopo aver sospirato, disse: “So già che me ne pentirò, ma mi segua. Si tenga sempre stretta la piccola.” Belle sorrise e, insieme a guardia del corpo ed Excalibur, uscì dal castello, tenendo stretta a sé Rose.
Camminarono senza sosta per la foresta, cercando di prendere strade secondarie: le guardie di Regina erano sempre imprevedibili e potevano trovarsi dovunque pur di mantenere un ordine della loro sovrana.
Finalmente arrivarono al castello di Biancaneve e del suo principe e, per non farsi vedere, entrarono per una porta nascosta da folti arbusti che Dove staccò prontamente. Era stato il fiuto magico di Excalibur a portarli lì, anche se Belle aveva il sospetto che fosse stato lo stesso Tremotino a dire all’amata volpe come entrare nelle prigioni, qualora la donna avesse voluto rivederlo o lui avesse avuto bisogno della fedele amica.
Dove aprì la porta, facendo entrare prima Excalibur, poi Belle e infine entrò lui. Camminarono per un lungo e stretto corridoio. Per farsi luce, Dove prese una torcia facendo strada a Belle ed Excalibur, anche se la volpe si stava facendo guidare dal suo fiuto magico.
Mentre camminavano, gocce d’acqua cadevano dal soffitto, producendo un insistente e continuo rumore a terra, anche se Belle e Dove ci davano poca importanza.
Procedettero ancora un po’, finché Excalibur non emise dei versetti: davanti alla cella di Tremotino c’erano due guardie. Belle e Dove si nascosero dietro al muro e, sporgendosi con la testa, osservarono ciò che stavano facendo. Le guardie, però, erano ferme. Dopotutto compivano solamente il loro lavoro, ovvero sorvegliare il prigioniero.
Belle guardò Rose tra le sue braccia che, nel mentre, si era svegliata, guardando la madre a sua volta.
“Milady, non è prudente: dovremmo ritornare indietro” propose Dove.
“Non torno indietro proprio ora con Tremotino dietro a quelle sbarre. Ha il diritto di rivedere sua figlia per un’ultima volta” disse Belle mentre accarezzava dolcemente la piccola su una guancia. La bambina emise dei gridolini, che fecero destare le guardie. Una di loro domandò: “Chi va là?”
Belle sospirò. Erano stati scoperti. Excalibur ringhiò. Dove disse: “Milady, vi prego, ritorniamo al castello finché siamo ancora in tempo.”
“Ci penserò io a loro. Tu rimani qua con Excalibur” disse Belle e, dopo aver avvolto Rose nel mantello, in modo che le guardie non si accorgessero di lei, sbucò da dietro il muro, camminando verso la cella. Le guardie la guardarono. Belle teneva il capo abbassato, in modo che non la potessero vedere in viso o, in qualche modo, riconoscere. Poi si fermò e disse: “La maledizione sta incombendo. Invece di stare qua, perché non passate gli ultimi momenti con i vostri cari?”
Le guardie si guardarono e, senza dire niente, se ne andarono.
Tremotino uscì dall’oscurità e, vedendo qualcuno, disse, avvicinandosi alle sbarre: “Mostrati alla luce, mia cara.” Belle si mostrò alla luce, togliendosi il cappuccio da sopra la testa. Tremotino strinse le sbarre, pronunciando solamente il suo nome: “Belle.”
La ragazza si avvicinò e Tremotino mise una mano sulla guancia di lei, che sorrise al suo tatto. Gli era mancato in quel mese.
“Mia dolce Belle. Mi sei mancata tanto. Ma non dovresti essere qua” disse Tremotino.
“Volevo vederti per un’ultima volta e volevo che tu vedessi lei” disse Belle e tolse il mantello da sopra Rose. Questa si guardò intorno, non capendo dove fosse. Poi guardò il padre e sorrise.
“Oh, Rose, mio piccolo fiore” disse Tremotino allungando le braccia fuori dalle sbarre. Belle gli porse delicatamente la figlia. Tremotino la guardò con amore per poi dirle: “Mi sei mancata, piccolina. Sei cresciuta dall’ultima volta. Diventi ogni giorno come la tua mamma.”
“Lo sai che assomiglia anche a te” disse Belle sorridendo. Rose guardava il padre con quegli occhi così uguali ai suoi e con quelle piccole macchie dorate. Poi allungò una manina e gliela mise sul naso, proprio come aveva fatto appena era nata. E come aveva fatto anche suo fratello Baelfire.
Tremotino si addolcì ancora di più. Non voleva separarsi dalla sua adorata bambina e dalla donna che amava. Ma doveva. In quella prigione la sua magia era ridotta e sperava che il piano che aveva preparato da mesi funzionasse.
“Ci sei mancato tanto in questo mese. Ti avremmo voluto accanto a noi per passare gli ultimi momenti prima che Regina scagliasse la maledizione. Perché ti sei fatto imprigionare? Biancaneve e gli altri non aspettavano altro di farlo” disse Belle guardandolo.
“Pensavo fossero amici tuoi” disse Tremotino, continuando a guardare Rose.
“Tu e Rose siete più importanti. Allora perché ti sei fatto imprigionare? Non potevi rimanere al castello oscuro insieme a noi?” chiese Belle.
“Faceva tutto parte del piano e volevo che i tuoi cosiddetti amichetti pensassero di aver vinto dopo avermi imprigionato. Invece, così facendo, hanno solo peggiorato le cose” rispose ridendo Tremotino e anche Rose rise. Belle fece un piccolo sorriso. Poi si toccò il medaglione che portava al collo. Era pensierosa e ovviamente Tremotino se ne accorse. Allungò una mano sopra quella di lei. La donna alzò lo sguardo per incrociare il suo. Il signore oscuro le disse: “Andrà tutto bene. Se seguirai tutto quello che ti ho detto, ci ritroveremo tutti insieme nel mondo senza magia.” Belle sorrise. Avvicinò il viso a quello di lui. Stavano per baciarsi quando sentirono dei rumori. Dove ed Excalibur accorsero da loro.
“Milady, dobbiamo andarcene subito: credo stiano arrivando le guardie della principessa Biancaneve” disse Dove.
“Devi andartene, Belle. Se arrivano, scopriranno di Rose e te la porteranno via” disse Tremotino e, controvoglia, riconsegnò delicatamente Rose tra le braccia della madre. La bambina protestò per essere stata allontanata così velocemente dal padre.
“Vorrei che potessimo godercela per sempre così” disse Belle, mentre osservava la figlia. Tremotino, allora, seppur con la poca magia che poteva usare, mise entrambi le mani sul corpo di Rose, che venne avvolta da una luce viola. Quando si dissolse, Belle domandò, guardando Tremotino: “Cosa le hai fatto?”
“Un incantesimo che la farà rimanere neonata fino a che la salvatrice, o qualcuno che avrà il suo sangue, non arriverà a salvarci. Fino ad allora Rose sarà una neonata, così potremmo godercela finché vogliamo” spiegò sorridendo Tremotino e mettendo una mano dietro la testa di Rose, che lo guardò sorridendo. I genitori guardarono amorevolmente la loro bambina.
Excalibur drizzò le orecchie e voltò lo sguardo per vedere alcune ombre sui muri. Riguardò i padroni ed emise dei versetti, avvertendoli. Tremotino baciò la testa di Rose, dicendole: “Ti voglio tanto bene, mio piccolo fiore. Non farti consumare dall’oscurità. Sii come tua madre. Non commettere i miei stessi errori. Sii forte e presto ci ritroveremo. Saremo di nuovo tutti insieme. Non dimenticarti di noi e chi sei.”
Le guardie erano sempre più vicine.
“Milady, dobbiamo andare” la incitava Dove. Tremotino guardò Excalibur e si abbassò. La fedele volpe si avvicinò. Il signore oscuro mise una mano sotto il mento di lei, dicendole: “Mia cara amica, tu sai dove portarli. Usa il tuo fiuto per condurli al luogo dove sei nata. Ci ritroveremo presto nel mondo senza magia. Il papà ti vorrà sempre bene. Segui sempre la tua strada.”
Excalibur emise dei versetti e, entrando con la testa tra le sbarre, la strusciò contro le gambe del padrone. Tremotino la guardò. E dire che anni prima voleva scacciarla perché la riteneva solo una perdita di tempo. Invece era diventata la sua migliore amica. Quella piccola palla di pelo che lo seguiva dappertutto, almeno quando era un cucciolo. Ora preferiva starsene comoda nella sua cesta a dormire o accanto alla culla di Rose, sorvegliando la bambina.
“Mi rincresce dover insistere, ma dobbiamo andare” disse Dove. Tremotino lo guardò replicando: “Stai zitto! Non mi devi interrompere! Non farlo mai più!” Dove abbassò il capo, ma lo rialzò quando il signore oscuro aggiunse: “Belle e Rose sono affidate a te. Devi proteggerle anche a costo della tua vita, chiaro?!”
“Chiaro, padrone” disse Dove, facendo un piccolo inchino con la testa.
“Vedi di obbedirmi. Dopotutto mi hai giurato eterna fedeltà, quindi questo varrà anche per il mondo senza magia” continuò Tremotino. Dove teneva ancora il capo chinato. Ma fu sorpreso di sentire quando Tremotino finì col dire: “Ma non te l’ho mai detto: sei un buon amico. Mi sei sempre stato fedele come avevi promesso.” Dove lo guardò non dicendo nulla.
Le guardie erano sempre più vicine. Dove cercò di andare per il corridoio dal quale erano venuti, ma si fermò non appena vide le ombre delle guardie sempre più vicine. Quindi disse: “È troppo tardi: non possiamo più tornare indietro.”
“Avvicinati a Belle e prendi in braccio Excalibur. Mentre tu, Belle, tieniti ben stretta Rose” disse Tremotino. Dove ritornò accanto a Belle ed Excalibur saltò in braccio alla guardia del corpo. Belle guardò Tremotino e gli disse: “Ti amo.”
“Ti amo anche io” disse Tremotino. Poi guardò Rose, che lo guardava a sua volta, e aggiunse: “E voglio tanto bene anche a te, mio piccolo e dolce fiore. Presto ci rivedremo e saremo di nuovo una famiglia. Non dimenticarti di me.” E, con un cenno della mano, li fece scomparire in una nube viola. Tenne le mani sulle sbarre e abbassò la testa. Gli si era spezzato il cuore dover dire addio a Belle e a Rose, ma sapeva che le avrebbe riviste.
Alzò lo sguardo non appena vide le guardie arrivare e fermarsi davanti alla sua cella. Quindi, sorridendo, disse: “Oh, ma che bello, ho delle visite. Cosa vi porta alla mia umile cella? Se avessi saputo che sareste venuti, avrei abbellito questo posto.” E rise. Le guardie lo guardarono e una di loro disse: “Eravamo convinti che qua ci fosse qualcun altro.”
“Voi siete sempre convinti di qualcosa anche quando non c’è” disse sorridendo Tremotino e rise nuovamente.
“Questo qui è pazzo” disse un’altra guardia e se ne andarono. Tremotino rise. Poi ritornò nell’oscurità. Si guardò una mano, nella quale si formò una debole palla di fuoco. Chiuse la mano a pugno e il fuoco si dissolse.
Belle e Dove comparvero nella foresta. Excalibur scese dalle braccia di Dove mentre Belle tenne stretta a sé Rose. La bambina iniziò a piangere. Belle la cullò, cercando di farla smettere. In quel momento si alzò un forte vento. Belle e Dove alzarono lo sguardo per vedere nubi grigie in cielo. Excalibur drizzò le orecchie e iniziò a correre. Belle e Dove la guardarono.
“Andiamo, Milady” disse Dove e inseguirono la volpe. Excalibur correva, seguendo il suo fiuto magico e seguita dai due umani. Poi la volpe si fermò. Ad aspettarli c’era un uomo. Ma non era un uomo qualunque.
“Jefferson” disse Belle, guardandolo. Jefferson li guardò e disse: “Alla buon ora. Ma vi rendete conto da quanto vi stavo aspettando? No, non voglio sentire nulla. La sola cosa da fare è muoverci. Le guardie di Regina sono nei paraggi e se non ci sbrighiamo prenderanno sia la piccola che il sacco di pulci.”
Excalibur lo guardò ed emise un versetto di disapprovazione, per poi spostare lo sguardo offesa. Jefferson la guardò, dicendole: “Lo sai che è la verità. Il tuo padrone ha sempre detto che tu e il sapone non andate d’accordo.” Riguardò Belle, che cercava di calmare Rose, la quale continuava a piangere.
“Che ha la piccola?” chiese Jefferson.
“Piange da quando siamo venute via da Tremotino. Forse le manca il padre” rispose Belle e guardò la figlia.
“Be', cerca di farla smettere: le sue doti canore attireranno solo persone indesiderate” disse Jefferson e si guardò intorno con preoccupazione.
“Jefferson, torna a casa. Tremotino mi ha detto che ti ha convinto con un patto. Torna a casa da tua figlia” disse Belle, guardandolo.
“Non posso: devo mantenere quel patto” disse Jefferson.
“Per una buona volta, non ascoltare Tremotino. Grace ha bisogno di te. Passa gli ultimi momenti con lei prima della maledizione. Io e Rose ce la caveremo” disse Belle.
“Ho detto che non posso! Se vi proteggo, poi Tremotino si occuperà di Grace nel mondo senza magia. Per ora, l’ho affidata a due persone vicino a casa mia. Non so se Grace si ricorderà di me, ma Tremotino mi aiuterà. Lo ha promesso. Quindi ora seguitemi” spiegò Jefferson guardandola, per poi voltarsi e camminare. Belle lo guardò. Poi abbassò lo sguardo su Rose che continuava a piangere. Dove le mise una mano intorno. Belle lo guardò e, insieme a Excalibur, seguirono Jefferson.
Erano quasi arrivati a destinazione quando vennero sorpresi dalle guardie di Regina. Jefferson e Dove si misero davanti a Belle e persino Excalibur ringhiò verso di loro, drizzando il pelo. Le guardie avanzarono, con le lance davanti a loro puntate ai tre. Jefferson voltò lo sguardo verso Belle e, sottovoce, le disse: “Belle, scappa via di qua più veloce che puoi. Excalibur verrà con te.” Ed Excalibur, smettendo di ringhiare, lo guardò.
“Non posso lasciarvi qua. Vi cattureranno” disse Belle.
“Tu e la piccola siete più importanti. E poi, se vi dovesse accadere qualcosa, quel piccolo folletto impertinente non me lo perdonerebbe mai. Io e la tua guardia del corpo ce la caveremo. Porta Rose in quella tana, ma per l’amore del cielo, corri con tutto il fiato che hai” disse Jefferson. Fece appena in tempo a voltare lo sguardo che le guardie li attaccarono. Jefferson e Dove riuscirono a trattenerle. Il cappellaio guardò Belle, urlando: “Corri!”
Belle si voltò e iniziò a correre, seguita da Excalibur. Per un po’ Jefferson e Dove furono in vantaggio sulle guardie, ma poi queste ultime riuscirono, sfortunatamente, a intrappolarli. Si sentì ridere e comparve Regina. Sorrise malignamente nel vedere Jefferson. Quindi disse, fingendosi preoccupata: “ Ti credevo uscito di senno. Come mi dispiace tanto.”
Jefferson si lanciò su di lei, ma due guardie riuscirono a bloccarlo e farlo inginocchiare. Regina si avvicinò a lui e, dopo avergli messo una mano sotto il mento, alzandoglielo, domandò: “Cosa ci fai in giro per la foresta, quando potresti stare accanto alla tua piccina? Sai, potresti non vederla mai più e a lei potrebbe capitare qualcosa di spiacevole per mano di qualcuno che vuole far soffrire il suo papà.”
“Quella che soffrirai sarai tu!” replicò Jefferson, guardandola malamente. Regina rise e, dopo avergli tolto la mano da sotto il mento, si allontanò dicendo: “Sbagli, mio caro cappellaio! Sarete tutti voi a dover soffrire. Io avrò il mio lieto fine e tutti obbediranno a me. Finalmente capiranno chi è veramente la loro regina. Biancaneve e il suo principe saranno solo un lontano ricordo. Presto la maledizione invaderà tutta la foresta incantata e nessuno, eccetto me, sarà più felice.” Poi si voltò e aggiunse: “E ora rispondi alla domanda di prima: cosa ci fai veramente qua? Stavi aiutando qualcuno, vero?”
“E se anche fosse, non te lo dirò mai! Ormai sarà già lontana e tu non potrai farle nulla” disse Jefferson.
“Stai aiutando la sguattera di Tremotino e la loro marmocchia. Dovevo intuirlo che quel folletto avrebbe trovato un modo per proteggerle. Ma lui ora non c’è, quindi ci penserò io a loro due” disse Regina e sorrise malignamente. Jefferson abbassò lo sguardo mentre Dove la guardava malamente.
Belle ed Excalibur continuarono a correre finché la volpe non si fermò accanto a una tana. La tana dove era nata. Si voltò ed emise dei versetti. Belle guardò indietro mentre le nubi grigie in cielo si facevano sempre più consistenti e scure. Il vento era sempre più forte. Belle guardò Rose che, stranamente, aveva smesso di piangere e ora guardava la madre. Poi si abbassò e vide che dentro la tana c’era una cesta in vimini e, dentro di essa, una rosa. Belle sorrise: era la stessa rosa che Tremotino le aveva regalato. Che fosse un ulteriore modo per proteggere la loro bambina?
La ragazza estrasse la cesta e vi depositò delicatamente Rose. Excalibur si mise accanto a loro. Quindi le disse: “Mia piccolina, ricordati che mamma e papà ti vorranno sempre bene. Segui il tuo cuore. Fa' ciò che ritieni più coraggioso, ma non fare in modo che siano gli altri a dover decidere per te. Mi mancherai molto e, se non ci dovessimo rivedere, rimani con tuo padre. Lui ti proteggerà.” E le accarezzò dolcemente una guancia. Le manine di Rose andarono su quella di lei.
A Belle divennero gli occhi lucidi. Non voleva abbandonarla. Ma doveva farlo. Per proteggerla. Lasciò delicatamente le mani della figlia e si slegò il medaglione che portava al collo per poi farlo vedere a Rose. Quindi le disse: “Che questo medaglione ti protegga e ti faccia ricordare di me e tuo padre. Non mi importa se, nel mondo senza magia, non mi ricorderò più chi sono. Voglio solo che tu stia bene. Salva me e tuo padre.” Rose allungò le manine toccando il medaglione. Belle glielo mise al collo sotto lo sguardo di Excalibur che teneva le orecchie abbassate. Poi la ragazza baciò la figlia sulla testa facendo cadere una lacrima su di essa. Prese le manine di lei tra le sue, dicendole: “Non sarà un vero addio. Ci rivedremo presto.” E lasciò le manine. Rose le allungò verso la madre, ma invano.
Belle guardò Excalibur e le disse: “Mi raccomando, proteggila. Sicuramente Tremotino te lo avrà già detto. Tu sei stata la mia prima vera amica. Mi tenevi compagnia al castello oscuro in quella cella ed è anche grazie a te se Tremotino ha di nuovo imparato ad amare. Grazie per tutto.” E l’accarezzò sulla testa. Excalibur emise dei versetti di tristezza. Si sentirono dei rumori. Belle voltò lo sguardo. Riguardò la figlia e, prendendo la cesta, la mise dentro alla tana. Excalibur ci andò accanto. La ragazza le guardò e poi corse via.
Excalibur si sporse con la testa, guardandola, ma poi rientrò nella tana non appena arrivarono le guardie di Regina. Alcune proseguirono correndo, mentre due si fermarono. Excalibur si fece ancora più vicina Rose, mettendo la grossa coda davanti a lei. Una delle due guardie si abbassò e guardò dentro. La volpe non osava mettere alcun suono e sperava che Rose non si mettesse a piangere. Excalibur sapeva dell’incantesimo di protezione che Tremotino aveva messo sulla tana, ma non sapeva dell’altra funzione. Infatti…
“Allora, trovato nulla?” chiese l’altra guardia.
“No, nulla: questa tana è vuota. Andiamocene. Regina vuole che catturiamo quella sguattera” rispose la prima guardia e andarono nella direzione delle altre guardie. Excalibur tolse la coda da davanti Rose. Lei aveva visto perfettamente le guardie guardare all’interno della tana, ma le guardie, invece, non avevano visto nulla. L’incantesimo di Tremotino, infatti, aveva funzionato anche come illusorio, permettendo a chi era all’esterno di non vedere nulla all’interno della tana, in modo che sia Rose che Excalibur fossero protette. Ora non restava che aspettare che la maledizione si compisse. Il signore oscuro aveva detto alla fedele volpe di rimanere sempre accanto a Belle e Rose. Se solo Tremotino avesse saputo che le cose non erano andate proprio come previsto. Guardò Rose, che la guardò a sua volta ridendo.
Regina stava guardando il cielo, mentre la maledizione piano piano si protendeva. Jefferson e Dove erano stati messi in una gabbia.
“Vostra maestà” disse una delle guardie. Regina si voltò e sorrise compiaciuta non appena vide le guardie portare Belle.
“Oh, ecco la bella fanciulla che ha preso il cuore della bestia. Allora, quel bacio ha funzionato?” disse Regina.
“Non faccia finta di nulla! Non avrà la nostra bambina. Tremotino l’ha protetta con qualsiasi cosa” replicò Belle.
“Non so se lo hai capito, dolcezza, ma la vostra mocciosa non mi interessa più. È il vostro lieto fine ciò che mi preme. Il lieto fine di tutti. Solo io sarò veramente felice e il tuo caro Tremotino perderà tutto ciò che ha di più caro” disse Regina sorridendo maliziosamente. Belle la guardò non replicando e venne messa in gabbia con Jefferson e Dove. Jefferson si avvicinò di più a Belle e sottovoce le domandò: “Allora, ci sei riuscita? La piccola starà bene?”
“Spero di sì” sospirò “e spero di vederla presto” rispose Belle e abbassò lo sguardo.
“Portateli alla prigione del castello. Ora ho altro a cui pensare” ordinò Regina alle sue guardie e, mentre questi portavano via Belle, Jefferson e Dove, Regina scomparve.
Intanto, Tremotino stava scrivendo lo stesso nome più volte su una lunga pergamena. Era seduto su una roccia nell’oscurità della cella. Voltò lo sguardo non appena sentì squittire. Sorrise e, dopo aver messo da una parte la pergamena, si alzò, dicendo: “Ora puoi anche mostrarti, mia cara. Ci siamo solo noi due.” Il topolino si trasformò, divenendo Regina. La donna fece qualche passo fermandosi davanti alla cella. Tremotino le fu di fronte, tenendo le mani sulle sbarre.
“Allora, cosa ti porta in questo posto? Ormai la maledizione dovrebbe essere al suo compimento. Perché non sei su a festeggiare la tua vittoria, invece di stare quaggiù? Non che odi la tua compagnia, ma avevo di meglio da fare. Quindi se non ti dispiace” disse Tremotino.
Regina sorrise. Per poi dire: “Me ne vado subito ma, visto che ci conosciamo da tanto, mi sembrava giusto informarti.”
“Che sei riuscita a uccidere il tuo caro paparino? Grazie tante, ma vorrei che mi risparmiassi la parte sentimentale della tua grande perdita” disse Tremotino, allontanandosi un po’ dalle sbarre.
“No. Ma della tua cara sguattera e della vostra mocciosa. Come è che si chiamava…. Beatrice…Bessy…” disse Regina, facendo finta di nulla.
“Belle” disse semplicemente Tremotino, guardandola cupa.
“Sì, proprio lei. Portava tra le braccia quel fagottino che non si sa come tu abbia potuto creare” disse Regina e, dopo essersi accertata che Tremotino avesse l’attenzione su di lei – più uno sguardo cattivo – continuò: “Erano nella foresta quando le guardie del padre l’hanno sorpresa per poi condurla nel suo vecchio castello. Il padre, per paura che ritornasse da te, l’ha rinchiusa in una torre ma, prima di ciò, le ha portato via la figlia.”
“Stai mentendo! Belle e Rose stanno bene!” replicò Tremotino ritornando alle sbarre e impugnandole così forte che le nocche delle mani sbiancarono.
“Per l’improvviso allontanamento dalla figlioletta prediletta, la ragazza non ha retto al dispiacere e si è gettata dalla torre. Che brutta morte” aggiunse Regina. Tremotino era sempre più furente. Poi Regina  continuò: “Oh, e non ti ho detto che il padre ha portato poi la nipotina da dei sacerdoti. Loro, credendola figlia del demonio l’hanno… non posso continuare.”
“Dimmelo! Cosa hanno fatto alla mia Rose?!” replicò urlando Tremotino.
“L’hanno bruciata viva” disse Regina. A Tremotino fu come se il mondo crollasse addosso. Belle e Rose non potevano essere morte. Non ci voleva credere. Sentì qualcosa dentro di sé. Se la sua magia fosse stata al pieno delle forze, avrebbe schiacciato all’istante il padre di Belle e anche Regina. Dopo ciò che era successo alle due persone che amava, chi aveva fatto loro ciò non poteva sopravvivere.
“Dicono che abbiano agito così perché volevano togliere tutto quel maleficio dentro di lei. Povera piccina. Una vita interrotta così presto. Be', poco importa, no? Ora sei di nuovo solo come anni fa, così potrai dedicarti solo a te stesso” disse Regina. In un attacco di rabbia, Tremotino prese il viso di lei tra le sue mani. Poi replicò: “Può anche darsi, ma così facendo mi dai carta bianca. Le uniche persone che riuscivano a fermarmi sono morte e, senza di loro, tutti dovranno avere paura di me. Compresa te, mia cara.”
“Che cosa vuoi?” gli chiese.
“Comodità. Una buona vita. Vivere nel lusso” rispose Tremotino.
“Va bene. Avrai una villa” disse Regina.
“Non ho ancora finito. Ogni volta che verrò da te a chiederti una cosa, quando dirò per favore, tu la esaudirai senza battere ciglio” aggiunse Tremotino.
“Cos’altro vuoi?” domandò Regina.
“Niente. Mi hai già tolto ciò che avevo di più caro. Ma attenta, mia cara, perché quando saremo nel mondo senza magia, dovrai temermi. Tu avrai pure il tuo lieto fine dove comanderai gli abitanti a bacchetta, ma io sarò padrone di tutta la città” rispose Tremotino e le lasciò il viso per poi andare un po’ nell’oscurità.
“Non ho mai avuto paura di te. Ma sia come vuoi. La città sarà tua, ma ogni qual volta verrò a chiederti aiuto, tu dovrai farlo senza esitare, chiaro?” disse Regina.
“Come volete, vostra maestà” disse Tremotino facendo un inchino, quasi come per prenderla in giro. Poi i loro sguardi si soffermarono l’uno sull’altra. Nessuno proferì parola. Regina si voltò per andarsene. Ma poi si fermò. Si rivoltò e disse: “Oh, quasi dimenticavo. Il padre della sguattera mi ha dato un regalino per te da parte dei sacerdoti.” E, in una mano, fece comparire un barattolo di vetro con dentro quella che sembrava cenere. Su di essa c’era un fiocchetto rosa per capelli. Tremotino ritornò vicino alle sbarre. No, non poteva essere vero. Belle metteva sempre quel fiocchetto nei capelli della figlia.
Regina si avvicinò e gli consegnò il barattolo. Poi ridendo, svanì. Tremotino guardò il barattolo tra le sue mani. Poi si allontanò dalle sbarre, andandosi a sedere su una roccia nell’oscurità. Alzò il barattolo e osservò il fiocchetto rosa. Aveva il cuore spezzato. Ora era certo di aver perso ogni cosa. La sua Belle e ora la sua piccola Rose. Non avrebbe più potuto tenerla tra le braccia. Poterla coccolare e guardarla dolcemente mentre dormiva tra le sue braccia o nella culla. Aveva perso Baelfire e ora anche Rose. Era solo. Solo con la sua tristezza, ma con tanta rabbia dentro di sé.
“Il mio piccolo fiore” fu solamente ciò che pronunciò e strinse a sé quel barattolo, mentre le lacrime gli bagnavano il viso.

 
Storybrooke

 
Jefferson camminava a passo veloce per le vie di Storybrooke. Aveva in mente qualcosa. Qualcosa che avrebbe posto finalmente fine a una tragica storia durata più di ventotto anni. Si fermò e alzò lo sguardo: l’ospedale si ergeva davanti a lui. Vi entrò, non prima però aver aspettato un certo animale dalla folta pelliccia rossa e bianca. Excalibur uscì dai cespugli lì accanto, raggiungendolo. La volpe era uscita dal negozio mentre i padroni si stavano abbracciando. Al momento non avrebbero molto badato a lei, visto anche che aveva appuntamento con Jefferson. I due si erano già messi d’accordo tempo prima.
Mentre camminavano, Jefferson non incrociava gli sguardi di nessuno. Aveva solo un obiettivo in quel momento e lo avrebbe portato a termine.
Senza farsi vedere, prese un paio di siringhe su di un tavolino e, dalla scrivania delle infermiere, Excalibur prese le chiavi, poi si mangiò qualche ciambella lasciata su un piatto lì vicino.
Arrivarono davanti alla porta blindata e Jefferson, dopo aver preso le chiavi dalla bocca di Excalibur, le infilò nella serratura, aprendola. Scesero lungo le scale, arrivando nei sotterranei. Come sempre, c’era un’infermiera di guardia. Appena li vide si alzò, ma non fece in tempo a dire qualcosa o a fermarli che Jefferson gli piantò una siringa nel braccio. L’infermiera svenne a terra, addormentandosi.
Jefferson ed Excalibur proseguirono fino ad arrivare al corridoio delle celle. Diede un’occhiata veloce, da una parte, all’inserviente che stava lavando il pavimento. Lui ricambiò non dicendo nulla ma, appena gli fu accanto, in un movimento veloce gli passò una chiave. Poi guardò dall’altra parte leggendo, per un breve istante, la targhetta di Sydney Glass. Infine riguardò avanti per poi fermarsi davanti a una cella. Infilò la chiave, datagli dall’inserviente, nella serratura e aprì la porta. Seduta in un angolo del lettino c’era una ragazza. Mentre Jefferson entrava, Excalibur stava fuori a fare da palo.
“Chi sei tu?” chiese spaventata la ragazza.
“Un amico che deve mantenere una promessa fatta a una dolce bambina che tu hai aiutato a scappare da qua” rispose Jefferson. La ragazza scese dal letto. Indossava solamente una vecchia vestaglia da ospedale. Guardò l’uomo e domandò: “E ora, quella bambina sta bene?”
“Potrai giudicarlo tu stessa se uscirai con me da questo postaccio. Coraggio, non abbiamo molto tempo. Non so quanto durerà l’effetto del sedativo che ho dato a quell’infermiera ma, per sicurezza, ho un’altra siringa di scorta” rispose Jefferson e si voltò per uscire. Ma accorgendosi che la ragazza non lo stava seguendo, si fermò e, voltandosi, disse: “Senti, lo so che l’idea di uscire da qua ti spaventa ma, se non uscirai ora, non uscirai mai più. Devi fidarti di me. So che non ti ricordi chi sono, ma in passato eravamo amici e molte volte mi hai aiutato con mia figlia. Ma ora è la tua ad aver bisogno di te. E anche suo padre.”
“Ho… ho una figlia?” disse incredula la ragazza.
“Sì. È una bambina gentile e premurosa. Ma è anche molto brava a raggirare gli altri. Diciamo che ha preso sia da te che dal padre. Sa il fatto suo” disse Jefferson. La ragazza fece un piccolo sorriso. Poi Jefferson, ritornando da lei, la prese per mano e aggiunse: “Ora basta con le domande e le indecisioni.” E la trascinò fuori. Ma la ragazza lo trattenne nuovamente, dicendo: “No. Non posso andarmene. Mi faranno del male perché non sono stata brava.”
Jefferson la voltò verso di sé e, dopo averle messo le mani sulle spalle, disse: “Ascoltami, nessuno ti farà più del male perché tu…” E si fermò non appena la ragazza alzò lo sguardo. Era veramente bella. Di nome e di fatto. Quindi finì la frase: “… tu non te lo meriti. Chi ti ha fatto ciò si merita solo del male.”
Excalibur emise dei versetti, entrando per metà nella cella. Jefferson la guardò e poi riguardò la ragazza, dicendole: “Hai sentito la volpe? È ora di andare.” E, riprendendola per mano, uscì. Guardarono in ogni angolo prima di proseguire e salire su per le scale.
Una volta usciti dall’ospedale, Jefferson disse: “Segui la volpe fino al negozio del signor Gold. Lui ti proteggerà.” Stava per andarsene, quando questa volta fu la ragazza a prenderlo per mano.
Jefferson si voltò e la ragazza gli disse: “Ti volevo ringraziare. Nessuno, finora, aveva rischiato così tanto per me.” E lo baciò su una guancia.
Jefferson arrossì leggermente. Si portò una mano sulla guancia dove aveva appena ricevuto il bacio. Poi si schiarì la voce e disse: “Mi raccomando, stai attenta.” La ragazza sorrise e, insieme alla volpe, che la stava guardando, se ne andò, seguendola.
Jefferson l’osservò. Erano passati ventotto anni, ma quella ragazza non era affatto cambiata. Era rimasta gentile e premurosa.
La sua promessa l’aveva mantenuta. Ora sperava solamente che la maledizione venisse spezzata così che Grace si sarebbe ricordata, finalmente, di lui.
Nel frattempo, al negozio di Gold, padre e figlia stavano continuando ad abbracciarsi.
“Mi dispiace tanto papà. Io non vo…” disse Rose. Ma Gold la interruppe dicendole: “Sshhh, non importa, mio piccolo fiore.” E, guardandola, le sorrise. Rose gli sorrise a sua volta. Poi Gold, prendendola per mano, aggiunse: “Vieni con me. Ho qualcosa da mostrarti.” E la condusse nel retro del negozio. Una volta lì, le lasciò andare la mano per poi andare verso un grosso baule e aprirlo. Rose lo stette ad osservare.
Dove aver cercato tra i tanti oggetti, trovò quello che stava cercando. Si alzò, aiutandosi con il bastone e, voltandosi, invitò la figlia a seguirlo presso la tavola lì presente. Adagiò quel cofanetto sulla tavola e, una volta che Rose fu al suo fianco, lo aprì. Al suo interno, su un cuscinetto in velluto rosso, c’era un fiocchetto rosa per capelli.
“Tua madre lo trovò in un villaggio accanto al castello, un giorno che facemmo tappa lì per prendere scorte e paglia per il mio filatoio. Le piacque tanto che glielo comprai. Fu un suo regalo per te anche se tu, per le prime volte, facevi i capricci perché non lo volevi. Ma lei era felice lo stesso. Era felice per qualunque cosa rendesse felice te o me. Lo ritrovai su un cumulo di cenere in un barattolo che mi diede Regina mentre mi trovavo nelle celle sotterranee del castello di Biancaneve e del suo principe. Mi aveva detto che eri stata allontanata da tua madre e questo le causò in sé pazzia, tanto che si gettò da una torre. Mentre tuo nonno ti aveva portato da dei sacerdoti che, credendoti portatrice di magia oscura, ti bruciarono viva. Mi si spezzò il cuore. Non avevo più la forza di vivere. Le persone che amavo di più erano morte. Ma dovevo resistere: la maledizione incombeva e, una volta giunto qui, feci di tutto pur di trovare un modo per cercare tuo fratello. Ma ogni giorno era la stessa routine. Nulla cambiava e nulla sarebbe cambiato finché non fosse arrivata Emma” spiegò Gold guardando l’amata figlia e accarezzandole una guancia con il dorso della mano.
Rose era così presa dalle sue parole. Non aveva mai visto quel lato fragile del padre. Forse solo in certe e rare occasioni... Non voleva vederlo così ma, almeno, le stava raccontando il suo passato. Il loro passato. Gold continuò: “Poi è arrivato un angelo di nome Graham che mi ha ricongiunto con il mio tesoro più prezioso. Devo a lui se ora siamo di nuovo insieme.”
“Ma se sono passati ventotto anni, come faccio ad avere ora solo dieci anni?” chiese Rose.
“Quando tua madre venne da me nella prigione, desiderò che io e lei potessimo goderti neonata per molto tempo. Così ti feci un incantesimo che ti avrebbe fatto rimanere neonata finché la salvatrice, o qualcuno con il suo sangue, fosse arrivato. Ecco perché hai incominciato a crescere quando è arrivato Henry” rispose Gold.
“Questo spiega molte cose, ma non come abbia potuto sopravvivere da sola nella foresta” disse Rose.
“Be', sei stata trovata accanto alla tana di una volpe. E se quella volpe fosse stata la nostra Excalibur? Dopotutto avevo protetto la sua tana con un potente incantesimo, affinché chi era all’esterno non potesse vedere voi all’interno. Inoltre vi avrebbe protetto anche dalla maledizione. Ma tu, in quanto mia figlia, quando eri piccola, hai saputo riconoscere le identità degli abitanti di Storybrooke nella foresta incantata. Per quanto riguarda Excalibur, lei è una volpe magica” spiegò Gold.
“E come?” domandò Rose.
“Mi aiutava a cercare oggetti magici o persone con la magia. Ora invece cerca solo cibo” rispose Gold. Rose rise un po’. Si sentì tintinnare, segno che qualcuno aveva appena varcato la soglia. Quindi Gold disse, altamente scocciato: “Siamo chiusi! Non li sapete leggere, i cartelli?!” ma la porta si chiuse. A quanto pare quel cliente non se ne era andato. Gold sbuffò. Poi disse: “Mi dispiace, piccola.”
“Non ti preoccupare, papà. Intanto non me ne vado da qua” disse Rose. Gold gli sorrise e poi andò all’ingresso. Rose stette ad aspettare ma, come il padre, non aveva mai avuto molta pazienza. Così decise di raggiungerlo ma, appena vide chi altri c’era, si fermò di scatto. Oltre a suo padre ed Excalibur, c’era quella ragazza che l’aveva aiutata a scappare dai sotterranei dell’ospedale.
“Sei tu” disse Rose. La ragazza sorrise. Gold le guardava sorpreso. Quindi domandò: “Voi due già vi conoscete?”
“Certo. È stata quella ragazza che mi ha aiutata a scappare dai sotterranei dell’ospedale quando ero stata rapita e messa lì da Sydney Glass e Lucy” rispose Rose guardandolo. Poi guardò la ragazza e chiese: “Come hai fatto a fuggire?”
“Un signore molto gentile mi ha aiutato a venire qua, dicendomi di seguire questa volpe e chiedere del signor Gold” rispose la ragazza guardandola. Poi guardò Gold e aggiunse: “È lei il signor Gold? È lei che mi proteggerà?” Gold si avvicinò a lei. La ragazza lo guardò con un po’ di paura. Poi però Gold si fermò e, allungando una mano verso di lei, gliela mise su una guancia. La ragazza chiuse gli occhi, ma li riaprì non appena l’uomo disse: “Mi sei mancata tanto… Belle.”
Rose e la ragazza rimasero senza parole.


 
The End....for now

 
Note dell'autrice: E finalmente finito dopo....dopo quanto? Non so nemmeno io dopo quanto. Comunque, finalmente ho finito la prima stagione di Once (alla buon ora) Tante cose devono ancora avvenire. Tanti avvenimenti importanti devono accadere nella tranquilla (seee come no) cittadina di Storybrooke. Nuovi personaggi arriveranno (anche un vecchio amore di Tremotino) E Rose dovrà imparare a controllare la sua magia, anche se combinerà parecchi disastri. Molte cose cambieranno molto più avanti.
Spero che vi sia piaciuta questa mia versione della prima stagione. Inanzitutto volevo ringraziare tutto coloro che hanno recensito o che hanno semplicemente letto. Grazie a tutti quelli che mi hanno supportato ( ma soprattutto sopportato) Grazie infitamente alle mie due carissime amiche Lucia e Laura per la loro immensa pazienza.

Non so ancora quando inizierò con la seconda stagione ma spero di non impiegarci secoli come per avvenuto per alcuni capitoli.
Vi auguro una bellissima serata e ricordatevi sempre: la magia ha sempre un prezzo.
Alla prossima miei carissimi Oncers
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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