Due cuori e una cinepresa di 68Keira68 (/viewuser.php?uid=32217)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1_ Al provino con Learco ***
Capitolo 3: *** 2_Fiorini ed Equini ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Premessa:
Ciao a
tutti^^! Come ho già detto questa è la mia prima
ficcy su un attore, per la precisione su Orlando Bloom^^! Oltre a dire
che spero tanto che vi piaccia e che mi piacerebbe tanto leggere le
vostre recensioni ^^ ci tenevo a precisare che ogni riferimento a
luoghi o persone è puramente casuale, non conosco gli attori
di persona (purtroppo ^'!) quindi non so nulla sui loro gusti o sul
loro carattere, che ho addattato per la ficcy^^. La storia
è ambientata a Londra e anche i luoghi della quale
parlerò sono puramente inventati, non abbiatemene per
favore, però non sono mai stata a Londra e non saprei fare
riferimenti a posti reali, sorry! Gli studios della Paramount (che
appariranno a breve) esistono però non so come siano fatti,
anche quelli li ho adattati!
Un'ultimissima
cosa, poi passo e chiudo^^! La trama del film che i nostri attori
andranno a recitare l'ho presa a grandi linee da "le Guerre del Mondo
Emerso" di Licia Troisi, giusto per avere un riferimento e
perchè la storia faceva a mio caso per motivi che si
capiranno poi^^! I personaggi sono quindi quelli del libro, anche se ho
aggiunto alcune scene e ho riassunto i tre volumi in uno^^ per chi non
conoscesse il libro non è assolutamente un problema in
qaunto non è essenziale per la trama della ficcy, ci tenevo
solo a sottolineare la cosa^^!
Adesso
vi auguro una buona lettura e spero che commenterete in tanti^^
Kisskiss
68Keira68
Due
cuori e una cinepresa
Prologo...
Dall'oblò
dell'aereo sulla quale
stavo volando potevo godere di una vista splendida. La giornata era
stupenda,
il sole brillava limpido in un cielo terso, senza nuvole, creando dei
bellissimi giochi di luce e riflettendosi nell'acqua del canale della
Manica
che attualmente stavamo sorvolando. Una giornata ideale per volare.
Io,
Elisabetta Sogni, mi stavo
godendo lo spettacolo, comodamente adagiata ad uno dei sedili
dell'aereo di
pelle blu, la mente rilassata e un sorriso serafico sulle labbra. Mi
ero
addormentata subito dopo il decollo dall'aeroporto di Caselle, in
provincia di
Torino, la mia città natale, e mi ero risvegliata solo ora,
a poco meno di
quindici minuti dall'atterraggio a Londra, dove ero diretta.
Già,
Londra. Stavo andando nella
città dei miei desideri. Ancora non ci potevo credere. Tutto
era accaduto così
velocemente che non avevo neanche avuto il tempo di focalizzare bene
l'idea. E
pensare che fino a tre giorni fa tutto questo era solo un lontano
sogno.
Stupendo, ma lontano. Ora si stava avverando. Ciò grazie a
quell'angelo della
mia agente che attualmente mi stava aspettando all'aeroporto londinese.
Richiusi
gli occhi e sprofondai
ancora di più nel sedile, lasciando che i ricordi delle
ultime settantadue ore
mi accompagnassero per il resto del viaggio.
Avevo
appena finito di
presenziare il mio ultimo film, “Te, io e...Lui?”
Una commedia per la regia di
Silvio Muccino, che per fortuna stava avendo molto più
successo di quello che
ci aspettavamo. La storia era semplice, anche se carina, adatta ad un
pubblico
di adolescenti. Io interpretavo il ruolo di una giovane ragazza, Paola,
la
quale poco prima di sposarsi con il suo fidanzato storico si accorge di
amare
il miglior amico di lui, che tra l'altro era interpretato da Nicolas
Vaporidis.
Forse la presenza di quest'ultimo nel cast aveva influenzato parecchio
il sold
out ai botteghini, dato che gli spettatori erano principalmente ragazze
dai
quattordici in su, ma l'importante era il risultato, no? Tuttavia ero
stufa di
recitare solo in commedie italiane, era la quinta che facevo nel giro
di
quattro anni e, nonostante fossi più che soddisfatta del
successo ottenuto,
avevo voglia di sperimentare altri generi. L'unico problema era che il
cinema
italiano non sembrava potermi offrire altre opportunità. La
soluzione sarebbe
stata andare all'estero. E qui entra in gioco la mia adorata manager
nonché mia
miglior amica, Marta Catari. Ci eravamo conosciute all'inizio della mia
carriera cinematografica e ci eravamo capite subito. Era grazie a lei
che la
mia fama da attrice era cresciuta a livello nazionale nel giro di
neanche un
anno ed era arrivata addirittura a livello internazionale in due. E una
volta
saputi i miei desideri di andare a lavorare all'estero, circa un mese
fa, per
sperimentare nuovi generi, si era fatta in quattro per trovarmi una
parte in un
film, precedendomi con il viaggio oltre manica, anche lei entusiasta
all'idea.
E meno di tre giorni fa...
Driin driin.. il mio cellulare vibrare nella
borsetta di pelle bianca
di Prada, regalo di mia madre alla mia ultima premier, che portavo
comodamente
a tracolla. Iniziai
a cercarlo in tutte
le tasche e cerniere dell’accessorio. Finalmente lo trovai.
Lessi il numero sul
display. “Marta”. Felice di avere notizie dalla mia
agente che attualmente si
trovava nella capitale inglese, risposi. “Ciao Marta, come va
laggiù?” la
salutai cordiale.
“Eli! Ho una notizia fantastica per te,
devi assolutamente prendere il
primo aereo e venire qua! Ho tante cose da dirti, non immagini
neppure...!!” la
voce concitata e acutissima della mia manager mi costrinse ad
allontanare
l'apparecchio dal mio orecchio, se volevo preservare l'udito ancora a
lungo.
Vedendo che non accennava a diminuire il tono i voce, gridai al
ricevitore
“Marty! Non ho capito una sola parola di quello che hai
detto. Ora ti calmi e
con una voce almeno di un'ottava più bassa di quella con la
quale stai
parlando, mi spieghi tutto per bene. Ok?” per fortuna lei
sembrò aver capito
che mi stava sfondando il timpano, così, moderando il
tono,mi rispose:
“Scusami, hai ragione, è che
sono agitatissima! Allora, inizio da capo,
Betta, tieniti forte, ma...ti ho trovato un provino!!!! E questa volta
non è
una commedia, è un film di fantascienza, un mix tra il
Signore degli Anelli e
Indiana Jones, ti piace come idea? E non è tutto! Devi
vedere chi c'è alla
regia e soprattutto il resto del cast!! Devi presentarti agli studi
televisivi
tra tre giorni esatti. Oh Betta, sono sicura che supererai il provino,
ne sono
certa! È solo una formalità, ho parlato con il
produttore, ti conosce di fama e
sembrava molto interessato al tuo curriculum, ormai è fatta,
fidati! Sono
sicura che anche la trama del film ti piacerà!”
concluse sempre entusiasta
A sentire la notizia avevo cacciato un urlo di
gioia e mi ero messa a
saltare. Considerando che era nel bel mezzo di via Roma, una delle
principali e
più trafficate vie del centro di Torino, la gente attorno mi
avrà presa per
pazza, ma sinceramente non me ne importava nulla. Incredibile, avevo un
provino
per una parte in un film di produzione inglese!!!! E finalmente non era
una
commedia, senza contare che il genere fantasy mi era sempre piaciuto.
“Oddio, non ci credo, Marta, sei
più che fantastica!!! Torno a casa,
preparo le valigie e vado a fare i biglietti, sarò
lì per dopodomani, così avrò
un giorno per riprendermi dal viaggio prima del provino. Ma chi
è il regista? E
il resto del cast? La casa produttrice? E poi dimmi qualcosa sul mio
personaggio e il film!” la bersagliai di domande. Ora potevo
capire il tono
concitato con la quale mi aveva investito prima, questa era una
notiziona.
“Allora, il regista è Alfonso
Cuaron, lo stesso che ha diretto Harry
Potter e il prigioniero di Azkaban, mentre la casa produttrice
è la Paramount. Il film
parla di una ladra abilissima, che cerca di scappare da una setta di
assassini
che la vorrebbero tra loro, per i suoi servigi e le sue
abilità. Alla fine
riescono intercettarla
e le lanciano una
maledizione curabile solo con alcune pozioni che possiedono loro,
ricattandola
così con la cura, a far parte di una di loro. Alla fine
però si scopre che in
realtà la pozione tiene solo a bada l'anatema ma non lo
cura, così lei riesce a
scappare da loro, e capisce che l'unico modo per sbarazzarsi del
maleficio è
distruggere alcune
carte magiche
custodite nel palazzo del tiranno del regno e poi uccidere colui che
gli ha
lanciato la maledizione, ovvero il capo della setta. Alla fine si
innamora
anche del figlio del tiranno, che a differenza del padre è
buono, e decide di
aiutarla. Ciò a patto che lei aiuti lui più una
comitiva segreta a sbarazzarsi
del tiranno e dell'intera setta, per riportare la pace nel regno.
È una storia
affascinante, ti assicuro, è tratta da un libro, un
bestseller che è appena
uscito in Inghilterra e che ha avuto subito un ottimo successo. Io te
l'ho
raccontata a grandi linee, ma ci sono tantissimi personaggi, buoni e
cattivi e
molte scene, ti piacerà senz'altro, vedrai! E qui poi viene
il pezzo forte,
indovina quale sarà la tua parte?” mi chiese
gongolando.
Io stavo ancora pensando alla trama. Mi piaceva, e
molto anche, era più
che intrigante e più di quello che speravo. La sua domanda
però mi fece cadere
dalle nuvole, me ne stavo quasi dimenticando!
“E io come faccio a saperlo? Sei tu che
devi dirmelo! Comunque il film
mi piace molto, si
preannuncia un
successo, soprattutto se tratto da un romanzo di tanto scalpore, quindi
mi va
bene qualsiasi parte.” la mia risposta non le piacque
“Sei sempre la solita” Mi
rimproverò “tesoro, se vuoi avere successo
qui devi puntare al massimo, sempre, in qualsiasi situazione.
Già è un miracolo
che tu mi abbia chiesto di iniziare a vagliare anche il mercato estero,
e
quindi facciamo progressi, ma devi ancora imparare un po' di cose. E
poi pensi
che io ti abbia rimediato un provino in un film del genere per poi
farti fare
una parte di sfondo?”
“Marty, arriva al dunque, te ne prego! Di
mamma ne ho già una.” le
risposi scocciata. Sentii la sua risata dall'altro capo della cornetta.
“Ok, ok, sei pronta per la
notizia?” se l'avesse tirata ancora per le
lunghe sarei andata a Londra solo per strozzarla. “Allora, il
tuo provino
è...per il ruolo da protagonista!” mi
urlò eccitata . “Allora, sono o non sono
la miglior manager del mondo?” proseguì fingendo
di tirarsela.
Io intanto, ero rimasta scioccata dalla notizia. Io
protagonista in un
film di questa portata? Ero stata l'attrice principale in tutte le
commedie che
avevo fatto, questo era vero, però quelle erano commedie.
Questo era tutto un
altro genere di film!!! Per un secondo mi sentii l'aria mancare.
“Betta? Elisabetta? Tutto ok? Stai bene?
Perché non mi rispondi più?”
vedendo che non rispondevo, Marta iniziò a preoccuparsi.
“Betta! Mi sei morta
in linea? Rispondimi! Dimmi almeno se sei felice oppure no!”
Rispondere? Era una parola! Per il momento ero
impegnata a ricordare
come si respirava. Finalmente dopo un tempo che mi parve infinito,
riuscii a
spiaccicare qualche parola.
“Marty, ti prego dimmi che non stai
scherzando” sussurrai al cellulare,
ancora totalmente stordita dalla notizia.
“Oh, allora sei ancora viva! Meno male,
temevo di dover disdire il
provino causa morte dell'interessata. Comunque, no, non è
uno scherzo, dico sul
serio amica mia, però non farti riprendere un infarto per
favore, prima mi hai
fatto preoccupare.”
Altro che infarto! Incredula mi appoggiai al muro
di un palazzo,
accanto alla vetrina del negozio della Benetton, temendo che le mie
gambe
avrebbero ceduto da un momento all'altro. Probabilmente i passanti
erano ormai
indecisi se chiamare o no il 118, prima mi vedono saltare, poi quasi
svenire!
“Marta, questa è la notizia
più sensazionale che tu potessi darmi!”
pian pianino iniziai a riprendermi dallo shock iniziale. “Tu
sei assolutamente
la migliore agente che un attore possa desiderare! Ma come hai
fatto?” ora la
mia voce era arrivata a tre ottave sopra il normale e il calo di
pressione
stava lasciando il posto ad un'euforia smisurata. “Oh Marta!
La protagonista, è
più che fantastico! Ti adoro, ti farò costruire
una statua! Non vedo l'ora di
essere lì a Londra. Ma chi sono gli altri attori? Wow,
è incredibile!” la
investii con un fiume di ringraziamenti, ed esclamazioni di gioia.
Riuscì a fermarmi solo facendo leva
sulla mia curiosità “Ora sei tu
quella che ti deve calmare, cara, oppure non ti dirò chi
sono gli altri attori
già confermati”
“Dimmi tutto!” la incoraggiai.
Le rise di nuovo.
“Sai, posso immaginarmi la tua
espressione, occhi lucidi di gioia,
guance imporporate e tu che saltelli di qua e di là. Questo
ti farà andare
ancora più fuori di testa. Ralph Fiennes sarà il
capo della setta degli
assassini, mentre il tiranno verrà interpretato da Sean
Bean” esclamò.
“Wow” nonostante non fosse una
frase degna della situazione fu l'unica
cosa che riuscii a dire.
“Wow è a dir poco, mia cara!
Questo è un cast galattico e la tua stella
salirà a dismisura!” da ogni singola parola
trapelava il fatto che fosse
orgogliosa del lavoro svolto.
“Hai ragione, ma non so cosa dire. E il
principino da chi verrà
interpretato?” domandai accorgendomi solo ora che non aveva
nominato uno dei
personaggi principali.
“Questa è una
sorpresa” dal tono con cui me lo disse potevo immaginarmi
il sorriso soddisfatto che si stava dipingendo sul suo volto.
“E dai, dimmelo, dovrò pur
sapere con chi dovrò lavorare, no?” la
supplicai.
“No, non se ne parla, ti ho detto che
è una sorpresa, lo saprai quando
passerai il provino.” mi rispose irremovibile.
La pregai per altri dieci minuti ma non ci fu
niente da fare, alla fine
lasciai perdere e la salutai, dicendo che se volevo essere in
Inghilterra per
dopodomani dovevo sbrigarmi…
“Si
informano i gentili
passeggeri che l'aereo si sta preparando all'atterraggio. Vi preghiamo
dunque
di allacciare la cintura per motivi di sicurezza”
La
fredda voce dello speacker mi
riscosse dai miei ricordi. Ero arrivata.
Aspettai
con pazienza che l'aereo
giungesse in aeroporto, dopodiché scesi giù con
solo la mia piccola e fedele borsetta
bianca. Il resto dei bagagli, i quali devo ammettere erano tutt'altro
che
piccoli, l'avrei recuperato dopo.
Quando
finalmente fui sulla pista
di atterraggio potei respirare un po' d'aria pura. Quella dell'aereo
iniziava
ad essere viziata. Il sole era meno luminoso visto da
quaggiù, ma risplendeva
lo stesso in un cielo blu. Strano, dato che eravamo nella
città la quale
vantava la media di quaranta giorni di sole l'anno. Forse anche Londra
stessa
voleva darmi il benvenuto. Lo presi come un buon auspicio. Una volta
attraversata la pista d'atterraggio, entrai nella sala d'attesa e mi
ritrovai
immersa in una folla scatenata. Chi si accalcava per uscire, chi per
entrare, e
chi come me, provava a riconoscere qualche parente o amico nella massa.
Temetti
di perdermi e di rimanere intrappolata là in mezzo,
finché sentii una voce
acuta che gridava il mio nome. Mi girai nella direzione indicatami dal
suono, e
vidi una giovane donna un po' più alta della media, che si
sbracciava per farsi
notare da me. Marta.
Le
corsi incontro, felice di
rivederla.
“Marty!”
gridai anch'io, mentre
l'abbracciavo. “Sono contentissima di rivederti! Come stai?
Tutto a posto?” mi
scostai un attimo per guardarla in faccia, anche se dovetti subire la
piccola
umiliazione di dover allungare il collo al massimo, dato che mi
superava di due
spanne buone, cosa che ovviamente non mancava occasione di farmi notare. Portava i capelli biondi
lunghi fino alle
spalle sciolti, e gli
occhi castani
brillavano di felicità. Quel che non mi piaceva
però, erano le profonde
occhiaie e le guance leggermente più magre di prima. La
squadrai da capo a
piedi. Era dimagrita, non che fosse mai stata grassa, anzi, era sempre
stata
più magra di me, però la cosa non mi rallegrava
lo stesso.
“Sei
dimagrita” le feci osservare
con disappunto, senza darle il tempo di rispondere alla mia domanda
precedente.
“e sei stanca, te lo si legge in faccia” aggiunsi.
“è
tutto ok, non ti preoccupare.
Sto benissimo!” si difese lei.
“No,
sei stanca, hai bisogno di
riposo, hai lavorato troppo, ora andiamo a casa e ti fai una bella
dormita”
dissi io perentoria.
“Di
mamma ne ho già una” disse
scimmiottando le mie parole di poco tempo prima.
“Ehi!
Così non vale” e scoppiammo
a ridere entrambe.
“Londra
è stupenda, la devi
vedere tutta! E poi ho trovato una casa poco lontana dal centro che ti
piacerà
di sicuro!” riprese
lei cambiando rapida
argomento.
“Lo
spero bene, ti ho dato un
assegno in bianco per la casa!” la presi in giro.
“Malfidata,
ora ti porto
direttamente là, così giudicherai tu stessa, che
ne dici?”
“Ottima
idea! Prima però devo
andare a recuperare le valigie, sai com'è, l'idea di rifarmi
un guardaroba
dando libero sfogo alla mia mania di shopping mi attrae, ma ho altro da
fare
ora come ora”
Andammo
a prendere i miei
bagagli, due valigie enormi e tre borsoni, e usufruendo di uno dei
carrelli
dell'aeroporto ci dirigemmo fino all'auto di Marty, una pegeout
cabriolet
grigia metallizzata.
“Accidenti,
Betta, cosa diamine
ci hai messo in questa borsa?! Ti sei portata dietro anche le
mattonelle? Pesa
almeno dieci chili!” la sentii borbottare mentre infilava le
valigie nel
bagagliaio dell'auto.
“Non
iniziare a criticare,
dovremmo stare qui per un bel po', giusto? Un film non si produce in
due
giorni, quindi ho dovuto portare lo stretto necessario per poter vivere
qua per
diversi mesi!” ribattei io.
“E
da quando per 'stretto necessario’
si intendo anche le piastrelle di casa propria?”.
Mi
limitai a ribattere con una
diplomatica risposta. Le feci la linguaccia. Il che fu seguito da uno
scoppio
di risate sia da parte sua che da parte mia.
“Su,
salta a bordo che ti porto a
vedere la tua piccola e modesta casetta” Mi ero solo
immaginata la sfumatura
ironica della sua voce sull'ultima parola?
“Non
vedo l'ora!”
Ci
accomodammo sui sedili di
tessuto neri della sua comodissima auto. La prima cosa che feci appena
salita
fu di accendere la radio, non riusciva a stare in macchina senza un po'
di
musica. Fui anche fortunata. La stazione sulla quale era sintonizzata
stava
trasmettendo un vecchio successo dei simple plain, “welcome
to my life”, una
delle mie preferite. Mi accoccolai sul sedile, e, abbassando il
finestrino,
decisi di godermi il panorama che mi sfrecciava a fianco, con il vento
che mi
scompigliava leggermente I capelli.
Marty
aveva iniziato a narrarmi
del suo ultimo mese vissuto a Londra, delle persone che aveva
conosciuto, i
luoghi visitati, di come si era trovata, dei pro e dei contro del
vivere
all'estero. L'ascoltai distrattamente, annuendo di tanto in tanto, per
darle
soddisfazione. Quando Marta attaccava con le chiacchiere ci volevano
due o tre
ore buone prima che richiudeva bocca, e solitamente non faceva neanche
molta
attenzione al fatto che la sua interlocutrice la ascoltasse o meno.
Ciò mi
diede la possibilità di concentrarmi sulle strade che
stavamo attraversando,
avida di curiosità. La capitale inglese mi era sempre
piaciuta. Era sempre
stato uno dei miei sogni visitarla, e finalmente ora il destino mi dava
l'opportunità di farlo! Magari, se mi fossi trovata bene,
avrei anche potuto
pensare di trasferirmi lì definitivamente. L'idea non mi
dispiaceva per nulla,
anzi, ma ci sarebbe stato tempo in seguito per pensarci. Ora non avevo
proprio
voglia di angustiarmi con certe idee. Preferivo di gran lunga
assaporare fino
in fondo il mio primo viaggio in auto in quella che sarebbe stata casa
mia per
i prossimi mesi.
Ad
un tratto la macchina si fermò
e udii la mia agente spegnere il motore della macchina.
“Siamo
già arrivati?” chiesi
sorpresa. Eravamo in viaggio da soli dieci minuti.
“Te
l'ho detto che era vicino al
centro” mi ricordò uscendo dall'abitacolo.
La
seguii a ruota. Per bloccarmi
subito dopo quando vidi dove era diretta.
La
mia manager stava difatti
aprendo un canceletto bianco che dava l'accesso ad un ciottolato rosso,
contornato da cespugli in fiore. Ciò tagliava esattamente in
due un immenso
giardino verde, adornato di alberi e fiori, circondati da un muretto
bianco
intrappolato in una fiorente edera. Ma quello che mi creava
più stupore non era
il giardino, bensì la villa da sogno che mi si parava
davanti. Alla fine del
ciottolato c'era un grazioso porticato bianco, sostenuto da colonne
doriche,
anche esse prigioniere dall'edera. Sotto il porticato, alla sinistra di
un
grande portone in ciliegio, finemente lavorato, si trovava un dondolo
con i materassi
color azzurro cielo, il quale pareva essere appena uscito in un film
alla “Anna
dai capelli rossi”. La casa era in puro stile vittoriano. Era
costruita su due
piani e le grandi vetrate del secondo erano a forma di arco a sesto
acuto e
come bordi avevano delle piccole colonne ioniche, a differenza di
quelle dl
piano di sotto, le quali contavano solo di due vaso di fiori per una.
Marty,
non sentendomi avvicinare
al canceletto, si voltò nella mia direzione per capire cosa
c'era che non
andava. Vedendomi l'espressione sbigottita sul volto, capì
subito che ciò che
mi bloccava era la vista della villetta.
“Allora?
Non dici niente?” mi
provocò.
Io
la fissai a lungo, ancora a
bocca aperta. Poi, cercando di ricompormi dissi:
“Marty,” con un tono serio.
Lei si preoccupò.
“Cosa
c'è? Ho sbagliato a
comprarla? Non ti piace?”
ignorai
le domande. “Questa casa”
dissi scandendo bene le parole. “è semplicemente
S-T-U-P-E-N-D-A!!!!!” e le
corsi incontro per abbracciarla.
“Ma
come hai fatto a trovarla?
Sembra uscita da un cartellone pubblicitario!”
Lei
sorrise compiaciuta. “Aspetta
a dirlo, non hai ancora visto il resto.”
“Cosa
ci può essere più di più
bello di questo?” chiesi scioccamente.
“Gioia,
capisco il tuo entusiasmo
per il giardino e per la facciata della casa, ma personalmente non mi
andava di
dormire acconto all'edera, per questo ho comprato una casa che avesse
anche un
letto e un soggiorno” mi preso in giro.
“Entriamo
allora, sono troppo
curiosa!” esclamai felice.
Appena
Marta spalancò il
canceletto, mi porse il mio mazzo di chiavi,e io, dopo averlo
afferrato, corsi
entusiasta verso il portone e lo aprii senza tante cerimonie.
Quello
che vidi all’interno mi
stupì ancora di più. La porta dava l'accesso ad
un ampio salone con le pareti
bianche e il parquet. Ciò, più il tappeto rosso
posto in centro alla sala e
alla grossa vetrata messa in fondo, dava all'ambiente un aspetto molto
luminoso. Dalla porta finestra si poteva scorgere un'altra ala del
giardino che
promisi a me stessa di visitare subito dopo un'accurata perlustrazione
della
casa. Feci un mezzo giro su me stessa e potei constatare che quella
stanza
portava in altre due sale, chiuse da altrettante porte anch'esse in
ciliegio.
“Allora,
alla tua destra c'è il
salotto, dove ho già provveduto a mettere un'enorme
libreria, in modo che tu
possa dare libero sfogo al tuo hobby preferito, mentre la porta a
sinistra conduce
verso la cucina, che so già userò solo io, a meno
che tu in un mese non abbia
miracolosamente imparato a cucinare.” la voce della mia
agente mi giunse da
dietro le spalle. A quell'ultima affermazione feci una smorfia. Non mi
era mai
piaciuto mettermi ai fornelli. Non avrei saputo dire bene il
perché. Forse non
possedevo la vena culinaria che invece contraddistingueva Marty, ottima
cuoca,
o forse più semplicemente perchè la mia prima e
unica volta che avevo cucinato
le lasagne a Natale, ero stata la causa del mal di pancia collettivo
della mia
famiglia.
“Al
piano di sopra invece ci sono
la mia camera, la tua, una per gli ospiti e il bagno”
concluse lei.
“Prevedi
di invitare qualcuno?”
domandai sorpresa. Mi lanciò un'occhiata esasperata.
“Certo
che no, attualmente, ma se
mai ce ne fosse bisogno mi ringrazierai di essere stata previdente e di
non
essere costretta a far dormire qualcuno sul divano” mi
rispose. Ammisi che
aveva ragione.
“Vado
a vedere la mia camera”
dissi poi io, e senza aspettare la risposta mi catapultai su per la
piccola
scala a chiocciola di marmo, posta nell'angolo in fondo a destra del
salone.
Mentre salivo notai il tappeto rosso che ricopriva gli scalini e il
corrimano
intonato alla tinta di quest'ultimo.
Una
volta arrivata su trovai ad
aspettarmi un'altra porta-finestra di una piccola terrazza, posta di
fronte a
tre porte. La quarta, messa infondo ad uno stretto corridoio, opposta
alla
scala, supposi fosse quella del bagno.
“In
quale porta devo entrare?”
urlai diretta al piano sottostante.
Un
grido di rimando mi informò
che era la seconda.
Entusiasta,
entrai. Ad aspettarmi
c’era la stessa tinta bianca alle pareti, che avevo visto per
il resto
dell'abitazione, e il parquet che ricopriva ogni cosa, difatti stavo
già
pensando che presto avrei dovuto riverniciarla.
La stanza era molto spaziosa. Sulla parete opposta a
quella della porta
si trovava una grande finestra, con sotto una poltroncina bianca con
accanto un
tavolino in mogano. Sulla parete di sinistra stava un letto, mentre su
quella
di destra svettavano due imponenti librerie, pronte per essere
riempite,
separate da una scrivania che presto avrebbe ospitato il mio fedele
portatile.
Infine, accanto alla porta, si trovava un grosso armadio pronto per
accogliere
a frotte I miei vestiti.
“Ti
piace? Non sai che impresa
trovarne una già arredata.” Voltandomi risposi a
Marty.
“è
stupenda, ma con un paio di
ritocchi qua e là sono certa che diventerà ancora
più bella” le risposi. Avevo
in mente già un paio di ideuzze...
Scoppiò
a ridere. “Chissà perchè
ne ero certa, appena ho visto le pareti bianche ho subito pensato che
sarebbero
rimaste tali ancora per poco”
“Le
pareti bianche sono
impersonali, se mi dai carta bianca vedrai che darò al
salone un aspetto del
tutto nuovo” proposi fiduciosa.
“Ah,
io non metto mano. Sai
perfettamente che tra me e i pennelli c'è una guerra aperta,
ti lascio tutto il
piacere”
Evvai,
via libera!
Mio
padre fa l'imbianchino, sono
nata tra i pennelli e tra me e la vernice è stato amore a
prima vista. Ho
imparato il mestiere osservando mio padre così bene che,
scherzando continua a
ripetermi che se non avessi sfondato come attrice, avrei sempre potuto
fare
l'imbianchina. Non che l'idea mi abbia mai sfiorato, intendiamoci,
però è
comodo conoscere l'arte se devi rifarti i muri di casa e non hai voglia
di
chiamare un'impresa per farlo.
“Ti
do una mano a portare sopra
le valigie, dopodiché, mentre tu prendi confidenza con la
stanza, io preparo
qualcosa da mangiare ok?” propose Marta.
Devo
dire che come padrona di
casa ci sapeva fare. Non avendo nulla da ribattere annuii.
Ci
vollero due viaggi a testa su
e giù per le scale, ma alla fine riuscimmo nell'impresa di
portare tutti i miei
bagagli al piano di sopra.
Subito
dopo mi dedicai
completamente a personificare la mia stanza. Tirai fuori dalle valigie
per
primi i miei abiti. Una volta aperto l'armadio in legno, constatai che
fortunatamente era già provvisto di appendini. Pian pianino
lo popolai di
gonne, pantaloni, maglie e golfini. Notai anche I tre cassetti posti in
basso e
il lungo specchio che ricopriva l'anta destra.
Rimasi
a fissare un attimo la mia
immagine. Nonostante in teoria dovessi essere stravolta dal viaggio,
grazie
all’adrenalina che mi scorreva a causa di tutte quelle
piacevoli novità, prima
tra tutte la consapevolezza di essere a Londra, non ero affatto stanca.
Anzi,
ero euforica. Sembravo pronta per la maratona di New York. I miei occhi
azzurri
brillavano di felicità sul mio viso a cuore con le guance
leggermente rosse e
un tantino paffutelle, che spesso mi facevano assomigliare ad un
cartone animato,
come amava ripetermi mia madre. Le mie labbra invece, sembravano
sorridere da sole
dalla contentezza, circondate dai
boccoli castani che ricadevano dolcemente sulle spalle, per nulla in
contrasto
con la mia pelle olivastra, prova inconfutabile del mio sangue
mediterraneo.
Quando
con un altro grido la mia
manager nonché mia miglior amica, mi informò che
il pranzo era pronto, avevo
svuotato soltanto la metà delle mie valigie. In compenso
però, ero riuscita a
trovare le mie lenzuola bianche, con il bordino ricamato di rosso, cosi
ché
potei fare il mio letto.
Scesi
di corsa le scale, con lo
stomaco che reclamava, accompagnato da uno squisito odorino che
aleggiava per
la casa. Pizza, ne ero sicura.
“Gnam,
la pizza! Cos'è, vuoi
farmi venire nostalgia di casa?” esclamai ridendo.
“Certo
che no, prendilo piuttosto
come un benvenuto. A proposito, ti consiglio di non prendere mai la
pizza nei
ristoranti qui intorno. Non so se è così in tutta
Londra, ma per quanto ho
potuto vedere fin'ora, la pizza che cucinano loro e un'offesa bella e
buona alla
nostra, dolce, cara e sublime.”
Sorrisi
a tale affermazione. La
buona forchetta tra le due qua ero io, ma di certo lei aveva un palato
molto
più fine del mio.
“Non
ti sembra di esagerare? Hai
lodato la pizza in un modo degno di un poeta, parliamo di pasta,
pomodoro e
mozzarella dopotutto” mi lanciò un'occhiata
indignata e io sorrisi sotto I
baffi.
“Perfetto,
vorrà dire che questa
me la mangio tutta io, allora!” mi minacciò.
Ci guardammo un secondo in cagnesco, dopodiché
scoppiammo a ridere
entrambe.
Mentre
mangiavamo, mi venne poi
in mente una domanda che volevo farle da tre giorni fa.
“Cambiando
argomento, mi è
rimasta un'incognita irrisolta e
la
curiosità mi sta presso a poco divorando.”
iniziai io.
“Posso
aiutarti?”.
Sorrisi.
“Credo proprio di si,
dato che me l'hai mostrata tu questa x senza poi degnarti di darmi una
spiegazione”
Mi
fissò un secondo stranita. Io
proseguii “Marty, cara, per favore, se vuoi evitare che la
tua amica impazzisca,
potresti gentilmente dirmi chi è il mio partner nel film in
cui dovrò
recitare?” domandai, guardandola torva. Lei, per tutta
risposta, una volta
compreso il mio cruccio, mi sorrise e con fare angelico mi rispose:
“Certo che
no, o che razza di sorpresa sarebbe?”
“Marty
sei impossibile! Io domani
mi accingo a fare un provino per un film, e non conosco neppure quali
potrebbero essere i miei colleghi!” sbottai.
“Quali
SARANNO I tuoi colleghi.
Ti ricordo che il provino è solo una formalità,
il contratto è già pronto per
essere firmato, il regista ti vuole nel cast. E comunque avrai tutto il
tempo
per conoscerli gli alti attori, già da domani, sono sicura
che resisterai!”
Con
un'ultima occhiataccia,
decisi di lasciar cadere il discorso. La mia “cara e
dolce” amica che in questo
momento avrei tanto voluto strozzare, non mi avrebbe detto di
più, ne ero
certa, con mio rammarico.
Finito
il pranzo, salii in camera
mia per disfare le ultime valigie, il che mi preso tutto il pomeriggio.
Alla
nove e mezza, dopo una cena veloce, iniziai finalmente a sentire la
stanchezza,
e salutata Marty, mi buttai felice tra le mie lenzuola. Non so se era
per il
sonno che sentivo addosso, ma decisi subito che quel letto era
decisamente
comodo. Strano, perchè solitamente avevo qualche
difficoltà a dormire in un
letto che non era il mio solito. Lo presi come un altro buon auspicio.
Evidentemente, qualcuno in quella città mi voleva davvero, e
fin'ora le cose
erano andare così bene.
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Capitolo 2 *** 1_ Al provino con Learco ***
Note
dell'autrice:
Ciao a
ttt!! Ho aggiornato presto perchè avevo il capitolo
già pronto, purtroppo so già che non
sarò così celere negli aggiornamenti come questa
volta, però vi assicuro che non intendo lasciarla sospesa,
vi chiedo quindi solo un po' di pazienza in futuro! Ora passo ai
ringraziamenti per Klood!
Klood:
sono molto felice che il prologo ti sia piaciuto, e spero tanto che ti
piaccia anke qst primo cappy^^! Granzie infinite per avermi commentato,
nn vedo l'ora di leggere una tua recensione anke su qst cappy! Credo ke
si sia capito ki sarà il nostro caro (e aggiungerei
bellissimo, hihi) principe! Grazie ancora per il commento e per i
complimenti^^ tvtttttb Kisskiss 68Keira68
Ringrazio
tantissimo anke quelli che hanno solo letto, anche se mi farebbe tanto
piacere conoscere una loro opinione su questo capitolo^^
Vi
auguro buona lettura^^
kisskiss
68Keira68
1_
Al provino con Learco
“Ehi,
dormigliona! Svegliati sennò arrivi
tardi.” una
voce infastidita mi giunse
come ovattata. Uffa, stavo dormendo così bene. Mi rigirai
nel letto e ficcai la
testa sotto il cuscino. Però quel letto era davvero comodo,
molto più soffice
di quello che avevo a casa. Casa? Aspetta un attimo. C'era qualcosa che
non
tornava, come se mi fosse sfuggito un particolare. Velocemente il mio
cervello
fece mente locale. Casa-trasferimento-Londra-mattina- PROVINO!!!
Mi
svegliai di botto, mentre
tutti gli avvenimenti successi negli ultimi giorni facevano capolino.
Con uno
scatto degno di un felino mi ritrovai in piedi, di fronte ad una Marty
che
cercava di nascondere il suo divertimento con una finta faccia
scocciata.
“Marta!
Il provino! Oddio, che
ore sono? Farò in ritardo me lo sento!!” mentre
sbraitavo all'aria mi
precipitai in bagno, dopo aver afferrato il beaty-cause con i miei
effetti
personali.
“Calmati,
non sei ancora in
ritardo, hai tutto il tempo per fare ogni cosa, però devi
sbrigarti” mi ammonì
con fare materno.
Io
avevo già acceso l'acqua della
doccia intanto, e stavo aspettando si scaldasse quel tanto che bastava
per non
farmi avere un principio di congelamento.
La
mia amica mi raggiunse dietro
la porta del bagno.
“Tu
sei già pronta?” le chiesi.
Nella fretta non aveva nemmeno fatto caso se era vestita o aveva ancora
il
pigiama.
“Si,e
anche la tua colazione. Il
caffé è sotto che ti aspetta.” Ovvio,
in cinque anni che la conoscevo non si
era mai fatta trovare in ritardo o in preparata. La specialista nel
fare le
cose all'ultimo minuto ero io. “Certo che per svegliarti la
mattina ci vanno le
cannonate! Erano dieci minuti che continuavo a chiamarti, non hai
nemmeno
sentito la sveglia!” esclamò con un finto tono di
rimprovero che mal celava una
nota divertita nella voce.
“Avevo
sonno, uffa!” mi difesi
io. Uscii dalla doccia, avvolsi il mio corpo con un asciugamano color
pesca e
mi asciugai i capelli alla bell'e meglio, dopo aver setacciato il bagno
alla
ricerca di una presa della corrente per il phone.
“Che
ore sono?” richiesi io.
“Le
otto, il provino è alle nove
e mezza, ma ci vanno venti minuti d'auto per arrivare agli
studi”
Fantastico,
pensai
sarcasticamente.
Mi
rifiondai in camera, o più
precisamente nell'armadio, investendo la mia manager per il corridoio.
Dopo
aver rovistato un po' tra
una marea di gonne e pantaloni, riuscii a trovare la gonna beige da
intonare ad
una camicetta rossa che avevo pensato di indossare per quella mattina.
La gonna
mi arrivava poco più su del ginocchio e si coordinava con
una giacchetta del
medesimo colore, che decisi di tenere aperta. Infine misi le scarpe con
il
tacco nere, dopo aver opportunamente infilato le calze color carne.
Lanciai
un'occhiata titubante
allo specchio. Si, il completo era azzeccato.
Riandai
in bagno. Non trovando
Marty per il corridoio pensai che avesse giustamente optato per
scendere al
piano di sotto, evitando di rimanere travolta di nuovo dalla mia corsa
per
prepararmi.
Il
bagno era fantastico. Molto spazioso
e luminoso, con le mattonelle bianche, contava su di una vasca da bagno
grande
nell'angolo destro, subito vicino alla porta. Poco più in
là c'era una finestra
e sul muro opposto un enorme specchio con sotto un lavandino
incastonato in un
ripiano di marmo grigio, e una maliarde di cassetti. Sull'ultima parete
invece
si trovavano la doccia e il gabinetto. Vicino allo specchio iniziai la
complicata operazione-trucco. Partendo dal presupposto che non mi erano
mai
piaciute certe maschere veneziane che si facevano alcun mie colleghe,
questa
fase fortunatamente non sarebbe durata molto. Difatti misi
semplicemente un
filo di lucidalabbra rosa e passai un velo di matita azzurra attorno
agli
occhi. Perfetto. Ora rimaneva l'ultima parte della preparazione, la
più
difficile. I capelli. In cinque minuti passai mentalmente in rassegnai
un
centinaio di acconciature, ma dato che nessuna di esse mi convinceva,
optai per
quella che facevo più di frequente e che avevo
già usato per altri tre provini.
Un elegante crocchia dalla quale lasciavo sfuggire qualche ciocca
affusolata.
Mi
guardai con occhio critico
allo specchio. Conscia del fatto che non potevo fare miracoli senza
parrucchiere o estetista per di più in cinque minuti, mi
catalogai come
passabile. Soddisfatta, decisi di scendere giù per la
colazione. Quando arrivai
trovai Marta impegnata in un fitta conversazione al telefono. Per un
secondo mi
sentii male. I produttori avevano cambiato idea sul provino? Non
volevano più
darmi la parte? C'erano stati problemi con il cast?
Poi
però notai che la mi agente
conversava con un tono leggero e, cosa ancora più
importante, in italiano, perciò
non poteva essere nessuno che lavorava negli studios. Mi tranquillizzai
e mi
dedicai alla tazza di caffé e ad una brioche che trovai
appoggiati al tavolo.
Ormai la bevanda era diventata fredda, ma la bevvi lo stesso. Mentre mi
avventavo
sul cornetto alla crema diedi una rapida occhiata alla cucina. Ieri non
ci
avevo fatto molto caso, presa com’ero dalla mia nuova stanza,
ma ora mi
soffermai sulle quattro finestre che c’erano sia per la
parete che dava sul
giardino interno, sia per quella che dava sul giardino esterno. Passai
poi ad una
grande credenza in mogano che occupava tutto il muro infondo e il
tavolo sulla
quale attualmente stava la mia tazza della colazione, posto in centro
alla
stanza, più precisamente sopra un grande tappeto marroncino
che immediatamente registrai
come “da cambiare alla prima occasione”.
Infine c'era una grande cucina, che ricopriva
completamente la parte
sinistra del tinello e la quale comprendeva: frigo, fornelli, forno,
lavandino
e credenza attualmente vuota.
“Ok,
ciao,ci sentiamo...si si,
tranquilla, ti faccio richiamare subito dopo il provino!
Bacioni”
Marty
richiuse il suo nokia.
“Chi
era?” le chiesi curiosa. Al
posto di rispondermi, si alzò dalla sedia e si diresse verso
l'entrata. Solo
ora notai che aveva indossato il suo completo giacca e pantaloni blu
scuro.
“Te
lo dico dopo, ora finisci
quel cornetto e prendi la borsa. Dobbiamo andare” Obbedii.
Ingoiai quello che
rimaneva della mia colazione e corsi in camera a recuperare la borsa.
Quando
riscesi Marta mi aspettava già a bordo della sua pegeout.
“Allora,
chi era?” ridomandai una
volta chiusa la portiera.
“Tua
madre” mi rispose mentre
accendeva il motore e iniziava a sfrecciare per le vie della
città.
Mi
bloccai. “Mi...mia madre? E
perchè non me l'hai passata? E poi perchè ha
chiamato sul tuo cellulare?”
Oddio, che era successo?
“Non
iniziare a riscaldarti. Ha
chiamato me perchè dice che è mezz'ora che prova
sul tuo senza risultato perchè
è spento!”
“Ah”
colpita e affondata. E già,
non avevo nemmeno tirato il cellulare fuori dalla borsa da ieri
mattina, dopo
che le avevo spedito un semplice sms per dirle che il viaggio era
andato bene. Mi
aveva chiesto di chiamarla appena dopo che mi fossi sistemata. Che
figlia
degenere, me ne ero completamente scordata! “Acci, mi era
sfuggito di mente!”
Mi
guadagnai un'occhiataccia.
“Si, me ne ero accorta. E anche tua madre, alla quale stava
per venire un
infarto. Si aspettava che la chiamassi ieri pomeriggio. È da
ieri sera che è in
apprensione.” mi rimproverò.
Sperai
che il sedile potesse
inghiottirmi per nascondermi. Mi sentivo tremendamente in colpa.
“Scusami, mi è
sfuggito di mente, con tutte queste novità, le borse, il
viaggio, il provino,
non ci ho proprio pensato!” provai a giustificarmi.
“Non
è con me che ti devi
scusare.”
“Ma
se era così in ansia perchè
non ha chiamato lei ieri sera? O sul tuo cellulare o sul mio. Una delle
due le
avrebbe risposto.” cercai una debole linea difensiva.
“Perchè”
mi rispose scandendo
bene le parole “aveva paura di sembrare troppo ansiosa e di
non rispettare i
tuoi spazi, perciò ha aspettato tanto prima di prendere
l'iniziativa”
Ok,
ora mi sentivo proprio male.
“Uffa, come sta? Era tanto arrabbiata?”
“No,
era preoccupata, ma quando
ha capito che ti eri solo dimenticata il sollievo è stato
tanto da non farla
arrabbiare. Mi ha solo fatto promettere che l'avrei fatta chiamare da
te dopo
il provino.”
Meno
male. “Ma non potevi farmici
parlare subito?”
“No,
o conoscendo tua madre e te
non saremmo mai più arrivate in tempo agli
studios”.
Non
risposi all'affermazione
infida. Anche perchè sapevo che aveva ragione. Passammo il
resto del viaggio in
silenzio e io cercai con tutte le mie forze di non pensare a quello che
stavo
per fare. Mi concentrai sul panorama che si godeva dal finestrino,
mentre
torturavo l'orlo della gonna dall'ansia.
Marty
se ne accorse. “Ansiosa?”
chiese sorridendo comprensiva.
“Nooo”
risposi sarcastica, senza
staccare gli occhi dai palazzi che oltrepassavamo. Iniziai a sentire
una certa
nausea, così decisi di fissare la strada di fronte a me, nel
vano tentativo di
calmare il mio stomaco.
“Non
devi essere nervosa, ti
ripeto che il provino è una formalità. Il regista
ti ha già scritturata, la
parte da protagonista è tua” provò a
tranquillizzarmi. Fu inutile.
“Lo
so, me lo hai già detto.
Rimane il fatto che sto per prendere parte ad una grande produzione
cinematografica, del tutto diversa dalle mie solite commedie, con
attori e
registi molto più bravi ed esperti di me. Senza contare che
non so nemmeno chi
è il mio partner!” accompagnai l'ultima frase con
una bella e lunga
occhiataccia.
Per
tutta risposta, la mia amica
sbuffò al quanto sonoramente. “Senti, l'ultima
cosa è una sorpresa che sono
sicura ti piacerà e...”
“Marty,
è una persona, non un
regalo” le ricordai.
Fece
finta di non sentirmi. “E
poi non eri tu che volevi cambiare genere? Non vorrai tirarti indietro
proprio
ora”. Questa frase era nata al solo scopo di provocarmi. E
lei lo sapeva bene.
“Cosa?
No che non mi tiro
indietro, non l'ho mai fatto fin'ora e di certo non inizierò
adesso! Però mi
concedi di essere un tantino in ansia?” se fossi stata un
cane, probabilmente
avrei abbagliato. Il mio tono di voce non era molto diverso da un
ringhio.
Sorrise.
“Brava, così ti voglio,
grintosa, non impaurita come un topolino, quindi ora tira fuori quella
bella
vocina che ti ritrovi e incanta sia il produttore che i tuoi futuri
colleghi
con la tua performance!”
Non
riuscii a trattenere un
sorriso. Quella donna in un modo o nell'altro sapeva sempre da che
verso
prendermi.
“Bene,
siamo arrivati” mi informò
mentre accostava l’auto alla guardiola posta vicino ad un
grande cancello in
ottone con la scritta “STUIOS’S
PARAMOUNT” bella grande e visibile anche da
lontano.
Bene, inizia lo spettacolo dissi a me
stessa per farmi coraggio.
Marta
mostrò il lascia-passare e
la guardia aprì le cancellate. Entrammo in un enorme
complesso fatto da tanti
edifici colorati. Eravamo sulla strada principale, dove poi partivano
tutte le
diramazioni per raggiungere le varie aree degli studios. Mi ripromisi
di fare
un giro di perlustrazione in futuro. Quel posto già mi
piaceva! Girammo a
destra al terzo incrocio e posteggiammo l’auto nel parcheggio
riservato. Scesi
dal veicolo facendo un grosso respiro e seguii Marta che intanto era
già
arrivata al citofono posto vicino ad un grande portone. Mi guardai un
attimo
attorno. La zona era piuttosto anonima. C'era un grande parco dalla
parte
opposta al parcheggio, e più in là si notavano i
palazzi della città, oltre al
muro e al cancello dalla quale eravamo passate. L'unica cosa
particolare era la
grandezza dell'edificio rosso che ci sovrastava. Era enorme, come
d’altronde
tutti gli altri stabili che ci circondavano.
“Ehi!
Betta, hai intenzione di
rimanere lì tutto il giorno?”
La
“dolcissima” voce di Marty mi
riscosse dai miei pensieri. Mi affrettai a raggiungerla. La porta era
già
aperta, così entrammo insieme a testa alta e, per quanto mi
riguardava, con la
voglia matta di scappare a gambe levate.
Appena
dentro, la mia amica si
diresse alla guardiola dell’edificio per chiedere, in
perfetto inglese, del
corridoio quattro, dove ci aspettavano Alfonso Cuaron e il resto della
troupe.
“The second door on
the right of the corridor”
“Thanks,
good bye”
Ci
incamminammo verso la strada
indicata e, mano a mano che ci avvicinavamo, iniziammo a sentire alcune persone che
discorrevano
tranquillamente. Le voci provenivano dalla direzione che dovevamo
imboccare noi
quindi di sicuro appartenevano al regista e agli altri. Il mio cuore
iniziò ad
accelerare.
Finalmente
giungemmo a
destinazione, aprimmo la porta e potei vedere una grandissima stanza,
piena di
telecamere e di gente indaffarata che andava avanti e indietro per
portare a
termine il loro lavoro. La mia attenzione fu catturata da un gruppetto
di quattro
persone che chiacchieravano allegramente infondo alla sala. Erano tre
uomini e
una donna. Quest'ultima non la conoscevo, però avevo subito
capito chi erano
gli altri tre, e ciò fece fare al mio stomaco una capriola da medaglia
d'oro. L'uomo più
anziano era il regista, Alfonso Cuaron, e subito accanto a lui c'era
Ralph
Fiennes. Ciò già di per se poteva costituire un
buon motivo per avere il cuore
a mille, ma non fu questo a mettermi in soggezione, d'altronde me li
aspettavo,
Marta mi aveva informato sia su chi era il regista sia sulla presenza
dell'attore inglese nel cast. Quello che mi procurò un mezzo
infarto era l'aver
finalmente scoperto chi era il mio partner, colui che avrebbe girato
metà delle
scene con me. Perchè accanto all'attore di Shakespeare
in Love c'era l'ultima persona che pensavo di vedere.
C’era l’attore che
avevo seguito sin dall’inizio della sua carriera e che, anche
se mi vergognavo
ammetterlo, avevo ammirato come qualsiasi altra ragazza fan sfegatata
del Signore degli Anelli.
C’era il ragazzo
che consideravo il miglior attore al mondo sia che si presentasse come
pirata
che come elfo che come principe.
C’era
Orlando Bloom.
Mi
fermai esattamente dov'ero,
incapace di proseguire. La mia agente, accortasi della mia reazione, si
voltò e
mi diresse un luminoso sorriso.
“Se
ti sei bloccata per ciò che
penso, posso confermare i tuoi dubbi. Si, quello è il tuo
caro co-protagonista”
Improvvisamente
sentii la
colazione che prepotente cercava di tornare su. La guardai lanciandole
un
sguardo di puro terrore. Non potevo credere che avrei recitato accanto
a lui!
Iniziò anche a girarmi la testa.
“Elisabetta?
Tutto bene?”
probabilmente non doveva avere una bella cera, Marty iniziava a
preoccuparsi.
“No,
oddio, temo di avere
disimparato a respirare” la mia amica mi si
affiancò.
“Forse
avrei dovuto dirti con chi
avresti recitato” disse, più rivolta a se stessa
che a me.
“Si,
avresti dovuto dirmelo
eccome! Per smaltire una notizia del genere ci vanno almeno cinque
camomille e
sei ore” digrignai.
“Va
bene, scusa, però adesso calmati
e cerca di riprenderti, ricorda perchè sei qui e soprattutto
pensa che lui è
una persona esattamente come te, quindi, per favore, cerca di rimettere
in
funzione il tuo cervellino e ricomponiti, sembri un cadavere”
Anche
se odiavo ammetterlo, aveva
ragione. Mi stavo comportando
da
stupida. Sembravo una quindicenne che ha appena visto il suo cantante
preferito. Dopotutto ero un'attrice anch'io, una professionista, non la
prima
arrivata. Feci un bel respiro profondo e cercai di calmarmi con questi
ragionamenti. Anche se le gambe non la volevano proprio sapere di
smettere di
tremare!
Per
fortuna a poco a poco mi
tornò il colore sulle guance, che si era momentaneamente
dato alla latitanza
insieme al mio auto-controllo, e Marty mi disse: “Brava, sei
tornata
presentabile. Ora per favore stampati un bel sorriso sulle labbra e
procedi a
testa alta.” Risi del consiglio, e il fatto che riuscii a
farlo era la prova
che il peggio era passato. Cercai
di
valorizzare il mio metro e sessantacinque di altezza stando ben dritta
e mi
esibii in un sorriso dolce ma deciso. Perfetto, a parte il fatto che il
mio stomaco
continuava ad allenarsi per la gara olimpionica delle capriole, ero
pronta.
Seguita
a ruota da Marta, mi
diressi a passo deciso verso il gruppetto in fondo alla sala.
Si
accorsero della nostra presenza
quando eravamo a pochi metri di distanza. Il primo a salutarci fu il
regista,
che ci riconobbe all'istante.
“Oh, Miss Catari!
Good morning! And this
beatiful girl is Miss Sogni, right?” ci venne incontro, e
strinse la mano ad
entrambe, con un sorriso paterno. Quest'uomo già mi piaceva,
in qualche modo
trasmetteva calma, e in questo momento era esattamente la cosa della
quale
avevo più bisogno.
“Yes,
I am. Nice to meet you, Mr
Cuaron.” lo salutai io, sorridendo a mia volta.
“Ralph,
Orlando, Julia, this is
Elisabetta Sogni, the italian actrisse that play Dubhe in the
film.” mi
presentò il regista. Evidentemente Marta la conoscevano
già. Ralph Fiennes si
avvicinò cordiale, si presentò e mi strinse la
mano.
“Pleased to meet you,
Mr Fiennes” risposi io.
“Oh,give me you,
please! You fell me hold!”
mi rispose gioviale. Sorrisi all’affermazione,
dopodichè si presentò la giovane
donna che non conoscevo. Aveva lunghi capelli biondi e gli occhi
castani. Era
alta più o meno come me e avrà avuto la mia
stessa età, ma dal fisico asciutto
dubitavo apprezzasse la buona cucina come la sottoscritta.
“Hello,
I'm Julia Annis!” anche
lei sembrava molto aperta, e apprezzai il fatto che mi desse subito del
tu.
“Hi,
nice to meet you!” ormai
stava diventando un ritornello.
L'ultimo
a presentarsi fu proprio
lui, e quando si sporse per stringermi la mano, temetti di stare per
subire un
arresto cardiaco.
“Hello
Elisabetta, I'm Orlando, pleased
to meet you and welcome to the cast” La sua voce era molto
più sensuale e
morbida di quanto appariva in tv o era una mia impressione? Avrei
giurato fosse
anche più alto visto dal vivo... Betta, ferma, ripigliati,
ed evita di fare
figuracce.
“Thank
you. And nice to meet you,
too” risposi, restituendo il dolcissimo sorriso che mi stava
facendo.
“Very well, now we
can begin the test” esclamò
Cuaron.
“Elisabetta,
questa è la scena
che devi presentare insieme a Orlando ora, devi solo recitarla ad alta
voce,
nient’altro. Puoi leggertela un momento per conto tuo, se
vuoi” aggiunse poi
rivolto a me. Annuii decisa, per poi fulminare Marta con uno sguardo
senza
farmi notare. Aveva detto che avrei recitato da sola, non con lui!
Pazienza,
Betta, pazienza, ora ti rilassi, leggi il copione e ti prepari, sono
poche
righe, ce la puoi fare, fai vedere quello che vali, forza!
La
scena era semplice, era un
piccolo dialogo tra me e lui, ovvero, tra Dubhe e Learco. Lui cercava
di
convincermi a stringere un accordo. Learco mi avrebbe aiutato a
togliere la
maledizione se io mi fossi unita a lui e ad un gruppo di ribelli con il
compito
di detronizzare il tiranno, suo padre.
Alzai
la testa dal copione, e
vidi che il regista, Ralph, Marta e Julia si erano sistemati su alcune
sedie,
poco distante dal punto in cui io e Orlando avremmo recitato la scena,
ovvero,
al centro esatto della stanza. Quest'ultimo era già in
posizione e mi sorrideva
incoraggiante, aspettando che mi avvicinassi. Mi affrettai a
raggiungerlo, e
quando gli fui abbastanza vicino mi chiese: “Are you
ready?”
“I
hope so” gli risposi, cercando
di sorridere. L'ansia stava ritornando.
Probabilmente
si accorse del mio
nervosismo perchè mi disse “Tranquilla,
andrà tutto bene, Alfonso ti adora già,
non sai quanto ci ha elencato le tue doti recitative, quindi non hai
motivo di
preoccuparti” che gentile, neanche mi conosceva ma
già si preoccupava per me.
No,
Betta così non andiamo da
nessuna parte, per favore riprenditiiiiiiii!!!!!!
“Grazie”
mi limitai a dire.
“Bene,
se siete pronti possiamo
cominciare. Ciack!” la voce di Cuaron diede il via al provino.
Non
so bene se fossero state le
parole di Orlando a tranquillizzarmi, ma fatto sta che dopo quella
magica
parolina, “ciack”, tutta l'ansia che avevo
sparì all'improvviso. Il cuore e la
respirazione tornarono normali e in qualche modo riuscii anche a
dimenticare
che l'attore che mi stava accanto era il mio idolo personale. Non ero
più “Elisabetta
la giovane italiana in ansia”. Ero “Elisabetta
l'attrice”, perfettamente a
proprio agio sotto i riflettori e con un copione in mano.
La
prima battuta toccava a lui.
“Tu non capisce Dubhe! Avresti solo da guadagnarci,
perchè ti ostini a non
accettare la mia offerta?”
Lanciando
solo una rapida
occhiata al copione recitai fissandolo dritto negli occhi,
perfettamente calata
nel mio ruolo: “Sei tu che non capisci. Questa guerra non ha
nulla a che vedere
con me! Il Mondo Emerso non mi interessa, voglio solo trovare quel
maledettissimo antidoto, il resto non mi riguarda”
Lui
scosse la testa e fissandomi
a sua volta, mi rispose “Non sai quello che dici. Come
può non riguardarti? Sei
un abitante di queste terre e per
ciò è una
faccenda anche tua, che ti piaccia o no. il tuo aiuto potrebbe essere
decisivo…”
La
scena durò circa cinque
minuti. Entrambi ci fermammo allo stop del regista, che ci raggiunse
entusiasta.
“Perfetta,
ragazzi, bravissimi!”
Ci raggiunsero anche il signor Fiennes e Julia.
“Bhè,
Elisabetta, è inutile dire
che sei presa. Lo sapevi già, ma ora è ufficiale,
se mi segui possiamo firmare
il contratto. Sapevo di potermi fidare, e mi congratulo con te anche
per la tua
ottima pronuncia, posso immaginare che recitare in una lingua straniera
sia più
difficile che nella propria.” Mentre parlava ci stavamo
dirigendo verso un
tavolo rettangolare posto all'altra estremità della stanza,
che prima non avevo
notato. Intanto la “Elisabetta attrice” aveva
nuovamente ceduto il posto alla “Elisabetta
giovane italiana in ansia”. Era tornato anche il batticuore,
ma questa volta
per la felicità di essere riuscita a rispettare le
aspettative, senza farmi
prendere dalla paura. Ed a
giudicare
dall'addirittura eccessivo entusiasmo di Cuaron, ero piaciuta eccome.
Intanto
Orlando mi si era
nuovamente affiancato. Il mio cuore perse un battito quando
incrociò di nuovo il
mio sguardo. Come diamine avevo fatto a rimanere concentrata prima,
quando lo
avevo fissato dritto negli occhi duramente?
“Sei
stata veramente brava,
complimenti” mi elogiò.
“Grazie,
anche tu sei stato
bravissimo” ricambiai. Ed era assolutamente vero. Recitava in
maniera divina.
Mentre leggeva il copione era perfettamente calato nella parte, si era
facilmente capito dal tono di voce dura e dal suo sguardo
improvvisamente
severo, molto diverso da quello dolce che mi rivolgeva ora. Il suo
complimento
lo apprezzai molto più degli altri.
Attorno
al tavolo in legno
c'erano diverse sedie. Ci accomodammo, dopodichè Alfonso mi
porse il contratto
ed una penna. Lo scorsi velocemente, tanto sapevo già cosa
c'era scritto, era
un'altra prassi inutile. Firmai senza esitazioni e glielo restituii.
Dopodiché
ci informò in che modo
si sarebbero succedute le varie fasi di produzione del film.
“Allora,
prima di dare il via con
le riprese dovrete allenarvi nella scherma, nell'equitazione, nel tiro
con
l'arco e in altre armi elencate nel libro. E dovrete fare anche un bel
po' di
palestra, i vostri personaggi sono quasi degli acrobati, ricordate, e
anche se
alcune scene troppo oltre le faranno gli stuntman, dovete essere ben
allenati.”
A
quest'ultima frase sentii
chiaramente Orlando schiarirsi la voce in segno di disapprovazione.
Cuaron si
rivolse a lui con un mezzo sorriso sulle labbra. “So la tua
avversione per gli
stuntman, Orlando, però temo che se la scena
richiederà competenze acrobatiche
fuori dalla tua portata, dovrai arrenderti all'evidenza che non puoi
recitarla
tu” gli disse.
Il
ragazzo sbuffò. “Vedremo
quando si presenterà l'occasione, ma per ora dubito che ne
avrò bisogno. Odio
che il mio personaggio venga interpretato da qualcun altro”
gli altri due
risero sotto i baffi.
Io
sorrisi tra me e me. Per quel
che mi riguardava ero d'accordo con lui. Non ero di certo un'acrobata,
ma
fin'ora neanche io avevo mai usato uno stuntman e non avevo intenzione
di
iniziare proprio ora. Anche se bisogna ammettere che nelle commedie
romantiche
le scene pericolose sono ridotte a zero.
Il
regista proseguì con la sua
spiegazione dopo aver mormorato qualcosa che suonava come un
“cocciuto”. “Tornando
a noi, credo che ciò richiederà circa un mese e
mezzo, intanto il resto della
troupe penserà ai costumi e alle scenografie. Quando sarete
abbastanza pronti,
potremmo cominciare con la produzione vera e propria, anche se dovrete
continuare ad allenarvi, ok?”. Tutti annuimmo.
“Quando
inizieranno le lezioni?”
chiese Marta.
“Dopodomani
alle otto. Ci sarà
quella di scherma in Cromwell's street, abbiamo pagato un istruttore
che vi
insegnerà nella palestra di Sword's Land. Mentre verso le
tre del pomeriggio,
poco distante dalla suddetta palestra, dovrete andare nel centro ippico
in
Oxford's street, dove vi attenderà un altro istruttore.
Comunque ora vi
distribuirò un foglio con su scritto tutti gli orari. Altre
domande?” chiese
poi.
“Si,
una” intervenì Orlando
“Dov'è Sean?”
All'improvviso
mi ricordai del terzo
protagonista maschile del film. Sena Bean il quale doveva interpretare
il
tiranno, ovvero il padre di Orlando. E già, dov'era?
“è
vero, non doveva venire anche
lui?” si inserì Fiennes nella conversazione.
“Ha
chiamato stamattina presto.
Sua madre Rita si è fatta male cadendo dalle scale e l'hanno
dovuta portare al
pronto soccorso.”
“Oddio,
è grave?” chiesi io,
preoccupata.
“No
no, per fortuna no. Si è solo
slogata la caviglia, nessuno trauma cranico, considerando il tutto
è andata
bene, però logicamente non è potuto venire qui
oggi. Lo chiamerò io dopo per
dirgli tutto.” Mi tranquillizzai. “Bene, a meno che
non abbiate altre domande,
questi sono i fogli con la vostra tabella di marcia, mentre questi sono
i
vostri copioni.” ci distribuì un foglietto insieme
ad un libricino con la
copertina azzurra con sopra scritto Wars
of the World Emerged. “Conoscerete gli altri attori
dopodomani, alla
lezione di scherma. Qualcuno vuole aggiungere qualcosa?” dato
che nessuno disse
niente, concluse con “Perfect, see you soon, then. Good
bye”. Ci alzammo tutti
quanti rispondendo al saluto.
Non
feci nemmeno tre passi dal
tavolo che sentii la voce di Orlando che mi chiamava.
“Elisabetta,
scusami, volevo
chiederti una cosa”
Mi
voltai sorpresa. “Certo,
chiedi pure. Comunque per gli amici sono Betta” aggiunsi con
un sorriso. Wow,
tutto questo coraggio da dove veniva ora?
Anche
lui mi sorrise, improvvisamente
raggiante. “Betta allora, ascolta, Ralph, Julia, Sean,
Alfonso e io domani sera
usciamo insieme per mangiare una pizza. Niente di formale, solo una
cena tra
amici, ti andrebbe di venire? Ovviamente l'invito vale anche per te
Marta”
aggiunse poi rivolto alla mia agente.
Allargai
il sorriso. Ovviamente
non ci pensai due volte. “Certo, mi farebbe più
che piacere, grazie dell'invito.
Marta?” guardai la mia amica.
“Anche
a me farebbe piacere,
grazie” rispose lei.
“Grazie
a voi. Allora,
l'appuntamento sarebbe alle otto alla pizzeria Six Brothers in
King’s Road,
sapete dov'è?”
Avrei
voluto rispondergli che era
un miracolo se sapevo ritrovare la strada di casa mia in Italia, a
Torino, e
che ero dotata di un senso dell'orientamento pari a zero, ma mi limitai
ad un
più semplice “No”. Per fortuna mi venne
aiuto Marty che affermò di saperci
arrivare.
“Perfetto,
ci vediamo domani
allora, ok?”
“Of course, bye bye
everybody!”
Io
e Marta ci allontanammo
lentamente dagli studios, dopo aver salutato tutti.
Solo
quando fummo in macchina ad
una ragionevole distanza dalla Paramount, mi concessi un enorme respiro
liberatorio, accompagnato da una sequenza di
“Evvai” “Si” “Non ci
posso
credere” “Yuppi!”.
Quando
arrivammo a casa chiamai
di corsa mia madre, che rispose al primo squillo.
“Pronto?
Betta?”
“Si
mamma sono io” mentre parlavo
con voce concitata, iniziai a camminare avanti e indietro per
l'ingresso.
“Oh,
Elisabetta, mi hai fatto preoccupare
tanto ieri, e anche stamattina! Perchè avevi il cellulare
spento? Mi stava
venendo un arresto cardiaco!” mi accusò.
Ciò
non scalfì il mio entusiasmo.
Nonostante la frase volesse suonare come un rimproverò, il
tono dolce di mia
madre, che era assolutamente incapace di sgridarmi, rovinò
l'intento.
“Scusami
mamma, hai assolutamente
ragione. Mi dispiace tanto, è che con tutte queste
novità me ne ero
completamente dimenticata!” mi scusai sincera. Con la cosa
dell'occhio notai
Marta che si eclissava in tinello scuotendo la testa.
“Non
importa, ormai è fatta. Ma
dimmi, com'è Londra? È bella come ti aspettavi e
la casa? Ti sei trovata bene?
E questo provino? Raccontami tutto!”
Un'altra
cosa bella di mia madre
è che spesso e volentieri sembrava una ragazzina curiosa, e
ciò era uno dei
motivi per cui avevamo sempre avuto un ottimo rapporto.
“Oh
mamma, non ti puoi nemmeno
immaginare! La casa è stupenda!! è una villetta a
due piani con giardino! Ora è
un po' vuota, ma presto andrò a fare compere e dopo una
bella mano di vernice,
sono sicura che sarà ancora più bella e
accogliente. Non
sono ancora riuscita a visitare la città
purtroppo, ma sono qui solo da ieri e ho dovuto far prevalere il dovere
sul
piacere, ma io e Marty oggi avevamo in programma di andare in centro,
così mi
fa girare un po' per Londra. Tuttavia un giro vero e proprio lo
farò quando mi
sarà sistemata meglio, perchè ora ho l'agenda
piena di impegni!” sembravo un
fiume in piena e probabilmente mia madre aveva capito metà
delle cose che avevo
detto, ma ero talmente agitata e felice che non riuscivo a parlare con
più
calma.
“Sono
contenta che ti trovi bene!
E questo film?” A quanto pare, nonostante la
velocità razzo a cui ero andata,
il messaggio principale era arrivato chiaro: ero felice.
Le
raccontai minuto per minuto
come era andato il provino, soffermandomi in particolare su chi sarebbe
stato
il mio partner. Appena ebbe udito la notizia, la gioia di mia madre
esplose in
un “Wowwwwwwww!!!!!!!!!!! Incredibile, proprio lui!! Oh
figlia mia me lo devi
fare conoscere! Sono felicissima per te! Però mi raccomando,
cerca di non
prenderti una cotta per lui, siete colleghi! E poi sai come cambiano
idea in
fretta su certe cose, gli attori! Capisco che è bello,
però...”
Al
che ero diventata rossa come
un pomodoro. Meno male che per telefono non poteva accorgersene.
“MAMMA! Cosa
dici?! Siamo solo colleghi e massimo diventeremo amici! Cosa vai a
pensare?!”
cercai di assumere un tono indignato.
Il
resto della conversazione
proseguì in modo più tranquillo e meno equivoco
per fortuna. Riattaccai dopo
un'ora e mezza sfinita dalla conversazione.
Mi
trascinai in tinello, per poi
lasciarmi cadere su una delle sedie in legno attorno al tavolo. Marty
era già
ai fornelli.
“Non
è un po' presto per
cucinare?” le chiesi.
“Guarda
che è mezzo giorno”
mi informò divertita.
“Di
già?” La mia amica si limitò
ad annuire con la testa.
Forse
ero io che ero svampita
oppure erano le miliardi di cose da fare le quali parevano infinite, ma
pareva
che ultimamente il tempo stesse volando!
Aiutai
Marty ad apparecchiare la
tavola con le stoviglie di plastica.
“Prima
o poi ci dovremo comprare
un servizio di piatti e posate, lo sai vero?”
“C’è
tempo, non è in cima alla
mia lista delle priorità. E poi i piatti di plastica hanno
il vantaggio che non
vanno lavati” risposi ridendo io. Marta scosse la testa e
portò in tavola la
pentola con la pastasciutta. Gnam, si mangia!
“Buon
appetito!” esclami contenta
e mi fiondai sulla mia portata.
“Allora,
qual è la tabella di
marcia per il pomeriggio?” chiesi mentre arrotolavo alcuni
spaghetti attorno
alla forchetta.
“Dimmi
tu, hai carta bianca, se
ti va possiamo iniziare a fare un giro dei negozi immobiliari per
arredare la
casa, ma se preferisci girare Londra da brava turista sono certa che
possiamo
sopravvivere ancora qualche giorno senza tappeti e con i muri
bianchi”
“Ecco,
i muri sono tra le mie
priorità per esempio, non sopporto di vederli bianchi, sono
tristi! Però per
oggi preferirei visitare la città, ho voglia di svagarmi, il
lavoro per almeno
venti quattr’ore può attendere!” decisi
dopo aver deglutito un’abbondante
forchettata.
“Perfetto,
allora oggi andiamo
prima al Big Bang, poi davanti a Buckingham Palace e infine a Trofalgar
Square.
Dubito che in una sola giornata riusciamo a visitare altri luoghi ma mi
sembra
un buon inizio, che ne dici?”
“Ci
sto, e voglio scattare un
mucchio di foto, così poi le invio a mia madre”.
Felici
della nostra prospettiva
di un pomeriggio di divertimento, passammo il resto del pranzo a
discorrere del
più e del meno, raccontandoci altri aneddoti che nel mese di
lontananza ci
erano capitati.
♥
“Buckingham
Palace è stupenda! Ho
già detto che adoro questo posto?”
Marty
scoppiò a ridere “No, se
non si contano le cinquemila volte precedenti”
“Ok,
sono ripetitiva, ma non puoi
immaginare quanto sia contenta di essere qui! Mi sembra un
sogno”
“L’avevo
intuito. Comunque ne
sono felice dato che staremo qui per un bel po’”
Le
scattai una foto a tradimento
e lei fece finta di arrabbiarsi.
“Scusami,
hai detto tu che
passeremo qua parecchio tempo e poi non vuoi nemmeno immortalare un
momento
della tua permanenza a Londra?” le domandai scherzosamente.
Ridemmo
entrambe e io feci
scorrere il mio sguardo attorno a me. Era tutto perfetto. Era una
splendida
giornata primaverile, aprile era iniziato da un pezzo, e il sole faceva
bella
mostra di sé in alto nel cielo, battendo addirittura le
famose e stabili nuvole
londinesi. L’atmosfera che regnava era allegra. La gente era
tranquilla e già
pregustava l’arrivo delle vacanze, alla quale mancavano solo
un paio di mesi. E
poi c’era Buckingham Palace dinanzi a noi, che torreggiava
maestosa e imponente
su tutto ciò che ci circondava.
“Betta
cara, non abbiamo ancora
discusso su quello che è successo questa mattina. Oltre
ovviamente a tutte le tue
esclamazioni di gioia che hai sparato a macchinetta una volta in
auto” Marty mi
distolse dalla mia contemplazione del palazzo reale inglese.
“Già,
è vero, però non trovo che
ci sia qualcosa sulla quale discorrere. Sono stata presa, ho conosciuto
il cast,
domani inizio e sono strafelice cos’altro dovrei
dire?”
La
mia manager sbuffò
sonoramente. “Per esempio che effetto ti fa sapere che
lavorerai con un tuo
idolo” mi consigliò.
Io
la guardai un attimo a bocca
aperta. “Che razza di domanda. Sono contenta, anche se avrei
gradito che qualcuno mi avvisasse
prima di vederlo
in prima persona, dato che ho rischiato l’arresto cardiaco
stamattina. Spero che
diventeremo amici, spero di diventarlo anche con gli altri, mi sono
sembrate
tutte persone molto simpatiche, e mi auguro di imparare molto da loro
dal punto
di vista professionale”
Lei
mi squadrò scettica. “Sei
sicura che siano tutte qui le tue speranze?” chiese.
Perfida
insinuazione. Perfidissima.
Risposi pronta comunque sia. “Ma certo Marty, è un
collega, cos’altro potrei
volere oltre che l’amicizia, ti ricordo che io sono una
professionista!”
“Ah,
io me lo auguro” sospirò
prima di proseguire. “Sai, oggi mi hai fatto preoccupare
quanto hai avuto
quella reazione alla vista di Bloom. Sapevo che per te sarebbe stata
una
bellissima sorpresa in quanto conosco la tua ammirazione per lui, ma
per un
attimo ho temuto che la tua stima nascondesse invece una cotta per quel
ragazzo”
mi confessò guardandomi cauta.
“COSA?!”
urlai io. “Ma cosa vai a
pensare! Io lo considero semplicemente un grande attore, nulla di
più, Marty mi
conosci, non sono il tipo da sbavare dietro agli attori e fantasticare
sopra l’immagine
perfetta che danno in tv, che tra parentesi il 99% delle volte
è semplicemente costruita
a tavolino.” Mi difesi con calore.
“Va
bene, va bene, calma, era mio
dovere chiedertelo. Comunque ne sono felice. Sarete colleghi,
reciterete a
stretto contatto per un sacco di tempo, non sarebbe affatto il caso di
innamorarsi di lui, le storie nate sul lavoro creano solo problemi e
finiscono
male” mi ammonì.
“Marty,
tranquilla, non intendo
mettermi con nessuno del cast, ok?” la mia amica parve
convinta dopo un’ultima
occhiata critica al mio viso, e si decise a cambiare argomento.
Io
tra me e me faci un grosso,
enorme sospiro. Intendiamoci, quello che le avevo detto non era una
bugia,
davvero non mi ero presa una cotta per Orlando, però dovevo
ammettere che l’averlo
conosciuto oggi di persona mi aveva stordita al quanto. Era davvero
bellissimo,
la televisione non gli rendeva giustizia, e da quel poco che
l’avevo conosciuto
potevo assicurare che fosse anche molto dolce e gentile.
Però la mia
ammirazione era tutta provata da un punto di vista professionale. Mi
piaceva da
impazzire come si calava in ogni parte, le espressioni del suo viso,
l’enfasi
con la quale diceva ogni battuta. Amavo il suo modo di recitare, non
lui. NON lui, ripetei a me stessa.
|
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Capitolo 3 *** 2_Fiorini ed Equini ***
Ciao
a tutte^^ scusate il disastroso ritardo, non ci sono scuse degne di
questo nome!!! Crcherò di essere più celere in
futuro, lo prometto, anche se non sarò velocissima
cercherò di non far passare di nuovo tutto questo tempo!
Spero che leggiate in tanti questo cappy, mi scuso ancora e ora vi
lascio alla lettura^^
kisskisses 68Keira68
Ringraziamenti:
Klood:
grazie per aver recensito anke il cap due^^ non ti preoc, io sn
contenta se mi segnalate gli errori così posso correggerli,
altrimenti rimarrebbe sbagliato^^ e poi così miglioro il mio
inglese, hihih^^ quindi grazie e quando vedi qualcosa che non va
scrivilo tranquillamente^^ spero che ti piaccia anke questo cappy e ke
lo recensirai^^ grazie ancora kisskisses 68Keira68
2_
Fiorini ed Equini
“Ehi,
bell’addormentata, per favore, cerchiamo di non arrivare in
ritardo al tuo
primo giorno, ieri eravamo puntuali per chi sa quale miracolo, dubito
che oggi
avremmo la stessa fortuna”
Marta
mi stava urlando contro di muovermi da più o meno una
ventina di minuti.
“Un
secondo e arrivo” le risposi dalla camera di sopra. Era
incredibile come
riuscissimo a comunicare con tanta facilità da una piano
all’altro,
considerando che lei era in cucina. Le cose erano due, o la casa aveva
un eco
straordinario, o sia io che Marty eravamo dotate di due bei polmoni.
“è
quello che hai detto più o meno 1200 secondi fa, cara. Mi
spieghi qual è la
difficoltà di scegliere un vestito? Stai per consumare lo
specchio, accidenti!”
Io
sbuffai. Per fortuna questo non lo sentì. E già,
per lei era facile, si era
subito messa gonna e giacca et voilà! Era pronta. Ma io cosa
dovevo indossare? Come
diavolo ci si vestiva per una lezione di scherma?
Sentii
dei passi per le scale. Fantastico, la mia amica probabilmente aveva
intenzione
di venirmi a prendere per la collottola, ma io ero ancora in biancheria
intima!
Dubito che sarei potuta andare in palestra con solo il reggiseno e le
mutandine
addosso!
“Betta,
se non ti vesti entro cinque minuti ti ricevi un fioretto in
testa” mi avvertì
mentre spalancava la porta della camera.
“Sono
indecisa! In teoria dovrei mettermi la tuta dato che dobbiamo fare
allenamento,
ma non vorrei sembrare poco professionale ad andare solo con quella! E
poi mi
vergognerei ad andare per le vie di Londra con solo dei pantaloni di
tela
addosso!” mi difesi.
Marta
alzò gli occhi al cielo. “No, non ci credo, ti
prego dimmi che non è questo il
problema che ti poni da mezz’ora a questa parte”
“Mezz’ora,
esagerata! Saranno a mala pena quindici minuti”
“Come
minimo venti, ma non è questo il punto!” Mi
guardò in cagnesco.
Io
allora, fingendomi offesa provai a far valere le mie motivazioni.
“è un
problema serio! E tu che sei mia amica, al posto di stare qui a
sgridarmi,
dovresti suggerirmi una soluzione!”
La
mia manager fece un profondo respiro, come per riprendere la calma,
infine mi
fissò dritta negli occhi e a denti stretti mi rispose
“Elisabetta, dentro la
palestra ci sono gli spogliatoi, devi portarti semplicemente una sacca
con la
tuta e le scarpe da ginnastica, ma per uscire puoi metterti quello che
ti pare.
Anche gli altri faranno così, credo che tutto il mondo
quando deve andare ad
allenarsi faccia così. Ti consiglierei di portarti anche un
asciugamano e il
bagnoschiuma per farti la doccia dopo, sempre là nella
palestra. Ora hai
capito?”
Io
la guardai con la bocca spalancata, dopodichè mi sentii una
benemerita idiota.
È vero, gli spogliatoi, non li avevo minimamente
considerati! Uffa però, non
entravo in una palestra da sei anni e non ero mai stata una sportiva.
L’unica
attività motoria che ho fatto nel corso della mia breve vita
è stata quella che
mi costringevano a praticare a scuola.
“Ah.”
Mi uscì semplicemente.
Marta
scosse la testa e, dal silenzio che ne seguì, credo
contò fino a dieci per
evitare di sbraitarmi addosso.
“Io
vado di sotto, se entro cinque minuti, e dico proprio CINQUE minuti,
non sei
pronta, ti porto là esattamente come sei”
minacciò uscendo teatralmente dalla
stanza.
Ok,
con Marty non si scherza quando è arrabbiata. Avrei
scommesso qualsiasi cosa
che avrebbe messo in atto l’avvertimento se non mi fossi
sbrigata.
Velocissima
indossai i miei jeans preferiti (blu scuro, a vita bassa e con la gamba
a
sigaretta) e una camicetta bianca. Afferrai la mia tuta rossa e delle
scarpe da
ginnastica, li buttai dentro lo zainetto colorato e mi diressi
velocemente in
bagno per procurarmi asciugamano, spazzola, deodorante e bagnoschiuma.
Infine
mi catapultai nuovamente in camera per mettere delle ballerine nere.
Pronta!
Presi
giacca e zaino, e mi fiondai al piano di sotto.
“Spero
sarai contenta, per fare in fretta ho infranto la barriera del suono e
non mi
sono nemmeno truccata!” inveii contro Miss
Puntualità.
“Se
serve a farti arrivare in orario sono contenta si, comunque stai
benissimo
anche senza lucidalabbra, tranquilla.”
Uffa,
sapevo anche io che le mie labbra sopravvivevano senza lips-gloss,
anzi, a meno
che non avevo impegni importanti non mi truccavo neanche, e la palestra
non era
inclusa tra quelli, ma era una questione di principio, non sopportavo
che
qualcuno mi mettesse fretta! Purtroppo però dovevo anche
ammettere che senza
quel “qualcuno” probabilmente quel giorno sarei
arrivata a destinazione per le
due del pomeriggio anziché alle otto. Le otto, sigh, a causa
di questo orribile
orario mi ero dovuta svegliare alle sette! Dico, le SETTE!!!!! Per me
è notte
inoltrata, altro che mattina, la mia alba arriva verso mezzogiorno.
Destino
infame!
Uscimmo
dalla villetta e ci avviammo per l’acciottolato rosso fino a
raggiungere il
cancelletto. Una volta chiuso alle nostre spalle quello, salimmo nella
Peugeot
di Marta, che ci aspettava parcheggiata tranquilla davanti a casa.
“Allora,
il programma della giornata è semplice, lo
ricordi?” mi domandò mentre
sfrecciavamo verso la palestra.
“Si,
non sono così smemorata! Lezione di scherma nella mattinata
e tiro con l’arco
nel pomeriggio, giusto?”
“No!
Ecco, vedi che te lo eri già scordata? Alle tre hai
ippica!” mi ricordò.
“Caspita
è vero!” Mi sbattei una mano sulla fronte. E
pensare che l’ultima cosa che
avevo fatto ieri sera era stata leggermi la programmazione!
“Ecco,
lasciamo stare è meglio. Comunque, io non starò
con te oggi pomeriggio, ho del
lavoro da sbrigare, quindi per favore, evita di cadere da cavallo solo
perché
non ci sono io a tenerti d’occhio, va bene?” mi
ammonì.
“Ah,
ah, come sei spiritosa! È la mia prima lezione,
probabilmente il cavallo lo
vedrò solo da lontano, figurati se me lo fanno montare! Ma
cosa devi fare? Il
tuo lavoro sono io e mi sembra di essere sistemata con un imminente
futuro da
cavallerizza”
Mi
guardò di sottecchi sorridendo beffarda. “Difatti
oggi pomeriggio lavoro
proprio per te. Mi sto occupando di un contratto che prevedrebbe te
come
testimonial per una marca di profumi, il tuo impegno sarebbe minimo, un
piccolo
spot e qualche foto, ma ne ricaveresti un sacco di
pubblicità”
Rimasi
a bocca aperta. Wow, io testimonial? Fantastico!!
“Fico,
e di quale marca si parla?” domandai contenta.
“Chanel.
A quante pare è scaduto il contratto del
Knightley.” Chanel! Ho già detto che
adoro la donna che ho davanti? Però poi mi venne un dubbio.
“Scusami,
ma come faccio ad essere presente a scherma, ippica, tiro con
l’arco e chi più
ne a più ne metta e fare in contemporanea questa
pubblicità? Non ce la farò
mai! E poi dove devo scattarle queste foto?”
“Cara,
se ti dovessi occupare tu di tutte queste cose, io che ci starei qui a
fare? Tu
non ti preoccupare, ci penso io a far combaciare il tutto, tu pensa
solo a
diventare un buon fantino, ok?” scherzò.
“Sei
mitica” la ringraziai. Evvai, prima il film e ora lo sponsor.
Londra era la
città dei miracoli.
Dopo
poco arrivammo davanti alla suddetta palestra. Era piuttosto anonima,
un
edificio di mattoni rossi posta nel bel mezzo della via, con una grande
insegna
blu che recitava: “Sword’s
Land”.
Entrammo
dalla porta principale, molto grande e in vetro. Appena dentro ci
accolse una
temperatura fantastica, probabilmente merito di un buon condizionatore.
C’era
un piccolo corridoio che immetteva in un bivio. Le scritte rosse sopra
due
cartelli bianchi ci informarono che ha destra si trovavano gli
spogliatoi e la
palestra, mentre a sinistra c’era il centro informazioni.
Marta
imboccò sicura il corridoio sinistro, dicendomi di
attenderla lì un attimo. Di
sicuro era andata a chiedere indicazioni a qualcuno. Difatti
tornò poco dopo
con un piccolo sorriso.
“Sono
già arrivati tutti. Ti stanno aspettando di là in
palestra, però prima devi
passare per lo spogliatoi e cambiarti.”
“Bene”
perfetto, come sempre ero l’ultima. Possibile che dovessi
sempre distinguermi?
Decisi di sorvolare. “Dov’è lo
spogliatoio?” chiesi invece.
“Quello
delle ragazze è infondo sulla destra.
C’è un cartello enorme, se ti perdi anche
qui finisci nel guiness dei primati” mi prese in giro. Le
feci la linguaccia
mentre mi avviavo verso la direzione indicatami, sperando di non
perdermi
davvero, perché in tal caso avrei fatta davvero una
figuraccia, mi avrebbe
preso in giro per un mese di fila.
“Vado
a chiedere un’ultima cosa al punto informazioni, poi ti
aspetto in palestra,
ok? Tu sbrigati però!” mi urlò come
ultima cosa.
Annuii
distrattamente con la testa. Dopo pochi passi giunsi al cartello e
imboccai
sicura la porta dello spogliatoio femminile. Era piuttosto grande, due
panche
centrali e gli armadietti ai lati. In fondo c’era
un’altra piccola porta che
immaginai conducesse al bagno. Mi avvicinai all’armadietto
più vicino e
cominciai a cambiarmi. Tuta, maglietta con scritta
rossa“Dance”, scarpe e coda
di cavallo. I’m ready! Buttai la sacca e i miei vestiti
dentro l’armadietto di
fronte a me ed uscii dalla stanza.
Ero
curiosa di vedere come si sarebbe svolta la lezione. Non avendo mai
preso una
spada in mano in vita mia la cosa mi eccitava, avevo smania di
imparare.
Soprattutto perché mi avevano assicurato che non dovevo fare
alcun esercizio di
riscaldamento. Meglio di così!
Nel
corridoio c’erano altre due porte, ed escludendo quella dello
spogliatoio
maschile puntai sicura su un’entrata a due ante. Mi ritrovai
in una spaziosa
palestra. Le pareti erano bianche e il pavimento marroncino, come da
manuale.
Guardai con astio il quadro svedese posto in fondo alla sala e le
quattro
spalliere a lato. Tra me quegli attrezzi era in atto una guerra fredda
da
quando ero nata, ma finite le scuole avevamo firmato una specie di
armistizio.
Io non andavo da loro e loro non mi facevano rompere l’osso
del collo. Patto
che non avevo mai avuto difficoltà a rispettare.
Un
campanello di voci richiamò la mia attenzione. Voltandomi
notai che Orlando,
Julia, Ralph, un altro uomo che riconobbi subito essere Sean Bean e due
donne
sulla trentina che immaginai essere le nostre istruttrici. Mi stavano
chiamando
e io non mi feci attendere. Anzi, erano già stati troppo
gentili ad aspettarmi.
“Hello everybody!”
li salutai di rimando.
“Ciao,
tu devi essere Elisabetta Sogni, ieri non ho avuto il piacere di
conoscerti,
comunque io sono Sean Bean” L’attore inglese non
tardò a presentarsi molto
cordialmente.
“Piacere
mio” risposi stringendogli la mano.
“Perfetto
ora che ci siamo tutti direi che possiamo iniziare la
lezione” la voce di una
delle due istruttrici ci richiamò tutti.
Per
le tre ore seguenti mi sembrò di essere tornata a scuola. Le
due donne si erano
divise, una si occupava di me e di Julia, la mia partner per la
mattinata,
mentre l’altra aiutava Sean e Orlando, e faceva da partner a
Ralph. La nostra
insegnante aveva una voce da sergente e il portamento non era da meno.
Dritta e
rigida nel suo metro e settanta, capelli neri cortissimi e sguardo
severo,
portava fieramente il suo fischietto appeso al collo e non tardava ad
utilizzarlo. Era insopportabile e el suo bersaglio preferito pareva che
fossi
proprio io. Non so quante volte mi aveva fischiato nelle orecchie.
Ammetto che
io ero esasperante. Dopo che mi aveva ripetuto tre volte la posizione
corretta
per fare un affondo, ero riuscita a sbagliare tutto. Al che era
arrivato il
fischio, secco e acuto, al mio timpano, seguito a ruota dalla sua
“dolcissima” voce
che mi sgridava. “Non è quella la posizione,
possibile che te la sei già
dimenticata? Gamba destra avanti e sinistra indietro, un passo in
avanti con la
destra accompagnato dal busto e allunghi il braccio, non è
così difficile”.
La
scena si era ripetuta più o meno per ogni singolo mio
movimento, al che ad un
certo punto provai l’istinto di farle ingoiare il fischietto
con tutto il
cordino.
Par
contro, la mia partner, Julia, sembrava parecchio divertita. Cercava di
trattenere le risate ad ogni fischio e io l’avevo fulminata
con gli occhi più
di una volta. A lei non aveva mai detto niente, non era giusto! Anche
Marta
rideva, dal suo angolo in fondo alla stanza, e ciò non mi
aiutava affatto.
Dall’altra
parte della palestra, Orlando e Sean invece sembravano Artù
e Lancillotto. La
loro istruttrice non aveva molto lavoro da fare, pareva fossero nati
con una
spada in mano. Non sbagliavano un affondo e duellavano con una
naturalezza ed
eleganza naturale. Provai una fitta di invidia. Erano davvero bravi,
sopratutto
Orlando. Affondo, parata, affondo, parata, pareva danzasse. Aveva i
capelli
lunghi e scuri legati dietro da un codino, la tuta blu notte marcata
Kappa e
una maglietta bianca che gli evidenziava il torace.
L’abbigliamento era
semplice, eppure lui sembrava un Dio greco lo stesso. Era davvero
bello.
Par
contro, il povero Ralph sembrava che avesse intrapreso una crociata
personale
contro tutta la categoria della spade, dalle sciabole ai fiorini. Non
riusciva
a fare un affondo degno di questo nome, esattamente come me. Mi
rincuorò un
poco. Però, a differenza di me, non aveva
un’anatra starnazzante incollata
all’orecchio. La sua insegnante, una ragazza molto carina con
una fluente coda
bionda, doveva essere molto paziente, perché ogni volta che
sbagliava gli ripeteva
con calma la posizione corretta, senza urlare, e sorridendo gli faceva
l’ennesima dimostrazione pratica. Tra poco gli chiedevo se si
poteva fare
cambio. Le mie rosee congetture furono però interrotte da
attacco a tradimento
da parte di Julia, che mi riportò al presente.
Dopo
quattro ore di affondi, dei quali, tra parentesi, non me ne era venuto
manco
uno, finalmente Carol-istruttrice-sergente militare, decretò
la fine della
lezione. Qualcuno aveva ascoltato le mie preghiere. Tutta la mia voglia
di imparare
a tirar di scherma era svanita appena quella donna aveva aperto bocca.
Mi
trascinai fino allo spogliatoio chiacchierando con Julia.
“Non
è stata male come prima lezione” mi disse
prendendomi in giro.
“Parla
per te, io temo che di averci rimesso l’udito a causa di
tutti quei fischi.” Mi
lamentai.
“è
il suo mestiere correggere chi sbaglia, non può dirti che
vai bene se non è la
realtà, e ti assicuro che i tuoi affondi avevano bisogno di
una revisionata” si
intromise Marta, ancora ridendo
“Ahaha,
a parte gli scherzi, Carol è stata un po’ severa
con te, sembrava che non fossi
capace di tenere in mano un qualsiasi oggetto, non solo una
spada” mi difese
Julia.
Quella
ragazza iniziava a starmi sempre più simpatica.
“Grazie Julia”.
Mentre
uscivamo dal mio inferno personale, con la coda dell’occhio
notai che Orlando e
Sean proseguivano con l’addestramento, come due spadaccini
provetti. Ralph
Fiennes aveva finito invece e si stava già cambiando.
“Certo
che ne hanno di energie quei due” commentò Julia.
La
fissai, e con una certa soddisfazione notai che anche lei non era
immune al
fisico di Orlando. Lo stavo guardando con lo stesso interesse che avevo
io
prima.
“Più
di me di sicuro” le risposi sorridendo e raggiungendo la
porta dello
spogliatoio.
♥
“Quanto
tempo abbiamo?”
“3
ore, dopodichè devi imparare a montare un cavallo”
mi rispose Marty guardando il suo Swatch grigio metallizzato con il
bordo dorato.
“Incredibile,
ho quattro ore libere?”
“Non
ti ci abituare, quando dovremo girare non ne avremo neanche
mezza” una
voce dolce e profonda mi raggiunse da dietro. Quando mi girai, un
sorriso a
trentadue denti mi accolse, accompagnato da due occhi nocciola che mi
fissavano
divertiti. Anche Orlando si era cambiato e aveva raggiunto me, Marty,
Julia e
Ralph. Dalla tuta blu era passato ad un look casual, jeans chiari, in
alcuni
punti strappati come impone la moda, una maglia nera e un giubbotto
anch’esso
di jeans.
Nel
complesso? Un piacere per gli
occhi.
“Allora
è meglio che ne
approfitto, casa mia non può rimanere spoglia per sempre. A
proposito, sai per
caso dove posso trovare un mobilificio? Tipo l’Ikea,
Casa del Mobile…?”
chiesi, lieta di poter istaurare una discussione con lui. Prima di
iniziare le
riprese mi ero prefissata di stringere un minimo di amicizia con tutti,
primo
perché ci sarebbe stata più armonia e
complicità tra un ciack e l’altro ed era
essenziale per un buon film, secondo perché ero venuta a
Londra anche per
ampliare il giro delle mie conoscenze, volevo cambiare aria, conoscere
gente
nuova e stringere nuove amicizie.
Lui
soppesò un attimo la mia
domanda. “Non conosco quelli che hai nominato tu ma che io
sappia qui vicino c’è Mobile
Here. È molto grande e ben fornito, ho comprato
tutto l’arredamento del
salotto là. È lungo questa strada, alla seconda
traversa svolti a sinistra e
sei arrivata.”
Ma
che ragazzo d’oro. “Grazie,
allora ci farò un salto prima di andare ad ippica, anzi,
conoscendomi è meglio
che mi avvii subito”
“Figurati.
Ci vediamo alle tre
allora. Good shopping”
“Thanks,
good bye everybody”
dissi poi rivolta al resto del gruppo, alla quale si era aggiunto anche
Sean
Bean.
Marta
ed io uscimmo dal centro
sportivo e raggiungemmo la nostra auto.
“Cosa
facciamo? Andiamo subito al
mobilificio?” mi chiese.
Ci
pensai un attimo, ma fu il mio
stomaco a decidere per me, brontolando sonoramente.
Marta
rise e io sprofondai
nell’imbarazzo. “Capito, andiamo a casa a pranzare,
i mobili attenderanno”
“Si
è meglio” risposi pregustando
una buona pastasciutta.
♥
“è
meglio blu, rosso, bianco o
nero secondo te?”
Il
quesito era di vitale
importanza, e io ci stavo riflettendo da ben quindici minuti.
“Betta,
è un tappeto, non una
questione di stato” a Marta stavano saltando i nervi.
“No,
non è un tappeto”
le feci il verso “è il NOSTRO
tappeto e dovrà fare bella mostra di sé a casa
NOSTRA, quindi deve essere
quello giusto”
Continuai
a fissare a lungo i due
tappeti e pelo alto, morbidi e soffici, i miei preferiti, ancora a
lungo,
finché la mia agente non fece un’osservazione
illuminante.
“Pensa
a che colore vorresti
dipingere le pareti del tinello”
Mi
si accese la lampadina. Sapevo
esattamente che colore volevo per quei muri, arancione.
“Deciso,
lo prendo rosso, che te
ne pare?” con un sorriso degno di una bimba di cinque anni,
guardai Marta.
Lei
alzò gli occhi al cielo. “Va
benissimo” rispose esasperata, senza comprendere il mio
entusiasmo per
l’acquisto. Mi aveva esplicitamente detto che non le
interessava minimamente
che mobili avrei scelto per la casa, a patto che non avessi messo piede
in
camera sua, e quindi il suo interesse nel mio acquisto era minimo.
Nonostante
ciò aveva pazientemente deciso di accompagnarmi al negozio
lo stesso.
“Yuppie,
comprato all’ora!”
Lo
misi nel carrello, piegandolo
con cura. Per fortuna non era molto grande, la misura giusta per stare
sotto il
tavolo in cucina. Finalmente non avrei più dovuto sopportare
quell’obbrobrio
marroncino.
Il
carrello comprendeva già un
lampadario con la ventola in legno, destinato anche quello per la
cucina, e una
lampada rosa, con la base decorata da ghirigori complessi, per la
scrivania in
camera mia.
Il
lampadario mi aveva colpito
particolarmente. Le ventole erano in ciliegio, intersiate
anch’esse con dei
piccoli disegni sui bordi, mentre le quattro lampade che le univano
erano di un
bianco latte e avevano la forma dei petali di un fiore. Assomigliavano
a
quattro campanelle. Stupendo.
La
mia manager mi aveva
gentilmente fatto notare che solitamente si inizia ad arredare una casa
dai
mobili e non dagli accessori, ma quel giorno avevamo solo due ore,
tempo
insufficiente per scelte complicate come cucina, divani o librerie. Per
quelli
mi sarei dovuta prendere una giornata intera.
“Bene,
sono le due, abbiamo
giusto il tempo per andare a casa a cambiarci e andare ad
ippica” decretai
diligente, guardando l’ora.
“Incredibile,
tu che rispetti un
orario, Londra fa miracoli”
Le
feci la linguaccia.
Pagammo
il conto e grazie a
qualche miracolo, riuscimmo a caricare tutto in auto. Da fuori non
avrei mai
detto che la
Pegeout
fosse così capiente.
Con
calma raggiungemmo la villa e
depositammo lampade e tappeti nel corridoio. Il tappetino marrone aveva
le ore
contate, me ne sarei sbarazzata con gioia dopo la lezione di quel
pomeriggio.
Mi
cambiai indossando dei jeans comodi e una camicetta a mezze maniche.
Marta era come sempre perfetta in un completo beige pantalone
e giacca.
♥
A
bordo della sua macchina
metallizzata giungemmo a destinazione con il tetto abbassato. La
giornata era
calda, il sole era alto e faceva bella mostra di sé in un
cielo limpido. Il
tragitto fu più lungo del precedente, la nostra meta
infatti, un piccolo
maniero, era leggermente fuori città, a poco più
di venti minuti di viaggio
senza traffico.
“Go
Horse-Riding” era l’insegna
in legno che ci indicò che eravamo giunti a destinazione.
L’edificio
era ben tenuto, in
mattoni come la palestra, ma totalmente diverso. Era vissuto e
trasmetteva un
senso di familiarità incredibile. Era uno di quei luoghi
dove ti senti subito a
tuo agio, non freddo e impersonale come gli edificio pubblici di un
centro
cittadino. Aveva il sapore delle cose vecchie, fresche e genuine,
come il pane fatto in casa. Mi piacque subito.
Un
grande portone aperto
permetteva l’accesso ad un cortile spazioso dove si poteva
parcheggiare. Quando
entrammo notammo tre auto. Una multipla blu, una mercedes nera e una
cabriolet
rossa fiammante. Di sicuro tre dei miei colleghi erano già
arrivati. Sbavai
circa dieci minuti sull’ultima macchina, era magnifica, prima
o poi me ne sarei
comprata una.
Due
secondi dopo essere scese
dalla nostra auto notai con disappunto il selciato irregolare. Era
tutta
ghiaia, e al momento stava facendo una guerra spietata alle mie povere
nike nere. Ormai erano quasi diventate bianche, avrei dovuto pulirle
tornati a casa.
Alzando
la testa da terra, trovai
che il maniero da dentro era ancora più grazioso. Quattro
mura rosse
circondavano il parcheggio. L’edificio rettangolare aveva due
piani e numerose
finestre, dalla quale spuntavano dei fiori di campo di tutti i
colori. Un’edera rigogliosa ricopriva buona parte della
parete alla destra del
portone, mentre quella di fronte contava un’altra grande
porta che conducevano
ad uno spazio aperto molto ampio, da quello che potevo scorgere.
“Di
là” mi informò Marta,
precedendomi diretta proprio a quest’ultima apertura.
Un
clacson ci bloccò a metà
strada. Mi voltai sorpresa, e vidi un mano che mi salutava dal
finestrino di
una porsches nera metallizzata. La musica tecno trasmessa dal potente
stereo
dell’auto si sentiva da lì.
Le
mie labbra si curvarono
automaticamente in un sorriso quando dall’auto scese il
futuro Learco.
“Ciao
ragazze” ci salutò allegro,
togliendosi gli occhi da sole griffati Armani.
“Ciao”
risposi io. Ecco, lo stato
di trance che mi prendeva quando ero a meno di un metro da
quell’uomo era
tornato a trovarmi. Pian piano la mia lucidità stava
svanendo. Orlando aveva su
di me un incredibile ascendente
“Ciao”
mi fece eco Marta “Bene,
ora che non sei più sola posso anche andare, ho quel
lavoretto da sbrigare. Vi
auguro una buona lezione ad entrambi” aggiunse poi,
tranquilla, come se avesse
appena salutato il giardiniere. In quel momento la invidiai tantissimo,
possibile che lei non si facesse intimidire mai da nessuno? Come poteva
essere
immune a quel viso d’angelo?
“Grazie,
buon lavoro anche a te”
le rispose impeccabile, con quella sua voce soffice e indimenticabile.
“Ci
vediamo dopo Betta” mi salutò
nuovamente Marta, con un tono di voce un po’ più
alto del normale.
Probabilmente l’aveva fatto a posta, giusto per svegliarmi
dallo stato di
catalessi in cui ero momentaneamente caduta.
Funzionò.
Scossi
impercettibilmente la testa e sorridendole la salutai.
“è
un’ottima manager, non ti
lascia sola un attimo, vero?” mi domandò mentre ci
dirigevamo verso il cortile
esterno, insieme.
Era
la prima volta che stavo sola
con lui, e intraprendere una discussione, seppur leggera, mi fece un
certo
effetto. Io, Elisabetta Sogni, stavo chiacchierando del più
e del meno con LUI,
Orlando Bloom, mio idolo personale, e mi accingevo a frequentare,
sempre con
lui, un corso di ippica per girare un film assieme. Il mondo doveva
aver
iniziato a girare al contrario.
Ci
misi qualche secondo più del
dovuto per rispondere, ma alla fine riuscii a formulare una frase di
senso
compiuto.
“Ehm,
si, si, è una donna
eccezionale, si divide in quattro e fa di tutto per me e per la mia
carriera, è
impagabile. Però prima di essere la mia agente è
l’amica più cara che ho”.
“Si
vede che non siete solo
colleghe. C’è molta complicità tra voi.
L’avevo già vista prima che arrivassi a
Londra, e si nota subito che prende il suo lavoro molto a cuore
perché non
opera per una normale cliente ma per una persona a cui vuole bene. Ti
ha
persino accompagnato a scherma, né Jonathan, il mio manager,
né altri lo hanno
fatto.”
Rimasi
affascinata dal suo breve
discorso. Era un acuto osservatore, conosceva da poco sia me che Marta
ma aveva
compreso bene il nostro legame. Di solito i ragazzi non avevano tutta
questa perspicacia in questi ambiti.
“
è una cara amica, si è
anche preoccupata di trovare una casa vicino al centro, una villetta
stupenda”
“Quella
che devi arredare giusto?
Ah, sei poi andata al mobilificio?” si informò
mosso da un vivo interesse per i
miei acquisti casalinghi, non per cortesia. Mi fissava curioso con i
suoi
meravigliosi occhi castani.
Lusingata,
non esitai a
rispondere. “Si, siamo riuscite a trovare il negozio,
è molto ampio e fornito,
avevi ragione. Ho già comprato un tappeto, un lampadario e
una lampada da
scrivania, ma ho visto dei mobili molto interessanti, appena ho un
po’ di tempo
in più ci rivado per comprarli, grazie del
consiglio”
“Lieto
di essermi reso utile” mi
sciolse con un sorriso a trentadue denti.
Per
non rischiare di rimanerne
abbacinata come prima puntai lo sguardo attorno a noi. Senza
accorgermene
eravamo entrati nell’altro cortile. Era davvero enorme, una
spazio aperto pieno
di betulle e alberi da frutto. Al centro stavano degli ostacoli da
saltare a
cavallo e dei percorsi vari. Poco più in là un
recinto per i meno esperti, per
imparare a stare sopra un cavallo senza rompersi il collo.
Probabilmente io
avrei iniziato da lì, anche se non ero sicura di uscirne
indenne lo stesso.
“Che
bel posto, mi è piaciuto da
subito” esclamò Orlando, guardandosi attorno anche
lui.
“Si, piace
anche a me”
“La
stalla è di là, immagino che
Ralph e gli altri saranno già lì. Sai montare a
cavallo?” aggiunse poi. Ahaha,
cos’era? Una battuta? Io fantina? Era un miracolo se non
cadevo dalla
bicicletta. Ma essendo terribilmente masochista, per uno strano senso
del
destino, invece di essere terrorizzata all’idea di trovarmi
di fronte ad un
equino di due metri e mezzo, ero entusiasta all’idea di
provare. A pensarci meglio però era un bene che il mio
spirito di sopravvivenza fosse momentaneamente
in vacanza, altrimenti non avrei mai avuto il coraggio di arrivare fin
lì.
“No”
fu la mia risposta sincera
“ma non è mai troppo tardi per imparare, giusto?
Tu invece?” chiesi a mia
volta.
“Si,
la maggior parte dei film
che ho fatto lo richiedevano, alla fine ho imparato per forza. Comunque
non è
difficile, la parte più dura è restare in sella,
una volta appreso quello il
resto viene naturale.” Mi rassicurò.
Con
queste erano due. Prima la
scherma e ora l’equitazione. Sapevo già che anche
con l’arco era un asso. Era
la personificazione di Legolas dopotutto, di sicuro non avrà
avuto le capacità
dell’elfo nel film ma l’arma la sapeva usare.
Entrammo
nella stalla dal portone
socchiuso e, come aveva previsto Orlando, Julia, Ralph e Sean erano
già lì,
insieme ai nostri futuri insegnanti di equitazione. Accanto al loro
cinque quadrupedi
grossi il quadruplo di me facevano bella mostra di sé
nitrendo e scuotendo la
criniera. Evidentemente lo spirito di sopravvivenza doveva essere
appena
tornato perché iniziai a sentire un certo timore che faceva
piazza pulita del
mio entusiasmo. Forse l’idea di un’altra commedia
non era poi così malvagia…
Imitando gli animali, scossi la mia di testa per scacciare quel
pensiero. Ero
lì per una ragione, e nessun equino mi avrebbe fermata,
parola di Betta.
Mi
avvicinai cercando di non
guardare le creature e salutai i presenti. Gli istruttori si
presentarono,
erano in quattro, due uomini, Kevin e Clark, una donna giovane,
Michelle e un
uomo più anziano sulla cinquantina, Micheal.
“Allora,
chi tra voi sa già
montare?” indagò Micheal.
Orlando
e Sean risposero
affermativamente, ammiccandosi a vicenda. Prevedibile.
Io
sospirai, pronta per
l’ennesima figuraccia dopo le spade. Pazienza.
“Bene,
allora voi vi allenerete
assieme a me e a Kevin nel percorso a ostacoli dopo un giro di
riscaldamento”
predispose la donna, una giovane castana chiara e con un fisico molto
minuto,
indicando l’uomo alto e slanciato accanto a lei.
“Voi
altri, invece” riprese
l’uomo più vecchio “imparerete a montare
con me e Clark” e accennò al giovane
trentenne, più basso di Kevin ma con un fisico ben
proporzionato al suo corpo.
Iniziai
a sentirmi male, quasi
quasi chiedevo se le lezioni pratiche si potessero rimandare a tempo
indefinito.
Una
rapida occhiata al viso della
mia giovane collega mi confortò. Era della mia stessa
tonalità biancastra, non
ero l’unica a temere i quadrupedi giganti.
Uscimmo
tutti e nove dalla stalla
portandoci le creature a presso. Orlando e Sean stavano già
prendendo
confidenza con i loro rispettivi cavalli accarezzandone i musi e
affermando, da
semi-esperti, che erano due esemplari molti ben tenuti e belli, facendo
varie
affermazioni a sostegno del loro giudizio. Io non me ne intendevo
minimamente e
capii meno della metà del loro discorso, però
accantonando momentaneamente la
paura, potevo darli ragione relativamente alla bellezza. Erano grandi e
mi
mettevano in soggezione, però erano delle creature maestose,
trasmettevano
potenza. Il destriero di Orlando era nero pece, con una folta criniera
dello
stesso colore, che esibiva scuotendola, mentre quello di Sean era
castano scuro
con la criniera di una tonalità più chiara. Si
guardavano attorno, padroni del
luogo e della situazione. Pareva che ai due giovani ragazzi facessero
la grande
concessione di cavalcarli. Quest’ultimi difatti erano appena
saliti con un balzo
sulla groppa degli animali, prendendo con non-chalance le redini e
ridendo tra
loro. Che invidia.
Un’ombra
gigantesca mi oscurò
all’improvviso, facendomi distogliere lo sguardo dai due
fantini. Sorpresa mi
girai per vedere la fonte di tale oscurità. Il mio cuore
perse un colpo. Ad un
palmo di distanza dal mio volto c’era quello che avrebbe
dovuto essere la mia
cavalcatura. Feci un salto all’indietro sgranando gli occhi.
Quello intanto
continuava a fissarmi, scuotendo nervoso la testa e scalciando con la
zampa
sinistra. E no, iniziavamo molto male se si presentava così.
“Vieni,
ti aiuto a salire”
Micheal mi si era avvicinato, probabilmente allarmato dal mio sguardo
impaurito, e mi porgeva la mano gentilmente. Incredibile, dopo la pazza
sclerata di scherma finalmente qualcuno di normale.
Lo
seguii fino alla staffa destra
attaccata alla sella. Mi consigliò di mettere entrambe le
mani all’inizio della
sella, il piede sinistro sulla staffa e di spingere con quello destro
per
issarmi su. Mi aiutò a salire spingendomi da dietro.
Abbastanza imbarazzante ma
funzionò, mi ritrovai seduta sull’equino
marroncino chiaro e la criniera
avorio. Guardai sotto. Non ero così distante da terra come
temevo ma abbastanza
da rompermi il collo in caso di caduta. Sperai ardentemente che
qualcuno lassù
avesse dieci minuti da dedicarmi.
Girandomi
vidi Julia alla mia
destra, che come me stava calcolando la distanza tra lei e
l’erba. Le lanciai
un sorriso mesto, come a dire: “Tranquilla, ti
capisco”.
Micheal,
in groppa al suo
cavallo, mi si era intanto avvicinato. “Allora, iniziamo,
prima di tutto devi
prendere le redini con mano ferma” e
fin
qui tutto ok. Presi le redini. “Poi dai un lieve colpo con i
talloni al fianco,
lieve mi raccomando, altrimenti inizia a correre e per una principiante
non è
il caso, e dai anche un piccolo colpo con le redini spingendo in avanti
il
busto” Lieve colpo. Memorizzai a macchinetta.
“Tieni ben strette le redini, non
le devi mai lasciare andare o sono guai e…” un
nitrito e un funesto rumore di
zoccoli ci fecero voltare entrambi. Mentre Clark insegnava a Ralph a
montare,
Julia era rimasta sola alle prese con il suo destriero che aveva
cominciato a
scalpitare nervoso. Mi preoccupai, Julia era brava quanto me come
fantina e ciò
era tutto dire, e se il quadrupede avesse iniziato ad impennarsi e a
correre la
ragazza si sarebbe fatta male senz’altro.
“Tu
prova a fare qualche passo,
torno subito” Micheal fu vicino alla mia collega in un
secondo e con
l’esperienza dalla sua cercò di calmare
l’animale finché stava ancora solo
scalpitando, cercando di capire cosa lo stesse facendo imbizzarrire.
Con poche
ma abili mosse l’istruttore riuscì a riportarlo
alla tranquillità, con grande
sollievo di Julia. Pericolo scampato.
Liberando
un respiro, mi
concentrai sul mio di cavallo. Oddio, cos’è che
dovevo fare? Ah, già. Un colpo
con i tacchi e uno con le redini. Ce la potevo fare. In più
il mio equino
sembrava più quieto di quello della mia amica. Un respiro
profondo e…via!
Spronai il cavallo con un forte colpo di talloni. Neanche mezzo secondo
dopo mi
maledissi mentalmente. Forte, il colpo lo avevo dato troppo forte! Il
cavallo
prese a scalpitare e ad alzare di poco le zampe anteriori, per iniziare
a
correre sempre più velocemente. Iniziavo a vedere il
paesaggio scivolarmi accanto
e io strinsi più che potei le redini. Cavolo, cavolo,
cavolo!!!!
“Aiuto!
Aiuto, aiutatemi!” urlai,
sbarrando gli occhi e sperando con tutta me stessa che qualcuno venisse
a
soccorrermi. Maledettissimi equini, altro che essere
“entusiasta all’idea di
provare”!
Ma
proprio mentre iniziavo a
recitare mentalmente il rosario, una voce calda e profonda mi
salvò dalla mia
caduta eminente.
“Fermo,
buono, buono”. Una mano
afferrò le mie briglie con fermezza e, grazie a qualche
miracolo, il cavallo si
calmò.
“è
tutto a posto, puoi aprire gli
occhi”. Ne aprii prima uno, per assicurarmi che fosse davvero
tutto finito, poi
aprii anche l’altro. Lentamente mi resi conto che il
paesaggio attorno a me si era fermato, ma il mio cuore non la voleva
smettere di galoppare ancora più veloce di come aveva fatto
il cavallo poco fa. Mamma che paura, ma chi me l'aveva fatto fare?
Mi
volsi verso Micheal con un
sorriso pieno di gratitudine ma… non era stato
l’istruttore a salvarmi. Nella
confusione che c’era stata non avevo riconosciuto la voce ma
gli occhi castano
scuri che mi scrutavano preoccupati erano inconfondibili. Orlando
teneva ancora
strette le mie redini, perfettamente a suo agio sul suo cavallo nero.
“Tutto
ok? Stai bene?” mi chiese
apprensivo.
Ma
che tenero. Rimasi un secondo
imbambolata ad osservarlo, incredula che era accorso a salvarmi e
ancora sotto shock a causa della corsa. Quando
mi ripresi me ne uscii con una serie di “Si, si, grazie, sto
bene”.
“Meno
male, avresti potuto farti
male sai? Da come stava andando il ritmo della corsa potevi arrivare
prima ad
una gara” la battuta era al puro scopo di farmi rinsavire e
io non gli negai la
risata, anche se debole.
Continuava a
fissarmi con ansia. Dieci
ad uno che era per il mio colorito verde pallido che ero certa di
avere. La
“corsetta” mi aveva messo in subbuglio lo stomaco
oltre che la mente.
“State
tutti bene? Scusami
Elisabetta, me ne sono accorto tardi, comunque non avrei dovuto farti
provare
la prima volta da sola. Meno male che l’hai aiutata tu, io
non sarei riuscito
ad arrivare in tempo.” Micheal era arrivato con una sequela
di scuse.
Si, non avresti dovuto lasciarmi sola, sei
un’idiotaaaaa!! Glielo
avrei voluto urlare in faccia, ma decisi di trattenermi. Non era il
caso di
inimicarsi un altro insegnante.
“Non
importa, adesso è tutto
finito e sono sana e salva” mentii sul
“sana”, e dall’occhiata scettica che
ricevetti da entrambi crede se ne accorsero anche loro.
“Come
va lì? Ci sono problemi?”
era Clark.
Ruotai
il busto quel tanto che
bastava per guardare gli altri presenti senza mettere troppo alla prova
il mio stomaco. Avevano tutti lo sguardo angosciato puntato
verso di noi. Mi sentii in dovere di tranquillizzarli.
Con
un sorriso tirato e un cenno
della mano, che staccai a fatica dalle briglie alla quale si erano
aggrappate, feci capire a loro che ero
ancora viva e vegeta.
“Bene,
io dovrei tornare da
Julia, prima che capiti un’altra situazione del genere,
Orlando, ti
dispiacerebbe farle fare un giro tu? Basta che la fai andare avanti,
neanche al
trotto.” Micheal si rivolse all’attore con tono
supplichevole. Forse era l'età che avanzava, magari un tempo
ce l'avrebbe fatta da solo anche con due alunne. Poverino.
Io
ero già pronta a dire che di
non preoccuparsi, che avrei aspettato pazientemente che Julia finisse
il suo
giro, così avrei avuto anche il tempo di riprendermi, ma il
mio collega accettò senza esitazioni. Rimasi di nuovo
piacevolmente
sorpresa. E poi dicevano che gli inglesi erano chiusi agli stranieri,
questo
ragazzo mi conosceva da meno di due giorni e mi trattava come una
persona cara,
salvandomi addirittura da un cavallo in piena corsa.
Quando
l’istruttore si fu
allontanato però non potei fare a meno di dirgli che non si
doveva sentire
obbligato a farlo, ma mi liquidò con
un’espressione ilare.
“Lo
faccio con piacere, e poi
Sean voleva gareggiare e dato che sono certo che avrei perso, mi evito
anche
una brutta figura.”
Risi,
contenta della prospettiva
di passare un po’ di tempo con lui, sperimentando la
veridicità del detto "non tutto il male vien per nuocere".
Andava a finire che avrei dovuto ringraziare il cavallo.
“Allora,
dai un leggero colpo con
i talloni e avanza con il busto, capito?”
“Ci
provo” risposi io, iniziando
a pregare. Per precauzione lui teneva ancora ben strette le mie
briglie, e ciò
un po’ mi rincuorava. Se fosse andata male anche stavolta
avrebbe potuto fare
un altro salvataggio miracoloso.
Diedi
un colpetto ai fianchi
dell’animale e mi sporsi in avanti. Il quadrupede
iniziò
ad avanzare con calma. Yuppie! Ce l’avevo fatta!
Gli
sorrisi meravigliata del mio
piccolo successo. Lui mi sorrise a sua volta e lasciò le mie
redini,
rilassandosi e stando al passo con il mio equino.
“Cosa
stavi urlando prima, quando
il cavallo ha iniziato a correre?” la domanda mi colse di
sorpresa.
“Ho
gridato aiuto, credo”
“No,
hai detto qualcosa di
diverso, tipo aito, uato, auto…” lo guardai
confusa finché non compresi.
“Ho
urlato aiuto, solo che l’ho
detto in italiano senza accorgermene evidentemente” presa dal
panico non avevo
fatto molto caso a certi dettagli.
“Ah,
capito” mi sorrise, dolce. “Allora,
com’è l’Italia?” aggiunse
intavolando una conversazione “Sai, è un paese che
mi
è sempre piaciuto anche se non ci sono mai andato”
Anche
se probabilmente me lo
diceva solo per cortesia, ero lusingata a nome dell’Italia,
“è
molto bella e soprattutto
varia, ogni regione ha una sua particolarità, un suo
dialetto, un piatto
tradizionale, dei monumenti. È molto artistica e
calda” mi sentii in dovere di
tessere le lodi del mio paese.
“Magari
un giorno mi accompagni a
visitarla” scherzò lui.
“Quando
vuoi” stetti al gioco io,
anche se non mi sarebbe dispiaciuto affatto fargli da guida turistica.
“Invece
qui a Londra come ti
trovi?” mi domandò.
“è
stupenda, era un sogno del
cassetto venire qui e non mi sembra vero che lo sto realizzando. In
più adoro
la mia nuova casa”
“Domani
vai a comprare gli altri
mobili?”
“Non
credo, dubito che Marta
possa accompagnarmi, credo abbia del lavoro da sbrigare” gli
risposi
abbassando la testa sconsolata. Non vedevo l’ora di tornarci,
però la mia
agente era impegnata.
“Se
vuoi posso accompagnarti io”.
La proposta mi sorprese tanto da farmi rialzare di botto la testa.
“Davvero?”
probabilmente
fraintese la mia incredulità perché
cercò di giustificarsi.
“Solo
se vuoi e se non sono
troppo indiscreto. Io domani ho la giornata libera dopo le lezioni,
quindi se
vuoi sono disponibile.” Era imbarazzato e provai subito a
formulare una frase
migliore di quella di prima.
“Si,
certo, a me farebbe molto
piacere, lo dicevo per te, sei propri sicuro di voler utilizzare un tuo
pomeriggio senza impegni per accompagnarmi a comprare i
mobili?” continuavo ad
essere incredula.
Lui
mi regalò un altro sorriso.
“Certo, è un’occasione per conoscersi un
po’ meglio, dato che dovremmo lavorare
insieme trovo importante stringere amicizia, non trovi? E poi mi fa
piacere
aiutarti ad ambientarti qui.”
Ma
che angelo, credevo che certi
personaggi esistessero solo nei film, o meglio, finora tutte le persone
che
avevo conosciuto erano così dolci solo dietro la cinepresa
per trasformarsi poi
in concentrati di egoismo una volta spenta la telecamera. Possibile che
esistessero ragazzi così premurosi? In più la
pensavamo alla stessa maniera.
“Lo
credo anch’io” fu la mia
brillante risposta. Ero troppo presa ad ammirarlo per formulare
qualcosa di
coerente.
“Bene,
passo da casa tua un’ora
dopo lezione di tiro con l’arco,
d’accordo?”
“Perfetto,
e grazie mille,
davvero”
“E
di cosa?” e mi fece
l’occhiolino. Il mio cuore perse un battito, ma fu un
secondo, una leggerissima
stretta al cuore durata un attimo, niente di più. Un minuto
dopo era già
dimenticato.
Chiacchierammo
ancora per
un’oretta, finché Micheal non ci
richiamò indietro. Il sole stava calando e
scoprii che Marta era già ritornata e che mi stava
aspettando vicino alla
stalla. Mi salutò con un cenno della mano. Chissà
da quanto tempo era lì.
Orlando
scese agilmente da
cavallo con un piccolo balzo. Invidiai la sua atleticità, di
certo non sarei
stata altrettanto brava. Guardai la distanza tra me e il duro terreno.
Mi dissi che se ero riuscita a salire in qualche
modo sarei riuscita anche scendere.
“Aspetta,
ti do una mano” la
calda voce divenuta familiare nell’arco di quel pomeriggio mi
raggiunse.
Molto
cavallerescamente si stava
avvicinando al mio fianco destro per aiutarmi.
“Prima
devi sfilare il piede
sinistro dalla staffa e metterlo vicino a quello destro” mi
consigliò. Lo feci,
ritrovandomi seduta di lato sulla sella. Dopo sentii due mani cingermi
i
fianchi e io istintivamente misi le mie sui suoi avambracci per far
leva. Mi sollevò di poco dal cavallo e un attimo dopo mi
ritrovai con i
piedi per terra illesa, senza rendermi conto che gli ero avvinghiata,
in una
momentanea fase di trance.
“Grazie”
“Dovere”
mi rispose scuotendo le
spalle. Il suo viso era incredibilmente vicino al mio, e mi stava
ancora
tenendo per i fianchi. I suoi occhi, ad un palmo di distanza dai miei,
mi
guardavano intensamente. Erano davvero splendidi, per non parlare della
forma
delle sue labbra, una morbida curva perfetta… il mio
cervello era decisamente
andato in stand-bye.
Il
cavallo scalciò e lanciò un
nitrito, facendoci allontanare l’un dall’altro.
Probabilmente fu quello a farmi
perdere altri due battiti, mi colse di sorpresa.
“Com’è
andata? A me è piaciuto
tantissimo, non vedo l’ora di rimontare” Julia ci
venne incontro entusiasta
della nuova esperienza, facendomi ricollegare definitivamente la spina.
“Anche
a me è piaciuto molto, quando
prendi un po’ di confidenza con il cavallo poi è
più facile stare in sella”
Alla fine dovevo ammetterlo, nonostante l’approccio
disastroso era piaciuto
anche a me fare equitazione. Anche se probabilmente la buona riuscita
del
pomeriggio non era tutto merito del quadrupede, ma decisi di non
soffermarmi su
quel pensiero.
“Sono
contenta di ritrovarti
tutta intera, sai?” Ci raggiunse anche Marta, sorridendomi.
“Ti ho osservata
prima, per essere la prima volta che montavi è andata
piuttosto bene.” si congratulò.
“Grazie,
grazie, troppo buoni” mi
vantai scherzosamente, facendo ridere il gruppetto.
“Io
devo andare ragazzi, allora
ci vediamo tutti quanti stasera al ristorante?” ci
salutò l’attrice inglese.
“Certo,
ci ritroviamo tutti più
tardi, dobbiamo andare anche io e la futura fantina qua
presente” rispose la
mia amica.
Salutammo
tutti e ci dirigemmo
verso la Peugeot.
Non
volevo andarmene, la giornata era davvero stata divertente. Mi consolai
con il
pensiero che non era ancora del tutto finita, la cena mi stava
aspettando.
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