Amores

di Xandalphon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gilgamesh ed Enkidu ***
Capitolo 2: *** Hatshepsut e Senemut ***
Capitolo 3: *** Betsabea e Davide ***
Capitolo 4: *** Menelao ed Elena ***
Capitolo 5: *** Didone ed Enea ***
Capitolo 6: *** Alessandro Magno e Roxanne ***
Capitolo 7: *** Qin Shi Huang-di e Zhao Zhao ***
Capitolo 8: *** Ashoka e Maharani Devi ***
Capitolo 9: *** Ovidio e Giulia ***
Capitolo 10: *** Onoria e Attila ***
Capitolo 11: *** Giustiniano e Teodora ***
Capitolo 12: *** Sei Shonagon e Murasaki Shikibu ***



Capitolo 1
*** Gilgamesh ed Enkidu ***


Gilgamesh ed Enkidu

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Mia amata,

 

Non credi ci sia dell'ironia in tutto questo? Mebaragisi, il mio fedele scriba, sta scrivendo un'epopea che glorifica le nostre gesta, sulle sue tavolette. Ci sta ritraendo come grandi eroi, che sfidano potenze celesti, dei e mostri... Non posso che assecondare la sua fantasia, non ho la forza per fare altrimenti.

 

Ti ha ritratto come un uomo. Non sei più Enkidanna, ma Enkidu, un feroce guerriero sempre al mio fianco. Vai a capire l'estro di quell'uomo...

 

Forse perché non può concepire che sia esistita, su questa terra, una donna come te. Forte, coraggiosa, impavida. Gli dei mi hanno dato la grazia di poter cavalcare al tuo fianco per giorni e mesi senza fine. Saranno anche esseri crudeli, che si divertono a tormentare noi umani, ma, forse, dovrei ringraziarli infinite volte per avermi concesso tale onore, che so di non aver meritato.

 

Eppure, li maledico. Li maledico perché ti hanno portata via da me. Darei tutto il mio potere, tutta la mia fama, tutte le mie ricchezze solo per poterti vedere ancora per un altro minuto. Uno solo. Non ti toccherei, per timore di romperti, per timore di insozzare con le mie mani il tuo candore. Ti ammirerei soltanto.

 

Non chiedo molto. Eppure, so che non mi concederanno una tale grazia. Gli dei hanno voluto che fossimo mortali. Che la nostra vita dovesse essere breve. Al contrario di loro, che dimorano nei cieli divertendosi alle nostre spalle...

 

Un battito di ciglia, ai loro occhi, niente di più. Ma in questo battito di ciglia ho potuto godere della tua presenza, del tuo amore.

 

I medici mi mentono, quando mi danno i loro intrugli, come si conviene fare di fronte ad un bizzoso re che temono di scontentare. Ma io vedo attraverso le loro menzogne. Morirò anche io, tra poco. Anche se i sacerdoti non raccontano la verità... Anche se il loro aldilà non esiste e ciò che ci resta è giacere in terra corrosi dai vermi...

 

Per il solo fatto di aver potuto godere del tuo sorriso, potrò considerare la mia vita ben spesa. Uno solo battito di ciglia, agli occhi di Ishtar e Marduk. Ma intenso come loro non potranno sapere mai.

 

Angolino dell'autore

 

Preso da esempi di amici, ho deciso di iniziare una piccola 'raccolta di lettere impossibili' di personaggi mitologici o storici alle loro amate. Un'idea bizzarra, ne convengo, ma... Tant'è.

 

Ho deciso di partire da lontano, addirittura dai sumeri, che a scuola ci insegnano essere la prima civiltà ad aver inventato la scrittura, portando l'uomo nella storia.

 

Gilgamesh è un eroe mitico della tradizione sumerica. Un grande re che compie incredibili imprese, sfidando persino gli dei, accompagnato dal fido Enkidu, fortissimo ed invincibile guerriero.

 

Ma la parte più incredibile di questa leggenda arriva proprio alla morte di Enkidu. L'autore del poema descrive in modo assolutamente attuale e moderno la disperazione di Gilgamesh, compreso il suo tentativo, destinato al fallimento, di riportarlo in vita attraverso piante magiche.

 

L'ineluttabilità ed il dolore di una perdita che oltrepassa i confini del tempo.

 

Beh, se vi ha comunicato qualcosa, lasciate un pensiero, anche piccolo, per farmelo sapere. Ve ne sarei grato.

 

Vi do' appuntamento alla prossima puntata. Ci sposteremo mille anni avanti nel tempo e di parecchie centinaia di chilometri nello spazio: nell'antico Egitto, con Hatshepsut (la più grande faraone donna della storia egizia, ma nessuno se la fila perché ha un nome complicato...) e Senemut.

 

Seeya!

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Capitolo 2
*** Hatshepsut e Senemut ***


Hatshepsut e Senemut

 

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Uadet Reneput. Giovane negli anni.

 

Di tutti gli appellativi regali che mi sono stati concessi come signora dell'alto e del basso Egitto, questo è quello con cui tu sempre ti rivolgi a me.

 

Che straordinaria menzogna, celano queste parole! Invecchio, inesorabilmente. E quando verrà Anubis a reclamarlo per la pesatura, non credo affatto che il mio cuore sarà più leggero di una piuma...

 

Eppure, di tutti, forse tu sei l'unico che veramente intende ciò che dice.

 

Giovane negli anni.

 

Vorrei esserlo Senemut, grande architetto delle mie fortune, vorrei davvero esserlo. Vorrei tornare indietro, a quando non ero che la gran sposa reale di Tutmosi II, mio marito e fratello. Quando ero una sciocca ragazzina che nulla sapeva del mondo. E che tu mi insegnasti a contemplare nelle sue meraviglie, al di là delle mura del palazzo e al di là degli incensi del tempio di Amon.

 

Giovane negli anni.

 

No, non crucciarti per la mia lettera e non pensare che sia solo per rivangare vecchi ricordi, ormai sepolti dalle sabbie del deserto. Ho scritto questa lettera per rendere il mio cuore più leggero, prima del giudizio, foss'anche di una sola oncia. Ho scritto per confessarti il mio segreto, che mi trafigge e mi tortura da molti anni, ormai.

 

Si tratta di Neferura.

Neferura, l'intelligente e vivace ragazza che tu hai istruito con passione in ogni arte. Neferura, che ormai mi è diventata indispensabile consigliera in ogni affare, senza la quale non sarei che una povera donna senza speranza, in balia delle ambizioni del figlio di quella cagna di Iside.

Neferura, mia figlia.

 

Ma anche tua.

 

Sì, Senemut, quell'unica notte di passione che ci concedemmo ebbe un frutto molto al di là delle nostre attese. Ho sempre temuto di dirtelo, non so per quale arcano timore. Ma era un peso che opprimeva il mio petto di cui ardevo di liberarmi ed in pari tempo non osavo.

 

Sei stato sempre come un'amorevole padre per lei, pur non rendendoti conto che non era la figlia di Tutmosi II... Ma a te non importava la sua purezza, vero? A te bastava che fosse figlia mia...

Per questo arderò nelle fiamme del tormento e del disonore al cospetto di Osiride, per aver insozzato il sangue degli dei...

 

Un'eterna sofferenza per un attimo di sincerità in questo mondo falso.

 

Ne vale la pena, mio amato, ne vale la pena.

 

Angolino dell'autore

 

Ci troviamo al cospetto della grande Hatshepsut, e del suo amore infedele per Senemut. L'ho inventato, naturalmente, non vi sono prove nella storia di qualcosa del genere.

 

Vissuta nverso 1400 a.C, è una delle poche donne faraone della storia. Non consorti, ma proprio regnanti, badate bene!

 

Molti dicono che fondamentale per il mantenimento del trono, dopo la morte di suo marito Tutmosi II (marito e fratello: nella famiglia reale si praticava regolarmente l'incesto tra fratello e sorella, in quel periodo della storia egizia) fossero l'aiuto proprio del grande architetto reale, Senemut e della sua intelligentissima figlia, Neferura.

 

Alla morte di entrambi, Tutmosi III, suo figliastro (dato era che figlio di Tutmosi II e della concubina Iside), le tolse progressivamente il potere. Non solo: più avanti negli anni attuò un'opera di damnatio memoriae nei confronti della matrigna, sovrascrivendo il nome di Hathsepsut con il suo in tutti i monumenti da lei fatti costruire.

 

La prossima puntata parlerà di un amore non solo infedele, ma distruttivo, perverso nelle sue conseguenze, doloroso. Andremo avanti di altri 400 anni, alla corte del secondo re di Israele. Già, parleremo di Davide e Betsabea.

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Capitolo 3
*** Betsabea e Davide ***


Betsabea e Davide

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Mio re,

 

Permettimi almeno una degna morte.

Perché vivere ancora, non posso.

 

Sento bisbigliare le voci in ogni anfratto del palazzo. Ad ogni volta di corridoio odo proferire sottovoce sempre la stessa parola... Non mi abbandona nemmeno quando sono sola nel mio letto, a piangere, tanto si è conficcata, come il piolo della tenda di Iaele, nel mio cervello.

 

Puttana...

 

Puttana...

 

Puttana....

 

Alle mie orecchie non giunge che questo insulto... Ma è veramente un insulto? No, è la verità.

 

Nient'altro che una sposa infedele. Una cagna e nulla più. Per un'ora di passione con te, mio re, ho ceduto la mia dignità.

 

Vorrei sputarti addosso la mia rabbia, per aver mandato in una missione senza ritorno il mio sposo, che amavo. Vorrei prendere la spada di mio marito e trafiggerti il cuore, urlando come una pazza. Ma a che servirebbe? Sono io la vera colpevole. La lussuria di un momento, e la tranquilla vita di un tempo è svanita. No, non posso impedire al mio cuore di odiarti con una ferocia proveniente dagli abissi più profondi del mare e, allo stesso tempo, di amarti con un amore più alto della luna nel cielo notturno.

 

Ma più di te, odio me stessa. Una lurida traditrice, ecco cosa sono. Lo spirito di Uriah non mi darà mai requie, se resterò un solo minuto di più nel regno dei mortali, già ora lo so, senza che me lo venga a dire il vecchio Nathan.

 

Permettimi di morire. Perché quando nascerà il bambino tuo, che porto in grembo, per certo il mio affetto di madre verrà soffocato da un tremito di orrore, anche solo nello sfiorare con la mia mano, la prova vivente del mio misfatto.

 

Liberami da tale fardello, te ne prego. Lascia che raggiunga Uriah. Ogni secondo della mia vita da ora innanzi sarà vergogna. Il cibò che mangerò sarà cenere nella mia bocca. L'acqua che berrò sarà fiele, da ora e per sempre fino al giorno della mia morte, se tu mi costringerai a portare a compimento questa gravidanza.

 

Permettimi di morire.

 

Permettimi di morire.

 

Ti prego, permettimi di morire.

 

 

Angolino dell'autore

 

Non è facile trattare un argomento delicato come questo: una donna che tradisce suo marito. Non solo, tale tradimento condanna a morte il marito stesso a morte per ordine del re.

Mi sono sempre chiesto quale peso sulla coscienza deve aver sentito Betsabea. Nella Bibbia leggiamo del rimorso e del pentimento di re Davide, ma non udiamo la sua voce. Che spaventosa angoscia deve aver provato, per tutto questo?

 

Mi rendo conto che, essendo un uomo, che per giunta non ha mai tradito, non è semplice trattare questo tema. E se v'è piaciuto poco, beh, perdonatemi, sappiate che non s'è fatto apposta. Apprezzate lo sforzo, perlomeno.

 

Ad ogni buon conto, il prossimo viaggio ci porterà verso lidi un po' più familiare, o almeno credo.

 

Già, andiamo al tempo di troiani ed achei, sempre per parlare di un amore infedele, quello della bella Elena.

 

Questa volta, però, a parlare sarà lui, il marito cornificato, Menelao. Cosa scriverà alla sua donna, sotto le mura di Ilio? Parole di rabbia, di odio, di perdono, di supplica, di sdegno...?

 

Beh, vedrete.

 

Ci si vede!

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Capitolo 4
*** Menelao ed Elena ***


Menelao ed Elena

 

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Ti dichiaro guerra, moglie mia.

 

Cosa ti aspettavi, da tuo marito? Che fosse felice? Che gli bastasse sentirsi dire 'Questa è la volontà degli dei', per mettersi l'animo in pace?

 

No, affatto. E anche a costo di maledire il padre celeste con il suo fulmine tonante, non lascerò che il mio cuore rimanga senza vendetta.

 

Lascerò che le armate di Sparta divengano lo strumento per soddisfare le brame di potere di Agamennone, se questo mi permetterà di arrivare al tuo petto e strapparti il cuore con le mie stesse mani.

 

Mi crede stupido, il re di Micene, crede di solleticare il mio animo blandendomi con parole di fuoco sull'onta subita. Ebbene, che lo creda pure. Non mi interessa. Vuole usarmi? Mi usi. Sarò docile spada nella sua mano.

 

E no, non è per perduta dignità, che non voglio che il tuo peccato ricada su di me. Non mi interesso delle parole di scherno che mi vengono rivolte ai quattro angoli della Grecia. Non mi interessa d'aver perso l'onore.

 

Sarei stato volentieri povero e mendicante alla porta dei potenti, se avessi avuto te al mio fianco. Non ti reputavo mia proprietà, ma mia compagna!

 

Sortilegio degli dei? Puah! Sputo su questa fandonia. Ti sei concessa a Paride senza esitare.

 

Cos'era per te? Il miraggio di glorie maggiori rispetto alla cenciosa Sparta? Il suo bell'aspetto? L'aver un bel giovinetto da poter controllare a tuo piacimento, e che con dolci moine ti venerasse e obbedisse ad ogni tuo schiocco di dita? O la semplice voglia di prenderti gioco di uno stupido?

 

Sapevo di non meritarti. Sapevo di essere meno che polvere al tuo cospetto. Eppure credevo che tu avessi visto in me oltre al re, oltre signore acheo. Che avessi visto l'uomo.

 

Evidentemente mi sbagliavo. Sei un serpente avido di piacere.

 

Godi di questa tua condizione, fino a che puoi. Ti bei a buon diritto della bellezza che gli dei ti hanno concesso in dono. Ma presto scoprirai, come ho scoperto io, che i signori dell'Olimpo son gente capricciosa. Fanno in fretta a togliere poi con una mano quello che hanno concesso prima con l'altra.

 

Sfiorirai come un qualunque papavero di campo. E il tuo cuore gelido non potrà succhiare più la linfa di nessuno per scaldarsi.

 

Ammesso che non te lo cavi io prima e lo getti in pasto ai cani, beninteso.

 

Ma ahimé, sai qual è la cosa orrenda, dolce moglie? Che sono un debole. E temo già che appena ti vedrò, i miei propositi si scioglieranno come le nevi del Pindo d'estate. Che non riuscirò a dimenticare di averti amato così intensamente...

 

Tanto più ti odio, perché tieni ancor adesso avvinto il mio cuore, e perciò ti maledico.

 

Ricordati per sempre di queste parole, comunque andrà a finire: IO TI MALEDICO.

 

Angolino dell'autore

 

Dopo aver descritto il senso di colpa di una donna che ha tradito e se ne pente, ecco i pensieri rabbiosi di un uomo che il tradimento invece l'ha subito.

 

Troppo dura? Scusate, ma un uomo cornificato è davvero una brutta bestia. E tanto più lo sarà quanto maggiore sarà stata l'intensità con cui ha amato.

 

Ho voluto dipingere Menelao come un uomo tutto sommato buono, onesto e generoso, anche se forse troppo ingenuo. Perché non volevo darvi nessun appiglio 'negativo' cui aggrapparvi per giustificare Elena. Non perché sia misogino, ma per immedesimarci meglio nella sua rabbia. Feroce, irrazionale e bestiale.

 

Perché quando ci feriscono nel profondo, noi esseri umani siamo così. Siamo sin troppo pericolosi, nella nostra pazzia. E questo, badate, seppure in modalità diverse vale tanto per gli uomini quanto per le donne.

 

La prossima puntata? Beh, vedrete cosa possono invece essere le follie di un amore non ricambiato, con Didone ed Enea.

 

Seeya!

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Capitolo 5
*** Didone ed Enea ***


Didone ed Enea

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Come può l'amore trasformarsi in odio? Se esisterà, in un lontano futuro, un poeta che narrerà la mia storia, allora lascio a lui il compito di descrivere tutto ciò che avviene nella mente di una donna resa cieca dai due sentimenti più forti che gli dei hanno voluto donarci.

 

Perché io non sono una poetessa.

 

Ti amo e ti odio. Maledirò te e la tua stirpe. E nel farlo non proverò alcuna gioia né consolazione. Ma il fatto stesso di averlo irrefutabilmente stabilito, ha messo il mio animo in pace, rendendo allo stesso tempo la mia volontà più forte dell'acciaio temprato.

 

Non avrai l'appiglio per definirmi una stupida, debole donna, in questo modo. Un delicato essere che si lascia vincere troppo facilmente dalle passioni e da esso condurre a tragica sorte.

 

Tu sei stato un profumo inebriante. Tu sei stato l'aria fresca che entra da una piccola finestra di una prigione. Sentivo la cella farsi stretta, sempre più, inesorabilmente... Doveri da cui desideravo scappare, responsabilità che mi terrorizzavano ed uccidevano i miei sogni... Tu sei stato l'illusione di poter uscire da tutto questo. Sei stato una fugace immagine di libertà.

 

Per questo mi sono innamorata di te.

 

E per questo, ora, ti odio. Perché di un'illusione, di un'immagine mi sono infatuata. Nient'altro. Tu sei stato la speranza di uscire dalla gabbia.

 

Speranza vana.

 

Hai deciso di riprendere il mare, abbandonandomi qui. Non c'è niente di peggio che dare a un condannato a morte una giornata di libertà il giorno prima dell'esecuzione. Si sentirà di nuovo vivo, quando si era assuefatto ormai di non essere altri che un inutile pezzo di carne.

 

Esattamente questo tu hai fatto a me, Enea. E ora non posso, non riesco a tornare indietro, alla vita di prima. Mi è nauseante, insopportabile, orrenda! Mi schiaccia tanto che non riesco nemmeno a respirare, quando apro gli occhi, al mattino.

 

Altri deriderebbero questo fardello che sento, ricordandomi che vi sono al mondo persone che stanno molto peggio di me.

 

Vero e falso, allo stesso tempo. Perché un mendicante con uno scopo, con un senso da dare alla propria esistenza, è molto più felice di una regina che non ne ha.

 

E io non ne ho, affatto.

 

Non voglio più essere sballottata da una vita che tanto mi spaventa affrontare, ogni singolo minuto di ogni singolo giorno.

 

Preferisco bruciare come la fiamma che sono stata quando tu eri al mio fianco!

 

Ma, in fondo, queste non sono altro che parole al vento.

La verità è che non mi interessa, Enea, spiegarti veramente la mia follia... Ce n'è forse bisogno?

Non che poi io sia in grado di farlo, s'intende...

 

Ho un cuore che arde, che batte e che vive. Non è tanto freddo e tanto vuoto da essere spiegato con logici ragionamenti, ormai. Non più.

 

Eppure, mentre ti scrivo queste righe, che mai leggerai... Mentre mi approssimo ad un gesto tanto terrificante quanto quello che ho deciso di portare a termine, sono insolitamente calma.

 

Come se tutto avesse trovato il giusto posto, il giusto ordine, nella mia mente sballottata come un uragano dalla tua venuta a Cartagine.

 

Come è possibile questo? A dire il vero, me ne stupisco anche io.

 

Ho afferrato con stizza la penna per vomitarti parole di fuoco e di odio, ma appena la prima goccia di inchiostro stava per posarsi sulla pergamena, come se uno strano sortilegio mi avesse preso, la rabbia è venuta meno.

 

Perdona i vaneggiamenti di una donna così strana... E ricordala, perché tu abbia pietà di lei.

 

Angolino dell'autore

 

Questa Didone, lo so bene, è una donna molto diversa da quella che molti di voi sono abituati ad immaginare, se avete presente l'Eneide di Virgilio. Lì la follia era un mostro rabbioso che consumava la donna. Anche la scelta di trafiggersi il petto con la spada e poi immolarsi su una pira aveva un che di istintivo, animalesco.

 

Qui invece, sembra che tutto sia capovolto. No, intendiamoci, la pazzia rimane. Anzi, se devo essere sincero, qui, con questa determinazione, l'insano gesto prende una piega se possibile ancora più inquietante. Perché non è più l'istinto carnale, ma una surreale, lucida, calma, che prende il sopravvento.

 

In realtà, Didone altro non è che una donna terribilmente sola, il cui senso di frustrazione e inadeguatezza di fronte al mondo in cui vive è così schiacciante da aver spezzato definitivamente la sua volontà di vivere.

 

Triste vero?

 

Con la prossima lettera faremo un balzo in avanti di parecchio, nella nostra linea del tempo. Parlerà di un amore piuttosto complicato. Perché si sa, avere al fianco grandi uomini, non vuol dire necessariamente avere un amore da favola... Sarà infatti Roxanne a parlare al più grande conquistatore della storia occidentale, Alessandro Magno.

 

Seeya!

 

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Capitolo 6
*** Alessandro Magno e Roxanne ***


Alessandro Magno e Roxanne

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Roshanak.

 

“Piccola stella splendente”.

 

Questo il tuo nome, nella lingua dei persiani. Un destino legato ad un nome...

 

Sei stata davvero, per me, una 'piccola stella splendente', per quanto molto poco abbia fatto, per dimostrartelo. E del resto, come può la luce di una piccola stella competere con quella di un sole ? E' naturale che il suo fioco brillio ne sarà offuscato.

 

Ogni astro scompare, quando il carro di Helios giunge ad infuocare il mattino con la sua ardente forza...

 

Ahahahah! No, Roxanne, perdona questi miei scherzi con le parole! Ogni tanto qualcuna delle cose che il vecchio Aristotele ha cercato di infilarmi nella testa da bambino torna a galla, facendomi dimenticare di essere un rude guerriero, piuttosto che un poeta.

 

La verità è che mi disprezzi, credo. E come biasimare l'uomo che cura il proprio cavallo più della propria moglie?

Dai la colpa ad un mio capriccio, alla politica, o alla tua stessa bellezza, se puoi. Ma le parche hanno già tessuto il filo e tornare indietro non si può.

 

Ogni parola che stai leggendo ti parrà un beffardo, patetico tentativo di scusare un uomo inscusabile. Ma ora soltanto, ti capisco.

 

No.

 

Ora soltanto MI capisco.

 

Sai, Roxanne, volevo essere un dio. Anzi, mi credevo un dio. Ho spinto tutto ciò che ho fatto al limite estremo solo per poterlo dimostrare al mondo. Bel pazzo...

 

Nessun dio muore. Ed io invece, morrò. Diamine, non riesco nemmeno a vedermi come una anziano con una lunga barba candida!

 

Allora scendiamo di un gradino. Un eroe forse? Sì, è una parola con un bel suono, 'eroe'. Avere un nome che riecheggia nell'eternità è certo una gran cosa.

Fino a che non ci si rende conto che l'affannoso inseguire la gloria non fa guadagnare nemmeno una misera oncia di felicità o letizia. Tanto meno di amore.

 

Quando da bambini ci raccontano le gesta di Achille, male interpretiamo la sua rabbia, alla morte del fido Patroclo. Non è la furia dell'eroe. E' il dolore dell'uomo che sa per certo che da quel momento in avanti, sarà inesorabilmente solo.

Questo adesso sono io, Roxanne. Un uomo. Solo, quanto e peggio di Achille .

Questo è l'amaro il risultato di un cacciatore di sogni.

 

Per questo ora comprendo un po' il tuo odio nei miei confronti. Tu dalla vita non volevi altro che un po' di affetto e di letizia, come tutti i tuoi simili. Ed invece sei stata da me trascinata e risucchiata in un gioco di gloria, onore, sangue, grandezza. Un gioco che ti ha negato il tuo pur piccolo desiderio di una manciata di serenità...

 

Ah, il fido Efestione ora mi porge una coppa... Che dici, sarà avvelenata? Dici che i miei generali hanno finalmente deciso di liberarsi dell'ingombrante dio e dello scomodo eroe?

E chi sarà stato a gettare l'ultima goccia di intruglio?

Il fido Perdicca, l'astuto Tolomeo, l'ambizioso Lisarco?

 

La berrò comunque, stanne certa.

Anzi, ben venga. Mi libererò finalmente anche io dell'ombra che mi sono cucito addosso.

 

Alla tua salute, piccola stella splendente.

 

Dato a Babilonia, nel settimo anno di regno di Alessandro Argeade come re dei re di Persia.

 

 

Angolino dell'autore

 

Essere eroi non basta. Questa è la dura lezione. Tutti noi sogniamo grandi imprese, la realizzazione di sfrenati e grandi desideri. Ci dicono, anzi, per tutta la vita di 'non smettere di sognare' quando in realtà il mondo, mentre ce lo dice ci toglie gli strumenti per realizzarli, i nostri sogni...

 

Ma in realtà, cosa veramente vogliamo? Per tutto il tempo che passiamo e che passeremo su questa terra non facciamo (e non faremo) altro che chiedercelo incessantemente.

 

Quando la risposta, in realtà, è chiara come il sole. Non è una meta fissa, un obiettivo, il nostro anelito. Quello che desideriamo davvero è avere dei compagni che ci rendano il viaggio, qualunque sia il posto in cui ci porti, un 'bel' viaggio.

 

E chi saranno mai questi compagni? Beh, nonostante i volti (e la parte più difficile della vita è proprio riconoscerli) con cui si mostreranno saranno sempre diversi per ognuno, sotto sotto hanno sempre gli stessi nomi: letizia e amore. Una manciata dell'una e un pizzico dell'altra, in giusta misura mischiati, rendono la vita degna oppure no di esser vissuta. Anche se facessimo per tutta la vita i netturbini, o gli uomini delle pulizie, per dire.

 

Beh, ragazzi, dopo questa riflessione a sproposito, vi do' l'appuntamento alla prossima puntata.

 

Ci sposteremo di meno di un secolo in avanti nel tempo, ma a molte migliaia di chilometri a oriente nello spazio. Già ragazzi, faremo una puntatina in Cina, alla corte di Chin Shi Huangdi, il primo imperatore, che unì in un unico impero, col suo implacabile pugno di ferro, stati che si combattevano da secoli.

Uomini di potere, che brutta razza... Ma visto che stavolta ho fatto parlare Alessandro, la prossima volta darò voce ad una donna, che avrà il nome di Zhao-Zhao.

 

Stay tuned!

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Capitolo 7
*** Qin Shi Huang-di e Zhao Zhao ***


Qin Shi Huang-di e Zhao Zhao

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Per il reato di alto tradimento, la concubina imperiale che si onora del nome di Zhao Zhao è condannata a morte.

 

Rumore di passi sul selciato.

 

Non sono passi pesanti, cadenzati, da soldato. Sono passi felpati, leggeri.

 

Sono i miei, mentre percorro il centinaio di metri che mi separa dalla mia fine. Un'ultima gentilezza di Ying Zheng, intimare alla piazza il più rigoroso silenzio. Non ci sono insulti per Zhao Zhao, la concubina traditrice. Solo il cinguettio di qualche uccello ed il tetro ululato del vento dell'ovest.

 

Con l'intero mondo che tace intorno a me, riesco persino ad udire il battito del mio cuore mentre accelera, accelera, sempre più. Del resto, non mancano ormai che pochi metri alla mia fine, potete forse biasimarmi per questo?

 

Il mio nome sarà maledetto, cancellato. Sarà come se non fossi mai esistita. Nessun libro ricorderà il mio nome. E se anche qualche ardito pazzo osasse scrivere di me null'altro che poche righe, L'imperatore di Qin troverà il testo e lo brucerà...

 

Cosa ho mai fatto per meritare tanto odio? Perché il popolo di Xi'an tra poco vedrà il mio sangue sparso sulle pietre delle scalinate del palazzo?

 

Se vi rispondessi che non lo so nemmeno io ridereste? Io lo farei, se non stessi per morire. Lo farei, se non insistessi anche qui, anche ora, a mantenere una maschera di imperturbabile impassibilità, come si conviene ad un membro della casa imperiale.

 

Atteggiamento inutile, vero? Tranquilli, me lo dico anche io.

 

La mia colpa è stata quella di credere che un uomo potesse rimanere uomo. Amarlo come tale, anche quando iniziava a pensare di essere una divinità. Parlargli come ad un amante, non come ad un signore.

 

Stupida, stupida e ancora stupida... Una volta che un cuore diventa di pietra, non vi sono lacrime o elisir che possano farlo tornare a battere. Ormai, l'unica pozione magica che cerca ora il mio signore non è che quella dell'immortalità.

 

E sì, un giorno glielo dissi.

“Sei talmente ossessionato dal cercare qualcosa che ti renda immortale da dimenticarti di vivere!”

Mentre gli urlavo questo, buttai a terra la fiala con il mercurio liquido. Quel dannato, orrendo intruglio che gli avevano preparato i maghi di corte lo stava uccidendo, altro che garantirgli la vita eterna!

 

Tanto bastò. Giudicate voi, se questo è un tradimento.

 

Sì, in effetti lo è, a giudicare bene. Ho tradito la mia stessa vita per amore di qualcun altro... Qualcuno che non ama altri che sé stesso. Ho sprecato la mia vita inseguendo le orme di un uomo che non si è mai girato a guardarmi negli occhi nemmeno una volta.

 

E in questo mondo, la pena per la condanna di stupidità è solo una. La morte.

 

Spero che troverai la tua vita eterna, imperatore di Qin. Ma sappi che ti aspetterò comunque dall'altra parte. Sono certa che per allora capirai, finalmente, il vero significato della parola 'immortalità'.

 

Angolino dell'autore

 

Allegria e gioia, eh? Eppure, dopo quella di Alessandro, questa lettera mi sembrava un seguito appropriato. Come Alessandro, infatti, Chin Shi Hunag-di, ha inseguito gloria e grandezza. Ma al contrario del primo, quest'ultimo ha fissato il sole tanto a lungo da rimanerne abbacinato. E' cresciuta in lui un'ossessione maniacale per la sua stessa grandezza, tanto da pretendere di acquisire la vita eterna con ogni mezzo possibile:

 

Io ho apportato l'ordine alla folla degli esseri e sottomesso alla prova gli atti e le realtà: ogni cosa ha il nome che le conviene. Io ho distrutto nell'Impero i libri inutili. Io ho favorito le scienze occulte, affinché si cercasse per me, nel paese, la droga d'immortalità.

 

Eppure, questa stessa follia lo ha condotto alla morte. Il mercurio liquido, che credeva gli avrebbe garantito di vivere per sempre, in realtà per l'uomo è un veleno mortale. Goccia dopo goccia lo ha debilitato, sino ad ucciderlo.

 

Dopo di lui, la sua dinastia è durata ben poco, collassata sotto il peso di rivolte militari e popolari. Giusta punizione? Molti lo pensano in effetti... Ma la vera grande punizione è la stessa di sempre: la condanna all'infelicità.

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Capitolo 8
*** Ashoka e Maharani Devi ***


Ashoka e Maharani Devi
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Non è bene, per un sovrano della dinastia Maurya, sposare la figlia di un mercante.
Non è bene, per un re che ha trascorso gran parte della vita immerso fino alla cinta nel sangue dei suoni nemici, sposare una ragazza che ama la pace più di ogni altra cosa.
Non è bene, per un governante che desidera vivere al riparo da complotti e congiure, dare retta ai consigli di una sciocca donna.
 
Ma, in fondo, non è nemmeno bene, per un uomo, privarsi del cibo, o dell’acqua, o del sonno… E tu, Devi Maharani, sei l’acqua che mi disseta, sei il cibo che mi nutre, sei il riposo che mi ristora.
E ora, se ben ti conosco, starai, nel migliore dei casi, scuotendo la testa con un sorriso… Nel peggiore dei casi, ti sarai già accasciata dalle risa, al mio patetico tentativo di fare della poesia.
Ma che ci posso fare, se qualsiasi gesto di tenerezza o parola di venerazione nei tuoi confronti esce dalla mia bocca come un verso strozzato, come uno scherzo ridicolo?

Suonerà sempre così, temo… Ti ci dovrai fare l’abitudine: un crudele e sanguinario tiranno di solito sfrutta i suoi consiglieri, quando deve usare parole di miele.

A dirla tutta, brutta e impertinente ragazzina, nemmeno te le meriti, delle dolci frasi d’amore, da parte mia, anzi!
Tu non sei altro che una perfida strega, una potente ammaliatrice come non se ne sono mai viste in tutta l’India. Altrimenti come si spiegherebbe il fatto che tu sia stata in grado di strappare dalla mano di un feroce guerriero la propria fedele spada?
Da oriente a occidente, tutti temevano la mia forza. La notizia dell’imminente arrivo delle mie schiere incuteva il terrore in ogni villaggio da Ujain a Pataliputra. E poi…
 
E poi un giorno giunsi, imbrattato del sangue dei miei nemici fin sulla soglia della tua casa.
“Il Buddha piange delle tue gesta, nobile re.” Una sciocca fanciulla con la lingua lunga osava puntare il dito e rivolgere parole di disprezzo ad un uomo che poteva ordinare il massacro di un’intera città con un solo cenno della mano?

Tale fu la sorpresa di fronte ad un gesto di così grande e inaudita sfrontatezza che rimasi silente, mentre osservavo tuo padre, grondante di sudore e di paura, fulminarti con lo sguardo, per poi prostrarsi ai miei piedi blaterando una serie infinita di scuse.
 
E tu, da brava signorina, te ne tornasti in camera tua tutta con gli occhi bassi per la vergogna, come ti implorava tua madre? Oh, no… Te ne stavi lì rigida e inamovibile come il tronco di un bargad, a braccia conserte. E quel tuo sguardo, deciso e sprezzante… Mi tormenta ancora nei miei incubi, te lo confesso.
 
Fu in quel momento che gettasti su di me un dannato incantesimo, che ancora mi incatena.
 
E ora sono re di tutto ciò che è bagnato dalla acque del sacro fiume Gange, potente come nessun altro uomo prima di me è mai stato… E sono schiavo dello schiocco di dita di una misera, singola donna? Onta e disonore, chi l’avrebbe mai anche solo immaginato?

Un assassino che diviene uno strenuo difensore della pace.
Un barbaro tagliagole che diventa un ‘saggio’ sovrano.
Un miscredente senza alcuna fede che diventa un fervente buddhista.
 
E’ proprio potente la tua magia, mia bella strega.
 
Angolino dell’autore
 
Un mio amico mi ha fatto notare che sostanzialmente questa è la PRIMA lettera che narra di un amore che finisce più o meno bene… Ahem... Scusate, ma non ci avevo fatto minimamente caso -.-‘
Detto questo, back to the topic: Ashoka è un imperatore della dinastia Maurya, India settentrionale, più o meno dello stesso periodo di Alessandro Magno e Qin Shi Huang-di (a dir la verità un po’ prima, ma non pignolate, vi scongiuro…)
Ancor oggi è considerato il più grande imperatore della storia dell’India. In realtà, come ho fatto capire nella lettera, la sua ‘grandezza’ è divisibile in due parti molto distinte: la prima come conquistatore, la seconda come sovrano. E se è diventato così amato, così ricordato è senza dubbio per questa seconda parte… Che probabilmente non ci sarebbe stata affatto senza Maharani Devi. Alcuni sostengono che tale figura non sia storica, ma solo frutto di una leggenda. Fatto sta che in tutti i racconti in cui compare, la sua figura è fondamentale per la conversione di Ashoka al buddhismo, alla pace universale e all’ideale del ‘re al servizio del suo popolo’.
Sì, in realtà è questo il vero compimento del potere cui le due lettere precedenti accennavano. Non la vita eterna, non la gloria… Ma una compagna che ti stia a fianco, che ti stimoli ad essere una persona migliore, che ti accompagni nella raccolta di quelle rade briciole di felicità che i cieli sono disposti a concederci.

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Capitolo 9
*** Ovidio e Giulia ***


Ovidio e Giulia

 

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Questa lettera non finirà negli Amores, e io non ti chiamerò con un nome fasullo, come ho sempre fatto. Sarò schietto e franco, come non fui mai in vita mia.

 

Le poesie del povero Ovidio che si strugge per l'amata Corinna hanno fatto piangere e struggere centinaia di matrone in tutta la Res Publica... A questo pensiero anche a me viene voglia di versare lacrime, ma dal troppo ridere.

Versi sdolcinati che cantano di un uomo folle d'amore come neanche Catullo fece per Lesbia.

Falsità.

Finzioni.

Cenere.

Non ho mai capito nulla di cosa è l'amore, credo, e mi illudevo, pensando fosse un gioco di ombre e di specchi che, al termine di un arduo cammino, fa trionfare coloro il cui cuore è forte e supera ogni avversità.

 

Leggendo, da piccolo, le storie sui miti greci, pensavo che Orfeo non fosse stato altro che un debole, ed il suo desiderio di salvare Euridice dagli inferi non fosse stato così forte. “Al suo posto”- mormoravo io, come ipnotizzato da un tale pensiero - “Non mi sarei voltato e sarei riuscito a salvarla!”

 

Ora, che sono cresciuto, ho colto appieno la misura della mia pazzia. Non esiste un tale affetto gratuito, nella vita reale. Le passioni travolgenti lasciamole ai giovani stupidi e agli dei, nei racconti delle bambinaie.

 

Perché solo uno stolto può credere veramente ai giuramenti di una donna che promette amore eterno, mentre finge di non accorgersi del fetore dell'infedeltà che esala dalle sue cosce!

 

Indovina un po' a chi mi sto riferendo, dolce Julia. A che pensavi mentre facevamo l'amore? I tuoi ansimi erano quelli di una bestia pronta a soddisfare le sue sole voglie, o magari, per sbaglio, facevi persino caso al volto che avevi davanti e - Per tutti gli dei, quale improba sfida!- Riuscivi persino nell'ardua impresa di distinguerlo tra la miriade di quelli che galleggiavano nella tua memoria, giusto per evitare di urlare il nome sbagliato durante i tuoi orgasmi?

 

Per te, per amor tuo ho affrontato la via dell'esilio. Mi importava poco finire a Tomi o chissà in quale altro posto dimenticato fuori dai confini di Roma, se ti avessi avuta al mio fianco. Mi sarei piegato ai compiti più umili per farti dimorare in modo dignitoso, per quanto disprezzata da tuo padre e dalla tua famiglia.

 

E' stato divertente, mio nobile poeta. Sei stato un amante dolce e premuroso. Ma questo scherzo è andato oltre il lecito, che ne pensi? Non sono tagliata per interpretare il ruolo della Penelope afflitta che attende il suo Ulisse in una piccola e cenciosa isoletta tutta sassi! E ora perdonami, ma devo prepararmi ad un ricevimento presso la villa di Sempronio Gracco.”

 

Quelle parole mi si scolpirono a fuoco nella memoria prima di partire, e ancora non mi hanno abbandonato. Scherzare? E chi ha mai scherzato? Nelle mie poesie ho sempre scritto nient'altro che quello che avevo nel cuore! Ma il cuore, per chi non ne possiede uno, deve apparire una carne crescente piuttosto ridicola che cresce in modo sgraziato tra le costole, facendo quel fastidioso e ritmico rumore, vero?

 

E ora come dovrei accogliere la notizia del tuo esilio in un'isola sperduta del Mare Nostrum? Con mestizia? Rattristandomi per la tua ingiusta sorte e per averti dato un padre severo e crudele? Oh, no, dolce Julia, hai mal compreso...

 

La mia idiozia non è così sconfinata. E il mio amore non è affatto eterno, come quelli divini. Sono solo un misero uomo, che ora, al centro del suo petto, non ha altro che una radice nera, avvizzita e carbonizzata.

Che gode del fatto che ora i tuoi gemiti da cagna saranno di dolore.

Che gode del fatto che ora anche tu conosci le gioie della solitudine.

Che gode del fatto che d'ora in poi ti faranno compagnia solo i gabbiani e la quieta risacca delle onde del mare, invece del vociare insulso di quella pletora di patrizi beoti ai quali tu, con chissà qual delicata e aristocratica grazia, aprivi volentieri le gambe.

 

Che dici, non riconosci più nelle mie parole la delicata e smielata poesia di un tempo? La dolcezza delle rime e il tono leggiadro?

 

Il fatto è, mia signora, che ora non mi trovo più a Roma, ma presso una ridente città del Ponto Eusino. Confido che pochi, escluso il tuo nobile padre, sappiano indicarla su una mappa.

 

Abito tra i barbari.

 

Non ti sembra giusto che divenga un po' barbaro anche io?

 

Angolino dell'autore

 

Ok, ragazzi, troppe storie a lieto fine fanno male alla salute. Stavo quasi cominciando a pensare che fossero la norma. Poi, preso da questo pensiero, terrorizzato, ho deciso di darmi una botta in testa e ritrovare la retta via. Le storie a lieto fine? Naaah.

 

Ed ecco qui il grande poeta che ha dato il nome a questa raccolta (eh, già i primi Amores li ha scritti proprio lui, Ovidio), che vomita rabbia furente sulla donna che ha amato. Con Menelao abbiamo già visto la rabbia di un uomo tradito. Qui siamo un paio di tacche oltre: questo è un uomo tradito che si è reso conto di aver avuto a che fare con una donna che MAI è stata innamorata di lui. Una profumiera che ha venduto le sue grazie ad altri mentre sbandierava nobiltà d'animo e purezza di sentimenti. Una persona del tutto indegna degli immani sforzi e delle immani pene che sono state patite per lei.

E' terribile avere il cuore spezzato, masticato e poi sputato via da persone del genere, fidatevi.

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Capitolo 10
*** Onoria e Attila ***


Iusta Honoria Grata e Attila

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Un anello. Tanto è bastato. Se ci si pensa con occhio distaccato, non sembra una gran cosa. Un inutile pezzo di metallo inciso con delle pietre incollate... Fa ridere come uno stupidissimo oggettino del genere abbia mobilitato armate, condottieri... Abbia ribaltato il mondo, insomma.

In un certo qual modo, forse, dovrei sentirmi orgogliosa di aver così sconvolto l'intera storia di un impero più che millenario.

Chissà cosa scriveranno i libri di storia su di me?

'La folle Onoria'? 'Onoria la traditrice'? Oppure 'Onoria l'innamorata di barbari'?

Ahahahahah! Come si sbaglierebbero tutti quanti!

Stupida? Forse. Ingenua di sicuro, ve lo concedo.

Traditrice? E di chi? Di un fratello che mi odiava e di una madre che mi considerava essenzialmente come un inutile pezzo di carne al mercato, utile al solo ed unico scopo di rafforzare la posizione di Valentiniano? Chi ha tradito chi, sentiamo?

Innamorata? Oh, questa è proprio bella.

Non penseranno davvero, gli uomini del futuro, che io abbia mandato una lettera con in pegno il mio anello ad Attila perché ero sinceramente innamorata di lui? Di un uomo che si infilava la carne di cavallo tra le cosce durante gli spostamenti da un accampamento all'altro per frollarla meglio? Andiamo, vi sembra verosimile che una principessa viziata quanto me abbia avuto una tale sbandata?


Beh... Ad onor del vero una cosa io amavo sinceramente di quell'uomo folle che era apparso all'improvviso, con il suo popolo, dalle profondità del nulla.


La libertà. Andava di luogo in luogo e si prendeva ciò che voleva. Con la forza, se necessario. Fossero donne, schiavi, oro o terre. Saranno sconvolte da questa mio confessione, le pie anime timorate di Dio del futuro?

Ah, quanto vorrei vedere quei loro faccini contorti in una smorfia di indignazione.

Che c'è di tanto sorprendente, quando sin dalla nascita, alla corte di Ravenna ho visto anche io la mia buona dose di stupri, assassinii e furti? Almeno Attila l'unno non copriva con ipocrite maschere i propri desideri. Non ammantava di è ragionevole', è utile e, peggiore di tutti, è giusto, questo suo comportamento.

Libertà.

Libertà.

Libertà.

Continuo a ripetere questa parola per assaporarla meglio, immaginando di cavalcare in pazze e sfrenate corse per pianure sconfinate. Vestita di sacco e non di seta; con i capelli arruffati e sporchi di fango e non lisci e lucidi; profumando di erba, muschio e sudore, e non di incensi e strani intrugli...

Libertà. Volevo essere libera, io nata in una gabbia, pur dorata che fosse. Volevo distruggerla, questa gabbia. Con uno stupido capriccio, rinfacciatemelo pure. Per questo mio insulso desiderio ho mandato a morire migliaia di uomini in guerre sanguinose, lo ammetto.

Ma sapete che vi dico? Non mi pento. Dio mi spedisca pure all'inferno, come operatrice di iniquità... Ma almeno sarò in buona compagnia, visto che lì, con me, ci sarà anche chi, di Dio, è stato soprannominato il flagello.

Ma che per me è stato il simbolo di un sogno. Sì,ve lo ripeto di nuovo: un dolce sogno di libertà.


Angolino dell'autore

Ho saltato a pié pari secoli di storia romana, per concentrarmi su un episodio del tardo impero che mi ha sempre affascinato. Quello di Attila e Onoria. La leggenda vuole che la tentata invasione dell'Italia del capo unno sia stata giustificata da una lettera della triste sorella dell'imperatore Valentiniano, che in cambio di una eventuale unione aveva persino promesso la metà (sì avete sentito bene!) dell'impero romano d'occidente.

Poi Attila verrà sconfitto dall'ultimo grande generale romano, Flavio Ezio, nel 451 dopo Cristo, ai Campi Catalaunici e fermato, successivamente, dal papa Leone.

Della 'empia' Onoria poi, nelle cronache non si dice più nulla. Con ogni probabilità venne esiliata a Costantinopoli... forse persino fatta uccidere dal non certo misericordioso e caritatevole Valentiniano (che, per la cronaca, fece uccidere lo stesso Ezio durante una lite, pochi anni dopo... Condannando così l'impero ad una lenta quanto ingloriosa fine).

Io l'ho immaginata così. Una ragazza che, per quanto nata nel lusso, è condannata ad una vita in una gabbia, tanto più miserevole quanto le sbarre sono celate alla vista. Una ragazza sempre più sola e disperata, che voleva solo una cosa: smettere di essere la sorella di un imperatore e essere solo Onoria, anche a costo di perdere tutto, persino l'affetto di chi avrebbe dovuto amarla e che invece pensava a lei solo come strumento di trame politiche.

Un sogno di libertà mai realizzato e che ha portato ad una conclusione tanto folle quanto eclatante, ma per questo tanto più valevole di essere raccontato.

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Capitolo 11
*** Giustiniano e Teodora ***


Giustiniano e Teodora

Chissà cosa avrà scritto di me il buon Procopio? No, non nella Storia delle Guerre di Giustinano, ma in quel suo taccuino che crede sia per me un segreto... L'ho capito dal suo ultimo panegirico che non mi può più sopportare. L'incenso con cui riempiva le parole del suo scritto per glorificarmi era tanto penetrante da dare chiaramente segno dell'opposto sentimento che albergava nel suo petto mentre le vergava...

Posso supporre, però, cosa dica dell'imperatrice mia moglie. Sin troppo banale accusa le si può rivolgere... Dopotutto, è proprio quando la menzogna ha un fondo di verità che appare credibile.

Allora, lasciate che io parli, per difendere la mia defunta sposa, senza inventare nulla, con la sola forza dei fatti.

Ho sposato una prostituta da bordello. Sorpresi? Pensavate che negassi? Ahahahah!

No, perché dovrei?

Teodora era una meretrice: ha venduto il suo corpo per vivere. Non solo, la gente pagava per vederla esibirsi, nuda o quasi, nella sua personale rivisitazione del mito di 'Leda ed il cigno'.

Disgustoso, vero?

Disdicevole?

Senza dubbio. Eppure, voglio proprio vedere chi sarebbe disposto a scagliare la prima pietra contro di lei, nella corte di Costantinopoli. Vorrei proprio chiederlo, alle buone, 'pie' matrone e nobildonne della città, se hanno accolto nascostamente più verghe loro dentro al loro corpo o mia moglie alla luce del sole del Bosforo. Magari in una svolta buia della strada, appena prima di andare a mostrarsi in ginocchio sulla prima fila di panche della basilica di Santa Sofia...

Mia moglie è stata amante di molti uomini prima di conoscere me. E di nessun altro dopo di me. Permettete, miei signori, ma se la norma tra tutti i re e principi del passato e chissà, fors'anche del futuro è quella inversa, allora io ben preferisco esser fuori da essa!


Ho sposato mia moglie che già aveva una figlia. Sommo disonore! Una figlia concepita fuori del matrimonio!

Perdonate ancora, nobili dame dell'impero romano d'oriente, ma quante di voi hanno esposto le creature uscite dai vostri lombi, abbandonandole presso le porte di un monastero e liberandosi senza pensieri dell'impiccio? E per carità cristiana non menziono chi ha chiesto i servigi di un cerusico solo per mostrarsi al mondo con la coscienza pulita e l'anima fintamente candida. Ah, l'ho già fatto, che sbadato...


Era forte, mia moglie Teodora. Mi ha incoraggiato a resistere quando volevo cedere. Mi ha spinto a lottare quando volevo arrendermi e fuggire. E' questo il frutto delle onde che si sono abbattute sulla sua giovinezza e dei peccati di cui voi dite si è macchiata senza ritegno? Beh, se è così, allora preferisco lei e la sua lunga lista di peccati piuttosto che voi altri consiglieri pavidi, che mi davano suggerimenti e pillole di saggezza unicamente per salvare i loro privilegi, non per il bene dell'impero né tanto meno del mio. Voi, che di lungo avete solo... La lingua (ma si può sempre rimediare dandole una spuntatina. Per l'altro vostro aggeggio, non vorrei aggiungere ulteriori sofferenze a quelle che già il buon Dio vi ha riservato).


L'ho amata. Lei ha amato me. Tanto basta.

E se a voi non basta è solo perché non avete mai amato alcuna persona come io ho amato Teodora.


Angolino dell'autore

Sì, Procopio di Cesarea, nella sua 'Storia Segreta' dipinge Teodora come un mostro di lussuria, le cui manovre a sostegno delle prostitute che vogliono cambiare mestiere o le norme suggerite al marito a difesa dei diritti della donna non sono altro che un modo per 'apparire' improvvisamente redenta dal suo passato, ma che non ebbero mai alcun effetto reale (anzi, che apportarono più danni che benefici).

Personalmente io non so quale sia la verità. E sapete cosa? Francamente, non mi interessa poi molto. Quello che volevo raffigurare era un marito, anzi, no, un amante, il cui amore oltrepassa il pregiudizio. Un amore che se ne frega del giudizio altrui e che si fida di più di chi è stata compagna di vita che non dei mille altri che blateravano e che blaterano al suo cospetto. Perché un amore vero guarda e accetta l'altro per quello che è, questo solo gli importa.

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Capitolo 12
*** Sei Shonagon e Murasaki Shikibu ***


Murasaki Shikibu e Sei Shonagon

Ti saluto, Murasaki, mia nobile compagna di sventure...

Ora che i nostri giorni giungono alla loro conclusione, forse, i kami mi concederanno finalmente di essere libera, nel discorrere con te. Perché, e lo sai anche tu, avremmo dovuto essere sorelle, in questo mondo, e non rivali.

Rivali per cosa, poi? La nostra intelligenza, se fossimo nate uomini, avrebbe potuto mettere in ridicolo l'intera corte...

Rivali per le grazie di coloro che nemmeno riuscivano ad apprezzare fino in fondo la nostra arguzia? Rivali per ottenere la protezione di qualche potente in più?

No, mia cara dama in Viola dell'imperatrice Shoshi (che gli spiriti abbiano pietà della sua sfortuna), le stesse imperatrici che ci davano la loro benevolenza, in fondo, non erano che gelose di noi.

Perché noi potevamo essere, con il nostro talento, quello che loro non furono, né saranno mai. Essere libere. Per un momento, forse, quando la nostra calligrafia si imprime sui fogli, per un solo breve istante. Ma questo sacro istante, in cui intingiamo il nostro intelletto nell'inchiostro del sogno, sarà cento volte più puro della loro vita passata a covare intrighi e maldicenze.

Per questo, ti domando: vieni a dimorare con me, come mia nee-san! Forse il tuo orgoglio stenta a credere alle mie parole. E certo crederai che se nella tua miseria dovessi accettare, io ti dileggerei dal primo momento in cui poggerai piede sul futon che ti preparerò accanto al mio.

Ti prego, scaccia da te questi pensieri! Sono inviati dai demoni dell'invidia, nient'altro che degli avidi Tengu che si nutrono del tuo cuore facendolo avvizzire lentamente, giorno dopo giorno.

Sono stanca dei giochi, Shikibu Murasaki. Sono stanca di indossare una maschera, fingere che tutto ciò che mi sta intorno sia nuovo e bello, mentre non è nient'altro che la replica dei soliti torbidi. Sono stanca di sorridere quando non voglio, come sono stanca di lodare motti di spirito in cui non vi è nessuno spirito. Voglio poter discorrere senza dovermi mettere il ventaglio alla bocca ed alzare il tono della mia voce. Voglio poter sentire di nuovo la voce di chi mi capisce, in fondo, e che ha nel petto una sofferenza simile alla mia.

Ho terminato ora il seguito del mio Makura no Shoshi. Non sono note, questa volta è un vero racconto, proprio come il tuo Genji Monogatari. L'ho intitolato Futari no josei no monogatari, "storia di due donne". Ardo dal desiderio che tu lo legga e lo commenti.

Indovina da dove ho tratto ispirazione per il titolo? Proprio dalla storia parallela della nostra vita, unita vita parallela delle imperatrici Shoshi e Teishi.

Ti imploro, fino ad inginocchiarmi, che il nostro finale non sia nell'odio, ma nella vera amicizia.
La tua rivale ed amica

Sei Shonagon

No, mi sbaglio ancora una volta. Per te, per te sola, il mio vero nome: Nagiko Kiyowara...

NDA: questa lettera non è solo immaginaria, è anche una what if: Sei/Nagiko finì in disgrazia una volta defunta la sua protettrice e morì, povera e sola, prima di scrivere alcun seguito al Makura no Shoshi. Murasaki e Nagiko nella vita reale non si riconciliarono mai. 

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