La maledizione di Ungoliant

di yukikofairy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

Confini di Brea - 2921 Terza Era

 

 

Passi. Urla. Lamenti. Sangue. Terrore.

 

«Corri Indil, corri!»

La donna annuì al marito, non avendo però fiato per rispondere. 

Il terreno era accidentale e la pioggia batteva più feroce che mai sui loro mantelli, diminuendo di molto la visuale già ridotta a causa dell’oscurità.

«Siamo a Brea!» gridò all'improvviso lui. 

Indil senti gli occhi farsi umidi, sollevata. Strinse di riflesso i piccoli fagotti al suo petto, riparati dalla tempesta sotto il mantello.

Continuarono a correre sfiniti, per un tempo che a loro parve interminabile.

Le luci si fecero sempre più vicine, sebbene, per colpa del temporale e del buio, restassero comunque sfocate.

Ad un tratto i rumori dietro di loro tornarono più forti e vicini che mai.

Terrorizzati Indil e suo marito Drorin accelerarono, ormai al limite delle loro forze.

Arrivarono davanti al cancello della città, senza rallentare minimamente.

Indil si girò spaventata verso la Vecchia Foresta, constatando che erano soli. Almeno apparentemente. 

Era molto probabile che gli inseguitori si fossero fermati poco dietro loro, nascosti nell’ombra.

Drorin iniziò a battere disperatamente al grosso portone. Dopo qualche attimo di silenzio, che hai due sembrò un tempo infinito, una finestrella si aprì. 

«Chi siete? Cosa volete?»

Una guardia li fissava, sospettoso. 

In quel periodo, non potevi mai sapere chi o cosa si aggirasse in piena notte. 

Questo Cuthbert Appledore lo sapeva bene. 

Strane voci giravano ormai da lungo tempo e trovarsi davanti due figure incappucciate a quell’ora, una alta e una molto più bassa, non faceva che accrescere il suo sospetto.

«Ci serve aiuto»

 

 

Brea, casa Appledore - 2921 Terza Era

 

Dei rumori forti ruppero all’improvviso il silenzio assoluto che regnava nella piccola casa.

Livina si svegliò di scatto, spaventata.

Guardò smarrita verso l'altra parte del letto, trovandolo vuoto. 

Solo allora si ricordò che suo marito aveva il turno di guardia quella notte. 

Uscì lentamente dalla stanza avviandosi al piano inferiore, verso la fonte del rumore. Sentiva il cuore batterle velocemente, mentre goccioline di sudore le imperlavano la fronte. Aveva paura, molta. 

Era sola in casa e disarmata.

«Livina, Livina!»

La voce in preda al panico del marito le fece volare gli ultimi scalini. 

Quel che vide la paralizzò. 

Immobile davanti alla porta Cuthbert la fissava scioccato. Era completamente bagnato e teneva qualcosa stretto al petto. O meglio, qualcuno

«Ma che…»la donna non fece in tempo a finire la frase che i due neonati iniziarono a piangere. 

Cuthbert si riscosse, andando a sedersi su una sedia davanti al camino. 

Livina lo raggiunse, notando solo in quel momento che due armi erano appoggiate vicino all’entrata. 

Incuriosita, prese in braccio uno dei due fagotti che teneva il marito, cercando di calmarlo. 

Si accorse che era una piccola bambina e, dando una veloce occhiata al neonato che teneva stretto l’uomo, capì che erano due sorelle. Quasi sicuramente gemelle. 

La donna si sedette ai piedi di Cuthbert, cullando la piccola.

I due sposi stettero lì, in silenzio. 

Piano piano gli urli si fecero più lievi e, dopo quelle che parvero ore, le due neonate si addormentarono. Sfinita Livina alzò gli occhi verso il marito, piena di silenziose domande. Quel che vide fu uno sguardo tormentato e stanco. 

Lui sospirò e poi, sussurrando, le iniziò a raccontare lo strano avvenimento in cui era rimasto coinvolto quella notte.

 

 

«Chi siete? Cosa volete?» chiese Cuthbert, tentando di mantenere salda la voce.

«Chiediamo aiuto!» urlò la figura più bassa, cercando di farsi sentire al di sopra del rumore causato dal temporale. 

Qualcosa nel tono spaventato, ma al tempo stesso deciso, della voce, fece scattare l'uomo che si ritrovò ad aprire la porta dei cancelli. Entrambi si abbassarono il cappuccio, ignorando la pioggia che si abbatteva incessante al suolo. Si rivelarono la coppia più strana che Cuthbert avesse mai visto. 

La persona che aveva parlato era un nano dall'aspetto forte e autoritario. Aveva lunghi capelli neri, ed una barba folta. I suoi incredibili occhi erano dello stesso color del miele. 

Cuthbert lo trovò bello per essere un nano. 

Ne aveva visti pochi in realtà di gente della sua razza in tutta la sua vita, per lo più nani che attraversavano Brea per raggiungere i Monti Azzurri.

Quei pochi però erano tutti anziani o decisamente poco attraenti. 

Drorin al fianco portava una lunga spada, mentre le mani reggevano altre due spade poste dentro due foderi neri. Aveva un portamento fiero e, nonostante i vestiti lacerati e sporchi di sangue, l'uomo ebbe l'impressione di trovarsi davanti un nobile o qualcuno di importante. 

Accanto a lui la seconda figura, molto più alta, lo guardava silenziosa, stringendo qualcosa sotto al mantello.

Sconvolto Cuthbert constatò di trovarsi al cospetto di un’elfa. 

Era la creatura più bella che avesse mai visto. Una chioma argentea le incorniciava  il viso pallido macchiato di sangue fresco. I suoi occhi chiari inviavano all'umano mute e disperate richieste di aiuto. 

Il nano intanto si girava continuamente verso l’oscurità alla ricerca di ogni minimo fruscio, nonostante il temporale attutisse quasi completamente tutti i suoni. 

La mano era chiusa sull’elsa della spada, pronta ad essere tirata fuori dal fodero da un momento all’altro.

«Dobbiamo andare via subito» esclamò piano l'elfa. 

La sua voce era dolce e cristallina, ma si poteva cogliere anche una tristezza ed una paura infinita 

«Se restiamo qui la vita di tutta la popolazione potrebbe essere in pericolo. Non si fermeranno finché non saremo morti. Però, vi supplico, prendete le nostre figlie e abbiatene cura come fossero vostre»

Non aveva ancora finito di parlare che scoprì la cosa che teneva al petto, mettendola tra le braccia di un sempre più allibito Cuthbert. 

L'uomo abbassò lo sguardo ritrovandosi a fissare due piccolissime bambine.

«Ma voi.. non potete» balbettò guardando le due figure che stavano iniziando a fare lentamente qualche passo indietro. 

Dall'oscurità delle grida agghiaccianti risuonarono, perdendosi nel vento.

«Se riusciremo a sopravvivere torneremo a riprenderle, ma non credo succederà. Ci spiace, ma non c'era altra scelta. Queste due armi sono il nostro ultimo dono. Dategliele quando saranno grandi e forti» esclamò il nano posandole a terra ai piedi dell’uomo. «Chiudete subito il portone e tenetele al sicuro»

Drorin si sporse verso le neonate. Le accarezzò per l'ultima volta, allontanandosi poi velocemente verso la Vecchia Foresta. L'elfa piangeva, ma seguì il compagno. 

«Aspettate!» urlò Cuthbert in preda al panico. 

L’incantevole creatura si girò, guardandolo.

«I loro nomi sono Morwen e Ringil» le lacrime si confusero con la pioggia, mentre un sorriso straziante le apparve sul bel volto. 

«Addio» sussurrò.

Un secondo dopo iniziò a correre insieme a Drorin, sparendo nella notte verso le urla e il loro tragico destino.

 

 

«Santo cielo» esclamò Livina, non trovando altre parole per descrivere ciò che era successo. Il marito non rispose, osservando la deboli fiamme che provenivano dal camino.

«Dovremo tenerle» fu solo un sussurro, ma nel silenzio della casa risuonò come se fosse stato gridato. 

La donna guardò Cuthbert incredula, non sapendo cosa dire.

«Abbiamo sempre desiderato avere figli. Purtroppo il destino ci è stato avverso, ma adesso possiamo finalmente provare ad essere dei genitori» continuò piano l’uomo «Non possiamo abbandonarle e lo sai anche te. Loro l'hanno affidate a me.. a noi.» 

Livina abbassò lo sguardo verso la neonata che ancora stringeva al petto. 

Suo marito era sempre stato testardo e, se aveva deciso così, niente gli avrebbe fatto cambiare idea. 

Fortunatamente la donna gli dette ragione. 

Aveva sempre voluto essere madre ma, sebbene ci avessero provato tante volte, non era mai restata incinta. Ora l'occasione di riscattarsi sembrava finalmente arrivare. 

Non avrebbe mai abbandonato quelle due creature. Una cosa però la preoccupava. 

«Quindi nei loro corpi scorre sangue di nano.. e sangue elfico.»

Era più un'affermazione che una domanda, ma il marito annuì comunque.

«Cuthbert.. dici che le accetteranno in paese? Lo sai, a Brea vivono soprattutto umani e qualche hobbit» la voce le si fermò in gola, incerta su come proseguire la frase.

«Impareranno ad accettarle, altrimenti se la vedranno con me»

Il marito le sorrise appena, scrollando le spalle. 

Mosse un po' il fagotto, ritrovandosi a reprimere un verso di sorpresa.

«Livina guarda!»

La donna alzò gli occhi, puntandoli verso la figura dell'uomo che amava, proprio mentre lui estraeva, dalle piccole coperte in cui era avvolta la bambina, un magnifico ciondolo. L'osservarono rapiti.

Sembrava brillare di luce propria. 

Il materiale ricordava l'argento, ma era molto più leggero, resistente e lucente. 

In fondo alla collana era posizionato il simbolo di una stella, grande quasi come una noce, spezzata a metà. Aveva quattro raggi e quattro punte. 

Cuthbert lo osservò rapito, per poi girare il retro della collana. Rimase ancora più stupito scoprendo delle piccole lettere incise.

 

“ 26-01

Morwen

Ricordate sempre

Con

vostri I “

 

Lesse piano a sua moglie. 

Livina spostò subito lo sguardo verso la piccola addormentata che teneva stretta a lei. Curiosa scostò un po' le morbide coperte che l'avvolgevano, trovando un ciondolo identico. 

La donna osservò il retro, capendo di aver avuto una giusta intuizione.

«Cuthbert…» allungò la mano verso il marito, che le dette subito l’altra collana.

Avvicinò le parti spezzate che immediatamente combaciarono alla perfezione, formando una stella con otto raggi ed otto punte. La donna girò il ciondolo e lesse la scritta completa: 

 

“26-01-2922

Morwen Ringil 

Ricordate sempre chi siete.

Con amore,

vostri I & D”

 

 

Angolo dell’autrice:

 

Salve gente!! Fin'ora ho pubblicato solo one shot su EFP (tanti anni fa tra l'altro), quindi questa è la mia prima fan fiction a capitoli.. siaaate buoni :D Ovviamente ogni commento, critica, consiglio ecc.. è ben accetto.

E così, dopo tanti ripensamenti, ho deciso di pubblicare questa storia che tenevo da qualche mese nel mac. In realtà ho scritto solo qualche capitolo fin'ora, quindi sarà il caso che mi metta sotto. Spero di aggiornare frequentemente! La trama è già delineata e ho molte idee in testa, quindi credo (spero) di riuscire ad essere abbastanza veloce. Chiedo scusa per il capitolo molto corto, ma è un'introduzione. Gli altri saranno sicuramente più lunghi.

Spero vi abbia incuriosito almeno un po'.

Baci yukiko.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Premessa: chiedo infinitamente scusa per l’immagine. Sono una schiappa con la grafica (notare gli occhi di Ringil xD), ma volevo condividere con voi i volti che ho in mente per le nostre due gemelle. 

Vi lascio al capitolo. A dopo e buona lettura!!   

 

 

 

Capitolo primo

 

 

 

Brea 18 aprile 2941

 

 

La primavera era già arrivata da un po’, ma quella sera un vento gelido faceva tremare gli abitanti di Brea. 

Una figura minuta incrociò istintivamente le braccia al petto, cercando di trasmettersi un po’ di calore attraverso il vecchio vestito che indossava.

L’ammazzo.. questa volta seriamente “

pensò camminando rapida tra le stradine della città. 

poi mio padre ucciderà me, ma almeno avrò avuto una bella soddisfazione.

Si fermò all’improvviso davanti alla locanda più famosa del posto. 

L’insegna scura, che raffigurava un cavallo su due zampe, svettava sopra la sua testa. 

Rimase qualche minuto ferma lì fuori. 

Al locale la sera si poteva trovare di tutto, tra cui gente decisamente non raccomandabile. Per una fanciulla giovane ed indifesa non era certo il posto ideale in cui trascorrere il suo tempo. 

Ormai però si stava abituando. 

Sapeva che se voleva trovare quella sciagurata doveva recarsi al Puledro Impennato o al campo appena fuori città dove si allenava continuamente. 

E lì la sera era impossibile andarci, viste le guardie all’uscita.

Un vecchio le passò accanto osservandola in maniera lasciva, distogliendola così dai suoi pensieri. 

Represse un brivido di disgusto, mentre con poche falcate raggiunse la porta. 

L’aprì violentemente immergendosi nel caldo opprimente del posto.

 

 

 

Una creatura, la cui faccia era oscurata dal cappuccio di un azzurro mantello, sedeva ad un tavolo in un angolo della locanda. Un boccale di birra era posto davanti a lei, ma sembrava non notarlo. 

La sua attenzione era totalmente concentrata su due figure al tavolo accanto al suo.

Non si accorse nemmeno della porta del locale che si apriva e della fanciulla che, dopo un attimo di smarrimento, avanzava velocemente verso di lei.

Almeno fino a quando non si ritrovò la visuale coperta da un’ombra. 

Solo a quel punto alzò lentamente la testa, sapendo già chi si sarebbe trovata davanti. 

Cercò di assumere l’espressione più innocente che potesse fare, anche se una bella ramanzina non gliel’avrebbe tolta nessuno. 

«Morwen» attaccò gelida la ragazza in piedi «quante volte ti ho detto di» non riuscì a finire la frase che sua sorella la spinse con un braccio sulla sedia davanti alla sua. 

Le fece segno di star zitta e indicò con la testa il tavolo accanto al loro.

«La predica la rimandiamo a dopo» sussurrò Morwen sporgendosi verso lei, che la fissava indignata. «Guarda!»

Ringil si voltò verso il punto indicato. Un verso di sorpresa le sfuggì dalla bocca.

Due nani sedevano in maniera scomposta, mentre una donna serviva loro del cibo e della birra. Ai piedi calzavano comodi stivali, mentre indossavano vestiti all’apparenza molto pesanti. 

Ma la cosa che sconvolse di più Ringil, e sicuramente anche sua sorella, fu l’aspetto. 

Era la prima volta che vedevano nani così giovani.

«Senti Morwen» iniziò la mezz’elfa titubante, dopo alcuni attimi di silenzio «non è possibile che ogni volta che vedi un nano…»

La ragazza con il cappuccio calato in testa sbuffò, interrompendola.

«Lo so, lo so. Non è possibile che ogni volta che tu veda un nano creda di aver trovato un parente» la schernì facendole il verso «Ma io voglio sapere! Se li seguiamo potrebbero portarci ai Monti Azzurri e magari capire qualcosa di più del nostro passato»

Ringil, affranta, si passò una mano sul collo, andando così a sfiorare la catenina con le dita.

«Il nostro passato non ci riguarda sorella. I nostri genitori sono Livina e Cuthbert. Tutto il resto non conta»

Morwen sobbalzò, colpita dalle dure parole rivoltele. 

Un silenzio gelido calò fra loro, per un tempo che parve infinito. 

«Come osi anche solo pensarlo?» la ragazza improvvisamente scattò in piedi colpendo il tavolo con i pugni, talmente forte che il boccale cadde in terra, schizzando la birra da tutte le parti.

Il cappuccio le scivolò dalla testa, mostrando così un bel viso coperto parzialmente da una folta chioma argentea. 

«Il cappuccio Mow!» la ammonì a bassa voce la sorella. 

Rossa di vergogna tornò a sedersi, calandosi il mantello fin sotto gli occhi. 

«Qualcuno mi guarda?» borbottò piano, non avendo il coraggio di alzare lo sguardo dal tavolo, che improvvisamente le sembrava molto interessante. 

«Beh cara se escludi gli stranieri, che in questo momento sono più della metà te l’assicuro, allora no» sussurrò Ringil ironica. 

Purtroppo era così fin da piccola. 

Gli abitanti di Brea oramai avevano fatto l’abitudine riguardo i suoi particolari capelli, ma i viaggiatori restavano sempre stupiti. 

Non era da tutti i giorni vedere una creatura così da quelle parti.

La sorella sembrò sprofondare ancora di più nella sedia, alzando però lo sguardo verso il tavolo accanto al suo. 

Due paia di occhi la fissavano, non tentando minimamente di mascherare la curiosità. 

Dopo qualche secondo il nano biondo si girò dall’altra parte, resosi conto della sfacciataggine che stava dimostrando. 

L’altro invece continuò a fissarla, incurante. 

Morwen sentì le guance bruciare, mentre una serie di insulti le si delinearono nella mente, pronti a prender forma sulla bocca di lei. 

Insulti che non arrivarono mai. 

Fino a quel momento era stata troppo presa ad arrabbiarsi, per accorgersi di quanto fosse carino. 

“ Carino? Ma guardalo Mow. E’ semplicemente stupendo. “

La mezz’elfa si stupì per quei pensieri frivoli e decisamente fuori luogo. 

Nonostante ciò, continuò ad osservarlo. 

Aveva lunghi capelli scuri e occhi dello stesso colore. Una leggera barba gli incorniciava il viso, rendendo i suoi lineamenti più marcati. La ragazza quasi non si accorse di aver smesso di respirare, persa in quei due pozzi scuri.

«Kili! Fili!» il nano distolse finalmente lo sguardo girandosi verso quattro figure, entrate da poco nella locanda, mentre raggiungevano e si sedevano al tavolo di quei due.

«Domani partiamo all’alba!» esclamò uno di loro a gran voce. 

Erano tutti nani e colui che aveva parlato portava uno strano cappello in testa e aveva lunghi e buffi baffi.

«Lo sapevamo Bofur» rispose il ragazzo biondo, quello che si chiamava Kili o Fili.

Tutti scoppiarono a ridere, iniziando subito dopo a parlare e bere.

«Ehi, andiamo a casa per favore. Nostro padre ci ucciderà» disse piano Ringil, ignara dei pensieri che assillavano la ragazza.

“ Partiamo all’alba, partiamo all’alba.. 

Partiamo all’alba. “

«Non è mio padre» ringhiò, alzandosi. 

Guardò furente la sorella, per poi girarsi ed uscire.

Venne subito seguita da una Ringil impegnata a maledire la testardaggine di Mow.

 


 

Brea 19 aprile 2941

 

 

Ringil aprì gli occhi, assonnata. 

Un rumore improvviso nella stanza l’aveva destata. 

«Mow? Cosa diavolo stai facendo Morwen» farfugliò girandosi verso la figura in piedi, che intanto si rimproverava per la propria sbadataggine.

«Niente, torna a dormire Rin» disse seccamente, anche se una parte di lei aveva seriamente sperato che si svegliasse. 

La ragazza non ascoltò minimamente la sorella. 

Infatti aveva già notato le vesti maschili di Morwen, il piccolo pugnale legato al fianco e, soprattutto, uno zainetto malconcio sulla sua spalla destra. 

Improvvisamente lucida si alzò dal lettino, raggiungendola.

«Che pensi di fare eh?! Andartene per seguire alla cieca dei nani a caso?» sibilò piano, per evitare di svegliare i suoi genitori. 

Morwen le parlava spesso di voler lasciare la città e c’erano state volte che le aveva proposto di seguire qualche nano, perché di elfi non ne capitava mai, che passava da Brea.
Ma Rin aveva sempre pensato che fossero solo chiacchiere. 

Non poteva, non voleva, credere che stesse succedendo davvero.

La gemella rimase in silenzio, mentre si sistemava due piccole trecce ai lati, le legava dietro e lasciava liberi il resto dei lunghi capelli.

Pettinatura degna di un elfo.

Pensò Ringil tristemente. 

Sua sorella, al contrario di lei, non aveva mai accettato il loro destino. 

Entrambe volevano un gran bene ai loro genitori adottivi, ma per Morwen la cosa più importante era sapere da dove veniva, chi era lei veramente.

«Guardaci» esclamò ad un tratto con rabbia la ragazza, indicandosi sia gli orecchi a punta rimasti scoperti dalla pettinatura sia i capelli argentei che le ricadevano morbidi sulla schiena «dobbiamo nasconderci sempre, vergognarci di farci vedere. Non saremo mai parte di questa città, di questo posto. Non saremo mai parte di niente»

Ringil ascoltava in silenzio. Sapeva che aveva tremendamente ragione. 

«Viviamo in un luogo popolato da uomini ed hobbit, ma noi non siamo nessun dei due. Non siamo completamente elfi e nemmeno nani e, probabilmente, saremo sempre fuori luogo. Ma io ci voglio provare Rin. Voglio trovare un posto da poter chiamare finalmente casa. Voglio sapere chi erano i miei genitori e perché ci hanno abbandonato. Voglio sapere i loro nomi, e non solo una stupida iniziale»

prese fiato toccando il ciondolo che teneva al collo, l’unico ricordo lasciato dai suoi insieme alle due armi. 

«E non dimentichiamoci dei due strani simboli che abbiamo sulla pelle e di quel dannato incubo che sempre più spesso popola i nostri sogni. Non è normale. Ho bisogno di risposte»

Mow abbassò lievemente lo sguardo, frustrata.

«Probabilmente seguire quei nani sarà la decisione più stupida e insensata della mia vita, ma preferisco rischiare che continuare ad abitare qui. Perciò io vado Ringil, che tu mi segua o no» concluse tornando a guardare gli occhi, un sorprendente color ambra, di sua sorella. 

Aveva una tremenda paura ad intraprendere il viaggio da sola senza la persona che considerava come la parte complementare di sé stessa, ma almeno lei sarebbe stata al sicuro. Fatto che la rincuorava non poco.

Per un po’ nessuna delle due disse niente. 

Rimasero ferme ad osservarsi, mentre sentivano anni di dolore e solitudine piombare sulle loro fragili spalle. 

Alla fine Ringil sospirò, girandosi e iniziando ad indossare una camicia bianca e delle semplici braghe marroni. Ovviamente appartenevano a sua sorella. 

Perché lei preferiva di gran lunga gli elaborati e femminili vestiti. Al contrario di Mow, che amava muoversi comodamente. 

Mentre Ringil si intrecciava i lunghi capelli corvini in una treccia laterale, sua sorella scese piano le scale, andando a prendere qualche provvista e un po’ di soldi da portarsi in viaggio. 

«Odio rubare ai nostri genitori adottivi»

sussurrò piano la ragazza dagli occhi color miele, quando la raggiunse al piano inferiore.

«Lo so sorellina, ma non possiamo farci niente. Se torneremo qua, restituiremo tutto» rispose Morwen. 

Un sorriso triste le oscurò il bel viso, mentre posava uno spesso foglio per Cuthbert e Livina sul tavolino. 

«Hai lasciato una lettera?» chiese Ringil, sorpresa e amareggiata. 

Lei non sapeva che sarebbero partite, ergo non aveva potuto scrivere niente.

«Si, ma non preoccuparti. Ho spiegato tutto, dicendo che è stata una mia idea e che tu li adori» Morwen le fece l’occhiolino, per poi andare velocemente a prendere il mantello e la lunga spada, posti in un angolo. 

Rin sbuffò, resasi conto che sua sorella aveva scritto che sarebbero entrambe partite, evidentemente già sicura di quale sarebbe stata la sua decisione. 

In realtà Mow aveva preparato due lettere, a seconda di sua sorella se l’avesse abbandonata o meno. Particolare che non rivelò mai alla gemella.

Imitando la mezz’elfa Ringil prese l’altra spada, l’arco che le aveva regalato Cuthbert per i suoi 10 anni e indossò il nero mantello, calandosi il cappuccio in testa.

Restarono lì qualche attimo, ad osservare il piccolo soggiorno. Impressero ogni più piccolo dettaglio del luogo che le aveva ospitate per venti lunghi anni.

E finalmente uscirono alle prime luci dell’alba, senza più voltarsi indietro. 

 

 

 

Camminarono velocemente, e in assoluto silenzio, per le stradine semi deserte di Brea.

Dopo poco arrivarono davanti alla locanda del Puledro Impennato. 

L’aria era fresca e pungente, ma i mantelli riuscivano a scaldarle a sufficienza. 

Si nascosero in una piccola traversa, potendo così vedere se qualcuno entrava o usciva.

Rimasero lì immobili per un tempo che parve a loro infinito.

«E se fossero già partiti? E se i nostri genitori si accorgono che non ci siamo e vengano a cercarci? Che facciamo?»

Ringil incrociò le braccia, guardando la crisi di panico improvvisa che aveva preso il sopravvento in Morwen. 

Aprì la bocca con l’intenzione di prenderla in giro, invece si ritrovò ad esprimere tutti quegli interrogativi che le affollavano la mente da quando avevano lasciato casa.

«Perché proprio ora Mow? Perché seguire proprio questi nani?»

La sorella la guardò, dubbiosa. 

Restò qualche attimo in silenzio alla ricerca di parole che tardavano ad arrivare. 

La verità è che non sapeva bene nemmeno lei il motivo per cui aveva deciso di partire quel giorno. 

«Non riesco più a stare qui Rin. Da vent’anni abitiamo a Brea e io sto impazzendo. Seriamente. Tu aiuti nostra madre nelle faccende domestiche, sei riuscita a farti qualche amica, ad integrarti un po’. Ma io? Tutto il giorno a non fare niente, tranne allenarmi da sola con la mia spada. Non voglio marcire in questo posto sorella» parole dure, ma vere. 

Bene o male Ringil si era adattata a quella cittadina, facendo azioni comuni e quotidiane, vivendo una vita comune. 

Ma sua sorella era diversa e lei non poteva abbandonarla.

«Non sappiamo da dove poter cominciare la nostra ricerca, ma questi nani probabilmente staranno andando verso i Monti Azzurri. Almeno saremo più al sicuro se resteremo vicini a loro, invece di viaggiare sole. Non so perché proprio adesso, ma infondo perché non adesso?! E poi ho bisogno di capire il perché di questi incubi sempre più frequenti. Forse sono legati ai nostri genitori. L’unico modo per scoprirlo è parlare con più nani o elfi possibili»

Ringil sospirò afflitta, trovando quel discorso incredibilmente folle. 

Non fece in tempo a risponderle che dei rumori attirarono la loro attenzione.

Incredule, videro comparire fuori dal locale ben dodici nani che, borbottando tra loro, si avviarono verso l’uscita della città. 

Le sorelle riconobbero i due ragazzi più giovani e quello dal cappello strano, di cui però non ricordavano il nome.

Facendo attenzione a non farsi vedere, iniziarono a seguirli. 

In poco tempo raggiunsero la fine della piccola cittadina.

Morwen ringraziò mentalmente la luce del sole, evitando così che la guardia del cancello le fermasse come invece sarebbe avvenuto se fosse stato notte.

Le due mezz’elfo si fermarono un attimo, osservando la città di Brea che si erano appena lasciate alle spalle. 

Era la prima volta che uscivano seriamente dal luogo in cui erano state allevate e cresciute.

Infondendosi silenzioso coraggio a vicenda si avviarono all’inseguimento dei nani, pronte per la loro prima vera avventura.

 

 

 

Angolo dell’autrice:

 

E così ha inizio l’avventura. Ancora tante domande devono trovare risposta, ma infondo la strada è appena iniziata per le due sorelle. 
Forse può sembrare assurdo che si mettano a seguire un gruppo di nani (guarda caso proprio quei nani), ma non dimentichiamoci che ciò succede nello stesso mondo dove un hobbit si ritrova a viaggiare con uno stregone e 13 nani. 
Ho lavorato molto a questo capitolo, cercando di renderlo il più credibile possibile. Se non ci fossi riuscita.. le mie scuse più sentite.
Un’ultima cosa: il racconto seguirà sia il libro che il film, a seconda delle mie esigenze e, ovviamente, ci saranno dei cambiamenti nel corso della storia.

Bene per ora è tutto :D
Ci risentiamo al prossimo capitolo!
Bacio yukiko.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


                               Capitolo secondo





Hobbiville 26 aprile 2941

 

Dodici nani e un alto signore vestito di grigio, con un cappello a punta, varcarono la soglia di un’abitazione.

«Rin guarda! Stanno entrando in quella casa» esclamò Morwen afferrandole il gomito e girandola bruscamente verso quella direzione. 

«Intendi in quel buco» rispose sbuffando l’altra ragazza. 

Otto giorni.

Erano passati otto estenuanti lunghi giorni da quando le due sorelle si erano messe in viaggio e Ringil ne era già stufa marcia. 

Le provviste iniziavano a scarseggiare, non si lavavano da decisamente troppo tempo per i suoi gusti, i piedi le facevano male viste le lunghe e forzate camminate e dovevano costantemente vivere in silenzio per paura di essere scoperte.

“ Tutto questo per cosa? Un buco nel terreno ad Hobbiville? “

Pensò irritata. Sapeva benissimo che erano state stupide ed avventate, ma almeno aveva sperato in un colpo di fortuna. Se non altro adesso erano più vicine ai Monti Azzurri.

Ciò non la fece sentire meglio.

Avevano pochi soldi e non sarebbero di certo bastati per comprarsi provviste fino a là. Sempre se si stessero dirigendo in quella direzione. 

Sospirò, guardando sua sorella che, al contrario di Ringil, sprizzava curiosità ed entusiasmo. 
Perché doveva sempre essere lei, sebbene fossero gemelle, quella responsabile e matura?

Era stanca di correre dietro a Morwen.

In quel momento non desiderava altro che starsene a casa davanti al camino, mentre sua madre le pettinava delicatamente i capelli.

“ Se non altro è riuscita a non farci scoprire “

Si disse Ringil, cercando qualche aspetto positivo di quella sorella così immatura e testarda.
Il secondo giorno c’era mancato davvero poco che venissero scoperte, in maniera molto imbarazzante tra l’altro, salvandosi solamente grazie alla prontezza di riflessi di Mow.


 

«Merda, li abbiamo persi!» esclamò disperata la mezz’elfa dai capelli argentei. 

Le prime luci dell’alba illuminavano i margini della vecchia foresta, rendendo il paesaggio surreale e, al tempo stesso, magnifico. Avevano dormito poco lontane dall’accampamento dei dodici nani, ben attente a non essere viste. Infreddolite e impaurite, nel buio della foresta, avevano deciso di fare dei turni di guardia, essendo così certe di non perdere di vista i nani quando avessero deciso di ripartire. 

O almeno così erano i piani.

Morwen aveva scelto di fare il primo turno di guardia e lasciar riposare la sorella.
Tutto fu tranquillo e, verso mezzanotte, la svegliò per farsi dare il cambio.
Ringil si svegliò controvoglia, ma prese comunque il suo posto senza lamentarsi. Si appoggiò ad un tronco, osservando l’ambiente circostante. Rabbrividì guardando il buio che la circondava. L'unica lieve luce era quella che arrivava dal fuoco che avevano acceso i nani. Odiava starsene all'aperto di notte.
Chiuse gli occhi, posando lievemente la testa all'albero. Dio quanto avrebbe voluto essere a casa in quel momento. Nella sua comoda e asciutta casa. Pensò a sua madre e al suo sorriso. A quando la mattina si litigava il pane caldo con Morwen.
Pensò a tutto e a niente. 

Stette così per un po', fino a quando un’ombra iniziò a prendere forma in lontananza. Cresceva a dismisura, sovrastando la ragazza paralizzata dalla paura. Sapeva cosa stava per succedere, ma ogni singola volta il terrore era sempre totale. Intorno a lei la foresta era sparita, così come sua sorella.
Sei occhi color sangue la fissavano dall’alto.
La ragazza tentò di alzarsi, ma scoprì di non riuscire a muoversi.
Un verso stridulo e agghiacciante risuonò nell’aria, mentre l’ombra calava su di lei.

«Rin svegliati accidenti!» aprì gli occhi di scatto trovandosi, a qualche centimetro di distanza, due occhi chiari che la fissavano arrabbiati. Confusa e impaurita si guardò intorno.

Perché sua sorella era sveglia e, soprattutto, perché c’era molta più luce?

«Ti sei addormentata, genio!» rispose sibilando Morwen, come se riuscisse a leggerle nel pensiero. 

«Ho dato una veloce occhiata all’accampamento e non ho visto nessuno. Sembra che se ne siano già andati, nonostante stia facendo giorno ora. Dobbiamo muoverci se vogliamo avere qualche speranza di ritrovarli» si alzò di scatto, prese la poca roba che aveva con sé e si avviò verso il fuoco ormai spento, alla ricerca di qualche traccia. 

Ringil la seguì in silenzio, mortificata. Quando però arrivarono nei pressi del luogo, ben nascoste da degli arbusti, capirono che la ragazza dai capelli argentei si era sbagliata. 

Nella radura c’erano ancora due nani, oltre a tutti i dodici fagotti posati per terra. 

Erano seduti vicino al fuoco e chiacchieravano allegramente. Uno era tozzo, con i capelli rossi e una barba dello stesso colore intrecciata che gli andava da parte a parte, formando un semicerchio.
L’altro era il biondo giovane e carino che avevano già visto alla taverna.

«Nessuno eh» sussurrò ironica Ringil ad un’irritata sorella.

«Ti dico che quando ho guardato non c’era nessuno» ringhiò Morwen, dando una leggera botta alla ragazza che, non aspettandoselo ed essendo accovacciata in modo precario, cadde rumorosamente all’indietro. 

La reazione dei nani fu immediata. Si alzarono sguainando le spade, per poi avvicinarsi velocemente verso la fonte del rumore. Verso di loro.

Fortuna volle che in quel momento un coniglio stesse passando vicino alle due ragazze. 

Morwen prese un sasso e lo tirò al povero animale che, impaurito, scattò uscendo nella radura. 

«E’ solo un coniglio Bombur» disse il biondo ridendo. Riposero le armi e tornarono a sedersi. 

Le ragazze tirarono un sospiro di sollievo. Si guardarono sorridendo istericamente, il cuore che batteva a mille. Rimasero lì ferme. Dopo poco gli altri nani, che probabilmente avevano cacciato qualche animale, raggiunsero i due. Presero la roba e si avviarono verso Hobbiville, ignari di essere seguiti da due mezz’elfo. 

 

 

Ringil si riscosse dai suoi pensieri, notando che la sorella l’aveva afferrata e la stava trascinando verso il buco.

Si avvicinarono piano, rassicurate dal buio e dal fatto che era già da un bel po’ che erano entrati.
Decisero di fermarsi sotto la finestra e dare un’occhiata dentro.

Quel che videro le spiazzò completamente.

«Stanno.. cantando??» esclamò Morwen sorpresa. 

I nani stavano ridendo e urlando, evidentemente un po’ brilli, mentre si tiravano piatti e stoviglie.
Un piccolo e leggermente panciuto hobbit, dall’aspetto simpatico, li rincorreva per tutta casa.
Sembrava decisamente scocciato.

Ringil era molto infastidita dalla situazione e dal loro modo di fare sciocco. Morwen invece stava ridendo e sembrava divertirsi. 

«Che ci troverai di tanto simpatico» bofonchiò la ragazza dai capelli corvini, incrociando le braccia al petto.
Ma la sorella non la stava ascoltando, improvvisamente concentrata su altro.

Il signore molto alto si era appena girato e lei era riuscita finalmente a vedere il suo viso.

“ Ma io l’ho già visto! “

Pensò sgomenta. 

 

 

Brea 15 marzo 2941

 

La pioggia scivolava veloce sui tetti della città. Erano giorni che non smetteva un attimo, sebbene fosse quasi primavera. Morwen entrò velocemente al Puledro Impennato, dove ormai andava quasi ogni sera.

Le piaceva sedersi in un angolo ad osservare i visitatori che ogni tanto facevano sosta in città. 

Per evitare inutili e fastidiosi commenti riguardo i suoi capelli portava quasi sempre il cappuccio del mantello ben calato in testa. C’erano delle occasioni però in cui lo lasciava giù.
Generalmente lo faceva per farsi notare dal ragazzo di turno che le piaceva.
Non poteva negare di essere molto attratta dai bei giovani e, sebbene non fosse una ragazza facile, qualche rapporto da una notte e via lo aveva avuto.
Soprattutto quando c’era qualche festa cittadina e la birra scorreva a litri. 

Sua sorella invece era l’essere vivente più casto che avesse mai conosciuto. Aveva baciato solo un ragazzetto del luogo, quando aveva 12 anni. Da quel giorno non si era più fatta avvicinare da nessuno, sebbene molti la ritenessero veramente bella. 

“ Deve averle fatto proprio schifo “

Pensò Morwen ridendo tra sé, mentre si fermava all’entrata e dava un’occhiata.
Si guardò intorno alla ricerca di qualche novità. Se c’era qualche nano si sedeva ad un tavolino vicino, ad ascoltarlo, cercando disperatamente qualcosa che la potesse collegare alla sua famiglia. A suo padre.

Purtroppo però l’unica cosa che sapeva di lui era che il suo nome iniziava per I o per D e che, secondo suo padre adottivo, era un nano bello e fiero.

Decisamente troppo poco per riuscire a scoprire qualcosa.

Una lacrima le scivolò piano sulla guancia. La tolse con un gesto di stizza e si andò a sedere ad un piccolo tavolo vicino al camino. 

“ Almeno mi asciugherò gli abiti “

Si ritrovò a pensare, tastando il mantello bagnato. Decise di ordinare una birra, per poi tornare ai propri pensieri.
Ogni volta che vedeva un nano era tentata di chiedere se potesse sapere qualcosa, ma poi si fermava disperata. 

Come poteva pretendere che qualcuno sapesse chi era suo padre tramite solo un iniziale? 

“ E poi diciamocelo non sono una razza propriamente affabile e gentile. “

Troppo presa nel piangersi addosso non si accorse di un nano che, entrato qualche secondo prima, si mise al tavolo vicino a lei. Almeno fino a quando un uomo molto alto con una barba grigia non gli si sedette davanti.
Solo allora si riscosse guardandoli stupita. Erano molto diversi dal resto delle persone presenti.
L’uomo riusciva a vederlo bene in viso.

Sebbene fosse anziano, tutto in lui metteva Morwen in guardia.

“ E’ potente. Molto potente. “

Si ritrovò a pensare, irrequieta. Di fianco a lei, poco lontano, sedeva il nano. 

I capelli neri, con qualche striatura grigia, gli cadevano davanti al lato destro del viso, impedendo così alla ragazza di riuscire a vederlo in volto.

Morwen cercò di ascoltarli senza farsi notare.

Era veramente difficile con tutto il trambusto che c’era nella locanda. Riuscì a capire solo qualche parola qua e là.
Di una certa Erebor da riconquistare, di un trono, di una taglia che pendeva sulla testa del nano e di uno scassinatore.  Un miscuglio di parole che per lei non avevano senso. Poco dopo l’uomo anziano si congedò dal nano che rimase solo, perso nei suoi pensieri. 

Morwen continuò a fissarlo cercando di vedere il suo viso, incuriosita.

«Ehi dolcezza.. ti va di unirti a me?» 

Un odore nauseante di alcool, fumo e sudore la invase. La ragazza alzò di scatto la testa, disgustata.
Ned, un uomo viscido che ci aveva provato con lei e con sua sorella innumerevoli volte, le sorrideva in maniera raccapricciante. 

«Sparisci Ned» sibilò voltandosi di lato, cercando di non vomitare al puzzo che emanava. 

Rimase spiazzata nel ritrovarsi a fissare gli occhi più belli che avesse mai visto.
Erano freddi e duri come il ghiaccio, ma Morwen era consapevole che doveva esserci ben altro dietro a quello sguardo apparentemente senza emozione. 

«Su non farti pregare» insistè l’uomo, abbassandole il cappuccio e tirandola verso di sé «lo sappiamo tutti in città che ti concedi facilmente» 

Presa in contropiede la mezz’elfa si ritrovò appiccicata a quella feccia umana, il braccio bloccato nella sua morsa. Rossa di vergogna ed imbarazzo cercò di strattonarsi, inutilmente. 

La ragazza era molto più bassa e piccola di lui. Ma che cavolo aveva intenzione di fare quell’idiota? 

Non sapendo che altro fare, portò di scatto il braccio sinistro verso la cintura nascosta parzialmente dal mantello.
Prese il piccolo pugnale che portava sempre con se e, con un gesto fulmineo, lo portò alla gola dell’uomo.

«Ehi voi due.. non voglio guai qui» urlò l’oste, dopo alcuni attimi di interminabile silenzio.

Ned sorrise falsamente, alzando le mani al cielo. Morwen digrignò i denti, furiosa. 

Abbassò riluttante l’arma e, velocemente, raggiunse la porta del Puledro Impennato. 

Le persone, che avevano fissato incuriositi la scena, tornarono a parlare tra loro a bassa voce, dimenticandosi quasi subito dell’accaduto. 

Prima di varcare la soglia Morwen, istintivamente, si girò verso l’interno della locanda. 

Ned, seduto ad un tavolo, rideva con un altro uomo dandole le spalle. Ma lei quasi non lo vide. 

Cercò lo sguardo del nano. Ci mise solo un attimo a trovarlo. Lui difatti la stava fissando, imperturbabile. Imbarazzata la mezz’elfa si affrettò ad uscire, tirandosi su il cappuccio. 

Prese a camminare velocemente verso casa, mentre la pioggia le inzuppava nuovamente i vestiti. Fortunatamente la strada fu tranquilla e, dopo poco, si ritrovò al sicuro nel suo letto. 

Ringil dormiva serena poco lontano da lei. Evidentemente l’incubo quella notte la stava lasciando in pace.
Mow, immersa nell’oscurità, puntò lo sguardo al soffitto, aspettando di cadere tra le braccia di Morfeo. 

Si addormentò dopo quelle che le parvero ore, accompagnata dall’immagine di quegli occhi.

 

 

Hobbiville 26 aprile 2941

 

 

«Ehi! Sto parlando con te» Ringil la fissava accigliata.

La ragazza si riscosse dai suoi pensieri e le rivolse un sorriso stanco.

«Scusa Rin, che stavi dicendo?» chiese tornando ad osservare i nani che avevano appena finito di cantare. 

«Ti stavo chiedendo cosa ci trovi di tanto simpatico» sbuffò la sorella. 

Morwen le sorrise a mo’ di scusa e aprì la bocca pronta a risponderle, ma qualcosa la trattenne.

Qualcosa di freddo e solido le si era posato vicino alla gola. Girò la testa spaventata, mentre la sorella soffocò un urlo. 

«Tu» sentì una voce dura e fredda, che già conosceva, provenire dalla persona, o meglio dal nano, che le stava appoggiando lievemente una spada alla gola.

«Cosa diamine ci fai qui?» sibilò la figura, puntandole addosso gli stessi occhi glaciali che aveva osservato il mese scorso, a Brea.

La mezz’elfa dai capelli argentei restò zitta, troppo stupita per riuscire ad emettere qualsiasi suono vagamente comprensibile. Ringil si riscosse dallo spavento e, in un istante, prese il suo amato arco e incoccò una freccia, indirizzandola verso il nano. 

«Siete pregato di allontanare immediatamente l’arma dalla gola di mia sorella» esclamò tagliente.

In quel preciso momento la porta di casa Baggins si aprì e uscirono l’uomo vestito di grigio e il piccolo hobbit. 

«Che sta succedendo?» chiese quest’ultimo, spaventato.

«Vorrei saperlo anche io» rispose il nano guardingo. Abbassò la lunga spada, lasciandola però ben salda nella mano destra, pronta ad essere usata. 

Morwen, che fino a quel momento aveva trattenuto il fiato, tornò a respirare normalmente, sentendo la pressione sciogliersi piano.

«Noi… stavamo solo guardando» la voce della mezz’elfa era tesa, lo sguardo non si allontanava da quello sospettoso del nano, mentre la mano si andava a posare lentamente sull’elsa della spada. 

Aveva notato infatti che lui non aveva rinfoderato l’arma e ciò non le piaceva affatto.
Lo stesso identico pensiero attraversò la mente di sua sorella che abbassò solo leggermente l’arco. 

«Suvvia non c’è bisogno di agitarsi tanto» esclamò infine il vecchio vestito di grigio, dopo interminabili secondi di silenzio «Bilbo perché non accompagni Thorin Scudodiquercia dagli altri membri della compagnia, mentre io scambio qualche parola con le due fanciulle?» anche se un accenno di sorriso gli solcava le labbra, il tono deciso non ammetteva repliche.
Lo hobbit si affrettò ad annuire entrando in casa, seguito subito dopo dal capo della compagnia, non prima però di aver fulminato con gli occhi le due mezz'elfe. 

Appena la porticina verde si chiuse l’uomo si girò verso loro, incredibilmente serio.

«Ebbene?»

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

Saaalve (si sono viva)… mi spiace di essere sparita per mesi, ma non riuscivo a continuare, non so nemmeno bene io il perché. Mercoledì sono andata al cinema a vedere BOFA e ho dovuto riprendere in mano questa storia. E’ l’unica cosa che mi resta per non cascare nella depressione più profonda. Insomma è finito tutto, dopo 15 anni… ancora non riesco a realizzarlo. 
E quindi niente, si continua. Mi auguro che vi sia piaciuto il capitolo.

Spero di aggiornare più spesso (tempo permettendo)
Bacio yukiko.

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