My little Siriah.

di DontCallMeNicole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Her president. ***
Capitolo 2: *** Alexandra. ***
Capitolo 3: *** New name. ***
Capitolo 4: *** Beautiful monster. ***



Capitolo 1
*** Her president. ***


Siriah non si era mai sentita così vulnerabile, quello che aveva sempre afflitto agli altri le si era rivolto contro.
Simon o meglio Simone Bosetti, la sua vecchia fiamma, le aveva sparato all'addome lasciandola in fin di vita. Immobile come una statua  il ragazzo rimase a guardarla, lei dolente a terra, lui imperturbabile dinnanzi al corpo sanguinante della fanciulla.
L'associazione a delinquere di cui la ragazza prese parte l'aveva trasformata in un mostro, e adesso quel mostro era in fin di vita. La squadra di Siriah arrivò troppo tardi, non riuscì ad evitare l'accaduto, eppure Noah il suo compagno, corse verso il corpo inerme. Dopo due minuti, un passante li trovò e chiamò l'ambulanza, la quale arrivò in una decina di minuti.
Ma quando arrivarono trovarono solo una ragazza stesa a terra in mezzo ad un lago di sangue, senza nessuno, completamente abbandonata al suo destino.
Giorni dopo Siriah si ritrovò stesa sopra un letto d'ospedale; amanettata al letto, con una garza intorno al busto, una flebo al braccio, e un mal di testa atroce.
La ragazza si guardò attorno, era sola, ma si rese subito conto che la manetta era troppo stretta, e che era in trappola.
Non c'era Noah, non c'era Cristhy, non c'era il presidente, l'avevano abbandonata. Meglio Siriah che loro avranno pensato.
Entrò un'infermiera che scacciò i pensieri della ragazza. Aveva capelli biondi legati in due code laterali, era molto giovane, avrà avuto vent'anni, ma con un viso tremendamente familiare. -Siriah, ben svegliata- disse, lasciando intravedere un brillantino sul canino destro. - Sai il mio nome? Ti conosco?- domandò la fanciulla, agitandosi. -Sono stata mandata dal presidente, vogliono che ti porti via. A proposito sono Alexa.- A Siriah sembrò di avere lo stomaco in subbuglio, la sua famiglia aveva già trovato un modo per farla scappare.
-Piacere- disse la mora, squadrando la donna.
L'infiltrata si avvicinò a Siriah, le tolse la flebo e la manetta.
-Aspettami qua, vado a prendere una sedia a rotelle-. La fanciulla annuì e si mise a sedere con fitte e dolori lancinanti allo stomaco e al polso. La bionda tornò poco dopo, l'aiutò a salire sulla sedia a rotelle, le coprì il busto con una coperta di lana e la spinse fuori dalla stanza.
-Fai finta di niente, non dare nell'occhio, non guardare nessuno, l'auto del presidente ci aspetta nel giardino sul retro- bisbigliò la donna all'orecchio di Siriah.
Non esisteva posto peggiore per scappare. Sembravano passate ore intere per raggiungere quel giardino colmo di alberi spogli.
-Presidente- sussurò la donna, chinando leggermente la testa verso terra.
Siriah non sollevò lo sguardo, lei non si chinava mai dinnanzi all'uomo.
Il presidente scese dall'automobile, la donna lo cominciò a squadrare quasi ipnotizzata dalla sua bellezza. Un'uomo anche lui sulla ventina, attraente, dai capelli mori, e dalla barba incolta ma dall'aspetto signorile, Siriah aveva quasi diciotto anni, sapeva di essere troppo giovane, ma quando il presidente la guardava ostinatamente provava un velo d'imbarazzo, come se quell'uomo potesse provare un'interesse segreto per lei. -Siriah, accomodati pure- disse il presidente, con un gesto di mano che indicava la portiera dell'auto.
La ragazza cercò di alzarsi, ma il dolore era lancinante, provò e riprovò, ma si arrese dopo svariati tentantivi.
-Non riesco ad alzarmi- mugolò, stringendo i denti.
Il presidente si avvicinò alla sua spia preferita, la fanciulla più qualificata della sua banda ridotta in quello stato così "umano". L'uomo la prese delicatamente fra le braccia muscolose, lei come una farfalla nelle mani di un possente gigante.Siriah venne posata nel sedile posteriore, il presidente si sedette accanto a lei, e attese che l'infiltrata chiudesse la portiera.
-Presidente, mi scuso per tutti i disagi che ho causato alla mia squadra e alla sua pazienza- disse la ragazza, rannichiandosi in se.
Lui non proferì parola, si avvicinò lentamente alla fanciulla e la strinse contro il suo petto. Siriah rimase paralizzata davanti a quel gesto improvviso, mai aveva potuto odorare così attentamente quel forte profumo maschile, mai si era sentita così al sicuro, nemmeno quando lei e Simon erano una coppia. -Non provare mai più ad andare contro un nemico disarmata- sussurrò il presidente.
In quel momento a Siriah la voce dell'uomo parve una dolce ninna nanna.
Lei aveva passato ormai quattro anni a difendere l'incolumità del ragazzo, eppure lui non aveva mai dimostrato così l'affetto che provava per lei.
Quella ragazza che aveva abbandonato tutto per servire l'organizzazione fondata da lui stesso.

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Capitolo 2
*** Alexandra. ***




Alexandra sedeva in silenzio sul divano della sua umile casa, leggeva un fumetto, era sola come sempre.
L'orologio che aveva al polso emise un acuto suono, erano le sette di sera, nessuno però era rientrato a casa. Sua madre e suo padre non erano tornati, e nemmeno suo fratello.


"Dove sei? Avevi promesso di tornare prima del tramonto".


Non era raro che la famiglia di Alex non si facesse viva, poteva anche sparire che a nessuno sarebbe pesata la sua mancanza.
La fanciulla decise così di aprire il computer portatile posato sulle sue gambe. Quando comparì la schermata iniziale, ella trovò un avviso riferito ad un'e-mail indirizzata a suo fratello Joy. Egli era poco più grande di Alex, all'epoca aveva sedici anni, lui era un ragazzo insolente e arrogante. Un giocatore di calcio sempre con giovani ragazze attorno, come se fosse un Dio, a lui non importava di nulla.
Alexandra esitò, sapeva a che cosa sarebbe andata in contro se solo avesse provato ad aprire la posta privata di Joy. Ma ad Alex in quel momento non importava, era curiosa, lei lo era sempre stata. Joy non l'avrebbe scoperta.


 "Voglio vedere".


La fanciulla entrò nell'archivio della posta, trovò quel messaggio evidenziato in cobalto, lì proprio davanti a lei, ed infine ci cliccò sopra.
Lei non era una ribelle senza cervello, sapeva che entrare nella vita privata di qualcuno era sbagliato, ma in quella casa gli sbagli regnavano sovrani.
Era da parte di un certo "Tommaso Olani", non l'aveva mai sentito, anche se di solito nella piccola città in cui abitava, tutti conoscevano tutti. Una città Italiana, proprio vicino al confine della Slovenia, era insignificante.
L'e-mail parlava di un gruppo di ragazzi, Tommaso invitò Joy ad entrarci, stranamente ribadì più volte che era un gruppo innoquo, fondato solamente per stringere solide amicizie. Questo chiese anche di invitare altre persone, che secondo Joy avrebbero gradito la compagnia.
Alexandra si illuminò, avrebbe potuto frequentare i più grandi, finalmente avrebbe potuto passare i pomeriggi non occupati dalle arti marziali con qualcuno, ma non doveva farlo sapere a suo fratello. Segnò solamente sopra ad un post-it il giorno e l'ora in cui il gruppo si sarebbe radunato.


 "Cancellerò il messaggio".


Con un semplice "click" eliminò la prova, chiuse il computer, e lo lasciò sul divano come niente fosse.
L'orologio ripetè il suono, erano le otto.


"Dove sono?".


Alex decise di controllare il cellulare, magari qualcuno aveva provato a cercarla, diede un rapido sguardo al telefonino, e subito dopo alzò gli occhi al soffitto. Vuoto, non una notifica, non una chiamata persa, non un messaggio, il vuoto più totale.
Un momento dopo, a porta d'entrata si aprì e venne sbattuta con forza, la ragazza si alzò dal divano, e andò a vedere chi fosse stato.
Joy, era tornato dagli allenamenti stanco e irritato, lanciò lo zaino contro la sorella che era venuta ad accoglierlo e si tolse la giacca di pelle lasciandola a terra. -Non rompermi!- sbraitò, per poi andare verso la cucina. Alexandra raccolse timidamente la giacca, e la appese, poi seguì il fratello.


"Scoprirà del messaggio, me lo sento".


-Non è andato bene l'allenamento?- chiese lei titubante.
 Joy stava ancora fumando di rabbia mentre prendeva una birra dal frigorifero, poi la sorseggiò seduto sopra al tavolo della cucina. Nella loro dimora non era difficile trovare alcolici, e non mancavano mai, nemmeno nei giorni feriali. -Sei diventata sorda per caso? Non rompermi mocciosa- disse lui, fulminando con lo sguardo Alex.
Lei annuì, e si ritirò nelle sua stanza, tappandosi le orecchie.
Suo fratello era al telefono con il padre, bestemmiava, urlava e lanciava i piatti. -Fate bene a non tornare credetemi, vaffanculo!- urlò per l'ultima volta.

Non salì. Rimase in cucina, non andò a scusarsi con la sorella, e non l'avvisò della mancanza dei loro genitori, in fondo lui non era un baby-sitter.
Alexandra si distese sopra al suo letto, aveva ancora con sé il post-it, lo teneva stretto fra le gracili mani.


"Mamma, dove sei? Avevi promesso".


 A notte inoltrata, mentre Alex si abbandonava al sonno, i suoi genitori tornarono a casa, e suo fratello si chiuse in camera.
Lei non poteva immaginare, non poteva immaginare di diventare Siriah, di diventare il numero 1512. Di uccidere quelle persone.

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Capitolo 3
*** New name. ***


Kndsbfr Un raggio di sole si era posato su Alex, provocandole un fastidioso bruciore agli occhi. Si affrettò ad alzare la mano, voleva chiudere quella dannata persiana.
-Walls, che succede?- riecheggiò nella quiete della classe la voce della vecchia profesoressa.
-Posso chiudere la persiana? Non riesco a scrivere- domandò Alexandra corrugando la fronte. L'anziana annuì, poi imperterrita continuò la sua lezione di Storia.
 -Dannate persiane!- sbuffò Alex, non riuscendo a maneggiare le funicelle. La compagna di banco la scrutava con i suoi occhi celesti.
-Vuoi una mano Walls?- chiese. La ragazza si voltò di scatto, quella ragazzina non le rivolgeva mai la parola, era tremendamente "snob".


"Devo essere proprio ridicola".


-Non sarebbe male McCarter- disse Alex, sfoderando un broncio che doveva assomigliare ad un sorriso.
La biondina si sollevò, e in pochi secondi le aveva abbassate, la castana invece si era seduta, sconfitta dalle persiane.
-Grazie- mormorò, mentre distoglieva lo sguardo imbarazzata. Dayana McCarter non rispose, era tornata a scrivere come se nulla fosse successo.
Alex quel giorno decise di indossare una vecchia maglietta di suo fratello; voleva sembrare più bella, era il giorno in cui il gruppo si sarebbe radunato, alle tre in punto, avrebbe conosciuto i suoi nuovi amici.
In fondo mancavano solo due ore alla fine delle lezioni, poi sarebbe andata verso il capannone abbandonato.


"Suona ti prego. Suona campanella".


Le sei ore si erano concluse, ma le sembravano passati degli anni. Alexandra prese velocemente lo zaino, e corse fuori dalla classe, senza salutare nessuno. McCarter, e tutti gli altri compagni la guardarono con una smorfia dipinta sul volto, loro erano tremendamente eccentrici.
In un primo momento Alex aveva creduto che fosse sbagliato andare in un capannone dimenticato, ma poco dopo ci ripensò e camminò più spedita di prima. Le persone di quel quartiere la fissavano con lo sguardo vuoto, era un quartiere malfamato, odiato dalla società, un po' come lei.
La sua meta alle origini, era una fabbrica. Nessuno si ricorda il prodotto che veniva fabbricato, ma era sempre stata sporca, e tetra. Si pensava che fosse infestata dagli spiriti, una leggenda davvero primordiale. Alexandra Walls si sforzava di sorridere, ma in realtà avrebbe voluto fare la retromarcia, e tornare a casa.


"Non mi accetteranno mai.".


Era arrivata dinnanzi alla recinzione; la fabbrica era macabra, scura, e silenziosa. Si stava pentendo della scelta, deglutì e decise di
scavalcare. Il recinto non era molto alto, ma era di un ferro arrugginito, e aguzzo. Mentre si arrampicava, si tagliò il palmo della mano, poi saltò, e atterrò in piedi.
Il sangue iniziò lentamente a fluire sul palmo, non era grave, ma poteva infettarsi.
-Fanculo!- imprecò, mentre soffiava sulla ferita, era un gesto inutile. Però fu interrotta da una voce profonda, mascolina, sconosciuta: -Tu saresti?-. Davanti a lei c'era un ragazzo dallo sguardo sinistro, si faceva avanti lentamente.
-Piuttosto dimmi tu chi sei- gli chiese Alex con la voce soffocata dall'angoscia. Lui ghignò, era inquietante, sputò a terra e non si degnò di rispondere.


" E adesso cosa faccio? Mi farà a pezzi".


-Tommaso! Così tratti la mia cara Siriah? Sei un bastardo, fattelo dire- sentenziò un'altro ragazzo, sbarrandogli il passo.
Alexandra non capiva, lo scrutava perplessa, ma non trovava un qualcosa che lo rendeva riconoscibile, vedeva solo quelle sinuose spalle coperte da una giacca nera. Era smarrita, ma non poteva rimanere in quello stato troppo a lungo, l'avrebbero senz'altro divorata.
-Esatto, vergognati- disse, cercando di assumere un tono noncurante.
Il ragazzo che l'aveva salvata rise e si voltò verso essa; era incantevole, Alexandra non poteva scostare gli occhi dal suo volto.
Aveva occhi color smeraldo, una capigliatura corvina, un radioso sorriso, e un buco all'orecchio. Sul suo volto non compariva nemmeno un'imperfezione, era simile ad un arcano Dio Greco.
-Scusa Simon, immaginavo Siriah diversa... Ma tolgo il disturbo- dal tono si capiva che Tommaso era sorpreso quanto la povera Alex.
Il ragazzo dai capelli corvini seguì Tommaso con lo sguardo, finché non entrò all'interno della fabbrica, poi si avvicinò ad Alexandra.
-Chi sei tu? Perché mi hai chiamato Siriah?...- Alex non finì di porre le sue domande, Simon le aveva impedito di continuare a parlare portandosi l'indice alle labbra.
-Ti conosco, sei Alexandra Walls, la sorella di Joy Walls. Tuo fratello ha ricevuto l'invito vero? Bene, hai salvato la vita a quel cretino. Io e lui andiamo agli allenamenti insieme- disse il ragazzo.


"Ho salvato la vita a Joy? Perché?"


-Perché Joy era in pericolo?- farfugliò Alex, sgranando gli occhi. Alexandra era confusa, troppi perché senza risposta. Si era completamente scordata del taglio alla mano, si era momentaneamente scordata di tutto.
Simon sorrise: -Joy Walls ha picchiato a sangue il fratello del presidente. Oggi il presidente ha deciso di mandare noi per farlo fuori, l'e-mail era un'esca. Tuttavia, io immaginavo che saresti venuta. Lui mi ha detto che sua sorella è un'impicciona, ha detto che curiosa spesso nel suo computer. Così ho deciso che Siriah sarebbe stata la tua copertura, d'ora in poi tu sarai Siriah, la nuova recluta-.
-Da quando in qua uno sconosciuto decide di reclutarti?! Perché dovrei entrare in una banda di criminali?! Non sono stupida, Simon. Fottiti!- urlò lei.
Lui avvicinò il viso a quello di Alex, li dividevano solo pochi centimetri, i loro nasi si sfioravano, i loro profumi si fondevano.
-Ti conviene o vivrai al massimo altri due giorni- sussurrò lui ghignando. Probabilmente il giovane godeva nel vedere il rossore della ragazza.
-Adesso sei Siriah, una ragazza intenta ad allenarsi giorno e notte per divenire una spietata assassina, ma tranquilla mia cara; sarò io il tuo mentore- aggiunse lui allontanandosi.
Il cuore di Alex ricominciò a pulsare, il sangue le tornò a circolare nel corpo, rianimandola, nessun ragazzo le si era mai avvicinato tanto, nemmeno suo fratello: quell'idiota di suo fratello.
-Aspetta!- brontolò lei, correndogli goffamente dietro.
"Che cosa mi sta accadendo?".

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Capitolo 4
*** Beautiful monster. ***



-Non basta!- ruggì Simon.
La vide con l'occhio destro, mentre cercava di ripulirsi del sangue che colava lungo la guancia.
-La mia faccia! Mi ucciderai così- disse lei, con terrore improvviso. Simon non era impressionato, probabilmente era stato anche lui una recluta anni prima, sapeva cosa faceva, sapeva che avrebbe fatto soffrire la ragazza.
Siriah non tornava a casa da settimane, dormiva e viveva nella catapecchia che il presidente le aveva concesso "cordialmente".
Non sapeva nulla di Joy e dei suoi genitori, Simon le aveva gettato il cellulare nel fiume vicino al tugurio. Ogni comunicazione fu tagliata, cancellata, rimossa.
Quando il ragazzo dai capelli color inchiostro propose al presidente di accogliere Siriah, lui non accettò immediatamente, e per un momento, sembrava aver dubitato anche della sincerità di Simon. Ma il leader poche ore dopo cambiò totalmente idea.
Quattro giorni dopo, l'uomo diede il consenso per effettuare l'addestramento della ragazza. Doveva imparare a colpire, non per autodifesa, non per hobby, ma per uccidere. La formazione avveniva nel giardino posteriore di quella casa che cadeva a pezzi.


"Non ho mai visto questo presidente, perché dovrei fidarmi di lui?"


Il cuore di Siriah ebbe un sussulto. Simon si stava avvicinando di nuovo. Durante gli addestramenti, l'aveva percossa, l'aveva colpita tanto forte da farla cadere, e da farla sanguinare. Si aspettava una risposta, voleva vederla reagire, ma lei non ci riusciva, era solo capace di rimanere immobile, tremante, e impaurita.
L'avrebbe messa alla prova ancora, lei ne era certa.
-Sei capace di fare qualcosa? Sei una dannata ragazzina incapace- sbraitò lui, sollevando un sopracciglio, era sempre più vicino alla mora coricata a terra. La metteva alla prova, quelle parole erano solo uno stimolo.
Siriah non sapeva che fare, le sue mani vagavano sul terreno impregnato d'acqua, cercava disperatamente qualcosa che potesse aiutarla.


"Stupido addestramento".


Tastando il terreno trovò un vecchio coltello. Non aveva mai osato minacciare qualcuno con un'arma, ma in quel momento era necessario.
Raggiunse con i polpastrelli il manico, doveva allungarsi di più, era impossibile stringerlo. Simon intanto le prese con forza il polpaccio, tirandola man mano verso sé.
Siriah allora si allungò ancor di più verso il mezzo, ansimava, mugolava, poteva farcela. Dopo dolenti sforzi impugnò la sua salvezza. A denti stretti si rialzò, applicò le regole apprese durante gli altri scontri, posò la lama sul collo pallido del ragazzo e si sedette sopra le sue gambe.
-Prova a muoverti inutile pezzo di carne, e la ragazzina ti manda all'inferno- ringhiò Siriah, erano parole difficile da ripetere, ma essa le sputò come veleno.
Con una mano lui le cinse il fianco, poi sorridendole le pulì la guancia con il pollice.
-Non sorridere idiota, sono armata!- insistette lei.


"Cosa sto facendo? Sono impazzita per caso?"


Lasciò cadere il coltello a terra, poi si alzò.
-Sei bellissima, Siriah- Simon non poteva negarlo, anche se in quel momento era inopportuno, lui lo disse, fregandosene di tutto.
-Idiota. Vado dentro, puoi anche andartene- ordinò lei, trattenendo i singhiozzi.
Simon se ne accorse, aveva avuto le stesse reazioni molto tempo prima, ma se ne andò senza dire nulla. Siriah voleva stare sola, quelle settimane la stavano rendendo una creatura orribile, una creatura senza sentimenti, senza rimorsi.

"Non devo piangere, no. Io sono Siriah, non sono più l'innocente Alexandra Walls."

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