Wounds like crown

di Mirajade_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** We could be... ***
Capitolo 2: *** Can’t be one of them... ***
Capitolo 3: *** We are a different kind... ***
Capitolo 4: *** Into my heart... ***
Capitolo 5: *** Breaking the silence... ***
Capitolo 6: *** Brave enough to love you... ***



Capitolo 1
*** We could be... ***


Halfvital
   We could be...

-Mamma, perché papà non torna?- mani pallide e dalle lunghe dita erano impegnate nell’intrecciare i capelli chiari di una bambina.
Una ragazzina diversa. Si riscaldava davanti ad un caminetto come a cercare una fonte di calore. Si fissava le mani cercando di vedere la differenza tra la sua pelle e quella degl’altri.
“Guarda com’è pallida”
Non poteva uscire e giocare con gli altri. L’avrebbero guardata strana, le avrebbero detto che lei era cattiva, diversa, non umana.
-Papà fa una lavoro molto faticoso- rispose la donna finendo di intrecciare una ciocca di capelli, mentre gli occhi rossastri assumevano un’espressione malinconica.
-Quale?- chiese la ragazzina. Guardandosi la lunga treccia che strisciava sul pavimento come un serpente snello. Quei capelli di un biondo così pallido che si distinguevano difficilmente dalla pelle, erano luminosi e molto lunghi. Una cascata mossa di fili avorio che si infiltravano tra le dita sue e di sua madre. Onde morbide che incorniciavano un  viso magro e perfetto.
La madre ebbe un fremito alla domanda della figlia. Non sapeva come risponderle.
-Lui protegge la gente- iniziò – Li aiuta a prendere la strada giusta; li salva dall’essere malvagi. Lotta per la pace e l’amore- terminò ,sospirando tra una pausa e l’altra.
-L’amore non esiste mamma- ribatté in un suono dolce la bambina – Tutti se ne vanno via e ti abbandonano. L’amore non è un semplice abbraccio o carezza; l’amore è soffocare ad ogni respiro, ansimare per la confusione e per la felicità. E’ un unione che in questo mondo si rivela tante volte falsa, costruita su un castello di bugie - prese a giocare con un piccolo specchietto che aveva preso sua madre per farle vedere poi il risultato del lungo lavoro d’intreccio.
Fissò il suo riflesso. Il viso magro e pallido, scavato e delineato dagli zigomi; labbra sottili e di un rosa tenue; occhi di un grandezza normale e dalle iridi rubino. Occhi di lava che stonavano sulla figura angelica di perla. Gli occhi erano l’unica cosa che aveva preso dalla madre. Una donna debole, una costruttrice di bugie su bugie… eppure lei l’amava. Era pur sempre la donna che l’aveva tenuta per nove mesi in grembo, la donna che aveva  lottato per far crescere la propria figlia nella pace più totale, senza un padre.
La donna che adesso la guardava perplessa per le parole appena pronunciate da una bambina di pochi anni.
Il tempo si fermò, persino il crepitio del fuoco sembro cessare quando dalle sfumature aranciate divennero blu. Fiamme blu che danzavano e che sembravano ridere beffarde.
La donna tirò indietro la figlia mentre il corpo iniziava a tremare.
Le fiamme si espansero, sempre più forti.
-Vostra figlia è bellissima!- una voce sibilante e stridula si fece spazio nella stanza .Proveniva da una figura dietro la donna mora.
La casa iniziava a bruciare, la madre della bambina a correre per un via d’uscita. sembrava tutto bloccato. Erano nell’abbraccio della morte. La donna strinse la figlia costringendola  a far sprofondare il viso nel suo maglione, pregando mentre assisteva ad un’altra distruzione. L’ultima risaleva a sei anni fa. “La notte blu”.
-Stai lontano!- urlò la donna straziandosi le corde vocali.
Il dio degl’inferi rise. Rise forte.
-Quella bambina… è un pericolo!- altro urlo.
-Stai lontano, Satana! O giuro che ucciderò te e la tua sporca dinastia!-
Altre risate e iniziò un assalto. Satana si avvicinò velocemente alle due figure mentre i singhiozzi della bambina impaurita si facevano sentire.
-Nathaliel, scappa- sussurrò tremante all’orecchio della bambina, la donna. La spinse via incitandola a scappare in un'altra stanza.
Nathaliel scappò via, piangendo impaurita, rifugiandosi nella propria stanza. Chiuse la porta e si accucciò tremando e piangendo di paura mentre il sottofondo del crepitio delle fiamme e delle urla di sua madre si facevano sentire. Quello era un mostro, un uomo sanguinante e ricoperto di fiamme.
Si guardò di nuovo la pelle, sentendo una fastidiosa sensazione. Era luce, luce pura, lei s’illuminava dando vita a fasci di fievole luce mentre la pelle si spaccava e si crepava. Altra luce.
Urlò e chiuse gli occhi. “E’ solo un incubo” si ripeté mentre si strofinava le braccia come per far scomparire le crepe. Sentì due strappi all’altezza delle scapole, una sensazione simile a quelle delle cicatrici cucite e riaperte violentemente.
Altre grida questa volta più strazianti.
Sua madre stava morendo, lentamente e agonizzante e lei non poteva fare niente.
-Mamma- sussurrò singhiozzando –Papà, dove sei?- si chiese mentre pensava alle parole precedenti. “Li salva dagl’esseri malvagi”; allora perché non era lì? A uccidere quel mostro. Perché non era lì con lei,promettendole che l’avrebbe protetta a costo della sua stessa vita?
Sentì una strana presenza. Un’ aura scura e innocua.
Alzò lo sguardo e si ritrovò faccia a faccia con delle iridi smeraldo ristrette accompagnate da un sorriso irritante. Si spaventò di quella figura strana quanto inquietante. Notava che non era un semplice umano: i denti erano troppo aguzzi, le orecchie troppo a punta e le iridi troppo piccole; vestiva in una maniera sgargiante e poco adatta alla sensazione di turbamento che trasmetteva: cilindro bianco con decorazioni rosa, abbinato a una strana giacca dello stesso modello dei pantaloncini bianchi che coprivano delle gambe sotto uno strato di calze a righe rosa e porpora, per poi terminare con un paio di stivali porpora.
-Chi sei?- chiese Nathaliel con gli occhi imperlati di lacrime.
-Non ti preoccupare, darling, ti aiuterò io. Scappiamo dall’uomo cattivo- porse una mano guantata alla bambina che accettò, seppur titubante.
-E la mia mamma?- chiese
-La tua mamma…- pensò velocemente fissando la porta dietro la bambina e iniziando a intravedere i primi barlumi bluastri da sotto –Ti ha voluto bene- detto questo la prese in braccio ,scomparendo nella luce del giorno, coperta da strati spessi di nuvole.


Little Wonderland
Heilà! Piacere, io sono Altariel_Jade. :3
Questa è una mia nuova FF :D Essendo da poco nel fandom non so minimamente se esistono altre storie del genere, in questo caso vi prego di avvertirmi ^^'.
Spero che vi piaccia.
Lasciate una recensione per dirmi cosa ne pensate, mi curerò di rispondere nei prossimi capitoli (credo... vedrò XD)

P.S Gli aggiornamenti possono avvenire dopo secoli... in quel caso datemi per deceduta o in vacanza *-*

 

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Capitolo 2
*** Can’t be one of them... ***


*i flashback sono scritti in terza persona

Halfvital
Can’t be one of them...

La stanza è silenziosa. Osservo il fuoco, le sue fiamme danzati, il suo mistero irrisolto; lo guardo e rabbrividisco, il solo crepitio interrompeva quell’aria di silenzio; un rumore scoppiettante, orribile.
Troppi ricordi che mi scivolano addosso, mi lacerano sopra come chicchi di grandine, scivolano velenosi come acido sulla pelle, graffiano e solcano come spine. E io vado sempre a finire sotto quelle torture.
Osservo fuori dalla vetrata dello studio, osservo le luci della città, la vita di quegl’umani che passa velocemente. La vita che non ho mai potuto avere. I Coal Tar che volano.
Ogni volta, quando la situazione si fa critica per il mio tutore, vengo trasferita in chiese, monasteri, campi di addestramento per esorcisti, e così via, contro la mia volontà. Perché non ne hai, volontà, quando il tuo “padre” adottivo è un demone. Un demone che riesce ad accavallare scuse su scuse come se fosse la cosa più normale, come “Ti spedisco lì per farti migliorare con i tuoi allenamenti di Aria” oppure “Se vuoi essere una vera Knight devi conoscere ogni singola arma da taglio e saperla usare”.
Ma non vengo mai, e ripeto mai, allenata in scuole preparative per esorcisti. “Troppe missioni, troppa gente, troppe distrazioni… non fa per te”.
In questi ultimi mesi la questione del partire è diventata più pesante e grave. Ero stata avvertita che il re di Gehenna sarebbe comparso in presto e che io ero quella più ricercata insieme ad altri, allora sono stata mandata in qualche angolo sperduto in India da una sacerdotessa-esorcista che non faceva altro che parlare delle sue divinità e delle varie forme umane di un angelo, raccontando con maestria e teatralità la storia di quattro, si fa per dire, essere alati che portavano pace e amore. E allora io mi chiedevo se posso definirmi, in parte, una di loro. Non sono calma, non sono pacifica, sono aggressiva, furba, manipolatrice… qualità troppo sporche che non si addicono ad un angelo.
Come se io volessi esserlo… voglio diventare un’esorcista: uccidere, demoni e angeli… diventare la prima esorcista ad aver ucciso angeli con le sue stesse mani… verrei forse condannata a qualche tortura, non so, ma solo perché gli umani, gli esorcisti, vedono e si ispirano al lato buono delle cose.
I demoni sono malvagi, gli angeli sono buoni… come no.
So come reagiscono gli esseri divini, so come si trasformano, come diventano… so che i demoni non sono nulla in confronto alla malvagità velata degl’angeli.
-Mephisto- sussurro. Facendo volgere lo sguardo del mio tutore su di me. Mi lego velocemente i capelli in una coda laterale come per evitare di nascondermi sotto quei lunghi fili avorio. Fisso il demone, che con fare curioso mangia un pacco di marsh-mellow sulla sua poltrona –Voglio iscrivermi alla scuola preparativa- dico. Non è la prima che glielo chiedo, ma oggi volevo chiederlo di nuovo, cercando di convincerlo, di fargli il capire il perché di quella scelta, doveva capire.
-Thalia, darling, non ne hai bisogno- dice sogghignando. Mi vedo pronta a sentire il suo discorso sulle mie abilità innate, quindi cerco di interromperlo.
-Si che ne ho bisogno.- ribatto -Hai detto che il male è passato, che Satana non si farà vedere per un po’… ed io non ho ancora trovato mio padre- dico in uno sguardo serio, duro e inespressivo. Mio padre, il mio “amato” padre… quello che ha lasciato me e mia madre da sole, che è scappato e se ne andato lasciandoci nel vuoto del pericolo e delle fiamme blu –Voglio trovare mio padre, voglio diventare un’esorcista, una VERA esorcista… non voglio essere sbattuta in ogni angolo del mondo per “perfezionarmi”. Voglio partecipare a delle missioni, voglio perfezionarmi in ogni materia, lo voglio- continuo in uno scatto d’ira.
Mephisto mi guarda, indaga sulla mia espressione, sulle mie intenzioni, tace.
-Voglio ricordare il volto di mia madre… non ricordo più come era fatta! E non voglio ricordarla da sola…-
Aspetto la sua sentenza, la sua risposta.
-Ne riparleremo dopo, sweetheart, adesso controlliamo le suture- vorrei urlare, cazzo. Mi sono preparata tutto un discorso e lui lo devia con un velo pietoso di “ne parleremo dopo” e “controlliamo le suture”. Vorrei sapere perché ogni volta fa così, amore paterno?Preoccupazione? O semplicemente ci tiene a me perché sono la sua arma più importante? Non lo so.
Sbuffo, e in un movimento veloce, un arco riflesso lo definirei, mi tolgo la felpa grigia rimanendo soltanto con l’intimo. Non provo vergogna, mai provata con Mephisto, e neanche di questo so il perché però ho dedotto delle ipotesi come… “E’ gay” o…. basta, è l’unica ipotesi che ho fatto da quando lo conosco.
Mi avvicino a lui mostrandogli la schiena dove, all’altezza della scapole, due ferite richiuse non hanno intenzione di rimarginare e dolgono. Si aprivano e si chiudevano ogni volta e non era una delle sensazioni migliori, per questo Mephisto mi ha assicurato di mantenerle chiuse con una sorta di sortilegio.
-Quando cresceranno?- gli chiedo come sempre. Sperando che un giorno mi avrebbe dato una risposta differente da…
-Non lo so-
Lo sento sfiorarmi le suture, sussurrare parole demoniache mentre la sensazione di cicatrizzazione si fa sentire.
Dopo anni che i miei poteri si sono mostrati le ali non intendono crescere, ho sempre pensato che fosse perché non ho migliorato nell’uso del mio dono ma sono sicura che la crescita non era dovuto a quello.
Un giorno le avrei avute, morbide e flessuose ali avorio, o bianche, o nere. Ali cosi sottili da muoversi ad ogni respiro e forti da farmi librare nell’aria, farmi sentire libera.
Quando stavo in India mi era stato raccontato qualcosa sulle manifestazioni delle ali divine: c’erano angeli che portavano ali grandi come edifici di pochi piani e che al solo richiudersi formavano spostamenti d’aria violenti, quelle ali crescevano  soltanto ai guerrieri, ai succubi dei propri ordini, marionette danneggiate, che avrebbero fatto di tutto, avrebbero seguito gl’ordini alla lettera.
Poi , c’erano, quelli dalle ali fuse ai propri bracci, come volatili. Angeli liberi il cui loro destino era solcare giorno e notte i cieli per controllare la vita mondana.
E, infine, quelli dalle ali morbide, non troppo grandi ma divine in tutto e per tutto. Erano descritte come ballerine di danza classica nelle parole della sacerdotessa-esorcista che mi aveva raccontato quelle storie.
Descriveva ali leggiadre che quando si richiudevano si stringevano fra di loro prendendo la forma e gli incavi della schiena dell’angelo.
Ma esistevano anche altri tipi di ali, ali morte, ali vive, ali marmoree… tutte quante un serie di piume che marchiavano il destino d’ognuno.
Mephisto toglie le mani dalla mia schiena e mi lascia alzare. Mi rivesto velocemente furiosa per la sua risposta non data e mi dirigo verso la porta.
-Te lo chiedo per favore- quasi sibilo – Pensaci, ok?- esco non aspettandomi una risposta. Guardandomi la punta delle dita. Crepe.
 
-Mephisto Pheles?- ripeté la bambina strofinandosi gli occhi con un mano.
-Esattamente, scricciolo, Mephisto Pheles demone e esorcista, cavaliere onorario per l’esattezza- si elogiò l’uomo – Nonché tuo salvatore- si strofinò le dita sulla giacca in maniera egocentrica mentre lasciava intravedere tutta la sua altezzosità.
-Dov’è mia madre? E perché mi sto rompendo?!- la bambina prometteva di piangere cosa che fece stare in allerta il demone il quale non sapeva minimamente come comportarsi con i bambini. Erano semplici involucri di carne, ossa e pelle, frignoni , ma la bionda davanti a se era diversa, un semi-angelo con i poteri attivi in circolazione. Quando aveva saputo che stavano ricercando un essere per metà divino non pensava ad una bambina inesperta della sua natura.
-Darling…- iniziò – la tua mamma è morta- forse era stato troppo duro, senza il minimo tatto. Si morse il labbro, non sapeva minimamente come parlare in modo gentile ad una bambina a cui pochi secondi fa veniva sbattuta in faccia la dura verità senza esitazione.
Nathaliel pianse silenziosamente, guardando il pavimento della stanza del demone.
-Ehi, ehi non piangere- iniziò Mephisto entrando nel panico mentre si muoveva in modo confuso e disperato. “Forse devo portarla dal prete” si disse mentre guardava la bambina. Ma non poteva portarla da Shiro Fujimoto, lui doveva pensare a un semi-demone e non poteva presentarsi con una bambina che era il perfetta contrario di quel ragazzino, chissà cosa sarebbe successo. Fiamme blu e luci appariscenti incontrollabili che si sfidavano. No, non poteva farlo e poi Nathaliel gli serviva –Non pensarci, ok? Tua madre mi ha detto di dirti che ti voleva bene-  disse sorridendo imbarazzato – E che adesso e vicina al tuo papà-
-Mio padre?- chiese asciugandosi le lacrime e guardando il demone quasi meravigliata.
-Esattamente, darling. Tuo padre- sospirò. Come avrebbe spiegato che suo padre non era umano? –era un… angelo- strizzò un occhio aspettandosi una reazione della bionda che però si limitò a guardare ammirata il demone –Un angelo forte- continuò a mentire –Ecco perché ti stai rompendo- rispose alla domanda precedente usando i termini più semplici che conoscesse –Hai un grande potere…- assunse un’espressione interrogativa.
-Nathaliel- sussurrò la bambina
Mephisto sorrise o ghignò, non si riuscì a capire.
-E tu sei un demone?- chiese la bambina pensando al modo in cui si era presentato il suo nuovo “amico”.
-Esattamente Thalia, darling- rispose
-Sei cattivo come gl’altri? Gl’altri sono cattivi- la bambina fissò il demone che si meravigliò di come un’ angelo potesse avere delle iridi così rosso cremisi. Un colore quasi maligno. E rimase più meravigliato quando capì che lei poteva vederli, poteva vedere i demoni… anche senza il masho.
-No, non lo sono- sorrise sincero, per la prima volta sorrise sincero ad un angelo.
 
Non voglio tornare nel mio appartamento, in questi ultimi giorni ci sto troppo là dentro, rinchiusa con le mie paranoie  e la monotonia. Quando mi trovo all’Accademia è tutto un andirivieni per lo studio di Mephisto e l’appartamento.
Da piccola, invece, mi aggiravo tra i corridoi degl’alunni, uscivo fuori da quell’edificio a passeggiare, una bambina di pochi anni che non sapeva come far passare il tempo e che, molto spesso, veniva fermata dalle ragazze degl’ultimi anni che amavano i bambini. La bambina dagl’occhi di fuoco e i capelli pallidi; dalle guance rosee e la vocina bassa.
Ora adesso mi detesto, odio la mia magrezza, le iridi, ora, troppo rosse, la pelle di porcellana troppo pallida e i capelli che per poco non si mimetizzano ad essa.
Non importa.
Allungo la manica della felpa in modo da coprirmi il palmo delle mani mentre le mie gambe iniziano a rabbrividire per un piccola folata di gelo proveniente da un finestra. Forse non dovrei uscire a quest’ora con dei miseri pantaloncini ma ormai i miei piedi, nelle converse, hanno iniziato a muoversi con fare lento.
Guardo l’ora da un orologio, vecchio stile, appeso ad una parete. Tra un’ora esatta ci sarebbe stato il coprifuoco, devo sbrigarmi.
Finalmente, dopo dieci minuti esatti, riesco ad uscire da quell’edificio dopo aver passato in mezzo a classi deserte e corridoi brulicanti di gente intenta a parlare di verifiche e test e che di tanto in tanto si voltavano verso di me, strofinando il loro sguardi lascivi e sporchi su di me.
“Gli uomini farebbero qualsiasi cosa per ottenere una cosa” mi aveva detto  una volta Mephisto, mentre guardavamo un film, se non sbaglio Mean Girls o una cosa del genere. Uno di quei film sui liceali americani che vogliono solamente una cosa. Sesso.
“Cosa?” gli avevo chiesto e lui era arrossito peggio di me ( e il mio rossore si nota molto). Tutt’ora non so di cosa stava parlando ma so che ha che fare con quelle stupide pratiche erotiche disgustose, quello dove il piacere carnale e l’unica cosa che conta.
Mentre cammino per le vie di terra battuta preferisco osservarmi le mani fredde che soffermarmi a lanciare sguardi disgustati a qualcuno, che si sofferma troppo a guardarmi le gambe. Si, dovevo evitare di scendere in quel modo, ma non vedo quale sia la differenza tra pantaloncini e orrende mini gonne rosa confetto che sono costrette a indossare le studentesse dell’Accademia.
A furia di camminare mi sono ritrovata in quello che può definirsi giardino inglese, se si lascia stare l’immensità dello spazio. Prato inglese finemente curato e pulito, alberi di ciliegio con i loro fiori rosa e un lago artificiale che rispecchia perfettamente la mezza luna della sera. Mephisto non ha mai badato a spese quando si parla di classe.
Decido di sedermi all’ombra di un ciliegio isolato, appoggiando la schiena al tronco, fisso di tanto in tanto le increspature delle acque o le luci della luna.
Tutto così tranquillo…
Fino a quando non sento l’avvicinarsi di gente che sembra gemere per il dolore come schiavi sotto tortura.
Mi accuccio di più sotto l’albero cercando di non farmi notare.
-Io ci rinuncio! Non riuscirò ad alzare mai più un peso- una ragazza dai corti capelli biondi ansima toccandosi la schiena in un punto dolente. L’espressione stanca è evidente e potrei notare perfettamente i nervi tesi –Ohi, ohi… credo proprio che questa sera non riuscirò a piantare qualcosa- si siede sul prato
-La colpa è tutta tua, Okumura, sei un idiota!- un ragazzo con i capelli mori e la cresta bionda inizia il suo discorso fulminandone un altro ragazzo che non mostra segni di stanchezza anche se dalla faccia posso dedurre che non vede l’ora di ricongiungersi con il suo letto.
-Colpa mia? Hai iniziato tu!- ringhia decisamente infastidito mentre poggiava uno strano involucro rosso accanto a se.
-Avete iniziato voi due! E ci sono andati di mezzo tutti. Siete due deficienti- quando stava per iniziare il discorso su di chi fosse la colpa inizio a volgere lo sguardo sul ragazzo dall’aria poco stanca.
La luna e i lampioni lontani riescono a illuminare i suoi capelli perfetti bluastri, riempiendoli di sfumature scure. Sfumature che si ripetono perfettamente negl’occhi, anche da questa distanza riesco ad osservarli , forse grazie alla mia natura da semi divina.
Lo osservo meglio e noto una dentatura bianca dove due canini acuminati sono la particolarità. Sono come quelli di Mephisto ma più… umani.
La sua aura è scura e maligna, una serie di sfumature nere e grigie che si mescolano formando quello che è un colore indecifrabile. Mi attanaglia lo stomaco e mi porta inquietudine guardarla, sapevo che quel colore significava male per gli umani.
A differenza dei demoni e degl’angeli, gli umani cambiano il colore della propria aura in base al comportamento e alle emozioni provate mentre, per esempio, quelle dei demoni hanno solamente un colore scuro, che non cambia mai.
-Perché gli spii?- mi getto in avanti di scatto esponendomi al rischio di essere vista mentre la paura inizia già a far crepare le dita delle mani.
Mi volto  e riconosco gli occhi verde-azzuro di Amaimon che con noncuranza mangia un lecca-lecca appeso a testa in giù al ramo di un albero. Lo odio. Odio quel Re della Terra che mi viene accollato ogni volta che metto piede fuori dalla mia stanza. Non lo sopporto con i suoi modi bambineschi e i suoi strani modi di esprimersi ,anche se Mephisto continua a dire che “Amaimon è forte e orrendo come un vero demone” io stento a credici, anche perché è costretto ormai a essere un criceto e diventare “umano” solamente quando gli è permesso da Mephisto, cioè quando io non sono in giro.
Quel demone è stressante, come un vero padre. Uno di quelli veri, no angeli che ti lasciano a morire.
-Cazzo Amaimon! Ti sembra il modo di spuntare questo?- sbottò strofinando le mani convulsamente per far affievolire quel poco potere risvegliato –Non c’è bisogno che stai qui. Sto ritornando in camera- mi affretto a dire stufa già dalla presenza del demone –E, comunque, non li stavo spiando-
-Sono degl’idioti- lo sento dire con asprezza mischiata alla noia del momento.
-Li conosci?- chiedo con poco interesse.
- Sono successe tante cose prima che Satana non si facesse vedere; e una di queste e un piccolo scontro dove c’entro io… niente di che Nathaliel. Non fare domande- mi dice chiudendo gli occhi e scomparendo, sicuro che sarei ritornata in camera.
Mi lascia lì nelle mie domande e nel vociferare abbassato. Non ho mai saputo cosa sia successo con il grande Re di Gehenna, Mephisto non me lo ha mai voluto dire quando sono ritornata dall’India e non ci ho pensato più di tanto, non interessata agli scontri tra demoni, superficiali e senza un preciso motivo… anzi il motivo è risaputo, come un cliché di un film, conquistare Assiah ed essere il padrone dell’universo incontrastato… come no.
Assia e Gehenna sono due mondi che si guardano come due specchi e a loro volta sono riflessi da un mondo ancora più grande, quello divino, Somniatiah… o Paradiso, ma il Paradiso viene sempre immortalato come un luogo pieno di nuvole che fungono da pavimento e angeli che passeggiano tranquilli attorno a fontane d’acqua, e Somniatiah non è quello, io l’ho sempre visto come un campo di addestramento militare ma non so veramente com’è.
Sospiro facendo ritorno nelle mie quattro mura.
 
Il camino è di nuovo acceso e le fiamme sembrano meno violente dell’ultima volta. Dita esperte si intrufolano tra  miei capelli, mi accarezzano, spazzolano e intrecciano. Labbra serrate intonano una melodia accompagnata dal crepitio delle fiamme, così caldo e straziante.
Vicino a me giace uno specchio che riflette perfettamente le macchie d’umido sul tetto, vicino all’oggetto mollette e pettini sono sparsi sul tappeto.
Automaticamente prendo lo specchio e mi accorgo solo adesso che è trafitto da tre spaccature. Come le vene di un polso si prolungano in solchi più piccoli, lo stesso aspetto della mia pelle quando mi trasformo e uso i miei poteri, orrenda, spaccata, ferita, pelle che riflette il lato oscuro delle cose.
Mi osservo tra le venature e i vari punti di vista, mi trovo diversa: il viso è più rotondo, meno magro, gli occhi più opachi e i miei capelli decisamente più lunghi. La figura dietro di me e alta e lunghi capelli neri le ricadono sulle spalle.
 Un tuffo al cuore, la lama di un coltello che taglia minuziosamente ogni vena, arteria e cellula del mio cuore. Chiudo gli occhi e sento il freddo di ogni lacrima scendere dai miei occhi mentre si infrangono velocemente per terra.
Non può essere vero, non ora, non adesso.
-Che succede Nathaliel?- la sento dire. Lei che c’è sempre stata, lei che non riesco a ricordare.
Riapro gli occhi e adesso lo specchio è perfettamente integro, nessun graffio o granello di polvere a rovinarlo e il mio viso sembra ritornare quello che è sempre stato: magro, freddo, insensibile, dallo sguardo cremisi.
Lentamente mi volto, ma la figura di mia madre è scomparsa e con lei una parte della mia vita.
Sento caldo, troppo caldo.
-Sei bellissima!- ride inquietantemente una voce… quella voce. Tanto conosciuta quanto sconosciuta.
Fiamme blu e fuoco intenso. Un’altra volta si ripete la mia tortura. Altre ferite riaperte e voglio solamente che il mio tutore venga a prendermi e ad aiutarmi come se fossi una bambina che scappa dal suo incubo più nascosto, il suo primo mostro, quello che non si può eliminare.
Sento una presa forte e vera.
Brucia, cazzo, brucia mentre vengo gettata sul pavimento e le lacrime non cessano di scendere. Chiudo gli occhi una seconda volta e sento il fuoco divorarmi ora in ogni punto, strisciare dentro di me mentre sento la musicalità delle fiamme farsi più forte e la presenza di qualcuno sopra di me.
Con gli occhi spalancati individuo una perfetta dentatura composta solamente da zanne e occhi blu che sembrano essere lo specchio del fuoco intorno a me. Respiro faticosamente mentre soffro lentamente a causa del bruciore.
-Hai deciso di guardarmi in faccia, finalmente!- urla il mostro addosso a me. Le sue mani sono poggiate ai lati della mia testa bruciando violentemente mentre una lunga katana è stretta intorno ad una mano.
-Ancora… tu- riesco solamente a dire bloccando finalmente le lacrime
Il ragazzo ghigna. Lo riconosco: ogni e capelli bluastri, tratti spigolosi ma decisi, il viso di un diciassettenne che ha passato la vita a massacrare di pugni chi lo disturbava. Lo stesso ragazzo dall’aura scura.
Devo scappare ora o mai più.
-Sei cresciuta Nathaliel! Farò una cosa veloce, mantenermi in questa forma mi causa troppa difficoltà, devo sbrigarmi prima che i pensieri di quello stronzo di un semidemone si impadroniscano del suo corpo- sibila mentre le zanne si mostravano in tutta la loro mostruosità –Cosa che non aiuta dati gli istinti carnali di quel bastardo- inizia a fissarmi minuziosamente. Sono tentata di sputargli in faccia ma così non potrei neanche sognare di scappare… l’unica soluzione è sfruttare la situazione, come consigliava sempre Mephisto.
So di stare guardando il re di Gehenna, so che questo non è il suo corpo e lui me ne ha dato conferma. L’anima , inoltre, del proprietario del corpo è un anima forte, combattente che interferisce la perfetta possessione anche di Satana stesso.
Volto la testa verso la katana, stretta nella mano del demone. Potrei prenderla e usarla ma sarebbe rischioso, l’unica soluzione è risvegliare l’anima soffocata.
-Questa non è la tua forma…- sussurro graffiando il marmo del pavimento – Sei combattuto…-
-Penso di averlo detto questo, puttana, ora ascoltami bene… le tue scelte sono molto limitate, puoi decidere se offrirti a me e rimanere quello che sei,  oppure morire nell’angoscia e nel tormento che divoreranno la tua anima e che ti causerà la Corte Bianca. Io so cosa si prova, ma ogni sentimento di distruzione è diventato il mio potere e adesso sono un re, un dio… Gli angeli sono bastardi, vero? Vogliono toglierti tutto per mantenere perfetto l’equilibrio della loro giustizia… li conosco così bene… uno di loro è stato il mio primo amore, ora lo odio… e lui rimane indifferente- con ghigni seri, mi lesionava con lo sguardo – Amare troppo qualcuno ti porta ad odiarlo… è l’unica risposta che mi do ogni volta. Anni e anni per cercare di distruggere, per poi essere distrutto ma non morire… è così insana questa situazione…
Invece come funziona con voi divini? Tuo padre se ne fotte di te, io invece odio la mia progenie perché la amo…- si toglie da sopra di me e inizia a fissare la katana tra le sue mani per poi passare un dito sulla lama e praticare sempre più tagli sulla pelle incendiata.
Con il corpo ricoperto di sangue rossastro mi alzo e corro via, attraversando la mia vecchia dimora.
Le stanze sono diverse e ognuna sono un ricordo diverso.
Quando ho imparato a camminare con mia madre che mi reggeva; i pomeriggi di gioco; quando venivo sparlata dai genitori dei miei coetanei; i miei coetanei che avevano paura di me…
-Il tempo è scaduto- un sussurro caldo si infrange sulla mia schiena –Non mi hai fatto finire!- ringhia il demone prima che io inizi a boccheggiare alla ricerca d’aria, fissando una lama che fuoriesce dal mio stomaco,coperta di un sangue chiaro. Comincio a respirare affannosamente mentre ogni mio organo si dissolve, mi volto verso il demone e svengo dopo aver visto il volto di mia madre in lacrime che maneggiava la katana.
 
Al mio risveglio da quell’incubo il mio corpo è completamente avvolto dal sudore e l’unico spettatore è una figura dalle cavità oculari svuotate  e due strane forme aggraziate dietro le spalle.


Little Wonderland
Heilà! Allora sono passati mesi dal prologo XD e me ne rendo conto, ma io avevo scritto chiaro e tondo che gi aggiornamenti non sono per niente frequenti u.u
Anyway, in questo capitolo, possiamo notare evidentemente come ha passato gli anni la nostra carissima Nathaliel, in giro per il mondo a causa di Mephisto (che nella storia è molto protettivo.... chissa perchè.... :3). Inoltre ha avuto il primo incontro con Rin (versione possessione ma dettagli) e nel prossimo capitolo si scoprirà la figura che si cela nel buio della sua stanza. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto (anche se consiste solamente nella descrizione della vita di Thalia, ma dovevo pur raccontare la storia del semi-angelo *-*)
Ora mi dileguo... ma prima cliccate questo link --> 
http://jade-anne.deviantart.com/art/Nathaliel-Murakami-OC-Ao-no-Exorcist-504467288 troverete Nathaliel secondo la mia testa (essendo anche una photoshopper ho voluto fare questo fotomontaggio).

P.S  (Ribadisco) Gli aggiornamenti possono avvenire dopo secoli... in quel caso datemi per deceduta o in vacanza *-*
 
 

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Capitolo 3
*** We are a different kind... ***




We are a different kind...
 
Tasto il mio ventre è sento quello che dovrebbe essere sangue, ma non sento dolore o soffocamento, nulla di queste sensazioni, soltanto il tepore del sangue che si infrange contro le mie dita fredde.
Devo stare male per aver sognato qualcosa del genere e avere le allucinazioni appena sveglia. Il cielo è scuro, troppo scuro, e la figura, frutto della mia mente, non vuole scomparire, sembra guardarmi ma è priva di bulbi oculari. Nonostante la vista divina non riesco a capire cosa sia veramente, sembra tutto così oscurato e luminoso contemporaneamente.
-Non lo sono, figlia di Michael- pronuncia con una voce semi robotica che si propaga come in una stanza vuota. Il mio corpo suda puro freddo facendomi rabbrividire.
Copro il mio volto con le mani, iniziando a respirare lentamente.
“Sto impazzendo”
-Non potresti mai, non sei una semplice umana- pronuncia ancora la figura. Scosto le mani e noto, acutizzando la vista, che tra le sue mani tiene una spadone inchiodato al pavimento. La punta di quell’arma sembra scavare un profondo solco nel parquet.
-Stai zitto- ringhio –Non sei reale-
-Dove sono?- chiede- Le hai nascoste con qualche incanteismo demoniaco?- inizia ad avvicinarsi lentamente al mio letto e io balzo fuori mentre il freddo della finestra aperta mi fa drizzare la pelle delle gambe
-Non so di cosa stai parlando…- accenno socchiudendo gli occhi –Dannazione sto parlando con un essere inesistente!-  i capelli ingarbugliati mi causano una sensazione fastidiosa all’altezza dei polpacci e il fatto di stare parlando con qualcosa che non potrebbe esistere mi fa infuriare.
La spada che tiene in mano la figura viene puntata verso di me e la lama riflette la luce della luna. Una lama strana, fatta anch’essa di luce, ma sembra inesistente e leggera come l’acqua, fragile come un foglio di vetro.
-Mi tocca fartele comparire con la forza- una scarica di fulmini mista alla lucentezza dell’acqua s’ infrange su di me e riesco a vedere solamente frammenti di vetro. Squarci di luce che si convertono in acqua e poi in aria e altri che riflettono solamente il paesaggio intorno e mi accompagnano mentre precipito giù e sempre più giù. Fuori dalla finestra i piani si susseguono davanti a me e il dolore è vero, no come la macchia di sangue sul mio ventre.
Se il dolore è reale lo è anche la figura. Forse non sono veramente pazza. Mi risveglio da un incubo e mi ritrovo in un altro.
Chiudo gli occhi e l’aria sotto di me è leggera, mi intrappola mentre mi spinge sempre più in basso. Mi minaccia e la sento attraversarmi tra le narici, nei polmoni. Quando riapro le palpebre l’unica cosa che vedo e il cielo allontanarsi, la caduta farsi più lenta, e il mio corpo ricoperto da crepe simili a venature che sembrano illuminarsi.
Ghigno, non so perché, e sento la durezza, il dolore, il sangue, la tortura dell’atterraggio, forte e violento mi sa di morte, ma so di non essere morta, individuo la terra che si alza, la mia luce che sembra tramutarsi in vetro senza consistenza, mentre il mio sangue sembra brillare di sfumature rosse e rosee.
Le gambe mi dolgono, troppo, e solo ora mi accorgo di essere atterrata in piedi, urlo forte e violentemente, anche a costo di farmi saltare le corde vocali. E solo quando finisco il mio tormento, la terra e la polvere sembrano scomparire e dietro ad esse la figura di prima rivela il suo volto inespressivo, le cavità oculari vuote e luminose, la pelle bianchissima come quella di un cadavere, lo spadone in mano e ali grandissime che si innalzano.
Lui è… come me.
No! Io non sono un angelo, non sarò mai come loro, dovessi morire!
-Fa male- non muove le labbra ma la voce si espande nella mia testa si riproduce come un motivo insopportabile. Uno stridio insostenibile.
“Resisti” a cui se ne aggiunge un'altra. La conosco eppure mi sembra così lontana, così estranea e familiare.
Tossisco, sputo quella linfa rosso chiaro volontariamente, solamente per sentire più dolore, più bruciore, sapere di essere viva e dare un senso alle parole di quell’angelo. Un angelo tanto bello quanto mostruoso, inquietante e mortale.
-Sei ferita- con lo spadone indica il sangue sul mio ventre –Hai danzato con il diavolo sta notte?- mi chiede e si avvicina, sempre più vicino.
Arcuo un braccio dietro la schiena e sento la luce delle crepe espandersi; ora sembrano zampillanti di sangue e luce, sangue che si addensa sul mio braccio dietro la schiena, che prende la forma di qualcosa di metallico, che brucia e fa male.
Solo quando porto l’alabarda, ricoperta da fili di sangue, l’angelo si ferma e io non so se attaccare.
Mi sento così debole, sento così dolore, al ventre, alle gambe, alle suture che sembrano pulsare e bruciare vive.
-Una lama virtuosa, sono stupito-  ricomincia ad avvicinarsi.
I capelli sono di un puro argento, lunghissimi, fungono da strascico e terminano fino a diventare trasparenti, congiungendosi come acqua.
-Stai lontano!- urlo e la gola mi brucia, come se qualcuno mi scorticasse viva la pelle del collo.
-Il mio è un ordine. Non posso ucciderti, figlia di Michael, ma devo togliertele- lo spadone rivolto verso di me esegue un movimento brusco rivolgendosi verso l’alto. Finisco con le ginocchia nella terra e l’erba strappata, reggendomi con l’alabarda, sentendo quelle dannate ferite riaprirsi dopo anni, mentre la pelle delle spalle brucia a contatto con uno strano liquido, non è il mio sangue, è qualcosa di fin troppo denso e brucia come le stesse fiamme dell’inferno.
Cerco di aprire gli occhi, riuscendoci a mala pena, mentre la lama dello spadone adesso sfiora la mia schiena.
-Come sospettavo… sospensione demoniaca- lo sento sussurrare dietro di me.
Con ultime forze mi scaglio in avanti affondando la lama dell’alabarda al terreno, sollevandomi e puntando poi l’arma contro l’angelo.
-Cosa cazzo vuoi?- sibilo rimanendo piegata come per attenuare il dolore che parte dalle scapole e si va a infrangere all’addome.
-Sei ricercata dalla Corte Bianca: sei una creatura illegittima, dobbiamo togliere ogni traccia di potere divino da te. Nessun uomo può essere vicino alla giustizia e grazia di nostro Signore. Sei stata allevata da Mephistopheles, figlio di Satana, quindi rappresenti anche un pericolo. In nome della Corte Bianca fatti assistere da me- lo spadone si conficca nella terra ma non ci faccio caso. Non do importanza più alla figura divina e luminosa dinanzi a me: il dolore si attenua, pizzica, scotta facendo scorrere le mie mani sulla pelle delle mie scapole finché non trovano le tante orrende ferite sulla schiena.
Sento una strana protuberanza uscire da esse. Inizio a grattare con aggressività finché tra le mie mani mi vedo comparire uno strano corpo. Bianco e sporco di sangue, privo di luce e piumato, grande quanto una mano. Una piuma che trasuda sangue.
-Le ali…- sussurro prima di sentire uno sparo. Mi stordisce; non riesco ad alzare lo sguardo dalla piuma.
-Ingethel…- è lui, è proprio lui, è venuto. Inizio a piangere: Mephisto è qui, con me, per portarmi di nuovo via dalle grinfie di questi mostri.
-Mephistopheles, consegnami la mezzavitale- sento la voce robotica di quel mostro e la presenza del mio tutore vicina.
-No- risponde Mephisto con eleganza.
E io soffoco, soffoco mentre guardo la mia piuma e mentre la mia pelle inizia a morire. Le crepe scompaiono e sento le mie iridi farsi più vive, riprendendo il color cremisi.
-Perché invece non risolviamo le cose come ai vecchi tempi?-  la mia pelle sta bruciando, viva e lentamente, sulle spalle. Mentre gli strati morti scendono come petali di rosa.
-Non sono venuto qui con l’ordine di uccidere- sputo altro sangue e sento una mano posata sulla mia spalla, grande, morbida e calda.
-Mephisto c’è qualc…-
-Zitto Okumura. C’è in corso una discussione tra gentil uomini- guardo con la coda dell’occhio il padrone di quelle dita, noto subito occhi blu, comme quelli del mio incubo  ma più chiari, vividi, e maturi.
-Nathaliel, figlia di Michael, è stata sottosposta alla sospensione demoniaca delle proprie ali, a causa del tuo intervento, Mephistopheles, figlio di Satana. Tu dovevi contrastare la natura della, ormai, tua figlia e lo hai fatto andando contro il giusto. Il marchio che adesso sta ricevendo, è un marchio divino che contrasta la ripugnante sospensione, le sue ali cresceranno e quando saranno perfettamente sviluppate la Corte Bianca la cercherà- chiudo gli occhi concentrandomi solamente sul colore che mi offrono le aure intorno a me.
Quella di Mephisto, è scura ma trema, trema preoccupata forse impaurita, ma si espande e brucia con aggressività prendendo le sembianze di un mostro che risucchia il suo padrone pian piano ma che sembra legato a una volontà invisibile..
Quella dell’angelo, invece, sembra non esistere, ma così espansa che ti dà puro fastidio, così bianca che vorresti strapparti gli occhi. Tutte le sensazioni di disagio e disgusto mischiate assieme solamente per esprimere quello che sento nel leggere un’anima quasi inesistente.
E poi c’è ne una umana, così onesta, giallognola, matura, fraterna. Vibra ad ogni respiro lento e sembra intenta nell’osservare e memorizzare, trasmettere un’energia pacifica.
Non riesco a leggerla completamente, forse perché l’energia sembra abbandonarmi ad ogni soffio mentre parole e frasi sembrano danzare nell’aria davanti a me, nelle mie palpebre chiuse, mezza vitale, sospensione demoniacaali
Forse dovevo saperlo fin dall’inizio: non potevo rimanere nascosta tra le braccia del mio tutore, nascosta tra  mura sconosciute in paesi lontani, prima o poi dovevo sapere che sarei andata a sbattere contro uno specchio che avrebbe riflesso il mio passato, portandomi a combatterlo.
L’ aura luminosa scompare, neanche si affievolisce, solamente si dilegua portando con se il mio dolore, il mio bruciore e la mia pelle morta.
-Non l’avrai Ingethel- non voglio aprire gli occhi. Mi accascio a terra: sono stanca, debole, ferita, ho sonno.
-Non ti avevo chiesto di seguirmi Okumura-sensei -
-Volevo sap…-
-Non importa. Come esistono i servitori di Satana, esistono i servitori di Dio. Domani Nathaliel inizierà a frequentare la scuola per esorcisti, ti chiedo di tenerla d’occhio e di non fare parola della sua natura con qualcuno-
-Natura?-
– E tienila lontana da tuo fratello, o quantomeno non farli stare da soli-
 
Il mio risveglio è dei peggiori.
Con la nausea che mi assale e le bende che mi avvolgono strettamente neanche fossi una mummia egiziana. Non sono nella mia stanza, ma riconosco subito lo studio di Mephisto con il grande e vecchio lampadario, illuminato dalla luce chiara dell’alba che irrompe nello studio.
-Ben svegliata, Nathaliel- mi volto di poco, solamente per l’acuto dolore che sento all’altezza delle spalle.
Mephisto ha le mani incrociate tra di loro sotto il mento, seduto nella sua poltrona con una gamba sopra l’altra e Amaimon addormentato ,sottoforma di criceto, sul suo cilindro.
-Come ti senti?- mi chiede mentre sollevo il busto dalla pelle del divano stringendo i denti per i dolori.
Il palmo delle mie mani è completamente fasciato insieme al ventre dove alberga una macchia scura di sangue, che sembra diramarsi fino a fianchi.
Quell’angelo… QUELL’ANGELO! E’ stato lui!
La rabbia divaga e brucia, nasce e infiamma, mi sento così arrabbiata per non aver reagito, per essermi limitata ad inginocchiarmi e urlare, piangere, fare il nulla più completo.
Cazzo! Non ne no posso più, sempre la stessa storia, non mi muovo mai, non faccio mai nulla per impedire qualcosa di sbagliato aspetto e basta senza un minimo di speranza. L’ho fatto con Mephisto, l’ho fatto quando ero piccola… l’ho sempre fatto, forse non me ne accorgo non lo so, infondo sarebbe una delle poche cose che ho ereditato da mia madre, la paura.
Hai paura Natahliel?
No… forse…
D’istinto afferro il primo oggetto vicino a me, un libro posato sul tavolino basso, e lo lancio, con esso getto una tazza in ceramica, un vaso, e capovolgo il tavolino stesso mentre il mio tutore me lo lascia fare.
Mi alzo, il dolore lancinante vorrebbe farmi piegare su me stessa ma non questa volta, mentre sento un altro paio di bende intorno al seno, scaglio un pugno nella parete più vicina lasciando piccoli e lieve crepe sul punto colpito. Stringo la mano dolorante con l’altra, digrignando i denti e cercando di non urlare o piangere.
-Siediti Th…-
-Tu!- punto un dito sul demone, con l’intento di sferrare un pugno anche a lui – Tu sapevi il perché di tutto! Sapevi perché non mi crescevano le ali! Sapevi che quell’angelo mi stava cercando! Forse sapevi anche che sarebbe successo tutto questo! E tu, tu non mi hai detto nulla, mi hai nascosto tutta fin da quando sono piccola, fin da quando dovevano crescermi quelle fottute ali!- urlo, gli occhi sembrano bruciarmi e vorrei strapparmi i capelli che non smettono di darmi un senso di fastidio all’altezza dei polpacci scoperti. Mephisto sta zitto, mantiene lo sguardo fisso sul mio non intenzionato a mollare –Tu non puoi capire cosa si prova a sentire la parte più vera di te crescere e fermarsi, forse è proprio un qualcosa che a che fare con gli angeli, ma io senza quelle ali, mi sento il nulla più completo, una cosa assolutamente inutile, non mi sento integra!- respiro affannosamente infilando le mani nei capelli e voltandomi verso l’enorme finestra che dà sul tutta l’accademia.  Saranno si e no le cinque del mattino ma già molta gente si intravede tra gli edifici.
-Hai finito?- è l’unica domanda che mi pone, come se fosse annoiato dal mio lungo discorso di frustrazione. Non rispondo e il silenzio lui lo prende come un sì.
-Non ti ho detto nulla perché eri troppo giovane, e fidati lo sei ancora, non sei pronta per conoscere il mondo di Satana e quello di Dio, ti manderebbero in… confusione- non è sicuro sull’ultima parola usata mentre Amaimon socchiude gli occhi al nome del proprio padre – La storia delle ali invece era per mantenerti al sicuro-
-Cosa?- sbotto- Come possono delle dannate ali mettermi in pericolo- mi volto verso di lui ma lascio il mio sguardo su uno specchio dietro la sua figura. Guardo la mia: il busto nudo, coperto solo dalle bende; sulle mie spalle albergano due strani segni geometrici somiglianti a dei triangoli capovolti che si prolungano dietro. Il tatuaggio di cui parlava l’angelo, suppongo.
-Lo hai sempre saputo!- il suo tono di voce si alza – Sai perché ti ho sempre tenuta al sicuro, perché ti ho sempre trattato come… una figlia! Sei una delle armi più potenti, sei un angelo eppure sei distruttiva come un demone, ecco perché sei cercata, e se le ali ti fossero cresciute sarebbe stato difficile nasconderlo allo sguardo della Corte- ritorna calmo – Ma tu sei la figlia dell’arcangelo Michael, sarebbe prima o poi saltato fuori. L’angelo più vicino a Dio che possiede una figlia in parte umana…-
Chiudo gli occhi, il tempo per riordinare le informazioni.
-Fantastico, che dire, mi vogliono tutti morta- sussurro ironicamente
-I divini non ti vogliono morta, vogliono soltanto strappartele, le ali, togliere ogni traccia di potere divino dal tuo corpo. Satana invece ti vuole morta o almeno quasi, vuole il tuo corpo, uno dei pochi che può contenere il suo potere. Un angelo in grado di contenere il dio dell’Inferno.-
-Non fa nessuna differenza, in un modo o nell’altro, soffrirò lo stesso, e penso di meritarlo in parte, non ho mai fatto un cazzo da quando ho scoperto di essere quello che sono… persino mia madre è morta per colpa mia- abbasso il tono di voce e il mio sguardo sul pavimento, gli occhi mi si inumidiscono.
-Questo pomeriggio, avrai la tua prima lezione nella scuola preparatoria. So che sei debole, ma dovresti farcela-
-E le ali?-
-Ci vorrà del tempo. Quando ti cresceranno completamente sono sicuro che Ingethel verrà di nuovo a cercarti. Dobbiamo fare attenzione- guardo di nuovo il sangue sulle bende, così chiaro. – E appunto per questo dovrai stare il più lontana da me- spalanco gli occhi. No! No! – Inizierai una nuova vita, frequenterai l’Istituto, mai più lezioni private, frequenterai la scuola preparatoria il pomeriggio e vivrai nei dormitori come una normale studentessa-
-Cosa?! Sei impazzito? Non sopravvivrei un attimo, anzi non sopravvivrebbero quegl’umani.-
-Per questo avrai una, potrei chiamarla guida, è un insegnante, studia per diventare medico, ed è un esorcista. Ha avuto già modo di conoscerti.- guarda e fissa le mie bende.
-Oddio, no! Dimmi che chiunque sia stato non…-
-Non permetterei mai ad un estraneo di toccare la mia figliaccia, ma ha voluto aiutare. Questo pomeriggio lo incontrerai di persona-
-Era… era quell’aura, quella gialla-
-Non pensarci adesso, ok? In camera tua ho lasciato una divisa e dei guanti per coprire le bende e le crepe delle dita. E ho preparato delle valigie con l’essenziale.- si alza dal posto e non so il motivo preciso ma mi gettò su di lui e lo stringo, ho sempre detestato la quantità del suo pessimo profumo ma non m’importa al momento, lo abbraccio solamente e lo sento ricambiare.
E’ sempre stato più alto di me, mi ricordo di quando lo prendevo in giro per la sua sconfinata altezza.
Adesso è tutto sfumato, scomparso, non è più vivido. Stare lontano da Mephisto, un amico, un fratello, il mio tutore, mio Padre, sarà troppo difficile.
 
 
Infilo il guanto rosa pallido lentamente, giusto il tempo per notare le crepe sulla punta delle dita. Dopo l’accaduto sembrano non voler scomparire così sono costretta a indossare questi pessimi guanti, comprati chissà dove, con il pizzo bianco sui bordi. Cose che comprerebbe solo Mephisto.
La divisa, la odio come minimo. Ricordo di quando ridevo delle ragazze dell’istituto, costrette a indossare quegl’orrendi gonnellini corti e quei fiocchi giganteschi e adesso, eccomi qui, a maledire la gonna fin troppo corta.
Il fiocco non lo metto neanche morta, e la cravatta non so minimamente come annodarla, quindi mi limito a infilarmi una giacca intonata alla divisa.
Eccomi sono pronta, una nuova studentessa dell’accademia Vera Croce e una nuova esorcista. Mi tasto una spalla dolorante dove ora alberga il mio nuovo tatuaggio. L’ho osservato a lungo allo specchio accorgendomi che non erano semplici forme geometriche ma veri e propri disegni intrecciati tra loro che raffiguravano piccole rose e un essere alato che con una spada trafiggeva un essere dal viso scheletrico e dalle corna arricciate, contorto per terra. Non si nota subito questa scena del disegno, bisogna scavare tra i rovi delle piccole rose che vanno ad intrecciarsi fino alle spalle in quei due strani triangoli capovolti.
Afferro un libro sul comodino ,“Maledizioni e stregoneria”, un libro che ho rubato tra i tomi di Mephisto, scritto da una vecchia strega esorcista. Sono sicura che non sarò molto interessata alle varie materie orali dell’esorcismo, sono una ragazza che punta di più sulla pratica ma ho sempre preso ottimi voti anche alle materie orali e scritte.
Metto la tracolla quasi vuota sulla spalla e stringo il libro al petto coprendo la copertina della stella a cinque punte.
Dallo studio di Mephisto provengono due voci chiare, quella del demone è severa e seria ma sembra anche prendere la situazione con un tono divertito mentre la seconda è flebile ma decisa. Leggo già l’aura giallognola. Quando entro due paia di occhi sono rivolti verso di me.
Visualizzo il ragazzo davanti alla scrivania di Mephisto, alto e moro, deve essere quel ragazzo con cui Mephisto ha scambiato delle parole prima che io crollassi sfinita, e le poche parole che si sono detti neanche riesco a ricordarle.
-Thalia, lui è Yukio Okumura il tuo insegnante di farmacologia anti-demone - quel ragazzo avrà si e no un anno in più di me, ma è un professore… secchione! Un secchione con due bei gran occhi, che dire, molto particolari e un corpo per nulla da secchione…
-Piacere- mi sorride
-Pallosa…- dico semplicemente, facendo assumere un’espressione interrogatoria sui volti dei due –Farmacologia anti-demone - dico con fare ovvio – è pallosa-
Mephisto è tentato dallo scoppiare a ridere mentre Yukio si gratta nervosamente la nuca con un sorriso da ebete stampato sul volto.
-Mi sono occupato personalmente di trasferire tutto nella tua nuova stanza, darling- il demone finge una lacrimuccia, come dice lui, “per fare scena” –Mi mancheranno le nostre discussioni- alzo gli occhi al cielo. Non è che fossero tutta sta gran cosa le nostre discussioni, anche perché parlava solo lui.
-Sei hai finito con la scenata, vorrei andare- dico indicando la porta alle mie spalle.
-Non vedi l’ora di iniziare le lezioni per diventare un esorcista, eh- ghigna Mephisto –Bene andate pure, avremo occasione di sentirci-
Yukio annuisce e sfila una chiave dalla sua lunga giacca, impugnando una valigetta. Mi passa davanti ma prima che potesse infilare la chiave afferro il suo polso.
-Sai cosa sono?- chiedo guardando il pavimento in attesa di una risposta.
-Si- lascio il suo polso limitandomi a scrutarlo mentre nei pochi attimi individuo meglio i suoi tratti. Duri e spigolosi, ma non troppo, tratti così familiari. E’ uno di quei ragazzi con la bellezza ricercata, nonostante gli occhiali gli dessero un’aria da secchione, il viso pallido è incorniciato in una maniera perfetta da quei capelli castani e gli occhi, gli occhi seppur opachi sembrano avere luce propria, come una lastra di vetro graffiata che cerca di riflettere il chiarore. Niente a che vedere con i miei: sanguigni,un colore degno di essere pari alle gocce di sangue,  lo odio.
Yukio apre la porta e l’ultima cosa che vedo e lo sguardo serio di Mephisto mentre accenna un saluto con lo sguardo, in mano il suo bastone, in testa il suo cilindro, sugl’occhi un’espressione preoccupata che non ho mai avuto onore di vedere su di lui.
 
Noto subito un corridoio vuoto, pieno dei più stravaganti colori che variano dal verde all’arancio. Un grande vociferare si infrange su di me, dandomi uno strano fastidio. Gli esorcisti del secondo anno sono totalmente intenti nel parlare, dividendosi in più gruppi, proprio come in accademia.
La scuola preparatoria ha riconquistato la sua fama dopo la sconfitta di Satana e adesso provengono aspiranti esorcisti da tutto il mondo.
-Io e Mephisto abbiamo deciso di farti passare direttamente al secondo anno, dato che sei un’Aria specializzata e usufruisci di molte conoscenze sul mondo demoniaco e divino- accenna lui con un sorriso imbarazzato, come se non sapesse minimamente come rivolgersi a me, come se avesse una donna nuda , al posto mio –La nostra classe è la 1107- si affretta a dire.
Uno strano animaletto passa tra le mie gambe, somiglia a un pupazzo di neve ma con delle sembianze più umane, alza un braccio biancastro e mi saluta sorridendo mostrando una bocca cucita e due bottoni neri al posto degl’occhi.
-Quello è un familio. Un demone inferiore che molto spesso viene assegnato ad un’esorcista-
-So cos’è un familio- sibilo
I miei capelli, perfettamente pettinati, sembrano infiltrarsi in ogni incavo e spazio del mio corpo, tra le dita delle mani, sul collo, tra le gambe, cosa che mi irrita e non poco.  Sfortunatamente non ho portato un elastico per legare una possibile coda.
-La classe non è molto numerosa, ma abbiamo una grande quantità di ragazze- Yukio chiude gli occhi in un’espressione amichevole che mi fa venire il voltastomaco ma che fa bisbigliare e sciogliere il cuore di alcune ragazze dietro di me.
-Non m’importa- dico solamente piegando la manica della giacca fin troppo lunga.
-Okumura-sensei!!- un urlo acuto a dir poco straziante si insinua tra le mie orecchie infrangendosi sulla mia figura e quella del ragazzo accanto a me che mostra un’aria preoccupata ma imbarazzata.
Due ragazze corrono spingendo poco amichevolmente la gente, urlando ancora quel nome fino ad arrivare alla loro meta, per niente stanche della corsa appena fatta.
-Okumura-sensei volevo chiederle se è disponibile per delle lezioni dopo la scuola- inizia una ragazza. Magra e bassa, con i cappelli di un verde mela ossigenato su cui si nota la poca ricrescita biondo platino.
-In realtà io volevo chiederle se poteva dare lezioni dopo la scuola- questa volta a parlare è un'altra ragazza, che con sguardo omicida fulmina la propria “amica”, sistemandosi un ciuffo di cappelli color cioccolato.
Yukio accenna una risata disperata – Reiko… Otsune, credo proprio di non essere disponibile per lezioni extrascolastiche- dice grattandosi la nuca convulsamente pronunciando i nomi delle ragazze quasi con timore.
Lo sguardo delle due si rattristisce e in un attimo lo vedo puntarsi su di me, dietro la figura del loro professore, mi guardano con malignità e accennano una parola bisbigliata.
Sogghigno. Divertirsi non fa mai male.
-Ora ragazze devo scappare, scusatemi, ci vediamo a lezione- mi prende per un braccio e mi trascina via. Quando siamo abbastanza lontani nel bel mezzo della folla, noto il numero della mia aula sopra una porta. Scosto con disgusto il braccio di Yukio.
-Non toccarmi- dico, ma non come una persona schifata, ma come qualcuno che ha il timore di essere toccata.
Yukio non dice nulla solamente entra in classe. Anche se le lezioni non sono iniziate la classe non è completamente vuota: un gruppo di tre ragazze chiacchiera in un angolino e in un banco altre due ragazze sembrano chiacchierare anche se una ascolta l’altra con pochissimo interesse.
-Le lezioni inizieranno tra cinque minuti esatti.- mi avverte Yukio poggiando la sua cartella sopra la cattedra piccola davanti un’enorme lavagna –Voglio presentarti qualcuno-
-Aspetta, lasciamo star…- ma lui si è già incamminato verso le due ragazze. Una porta due codini violacei, l’altra un caschetto biondo platino molto bambinesco.
Resterei ferma sul punto in cui sono stata lasciata ma noto che altri esorcisti in classe non smettono di guardarmi cosa che mi fa abbastanza incollerire, quindi stringendo più forte al petto il libro di Mephisto, seguo il moro.
-Shiemi-san- chiama lui – vorrei presentarti una nuova alunna- la ragazza bionda si volta verso il proprio professore con un sorriso stampato sul volto e gli occhi luccicanti di gioia.
-Una nuova alunna?!- chiede  allargando di più il suo sorriso per poi notare la mia figura poco distante da lei. Fa segno di avvicinarmi e mi viene quasi spontaneo arrossire ed avvicinarmi con un aria poco sociale. Adesso anche la ragazza dai codini viola è impegnata ad osservarmi.
-Wow hai dei capelli lunghissimi!- la bionda si alza dal proprio posto stanziandosi davanti a me e prendendomi senza accorgermene le mani tra le sue,facendomi cadere di mano il libro –Diventiamo amiche!- annuncia stringendo la presa.
Non sono in grado di parlare, guardo solamente con aria stranita la ragazza davanti a me che sembra quasi implorare di entrare tra le mie grazie.
-Qual è il tuo nome?!- quasi urla
-Nathaniel Murakami- dico chiudendo un occhio e aspettandomi una reazione come un urlo. Per fortuna però non avviene.
-Waaa…- le si illuminano gli occhi –Io sono Shiemi Moriyama mentre lei e Kamiki Izumo- indica la sua amica dai capelli violacei –Ti hanno mai detto che sei bellissima!-
Arrossisco vistosamente togliendo le mani con fare frettoloso dalla presa della ragazza che ben presto rivolge lo sguardo dietro alla mia figura.
Nel frattempo mi accorgo che Yukio deve essere ritornato alla sua postazione lasciandomi nelle grinfie, anzi nelle strette di questa ragazzina.
-Buongiorno Rin!- la sento urlare.
Izumo sbuffa annoiata rivolgendomi uno sguardo indifferente.
-Ti è caduto il libro- mi dice toccandosi un codino.
-Grazie- sussurro. Non mi sento a mio agio tra questa gente. Una sembra essere uscita da una favola in stile “Alice in Wonderland”, un’altra sembra una povera secchiona, bacchettona e apatica mentre il mio professore è un perfetto idiota che sembra non aver mai avuto un appuntamento.
Ripensandoci, preferisco fare l’autodidatta!
Mi chino per raccogliere il libro, con la copertina in bella vista. Una copertina molto macabra, nera e intarsiata con il proprio titolo e il pentagono. Mi rabbrividisce il solo guardarla, almeno penso sia quella a farmi rabbrividire.
Sento un’aura, vicina e scura, come quella di Mephisto ma a differenza della aura di quest’ultimo non ha le sfumature dell’egocentrismo bensì quelle del coraggio, dell’ambizione e della bontà.
Quando sfioro la copertina una cascata dei miei capelli si riversa su essa e noto un’altra mano posarsi su quella. Pallida e con le dita affusolate.
Non è la mano di Shiemi, si nota che è una mano maschile.
Alzo lo sguardo e mi si mozza il fiato. Lo stomaco si contorce in una morsa di paura e sono tentata di urlare.
-Deve esserti caduto- mi sorride. Quel ragazzo del sogno. Uguale. Gli stessi capelli corvini, gli stessi occhi blu, gli stessi tratti e il viso pallido. Non può essere lui, Satana, deve essere il corpo che ha deciso di usare mentre l’anima padrona era a riposo.
Adesso, il vero ragazzo, la vera anima padrona, è qui davanti a me con un quasi sorriso e la bocca dischiusa.
Arrossisco e calo di nuovo lo sguardo verso la copertina del mio libro, afferrandolo e portandolo di nuovo vicino al mio petto.
-Io sono Rin Okumura- mi porge la mano quando ci rialziamo. La stringo convincendomi di non tremare. La sua pelle brucia a contatto con la mia, fredda.
Sento qualcosa rompersi dentro di me, come il suono di una bottiglia rotta, sento quel mio potere risvegliarsi senza il mio permesso e il tatuaggio sulla schiena avvampare, sento una vocina all’interno della mia testa che risuona come “Uccidilo” ma non ci faccio caso.
-Ci siamo già visti?- mi chiede allontanando la mano e sorridendo. Intravedo gli stessi canini del sogno.
Scuoto la testa in segno di dissenso, uscendo, poi, dalla classe sotto lo sguardo guardiano di Yukio.
 
 
La lezione si svolge lenta e noiosa. Trovo più interessante la penna tra le mie dita che le parole di Yukio. E’ dannatamente noioso! Accumula tra di loro termini incomprensibili, scrivendo col gessetto sulla lavagna i nomi dei demoni più comuni, quelli che puoi trovare dietro l’angolo e non accorgertene. Tutti mi guardano lo sento, o meglio , la maggior parte dei miei nuovi compagni mi guardavano mentre il restante sparla su di me come se fossi un’ idiota con la scritta sulla testa “Prendetemi a calci”. Dalle loro auree, riesco leggere una forte gelosia, che a parer mio è del tutto insensata mentre in altre auree risplende il solito rosso vivo dell’erotismo, il poco restante si annoia come me con le loro auree grigiastre.
Tre banchi davanti a me riesco a scorgere il profilo di quel ragazzo. L’aura è sempre scura ma tranquilla, non accenna nessuna vibrazione, come se stesse dormendo. Gli incavi della schiena risaltano anche tra camicia, incavi che vorrei accarezzare come se fosse un istinto.
Accanto alla sua figura giace un involucro rosso, una di quelle protezione per le katane che ho visto spesso in India, anche se quelle mostravano qualche disegno in più o strani ghirigori sulla stoffa.
-Non sei molto interessata alla lezione- il mio compagno di banco, me ne ero completamente scordata,era un tipo tutto muscoli con i capelli neri e gli occhi verdi, uno di quei tipi che camminano solamente in gruppo e che picchiano il secchione di turno –Bambolina- sibila
Fermo la penna tra le dita, stringendola con irruenza.
-Non sono affari che ti riguardano- scosto lo sguardo annoiato dalla lavagna al suo. I suoi occhi sono di un verde acido e il suoi viso e contratto in un ghigno. La sua aura è di una strana sfumatura rossastra che tende al marrone.
-Pensi di essere arrapante?- mi chiede incrociando le braccia sul banco, mentre la giacca gli si ritira all’altezza dei muscoli delle braccia troppo voluminosi. Rivoltanti.
-Cosa?!- chiedo semplicemente con un’espressione stranita
-Entri qui. Sei la nuova alunna; il professore ti presenta come un’esperta Aria e una possibile Knight; non sorridi, non guardi la gente in faccia, ti limiti in espressioni schifate come se fossi l’unica qui ad avere belle gambe-  forse sarò io che dopo lo scontro devo aver preso delle botte violente o forse mi trovo proprio davanti a qualcuno, un ignorante per precisare, che non sa costruire una frase con un filo logico. Sembra di parlare ha un bambino che mischia scuse e scuse solamente per arrivare ad un motivo, nella maggior parte dei casi , stupido.
-Vai al sodo. Ormai ti ho già inquadrato come il perfetto ignorante della classe, che sfoggia i suoi pessimi voti come se fossero un trofeo, toccando il culo alle ragazze, puttane, e che è entrato in questa fottuta accademia perché è il solito figlio di papà con tanti soldi e poco cervello. Ho indovinato, vero?- sogghigno, socchiudendo gli occhi in due fessure, inclinando la testa di lato guardandolo con astio.
Lui sembra rimanere a bocca asciutta, si lecca semplicemente le labbra screpolate, stringendo una mano a pugno mentre con l’altra mi stringe una mano guantata.
-Non so chi tu sia, brutta bastarda, ma sappi che se hai dei problemi con me, sono guai seri per te e la tua reputazione. Cerca di non metterti contro la mia persona potresti farti male- sussurra
-Contro la “tua persona”? Wow, non sapevo fossi così colto da usare certi termini- lui ringhia mollando la presa a quella frase.
-Murakami, Tanaka. Ci sono problemi?- chiede Yukio con in mano il gessetto quasi terminato.
Mi limito a guardare il pavimento mentre il moro accanto a me sibila un “Tutto bene” espirando rabbia e furia.
 
“A differenza della cultura divina, i demoni non inseriscono nel loro nome quello del proprio Signore. Si limitano ad ascoltare i nomi che vengono ad essi attribuiti in base alle loro malefatte facendoli  propri. Dopo la loro nascita vagano per la terra mostrandosi in più forme, scoprendo le loro passioni e i loro vizi, mostrandoli all’umanità, aspettando che gli venga dato loro un nome che li rispecchi per la loro malignità.
Come esempio prendiamo uno dei grandi principi di Gehenna: Astaroth. Il suo nome è l’equivalente del nome di un’antica dea babilonese, Ishtar, colei che è discesa nell’oltretomba dove è stata giudicata, denudata e giustiziata. Durante il tempo in cui la dea restava prigioniera nell’ oltretomba, si racconta, che la Terra fosse caduta in uno stato cadaverico. La fertilità dei terreni sembrava essersi arrestata e con essa quelle delle donne lasciando così pian piano il mondo in una lenta morte.
Come Ishtar, Astaroth ha quindi le capacità della morte, e di far divenire cieco chiunque voglia.
Ma queste sono soltanto le mie ipotesi, non mi ritengo abbastanza vecchia per scoprire la vera malignità dei principi dell’Inferno.
Gli angeli, o meglio, i divini, invece, portano alla fine dei loro nomi la sillaba “El” o semplicemente la la “L” che significa Dio, come per portare il proprio Signore oltre che nella mente e nel cuore anche nel proprio nome.
Michael. Gabriel. Raphael. Raziel.
Tutti nomi ch…”
Distolgo lo sguardo dal libro, togliendo la mano dai miei capelli mentre Yukio dichiara di aver terminato la sua lezione.
I divini portano alla fine dei loro nomi la sillaba “El”.
Mephisto non me lo aveva mai detto ma aveva sempre accennato il fatto che mia madre fosse come ossessionata da mio padre, come se fosse la sua dipendenza, e quindi di come fosse ossessionata anche della cultura del Divino.
Nathaliel. Nathalie.
Togliendo la “L” esce uno dei tanti nomi comuni europei che dal latino significano “Giorno Natale” o meglio compleanno. Nome attribuito a coloro che sono nate vicino al “Natale” in onore di Gesù Cristo. Uno dei più grandi esorcisti, predicatori e guaritori nella storia del Cristianesimo.
-Nathaliel- Yukio mi chiama dalla cattedra. Ormai la classe è semi vuota. –Tutto bene con Tanaka?- mi chiede in tono serio quando sono davanti  a lui.
-Smettila di farmi certe domande come se fossi mio padre! Avrai si e no qualche anno in più di me- ripongo il libro nella tracolla sulla mia spalla rivolgendo occhiatacce al giovane professore –E comunque…- inghiotto amaramente la saliva, sentendomi quasi priva di voce –E’ Nathalie. Nathalie Murakami- ora che so il motivo di quella lettera finale, che ha fatto sempre risuonare il mio nome con una sfumature strana, voglio solamente cancellarla. Non voglio avere il loro dio nel mio nome –Adesso se non ti dispiace, vorrei avviarmi verso il mio nuovo dormitorio- esco dalla classe ritrovandomi di nuovo in quel largo corridoio scuro, ricolmo di esorcisti che si avviano verso le varie uscite maneggiando le loro chiavi dorate . Di tanto in tanto sento i loro bisbigli come “La ragazza nuova”, non mi piace. Riesco a malapena a leggere tutte queste auree, è troppo faticoso, ma individuo quelle più vicine a me sentendo le loro vibrazioni.
L’aria sembra farsi più tesa e pesante, il tempo rallentare, individuo un’aura scura, le cui vibrazioni sembrano volermi trafiggere.
Ho il tempo di voltarmi e schivare quello che sembra un pugno. Afferro il braccio che si staglia davanti a me, torcendolo…
“Gli angeli, Thalia, hanno tutto amplificato…”
Mantengo la presa, sbattendo il proprietario del braccio alla parete più vicina, scavando con le unghie la pelle abbronzata…
“Tristezza, gioia, amore, odio, adrenalina…”
Individuo i capelli perfettamente neri e unti di prodotti del mio compagno di banco.
-Quali cazzo di problemi hai?- sibilo torcendo di più il braccio strappandogli un gemito di dolore.
“Cattiveria, rabbia, lussuria…”
Lo vedo che cerca di liberarsi dalla presa ma gli è quasi impossibile. Sento il tatuaggio sulla schiena bruciare e digrigno i denti mentre mi si sfoca la vista e mollo la presa.
“Ogni cosa…”
Ho bisogno di uscire, ho bisogno di aria, ho bisogno che tutti la smettano di guardarmi come se fossi un…
-Demone- lo sento ringhiare, i suoi occhi sono stupefatti mentre si tiene la spalla dolorante con una mano.
Ghigno. E anche se fosse?
Affretto il passo verso un qualunque uscita, tanto la gente sembra schierarsi per la paura. Non riesco a respirare ma ce la faccio, mi sembra morire e provare dolore ovunque. Sulla schiena sembra di avere lava bollente che scivola tra la pelle stanziandosi tra gli incavi.
Quando i luci dei lampioni mi illuminano il viso noto che il cielo è completamente oscurato e che sembra di stare su una barca in mare aperto. Davanti a me si trova il gigantesco edificio dell’accademia, illuminato dalle luci che provengono dalle tante finestre. Accenno un passo verso un piccolo spazio buio, lontano da tutte quelle luci, proprio dietro l’edificio in cui mi trovo.
Ogni passo sembra essere pesante, sembra far aumentare la sensazione di nausea e di dolore.
Quando le voci degli studenti mi risultano lontane mi accascio contro un albero lì vicino, piccolo e magro. Mi aggrappo ad un ramo basso ed inizio a sputare quello che sembra essere sangue a giudicare dal sapore metallico ma che sembra non avere nessun colore in mezzo a tutta quest’oscurità.
-Dannazione- sussurro mentre mi piego di più su me stessa sentendo il ruvido del ramo secco sulla pelle. I cappelli biondi sembrano volermi coprire la vista con la loro lunghezza.
Questo tatuaggio è una maledizione che pare volermi consumare e uccidere fino all’interno, vuole alleviare il suo dolore per poi ricominciare la sua tortura, come se dall’alto si divertissero a vedermi in questo stato, e sono sicuro che è così. Brutti bastardi e sadici per di più.
L’erba sotto ai miei piedi produce un lieve rumore ma sono troppo impegnata, per capire se è presente un’altra presenza.  I capelli si scostano lasciandomi ammirare la debolissima luce di una luna coperta da sottili nuvole, e adesso l’avverto quella presenza, senza leggere la sua aura.
Dopo due minuti buoni di nausea mi sembra di essermi prosciugata completamente, la gola pare essere scorticata, il sapore del sangue mi annebbia la mente.
-Tutto bene?- mi irrigidisco ma annuisco debolmente, voltandomi verso gli occhi scuri di Rin. Lo vedo lasciare la presa sui miei capelli.
-Grazie- riesco a dire debolmente e premendo una mano sulla gola lacerata.
Afferro la mia tracolla in mezzo all’erba, la terra e le foglie.
Mi lacrimano gli occhi e non per il dolore che sembra essersi affievolito, semplicemente detesto sentirmi debole a causa di quegl’esseri.
-Ti… ti accompagno al dormitorio?- mi chiede con la voce tremante
-No, non c’è bisogno- mi avvio verso l’edifico del mio nuovo dormitorio, lontano e scuro sembra essere un’ombra maligna che aspetta di inghiottirti in una morsa di paura e disperazione. Neanche le finestre sono illuminate, come se fosse in disuso.
-Ti succede spesso?- lui, dietro di me sembra muoversi lentamente e con indecisione.
Non capisco a cosa si riferisce all’inizio. –No, devo aver avuto un capogiro- rispondo
-Ah… e qual è il tuo dormitorio? –
-Lo stesso del professore Okumura- e solo ora mi accorgo che è il suo stesso cognome. Ecco perché hanno dei visi così simili, devono essere parenti.
-Allora siamo inquilini- accenna in un tono deciso lui, mostrando un sorriso a trentadue denti.
In un attimo tutti i pensieri su come organizzarmi nel mio nuovo dormitorio sono sfumate completamente: vivere sotto lo stesso tetto di un ragazzo che precedentemente è stato posseduto da Satana stesso?
Inoltre, non parliamo, della maledizione che adesso mi tormenta.
-Da dove vieni?-
Gli rivolgo uno sguardo stranito, voltandomi quanto basta per riuscire a vedere il suo viso tanto solare.
-Non sembri giapponese- aggiunge notando l’espressione che gli riservo.
-Oh, mia madre era di origini tedesche- mi affretto a dire. Non capisco perché sto rispondendo a tutte queste domande e se non erro mi sembra di aver detto di non voler compagnia. Le mie suppliche però non sono state ascoltate e ora mi pare di essere dentro un perfetto interrogatorio sulla mia vita.
In molti, o quella poca gente che ha potuto vedermi, mi ha sempre rinfacciato il fatto di non assomigliare pienamente ad una ragazza giapponese. Mia madre, mi è stato detto, essere di origine tedesca anche se ha vissuto fin da piccola qui in Giappone; la bellissima donna tedesca dagl’occhi di lava e i capelli nero pece, Kassandra Arnold. Mio padre… lui so solamente che è un bastardo, non so altro. Che viso poteva avere? Qual è la sua forma umana? Non lo so, ho sempre ricevuto quelle detestabili descrizioni generiche.
“Non ricordo, perfettamente, era biondo proprio come te e riscuoteva un grande successo tra le mortali” si era limitato a dire Mephisto una volta che glielo avevo chiesto ed io avevo risposto con uno sguardo sul furioso e l’indignato.
-E tuo padre?- quando si pensa al diavolo, spuntano le corna o meglio spuntano le ali.
-Non lo conosco- mi limito a dire –Non farmi domande su di lui- aggiungo sapendo di aver acceso una fiammella di curiosità che non verrà mai spenta.
Cala uno di quei silenzi tombali in cui solamente il rumore dei nostri passi osa parlare, o le foglie spostate dal vento, o la tracolla che produce un suono sordo sbattendo sulla mia coscia pallida, nuda e fredda.
-E come mai hai deciso di diventare un’esorcista?- altra domanda.
-Senti… non voglio essere scortese, ma non piace essere sottoposta a interrogatori- rispondo soffiando tra le labbra e notando che adesso l’ombra del mio nuovo dormitorio sembra farsi sempre più vicina.
Da lontano sento il cantare di qualche cavalletta, lo spostamento di un altro corpo, e il grido di qualcuno che sembra affaticato.
-Nii-san! Murakami-san!-  l’urlo a chi poteva appartenere se non a quel palloso insegnante?
-Quanto è stressante- sentenzio assieme a Rin. Alzo gli occhi al cielo mentre vedo la piccola e indistinguibile figura prendere forma e dettagli e trasformarsi in Yukio Okumura coperto dal suo orrendo cappotto nero.
Quando è dinanzi a noi fa fatica a parlare ma ci riesce nonostante alcune pause per richiamare a se il respiro:- Tutto bene?- chiede semplicemente squadrando prima il volto do suo fratello e poi quello mio.
-Si- rispondo io –Perché?-
-Nulla in particolare- e si unisce alla camminata.
 
La mia stanza possiede un solo aggettivo per descriverla: spartana. Composta solamente da due letti, uno ogni lato, e due scrivanie illuminate lievemente dalle luci mescolate dei lampioni lontani e della luna, che entrano nella stanza tramite due piccole finestrelle.
-Spero che sia di tuo gradimento- Yukio accanto a me tiene ancora la maniglia della porta stretta, messo di lato come per farmi godere la “vista” –Io e Rin siamo al piano di sotto- aggiunge
-Si, va bene- getto la tracolla per terra, sul pavimento della stanza scricchiolante – E dov’è il bagno?-
-Infondo al corridoio. In questo dormitorio ci siamo solamente noi tre quindi non avrai problemi di privacy- il moro mi rivolge un sorriso –Almeno spero- la sua espressione cambia, mostrando un’espressione seria e guardando suo fratello proprio dietro di lui, appoggiato al davanzale di una finestra del corridoio e con le braccia incrociate.
Rin arrossisce infuriandosi:- Che cosa credi, brutto quattrocchi a pois?!- urla tra i denti acuminati.
-Conoscendoti…-
Iniziano una discussione di cui non me ne importa nulla e noto in un angolino, proprio accanto al letto, grandi borsoni rosa shocking con il viso di Mephisto stampato sopra.
-Ehm, potete discutere di sotto. Sapete sono appena arrivata, sono stanca, ieri sera non ho vissuto uno dei momenti più belli della mia misera vita e di certo non posso mettermi a meditare nel bel mezzo della notte- incrocio le braccia assumendo un’espressione ovvia anche se i due fratelli Okumura mi guardano come se avessi allegato parole senza un minimo di significato.
-Meditare?- gli occhi di Yukio s’illuminano interessati –Sai praticare quest’arte?-
Le mie guance assumono un lieve colorito rosato:- Si, già da un anno-
-E riesci a vedere gli aloni dello spirito?-
Sbuffo –Non mi piacciono le domande- sibilo –Comunque sì, riesco a vedere le aure. Ora se non ti dispiace, fuori di qui!- punto un dito verso l’esterno mentre Rin sembra visibilmente divertito.
-Bel caratterino- sogghigna alle spalle di suo fratello in evidente impaccio.
-Si…si…ehm perdonami… Murakami-san!- e si dilegua chiudendo la porta.
Non riuscirò a sopravvivere con quei due. Noto con evidenza che non sono mai stati con una ragazza più di dieci ore al giorno e che non sanno minimamente come comportarsi. Quello che sembra il maggiore, seppur maturo e serio, non ha mai avuto una relazione con qualcuno del sesso opposto al suo anche se da quel che ho capito le pretendenti non gli mancano mentre l’altro è uno di quei perfetti idioti sempre in competizione con se stesso e gli altri… e che cercano di rimorchiare malamente, finendo col dire cose alquanto imbarazzati.
Non sono mai uscita di casa, se non per rintanarmi in un’altra nazione, ma so come si comporta la gente, forse per la quantità assurda di film che sono stata costretta a vedere con il mio tutore o forse è semplicemente uno dei tanti doni ma so di capirla.
Mephisto me lo ha sempre ripetuto che sono speciale in tutto e per tutto, che fuori da quest’accademia mi cercano come il fuoco ha bisogno dell’ossigeno per bruciare.
La mia rinascita ha inizio da qui, l’esorcista Nathalie Murakami figlia di Mephisto Pheles e di Kassandra Arnold. Nominata da oggi “Demone” quando invece è un mostro senza il minimo di controllo che potrebbe esplodere da un momento all’altro.
 

LITTLE WONDERLAND
Shalve ragashi :3!
Come potete vedere questo capitolo e molto ma molto lungoooo, quindi inizio col chiedere perdono se troverete qualche errore che non ho notato durante la revisione del testo.
Finalmente Rin e Thalia si sono incontrati... yep! Adesso inizieranno i problemi da inquilini.... e solo quelli? Non dico nulla! XD
Fine (vedete voi se leggerlo in inglese o in italiano XD) adesso medileguo, e corro a scrivere qualcos'altro e a vedere Fairy Tail. 
Shiauu *-*

P.S Gli aggiornamenti possono avvenire dopo secoli... in quel caso datemi per deceduta o in vacanza *-*
 

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Capitolo 4
*** Into my heart... ***



Into my heart...

Un’intera settimana è passata fatta di studio, meditazione  e emarginazione.
Si, emarginazione, dopo quell’episodio con Tanaka la gente fa fatica a parlare con me senza tremare o balbettare, anche se non ho mai fatto un discorso completo  oltre il “potresti dirmi che ore sono?” o “ Qual è la lezione successiva?”, e mi sta bene così: non ho mai avuto intenzione di farmi degli amici, anche se ormai Shiemi  Moriyama sembra diventata il mio cane da compagnia, un cane dannatamente logorroico. Preferisco la compagnia di Izumo-chan, infatti, ho avuto “l’onore” di poter fare dei discorsi sensati con lei, anche sulla stregoneria, cosa alquanto strano dato che la maggior parte degl’esorcisti è dell’idea che la stregoneria è prevalentemente una materia satanica.
Al dormitorio non mi faccio mai sentire, forse per il timore di rincontrare Rin Okumura o forse semplicemente non so cosa fare, esco dalla mia stanza soltanto per la meditazione mattutina in terrazza. Un posto abbastanza rilassante.
Oggi non ci sono lezioni quindi mi godrò un po’ di sano relax, quanto basta per pensare anche all’accaduto con Ithuriel.
Ho infilato la prima felpa trovata in giro, una con delle strane orecchiette cucite sul cappuccio, e un paio di pantaloncini, catapultandomi fuori dalla stanza con uno dei miei lecca-lecca preferiti, alla ciliegia.
Il suo sapore mi riempie il palato mentre medito, rallentando il respiro, dipingendo nella mia testa l’immagine di un fiore che si addormenta e si schiude proprio come mi è stato insegnato. Il vento che soffia è calmo, così calmo da far spostare di poco qualche lenzuolo steso.
Apro gli occhi lentamente, il tempo per abituarmi alla forte luce del sole mattutino, osservo gli edifici che si intravedono, i vari dormitori brulicanti di gente e penso che sia una fortuna vivere in un dormitorio completamente in disuso.
Mephisto mi ha inviato uno dei suoi soliti sms con i suoi termini dannatamente noiosi, per poi evidenziare il fatto della mancanza di un libro nella sua libreria… non si può nascondere nulla a quel tipo. Io l’ho informato della crescita delle mie ali: adesso le ferite sembrano completamente ricoperte da uno strano strato di ghiaccio opaco, un qualcosa di incolore ma che tende in certe zone al bianco.
-Ah… eccoti! Eri completamente scomparsa!- per lo spavento balzo in avanti incontrando la fronte di qualcuno che può essere solamente Yukio, piegato su di me con un lenzuolo sotto il braccio.
-Ma sei idiota o cosa?!- urlo strofinandomi la fronte –Non potevi semplicemente ignorarmi?-
-Scusami Murakami-san ma ho avuto occasione di vederti solamente durante le lezioni e volevo sapere come stavi… nel senso come ti trovi?- mi chiede lui scusandosi e strofinandosi anche lui la parte lesa.
-Bene… se non fossero per le urla di tuo fratello alle prime ore del mattino- mi alzo dalla mia posizione –Credo che scenderò per fare colazione- lo avverto legandomi distrattamente una coda alta con un elastico tenuto sul polso.
Anche se legati i miei capelli mi arrivano sempre all’altezza della fondoschiena, facendomi così alzare il cappuccio di quella felpa magenta. Penso proprio che li taglierò, prima che mi fungano da strascico.
Scendo velocemente le scale fino al pianoterra dove il famiglio di Rin, Kuro, dorme accucciato. Quando individua la mia figura sbadiglia pesantemente passandosi un zampetta sul muso per poi guardarmi e strofinarsi tra le mie gambe.
“Buongiorno Nathalie” sento.
-Buongiorno Kuro- lo accarezzo distrattamente sulla testa, infondo ho sempre amato i gatti.
Mi dirigo nella piccola cucina aprendo il frigorifero… nulla che potrebbe piacermi.
Mi accorgo che il mio lecca-lecca si è completamente dissolto nella mia bocca pertanto butto lo stretto cilindro di plastica rimasto mentre ne afferro un altro da una tasca della felpa. Ne sono totalmente dipendente ormai, a causa di Amaimon che, quando Mephisto partiva per giorni interi, mi dava come colazione, pranzo e cena la sua scorta di caramelle e lecca-lecca.
“Fai colazione?” mi chiede ancora Kuro, trasmettendomi la sua voce in testa. Forse sono una dei pochi che riesce a sentire i pensieri di un demone.
Alzo le spalle mentre fisso i miei piedi nudi sulle piastrelle fredde della cucina –Non proprio… non c’è niente che corrisponda ai miei canoni- il famiglio mi guarda stranito –Voglio dire che sono stata sempre abituata con cibi d’asportazione. Il mio tutore faceva e fa schifo ai fornelli, quindi ordinavamo sempre al takeaway-
“Hmm… Rin cucina benissimo potresti aspettarlo” miagola
-Non credo che…-
-Buongiorno Nathalie- come non detto… appena sceso dalle scale intravedo la figura di Rin con i capelli incollati alle tempie e le pupille estremamente dilatate.
-Buongiorno- dico frettolosamente passando la caramella nel lato sinistro della bocca.
“Rin…Rin!” Kuro miagola correndo verso il suo padrone e artigliando i suoi pantaloni di tuta grigi “Preparaci qualcosa!” non so se riesce a sentirlo, ma suppongo di sì dal sorriso che gli riserva il ragazzo.
Prende il micio in braccio accarezzandogli la testa e avvicinandosi lentamente a me, o alla cucina…
-Ti sei svegliata presto-
-Si,ehm, non dormo molto- facendo peso sulle braccia mi sollevo per sedermi sul piano di lavoro della cucina, completamente lucido.
-Capisco. Bella felpa comunque- sorride, forse divertito, indicando quelle due orecchiette da gatto cucite sul cappuccio.
Arrossisco e gonfio le guance –Mi è stato regalato e non avevo altro!- ribatto incrociando le braccia sotto il seno. Sento il sangue affluirmi sul viso e l’imbarazzo mischiarsi a quella piccola quantità di rabbia mentre con un gesto brusco abbasso il cappuccio liberando la bislunga coda albina.
-Non ti stavo prendendo in giro, se ho dato quest’impressione- lascia andare Kuro che atterra sulle zampe superiori.
-Beh, allora fai schifo a dare le impressioni giuste!- socchiudo gli occhi in due fessure –Parlando di te… belle ciabatte non sapevo ti piacessero i conigli- questa volta sono io a sopprimere una risata mentre vedo le sue gote arrossarsi e il viso assumere un’espressione offesa.
-Te lo concedo- dice semplicemente e ci liberiamo in una risata. Scopro di avere il palmo delle mani sudate e mi appresto ad asciugarle sul paio di pantaloncini scuri.
-Hai fame?- mi chiede poi
-Non molta. In tutta onestà sono scesa per evitare di sorbirmi le molteplici domande di tuo fratello- spiego, facendo passare il lecca-lecca nell’altro lato della bocca, lasciando lo zucchero incollato all’interno della mia bocca. Rin si passa una mano tra i capelli, scompigliandoli così tanto che se l’avrei fatto io sui miei capelli ci sarebbe un nido biondo al posto di essi, mentre i suoi sembrano semplicemente spazzolati malamente.
E’ carino, così, con i capelli bluastri lisci ma tirati ovunque, e gli occhi blu che man mano riprendono il suo colore più vivido. Scendo con lo sguardo sulla linea della bocca, guardando quella sua dentatura perfettamente bianca e con i canini superiori acuminati, scendendo, mi fermo sulle clavicole fino alla maglietta che sembra nascondere… tanta roba… come direbbe Mephisto.
Quando rialzo lo sguardo sento quello di lui sul mio viso, mi guarda con una faccia stralunata e credo che fosse per l’attenzione che gli ho rivolto. Sono cosi nervosa che la pallina zuccherata dentro la mia bocca si rompe con un crack sotto i miei denti.
-C’è qualcosa che devi dirmi?- lui mi guarda con un ghigno che non riesco a decifrare.
-Perché pensi che debba chiederti qualcosa? Ti dai così tante arie?- tolgo il pezzo di plastica tra le mie labbra masticando i pochi pezzi del lecca-lecca cercando di sentire più a fondo il sapore delle ciliegie e dello zucchero.
-No, certo che no!- dice velocemente mentre il suo ghigno si fa più largo. Si avvicina lentamente al bancone, proprio davanti alle mie gambe unite appoggiando le mani ai lati delle mie cosce avvicinandosi troppo pericolosamente.
Inghiotto con difficoltà:- Cosa stai facendo?-
Ma lui non risponde  si avvicina sempre di più. Sento quei pochi centimetri di pelle in contatto con lui bruciare, letteralmente, mi sembra di essere scorticata dal calore del suo corpo.
-Sei sporca proprio qui- passa una mano sul lato destro del mio collo, togliendomi quella che sarà sicuramente qualche residuo di trucco di ieri. Quando sento il suo contatto mi viene volontario tendere il collo verso sinistra come per facilitargli il lavoro.
Strofina il pollice con forza, togliendo poi la mano.
-C…c’era bisogno che lo facessi tu?!- dapprima balbettante poi furiosa lo spingo facendolo indietreggiare.
-Beh, non mi sembrava che ti dispiacesse- sogghigna lui anche se con un leggero colore rosato in viso.
Apro la bocca pronta a dire qualcosa ma l’unica cosa che ne esce è un ringhio di sconfitta, si, perché ha maledettamente ragione. Come una stupida non ha fatto niente per fermarlo, e se l’ho fatto, l’ho fatto troppo tardi.
-Maniaco- priva di parole è l’unica che mi sembra la meno stupida da dire.
Lui quasi scoppia a ridere:- Maniaco? Io? Solamente perché ti ho sfiorata?-
-Si, maniaco, perché non vedo tutto questo bisogno di sfiorarmi, come dici tu-
-Va bene, allora scusami!- alza il tono di voce leggermente offeso sicuramente della mia reazione esagerata.
-Non voglio le tue scuse!-
-Allora non lamentarti!-
In poco tempo finiamo col ringhiarci contro come due animali feroci, esattamente ringhiarci, le nostre parole sembrano abbassarsi di tono ad ogni secondo fino ad assumere una cadenza animalesca. Forse perché abbiamo lo stesso carattere, testardi fino al midollo, o forse semplicemente non mi so rapportare con la gente, soprattutto con i ragazzi.
-Ragazzi tutto bene?- la voce di Yukio mi arriva lontana e in uno scatto d’ira mi ritrovo ad urlare contro di lui.
-Fatti gli affari tuoi, tu!- urliamo io e Rin in sincronia.
Yukio ci guarda stupito ma serio facendo scivolare lo sguardo prima su suo fratello poi su di me. I suoi capelli sono perfettamente pettinati, non come quelli del fratello, e indossa uno di quei golfini da secchione con sotto  una camicia bianca.
-Calmate i vostri bollenti spiriti- si limita a dire – Soprattutto tu Murakami-san, sei così rossa che potresti implodere-
Respiro lentamente, alzandomi dal banco di lavoro e uscendo dalla cucina con passo furioso.
Non li sopporto, tutti e due, li odio, dannazione, li odio!
I passi veloci si fanno man mano più pesanti, più dolorosi e il tatuaggio ricomincia di nuovo a bruciare con una forza e una tale velocità che può essere paragonato alla sensazione dell’acqua gelida sulla pelle. Mi aggrappo al primo tavolo di quella che dovrebbe essere la mensa, piegandomi mugugnando dal dolore.
-Murakami-san!- Yukio mi è subito vicino mentre la vista si sfoca e l’amaro del sangue si fa sentire nella mia bocca mischiato allo zucchero delle guance, ha un sapore orribile.
-Nii-san aiutami a portarla nella sua camera!- sputo a terra la chiazza di sangue dolciastro mentre sento delle mani cingermi. Ma mentre una cerca di aiutarmi a sollevarmi, l’altra mi fa urlare dal dolore come se avessi toccato le stesse fiamme di quel sogno, ma più vere, più vive, soffocanti e mortali.
Chiudo lentamente gli occhi costringendomi a immergermi completamente nel dolore per svenire.
Mi piace.
***
 
 -Non le ho fatto del male di proposito!- sento urlare, appena sveglia, saranno passati, si e no, dieci minuti da quando sono svenuta. La mia stanza è silenziosa e le urla che sento provengono da fuori. Individuo il tono semi furioso di Rin e quello pacato di suo fratello.
-Lo so, nii-san, sicuramente sarà stato il panico a fa…-
-Non le ho usate, cazzo! Non le ho usate, possibile che la tua sconfinata intelligenza non arrivi manco a capirlo?- alzo il mio busto; nessun bruciore, soltanto la sensazione della pelle morta che si separa dal derma lasciando quasi una sensazione di frescura – Questo si spiega anche col fatto che anche io mi sono ustionato- ustione… proprio quella che ora compare sul mio fianco, una chiazza rossastra e informe contornata da una striscia bianca e sottilissime crepe.
-Non so che dirti, nii-san. Murakami-san ha solamente avuto un capogiro, fidati, le basterà un giorno di riposo- magari fosse solamente così: non mi ritroverai legata al paradiso, dove qualcuno o qualcosa gioca con i fili della mia agonia come se fossi la perfetta marionetta.
Mi alzo dal letto dove ero stata riposta e sfilo la felpa con facilità, stanziandomi davanti ad uno specchio appeso alla parete. Dando la vista di una spalla all’oggetto piego la testa stirando la pelle della schiena con le mani cercando di vedere qualcosa .
La prima cosa che noto è quel maledetto tatuaggio e subito dopo, sotto ad esso, le due ferite aperte, adesso sono lunghe fino al fondoschiena, profonde e cicatrizzate da una sostanza biancastra e dal mio sangue. E’ incredibile come da delle piccole ferite lunghe quanto una mano si siano evolute profonde scavature che segnano e deturpano la mia schiena. Ma oltre a sfigurarla sembrano impreziosirla, rendendo il sangue luminoso e grumoso e il biancore una strana linfa, pesino il tatuaggio macabro sembra avvolgerle: due prolungamenti, infatti, sembravano essere cresciuti come radici fino a seguire le movenze delle ferite, come se quello strano inchiostro fosse attratto da quella rifrazione del dolore.
“Non durerà per molto, figlia di Michael”
Digrigno i denti e sento il suono sordo di un pugno battuto sul legno della porta.
-Murakami-san- posso entrare?- apro la porta di scatto presentandomi senza la felpa davanti a Yukio che sorpreso inizia a balbettare e sudare freddo. Come se non avesse mai visto dell’intimo femminile.
-Vedo che ti sei ripresa- accenno un segno d’assenso con la testa.
-Volevo sapere se domani, se te la senti, volessi partecipare ad una missione con me e Rin. E’ una cosa da niente ma il demone da uccidere, in particolare, sembra saperla lunga sul conto tuo e di tua madre- sgrano gli occhi arpionando le unghie al legno della porta, stretta ancora in una mia mano.
-Come fai a saperlo?!- sbotto quasi irata
-Mephisto ha voluto informarmi- risponde secco mettendosi in una posizione diritta e rigida, fissando il mio sguardo.
-Accetto- e chiudo la porta.
Questa missione potrebbe rivelarmi la vita sconosciuta di mia madre, farmi avere un pezzo di lei e forse sapere anche del perché, adesso, io mi ritrovo qui, in una stanza silenziosa sperando che il tempo si velocizzi fino a domani, fino all’incontro di quel demone.
***

Non sono mai uscita dalla True Cross, non ho mai messo un piede in città se non per andare all’aeroporto.
Gli edifici sono molto più proporzionati di quelli in accademia, con qualche piano in meno ma più larghi, tutti coperti da uno strato di vernice opaca. In lontananza, seguendo il tragitto che sto percorrendo, si notano altre case e grattacieli questa volta illuminati da finestre che fungono da vere e proprie pareti accompagnate da insegne al neon e schermi su cui trasmettono il meteo  o qualche pubblicità.
La gente è ammucchiata in angoli aspettando un segnale dai semafori tutti vestiti in nero tenendo saldamente nella mano una ventiquattro ore mentre chiacchierano di sfuggita.
L’aria è chiassosa, e le voci si infrangono su ogni oggetto, scontrandosi tra i vetri dei grattacieli e sulle foglie di qualche albero. Ai clacson di autobus e automobili si aggiungono le vocine stridule di una classe di bambini dei primi anni, dritti a due a due in fila indiana tenendosi per mano. Attraversano la strada proprio davanti a me. Noto lo sguardo di qualche bambina, i loro occhi spalancati e meravigliati.
Non capisco il perché e mi limito a salutare con un cenno della mano; loro rispondono con una pio di sorrisi e della mani scodinzolanti verso di me.
-Non sapevo ti piacessero i bambini- Rin dietro di me cerca di fare l’indifferente, accennando un’espressione annoiata. Ancora non ci siamo riappacificati dopo quel “litigio” se così si può definire.
-E’ la prima volta che esco, e la prima volta che mi capita- lui cambia espressione, puntando su uno sguardo sorpreso.
-In che senso è la prima volta che esci! Impossibile-
-Avevo il divieto di uscire di casa e di frequentare istituzioni pubbliche. Sono sempre stata segregata in casa, se così si può definire- arriccio le labbra in un espressione imbarazzata.
-Wow… che schifo- dice solamente con una punta d’ironia nel “wow” –Non vorrei mai conoscere il tuo vecchio tutore, con tutto il rispetto-
Sorrido –E’ un tipo particolare. Penso che abbia preso le sue decisioni per protezione, per evitare anche di essere di nuovo vittima di quello che si può definire bullismo- mi si stringe un po’ lo stomaco a parlarne, ma infondo questa sono io, prima o poi sarebbe venuto fuori quindi perché non dirlo subito?
Rin mi guarda ora interessato, una mano stringe la cintura della protezione rossa sulle sue spalle.
-Venivi picchiata?- chiede insicuro, impaurito dal toccare un tasto dolente.
Sospiro –Si, quando avevo si e no, sei anni. Dicevano tutti che ero la figlia di un demone- non continuo il discorso mi si bloccano stranamente le parole in gola e presto noto la figura di Rin ferma,  mi guarda con le labbra dischiuse.
-Che hai?- chiedo incrociando le braccia
-Nu…nulla- dice e ricominciamo a camminare seguiti da un silenzio tombale. Guardo davanti a me, la schiena di Yukio coperta dal suo giaccone; è silenzioso mentre tiene il cellulare premuto sull’orecchio – So cosa si prova- Rin accenna un’altra frase e ben presto me lo ritrovo accanto – Solamente che ero io a picchiare gli altri. Allontanavo la gente e tutti avevano paura di me… non lo sopportavo- scruto il suo profilo perfetto, gli zigomi marcati ma non troppo, la pelle olivastra ma chiara, gli occhi vuoti ma resi perfetti dal loro colore. E le labbra… quelle labbra che all’apparenza sembrano così sottili ma morbide…
-Siamo vicini- ci avverte Yukio, richiamando l’attenzione su di se. Distolgo lo sguardo da Rin per tutto il tragitto concentrandomi di nuovo sulla città che mi scorre intorno come i fastidiosi Coal Toar, invisibili agl’occhi di alcuni.
***
 
Il luogo in cui ci troviamo non è altro che il piazzale di un vecchio carcere abbattuto, siamo lontani dalle macerie che avevamo riscontrato all’inizio e questa parte della città sembra essere completamente diversa da quello che ho potuto osservare prima. Troppo isolata e inquietante.
Rivolgo lo sguardo intorno a me, sui muri costellati di scritte in vernice rossa che raffigurano frasi di angoscia, maledizioni o qualche pentagono sbiadito o quasi cancellato, come se qualcuno fosse stato interrotto mentre cercava di evocare un demone e abbia tentato di eliminare le tracce del disegno con scarsi risultati.
Alcune panche sono gettate per terra completamente distrutte accompagnando le miriadi di sigarette e siringhe usate.
-Questo carcere è stato abbandonato dopo la sua completa distruzione. Si era progettato anni fa di costruire una serie di edifici qui, ma da come possiamo vedere il progetto non è mai stato messo in atto. Adesso è un luogo dove spesso si rifugiano i drogati o i satanici come potete vedere- il sole picchia forte su di noi illuminando il viso di Yukio, facendolo sembrare meno sfigato ai miei occhi -Sono stati avvistate tracce di possessione, riti che vanno oltre la conoscenza umana, uccisioni umane per sacrifici e…- inghiotte malamente – Stupro di ragazze per scopi demoniaci. Altri esorcisti sono riusciti a trovare le ossa bruciate di qualche neonato e delle foto raffiguranti esseri completamente deformati dal sangue demoniaco… completamenti mostruosi. Si nascondono qui intorno ed ogni sera tentano di far risorgere un demone superiore- conclude Yukio. Mi tremano le mani a sentire le parole appena sentite e non riesco a capire come mia madre possa essere stata coinvolta in tutto questo.
Uomini e donne che venerano demoni superiori e che rovinavano i propri simili con riti, sacrifici e iniezioni di sangue demoniaco…
-Che dovremmo fare noi?- chiede Rin, serio in volto. Un’espressione rigida che gli contorna il viso e che lo fa sembrare più adulto.
-Aspettare…- pronuncia Yukio con le pistole in mano, strette in una morsa forte e pronta ad agire.
-Cosa?- chiedo
-Il demone superiore che dirige la setta-
-Avevi detto che stavano tentando di far arrivare un demone superiore, non che fosse già qui-
-Dopo la distruzione del carcere si suppone che un gruppo di giovani, per puro divertimento abbia cercato di fare un rito, non avevano intenzione di evocare un demone, infatti non ci sono riusciti ma ne hanno richiamato qualcuno… un demone che già si trovava ad Assiah da molto. Questo demone a quanto pare ha incominciato a pianificare l’evocazione di un demone ancora più forte chiamato “La madre”, non si sa altro- Yukio termina di spiegare e nella mia testa le informazioni combaciano tra di loro come i pezzi di un puzzle anche se manca ancora il pezzo più importante per me… mia madre.
-Quindi dovremmo aspettare?!- quasi grida Rin spazientito, evidentemente non è in vena di attendere l’arrivo di qualcuno che non potrebbe neanche comparire.
-Sono sicuro che ci stia sentendo… comparirà prima o poi- dopo queste parole pronunciate una risata femminile s’ infrange tra di noi facendoci irrigidire. Sto all’erta pronta ad attaccare sfruttando quelle abilità di Aria che mi ritrovo.
-Fatti vedere!- ringhia Rin al vento, digrignando i denti mostrando gli acuminati denti. Le risate aumentano come di spessore rivelando la voce giovane del demone che si aggira tra di noi.
“Avete tutta questa gran voglia di vedermi?” chiede la voce in un sibilo giovane, divertito ma che sembra tagliarti la mente con lame affilate. Un perfetto miscuglio  di ogni emozione decomposta, morta, orrenda, la sofferenza di un cadavere…
-Qual è il tuo nome?- chiede Yukio, fissando un punto imprecisato del piazzale.
Un’altra risata si infrange  “Il mio nome è uno dei tanti che possiede la Madre, giovane esorcista. Io sono Lalu, la terza reincarnazione” mi sembra quasi di vedere comparire un ghigno davanti a me.
-Chi è la Madre?- chiede ancora
“Vuoi sapere troppo, esorcista. Non sono questioni che ti riguardano” sibila ancora “ Ma che riguardano lei”.
La vedo ad un soffio da me: una figura alta e slanciata, perfettamente diritta su un paio di scarpe maledettamente alte che mi fanno sembrare più bassa di lei. Gli occhi che mi ritrovo a guardare con astio sono di un rosso lava, lo stesso colore dei capelli, corti quasi rasati, intenti a circondare il viso pallido e giovane del demone superiore.
Mi ci vuole un po’ per distinguere quel volto: le labbra dipinte di un colore quasi aranciato, arricciate in un’espressione divertita, il naso sottile, le orecchie appuntite, e lo sguardo maligno e lascivo dipinto sul volto.
-Mamma…- sussurro involontariamente lasciando scivolare il demone in un’altra risata.
Yukio e Rin si trovano dietro di me, in procinto d’attaccare,sono  l’unica cosa che riesco a sentire, mentre davanti a me il volto di mia madre sembra non voler scomparire. Vorrei piangere ma non lo faccio, forse perché so che è un’illusione.
-Mi dispiace, tesoro, non sono lei- sibila il demone, allontanandosi di qualche passo – Wow, sei veramente cresciuta- cambia discorso – e pensare che volevo ucciderti quando eri ancora una bambina…-
-Adesso basta!- sento Rin urlare e gettarsi con l’involucro rosso in mano sopra la figura slanciata di mia madre, anzi la figura con il volto di mia madre. Se non fosse per i capelli scarlatti e corti sarebbe uguale a lei.
Il demone alza gli occhi al cielo per poi sollevare un braccio verso Rin che viene scagliato lontano su un muro, in mezzo alle macerie.
-Detesto le intrusioni!- scocca un’occhiataccia a Yukio, come per avvertirlo di non farsi avanti –Stavo dicendo…- ritorna a dire – volevo ucciderti quando eri ancora una bambina- sudo lentamente freddo – ma poi ti ho lasciato vivere, infondo, sei pur sempre una parte di noi – i suoi occhi si incupiscono –Tua madre era la più diversa, una ribelle forse. Lei era quella che odiava il mondo demoniaco con tutta se stessa – digrigna i denti – Ma era sempre quella più apprezzata! Quella che tutti adoravano!  La odiavo… anche se con scarsi risultati! Quando si è invaghita di Michael pensavo che fosse uno scherzo, ma poi, quando ti ha concepito dentro il suo ventre… la furia che provavano verso di lei era tanta. Tutti erano così arrabbiati, che  è scappata lontano facendosi una nuova vita.- noto che ha gli occhi leggermente lucidi mentre  mi ritrovo a pendere dalle sue labbra che potrebbero raccontare ogni tipo di menzogna in questo momento, ma con quel volto è tutto più difficile -Sono passati anni da quando è stata riportata da noi, senza sua figlia, senza un briciola di anima accesa nel corpo etereo… La Madre ha pianto giorni e notti per lei- il suo sguardo e vuoto privo di ogni reazione, soltanto gli occhi tersi sembrano dipingere uno stato. Durante tutta la sua storia non sono riuscita a capire cosa c’entrasse mia madre con loro, con lei, è stata così generica quando ha raccontato qualcosa che poteva riferirsi anche ad un’altra donna. – Kali è sempre stata amata infondo-  la sua figura ferma e dritta si muove, esegue un balzo indietreggiando mentre sulla sua pelle candida compaiono marchi rossastri e neri, macchiandole persino l’interno dell’occhio ormai tutto nero.
-Adesso che possiedi tutte queste informazioni dovrei ucciderti- sibila con un ghigno –Me ne fotto se era tua madre, ti cercano morta o viva… e sicuramente non ti lasceresti mai nelle mani di una strega, vero?- punta il palmo della mano verso il pavimento in pietra del piazzale che viene velocemente ricoperto da una serie di marchi e rune demoniache, illuminate da una strana aura –Adesso si fa sul serio- dice per poi pronunciare strane litanie dal suono grezzo e prolungato facendo comparire all’interno del cerchio una strana creatura piumata. Il corpo è quello di una ragazzina con gli artigli lunghi quanto il braccio di un adulto e gli occhi morti, privi di colore. Le braccia sono completamente piumate di un nero cenere, collegate ai fianchi da strati sottili di muscoli; il viso è deturpato da una miriade di tagli da cui fuoriesce del sangue nerastro; la bocca è inesistente e al posto di essa sembra aver preso posto un ferita larga incrostata di nero; i capelli sono una serie di bende luride che coprono anche il corpo nudo di quello che sembra essere, in realtà, una bambina, alta e scheletrica.
-Non ho mai visto un demone del genere!- Yukio si affianca a me con un’espressione preoccupata e stupefatta, con le pistole puntate sul volto di quel demone sconosciuto.
-Ci credo giovane esorcista, questi demoni sono il lavoro della mia loggia- ghigna Lalu con le mani intrecciate in una strana posizione - Kuroi hakuchō -  il demone appena invocato inizia muoversi a scatti fin troppo veloci per poter osservare una sua posizione, troppo veloce per poterlo vedere gettarsi su di me con gli artigli bianchi puntatori dei miei occhi.
Yukio mi spinge via facendomi cadere pesantemente mentre inizia a sparare velocemente verso il demone che non schiva neanche un proiettile. Quando la moltitudine di spari finisce il demone si muove con un altro scatto, aprendo le braccia alate e mostrando i fori insaguinati di nero. Il sangue denso macchia le bende e i proiettili che ben presto vengono scagliati velocemente sulla figura di Yukio.
Devo agire velocemente, ma nessun verso biblico potrebbe distruggere questo demone creato dalla mente malata e degenerata delle persone, questo demone che è il risultato di sangue,vite e pazzia…
E’ inutile che punti su di lui, se distruggo la runa dovrebbe scomparire ma come si è formata una runa potrebbe formarsene un’altra, devo puntare su Lalu, sulla sua figura, anche se stiamo parlando di un demone superiore, anzi , di una strega.
Mi alzo, il tempo di vedere la figura malconcia di Rin scagliarsi sul Kuroi hakuchō. Lui sembra emanare una luce bluastra mentre stringe la presa su un vecchio tubo di ferro, sicuramente trovato tra le macerie, ma non ho tempo per assicurmene.
Corro sotto lo sguardo stranito di Yukio, sanguinante da un taglio sul collo. Mi scaglio sulla figura di Lalu, impegnata a controllare il demone invocato, facendola cadere sulle sue stesse scarpe. Ringhia infuriata mostrando il suo viso totalmente deturpato da una serie di marchi, mentre i suoi occhi, ormai completamente neri, assumono una sfumatura rossastra.
-Sgualdrina, non osare mai più toccarmi, lurida umana- sibila puntando il palmo di una mano marchiata verso di me. Mi piego su me stessa lacerata dal dolore che parte dal ventre fino alla testa, un dolore che man mano si annulla. Ghigno:- Non sono un’umana- dico sollevandomi da terra ancora piegata in un ultimo spasmo di dolore –Sono un mostro- mi getto su di lei e stringo il suo collo tra le mani, ormai illuminate dalla luce delle varie crepe, stringo, stringo sempre più forte  spingendo con violenza i pollici all’altezza della gola come se da un momento all’altro la dovessi bucare.
Le sue dita sottili quasi scheletriche  mi stringono un caviglia e sono costretta ad allentare la presa . Lei riprende velocemente aria e con essa i miei capelli scagliandomi contro un muro.
Non lascio che nessun gemito di dolore esca dalla mia bocca, non voglio darle questa soddisfazione. Il mio corpo è intenzionato a non muoversi e solo ora noto con disgusto rune demoniache nerastre sulla caviglia che segnano il loro passaggio sulla mia pelle come le radici di un albero.
-Lo ammetto, ho fatto un passo falso scagliandoti una punizione di quel genere, infondo, come hai detto tu, non sei completamente umana- si avvicina lentamente a me e noto delle violente bruciature all’altezza del collo, alcune così aggressive che lasciano intravedere i tendini o le clavicole.
-Vediamo se così la facciamo finita una volte per tutte- il suo palmo marchiato si posa di nuovo davanti alla mia figura e il percorso delle rune si fa più veloce.
Le sento sulla mia pelle; mi scorticano viva togliendomi il respiro e arrestando la mia luce. Ormai delle mie gambe stanno rimanendo soltanto cenere ed ossa. Quanto vorrei urlare alla vista di questo schifo, di questa tortura quasi indolore ma che provoca la mia veloce decomposizione, ma non ci riesco per una semplice questione d’orgoglio.
E proprio per questo orgoglio morirò.
Mi fermo ad osservare il cielo. Dove finirò? Paradiso, purgatorio o inferno . A me non fa comunque differenza ma a loro si, a tutti fa una grande differenza, perché io sono l’arma.
Quei marchi che salgono velocemente su tutto il corpo sembrano lasciare per pochi secondi piccoli e sottili spilli. Li sento nel ventre, nel petto, nelle braccia, nei polmoni e nello stomaco.
Le rune sono adesso arrivate alle spalle e del mio addome non è rimasto più nulla che qualche organo rinsecchito, guardo un ultima volta la mia assassina, quella che mi prenderà e mi porterà con se. I suoi occhi sono ancora completamente neri e il suo ghigno per la prima volta mi intimorisce così tanto che se solo avessi ancora il mio corpo sentirei miriadi di brividi partirmi dalla colonna vertebrale.
Dalle spalle le rune passano alla gola, lasciandomi così cullare dal retro gusto della morte, chiudendo gl’ occhi per non vedere altro. L’ho visto il mio cuore, era l’unica cosa che non è rimasta bruciata, era rosso vivo e sembrava contornato da pura luce, batteva velocemente sporcando la cenere, che era diventato il mio corpo, di rosso cremisi.
L’ultima cosa che sento è uno strano sentore di qualcosa che brucia, l’urlo di Lalu che mi scortica i timpani e di nuovo la morbidezza vellutata delle dita che si strofinano tra di loro. Risento il muro freddo sulla mia schiena e la stretta salda di un corpo rovente, come di qualcuno appena uscito da una doccia bollente.
Socchiudo gli occhi, davanti a me soltanto il tessuto della camicia di Rin, macchiata in più punti da sangue scarlatto o nero.
-Stai bene?- ansima stanco, circondandomi le spalle con un braccio. Nell’altro tiene la katana nel fodero, senza l’involucro rosso. Sembra leggera ma affilata, anche se coperta alla vista da quel fodero blu, inciso da piccoli segni o strane frasi, ma sono così piccole da sembrare solamente il motivo di una fantasia.
Annuisco –Si- sospirò debolmente ricadendo sulle mie stesse gambe, quelle che poco fa erano un mucchio di ossa, muscoli e pelle bruciati. Rin mi stringe più forte intimandomi di non muovermi.
Lalu è stata scagliata lontano.
 I suoi occhi sono spalancati, grondanti di sangue bordeaux che scende velocemente a inumidirle le labbra e la pelle pallida. Una gamba è saltata via e proprio al centro della cassa toracica c’è un foro di enormi dimensione annerito. Alcuni resti dei suoi vestiti bruciano lentamente creando piccoli fumi che si uniscono a quello del pessimo odore di morte e di demone bruciato, e l’aura maligna che la circondava svanisce velocemente, dileguandosi.
Dal cielo scendono pesanti gocce nerastre sporcando il suo viso e quello mio. Sono salate, hanno il sentore del dolore e dell’agonia come vere e proprie lacrime.
Il silenzio regna sovrano se non fosse per gli ansimi di Yukio e Rin.
Quest’ultimo pian piano indebolisce la stretta. Si inginocchia davanti a me dandomi vista dei tanti tagli sul suo braccio che sembrano bruciare vivi.
-Non ce la fai a camminare. Aggrappati e non fare storie- e non ne faccio veramente.
Mentre sono aggrappata al suo collo e lui mi cinge le gambe per non farmi cadere, la sua schiena sembra bruciare come il resto del corpo, sento persino l’odore fresco di pulito della sua camicia mischiato a quello pungente delle fiamme e della cenere, reso più vivo dalla pioggia che ci bagna sempre più violentemente.
Yukio è rimasto ferito ad un braccio dove fiotti di sangue escono dal bicipite rigido. Fiotti che non hanno intenzione di placarsi, neanche con un pezzo di camicia avvolto stretto intorno al braccio.
-Cosa abbiamo risolto quindi?!- chiede Rin.
-Abbiamo ottenuto delle informazioni importanti- risponde Yukio stringendo i denti, e la mano sul suo braccio. Le gocce nerastre gli lasciano sulla pelle piccoli tragitti rosso schiarito, sporchi.
-Quindi magari tu perdevi un braccio e lei moriva per delle informazioni?!-
-Calmati-
-E se non volessi farlo?!-
-Smettila di fare il ragazzino testardo e ascoltami una buona volta!-
Rin sembra essersi zittito, anche se, solo potesse, ne direbbe così tante che lascerebbe Yukio spiazzato, lo sento.
-Vaffanculo- sibila solamente allontanandosi dalla figura del fratello minore e stringendo la presa sulle mie gambe.
***
 
 La sera sono completamente distrutta, con una sensazione simile all’annegamento che mi grava sopra come una maledizione.
Il mio corpo, ritornato intatto, presenta altre cicatrici e le rune sembrano aver lasciate marchi biancastri al loro posto (solamente sulla caviglia).
Lentamente e indolore stavo raggiungendo la più completa decomposizione senza reagire, conosco le streghe e proprio per questo non posso accettare di essermi fatta paralizzare e quasi uccidere da semplici rune da maledizione. Rune scadenti che non richiedono molto potere alla strega che le pratica. Sarebbe bastata un piccola parola, arrotondare la lingua in quel tono strano e demoniaco per poter far vaporizzare le rune ma quelle stramaledetta parola sembrava essersi dissolta come il mio corpo.
Il corpo che adesso starebbe marcendo all’inferno se non fossi stata aiutata…
L’immagine del cadavere di Lalu è impresso nella mia mente come un tatuaggio. Ricordo dai fiotti di sangue scuro che sciabordavano dal suo arto strappato, ai più piccoli e miseri tagli praticati sul corpo minuto e quasi scheletrico. Le streghe, almeno nei libri, sono sempre state così… magre ma slanciate, crudeli ma belle, malefiche ma desiderate. Posseggono un potere che supera certamente quelli dei demoni superiori e non riesco a capire come quella donna dai capelli rossicci si sia fatta uccidere così facilmente da un esorcista; certo, le streghe sono anche i demoni più deboli a livello di fisionomia ma non di astuzia, ci sono troppe cose che non quadrano.
E poi… la strana somiglianza con mia madre, lo strano collegamento con mia madre…
La Madre ha pianto giorni e notti per lei” “Kali è sempre stata amata infondo”… sono frasi così difficili da comprendere! Mia madre non era un demone… sarei morta prima di nascere in quel caso… ci deve essere qualcos’altro, qualcosa che forse neanche i demoni sanno, soltanto le streghe e la loro Madre.
***
 
 
“Lilith, o meglio, la donna dai tanti nomi, è sempre stata riconosciuta come la prima moglie di Adamo. La storia racconta che fu cacciata dal paradiso perché non voleva sottostare alle leggi dei divini che imponevano l’uomo come figura predominante e lei, un po’ per vendetta, si rifugiò nelle sponde del mar Rosso dove trovo vari demoni che l’avrebbero aiutata a soddisfare il suo piacere sessuale. Dalle varie unioni con essi  nacquero creature umane ma dai potenti e devastanti poteri demoniaci, geni,vegenti, streghe e stregoni.
Dopo la nascita di queste creature, belle e dannate, tre angeli mandati da Dio vennero a prenderla per riportarla da Adamo, minacciandola anche di morte, ma lei ammise di aver avuto relazioni con dei demoni e che quindi non poteva ritornare nell’Eden e che non aveva paura delle minacce di morte, essendo immortale. I tre angeli, allora, minacciarono di togliere la vita ai suoi figli, che lei aveva generato con i demoni.
Lilith li supplicò di non farlo, promettendo che non avrebbe toccato i discendenti di Adamo ed Eva, se solo si fossero pronunciati i nomi dei tre angeli.
Lilith, come ho scritto precedentemente, è la donna dai tanti nomi. Da sempre viene definita con il termine di “Luna Nera” o “Lilitu”; in alcuni testi è anche chiamati “Lamia” o “Talto”, ma il nome che viene quasi sempre pronunciato dai demone è “La Madre”.
Oggi giorno si dice che Lilith non riesca più a procreare a causa delle tante maledizioni che le sono state scagliate attraverso i secoli, ecco perché le streghe sono difficli da trovare. Proprio per questo motivo, all’oscuro degl’ esorcisti, vengono allevate giovani ragazze che fungono da “contenitori” per i figli di Lilith.
Queste ragazze vengono scelte fin da piccole e assistite ogni attimo della loro vita. In tutto il mondo saranno circa settanta ragazze che si occupano della progenie della loro madre.”
 
 ***
Stringo forte i denti, soffocando le urla di dolore e i sighiozzi, reggendomi al lavandino del bagno femminile. Sento le gocce di sudore scendere lunga le tempie e la nuca e gli ansimi farsi sempre più pesanti mentre con gli occhi imperlati fisso il legno del pavimento.
Illuminata solamente dalla luce lunare che proviene da una finestrella, distinguo il sangue appena sputato da quello che mi scorre velocemente sulla schiena, dove adesso sento la presenza di arti mai sentiti. Muscoli che non ho mai saputo muovere a mio piacimento e che si contraggono ad ogni mio colpo di tosse. Il tatuaggio pulsa con fervore depurandomi da ogni incantesimo demoniaco presente nel mio corpo, liberandomi da ogni maledizione e affrettando la crescita delle mie ali in maniera troppo aggressiva.
Piango, piango mordendomi convulsamente l’interno della guancia per non urlare ma lo spasmo di agonia che anticipa l’arrestamento di quella tortura è di troppo per la mia persona e mi libero in un grido di rabbia e dolore mal trattenuto sperando di non aver svegliato i due gemelli al piano di sotto.
Ansimo risentendo il sollievo del poter ritornare a respirare senza essere vittima dell’agonia, accasciandomi stancamente sul pavimento. La chiazza di sangue sulla mia schiena mi fa salire la nausea e sono tentata di vomitare di nuovo, questa volta disgusto non sangue.
Devo sistemare il tutto e farmi una doccia veloce, quantomeno per ripulire i miei capelli dalla tinta rossa che hanno assunto.
Arcuo la schiena verso l’alto facendo muovere quei muscoli sulle mie scapole. Muscoli che mi sono costati una notte insonne fatta da incubi e spasmi, di lacrime e sangue.
Adesso sono troppo stanca per rialzami dal pavimento freddo.
La canotta che uso spesso per dormire è ormai grondante d’acqua, sudore e sangue, e il resto del corpo non è da meno.
Piango, coprendomi il viso con una mano mentre con l’altra picchio forte sul pavimento fino a sentire il tipico rumore del parquet spaccato, fino a quando qualcuno di indistinguibile ai miei occhi spalanca la porta.
Leggere la sua aura mi costerebbe troppo e penso che sia Yukio ma le braccia che mi prendono e mi stringono ormai sono sicura di poterle riconoscere.
-Kami miei… cosa cazzo hai fatto?!- è quasi un urlo preoccupato, un tono di rimpovero insolito per lui. Lui che non può sapere, che non potrebbe capire.
Chiudo gli occhi, ormai è sempre così, tra poco sarò in camera mia, fasciata da  capo a piedi, almeno spero, ma luce di una lampada mi investe violentemente costringendomi a ritornare alla realtà.
Non sono nella mia stanza ma in quello di Yukio e Rin.
Rin.
Quello che adesso mi ordina di non muovermi mentre mi sdraia sul suo letto. Il suo. Ha il suo stesso odore naturale. Dovrei fermalo: lui non deve vedere quelle ferite, così perfette e simili; troppo anormali per appartenere ad un essere umano, troppo profonde perché uno di essi ci possa convivere.
Yukio non c’è, chissà dove sarà? Forse a informare Mephisto sulle informazioni che abbiamo ottenuto.
Mephisto.
E’ da un a settimana che non lo vedo. Mi mancano i suoi “darling”, il suo modo quasi femminile di chiamarmi “Thalia” e quello di sviare un discorso perché non aveva voglia di parlare.
Anche se la debolezza mi pervade a lunghi attimi sento che la mia voce è pronta ad essere emessa dura, forte e pungente…. Come lo è sempre stata.
Ricompare Rin davanti a me con tutto il necessario per poter disinfettare e chiudere ogni ferita ma lui sembra non sapere minimamente come si faccia.
-Rin- lo chiamo, con voce ferrea, ma lui sembra ignorarmi –Rin!-  mi sollevo sui gomiti e le lesioni mi pungono un po’. Si volta verso di me con lo sguardo trafelato e disorientato –Calmati… non è nulla- sembra risvegliasi e infervorarsi.
-Non è nulla?! Non è nulla!- ripete – Stai morendo dissanguata!- la luce che intravedo nei suoi occhi mi mette i brividi: la stessa che ho visto nello sguardo di Satana in quell’incubo.
-Non sto dissanguando!- stringo le lenzuola sotto le mie mani –Mi sono sentita male, ok?
-Da quando chi si sente male sanguina?!-
-Kami… sono fatti miei se sono ridotta in questo stato non credi? Ti sembro per caso sul punto di morte?!- sembra zittirsi ma digrigna i denti e pare voler ringhiare da un momento all’altro. Espiro – Se vuoi essermi d’aiuto vammi a prendere semplicemente una  maglietta pulita… ci penso da sola- afferro un rotolo di garza e togliendomi la canotta grigia, restando in intimo, facendo ridestare il corvino davanti a me che inizia ad arrossire –Vuoi rimanere per lo spettacolo o cosa? Vammi a prendere quello che ti ho chiesto in camera mia- inizia a balbettare frasi sconnesse uscendo dalla sua camera con il volto arrossato.
Rido divertita e sganciando il reggiseno inizio a disinfettare le ferite.
 
-Tutto a posto, vero?-
Annuisco.
-Sicura? Posso chiamare Yukio, se vuoi- è proprio seduto davanti a me con la maglietta del pigiama al contrario. Sicuramente l’avrà messa di fretta quando avrà sentito il mio urlo.
Glielo faccio notare e lui quasi indignato inizia a borbottare sfilandosi da sopra la testa quel pezzo di stoffa. Mi soffermo a guardare il suo corpo ed è proprio come lo immaginavo. Perfetto e segnato da tante piccole cicatrici. Le clavicole sono nettamente visibili e sotto di esse fanno sfoggio i pettorali. Rigidi e duri, vengono seguiti da quelli che sono gli addominali magri e perfettamente segnati, quasi d’istinto mi ritrovo ad artigliare il tessuto pulito sotto le mie mani (dopo essermi medicata abbiamo cambiato il lenzuolo, imbrattato di sangue, con un altro).
-Devo rimanere per lo spettacolo?- chiede lui con un tono divertito facendo riferimento ad una mia frase precedente.
Come risposta afferro il cuscino e con un sorriso tra lo stupefatto e il divertito lo scaglio sul suo volto.
-Non è divertente- dico costringendolo a sdraiarsi sul letto con il cuscino sul punto di soffocarlo. Toglie il guanciale sul volto sorridendo divertito mostrando gli acuminati canini e gli occhi più blu e infervorati del solito. Il loro colore perfetto mi ricorda quello scuro dei lapislazzuli ma cristallino come il zaffiro scheggiato, fatti per essere guardati.
-Si che lo era- ribatte cercando di alzarsi. Lo blocco gettandomi sulla sua figura, armata di un altro cuscino in mano. Lo colpisco giocosamente mettendomi a cavalcioni su di lui, stringendo i sui fianchi tra le mie gambe.
Lui continua a ridere.
-Smettila- dico inscenando un finto broncio, in un tono lamentoso, facendo cessare pian piano le sue risate.
Siamo soli, accompagnati da quel denso silenzio, e solo ora mi accorgo del suo corpo ancora semi-nudo sotto di me. Maledico me stessa mentalmente quando il mio occhio ricade su quel corpo stanziandosi un po’ troppo a lungo sotto i suoi occhi curiosi e infiammati da chissà quale sentimento.
Sento i palmi delle mani sudate, appoggiati proprio sui suoi fianchi, che lambiscono la pelle senza il mio volere.
Quell’aria divertita e amichevole sembra essersi dileguata in un soffio lasciando spazio a quella tensione che mi asciuga la bocca e le labbra costringendomi a passarci sopra la lingua.
Lo sguardo di Rin si illumina e il rossore sulle gote lascia spazio a un’espressione maliziosa.
-Forse dovrei andare- ansimo sentendo il calore della mia pelle espandersi troppo. Scosto i capelli da un lato rinfrescando la nuca accaldata.
-Perché?- chiede lui muovendo le mani per accarezzarmi le cosce nude. Artiglio la sua pelle, trovandola rigida. ma stranamente dura. Sembra uno strato sottilissimo di carne, fungente a ricoprire quei muscoli.
-Perché sono le cinque del mattino!- sbotto e lui spinge la mia figura sul suo corpo portandomi ad appoggiare il mento proprio nell’incavo dei pettorali dandomi spettacolo del suo sogghigno irritante.
-Che stai facendo?- chiedo irritata dai suoi sguardi e dal calore che sembra non volermi abbandonare sul corpo e sulla guance.
-Dormi qua sta notte- e il suo sorriso da ragazzino ingenuo sembra ritornare un attimo.
Sono tentata di chiedergli il perché, ma non lo faccio.
Poggio la guancia bollente sul suo petto, chiudo gli occhi concentrandomi sui battiti accelerati del suo cuore, il calore fastidioso che rilascia il suo corpo e che mi tenterebbe a spogliarmi, adesso, qui, forse anche per sentire la piacevole sensazione del tocco della nostra pelle.
Lo sento accarezzarmi i capelli, scostarli e infilare le sue dita affusolate tra di loro, proseguendo poi per la schiena scoperta dai fili biondi, accarezzandola e soffermandosi su le bende rosee che mi coprono le ferite.
-Non toccarle, per favore- sussurro e lui si arresta scendendo più giù fin sopra il fondoschiena, fermandosi lì e stringendo la presa mentre allunga un braccio per premere il tasto della luce e lasciarci ingoiare dal fitto oblio, che mai mi è sembrato più bello di adesso.


LITTLE WONDERLAND
 Allura... questa immagine raffigura perfettamente come ho sempre immaginato Nathalie... certo senza l'abito da sposa e con i capelli una puntina più chiari... ma siamo lì ^^
Bene, spero che vi piaccia questo nuovo capitolo. Alla prossima :3

P.S Gli aggiornamenti possono avvenire dopo secoli... in quel caso datemi per deceduta o in vacanza *-*

A_MiraJ

 

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Capitolo 5
*** Breaking the silence... ***




Breaking the Silence...

L’orologio a pendolo davanti a me segna ogni singolo secondo.
Tick. Tack. Tick. Tack.
Intorno a me il vuoto e l’oblio asfissiante, e quell’oggetto sembra l’unica cosa a cui aggrapparmi. Fatto di un legno scurissimo alla base e color nocciola verso il quadrante.
“Manca poco…” di nuovo quella voce robotica.
“Manca poco…” e di nuovo quel sibilo ghignante.
Quanto poco? Perché?
“Manca poco… Nathaliel” e la voce che riconoscerei tra mille… quella di mia madre.
 
Apro gli occhi di scatto, riprendendo a respirare. Le mie mani stringono aggressivamente il lenzuolo sotto di me e tremo visibilmente. L’oscurità mi avvolge completamente interrotta forse dalla luce lunare proveniente da una finestra.
Sollevo il mio corpo, quanto basta per poggiare i gomiti sulle gambe e  reggere la testa con le mani sudate. Respiro velocemente, reprimendo qualche singhiozzo incontrollato.
Tremo senza il mio volere. Scatti che non riesco a controllare come se quei tremori mi facessero sopravvivere, come se fossero la certezza dei miei respiri perché si… mi lascerei morire ogni volta in quei sogni.
Un attimo dopo mi accorgo che nella stanza in cui mi trovo si mischiano altri due respiri, uno è vicino l’altro si trova nel letto opposto a quello in cui mi trovo: sono ancora nella stanza di Yukio e Rin, e nel letto di quest’ultimo, proprio tra il muro e il suo corpo.
-Tutto bene?- lo sento sussurrare, la voce attutita da un cuscino.
Annuisco come se potesse vedermi e lui mi stringe un polso con la sua mano, costringendomi con un momento veloce ma brusco a sdraiarmi di nuovo.
Per quanto possa essere buio lo vedo togliere il viso assonnato dal cuscino per posarmi sopra i suoi occhi ( o almeno credo dato il buio).
-Stai tremando- afferma spingendomi di più verso di lui, verso la pelle calda del suo petto.
-Non è nulla- sussurro mordendomi il labbro per non scoppiare in un pianto di frustrazione – Solo un incubo-
-Vuoi parlarne?-
-Sarebbe troppo difficile da spiegare… e Yukio potrebbe svegliarsi- non so quando sia tornato quest’ ultimo ma, da come pare, sembra che non mi abbia notato.
Fa per parlare ma richiude subito la bocca come scottato, scivolando di nuovo in un lugubre silenzio in cui i miei tremori potrebbero avere anche un suono.
-Sta diventando troppo difficile…- accenno mentre una piccola lacrima mi scivola sul viso –Non ce la faccio più – continuo –Ogni volta lui… entra nei miei incubi e insieme a lui c’è mia madre-
-Chi?- mi chiede accarezzandomi la schiena come per incoraggiarmi.
-Satana- dico e lui arresta quelle sue carezze come stupito – Lui ha ucciso mia madre-
Ricadiamo nel silenzio. Lui completamente ammutolito stringe forte la presa sul mio corpo quasi bruciandomi in quel calore corporeo. Completamente rigido come pronto a scattare per sferrare un attacco violento.
-Anche mio padre è morto per colpa sua- dice in tono basso quasi inquietante. Guarda il soffitto come se fosse in sovrappensiero. Tutto intorno è troppo scuro per scorgere la sua espressione ma giurerei dal tono di voce che mostri un’espressione rabbiosa mista a sofferenza.
-Ero una bambina quando è successo- dico poi, stringendo il tessuto della mia maglietta –Era un giorno come gli altri- accenno un sorriso triste – Ero appena tornata da scuola e mia madre come sempre, dopo pranzo, passava il suo tempo ad acconciarmi i capelli, anche quando ero piccola li avevo molto lunghi.- Mi fermo un attimo, il tempo per ripristinare i ricordi sbiaditi – Ricordo che nel piccolo appartamento che avevamo possedevamo un camino, e soprattutto d’inverno ci mettevamo sempre lì davanti a riscaldarci, quel giorno però le fiamme divennero blu…. Il resto sono ricordi troppo veloci, la paura mi angosciava troppo per poterci capire qualcosa, l’unica cosa che ricordo sono urla… urla di dolore- ogni parola pronunciata sembra sbattere violentemente sul mio volto, come se si riflettesse sulla pelle del petto di Rin per essere scagliata contro di me come sottili lame.
Chiudo gli occhi come per addormentarmi di nuovo asfissiata da questo abbraccio soffocante che stranamente mi piace.
-Mi dispiace- sussurra lui sulla mia fronte
-Non dispiacerti… ormai è passato troppo tempo… non fa più male. Pensa che non ricordo neanche il viso di mia madre-
-E tuo padre?- questa volta sono io ad irrigidirmi.
-Non ho mai avuto un padre. Ha abbandonato me e mia madre quando io non ero ancora nata. L’unica persona che posso definire padre è il mio tutore-sibilo –Un bastardo. Ecco cos’è e rimarrà mio padre. Un bastardo.Lo odio… lo odio-
Cala il silenzio.
-E tuo padre, invece?- chiedo poi calma
Passano lunghi secondi prima di ricevere una risposta.
-Era un prete. Adottò me e Yukio appena nati…-
-Siete stati adottati?- chiedo quasi incredula
-Si. Mia madre morì subito dopo il parto e mio padre è uno schifoso coglione- risponde lui quasi ridendo –Mio padre adottivo era un rompi palle invece, una seccatura, aveva sempre qualcosa da rinfacciarmi. “Fai sempre a botte” “Devi trovarti un lavoro” “I tuoi voti fanno pena”, pretendeva troppo… e odiavo quando mi metteva in confronto a quel quattrocchi-
Rido con tono basso –In effetti non si può pretendere molto da te- lo sbeffeggio
-Ehi! Vedi che sono molto utile-
-Si, certo- rido contro di lui come per attutire il suono delle mie risate per poi ritrovarmi sotto il suo corpo in un movimento veloce. Lo vedo indugiare poi fa scivolare freneticamente le dita sulla mia pelle, fastidiosamente.
Odio il solletico.
Rido, cercando di scostarlo e di contenermi per evitare di svegliare l’altro gemello, velocemente si formano delle piccole lacrimucce ai lati degl’occhi per le troppo risate.
-Basta, ti prego, smettila- sussurrò rischiando di strozzarmi
-Chiedimi perdono- afferma lui mentre ormai il cielo inizia a farsi più chiaro. L’alba è vicina.
-Mai- sibilo preparandomi al prossimo round.
Ma lui semplicemente sta immobile a fissarmi con le mani ai lati del collo. Inghiotto difficilmente: non mi sento per niente a mio agio, con un ragazzo semi nudo sopra di me, un ragazzo che è il fratello del mio insegnante, un ragazzo che viene raffigurato come un demone nei miei sogni.
-Hai degl’occhi bellissimi- semplicemente dice mentre sento una strana presenza muoversi nei  suoi pantaloni*.  Lo vedo avvicinarsi pericolosamente e indugiare sulle mie labbra per ritrarsi velocemente lasciandomi libera dalla sua presa mentre inventa una scusa per uscire dalla stanza e lasciarmi lì, di nuovo sola a contemplare annoiata il respiro di Yukio sempre più veloce.
***
 
Mephisto è sempre stato freddo negli abbracci. Ci ho fatto l’abitudine ma qualche volta gli rinfaccio sempre quel suo modo di fare… forse è proprio una cosa che a che fare con i demoni, non so, ma gli abbracci che ci siamo scambiati da quando lo conosco si possono contare sulle dita di una mano.
Era stata una semplice mattinata, avevo saltato la colazione e nelle prime ore di lezione alla True Cross avevo cercato di non addormentarmi a causa della fisica, kami miei quanto odio quella materia, poi era arrivato un uomo di mezza età in classe che richiedeva la mia presenza nello studio del preside e così mi sono ritrovata a stringere tra le mie braccia senza controllo il mio tutore.
I fratelli Okumura erano stati anch’essi convocati, Yukio era rimasto impassibile a quella visione d’affetto che avevo manifestato col demone, Rin invece sembrava esterrefatto.
-Ahi! Thalia- esclama Mephisto quando sciolgo l’abbraccio e gli assesto un pugno sul braccio con espressione adirata.
-Non ti sei fatto più sentire! Potessi anche morire!-
-Lo saprei, darling, adesso vedi di accomodarti dobbiamo parlare di cose serie- dice, poi si rivolge al maggiore degli Okumura  -Tu invece vedi di mutare espressione Okumura-
-Rin- Yukio s’intromette –Mephisto è il tutore di Nathalie-
-Che?!- esclama sorpreso reprimendo una risata - Nahh, impossibile, tu sei Mephisto-
-Che tu ci creda o no, posseggo una figlioccia fantastica, qualche problema?- alle ultime parole il demone assume un’espressione intimidatoria.
-Nessuno- inghiotte malamente Rin
-Vi ho convocati qui per una missione… una missione speciale- sogghigna il demone – Sono stati avvistati a Chicago, in America, demoni di vario genere tra cui le strane creature che avete combattuto l’altra volta. Altre sette si aggirano per la grande città e ogni sera creano il panico rapendo civili nelle piccole e isolate metropoli o almeno i pochi che sono rimasti- Yukio fa per parlare ma Mephisto lo interrompe sul nascere –Non è tutto, sempre a Chicago, ci sono stati avvistamenti di luce strana quasi accecante e sono state ritrovati arti strappati, o meglio ali. Ali molto grandi, bianche, quasi argentee, ali d’angelo…- al solo nome mi viene la pelle d’oca e mi si asciuga la bocca. Ali d’angelo? Strappate? –Si pensa che sia opera dei demoni… ma anche degli angeli- mi manda un’occhiata –In effetti avrebbero dei motivi per estirpare ali ai loro simili-
-Angeli?- chiede Rin –Esistono?-
-Certo che si Okumura. Questa domanda dimostra effettivamente l’attenzione che dimostri durante le ore di lezione- il diretto interessato assume un’espressione indignata quasi irata –Il primo demone in assoluto. Il re di Gehenna, proviene dalla stirpe degl’angeli ,venne poi cacciato dall’arcangelo Michael per essere divenuto un blasfema contro Dio, e un vero e proprio contradditore.
In sostanza come esistono i demoni esistono gli angeli, semplicemente che quest’ultimi non si fanno vedere molto spesso, sono molto egocentrici e chiusi di mente-
-E perché dovrebbero strappare delle ali?- chiede ancora Rin –Insomma non sono buoni?-
Nella mia testa il suono di una risata, una di quelle disperate che mi si riproducono in testa.
-Gli angeli non stanno da nessuna parte- risponde Mephisto –Il loro unico scopo e ubbidire al loro Dio e proteggerlo. E se qualcuno disobbedisce viene cacciato dal paradiso divenendo un angelo caduto e se gli angeli caduti conservano rancore diventano a loro volta demoni-
Trattengo il respiro: non ero mai venuta a conoscenza di questo e adesso non so se definirmi anche io un angelo caduto, in bilico tra l’inferno e il paradiso, che al prossimo passo falso potrebbe scatenare un’altra apocalisse.
-Partirete questa sera stessa-
-Cosa?- ribatto –Ma sei impazzito? E per quanto tempo?!-
-Finche la situazione non sarà sistemata, cosa che potrebbe richiedere mesi-
Lo trafiggo con uno sguardo come per ricordargli la situazione in cui mi trovo ma lui non sembra curarsene forse perché sa che posso farcela da sola nonostante la mia scarsa abilità in battaglia… no, è solo stronzo.
-Avrete diritto a portare altri esorcisti con voi e partirò io stesso con voi per controllare la situazione di persona ma ripartirò subito dopo-
I gemelli annuiscono convinti forse nello sguardo di Rin mi pare di aver scorto una luce d’insicurezza ma che sembra svanire subito nel suo sguardo ghiaccio. Sguardo che non mi rivolge dalla sera precedente.
Poi sento un crack.
Spalanco gli occhi alla vista di quella reazione anomala che fortunatamente ho visto solo io.
Crack.
Un rumore sordo che percepisco solo io, dato dal mio corpo che dal gomito scoperto in giù inizia a creparsi.
-Perfetto vado a fare i bagagli- dico frettolosamente correndo fuori dallo studio, distendendo il braccio per vedere già formarsi le prime chiazze di luce che fuoriescono dalla pelle.
-Dannazione- sibilo. Non so cosa stia accadendo, solitamente era un segno visibile quando adoperavo i miei poteri o quando m’innervosisco ma adesso? Non sono nervosa, direi abbastanza tranquilla e non sento dolore né angoscia.
Allora perché quelle crepe si fanno sempre più fitte fino alla mano e alla spalla mentre scendo velocemente le lunghe scalinate dell’edificio?
E’ semplicemente frustrante come quando sei un sogno: sei lì ma non ne hai il pieno controllo, vorresti cambiare alcuni aspetti ma non puoi perché tutto sembra essere governato da una forza mistica che ti costringe a muoverti o a parlare. E adesso vorrei semplicemente sapere qual è la forza mistica che mi avvicina sempre di più a una semi-trasformazione.
Mia madre, ricordo, che credeva nel destino, che esso non si può cambiare perché quando credi di averlo mutato in realtà è proprio il destino che te lo fa credere… un controsenso senza uscita e ripeto… frustrante.
Quando esco, l’aria calda mi travolge violenta come il soffio di una fata vulcanica, quei piccoli demoni che vivono nei mucchi di pietre nelle aree vulcaniche, spiriti buoni e birichini soliti a scherzare e danzare con le fiamme.
Da piccola avevo chiesto a Mephisto di averne una ma lui mi aveva risposto che le fate vulcaniche erano demoni liberi  e che sarebbero morti senza l’aria bollente del loro ambiente. Io avevo annuito semplicemente pensando che non potevano definirsi demoni liberi se erano costretti  a stare in un certo luogo e non spostarsi, è una libertà ipocrita, camuffata.
Ma è strano… non può fare così caldo, è a malapena il mese di Febbraio.
Nel frattempo le crepe le percepisco già sul volto e da un occhio, quello destro, infatti inizio a vedere più chiaro e dettagliatamente, come un’ angelo.
-Strano vero?- una voce alle mie spalle, forte e chiara ma che allo stesso tempo risulta lontana.
Gli studenti passeggiano tranquilli come se non mi vedessero e alle mie spalle campeggia la sua figura, quella di mia madre anzi di Lalu la terza figlia di Lilith.
-Nessuno riesce a vederti… a vedere la vera te- una cicatrice le sfigura il volto, dall’ occhio sinistro al  mento, una cicatrice che la prima volta che l’ho vista non c’era. Mi si stringe il cuore a vederla anzi a vedere il volto di mia madre sfigurato.
Mi allontano da lei sentendo i battiti del cuore accelerati
-Non ti ucciderò- sibila vedendomi mentre mi ritraggo –Ho pagato per la tua quasi uccisione- mi mostra meglio la cicatrice e l’occhio che nonostante il taglio non sembra accecato solamente più scuro in confronto al rosso vivido dell’altro.
-Voglio solamente parlare-
Reprimo una risata -Parlare? Dopo che stavi per uccidermi. Perdonami se ti dico che non me la sento- sibilo ironica.
Lei si avvicina a me e con una scatto felino mi pianta un’unghia sulla fronte mozzandomi il fiato e costringendomi a guardarla dal basso –Non fare l’offesa- sorride –Sei proprio uguale a lei- poi sospira e un mucchio di domande si ammucchiano nella mia mente mentre i capelli rossi della strega dinanzi a me si scostano sotto la guida del vento cocente.
-Perché sei qui?- chiedo fredda
-Per rispondere alle tue domande Nat-
Nat. Sembra quasi un modo umano, amichevole che stona sulla figura di colei che doveva essere la mia assassina.
Ci sono così tante domande su mia madre che vorrei farle ma chiedo solamente – Perché volevi uccidermi?-
Toglie il dito dalla mia fronte –Gelosia- scrolla le spalle
-Gelosia?- ripeto sbalordita e lei si allontana mischiandosi al cumulo di studenti che l’attraversano come se fosse un fantasma e lo stesso fanno con me, fortunatamente, data la mia condizione.
-Si gelosia. Perché nonostante tua madre abbia procreato con uno schifoso angelo è stata perdonata, l’avessi fatto io mi avrebbero ripudiata in eterno!-
-Cosa ha a che fare mia madre con te?- chiedo poi seguendola
-Ci sono tante cose che non sai Nat… non sai la natura di chi ti sta attorno figuriamoci quella tua o dei tuoi familiari. Secondo te tua madre era completamente umana?- mi chiede voltandosi verso di me ma io non rispondo preferisco fare un’altra domanda per soddisfare quella mia curiosità.
-Chi è Lilith? Chi sono le sui reincarnazioni?-
Alza le sopracciglia sorpresa –Vedo che sei preparata sull’argomento anche se ti mancano alcuni dettagli fondamentali- fa un altro sorriso – Lilith è la madre dei demoni, ogni singolo demone è suo figlio pure il più insulso tra tutti, e lei li ama tutti quanti in diversi modi ma li ama. E le reincarnazioni… beh era quello che era tua madre-
***
 
Odio i viaggi in aereo. Odio le nuvole, il cielo, l’azzurro del cielo, le hostess, le persone che russano in aereo, il servizio dell’aereo,  il comandante, la voce del comandante, il fatto che l’aereo è guidato dal comandante… insomma non sono tipa da aereo, per niente.
E in questo quadro d’odio si aggiunge Mephisto che, seduto vicino a me, non fa altro che spacchettare e divorare dolciumi. Non gli ancora detto del mio incontro con Lalu e non so se lo farò, potrebbe iniziare a essere assillante, a farmi troppe domande e a rinchiudermi in casa per evitare “contatti con i demoni”.
Ma non era importante per ora. Durante quella discussione avevo assimilato troppe cose in poco tempo, mia madre la quarta reincarnazione della Regina dei Demoni, Lilith. Mia madre era una strega potente, una strega che predicava il bene delle persone, ammaliata dagl’angeli e dalla bontà… una strega esiliata dopo aver giaciuto con un angelo e uccisa per avermi dato alla luce.
-Talia ti vedo distratta- osservò Mephisto accigliandosi – Mi nascondi qualcosa?- chiese subito dopo. E, per quanto sarei tentata di raccontargli tutto, gli feci cenno di no e mi girai verso il finestrino, ritornando a guardare il susseguirsi di nuvole mentre ai sedili anteriori Rin e Bon litigavano come al loro solito
-Vado in bagno- dico usando la solita scusa per sgranchirmi le gambe.
-Vengo con te- mi volto, individuando lo sguardo sorridente e vispo di Shiemi.
Non sono mai riuscita e non riesco a vederla come un’esorcista, forse nelle vesti della guaritrice la si vede ma in quelle di Tamer non credo proprio, anche se infondo so che nasconde ottime capacità se vuole diventare un’esorcista.
-Come va il viaggio?- mi chiede avviandoci per raggiungere la cabina del bagno.
-Se vuoi saperlo veramente uno schifo- ma lei sembra non sentire la mia risposta e formula un’altra domanda.
-Posso acconciarti i capelli un giorno?- arrossisco, e onestamente non capisco neanche io il perché.
-Si, nessun problema- le rispondo regalandole un lieve sorriso.
-Grazie!- esulta –Scusa, non voglio che pensi che io sia una strana… insomma non sono strana io, posso assicurartelo veramente, non sono una strana, ricorda- sorride a trentadue denti  e sono tentata di ridere, ridere veramente.
***
 
-Viaggio scadente! Penoso, direi! Per non parlare poi di Okumura e Suguro che continuavano la loro lite, interrompendo il mio sonno-
-Ha iniziato il gallo qui presente-
-Calma con le parole, culo in fiamme-
Queste sono state l’esatte parole arrivati davanti alla casa affittata da Mephisto per la nostra permanenza a Chicago, una città bellissima… se non fosse stata distrutta in parte dai demoni . I centri abitati ormai erano deserti, le cartacce volavano guidate dal vento, auto bruciacchiate e negozi distrutti erano lo spettacolo che ci si presentava davanti e le poche persone rimaste erano totalmente terrorizzate.
-Ma in questi casi non dovrebbero esserci agenti segreti o l’esercito?- avevo chiesto a Mephisto e lui mi aveva risposto con –Non facciamo fare ai terrestri il lavoro degl’esorcisti… ho i miei metodi per isolare una città per evitare l’entrata di nuovi demoni e di persone indesiderate-
-Questa città è uno schifo- commenta Shima dando un calcio a una lattina.
-E’ il tuo compito farla rinvigorire, giovane esorcista- Mephisto chiuse gli occhi con un sorriso in volto, sembrava fin troppo rilassato –Iniziamo da ora le ricerche-
-Ma cos…?! Dovremmo sistemare la nostra roba e…- uno schiocco di dita e il demone fece zittire Rin: le valigie erano sparite .
-Adesso non avete più di questi problemi-
-Mephisto- Yukio, che non aveva ancora parlato sembrò preoccuparsi –Sento nelle vicinanze un demone-
Mi guardai intorno in allerta, il gruppo di esorcisti pronti all’attacco, tranne Rin che sembrava poco convinto con la sua katana infoderata nella mano.
Non so onestamente cosa dovrei fare, non ho un’arma e i miei poteri sono off-limit posso affidarmi solo sul mio potenziale d’Aria.
-Ti sbagli- pronuncia il  principe dell’Inferno con un ghigno –Non è un demone…  sono due-
Qualcosa mi graffia un braccio e dalla ferita inizia a sgorgare copioso il sangue imbrattandomi la maglietta, un urlo strozzato è quello che mi esce dalla bocca mentre un altro graffio si fa spazio, questa volta sul fianco.
-Nathalie!- urla qualcuno che in questo momento non riesco a identificare.
-Il tuo sangue è così buono- dal nulla compare una ragazza, Si lecca le unghia sporche di sangue, del mio sangue, lanciandomi stilettate con i suoi occhi color smeraldo –Ne voglio ancora- ride e solo ora noto un paio di corna spesse a attorcigliate spuntare dai suoi capelli color miele.
Yukio si para davanti a me con la pistola nella mano e il corpo teso spara un colpo e c’entra la giovane demone nella spalla, ma nessun fiotto di sangue esce solo un sorriso si fa spazio tra le sue labbra, un sorriso divertito che sa di guai.
Dietro di lei due sfere piccole e bianche come palle di ping pong sono sospese in aria, sfere che velocemente si scoprono esseri due bulbi oculari il cui portatore era un uomo. Adulto e  possente, con la folta barba grigia a coprirgli parte del viso.
-Schiava- dice –Uccidili- e la giovane demone si scagliò su di noi con una bocca irta di zanne e una falce d’ossa alla mano.
 
 
 
 
 
*No, non è quello che state pensando. Massa di pervertiti XD.
E’ la fantomatica coda.

LITTLE WONDERLAND
Chiedo umilmente perdono per non essermi fatta sentire ma la mia voglia di scrivere era andata a farsi benedire insieme alla vitalità che ha lasciato spazio alla MODE Bradipodepresso... quindi vi chiedo veramente di perdornarmi voi poche anime pie che leggono e apprezzano questa storia dalla trama complicata.
Adesso mi ritiro... al prossimo anno :P ( scherzo, cercherò di aggiornare più frequentemente se la vita me lo permette)

P.S Gli aggiornamenti possono avvenire dopo secoli... in quel caso datemi per deceduta o in vacanza *-*

A_MiraJ

 

 

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Capitolo 6
*** Brave enough to love you... ***


Wounds like Crown
Brave enough to love you...

Non piango mai.
Da quando sono piccola sono sempre stata una bambina che piangeva poco ma che quando lo faceva sembrava incontenibile. Strillavo e mi dimenavo ma adesso? Adesso ho superato quella soglia che poteva permettermi di agitarmi e piangere come una bambina, eppure lo stavo facendo.
Lacrime su lacrime che fuoriuscivano dai miei occhi mentre tra le mani stringevo il corpo inerme e vuoto di Mephisto, mentre le immagini di come era avvenuto quell’assassinio mi si riproducevano nella testa con ferocia.
***
 
La demone si scagliò su Yukio, mostrando le zanne e gli artigli mentre ad ogni suo passo il cemento della strada si spaccava facendo uscire da ogni crepa fuoco e fiamme, come se stesse aprendo un apertura per farci sprofondare tutti all’inferno.
Un inferno da cui cominciavano uscire le più vaste specie di demoni.
In un attimo mi ritrovai nel mezzo di una battaglia, mentre orde di demoni inveivano contro i giovani esorcisti, vidi Yukio in difficoltà con la demone bionda e il resto della squadra che pensava a coprirgli le spalle, poi notai lui, Rin, che con quella spada infoderata aveva il potere di farmi adirare come una bestia: hai una spada? Allora usala!
Ma era inutile pensare a lui, perché l’uomo che si era presentato come padrone di quel demone schiava si faceva sempre più vicino.
Ho studiato da qualche parte che esistono demoni senza volontà e pensiero proprio, costretti a stare sotto regole ed ordini di un “padrone” estremamente potente.
-Figlia di Michael- sibilò il demone –Mi divertirò a scuoiarti viva- disse mentre la sua schiena sembrava aprirsi in due facendo uscire da quello squarcio insanguinato un demone dalle fattezze grottesche. Con bocche al posto degl’occhi e un enorme occhio nero al posto della bocca; la pelle era verdognola e trasmetteva un odore fetido e tra gli artigli marroni l’essere teneva saldo un bastone di bronzo solcato ovunque da enormi spuntoni.
Ringhiai frustata: perché non potevo usare i miei poteri e una docile preghiera di certo non avrebbe ammansito quel demone orrendo che mi avrebbe riso in faccia se gli avessi sfoggiato le mie poche conoscenze da Aria.
Allora corsi, corsi lontana, finché le gambe iniziarono a dolermi in maniera violenta e i suoni della battaglia si fecero lontani ma ancora vivi nella mia testa. Non sentivo le presenza di quel mostro ma credevo impossibile che mi avesse lasciato stare.
Poi lo vidi: Rin che correva urlando, un sguardo di battaglia a squarciagli il volto e i capelli blu al vento, si gettò su di me facendomi ruzzolare a terra lontano da dove mi ero fermata, dove il mio posto era stato preso da quello che sembrava essere un artiglio gigante conficcato nel terreno.
Sentì un risata provenire dall’alto.
-Divertente!- urlava il demone dagl’occhi a forma di bocca –La figlia di Michael e il famigerato figlio di…- dovetti sbattere più volte gli occhi per capire che l’oggetto che aveva fatto zittire l’essere era stato un ombrello color confetto conficcato nel occhio al posto della bocca: Mephisto volteggiava nel cielo, seduto su una poltrona con lo sguardo più feroce che gli avessi mai visto sfoggiare.
-Ma guarda chi abbiamo qui- disse ghignando –Un demone gentilmente inviato da…- si rivolse all’interessato con un tono interrogatorio a cui il demone rispose con un semplice e asciutto –Lilith-
Mephisto ghignò ancora.
-La carissima Lili- l’ombrello macchiato di sangue verdastro cadde sul cemento completamente distrutto dall’acido del sangue demoniaco. Il principe dell’inferno fece comparire nella sua mano una spada sottile dalla lama affilata –Mi chiedo perché ti abbia ordinato di ucciderla?- capì che faceva riferimento a me.
-Figlia di un arcangelo e di una reincarnazione della Madre… merita di morire- rispose il mostro e dall’alto si scaraventò su di me incontrando però la katana, ancora nel fodero, di Rin –Spostati figlio di Satana, non sei tu l’obbiettivo!- vidi i denti di Rin strisciare tra di loro e canini pungergli il labbro inferiore: quella frase lo aveva fatto veramente adirare.
Ma al contempo sembrava dispiaciuto.
Sapevo cosa si provava essere chiamata figlia di un demone.
Mephisto scese sul cemento stradale e si rivolse a noi  –Scappate voi, penserò io al nostro gentile ospite- disse, e al solo pensiero di lasciarlo lì mi si formò un magone di quelli enormi, che ti attorcigliano lo stomaco e che ti vorrebbero fare vomitare addirittura l’anima.
Una sensazione terribile e io non mi sarei mossa di lì, non sarei scappata come ho sempre fatto, rischiando che l’ultimo squarcio della mia famiglia venisse spazzato via: quel demone era forte, fin troppo, lo sentivo. Creato da Lilith, quella che era capace di scombussolare l’intero equilibrio naturale e che rischiava di fare più timore di Satana stesso.
-Non me ne andrò questo volta!- urlai, togliendomi la giacca.
Il demone nel frattempo era rimasto ad osservare la scena.
Vidi qualcosa brillare negl’occhi di Mephisto: Paura? Rimprovero? Orgoglio? Non lo seppi dire. Fece un cenno col capo a Rin.
-Nat, dobbiamo andare- mi disse il ragazzo
-Sei impazzito? Non lo lascio qui, da solo, con quel coso…- cercai di continuare ma lei mie parole si frantumarono contro lo sguardo vacuo e rabbioso dell’esorcista che continuava a fissarmi quasi con astio.
-Pensi che io voglia andarmene?- mi chiese –L’ultima cosa che voglio è che qualcuno muoia, ma non serviamo qui… siamo d’intralcio- disse con tono lapidario.
Mi infervorai  -Forse io sono d’intralcio… ma non capisco te, con quella tua stupida katana nel foderò come se non volessi rovinarla da chissà quali esseri! Non vuoi essere d’intralcio? Bene, allora usala e magari me ne andrò con la certezza che Mephisto possa contare su qualcuno!-
Passarono secondi che a me parvero ore –Non posso- sibilò infine Rin, prendendomi per il polso e costringendomi a fuggire via dal mio ultimo spiraglio di famiglia.
 
Eravamo lontani dalla battaglia, e io fin troppo stanca per ritornare indietro e pentirmi di aver abbandonato Mephisto al suo destino: principe dell’Inferno o no, avevo fin troppa paura a lasciarlo a combattere con un essere creato da colei che viene nominata “regina dei demoni”.
Mi voltai verso Rin: non sembrava affannato, neanche dolorante, aveva solo i capelli arruffati e il viso sporco di polvere.
-Sei un fottuto idiota!- cominciai ad urlargli contro, cercando di sferrargli un pugno ma lui riuscì a fermarmi giusto in tempo che potessi colpire la sua faccia.
-Calmati Nathalie… Mephisto sopravvivrà e più forte di quanto credi- cercò di rassicurarmi.
-Io…- cominciai, una frase mai terminata.
Un arto strappato, un occhio cavato, una ferita riaperta, una coltellata in gola… il dolore che stavo provando era peggiore a tutte quelle torture messe assieme. Provavo la stessa sensazione del fuoco sulla pelle e della carne che mi si squarciava. Urlai.
-Nat!- anche Rin urlava mentre dalle mie labbra fuoriusciva il mio sangue angelico, macchiando l’asfalto e espandendo il suo odore.
Urlai più forte, ancora ed ancora desiderando di essere divisa in due solo per non percepire quel dolore acuto che si infiltrava nelle membra fino alla testa e poi lo vidi… più splendente dell’ultima volta.
Ingethel.
Ritornato dal suo mondo di luce, con lo spadone alla mano, le cavità vuote e luminose, e le ali grandi e maestose che sembravano racchiudere l’immensità dei palazzi di Chicago.
-L’ora è giunta, Nathaliel figlia di Michael- la sua voce rimbombò all’infinito riproducendo di nuovo quello stridio impossibile da sopportare riproducendosi nella mia mente.
Quando mi voltai Rin era impallidito in procinto di sfoderare la spada, sapevo che non riusciva a sentire le parole di Ingethel: gli umani erano feccia per gli angeli.
-Rin- riuscì a sussurrare, prima che un’altra fitta mi togliesse il respiro –Non muoverti- ansimai, ma venni ignorata e in mezzo alle lacrime che scendevano copiose per il dolore che stavo subendo vidi l’esorcista posizionarsi davanti a me.
-Sporco ibrido- sibilò Ingethel avvicinandosi con la veste di pura luce, come se fluttuasse. Sputò sull’asfalto e migliaia di spuntoni fecero la loro comparsa sotto ai piedi di Rin, li schivò con agilità inaudita.
-Mi dispiace- lo sentì sussurrare –Non lo volevo che lo scoprissi così- e sfoderò la katana.
Miriadi di fiamme bluastre lo pervasero e i tratti tipici dei demoni sbucarono fuori. Mi  ritrovai in un sogno, nel mio sogno… dove Rin era veramente un demone discendente dello sporco Satana e dove Ingethel veniva con una regalità tale da farmi rabbrividire, perché sapevo che voleva strapparmele. Strappare le mie, le MIE ALI!
 Non era un sogno, era un incubo.
La battaglia tra Rin e Ingethel continuava, quest’ultimo ricordava una statua il cui suo unico movimento era parare con lo spadone i colpi del demone.
-Figlio di Satana- sentii –Perirai, bruciato dal fuoco celeste- e l’urlo che emisi fu quello più straziante di tutta la mia vita, capace di farti sanguinare le corde vocali.
Iniziò a piovere, ma non erano gocce limpide quelle che scendevano… erano gocce di sangue, capii poco dopo che quello era il mio sangue venuto fuori quando le mie ali erano letteralmente esplose fuori dalle ferite sulla mia schiena.
Ansimai, i suoni della battaglia erano cessati, piangevo.
-Nathaliel- la voce del’angelo sembrava più vicina e rassicurante che mai –In nome della Corte Bianca ti affido un compito: uccidi il Figlio di Satana con l’ausilio del Fuoco Celeste- le crepe di luce mi ricoprirono in maniera violenta, la mia vista si fece più acuta e luminosa, i capelli di un argento brillante… era ufficiale, stavo lentamente divenendo un angelo.
Quello che accade dopo fu strano: mi sentii leggera, inesistente, rilassata… come se mi fossi appena sdraiata e avessi incominciato a sognare scene di battaglia dove io ero la spettatrice di un film che vedeva come combattenti me e Rin.
Vidi con i miei occhi il mio corpo contorcersi, mentre dal mio stesso sangue veniva fuori un’arma lucida, vidi attraverso il riflesso di una pozzanghera di sangue i miei occhi completamente privi di colore, bianchi come la neve, e la smorfia aggressiva e agguerrita di qualcuno che doveva portare a termine il suo compito anche a costo della propria vita.
-Nat- fu Rin a parlare con lo sguardo vacuo, sorpreso e infuriato. Le sue orecchie erano a punta e allungate, la pupilla un filo rosso e la pelle un involucro pallido completamente in fiamme.
Era un demone.
Dovevo ucciderlo…
No!
Mi mossi, o almeno era il mio corpo che faceva da se, la naginata di sangue fendette l’aria in un colpo, rivolto a Rin, andato a vuoto, era troppo veloce.
-Non voglio farti del male… non a te- mi disse.
Battei il manico dell’arma sull’asfalto con un potenza da far crepare quest’ultimo mente fresche e lunghe fiamme bianche e longilinee venivano fuori per ricoprire la mia arma. Vidi il fuoco celeste curarmi i graffi delle mani e rinfrescarmi le membra, ne trassi beneficio.
Ingethel mi guardava: lo sguardo di un maestro che controllava i propri allievi.
Fendetti più volte l’aria finché in uno scattò improvviso riuscì a colpire Rin anche se  graffiandolo superficialmente.
Le fiamme bianche presero a corroderlo intorno a quel graffio, facendo urlare il demone che in uno scatto d’ira rivelò le fauci, ferendomi con la katana all’altezza della scapola.
Questa volta fu il suo turno per attaccare.
Il corpo mi doleva mentre paravo i colpi e la naginata schizzava sangue ad ogni colpo, imbrattandomi il viso e i capelli argentei. Volevo fermarmi, lanciare via l’arma e gettarmi a terra in preda alle lacrime perché Mephisto poteva morire, perché quell’angelo sembrava scavarmi nei pensieri dandomi ordini e perché Rin, quel ragazzo dai sorrisi spontanei e dalla stupidità inaudita, era figlio del mostro che aveva ucciso mia madre. Ma non lo feci, il mio corpo era governato da vita propria e Ingethel sembrava impartirne gli ordini.
Furono questi pensieri a interferire quell’automatico movimento del mio corpo trovandomi con la katana di fiamme infernali impiantata nella spalla, urlai di dolore e il fuoco celeste divampò senza controllo bruciando ogni singola particella con la sua luce, bruciando Rin dallo sguardo demoniaco.
Quando il biancore si dissolse del tutto, la katana era ancora conficcata nella mia spalla, priva di fiamme blu e Rin ringhiava di dolore con la naginata conficcata nel polmone destro… sembrò ritornare lentamente umano rivelando sulla pelle grave ustioni, le stesse che portavo io.
-Rin- sussurrai, finalmente riuscivo a parlare, piansi mentre la katana imbratta di rosso cadeva per terra accompagnata dalla naginata dissoltasi in sangue.
L’esorcista cadde in ginocchio dinanzi a me, ansimando e tenendosi la parte perforata, copioso sangue sciabordava da essa.
-No- dissi, inginocchiandomi alla sua altezza – No, no- ripetei come una mantra –Non volevo- piansi prendendolo per le spalle in gesto delicato –Rin ti prego non…-
-Lo so- mi disse interrompendomi –So che non eri tu-
Rimanemmo in un silenzio tombale dove lui si lasciò abbracciare, dove il dolore alla spalla sembrava non voler svanire, dove le mie ali sembravano volerci racchiudere in un mondo dove Ingethel e Satana non esistevano.
-Figlia di Michael- un momento irrealizzabile –Non sei stata capace neanche ad uccidere un insulso demone. La Corte Bianca ha deciso, le tue ali verranno estirpate e il fuoco celeste ereditato dall’arcangelo Michele verrà rimosso dal tuo corpo- la presa su quelle che potevo riconoscere ali si fece violenta, lo stridio dello spadone che si innalzava fu l’unico suono che sentii mentre contavo i secondi.
3
2
1
Lo spadone calò velocemente, ma non sfiorò mai le mie ali.
Ingethel fu scaraventato lontano, contro un edificio semi-distrutto che cadde completamente sopra l’angelo ricoprendolo di macerie.
-Mi dispiace, Thalia- Mephisto era lì, più serio che mai e con il suo amato smoking completamente strappato –Non so se vivrò abbastanza per prendermi la tua anima- mi disse mentre uno strato di pelle bluastra, somigliante al marmo lo ricopriva, una coda sgusciò fuori assieme a delle ali enormi di pipistrello e a delle corna nerastre.
Gli occhi di Mephisto erano di puro oro colato.
Si scagliò sulle macerie da cui proveniva una luce argentea dando vita ad una battaglia dove l’arcangelo sembrava più infuriato che mai rivelando in fasci di luce il suo essere tanto maligno.
Mephisto colpiva con violenza non lasciando tempo all’essere di luce per ricomporsi; schizzi di sangue trasparente imbrattavano in ogni dove la scena. Ingethel sarebbe morto, era quello che pensai quando il mio tutore fu ricoperto da una strana aura di potere nerastra che traspirava solo morte.
L’angelo avevo perso quel suo sguardo sofferente e adesso soffocava all’interno di quell’aura. Era fatta, è morto!
Ma resistetti il tempo per vedere il mio tutore preso per il collo dall’angelo, sentire un “crack” provenire dall’osso del collo, accompagnato dalle urla della squadra di esorcisti venuta a soccorrerci, poi svenni.
***
 
-Nat?- Yukio mi accarezza un spalla –Non so che dire, non…-
-Non dire nulla- sibilo tra i singhiozzi, il corpo di Mephisto è più freddo del solito e nonostante gli insulti e le lacrime non si risveglia, restando con la testa quasi staccata dal resto del corpo.
Ingethel è svanito lasciando chiazze di sangue trasparente a corrodere l’asfalto e le macerie, lasciando le mie ali intatte e Mephisto distrutto.
Sarebbe morto, Ingethel, un angelo non sopravvive ad uno scontro col principe dell’Inferno e io sarei andata dritta in paradiso solo per ridere alla vista della morte di quello sporco essere.
Nessuno osa parlare, persino Shiemi si è ammutolita e ha iniziato a singhiozzare alla vista del grande e potente demone morto.
Io avevo esaurito le mie lacrime o semplicemente si erano tramutate in rabbia accecante.
-Torneranno- avverte Yukio –Angeli e Demoni, ognuno con il proprio obiettivo-
-Quale sarebbe?- chiede Bon, accanto a lui la demone schiava ammanettata con i capelli biondi davanti al volto. Perché è ancora viva?
-Nathalie- non fu  Yukio a parlare ma suo fratello maggiore –Cercano lei, no?- sibila –Perché non dirlo fino dall’inizio?!- inizia ad urlare. Shiemi tenta di calmarlo accarezzandogli il braccio ma l’esorcista si scosta come scottato –Perché non ce l’avevate detto?!- si rivolge al fratello –Era tanto difficile dire “Sono un cazzo di angelo con alle calcagna schiere di demoni ed essere alati? Non solo i demoni, adesso dobbiamo vedercela anche con gli angeli”- e fu lì che mi infervorai.
Abbandono il corpo di Mephisto, mi alzo arrivando davanti alla figura infuriata di Rin –Come se tu non mi avessi detto “Sai sono il cazzo di figlio di Satana”!- le mie ali fremono.
-Non ho deciso io di chi essere figlio, ok?! Non ne vado di certo fiero-
-Ma sentilo… come se io fossi fiera di essere figlia di quello che ha fatto il culo al tuo paparino-                         
Rin si zittisce, contrae il viso in una smorfia di pura rabbia, pensavo che mi avrebbe colpito ma non lo fa semplicemente si allontana mentre il peso delle frasi che gli avevo rivolto si faceva sentire
–Io mi fidavo di te… a quanto pare quella fiducia non era ricambiata- lo sento dire.
***
 
Il corpo di Mephisto si era tramutato in cenere dopo diverse ore portando con se gli ultimi tratti della mia umanità, lasciandomi da sola ad affrontare gli sguardi di quelli che dovevo definire compagni ma che adesso sembravano vedermi come una minaccia… o peggio, un essere superiore a tutto e tutti, una divinità.
Una settimana è passata.
 Una settimana dove non ho avuto nessuna intenzione di collaborare con le ricerche per trovare qualche indizio per ricondurci a Lilith. La regina dei demoni era uscita dal suo covo di fiamme nell’inferno, e si era presentata sulla terra per motivi sconosciuti, ci aveva riferito la demone schiava.
Riguardo a lei, Bon era riuscito ad uccidere il demone padrone e automaticamente era divenuto lui il nuovo padrone della demone, ogni sua richiesta o desiderio era un ordine per la bionda. Completamente devota a quello che lei chiamava il “suo salvatore”.  Quindi aveva iniziato a collaborare, anche se, continuava a guardarmi come fossi un insetto disgustoso e ripugnante, e rivolgeva parola solo all’esorcista dalla cresta tinta.
Quest’ultimo non aveva preso molto bene quella situazione:  era divenuto possessore della vita di qualcun altro e se avesse rifiutato quella vita, Hyreen sarebbe morta trasformandosi in cenere come tutti i demoni .
Bon ci aveva pensato e demone o non, riteneva che Hyreen non fosse maligna né tantomeno pericolosa, il suo unico scopo di vita era servire il proprio padrone e lei lo avrebbe fatto.
Il divano dell’albergo è scomodo, fin troppo per i miei gusti, e la schiena e le ali ne risentono. È stato difficile imparare a “chiudere” le ali tra loro stesse ma alla fine ho ottenuto buoni risultati riuscendo di nuovo a indossare una felpa senza che quest’ultima si stracciasse.
Le ferite di battaglia si erano rimarginate in pochi giorni: il vantaggio di essere un angelo. E da quel ch emi aveva riferito Yukio anche quelle di suo fratello si erano completamente ricucite, allentando leggermente il magone che mi ero ritrovata ad avere per giorni interi.
La porta scorrevole si aprì, rivelando un Rin nelle mie medesime e disperate condizioni, con il cappuccio di una felpa grigia sul capo facendolo sembrare più cupo.
Non mi ha più rivolto parola dall’accaduto e se prima lo avevo odiato per quello che rappresentava adesso rivedevo solamente Rin, distrutto da chissà quali pensieri. È entrato in cucina, e riuscì a vedere,dal bancone che separava cucina e soggiorno, che è entrato per prendersi ancora una volta una misera bottiglietta d’acqua.
Da quanto non toccava cibo?
Quando si avvia per uscire e ritornare nella sua stanza lo chiamo, dopo sette giorni avevo pronunciato di nuovo il suo nome. Lui ne sembra sorpreso, si ferma di scatto, con una mano appoggiata alla porta da far scorrere.
-Da quanto non mangi?- eppure non era quella la domanda che volevo rivolgergli.
Non risponde per i primi trenta secondi poi decide di parlare, con voce stanca, come stufa della mia presenza –Che t’importa?- sibila –Non ero il “cazzo di figlio di Satana”?- si volta squadrandomi con gli occhi blu; mostra profonde occhiaie.
-Come se tu non mi avessi attaccato- replico – Mi hai dato la colpa degl’attacchi verso gli altri, incazzandoti per questo, come se volessi incolparmi della morte di Mephisto-
-Sai perfettamente che non ti stavo dando la colpa…-
-Ah no?- mi siedo sul divano infossando il viso nel maglione che indosso –A me sembrava proprio che mi stessi dando la colpa-
-Non è vero- dice lui, fulminandomi con lo sguardo .
-Allora, sentiamo, per quale motiv…-
-Perché non me l’hai mai detto, ecco perché. Io mi fidavo e mi fido ancora di te, avevo sempre trovato qualcosa di speciale, diverso, in te e non so… da quando ti ho trovato nel bagno, sul punto di morire, mi sono ripromesso di proteggerti a costo della mia stessa vita ma a quanto pare possiamo dire che sei una divinità scesa in terra, non hai certo bisogno dell’aiuto di un demone- rimaniamo a fissarci per intensi minuti, distolgo lo sguardo prima di arrossire davanti a lui. Quel suo modo di guardarmi o di leggermi  l’anima come fossi un libro aperto solo per lui mi metteva in disagio e in imbarazzo.
-Se ti fidavi così tanto di me, perché non me l’hai detto che tu sei…-
-Saresti scappata, mi avresti evitato mentre tu… Tu sei un angelo nessuno avrebbe provato timore per te- risponde lui sincero. Si siede sulla poltrona antica e scricchiolante, proprio davanti a me; il cappuccio scivola via rivelando la massa scompigliata di capelli blu.
Non posso replicare alla sua frase perché ha maledettamente ragione: lo avrei evitato per paura che potesse essere come il padre, ma questo prima di aver visto la morte mia e di altri scivolarmi più volte davanti al viso.
-Io ho paura di tuo p…. di Satana- mi correggo – e forse sì, ti avrei evitato perché sono estremamente codarda ma sarei ritornata perché, per quel poco che ti conosco, so per certo che tu non sei come lui- un sorriso amaro sboccia sulle sue labbra.
-Il mio timore è che possa diventarlo e che ogni giorno tu possa accorgerti di quanto siamo diversi, fin troppo anche per essere amici-
-Rin, sono sempre la stessa- lo rassicuro –Solo con qualche arto  in più- scherzo riuscendo a scorgere sul suo volto l’ombra di un sorriso.
-Come prima?- gli porgo una mano da sopra il basso tavolino di legno d’acero.
E il mio cuore si alleggerisce al suo “come prima” anche se detto con incertezza, mi stringe la mano con leggerezza inaudita come se avesse paura a toccarmi.
-Allora…- inizia imbarazzato – Com’è avere le ali?-
-Suppongo sempre meglio di avere una coda- rispondo indicando la coda nera poggiata sul bracciolo della poltrona.
E lui ride, di una risata che mi sono accorta di amare come poche.
***
Quando Yukio era ritornato era rimasto contento nel vedere me e suo fratello in una stanza senza ucciderci o insultarci, aveva tirato una sospiro di sollievo e si era meravigliato di come con innaturale tranquillità io e Rin commentavamo disgustati il film che eravamo riusciti a trovare nei pochi canali rimasti.
L’ora della cena era poi arrivata, svolgendosi serenamente, inizialmente, Shiemi aveva raccontato qualcosa sulla vastità di fiori che aveva trovato nei dintorni dell’albergo chiedendo insistentemente a me e “Izumo-chan” di aiutarla un giorno di questi a curarli.
Come se fossimo venuti qui per una gita… e come se mi piacessero i fiori.
Poi l’argomento era cambiato e Yukio aveva informato me e Rin delle ricerche fatte avvertendoci che era l’ultima volta che non partecipavamo, promettendoci che ci avrebbe trascinato anche se ci avesse trovati mezzi nudi o col pigiama.
-Abbiamo incontrato un gruppo di gente, accampata ad una vecchia fabbrica di plastica. Non pensavamo ci fossero altri oltre noi, dopo il mandato di evacuazione di Mephisto- aveva iniziato -Infatti quelle non erano semplici persone- l’esorcista occhialuto aveva soffiato su i noodles preparati da Rin quasi con adrenalina, come se non vedesse l’ora di raccontare i fatti – Erano tutte e donne e potevano essere una ventina, tutte assoggettate ad un demone-
-Portavano il classico simbolo di possessione- aveva aggiunto Izumo con tono di superiorità – La prof Shura ci ha confermato che verrà a controllare lei stessa, sarà qui domani stesso-
-Non era stata chiamato dal Vaticano?- avevo chiesto Rin sedendosi meglio nel divano, poggiando la ciotola vuota sul tavolino dinanzi a lui. Sembrava aver assunto un po’ di colore in volto e le occhiaie si erano sbiadite dopo aver dormito per quasi tutto il giorno.
-A quanto pare vuole partecipare alla missione anche lei- aveva risposto Yukio –Ha lasciato la sua precedente missione a qualcun altro dicendo che la trovava troppo noiosa per lei. Comunque, ritornando a prima…- fece una pausa, il tempo di sedersi compostamente sul bracciolo della poltrona dov’era seduta Shiemi –Le donne che abbiamo ritrovato oltre alla possessione demoniaca mostravano pure il classico ventre da donne gravide, la parte peggiore è che in ognuno di quei ventri nascono e crescono demoni più forti del normale, più devastanti, così potenti da eguagliare i principe dell’inferno, era la loggia di cui ci aveva parlato Lalu- si rivolse a me –Una loggia che si occupa della nascita di nuovi demoni, sangue del sangue di Lilith, la regina e madre dei demoni- anche lui poggiò la ciotola sul tavolino – Se i demoni riuscissero nel loro interno, se una di quelle donne riuscisse a partorire uno di quei demoni, saremmo finiti-
Un lugubre silenzio era calato nella stanza, persino Shima era rimasto basito, lui che solitamente era il più allegro del gruppo, quello che spesso e volentieri sdrammatizzava su tutto.
-Quindi?- chiese poi Rin, la sua coda dondolava dal divano come se avesse vita propria –Qual è il piano?-
-Abbiamo delle supposizioni su chi sia il capo di questa loggia- aveva detto Bon con il suo classico sguardo duro e le braccia incrociate sul petto come se volesse finire al più presto quella discussione per poter rifugiarsi in camera. Hyreen era seduta accanto a lui, sul pavimento, lo sguardo apatico non distorto da nessuna espressione o emozione la faceva somigliare ad una bambola, poi si era voltata verso il suo padrone con sguardo meravigliato al sentire il suo nome pronunciato da quest’ultimo –Hyreen ha percepito la presenza di una strega… una certa Satrina-
Yukio poggiò sul tavolino una decina di volantini tutti raffiguranti una discoteca che a quanto pare andava molto in voga “Satrina’s Edom” –Pensiamo che sia un altro covo… è ha a venti minuti dalla città, significa che...-
-Libero accesso ai demoni- risposi –Mephisto ha fatto in modo che nessun demone potesse entrare nella zona finché non si sarebbero uccisi quelli all’interno, in questo modo…-
-I demoni possono pianificare con la strega- continuò Yukio –Penso che stiano cercando di entrare per riprendersi le ragazze, dobbiamo scoprire qual è il loro piano. Quando arriverà Shura faremo una visita al locale- sospirò, forse stanco, infondo era giorni e notti che si scervellava per trovare qualche indizio e adesso che ne aveva finalmente trovato uno sentiva di potersi meritare un attimo di relax –Io, Bon, Rin, Izumo e Nathalie andremo al covo fuori città, Shura, Konekomaru, Shiemi, e Shima rimarranno a quello delle ragazze possedute per ogni genere di evenienza e magari per controllare se ci sarà qualche novità o…- inghiotte malamente –Parto, mi duole dirvi che se mai un demone riuscisse a nascere sarà compito vostro ucciderlo- guardò con attenzione Shiemi come a infondergli una sicurezza che sapeva lei non possedesse.
L’esorcista annuì convinta mentre il suo familio le saltellava sulla spalla.
-E gli angeli?- chiesi dopo una serie di secondi che parvero infiniti–Ci sono novità su di loro?- il mio tono di voce si abbassò radicalmente quando mi accorsi degli sguardi quasi di adorazione di alcuni, come se sentire la parola “angelo” li emozionasse, come se fossero bambini davanti ad un tubetto di bolle di sapone.
Yukio fece un cenno insicuro con la testa avvertendomi solamente che, gli angeli, avrebbero mandato qualcun altro di più potente di Ingethel, sicuramente la morte di quest’ultima aveva scosso la Corte Bianca.
-Sarò pronta!- dissi convinta –Pagheranno per la morte di Mephisto-
L’esorcista occhialuto sospirò, c’era dell’altro me lo sentivo – Oltre alle informazioni abbiamo trovato una chiave-
-Una chiave?- chiesi stranita.
Konekomaru, seduto scomodamente su una seggiola a dondolo in vimini estrasse dai pantaloni una lunga chiave argentata incisa in ogni punto da scritte o minuscoli disegni.
 Era luminosa, fin troppo per i miei occhi ma resistetti attivando poi la vista angelica con poche difficoltà: da quando avevo completato la “trasformazione” usare i poteri era divenuto facile come bere un bicchiere d’acqua.
Gli occhi smisero di bruciarmi e riuscì a leggere qualche scritta minuscola sulla chiave, non erano vere e proprie lettere quelle, sembravano linee attorcigliate tra loro, spezzate di tanto in tanto da un segmento  o un punto. “Janna” era quello che riuscivo a comprendere, una parola che il solo pensarla mi mandava brividi in tutto il corpo e mi accelerava il cuore, così tanto da sentirlo nelle orecchie.
-Nathalie- mi richiamò Yukio, schioccandomi le dita davanti al viso –Va tutto bene?-
Mi guardai intorno, c’eravamo solo io, lui e Konekomaru con ancora in mano la chiave. Dov’erano finiti tutti gli altri? E soprattutto, da quanto sto guardando la chiave?
-Okumura-kun ha avuto un capogiro- mi spiegò quest’ultimo – La vista della chiave non gli ha beneficiato affatto- poggiò l’oggetto menzionato sul tavolino, sembrava aver perso la sua luminescenza.
-La luce…- dissi –Era troppo forte-
Konekomaru uscì silenziosamente, adesso c’eravamo solo io e il mio insegnante –Quale luce?-
-La chiave, prima si era illuminata- spiegai – Era fin troppo forte pure per me, solo la vista divina è riuscita a farmela guardare senza farmi piangere- e mi accorsi dallo sguardo stranito di Yukio che quella luce l’avevo vista solo io –Che cos’è?- chiesi con un blocco allo stomaco, quasi d’ansia.
-La chiave del Paradiso- mi rispose lui – E il possessore di essa… è l’arcangelo Michael-
E l’ansia si trasformò in terrore e angoscia.
 
 

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