L'ingranaggio del Tempo

di Nolc
(/viewuser.php?uid=797425)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo risveglio ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Il primo risveglio ***


Mi svegliai. La vista inizialmente era offuscata, ma capii di essere sdraiato. Ci misi qualche minuto prima di mettere a fuoco quel che vedevo, e di certo vedevo qualcosa di strano. Quella che inizialmente sembrava una macchia bianca si rivelò essere qualcosa dalle sembianze umane che mi stava guardando, anche se non era un umano: era un robot. La testa bianca, vista da davanti, era molto simile a un esagono, da cui spuntavano due corna blu, che fuoriuscivano dalla testa verso l’esterno, ma si ripiegavano quasi subito verso l’interno, andando quasi a toccarsi sopra la testa. Al posto degli occhi si trovava una zona nera, che circondava tutta la testa come una fascia, e, proprio in mezzo a questa zona nera, si trovavano due macchie rosse, che simulavano degli occhi. Non v’era una bocca, e per il naso solo un lieve rialzamento sulla liscia superficie metallica della testa.
Al posto del collo c’era un tubo molto stretto, di metallo grigio, che riconduceva a delle spalle strette, da cui partivano degli spuntoni molto lunghi simili a spade, con decorazioni blu. Sotto le spalle si trovava un grosso busto, anch’esso decorato di blu. Le braccia, come le gambe, erano costituite da cavi di tutti i tipi, che si intrecciavano in modo apparentemente casuale. I cavi si intrecciavano sotto dei guanti bianchi per le mani e sotto delle scarpe bianche per i piedi.
Mi accorsi di essere sdraiato poco dopo aver capito cosa avevo davanti, e subito prima che la mia base d’appoggio (probabilmente un tavolo, ma non lo scoprii mai) si ritirasse velocemente nel pavimento, facendomi cadere a terra con un tonfo. Un tonfo pesante. Cercai subito di mettermi in piedi, fallendo miseramente, perché avevo qualcosa di pesantissimo sulla schiena che mi impediva di alzarmi.
Il robot mi guardava mentre cercavo di alzarmi, fermo, in attesa. Dopo un tempo interminabile mi porse una mano; io ero diffidente e cercai ancora di alzarmi da solo, ma alla fine mi arresi e la afferrai. Mi aiutò ad alzarmi, ma io caddi di nuovo a terra. Il peso sulla schiena era tantissimo e non riuscivo a sostenerlo.
-E’ uno scudo- disse una voce profonda.
-Come?- chiesi.
-Il peso che hai sulla schiena, è uno scudo- disse la voce, che mi accorsi proveniva dal robot.
-Toglimelo-
-Non posso-
-Perché?-
-Ti serve-
-Mi servirebbe alzarmi, questo coso pesa tantissimo, toglimelo-
-Non posso- disse di nuovo.
-E a cosa mi servirebbe?-
-A proteggerti-
-Perché uno scudo sulla schiena dovrebbe proteggermi?-
-Perché tu non hai una schiena. Tu hai un cuore. Un’anomalia ti ha donato questa malformazione.-
-Cosa?- chiesi io, che non avevo capito nulla della sua ultima frase.
-Ti abbiamo trovato poco distante da qui. Non sappiamo come tu ci sia arrivato, ma ci sei arrivato, e ora starai qui per un po’. Entrando nell’atmosfera di questo pianeta per la prima volta si subiscono delle mutazioni. Tu ti sei mutato in un essere umano, ma un’anomalia ti ha fatto crescere un’enorme cuore sulla schiena. Eri ferito, dal tuo cuore usciva del sangue e la ferita si sarebbe infettata dopo poco se non ti avessi fuso questo scudo sul cuore. Inoltre senza di esso, ricevendo un colpo sul cuore, moriresti quasi sicuramente- spiegò.
-Un attimo, mi hai trovato insieme a qualcun altro?- chiesi, sempre più confuso.
-Di questo parleremo più avanti- mi disse
Io annuii, confuso, sempre sdraiato per terra. Lui mi porse di nuovo la mano, io la ripresi e lui mi rialzò. Questa volta riuscii a mantenermi in piedi per qualche secondo prima di cadere a terra.
-Non potevi mettermi uno scudo più leggero?- chiesi io, che in realtà non credevo a nulla di ciò che diceva.
-Così ti sarà più utile-
-E come?-
Non rispose, ma mi fece una domanda:-Come ti chiami?-
Restai paralizzato. Mi accorsi solo in quel momento che non ricordavo nulla.
-Immaginavo- disse, deluso –Allora devi sceglierti un nome-
Stavo ancora cercando di ricordare qualcosa, invano, e non gli risposi.
-Come vuoi chiamarti?- chiese, scocciato.
Mi distolsi subito dalle mie ricerche di una memoria che non avevo, poiché il robot aveva cambiato tono di voce. Fino a quel momento aveva parlato sempre con lo stesso tono, e anche se la sua voce non era robotica, il tono non era minimamente cambiato, durante tutta la discussione, dando un effetto un po’ irreale alle sue parole. Ma nell’ultima richiesta sembrava scocciato, cosa ancora più irreale, siccome era un robot.
-Rei- risposi senza pensarci.
-Bene, Rei, ti spiegherò il resto domani-
Detto questo alzò una mano, io mi sentii pesare le palpebre e mi addormentai.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Mi svegliai, un’altra volta. Il robot era ancora lì, con la mano alzata, come se stesse completando il gesto che mi aveva fatto addormentare, come se avessi solo sbattuto le ciglia, ma ero sicuro di aver dormito, e con un gesto analogo a quello con cui mi aveva addormentato mi ha svegliato.
-Bene, Rei- incominciò -Partiamo dall’inizio. Tu sei arrivato su questo pianeta, e non sappiamo da dove sei arrivato. Quando ti sei schiantato qui hai subito delle mutazioni e subito dei danni fisici e mentali, che ti hanno causato, secondo quello che dici tu, la perdita della memoria-
Ero ancora sdraiato, costretto a terra per colpa di quel “coso” che avevo sulla schiena, (anzi, sul cuore) con la vista offuscata, e feci fatica a capire le sue prime parole.
-Come consono, siccome il tuo corpo è mutato, abbiamo operato nel tuo cervello, per inserirci tutte le informazioni di cui il tuo nuovo corpo ha bisogno per sopravvivere- continuò lui.
-Non capisco- dissi.
-Semplicemente, le mutazioni non agiscono sulle informazioni che hai nel tuo cervello, ma sul tuo corpo sì. Non sappiamo quale forma aveva il tuo corpo prima che arrivassi qui, ma le informazioni che il tuo cervello mandava al tuo corpo rimanevano le stesse, e il tuo nuovo corpo non riusciva a tradurle in informazioni a lui comprensibili. Per esempio, se il tuo corpo fosse stato quello di un cavallo, il tuo cervello da cavallo avrebbe mandato informazioni da cavallo a un corpo da uomo, che non riusciva a tradurle, cosa che avrebbe potuto condurti alla morte, perché il tuo corpo non sarebbe riuscito a svolgere le funzioni vitali. Per fortuna ti abbiamo trovato in tempo, e abbiamo sostituito tutte le informazioni del tuo cervello precedente con quelle di un umano, aggiungendo anche la nostra lingua, in modo da poter comunicare più facilmente-
-Quindi siete stati voi a rimuovere la mia memoria!- Urlai, furioso.
-No, non possiamo rimuovere la memoria da una mente, è un gesto illegale, punibile con la morte. E’ però legale modificare le informazioni di base di una mente se l’unico modo per salvarla- disse con tono pacato.
Mi irritava il fatto che ora aveva incominciato a parlare di me come se fossi soltanto “una mente”, e non capivo come un robot potesse essere preoccupato della morte, ma giunsi alla conclusione che probabilmente era solo un messaggero, e che le persone che stavano a capo di tutto, quelle che mi avevano trovato, l’avevano mandato qui solo per analizzarmi, e questo mi inquietava; ma non potevo farci nulla, non per ora almeno. Potevo solo sopportare, mentre lui mi guardava dall’alto in basso, mentre continuava a spiegarmi cose assurde: -Quindi noi non possiamo sapere se tu hai effettivamente perso la memoria, o stai solo fingendo e sei una spia-
-E cosa dovrei spiare di un robot?- chiesi, irritato
-Non devi spiare nulla di me, ma del posto in cui ci troviamo sì. E’ per questo che non ti abbiamo ancora fatto uscire da questa stanza, non vogliamo che tu possa carpire informazioni importanti, è per questo che ti abbiamo sempre tenuto in questa stanza-
Non avevo ancora fatto caso alla stanza, ma non era un granché. Le pareti erano molto vicine tra loro,c’era spazio giusto per me e per il robot. Inoltre era completamente vuota, solo una porta in fondo sulla mia sinistra e una accanto a me, entrambe fatte di metallo e chiuse. La cosa particolare erano le pareti, fatte anch’esse di metallo grigio, che però rilasciava una debole luce, che bastava a illuminare la stanza.
-Senti, io non sono venuto qui di mia intenzione, non ci voglio restare, e di certo venire a spiare qualcosa che non conosco è l’ultimo dei miei problemi- ero sempre più irritato, e il robot l’aveva notato.
-Questo lo dobbiamo ancora dimostrare, e per ora resterai qui-
Mi resi conto di avere fame, non avevo idea da quando non mangiavo, e gli chiesi: -ho bisogno di mangiare, hai del cibo?-
-Non ne hai bisogno- rispose, tranquillo:-L’atmosfera di questo pianeta è particolare, fornisce tutte le energie di cui hai bisogno, che sono contenute nell’aria; all’ inizio sentirai molta fame, ma poi ci si abitua, o si muore. E credimi, se tu morissi così, avrei un pensiero in meno- disse in tono minaccioso.
Mi spaventai molto, non sapevo cosa altro aspettarmi da quel robot, ma non ebbi il tempo di fare altri pensieri, che lui alzò la mano e mi fece addormentare.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Mi svegliai una terza volta, a terra, sempre nella stessa stanza, ma il robot non era lì. Probabilmente mi ero svegliato da solo. Lo scudo era curvo, quindi cominciai a dondolare a destra e a sinistra, cercando di ribaltarmi in posizione prona; ci volle qualche tentativo, ma ce la feci,mi ritrovai inginocchiato con gli avambracci poggiati a terra, sudavo. Alzai una gamba, ci appoggiai entrambe le mani e spinsi, restando alzato per qualche secondo, ma persi l’equilibrio e andai a sbattere contro un parete, cadendo di nuovo a terra. Rifeci il tutto tre volte prima di imparare a stare in piedi, e bisognava avere molto equilibrio, credetemi. Con un passo arrivai alla prima porta, quella che stava alla mia sinistra, che però non aveva maniglia e non si aprì. Tentai ancora con quella alla mia destra, ma ottenni lo stesso risultato; persi momentaneamente l’equilibrio e per poco non caddi, poiché dalla porta alle mie spalle era arrivato il robot, che mi aveva sorretto. -Siediti- mi disse, indicando un punto dietro di me Mi girai e vidi un blocco di pietra perfettamente cubico, potevo giurare che prima non c’era. Accadevano cose sempre più strane lì. -E’ strano che tu riesca già a stare in piedi- sembrava sorpreso mentre lo diceva. I suoi occhi rossi e il suo tono di voce esprimevano molte più emozioni di quelle che si possano immaginare –Comunque, sono venuto a dirti che abbiamo fatto un ulteriore controllo, e adesso siamo sicuri che non stavi mentendo: non conservi più alcun ricordo- -Non potete reinserirmeli?- chiesi -No, non possiamo. Potremmo farlo solo se avessimo fatto una scansione dei tuoi ricordi prima della tua perdita di memoria- Feci una smorfia di disapprovazione. Certo, ero scontento di non ricordare nulla, ma non potevo arrabbiarmi per aver perso qualcosa che nemmeno ricordo, inoltre se il robot diceva il vero io non potevo farci nulla se non adattarmi. Non mi dava mai abbastanza tempo per finire i miei ragionamenti, infatti proseguì: -Abbiamo pensato di spedirti su un pianeta pacifico, ma questo al momento non è possibile perché..- -In che senso un “pianeta pacifico”?- Lo interruppi -Vedi, in questo momento è in corso una guerra che coinvolge molti pianeti, tra cui questo; penso che tu non voglia restare su un pianeta in guerra, e a noi non serve una nuova recluta, quindi abbiamo provato a mandarti su un pianeta neutrale, ma siccome hai un’amnesia non possiamo mandarti da solo. Qui sorge il problema: nessuno vuole venire su questo pianeta da fuori per accompagnarti, poiché nessuno vuole essere mutato, e io non posso lasciar partire i miei uomini per accompagnarti. In parole semplici, per ora sei costretto a rimanere qui- Ero sconcertato e allo stesso tempo terrorizzato, ero costretto a rimanere su un pianeta in guerra, e di certo non mi avrebbero lasciato a dormire tutto il giorno, ma mi avrebbero costretto ad andare in guerra. Il robot confermò subito le mie ipotesi: -Finché rimarrai qui non dovrai restare un peso morto, quindi ti insegneremo a combattere, come minimo- -Combattere?- -Ah, già, è vero, tu non sai ancora nulla, gli uomini non sono ancora al corrente di questa guerra. Nei pensieri che ti abbiamo inserito nella mente c’è anche lo stereotipo che una guerra si combatta con delle armi principalmente. Qui non è così- Mosse le braccia, le portò davanti a sé e fece una conca con le mani, come per ospitare qualcosa. Dal nulla comparse una lastra di pietra quadrata e lui me la porse, preoccupato: -Fai attenzione a non farla cadere- Era abbastanza grande e vi erano incisi venticinque quadrati, cinque per lato. Non mi sembrava nulla di speciale, ma capivo che era importante. -Questa la terrai sempre con te- mi spiegò lui –Ogni quadrato corrisponde a un’arte. Un’arte è una tecnica di combattimento letale, che ti permette di controllare diversi elementi naturali e non, e se usate correttamente possono mettere al tappeto un avversario facilmente- tirò fuori un’altra lastra, uguale a quella che aveva dato a me, ma questa non me la diede, me la fece solo osservare, tenendola tra le sue mani. Ogni quadrato era illuminato di un colore diverso, alcuni persino avevano colori che si muovevano o che continuavano a variare. -Ogni quadrato illuminato corrisponde a una diversa arte che si è in grado di padroneggiare, io sono uno dei pochi in grado di padroneggiarle tutte, e sono rispettato in ogni angolo conosciuto per questo, insieme ad un’altra cerchia ristretta di esseri viventi- -Ma tu non sei un essere vivente- osservai. Non mi rispose, e continuò -Io sono il capo di questa base, che ha il compito di addestrare delle reclute per poi essere mandate in missione- Tenterò di insegnarti almeno un’arte prima che la tua situazione si risolva e tu te ne vada. Sarà difficile, ma poi mi ringrazierai, certe cose ti saranno utili nella vita- -E quale arte hai intenzione di insegnarmi?-chiesi. -C’è un modo semplice per sapere quale arte sei più portato ad imparare: basta guardare il colore dei tuoi occhi. Ogni colore che un’ iride può avere corrisponde a un colore su questa tavola, che a sua volta, come ti ho già detto, corrisponde a un’arte- -E io di che colore ho gli occhi?- chiesi, quasi eccitato. -I tuoi occhi sono rossi, rossi come il fuoco. Sarà questa l’arte che ti insegnerò- Mi diede una mano ad alzarmi, mi fece oltrepassare la porta da cui era arrivato dicendo:-Tu imparerai a controllare il fuoco-

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Uscimmo dalla porta, e ci ritrovammo davanti a uno stretto e corto corridoio, fatto dello stesso materiale della stanza da cui ero appena uscito. Vi erano solo quattro porte: due sul lato destro, una su quello sinistro e una in fondo. Mi fece entrare nella prima a destra e davanti a me si aprì una stanza lunga una decina di metri e larga sette o otto; costruita con semplice metallo, non aveva finestre ed era piuttosto buia. Vi si trovavano una decina di letti, corti, con coperte leggere e rovinate. Seduti su tre di essi si trovavano cinque persone: il primo, girato di schiena, era enorme, alto almeno due metri. Vestiva una maglietta a maniche corte marrone, e lo stesso colore avevano i pantaloni, sgualciti. Ai piedi portava delle ciabatte di metallo, con degli spuntoni sulle suole. Non potevo vedergli il volto, ma i capelli, di un color rosso fuoco, lunghi e molto voluminosi, gli ricadevano su tutta la schiena. Sentì per primo il rumore della porta che si apriva, e si alzò di scatto, con un saluto militare rivolto al suo superiore, che mi sorreggeva. Abbassò la mano molto velocemente, e potei intravedere delle scintille di un blu elettrico che si staccavano dalle sue dita e si disperdevano nell'aria. I lineamenti del suo viso erano marcati, il suo naso sembrava essere stato rotto più volte, e i suoi occhi erano marroni. In un attimo anche gli altri si alzarono e li osservai: tre di loro erano perfettamente identici, con la testa rasata a zero, muscolosi, nudi. Non avevano però delle parti intime, sostituite da una membrana, del colore della loro pelle. Erano più bassi del primo, intorno al metro e settanta. Gli occhi erano bianchi. Perfettamente bianchi, non si distinguevano né iride né pupilla. L’unica cosa tra loro differente è il colore della pelle, per il primo marrone, per il secondo azzurra e per il terzo verde. L’ultima persona era un bambino, con i capelli neri e corti; indossava un vestito molto simile a quello dell’uomo più alto, ma più corto, della sua misura. I suoi occhi erano rosa. -Felt, lo affido a te, spiegagli tu qualcosa della situazione in cui ci troviamo- disse il robot, che smise di sostenermi. Caddi, e gattonai verso il letto, dove l’uomo più alto mi prese per un braccio e mi mise a sedere su un letto. Mi girai per ringraziare il robot, ma se ne era già andato. L’uomo più alto si sedette sul letto davanti a me, e si mise a parlarmi:- Io sono Felt, e sono, tra quelli che vedi, il miglior soldato di questa base- disse, indicando gli altri quattro soldati dietro di sé, riprendendo poi con:- Il capo ti avrà già spiegato che ci troviamo in guerra, vero? Beh, questa guerra è combattuta principalmente tra due fazioni, ovvero la Luce e l’Ombra. Sono due nomi strani, è vero, ma non sono stati scelti per nessun motivo particolare, solo una convenzione. I motivi dell’inizio di questa guerra sono sconosciuti, almeno a noi reclute, anche se non siamo sicuri che si conoscano nemmeno nei piani più alti, ma sto divagando. Quello che ti interessa sapere, per adesso, è che ci troviamo in un pianeta deserto, per ora le uniche forme di vita su di esso si trovano in questa stanza, e siamo noi sei. Il nostro capo e supervisore è il robot che hai visto prima, e, una volta al mese saremo costretti a combattere un soldato dell’esercito dell’ Ombra. Questo pianeta, infatti, è in una posizione favorevole per la conquista di quelli vicini, e l’esercito nemico, che d’ora in poi chiamerò semplicemente Ombra, sta cercando di impossessarsene. L’Ombra non ha fretta, al momento sta eseguendo conquiste più importanti, e i nemici che arrivano qui sono generalmente deboli, ed è anche per questo che qui si trovano solo delle reclute, e nessun soldato più importante. Il nostro compito è difendere questo pianeta fino a che possiamo, per poi cederlo a soldati più forti quando arriveranno orde di soldati dell’Ombra più consistenti. Fino a che non troveremo un modo per farti andare via da questo pianeta, anche tu resterai qui con noi, e verrai allenato e istruito come un soldato, perché non gradiamo di certo pesi morti- Probabilmente il robot gli aveva raccontato tutta la situazione, perché conosceva già molti particolari, ma al momento era la mia ultima preoccupazione, e ascoltavo con attenzione ogni sua parola. -Ora devo introdurti alle tecniche di combattimento- continuò- ovvero le venticinque arti. Tra di noi io sono l’unico a padroneggiarne una, ovvero quella dell’elettricità- e dicendo così alzò una mano, che si trasformò in un istante in un miscuglio disordinato di fulmini e scintille azzurre, che assomigliava poco a una mano, ed emetteva una forte luce. Allungò la mano verso il muro e lo toccò, anzi, lo oltrepassò. La sua mano elettrica, infatti, penetrò nel muro metallico, che, cosparso di quell’energia, si illuminò come quello delle altre stanze, illuminando la camera; tirò quindi fuori la mano dal muro e la fece ritornare normale. –Le cose che si possono fare possedendo un’arte sono infinite, e possono servire anche al di fuori di uno scontro, come hai potuto vedere. Possedendone anche solo una puoi elaborare delle tue personali tecniche, da utilizzare in battaglia, ma spiegare a parole non serve a nulla, sarà meglio fartelo vedere-. Detto questo si alzò, dicendo: Liko, prendi un nemico, impostalo al 200%- Non capii cosa volesse dire, ma l’uomo con la pelle azzurra si mosse e uscì dalla stanza insieme a me e a Felt. Sulla parete destra, appena davanti alla nostra porta, in una rientranza nella parete, si trovava una tastiera di metallo, con una quantità smisurata di tasti, qualche migliaio, penso. Liko si mise ad armeggiare con essa, per poi fare un cenno a Felt, che si avviò nella porta in fondo al corridoio accompagnandomi. Non mi ero nemmeno accorto di essere già in grado di camminare in autonomia, ma non mi interessava, volevo vedere una di queste famose “arti” all’opera.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Apertasi la porta mi ritrovai all’interno di una cupola enorme, luminosa, dalle pareti che sembravano cristalline. Doveva avere un diametro di qualche centinaio di metri, e davanti a questa costruzione imponente mi fermai, rimanendo a bocca aperta. –Qui è dove ci alleniamo- disse Felt, sorridendo lla vista del mio stupore –ti spiegherò in breve come funziona: le pareti di questa cupola sono formate da specchi minuscoli e da altrettante piccole luci, che vengono direzionate contro gli specchi. La luce, se direzionata nel modo giusto, si sovrapporrà a se stessa, e se questo procedimento viene eseguito correttamente più e più volte, la luce diventerà così concentrata che sarà possibile toccarla, anzi, non solo toccarla, ma combatterci contro. Il computer che hai visto prima, infatti, serve apposta a coordinare gli specchi, che reindirizzeranno la luce in modo da formare un nemico che abbiamo affrontato in precedenza. Il capo, infatti, durante gli scontri, resta in disparte, analizza il nemico e a termine scontro inserisce i suoi dati nella memoria del computer, che li elabora e rende possibile combatterci contro- continuò. Mentre diceva questo le pareti diventarono più luminose, e al centro della cupola cominciò a formarsi un ammasso disordinato di fasci di luce. Non ebbi tempo di osservare con attenzione, poiché lui riprese a parlare: -La cosa interessante è che possiamo decidere noi il livello di forza del nemico: il 200% che ho imposto prima a Liko, il tecnico della base, indicava che volevo che i parametri del nemico venissero raddoppiati. Affronterò quindi un nemico che ho già combattuto, ma con forza, velocità, intelligenza, resistenza vitalità e abilità maggiori.- I fasci di luce avevano ormai formato una figura con contorni definiti, e iniziavano a cambiare colore –Ora sta a vedere, e non farti colpire: il computer attacca chiunque si trovi all’interno della cupola, senza differenze- I colori avevano smesso di cambiare. Vedevo davanti a me qualcosa simile ad un uomo, ma con la pelle di color verde scuro, e al posto dei capelli centinaia e centinaia di tentacoli. Gli occhi sembravano non esserci, anche se vi erano delle protuberanze dove si sarebbero dovuti trovare. La bocca arrivava alle orecchie, e terminava in un ghigno, dal quale si potevano intravedere denti lunghi quanto un dito. Era vestito elegantemente, una giacca nera come la cravatta, che si trovava sopra una camicia candida. Lo vidi solo per un momento, poi uno scatto e un tonfo. Il nemico aveva lanciato un pugno proprio verso di me, che Felt aveva parato con il braccio, seguito da un calcio. Il mostro lo schivò, e con un cenno del capo i suoi capelli si avvolsero attorno al braccio di Felt. Pessimo errore. Vidi un lampo azzurro e rimasi accecato per qualche secondo, vedendo subito dopo il mio compagno, con la mano destra fatta di elettricità che penetrava nel petto del mostro, che cadde a terra. Poi un sibilo, Felt era in alto, in cima alla cupola, si poteva capire il percorso che aveva fatto per arrivare lì poiché aveva lasciato una scia di scintille azzurre, che sembrava non dissolversi. I suoi capelli da rossi erano diventati azzurri, e sembravano simili a lampi. Il mostro, senza neanche che me ne accorgessi, si ritrovò dietro a Felt, e gli sferrò un pugno, colpendolo. Poi due e tre. Felt sbatté sul pavimento e si rialzò in un attimo, il nemico era già davanti a lui, con una velocità portentosa. Poi vidi una serie di pugni e parate, eseguite da mani verdi e fulmini, mentre il mio compagno restava fermo, riprendendo fiato, per poi, con uno scatto fulmineo, afferrare il nemico al collo e stenderlo per terra. Lo lasciò e quello si ritrovò immobilizzato da quelli che potevano sembrare ganci fatti di elettricità, uno per ogni arto e due per il corpo, poi andò di nuovo in cima alla cupola, usando una tattica strana: sferrò un fulmine verso l’alto, lo toccò e si trasportò dall’altra parte, lasciando al suo posto un mare di scintille, che avevano la sua forma, e che si dissolsero cadendo a terra. –PIOGGIA DI FULMINI!- urlò, e da tutto il tetto della cupola cominciarono a cadere delle scintille, come se fossero fiocchi di neve. Non sembrava un attacco potente, ma quando uno di quei fiocchi toccava il suolo, da ognuno di essi si sprigionò un fulmine, che si alzò verso il cielo, eseguendo un arco in aria, per poi ricadere sul mostro, che si ritrovò colpito da fulmini a migliaia. Rimasi accecato dai fulmini e assordato dai tuoni che essi producevano, e quando ricominciai a vedere, il nemico non c’era più, sostituito invece da fasci di luce che si dissolvevano man mano. Wow, wow, wow. Era la cosa più ragionevole che mi passava per la testa, in quel momento, e cercavo di immaginare cosa avrei potuto fare io con l’arte del fuoco, per cui ero predisposto, ma mi veniva in mente poco o nulla. Poi felt mi fece uscire dalla cupola e mi riaccompagnò nella camera, spiegandomi che gli ologrammi creati dalla cupola non potevano parlare, perché non si può prevedere cosa possano dirti, e quella è l’unica pecca della struttura, perché non si possono prevedere le informazioni che ti verranno date. Poi mi disse di dormire, perché il sonno artificiale che mi aveva suscitato il robot non mi faceva recuperare le forze. Ero molto eccitato, poiché il giorno dopo sarebbe stato il primo giorno in un mondo a me sconosciuto, ma poi abbandonai questi pensieri, poiché presero il sopravvento quelli che mi dicevano che ogni giorno qui sarebbe stato potenzialmente mortale. Mi addormentai insieme a tutti gli altri, anche perché probabilmente era sera, ma passai una notte piena di incubi e amari risvegli.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


La prima settimana sulla base passò in fretta, quasi non me ne accorsi. Feci la conoscenza di Liko, l’uomo con la pelle azzurra, che era da tutti considerato il tecnico della base, anche se in realtà questo titolo non gli era riconosciuto. La sua pelle era blu a causa dei mutamenti subiti entrando a contatto con l’atmosfera del pianeta, e prima di questo erano i suoi occhi ad essere di quel colore. Era una mutazione rara, ma fortunatamente non dannosa, e il colore blu indicava che era portato per l’arte dell’acqua, definita l’arte della calma, sopra ogni altra. E’ infatti la calma la caratteristica spirituale che più bisogna sviluppare per imparare tale arte. Liko mi ha spiegato invece che l’arte dell’elettricità è l’arte della velocità, e l’arte che più mi interessava, ovvero quella del fuoco, è l’arte della rabbia. Liko è anche fratello gemello di Qoto, l’uomo con la pelle marrone e di Wolchrambo, detto anche Wol, ovvero l’uomo con la pelle verde. Le arti per cui sono predisposti sono quelle della terra per Qoto e quella dell’aria per Wol. Tutti e tre i fratelli hanno subito lo stesso tipo di mutazione, e ciò vuol dire che Qoto un tempo aveva gli occhi marroni, e se tanto mi da tanto allora anche Felt è predisposto per l’arte del fuoco al momento. Il colore degli occhi, infatti, cambia se si impara a controllare la specifica arte. Infine, il bambino, si chiamava Milo, e anche se può sembrare strano, in quanto a forza fisica, lui era il migliore nella base. I suoi occhi rosa infatti simboleggiavano l’arte della forza, e per impararla era necessario sviluppare la propria forza fisica. Anche se Felt si era dimostrato inizialmente molto contento dell’arrivo di un nuovo compagno, sembrando quasi simpatico, ho capito però che in realtà si divertiva solamente a vedere la mia ignoranza in quella che per lui era la normalità. Ma poco importava di questo: il robot mi ha informato che qualcuno era disposto a venire a prendermi. Le mutazioni infatti agiscono una sola volta e il soldato che sarebbe venuto a prendermi le aveva già subite: era infatti uno dei primi allievi del robot, e come me, i suoi ricordi risalgono a un risveglio su questo pianeta: Landoff. Il pianeta era un vero e proprio deserto: la porta sulla destra del corridoio conduceva appunto all’esterno, e il paesaggio che ci si ritrovava davanti era uno sconfinato mare di dune rosse, che si disperdevano in lontananza. La cupola era coperta da sabbia, che continuava a scivolare dalla cima e rigenerarsi. Il robot, che conosceva l’arte della terra infatti, continuava a generarne, giorno e notte, per garantire una copertura a occhi indiscreti. Sono ormai passati otto giorni dal mio ritrovo, e mi dicono che aspettano l’arrivano di un guerriero dell’Ombra da un momento all’altro, infatti solitamente ne arrivava uno al mese. E infatti… Dalle pareti risuonò il rumore di una sirena: un acuto e incessante allarme. Ci precipitammo tutti di corsa fuori, poiché qualcosa era arrivato in una zona del pianeta vicino alla base. Non sapevamo se fosse un nemico o colui che sarebbe venuto a prendermi, ma la prudenza non è mai troppa. Infatti era un nemico. Avrei partecipato anche io alla battaglia, ma solo come spettatore: un allenamento durato una settimana non sarebbe infatti bastato a fronteggiare un nemico con anni di esperienza, ma avrei assistito al mio primo vero scontro. Davanti a noi si trovava un essere enorme, dalle sembianze non umane. Aveva due gambe corte e larghe, il bacino quasi invisibile sormontato una immensa sfera di lardo che doveva essere la pancia, ma era coperta di occhi, occhi neri. Non c’era una testa, e al posto del collo si trovava un’ apertura, che emetteva un odore nauseante e che faceva male alle narici, se respirato. Le braccia erano lunghe e flaccide, strisciavano sulla terra e sembravano non sostenute da ossa, come fossero corde di pelle e carne. -Vi abbiamo mandato già troppi avvisi, volete per caso scatenare una piccola guerra, continuando a difendere il pianeta in questo modo?!- Disse il mostro con una voce acuta che sembrava rimbombare più e più volte ne suo stomaco, per poi uscire dall’apertura che aveva sulla parte superiore della pancia. –Certo che sì- rispose il robot, calmo, che stava in disparte, vicino all’entrata nella base, perfettamente mascherata dalla sabbia –se questo sarà necessario a vincere la vera guerra. Sapete bene quanto sia importante questo luogo, a livello strategico, solo mi chiedo perché non vi decidiate ad attaccarlo seriamente-. Conosceva benissimo le risposte a quella domanda, ma ogni conferma in più alle ipotesi del nostro esercito poteva servire a prevedere con precisione le strategie del nemico. –Perché non ci sono abbastanza guerrieri già mutati, ovviamente!- rispose il mostro –ma ora veniamo alle cose serie: per l’ultima volta, siete disposti a lasciare questo pianeta all’ Ombra? Siamo disposti a cedere altri corpi celesti e a stipulare un trattato di pace temporanea in questa zona-. La risposta del robot non si fece attendere: -No. La risposta è sempre stata questa, e non abbiamo intenzione di riformularla. Ti diamo ora la possibilità di lasciare il pianeta senza ulteriori ripercussioni, se non vuoi affrontare il mio battaglione-. Per tutta risposta il mostro attaccò. Quel coso aveva difficoltà a rimanere in piedi sulla sabbia, senza affondare, e per muoversi rotolava. Letteralmente, stava proprio rotolando, non molto velocemente ma abbastanza da mettere tutti in allerta. Vidi un fulmine, che colpì gli occhi del mostro, che però riflessero il colpo, spedendolo lontano. –Credevo che avessi riconosciuto la mia razza, guerriero dei fulmini, non sei forse tu, in questo momento, il pupillo di quel robot? Sai bene che quell’arte non funziona contro di me, e mi hanno mandato proprio per questo motivo! Una così grande mancanza, da parte tua, non è accettabile!- Disse il mostro; mi stupì il fatto che lo chiamò robot. Tutti infatti nella base lo chiamavano semplicemente “capo”, ma credevo che anche lui avesse un nome, o almeno un codice di riconoscimento. Probabilmente i nemici non lo conoscevano. Mentre rotolava le sue braccia sferzavano l’aria sopra e scavavano nella sabbia di sotto, creando un pericoloso vortice di arti. Milo fece uno scatto, afferrando un braccio del mostro, bloccandolo, e Liko, con la sua arma preferita, un lungo e sottile paio di spade, lo tagliò, causando al mostro una terribile sofferenza che diede origine ad un altrettanto terribile urlo. Il mostro sferrò un calcio, dalla portentosa forza che spazzò sugli occhi di tutti uno strato di sabbia, accecandoci. Vidi un lampo, e la sabbia che si dissolveva leggermente, poi erano tutti lì, attorno al mostro, che facevano di tutto per colpirlo, ma i colpi che lui non riusciva a parare con le tozze gambe veniva respinto dagli occhi, e la bocca rigurgitava un liquido tossico, che indeboliva evidentemente i miei compagni, costretti a colpire con un braccio in meno, che utilizzavano per coprirsi la bocca. Di colpo il mostro sferrò un secondo calcio, che accecò nuovamente tutti. Durante quel momento sentii però un suo altro lungo urlo, e quando la sabbia si diradò vidi Wol con il secondo braccio del mostro in mano, evidentemente strappato a forza: -L’arte dell’aria è l’arte della concentrazione, credi davvero che solo perché non la padroneggio ancora non sia in grado di concentrarmi abbastanza da ignorare della sabbia? Questa è una TUA mancanza- Il mostro, infuriato, sferrò un calcio, che anche io potevo riconoscere come molto più potente dei precedenti, ma a pararlo ci fu Qoto, che mise le braccia “a X” assorbendo l’impatto: -E l’arte della terra è l’arte della difesa e della compattezza, mi alleno ogni giorno per resistere a ogni tipo di attacco, e tu credi di oltrepassare la mia difesa?- Furono queste le sue parole, subito prima che l’avversario si mise a vomitare tutto quello che aveva nello stomaco, ricoprendosi interamente della sostanza, se non per gli occhi, che si trovavano in rilievo e la facevano scivolare attorno. Addirittura io, che mi trovavo a una cinquantina di metri dallo scontro, riuscivo a percepire l’odore di quel liquido bluastro. Era una tattica sia di attacco, sia di difesa, sia di velocità: ora i miei compagni erano impossibilitati a colpirlo se volevano evitare di essere corrosi dal vomito, e dovettero allontanarsi per non respirare ancora esalazioni tossiche. E la pancia del mostro era scomparsa. Probabilmente era solo una sacca per contenere il vomito, e senza quel peso al suo interno poteva muoversi molto più velocemente. Attaccò quindi Felt con un calcio, che riuscì però a parare il colpo mutandosi in pura elettricità, ma anche sotto quella forma aveva bisogno di ossigeno e in parte all’avversario non ne aveva a disposizione. Il nemico scattò quindi verso i tre fratelli, che si trovavano uno vicino all’altro, toccandoli tutti e facendoli cadere a terra in preda agli spasmi e alle urla, con varie parti del corpo che fumavano, corrose. Il robot in parte a me uscì dalla sua immobilità, preparandosi a salvare i suoi soldati, ma non fece in tempo: Una enorme sfera di lava incandescente colpì su tutto il corpo il soldato dell’Ombra, che rotolò a terra ustionato, rialzandosi subito. Non capii subito da dove fosse arrivato il colpo, tale era la sua velocità, ma poi, con un poderoso e intenso tonfo, qualcosa cadde sul nostro rivale, e una volta diradata la sabbia per l’ultima volta, una figura stava seduta a gambe incrociate sul corpo ormai morto del nemico, senza danneggiarsi, sembrava sospeso su un tappeto di stelle:- Mi hanno detto di venire a prendere un certo Rei, ma credo di aver interrotto qualcosa. Per caso sbaglio, maestro?- Disse guardando il robot.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


La figura si alzò dal corpo morto del nemico, alzò una mano e strinse il pugno, attirando verso sé tutti i vapori tossici e molta sabbia, che attorno alla sua mano divennero compatti in una sfera di materia, che infilò su quello che sembrava un telo, disteso sul nemico e che sembrava formato dallo spazio più profondo del colore della notte, e da infinite stelle che ci roteavano dentro, come fosse una piccola galassia. La sua mano Penetrò in quel tessuto, senza uscire dall’altra parte. Una volta tirata fuori la mano quella era perfettamente pulita, come se nulla fosse successo. Poi il tessuto si rimpicciolì in fretta, scomparendo nel nulla. Intanto la alta figura era vicino ai tre gemelli, che passava le mani sulle parti corrose, rimarginando le ferite. –Forza, portateli dentro e stategli accanto: gli ho curato le ferite, ma il dolore non cesserà- Disse, rivolto a Felt e a Milo, gettandoglieli addosso, con la più completa noncuranza. I due, quasi spaventati, eseguirono l’ordine. Fece apparire dal nulla un secondo di quei tessuti, e con un movimento del braccio lo direzionò e lanciò verso il cadavere, che ci entrò, insieme a molta sabbia, e scomparendo, probabilmente per sempre, quando il tessuto, per un’altra volta, si rimpicciolì fino a scomparire. Si diresse quindi verso il robot e me, lentamente, e potei osservarlo meglio. Innanzitutto capii come mai non fossi riuscito a capire prima quale era il suo aspetto: sembrava che il suo corpo fosse oscurato da qualcosa, come se scurisse tutto ciò che aveva intorno, rendendo difficile distinguerlo. Era altissimo: almeno due metri e mezzo, e largo come un grande armadio a due ante; Le gambe lunghe ed esili, sorreggevano un grande busto, che occupava l’altra metà dell’altezza complessiva e la testa quasi non si notava, talmente era piccola in confronto al resto, e a dirla tutta non sono nemmeno riuscito ad osservarla bene, coperta da un busto molto voluminoso. Le braccia erano molto lunghe e arrivavano quasi alle ginocchia, ma questo era probabilmente dovuto al suo portamento ricurvo. La cosa particolare era che tutto il suo corpo, ad eccezione del petto, era ricoperto da metallo, che lo faceva sembrare un robot, ma era evidente che non lo era: camminava in modo lievemente irregolare e, mentre veniva lì si era grattato, cosa che a un robot di certo non sarebbe servita.–Questa è l’arte dei traditori, Subarashi, lo sai meglio di me!- Disse il robot con tono arrabbiato a Subarashi, ovvero la alta figura. Non capivo a che cosa si riferisse: gli avevo visto fare così tante cose in poco tempo che non sapevo distinguerne una dall’altra. Lui però rispose con tono retorico: -Non mi sembra di essere l’unico a conoscerla qui, vero, maestro?- -Sai bene in che circostanze l’ho imparata, ma mi delude il fatto che tu ti sia addirittura impegnato per apprenderla! Io ho solo avuto una grande sfortuna, e vedo che non sei nemmeno capace di padroneggiare bene le arti che non ti ho insegnato io! Conoscendo la tua fama mi aspettavo di più- disse il robot, rimproverando il suo allievo. -Tu sei stato di certo il miglior insegnante che abbia mai avuto, ma io ho bisogno di diventare più forte, se voglio diventare qualcuno, e se questo vuol dire imparare nuove arti, nonostante tu non le apprezzi, io sono disposto a farlo. Sono già nella lista dei cinquecento guerrieri che la Luce tiene maggiormente sott’occhio, a causa della loro forza, e questo lo devo, oltre che a te, anche a quello che ho imparato da autodidatta, ho bisogno di percorrere la mia strada, non potrai sempre controllarmi!- -Certo che potrò controllarti, lo potrò fare per sempre. Sono orgoglioso di te per la posizione che hai raggiunto, ma credevo che l’avresti fatto in un altro modo; inoltre non credere che diverrai mai in grado di battermi: ho avuto questa impressione. Ma di certo ora non voglio mettermi a litigare con uno degli allievi di cui sono più affezionato, dobbiamo parlare di cose serie- Detto questo mi guardò e mi disse di tornare nella base, e uscire fra una mezz’oretta, per poi abbandonare il pianeta insieme a Subarashi, e io, ovviamente, eseguii l’ordine. Dentro alla camera nessuno parlava: Felt e Milo per non infierire sui loro compagni, e i gemelli trattenevano a stento le urla, ma evidentemente soffrivano come se se avessero un coltello che li trapassava. In particolare Wol mi sembrava in pessime condizioni: l’acido lo aveva toccato vicino all’occhio e gli aveva corroso parte della palpebra, bucandogliela. Ora, nonostante avesse gli occhi chiusi, potevo vedergli una parte della pupilla sinistra, e non potevo nemmeno immaginare cosa provasse. A quanto pare Subarashi non l’aveva notato, lasciandogli la ferita. -Ragazzi, è meglio se vado ad informare il capo, deve curare Wol- dissi ai due che ancora riuscivano a reggersi in piedi, ma loro mi risposero in coro: -NO!!- ma poi continuò solo Felt: -Non puoi capire, sei stato qui per troppo poco tempo, ma non puoi disubbidire a un ordine che ti viene dato, in nessun caso. Anche Wol lo sa, e non si lamenta- -Scusa, ma tu come fai a sapere che mi hanno dato un ordine?- -Quando hai visto Suba sembrava avessi avuto una visione celestiale, non saresti mai rientrato di sua iniziativa- Passarono poi dieci minuti di silenzio, poi Wol cominciò ad urlare, e urlare, e urlare -AAAAHHRG! IL MIO OCCHIO, NON LO SENTO PIU’!!!- Urlò, insieme ad altre parole che non compresi Non so se descrivere quello che mi ritrovai davanti, dopo il suo urlo, ma.. Il suo occhio si era veramente corroso, un buco largo mezzo centimetro cadeva sull’iride bianca, perforandola. -Ora basta! Credete davvero che sia ancora possibile restare qui a non fare nulla?- Detto così mi alzai, dirigendomi alla porta per uscire, e la aprii. Vidi per una frazione di secondo i due, seduti in lontananza che parlavano, uno davanti all’altro, con qualcosa che emanava una intensa luce bianca tra di loro. Poi davanti a me c’era solo il volto robot. Aveva sentito la porta aprirsi ed è corso subito verso di me, tanto velocemente che non lo vidi nemmeno alzarsi. Mi stringeva il collo con una mano, e le sue dita, che parevano essersi allungate, si erano conficcate nella porta: avevo sentito il rumore di metallo che strideva contro altro metallo. Esordì con queste parole: -TU NON DOVEVI ANCORA USCIRE!- Lo urlò con una tale forza da far vibrare tutta la struttura, e vedevo che la sabbia ai suoi piedi creava pericolosi vortici. Era infuriato, e cercava di nascondere qualcosa, probabilmente l’oggetto luminoso –TI AVEVO DATO UN ORDINE, VERO? RISPETTALO!- Tornai dentro senza fiatare, impaurito dalla sua reazione. -Cosa ti avevo detto? Le sue urla si sono sentite anche qui- Disse Felt, ma non risposi. -Senti- disse Liko con un filo di voce –Non devi preoccuparti per noi. Noi facciamo tutto questo perché lo vogliamo. La guerra non è obbligatoria, solo chi vuole la combatte. Possiamo tornare da dove veniamo in qualsiasi momento, nessuno direbbe nulla in contrario- -Ma allora perché lo fate? Volete per caso morire?! Cosa c’è più importante della vostra vita? Siete sicuri di avere capito cosa state mettendo in gioco?- -Certo che lo sappiamo, ma tu non puoi capire. Tu non hai memoria di affetto, non puoi capire cosa vuol dire fino a che non lo proverai: noi siamo qui per difendere ciò che amiamo e sappiamo che da dove veniamo c’è qualcuno che sarà felice del nostro ritorno a guerra finita. Qualcuno che tiene a noi e conosce i sacrifici che stiamo facendo, e noi siamo qui per difenderlo. Se la nostra vita può essere barattato con quella di tutti coloro che conosciamo siamo disposti a darla. Ma tu non puoi capire: non hai nessuno da cui tornare e nessuno a cui tieni. Forse è davvero meglio che tu te ne vada: devi imparare a conoscere il mondo e farti una vita. Ma ricorda che se vuoi tornare qui, le porte saranno sempre aperte- Non ero più sicuro che ci fosse qualcuno che non dubitava di me, nemmeno io. Avevo paura di stare lì, e le sue parole mi fecero riflettere. Il robot mi chiamò fuori una ventina di minuti dopo, ma non era arrabbiato, era come se non fosse successo nulla. Appena fuori dalla porta c’era anche Subarashi, e in parte a lui un altro di quei tessuti, sospeso in aria. Di colore blu e nero, sembrava appunto una galassia in miniatura, con molti riflessi, simili a stelle. Mi affascinava molto e lo descriverei mille e mille volte. -Entraci, ti porterò da qualche altra parte- Disse Suba -Vuoi sapere una cosa? Ho cambiato idea. Io resto qui-

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


-Bene, allora io non servo più-. Disse Suba, e si infilò nel tessuto che si chiuse, scomparendo. Lo vidi solo un’altra volta dopo allora, ma questo lo racconterò più avanti. -Perché?- mi chiese il robot –Come hai fatto a cambiare idea così in fretta?- -Mi ha fatto cambiare idea Liko. Mi ha aperto gli occhi. “Tu non puoi capire”. E’ questo che mi ha fatto cambiare idea: io non ho nessuno da cui tornare, e di conseguenza non ho nulla per cui restare qua, non ne ho nessun motivo, è vero. Allora mi sono chiesto: quali sono i motivi per cui devo andarmene? Non ne ho, è così, esattamente come per quelli per cui dovrei andarmene. Non conosco questo posto, ma nemmeno ciò che c’è al di fuori di questo: io non posso capire i motivi che loro hanno per restare qui, e non li capirò mai, ma non mi dispiace. Non vorrei mai essere così disperato come lo sono loro in questo momento, così disperato da essere disposti a soffrire infinitamente per salvare qualcuno che probabilmente non rivedranno mai. Così disperato da abbandonare quello a cui tengo per salvarlo. Io voglio restare qui per imparare a vivere, per imparare a conoscere questo mondo, per poi andarmene. Subarashi mi avrebbe solamente portato in un altro luogo che non conosco e in cui non sarei pronto ad arrivare, l’unica differenza tra questo posto e quello che c’è al di fuori è solamente che qui è più pericoloso. Anzi, ci sono due differenze: qui avrò qualcuno che mi insegnerà tutto ciò che non conosco, e una volta che avrò abbastanza conoscenze da andarmene me ne andrò, non ve lo nascondo, non ho comunque intenzione di stare in guerra- -Probabilmente fuori da qui ti avrebbero aiutato comunque a capire chi sei, e ti avrebbero insegnato tutto quello che c’è da sapere, non ci hai pensato?- -Certo che ti ho pensato, ma là fuori mi tratterebbero come un malato, qualcuno che ha una grave mancanza di vita, e io non sono malato, sono solo sfortunato, ho solo perso tutti i miei ricordi. Inoltre lo spirito di fratellanza e la volontà di andare avanti che traspira dai pori della pelle di tutti qui, mi ha fatto sentire bene, e anche io, un giorno, vorrò diventare come i suoi allievi, fieri di quello che fanno e che faranno, fieri di esistere e di morire per i propri ideali- -Bene- disse impassibile il robot- D’ora in poi io sarò il tuo capo- continuò impassibile il capo. Milo era felicissimo del mio ritorno, ma non altrettanto lo era Felt, che a stento trattenne un’espressione di disgusto. Due dei tre gemelli intanto si erano ripresi, ma non Wol, il cui occhio sinistro era ormai andato perduto. Il capo lo portò nella stanza dove mi ero svegliato la prima volta, e quando ne uscì non aveva più né la palpebra né il bulbo dell’occhio. A sostituirlo vi era un bulbo di metallo, che si muoveva insieme all’altro, come se fosse quello naturale, ma era ovviamente antiestetico. Ma di certo io che porto uno scudo sulla schiena non posso permettermi di giudicare il suo occhio; sono però terribilmente dispiaciuto, non posso nemmeno vagamente immaginare cosa abbia sofferto e continui a soffrire fisicamente e psicologicamente. La cosa bella di quella protesi era però che gli permetteva di identificare un nemico, e al suo cervello arrivavano sia le informazioni visive dell’occhio destro che quelle sotto forma di dati dell’occhio sinistro. Se il nemico è quindi presente nei database del nostro esercito, lui può identificarlo e scoprire importanti informazioni su di lui, per esempio il numero delle arti che conosce e quali sono, oppure il suo pianeta d’origine, una vaga idea della sua forza (giudicabile tramite l’importanza delle missioni portate a termine o dei soldati alleati sconfitti) o il suo grado militare. Per due giorni non uscì dalla camera, in preda alla tristezza, ma il capo, con un discorso motivazionale come quello che aveva fatto a me quando non avevo seguito il suo ordine, lo scosse abbastanza da farlo riprendere e tornare alla normale attività. Ora anche io dovevo prendere parte agli allenamenti, particolarmente faticosi, che si svolgevano sempre nella cupola, ovvero la sala degli allenamenti, che non generava solo ologrammi contro cui combattere, ma qualunque tipo di attrezzo immaginabile. Per un primo periodo, ovvero le prime due settimane, non mi fecero prendere parte ai combattimenti contro gli ologrammi, ma infine riuscii a convincerli. -Liko, impostane uno al 20%- disse Qoto, inizialmente rivolto a Liko, per poi girarsi verso di me: -non ti chiediamo di vincere, ma almeno proteggiti dai colpi e resisti agli attacchi. Quando non ce la farai più ti basterà chiamarmi e interverrò- Finalmente anche io facevo parte della base, e non potevo nemmeno immaginare cosa il destino stesse scrivendo per me. Entrai nella cupola e i raggi di luce cominciarono a direzionarsi.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Il mio primo combattimento nella sala degli allenamenti fu disastroso: parai pochi colpi, e la maggior parte di questi con lo scudo che avevo sulla schiena, per il resto del tempo non feci altro che essere colpito, fino a cadere al suolo e necessitare dell’aiuto di Qoto, facendo la spiacevole scoperta che gli ologrammi dei nemici non possono essere fermati, devono per forza essere sconfitti. Wol sta facendo moltissimi progressi in poco tempo, e tutti ci aspettiamo di vedergli padroneggiare l’arte del vento a breve, forse anche prima del prossimo attacco da parte di soldati dell’ombra, che avverrà tra due settimane. Mi è stato inoltre detto che una sconfitta come quella subita l’ultima volta non era mai accaduta e il capo si mise in uno stato di allerta, avvertendo i suoi superiori che probabilmente avremmo avuto bisogno di aiuto, nel giro del prossimo anno, e quelli gli ricordarono che le sue due squadre stavano tornando dalle missioni assegnategli. Infatti nella base non eravamo ancora presenti tutti: degli altri allievi del capo, più esperti di noi, erano stati mandati in missione, mi dicono ormai tre mesi fa, e dovevano tornare a breve. Liko mi rivelò che tra le quattro arti elementari, ovvero acqua, terra, aria e fuoco, quest’ultimo era il più debole, perché a pari abilità, tra due guerrieri che padroneggiano l’uno il fuoco e l’altro una delle restanti tre arti, difficilmente il possessore dell’arte del fuoco la scampa, ma non ho capito il perché. Ne sono rimasto piuttosto deluso, perché mi aspettavo molto di più da questa arte, ma non era finita qui, perché era anche la più difficile da imparare, infatti, se era possibile allenarsi per aumentare la propria concentrazione, la propria calma o la resistenza agli attacchi, non ci si poteva allenare per arrabbiarsi, ma era una cosa che doveva venire spontanea, e che veniva sempre imparata durante uno scatto d’ira improvviso, e anche quello, ovviamente, non poteva essere previsto. Siccome il mio allenamento non prevedeva del tempo per sviluppare la mia arte era più intenso di quello degli altri, in particolare nella fase di rafforza tura del fisico: negli esercizi come piegamenti sulle braccia, o sollevamento pesi io ero svantaggiato a causa dal peso che avevo sulla schiena, e proprio per questo ero costretto a farne di più del normale. A supervisionare tutto il nostro lavoro c’era il capo, che, probabilmente usando un’arte, stava sospeso nella parte più alta della cupola, guardandoci attentamente, rivelandosi più taciturno di quanto avessi in precedenza notato. Un allenamento speciale veniva svolto da Wol, che doveva ancora comprendere appieno il funzionamento del suo nuovo occhio. A una settimana dal presunto attacco del nemico mi fecero ritentare la prova nella cupola, senza nessuna differenza da prima, e questa volta mi difesi maggiormente dai colpi che sferrava il nemico, ovvero quello che avevo visto affrontare a Felt sotto forma di ologramma. Andò meglio rispetto alla volta precedente e cominciavo a capire le dinamiche di un combattimento, a prevedere i movimenti del nemico e muovermi di conseguenza, arrivando a una parità tra me e l’ologramma, che ancora una volta Qoto sconfisse definitivamente. Milo mi disse che stavo facendo passi da gigante, anche se gli altri non volevano ammetterlo per non farmi esaltare troppo: in condizioni normali ci sarebbe voluto quasi un mese e mezzo–partendo da zero come ho fatto io- per arrivare a un livello di parità fra me e quell’ologramma, mentre a me è bastato un mese, ed ero felicissimo di questo. Qualche giorno prima dell'ipotetico arrivo del nemico gli allenamenti cessavano quasi completamente, per essere poi riposati nella battaglia. I nemici invece arrivavano spesso stanchi, e questo per colpa dei lunchi viaggi che erano costretti ad affrontare utilizzando l'arte dei portali. I portali erano infatti quei tessuti che usava Suba per far scomparire gli oggetti, che ho scoperto essere dei buchi neri. Già, buchi neri dall'energia controllata. Essi infatti risucchiano dentro sè la materia, per poi rilasciarla da qualche altra parte, ovvero un luogo definito dal creatore del portale. Quando il portale viene usato, però, sia il suo creatore (costretto a donare energia sufficiente a traspostare della massa tra due portali distanti anche anni luce) sia colui che li usava (che subiva la cosiddetta spaghettificazione, ovvero una compressione immensa, che appunto spaghettifica, ovvero riduce le dimensioni del corpo e lo allunga, per poi farlo tornare nella sua forma naturale) si ritrovavano stanchi dopo il viaggio. Avevamo quindi un enorme vantaggio sui nemici, che arrivavano spesso già esausti. Mancavano ormai soli due giorni all'arrivo del nemico, e la tensione cominciava a salire, immagino come di consueto. Probabilmente avrei combattuto anche io questa volta, e ne avevo paura, anche perchè adesso si sarebbe combattuto per le proprie vite e non per addestrarsi, come di norma. Ma la sirena suonò un giorno prima del previsto, e quando uscimmo trovammo qualcosa di completamente inaspettato.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Un portale enorme era comparso davanti alla base, e da esso fuoriuscirono alcune figure: la prima a malapena la vidi uscire dal portale: scattante e con movimenti fluidi, si ritrovò in fretta in parte a me, col fiatone e con lo sguardo attento rivolto verso il portale. Era alto poco meno di me, la pelle era chiarissima, se non per delle squame viola che sulla testa gli formavano una alta cresta. Dalla bocca sporgevano due lunghi canini, da cui sgocciolava un liquido anch’esso violastro. Poi un’altra figura, più robusta, le larghe spalle nascondevano quasi il resto del corpo, e questa volta la pelle era scura, in contrasto con la sabbia rossa del pianeta. Appena toccato terra corse anche lui veloce lontano dal portale, dalla parte opposta a quella della prima figura, e potei vedergli uno strano sfregio sulla schiena. Si mise in posizione, anche lui attento verso il portale. -Tu chi sei?- Chiesi all’uomo in parte a me -Mi chiamo Lhoret, sono uno dei soldati mandati in missione sul pianeta Arhiot, faccio parte dell’esercito della Luce. Tu invece? -Sono una recluta di questa base, anche io sto dalla parte dell’esercito della Luce- -Bene. Quei tre che vedi lì attorno al portale sono alleati, quello che invece ne sta uscendo ora, invece, è un nemico- Attorno al portale si erano posizionate altre due figure, una piuttosto esile, se non per un braccio robotico, che arrivava fino a terra, enorme, mentre l’altra, alta più di due metri, la pelle di un grigio argento che rifletteva la luce che le arrivava, come fosse liquida, si era disposta in modo da formare, con le altre tre, a formare un quadrato, attorno al portale, da cui fuoriusciva un essere enorme. Inizialmente solo un braccio, lungo all’incirca quanto la cupola, sbucava dal buco nero, e si presentava fatto di una roccia marrone, e da alcuni punti sgorgava lava incandescente, che lo ricopriva in buona parte. Uscì anche la spalla, formata da molti grossi massi, e da ogni crepa continuava a fuoriuscire lava. La testa era solo una piccola protuberanza in confronto al resto, come una collina di roccia, e la lava si trovava però solo dove si sarebbero dovuti trovare due piccoli occhi e un’altrettanto piccola bocca. Il mostro si incastrò però nel portale: il resto del corpo, dalle dimensioni ovviamente colossali, era rimasto dall’altra parte. Il buco nero si chiuse, tagliando il mostro in due parti, e quella che noi potevamo osservare cadde rumorosamente a terra. Ma no, non era morto. Le rocce e la lava si raggrupparono in tre distinti gruppi, per poi andare a formare in fretta tre mostri, uno diverso dall’altro ma con caratteristiche analoghe a quelle del gigante di prima. I miei cinque compagni scattarono subito verso il primo mostro, mentre io e i quattro usciti dal portale restammo con gli altri due; il capo, come sempre, osservava in silenzio. I mostri si mossero uno verso di me e Lhoret e uno verso la figura dalla pelle d’argento, ma erano molto lente e ci allontanammo entrambi in fretta. Diedi invece un’occhiata a cosa faceva la figura grigia, che sferrò un pugno sul mostro, nonostante fosse coperto di lava. Vidi il buco formarsi e trapassare roccia e lava, sfondando il mostro da una parte all’altra, lasciando un vuoto attorno al pugno e al braccio della figura. Non servì però a molto, perché le rocce che si trovavano nella parte superiore, crollando, taparono il foro. Nel frattempo l’essere di roccia si stava dirigendo verso di me. Io gli corsi addosso, sferrando un pugno in una parte del suo corpo non ricoperta da lava, senza però sortire effetto e facendomi solamente male da solo. Il pugno del mostro mi sfiorò, mentre il calore immenso mi investiva in pieno, scottandomi. Caddi a terra urlando, con il mostro che si gettava su di me a braccia aperte, nel tentativo di fondermi. Per fortuna Lhoret fu abbastanza veloce da salvarmi, dando un calcio al mostro e deviando la sua direzione di caduta. Anche la figura dalla pelle scura venne in mio aiuto, sollevando il mostro –ignorando lava e calore- e gettandolo in aria, con una forza sovrumana. Anche se non ero sicuro che fosse un umano. Allungò le braccia verso il basso, intrecciando le dita delle mani e Lhoret ci si fiondò sopra, mentre l’uomo lo spingeva in alto. Mi rialzai, dando velocemente uno sguardo agli altri due: uno teneva fermo il mostro con il braccio, l’altro lo bucherellava indisturbato, con una raffica di colpi. Poi, dopo un suo pugno, tutto si fece improvvisamente scuro, sentii il rumore di un’esplosione e il mostro che stavano combattendo l’uomo dalla pelle argentata e l’altro era scomparso. I due si diressero in fretta verso il nostro, e l’uomo dalla pelle scura fece da trampolino anche per loro, dandogli la possibilità di colpirlo in aria, mentre cadeva, indifeso. L’uomo dalla pelle argentata, con un singolo pugno, bucò il mostro, e ci fu un altro calo di luce, poi un’esplosione. Il mostro non c’era più e tutti caddero a terra. Nel frattempo anche gli altri avevano sconfitto il loro, che però non era scomparso.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Ci avvicinammo tutti al cadavere per poterlo esaminare, la lava si era come per magia raffreddata e ingrigita. -Non è morto, è solo stanco. Non può morire in questo modo- disse il capo – Questa è una Spia, ovvero un essere privo di vita, ma in grado di muoversi ed attaccare grazie a dell’energia conferitagli da soldati nemici- disse guardandomi. Poi rivolse lo sguardo verso l’uomo dalla pelle argentata: -Veritas, dove si trova?- L’uomo dalla pelle argentata, Veritas, indicò nella zona della spalla destra del mostro, quindi il capo, con quella credo fosse la stessa tecnica usata da Veritas in battaglia, ma usando un solo dito, intagliò la spalla del mostro, e ne estrasse un grosso pezzo. Lo tagliò poi a metà nuovamente, facendone uscire un liquido nero come la pece, che scorreva fuori rapidamente, gocciolando sul mostro. -Questa è ombra allo stato liquido- disse, rivolto nuovamente verso di me –La si può generare con l’arte dell’ombra, specialità, appunto, dell’esercito dell’Ombra. Conferisce energia, se immessa in qualcosa di inanimato, e si può considerare il cuore della Spia. Senza di questa non può vivere. Ma non è ancora morta, nemmeno ora che l’ho estratta. Ci sono due modi per ucciderlo: con l’arte del vuoto, che cancella letteralmente la materia, o con l’arte della luce, ad essa opposta. Ora userò l’arte della luce, poichè consuma meno energie- detto questo alzò il braccio, tenendo piegato il gomito e formando un angolo strettissimo con l’avambraccio, con la mano rivolta verso il basso. E proprio la mano divenne bianchissima, e cominciò a sciogliersi gocciolando addosso all’ombra liquida, e esse, al contatto, scomparivano, lasciando solo del fumo. Entrammo tutti nella cupola. E’ il luogo migliore se si vuole discutere di qualcosa tutti assieme, in modo da avere moltissimo spazio a disposizione. Potevo ora osservare anche gli altri tre arrivati con maggior attenzione. Il primo, quello con la pelle scura, non aveva soltanto uno sfregio sulla schiena, ma anche uno sul volto, perfettamente speculare, che probabilmente si era quindi procurato volontariamente, e non era una cicatrice di battaglia. La sua pelle era blu scuro, quasi nero, e i suoi occhi… come posso descriverli? Sembravano vuoti, potevo chiaramente vedere ogni singola vena all’interno di essi, ma erano presenti anche vari riflessi trasparenti, come in una macchia d’olio. Il secondo, quello con il braccio robotico, era abbastanza esile, poco più basso di me, ma il suo braccio, invece, mi superava. Poteva sembrare quasi un pilastro con una protesi umana. L’enorme pugno, partiva dalle sue ginocchia, per poi toccare terra con le nocche, ed era sproporzionato rispetto al resto del braccio, che terminava all’altezza della sua spalla, sommergendo anche parte del collo, probabilmente per tenerlo attaccato senza staccarsi. Ma ho detto che il braccio era più alto di me, e infatti un lungo spuntone, superava abbondantemente i due metri, coronando quello che più che un braccio, sembrava una bassa colonna di ferro. I suoi occhi sembravano due veri e propri piccoli portali, come se infilandoci un dito dentro esso potesse essere trasportato da qualche altra parte L’ultimo infine, Veritas, aveva la pelle sì color dell’argento, ma con decorazioni nere, dalla stessa lucentezza ma che parevano di materiale diverso. Esse formavano decorazioni tribali che avvolgevano tutto il corpo, dalle gambe al viso, da cui pezzi di pelle si staccavano rivolgendosi verso l’alto come una bassa corona nera. I capelli bianchi gli davano l’aspetto di un saggio, ma forse era una caratteristica della sua razza, chi lo sa? Le dita lunghe ognuna quanto due dita normali, sembravano lunghe quanto il collo, che sorreggeva una piccola bocca e occhi. Questi ultimi sembravano due diamanti, e come essi riflettevano luce ed erano trasparenti. -Dove sono gli altri?- chiese il capo, rivolto generalmente verso gli ultimi arrivati –e cosa è successo là sopra?- -Rivolte a causa della guerra, alimentate da alcuni messaggeri dell’Ombra, che gli fanno credere che alleandoSSSSi col loro esercito la guerra SSSmetterà in fretta. Ormai tutto il pianeta è convinto di ciò e hanno inviato uno dei cinque giganti per cacciare tutti i soldati del nostro eSSSercito: è lui che ha creato e ci ha mandato incontro quella SSSpia, e sempre lui ha fatto prigionieri i nostri compagni- disse Lhoret, triste ed arrabbiato. -Dobbiamo andare a riprenderli ora!- disse l’uomo dal braccio robotico: Là li tortureranno o uccideranno, non possiamo lasciarli lì così!- -Not, calmati, sai bene che non è possibile al momento. Ho usato troppo la mia arte e non potrei aiutarvi con le Spie, e di certo il capo non può lasciare la base. Dobbiamo aspettare che torni anche l’altra squadra, e con loro andremo a salvarli- Disse Veritas, pacato nonostante la situazione -No, il loro arrivo è previsto fra una settimana, e non abbiamo così tanto tempo. Dobbiamo andare ORA, e tu ti riposerai mentre combattiamo noi. Tu darai solamente il colpo di grazia- disse l’uomo dalla pelle scura -Brago, sai bene quanto Potere consuma la mia arte, e non posso usarla per ogni Spia che troveremo là sopra. Inoltre credi davvero che riuscireste a sconfiggerle tutte? In quattro siamo dovuti fuggire dal gigante, e non possiamo neanche sognarci di affrontarlo da soli- gli rispose sempre Veritas -Partirete all’alba. Ti ho addestrato perché potessi usare la tua arte più del normale e così è, non devi nemmeno pensare di tirarti indietro per una cosa del genere, Veritas!- lo interruppe il capo –A breve deve arrivare un soldato dell’Ombra, ma a quello ci penserò io, voi portatevi dietro Felt e una recluta a vostra scelta. Non affrontate il gigante, per nessun motivo. Dovete solo infiltrarvi e salvare i vostri compagni, capito?!- -Certo- concluse Ver, con un certo rammarico sul volto –E mi farebbe piacere pendere con me il novellino, per fargli vedere in cosa consiste una vera missione-

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2965775