Ultimo desiderio

di SalvamiDaiMostri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 221B, Baker St ***
Capitolo 2: *** Barafundle Bay ***



Capitolo 1
*** 221B, Baker St ***


John non riusciva a credere ai suoi occhi. 
Quante volte? Quante volte aveva desiderato di rivederlo? Di rivedere quei ricci selvaggi, quegli occhi penetranti, quella bocca che sputava sentenze, quel cappotto assurdamente lungo. Quante volte aveva voluto sentire di nuovo la sua voce profonda, anche solo una volta, anche solo per sentirsi criticare o per per correggere la tv. Spesso gli era sembrato di vederlo all’interno di un taxi che passava per strada, o nella confusione in centro o al centro commerciale.. Ma non era mai lui. 
Lui era morto e, dopo il funerale, John si era costretto a crederci. Si era arreso. Certo, non credette mai a quelle bugie che gli aveva detto al telefono, ma, dopo che la sua ultima disperata richiesta non aveva ricevuto risposta, la morte di Sherlock gli era sembrata una realtà innegabile. Erano passati anni da quel terribile giorno in cui saltò giù. Non lo aveva mai dimenticato, ci pensava ogni giorno; pensava a lui e a quante cose avrebbe voluto dirgli, anche solo addio. 
E ora era lì. 
Si strofinò gli occhi più volte, ma avrebbe potuto farlo fino a farli sanguinare: lui era lì. Se ne stava in piedi davanti alla finestra del salone del 221b, con le mani dietro la schiena. I capelli erano più lunghi di quanto ricordasse e portava un po’ di barba incolta. Ma era Lui.
Aveva anche parlato. Ne era certo, era la sua voce! Aveva detto “Ciao, John.” e poi aveva taciuto. 
John era rimasto immobile, con la mano destra ancora aggrappata alla maniglia della porta di ingresso e la borsa della spesa nella mano sinistra. Gli occhi sgranati, la bocca serrata. Non si accorse dello scorrere del tempo: era rimasto come pietrificato. Sherlock, dal canto suo, contava i secondi e, più il tempo passava, più gli sembrava difficile pronunciare alcuna parola. Avrebbe voluto spiegare, ma da dove cominciare?
Improvvisamente John chiuse gli occhi. Prese un bel respiro e entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Senza proferire parola, si fece strada verso la cucina (ordinata come non lo era mai stata), appoggiò la borsa sul tavolo, si tolse la giacca e la appoggiò su una sedia, prese la bottiglia del latte e la mise in frigo (niente pezzi di carne umana in quel frigo pulito e ordinato). Da quando era entrato nella cucina, Sherlock non lo vedeva più da dove si trovava ma, di certo, non avrebbe avuto il coraggio di muovere un passo finchè il dottore non glie lo avrebbe richiesto. Dopo un paio di minuti, John tornò nella sala principale della casa e si sedette sulla sua poltrona. Lo sguardo fisso sulla finestra. Sherlock lo guardava, lo osservava.. Quant’era cambiato... Sembrava invecchiato... Di certo era molto dimagrito. Improvvisamente John voltò lo sguardo verso Sherlock e lo fissò sui suoi occhi; Sherlock ne fu terrorizzato, ma non distolse lo sguardo: per troppo tempo si era nascosto, ed era tornato per affrontarlo. E non si sarebbe tirato indietro facilmente. 
“Due anni.” disse secco. “Due anni.” Ripeté, la voce strozzata lo tradì e John si portò il pugno alle labbra per nascondere la rabbia. Sospirò. Si mise la mani sul volto e se lo strofinò più volte. Poi tornò a guardarlo. “Vieni e siediti” gli disse indicandogli con la mano aperta la poltrona nera. Sherlock obbedì. Passarono alcuni secondi. “Allora? Sto aspettando. Comincia pure da dove vuoi e come vuoi.” era furioso, Sherlock non lo aveva mai visto così. Aveva gli occhi iniettati di sangue, il cuore spezzato. 
“John io... E’ opportuno che cominci dicendoti che quel giorno non ho avuto altra scelta. Moriarty voleva che mi uccidessi dopo avermi umiliato, il prezzo del mio rifiuto sarebbe stata la tua morte e quella di coloro che amo. Non potevo permetterlo.” John non mosse un muscolo: evidentemente aveva già valutato quest'ipotesi “Fortunatamente Mycroft stava tenendo sotto osservazione Moriarty più di quanto credessi e aveva escogitato un piano elaborato per fingere la mia morte. Non è opportuno spiegarti ora come sia stato possibile, ma, concorderai con me, è sufficiente sapere che ha avuto successo.” John fece una smorfia sarcastica, sembrava essere ancora più arrabbiato di prima “Ad ogni modo, fui costretto a sparire. Per proteggere la città, per proteggere te: la rete di Moriarty era molto estesa e doveva essere smantellata subito, allora che ne avevamo l’occasione. E, perciò, ho viaggiato in incognito in questi anni... Nei servizi segreti. Sono stato torturato, malmenato, fatto prigioniero per mesi. Ho patito la fame, il freddo, la malattia. E’ stato un vero inferno. E l’ho fatto solo per te, per proteggerti-”
“Smettila di parlare come se potesse essere una giustifica.” Sherlock tacque, gli occhi sgranati “Non mi importa ciò che dici: qualsiasi minaccia sarebbe stata meglio di perderti. Di perderti così, quantomeno.” 
“L’ho fatto per salvare la tua vita!” 
“Non mi interessa. Questa non è vita. Forse avrei preferito morire.” Sherlock saltò in piedi
“COME PUOI DIRE COSI’??”
“OH POSSO ECCOME, SHERLOCK!” si alzò a sua volta “HO VISTO IL TUO CORPO” gli afferrò il colletto della giacca con entrambe le mani e prese a strattonarlo “PRECIPITARE DA QUELL’OSPEDALE! HO VISTO LA TUA TESTA FRACASSATA! IL TUO VOLTO RICOPERTO DI SANGUE! I TUOI OCCHI VUOTI!” gli occhi di John si riempirono di lacrime e, poco alla volta, smise di strattonarlo e si lasciò cadere sulle ginocchia, senza mollare il cappotto. “Tu eri morto, ERI MORTO! E io sono rimasto solo, di nuovo.. Oh Sherlock...” Sherlock si inginocchiò davanti a lui e gli mise una mano su una spalla. 
“Oh John... Ora sono qui.” John lo guardò con gli occhi carichi di lacrime e gli sorrise
“Sì... Sì, sei qui...” si asciugò le lacrime “E’ finita.. Sei tornato.” Sherlock abbassò lo sguardo e sospirò. “Che c’è?”
“Siediti John. Non ho finito la mia storia.” John si sedette, confuso. Sherlock a sua volta sedette sulla sua poltrona. “Ebbene... Come ti ho detto, fino ad ora non ero tornato perchè dovevo proteggerti e perchè stavo distruggendo la rete di Moriarty”
“E ora avete finito, no?”
“No, John. Non è per questo che sono tornato. Secondo Mycroft ci vorrà ancora una decina d’anni a smantellare l’impero che Moriarty aveva costruito.” si fermò e prese fiato “Sono tornato perchè Mycroft me l’ha concesso.” abbassò lo sguardo “Non sai quante volte avrei voluto venire a cercarti, anche solo per un paio di giorni, ma i miei superiori erano del tutto intransigenti: allontanarmi dal campo di battaglia avrebbe compromesso la missione..”
“E questa volta ti è stato concesso?”
“Esattamente. Perchè vedi...” alzò lo sguardo “Io sto morendo John.” attese qualche istante “Sono malato. Cancro. Le metastasi sono estese alla maggiorparte dei miei organi vitali e radicate in profondità, è impossibile curarmi. Sono tornato perchè, comunque, di qui a poco, non sarei più stato utile alla missione. E, se anche scoprissero che sono qui e che sono vivo, non avrebbero il tempo di prendere provvedimenti in quanto morirò comunque prima. John io...” gli occhi presero a lacrimargli, John non lo aveva mai visto piangere “Io sono tornato per passare il poco tempo che mi resta insieme a te. Certo, se tu vorrai.”
John si precipitò su Sherlock e lo abbracciò. Shelrock lo abbracciò a sua volta e lo strinse forte a sè e pianse tutte le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento tra le braccia dell’uomo che amava.

(Backstage) 
“Entra pure, fratellino.” Sherlock avanzò nell’ufficio di Mycroft con decisione; teneva una cartella in mano. Mycroft era seduto alla sua scrivania, intento a compilare diversi documenti; non alzò nemmeno lo sguardo per salutare suo fratello. Sherlock gettò sull’ordinatissima scrivania la cartella che portava e, solo allora, Mycroft interruppe il suo lavoro: “E questa? Cosa sarebbe?”
“E’ ciò per cui sono tornato. Sono i risultati delle analisi di cui ti avevo parlato.” Mycroft lo guardò negli occhi e Sherlock potette leggere il terrore nei suoi occhi, nonostante l’uomo di Ghiaccio fosse sorprendentemente bravo a nasconderlo.
“Ebbene?”
“Sai che, se sono qui, è perchè sono risultate positive. Sto morendo Mycroft, e questa volta per davvero.” Mycroft chiuse gli occhi per un istante e respirò profondamente nel tentativo di mantenere di mantenere la sua compostezza “Non disturbarti. Non sono qui per cercare affetto fraterno. Voglio chiederti un ultimo desiderio: lascia che io torni da Lui.”
“Impossibile. Ne abbiamo già parlato, Sherlock. Anche se non sei più utile alla missione, se gli uomini di Moriarty scoprissero che sei vivo Dio solo sa che cosa accadrebbe... Inoltre, la prima cosa che farebbero sarebbe mantenere la promessa del loro capo: andranno dritti dai tuoi amici e li uccideranno uno alla volta. E’ questo che desideri come tua ultima volontà? Vederli morire a causa tua?”
“Non avrebbero il tempo di organizzarsi.” strinse i pugni “Non mi resta COSI’ tanto tempo.” Mycroft si portò la mano sugli occhi e se la passò sul volto: così poco dunque? Cosa direbbe la mamma? Ancora una volta si ritrovava a vedere uno dei suoi fratelli che affrontava la morte e lui non poteva fare nulla al riguardo. “Mycroft, ti sto supplicando” Sherlock appoggiò entrambe la mani sulla scrivania e avvicinò il viso a quello di suo fratello, così che lui potesse cogliere la disperazione nei suoi occhi gonfi di pianto e rimorsi “Lascia che io trascorra il tempo che mi resta insieme a Lui!” passarono alcuni istanti durante i quali Mycroft fu costretto a ricordare quel suo imbranato fratello minore che aveva promesso di proteggere dalle avversità di un mondo che era da sempre stato troppo crudele con gli Holmes. 
“Essia.” Shelrock sorrise e chinò il capo, per celare al fratello maggiore una lacrima di gioia che si era lasciato fuggire “Ma sappi che non sarà facile non essere notati. Sarebbe meglio che vi allontanaste da Londra. Potreste stare nella casa al mare della zia Jodi se lo voleste.. Ricordo che ti piaceva tanto andare a Barafundle bay quando eri piccolo.” Sherlock si alzò cercando di asciugarsi gli occhi che non volevano saperne di cessare di piangere e sorrise
“Sì sì, è vero.. Non ci avevo pensato.. Già.. Sarebbe un bel posto dove finire.”
“Immagino che comunque vorrai recarti al 221b per incontrarlo. Mi assicurerò che tu riesca ad arrivarci al riparo da occhi indiscreti: assolderò uomini fidati, dovrai limitarti a dare ascolto ai loro ordini.”
“Lo farò.”
“Ovviamente il mio permesso non ti garantisce che John accetti le tue scuse, ma immagino che tu abbia già calcolato questa ipotesi. Ti prego Shelrock, se dovesse andare in questo modo, contattami. Per lo meno-”
“Per lo meno ci saresti tu? Andiamo fratello, non saresti di compagnia!” scherzò Sherlock, Mycroft sorrise
“Fallo comunque. E ora va: sono impegnato.” Sherlock si voltò e fece qualche passo verso la porta, poi si voltò un’ultima volta verso Mycroft che era tornato a compilare documenti
“Grazie. Addio, Mycroft.” non attese risposta e uscì dall’ufficio, chiudendo la porta dietro di sè. Nessuno vide che, dopo, Mycroft si lasciò cadere sulla scrivania e diede sfogo a tutta la sua rabbia, alla paura e alla tristezza con tutte le lacrime e i singhiozzi che aveva in corpo, bagnando tutte quelle carte che si era dedicato a compilare e a ordinare da giorni; le strappò, le gettò in aria e a terra, così come fece con la lampada, quell’orribile soprammobile di porcellana, il tagliacarte, la sedia, il telefono e tutto ciò che gli capitò tra le mani: il suo fratellino se ne andava, quel bambino che aveva visto nascere si stava preparando a morire. E lui non poteva fare nulla. Nonostante il suo lavoro, nonostante i suoi soldi, le sue lauree, la sua esperienza, la sua intelligenza, nonostante tutto non poteva fare nulla per farlo sopravvivere, così come aveva fatto due anni prima al St Barth. Niente. Non si era mai sentito così impotente in tutta la sua vita. 

-

John sedeva sul divano accarezzava i ricci di Sherlock con dolcezza, il quale si era steso sul divano appoggiando la testa sulle ginocchia di lui. Guardavano il camino acceso e stavano in silenzio. Gli occhi di entrami erano segnati dalle lacrime e le guance di Sherlock erano ancora umide. Non riuscivano a pensare nulla, nessuno dei due riusciva ad organizzare un pensiero logico.
Dopo diverso tempo, Sherlock interruppe il silenzio.
“Non posso restare qui.”
“Capisco.”
“Io e Mycroft possediamo una casa a Barafundle bay. E’ davvero un bel luogo, e desidererei andare là. Vorresti venirci con me?”
“Certo.” Sherlock sorrise e si portò la mano al petto 
“Grazie. Grazie davvero.”
John continuò ad accarezzare i capelli di Sherlock, ad occhi chiusi. Desiderava dargli pace, conforto: l’ultima volta lo aveva lasciato morire da solo e impaurito. Non questa volta. Non questa volta. Il silenzio della loro casa buia li coccolò in quel dolce momento che Sherlock e John si ritagliarono nelle loro vite per stare insieme: finalmente si erano riuniti e così sarebbero rimasti fino alla fine.
Quando Sherlock si svegliò si trovò solo e, per un istante, pensò che il giorno prima fosse solo frutto di un suo dolce sogno e che lui fosse ancora solo, con il suo cancro, ad attendere la fine. Ma poi John comparve dalla cucina con uno zaino salutandolo e dicendogli che aveva preso qualche provvista per il viaggio.
“Gli uomini di Mycroft sono pronti in ogni momento. Quando vuoi, possiamo andare.”
“Io sono pronto. Tu piuttosto, non vuoi salutare la signora Hudtson o Greg...? Molly?”
“Loro mi hanno già detto addio una volta: non voglio addossare loro la mia resurrezione e imminente morte solo per un terribilmente egoistico addio. Anzi... Desidererei che tu non parlassi proprio ad alcuno di loro di me e di ciò che accadrà.”
“Capisco. Quindi andiamo?”
“Precedimi. Coloro che ci accompagneranno sono appostati in un furgoncino di un fruttivendolo parcheggiato giù in strada. Dì loro chi sei e sali. Io ti seguo, dammi solo un minuto.” John gli sorrise e obbedì.
Sherlock si alzò da quel divano e si prese un momento per passeggiare per l’appartamento: quella casa aveva visto così tante cose... Il loro incontro, le loro prime imbarazzanti conversazioni, i pasti insieme, il blog di John, le liti, le risate. I suoi esperimenti, le fidanzate di John, Moriarty, la Donna, i clienti, i casi. Una vita intera. Sherlock, John e il 221b a Baker st ne avevano passate tante insieme, e quelle mura ne erano state testimoni. I fori di proiettile nel muro non erano ancora stati riparati, così come non era stato cancellato il grande smile giallo su quell’incoerentemente elegante carta da parati bianca e nera. Sherlock camminava per le stanze accarezzando gli spigoli, gli stipiti delle porte, i mobili: con quel gesto voleva dire “Addio, grazie di tutto. Mi mancherete.” e poco a poco si avviò verso la porta di ingresso. Prese il suo cappotto dalla poltrona e lo indossò. Camminò verso la porta e uscì per l’ultima volta da quell’appartamento. Un ultimo sguardo a quel teatro di follie e poi chiuse la porta. Tirò un sospiro e scese le scale.

-

John sedeva su una vecchia sedia a dondolo di vimini nella veranda che si affacciava alla bellissima baia; sorseggiava una tazza di té a occhi chiusi, ascoltando il suono delle onde che si infrangevano sugli scogli misto alla melodia che Sherlock stava eseguendo al violino accanto a lui. Sherlock concluse.
“Meravigliosa, come sempre. Non immagini quanto mi mancasse sentirti suonare. Casa nostra era così silenziosa senza di te.” Sherlock camminò verso di lui e si sedette sulla sedia accanto
“Anche a me è mancato immensamente. Lì dov’ero, non c’era spazio per la musica. Così come non c’era per riflettere in pace. Il violino era una delle cose che mi mancava di più... E ora desidero dedicarci quanto più tempo possibile.” John abbassò lo sguardo, intristito
“Certo, capisco. Credo che sia quanto di meglio tu possa fare.” Sherlock sorrise
“Mi dispiace di averti coinvolto. Io capisco, davvero, quanto possa essere difficile per te accompagnarmi in.. tutto questo. Dati i precedenti, non ti biasimerei se volessi rinunciare. Ma vorrei tanto non essere solo quando...” John gli afferrò la mano e lo guardò fisso negli occhi, con determinazione e affetto, ma anche tanta tanta paura
“No. Non dirlo più. Sono qui per starti accanto, e non me ne andrò per nessuna ragione. Con te, fino alla fine.” Shelrock strinse quella mano a sua volta e ricambiò quelle dolci parole con un sorriso. Con l’altra mano afferrò la sua tazza di té dal tavolino, e allora John glie la lasciò.
“Allora, continua a raccontarmi... Mi stavi parlando di questa Mary poco fa...”
“Beh.. Ci frequentiamo da diverso tempo e.. Beh, è perfetta. E’ un’infermiera, lavoriamo insieme da diversi mesi. E’ bellissima, divertente, intelligente, molto forte... La amo davvero.”
“Sì, si vede dal modo in cui ne parli. Hai una luce nuova negli occhi. Intendi sposarla?” John sembrò sorpreso alla domanda. Riflettè un momento
“Sì.. Insomma, lo vorrei davvero... Vorrei che avessimo una famiglia...”
“Bene.” Sorrise Sherlock “E’ un sollievo sapere che non sarai solo. Devi sapere che.. dapprima, ciò che mi terrorizzava di più all’idea di morire era il fatto che il mondo sarebbe andato avanti senza di me.. Eppure.. Adesso.. E’ un sollievo... Davvero.” Rimasero in silenzio ad ascoltare il suono dell’oceano per diversi minuti. Il tramonto tingeva il cielo di rosa, arancione e verde.
“Sherlock, devo chiedertelo. A parte la morfina, non ti sei fatto portare alcun tipo di medicinale. Dimmi, quanto tempo ti resta?” Sherlock si alzò e camminò fino alla finestra della veranda e vi si appoggiò
“Domani vorrei scendere alla spiaggia. Ti mostrerò una caverna nella scogliera dove io e i miei fratelli giocavamo a fare i pirati... E’ davvero bello... Si trova più o meno laggiù.” disse indicando un punto all’estremità destra della baia. John lo guardò con disperazione, trattenendo a stento le lacrime. Non fece ulteriori domande.

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Capitolo 2
*** Barafundle Bay ***


“Qua legavamo il guinzaglio di RedBeard perchè facesse da vedetta: lui controllava che nessun intruso si avvicinasse al nostro fortino segreto, nascosto da questi scogli... Laggiù invece io e Mycroft catalogavamo e etichettavamo i tesori che Sherrinford ci portava: stelle marine, conchiglie, vecchie monete, figurine e soldatini... Tutto aveva il suo apposito barattolo e il preposto scaffale. Oh guarda! Questo era il posto in cui la zia Jodi ci lasciava la merenda segreta!” Sherlock parlava scivolando sugli scogli di quell’angusta grotta scavata nella scogliera; si era arrotolato i pantaloni alle ginocchia perchè l’acqua marina danzava all’altezza delle caviglie. Mostrava a John cassette di legno, barattoli, scogli dalle forme speciali e tesori di un’infanzia che da tempo il consultive detective non ricordava. John lo osservava esterrefatto: non lo aveva mai visto così felice.. nemmeno in occasione di qualche bel pluriomicidio complicato. Il suo entusiasmo lo inquietava un po’, ma gli parve ugualmente dolce e commovente.
“Etichettare e catalogare i tesori? Strano modo di giocare ai pirati...”
“Regole del capitano.” disse facendo spallucce “Mycroft accettava di giocare con noi solo se si giocava con ordine e disciplina. Siamo sempre stati menti di scienza.” da uno scaffale piuttosto alto afferrò un piccolo e malconcio veliero pirata di legno rotto in più punti: lo guardò con nostalgia tracciandone i contorni con le dita. Improvvisamente sentì una forte fitta al petto: soffocò un grido di dolore e si portò entrambe le mani al petto, lasciando cadere in acqua il veliero logoro, appoggiò la schiena alla parete rocciosa perchè si sentì mancare, lacerandosi la camicia. John corse subito in suo aiuto: si infilò sotto a un suo braccio e lo aiutò a rimettersi in piedi. Sherlock vide immediatamente il suo sguardo terrorizzato e volle calmarlo “Niente paura.. Sono solo un po’ debole.. Mi sono solo sforzato un po’ troppo.” disse bevendo un sorso della morfina che John gli passò.
“Dai forza, andiamo a sederci sulla spiaggia.. Ti aiuto io.” insieme uscirono piano piano, con non poco sforzo, dalla piccola caverna e si sedettero sulla spiaggia a pochi metri dalla riva. John si tolse la giacca e la adagiò sulle spalle di Sherlockc il quale aveva insistito ad uscire di casa in camicia, ignorando il vento freddo che veniva dall’oceano. Per un po’ stettero ad ascoltare il verso dei gabbiani e il ruggito delle onde che si infrangevano sulla baia, poi Sherlock ruppe il loro silenzio.
“Quello che ti ho detto ieri, è vero.”
“A cosa ti riferisci?”
“Io desidero che tu prosegua con la tua vita dopo che io sarò morto. Voglio che tu affronti la mia dipartita, che la superi e che continui a lavorare come medico, aiuta Lestrade con casi (non sei me, ma ti ho addestrato bene: avranno sempre bisogno di te) e magari creati una famiglia tua... Desidero che realizzi te stesso quanto più possibile” John nascose la testa tra le ginocchia
“Mycroft te l’ha detto, non è vero?”
“Non potevo starti accanto, ma Mycroft ogni tanto mi portava notizie di te. Tentare il suicidio, John, davvero? Come hai potuto...” 
“Mi dispiace Sherlock! Ma, come ti ho detto, per me quella non era vita. Tu eri morto, ti eri buttato da quel dannatissimo tetto e io ero di nuovo rimasto solo come un cane. Non avevo potuto fare niente per salvarti e... Era tutto semplicemente troppo per me. Ero certo di non farcela ad andare avanti.” Sherlock continuava a contemplare il mare
“Ti prego, promettimelo John: quando morirò, continua a vivere. Sei un soldato: combatti! Combatti tutto lo schifo di questa vita e sii felice. Sii felice per conto tuo, sii felice con Mary o con chiunque altro. Vivi ogni momento e fallo in mia memoria. Ricorda che me l’hai promesso e che questo giuramento è stata l’unica cosa a permettermi di andarmene serenamente.”
John non riusciva a rispondere, la voce gli si strozzava in gola. “Te lo prometto.. Sherlock.”
“Bene.” sorrise dolcemente. Passò diverso tempo in cui John pensò quanto frustrante dovesse essere stato per Sherlock Sherlock scoprire che l’uomo che stava proteggendo a costo di torture e persecuzioni aveva tentato il suicidio... Che stupido era stato.
“E’ stata Mary a salvarmi.” sorrise “Non ricordavo nemmeno di avere un appuntamento con lei, ci eravamo appena conosciuti. Arrivò al 221b e mi trovò in un lago di sangue e.. Mi ha salvato. Mi ha salvato in tanti modi, Sherlock... Mi ha aiutato ad affrontare il lutto per la tua morte, mi teneva compagnia nei momenti peggiori, mi accompagnava al cimitero a visitare la tua tomba. Ha riportato la luce nella mia vita. E’ la cosa migliore che mi sia capitata in questi ultimi anni.”
“Allora dovrò ringraziarla.” John lo guardò sconcertato “Voglio conoscerla. Davvero, tanto.” John sorrise di cuore
“Vedrò che possiamo fare. Rientriamo?”
“Sì.” John lo aiutò ad alzarsi. 

La chiamarono su Skype quella stessa sera.
“Mary, ti presento Sherlock Holmes. Sherlock, questa è Mary.”
“Piacere di conoscerla signor Holmes” sorrise lei “Ho sentito tanto parlare di lei, non credevo che avrei avuto il piacere di incontrarla.”
“Ti prego, chiamami Sherlock. Piacere mio.” Sherlock non poteva credere a quanto quella donna fosse giusta. Giusta e basta. Perfetta per John in ogni suo aspetto. A causa della bassa qualità della webcam e alla sua debolezza non era in grado di dedurre dettagli nascosti, ma gli appariva evidente la forza della donna che gli sorrideva dallo schermo del portatile, la sua bontà, l’intellgenza, l’amore che provava per John, il rispetto nei suoi confronti. Sherlock decise che la donna che l’aveva appena salutato era colei di cui John aveva bisogno in quel momento: lei avrebbe preso il suo posto. Sherlock avrebbe ceduto il suo posto di compagno di vita dell’uomo che amava a Mary “Pare che io abbia di che ringraziarti, Mary”
“Oh, sta tranquillo: non riuscirà a fuggirmi così facilmente” disse strizzandogli un occhiolino
John era così felice di vederli parlare insieme: le due persone che più amava al mondo stavano parlando e stavano parlando di lui. Il cuore gli impazziva di gioia. In quegli anni gli era capitato più volte di pensare a che reazione avrebbe avuto Sherlock alla sua relazione con Mary: lui aveva sempre odiato ogni sua ragazza... Avrebbe trattato male anche lei? E si era sorpreso ad avere nostalgia persino dell’irritantissimo modo in cui Sherlock maltrattava le donne che si portava a letto. Ma lui e la sua Mary non si sarebbero mai incontrati e gli dispiaceva immensamente rimanere con quell’eterno dilemma irrisolvibile: le avrebbe voluto bene? Si era arreso a non scoprirlo mai. E ora stavano parlando insieme, chissà di cosa poi: ormai non ascoltava più il loro discorso, era troppo impegnato a guardarli immerso nei suoi pensieri.
“Ebbene te lo affido, Mary. La sua vita, la sua felicità: siate felici insieme, e bada lui.”
“Lo terrò nei guai, non dubitare.”
“Brava ragazza.”
“E.. a proposito del nostro futuro... John, avevo intenzione di parlartene di persona” John si destò dal suo breve sogno ad occhi aperti per ascoltarla, ora che si dirigeva a lui “ma credo che, nonostante non siamo fisicamente insieme, sia importante che io ti dia questa notizia ora che sei accanto al tuo migliore amico e beh, Sherlock, vorrei che anche tu lo sapessi... John, sono incinta. Aspettiamo un bambino!” John sgranò gli occhi e spalancò la bocca a quella notizia. Un sorriso da orecchio a orecchio si disegnò sul suo volto e cominciò a ridere di gusto, Mary da parte sua si era commossa e sorrideva tenendosi le mani. Sherlock ne fu davvero lieto, sorrise e diede una sonora pacca sulla spalla a John e disse 
“Congratulazioni, a entrambi” e John ancora non aveva finito di essere talmente entusiasta da non riuscire a proferire parola. Lo guardava estasiato e, in quel momento, solo per quel momento, dimenticò che la morte era stata e sarebbe stata ancora per qualche tempo la protagonista assoluta nelle loro giornate: in quel momento trionfava la vita! E Sherlock se ne era reso conto, perciò si alzò con fatica e disse “Ora, è meglio che io vi lasci soli... Immagino avrete molto da dirvi.” Mary cercò di dissuaderlo, ma lui insistette ad andare in camera a riposare. Perciò si congedò e salì le scale lentamente, ansimando, bevve un lungo sorso di morfina, si coricò nel suo letto e si strinse ad un cuscino.

Quando John lo raggiunse, Sherlock era coricato sotto le coperte voltato verso la finestra. Pensò stesse dormendo e si sedette accanto a lui, con delicatezza cercando di non svegliarlo. Non poté fare a meno di notare che respirava con grande fatica, respiri deboli e irregolari...
“E così, avrai un bambino..” si voltò con fatica
“Così pare” rispose sorridendogli
“Sarai un ottimo padre, John Watson... Ne sono sicuro. Hai fatto così tanta pratica con me, ora che avrai un bambino vero ti sembrerà una passeggiata-” fu costretto ad interrompersi per dei forti colpi di tosse
“Sherlock, stai peggiorando.. Hai l’affanno..”
“Ottima diagnosi ancora una volta...” non poteva fare a meno di essere sarcastico nemmeno in quel momento “All’interno di quel ripostiglio ci sono dei macchinari ospedalieri. I medici ai quali mi ha affidato Mycroft hanno detto che serviranno a farmi stare un po’ meglio. Tu di certo saprai come usarli...” John si alzò e camminò verso il ripostiglio. Vi trovò le macchine di cui aveva parlato, molto sofisticate, a lavanguardia: un respiratore, un monitor, flebo per antidolorifici.. Nulla che potesse salvarlo o quantomeno tentare di curarlo, ma avrebbero diminuito la fatica e il dolore. John non disse una parola: era davvero così grave la situazione? Ormai non restava che aspettare...? Non poteva accettarlo.
Con calma avvicinò i macchinari al letto, li attaccò alle prese di corrente e li accese. Li regolò secondo le esigenze di Sherlock con professionalità e un momentaneo clinico distacco. Poi si voltò verso Sherlock che lo guardava con dolcezza e ammirazione. Il distacco professionale crollò. Si sedette accanto a lui e con quanta più delicatezza possibile gli sbottono la camicia a poco a poco, lo aiutò a mettersi seduto e, appoggiandoselo al petto, gli sfilò prima una manica e poi l’altra. Quindi gli sfilò la cintura e gli sbottonò il pantalone, così che potesse essere più comodo: quanto amore in quei gesti. Al contatto con la sua pelle, John poteva avvertire la vita di Sherlock che a mano a mano abbandonava il suo corpo. Prese dunque a posizionargli gli elettrodi, il respiratore, la flebo e quanto fosse necessario. Poi lo coprì con delle coperte che aveva trovato in un comò nella stanza.
“Va un po’ meglio...?”
“Sì.. Grazie.. John...” John si inginocchiò a terra accanto a lui, così da guardarlo negli occhi, e gli prese la mano.
“E’ presto per sapere se sarà maschio o femmina, ma, se fosse maschio, abbiamo deciso di chiamarlo come te.. ti farebbe piacere?”
“Sherlock? Ti odierà per tutta la vita...”
“Lo chiameremmo con il tuo nome di battesimo: William. William Sherlock Watson.”
“Bello, mi piace.” sorrise “E se fosse una bambina?”
“A Mary piacerebbe Diana, come sua madre.”
“Diana Sherlock Watson” scherzò Sherlock 
“Sì, a costo dell’odio di mia figlia, potrei farlo se lo desideri” risero insieme. Fu l’ultima volta.
“E’ davvero meraviglioso.. Non trovi?” John lo guardò stranito “La vita amico mio, la vita. Una nuova vita si affaccia a questo freddo mondo mentre un’altra, la mia, lo abbandona. Poetico, non trovi?” John rise e una lacrima rigò la sua guancia. Sherlock, con fatica allungò la mano per accarezzarlo e asciugargli quella lacrima. John la afferrò con entrambe le mani e la baciò per poi portarsela alla fronte e piangere sconsolato.

John venne svegliato dal suo cellulare.
“Pronto?”
“John, sono Mycroft. Come procede?”
“Oh salve Mycroft..” John diede una rapida occhiata ai monitor e poi uscì dalla stanza “Peggiora. Le macchine che gli ha procurato renderanno tutto meno difficile, ma non lo guariranno. Sembra sereno, ma se ne sta inesorabilmente andando. Perchè non è qui insieme a me? Si tratta di suo fratello! Lei dovrebbe stargli accanto in questo momento-”
“No, dottor Watson. Mio fratello ha scelto lei. Ha scelto lei molto tempo fa. E ora desidera che sia lei e lei solo ad accompagnarlo.” John rimase in silenzio qualche istante
“Non gli dirà nemmeno addio.”
“Ce lo siamo già detti. A modo nostro. Quindi la prego, gli stia accanto. E mi aggiorni.”
“Certo.” attaccò.
John si lasciò cadere contro la parete del corridoio buio. Si sedette e il panico lo colse: si rannicchiò e si prese la testa fra le mani “Non ce la faccio non ce la faccio” si ripeteva a bassa voce “Non ce la faccio, non di nuovo!” era disperato come non lo era mai stato: prendeva grosse boccate d’aria, ma l’ossigeno non sembrava bastargli. Le mani tiravano i capelli e pugni al petto, la bocca si contorceva in silenziose urla d’aiuto. Quello che stava accadendo nell’altra stanza era quanto di più insostenibile e devastante avesse mai visto, sentiva di non poterlo gestire. Se ne rendeva conto solo ora che ne era uscito: non voleva rientrare mai più. Sherlock era pallido come un cencio, le labbra livide, le membra tese per gli spasmi di dolore. Stava morendo. E ora John non riusciva a trovare la forza di rialzarsi e rientrare, glie ne mancava il coraggio. Da quanto tempo era uscito? Cinque minuti? Mezz’ora? Ma proprio non riusciva a rientrare. Osservava la luce che filtrava da sotto la porta e si sentiva mancare solo all’idea di riaprirla e vederlo in quelle condizioni.
Improvvisamente lo sentì tossire e chiamare:
“John! JOHN!” gridava. Allora con uno scatto, senza indugio, si alzò ed entrò per rispondergli
“Sono qui Sherlock, sono qui” andò al suo capezzale, si inginocchiò e gli prese la mano con entrambe le sue. Sherlock era in preda a dei fortissimi spasmi. La pelle brillava di sudore e gli occhi opachi gridavano terrore
“Dov’eri.. John... Mi-mi hai lasciato s-olo...” si contorceva nel letto
“Mi dispiace mi dispiace, perdonami Sherlock. Sono qui, ora sono qui.” stringeva forte quella mano
“Non la-sciarmi John. Tieni... tieni gli occhi fissi su di me”
“Non vado da nessuna parte, Sherlock” John fece scivolare la sua mano destra dietro la nuca di Sherlock e la alzò poco, per tenerlo fermo e portarselo un po’ più vicino, e gli piantò lo sguardo negli occhi, determinato più che mai “Sto qui con te, non mi muoverò di qui amico mio” 
“Ho.. ho paura John” disse piangendo
“Anche io, anche io.” lo riadagiò sul cucino e gli accarezzò la fronte umida “Ma la affronteremo insieme, come ogni cosa, non è vero? Affronteremo quest’ultima avventura insieme. Sì?” Sherlock annuì e piano piano si calmò.
Senza separarsi dalla sua mano, John allungò il braccio dietro di sè e afferrò a tentoni un panno umido che si era precedentemente preparato e, con delicatezza, asciugò la bava alla bocca e il sudore da fronte, collo, petto e braccia. Poi si distese nel letto accanto a lui.
“John.. Puoi aiutarmi ad appoggiarmi a te? Io.. non ci riesco. Voglio.. voglio starti più vicino...”
John agì con quanta più delicatezza potesse, ma nonostante questo Sherlock lanciò diversi gemiti di dolore mentre lo girava, ma quando fu su un fianco si calmò. L’amico allora si girò su un fianco e si distese lungo il corpo di Sherlock, appoggiò la sua testa alle sue spalle e lo abbracciò. Sherlock gli prese la mano con quanta più forza aveva.

“Combatti, John.” John sgranò gli occhi, perchè erano diverse ore che Sherlock non diceva una parola. L’alba tingeva di rosa e verde il cielo di quel nuovo giorno. Avevano dormito un po’. Per la posizione in cui si trovava, John non poteva vedere Sherlock in volto, il quale ora parlava quasi fluentemente, come se l’affanno fosse svanito “Ricorda che sono stato felice, con te. Sono stati anni meravigliosi, tu mi hai ridato la forza di vivere e ora mi dai quella per morire. John, tu hai reso la mia vita una vita migliore. E non c’è alcuna tragedia in questo. Combatti. Combatti ogni giorno il dolore che proverai e vinci.” John sentì che Sherlock gli stringeva ancora più forte quella mano che non aveva mai lasciato quella notte “Vinci per Mary, vinci per tuo figlio, vinci per te stesso e vinci per me.” John non fu in grado di rispondergli. Era stremato, ma si alzò, fece il giro del letto e tornò a inginocchiarsi accanto a lui: non serviva il monitor perchè John capisse che ormai il momento sarebbe giunto da un momento all’altro. Sherlock gli sorrideva, con gli occhi bassi. John con una mano stringeva la sua e con l’altra gli accarezzò i ricci sudati per qualche minuto. Poi gli stampò un bacio sulla fronte e disse “Addio, amico mio” e senza lasciare quella mano attese i suoi ultimi istanti. Cercò di sorridergli nonostante le lacrime. Il sole non era ancora sorto, quando la vita di Sherlock abbandonò definitivamente il suo corpo. 

John pianse il suo amico. Ma era consolato dal fatto che questa volta aveva potuto stargli accanto, non era rimasto solo, lo aveva tenuto stretto a sè quanto più possibile e lo aveva accompagnato in quel suo ultimo viaggio. Gli aveva detto addio, e il suo volto era sereno. Era morto nel calore di una casa che raccontava la sua infanzia e gioiosi ricordi. Sherlock aveva avuto la possibilità di sapere che John lo aveva perdonato per ciò che gli aveva fatto, che non gli portava rancore e che gli voleva bene nonostante tutto. Aveva avuto l’occasione di promettergli che sarebbe andato avanti e che avrebbe lottato per essere felice anche senza di lui, e aveva anche conosciuto Mary e saputo che sarebbe diventato padre. 
Era tutto ciò che rimpiangeva quell’altra volta. Tutti dobbiamo andarcene un giorno, e Sherlock Holmes se n’era andato accanto alla persona che amava e nel luogo che preferiva sulla Terra. 

Gli tolse quei tubi e quegli elettrodi che imbruttivano la sua così elegante figura. 
Poi lo vestì, gli abbottonò la camicia e i pantaloni, così che chi venisse a prenderlo potesse trovarlo in tutta la sua dignità.
Poi chiamò Mycroft.
“Pronto?”
“Volevo ringraziarla, signor Holmes, per averci permesso di passare i suoi ultimi momenti insieme.”
“...” Mycroft tardò qualche istante per ricomporsi. “Certo. Capisco.” 

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