You're in my veins

di Yaya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Benvenuti al Byron's Bay ***
Capitolo 2: *** Fotografie ***
Capitolo 3: *** Non tutto il male... ***
Capitolo 4: *** Ore come giorni ***



Capitolo 1
*** Benvenuti al Byron's Bay ***


Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di Keegan Allen ed eventuali altre star si incontreranno, nè offenderle in alcun modo'
 
Semplicemente buona lettura.
Yaya
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CAPITOLO 1. BENVENUTI AL BYRON'S BAY

"Te la sei cercata, Sissi. Buona fortuna!"

L'eco delle parole di Greg si spegne nel momento in cui chiude la porta; la sua risata sardonica, invece, resta sospesa nell'aria e mi strappa un sorriso. E' vero, me la sono cercata.

Mi guardo intorno, sospiro ed inizio a rassettare l'ordinario pasticcio che si crea quotidianamente qui al Bayron's Bay: music book and coffee, Berkeley, California. E' un locale unico nel suo genere, che fonde caffè, musica e libri. Un paradiso per chiunque cerchi un attimo di relax ed un buon espresso. E in una città universitaria come questa sono in molti a cercarli. In realtà è un paradiso anche per me, espatriata per sfuggire alla mia vita. E' un nido che mi ha accolto e che mi permette di ripartire da zero. Niente passato, niente spiegazioni, niente di niente se non me stessa.

Greg, il figlio del proprietario del locale, è stata la prima persona che ho conosciuto in America. Mi sono imbattuta in lui mentre girovagavo senza meta per la città. Era indaffarato a trasportare scatoloni di libri e vedendolo in difficoltà mi sono fermata per aiutarlo. Da un momento all'altro mi sono ritrovata assunta e arruolata: mi illudo che la mia conoscenza della letteratura e del mondo editoriale l'abbia ammaliato, ma sono certa che sia stato il mio caffè italiano a conquistarlo. Gira e rigira, dietro al bancone infatti ci finisco sempre io.

C'è da dire però che non posso lamentarmi. Posso leggere qualsiasi libro io voglia e anche esercitarmi al pianoforte. Cosa questa che faccio regolarmente solo quando il locale è vuoto. Non per falsa modestia, ma semplicemente perché ho paura che chi mi ascolta suonare possa raggiungere parti di me che non sono ancora pronta a rivelare al mondo. Sono in fuga da me stessa, non posso né voglio che qualcuno possa raggiungermi. Posso anche organizzare incontri con gli autori e presentazioni di libri, anche se solitamente io seguo l'organizzazione senza addentrarmi davvero a conoscere gli ospiti o presentarli al pubblico.

Fino ad ora.

Ho perso una scommessa e per onorarla Greg si occuperà della scelta del soggetto, mentre toccherà a me conoscere l'autore e pianificare con lui la presentazione vera e propria. "Hai bisogno di buttare giù qualche muro", mi ripete Greg ad oltranza. Lui sa che qualcosa di importante mi ha spinta ad andarmene da casa ma io non mi sono mai sbilanciata a raccontargli tutto. Non ha mai indagato rispettando i miei silenzi, ma è chiaro che quel ragazzo allampanato dall'aria svagata intuisce più di quanto io non dica. Quindi si, ho bisogno di molta fortuna, perché sono certa che organizzerà qualcosa di grosso. La sua risata non preannuncia niente di buono.

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Il trillo del telefono interrompe la mia ennesima rilettura di Alice's Adventures in Wonderland. Il locale è quasi vuoto a metà mattina e io non ho lasciato sfuggire l'occasione per rintanarmi un po' nel paese delle meraviglie. Ci metto così tanto a riemergere che non mi accorgo neanche di rispondere in italiano.
"Pronto?!" Mi accorgo di essere stata un po' brusca, ma prima che possa aggiungere altro sento una voce maschile all'altro capo.

"E' il Bayron's Bay? Parlo con...Sissilia?"

Giro gli occhi all'insù, sospirando. Il mio non è il miglior nome per passare inosservata in terra straniera.
 
"Cecilia. Si, sono io."

"Oh, ciao. Greg mi ha dato il tuo nome per organizzare il primo incontro. Sai, per quella presentazione. Io sarei disponibile già oggi se per te non è un problema"

"Figurati, io sono qui" rispondo.

La ricezione è pessima, riesco si e no ad appuntarmi un nome ed un orario. Mi guardo intorno. I tavolini rotondi attendono clienti che non tarderanno ad arrivare, i libri sono ben ordinati sugli scaffali, la sala della musica è ben visibile perché le spesse tendi blu di velluto sono aperte e il pianoforte verticale nero brillante si fa notare. Mi accomodo sullo sgabello e faccio scivolare lo sguardo nella saletta, dal divanetto imbottito alle chitarre posizionate lì accanto. Resto con lo sguardo fisso, finché la curiosità non ha la meglio e mi collego ad internet con lo smartphone. Voglio sapere chi incontrerò, cosa ha scritto, magari su Wikipedia trovo anche qualche curiosità che può tornarmi utile per non far languire la conversazione!

Dopo qualche minuto inizio a spazientirmi e borbotto ad alta voce una serie di epiteti poco carini rivolti a Greg. Vorrei strozzarlo perché si sta prendendo gioco di me riuscendoci senza sforzo. Se neanche Google trova questo fantomatico autore, la possibilità che sia uno scherzo si fa sempre più concreta. Invio un sms senza pensarci due volte: Greg, chi accidenti è Key Gallen?

Per fortuna non ho molto tempo per rimuginarci su, perché il movimento frenetico dell’ora di pranzo mi raggiunge puntuale come sempre. Il cibo della mensa sarà anche accettabile, ma il caffè a quanto pare no. Non ho nemmeno il tempo di estorcere informazioni al mio caro collega che continua a servire i clienti lanciandomi sorrisi sornioni. Quanto lo detesto quando fa così! Sa benissimo che mi destabilizza, odio non sapere chi incontrerò. Tendo ad avere tutto organizzato, forse a volte in modo eccessivo, ma oggi non voglio dargli soddisfazione. Mi impongo di rilassarmi e sfodero il mio lato più simpatico e cordiale. Neanche mi accorgo dell’ingresso di un ragazzo con occhiali da sole e berretto calato sulla fronte che si siede all'estremità bancone, mezzo nascosto da una libreria, fino a quando non sento che mi chiama.

“Sissilia?”

Ci risiamo, penso alzando gli occhi al cielo.

“Si, sono io. Abbi pazienza, un attimo e sono da te”

L’attimo si rivela più lungo del previsto, persa come sono tra spremute, cappuccini e caffè-che-come-fai-tu-non-li-fa-nessuno. Non mi sembra però che il ragazzo ne abbia risentito. Sta leggendo il libro che avevo appoggiato dietro al bancone facendo attenzione a non perdere il mio segno, tamburellando piano le dita sulla copertina.

“Dove sei arrivato?” gli chiedo avvicinandomi.

“All’incontro con il brucaliffo. E’ la mia parte preferita”. Sorride e la bocca sottile crea qualche ruga sul viso squadrato. Noto anche la fossetta sul mento, mi sembra un dettaglio conosciuto. Scuoto via il pensiero, chissà quante persone ho incontrato con quella fossetta! “Dunque è con te che devo parlare” aggiunge osservando la targhetta che ho appuntata al grembiule. “Si…si…lia?”

“No. Cioè si.  E’ con me che devi parlare. Ma il nome si legge Cecilia. Ce come the Cheshire Cat, ci come… Oh, lasciamo perdere. Puoi chiamarmi semplicemente Sissi” termino mentre mi slaccio il grembiule e lo appoggio dietro il bancone.

“Nome straniero?”

“Già”, sorrido. Sono davvero pochi quelli che capiscono al volo che sono straniera tutta intera, non solo per il nome. Ma ho colori così ordinari che in una società mista come quella americana passo assolutamente inosservata. Non che la cosa mi dispiaccia, perché mi diverte lo sguardo stupito di chi scopre la verità davanti ad un piatto di pasta cucinato come si deve.

Nei due minuti scarsi di tempo in cui mi sono fermata il locale si è di nuovo riempito. C'è un via vai strano per quest'ora. Solitamente la frenesia del dopo pranzo sfuma in pomeriggi rilassati con i clienti abituali che studiano, leggono e spiluccano. Ora invece sembra che l'età media si sia abbassata e che invece di universitari e ricercatori abbiano deciso di trasferirsi qui in massa liceali curiose. Greg si districa da un gruppo di biondine che bisbigliano in modo eccitato e si avvicina a noi salutando Key come se si conoscesse da tempo.

“Gregory” saluta il ragazzo alzandosi.

“Key” gli risponde Greg abbracciandolo fraternamente. Odia essere chiamato col nome completo, dice che è troppo snob. Ma la presa in giro nei toni di voce di questi due è bonaria e  sincera. Non può assolutamente essere fraintesa. Sono davvero amici.

“Dai, ragazzi” continua. “ Andate in saletta, qui me ne occupo io. Così potete iniziare a pianificare l'evento”.
Il mio caro collega mi fa un favore? Solitamente mi avrebbe relegato a fare caffè mentre lui avrebbe passato il tempo a pavoneggiarsi con quel gruppo di belle ragazzine.

Mhm. C'è qualcosa che non quadra. Tutto questo mi piace sempre meno, accidenti.

Greg continua a ridacchiare anche quando ci porta due tremendi caffè americani e non si trattiene neanche mentre chiude le spesse tende. Faccio davvero fatica a capire cosa abbia in mente. Quello che è certo è che me la pagherà. Oh, si. Me la pagherà!

Mi siedo nervosamente sul divano e inizio a radunare sul tavolo notes e pennarelli per il brainstorming iniziale. Dalla cartellina mi scivola un foglio con il nome di Key posizionato nel centro e tante frecce che...non puntano a nulla. Con la coda dell'occhio noto che si sfila gli occhiali ed il berretto e fissa con attenzione il foglio, ma non ho il coraggio di guardarlo in faccia.

Sbuffa.

“Ok. Ehm. Ho cercato qualche notizia su di te, per iniziare a buttare giù qualche idea ma...Google non sa chi sei, non ti ho trovato né su Wikipedia né nei social. E Greg non si è sprecato a darmi informazioni quindi...”

Sbuffa ancora. Non riesco a capire se è infastidito o se sta trattenendo una risata.

“Non preoccuparti”, mi dice. “E' colpa del nome che hai scritto, è sbagliato”

Mentre sollevo lo sguardo mi porge la mano ed improvvisamente lo riconosco e capisco. Dio. Vorrei morire.

“Il mio nome non è Key, ma Keegan. Keegan Allen”.

Oh.

Merda.

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Capitolo 2
*** Fotografie ***


Sono ancora paralizzata dallo stupore e dalla mia clamorosa figuraccia. Porca miseria, porca miseria, porca miseria. Un attore in carne ed ossa davanti a me e io me ne sto su questo divanetto a bocca aperta. Sveglia Cecilia, dì qualcosa!

“I-io...io” balbetto. “Scusami, davvero”

“Ehi, è tutto a posto” mi risponde  sedendosi sul divanetto accanto a me.

“No che non è a posto. Non ti ho riconosciuto, tu sei...famoso. I-io. Mi dispiace.” Parlo a vanvera, sono nel pallone . Vorrei sotterrarmi. Istintivamente mi sposto un po' sedendomi a ridosso del bracciolo.

“Credimi, mi sono goduto l'attimo da persona qualunque. Oh, non fraintendermi” puntualizza. “Non che mi dispiaccia quando le persone mi riconoscono per strada, anzi. Però.” Scrolla le spalle e il suo viso si adombra. “Greg aveva detto...”

Intuisco al volo cos'aveva detto Greg, non ci vuole un QI da Nobel. E poi io la capisco benissimo la necessità di poter essere se stessi senza troppe domande di contorno, quindi prendo l'iniziativa. Mi alzo dal divanetto, appallottolo il foglio e lo getto  via senza tante cerimonie.

“Ok, ricominciamo” gli dico porgendogli di nuovo la mano. “Ciao Keegan. Greg non mi ha detto molto di te, ma ho fatto qualche ricerca piuttosto attendibile e suppongo tu sia qui per promuovere il tuo libro fotografico.”

Mi stringe la mano e il suo sorriso sale fino ad accendere i bellissimi occhi blu.

“Esatto. Posso chiederti qual è stata la tua fonte attendibile?”

“Mhm. Seguirti su Instagram fa di me una stalker?”

Scoppia a ridere e mi contagia in un attimo. Ridiamo e sento la tensione sciogliersi. Ridiamo e guardandolo scorgo per un attimo la persona oltre lo strato di fama che lo circonda. Devo essere sincera: muoio dalla voglia di conoscerlo davvero.

“Bene, bene, bene” ci interrompe Greg. “Vedo che qui invece di lavorare ci si diverte”

“Gregory” lo canzono “non mi pare stiamo facendo nulla di diverso da ciò che hai fatto tu fino a poco fa. E’ evidente che sono la fonte di un sacco di buon umore! Dovresti ringraziarmi, sai”

Lui sorride. “Noto un che di minaccioso dietro quel tuo bel sorriso. Mi stai dicendo che devo guardarmi le spalle?”

“Esattamente. Stai all’erta, non sai né il giorno né l’ora”

Keegan ancora seduto sul divano ci guarda confuso. Le nostre schermaglie sono un’abitudine per noi, ma mi rendo conto che per chi ci vede insieme la prima volta possa sembrare più di quello che è.

“Amico, scoprirai presto anche tu quanto questa ragazza possa essere velenosa. Scommetto che oggi è stata tutta zucchero ma non farti fregare, appena avrà l’occasione punzecchierà anche te” mi anticipa Greg.

“Beh, se lavora con te non può essere altrimenti. O ti tiene testa o è la fine” commenta Keegan alzandosi e controllando l’ora sul cellulare. “Scusate, io devo scappare. Sarò in città ancora per qualche giorno, domani dovrei avere più tempo a disposizione”. Si rimette occhiali e berretto, solleva la mano in un saluto ed è già oltre la porta.

“Okay Greg, credo tu mi debba qualche spiegazione” attacco subito mentre mi lascio cadere sullo sgabello del pianoforte.

“Non mi scuso per essermi preso gioco di te. E’ stata un’occasione d’oro…e scommetto che l’avresti fatto anche tu al posto mio”

“Oh no, non cerco scuse. Devo ammettere che te la sei giocata benissimo. Era un boccone troppo allettante per lasciarselo sfuggire. Quello che vorrei sapere è perché lui.”

“Non c’è molto da dire, non ho una spiegazione vera. Siamo cresciuti insieme a LA. L’ho sempre considerato il mio fratellino, avevamo in comune la passione per lo skateboard. Ancora me lo ricordo piccoletto e sempre per terra, con quello skate a momenti più grande di lui. Ora ha mille interessi, viene da una famiglia di artisti, sai. Suo papà è un attore di teatro, sua madre dipinge. Lui suona, canta, fotografa, recita. Ha una creatività esplosiva, non penso ci sia un altro modo di descriverlo. E sopra ogni altra cosa è un amico, un amico vero. Non penso abbia bisogno del mio aiuto ma mi sembrava ovvio dedicare uno spazio anche a lui. Quindi quando mi ha detto che sarebbe passato da qui ho approfittato dell’occasione.”

Osservo attentamente Greg. C’è un contrasto così netto tra il suo apparire ed il suo essere che ogni volta mi lascia interdetta. E’ una persona intensa, che ama o odia. Non si lascia intrappolare dalle sfumature di grigio, parla per iperboli. E’ schietto, passionale, divertente, ostinato. E leale. Per lui i rapporti umani sono alla base dell’esistenza, il metro di giudizio per capire il valore delle persone. Fatico a credere che questa sua complessità sia racchiusa in quel fisico asciutto e anonimo, che il disprezzo della mediocrità di cui non fa mistero possa celarsi dietro i suoi lineamenti delicati. E’ una persona difficile, spigolosa, la sua sincerità è un’arma a doppio taglio, ma posso essere certa che se parla in questi termini di Keegan è perché lo reputa una persona degna di stima.

Sorrido.

“Mi offri su un piatto d’argento una finestra sulla tua vita nella città degli angeli.”
“Mi fido di te. So che farai buon uso delle informazioni che estorcerai a quel povero ragazzo. Però ti prego, non esagerare con lui. Sarà anche l’idolo delle teenager, ma per me è sempre un piccoletto dagli occhi blu da proteggere”

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Il giorno successivo vola in un baleno. E’ tardo pomeriggio e sono di nuovo nella saletta con Keegan, mi sembra di non aver mai interrotto l’incontro di ieri. Mi ha portato una copia del libro ma sono restia ad aprirlo: non è ancora in commercio, quindi non ho trovato recensioni che potessero darmi una mano per avere un’idea di quello che mi aspetta. E poi io di fotografia capisco poco.

“Guarda che da solo non si aprirà mai, sai?” mi dice.

Cerco di temporeggiare. “Perché invece non mi mostri i tuoi scatti preferiti?”

“E’ una domanda sleale, sarebbe come chiedere ad uno scrittore dei suoi personaggi. E’ ovvio che li ami tutti, perché dietro c’è una storia, un percorso, una parte di se. Vorrei sapere da te cosa ti colpisce”

“Guarda che forse mi stai dando più capacità critica di quanto non abbia in realtà” rispondo. “Quando osservo un quadro o una fotografia non vado oltre l’impressione che mi suscita d’impatto. Se mi emoziona mi piace. Se mi lascia indifferente no.”

“E’ esattamente quello che cerco io. Su, apri” mi sprona.

Inizio a sfogliare e dopo qualche pagine mi fermo.

“Mi piace questa” indico.

“Perchè?”

“L'autunno è da sempre la mia stagione preferita. Mi piace divertirmi, ma ho sempre amato la scuola e l'autunno segna l'inizio di un nuovo anno. Rincontrarsi con i compagni con cui condividere scoperte e gioie e difficoltà. La panchina vuota mi trasmette quiete e malinconia e senso di attesa nello stesso tempo. Il prezzo della felicità, sai, come il Piccolo Principe e la volpe”. Seguo con il dito il contorno della panchina. Quando alzo gli occhi incrocio il suo sguardo.

“Dai, la prossima” mi incoraggia.

Continuo a sfogliare, finchè mi imbatto in un'esplosione di colori. Un bambino fa bolle di sapone, un altro le scoppia. Sullo sfondo, una donna che suona il pianoforte.

“Felicità, dolcezza, serenità, famiglia. Potrei andare avanti all'infinito, questo scatto è bellissimo” dico.

Volto velocemente pagina per non espormi troppo. E mi fermo su una foto in bianco e nero.

“Piccadilly” esclamo.

“Come l'hai riconosciuta da questa angolazione?” mi chiede “Conosci bene Londra?”

“Ci ho vissuto due anni, ho fatto un dottorato di ricerca al KCL. Ci davamo spesso appuntamento a Piccadilly. Una sera la piazza era così affollata che io ed i miei amici non riuscivamo a trovarci e così quando mi chiesero cosa vedessi risposi “il sedere di Eros”. Da allora il nostro punto di ritrovo fu sotto la statua. Dal lato del posteriore, ovviamente” concludo ridendo. “Questo però non ci porta molto avanti sulla presentazione” continuo chiudendo il libro.

“No, è vero. Ma mi ha fatto scoprire molte cose di te” inizia enumerando sulle dita. “Ami leggere, e questo già lo sapevo, sei italiana ma hai studiato anche a Londra. Hai una laurea ed un dottorato di ricerca. Ti piace ridere, ami gli amici, probabilmente anche la musica. Continuo?”

Sgrano gli occhi.

“Penso tu sia molto dolce, davanti alla foto con i bambini hai cambiato completamente espressione. I tuoi occhi parlano, sai? E hai anche un buon profumo” conclude facendomi un sorriso sghembo.

Continuo a fissarlo senza dire nulla, sono un po' spiazzata.

“Ti ho spaventata?” chiede sporgendosi verso di me.

“No. Sono stupita. Pensavo di confrontarmi con te e invece mi sono ritrovata in una specie di seduta di psicoanalisi con uno stregone dagli occhi blu. Ma sai, anche io ho scoperto qualcosa di te.”

“Davvero?”

“Si.” Gli restituisco il libro. “Sei un bravissimo fotografo”

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Qualche commentino me lo lasciate?
Yaya

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Capitolo 3
*** Non tutto il male... ***


CAPITOLO 3: NON TUTTO IL MALE…

“Ci mancava solo l’ordinanza cittadina adesso” commento piccata mentre termino di leggere il documento dall’aria autorevole che mi ha appena sporto Greg. “Abbiamo appeso i volantini dell’evento da quanto, mezza giornata? E siamo già diventati un caso nazionale”

Quella mattina, infatti, Greg mi aveva sventolato sotto il naso una serie di volantini che invitavano all’evento di presentazione del libro Love. Life. Beauty di Keegan Allen presso il Byron’s Bay da lì a due settimane. Mi aveva spiegato che Keegan sarebbe stato in città fino a fine settimana, così noi avremmo potuto finire la pianificazione, poi sarebbe tornato a LA per alcune riprese ed infine sarebbe tornato a Berkeley per la presentazione. Eravamo a fine giornata ed un solerte impiegato del comune ci aveva inviato una mail nella quale ci invitava a non ospitare l’evento in favore di un luogo più consono, soprattutto per motivi di sicurezza vista e considerata l’affluenza che una celebrità del calibro del sig. Allen avrebbe attirato.

Ovviamente, insieme ad un luogo più consono, era previsto anche un entourage più consono. Quindi ciao ciao cameriera del Byron’s Bay e benvenuti giornalisti incravattati.

“Non è che è tutto merito tuo?” chiede Greg giocoso. “Tu che non vuoi parlare davanti al pubblico hai fatto una soffiata per bloccare l'evento!”

“Certo, come no. Sicuramente non può essere colpa tua che hai tappezzato la città di volantini. Ci mancava solo più che li buttassi dall’alto mentre sorvolavi l'area su un elicottero” ribatto. “Capisco la tua volontà di fare una serata per un amico, ma ho la vaga impressione che abbiamo toppato. Peccato però, ci stavo prendendo gusto.”

“Già. Non capisco perché tanta manfrina per la presentazione di un libro. Forse non avremmo dovuto dire il nome dell'autore”

“Ma ti pare? Un evento con autore incognito. Dai, non si sarebbe presentato nessuno. E a proposito di autore, sta arrivando Keegan. Glielo dici tu, eh” borbotto mentre faccio sparire velocemente il documento.

“Okay” mi risponde Greg. “Però chiudi tu, io corro da Cindy tra poco”

Non c'è problema, oramai la giornata è finita e mentre lui chiacchiera con Keegan io servo gli ultimi clienti e riordino. Dopo poco più di dieci minuti vedo Greg correre fuori dal locale senza neanche salutare; quando ha per la testa la sua fidanzata si dimentica del mondo. Cindy è un'insegnante d'asilo, una ragazza stupenda e solare, sempre positiva, con i capelli rossi e buffe lentiggini. Tiene a bada Greg come nessun altro al mondo saprebbe fare. La adoro.

Finisco di mettere a posto i libri, preparo un te caldo, chiudo l'ingresso e mi avvio verso la saletta. Mi siedo al pianoforte e inizio a suonare.

“Autumn Leaves. 1955 ” dice una voce dietro di me.

“Porca miseria!” esclamo girandomi di scatto. “Keegan, cosa ci fai ancora qui? Mi hai fatto prendere un colpo!”

“Scusami, non volevo spaventarti. Credevo sapessi che ero ancora qua” risponde sorridendo. “Mi stavo godendo un po' di quiete”

“Pensavo fossi andato via quando si è smaterializzato Greg. Ti ha detto dell'evento annullato?” chiedo.

“Si. Mi sono illuso si potesse fare qualcosa che rimanesse intimo, ma non ho fatto i conti con l’entusiasmo di Greg. Ho passato la patata bollente al mio manager, ci penserà lui a disdire il tutto. Un incontro nel locale di un amico è un conto, ma una specie di conferenza stampa l’ha definita un tantino eccessiva visto che le date ufficiali del tour sono già state definite”

Raccolgo le gambe e mi abbraccio le ginocchia mentre continuo a guardarlo. E' incredibile come riesca ad essere sempre sorridente.

“Tra l'altro, non mi hai ancora detto cosa ci fai qui a Berkeley”

“E tu non mi hai detto di essere una pianista” mi canzona.

“Un'informazione per un'informazione. Non sono una pianista, sono una strimpellatrice. Mi piace la musica, tutto qui. Tocca a te” ribatto.

“Niente di che, sono qui in vacanza” risponde vago.

“In vacanza in una città universitaria a 400 miglia da casa? Su, puoi fare di meglio. Sputa il rospo”, lo esorto, scettica.

“Okay. Sono qui per un servizio fotografico. Per Abercrombie” risponde.

“Però. Abercrombie. Niente di meno!” lo canzono. Mi sorride mentre si alza dal divanetto e si avvicina al pianoforte.

“Dai, me ne suoni un altro pezzo?”

Sono titubante. E nella mia testa urlo no, no, no! Assolutamente no. Mi modero quando mi esprimo ad alta voce.

“Mhm. Il fatto è che non mi sento molto a mio agio a suonare se so che qualcuno mi ascolta, in realtà”

“E se invece suoni con qualcuno? Dai, fammi spazio. Io gli accordi, tu il resto”

Ci stringiamo sullo sgabello e iniziamo a suonare. Le prime note sono impacciate, mi sento a disagio a stare spalla a spalla con lui. Dopo attimi infiniti, finalmente tutto scorre via. Improvvisiamo un po', lasciamo parlare la musica. Ma quando le nostre mani si sfiorano mi interrompo e si spezza la magia. Sento distintamente il crack della rottura. Mi alzo di scatto, prendo la tazza con il te oramai freddo.

“E’ gelido. Ne preparo un altro. Tu vuoi qualcosa?” gli chiedo

“Stupiscimi” mi risponde.

Torno con il mio te ed un marocchino per lui. Mi guarda con aria interrogativa quando glielo porgo.

“Questo è tipicamente italiano. Visto che il mistero della mia provenienza l'hai sbrogliato al primo incontro non mi resta molto per stupirti” gli dico mentre mi accomodo accanto a lui sul divanetto.

“Beh, il modo in cui hai risposto al telefono era inequivocabile!” ride. “A guardarti soltanto, potresti passare per un'americana, in effetti. Carnagione chiara, occhi verdi, capelli castani. Ad ascoltarti, la tua parlata terribilmente inglese ti posiziona in Europa, ma le tue mani...dio, gesticoli come un giocoliere. Per non parlare di come moduli il tono di voce, è sempre così chiara l’intenzione che hai. Solo i mediterranei sono così. E poi siamo onesti, il tuo caffè toglie ogni dubbio”

“Vedi, avevo ragione a dire che sei uno stregone. Vuoi zucchero?”

“No, grazie” risponde mentre assaggia il marocchino “è delizioso così. Capisco perché Greg ti tiene stretta.” Inizia a tamburellare con il cucchiaino sul bordo del piattino. “Quello che non capisco però è perché tu resti qui”

Mi osserva con quegli occhi celesti e profondi e io ho paura di perdermi e cadere. E farmi male.

“Per ora ve bene così” rispondo brusca. Lui cambia espressione, si sarà accorto di essersi spinto troppo in là? Non voglio che si senta in colpa. Sono io quella complicata, non lui. “Sai” aggiungo cercando di tenere un tono leggero “sto ancora cercando di capire cosa voglio fare da grande”.

“Scherzi vero?”

“No, affatto. L’età adulta parte dai 30 anni, no? Ho ancora un paio d’anni di buono!”

“Dai, non puoi essere seria”

“Non tutti hanno l’opportunità e le capacita di riuscire a fare esattamente quello che vogliono, sempre ammesso abbiano la fortuna di saperlo” sbotto. “Io non lo so. Non so nemmeno chi sono, figuriamoci se so cosa voglio” termino coprendomi gli occhi con le mani. Sospiro. “Scusami, devo sembrarti una psicopatica. Di solito sono in grado di sostenere conversazioni con un senso logico, ma hai la capacità di farmi regredire a quindicenne impaurita. Dovresti smetterla di fare quella cosa con gli occhi.” sbotto

“Quale cosa?”

“Osservarmi attentamente come se fossi molto interessante”

“Ma tu sei interessante” ribatte

“Keegan. Sono una ventottenne che ancora non si sente a suo agio nella propria pelle, che scappa per non affrontare i cocci della sua vita. Sono l’emblema del disagio giovanile moderno! Questo è tutto fuorché interessante.”

“E quindi non mi è permesso avere la curiosità di conoscerti?” mi canzona mentre si alza e prende il giubbino. Si avvia verso la porta e lo accompagno. “Comunque domani torno e ne riparliamo”.

“Vedremo. Domani potrebbe essere il mio turno di fare domande”

“Devo preoccuparmi?” chiede sollevando un sopracciglio.

“Mhm, no. Al momento su di te mi faccio bastare le informazioni che trovo su Wikipedia. Sei una chiave, Key Gallen. La mia chiave per scoprire aneddoti con cui ricattare Greg da qui all'eternità”

“Allora sei davvero velenosa!” Scoppia a ridere e mi posa un bacio sulla fronte piegandosi un po’. Mi segno l’appunto mentale di andare a controllare quanto accidenti è alto, magari su Wikipedia c'è scritto davvero. Mi sento uno scricciolo in suo confronto.

“E comunque dovremmo rifarlo” aggiunge mentre esce dal locale.

“Cosa?”

“Suonare insieme. Mi è piaciuto molto.”

Sorrido; è piaciuto molto anche a me.

“A domani, Keegan”

E chiudo la porta.

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Capitolo 4
*** Ore come giorni ***


CAPITOLO 4: ORE COME GIORNI

Trascorro la mia mattinata libera muovendomi da un negozio all’altro. Manca meno di un mese a Natale ma qui è già un tripudio di decorazioni e luci; il Black Friday ha dato il via allo shopping natalizio compulsivo e devo ammettere che gli americani si prendono molto sul serio quando devono dimostrare di avercelo più grande degli altri – usando le parole di Greg. Probabilmente mi sto americanizzando, perché sto girando per la città con borse piene di palline colorate, led luminosi, festoni e ammennicoli vari. Non contenta, decido di fare anche un salto in libreria per una rinfrescatina al nostro parco libri. E alla mia libreria personale, ovviamente.

Entro in caffetteria davvero di buon umore; sono sinceramente curiosa di sentire cos’avrà da raccontarmi Keegan sulla vita di LA. Certo, non vedo l’ora di avere aneddoti ricattatori su Greg ma è anche vero che finalmente potrò conoscere un po’ anche lui. Mi concentro su questo e sui clienti per evitare di pensare che, a causa dell’evento saltato, non ci sono validi motivi per cui Keegan debba tornare a Berkeley tanto presto una volta partito.

Quando entra sono al telefono con il nostro fornitore di caffè, anche lui italiano, che non si fa mai scappare l’occasione per fare quattro chiacchiere. Mi sorride e gli faccio cenno di andare nella saletta. Prima di raggiungerlo gli preparo un marocchino – maxi, questa volta – ma invece di sedermi sul divanetto mi fermo al limitare della stanza, accanto alle tende, e lo osservo. E’ seduto comodo, con i capelli spettinati e gli occhi fissi sul libro che ha appoggiato sulle ginocchia. In mano una matita, segna qua e là degli appunti. Qualche ruga sulla fronte, la bocca una linea sottile. E’ concentrato e bellissimo. Quando alza lo sguardo, incrocia i miei occhi e sorride.

“Ehi, a cosa pensi?” mi chiede curioso.

“Niente di che” scuoto la testa. “Sei tornato dal brucaliffo?” gli chiedo mentre mi avvicino. Appoggio le nostre bevande sul tavolo e mi siedo accanto a lui.

“No, questa volta un libro che non conosco” mi risponde sollevando il libro per mostrarmi la copertina. E’ Lo strano mondo di Alex Woods. La mia copia personale, non quella del locale.

“Com’è che gira e rigira i miei libri finiscono nelle tue mani?”

“Cleptomania. L’ho visto lì, l’ho preso. Ma te lo restituisco subito, se vuoi” ribatte lui.

“No, tienilo. Ne vale la pena. Però pretendo qualche nota a margine che faccia compagnia alle mie” sorrido, mentre penso che non riesco a non farlo in sua presenza.

“Ho un regalo per te” mi dice dal nulla porgendomi una scatolina verde con un bel fiocchetto in cima.

Sono incredula. “Oh. Io...io, non me l'aspettavo”balbetto. “Insomma, mi conosci da quanto, 96 ore? E già mi merito un regalo?”

Mi fa un sorriso sghembo. “Su, apri.” mi sprona.

Prendo la scatolina e sollevo il coperchio. Dentro c'è un ciondolo a forma di chiave. Sono ancora senza parole.

“L'ho visto ieri mentre tornavo in albergo e non ho resistito. Mi è sembrato perfetto, visto come mi hai chiamato…”

E' perfetto. Davvero, grazie. Non so cosa dire” rispondo, mentre armeggio per appenderlo subito alla catenina che indosso sempre.

“Non dire nulla. Prendilo per quel che è, un pensiero per salutarti. I miei programmi sono cambiati, devo tornare a LA prima del previsto. Domani devo presentarmi agli studi e quindi...”

“Oh. Capisco” scrollo le spalle per mascherare un po’ la delusione “Mi stavo quasi abituando ad averti qui, sai?”

“Ma come, mi conosci da 96 ore e ti stai già abituando a me?” mi canzona

Touché!

Ridacchiamo e lo osservo mentre pulisce accuratamente il bicchiere dai residui di cioccolato. Mi ricorda quand'ero piccola e raschiavo i barattoli di Nutella fino a farli brillare.

“Ora sei tu che lo fai” mi dice sorprendendomi in flagrante “Sei tu che mi osservi come se fossi interessante”

“E’ che faccio fatica a racchiudere nella stessa persona te e l’attore famoso. Sono due mondi che non riesco a far combaciare. E poi diciamocelo” aggiungo “con quel baffo di cioccolata non ti ci vedo sul red carpet”.

Scoppia a ridere mentre si sfrega il viso con le dita affusolate. Poi si allunga di lato, afferra una delle chitarre e se la mette sulle ginocchia. Ha preso la chitarra preferita di Greg.

“Questa gliel’ho regalata io, sai? Ho provato ad insegnargli a suonare, perché era convinto che così avrebbe rimorchiato più ragazze. Non so se tu hai già avuto a che fare con il suo senso musicale ma…” scuote la testa. “E’ stato un incubo, non ho cavato un ragno dal buco”

Rido di gusto e gli racconto della serata karaoke che settimanalmente proponiamo d’estate. Greg è stato bandito perché il suo incontenibile entusiasmo non sopperisce affatto alla sua voce stonata.

“Cindy ha definito la sua esibizione unghie di gatto su vetro, giusto per non lasciare fraintendimenti” termino. “Ma come gli è venuta la fissa della chitarra?”

“Mi ha sentito suonare questa ad una festa” mi risponde iniziando a suonare l'introduzione di un inconfondibile pezzo dei Dire Straits.

Romeo and Juliet. Quante ragazzine hai conquistato con questa?” gli chiedo.

“Diciamo che qualche bacio l'ho rimediato. Ma tu che fai la santarellina, quanti ragazzi hai conquistato suonando la chitarra?”

“Io non suono la chitarra”

“Solo pianoforte?”

“No. Ho studiato contrabbasso” rispondo. Mi guarda incredulo, come se mi stessi prendendo gioco di lui. “Giuro. C'è stato un periodo negli anni dell'università in cui impazzivo per il jazz, non che sia mai stata una flapper girl per carità, ma con le amiche andavo spesso nei club a ballare e qualche volta li abbiamo anche indossati quegli abiti anni 20 belli da impazzire. A Berlino c'è questo locale incredibile che...”

“Aspetta...Contrabbasso? Berlino?” Mi interrompe. “Sono sbalordito” La sua espressione ricalca esattamente le parole che ha appena detto. “C'è qualcosa di completamente folle in te” esclama mentre si sporge per rimettere la chitarra al suo posto.

“Non so bene se lo devo prendere come un complimento o come un insulto” gli rispondo con un mezzo sorriso, ma prima che possa parlare lo anticipo alzando una mano. “Alt. Se giochiamo alle domande ora tocca a me: colore preferito?”

Mi guarda spiazzato. Poi annuisce, come per confermarmi che starà al gioco.

“Rosso. E' il colore più forte dell'universo. Cosa ti rimproverano gli amici?”

“Considero i personaggi dei libri come fossero persone reali e a volte chi parla con me non ha assolutamente idea di cosa io stia blaterando. Difetto?”

“Sono permaloso. E guai se usi quest'informazione contro di me.” Mi scocca un'occhiataccia. “Mi insegni a fare quel caffè al cioccolato?”

“Certo. Ma non ora, te lo insegnerò quando torni. Cosa fai per sfogarti?”

“Corro. Corro finchè ho fiato e mi reggono le gambe. Qual è il vero motivo per cui sei qui? Voglio dire, hai studiato in Germania, poi in Inghilterra, ora l'America. Sei in fuga o sei un animo inquieto?” mi guarda dritto negli occhi con un'espressione molto seria.

Distolgo lo sguardo.

“Non...non penso di poter rispondere a questo. Non ancora”

Scrolla le spalle e torna a sorridere.

“E quale canzone legheresti a questo momento?”

“In realtà toccherebbe a me fare le domande” rispondo “Ma siccome sono buona ti cedo il turno: Glitter in the air di Pink. The top of the iceberg, the breath before the phrase. Have you ever invited a stranger to come inside?  Direi che questi versi calzano a pennello in questo momento. La conosci?”

“A-ah.” annuisce “Scommetto che se ti chiedo di suonarla me la metti in coda...dopo il marocchino e dopo la spiegazione del perchè sei qui. Sbaglio o stai cercando di darmi motivazioni per tornare?” chiede socchiudendo gli occhi.

“Beccata.” rispondo mentre sollevo le mani e ridacchio. “In ogni caso dovresti tornare per riportarmi il libro. Voglio sapere cosa ne pensi del signor Peterson e di Alex” continuo accennando al libro che ha deliberatamente preso in prestito. “Senza parlare del fatto che non ti sei ancora sbottonato su Greg a LA” aggiungo, scuotendo il ciondolo a forma di chiave nella speranza che si allenti la tensione che sento allo stomaco.

Keegan sorride, allunga una mano e mi sposta la frangia dietro l'orecchio, finendo poi per accarezzarmi la guancia. Avvicina il viso al mio e sussurra “Io ce l'ho già un motivo valido per tornare”. Mi sfiora il naso con il suo e mi guarda dritto negli occhi. “Ricordi come continua la canzone?”. Il mondo si ferma un attimo, sospeso. The breath before the kiss. E poi sento le sue labbra sulle mie, morbide, leggere. Gioca con la mia bocca lentamente mentre con la punta delle dita percorre il profilo collo. Dall'orecchio alla spalla. Su e giù, ancora e ancora.

Mi siedo più vicina a lui, che mi accoglie con un sorriso disarmante. Mi guarda e mi rendo conto di essere completamente in balia di quegli occhi, ma non mi importa più. Voglio caderci dentro e quello che succede succede. Riprendo a baciarlo e nell'istante in cui inizia a muovere di nuovo le labbra sulle mie mi lascio andare e perdo completamente il contatto con la realtà. Dio, è così dolce e languido che potrei continuare per sempre. Gli passo le mani tra i capelli e mi fermo a giocare sulla nuca. Lo sento sorridere sulle mie labbra mentre muove la testa per venire incontro alle mie dita.

“Potrei iniziare a fare le fusa come un gatto, sai?” bisbiglia.

Non ho la possibilità di rispondere perchè la sua bocca cattura di nuovo la mia. Ne percorre il contorno con la punta della lingua. Mi assaggia, letteralmente. E' una tortura dolcissima. Ma prima che il bacio si faccia più profondo lui si allontana e appoggia la fronte sulla mia. Rimango ancora un attimo ad occhi chiusi, mordendomi il labbro inferiore, assaporando il lieve aroma di caffè che mi ha lasciato addosso. Sento il suo respiro che mi accarezza e apro gli occhi.

“Mh. Potrei usare il tuo stesso metodo e dirti che il resto del bacio lo avrai quando verrai da me a LA” mi dice pensieroso.

Lo guardo sgranando gli occhi.

“Mi prendi in giro?”

“Assolutamente si”. E sta ancora ridendo quando torna sulla mia bocca e la invade, questa volta senza tanti preamboli. Accolgo la sua lingua e un brivido mi percorre quando inizia a giocare con la mia, sento il cuore che mi martella nelle orecchie. E’ un bacio invadente, pressante, compensato dalla delicatezza con cui mi accarezza i fianchi con le mani. Non so più dove finisce lui ed inizio io, galleggiamo in una bolla per pochi secondi o per giorni interi, fino a quando la vibrazione insistente del suo telefono non ci richiama lentamente alla realtà. Fissa lo schermo con il fiato corto e stacca la chiamata senza rispondere, ma il significato è tangibile e si insinua tra noi come una terza persona: il tempo a disposizione è agli sgoccioli.

“Okay” comincia sfregandosi le mani sui jeans “penso di dover andare”

Sono un po' spiazzata dal repentino ritorno alla realtà, ma anche se vorrei tanto che non partisse non posso certo legare qui Keegan e sequestrarlo. Perciò mi alzo dal divanetto e gli porgo una mano. Lui l'afferra e intreccia le dita alle mie. Le tengo strette fino alla porta d'ingresso.

“Mi daresti un secondo il tuo cellulare?” mi chiede mentre si infila il giubbino. Ci scrive su qualcosa e mi mostra lo schermo. “Chiamami, ok?”

“Okay” gli dico piano. Mi alzo sulle punte e gli poso un bacio sulle labbra prima di abbracciarlo forte. Non sono pronta a lasciarlo andare, proprio per niente. Mi stringe anche lui e non allenta la presa neanche quando mi lascio scappare un sospiro.

“Ehi, che c'è?” mi chiede piano.

Alzo gli occhi per incrociare i suoi.

“Sto cercando di mantenere un minimo di dignità per non mettermi a supplicarti di non andare via” rispondo.

Il suo volto si schiude in un sorriso.

“Sissi...” sussurra mentre mi prende il viso tra le mani. Mi posa un bacio sulle labbra, poi un altro, poi un altro ancora. Mi aggrappo alle sue spalle ed in un attimo la mia lingua scivola nella sua bocca. Keegan mi avviluppa tra le braccia, una mano salda sulla schiena, l'altra sulla nuca. Mi spinge contro di lui come volesse entrare nella mia pelle e io sento le farfalle allo stomaco. Ci baciamo avidamente come dovessimo imprimerci nella memoria l'uno dell'altro fino a quando lui dolcemente si allontana.

“Devo andare, devo davvero andare” borbotta a mezza voce. Sembra debba convincere anche se stesso, non soltanto me.

Gli accarezzo una guancia.

“Ci sentiamo presto, allora”

“Prestissimo” risponde dandomi un bacio sulla fronte. “Promesso” suggella con un bacio sulle labbra.

“Okay”.

Gli sorrido, mentre guardo quegli enormi occhi blu che hanno il potere di scavarmi dentro.

“Buona notte Sissi” mi sussurra all'orecchio.

Un ultimo sorriso, poi si volta e va.

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