The Paper Boy

di Holly Rosebane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Harry Styles ***
Capitolo 2: *** II. Spiegarsi l'Impossibile ***
Capitolo 3: *** III. Il Ragazzo di Carta ***
Capitolo 4: *** IV. Provare l'Impossibile ***
Capitolo 5: *** V. Hyde Park ***
Capitolo 6: *** VI. Una Sola Direzione ***
Capitolo 7: *** VII. La Quinta Voce ***
Capitolo 8: *** VIII. Punti di Vista ***
Capitolo 9: *** IX. Umano ***
Capitolo 10: *** X. Ragione e Sentimento ***
Capitolo 11: *** XI. Countdown ***
Capitolo 12: *** XII. La Città di Carta ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I. Harry Styles ***






 



Al mio "Ragazzo di Carta", anche se, ovviamente, non  lo saprà mai.
Perché, gira e rigira... sarà sempre grazie a lui che continuerò a scrivere.




 

I.
Harry Styles





 

“Se le parole hanno un significato preciso, non dobbiamo cadere nell’errore di usarle con opportunismo e inesattezza.” 
JUAN GOYTISOLO

 
 
 
 



Harry si alzò di scatto dalla sedia, come se fosse stato spinto via da una forza invisibile. Non voleva che lo vedessero lì.
Avanzò a passo svelto, fingendo indifferenza. Successivamente accelerò, andando sempre più veloce, fino alla corsa vera e propria. Scostava i passanti, sfiorandoli impercettibilmente.
Tuttavia, inciampò in un dosso dell’asfalto, quando

 
 

Quando? Quando?! Per la miseria.
Fissai la schermata di Word, impotente. Erano ben due mesi che sedevo a quella dannata scrivania e aprivo il file. Leggevo e rileggevo i capitoli precedenti, ed ero sempre convinta di aver superato il blocco, di poter portare avanti la storia.
E invece no, perché quando arrivavo alle ultime due parole, il mio cervello si rifiutava di collaborare. Chiudeva letteralmente bottega, facendo serrare anche il mio stomaco per dispetto.
 Lanciai la penna che stringevo fra le dita sulla scrivania, in un moto di stizza. Che mi prendeva, ultimamente? Non mi ero neanche presa la briga di finire il pensiero, troncandolo con quel maledettissimo “quando”, che mi urtava i nervi solo a guardarlo.
Mi presi il volto fra le mani, scuotendo piano la testa. Dove erano finite tutte le mie inesauribili idee? Sentii due colpetti alla porta e alzai la testa. Mormorai un “avanti”, richiudendo per l’ennesima volta il programma di Word, sconfitta.
«Yasmin, tutto bene?»
Mio fratello Zayn si sporse nella stanza, alzando un sopracciglio.
Aveva solo un anno più di me, ma i nostri genitori ci permettevano di vivere nella loro casa di Londra, da soli. In effetti, Zayn era anche maggiorenne, e loro avevano costanti impegni di lavoro, non avrebbero potuto esserci fisicamente neanche volendo.
Annuii, stanca. Lo vidi entrare e richiudersi la porta alle spalle, appoggiandovi ad essa incrociando le braccia. Lui era quello che la mia amica Hana definiva “un bel pezzo di ragazzo”.
Capelli corvini perennemente disciplinati nel morbido ciuffo che lasciava la fronte scoperta, pelle color miele, occhi nocciola e belle labbra carnose. Era parecchio più alto di me, e teneva molto al suo aspetto estetico, curando al dettaglio il suo abbigliamento, meglio di quanto potessi fare io col mio.
 Personalmente, adoravo mio fratello. Aveva quello strano superpotere di saper dire sempre la cosa giusta al momento giusto, esser presente come una famiglia, preoccuparsi di parecchie altre cose di cui nemmeno parlasse con me. Come il mio libro, tanto per dirne una.
«Problemi con… Harry?» Chiese, sorridendo incoraggiante. Sospirai, al massimo della frustrazione.
«Chiama zio Mo, Zayn. Digli che non pubblicherò mai “L’Angelo Caduto”. Vendesse pure i diritti a qualche altra insulsa scrittrice da due soldi» dissi, fissando fuori dalla finestra la Londra notturna che sfavillava sotto il poderoso temporale che imperversava da almeno mezz’ora. Sentii mio fratello ridere sarcasticamente.
«No, Yasmin, non lo farò. Perché so che riuscirai a finirlo».
«Ti sbagli!» Esclamai, voltandomi di scatto verso di lui. «Ho perso l’ispirazione, Zayn! E non tornerà più!» Aggiunsi, sentendo la rabbia salirmi su per la gola.
 La storia che stavo scrivendo, “L’Angelo Caduto”, aveva già una casa editrice disposta a pubblicarla, e un team di correttori di bozze, editor e grafici da farmi imbarazzare ad aver chiesto a mio zio di leggere i primi capitoli. Eppure gli era piaciuta talmente da convincerlo a comprarne subito i diritti, una volta completata. Ma iniziai a temere che quel giorno non sarebbe più arrivato.
Zayn si avvicinò, inginocchiandosi e posando entrambe le mani sulle mie spalle. Eravamo alla stessa altezza, ora.
«Ascolta, sorellina» esordì, sorridendo. «Spegni quel pc, prenditi un libro e distraiti. Poi, fatti una bella dormita. Vedrai che si risolverà tutto» disse, incoraggiante. Annuii, debolmente.
La faceva facile, lui. Non aveva un blocco grosso quanto l’Everest, in testa.
Si rialzò, passandomi una mano fra i capelli, scompigliandoli. Uscì senza dire nient’altro, chiudendo la porta. Guardai per un’ultima volta il monitor del pc, dove un Leonardo Di Caprio d’annata mi restituiva una languida occhiata, sorreggendosi il cappellino di paglia. Riaprii caparbia il file di Word.
Accidenti, non potevo fermarmi proprio a pagina 140!
 Fissai quel “quando” con odio crescente, avvertendo il vuoto cerebrale più assoluto. Bene. Erano le undici meno venti, fuori pioveva e mio fratello aveva sparato la radio a tutto volume, nella stanza di fronte. Forse, se mi fossi stesa sul letto, avrei riordinato un po’ le idee. Sempre che ne avessi avute.
 Spensi la luce e il monitor, lasciando il pc acceso per qualsiasi evenienza. Si sapeva, i lampi di genio notturni erano sempre i migliori. Andai in bagno a lavarmi i denti, con la testa altrove.
Harry Styles era il protagonista della mia vicenda, un personaggio che avevo creato io. Angelo caduto, doveva salvare la vita di una mortale per riscattarsi e tornare alle fila del paradiso.
Eppure, avevo deciso di renderlo un demone, chissà perché. Quindi, lui avrebbe dovuto uccidere un essere umano e completare il rito di passaggio.
Morale della favola, non sapevo se fargli salvare la sua amata o toglierla di mezzo senza pietà. Ma c’era qualcosa che non andava, il mio cervello e le mie dita sulla tastiera si erano rifiutate di collaborare per ben due mesi. Perché ricominciare proprio adesso?
Mi trascinai stancamente a letto, ascoltando il rumore della pioggia e qualche schitarrata dei Guns’n’Roses. Chiusi gli occhi.
Dio, ti prego, mandami un’illuminazione divina, pensai, ormai allo stremo.
 
 
 
Un tuono mi fece sobbalzare, svegliandomi del tutto.
Battei le palpebre, leggermente stordita. Guardai la radiosveglia sul comodino accanto al letto. Le tre e mezza del mattino. Mi passai una mano sulla faccia, sospirando.
A questo mondo, una povera ragazza col blocco dello scrittore non poteva più neanche dormire in pace. Inutile restare ancora stesa, una volta sveglia non riprendevo più sonno. Calciai via le coperte, scendendo dal letto con la morte in volto. Mi stiracchiai, sbadigliando.
Bene, cosa potevo fare alle tre e mezza? Innanzitutto, andare giù e prendermi un bel the freddo. Aprii la porta, lasciandola socchiusa. Feci piano le scale, scalza, per non svegliare Zayn nell’altra stanza. Arrivai al piano di sotto e non accesi la luce.
Le enormi vetrate del salotto rischiaravano già abbastanza l’ambiente, nonostante nel cielo non ci fosse la luna. E poi, mi piaceva muovermi al buio. Era un’azione capace di farmi sentire libera come un gatto e parte di qualcosa di più grande e indefinibile.
Raggiunsi il frigo e aprii lo sportello. La lampadina aranciata mi ferì leggermente gli occhi, mentre cercavo la bottiglia di the verde. La presi, appoggiandola sul bancone in granito. Rovistai nella credenza alla ricerca di un bicchiere di vetro e poi lo riempii fino all’orlo. Rimisi a posto la bottiglia e restai qualche istante lì, immobile.
Un altro tuono  scosse la casa, molto più potente e poderoso di quello che mi aveva svegliato. Accidenti. Eravamo solo ad ottobre e senti che roba… decisi che sarebbe stato meglio tornare di sopra, al caldo nella mia stanza.
Risalii piano le scale, attenta a non inciampare con il bicchiere in mano, e rimasi piantata sull’ultimo gradino, incredula. Un bagliore sinistro fuoriusciva dalla mia camera, proiettando uno spiraglio di luce sul pavimento e la parete. E io non avevo lasciato niente di luminoso, lì dentro.
 Iniziai a sentire il cuore martellarmi contro lo sterno, e il respiro mozzarsi. Magari si era accesa la luce. Magari era il pc. Magari erano arrivati gli alieni, e volevano il mio corpo per i loro esperimenti sull’umanità. Mi costrinsi ad avanzare, dicendomi che forse era la mia testa che correva decisamente troppo. Infondo scrivevo storie da quando avevo dieci anni, era più che normale avere una fantasia tanto vasta.
Arrivai alla porta, e la luce mi accecò leggermente. Spinsi la maniglia, in un’improvvisa scarica di adrenalina. E quello che vidi mi lasciò a bocca aperta.
 Dal mio pc illuminato stavano uscendo delle dita umane, lentamente.
Pian piano, emersero due braccia, una testa coperta da scompigliati riccioli scuri, due spalle, il busto… in pochi secondi, un ragazzo venne letteralmente sputato fuori dallo schermo, e andò a sbattere contro la parete di fronte.
 Il computer si produsse in uno schiocco secco, e del fumo grigiastro uscii dal retro del monitor, ormai scuro. Fissai il ragazzo steso a terra, che si massaggiava la testa dolorante. Indossava una maglietta a mezze maniche azzurrina e dei jeans scuri un po’ stinti, delle Converse bianche ai piedi.
Perché mi sembrava di averlo già visto da qualche altra parte…?
«Dio, che roba…» mormorò, con voce bassa e suadente. Si alzò a sedere, e mi guardò.
No, impossibile.
Occhi verde acqua, labbra rosse e carnose, riccioli color cioccolato, aria da angelo maledetto.
Proprio come l’avevo immaginato io, tutte le volte che avessi scritto di lui. Sollevò un sopracciglio, fissandomi.
«Che posto è questo?» Chiese, guardandosi attorno. «Un attimo fa stavo correndo in strada…» s’interruppe.
«Oh no, non dirmelo…» commentò, stancamente. «Sono finito nel mondo degli umani».
Il bicchiere che stringevo in mano cadde a terra, con un tonfo cristallino.
Il vetro si frantumò in mille pezzi e sentii la bevanda allargarsi a macchia d’olio sul parquet, inzuppandomi i piedi nudi.
Pensai di avere le allucinazioni, di essere ancora nel più assurdo dei miei parti onirici. E invece no.
 Perché Harry Styles, il personaggio della storia che stavo scrivendo, era appena uscito fuori dal computer. Letteralmente.
E mi fissava sorpreso dall’altra parte della stanza.
Iniziai a sentire le vertigini.





 

Holls' Corner!:


 

Hi, people! I'm here... again! Eh, già! Per la gioia (?) del fandom, eccomi con una nuova stramberia storia made in Holly! Allora, parliamone.
Anche quest'idea è, ovviamente, folle. L'ispirazione m'è venuta leggendo "La Ragazza di Carta" di Guillaume Musso... quell'uomo è un genio, e io lo amo profondamente nonostante non simpatizzi molto gli atteggiamenti dei francesi! Comunque... anche in questa storia, il protagonista assoluto sarààà.... Harry!!
Che novità, eh? Ebbene sì, lui è il mio Ragazzo di Carta, come penso avrete potuto notare... e no, non mi stancherò mai di scrivere di lui.
Yasmin è una povera "scrittrice" che ha perso l'ispirazione... onestamente, a tratti mi ci identifico, hahahaha! Anche se abbiamo due caratteri diametralmente opposti...!
Questa long non sarà eccessivamente lunga (passatemi il giro di parole), più o meno una ventina di capitoli, non di più! Anche perché 24 Hours è ormai prossima alla fine (sigh!) e stare solo con Till The Last Song all'attivo era impensabile per me!!
Bene, vi lascio con una gif di Yasmin, il cui volto è quello di
Shay Mitchell!!
Vi ricordo che ci tengo molto a conoscere le vostre opinioni riguardo a questo primo capitolo e, in linea di massima, le vostre impressioni!!
Ringrazio in anticipo chiunque la legga, anche solo per averle dedicato un po' di tempo e... alla prossima! Un bacione a tutti!


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Capitolo 2
*** II. Spiegarsi l'Impossibile ***






II.

Spiegarsi l’Impossibile

 
 







“Non è il mezzo attraverso cui passano le storie a essere importante, ma le storie stesse, qualsiasi forma prendano.” 
NICCOLÒ AMMANITI
 

 



Avevo sempre creduto alle fate, ai fantasmi e agli alieni. Ero convinta che, di notte, i giocattoli prendessero vita come in Toy Story. Sapevo di per certo che la reincarnazione era un fenomeno spiegabile e consideravo la magia in generale come qualcosa di meravigliosamente spaventoso.
Ma la scena che avevo davanti andava oltre le mie possibilità umane. Sconfinava nell’assurdo.
«Fammi indovinare… tu devi essere Yasmin» disse Harry sorridendo e si alzò in piedi. Arretrai di un passo.
«Non… muoverti» dissi, con voce roca. Sentivo la pazzia strisciarmi lungo la schiena, insieme alla goccia di sudore freddo.
 Stavo realmente parlando con una mia proiezione mentale?
Ero arrivata fino a quel punto di disperazione emotiva?
«Ehi, calmati bambolina… non ti mangio mica» rispose, passandosi una mano fra i riccioli, scompigliandoli un po’. Bambolina?
«Tanto lo so che sei un prodotto della mia mente» commentai, cercando di dare più coraggio a me stessa che di far arretrare lui. Si ispezionò un’unghia, alzando un sopracciglio.
«Come siamo perspicaci!» Esclamò, sarcastico. «Peccato che adesso sia qui in carne ed ossa».
«Non è vero. Sei… sei solo un riflesso immaginario» balbettai, arretrando ancora. Lo vidi roteare gli occhi e avvicinarsi di più. Altri due minuti e sarei andata in iperventilazione.
«Ascolta, sono già abbastanza scombussolato di mio… non è una cosa semplice passare da un mondo all’altro in meno di un secondo» spiegò, avanzando verso di me. Continuai ad indietreggiare. «Possiamo evitare le scenate isteriche, per favore?» Mi chiese, scavalcando la pozza di the verde e cocci di vetro che avevo lasciato sull’uscio. Scossi energicamente la testa.
«Non avvicinarti!» Esclamai, sentendomi con le spalle al muro. Nel vero senso della parola, ero arrivata alla parete. E lui azzerò le distanze fra noi con un unico passo.
Perché l’avevo creato così alto, spigliato e arrogante? Soprattutto, perché non spariva dalla mia vista?
«Game over, principessina» sussurrò, appoggiando entrambi i palmi al tramezzo intonacato, intrappolandomi nella sua rete.
Non sapendo cosa altro fare, presi quanto più fiato potessi e…
«Non. Urlare.» Mi ammonì, gravemente.
Caspita, quel tono non era capace di assumerlo neanche Zayn, quando gli nascondevo il gel per capelli o provavo ad origliare le sue telefonate. Rimasi a fissare il riccio negli occhi senza respirare. Sorrise, mettendo in mostra le fantastiche fossette che gli avevo donato, insieme all’aria angelicata.
Nonostante fossi più che terrorizzata, dovetti ammettere che la mia immaginazione lavorava proprio bene, sotto stress. Era uno dei più bei ragazzi che avessi mai visto, quasi addirittura meglio degli amici di mio fratello. Altro motivo in più per credere che non potesse essere reale.
«Sei convinta che io non esista e che tutto questo sia uno scherzo della tua mente, eh?» Mi chiese, cantilenando un po’. Annuii, in silenzio.
«E quindi ti serve una prova per dimostrarti che sono vero, giusto?» Altra domanda, alla quale risposi allo stesso modo. Sorrise malizioso. E poi accadde tutto molto velocemente.
Mi prese il volto fra le mani e premette le sue labbra sulle mie, in un bacio che mi lasciò senza fiato.
Sì, era decisamente reale. Lo sentivo parecchio presente, non in un angolino della mia mente. Ma che cavolo…?! Lo spinsi via, staccandomi da lui. E gli diedi uno schiaffo sulla guancia.
Lo schiocco risuonò forte, nel silenzio della casa. Avevo il cuore a mille, il fiato corto e le guance in fiamme. Comunque, dovetti prendere atto della realtà delle cose.
Quel bacio era stato molto più che vero, anche troppo, direi. E quella era la prova che lui non aveva mentito. Si era sul serio materializzato fuori dal mio pc, qualche minuto fa. Lo vidi ridacchiare e portarsi la mano al volto, sfiorandosi la guancia.
«Sì, direi che sono “reale” a tutti gli effetti» commentò, guardandomi sorpreso. «Mi hai colpito».
«Era quella l’idea» ribattei, acida. Mi riservò un sorrisetto divertito.
«Sei sempre così manesca, con i ragazzi?» Domandò, squadrandomi da capo a piedi. Il fatto che indossassi il mio pigiamino a righe con i pupazzetti  rosa non facilitava certo le cose. E quei suoi modi arroganti mi stavano facendo saltare i nervi.
Come se fosse James Dean in un nuovo film, a flirtare con l’ultima attricetta di turno. Peccato che io mi chiamassi Yasmin Malik, non Marilyn Monroe. Gli voltai le spalle, avviandomi verso le scale.
«E adesso dove stai andando?» Esclamò, e lo sentii accelerare il passo per seguirmi. Non lo guardai, attenta a dove mettessi i piedi e a non inciampare negli scalini.
«A farmi un caffè» risposi. «Forte», aggiunsi.
 
 
 



Tolsi il bollitore e spensi il gas.
Versai la bevanda scura in due tazzine, riflettendo su quanto potessi essere pazza da uno a dieci. Quella notte, in quella cucina… arrivai oltre l’undici.
«Due cucchiaini di zucchero, grazie» disse Harry, comodamente seduto sulla sedia, un gomito sulla spalliera e l’altro braccio sul tavolo, mentre si guardava attorno.
Feci un verso sarcastico, mentre gli versavo i due cucchiaini di zucchero nella tazzina. Anche viziato. Quel particolare non me lo ricordavo, nella storia. Gli allungai il suo caffè e m’appoggiai al bancone aspettando che il mio si raffreddasse. Mi mandò un bacio in aria, soffiando sulla bevanda bollente.
Persino la lampada della sala da pranzo mi stava facendo sembrare matta. Tutto di quella nottata mi stava facendo sembrare matta, a dir la verità.
«Allora?» Chiesi, con una punta di esasperazione. Harry alzò lo sguardo dal suo caffè, fissandomi confuso.
«Cosa?»
«Perché sei qui?» Abbaiai, ancora incapace di credere davvero che ce l’avessi davanti in carne ed ossa. Sospirò, posando la tazzina sul tavolo.
«Dunque…» esordì, guardando ovunque tranne che nei miei occhi. Parve riflettere per qualche momento, dandomi la stupida illusione che sapesse quello che stava facendo. «Non ne ho idea» rispose, sorridendo beato.
Mi vollero cadere le braccia. E la testa. E le gambe.
«Come non lo sai?!» Stavo praticamente urlando. Non capitava certo tutti i giorni che un personaggio della tua storia uscisse dal pc, e per darti la prova che fosse in 3D ti baciasse a tradimento. Accidenti, quella faccenda era ancora più folle di quanto sembrasse…
«No, non lo so!» Ripeté, caparbio. «Stavo correndo, poi sono inciampato e… bam!, eccomi qui!» Spiegò, gesticolando. Ero allibita, senza parole.
«Impossibile» ribattei, prendendo la mia tazzina di caffè e buttando giù un sorso bollente. Maledizione, mi ustionai la gola.
«E invece è così!» Insisté. «Sono caduto dal tuo computer, Yasmin. Da una frase lasciata a metà».
«Quale frase?» Chiesi, iniziando ad elaborare le ultime parole del ragazzo. Sospirò, giocherellando con il manico della tazzina.
«“Tuttavia, inciampò in un dosso dell’asfalto, quando”», recitò.
Mi lanciò un’occhiata eloquente. Sentii il sangue gelarmi nelle vene. Erano le ultime frasi che avevo scritto tre mesi fa. Le ultime parole che avevo fissato con rabbia alcune ore fa. Harry era saltato fuori da quel dannato “quando”.
«…Perché?» Pronunciai, semplicemente. Il riccio si strinse nelle spalle, sconsolato.
«Bella domanda, dolcezza. Forse perché le frasi andrebbero concluse, da che mondo è mondo?!» Esclamò, ironizzando. Alzai un sopracciglio.
«Che c’entra?! Non è che se ne lascio una a metà, poi devo aspettarmi che ne esca fuori qualcuno!» Ribattei, sentendomi attaccata. Rise, sarcastico.
Non era colpa mia se il computer l’aveva sputato fuori. Non era colpa mia se si trovava dall’altra parte del monitor.
«Come ti pare», rispose. «Io però voglio tornare nel mio mondo» aggiunse.
«Se potessi, ti ci spedirei volentieri a calci, e subito» commentai, sorseggiando di nuovo la bevanda scura. Mi lanciò un’occhiata truce.
«Ma tu puoi, Yasmin».
Lo guardai, incuriosita. Si alzò da tavola e mi raggiunse, piazzandosi a pochi centimetri da me.
«Tutto quello che devi fare, è scrivere la fine del tuo libro» disse, scandendo bene le parole, quasi faticassi a recepirne il senso. «E io tornerò da dove sono venuto».
«Come fai ad esserne tanto certo?» Chiesi, posando la tazzina e fissandolo scettica. Ridacchiò, scompigliandosi i riccioli con la mano.
«Non so come ho fatto ad uscire, ma conosco il modo per ritornare» rispose, suadente. «E perché questo si realizzi, mi servi tu» mi sfiorò la fronte con un dito, sorridendo a bocca chiusa.
Quella situazione era surreale.
L’idea di tornare a scrivere il libro era surreale.
Lui stessoera surreale.
«Spiacente, Harry… ma ho perso l’ispirazione» ammisi, di malavoglia. «Non riesco più a scrivere niente da oltre due mesi».
Sbarrò gli occhi per un istante, e si allontanò leggermente. Iniziò a camminare avanti e indietro, fissando il pavimento, tenendosi il mento fra indice e pollice. Stava riflettendo.
«Ti aiuterò a ritrovarla» concluse, fermandosi e alzando la testa. «Sì, può funzionare. Tanto, che sarà mai?» Sorrise. Scoppiai a ridere, amaramente.
«Non è qualcosa che puoi richiedere al banco degli oggetti smarriti, sciocco!» Esclamai, passandomi una mano fra i capelli, lunghi e voluminosi, castano scuro. «Una volta persa, è andata per sempre» mormorai, con tono lugubre.
Era vero. Sfortunatamente, il mio tipo di “lavoro” funzionava solo sotto genio creativo. Ma erano giorni che non vivevo in quello stato di grazia letteraria. Neanche sapevo più cosa volesse dire “scrivere seriamente”.
«Cazzate», rispose risoluto. «Ritroveremo la tua ispirazione. E sai che quando mi punto, devo riuscirci» concluse. Scossi la testa, stancamente.
«Non questa volta, riccio. Ti stai imbarcando in qualcosa di troppo grande per te».
«Yasmin, non ho altra scelta. Il mio tempo qui è limitato, e non so con esattezza quanto avrò a disposizione» disse, sedendosi sul tavolo, poggiando i gomiti sulle cosce e fissando il pavimento.
«Se non ti sbrighi a scrivere la conclusione del libro e a rimandarmi nel mio mondo… morirò».

 













Holls' Corner!:


Hi, everyone!
Eccoci al secondo capitolo della mia ennesima pazzia! Wow, devo dire che la storia vi sta prendendo fin da subito, a quanto ho notato. E' sempre una sorpresa per me, credetemi.
Perché penso spesso che le mie fan fiction siano troppo strambe e "particolari" per piacervi. Invece no. Menomale, hahahahaha!
Ho deciso che metterò la gif (che ho fatto io, sì, come al solito, hahahah!) direttamente sotto la storia. Non so, da quel tocco di realismo in più!
E che dire? Audace, il nostro Harry. Devo ammettere che renderlo un personaggio del mondo della fantasia è davvero esilarante da scrivere! E anche le reazioni della povera Yasmin... la ragazza crede di impazzire... non la biasimo, per questo!
Beh, effettivamente piacerebbe anche a me che Harry Styles uscisse fuori dal mio computer. Ma siamo nella vita reale, non nella mia fan fiction, quindi dovrò realizzare che non accadrà.
Cambiando discorso, ringrazierò sempre qui tutti coloro che recensiranno! Innanzitutto, non ho parole per ricambiare le valanghe di complimenti che mi sono arrivate.
Dico sul serio!!! Spero che la storia continui ad appassionarvi col procedere della trama!!
E poi... ci terrei a ringraziare tutti coloro che hanno inserito "The Paper Boy" nelle ricordate/seguite/preferite/che leggono e basta!! Detto ciò, posso anche lasciarvi andare in pace.
Come sempre, vi ricordo che mi fa sempre molto piacere leggere delle vostre opinioni e dei vostri pareri relativi alla storia... quindi ci conto, fatemi sapere!!
Grazie di nuovo e... alla prossima!! Un bacione a tutti!

 

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Capitolo 3
*** III. Il Ragazzo di Carta ***






III.

Il Ragazzo di Carta
 
 
 
 



 
“Niente trucchi, niente effetti speciali. Le parole scritte l’hanno creato e le parole scritte sulla carta sono l’unica cosa che può eliminarlo.”

STEPHEN KING

 
 

Rimasi a fissarlo senza parole.
«Che cosa?!» Esclamai, sbalordita. Lui annuì, mesto.
«Nel caso non te ne fossi accorta, il mio corpo non è propriamente umano» ironizzò, sorridendo.
«A me non sembra» commentai, squadrandolo dall’alto in basso. Sospirò.
«Esteriormente sì, ovvio» ribatté con tono saccente. «Il problema è che i pesci muoiono, se stanno troppo tempo fuori dalla boccia» pronunciò, metaforico. Lo guardai, ancora più confusa di prima.
 Un momento fa sosteneva che fosse reale, e l’attimo dopo mi diceva di non essere umano. Quel tipo era una contraddizione vivente. Sbuffò, e scese dal tavolo con un agile balzo.
«Sta’ a vedere» disse, avvicinandosi al contenitore delle posate. Lo seguii con lo sguardo, non sapendo che cosa aspettarmi. Fissò per qualche momento l’oggetto in metallo, e poi ne sfilò fuori un coltello da cucina.
Il cuore inciampò contro il mio sterno, e sentii una fitta allo stomaco.
«Che… che vuoi fare con quello?!» Balbettai, iniziando ad avvertire una certa paura.
«Tranquilla, non voglio ucciderti e diventare un demone completo» commentò, facendo riferimento alla trama della mia storia, senza nemmeno alzare lo sguardo. «Mi servi più dell’ossigeno, in questo mondo».
«E allora?»
«Allora osserva bene» ribatté, avvicinandosi di poco.
Aprì una mano, e soppesò il coltello con l’altra. Fece un gran sospiro, e affondò la lama nel palmo. Trasalii, immaginando il dolore che potesse provare. Invece lui rimase esattamente impassibile: non una smorfia, non un lamento.
Tracciò un breve solco, dal quale iniziò a colare un liquido nerastro e vischioso, che gocciolò sul pavimento. Gettò il coltello nel lavello, e mi guardò. Esibì un sorriso sinistro che mi fece accapponare la pelle.
«Come puoi ben vedere, questo non è sangue» sentenziò, spingendomi la mano ferita sotto il naso. «Si tratta di inchiostro, Yasmin». Battei le palpebre, incredula. Toccai il liquido con un dito, e poi l’avvicinai al naso. Aveva ragione.
Potevo sentire l’odore tipico di quella sostanza a miglia di distanza. Spostai lo sguardo su di lui, ancora più shockata.
«E non è tutto» aggiunse, aprendo il rubinetto e sciacquandosi la mano ferita. La pulì per bene, e poi me la sbatté di nuovo sotto gli occhi.
Era guarita. Del taglio profondo di poco prima, non era rimasta che una semplice linea un po’ più scura del suo palmo. Pazzesco.
«Non avverto alcun tipo di sensazione fisica. La mia pelle è fatta di agenti sbiancanti e cellulosa. Non posso avvicinarmi al fuoco, altrimenti mi brucio e non guarisco più» disse, fissandomi serio. «Comprendi, adesso?»
Annuii, arrendendomi all’evidenza. Harry era fatto della stessa sostanza dei libri. Era un ragazzo di carta.
«Sei…»
«Assurdo, lo so», concluse al posto mio. «Ecco perché dobbiamo sbrigarci a ritrovare la tua ispirazione. In condizioni come le mie, non è proprio una passeggiata vivere qui».
Aveva ragione, ma quello non avrebbe contribuito a farmi scrivere di nuovo. Barcollai verso la prima sedia libera, crollandovi sopra. Seppellii il volto nelle braccia, sul tavolo.
«Sì, ma io ho il blocco dello scrittore, Harry. Non passa con uno sciroppo».
«A proposito di scrittore» esclamò, e lo sentii armeggiare con il mobiletto accanto alla cucina, prendendo un foglio e una penna. Poi, l’avvertii scostare un’altra sedia e accomodarsi vicino a me.
«Ci sono alcune cose che voglio cambiare, nella tua storia».
Alzai di scatto la testa, inchiodandolo con lo sguardo.
«Come ti permetti?! Fino a prova contraria, sono stata io a crearti! E quindi fai quello che dico!» Abbaiai, sconvolta. Ci mancava solo che un mio personaggio si ribellasse alla trama, e potevo anche dire addio per sempre la scrittura. Scoppiò a ridere, divertito.
«Invece no, dolcezza» ribatté, facendomi scivolare carta e penna sotto il naso. «Hai detto di avere un blocco, e io voglio assolutamente che tu modifichi alcuni aspetti della trama».
«Ma io non…»
«Se ancora non l’avessi capito, sto cercando di aiutarti» sibilò, avvicinando il suo volto al mio.
Deglutii, fissandogli le limpide iridi verde acqua, profonde e impenetrabili. Mantenne il contatto visivo per alcuni istanti, poi si allontanò. Arrossii, guardando il foglio bianco e prendendo in mano la penna, controvoglia.
«Prendi nota, principessina» esordì, fissando il soffitto e radunando le idee. Sospirai, pronta per scrivere.
«Voglio diventare l’angelo custode di Allison» sentenziò, fermo. Sbattei la penna sul tavolo.
«Che cosa?!» Urlai, fuori di me. «Quella… quella stupida senza cervello?!» Aggiunsi, non riuscendo a credere alle mie orecchie.
Allison Harpers era un personaggio secondario, che amava Harry di nascosto, ma non era mai riuscita a dirglielo apertamente. Tuttavia, faceva la sua tutor per le materie scientifiche e i due avevano un bel rapporto di amicizia. O almeno, così credevo.
«Beh?! Se lo merita molto più di Fiamma, Yasmin» ribatté, guardandomi battagliero. Scossi la testa, ridendo sarcasticamente.
«Mi rifiuto, Harry! Non se ne parla!» Esclamai, piccata.
Detestavo Allison, era tutto ciò che io aborrivo. Bel fisico, bella presenza, cervello mediocre e atteggiamenti procaci. Riusciva solo in matematica, materia in cui avevo sempre fatto schifo, e quello era l’unico motivo per cui il docente l’aveva assegnata a Styles come tutor. Provava un affetto sincero per lui, era l’unica a cui importasse davvero della sua vita.
Persino la protagonista lo detestava, nonostante lui cercasse di dimostrarle il contrario.
«Ma non capisci che Fiamma ed io non siamo fatti per stare insieme?!» Ribatté lui, indignandosi. «Lei pensa solo ad Hunter, e il sottoscritto deve passare capitoli su capitoli a struggersi il cuore per una stronza che non lo merita!»
Lo fissai, senza parole. Era veramente quello ciò che pensava?
«È da pagina sedici che faccio a pezzettini il mio cervello, per lei. Non pensi che anche io meriti un po’ di pace e qualcuna che mi ami davvero? Sono stanco di fare la parte dell’idiota, Yasmin!»
«Allison non ti ama » mentii, con voce incolore.
«Bugiarda» rispose, con rabbia. Mi guardò con così tanta determinazione da disarmarmi.
Non potevo nulla contro quei due occhi smeraldini, accusatori e stanchi. Mi morsi la lingua talmente forte da sentire il sangue in bocca, e scrissi.

 
 

“Harry angelo custode di Allison.”

 
 

«Grazie, principessina» si rilassò, tornando ad appoggiarsi mollemente alla spalliera della sedia. Un momento.
«Ma così non diventerai mai un demone!» Esclamai, fissando stupidamente la frase che avevo scritto.
«Esatto, Sherazade, risposta affermativa» rispose. Ma che cavolo, stava riscrivendo la storia al contrario!
«Perché?!»
«Hai idea di quanto faccia schifo l’Inferno? In primis, odio il caldo. Lo detesto con tutte le mie forze» elencò, sollevando l’indice. «Mi fa schifo la puzza di zolfo» alzò il medio. «Non condivido le idee politiche di Lucifero» sporse anche l’anulare.
Ero sempre più sconvolta da quelle confessioni. Possibile che il mio personaggio si stesse ribellando in quel modo? Con me, la sua creatrice? L’avevo plasmato io, parola su parola, riga per riga… e poi scoprivo di non conoscerlo affatto. Neanche un po’.
«E poi, per quanto Fiamma mi stia antipatica… non voglio ucciderla» commentò, abbassando lo sguardo. «Sono un tipo riflessivo, io non cerco mai lo scontro».
Mi aveva lasciata senza parole. Scrissi di getto la seconda frase, sotto il suo occhio attento e soddisfatto.

 
 

“Harry non diventerà un demone.”

 
 

«Per ultimo, Yasmin…» disse, ed esitò qualche istante. «Non voglio più soffrire per amore».
Quella potevo comprenderla bene.
Harry poteva essere il mio opposto maschile, ma la sua vita sentimentale era specchiata alla mia. Una continua spirale di rifiuti, malintesi e struggimenti inutili, sprecati come parole al vento.
Non aveva mai avuto una storia seria, e ormai non credeva più all’amore. Troppe ferite, troppi brutti ricordi da dimenticare. Chissà perché gli avevo inflitto quella sadica pena, povero personaggio.
Infondo, anche le mie esperienze amorose non erano state troppo brutte… con lui le avevo triplicate e romanzate, drammatizzandole quanto più potessi. Era schiavo di quel sentimento cieco e sordo, incapace di distinguere il bene dal male.
Ecco perché correva dietro a Fiamma, la quale moriva per Hunter. Non si accorgeva di Allison, non si accorgeva di tutte le altre ragazze che lo guardavano sognanti, perché era davvero un bel tipo. Ma non aveva capito niente dell’amore. Oppure ne aveva capito così tanto che preferiva scapparvi a gambe levate.
Non mi sorprendeva che non volesse più soffrire per quello. Era l’unica richiesta che fui felice di accontentare.

 

“Harry avrà una tranquilla storia sentimentale con Allison. Niente più Fiamma.”

 
 

Sbadigliai della grossa, allontanando da me il foglio scarabocchiato e la penna.
Improvvisamente, mi era venuto di nuovo sonno. Altro che caffè. Quelle brevi frasi sembravano avermi risucchiato l’energia.
«Tutto bene, principessina? Mi sembri un po’ spossata» disse Harry, guardandomi preoccupato. Annuii, stropicciandomi gli occhi.
«Non ho chiuso occhio per tutta la notte. E poi sei arrivato tu…» commentai, guardandolo stancamente. Sorrise.
«Già, scusa. Non avevo programmato un salto nel mondo reale» ribatté, sarcastico. Gli feci una smorfia senza troppa convinzione.
Guardai l’orologio della cucina. Le quattro e un quarto. Di già. Fortuna che l’indomani era sabato, e non avrei avuto scuola.
«Senti, di sopra hai lasciato un bel casino con the e cocci vari…» disse, alzandosi. «Dove tieni gli stracci?»
Gli indicai il mobiletto sotto il lavello, e appoggiai le braccia sul tavolo, sprofondandovi sopra la testa. Mi addormentai, senza neanche accorgermene.
 Le uniche cose che ricordai, furono un paio di braccia che mi stringevano, e un buon profumo maschile misto all’odore dei libri nuovi.
Mi accorsi che Harry mi stava portando in braccio fino alla mia stanza, ma ricaddi immediatamente in un sonno profondo. Non facendo neanche in tempo a ringraziarlo.



Holls' Corner!:


I'm baaaaack!!!! Sì, dopo estenuanti attese... sono di nuovo qui, oh yeah!!! Mi dispiace di avervi fatto aspettare tutto questo tempo!!! Ma adesso ci sono... di nuovo! Bene, innanzitutto volevo assolutamente ringraziare tutti coloro che hanno recensito il capitolo precedente, mi avete fatto quasi prendere un colpo nel vedere quanto eravate numerosi!!! E grazie sempre per i vagoni di complimenti!!! Non mi abituerò mai, sappiatelo.
Parlando del capitolo, mi ci sono divertita. Oh, sì. Inventare tutte quelle caratteristiche per Harry è stato piuttosto interessante. Soprattutto, vederlo sotto quell'ottica lo è stato ancor di più! Da qui in poi la storia "si aprirà", ovvero inizieranno ad esserci dinamiche particolari e sviluppi inaspettati!
Per rispondere ad alcune richieste... sì, i 1D compariranno presto, ma non avranno ruoli particolarmente fondamentali, questo devo rivelarvelo. Ma saranno spesso "in scena", hahaha! Per le GIF... le creo con il programma "
Ulead GIF Animator 5", che è particolarmente utile ed intuitivo. Devo dirvi che non aggiornerò con la stessa frequenza di sempre, ma spero di essere "puntuale"! Dunque, avrei dovuto mettere una fantastica GIF di Yasmin, ma TinyPic non collabora e quindi pace.
Ringrazio infinitamente chiunque metta la storia fra le ricordate/preferite/seguite/legga e basta, davvero!!! Ora posso anche lasciarvi, rinnovandovi le scuse per l'immenso ritardo!! Ah, a breve aggiornerò anche Till The Last Song, per chi di voi la stesse seguendo e avesse iniziato a pensare che ormai fosse morta e sepolta, hahahah! Come al solito, mi farebbe molto piacere conoscere i vostri pareri a riguardo del capitolo, e le vostre opinioni!!! Un grosso bacione a tutti e... alla prossima! 


P.S.: Ho appena pubblicato una nuova long su Maynard!! Per chiunque volesse leggerla, o fosse magari interessato... vi lascio il banner di seguito! Grazie in anticipo!!!


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Capitolo 4
*** IV. Provare l'Impossibile ***





IV.
Provare l’Impossibile


 





 
La mia scrittura si è... volta a narrare, al puro narrare.”
CARLO EMILIO GADDA
 

 
 

«YASMIN!»
Mi svegliai di soprassalto, alzandomi a sedere sul letto.
Sentii alcuni tonfi sulle scale, e dei passi di corsa affrettarsi verso la mia stanza. L’attimo dopo, mio fratello sprangava la porta, con un’espressione shockata in volto, i capelli per aria e i pantaloni della tuta antracite che usava per dormire. Lo fissai, iniziando a temere che qualcuno avesse appena fatto un attentato in casa nostra.
«Chi diavolo è quel ragazzo in salotto?!» Sbraitò, invece. Corrugai la fronte.
«Quale…» e allora i ricordi della nottata mi assalirono come uno gigantesco tsunami.
Spostai lo sguardo sul pc, che giaceva senza vita sulla scrivania. Ragazzo. Computer. Carta. Libro. Salotto.
«Oh, mio Dio!» Esclamai, scattando in piedi. Superai Zayn e scesi di sotto, senza neanche curarmi d’infilare le ciabatte.
Arrivai al piano terra e trovai Harry Styles sbracato sul divano, che faceva zapping alla tv. Il personaggio del mio libro, catapultato nel mondo degli umani. Si accorse della mia presenza e sorrise, radioso.
«Buongiorno, principessina!» Mi salutò, sventolando il telecomando. «Dormito bene?»
Sentii Zayn scendere le scale e saltare gli ultimi due gradini, atterrandomi alle spalle. Mi passai una mano sulla faccia. Come spiegare l’irreale a mio fratello? Possibilmente senza passare per pazza, drogata o visionaria?
«Allora, Yasmin?» Incalzò, incrociando le braccia e fissando male Harry. Presi un gran respiro, voltandomi verso di lui.
«Senti, Zayn…»
«Certo che nel mondo reale, la televisione fa proprio schifo» commentò Harry, continuando a fare zapping. «Non c’è… aha, Mtv!» Esultò, sparando il volume al massimo. Eminem riempì di crudo rap il silenzio mattutino di casa Malik. Mi morsi un labbro, mentre mio fratello alzava eloquentemente un sopracciglio.
«Mondo… reale?» Chiese. «Sta scherzando?»
«Ascolta, lui è…»
«Harry Styles, piacere» disse, senza staccare gli occhi dalla tv. Zayn sbarrò gli occhi.
«Yasmin, ma quello non è il…»
«Nome di un personaggio letterario, esatto» s’intromise nuovamente, sempre tenendo lo sguardo fisso sullo schermo.
«E come…»
«Ho fatto ad essere qui? Già, me lo chiedo anch’io», disse ancora il riccio. M’innervosii.
«La pianti d’immischiarti?!» Abbaiai. Ridacchiò, alzando le mani in segno di resa. Mi voltai nuovamente verso Zayn.
«Comunque… è tutto vero, fratellone. Lui è Harry Styles, il protagonista de “L’Angelo Caduto”» pronunciai, sentendomi anche più matta di prima. Zayn guardò me. Poi fissò Harry. E tornò sul mio volto. Sorrise, sarcastico.
«Ok, sono finito in una puntata di Punk’d?» Chiese, lanciando occhiate sospettose tutt’attorno. «Dov’è quel coglione di Bam Margera? Non è che c’è pure Justin Bieber?» Aggiunse, ironicamente. Socchiusi gli occhi e mi massaggiai le tempie.
«Mi dispiace, Zayn, ma non sei su Punk’d. Siamo a “vita reale in casa Malik”, precisamente nella puntata in cui ragazzi di carta fuoriescono dal monitor del mio pc».
«Non le credi? Posso dimostrarti che dice la verità…» intervenne ancora Styles, sempre con gli occhi incollati al videoclip. Trasalii.
«NO!» Urlai. E mi tappai la bocca con la mano, colpita dal mio stesso tono di voce. «Ehm, volevo dire… no, non serve», aggiunsi, sorridendo.
Ci mancava solo che gli mostrasse il suo apparato circolatorio d’inchiostro e la magia della ricucitura automatica delle ferite. Zayn indietreggiò di qualche passo.
«Ok, Yasmin… questa… questa è una cosa fuori di testa!» Esclamò, gesticolando. «Non è possibile che un personaggio della tua storia si materializzi dal pc!»
«Se proprio t’interessa, quel computer adesso è rotto. Come prova di quanto è successo» disse Harry, spegnendo la tv. Trasalii.
«Come, rotto?!» Esclamai, incredula. Styles si alzò, avvicinandosi a noi.
«Sì, dolcezza, mi hai sentito. È rotto. Morto. Caput» disse, sorridendo.
«Non ci credo. State cercando di fregarmi» sentenziò Zayn, indietreggiando fino alle scale. Harry alzò un sopracciglio.
«Ah, no? Sali, controlla tu stesso. E fammi un fischio se quella macchina infernale ritorna fra i vivi».
Mio fratello lo prese in parola, lanciandogli un’occhiata truce e andando di sopra, facendo i gradini due a due. Mi voltai verso Harry, che sorrideva sornione.
«E io adesso come farò a scrivere?» Chiesi, sentendomi persa.
«Mister Simpatia non ha un portatile, in camera sua?» Disse di rimando, indicando il punto dove Zayn era sparito. Gli lanciai un’occhiataccia.
«Quello è mio fratello, Harry. Ed ha un nome», precisai, lievemente infastidita. Sbuffò, scompigliandosi i riccioli con la mano.
«Che importanza vuoi che abbia? Neanche crede alla mia esistenza!» Ribatté, infantilmente. Scossi la testa, incapace di combattere continuamente contro la sua testa dura. Avrei potuto crearlo più docile e arrendevole, anziché donargli quel caratterino indisponente.
Zayn ricomparve sulla soglia delle scale, sconvolto. Eh già, fratellone, accetta l’impossibile anche tu.
«È... è rotto» pronunciò, con evidente fatica. Scese stancamente i gradini, fino ad arrivare di fronte ad Harry e me, sconfitto. Lo guardai.
Ti prego, credici. Ti prego…
«Per quanto possa sembrare folle tutta questa faccenda…» esordì, passandosi una mano fra i capelli. «Devo arrendermi all’evidenza» ammise, a malincuore.
«E quindi mi credi?» Chiese Harry, alzando un sopracciglio. Zayn l’inchiodò con lo sguardo.
«Ho detto che riconosco il guasto al pc, non il fatto che tu sia uscito fuori dal libro di mia sorella» ribatté. Styles sbuffò, allontanandosi da noi.
«Yasmin, dimmi la verità. Non è uno stalker, vero?» Bisbigliò, lievemente preoccupato. Scossi la testa.
Magari lo fosse stato. Avrebbero potuto sbatterlo in galera e tanti saluti. Il mondo era pieno di stalkers, erano… normali. Reali. Presenti.
«Che ti piaccia o no, Zayn… lui è veramente il personaggio della mia storia. Ed è uscito da quel pc rotto, questa notte» ripetei, cercando di sembrare più seria che potessi.
Mio fratello mi fissò, non sapendo se fidarsi dell’impossibile o della parte razionale del suo cervello. Ma io che potevo farci? Era la verità. Lo vidi sospirare, passandosi nuovamente la mano fra i capelli.
«Va bene, Yasmin. Facciamo finta che tutto questo sia vero…» si arrese. Gli gettai le braccia al collo, immensamente grata.
«Grazie, Zayn, grazie davvero» sussurrai. Lui mi cinse gentilmente i fianchi, sospirando.
«Non hai idea di come mi senta, in questo momento» rispose, allucinato. Ridacchiai.
«Lo so eccome, fratellone».

 
 
 

«Quindi… hai bisogno che Yasmin completi il libro, per tornare da dove sei venuto?»
«Eh già».
Zayn si versò dell’altra spremuta nel bicchiere, mentre Harry diede un bel morso alla sua mela. Impiastricciai il mio pancake, di malavoglia.
Dopo quella breve introduzione, avevamo indossato abiti più consoni dei soliti pigiami e deciso di preparare la colazione per tre. Styles aveva spiegato tutto anche a mio fratello, omettendo la parte del sangue d’inchiostro e delle debolezze fisiche.
«Per farlo, deve prima ritrovare l’ispirazione» aggiunse il ricciolo, guardando attentamente il lucido frutto rosso. «Ed è qui che entro in scena io» disse, ammiccando verso di me. Lo guardai, senza espressione. Credevo ancora impossibile che lui riuscisse ad aiutarmi davvero, ma non me la sentii di smontare le sue speranze sul nascere.
«Anche se per lei sarà piuttosto difficile scrivere, senza un pc…» commentò, lanciando uno sguardo penetrante a Zayn. Mio fratello sostenne la sua occhiata. Iniziai a sentirmi vagamente a disagio.
«Le presterò il mio portatile» disse, infilzando con la forchetta l’ultimo pezzo di pancake che aveva nel piatto. Harry fece un sorrisetto trionfante, addentando la mela.
Era riuscito a procurarmi una nuova piattaforma su cui lavorare, ma il problema principale persisteva. Mi mancava l’ispirazione.
Allontanai il piatto, senza aver toccato cibo. Avevo lo stomaco chiuso dai troppi avvenimenti fuori dalla mia portata.
«Non mangi, principessina?» Chiese Styles, alzando un sopracciglio. Scossi la testa.
«Mi è passata la fame».
Il riccio mi sorrise, alzandosi dalla sedia.
«Allora impieghiamo in maniera costruttiva il tuo tempo, tesoro» disse, facendomi un languido occhiolino.
«Dov’è che vai, quando cerchi idee per scrivere?»
Lo guardai male, in silenzio. Dove voleva arrivare?
«Hyde Park» rispose Zayn, sorridendo soddisfatto. Gli diedi una gomitata.
«Zayn!» Esclamai, offendendomi perché mi aveva sbugiardata per così poco. Ridacchiò, prendendo il bicchiere di spremuta e sorseggiando con indifferenza.
«Perfetto, allora» disse Harry. «Andiamo ad Hyde Park».
«Adesso?!» Esclamai, sbarrando gli occhi. Il riccio annuì, convinto.
«Hai da fare?»
«In verità…»
«Non me ne frega un accidenti, in verità» ribatté, sorridendo malandrino e facendomi il verso. «L’ispirazione e il libro vengono prima di tutto il resto, Yasmin». Lo guardai, e lui non batté ciglio. Stava aspettando che mi alzassi. Scostai rumorosamente la sedia e feci il giro del tavolo.
«Bene. Vuoi andare ad Hyde Park? E sia!» Esclamai, piantandomi a due centimetri dal volto di Styles, incenerendolo con lo sguardo. Si passò la lingua sulle labbra e sorrise.
«Evvai» commentò, sarcastico. Diede un ultimo morso alla mela e la lanciò verso il cestino dei rifiuti.
Canestro.



Holls' Corner!:

HI!!!
Oggi aggiorniamo anche questa storia, che era rimasta ferma da troppo tempo...!!! E che è decisamente ora di rimettere in moto!!
In primis, vi chiedo una caterva, un quintale, un'intera catena di hotels (?) di scuse!!! Il motivo della mia assenza l'avevo già specificato nell'ultimo aggiornamento, ma ribadirlo anche qui non fa male!! Dunque, il sito non mi faceva più accedere, forse per un problema con la password... fino a ieri sera tardi!! Quindi, finalmente, eccomi di nuovo qui con voi, in questo bellissimo fandom che nel frattempo è cresciuto (porca miseria quanto...!) senza di me...! Ma avrò modo di rifarmi u.u!!! Datemi solo il tempo di ricollegarmi con le trame e vedrete...!
Bene, che dire???
Che se sarete arrivati a leggere fin qui, dovrete volermi davvero bene, perché onestamente non so come riusciate a sopportarmi. Prometto che mi farò perdonare!!! E niente, penso che ormai lo sproloquio debba giungere alla fine... come sempre, ringrazio (e questa volta ancor di più) chiunque abbia letto questo capitolo, chiunque mi abbia aspettato, chiunque si sia ricordato di questa e delle altre storie che ho in corso, e chiunque avrà la gentilezza di lasciarmi un suo parere (già, son passati tre mesi, ma i miei principi son sempre quelli, ci tengo ASSOLUTAMENTE a sapere le vostre opinioni, se qualora ci fossero parti che vi siano interessate di meno o di più... qualunque cosa, insomma!). Questa volta in via del tutto eccezionale accetto anche gli insulti, perché me li sono stra-meritati...!
Okay, vi lascio con una gif di Yasmin (lavorerò a quelle più elaborate, keep calm u.u) e il mio account Twitter, per chiunque avesse voglia di insultarmi privatamente seguirmi e magari fare due chiacchiere... alla prossima, e grazie di tutto!!!! Baci! :)


Twitter: CurlyStarlight

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Capitolo 5
*** V. Hyde Park ***







V.

Hyde Park
 








“I poeti cercano l'ispirazione lontano, mentre essa è nel cuore.”
ALPHONSE DE LAMARTINE

 
 

Arrivammo ad Hyde Park, e fortunatamente il tempo non era minaccioso come la notte scorsa. Risplendeva un pallido sole d’ottobre, l’aria fresca scuoteva leggermente le chiome degli alberi, arrossando le guance dei passanti. Quel posto pulsava di vita, ed era un po’ il mio “pensatoio” personale. Quando avevo bisogno di riflettere su un passaggio particolare per una storia, andavo lì. Trovavo una panchina libera, aprivo il blocco appunti e mordicchiavo il cappuccio della penna, lasciando che le idee m’investissero la mente. Non sapevo come potesse accadere, ma ogni volta era come una sorta di magia, le parole uscivano in maniera autonoma dalle mie mani, imprimendosi velocemente sulla carta, riempiendo pagine e pagine senza che io stessa me ne rendessi conto.
Peccato che fossero ormai ben tre mesi che la magia non avveniva più. Mi sentivo persa e tappata. Come se la mia mente non potesse più ospitare altre idee, altri avvenimenti. Non riuscivo più nemmeno a formulare dei banalissimi dialoghi, i miei punti forti. Diedi un calcio ad un sassolino, spedendolo nel verde dei prati circostanti.
«Senti niente? Nessun colpo di genio?» Chiese Harry, speranzoso. Scoppiai a ridere. Trattava la mia ispirazione come fosse una sorta di malattia o scienza infusa. Come se fosse possibile narrare a comando.
«Te l’ho detto, è andata per sempre. Ormai non riesco più a scrivere» risposi, con voce piatta. Lo sentii sospirare.
«Sai cosa, Yasmin? Questo mondo mi piace» esordì, cambiando radicalmente discorso. Alzai lo sguardo verso di lui, osservando il suo profilo. I riccioli gli nascondevano metà del volto, lasciando scoperti solo il naso e le labbra, piegate in un sorrisetto. Camminava con le mani sprofondate nelle tasche del giubbotto di mio fratello, apparentemente spensierato. Lo invidiai. Magari anche io avessi saputo prendere tutto così alla leggera.
«In che senso?» Chiesi, tornando a guardare davanti a me. Gli alberi filtravano l’esile luce solare, creando una sorta di galleria di rami, proprio sopra di noi. Altre persone passeggiavano in tranquillità, chiacchierando fra loro.
«Nel senso che qui è tutto vero, reale» disse. «Se addento una mela, sa di mela. Se immergo un dito nell’acqua fredda, sento l’acqua fredda. Capisci che intendo?»
«Onestamente mi sembra tutto più che ovvio, Harry…» commentai, alzando un sopracciglio e trattenendo un sorriso. Sbuffò, dandomi una spallata amichevole.
«Piantala, secchiona!» Mi prese in giro. «Il punto è che tu scrivi, ma non descrivi. Ecco cosa». Lo guardai, lievemente confusa.
«Che vuoi dire?»
«Ti limiti a riferire le azioni dei personaggi, senza approfondire mai troppo. Come se avessi paura di entrare a fondo nelle loro menti, Yasmin» spiegò. Arrossii lievemente. Non era propriamente vero…
«Quando scrivi “Harry mangiò una mela”, non aggiungi mai nient’altro» commentò, continuando a camminare. E cosa avrei dovuto dire, ancora? Non bastava solo quello?
«Mi fai sempre mangiare mele che sanno di carta» aggiunse, arricciando il naso in una smorfia disgustata. Scoppiai a ridere, mio malgrado.
«Scusami, non volevo!» Lo presi in giro, continuando a ridere. Ridacchiò anche lui, scompigliandosi i riccioli con la mano.
«Prova a descrivere una mela. Bene, però» m’intimò, fermandosi. Mi bloccai a pochi centimetri da lui, e gli lanciai un’occhiata eloquente.
«Stai scherzando…?» Azzardai, sperando di sì. Scosse la testa, sorridendo.
«Avanti, scrittrice. Partorisci una mela che sappia di frutta» disse, con convinzione. Feci un verso sarcastico e chiusi gli occhi. Visualizzai il frutto rosso e lucido e provai ad elencare tutte le cose che notavo via via.
«Piccola, rossa, lucida e profumata».
«Mmm, puoi fare di meglio» commentò Harry. Sospirai, cercando di approfondire la mia analisi. Andiamo, non poteva essere così difficile…
«Dolce e croccante, di un bel rosso scarlatto e dal profumo invitante. Piccola come una mano stretta a pugno. Lucida e liscia al tatto».
«Finalmente, ce l’abbiamo fatta!» Esclamò. Aprii gli occhi, guardandolo in volto. Sorrideva, mettendo in mostra le adorabili fossette, entusiasta. Ridacchiai.
«E adesso che hai la tua mela, cosa abbiamo risolto?» Chiesi, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, con noncuranza. Mi lanciò un’occhiata trionfante, dall’alto del suo metro e ottanta.
«Che hai appena formulato una descrizione dettagliata, Yasmin» pronunciò, soddisfatto. «Come vedi, sei ancora capace di scrivere».
Aprii la bocca per rispondere, ma mi bloccai. Aveva… ragione. Quella semplice mela aveva rimesso in moto il mio “istinto da scrittrice”. Le parole per descriverla erano uscite da sole, senza che avessi avuto troppo bisogno di pensarci. Ero… ero davvero capace di scrivere ancora, dunque? Era solo un fattore mentale a creare il mio blocco…? Harry schioccò due dita davanti al mio volto, facendomi riatterrare sul pianeta Vita Reale.
«Non posso crederci, Ragazzo di Carta. Mi hai appena fatto fare una descrizione a malapena decente» constatai, guardandolo negli occhi. Ridacchiò, scompigliandosi i riccioli.
«Visto? Sono magico» rispose, sfiorandomi la punta del naso con un dito. Scossi la testa e lo spinsi leggermente, riprendendo a camminare.
«Ma questo non vuol dire che adesso potrò scrivere di nuovo…» ribadii, iniziando però ad avvertire l’ombra di un’idea farsi strada nella mia mente.
«Io non ne sarei tanto sicuro… e poi, devo ricordarti che ho la data di scadenza stampata dietro la nuca?» Mi ricordò, ironizzando. Sospirai.
«Davvero, Yasmin... impegnati. So che puoi farcela».
Iniziai a protestare, ma la mia attenzione venne catturata da un giovane ragazzo che correva nel senso opposto al nostro. Era come se fosse di fretta, come… se scappasse da qualcosa. E somigliava vagamente ad Harry, avevano gli stessi capelli indisciplinati. Ci superò senza degnarci di un minimo di attenzione, lasciando un fresco spostamento d’aria al suo passaggio.
Mi voltai, seguendo la sua corsa come estasiata. Improvvisamente, il giovane andò a sbattere contro una ragazza, facendo perdere l’equilibrio ad entrambi. Caddero a terra con un tonfo sordo. Lei era bionda, carina e minuta. Occhi da cerbiatta, fisico da copertina di magazines patinati, aria un po’ persa fra le nuvole. Il ragazzo si passò una mano fra i capelli, scusandosi. L’aiutò a rialzarsi, tendendole la mano. E poi accadde. Rividi tutta la scena nella mia mente, ma i loro volti erano capovolti.
Lui era Harry e lei… Allison. Guardai Styles, trasalendo. Lui alzò un sopracciglio e fece per chiedermi se stessi bene, ma io stavo già correndo verso la panchina libera poco distante da noi. Vi crollai sopra, tirando fuori dalla mia enorme borsa il quaderno per gli appunti e la penna. Mordicchiai il cappuccio della Biro per qualche istante, e poi cominciai a scrivere di getto.
Mi sentii immensamente bene, libera, sollevata. La mia mano andava da sola, materializzando i pensieri della mente, registrando scene di un film privato che volevo condividere col mondo intero. Stavo scrivendo di nuovo, come non facevo più da tre lunghi mesi. Mi isolai dal resto del mondo, ebbi solo la percezione del corpo di Harry che si sedeva accanto a me, sporgendo con cautela la testa oltre la mia spalla, per vedere cosa stessi buttando giù.
Passò del tempo, ma non me ne accorsi veramente. Dopo aver riempito la quinta pagina di scritte, posai la penna. Tirai un gran sospiro. Ci ero veramente riuscita di nuovo. Avevo superato quel maledetto “quando”, concludendo finalmente il capitolo e uscendo dall’empasse. Mi sentivo soddisfatta di me stessa. Non di quanto avessi scritto, perché avrei dovuto riprendere la mano con il mio vecchio stile, ma con il fatto di essere riuscita a sbloccarmi sul serio.
«Non credevo che quando scrivessi diventassi… una posseduta» scherzò Harry, occhieggiando me e il blocco degli appunti. Gli feci una smorfia.
«La scrittura è una maledizione, riccio. Non te liberi finché campi».
«Ma se fino a un’ora fa piagnucolavi dicendo che non ci saresti più riuscita?!» Ribatté, prendendomi in giro. Lo fulminai con un’occhiataccia.
«Parlavo della mia ispirazione» dissi, lapidaria. Scoppiò a ridere.
«E adesso ti è tornata, vero?»
«Così pare» concessi. «Per ora», aggiunsi. Mi guardò, malizioso.
«Direi che merito un premio…»
«Un “grazie, Harry” non ti basta?» ironizzai, alzando un sopracciglio. Sbuffò.
«Avrei preferito un bacio» rispose, fingendo di mettere il broncio. Arrossii, ma cercai di dissimulare.
«Da quand’è che senti emozioni fisiche, Harry? Stamattina, in cucina, mi avevi detto di non provarne alcuna…»
«Quelle sì… ma il desiderio posso avvertirlo comunque» disse, alzandosi. Lo guardai, incapace di rispondere.
Si scompigliò i riccioli con la mano, lasciando correre lo sguardo sul verde di Hyde Park, pensando a chissà cosa.
Desiderio di baciare… me? Poteva provare sentimenti veri? E che c’entravo io, quando mi aveva detto di volersi mettere con Allison?
Mi tese la mano, sorridendo furbescamente.
«Direi che potremmo anche tornare a casa… ho una certa fame». Lasciai che mi sollevasse, poi gli lanciai un’occhiata eloquente. Si strinse nelle spalle, alzando le mani in segno di resa.
«Ok, ok, non ho realmente fame… però voglio assaggiare altri cibi umani» si difese. «La carta stanca, dopo un po’».
Scoppiai a ridere, scompigliandogli i riccioli. Morbidi, soffici. Non avevano niente di inumano. Ma dovetti tenere a mente che dentro lui era diverso. E che non era destinato a restare sulla Terra per molto.









Holls' Corner!:

Hey, pipol!
Guess who? Do you miss me??
Hahaha, ok, basta con l'intro alla Eminem! Sono riuscita a trovare un buco di spazio e ne ho approfittato per aggiornare questa storia, dato che so quanto ci teniate a conoscerne il seguito!
Anche in questo capitolo non è successo nulla di eclatante, ma dal prossimo posso assicurarvi che le cose inizieranno a muoversi! Sarò celere anche 'sta volta, la scuola non perdona...!!
Volevo innanzitutto ringraziare chiunque abbia inserito la storia fra le seguite/preferite/ricordate oppure che l'abbia letta e basta, e soprattutto chi ha avuto il buon cuore di recensirla, lasciandomi le proprie opinioni!
Bene, vi lascio con una gif di Hazza imbacuccato, così com'era al parco... e con il mio contatto Twitter, per chi già non l'abbia, e volesse seguirmi anche solo per chiacchierare un po'!
Faccio presente che gradirei moltissimo sapere cosa ne pensiate anche di questo capitolo, se vi sia piaciuto... insomma, le vostre idee, come sempre!! Un bacione a tutti e... alla prossima!







Twitter: CurlyStarlight

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Capitolo 6
*** VI. Una Sola Direzione ***






VI.

Una Sola Direzione
 
 











"E vedi non c'è niente da fare siamo nati per aspettare, per aspettare che qualcosa si muova e ci venga a cercare." 
LUCA CARBONI – GIOVANI DISPONIBILI

 




 

«Indovina? Sono riuscito a farle scrivere ben cinque pag…» le parole di Harry vennero stroncate da urla e risate, provenienti dalla cucina.
Aveva spalancato la porta d’ingresso, precipitandosi dentro e parlando a gran voce, ansioso di comunicare la notizia a Zayn. Ma non era riuscito a finire di parlare, interrompendosi da solo. Ah, già.
«Che cosa sta succedendo, qui?» Chiese, guardandomi confuso. Gli sorrisi.
«Sono arrivati gli amici di mio fratello».
Dalla cucina comparve Louis Tomlinson, il più grande di tutti. Stringeva una bottiglietta di Coca-Cola in mano e fischiettava allegramente.
Lisci capelli castano chiaro, frangia laterale in piega perennemente perfetta, grandi occhi azzurro cielo, nasino alla francese e aria furbetta. Lui era quello matto, nel gruppo di sciroccati di mio fratello. E quando dicevo “matto”, intendevo “completamente fuori”.
Scriveva canzoni ai piccioni, mi rubava i libri per poi aprirli a caso e urlare la prima frase che leggesse nell’orecchio di mio fratello, si faceva chiamare Boo Bear e aveva una predilezione per le carote. Tanto da mascherarsi anche da quell’ortaggio, lo scorso Halloween. E adorava vestirsi con colori accesi completamente in contrasto fra loro.
Chissà perché. Forse aveva paura che gli altri lo perdessero in mezzo alle folle, e aveva bisogno di un segno distintivo. Oppure, era solo matto. Come avevo sempre pensato.
 Mi rivolse un sorriso radioso, e prese un sorso di cola, bevendo dalla bottiglia.
«Ciao, Jasmin!» Esclamò, cambiandomi volutamente il nome. Insisteva nel dire che gli ricordassi la principessa Disney di Aladdin, e mi chiamava sempre come lei. Nonostante il mio nome iniziasse per “Y”. Sospirai, sorridendogli a mia volta.
«Ehi, Uomo Carota» ricambiai il saluto. Ridacchiò, superandomi senza degnare Harry di un’occhiata, e dirigendosi verso il salotto. Styles si voltò verso di me, sconvolto.
«Da dove…?» Domandò, ma non fece in tempo a finire che arrivarono anche gli altri.
M’illuminai. Perché c’era anche lui.
Si sistemò il cappellino a visiera piatta, sorridendo in quel suo modo particolare e bellissimo, che ti metteva voglia di ridere insieme a lui. Quando lo vedevo, mi sentivo subito meglio. Come se la giornata migliorasse anche solo perché l’avessi incontrato. Era di una dolcezza unica, che sopportava i miei deliri peggiori… e nonostante tutto, ancora non mi aveva lasciata.
Si avvicinò, cingendomi gentilmente la vita con le mani e attirandomi a sé. Mi diede un leggero bacio sulle labbra, per salutarmi.
«Ah, non sapevo che avessi un ragazzo!» Esclamò Harry, trattenendo una risata. Mi staccai dal biondo, sorridendo incerta. Perché mi sentivo stranamente… agitata?
«Perché io non te l’ho detto» risposi, senza sciogliere l’abbraccio. «Lui è Niall Horan. Niall… Harry Styles» presentai.
Si strinsero la mano, l’uno guardando l’altro con cortese rispetto, ma il riccio fissò l’irlandese con una punta di ironia. Sfumatura che non capii.
«Chi è questo, Yasmin? Un tuo amico?» Chiese Liam Payne, tendendo a sua volta la mano ad Harry.
 Lui era quello un po’ chiuso, l’intellettuale del gruppo. Adorava i film Disney ed era sempre gentile con tutti.
 Corti capelli castano chiaro e dolci occhi nocciola, passava parecchio tempo insieme a Niall. Ben pensandoci, Liam avrebbe anche potuto credere alla mia storia del ragazzo di carta. Peccato che non avessi minimamente il coraggio di raccontarla a nessuno. Esitai, e Zayn salvò la situazione.
«No, Liam» disse, passandosi nervosamente la mano fra i capelli corvini. «Lui è… un cugino… che viene da…» incespicò, e Harry affilò lo sguardo. Vidi gli angoli delle sue labbra iniziare a piegarsi in un sorriso furbo.
 Pareva trovasse divertente quel paradosso. In effetti, esteriormente doveva esserlo sicuramente.
«Dal Maine!» Esclamai, forse con un po’ troppa enfasi, tanto che Niall mi lanciò un’occhiata stranita. Sorrisi per scusarmi, e mi avvicinai a Styles. Gli passai un braccio attorno alla vita, stringendo leggermente il suo fianco con le dita.
«Vero, Harry?» Gli chiesi, affondando di più le unghie nella carne. il riccio fece un sorriso piuttosto tirato, annuendo. Perché speravo di fargli male, quando ricordai che non poteva provare alcun tipo di sensazione fisica…?
«S... ehm, volevo dire “yeah”!» Balbettò, fingendo un accento americano che non aveva con poca convinzione. Continuai a sorridere, augurandomi che se la bevessero senza farsi domande. Lanciarono un’occhiata perplessa a Styles, poi lasciarono correre lo sguardo da me a Zayn.
«Ok, come dite voi» convenne Liam, stringendosi nelle spalle. «Benvenuto a Londra, Harry!» Aggiunse, sorridendo gentilmente al riccio.
 Niall continuò a guardarlo con leggera indifferenza, ma la attribuii al semplice fatto che potesse essere magari geloso di Styles. Sospirai impercettibilmente.
Ci avevano creduto.
 
 


Nel pomeriggio, ci raggiunse anche la mia amica Hana. La quale, sapendo che mio fratello aveva invitato i suoi amici a pranzo e che dopo avrebbero provato con la band, non si era fatta scappare l’occasione.
 Sì, Zayn e gli altri tre avevano formato un gruppo. Niall era la chitarra, Louis il basso, Liam stava alla batteria e mio fratello era la voce. Occasionalmente cantavano anche gli altri, a seconda del brano.
 Erano parecchio bravi. Si esibivano tre sere a settimana allo “Staten Island”, il locale di musica dal vivo sulla ventiduesima, e facevano sempre il tutto esaurito.
Speravo che prima o poi qualcuno li notasse e gli proponesse un contratto discografico, ma fino a quel momento nessuno gliel’aveva ancora mai chiesto.
«Yasmin, posso dirti che tuo cugino è proprio uno strafigo?»
Scossi la testa, mentre Hana sfogliava Cosmopolitan UK a pancia in sotto sul mio letto.
 Lei aveva origini giapponesi, entrambi i suoi genitori erano di Kyoto, trasferitisi a Londra per motivi di lavoro. La conoscevo da quando ero troppo piccola per ricordare, ed eravamo sempre state inseparabili. Infatti, la consideravo più come una sorella che come un’amica e basta.
Anche a lei avevo dovuto propinare la storia del cugino dal Maine, e non aveva battuto ciglio. Anzi, sì, e parecchie volte, ma solo perché cercava di fare colpo su Harry con il suo fascino orientale. Senza troppo successo, però.
Styles, da quando aveva saputo che Niall era il mio ragazzo, aveva cercato qualsiasi scusa per finirmi sempre appiccicato addosso come un adesivo, lasciando difficile credere che fra di noi ci fosse soltanto un forte rapporto fra cugini. E facendomi costantemente innervosire.
«Fra qualche settimana tornerà in America, Hana… non pensarci troppo» l’avvertii. La ragazza sbuffò, roteando i suoi occhi nocciola, dalla forma irrimediabilmente a mandorla.
«Che guastafeste… vabbè, vorrà dire che Liam dovrà finalmente convincersi che sono la donna della sua vita» sentenziò, voltando pagina.
Hana aveva una cotta per Payne da quando l’aveva incontrato per la prima volta a casa mia, e lui sembrava ricambiare il suo interesse… anche se non si era ancora fatto avanti. Li trovavo carinissimi insieme, ma Liam doveva darsi una mossa. Altrimenti Hana si sarebbe rivolta verso altri orizzonti.
 Improvvisamente, vidi la porta della mia camera spalancarsi. Harry fece irruzione nella stanza, con la sua solita tranquillità. Avrei anche potuto essere nuda o in mutande, e questo a lui non avrebbe fatto alcuna differenza.
«Sono forti, quei quattro» esordì, dirigendosi alla finestra come fosse in camera sua, e spalancando le imposte, lasciando che le schitarrate e gli acuti lo raggiungessero con più nitidezza. «Eppure manca qualcosa…»
«Non si usa bussare nel tuo m…» mi zittii all’istante, evitando di sparare la più grande cretinata della mia vita, davanti ad Hana. Mi corressi come meglio potei. «Nel tuo paese?» Riformulai, fingendo indifferenza.
Harry scosse la testa, sporgendosi di fuori.
«No, spiacente. Da me non esistono le porte» commentò, con malizia. Hana mi lanciò un’occhiata divertita, e poi appuntò lo sguardo sulla slanciata figura del riccio, ammirandolo.
«Basta, devono sapere che se continuano così, non andranno da nessun’altra parte» concluse, richiudendo la finestra. Si voltò, lanciandomi un sorrisetto indisponente e scompigliandosi i riccioli con la mano.
«Non mi accompagnate, bellezze?» Chiese, modulando la voce nel suo tono-da-maniaco. Stavo già per rispondergli con molta finezza, ma Hana mi precedette.
«Certo! Giusto Yasmin?» Disse la bionda, guardandomi con terrorizzante dolcezza. Quel suo sguardo era il più terribile che conoscessi. Perché accettava solo una risposta. E non era “no”, di sicuro. Sbuffai, alzandomi controvoglia.
«Forza, andiamo» mi arresi, facendo cenno ad Harry di avviarsi. Ma questi scosse la testa, facendo scivolare il braccio sulle mie spalle, sorridendo amabilmente. Gli assestai una potente gomitata nel fianco, ma lui non batté ciglio. Giusto, niente sensazioni fisiche. Maledizione!
«Siete tutti così affettuosi, nel Maine?» Chiese Hana, alzando un sopracciglio e trattenendo una risata. Harry annuì, facendole l’occhiolino.
«Specie con le cugine» rispose. Mi passai la mano sul volto, non riuscendo a capire quello che gli stesse prendendo ultimamente, e facendo mentalmente appunto a me stessa di finire quel libro. Presto. «Sai, le trattiamo come fossero le nostre ragazze».




Look at me!

Come avrete potuto ben vedere, dispongo nuovamente di un pc!!! Fuck yeah!! E quindi posso aggiornare!!
Lo so, scusatemi immensamente per il ritardo, ma ormai penso ci abbiate fatto l'abitudine, hahaha! Spero che l'attesa sia stata ripagata con questo capitolo!
Vi ringrazio come al solito, per l'immensa pazienza che dimostrate nei miei confronti e per avere comunque la costanza di seguirmi! Se non ci foste, dovrebbero inventarvi!
Ho notato una cosa importantissima: che la storia è fra le "Scelte" del sito.
Wow.
Davvero non ci posso credere. Scriverlo qui adesso mi sembra ancora surreale. 
Ma soprattutto, se questa cosa è avvenuta, è tutto merito vostro.
Dico sul serio, quando l'ho scoperto, a momenti non cascavo dalla sedia! Non vi parlerò delle urla correndo per casa perché è imbarazzante... dicevamo? Hahahah! Niente, tutto questo per ringraziarvi ancora una volta. Sì, ormai è un vizio.
Mi sa che per stasera è meglio se chiudo baracca qui, altrimenti non si sa dove finiremo... passo ai miei consueti riti di chiusura! Ringrazio chiunque abbia inserito la storia fra le seguite/ricordate/preferite e chi le legga e basta/faccia un salto veloce ogni tanto e chi recensisca! Bene! Posso lasciarvi in pace, hahahah! Come sempre, ci terrei moltissimo a sapere i vostri pareri in merito al capitolo, le vostre opinioni!
Vi lascio il mio Twitter, per chi di voi non l'avesse ancora... e Tinypic ha deciso di ordire una congiura contro di me e le mie povere gifs, quindi penso che per il momento dovrò farne a meno (ma non finisce qui, sia chiaro! -.-)... un bacione a tutti, alla prossima!!!


P.S.: il volto di Hana, l'amica di Yasmin, è quello di Beni Arashiro (una cantante jpop che io apprezzo molto... ha anche collaborato con Ne-Yo nel featuring di Let Me Love You, per chi magari la conoscesse solo di nome)!


Twitter :)

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Capitolo 7
*** VII. La Quinta Voce ***







VII.
La Quinta Voce

 
 





 
“Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri…”
ARTHUR SCHOPENHAUER
 



 
 
Arrivammo in garage giusto in tempo per l’ennesima prova dell’ultima canzone che avevano scritto qualche tempo fa. Si chiamava “They Don’t Know About Us” e l’intro prevedeva l’uso di un pianoforte. Liam era l’unico in grado di suonarlo, ma per comodità avevano registrato le prime note con l’iPhone di Niall. Quindi, ogni volta facevano partire quella, al posto dello strumento vero. E sì, era sempre il mio ragazzo a cantare la seconda parte di quella canzone.
«See, this love is only getting stronger, I don’t wanna wait any…»
«No, frena, frena, frena!»
Harry fece irruzione nella stanza, praticamente urlando. I ragazzi cessarono di suonare all’istante, guardandolo perplessi.  Zayn mi lanciò un’occhiata interrogativa, alla quale risposi con una misera alzata di spalle. In casi simili, meglio fingere indifferenza. Si avvicinò a Niall, sorridendo amabilmente. Perché potevo sentire l’eco di una catastrofe imminente?
«Ascolta, amico…» esordì, sfilandogli il microfono dalle mani. Il biondo lo fissò allibito. Mi coprii gli occhi con una mano. Non volli guardare.
«La prendi troppo alta. Vi sto sentendo da quando avete iniziato le prove, e devo dirvi che non siete affatto male» continuò il riccio. Mi arrischiai ad aprire un solo occhio, spiando fra gli spazi delle mie dita. Harry fissò il microfono con un sorrisetto impertinente, conscio dell’avere l’attenzione di tutti puntata addosso. Ti prego, non fare una cretinata…
«Ma, se continuate così, non andrete da nessuna parte. Vi manca qualcosa» concluse. Louis ridacchiò, avvicinandosi leggermente.
«E sarebbe?» Chiese, ironico. «Illuminaci, grande saggio del Maine».
Harry lo fissò, alzando un sopracciglio. Poi, si scompigliò i riccioli con una mano, lo sguardo acceso da una strana luce. Oh, no.
«Ridatemi la base» ordinò. «Presta molta attenzione, Tomlinson» lo apostrofò, prendendo il posto di Niall. Il mio ragazzo lo squadrò con freddezza, e poi prese il suo iPhone, schiacciando play e lasciando che le note del pianoforte riempissero la stanza. E poi… Harry iniziò a cantare.
Non ricordavo di aver mai precisato da nessuna parte che avesse una voce da Dio. Però era una cosa che avevo sempre voluto, per lui. Cantava come un angelo. Quel tono profondo e particolare, che di americano non aveva niente, mi stava ipnotizzando. Era tutto nel suo modo di pronunciare le “s”, di porsi verso gli altri… l’espressione che assumeva mentre modulava acuti o toni bassi a seconda del ritmo e delle parole. Sembrava nato per quello, e anche i ragazzi se ne stavano accorgendo. Lo guardavano increduli, e Niall stava perfino sorridendo. Hana mi diede di gomito.
«Tuo cugino è una vera bomba. Oltre ad essere strafigo, sa pure cantare» commentò, a mezza voce. Annuii, incapace di riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Avrei dovuto rammentare che non era un ragazzo come tutti gli altri. Avrei dovuto tenere presente che nelle sue vene scorreva inchiostro. Avrei dovuto sapere che presto se ne sarebbe andato per sempre, nelle pagine del mio libro.
Eppure, faticavo a credere possibile che quell’angelo bruno con la voce celestiale potesse non esistere davvero. Mentre eseguiva l’ultima parte del ritornello, piantò le sue iridi verde acqua nelle mie, fissandomi intensamente. Sembrava volermi dire: “vedi? Sono bravo in qualcosa che non ti saresti mai aspettata”. E aveva maledettamente ragione. Quando i ragazzi smisero di suonare, calò un breve ma pregno silenzio. Poi, Louis urlò.
«Woah!» Gorgheggiò, rompendo l’incantesimo con zelo eccessivo. «Ragazzi, che voce!» Esclamò, infilandosi il plettro fra le labbra e precipitandosi a stringere la mano ad Harry, strattonandogli con entusiasmo il braccio su e giù. Questi scoppiò a ridere di gusto. Quella scena mi parve fin troppo surreale, per tutta una serie di motivi. Zayn, che durante l’esibizione si era spostato accanto a Niall, lo fissava ammirato e Liam aveva piantato le bacchette a terra per poi alzarsi, avvicinandosi alla postazione del cantante.
In breve tempo, riversarono su Styles una pioggia di complimenti, non riuscendo a trattenersi dal fare altrimenti. Perfino io ero estasiata da come quel timbro basso e corposo riuscisse a fondersi bene con la melodia. Era innegabile, come il sole che sorgeva sempre ad est. Impossibile non notarlo.
«Insomma, capito? Devi prenderla così, non alzare troppo il tiro. E poi come ti poni, baby, il segreto è proprio lì, nella postura…» continuò Harry, gesticolando e parlando a velocità raddoppiata, galvanizzato dall’ottimo esito della sua performance, buttando nel discorso qualche parola con sguaiato -e, a mio parere falsissimo- accento americano.
«Sei proprio sicura, eh?» Mi chiese Hana, dandomi di gomito, mentre i ragazzi ciarlavano animatamente di questioni tecniche come “diaframma” e “apnea”. Mi voltai verso di lei, guardandola interrogativamente.
«Sicura di cosa?»
«Che fra qualche settimana dovrà andar via!» Sospirò, riempiendosi gli occhi della visione di Liam ed Harry che fraternizzavano, come se fossero stati amici da sempre. Annuii, impassibile.
«Già», convenni. «Deve proprio».
 
 
Dopo quella fortuita collaborazione, decisi che Harry poteva benissimo cavarsela da solo insieme al resto della band, e salii di sopra insieme ad Hana. Trascorremmo il pomeriggio a chiacchierare del più e del meno, cercando nel mentre anche di studiare; visto che il weekend non contemplava l’opzione “procrastinazione”, in ambito scolastico. Spesso, sentivamo qualche schitarrata, un assolo di batteria, o più prove di voci congiunte. Il che scandiva piacevolmente il tempo, come un calmo e ovattato sottofondo musicale. All’imbrunire, scendemmo di nuovo in garage, per chiedere ai ragazzi se avessero voluto restare a cena. E capitammo in un momento piuttosto decisivo.
«Allora, qualcuno vuole…»
«Quindi è deciso, che ne dite?»
La voce di Zayn si frappose alla mia, oscurandola e facendo in modo che si perdesse nell’aere. Non si erano neanche accorti che eravamo lì con loro. Zero. Hana ed io rimanemmo ferme accanto all’entrata, con entrambe le fronti corrucciate. Di che cosa stavano discutendo quei cinque squinternati? Ed era così importante da non voler nemmeno sapere che avrei potuto anche cucinargli la pizza fatta in casa?
«Assolutamente sì. Sarebbe un crimine fare altrimenti», convenne Liam, roteando distrattamente una bacchetta con le dita. Oh, amavo quel giochetto. Quando nessuno poteva vedermi, in camera, ci provavo spesso con le penne biro anch’io. Inutile dire che, a differenza di Payne, le povere malcapitate finivano in aria descrivendo una parabola, per poi schiantarsi a terra con soddisfazione. Avrei dovuto farmelo insegnare, un giorno.
«Grandi ragazzi, così mi piacete. Verrei lì a darvi un bacio appassionato ciascuno» aggiunse Louis, strofinandosi le mani deliziato e arricciando le labbra con charme. Emisero tutti dei versi di disgusto, simulando brividi e imbastendo delle smorfie d’orrore. Hana ed io scoppiammo a ridere. Quello lì era veramente suonato, poche storie.
«Puah, fratello, resta dove sei e non provarci nemmeno», lo rimbeccò Niall. Tomlinson mise su un’espressione da cucciolo ferito e si strinse nelle spalle, lagnandosi di “amore sprecato” e “dov’erano gli anni di Woodstock”.
«Bene!» Esclamò Zayn, battendo le mani. «Mi sembrano tutti a favore… giusto?» Chiese, occhieggiando il biondo irlandese alle sue spalle, che alzò un pollice in alto come segno affermativo. Mio fratello gli sorrise, approvando.
«Perciò… Harry, sei nella band».
 
 
Incredibile come l’entusiasmo maschile sia difficoltoso da contenere. Appena dopo l’ufficiale ammissione del riccio nel gruppo, mi parve di esser finita in uno stadio di football, tanto fu il fracasso che fecero. Riuscii a farmi notare soltanto dopo dieci interminabili minuti di urla, salti, abbracci fraterni ed esclamazioni in raffazzonatissimo slang americano, ottenendo di dover preparare un quantitativo decisamente indefinito di pizza per cena. Così, Hana ed io ci rimboccammo le maniche, abituate come di consueto ai regimi delle cene in casa Malik. Tenendo sempre ovviamente conto di triplicare la razione di margherita, perché a Louis erano state donate una S di taglia, una XS di cervello e una XXXL di stomaco, con relativa fame atavica a sottolineare il tutto.
Ad ogni modo, fu una serata relativamente tranquilla, in cui Harry ostentò ai massimi livelli il suo essere “l’umano cugino del Maine”. O almeno, fino al momento in cui anche l’ultimo degli ospiti non ebbe lasciato la casa, e lo ritrovai steso in terra fissare il soffitto, beato. Non avevo fatto in tempo nemmeno a chiudere la porta, che l’avevo sentito tirar fuori un sospirone così corposo che sembrava gli fosse uscita perfino l’anima, dai polmoni. Mi ero voltata, e l’avevo visto sul pavimento, con le braccia placidamente aperte e le dita intrecciate sotto il capo, in atteggiamento di completo relax.
«Voglio supporre che la tua posizione sia opera dal libero arbitrio…» commentai, lanciandogli un’occhiata indagatrice, mentre lo vedevo annuire sorridendo. Spostai un paio di bicchieri di plastica con il piede, facendomi strada attraverso il parquet minato di residui alimentari della serata appena trascorsa.
 «E non solo! A tenermi ben fermo qui, c’è una cosa fantastica chiamata “gravità”. La quale, in questo mondo, funziona splendidamente», rispose, stiracchiandosi in pace con se stesso.
Raggiunsi il divano, sprofondandovi sopra e ondeggiando per qualche istante, lasciando che le molle cigolassero per protesta. Il salotto era un perfetto esempio di località reduce da una calamità naturale, con piatti sporchi in ogni dove, posate, bicchieri e bottiglie di birra nei posti più improponibili. Da seduta, il lerciume spiccava ancor meglio. Già sentivo la disperazione di dover ripulire tutto. Zayn aveva ingegnosamente deciso di accompagnare Niall a casa, lasciandomi da sola alle prese con le macerie domestiche. Che sarebbero rimaste lì ancora per un minuto o due. Chiusi gli occhi per protesta, distendendomi sullo schienale del divano. Era stata già una giornata decisamente lunga.
«Sai» riprese Harry, il che mi fece spalancare nuovamente le palpebre, per prestargli la dovuta attenzione. Guardava il soffitto, il volto semi nascosto dai riccioli color cioccolato, il profilo orizzontale del suo corpo, le gambe lunghe e slanciate. Riflettei che la mia fantasia aveva fatto proprio un bel lavoro, nel tirarlo fuori. «Non mi divertivo così da una vita».
«Beh…» fui per dargli ragione, ma poi mi ricordai di alcuni episodi fondamentali, bloccandomi e riservandogli un’occhiata contrariata. «Ma scusa, e la festa di Amber? È stata lo sballo più assoluto della scuola, hai fatto di tutto!» Protestai, indignata. Mi ero così tanto impegnata per quel passaggio, da dedicare più ore alla cura di due pagine di Word che alla scuola.
«Per niente», proferì lui, lapidario. Poi, si voltò s’un fianco, puntellando il gomito sul pavimento e fronteggiandomi faccia a faccia, mentre raccoglievo le ginocchia al petto e già mi preparavo a difendere i miei diritti.
«Ascolta, c’è una cosa fondamentale che devi capire» esordì, piantando quei suoi due occhioni verde acqua nei miei, con un’espressione così sorprendentemente seria che mi stupì alquanto. «Noi personaggi abbiamo un’identità» disse, premendosi una mano sul petto, enfatizzando il concetto. «O almeno, è ciò che otteniamo se il nostro creatore è particolarmente dotato. Quello che sto cercando di dirti, è che se il nostro carattere è plasmato secondo dei parametri particolari, alcune cose potrebbero non piacerci. Mi segui?» Chiese. Annuii, curiosa di sapere dove sarebbe andato a parare, nonostante l’evidente inappuntabilità del discorso.
«Io sono un tipo poliedrico, misterioso, per nulla serio e oscuro, questo te lo concedo» specificò, con una certa dose di autocelebrazione. «Ma, dannazione, non farmi fare scherzi stupidi ad una mediocre festa liceale, come se fossi il Puck1 di turno. Sono un angelo caduto, non il folletto della regina delle fate. Non me ne frega un cazzo di mettere il sale nel punch, di nascondere i preservativi a Neil O’Connor e di giocare al Bravo Illusionista con Fiamma. A quella non gliene importerà mai un fico delle mie abilità» seguitò, sfogandosi con franchezza. «Non è detto che ciò che la tua fantasia costruisca secondo la tua idea di accettabile, lo sia veramente anche per i tuoi personaggi».
«Eppure, mi sembrava che il tuo carattere si prestasse bene al plot originale di quella festa».
«Perché tu hai voluto imbrigliarlo a tutti i costi. Obiettivamente, come sarebbe possibile per un pluricentenario trovare divertenti certe cretinate da ragazzini? Non hanno stile, non si sanno divertire» esclamò, puntualizzando.
Il suo discorso finì per sconvolgermi nuovamente. Per la seconda volta nell’arco di quarantottore, il mio stesso personaggio, che avevo plasmato con la mia mente, dipinto con le mie mani parola dopo parola, mi stava dimostrando che non lo conoscevo minimamente. Avevo finito per appiattire il suo carattere, stereotipandolo in quello di un giovane adulto con l’umorismo di un bambino di sette anni, che si divertiva a dar sfoggio della propria dubbia perfidia con scherzi idioti e inutili prove di abilità. Me ne accorgevo solo in quel momento, aveva maledettamente ragione. Avevo faticato così tanto per dargli uno spessore considerevole, un’anima, per poi assottigliarla alla prima occasione. Ero senza parole.
«Io… non me ne sono mai accorta», commentai, cercando di contenere la costernazione che doveva essersi impossessata del mio volto. Harry si strinse nelle spalle con fare noncurante, abbassando lo sguardo e giocherellando con una forchetta di plastica abbandonata nei suoi pressi.
«Eri distratta. Non vedevi l’ora di concludere il capitolo e liberarti di quel passaggio che già t’aveva annoiata. Lo sentivo, battitura dopo battitura. Ma non avrei mai potuto protestare, dal fondo della pagina» disse, con fredda ironia, senza alcuna inflessione nella voce. «Nessuno conosce la propria scrittura e i propri personaggi bene quanto gli autori stessi. Eppure, a volte sembrano smarrire i punti fissi che hanno costruito con tanta fatica, cadendo in ovvie banalizzazioni e uscendo fuori da quello che invece sarebbe potuto essere il vero svolgimento della trama» spiegò. E finì per sollevarsi a sedere, stiracchiandosi per la seconda volta, sbadigliando in modo così libero e sguaiato che temetti una slogatura di mascella, per lui. Poi, si passò una mano fra i riccioli, scompigliandoli e mi rivolse un sorriso.
«Non prenderle come critiche o accuse, nei tuoi confronti. Solo… era giusto che lo sapessi» aggiunse, accarezzando il mio ginocchio con fare fraterno. Ricambiai il suo sorriso con poca convinzione, mentre lui si alzava e mi dava un buffetto affettuoso sulla guancia.
«E adesso, prima che Mister Simpatia torni e cominci a farti la ramanzina per tutto il disordine, vado a sfilare un testo dalla sua libreria. Ha una fantastica enciclopedia del rock, che sto puntando da ben due giorni. Capiscimi, è adesso o mai più» commentò, un ghigno dispettoso dipinto il volto e l’aria malandrina nello sguardo. «Mi raccomando… acqua in bocca» m’intimò, lanciandomi un ammiccante occhiolino e sparendo su per le scale, mentre annuivo alzando le mani in segno di resa. Nonostante la sua assenza e il salotto che urlava per essere rimesso a posto, non potei fare a meno di pensare e ripensare a ciò che Harry mi avesse detto poco prima, per tutta la notte.
 
 




1. Personaggio di "Sogno di una Notte di Mezza Estate" di William Shakespeare. Spiritello dei boschi al servizio del Re delle fate, specializzato in scherzi dal sapore anche grottesco.



 
Nota: sono passati due anni. DUE, santo cielo. Non mi ero proprio accorta di tutto questo scarto di tempo. Credo forse che sia opportuno spendere qui due parole in merito a tutta questa vicenda. In corso di pubblicazione, ci sono stati un bel po' di problemi riguardo a questa storia.
Proprio come Yasmin, anche io non riuscivo più a proseguire, come se ogni più insignificante parola che aggiungessi, fosse inutile e scialba. E ciò ha richiesto per me un lungo periodo di riflessione, nel quale sono successe tante cose. Io sono cresciuta, ho avuto la possibilità di fare esperienze che hanno cambiato il mio modo di scrivere e il mio stile è maturato. Ho rimesso mano a questa storia quando ho capito che potevo essere pronta per farlo. Non vi chiedo di perdonarmi questa attesa improponibile, perchè so già che non è possibile. Vorrei soltanto che questa long non ne risentisse, perché ci sono estremamente legata e andando avanti nella lettura capirete anche il motivo del mio allontanamento.
Ho letto ognuna delle vostre recensioni e dei numerosissimi messaggi in cui m'invitavate a riprendere in mano le fila del discorso e perdonatemi se sono stata in grado di farlo solo adesso. Però... meglio tardi che mai, no?
Voglio augurarmi che il mio cambiamento di stile non sia per voi un problema, mi sono sforzata il più possibile di rendere godibile e scorrevole il testo, pur non potendo evitare lo scarto dall'inizio del capitolo (scritta due anni fa) e la fine (scritta di recente). Prendete questi nuovi capitoli come un tardivo ma riconciliante regalo di Natale e non pensiamo più al passato! Ed ora, lasciatemi fare i miei dovuti ringraziamenti a chi leggerà oggi la storia, a chi già lo faceva, ma soprattutto a chi ha avuto lo spirito di aspettarmi, quando nessuno -nemmeno la sottoscritta- avrebbe scommesso sul mio ritorno. Vi ringrazio davvero di cuore, ciascuno di voi . Holly è qui.

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Capitolo 8
*** VIII. Punti di Vista ***








VIII.

Punti di Vista

 
 




 
“Ci si mette a scrivere di lena, ma c'è un'ora in cui la penna non gratta che polveroso inchiostro, e non vi scorre più una goccia di vita, e la vita è tutta fuori, fuori dalla finestra, fuori di te, e ti sembra che mai più potrai rifugiarti nella pagina che scrivi, aprire un altro mondo, fare il salto. Forse è meglio così: forse quando scrivevi con gioia non era miracolo né grazia: era peccato, idolatria, superbia. Ne sono fuori, allora? No, scrivendo non mi sono cambiata in bene: ho solo consumato un po' d'ansiosa incosciente giovinezza. Che mi varranno queste pagine scontente? Il libro, il voto, non varrà più di quanto tu vali. Che ci si salvi l'anima scrivendo non è detto. Scrivi, scrivi, e già la tua anima è persa.”
ITALO CALVINO

 
 
 

 
 
Il mattino seguente fui la prima a svegliarmi. Ancora con gli occhi semichiusi, mi volsi con indolenza verso la sveglia silenziosa sul comodino e poi trasalii, in un accesso di lucidità post-sonno. Mezzogiorno e mezza. Tardissimo. Sì, dovetti riconoscere a me stessa che, la sera precedente, Zayn ed io avevamo finito di rendere la casa presentabile non prima delle cinque, aiutati anche da Harry. E che poi ci eravamo stancamente trascinati a letto con la stessa voglia di vivere di due zombie reduci dall’apocalisse, privi di ogni linfa vitale, comunicando a mugugni e monosillabi. Ero crollata prona sul letto senza nemmeno infilare il pigiama. E non ricordavo di essermi messa sotto le coperte. Eppure, mi ero svegliata con un caldo plaid appoggiato sulle spalle, chiedendomi quale anima pia avesse avuto la prontezza di spirito di mettermelo addosso.
Mi sollevai a sedere con una velocità di riflessi degna di un bradipo in letargo, passandomi stancamente una mano sul volto, patendo le molte ore di sonno arretrate. Da due giorni a quella parte, faticavo sempre un po’ a rendermi conto che, nella nostra casa, albergava una terza persona. Che poi, definirla “persona” era un termine piuttosto riduttivo, ma almeno in apparenza lo sembrava a tutti gli effetti. A volte mi chiedevo se fosse tutto reale o parte di un grande evento onirico, ma poi ricordavo che anche mio fratello e i suoi amici vedevano e parlavano con Harry, e che quindi non poteva essere tutto frutto della mia mente sbadata.
Ripensai anche alle parole che mi ebbe rivolto prima di intrufolarsi in camera di Zayn, sugli episodi e la caratterizzazione dei personaggi. Mi resi conto, per la seconda volta, quanto potessi aver trascurato le mie creazioni, da indurle perfino ad uscire da un computer in una notte di pioggia. Il mio sguardo corse al vecchio pc inutilizzabile, che giaceva senza vita in un angolo della scrivania come un reliquiario, o un tempio in cui nessuno metteva più piede. Poi, mi scossi e decisi di dare un senso alla mia giornata. Cambiai i vestiti che avevo indosso, sostituendoli con una tuta slargata molto più comoda e mi legai i capelli in una coda alta, calandomi appieno nella perfetta mise da casa e scesi al piano terra.
Passando, notai che la porta della camera di Zayn era semichiusa e intravidi mio fratello dormire ancora profondamente, in una posizione improbabile e piuttosto sbragata, avendo calciato via perfino coperte e cuscino. Trattenni una risata e mi avventurai oltre la rampa di scale, per poi scoprire che anche l’ambiente inferiore era deserto. Non avevo visto Harry da nessuna parte e cominciai a domandarmi dove fosse. Finché non notai un biglietto appeso al frigo grazie ad una calamita, che conteneva poche righe vergate a mano, in una calligrafia stretta, sottile ed elegante, prettamente maschile.
 

 
Visto che questo posto assomiglia di più alla reggia della bella addormentata che ad una casa, vado a farmi due passi nel circondario, finché dura il bel tempo. Ho preso le chiavi di Mister Simpatia, spero che non si offenda per quest’affronto (non una parola sul libro o rimpiangerai di avermi creato). Non divertirti troppo in mia assenza, soprattutto se si tratta di cose che potrebbero piacermi!
A dopo, mon amour.
H”
 
 

 
Che poesia. Soprattutto la velata minaccia e le due spicciole parole in francese. Non ricordavo di aver mai precisato che sapesse parlare più lingue, ma magari in più di cent’anni di vita qualcosa si dovrà pur fare, per passare il tempo.
Ad ogni modo, dopo aver fatto una parca colazione in completa solitudine, decisi di occupare abusivamente il tavolo della cucina e avvalermi di quei preziosi momenti di quiete per ridare un’occhiata a tutto il lavoro di stesura de “L’Angelo Caduto”, sapendo di poterlo analizzare sotto occhi nuovi. Fortunatamente, avevo salvato tutti gli ultimi progressi su diverse pennette USB, in caso di sfortunati eventi. Così, mi appropriai del laptop di Zayn e, inforcati gli occhiali da lettura, cominciai ad ispezionare il materiale. Lavorai ininterrottamente per ore, cancellando e riscrivendo parecchi passaggi, incorporando modifiche, plasmando le azioni su quello che sarebbe stato il vero carattere di Harry, modificando situazioni e variando più parti della trama. Copiai anche le poche pagine che ero riuscita a buttar giù nel parco il giorno prima, riuscendo finalmente a sbloccare quell’insormontabile ostacolo della frase lasciata a metà e il terribile horror vacui della pagina bianca al di sotto. Mi sentii ampiamente soddisfatta di me stessa, forse potevo intravedere la luce alla fine del tunnel.
Tuttavia, lo squillo acuto del telefono di casa mi fece sussultare, distraendomi dalla mia full immersion nel mondo di Harry Styles. Mi precipitai a rispondere, augurandomi di far presto.
«Sì?»
«Buongiorno, principessa» mi salutò una cordiale e calda voce dallo spiccato accento irlandese, scatenando il portentoso effetto di dipingere un sorriso sulle mie labbra. Mi appoggiai al ripiano della cucina, arrotolandomi il filo attorno al dito. Sarei rimasta ad ascoltarlo parlare per ore. Aveva un tono talmente placido, morbido e melodioso, che non avrei mai smesso di udire. Come la canzone alla radio per cui avrei alzato sempre il volume.
«Ora sì che è buono» commentai, sentendolo ridere dall’altro capo del filo.
«E potrebbe anche migliorare».
«Come?»
«Hai da fare?» Chiese, con leggerezza. Quelle tre semplici parole ebbero il potere di sconvolgere tutti i miei piani. Sicuramente mi avrebbe proposto di uscire e a me non sarebbe certo dispiaciuto. Ma poi lanciai un’occhiata allo spartano portatile di mio fratello, ancora aperto alla pagina su cui stavo lavorando, ricordandomi il fortuito colpo di ispirazione che mi aveva colto come il canto di una musa.
Interrompere la scrittura sarebbe stato come troncare a metà il busto di una piantina che stava lentamente ricrescendo. E, improvvisamente, l’immagine di due profondi occhi di un limpido verde acqua mi rimandò uno sguardo accusatorio dal retro della mia mente. Harry. Il cui tempo non era infinito, sulla Terra. Non potevo abbandonarlo così. Andare a divertirmi sarebbe stato per me gravoso come bigiare scuola per scorrazzare nell’Harrods più vicino. Mi parve una terribile mancanza di rispetto e un dovere disatteso nei suoi confronti.
«Yasmin? Sei ancora lì?» Domandò Niall nuovamente, allarmandosi lievemente. Mi riscossi dal turbinio di pensieri che aveva investito la mia mente, battendo le palpebre.
«Ehm, sì…» cincischiai. «In realtà, sarei occupata, in questo momento» dissi, per nulla convincente.
«A far che?» S’interessò lui, incredulo. Strinsi gli occhi, racimolando quel poco di capacità di mentire che avevo guadagnato nel corso degli anni, il che era paragonabile al livello del mare. Ovvero zero.
«Domani avrei una verifica di letteratura inglese… e sono rimasta indietro con la lettura di Cime Tempestose» mentii, sentendomi tre volte bugiarda: la prima, perché quel romanzo lo avevo già letto e riletto; la seconda, perché l’indomani non avrei avuto alcuna verifica e la terza perché non rimanevo mai indietro, con la lettura.
«Potrei aiutarti io! L’epoca vittoriana era il mio forte, saresti in buone mani» si offrì, molto conciliante. Mi coprii gli occhi con la mano, sentendomi un essere spregevole.
«Si è già offerto Harry… nel Maine sono arrivati alla Lettera Scarlatta». Quelle parole furono come una coltellata, per il povero Niall. Rimase in silenzio per alcuni istanti, incamerando il colpo. Avvertii il senso di colpa per ogni secondo che passava senza rispondermi.
«Se così stanno le cose…» si limitò a dire, piuttosto freddamente. Sospirai, molto a malincuore.
«Mi spiace, Niall. Prometto che mi farò perdonare» contrattai, pregando che non se la prendesse più del dovuto.
«Certo. Ci riesci sempre» commentò, incolore. Mi morsi il labbro, maledicendomi per la mia pochezza di spirito.
«Ti chiamo più tardi» provai, come ultimo tentativo di stipulare un trattato di pace. Mi rispose con un secco “mh-mh” e riattaccò. Sospirai, posando la cornetta con una tal flemma da stupirmene. Ripensandoci, da parte sua, una reazione simile mi sembrava eccessiva. Avevamo passato tutta la scorsa serata insieme, senza separarci mai. Forse, la radice del problema risiedeva nella figura di Harry.
Mi strinsi nelle spalle, mentre riprendevo posto dinanzi al pc. Non era colpa mia se lui era geloso del “cugino del Maine”. Avrebbe dovuto riporre fiducia nelle mie buone intenzioni e nell’affetto parentale, al posto di sentirsi istigato senza motivo. E, quasi come se avesse sentito il rumore dei miei pensieri, udii l’inconfondibile suono di una chiave che girava nella toppa, vedendo la porta d’ingresso aprirsi e riversare nell’ingresso un Harry intirizzito, con la punta del naso arrossata e un’aria estremamente gioiosa.
«Buongiorno!» Mi salutò con brio, appendendo le chiavi di Zayn al loro solito posto e sfilandosi il cappotto.
«L’ultima volta che mi è stato detto, poi è finita male» commentai, con involontaria acredine. Infatti il riccio mi riservò un’occhiata contrariata e insieme interrogativa, raggiungendomi in cucina. Si sfregò le mani intirizzite dal freddo, scostando una sedia con il piede.
«Mi dispiace, tesoruccio», disse conciliante, mentre si sedeva senza compostezza. «Ma sono troppo felice per lasciarmi rovinare la giornata dal tuo malumore», aggiunse.
«Come mai quest’allegria improvvisa?» Domandai, incuriosita da un simile sfoggio di brio.
«Non lo so, dimmelo tu» rispose, piantando un gomito sul tavolo e fissandomi con espressione maliziosa. Il che, sul suo volto pittoresco e angelico, ebbe lo spiacevole effetto di provocare una piccola rincorsa al mio cuore, imporporandomi le guance. Ma cosa…?
«Io? Che intendi?» Cincischiai, nascondendomi dietro il pc.
«Qualche ora fa, ho provato la meravigliosa sensazione di rinascere magicamente. Mi sentivo riposato, fresco, come se qualcuno mi avesse risistemato tutte le ossa del corpo con un massaggio, per intenderci» spiegò. «Hai fatto qualcosa al romanzo», suppose, con certezza. Annuii, meravigliata.
«Ho riscritto alcuni passaggi, ricordandomi di ciò che mi avevi detto ieri. E la storia ha ripreso a fluire».
«Splendido!» Esclamò, levandosi in piedi con impeto e schioccandomi un sonoro bacio sulla guancia. M’imbarazzai ancor di più. «Ecco perché mi sento così bene», ragionò, cominciando a camminare avanti e indietro distrattamente.
«Non pensavo che gli effetti potessero essere così immediati», riflettei, più per me stessa che per farlo sapere a lui. Fece un cenno affermativo col capo, senza fermarsi, lasciando che i riccioli ondeggiassero armoniosamente seguendo i suoi movimenti.
«Ogni progresso che tu fai per la storia, è un passo avanti verso la strada di casa» disse. «Anche se, pensandoci bene, questo mondo è il più bello che io abbia mai visto».
«Perché?»
«Non c’è una motivazione precisa. È tutto così meravigliosamente reale, genuino. Non mi sono mai sentito così vivo. Il profumo del pane appena sfornato e dei cornetti caldi nei bar. Il freddo sulla pelle, il crepitio delle foglie secche sotto i piedi e i loro colori tanto forti, palpitanti» elencò, con un’espressione di così sincera fascinazione negli occhi da lasciarmi senza parole. Come un bambino che veda per la prima volta il parco giochi, o un cieco che riacquisti la vista e veda quanto è bello ciò che lo circonda.
Il suo entusiasmo ingenuo mi provocò una strana stretta allo stomaco. Qualcosa di molto simile ad un affetto che andava oltre la mia stessa comprensione. Era lì, con le iridi lucide, le guance accaldate, il sorriso pieno e brillante, i tratti distesi. Non avrei mai potuto creare una cosa simile neanche impegnandomi per una vita intera.
«Come se avessi per la prima volta scoperto tutte le sfumature dell’arcobaleno, in una vita di grigio» aggiunse, appollaiandosi sul tavolo della cucina e lasciando ciondolare le gambe avanti e indietro.
«Harry, ma anche io ti avevo donato un mondo come questo», non potei esimermi dal fargli notare. Ma lui mi riservò un’occhiata così eloquente e carica di significati nascosti, da farmi rimpiangere di averglielo detto.
«Rispondi a questa semplice domanda, Yasmin», disse, semiserio. «Per quale ragione scrivi?», chiese. Così. Semplicemente. Diretto, senza fronzoli, giri di parole.
«Perché me lo stai chiedendo…»
«Rispondi e basa».
Ci ragionai un momento. E forse anche più d’uno. Per quale ragione continuavo a riempire pagine e pagine di caratteri neri, che, presi singolarmente non significavano nulla? Quale oscura ragione mi spingeva ad assemblare parole come fossero giocattoli o fili di una grandissima e variopinta tela di ragno?
«Perché mi piace», sparai, su due piedi. Ricevetti un’occhiata incolore.
«È davvero una motivazione stupida», commentò Harry. «Puoi fare di meglio, concentrati. Come per la mela».
Mi presi altri due minuti di mutismo. Non sapevo forse fornire una risposta migliore di quella?
«Okay, ascoltami», m’interruppe lui, sollevandomi il mento con due dita, avendo abbassato il capo per concentrarmi meglio. Mi costrinse a focalizzare tutta l’attenzione su di lui e sul suo volto, che esprimeva una maturità del tutto inedita. «Non mi sorprende che tu mi abbia detto quella… cosa», scandì con disgusto, «la prima volta. È proprio questo il punto. Il vero motivo per cui tu non riuscivi ad andare più avanti con il romanzo, non era la mancanza d’ispirazione. Anche, forse. Ma non in maniera determinante». Seguitai ad osservarlo senza interromperlo, mentre lui mi spostava dal viso una ciocca sfuggita all’elastico.
«La vera causa del tuo blocco, è la perdita del concetto di scrittura. Tu scrivevi per abitudine. Lo si nota benissimo nelle ultime due pagine prima di quella famosa frase troncata a metà. La mancanza di descrizioni, il corpo scarno basato solo su azioni e dialoghi, la perdita di quella freschezza e prontezza di battute. Paradossalmente, non te ne fregava più molto di narrare la storia. T’interessava di più finirla, per levarti un peso» e fece una pausa, soppesando bene le parole. «La scrittura è un piacere, prima di tutto. Non è mai un dovere. Nessun tipo di arte è un dovere. E tu dovresti saperlo bene. Avevi perso quella solita cura per il dettaglio, l’amore per i particolari, la finezza stilistica. Ho visto letteralmente desertificare il mio mondo, passando da un’accettabile riproduzione del reale ad una landa piatta e incolore. La mia vita, qui» sottolineò, battendo le nocche sul tavolo, «è corposa e pregna, ma non è reale. Il mio mondo è nel libro, ma si è indebolito così tanto da finire per sputarmi fuori. La tua era una vista speciale, perché riusciva a cogliere l’essenza delle cose e a trasferirle sulla carta. Ma poi hai perso tutto lungo la strada. Ti sei abituata ad osservare senza vedere. Il mondo va guardato ogni giorno con gli occhi di un bambino e la saggezza di un adulto. Altrimenti non riuscirai mai a scrivere delle belle storie. Mai».
Non potei ribattere nulla, perché non avevo la forza. Quell’essere di carne e inchiostro sembrava avermi affondato le dita nell’anima e giocato con i fili, riparando quelli sfilacciati e intessendo un intreccio nuovo. Diceva la verità, dalla prima all’ultima sillaba e io non potevo far altro che ascoltare in silenzio, perché non avevo alcun diritto di replicare. L’avevo danneggiato a tal punto da costringerlo a venire nel mio mondo per darmi una sonora strigliata.
«L’abitudine è la nemica dell’arte, Yasmin», mi disse, allungando una mano e accarezzandomi dolcemente una guancia. Chiusi gli occhi, abbandonandomi a quel tocco confortevole e alla sua voce roca, desiderosa di riavvolgere il nastro del tempo per poter evitare tutti gli errori che avevo commesso. «Ma non è finita. Puoi recuperare ogni mancanza, e al meglio. Sono qui per aiutarti e la mia permanenza sta dando i suoi frutti. Oggi sono riuscito finalmente a provare sensazioni fisiche. Riesco a sentire la tua pelle fresca, morbida e liscia sotto i miei polpastrelli» aggiunse, ritirando la mano con dolcezza, costringendomi ad aprire le palpebre. «Ed è tutto grazie alla nuova cura che stai mettendo al romanzo».
«Quindi mi stai dicendo che… più scrivo e meglio… più tu riuscirai ad acquistare umanità?» M’informai, incuriosita da quei nuovi sviluppi. Lo vidi annuire, con seguente ondeggiare di riccioli scuri e sorrisetto furbo.
«Vuoi farmi sentire cosa si prova con un bacio vero?» Chiese, con malcelata malizia.
«Non nella mia cucina», sentenziò la voce di Zayn, che si era appoggiato allo stipite della parete ad arco e ci guardava con cipiglio autoritario.
«C’è sempre un uomo che mi rovina la festa, non importa in quale universo mi trovi», borbottò Harry sbuffando. Scese dal tavolo con un agile balzo, agguantando una mela dal ripiano della frutta poco lontano e sparendo in salotto. Non prima di avermi lanciato il consueto occhiolino e mimato un “ne riparliamo dopo” in labiale. Mio fratello gli rispose con un verso di puro sarcasmo, passandosi una mano fra i capelli e facendosi strada verso i fornelli.
«Da quanto sei qui?» Gli chiesi, stiracchiandomi sulla sedia.
«Abbastanza da aver sentito tutto» rispose, armeggiando con il bollitore per prepararsi un tè.
«E… cosa ne pensi?» M’informai, sfilandomi gli occhiali da lettura e salvando gli ultimi progressi su Word. Zayn si prese qualche momento per riflettere, prima di rispondermi.
«Credo che abbia ragione. Alla fin fine, è lui che vive nei racconti che crei, non io. Immagino che ciò che dica sia nei suoi interessi, ma soprattutto nei tuoi» disse, aprendo una bustina di Twinings e lasciando a mollo il sacchetto nell’acqua. «Sai, quel demone riccioluto è molto più intelligente di quello che sembra. Non ci avrei scommesso nemmeno mezzo pound, però».
«Grazie!» Esclamò un’impertinente voce conosciuta dal salotto, con evidentissimo sarcasmo. Scoppiammo entrambi a ridere, colti dall’ironia del momento.
«Ehi, credevi che me li costruissi stupidi? Con quest’esempio magistrale che ho per fratello?» Gli domandai, mentre mi alzavo per stringerlo in un abbraccio.
«I tuoi esempi sono molto discutibili, Yasmin! Ti suggerirei di cercarne altri più efficaci!» Inveì nuovamente Harry, intromettendosi ancora nella conversazione.
Zayn ridacchiò, cingendomi la vita con le braccia e appoggiando il mento sul mio capo.
«Hai proprio ragione, sorellina. Come sempre».
 

 


Nota: Eccoci all'ottavo! Devo annunciarvi che ci stiamo approssimando alla fine, non manca ormai molto. In questo capitolo è molto facile rintracciare tutte le motivazioni che mi hanno spinta a posticipare la pubblicazione del seguito di questa storia, quindi prendetelo come il modo migliore di cui disponevo per spiegarvi tutto. Vi ringrazio infinitamente per l'accoglienza e per aver continuato a seguire l'intera vicenda! Ma soprattutto, il mio ringraziamento va a chi, vecchio o nuovo che sia, abbia avuto la costanza di arrivare a leggere fin qui (e magari mi avesse lasciato anche la sua opinione in merito, non so se possa andar tutto bene come prima o abbiate notato cose sulle quali ci sia da rimostrare, ecco)! Alla prossima e aspettatevi dei nuovi lavori in arrivo... molto molto presto

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Capitolo 9
*** IX. Umano ***







IX.
Umano

 




 
Le persone sono come le vetrate colorate. Scintillano e brillano come il sole, ma quando cala l’oscurità rivelano la loro bellezza solo se c’è una luce all’interno”.
ELIZABETH KÜBLER-ROSS
 
 
 
 
 
Alcune settimane dopo, sia Zayn che io ci eravamo ormai completamente abituati alla chiassosa presenza di Harry Styles in casa. Alla sua rassegna mattutina di Mtv Rock, ai suoi furti in libreria e alla sua predilezione per le mele, che mangiava in ogni momento della giornata. E, quando non poteva reperirle, si assicurava di avere sempre pronta una scorta di succo in credenza.
Il romanzo faceva progressi enormi, tanto da portarmi ad una buona prossimità dalla fine. Scrivevo ogni giorno, riscoprendo il piacere di farlo e di dare profumo e colore alla vita dei miei personaggi. Harry ebbe sempre meno bisogno di darmi consigli o farmi notare delle mancanze sulle quali avrei dovuto lavorare. Stavo ingranando la marcia e non avrei potuto sentirmi meglio. Anche gli amici di mio fratello avevano cominciato ad apprezzare estremamente il “cugino del Maine”, soprattutto Louis. Quei due erano sempre insieme a fare pazzie o a combinare eventi di dubbia sanità morale e intellettuale, a volte sparivano per giornate intere. Eppure, quell’amicizia non dispiaceva né a Zayn né a me, anzi. La band faceva passi da gigante, anche perché Harry era piuttosto bravo a scrivere testi, ed erano già arrivati a quota cinque, abbastanza per produrre un EP. Ma, per il momento, si accontentavano tutti di cercare posti in serate e locali dove esibirsi.
L’unico grande problema di tutto questo idilliaco periodo, fu Niall. La sua gelosia nei confronti di Styles aveva oltrepassato i massimi storici, tanto da spingerci spesso a discussioni inutili su quanto lo stessi trascurando a discapito di mio cugino. Si lamentava del fatto che non uscissi spesso la sera, che non gli dessi la stessa importanza di prima. Il che, mi parve abbastanza surreale da proporgli un periodo di pausa, se proprio doveva vederla in quel modo. Potevo capire il senso maschile di competizione, era perfettamente naturale. Ma che lui mi accusasse di colpe che non avevo, era intollerabile. Tanto più che anche Zayn provava a farglielo notare, di volta in volta. Ma la gelosia era come un verde velo che gli appannava la vista, costringendolo a vedere solo parzialmente la realtà delle cose. E spesso, non era nemmeno la parte obiettiva. Ad ogni modo, al solo nominare “il periodo di pausa”, i suoi ribollenti spiriti subivano una doccia ghiacciata, che li costringeva a dominarsi per un paio di giorni almeno. Il che mi consentiva di provargli quanto identica fosse la nostra situazione rispetto a quando il riccio era arrivato.
Un mattino, nel bel mezzo della lezione di scienze, ero talmente presa dalla considerazione di tutte queste problematiche, che non mi presi nemmeno la briga di ascoltare la docente. Sproloquiava dei processi di riproduzione cellulare, una barba inaudita, che non mi sarebbe mai servita nella vita e non avrebbe suscitato il mio interesse nemmeno se avesse avuto la biografia di Johnny Depp come chiave di lettura. Hana, seduta accanto a me, disegnava manga giapponesi sul suo quaderno, colorandoli con i pantoni. Rimasi incantata nell’osservare con quanta cura definisse ciascun tratto, passando con sapienza il pennarello per ottenere una colorazione omogenea e gradevole. Niente da fare, ce l’aveva proprio nel sangue.
Rivolsi lo sguardo fuori dalla finestra e per poco non cacciai un urlo. Perché il volto di Harry Styles mi fissava sorridente dall’altra parte del vetro. Lo guardai stupita, prima d’incenerirlo con un’occhiataccia e bisbigliare “vattene” gesticolando come un’ossessa. Hana si accorse dei miei movimenti inconsulti e sollevò il capo dal proprio quaderno. E proprio in quel momento comparve anche Louis, accanto al riccio. La mia amica pensò bene di salutarli con un paio di occhiate ammaliatrici da geisha e lanciandogli dei baci volanti sulle dita. Che quei due idioti fecero finta di acchiappare al volo, saltando da una parte all’altra, suscitando le risatine sommesse di mezza classe.
«Malik e Watanabe!» Esclamò la docente, con una tale stizza e foga da farci sussultare sulla sedia ed esclamare “sissignora!”, involontariamente.
«State disturbando la lezione, se avete urgenza di ballare, esternatela fuori da questa classe!» Abbaiò, con rabbia.
«Ma professoressa, non è colpa nostra! Ci sono due pazzi, qui fuori…» cincischiai, mentre la donna si alzava per controllare.
«State bene attente a quel che dite», minacciò, ticchettando fino al nostro banco e sporgendosi verso la finestra. Peccato che, proprio un attimo prima che potessero essere in visuale, i due ragazzi non avessero avuto il perfetto tempismo di nascondersi sotto il davanzale, appiattendosi contro il muretto. Ottenendo come risultato che la Reynolds si sporgesse a destra e sinistra, senza veder nulla.
«Qui fuori non c’è proprio nessuno» constatò, con acredine.
«Che figli di puttana…» bisbigliai, al limite dell’incredulità.
«Cosa hai detto, signorina?!» Mi chiese, furente, avendo captato ovviamente solo la parte peggiore del mio sfogo involontario.
«Nulla, signora Reynolds, esprimevo il mio disappunto per l’arguzia maschile spesa sempre nei momenti più importuni» spiegai, ostentando uno sfoggio di cultura per evitare il peggio. Che fu, però, inutile.
«Ah, davvero? Beh, allora puoi benissimo accomodarti fuori ad esprimere tutto quello che ti pare, e a non farti più vedere qui dentro per il resto della lezione!» Disse, praticamente urlandomi in volto. «E vale anche per te!» Aggiunse, puntando il suo ossuto indice accusatorio da arpia contro Hana, che stava facendo di tutto pur di non scoppiare a ridere. Annuii, cercando di reggere il colpo con quanta più dignità potessi, trascinandomi via la compagna di banco prima che fosse troppo tardi. E appena mi richiusi la porta dell’aula alle spalle, la ragazza scoppiò in una risata così fragorosa che dovemmo scappare a rifugiarci in bagno, temendo un ulteriore atto di rappresaglia della docente.
«Ma sei pazza, ridere così proprio fuori dalla classe?» La rimbeccai, senza reprimere un sorriso, mentre lei si premeva lo stomaco con una mano, piegandosi in avanti e continuando a divertirsi un mondo.
«Non potevo farne a meno!» Scandì, fra un accesso e l’altro. «Quei due… sono dei fottuti geni!»
«Rettifica… sono fottuti e basta» commentai, già pregustando la ramanzina in pieno stile Malik che Harry si sarebbe beccato non appena avessi messo piede in casa. In tutta la mia lunga carriera scolastica di medie impeccabili, premi per la frequenza alle lezioni e crediti di corsi extra… farmi buttare fuori dall’aula. Che inaspettata piega del destino. Ragionai su quanto potesse cambiare una vita in poche settimane, mentre Hana riprendeva fiato, asciugandosi le lacrime che i suoi occhi avevano espulso per il troppo ridere.
 
 
«E dai, è stato un colpo da maestri! Uno scherzo perfetto, il capolavoro artistico per eccellenza!»
«Nemmeno per sogno, Harry! La docente era arrabbiatissima ed io non ho mai ricevuto alcun tipo di punizione per la mia condotta ineccepibile! Anni ed anni di carriera…» mi lagnai, mentre spintonavo il riccio in un accesso di disperazione, ricevendo una grassa risata come risposta.
«Capirai che gran pena!» Esclamò Harry, senza togliersi quel sorrisino di supponenza dalle labbra. «Vuoi forse farmi credere che non ti sia divertita neanche un po’?» Mi chiese, sollevando le sopracciglia così in alto che non lo credetti umanamente possibile. Avvicinò così tanto il suo volto al mio, fissandomi negli occhi, da non lasciarmi possibilità di distogliere lo sguardo dalle sue chiare e profonde iridi.
«Beh…» farfugliai, mentre prendevo coscienza di quanto poco spazio ci fosse fra i nostri corpi. Potevo sentire il suo odore di muschio e libri antichi solleticarmi le narici, la possente presenza del suo torace ad un soffio dal mio busto, le dita delle mani che si sfioravano appena. Poi, il suo sguardo scivolò silenziosamente dagli occhi alle mie labbra, riservando loro un’occhiata di puro desiderio. Ciò fece eseguire un triplo carpiato al mio cuore, mantenendolo in costante atteggiamento di corsa, incapace di fermarsi, già pronto per la maratona.
«Forse… forse hai…» bisbigliai, mentre già vedevo il suo capo inclinarsi pericolosamente, il suo respiro mescolarsi al mio. «Ragione…» aggiunsi, rompendo l’incantesimo e ritraendomi rapidamente, posandogli una mano sul petto per allontanarlo da me con gentilezza. Emise una risata sarcastica, chiudendo gli occhi e scuotendo piano la testa, mordendosi il labbro inferiore.
«Sei proprio incorruttibile, Yasmin. C’eravamo quasi» commentò, indietreggiando piano e voltandosi, passandosi le mani fra i riccioli e tirandoli gentilmente indietro, in un gesto di stizza.
«Non posso, Harry» gli dissi, crollando a sedere sul divano, cercando di controllare il battito impazzito che mi rimbalzava contro lo sterno. «Non… possiamo», mi corressi. Lo vidi voltarsi e chinarsi pericolosamente verso di me, inchiodandomi allo schienale, appoggiando le palme con rabbia sul morbido tessuto foderato. In quel momento vidi tutta la natura demoniaca che era capace di sfoderare in situazioni particolari, la magniloquenza del suo sguardo ferito e autoritario, la forza e il magnetismo che spiravano da ogni suo gesto. In quel momento vidi il vero e proprio angelo caduto, non più l’umano che cercava di essere.
«Perché no?» Mi soffiò in volto, in un respiro che sapeva di menta e pericolose promesse mai dette, demone tentatore. «Lo so che anche tu lo vuoi, Yasmin».
«Il che è essenzialmente inutile. Visto che…» e m’interruppi, mentre lui mi guardava come se la sua vita dipendesse dalle mie parole. Il che era, ironicamente, vero. Ma non in quel momento.
«Che?» Incalzò, senza interrompere il contatto visivo.
«Te ne andrai, Harry! Finirò la storia e poi sparirai! Tornerai nel mondo a cui appartieni e io non ti rivedrò mai più! Capisci quanto inutile possa essere, per me, arrendermi adesso? Cosa farò quando tu sarai sparito fra le pagine del mio romanzo? Come potrò tirarti di nuovo fuori di lì? Non capisci che è una via senza uscita?» Esclamai, a briglia sciolta. Lui si ritrasse come se gli avessi conficcato un paletto di frassino nel cuore, allontanandosi e coprendosi il volto con le mani. Ciò che gli avevo detto era vero, ogni singola parola. Lo pensavo sul serio. Umanamente parlando, lui era oltre il desiderabile. Non solo fisicamente.
Avevo sviluppato una certa abitudine ad ogni sua più piccola azione e modo di fare. Mi stavo affezionando alle piccole cose, agli incontri fortuiti all’alba, quando mi alzavo per prendere un bicchier d’acqua e lo ritrovavo sul divano a leggere. A quando, una notte, avevamo spalancato l’anta del frigorifero per metterci a ballare insieme in cucina, sulle note di una vecchia canzone anni ottanta che lui stava ascoltando, una cuffia per uno, le dita intrecciate, i sorrisi dipinti sulle labbra. Agli scherzi, alle battute, ai suoi tocchi rapidi e mai casuali. Alla sua voce, ai vecchi fogli di canzoni spiegazzati pieni di asterischi, cancellature e righe scure. Alla sua sicurezza, alla spavalderia, al suo modo di essere dolce.
Era tutto. A trecentosessanta gradi.
Non era più il mio ragazzo di carta. Era diventato una presenza fissa nella mia vita, che avrei voluto tenere con me per sempre. Ma sapevo che presto o tardi se ne sarebbe andato. E ciò mi provocò un forte senso di privazione, che mi lasciò l’amaro in bocca.
«E se io volessi restare qui? Se non volessi tornare nel libro, se decidessi di rimanere accanto a te?»
«Moriresti, Harry. Non puoi sopravvivere in un mondo che non è tuo».
«Ma il mio corpo migliora di giorno in giorno! Provo anche sentimenti veri, non sono solo copie sbiadite! Sto diventando umano, Yasmin. Posso sentirlo!» Esclamava, mostrandomi le palme delle mani ed esponendomi le ramificazioni azzurrognole delle vene al di sotto della sua epidermide, per dare forza alle sue affermazioni. Scossi la testa, sorridendo amaramente.
«Stai meglio perché la storia sta per essere completata. Non c’è via di uscita, non è qui che dovresti stare e ne risentirai presto se non mi sbrigo a mettere un punto alla tua storia», spiegai, pescando il coraggio chissà da dove, mentre gli occhi mi si riempivano silenziosamente e pericolosamente di lacrime. Mi lanciò l’occhiata più triste e sconsolata del mondo, di autentico dolore, smarrimento. Abbandono.
«Cosa accadrebbe se io credessi di amarti?»
E a quel punto cedetti. Corsi di sopra, scoppiando in lacrime. 





Nota: okay, le cose stanno per complicarsi. Da qui in poi, la profondità della storia si amplierà, nel senso che cominceranno ad esserci parecchi eventi in ballo. Forse perchè saranno gli ultimi... ma non disperatevi, ho ancora altro in serbo per voi. Intanto, ringrazio moltissimo i miei vecchi sostenitori e anche quelli nuovi, che mi fanno sempre sentire tutto il loro calore e anche chi ha sempre il coraggio di arrivare a leggere fino a qui, ogni volta che posto un nuovo capitolo.
Poi, volevo lasciarvi il link della mia nuova breve long (perdonate il giro di parole), 
Doppelgänger, (per chi volesse darle un'occhiata) e il mio profilo Wattpad, dove con calma pubblicherò tutte le fanfictions che sono presenti anche qui. E' tardissimo e io devo proprio scappare, spero che la storia non vi stia deludendo e che invece stia suscitando il vostro interesse, almeno al pari di due anni fa. Mi farebbe sempre piacere avere le vostre opinioni, per cui non esitate: non sempre mordo!


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Capitolo 10
*** X. Ragione e Sentimento ***






X.
Ragione e Sentimento

 

 

 
Il mondo non è perfetto.
Scegliere come vederlo è l’unico vero potere che abbiamo.

TOREY L. HAYDEN
 

 
 
Persi la cognizione del tempo in cui rimasi nella mia camera. Seduta in terra, con la schiena appoggiata al freddo legno della porta, le mani fra i capelli, il volto solcato da amare scie salate. Per qualche attimo, il dolore fu così sordo e acuto da non permettermi di avvertire alcunché al di fuori della disgraziata solitudine in cui io stessa mi ero reclusa. Avevo perfino sentito la porta d’ingresso sbattere violentemente e la casa piombare nel silenzio più assoluto. Harry doveva essere uscito, non potendo sopportare oltre la tensione che era venuta a crearsi fra noi.
Mi sentii estremamente impotente e anche meschina. Perché non avrei mai posseduto i mezzi per legarlo accanto a me tanto a lungo da intessere un’intera esistenza al suo fianco. E inoltre, non ne avevo nemmeno il diritto. Fino a qualche settimana fa, il mio cuore era promesso ad un diverso paio di occhi, ad una voce differente, ad altri sorrisi. Parvi cominciare a capire come potesse sentirsi Niall, vedendo la persona alla quale tenesse maggiormente sfumargli via fra le dita, osservarla allontanarsi senza poter fare nulla per trattenerla. Ciò mi fece stare ancora più male. Avevo deluso ben due individui, ma prima di tutto, stavo mancando di rispetto a me stessa. Non potevo far nulla di meglio che piangermi addosso, sprofondando nel baratro e precludendomi ogni spiraglio di luce?
Mi presi qualche attimo per calmarmi, focalizzandomi sul paesaggio al di fuori dalla finestra. Potevo vedere il sole calare velocemente oltre i tetti appuntiti delle case. Osservai come il passaggio pedonale fosse trafficato: donne, uomini e adolescenti camminavano spediti, ognuno con le sue storie cucite sul cuore, ognuno con i suoi pesi addossati sulle spalle. Riuscivo perfino a sentire il vago eco di una stazione pop che trasmetteva l’ultima hit di Nicki Minaj, dall’edificio di fronte. Era buffo. Tutta la solitudine che pareva squarciarmi l’anima e lacerarmi dal profondo, il sordo dolore che m’attanagliava il petto sembravano così minimi, al confronto con il mondo esterno. La vita continuava, gli astri tramontavano, l’aria si rinfrescava, e tutto sembrava infischiarsene tanto bellamente di come io stessi. Quella fu una sorta di liberazione, per me. Un balsamo sulle ferite aperte. Perché mi assicurava che tutto, prima o poi, passava oltre. Come i fiumi che scorrevano o le risacche delle maree. Nulla restava in eterno ed era un continuo ciclo di alternanze. Ora sei triste, domani chissà.
Non potevo perdermi così tanto d’animo. Non in quel momento. Mi asciugai le lacrime con la manica della maglietta, spazzandole grossolanamente via. Cercai di relegare l’apprensione in un angolo remoto della mia mente e feci l’unica cosa che avrebbe potuto risolvere il problema alla radice: presi il portatile di Zayn e ricominciai a scrivere.
 
 
 
Rividi mio fratello in serata, poco prima dell’ora di cena. Aprì piano la porta della camera, sporgendo il capo all’interno, con un’espressione incuriosita.
«Allora sei qui» disse, attendendo che sollevassi gli occhi dallo schermo, degnandolo della giusta attenzione.
«Perché?» Domandai, senza sfilarmi gli occhiali e smettendo di picchiettare sulla tastiera, mentre lui apriva completamente l’infisso per entrare. Si fece strada verso il letto, lasciandosi cadere sul materasso e molleggiando per alcuni istanti.
«Non saprei, sono circa dieci minuti che parlo da solo in salotto. Pensavo che mi avessi sentito entrare», commentò, incrociando prima i piedi e successivamente le mani, dietro la testa. Scossi la testa, senza parlare. Rimanemmo in silenzio per alcuni istanti, in cui avvertivo una nuova ondata di nostalgia molestarmi dall’interno, e lottai per mandarla via. Spesso anche Harry aveva l’usanza di entrare quando voleva e comportarsi come se la stanza fosse effettivamente sua.
«Tutto bene, Yasmin?» S’interessò Zayn, con un tono di voce volutamente casuale. «Ti vedo un po’ provata». Se n’era accorto. Mi strinsi le spalle, provando a dissimulare quanto più potessi.
«Harry ed io abbiamo discusso», minimizzai.
«E per quale ragione?» Indagò. Sospirai, sfilandomi gli occhiali e massaggiandomi i solchi che i naselli mi avevano impresso sulla pelle alla radice del naso. Chiusi anche il laptop, azionando automaticamente la modalità stand-by. Non avrei sopportato altre menzogne, altri castelli in aria. Capitolai, raccontandogli ogni cosa. Dei problemi con Niall, dell’affetto che avevo sviluppato per quello strambo ragazzo di carta, delle sue ancor più assurde richieste, del dolore. Crollai di nuovo in lacrime, e Zayn mi tenne stretta al suo fianco, cullandomi gentilmente, finché non mi fui calmata abbastanza da non singhiozzare più. Anche quello fu estremamente liberatorio. Parlare a ruota libera, lasciando fluire oltre il proprio corpo anche le parole che non si sarebbero mai immaginate di esternare. Non risparmiai una sola sillaba e piansi fino all’ultima lacrima. Proprio come quando ero bambina e cadevo in terra sbucciandomi un ginocchio. Oltre a mia madre, Zayn era l’unico che aveva sempre avuto il potere di sopportare i miei eccessi emotivi. Era la mia cassa di risonanza personale. Non gli sarei mai stata abbastanza grata per il suo supporto.
«Credo che l’unica cosa che tu possa fare, Yasmin, è completare quel libro prima possibile. Posso ben capire che tu e il “cugino del Maine”» sottolineò, mimando delle virgolette con le dita, «abbiate stretto un rapporto molto particolare d’amicizia. Ma la sua vita qui ha un countdown che si sta pericolosamente avvicinando alla fine. Non sarebbe una cattiva idea rispedirlo da dove arriva prima che la bomba esploda, non so se mi sia spiegato a sufficienza».
«Cristallino», convenni. «Eppure…» rimostrai, ancorandomi egoisticamente ad un affetto che mi era proibito in ogni modo e da cui non riuscivo a distaccarmi.
«Vedila in questo modo, sorellina» aggiunse Zayn. «Se davvero tieni a lui, è arrivato il momento di fare qualcosa di determinante per la sua vita. Convincilo che rimanere sulla Terra non è la giusta opzione».
«Se ami qualcuno, lascialo libero» recitai, a malincuore. Vidi mio fratello sorridere gentilmente, annuendo.
«Proprio così».
 
Harry tornò giusto in tempo per la cena, ma non aprì bocca con nessuno, filando direttamente nello studiolo in perfetto silenzio. Quando la stanza di Zayn era occupata ed io non potevo accoglierlo nella mia, quello era il suo rifugio preferito. Impiegava il suo tempo leggendo, ascoltando musica dal mio vecchio iPod e scrivendo canzoni. Generalmente era sempre molto socievole quando rientrava in casa da un’uscita nei dintorni, ma non quella sera.
Sospirai, cercando di non risentirmi troppo. Avrei potuto aspettarmelo, dopo il diverbio di quel pomeriggio. E le cose non fecero che peggiorare. Non scese nemmeno per cena, così che Zayn ed io consumammo un tardo pasto insipido in completa solitudine.
«L’ha presa direttamente sul personale» commentò mio fratello, allontanando il piatto ormai vuoto e indicando con un cenno della testa il piano superiore. Scossi il capo, sconsolata.
«Non avrei potuto fare diversamente» aggiunsi senza enfasi.
«Già», convenne lui sospirando. Proprio mentre riponeva le stoviglie sporche nel lavello, sentimmo suonare il campanello di casa. Guardammo entrambi l’orologio appeso al muro segnare le dieci e un quarto.
«Chi accidenti può essere, a quest’ora?» Si domandò Zayn, asciugandosi le mani in uno strofinaccio e andando ad aprire.
«Indovina chi è stato richiesto al Cinderella, domani sera?» Sentii annunciare una voce limpida, squillante e sovreccitata. Successivamente, Louis Tomlinson, Liam Payne e Niall Horan si riversarono nell’ingresso rumoreggiando ed esultando insieme al mio ancora incredulo fratello. Il quale, riavendosi dalla sorpresa e rabbrividendo per lo spiffero gelido penetrato dentro dall’esterno, si affrettò a richiudere la porta di casa.
«Non mi state prendendo per il culo, vero?» Chiese, ancora sospettoso.
«Te lo giuro sul mio onore, fratello. Il gestore del locale ha chiamato questo biondone qui, un quarto d’ora fa, per richiedere la nostra partecipazione alla Rassegna delle Band. Il 7 Novembre. E cioè domani!» Spiegò Louis, terminando il suo contributo con un nuovo giro di esclamazioni ed allegre scene da stadio.
«Dov’è Harry, Zayn? Qualcuno deve avvertirlo» disse Liam, appendendo il cappotto all’omino nell’ingresso, imitato dai suoi amici.
«Accidenti, lo farò io!» Si offrì Tomlinson, senza nemmeno sfilarsi il soprabito e precipitandosi a rompicollo di sopra, nello studiolo. Ormai conosceva la casa come fosse sua. Intanto, gli altri notarono la mia presenza, rivolgendomi chi degli affettuosi saluti a gran voce, chi dei freddi sorrisi di cortesia. Niall fece del suo meglio per tollerarmi lo stretto necessario, accomodandosi sulla poltrona che mi dava le spalle, dalla mia posizione al tavolo della cucina. Avvertii il peso della sua falsa indifferenza gravarmi sul cuore, inchiodandomi dov’ero e spingendomi ad armeggiare con i piatti sporchi per azzerare al massimo la mia presenza.
Dalla nuova ondata di frastuono che andava facendosi sempre più chiara di scalino in scalino, intuii che Louis aveva fatto ritorno con il suo fido compagno di sventure, il quale esultava con un po’ meno impeto di lui. Li sentii discutere concitati dei dettagli, dei pezzi e delle prove. Appena finii di lavare le stoviglie, decisi di eclissarmi al piano di sopra, chiudendomi nella mia stanza. Era inutile rimanere in un luogo dove almeno due persone avrebbero volentieri lasciato i propri posti a sedere, piuttosto che condividere i loro spazi con me. Inutile dire che anche ciò mi provocò l’ennesima ondata di pizzicore al naso e alle palpebre, ma mi costrinsi stoicamente a ricacciare indietro tutto, non permettendo all’emotività di lasciarmi abbattere.
Quando fui sola, sfilai un testo dalla mia libreria, accomodandomi sul letto e fingendo che tutto andasse bene. Provai ad immergermi nella lettura, sperando che potesse distrarmi dalla spinosa situazione nella quale ero finita a mia discolpa. Tuttavia, dopo un quarto d’ora, sentii i cardini della mia porta ruotare su loro stessi, rivelando la figura alta e distinta di Niall, dallo spiraglio. Indugiò qualche istante sulla soglia, prima di entrare, cercando di sentirsi a suo agio.
«Cosa leggi?» Chiese, lievemente impacciato, mentre si sedeva sul letto accanto a me.
«Ivanhoe», lessi, volgendo la copertina verso di me e poi alzando gli occhi sul suo volto.
«Ah, prodi cavalieri medievali e belle donzelle», commentò, assumendo un’aria da menestrello di corte. Gli sorrisi, annuendo.
«Come mai non sei di sotto a discutere del vostro super concerto di domani?» Domandai, ostentando una casualità che non avevo. Lo vidi stringersi piano nelle spalle, fissando il pavimento.
«La conversazione è degenerata sugli abiti e la passione per gli anni ottanta di Louis».
«Tipico», ribattei, reprimendo uno stanco sorriso.
«Ascolta, è successo qualcosa con tuo cugino?» S’interessò, senza alcun tono d’accusa nella sua voce.
«Perché?» Chiesi a mia volta, piegando un angolo della pagina e abbandonando il tomo sul comodino.
«Quando sei salita, ti ha seguita con lo sguardo e poi la sua espressione è cambiata da spavalda a smarrita, triste… quasi addolorata, per un attimo. Tanto che Louis ha dovuto chiedergli se andasse tutto bene», spiegò. «Domanda che io ora rivolgo a te».
«Senti, Niall…» esordii, già stanca in partenza di dovergli un resoconto dettagliato che non avevo nessuna voglia di fornirgli. Ma lui m’interruppe sul nascere, sollevando un indice e chiedendo il silenzio.
«Non te lo sto chiedendo perché la gelosia mi brucia dentro come una fiamma», precisò. «Voglio solo sapere come stai tu, mi sto preoccupando di te. Sono giorni che ti vedo quasi abbattuta e non parliamo seriamente da troppo tempo». Le sue parole mi colpirono tanto quanto i suoi occhi. Erano sinceri, apprensivi. La sua unica priorità era veramente sapere soltanto come stesse andando la mia vita. Non scorgevo alcun secondo fine in quei due pezzi cerulei di cielo estivo. Erano limpidi e pieni di quell’apprensione che solo l’amore può seminare in uno sguardo. Battei le palpebre, radunando le idee.
«È un periodo molto particolare, Niall. Molte cose non vanno come dovrebbero e fra di esse c’è anche la nostra relazione. Io non so come comportarmi in questo momento, ho così tanti pensieri che mi turbinano nella mente, mi sento pericolosa come una mina sotterrata in una strada. Alla benché minima pressione, potrei saltare in aria».
«Vorrei poterti aiutare», disse, «ma sento che nessuno potrebbe farlo veramente» concluse, con sincerità. «Ti conosco, non sei la tipa da farsi trascinare fuori dalla tempesta. Devi uscirne da sola, con le tue stesse forze, così come ci sei entrata».
Lo guardai, senza rispondere. Aveva ragione, in tanti anni di convivenza fortuita, aveva imparato a leggere la storia della mia vita prim’ancora che io stessa potessi interpretarne i codici.
«Credo che il detto “se ami qualcuno lascialo libero”, possa applicarsi a questa situazione in modo fin troppo giusto», seguitò. Che buffo. Era la seconda volta in una giornata che udivo quella frase. «Vorrei solo che tenessi a mente che liberare, non vuol dire abbandonare. Quando il vento è troppo forte, perfino gli alberi più tenaci hanno bisogno degli arbusti vicini per sostenersi a vicenda» aggiunse, sfiorandomi le dita e poi stringendomi la mano.
La sua presa era calda e rassicurante, avvolgente e benevola. Contrastava a meraviglia con il gelo del mio palmo. Non potei far altro che annuire, mentre lui depositava un bacio leggero come il battito delle ali di una farfalla sulle mie nocche e lasciava la stanza, sparendo oltre la porta. Il mio cuore lo seguì lungo tutta la rampa di scale, fino a quando l’eco del suo passo sicuro e fermo non fu più alla portata del mio orecchio e rimasi nuovamente sola con me stessa. 





Nota: ci siamo quasi, people! Chiedo perdono per l'allegria immensa del capitolo, ma mi è servito per prepararvi a ciò che arriverà dopo...!! Quest'oggi sarò breve (ma intensa)! E quindi passo subito ai ringraziamenti dovuti a chi mi segue con costanza e chi legge di passaggio! Ho notato che vi state orientando anche verso la mia altra long e Wattpad, il che mi rende estremamente felice! Di sotto vi allego i links, per chi ancora non vi avesse fatto un salto! Mi raccomando, stay tuned e... tante tante cioccolate calde per voi! 



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Capitolo 11
*** XI. Countdown ***






XI.
Countdown





 
“Ogni tua parola è caduta esattamente dove era attesa da anni”.
DAVID GROSSMAN
 
 


 
Appena aprii gli occhi, il giorno seguente, credetti di essere ancora nel mondo dei sogni. Avevo schiuso brevemente le palpebre, voltandomi verso la finestra. E mi parve di vedere il profilo di uomo guardare fuori, con una mano posata sul davanzale e un’altra infilata nella tasca dei jeans. La sua figura era in penombra e non mi era possibile scorgerne i lineamenti. Vidi solo un’indomabile massa di riccioli adornargli il capo, alla stregua di un cespuglio. Le imposte erano aperte, il fresco venticello mattutino agitava le bianche tendine, gonfiandole come algide vele che danzavano attorno alla sua figura. Era una vista così onirica e poetica da indurmi a credere di essere ancora nel dormiveglia. Richiusi gli occhi, per poi spalancarli di colpo.
«Ma cosa…» biascicai, sollevandomi a sedere sul letto, ancora stordita e con i capelli per aria. Il sedicente sconosciuto si volse, rendendo possibile alla fievole luce del mattino d’illuminargli i tratti del volto. E riconobbi Harry.
Trasalii così violentemente da scacciare con decisione anche la più piccola briciola del torpore soporifero che mi aveva avvolta con tanto calore e dolcezza fino a poco prima.
«Oh, sei sveglia. Finalmente», disse, serrando le imposte e accomodandosi alla sedia dietro la scrivania.
«Finalmente?» Ripetei, sconvolta. «Harry, sono le…» e lanciai un’occhiata alla sveglia, che pareva annunciarmi con beffarda ironia l’orario improponibile che segnavano le lancette. «Sono le sei!» Ripresi, a gran voce.
«E quindi? Ho bisogno di parlarti».
«Non potevi aspettare le sette, come qualunque altro mortale?» Domandai, per poi rendermi conto di quanto inopportuna fosse la mia richiesta. Ma lui non parve accorgersene, troppo preso a riflettere su pensieri a me ignoti.
«Ho passato tutta la notte ad interrogarmi su ciò che è successo lo scorso pomeriggio», cominciò, alzandosi in piedi e cominciando a percorrere gli spazi liberi della mia camera avanti e indietro. «A chiedermi se ci fosse un modo qualsiasi per non tornare nel libro e vivere qui per sempre. Sfortunatamente, non ce ne sono. Certo, se tu continuassi a scrivere la storia all’infinito, una probabilità ci sarebbe. Ma ti costringerei ad una schiavitù inutile, perché in ogni caso il mio corpo non reggerebbe tanto a lungo in un ambiente del genere. Per quanta passione tu possa infondere nel romanzo, io non sarò mai umano. Ma volevo comunque farti sapere che, potendo scegliere, resterei con te. In ogni caso», disse, senza fermarsi un attimo.
«Ecco perché sto per farti una richiesta che non potrai negarmi. Visto che non posso essere umano nel tuo mondo, rendimi tale almeno nel mio. So che dovrei diventare un angelo custode per esigenze di trama, ma ti prego…» e lì s’interruppe, inginocchiandosi vicino al mio letto e stringendomi la mano fra le sue. «Consentimi di divenire un vero essere umano all’interno del libro». Mi rivolse uno sguardo di cristallina e muta supplica, riversando tutto il potere che quelle due chiare e limpide iridi verde acqua avevano sul mio autocontrollo. Era così fermamente determinato che attese in silenzio che io dicessi qualunque cosa, trascorrendo un paio di minuti in perfetta immobilità.
Ancora lievemente intontita dal sonno, non potei far altro che annuire, cedendo alla sua richiesta. Un frettoloso sorriso animò le sue belle labbra rosate, alleviando per qualche istante il peso del suo sguardo. Mi lasciò dolcemente la mano ed uscì dalla stanza senza dire una parola. Ultimamente, ci trovavano tutti gusto a lasciarmi sola in camera ad interrogarmi su quale direzione stesse prendendo la mia vita.
 

 
Trascorsi le ore a scuola come sotto l’effetto di un incantesimo. Sentivo, ma non ascoltavo. Guardavo, ma non vedevo. Era come se il mio corpo fosse lì, ma il mio animo vagasse lungo percorsi tutti suoi. I pensieri nella mia testa s’inseguivano l’un l’altro, inerpicandosi per sentieri tortuosi, girando sempre in tondo. Da un lato c’era la bizzarra richiesta di Harry e il suo strambo comportamento di quella mattina, dall’altro la trama del romanzo che avrei dovuto sensibilmente modificare per accontentare le sue richieste. E ancora, il pensiero di Niall veniva a trovarmi di tanto in tanto, facendosi strada con quei suoi dolci occhi di zaffiro, insinuandosi nella mia testa come una melodia particolarmente orecchiabile.
Mi trascinai fino a sera in quel particolare stato di leggerezza, come se camminassi sulle nuvole, librandomi affrancata nell’aria. Acquistai un minimo di presa sulla realtà mentre aiutai Zayn a prepararsi per il concerto. Strano a dirsi, ma lui era quello che impiegava sempre più tempo a rendersi presentabile, dei due. Gli sistemai il giacchetto di pelle, distendendo le pieghe con dei decisi colpi di mano. Eravamo soli in casa, Harry aveva deciso di trasferirsi momentaneamente da Louis, e non volevo nemmeno immaginare il quantitativo di disagio che avrebbero arrecato ai vicini di Tomlinson. Vidi mio fratello battere ritmicamente il piede a terra, per scaricare la tensione. Gli strinsi con affetto il tessuto della giacca, per poi circondargli le spalle con le braccia.
«Solo perché cambiate locale, non vuol dire che la performance sarà diversa», gli dissi, conciliante. Lui sospirò.
«Il Cinderella è un posto molto più serio dello Staten Island. È stato il trampolino di lancio di molte bands, lì bazzicano anche i discografici. È… importante» proferì in un soffio, alquanto sconsolato.
«E non per questo ti lascerai abbattere. È tutta questione di prospettive. Non potrai mai andare peggio del cugino James» gli dissi, ottenendo una grassa risata in risposta. Il cugino James, famoso in famiglia Malik per l’ilarità di alcuni episodi della sua vita, aveva un gruppo musicale conosciuto come “Fra Tuck”. Facevano indie pop, si esibivano in alcuni localetti a Nottingham e il frontman si faceva chiamare Robin Hood. Al di là di quanto parodica potesse sembrare la vicenda, una sera James ebbe la splendida idea di farsi aprire lo show da un vero frate francescano, che sapeva suonare solo l’ocarina.
Quei brevi minuti che gli permisero d’intonare Rock You Like A Hurricane degli Scorpions con il suo curiosissimo strumento, suscitarono l’ilarità generale della platea. La quale, prima di prodursi in ammiratissimi fischi e pubblicare svariati video su YouTube -e raggiungere esorbitanti cifre di visualizzazioni- rise di seguito per dieci minuti. Ecco perché, da sempre e per sempre, nessuna esibizione potrà mai andare peggio di quella dei Fra Tuck, con il prete e l’ocarina.
 


«Sono così carico… che se qualcuno mi avvicinasse un telefonino glielo attiverei al cento percento!» Esclamò Louis, strattonando la giacca di Zayn con fin troppa foga.
«Frena, compare, che qui mi salta tutto il costume di scena» ribatté lui, divincolandosi.
«È inutile che ti sforzi, non sarai mai più bello di me».
Una serie di risatine nervose si persero nel frastuono che aumentava alle nostre spalle. Il Cinderella sembrava uno di quei vecchi postacci rock and roll anni ottanta, come il Bourbon di Rock of Ages. Grandi spazi, molta folla, arredamento che strizzava l’occhio al trash, luci soffuse, foto di grandi bands hair metal incorniciate e appese alle pareti. Gli alcolici avrebbero cominciato a girare soltanto da mezzanotte in poi, ma non per questo al bancone del bar mancavano frotte di giovani ad implorare per una Corona Extra. Ciò che passava per gli altoparlanti, era solo ed esclusivamente materiale di glam bands che avevano fatto la storia del rock, potevo riconoscere Bon Jovi alternarsi ai Van Halen, passando per i Def Leppard. A discapito dell’aspetto rustico e maltrattato, il Cinderella era un locale importante, mio fratello aveva ragione. Lì la musica veniva presa sul serio, e non come piacevole passatempo per una cenetta da soli in compagnia.
Mentre mi perdevo ad immaginare i fasti di un’epoca musicale che ormai non mi apparteneva più, sentii una mano indugiarmi sulla spalla. Mi voltai e vidi Harry sorridere incerto, dall’altro del suo metro e novanta. Era vestito come una rockstar, volendo anche piuttosto eccentrico. Un foulard scuro gli teneva indietro i riccioli dalla fronte, per poi discendere morbidamente verso il basso, ondeggiando insieme ai movimenti del suo capo. Molte catene, strappi, qualche inserto animalier non troppo eccessivo. Pur non appartenendo a quel mondo, sembrava trovarsi fin troppo bene nei suoi panni. Ricambiai il suo sorriso, avvicinandomi a lui.
«Agitato?» Chiesi, accostando le labbra al suo orecchio per farmi sentire meglio. Si strinse nelle spalle, ridacchiando.
«Onestamente sì. È la cosa più importante che abbia mai fatto nella mia vita», rispose. «Quei ragazzi tengono a questa serata come se fosse ossigeno. Non posso deluderli», aggiunse, indicando con un cenno del capo i quattro giovani che guardavano lievemente spaesati quell’ammasso recalcitrante e ruggente di folla che s’ingrossava ogni minuto di più. Stentavano a credere che avrebbero suonato dinanzi a tutti, eppure era ciò che avevano sempre sognato. Harry lo capiva bene, nonostante fosse stato con loro per così poco tempo.
Gli lanciai un’occhiata e vidi improvvisamente una strana cera dipingersi sul suo volto. L’allegra eccitazione che gli coloriva le guance era sparita di colpo, lasciando il posto ad un pallore cinereo per nulla rassicurante. I suoi occhi si spalancarono completamente, come se stessero assistendo increduli a chissà quale spettacolo che solo loro potevano vedere. Barcollò per alcuni istanti, costringendomi a stringergli i fianchi per sostenerlo. Appena ebbe recuperato un minimo di stabilità, scosse la testa quasi come a volersi scrollare di dosso ciò che gli era appena accaduto.
«Tutto bene?» Domandai, per nulla convinta dei suoi cenni d’assenso.
«A meraviglia», minimizzò. «Credo sia la tensione emotiva».
Non feci in tempo a chiedergli altro, che un uomo salì sul palco, aizzando le grida soddisfatte del suo pubblico.
«Ci siamo» sentii esclamare Louis, mentre Harry si staccava da me per raggiungere i suoi amici. Il presentatore scaldò la folla con i soliti convenevoli, prima d’introdurre il gruppo ospite della serata. E io non potei fare a meno d’impensierirmi per il giovane con i riccioli scuri e il sorriso spavaldo. Non era da lui avere un simile mancamento, così d’un tratto. Era dalla mattina che lo vedevo strano e la faccenda cominciava a piacermi sempre meno. Ma non ci fu tempo per preoccuparmi oltre: il presentatore li aveva appena richiamati, invitandoli a raggiungerlo sul palco. Feci appena in tempo a sussurrare “buona fortuna” e a rivolgere una fugace occhiata al riccio, prima che corressero via, verso il centro della pista.



Nota: prima di tutto, volevo augurare a tutti voi delle buone feste, sono in ritardo per Natale, ma in tempo per capodanno!! E ringrazio infinitamente anche chi mi ha mandato dei messaggi di auguri nella posta del mio account, siete degli angeli fatti di miele, non merito assolutamente tutta questa dolcezza (ma sappiate che vi voglio molto bene).
Vi annuncio che questo è ufficialmente il penultimo capitolo della storia, ebbene sì. Ma non abbiate paura, non vi abbandonerò tanto presto. Non ho idea di come ce la stia facendo ad aggiornare -premettendo che la chiavetta Internet è lentissima- ma passerò a postare il nuovo capitolo di 
Doppelgänger, state tranquilli! Prendetelo come un doppio regalo di Natale piuttosto tardivo, a cui aggiungo i miei soliti ringraziamenti a tutte le generose anime pie che continuano a seguirmi o che leggono per la prima volta! Non dimenticate di lasciarmi i vostri pareri e opinioni, ci tengo molto! Corro dall'altra long! Alla prossima!


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Capitolo 12
*** XII. La Città di Carta ***






XII.
La Città di Carta







“Andrai nelle città di carta e non tornerai più indietro.”
JOHN GREEN
 
 
 

 
I pezzi della band di Zayn piacevano, e anche molto. Il pubblico rispondeva bene, acclamandoli e rumoreggiando con soddisfazione. Durante l’assolo musicale del nuovo brano che Harry aveva scritto, il riccio si lanciò sulla folla, lasciando che dozzine di mani accogliessero il peso del suo corpo, permettendogli di galleggiare per alcuni secondi. Dalla mia posizione, potevo osservare la scena con enorme chiarezza.
Harry aveva allargato le braccia e reclinato il capo, abbandonandosi completamente alle mani del pubblico, che gli fece percorrere un breve tratto di platea prima di restituirlo al palco. Il sorriso rilassato, gli occhi chiusi, completamente preda della musica, tutt’uno con l’oceano di mani sotto di lui. Fui felice di una simile esperienza, per il mio sfortunato ragazzo di carta. Avrei voluto regalargli più momenti come quello. Più occasioni di sentirsi infinitamente vivi, reali, umani.
Sospirai, mentre il cantante tornava sulla pedana, imbracciando il microfono e l’asta come una vera stella del rock e lanciando il suo consueto assolo.
«Ehi» mi richiamò una voce, sfiorandomi una spalla con un dito. Mi voltai, incuriosita. Vidi un giovane uomo sulla trentina, vestito in modi curato e dalle maniere distinte. Sorrise, come a volermi salutare cortesemente.
«Li conosci, vero? Sei stata con loro tutto il tempo, prima che venissero annunciati ufficialmente» chiese. Annuii, incerta su dove volesse andare a parare e anche un po’ infastidita dal fatto che mi stessi perdendo delle parti di spettacolo a causa sua.
«Mi chiamo Matthew Brown, sono il manager di una prestigiosa casa discografica» si presentò, allora, facendo sparire due dita nel taschino interno della giacca per poi estrarre un cartoncino lindo e dall’aspetto essenziale, porgendomelo. Lanciai una veloce occhiata al nome dell’agenzia a cui apparteneva, trattenendo un fischio per amore della mia femminilità. Accidenti se era prestigiosa. «I tuoi amici sono davvero interessanti, soprattutto il cantante con i riccioli. Mi piacerebbe vederli per discutere di affari, se anche loro sono d’accordo» concluse, sorridendomi di nuovo con cortesia.
«Ce-certo!» Balbettai, incapace di dire altro e troppo sconvolta per pensare a qualcosa di meglio.
«Perfetto. Il mio numero è sul biglietto da visita. Chiamatemi il più presto possibile» disse, voltandosi e dirigendosi al bar, sparendo dalla mia visuale. Infilai il biglietto nella tasca dei jeans, sorridendo felice. I ragazzi non avrebbero creduto alle loro orecchie, quando gliel’avrei detto. Al culmine della gioia, pensai che nulla avrebbe rovinato quella serata, che si stava rivelando un successo a trecentosessanta gradi. Ma la mia felicità durò ben poco.
Nel bel mezzo del pezzo di chiusura, Harry smise di cantare, sbiancando nuovamente e barcollando piano, proprio come aveva fatto poco prima accanto a me. Lo fissai, corrugando la fronte, mentre lui cadeva in ginocchio portandosi una mano all’altezza dello stomaco e vomitando, lì davanti a tutti. Mi coprii la bocca con le mani, trasalendo, proprio nel momento in cui la musica cessava e i componenti della band lasciavano i loro strumenti per attorniare il cantante. Mi feci strada attraverso la folla e salii a mia volta sul palco, sconvolta.
«Lasciatemi passare!» Esclamai, scostando Liam e Zayn, precipitandomi a terra vicino ad Harry. Gli presi il volto fra le mani dandogli dei colpetti sulla guancia, mentre lui non riusciva a mettere a fuoco il mio viso, scuotendo la testa e ripetendo di star bene. Fu allora che mi accorsi che razza di sostanza nerastra avesse appena espulso. Essa si allargava in una macchia scura che trasmetteva cupi pensieri e ancor più tristi congetture, dall’odore inconfondibile e la consistenza viscosa.
«Harry, hai appena vomitato inchiostro!» Sussurrai al suo orecchio, cercando di non farmi sentire dagli altri e di non lasciarmi prendere dal panico. Lui annuì, privo di forze.
«È… questo mondo…» proferì, stremato. «Mi sta… rigettando».
 
 
I ragazzi furono costretti ad interrompere lo show, mentre la folla continuava ad acclamarli. Qualcuno doveva aver urlato “è così rock and roll!” e scatenato l’approvazione generale, mentre seguitavano ad applaudire. Lasciammo Niall, Louis e Liam ad occuparsi dell’attrezzatura, mentre Zayn ed io caricammo Harry in macchina e partimmo di filato verso casa.
«Cosa sta succedendo, Yasmin?» Chiese mio fratello, non senza tradire una punta d’impazienza nella voce, facendo del suo meglio per guidare velocemente senza schiantarsi contro un palo, un albero o il guardrail. Mi voltai verso i sedili di dietro, osservando la figura distesa del riccio. Sembrava dormire serenamente, le braccia abbandonate lungo i fianchi, il petto che si alzava e sollevava piano.
«Dice che il nostro mondo lo sta rigettando» riferii, ripetendo le parole che lui stesso mi aveva detto sul palco.
«Immagino che sia arrivato il momento di chiudere l’ultimo capitolo, Yasmin».
 
 
Sedevo accanto al mio stesso letto, scrivendo febbrilmente sul laptop di Zayn. Appena giungemmo a casa, chiesi espressamente che Harry venisse lasciato nella mia stanza. E lì giaceva anche in quel momento. Mi ero premurata di sfilargli il soprabito di scena, sciogliergli il foulard dai capelli e metterlo quanto più a suo agio possibile. L’avevo anche chiamato un paio di volte, ma non accennava a rispondermi. Dormiva sodo, sprofondato in una dimensione che le mie parole umane non potevano raggiungere.
Così, avevo imbracciato il computer e mi ero accomodata vicino a lui, calandomi per intero nella scrittura. Non conoscevo un altro modo per guarirlo, portarlo all’ospedale sarebbe stato impossibile ed impensabile. Pertanto, avevo cominciato a darmi da fare nell’unico modo in cui potevo. Mi rinchiusi con così tanta costanza nel mondo di Harry, che a stento mi accorsi di ciò che mi accadeva attorno. Ebbi la vaga certezza che anche il resto dei ragazzi della band fossero passati da casa a chiedere di lui, ma Zayn doveva avergli gentilmente impedito di salire.
Vidi la notte scolorare nell’aurora, la fredda luce solare autunnale riversarsi in lame attraverso la stanza, e nemmeno allora cessai di lavorare. Saltai la scuola per due giorni di fila, interrompendo il processo di scrittura solo per spizzicare qualcosa da mangiare e farmi una doccia. Mettevo in fila caratteri dopo caratteri, sperando che Harry non mi abbandonasse proprio in quel momento. All’alba del terzo giorno, lo vidi riaprire gli occhi con fatica.
«Sono proprio arrivato al capolinea», commentò con debole voce impastata dal sonno. Mi sfilai gli occhiali e chiusi il portatile, stringendogli una mano gelida fra le mie, stranamente calde.
«Sto facendo il possibile, Harry. Mi mancano sole poche pagine e il romanzo sarà completato. Ce la fai a resistere?» Gli chiesi, vedendo uno stanco sorrisetto dipingersi sulle sue belle labbra esangui, che una volta erano state piene di colore.
«Comincio a sentire sempre meno. Il mio corpo sta perdendo sensibilità, quando chiudo gli occhi rivivo scene prese dal libro. Alcune sono nuove, mi sembra di vederle per la prima volta. Immagino siano le tue modifiche alla storia», disse, volgendo lentamente il capo verso di me. Combattei più che potei per ricacciare indietro le lacrime. Quelle brevi frasi mi avevano artigliato il cuore in una morsa glaciale. Stava realmente tornando nel libro, ecco perché passava molto tempo a dormire e aprire gli occhi gli costava fatica. Mi stava abbandonando, la clessidra del suo tempo era ormai giunta agli ultimi granellini.
«Va… va tutto bene», mi costrinsi a mentire, accarezzandogli il capo, attraversando i suoi riccioli con le dita. Annuì, fidandosi delle mie parole, per poi sprofondare nuovamente nel mondo dei sogni.
Fu lì che il dolore mi mozzò il respiro, costringendomi a stringere forte gli occhi e persino i denti, per non lasciarmi sfuggire un sospiro e turbare il suo sonno. Arrivò come un’onda, lacerandomi in due metà esatte, fermandomi nel tempo e sospendendomi in una dimensione a me sconosciuta. Mi coprii il volto con le mani, prendendo ampi respiri, cercando di calmarmi. Dovevo finire il romanzo. Non potevo lasciarmi sopraffare così. Spazzai via le lacrime che mi erano silenziosamente rotolate giù dagli occhi e inforcai nuovamente gli occhiali. Tutti dicevano che Yasmin Malik era una ragazza forte, dal carattere d’acciaio. Beh, mentivano.
 
 
Verso sera, ricevemmo una visita. I ragazzi non vollero saperne di non salire a trovare Harry, e mi trovarono accanto al letto, ancora intenta a scrivere. Un simile atto mi colse così tanto di sorpresa, che chiusi il laptop di scatto. Mi alzai dalla sedia, mentre loro entravano nella stanza, tenendosi ancora un po’ in disparte per osservare incuriositi il loro amico.
«Yasmin, che diamine stai facendo?» Chiese Louis, interdetto. Mi strinsi nelle spalle.
«I compiti», buttai lì.
«Mentre tuo cugino sta male?» Incalzò lui. Mi morsi la lingua a sangue.
«Dorme profondamente. Non…» m’interruppi, cercando di farmi forza e non sembrare eccessivamente turbata. «Non so se può sentirvi».
Louis emise un verso sarcastico, in risposta alla mia affermazione.
«Carina, nessuno può evitare di sentirmi. Nemmeno volendo», ribatté.
«Ha il sonno pesante», ingiunse Zayn, apparendo sulla soglia con un’espressione così spossata in volto, da lasciarmi intendere quanto anche lui potesse dispiacersi per la condizione di Harry. Vedemmo Louis prodursi in alcuni dei suoi più abili tentativi di risveglio molesto, tuttavia senza successo. Il ragazzo seguitava a dormire beato, non reagendo nemmeno ai contatti fisici. La sua impassibile immobilità turbò lievemente Tomlinson, che si allontanò a malincuore dal letto.
«Immagino che abbiate ragione», commentò lui, osservando il suo amico continuare a riposare.
Non l’avevo mai visto così triste, nemmeno quando una sua festa era stata sabotata dall’arrivo della polizia. Era una vera pena mettere a confronto l’Harry attivo e brioso dei giorni precedenti con il fantasma dormiente che albergava nel mio letto, pallido e perso negli abissi di un mondo a noi sconosciuto, che lo stava attirando nuovamente a sé.
Quando mi coprii gli occhi con le mani, sentii due forti braccia accogliermi e avvolgermi con il loro calore. Un profumo familiare di gelsomino mi inebriò, consentendomi d’identificare il proprietario di quel gesto d’affetto. Niall mi aveva abbracciato senza dir nulla, accarezzandomi la testa con delicatezza, tenendomi come se dovessi andare in pezzi da un momento all’altro. Sentivo gli altri ragazzi chiacchierare, ma in quel momento volli ascoltare solo il caldo battito del cuore del giovane, che mi trasmetteva una ritmica tranquillità, al di sotto di suoi vestiti. Era un suono vivo, vibrante, che mi comunicava la sua silenziosa vicinanza. L’arbusto vicino a cui appoggiarmi durante la tempesta. Prima di sciogliere l’abbraccio, mi baciò la fronte, accarezzandomi il volto.
«Passerà. Starà bene» sussurrò, spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sorridendo rassicurante. Annuii, benché neanche lui sapesse quanto vere potessero essere le sue parole.
 

Appena i ragazzi se ne andarono, tornai immediatamente di sopra. Harry era sempre lì, che dormiva. Sospirai, ricordando con quanta costanza Louis avesse provato a svegliarlo e di come non ci fosse riuscito. Riaprii il laptop e mi accinsi a completare gli ultimi capitoli della sua storia.
Proprio quando digitai la parola finale dell’intera vicenda, sentii Harry riprendere vita accanto a me. Mi voltai, vedendolo aprire gli occhi per la seconda volta. Li spalancò ben bene, stiracchiandosi con energia. Ero quasi incredula. L’attimo prima sembrava sul punto di dissolversi nel letto, l’attimo dopo recuperava le vecchie energie. Mi lanciò un’occhiata amichevole, sorridendo.
«Credo che tu abbia concluso il romanzo, perché sto avvertendo un interessante senso di completezza», disse. «Tutta la vaghezza che sentivo prima, è sparita. Sono… in quiete» precisò, ridacchiando. «Ci siamo. È arrivato il momento» aggiunse, scostando le coperte e sollevandosi in piedi. Richiusi il portatile, alzandomi a mia volta per cercare di aiutarlo, ma lui scosse la testa con convinzione. «Non c’è bisogno», mi disse con fermezza.
Tutta la leggerezza e la tranquillità con cui comunicava con me in quel momento, mi lasciarono senza parole. Fino a due minuti prima avrei pianto tutte le mie lacrime. Non sapevo se essere felice del suo benessere o arrabbiata a causa di tutto il dolore che mi aveva involontariamente causato.
«È passato qualcuno, prima?» Chiese lui, distrattamente. «Perché mi pare di aver udito alcune voci chiamarmi, mentre dormivo. Avrei giurato che fosse Louis, ma non ne sono sicuro».
«In verità sì, erano passati a vedere come stavi. Solo che non riuscivi a svegliarti…»
«Giusto» aggiunse lui, dopo alcuni attimi. Rimasi in silenzio, osservandolo. Eccezion fatta per il pallore, sembrava perfettamente normale, come in tutti gli altri giorni.
«Ascolta, Yasmin…» esordì, cercando le parole adatte per esprimere i suoi pensieri. «Io credo di doverti ringraziare. Per avermi creato, per avermi dato la possibilità di fare tutte queste esperienze, quando sono uscito da quel computer. E lo so che sembra una cosa folle, ma ti ringrazio per aver creduto in me. Soprattutto per avermi ascoltato ed essere riuscita a superare il tuo blocco dello scrittore. La tua abilità si è affinata così tanto da indurmi a provare veri sentimenti e questo non lo dimenticherò mai» disse, e mi abbracciò con calore. Nonostante lui stesse per perdere qualsiasi accezione terrestre, quella stretta era così umana che non avrei mai voluto separarmene. Associando quel gesto ad un addio, calde lacrime solcarono nuovamente il mio volto, in silenzio.
«Vorrei tanto avere qualcuno a cui raccontare quest’esperienza, ma immagino che mi accontenterò di vivere nei tuoi ricordi. Il che equivale, più o meno, a rivivere nella mente di chiunque leggerà la mia storia» aggiunse lui, baciandomi la radice dei capelli e sciogliendo la stretta. Quando si accorse che stavo piangendo, si accovacciò di fronte a me, prendendomi il volto fra le mani ed asciugando quelle umide scie di dolore con i pollici. Che buffo, ora era lui a dover alzare la testa per guardarmi.
«Non sto andando da nessuna parte, Yasmin. Vivrò per sempre nel mondo dei libri, rinascerò in mille momenti, ogniqualvolta un lettore deciderà di sfogliare le pagine della mia vita. Ti sarò accanto dal fondo del foglio, dal nero inchiostro dei caratteri stampati, dalle labbra di chiunque mi leggerà ad alta voce. Sarò ovunque, ovunque tu vorrai che io sia. Mi troverai qui, nelle parole.
«Non è un addio. È il più bell’arrivederci che io possa augurarti e, se potessi, ti chiederei di scrivere di me all’infinito. Perché scrivere è uno dei più grandi atti di amore che esistano, se rivolto ad una persona speciale. È inserirla in mille mondi diversi, donarle altrettante vite differenti, consegnarla ai posteri e alle memorie di decine e decine di persone. Nessuno potrà mai dimenticarmi e io non sarò mai andato via», concluse, accompagnando il suo discorso dal più bel sorriso che avessi mai visto, quieto e disteso, calmo, sereno. Si sollevò in piedi e mi sfiorò una guancia con le dita.
«Starai bene, vero? Me lo prometti?» Chiese. Annuii, cercando di farmi forza, mentre lui si chinava per depositare un leggero bacio sulle mie labbra. Chiusi gli occhi cercando di catturare quel momento e rinchiuderlo per l’eternità dentro il mio cuore, per non lasciarlo più scappar via.
Quando riaprii gli occhi, le luci dell’alba avevano timidamente cominciato a farsi strada attraverso la pregna tenebra della notte. Ed Harry non era più lì con me. Il silenzio mi avvolse, mentre conservavo dentro di me l’eco della sua voce che mi salutava per l’ultima volta, per lasciarsi assorbire dal vero mondo a cui lui apparteneva.
Ti chiederei di scrivere di me all’infinito” ripeteva, in lontananza. Sorrisi, asciugandomi le nuove lacrime con la manica della maglietta.
Arrivederci, Ragazzo di Carta. C’incontreremo fra le pagine di mille nuove storie, mille nuovi inizi e mille nuove esperienze. 








Nota: scrivere questo capitolo è stato molto duro anche per me. Soprattutto la parte dell'addio, nonostante le parole di Harry siano più che vere. E condivido ogni suo pensiero, seppur sia così difficile, da parte di chi scrive una storia, accettare che i personaggi che hanno vissuto con noi fino a qualche minuto fa, abbiano ormai compiuto il loro corso e vivranno nella mente di qualcun altro, per sempre. Non è mai facile, devo riconoscerlo.
Ad ogni modo, non disperatevi: questa storia ha un epilogo e ve lo posterò prossimamente. Non vi abbandonerò così, non è nel mio stile. E, visto che siamo alla fine, ci terrei a ringraziare particolarmente le persone che hanno atteso per me due interi anni, affinché potessero leggere questo capitolo. Lo dedico a voi molto più che agli altri, perché ve lo siete meritato dal primo all'ultimo carattere. E, alle nuove leve... piacere di conoscervi e di aver fatto amicizia con i miei personaggi, anche se per poco!
Ma, conclusasi una storia, non si conclude una carriera (parolone, carriera)! Holly è sempre al lavoro e ha altro materiale da sottoporre alla vostra pazienza! Vi allego il link della mia ultima follia, inserendo un arrivederci all'epilogo di Paper Boy.
E ricordate: una storia è importante solo e soltanto quando viene letta e prende vita nella mente del lettore. Quindi, il debito che ho contratto nei vostri confronti, probabilmente non l'estinguerò mai. Ma va bene così.
...Alla prossima!






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Capitolo 13
*** Epilogo ***







Epilogo







“Perché un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte.”

ALESSANDRO BARICCO
 
 
 
 
Dopo l’intera vicenda di Harry Styles, Yasmin aveva revisionato il romanzo ed infine l’aveva consegnato a suo zio Mo, affinché lo pubblicasse. Fu un successo mondiale, raggiunse le vette di diverse classifiche mondiali, andò a ruba. Ma fu il suo secondo libro ad innalzarla al titolo di “migliore scrittrice emergente dell’anno”, a soli diciassette anni. “Storia di un Ragazzo di Carta” aveva doppiato il clamore de “L’Angelo Caduto”, dandole la possibilità di narrare una particolare vicenda così realistica, da spingere i suoi lettori a chiederle se fosse tutto frutto della sua fantasia. Al che, Yasmin rispondeva con un sorriso e una stretta di spalle, molto enigmaticamente.
Del cugino del Maine non si ebbero più notizie, perché Zayn raccontò di una sua improvvisa partenza per gli Stati Uniti e che non c’era modo di raggiungerlo. Louis ci rimase molto male, ma finì per adattarsi ad esigenze più grandi delle proprie. Niall e Yasmin decisero di darsi una seconda possibilità, prima come amici e successivamente come fidanzati. La band non riuscì mai a trovare un nuovo cantante che fosse in grado di rimpiazzare Harry e i contatti con il discografico andarono persi. La vita procedeva come sempre. Yasmin frequentava ancora la scuola superiore, Zayn lavorava part-time in un locale sulla ventiduesima. Non sembrava esser cambiato nulla da quella fatidica sera in cui Harry si era dissolto, tornando nel libro.
Finché, un mattino, il campanello di casa Malik non suonò. Nessuno dei due fratelli aspettava visite, così Yasmin andò ad aprire con una certa dose di curiosità. Appena spalancò l’infisso, si trovò dinanzi l’esatta copia di Harry Styles. Solo più cresciuto, con più tatuaggi e una cascata di lunghi riccioli color cioccolato che gli arrivavano alle spalle. Osservò quel giovane con ampio stupore per almeno un minuto, senza proferire parola.
«Salve», la salutò lui, con la stessa voce morbida e roca, dal timbro particolare. «Mi chiamo Harry Styles e sono il vostro nuovo vicino di casa. Mi sono trasferito qui da poco e… ci conosciamo, per caso?» Chiese alla giovane, i cui tratti sembravano familiari anche a lui. Quando anche Zayn raggiunse la sorella sulla porta, imbastì la stessa espressione sconvolta.
«Ciao anche te, sono il nuovo vicino di casa» ripeté con solerzia, sorridendo anche al ragazzo alle spalle di Yasmin.
«Piacere di conoscerti, Harry», gli disse lei, tendendo una mano con cortesia, per poi venire imitata poco dopo anche dal fratello. Il riccio gliele strinse con vigore.
«Siamo sicuri di non esserci mai visti prima? Perché…» riprese lui, ma Yasmin annuì con noncuranza.
«Sono la scrittrice di Storia di un Ragazzo di Carta, probabilmente avrai visto la mia faccia all’interno di qualche rivista o su Internet», minimizzò. Harry la fissò con occhio critico e poi si strinse nelle spalle.
«Probabile», convenne. «Allora, ci vediamo in giro. Tenetemi presente per qualche festa!» Esclamò, salutandosi e imboccando la strada di casa, sprofondando le mani nelle tasche e camminando con sicurezza. Appena Zayn richiuse la porta, lanciò uno sguardo stralunato alla sorella.
«Ma quello…» esordì, ma venne interrotto da Yasmin.
«È il nostro vicino di casa», concluse lei, non senza reprimere un sorriso. 






Nota: e ora, cari amici... la storia è veramente finita. Credo che non vi sareste aspettati una conclusione simile, ma il mio lavoro è anche questo: sorprendervi! Che dire... oggi finisce un viaggio, molto lungo. Che mi ha visto crescere, che ha raccolto un grande quantitativo di emozioni diverse per ognuno di voi che si è soffermato a leggerla. Non mi resta che ringraziarvi, di cuore. Non ho molte parole, devo ancora realizzare che non aggiornerò più "The Paper Boy".
In ogni caso, non intendo abbandonarvi e anzi... vi lascio un po' di link, così non avrete modo di sentire troppo la mia mancanza, hahahah! Non posso più dire "alla prossima", qui. Ma un "arrivederci" credo che sia alquanto appropriato. E grazie, ancora. Sempre.




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