The Untold Chronicles

di Zahn Volk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Il nome ***
Capitolo 3: *** 2. in Viaggio ***
Capitolo 4: *** 3. Giovani lupi ***
Capitolo 5: *** 4. Due doni ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Era incredibilmente freddo per essere una sera di metà agosto, il vento soffiava prepotente e spettinava le siepi e i cespugli del giardino della villa.
 Una donna corse a chiudere la finestra che si era aperta con un violento schianto.
- È in arrivo una tempesta.- disse rivolta ad un'altra più anziana che, seduta vicino ad un camino, piegava degli asciugamani stirandoli alla bene meglio con le mani callose e raggrinzite dai tanti inverni.
- È la Buryana che lo vuole.- commentò la seconda alzando lo sguardo verso i piani superiori - È venuto a prenderlo e a rapirlo, lo porterà con sé in terre lontane e gli farà dimenticare il nome di sua madre, il suo volto e il suo buon profumo di rose.- con un colpo piegò in due la biancheria e si alzò facendo segno alla compagna di seguirla - Il travaglio è già iniziato, nascerà prima di mezzanotte.- sentenziò portando gli asciugamani in una stanza al piano superiore.
 Stesa sul letto una donna cercava di trattenere le grida mentre l'ostetrica e le sue collaboratrici la rassicuravano accarezzandole la testa e pulendole il volto dal sudore che le imperlava la fronte.
 - Coraggio cara.- la incitava una giovane tenendole la mano e accarezzandole il volto.
 L'anziana con gli asciugamani entrò nella stanza e li appoggiò sulla cassapanca ai piedi del letto per poi andare ad aprire la finestra lasciando che il vento riempisse la stanza ed accarezzasse le presenti con la sua fredda carezza.
- Chiudi la finestra!- ordinò l'ostetrica ringhiando all'indirizzo della vecchia - Si prenderà una malanno con questa corrente!-
Ma l'anziana rimase al suo posto davanti alle imposte spalancate e incrociò le braccia al petto.
- Non senti l'ululato della tempesta?- domandò con rimprovero - È la Buryana che viene a prendere il bambino per portarlo trai lupi a cui appartiene.-
 - Zitta Grusha!- la riprese una delle giovani - Così spaventi Anzhela!-
 - No!- la ragazza stesa a letto guardò in direzione della vecchia con il viso sfigurato dal dolore e dalla fatica - Parla, babushka, chi vuole il mio bambino?-
Grusha si avvicinò al letto ed accarezzò il ventre di Anzhela appoggiandovi sopra la mano, sentendo il piccolo scalciare e agitarsi impaziente di venire al mondo.
- Ha sangue di lupo, vero?- la vecchia babushka sorrise alla ragazza che annuì timida per poi cominciare a piangere - Se è figlio dei lupi i lupi si prenderanno cura di lui, non temere.-
 - Lui non lo deve sapere! Se lo saprà lo ucciderà.- singhiozzò mentre una seconda contrazione gli strappava un grido.
- Kostyantyn non lo saprà.- la tranquillizzarono in coro le donne - Gli diremo che è nato morto.-
 Anzhela ricadde stremata tra i cuscini singhiozzando disperata.
 Kostyantyn sapeva, sapeva di chi era il bambino che aveva in grembo e se non l'aveva presa a calci per farla abortire era solo perché, malgrado si fosse unita ad un Invisibile, Anzhela restava sua sorella ed era il sangue del suo sangue.

Un uomo attendeva nella cucina della villa e si rigirava tra le dita inguantate di nero un bicchiere di vodka aspettando paziente.
 Grusha scivolò come un'ombra nella stanza e si avvicinò all'ospite portando in braccio un fagottino di lana.
- Alyosha.- la vecchia chiamò l'uomo sussurrando il suo nome per non svegliare la creatura che aveva in braccio.
 Alyosha si voltò e si avvicinò alla donna scostando un lembo di stoffa quel tanto che bastava per vedere cosa fosse nascosto tra le coperte e gli asciugamani.
 Un bambino dormiva placidamente tenendosi le mani contro il petto e i pugni serrati come a volersi difendere da qualcosa, di tanto in tanto l'espressione serena del suo volto si faceva più cupa, i primi brutti pensieri di una mente neonata, per poi tornare tranquilla come quella di tutti i bambini che hanno appena aperto gli occhi alla vita.
- È un maschio?- chiese titubante l'uomo esitando a prenderlo in braccio.
- È un maschio.- confermò Grusha mettendo il bambino in braccio all'uomo che subito lo avvolse nel suo cappotto di cotone - Devi farlo sparire in fretta, portalo via e non tornare più Tjumen'.-
L'uomo cullò il bambino che aveva aperto un occhio per poi decidere di voler dormire ancora un po' e richiuderlo.
- Sua madre?- domandò guardando la vecchia - Qualcuno potrebbe voler avere sue notizie.-
Grusha abbassò il capo scuotendolo sommessamente.
- Era troppo magra e il travaglio l'ha stremata.- l'anziana donna alzò nuovamente lo sguardo e i suoi occhi azzurri si posarono sul bambino che riposava contro il petto di Alyosha - Che Dio l'abbia in gloria.-
Così dicendo si chinò sul piccolo e gli baciò la testa e i pochi radi capelli biondastri che gli coprivano lo scalpo - E che la Buryana sostenga questo figlio di nessuno.-

 

 

AVVERTIMENTO
Il capitolo che avete letto è il primo di una storia ancora in fase di scrittura e correzione, chiedo quindi scusa se i periodi non sono sempre perfetti e per eventuali errori di battitura e/o grammatica. Grazie

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Capitolo 2
*** 1. Il nome ***


1. Il nome

La neve cadeva fitta, una stella rossa posta in cima ad un pennone controllava severa ciò che succe-deva sotto di sé e spiava coloro che si muovevano all’ombra della cattedrale di San Basilio cercando rifugio in quelle catapecchie costruite alla bene meglio su quella che un tempo era stata la grande Piazza Rossa.
La buriana soffiava sgarbata e spazzando lo spiazzo raccontava alla notte le storie di vodka e morte che aveva ascoltato nei deserti della steppa.
Un uomo e un bambino procedevano a fatica coprendosi il volto per sfuggire a quegli artigli di ghiaccio e stringendosi maggiormente nei loro cappotti per non farsi uccidere dal freddo.
- Tieni il passo, Nemetskiy, non restare indietro. Forza! Forza! Tua madre non ti ha dato le gambe?- grugnì l’uomo stringendosi nel lungo giaccone di pelle marrone e allungando, quasi per dispetto il passo senza curarsi minimamente del più giovane che lo seguiva arrancando.
Il bambino non rispose e si limitò ad affrettare il passo avanzando a stento nella neve che gli arrivava al ginocchio e ingombrava tutta la strada.
I due si fermarono davanti ad una porta e sostarono qualche istante nel cerchio di luce che un’insegna al neon disegnava sulla lastra di ghiaccio che ricopriva il selciato.
- Non parlare se non te lo dico io.- l’uomo abbassò lo sguardo sul bambino e, quando lo spioncino della porta si aprì, scostò il bavero della giacca quel tanto che bastava per mostrare un tatuaggio che, arrampicandosi dalla spalla, arrivava a lambirgli il collo – Tieni lo sguardo basso e non dare fastidio.- ordinò attendendo che dall’altra parte gli aprissero – Fa il bravo e nessuno ti farà del male.- promise con un ghigno per poi varcare l’ingresso e salutare con un cenno del capo l’uomo che gli aveva aperto.
Entrarono in quello che sembrava un magazzino convertito in taverna e avanzarono tra i tavoli rica-vati da grosse casse di legno, l’uomo cercò la mano del bambino e la strinse con decisione costrin-gendolo ad avanzare incurante dei tentativi di protesta del piccolo che si guardava intorno cercando qualcosa di, se non spaventoso, familiare e ordinario.
Il locale versava nella quasi totale oscurità e, ad eccezione delle lampade appese sopra i tavoli, non vi era quasi per niente luce, anche il bancone era quasi completamente al buio se non per una piccola insegna al neon che lanciava bagliori colorati sulle bottiglie allineate e i bicchieri impilati.
L’odore di alcol, tabacco e sudore si faceva più forte man mano che ci si addentrava nel locale, un cortina bianca di fumo aleggiava sospesa tra il soffitto e le teste degli avventori curvi sui tavoli e sui loro bicchieri.
Il bambino storse il naso a quegli odori così forti e si divincolò desiderando solamente uscire da quella bettola e tornare a sentire sulla pelle la carezza fredda del vento.
- Sta fermo.- gli intimò l’uomo assicurando maggiormente la presa intorno alla manina del bimbo e avvicinandosi ad una tavolo a cui prese posto sistemandosi tra due uomini dai capelli grigi come il fumo.
Il bambino ascoltò gli adulti scambiarsi i convenevoli e intavolare discorsi di armi, droga, donne e morte; argomenti che erano decisamente lontani dagli interessi di un bimbo di appena quattro anni.
Provò ancora una volta a liberarsi dalla stretta dell’uomo per poi sedersi rassegnato a terra e comin-ciare a giocare con due carte abbandonate come lui tra le gambe delle sedie.
Uno degli uomini parve improvvisamente accorgersi del più giovane e si piegò fino a trovarsi con gli occhi alla stessa altezza del bambino che istintivamente andò a rintanarsi sotto il tavolo fuggendo da quel tentativo di socializzazione.
- Alyosha!- l’uomo si rimise a sedere e chiamò quello che aveva portato con sé il bambino – Chi è quel moccioso rintanato sotto al tavolo?- domandò con un ghigno sul volto.
- Nemetskiy!-
Alyosha si piegò e, recuperato il piccino, lo afferrò sotto le ascelle e lo mise in piedi sul tavolo su cui erano già appoggiate armi, carte, bicchieri pieni e bottiglie di vodka vuote.
Disorientato il piccolo si guardò intorno alzando gli occhi sulla lampada che penzolava ora a pochi centimetri dalla sua testa per poi abbassarli, accecato dalla luce, sugli oggetti che lo circondavano e che non riusciva a riconoscere.
- Un figlio di nessuno.- disse poi tornando a sedersi e lasciando il bambino lì in mezzo perché tutti lo potessero vedere – Il bastardo di Anzhela.-
Uno dei presenti spostò lo sguardo dall’uomo che aveva portato il bambino al piccolo e lo fissò con particolare interesse soffermandosi sui suoi capelli biondastri, la sua carnagione chiara e gli occhi verdi e vispi come quelli di un gatto.
- Un figlio di nessuno.- ripeté continuando a guardare il bambino e passandosi l’indice sul labbro inferiore per poi umettarselo – Nessuno lo ha riconosciuto? Non ha un nome?- domandò ad Alyosha smettendo, solo per un istante, di guardare il più giovane.
- Non ha padre.- rispose l’uomo – Niente padre, niente nome. Anche se io lo chiamo Nemetskiy vi-sto che non riesce a mettere due parole insieme e a formare una frase di senso compiuto.- terminò tranquillamente quasi che il bambino non esistesse e non potesse sentire i loro discorsi.
- Ora ti interessi dei figli di nessuno, Zharko?- domandò uno dei presenti ridendo e buttando giù della vodka.
- Zharko: il lupo della steppa e il protettore dei bastardi!- lo canzonò un altro imitando il compare e lasciandosi contagiare dal suo buon umore.
- Silenzio!- Zharko scattò in piedi e fulminò con lo sguardo i due che avevano osato prenderlo in gi-ro rimettendoli al loro posto con un’occhiata minacciosa ed autoritaria.
Il tavolo traballò appena quando l’uomo si alzò e il piccolo perse l’equilibrio cadendo sul piano tra le armi e le carte da gioco smistate.
Zharko guardò serio tutti i presenti e si aggiustò con un gesto secco la giacca scrollandosi di dosso briciole di pane e la cenere dei sigari.
Fissò nuovamente il bambino, che a sua volta lo fissava con un misto di soggezione e ammirazione, e raccolse la sua pistola rimettendola nella fondina che portava alla cintura. Si rivolse poi ad uno dei presenti aggiustandosi meglio addosso la giacca per difendersi dal freddo a cui stava andando in-contro.
– Domani mattina, puntuale, magazzino numero dodici ore nove.- disse in tono piatto e deciso – Se tarderai io non ti aspetterò, sia chiaro.- ribadì secco per poi tornare a guardare il bambino e rivolgersi nuovamente ad Alyosha – Il figlio di nessuno viene con me.- intimò in un tono che non ammetteva repliche.
- Con te?- domandò l’uomo con un ghigno – E cosa se ne fa uno come te di un bastardello come questo?-
- Tu non ti preoccupare.- replicò l’altro prendendo il bambino e mettendolo a terra – Ti preoccupa forse un figlio di nessuno?-
Alyosha si strinse nelle spalle e scosse il capo – Figurati! Prenditi pure questo Nemetskiy e portalo dove vuoi: a casa tua, Berlino o anche all’inferno, se preferisci.- si allungò sul tavolo e afferrò un pacchetto di sigarette accendendosene una – Mi liberi solo di un peso.-
Zharko aggrottò le sopracciglia non certo di voler sapere in che modo il bambino fosse arrivato tra le mani di Alyosha e si voltò nuovamente verso l’uomo con cui si sarebbe dovuto vedere il giorno successivo – Magazzino dodici ore nove.- disse nuovamente per poi uscire spingendo fuori con sé il piccolo ancor più disorientato.
Appena fuori dal locale l’uomo superò il bambino e, quasi si fosse dimenticato della presenza dell’altro, cominciò a camminare rapido verso casa sua senza curarsi che il piccolo lo seguisse o meno.
Camminarono in silenzio per una buona decina di minuti e solo uno starnuto del bambino fece ri-cordare a Zharko che non era solo.
L’uomo si voltò e attese a braccia conserte che il piccolo lo raggiungesse, lo osservò per alcuni istanti per poi piegare il capo di lato quasi stesse stimando il valore di ciò che aveva acquistato e pensando a come potesse tornargli utile.
- Non hai detto una parola da quando siamo usciti da quella bettola, ti hanno insegnato a parlare o no?-
- Nemetskiy.- rispose il bambino alzando lo sguardo sull'uomo, come se quel nomignolo fosse una giustificazione più che valida al suo silenzio.
- Non hai paura?- insistette l'uomo stupito della docilità quasi rassegnata con cui lo aveva seguito.
Il bimbo scosse convinto il capo.
- E se ti uccidessi? Se ti facessi sbranare da uno dei miei cani, non avresti paura?- rincarò la dose senza preoccuparsi di impressionare quella giovane mente, se fosse sopravvissuto troppe ne avrebbe viste e, al confronto, un mastino arrabbiato gli sarebbe parso un cucciolo giocherellone.
- Alyosha dice che sono un figlio di nessuno.- replicò semplicemente il piccolo riuscendo a mettere insieme qualche parola e a formare una frase abbastanza corretta.
- Allora sai usare la lingua, piccolo Nemetskiy!- esclamò Zharko sollevato dal fatto che il bambino non fosse un completo mentecatto - E tu sai cosa significa?-
- Vuol dire che non ho un papà e, visto che non ho un papà, non ho un nome.- rispose il bambino stringendosi appena nelle spalle, quasi che la cosa non gli importasse più di tanto.
Zharko lo guardò attentamente prendendo un profondo respiro e sentendo l’aria fredda entrargli nel naso e poi giù nei polmoni.
- Apparteniamo a coloro che ci danno un nome.- spiegò poi – Tu non appartieni a nessuno perché nessuno ti ha dato un nome, ma questa libertà ti ucciderà. Non avere nome vuol dire non avere futu-ro e, nel posto in cui stiamo andando, essere qualcuno ti aiuterà a sopravvivere un giorno di più.-
Si passò una mano tra quei pochi capelli che ancora aveva e si guardò intorno come stesse cercando l’ispirazione per poi guardare il piccolo che lo osservava con il capo leggermente reclinato da una parte, non certo di aver capito esattamente cosa quello strano signore aveva detto.
- È usanza che i figli portino un nome che cominci con la stessa lettera di quello del padre.- ragionò a voce alta guardando le rade stelle che brillavano sopra di loro – Ti chiamerai Zahn, Zahn Volk.- disse poi con lo stesso tono grave che aveva avuto per tutta la serata – Hai capito?- domandò poi guardando il bambino che rimaneva impassibile.
- Sì.-
- Bene.- l’uomo si voltò e riprese a camminare – Ora muoviti, la notte è breve e domani ci aspetta un viaggio lungo.-

 

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Capitolo 3
*** 2. in Viaggio ***


2. In viaggio

Freddo, neve,  lande grigie che sembravano non avere confini; Zahn distolse lo sguardo dall’orizzonte per paura di essere risucchiato da quel grigio che annullava tutto.
Si accomodò meglio sulla cassa di legno e prese tra le mani i due proiettili che gli erano stati dati per tenerlo impegnato mentre Zharko terminava gli ultimi affari.
Ne accarezzò la superficie metallica e fredda soffermandosi a picchiettare la punta, li appoggiò sul cassone e vi si accovacciò davanti fissando le due pallottole e cercando di immaginare cosa potesse-ro essere: due soldatini dall’uniforme dorata, due macchine che scavavano il terreno, due animali particolarmente strani o due aerei che si alzavano con le punte a sfidare il cielo; tutto era possibile per quella mente semplice e quella fantasia che non conosceva confini.
Uomini avvolti in cappotti pesanti e lunghi circondavano Zharko e discutevano animatamente con lui di prezzi, merci e altri argomenti che Zahn non capiva e che nemmeno gli interessavano.
Quando ebbe finito di contrattare l’uomo si avvicinò al piccolo con le mani affondate nelle tasche e rimase alcuni istanti a fissare il bambino e qui giochi per lui insensati.
- Dobbiamo andare.- annunciò con il suo solito tono piatto - Vieni.- ordinò voltandosi e dirigendosi verso il camion in testa ad una lunga carovana.
Zahn fece sparire i due proiettili nella tasca del cappottino e trotterellò ubbidiente dietro all’uomo fermandosi davanti alla portiera del truck senza sapere come arrampicarsi fino all’abitacolo della vettura.
L’espressione pensierosa del bambino strappò un sorriso a Zharko che si piegò e, afferratolo da sotto le ascelle, lo aiutò a salire.
Da lassù il bimbo si sentiva un piccolo principe: gli orizzonti si erano fatti più alti e riusciva persino a scorgere la linea bianca che segnava il confine tra le terre ad ovest e la Siberia, il mondo scorreva ra-pido oltre il finestrino e le case sembravano sempre più piccole man mano che si allontanavano da quel villaggio sperduto chissà dove.
- Dove andiamo?- domandò Zahn sistemandosi meglio sul sedile e cercando di liberarsi dalla cintura di sicurezza che lo teneva legato infastidendolo.
- Berlino.- rispose Zharko sapendo quanto poco significasse quel nome per il moccioso.
- Perché?- lo incalzò Zahn curioso.
- Perché non possiamo stare qui.- replicò l’uomo gettando occhiate sospettose alla strada che correva ad occidente.
- Perché?-
- Sai dire solo questo? “Perché”?- Zharko si voltò verso il piccolo e lo guardò serio.
– Andiamo via perché dobbiamo, perché il mondo cambia e noi cambiamo con lui per non morire.- fissò il piccolo chiedendosi quanto di quel discorso avesse effettivamente capito – Ti basta?- do-mandò poi insofferente.
- Sì.- rispose il bimbo tornando taciturno a guardare la strada e il paesaggio fuori dal finestrino.
Zharko teneva lo sguardo fisso ora sulla carreggiata ora sul bambino. Non si pentiva di averlo preso con sé, anche se quella strana paternità aveva messo in evidenza quanto il ruolo di padre non facesse per lui.
Zahn non era come gli altri marmocchi del suo clan, non era come i figli di quella gente di malaffare costretta a scappare per vivere.
Quel bambino era selvatico come la terra in cui era nato, i suoi silenzi erano pesanti come la coltre di nubi che copriva quasi perennemente i cieli siberiani, il suo sguardo sveglio faceva intendere che sa-rebbe stato difficile domare e legare quello spirito che affiancava a quella natura indomita un non so che di nobile di certo ereditato dalla madre che lo aveva generato nella vergogna e nel peccato.
Zharko voleva vedere nuovamente quegli occhi verdi e così diversi dai suoi neri: voleva sparire in quelle due piccole gemme ancora acerbe e così espressive; si schiarì la voce e attese che il bambino abboccasse a quel tentativo di attirare la sua attenzione.
Pochi istanti e il desiderio di Zharko fu realizzato: il bimbo lo fissava silenzioso aspettando, forse, qualcosa da quell’uomo burbero che gli aveva dato quel nome così strano.
- Conosci gli animali?- domandò l’uomo pensando che, ora che lo aveva chiamato, doveva almeno provare a fare un po’ di conversazione.
Zahn non rispose e si limitò ad annuire per paura di indispettirlo.
- Quali conosci?- Zharko si sentiva un idiota, ma tanto valeva provare a sembrare se non simpatico almeno cordiale.
- Il cane, il gatto, il topo, … .- il bambino cominciò ad elencare tenendo a caso il conto sulle dita della manina – Il lupo, l’orso, la mucca, … .-
- Questo lo conosci?- Zharko scostò il bavero della giacca e scoprì un tatuaggio che sbucava dalla camicia mostrando la testa di un animale.
Zahn si avvicinò appena all’uomo e studiò il disegno cercando di capire cosa fosse.
- Un cane?- domandò incerto non riconoscendo nessuno degli animali che conosceva.
- È un lupo.- lo corresse l’uomo coprendosi nuovamente il collo – Un lupo della steppa.- specificò con una punta di orgoglio.
- Come te?- domandò il piccolo fissando l’uomo con i suoi grandi occhi verdi.
Zharko lo fissò sorpreso, spiazzato da quella domanda che lo aveva decisamente stupito.
- Come me.- confermò poi – Come tutte le persone che vivono con me.-
- Anche io quindi?- domandò speranzoso il bambino desiderando, forse per la prima volta, di sentirsi parte di qualcosa.
- Anche tu.- confermò con un sorriso Zharko continuando a fissare il bimbo – Contento?-
Zahn scrollò appena le piccole spalle non sapendo pene cosa rispondere: era sempre stato da solo e il concetto di “gruppo” non gli apparteneva molto.
- Penso di sì.- disse poi sorridendo a sua volta – Sì, mi piace essere un lupo.- asserì con quell’orgoglio un po’ ridicolo tipico dei bambini.

Di notte le strade di Berlino sembravano ancora più ostili che alla luce del giorno.
I palazzi incombevano sull’underground simili a divinità severe e luminose: sorveglianti che, in nome di un non specificato bene superiore, controllavano con efficienza le vite di chi si muoveva sotto di loro.
Zahn si strinse all’uomo che lo accompagnava e cercò di nascondersi dagli sguardi che lo spiavano da quei grattacieli imponenti e minacciosi, i suoi occhi verdi fissavano atterriti quei palazzi scuri che li sovrastavano minacciando di cadere loro addosso da un momento all’altro.
- Siamo arrivati.- Zharko si fermò davanti ad una porta di metallo e bussò tre colpi sulla superficie dalla vernice scrostata rossa – Andrà tutto bene, non ti preoccupare.-
Una donna aprì loro e si appoggiò allo stipite della porta appoggiando una mano sul fianco.
Zahn la osservò a lungo e molto attentamente, era diversa dalle donne con cui aveva avuto a che fare fino ad allora e gli ricordava una creatura delle favole.
Le sue labbra erano carnose, rosse come due ciliegie mature e lucide per via del trucco che usava e che le faceva sembrare ancora piene.
Il volto raccontava di una donna che, in gioventù, si sarebbe potuta scambiare per un angelo: era piccolo e dai lineamenti delicati, appena l’accenno di qualche ruga precoce a segnarne i punti critici. Gli occhi erano blu scuro, magnetici e sensuali: due macchie di oceano in cui un uomo si sarebbe piacevolmente lasciato andare fino ad annegare.
I capelli erano lunghi, biondi, anche alla base si poteva scorgere il principio di una ricrescita mora, e tenuti raccolti in un’acconciatura che le lasciava scoperto il lungo collo simile a quello di un cigno.
Il corpo era l’incarnazione della sensualità: il seno prosperoso era accentuato dal corpetto nero che la donna indossava, i fianchi erano linee morbide che invitavano o sguardo a scendere sulle gambe lunghe e appena visibili attraverso la vestaglia di satin color avorio che indossava.
Era una prostituta, ma per Zahn era quanto di più vicino ad una regina caduta in disgrazia.
La donna fece un cenno del capo ai suoi due visitatori e si voltò addentrandosi senza dire una parola nel bordello.
Li guidò attraverso le sale in cui i clienti attendevano di essere serviti, salirono di un piano percor-rendo un corridoio dalle pareti color amarena sui cui si affacciavano porte dello stesso colore da cui provenivano canzoni stonate e urla di piacere.
Zahn affrettò il passo, impaurito da quei rumori che non conosceva e seguì Zharko e la prostituta in quello che doveva essere l’alloggio della donna: una stanza circolare dalle pareti scarlatte e il soffitto bianco da cui penzolavano gabbiette in ferro battuto in cui erano rinchiuse coppie di angeli di porcellana bianca, servi di un dio buono costretti ad assistere impotenti ai peccati che si consuma-vano sotto i loro occhi vitrei.
- Sedetevi.- la donna gli indicò due poltroncine e li invitò ad accomodarsi con voce calda e suadente.
- Non ti aspettavo così presto, Zharko.- la cortigiana si alzò e andò a prendere due bicchieri e della vodka per sé e il suo ospite – E lui? Un nuovo giovane acquisto per questo posto?-
Guardò con interesse il piccino e si umettò le labbra.
- Complicazioni.- spiegò sbrigativo Zharko buttando giù la vodka – Non guardarlo così, Lyuba, lui non è per te.- intimò alla prostituta scoccandole un’occhiata severa.
- È davvero un bel bambino.- osservò la donna girando intorno al tavolo ed accovacciandosi davanti al piccolo – Davvero un bel bambino.- ripeté cercando di lasciare una carezza sulla guancia di Zahn che si scansò fissandola diffidente.
- Non è per te.- ribadì Zharko sorridendo alla reazione del bimbo.
- Allora perché me lo hai portato?-
Lyuba sospirò esasperata e tornò dietro la scrivania lasciandosi cadere sulla poltrona di velluto rosso per poi tornare a guardare il bambino e perdersi in quello sguardo. Era davvero un peccato che Zharko non volesse impiegare quel piccolo nel bordello: tempo qualche anno e le donne quanto gli uomini avrebbero pagato profumatamente per godere anche solo per un’ora della compagnia di quel giovanotto dai capelli dorati e gli occhi di smeraldo; ma, se Zharko aveva deciso diversamente, lei non avrebbe di certo disobbedito.
- Devo sparire per qualche tempo e lui sarebbe solo un peso.- l’uomo si alzò e si sistemò la giacca – Dagli da mangiare, tienilo lontano dai guai e da quei maiali che chiami clienti. Al mio ritorno ti pa-gherò per il disturbo.- impartì gli ordini con il suo solito tono piatto, certo che la donna non avrebbe trasgredito ad una sola delle sue parole.
Lyuba seguì attentamente i movimenti dell’uomo spostando lo sguardo da lui al piccolo che le se-deva davanti e che a sua volta guardava Zharko temendo di essere, per l’ennesima volta, abbando-nato.
- E se tu non dovessi tornare?- domandò la prostituta con falsa preoccupazione sbattendo una volta di troppo le lunga ciglia.
- Manderò un mio collaboratore a prenderlo.- la rassicurò l’uomo sapendo bene cosa l’altra sperasse – Non è per te.- ripeté nuovamente.
- Tranquillo Zharko.- la donna sorrise melliflua alzandosi a sua volta – Nessuno toccherà il tuo lu-pacchiotto dagli occhi verdi.-
Sorrise al bambino e andò alla porta aprendola nuovamente – Venite ora, le ragazze vorranno cono-scere il piccolo principe e poi dovremmo anche trovargli un posto per dormire.-
Leggiadra la cortigiana percorse a ritroso il corridoio e portò i due ospiti in quella che doveva essere la cucina di quella casa chiusa.
Al tavolo erano sedute sei giovani che, alla vista della donna, scattarono in piedi come soldatini da-vanti ad un superiore accantonando i loro spuntini e l’alcol che stavano bevendo per dimenticare quella serata di lavoro.
- Ragazze,- Lyuba si fermò accanto alla porta e spinse avanti Zahn – Vi devo presentare un ospite che starà con noi per qualche tempo, è il pupillo di Zharko e mi aspetto che tutte voi lo trattiate come fosse figlio vostro.- precisò accompagnando il bambino verso le fanciulle che subito cominciarono a litigarselo e a fare a gara per dargli attenzioni a cui il piccolo scappava non gradendo particolarmente di essere preso in braccio e coccolato.
Lyuba lasciò Zahn a fare conoscenza delle sue ragazze e scortò Zharko verso l’uscita assumendo un’espressione seria.
- Quel bambino.- cominciò in tono grave – Non è uno di noi, vero?- incrociò le braccia al petto guardando l’uomo che aveva davanti con la stessa espressione di biasimo di un’insegnate davanti ad uno scolaro particolarmente indisciplinato.
- No.- rispose Zharko evitando di incrociare lo sguardo con quello della prostituta, quasi si vergo-gnasse di qualcosa – È il figlio illegittimo di una nobile di Tjumen': Anzhela Kozlov.-
Lyuba ascoltò attentamente l’uomo meditando come fosse impegnata ad afferrare un ricordo che le sfuggiva.
- Kozlov.- ripeté a bassa voce – Era una famiglia potente, se non ricordo male. Savva Dorofey Ko-zlov non ebbe un bastardo da una prostituta?-
- Alyosha Volk.- confermò Zharko annuendo – Sì, è stato lui a portarmi il bambino.-
- E perché proprio da te?- lo incalzò la donna senza preoccuparsi di apparire indiscreta.
- Questo non lo voglio sapere.- tagliò corto l’uomo aggiustandosi il cappotto e voltandosi verso la porta della cucina.
Zahn era riuscito a scappare dalle ragazze e lo fissava silenzioso in attesa di quell’ordine impartito con calma “Andiamo”.
- Mi lasci qui?- domandò deluso.
- Devo.-
- Sono di nuovo un figlio di nessuno?- Zahn conosceva l’abbandono e aveva imparato a riconoscerne i segni prima ancora che gli altri lo lasciassero davanti all’ennesima porta o con un altro estraneo.
- No.- Zharko si accovacciò davanti al bambino allineando i loro sguardi – Che cosa ti ho detto sul fatto del nome, te lo ricordi?-
- Che apparteniamo a chi ce lo mette.- rispose solerte il bambino.
- Esatto. Io ti ho dato il nome Zahn e tu ora mi appartieni da ora fino a quando non morirò.- Zharko non era bravo nei discorsi accorati, ma quelle poche parole sembrarono tranquillizzarlo.
- Ci vediamo presto.- l’uomo salutò velocemente il piccolo e la donna e sparì inghiottito dalla fredda notte di Berlino.
Lyuba e Zahn seguirono la sagoma di Zharko fino a quando non si confuse con le ombre, dopo di che la cortigiana richiuse la porta e accompagnò nuovamente il bambino in cucina con la promessa di del latte caldo e qualche biscotto.
- Mi vuoi dire come ti chiami?- gli domandò mentre preparava quella merenda veloce per il suo giovane ospite.
- Il mio nome è Zahn.-

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Capitolo 4
*** 3. Giovani lupi ***


3. Giovani lupi

La Taiga era lontana, i fiumi Amur e Lena erano un ricordo lontano e un altro fiume accompagnava le vite di quel clan di lupi orfani della loro madre Siberia.
La Sprea e l'Halev correvano accanto ai quartieri della Altstad e passando tra le case raccontavano le storie che avevano raccolto lungo il loro corso, storie narrate in una lingua straniera che Zharko ancora faticava a capire.
- Nemetskiy!- l'alfa del clan chiamava ancora così Zahn malgrado ora il piccolo avesse un nome suo. - Nemetskiy!- facevano eco gli altri ragazzini che si divertivano a prendere in giro il biondino che non parlava russo.
- Continueranno a chiamarti così finché non imparerai la nostra lingua madre.- gli spiegava la sera Lyuba quando, tornando a casa, Zahn cominciava a ripetere rabbioso il nomignolo che gli era stato affibbiato.
- Non siamo in Siberia!- obiettava allora il piccolo sapendo di potersi lasciare andare a certe proteste quando era solo con la prostituta - Siamo in Germania e in Germania si parla tedesco!-
Lyuba ascoltata pazientemente e nel mentre spogliava il bambino e lo infilava nella vasca da bagno per ripulirlo dalla terra e dal sangue che gli imbrattavano il viso e i capelli.
- Ricordare le nostre origini è importante.- lo rimbeccava la donna strofinando con gentilezza la pelle pallida del piccolo - Tu sei un cucciolo di lupo e tutti i cuccioli di lupo conoscono il russo.-
- Allora io sarò un cucciolo di lupo diverso!- insisteva il bambino intestardendosi - Saukerle.- rin-ghiava infine guardando contrariato la propria immagine allo specchio.
Così magro, pallido e con quei capelli biondi sarebbe stato comunque difficile scambiarlo per un lupo siberiano. Gli altri ragazzi erano di corporatura robusta e avevano capelli scuri e occhi chiari, azzurri come il cielo invernale o gialli come pagliuzze d'oro; lui invece aveva occhi verdi come due piccole gemme non ancora sbocciate. Odiava il suo riflesso, odiava vedere quanto fosse diverso da-gli altri della cucciolata.
Lyuba ascoltava pazientemente gli sfoghi del bambino e gli baciava i capelli biondi prima di avvol-gergli il capo in un asciugamano e cominciare ad asciugarlo.
- Non saprai parlare bene il russo, ma in tedesco sai come difenderti, piccolo Nemetskiy.-

Erano giovani, erano esuberanti e convinti che il mondo si sarebbe piegato ai loro piedi ad un loro schiocco di dita, ma la realtà, la realtà in cui quei cuccioli d'uomo erano nati, era ben diversa e aveva leggi che bisognava conoscere se si voleva sopravvivere.
Motya, il più stretto tra i collaboratori di Zharko, aveva il compito difficile quanto gratificante di in-segnare ai più giovani le regole del Popolo degli Invisibili e del clan.
- Il nostro popolo ha radici antichissime e la nostra gente è riuscita a sopravvivere allo scorrere del tempo e alle tempeste della guerra solo avendo regole ferree quanto sagge.- diceva loro standosene impettito al centro del Domoy, la corte di Zharko e della sua gente - Siamo lupi, viviamo in branco, ci proteggiamo a vicenda, ci muoviamo ed agiamo come un corpo ed un'anima sola. La vita di un lupo siberiano deve seguire poche, vitali regole sacri come un comandamento:

1. Uccidere un fratello o una sorella lupo è un reato punibile con la morte e meditare questo un simile delitto è grave quanto averlo compiuto. Un lupo è autorizzato ad ucciderne un altro solo se è in pericolo la vita del clan o la propria.
2. I lupi rispettano la libertà e la vita di ogni essere vivente. Togliere la vita o la libertà ad un essere vivente o torturarlo per gioco o senza un valido motivo è un sacrilegio gravissimo.
3. La parola dell'alfa è inconfutabile e deve essere seguita ciecamente da tutti i membri del clan. Un lupo è autorizzato a disobbedire all'alfa qualora un ordine impartito possa mettere in pe-ricolo il clan o il Popolo invisibile.
4. Sparare all'interno del Domoy è un sacrilegio. Tutte le questioni devono essere risolte con onore e il più pacificamente possibile.
5. I lupi onesti e onorevoli non si sporcano le mani con la droga né con il sangue. Uccidono solo se costretti e nel modo più rapido ed indolore per il loro avversario.
6. Tutti i lupi devono avere un lavoro all'interno del branco e contribuire al sostentamento del clan. Il denaro e la ricchezza non sono lo scopo della vita di un lupo, ma il mezzo che ne ga-rantisce la sopravvivenza.
7. Un lupo non si mischia con la gente della Neustadt se non per rubare o per questioni di lavo-ro.
8. I lupi non parlano mai e per nessun motivo con i Disonesti: i Giusti, i banchieri, gli usurai e i politici.
9. I giuramenti di sangue sono sacri e chi li infrange è meritevole di morte. Ogni giuramento deve essere pronunciato alla presenza di due testimoni: uno del proprio clan e un membro del Popolo invisibile.
10. I rapporti con gli altri clan devono il più possibile pacifici e rispettosi. Questioni tra membri di clan differenti devono essere risolte davanti al Consiglio dell'Altstadt e senza che le con-seguenze ricadano su tutto il clan.

Ricordate sempre, giovani lupi, senza regole un branco è presto condannato all'estinzione.-
Finita la lezione Motya guardava uno ad uno i giovani lupi seduti intorno a lui e li interrogava met-tendoli alla prova con indovinelli e altre piccole verifiche.
Zahn ascoltava attentamente e imparava tutte quelle regole ripetendole poi a Lyuba con la stessa precisione con cui uno scolaro ripete una poesia o una filastrocca imparata a scuola, dopo tutto quella era scuola per lui.
- Noi lupi siamo il clan più forte dell'Altstadt e il più potente all'interno del Consiglio.- spiegava an-cora Motya portando i giovani ad esplorare il loro territorio per insegnargli i confini e le regole della convivenza con gli altri clan - La Sprea e l'Halev sono sacri in quanto fumi fonti d'acqua dell'Al-tstadt. Inquinare volontariamente o accidentalmente il fiume è un reato gravissimo.
Gli altri clan segnano i loro territori con i loro simboli e i loro colori ed è importante conoscerli per non avere problemi con nessuno di loro.-
L'uomo apriva una grande cartina al centro del Domoy e indicava i distretti in cui era spartita l'Al-tstadt indicando quale clan vi abitasse e i loro simboli e colori.
- Teschi neri.- cominciava ad elencare - Colori nero e grigio, segnano il loro territorio appendendo teschi e scheletri ai lampioni. Entrate nel loro territorio senza permesso e sarà l'ultima cosa sciocca che farete in vita vostra. Uomini e donne sono sempre vestiti di grigio, il loro alfa è sempre una donna e si distingue dalle altre portando un medaglione d'oro.
I Perros rojos: colore rosso, tingono di rosso le loro porte e le imposte delle loro case.-
Aiutandosi con un bastone l'uomo indicava i territori di ogni clan e, per aiutare i suoi allievi, ogni settore veniva cerchiato con i colori del clan.
- Gli asiatici: colori giallo, rosso ed arancione e non c'è molto da dire su di loro. Gli Highlander: co-lori bianco ed oro, si riconoscono dal loro modo di vestire curato e dalle tonalità chiare.
Infine, da ultimi ma non meno importanti, i Lupi siberiani: colori bianco come la neve, verde come la Taiga e azzurro come il cielo.- Motya indicò una bandiera appesa alla Loggia, il balcone della casa dell'alfa, e puntò con il bastone le tre bande colorate e disposte verticalmente come a formare un sipario - Il nostro simbolo è il lupo che portiamo sul cuore a memoria del giuramento che abbiamo fatto.- l'uomo tirò un cordino che aveva al collo e si tolse dalla maglia un ciondolo d'argento, grosso come una moneta, a forma di lupo - Il giuramento di proteggere il Popolo dai Disonesti: coloro che non sanno apprezzare il valore della vita e della libertà e sono schiavi del denaro.-

Mysha, il più grande di quella piccola brigata, correva davanti a tutti guidando quella piccola banda per le strade della Neustadt alla ricerca di qualcosa da mangiare.
- Venite!- li incoraggiava ridendo - Dietro a me! A me!-
Zahn lo seguiva a ruota cercando di superarlo, Akim, un mucchietto d'ossa dai capelli neri e lisci come l'olio che veniva chiamato scherzosamente Osso, e Grisha, un ragazzetto di corporatura robusta dai capelli rossicci e gli occhi azzurri, venivano dietro e faticavano a stare dietro ai due biondini.
Mysha si fermò ad un incrocio e si guardò intorno studiando la situazione.
- Andiamo alla stazione dei treni.- ordinò poi rivolgendosi ai suoi compari - Lì troveremo qualche cosa da mangiare e del lavoro.-
Zahn e gli altri due bambini annuirono all'unisono e senza esitare ancora cominciarono a correre verso la stazione incalzati dalla promessa di mettere sotto i denti qualcosa che non fosse il solito pane nero e la solita zuppa.
Arrivati sui binari il maggiore si arrestò nuovamente cercando potenziali minacce e fonti di guada-gno.
- Io ed Akim cerchiamo qualcosa da mangiare.- annunciò scendendo dalla panchina su cui era salito per avere una migliore visuale - Zahn, tu e Grisha andate sui binari a raccogliere un po' di rame, lo rivenderemo agli asiatici.-
- Sui binari?- Grisha guardò i treni un po' preoccupato dall'alta velocità con cui sfrecciavano sulle rotaie.
- Certo! C'è qualche problema?- Mysha si voltò verso il bambino dai capelli rossi - Chi non lavora non ha diritto al pranzo.- sentenziò poi serio.
- E chi lo dice?- il bambino provò a ribellarsi - Te la sei inventata questa regola! Zharko non lo ha mai detto e nemmeno Motya!-
- Io sono il capo e io decido chi mangia e chi no.- ribadì Mysha avvicinandosi a Zahn e Grisha e gonfiando il petto come un giovane lupo pronto a battersi.
- Coraggio Grisha.- Zahn diede una pacca sulla spalla al compagno per rassicurarlo - Andremo lon-tano dai treni, vedrai che troveremo qualcosa.- gli sorrise per poi rivolgersi a Mysha con tono deci-samente più serio - Sarà meglio per te che ci trovi qualcosa da mangiare, altrimenti ci mangeremo te ed Osso.-
- Sì certo, come no.- Mysha superò i due ragazzi e con Osso corse in direzione dell'uscita della sta-zione dove aveva più possibilità di trovare qualcosa.
Zahn e Grisha si spostarono verso la zona dismessa della stazione e, trovato un grosso secchiello di latta, cominciarono a riempirlo con tutto il rame che riuscivano a trovare sotto i vagoni abbandonati, i binari e i ferrivecchi ammassati un po' ovunque.
- Grisha!- Zahn chiamò a sé il compagno - Aiutami!- il bambino indicò all'amico una lunga pertica di rame incastrata tra i binari e, preso un pezzo di ferro, cominciò a fare leva per cercare di toglierla dal punto in cui era bloccata.
- Spostati.- il bambino prese il posto del biondo spingendo con forza sulla pertica - Tira Zahn! Tira forte dai!-
Zahn obbedì tirando con tutte le sue forze finché il pezzo non venne via facendolo ruzzolare per ter-ra e cadere tra altri pezzi di ferraglia che tintinnarono allarmati cadendo gli uni sopra gli altri in un gran baccano.
- Chi è là?- due Giusti nelle loro uniformi blu corsero verso l'origine del rumore e si bloccarono da-vanti ai due bambini puntandogli addosso le pistole - Che cosa ci fate qui?- domandarono categorici - Parlate! Non abbiamo tempo da perdere!-
Uno degli uomini tolse la sicura pronto a sparare: due Invisibili in meno non sarebbero mancati a nessuno e nemmeno le autorità avrebbero fatto troppe storie se li avessero uccisi.
I due piccoli si strinsero l'un l'altro guardando atterriti i due ufficiali senza osare proferire parola. Zahn si era parato davanti a Grisha e ringhiava basso verso i due uomini non sapendo bene cosa fare.
Uno dei Giusti aveva intanto trovato il secchio e ne stava ispezionando il contenuto.
- Rame.- disse tornando verso il collega e mostrandogli una lamina tutta ammaccata - Sono due ladri, regala un po' di piombo ad entrambi ed andiamocene.-
A quelle parole Zahn non ragionò più e senza pensarci due volte passò all'azione.
Con un movimento rapidi rigirò la pertica di rame e la impugnò saldamente con entrambe le mani brandendola come una spada. L'asta ondeggiò incerta in aria per poi calare come un fendete sulla mano del Giusto che lasciò andare la pistola guaendo di dolore.
L'aveva fatta grossa e l'espressione infuriata dell'uomo gli fece capire che non l'avrebbe passata liscia.
- Scappa Grisha!- Zahn si voltò verso il compagno cominciando poi a correre - Scappa! Va via!-
Il rosso non ci pensò due volte e, raccolto il secchio che i Giusti avevano lasciato cadere, scappò nella direzione opposta chiamando Mysha e cercando aiuto.
Zahn percorse tutto il binario di volata senza preoccuparsi troppo di voltarsi a vedere quanto vicini fossero i suoi inseguitori.
Essendo piccolo pensò bene di andare a nascondersi dove le sue dimensioni lo avrebbero aiutato e, senza pensarci troppo, si infilò sotto un convoglio divorato dalla ruggine e dai rampicanti.
- Dove è andato?- uno dei Giusti si fermò davanti al rifugio del piccolo e attese l'arrivo del secondo che aveva provato inutilmente a inseguire Grisha.
- Cerchiamolo, non può essere andato lontano.-
I due uomini salirono sul vagone e iniziarono ad ispezionarlo da cima a fondo spostando i rifiuti ammassati al suo interno e le casse dimenticate lì da chissà quanto tempo.
Zahn rimaneva immobile, acquattato tra le lamiere e le erbacce con il cuore che batteva fortissimo, talmente forte che era certo che i due Giusti l'avrebbero sentito, che tutta Berlino lo stesse sentendo e si fosse fermata per ascoltare i battiti resi pazzi dalla paura.
- Qui non c'è.- uno dei due funzionari scese dal vagone e attese che anche l'altro lo seguisse - Vieni, andiamo a vedere in quella rimessa.-
L'uomo non riuscì però a fare un passo che inciampò cadendo sui binari con il viso esattamente da-vanti a Zahn che lo guardò sbarrando gli occhi e trasalendo.
- Eccoti qui, Arschloch.- ghignò allungando la mano e afferrando il ragazzino malgrado i suoi tenta-tivi di opporre resistenza.
Zahn morse l'uomo, tirò e strattonò, ma alla fine dovette arrendersi e lasciarsi tirare fuori dal proprio nascondiglio.
Il Giusto lo afferrò da sotto le ascelle e lo sollevò per vederlo meglio alla luce del sole.
- È un cucciolo dei lupi.- disse rivolto al collega - Dico bene, Arshloch?- domandò al bambino ri-mettendolo a terra.
Zahn strinse i pugni lungo i fianchi e rimase in silenzio maledicendo in tutti i modi che conosceva quei due Disonesti.
- Non parli?- il Giusto gli mollò un ceffone sul volto facendolo cadere sulla ghiaia dei binari - Eh Arschloch? Ai Cani siberiani non insegnano a parlare?-
Zahn si voltò furente verso l'uomo e per tutta risposta gli sputò addosso macchiandogli l'uniforme.
- Lurido schifoso!- l'ufficiale prese nuovamente fuori la pistola e la punto alla testa del bambino ti-rando indietro il carrello e preparandosi a fare fuoco - Ti insegno io a fare il muto davanti ad un Giusto!-
- I Lupi siberiani non parlano con i pezzi di merda come voi.- sul binario morto si udirino una voce maschile seguita immediatamente da una femminile.
- Luyba, cara, puoi chiedere a questi cani con che coraggio hanno osato toccare uno dei nostri figli mentre faceva il suo lavoro?-
Lyuba sorrise a Zharko e ripeté testualmente la domanda dell'uomo ai due militari che guardavano la strana coppia chiedendosi se non fossero finiti inavvertitamente dentro una strana commedia o una tragedia particolarmente grottesca.
Uomini e donne con il simbolo del lupo si erano intanto avvicinati e avevano circondato i due Giusti chiudendo Zahn in una cintura di facce note e, soprattutto, amiche.
- Lyuba, abbi pazienza mia cara.- Zharko parlava con una lentezza che non prometteva nulla di buono e la sua voce sembrava una carezza infida - Puoi chiedere a questi due pezzi di merda di la-sciare andare il nostro Zahn? O così o sono sicuro che i nostri onorevoli fratelli lupi saranno ben fe-lici di fare assaggiare a questi luridi Disonesti un po' del nostro piombo.-
Lyuba, ancora una volta, riferì il messaggio di Zharko ignorando gli insulti che i due Giusti rivolge-vano a lei e alla sua gente.
Zahn, ancora a terra, osservava tutta la scena spostando lo sguardo dal Lupo grigio alla pistola anco-ra puntata contro di lui. Dopo istanti, che al piccolo, parvero ore, il Giusto abbassò l'arma e con la coda tra le gambe lui e il suo collega sfilarono in mezzo al corridoio umano formato dai lupi e poi via verso la stazione e la noiosa monotonia della Neustadt.
Un uomo cominciò ad intonare una canzone mentre i due Giusti se ne andavano, una canzone che parlava della vittoria di un branco di lupi su un bracconiere senza onore che uccideva per il solo gu-sto di farlo.
Zharko e Lyuba si avvicinarono a Zahn per accertarsi che non fosse ferito.
- Sei stato bravo.- si congratulò l'uomo scompigliando i capelli biondi del piccolo. - Andiamo a ca-sa!- ordinò poi ridendo e unendosi a quella folla festante e disordinata.
Un uomo si piegò e raccolse il bambino mettendoselo sulle spalle ed incamminandosi intonò una nuova canzone a cui si unirono anche gli altri lupi.
Zahn guardava dall'alto la gente, la sua gente, festeggiare quella vittoria sui Disonesti e si sentiva felice non solo per lo scampato pericolo, ma anche e sopratutto di essere parte di un così fiero popolo. Sorrise a sua volta e cominciò a cantare e a battere le mani mentre quel caotico corteo lo portava in trionfo verso il Domoy.
Più tardi, quando fu il momento della buona notte, Zahn confidò a Lyuba i sentimenti che aveva provato e al solo parlarne i suoi occhi brillavano come stelle.
Ancora eccitato per quello che era successo raccontò alla donna la sua avventura per l'ennesima volta aggiungendo dettagli sempre nuovi e di volta in volta più eroici.
- Sei stato molto coraggioso.- si complimentò sorridendo la donna mentre con fare materno gli rim-boccava le coperte - Sono pochi i bambini che davanti ad un Giusto riescono a rispettare la regola e a non parlare.-
- Io non sono un bambino come gli altri.- replicò con una punta di orgoglio Zahn, battendosi il petto con il piccolo pugno - Io sono un lupo!-
- Sì, lo sei, piccolo Nemetskiy.- Lyuba baciò il bambino sulla fronte e uscì dalla sua stanza cantandn una ninna nanna russa.

AVVERTIMENTO
Il capitolo che avete letto è il primo di una storia ancora in fase di scrittura e correzione, chiedo quindi scusa se i periodi non sono sempre perfetti e per eventuali errori di battitura e/o grammatica. Grazie

Licenza Creative Commons
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Capitolo 5
*** 4. Due doni ***


4. Due doni

Zharko era in piedi accanto a Motya e teneva le braccia incrociate dietro alla schiena come a nascondere qualcosa.
La presenza del capo clan ad una lezione poteva significare solamente una cosa: qualcosa di meraviglioso o terribile stava per accadere.
Il Domoy era, così come per gli altri clan, la piazza principale in cui si riuniva il clan per le questioni più importanti, nei momenti di pericolo o quando l'alfa doveva fare un annuncio.
Quel giorno, in piedi al centro del Domoy, vi erano Zharko, Motya e, tra i due adulti, Zahn che sembrava scomparire tra quelle due figure autorevoli e severe. Gli altri bambini, seduti sul pavimento, osservava incuriositi la scena e i più piccoli allungavano il collo per vedere meglio ogni singolo istante di quella strana cerimonia. Affacciati ai balconi o in disparte agli angoli della piazza vi erano anche alcuni adulti che osservavano a distanza per non intromettersi in quel momento che era non solo un rito ma anche e sopratutto un'importante lezione.
- Zahn, vieni qui.- Zharko chiamò a sé il bambino con il suo consueto tono calmo e fermo.
Il piccolo obbedì e si avvicinò all'alfa tenendo lo sguardo basso per rispetto.
Il Lupo grigio sorrise e, abbassatosi appena all'altezza del fanciullo, gli fece scivolare al collo un cordino nero a cui era appeso un ciondolo argentato a forma di lupo.
- Te lo sei meritato.-
Disse lasciando un bacio sulla fronte del bambino che aveva immediatamente preso tra le mani il pendaglio e lo guardava con un'espressione a cavallo tra la venerazione e il più totale stupore.
Aveva ricevuto il suo lupo!
Zharko lasciò Zahn solo con la sua gioia e si rivolse ai giovani lupi in attesa della loro lezione.
- Come sapete il lupo è il nostro simbolo: siamo lupi, viviamo in branco e ci difendiamo a vicenda da ogni pericolo. Il branco è la roccia della nostra stirpe, il branco ci rende potenti ed invincibili e finché esisterà il branco noi Lupi siberiani continueremo a vivere ovunque il corso della storia vorrà portarci.-
L'uomo fece una pausa per creare un po' di aspettativa e lasciare che le sue parole attecchissero bene nelle giovani menti che lo circondavano.
- Il lupo d'argento non è un gingillo, ma un onore che va conquistato attraverso una prova di coraggio. Zahn era ovviamente troppo giovane per essere sottoposto alla prova, ma la Buriana ha deciso diversamente per lui e gli ha dato la possibilità di provare il proprio valore affrontando quei due Arya e osservando le nostre leggi malgrado le loro ripetute minacce di morte.-
Zahn si voltò verso i suoi compagni chiedendosi se il suo alfa non stesse esagerando nel dipingere la sua avventura come qualcosa di straordinario, ma Zharko non si faceva questi problemi né si preoccupava di intimidire i più pavidi del gruppo: la competizione, sana e onesta, era ben vista tra i membri del clan che la consideravano un metodo di autocorrezione e un valido sprone per i più pigri.
- Il lupo d'argento rappresenta inoltre il nostro spirito guida, è un totem e nei momenti di pericolo lo spirito del lupo ci parla attraverso i sussurri della Buriana o lo scorrere inquieto dei nostri amati fratelli fiumi: l'Amur e la Lena, la Sprea e l'Halev.-
L'uomo si voltò nuovamente verso Zahn che era ancora in contemplazione del piccolo ciondolo d'argento.
- Zahn.- Zharko lo richiamò serio - Come si chiama il tuo spirito guida?- gli domandò con tono solenne.
Il bambino accarezzò ancora una volta quel profilo argentato per poi alzare lo sguardo sull'alfa e su tutti i suoi fratelli e sorelle lupi.
- Nemetskiy.- annunciò serio lasciando, per la prima volta, andare il ciondolo.

La stazione era uno dei posti preferiti di Zahn e si trovava sempre qualche cosa di interessante ed utile da fare.
Dopo l'incidente con i Giusti Grisha si era rifiutato categoricamente di provare nuovamente a rubare rame per cui, per evitare l'ammutinamento della sua truppa, Mysha aveva dovuto acconsentire a ad un cambiamento nelle attività del gruppo.
Una volta Zahn e i suoi compagni riuscirono a mettere le mani sulla borsa di un ricco uomo di affari per poi accorgersi, una volta aperta, che questa era piena di vestiti non solo da adulto, ma anche da bambino. A quella piccola brigata non ci volle molto per mettere a punto un piccolo stratagemma per imbrogliare i nobili e, alla prima buona occasione, Zahn fece il suo debutto come attore.
Si nascosero in uno dei vagoni abbandonati della stazione e fecero vestire Zahn con gli abiti rubati pettinandogli i capelli in modo che potesse assomigliare ad un figlio dei nobili.
- Stai fermo!- lo rimproverava Mysha mentre gli aggiustava la giacca addosso.
- Zahn non ti agitare! Non riesco a pettinarti!- protestava Osso mentre, armato di pettine e gel, cercava di mettere in ordine quelle ciocche bionde ed indisciplinate.
- Qualcuno sa come si mette una cravatta?- domandava Grisha rigirandosi tra le mani il pezzo di stoffa senza sapere bene cosa farne.
- Scordatelo!- alla vista della cravatta Zahn si allontanò con uno scatto ringhiando - Io non mi metto quella roba al collo!-
- I figli dei nobili la portano.- insistette Mysha preparandosi a placcare il compagno se avesse opposto ulteriore resistenza.
- Non mi interessa! È un collare e i lupi non portano il collare.-
Il ragazzo incrociò le braccia al petto e fissò guardingo i suoi amici, per niente d'accordo con l'idea dei suoi amici di fargli indossare quella sottospecie di collare di seta.
- Poche storie e vieni qui!- Mysha si armò di cravatta e con uno scatto balzò addosso al biondino legandogliela al collo con un nodo malfatto.
Zahn si divincolò e graffiò le mani dell'amico, ma alla fine dovette arrendersi e, ringhiando, scese dal vagone dirigendosi verso la piazza principale della stazione seguito a distanza dai suoi complici.
Il biondo entrò timidamente nel grande ed affollato ingresso e camminando cercava in tutti i modi di allentare il nodo che Mysha gli aveva stretto intorno alla gola.
Scivolò lungo la parete e, quando fu certo di aver raggiunto la postazione ideale, iniziò la sua recita: l'espressione guardinga si addolcì fino a diventare patetica mentre i suoi occhi verdi diventavano il più malinconici possibili.
- Mamma!- la voce del bambino riempì con un grido disperato l'ingresso mentre grosse lacrime cominciavano a rigargli il volto - Mamma! Mamma dove sei!-
Mysha, Osso e Grisha lo spiavano da dietro una colonna e guardavano attenti la folla radunata intorno al loro compagno in attesa di una vittima.
Zahn intanto si era seduto per terra e aveva cominciato a piangere disperato.
- Che succede piccolo?- una donna si avvicinò al bambino e si piegò alla sua altezza facendogli una carezza.
- Ho perso la mia mamma.- singhiozzò Zahn guardando la donna e starnutendo un paio di volte per avvisare i suoi compagni che qualcuno aveva abboccato.
- Povero piccolo!- la donna, una signora anziana dai capelli biondi raccolti in un elegante chignon, si voltò verso il marito facendogli segno di avvicinarsi - Come si chiama la tua mamma?-
Zahn la guardò perplesso e sbatté un paio di volte le palpebre pensando ad un nome da donna che non fosse russo come tutti quelli che conosceva.
- Louisa.- riuscì a dire ricordandosi dell'unica prostituta tedesca che lavorava per Lyuba - È alta e ha i capelli biondi e gli occhi verdi e indossa un abito rosso e sta sempre con il mio papà.- il piccolo si fermò a riprendere fiato, in vita sua non aveva mai detto così tante volte la congiunzione "e" come in quell'unica frase.
- Louisa come?- domandò ancora la donna dando per scontato che il bambino sapesse il cognome della madre.
- Io... .- Zahn guardò la signora e per liberarsi dall'impiccio riprese a piangere ancora più forte.
Mysha, Osso e Grisha intanto erano scivolati tra la folla e avevano iniziato ad infilare le mani nelle borse e nelle tasche dei presenti prendendo tutto quello che riuscivano ad arraffare.
Commossa dalla disperazione del bambino l'anziana nobile lo abbracciò stringendolo forte a sé per consolarlo.
- Non avere paura caro, andrà tutto bene.- lo tranquillizzava accarezzandogli i capelli resi lucidi dal gel - Vedrai che troveremo la tua mamma.-
Zahn cinse con le braccia il collo della donna e si lasciò pazientemente coccolare resistendo eroicamente all'impulso di correre via e mettere fine a tutte quelle coccole non desiderate.
Mysha tossì tre volte avvisandolo di aver terminato il lavoro.
Zahn attese ancora un attimo per poi gridare a voce alta.
- MAMMINA!-
Rapido come una scheggia il bambino scappò via dalle mani dell'anziana donna e si perse nuovamente nella folla raggiungendo i suoi complici per l'ultima, ed anche più gratificante, fase del colpo: la spartizione del bottino.

Zahn trotterellava trionfante lungo la via che portava la bordello e con quell'espressione vittoriosa entrò in casa attraversando in pompa magna il salotto e andando dritto verso le stanza delle ragazze e la sua.
Superò la sua porta e puntò direttamente a quella di Lyuba che, come suo solito, era impegnata a trattare con un cliente.
La donna gli sorrise e gli fece segno di aspettare buono che la trattativa finisse, tutto contento il piccolo obbedì e andò a sedersi sul copriletto di velluto rosso che copriva il letto della prostituta.
Zahn amava quella stanza più di ogni altra stanza nel bordello o al mondo: rimaneva ore a guardare le gabbiette con gli angioletti appesi al soffitto aspettando che, da un momento all'altro, uno di essi spiccasse il volo tentando la fuga, altre volte invece si fermava a guardare le strane bottiglie che Lyuba conservava in un mobile nell'angolo opposto alla scrivania, ma la cosa che più di ogni altra cosa amava era il letto matrimoniale con le lenzuola e le coperte di diverse sfumature di rosso.
Ci avrebbe passato tutta la vita steso su quel lettone, con il naso affondato tra la biancheria per respirare a fondo il profumo di menta di Lyuba.
Quando ebbe finito la contrattazione la donna tirò un sospiro di sollievo e, presa una scatolina di latta, si appoggiò sulla lingua una caramella alla menta offrendola anche a Zahn.
- Nobili tirchi.- commentò stiracchiandosi e rimettendo al loro posto alcuni ciuffi che le erano usciti dall'elegante chignon - Hanno soldi per tutto, ma non per pagare le puttane.- disse senza preoccuparsi di usare eufemismi malgrado fosse davanti ad un bambino.
Zahn sorrise ed annuì succhiando avidamente la pasticca alla menta.
Lyuba gli sorrise e si avvicinò a lui stringendolo a sé e cominciando a coccolarlo.
- Hai fatto il bravo? Hai un odore strano.- disse cominciando ad accarezzargli i capelli stranamente non annodati tra di loro - Che cosa hai fatto oggi?-
Zahn le raccontò per filo e per segno a la loro avventura ingrandendo, come tutti i bambini, i dettagli più eccitanti della vicenda in modo da farla sembrare qualcosa di epico.
Il bambino si appoggiò contro il petto della donna e le accarezzò il ciondolo a forma di lupo che portava nascosto tra le pieghe dell'abito.
- Come si chiama il tuo lupo?- domandò continuando ad accarezzare il pendente.
- Luna.- Lyuba strinse a sé il piccolo e gli tolse dai capelli una foglia che si era incastrata tra le ciocche chiare.
- Oggi ho visto un bambino portare delle rose alla sua mamma.- continuò Zahn - Lei era molto contenta e poi ho visto altri due bambini regalare alla loro mamma qualcosa, ma non ho visto cosa.-
Lyuba sorrise e gettò un'occhiata al calendario.
- È la festa della mamma.- gli spiegò dolcemente - Ed è anche il mio compleanno.- aggiunse dando un bacio a Zahn sulla fronte.
- Davvero?- il piccolo sorrise entusiasta.
- Davvero.- confermò la donna facendogli una carezza.
- Chiudi gli occhi!- Zahn saltò in piedi sul letto malgrado sapesse di non doverlo fare.
Lyuba scosse il capo e lo accontentò sapendo di non avere scelta mentre il cucciolo le arrivava alle spalle e, preso un oggetto dalla tasca dei pantaloni, le legava al collo una sottile catena d'oro a cui era appeso un elegante ciondolo a forma di pavone.
- Apri!- disse tutto contento tornando davanti a Lyuba per vedere la sua espressione - Buona festa della mamma e buon compleanno!-
Zahn saltò al collo di Lyuba e nell'impeto la fece cadere sul letto senza accennare a lasciarla andare.
La donna sorrise e baciò il bambino senza domandargli dove avesse preso il gioiello visto che era evidente da dove venisse.
- Grazie.- gli diede ancora un bacio sulle guance - Ma io non sono tua madre, lo sai.- aggiunse un po' dispiaciuta.
- Sì che lo sei.- la corresse Zahn con tutta la semplicità di questo mondo - Sei l'unica madre che voglio e la migliore che io possa desiderare.-

AVVERTIMENTO
Il capitolo che avete letto è il primo di una storia ancora in fase di scrittura e correzione, chiedo quindi scusa se i periodi non sono sempre perfetti e per eventuali errori di battitura e/o grammatica. Grazie

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