Sciarada

di Dreamhunter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


"Dovresti portarla con te".
"Dove?"
"Dovunque tu vada. Dovunque"
- Nel bel mezzo di un gelido inverno -


*CAPITOLO UNO*

Dublino, Irlanda
16 maggio

Quella notte era la sua notte.
Per non essere una professoressa, ma solo una ragazza.
Una ragazza che ballava, beveva birra e si lasciava corteggiare.
Che rideva e sceglieva di godersi le ultime ore in Irlanda sino in fondo, senza inutili tristezze.
Aveva vissuto a Dublino per quattro mesi, collaborando ad un corso speciale sulla ricerca di laboratorio al Trinity College, e l'atmosfera energica e libera dell'isola di smeraldo le era entrata in circolo nel sangue. Davvero non sapeva come avrebbe potuto far ritorno negli Stati Uniti, alla solita routine...
Ma si sarebbe depressa a volontà l'indomani, in aereo.
Non intendeva pensarci adesso.
Adesso non voleva pensare ad altro che non fosse quel pub di Temple Bar, pieno di giovani allegri e scatenati, di musica e risate...
"Ti diverti, professoressa Burkle?", le chiese Bridget, una delle studentesse che aveva seguito il suo corso.
"Eravamo d'accordo che mi avresti chiamato Fred...", le ricordò. "E sì, mi diverto. Molto. Siete stati veramente tanto carini ad organizzarmi questa festa d'addio...".
"Per una delle nostre migliori insegnanti era il minimo". Bridget le rivolse un sorriso sincero. "Ci mancherai, Fred".
"Anche voi mi mancherete", sospirò lei. "Mi mancherà l'Irlanda. Non ho nemmeno avuto il tempo di visitarla...".
"Beh, quindi hai già una buona scusa per venire qui in vacanza", sorrise Bridget, scivolando giù dal proprio sgabello accanto al bancone e prendendola per le mani. I violini suonavano, la gente saltava e gridava. "Su, andiamo a ballare con Sean, Lisa e Becky!".
Fred si ritrasse, ridendo. "Io devo riposarmi un po'. Ho dieci anni più di voi, ragazzi, e molta meno resistenza...".
"Sì, sì, certo...". Bridget ammiccò. "Però hai ancora la resistenza per un diverso tipo di ballo, eh?". Le sfuggì una risatina maliziosa. "Hai capito, la nostra maestrina...".
"Cosa?". Fred sbatté le palpebre, perplessa. "A che ti riferisci?".
"Oh, dai...".
"Sul serio, Bridget... Spiegati!".
"Cioé... non te ne sei accorta?".
"Accorta... di che?".
Stupita, Bridget le si avvicinò e con un cenno discreto del capo le indicò l'uomo che sedeva all'estremità opposta del bancone. "Quel tizio non ti stacca gli occhi di dosso. Credevo che volessi restare qui da sola a causa sua...".
"No. Ti giuro che non l'avevo notato...", mormorò Fred. Di sottecchi studiò lo sconosciuto. Indossava una giacca di pelle nera, sopra una camicia scura. Ed era bruno, con spalle larghe e mani grandi, intente a rigirare un bicchiere di Guinnes bevuta a metà. Più di tutto la attirò il suo viso. Bellissimo. Da parecchio non vedeva un uomo con un viso così bello... Poi ne incontrò lo sguardo e il cuore le balzò in gola.
In fretta si voltò verso Bridget. "Sei sicura che stia guardando me?".
"Sicura come l'oro... Wow, è uno schianto!".
"Magari è te che guarda".
"No, no... Gli interessi tu. Comunque, se è una prova che ti serve, perché non fingi di andare alla toilette? Dovrai passargli vicino e scommetto che coglierà l'occasione per attaccare discorso...".
"Oddio...", rise Fred, le guance in fiamme. "Non ho mai fatto queste cose...".
"Neanche da adolescente?".
"Adolescente? Suppongo di non esserlo stata...".
"E allora che stai aspettando?", la spronò Bridget.
Già... Cosa stava aspettando?
Quella notte era la sua notte, no?
E poi quasi sicuramente quell'uomo affascinante non stava guardando lei.
Impossibile. Winifred Burkle, texana di Austin, trent'anni immacolati, non destava l'attenzione di tipi del genere. No, no... Figurarsi.
Sarebbe andata alla toilette e... basta.
"In effetti... ho bevuto troppa birra...".
"Sì, sì...". Bridget scosse la testa e si mescolò ai ballerini che si agitavano sulla pista improvvisata tra i tavoli.
Meglio così. Fred poteva racimolare il coraggio per quell'impresa ridicola soltanto se non aveva testimoni... Circospetta, scese dallo sgabello, malferma sui tacchi a cui non era abituata.
Dai, forza, è la tua notte, è la tua notte...
Se continuava a ripeterselo, forse avrebbe scordato il buon senso.
Puntò dritta alla toilette, solcando goffamente la folla ed evitando di sbirciare lo sconosciuto. Temeva di scoprirlo a chiacchierare con qualche rossa procace o con una bionda platino...
Ridacchiò tra sè. Che stupida...
Una mano catturò la sua. Fred sobbalzò e si girò, in cerca di qualcosa da dire, le pulsazioni a mille. Non ci credeva, non ci credeva...
"Ciao, Fred!", esclamò Knox, sorridente.
Knox... Charles Knox. Un suo collega americano, venuto con lei in Irlanda per assisterla nel corso. Simpatico, educato, con il camice bianco sempre pulito e stirato e il cravattino a farfalla...
Ecco, ora ci credeva. Tipico.
"Oh, ciao, Charles...".
"Come sei carina, questa sera".
"Grazie, io...".
"Posso offrirti una Guinnes?".
"Io... ehm... stavo andando un attimo alla toilette... Ti dispiace?".
"Oh, no, figurati...". Il giovane le carezzò lievemente il polso. "Intanto io ordino, ok?".
"Ordina pure...", cedette Fred. Uffa...
Delusa, si rifugiò nella quiete della ripida scala di legno che conduceva ai bagni. Quelli dei pub irlandesi erano sempre molto accoglienti, lontani dalla confusione e arredati come salottini. L'ideale per riacquistare fiato e lucidità.
Incrociò un gruppo di giovani donne che ne usciva, per il resto non vi trovò nessuno. Con un sospiro, si esaminò negli specchi, critica, insoddisfatta. Troppo ossuta. Troppo piatta. Troppo insignificante. Troppo normale.
Abbastanza apprezzabile. Per i bravi dottorini come Knox.
Però il rossore sulle guance, dovuto al caos e alle birre, le donava... E aveva gli occhi brillanti. Stellati di sogni fragili. Sogni che sull'oceano, in volo tra l'Irlanda e l'America, sarebbero svaniti nel vento d'alta quota... Si sorrise.
Che mi combini, Fred, uhm?
Vai là fuori, ubriacati e fatti un ballo o due con il buon vecchio Charlie.
Lascia perdere gli sconosciuti belli e tenebrosi
...
Risollevata, si passò un po' di lip gloss sulle labbra e sistemò i lunghi capelli castani, sciolti sulla schiena. Ok. Pronti... via.
La sua notte.
La sua notte doveva proseguire. Consumare tutte le cartucce.
Pazienza se si trattava di cartucce con poca polvere da sparo...
Una volta al piano superiore, il chiasso l'assalì più forte di prima e per un istante ne fu disorientata. Un paio di persone la urtarono, perse l'equilibrio e non cadde solamente perché qualcuno la trattenne stringendola a sé.
"Grazie, io...", iniziò a dire Fred, ma la sua frase morì sul nascere.
Scontrandosi con gli occhi neri dello sconosciuto con la giacca di pelle.
"Prego", le sussurrò.
Oh, cavolo. Da vicino era...
Era...
Mmm... no, non le veniva in mente nessun aggettivo adeguato. Neppure verbi o pronomi o congiunzioni... Il braccio dell'uomo, intorno alla sua vita, solido, forte, la distraeva. Per tacere del profumo che emanava, acqua di colonia probabilmente costosa...
"E se ce ne andassimo in un posto più tranquillo?", aggiunse lui. A bassa voce, bisbigliandole all'orecchio. Sfiorandole il lobo con le labbra.
Come gli amanti nei film.
In un film. Sono un film.

"Io...", ansimò Fred. Le sinapsi disconnesse.
Cosa devo fare?
Cosa...

In apparenza, però, la domanda era stata puramente simbolica. Lo sconosciuto non si diede infatti pena di ricevere un consenso e, tenendola per mano, se la trascinò dietro. Gentile, ma fermo. Arrogante.
Colta dal panico, Fred ebbe a malapena la possibilità di volgersi alla ricerca di Knox o di Bridget. E non li rintracciò. Un muro di corpi e teste glielo impedì.
E... e ora?
Cosa capitava di solito, nei film, quando una coppia se ne andava in un posto tranquillo?
Rispondendosi, perse l'uso della deglutizione... E d'istinto si bloccò, divincolandosi dalla mano di lui. Erano ormai all'esterno del pub, in un vicolo laterale senza uscita. L'aria odorava di pioggia e degli aromi del ristorante a fianco.
L'uomo non parve contrariato. Semplicemente si mise tra lei e la porta, un atteggiamento rilassato ed insieme vigile.
Un cacciatore. Che si assicura che la preda non abbia vie di fuga.
Lo stomaco di Fred si annodò. Eccolo il trucco. Lui era un maniaco.
Questo era assai più verosimile. La sua ultima sera in Irlanda, la sua notte, e l'unico che la abbordava si rivelava un serial killer di insegnanti sotto peso e affette da verginità indelebile...
"Temo che... sia...". Si impappinò, di colpo impaurita. "... uhm... temo che ci sia stato un fraintendimento... Io non ho accettato di seguirti e preferirei che ti spostassi, così...".
"Ho bisogno che tu mi ascolti, Winifred", la zittì lo sconosciuto. Sovrastandola. Doveva essere alto un po' più di un metro e ottanta, ma le spalle larghe gli conferivano ulteriore imponenza. Inquietante, sinistra.
E poi... "Come... fai a sapere il mio nome?", balbettò Fred, le braccia incrociate sul cuore che batteva forsennato.
"Tu sei Winifred Burkle, ricercatrice di un'università californiana, in Irlanda per un seminario. Di recente hai testato alcuni farmaci che dovranno essere immessi sul mercato il prossimo autunno". Lui la fissò, lo sguardo che si confondeva con il buio. "E' esatto?".
"Sì, ma...".
"Uno di questi farmaci, secondo i tuoi risultati, potrebbe avere effetti collaterali cancerogeni".
"Non potrebbe... Li ha. Però...".
"Hai presentato i risultati ai tuoi superiori e sei partita per l'Irlanda".
"Sì, ma tu chi...".
"Quei risultati sono stati dirottati prima che giungessero sulla scrivania giusta, Winifred. Una lobby molto potente ha interesse a che il farmaco entri in produzione e tu...". L'uomo avanzò di un passo, il suo tono si addolcì. "... tu rappresenti un ostacolo. Un ostacolo da eliminare".
Nell'animo di Fred, alla paura, subentrò una sorta di divertito sconcerto. Questo tizio - bellissimo, per carità - era un seduttore da bar, un maniaco... o uno che aveva bevuto sino ad ammattire come un cavallo?
Si concesse il lusso di una risata. "Mi stai dicendo che qualcuno mi vuole... morta?".
Pazzesco. L'aveva scambiata per la sorella povera di Sidney Bristow...
"Sì, Winifred". Lui era serio."Qualcuno ti vuole morta".
A lei invece veniva sempre più da ridere. "E quindi tu chi saresti? Un poliziotto? Un agente segreto? Un investigatore?".
Il nuovo James Bond?
"No". L'uomo si scostò un lembo della giacca di pelle: la sagoma della fondina di un revolver si delineò nella penombra. "Sono il killer incaricato di ucciderti ".


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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


*CAPITOLO DUE*


Los Angeles, California
tre settimane prima

Uscì dalla doccia con i muscoli rinfrancati dal massaggio dell'acqua calda, la mente popolata di pensieri vaghi sul da farsi... Poi di colpo ogni cellula di relax si estinse. Quando la vide.
Seduta sul suo letto, le gambe senza fine velate di pizzo, un impermeabile leggero annodato in vita, i capelli scuri raccolti sulla nuca. E la solita faccia impudente da gatta.
"Ma che doccia lunga...", gli mugolò ironica.
"Ciao, Lilah". Lui non si coprì con l'asciugamani. Sarebbe stato puerile. E totalmente inutile. "Non rammentavo di averti dato le chiavi del mio appartamento...".
"Infatti non me le hai mai date, ma... sai... noi della Wolfram & Hart siamo capaci di entrare ovunque".
"Già... Siete peggio dei vampiri. Non necessitate nemmeno di un invito".
Lilah rise. "Oh, su... Sono qui per portarti le congratulazioni di Holland. Ha ricevuto la notizia della morte di Verbinski via fax, questo pomeriggio. Un infarto...". Lo fissò affascinata. "Come ci sei riuscito?".
Voltandole le spalle, si mise a cercare la biancheria pulita in un cassetto. "Con un veleno ricavato da una ghiandola di un pesce tropicale. E' insapore e inodore. Efficacissimo. Però bisogna calcolare la dose al millimetro".
"E se si sbagliano i calcoli?".
"Si rischia che la vittima venga sepolta viva. Ma non è il caso di Verbinski. Io sono bravo in matematica".
"Tu sei bravo in parecchie cose, Angelus...", sussurrò lei, ora vicinissima.
Le sue mani con le unghie laccate di rosso gli si insinuarono sotto le braccia, sino a solleticargli lo stomaco. Lo costrinse a girarsi e se la ritrovò davanti nuda. Addosso le rimanevano solamente le autoreggenti e quache goccia di profumo.
Lo tirò verso il letto. "Permettimi di premiarti, Flagello...".

Angelus...
Flagello...
Era passato talmente tanto tempo dall'ultima volta in cui qualcuno l'aveva chiamato con il suo vero nome.
Il nome della vita di prima.
In fondo era meglio così.
Tra le palpebre socchiuse osservò Lilah Morgan, junior partner della supermultinazionale Wolfram & Hart, che si rivestiva nella penombra. "Spero che il pagamento per il lavoro non consista unicamente nelle tue prestazioni...", commentò stiracchiandosi.
"Perché? Ti ho deluso?".
Con l'impermeabile ancora aperto, lei ritornò tra le lenzuola e si piegò a baciarlo. Quasi mordendolo. Era una donna bellissima e vorace. Come un sacco di altre che aveva frequentato.
Mantidi per un assassino. Giustizia poetica.
Infastidito, la allontanò. "Non sto scherzando".
"Io sì". Lilah scosse il capo. "Ma con te non si scherza mai, eh? E' ovvio che avrai i tuoi soldi. Anzi li hai già avuti. Controlla pure il conto che ci avevi indicato".
"Lo farò appena te ne vai".
"Mi butti fuori ? Sei proprio un cattivo soggetto".
"Naturale. Altrimenti non mi avreste assunto".
"E sei stato un affare".
Scivolando via dal letto, lei si abbottonò l'impermeabile, quindi prese un cd dalla borsa e glielo lanciò. "Vale il triplo della pratica Verbinski".
Lui lo afferrò al volo. "Un nuovo incarico? Così? Subito?".
"E' una questione speciale. Importantissima. Nel cd c'è ogni particolare. Nel momento in cui sarai pronto a partire, avvertici".
"Partire? Per dove?".
"Per l'Irlanda", ammiccò Lilah, aggirando il letto per scompigliargli i capelli. "Ti rimandiamo a casa in gita, ragazzaccio dell'Eire".

Esaminò il cd.
Per una notte intera.
E nella luce cinerea dell'alba una scintilla gli si accese nel petto.
Il tipo di scintilla che brucia al cospetto di un segno.
Sì. Quell'ennesimo incarico era il segno che aveva atteso con pazienza.
Per cui si era preparato.
Si alzò. Fece scorrere il pannello della parete segreta dietro cui teneva ciò che la Wolfram & Hart non doveva scoprire.
Se Winifred Burkle rappresentava davvero il segno della svolta, non poteva perdere tempo.


Dublino, Irlanda
Il presente, la notte del 16 maggio

Fred gemette, la testa pesante.
Lentamente, distinse il cruscotto di un'auto, il vetro del parabrezza, muri di mattoni che fiancheggiavano una stradina di periferia più oltre.
E udì la voce.
"Ehi... come stai?".
Terrorizzata, rimbalzò sul sedile come una molla. Accorgendosi di essere però bloccata dalla cintura di sicurezza. Con la mano sinistra che annaspava disperata nel tentativo di slacciarsela, guardò l'uomo al posto di guida.
Sempre dannatamente bello, porca miseria.
Ma ora la sua bellezza aveva assunto una luce diversa.
E' bello come Lucifero.
Come i vampiri di certi film.

"Co...". Deglutì. Aveva la gola serrata. "... come sto?!? Mi hai colpita e mi chiedi come sto?!".
"Non ti ho colpita. Ti sei colpita da sola".
Oh, ma per favore...
La prendeva in giro?
Come avrebbe fatto mai a colpirsi da... Oddio, sì!! Ora le idee le si stavano schiarendo... Un'occhiata alla pistola di lui e il cervello le era andato in corto circuito. Era scattata di lato, decisa a correre, correre più velocemente possibile...
Peccato che la grondaia contro cui aveva sbattuto non fosse stata del suo stesso parere. Dopo, il cielo era esploso in una miriade di stelle.
Tante stelle come nei fumetti.
Stupendo. Inviavano un killer ad eliminarla e lei si ammazzava da sé.
Si toccò una tempia e digrignò i denti per una fitta di dolore.
"Ti verrà un livido", la informò l'uomo.
Il suo tono gentile la inquietò. Erano fermi, a bordo di un SUV, in una zona semideserta. "Mi hai... mi hai portata qui per... uccidermi?".
"Non ti voglio uccidere".
"Io direi di sì. Mi hai mostrato la pistola".
Lui sbuffò. "Sono stato uno stupido, lo so. Ma tu non sembravi cogliere la gravità della situazione. Lì per lì ho pensato che fosse l'unico modo per convincerti che non scherzavo... Scusami. Di solito non parlo con i miei bersagli".
"Ah. E hai cominciato a rompere il ghiaccio proprio con me? Beh, sei partito male".
"Scusami", insistette l'uomo e le rivolse uno sguardo carico di rammarico. "Adesso mi ascolterai?".
Rannicchiandosi, Fred lo fissò sbalordita. "NO!! Sei un killer! Hai una pistola! Io non ti ascolto! Io adesso URLO!".
D'un tratto lui cessò di assomigliare a Lucifero e si tramutò in una fiera selvaggia. Un lupo... Sì, un buon paragone. Ottimo, in effetti. Un grosso lupo nero che le fu sopra in un istante, trattenendola in una morsa d'acciaio e tappandole la bocca.
Un punto nel ventre di Fred si contorse. Una cosa veramente inopportuna.
"Mmmmmmm....", mugugnò debolmente.
"Per favore... ", la pregò l'uomo. "Non intendo nuocerti...".
"Mo? Mai meo mhe mei muiemi!!", protestò lei.
Tradotto, significava che lui le aveva raccontato di doverla uccidere.
"Lo so. Ma non ti ucciderò".
"Meé?".
"Perché...". Lui esitò. "... tu sei la mia occasione per cambiare vita".
"Ma mì?".
"Sì... Ascoltami, Winifred: ora ti lascio e tiro fuori...".
Gli occhi di Fred si dilatarono.
"... il portatile". L'uomo sorrise, divertito. "Solo il portatile. C'è qualcosa che devi leggere. Forse così mi crederai".
Oh, ma lei gli credeva.
Cavolo se gli credeva.
Comunque annuì. E lui si ritirò con delicatezza. "Tutto ok?", le chiese.
"Sì... Cosa dovrei leggere?".
"Un attimo...".
Lo osservò prelevare una valigetta dal sedile posteriore ed estrarne un computer. Uno di quelli piccoli e costosi. Il battito del cuore le rimbombava ancora nelle orecchie, ma respirava meglio e si concesse il tempo di studiare lo sconosciuto.
Nei dettagli.
Si era tolto la giacca di pelle. E la camicia gli si tendeva sulle spalle.
Aveva degli anelli alle dita. D'argento. Il monitor del pc li illuminò.
E portava anche una catenina, con un ciondolo dalla forma indeterminata.
Accidenti, demonio, vampiro o lupo che sia, resta il maschio più fantastico che io abbia mai visto.
"Ecco". Lui le sistemò il portatile in grembo.
Non dovette spiegarle granché. Fred ebbe da subito chiara la verità .
Ordinata in una cartellina denominata Pratica Burkle.
Piena di foto sue e files word con tutti i più minuziosi particolari della sua esistenza. Compreso il nome del cane dei suoi genitori.
Gesù Cristo.
E poi... No!! Il suo capo, il professor Seidel... E Knox...!!
Entrambi facevano parte del complotto. Lavoravano per la Wolfram & Hart, la multinazionale la cui divisione farmaceutica stava per lanciare sul mercato il farmaco cancerogeno. Seidel aveva distrutto i dati delle sue ricerche, Knox l'aveva seguita in Irlanda per spiarla...
"E' orribile... Orribile...", bisbigliò sconvolta.
Il suo mondo le appariva improvvisamente sporco.
Macchiato da menzogne di cui non aveva mai sospettato...
Lacrime cocenti scesero a bagnarle le guance. Silenziose, amare.
Sentì che l'uomo le toglieva il portatile dalle ginocchia e le passava un fazzoletto pulito. "Mi dispiace", le sussurrò.
"Già...". Fred si soffiò il naso. "E... ok, tu non vuoi uccidermi, ma io cosa faccio? Vado alla polizia?".
Tenne il fazzoletto contro il viso. Che profumo.
Lo stesso della pelle di lui...
"No. Niente polizia. La Wolfram & Hart ha tentacoli che giungono lontano. Sino all'FBI, a Scotland Yard. Persino probabilmente alla Garda irlandese. Per il momento, possiamo soltanto scappare".
"Scappare?".
"Sì", confermò lo sconosciuto. "Presto, al massimo entro domani sera, la W& H realizzerà che non ti ho uccisa e che ti ho portata via con me. In genere sono molto veloce nell'eseguire i miei incarichi, ma questa volta non ci sarà un cadavere e tu ed io saremo spariti, così come tutte le mie cose nel mio appartamento di Los Angeles. Capiranno immediatamente cosa sia accaduto ed invieranno altri killer. Per tutti e due".
"E quindi?". Fred era confusa. "La soluzione quale sarebbe? Fuggire in eterno?".
"Dobbiamo battere la W&H al suo stesso gioco e trovare qualcuno in grado di diffondere i tuoi risultati sul farmaco. Li hai conservati, mi auguro...".
"Sì, sono nel mio pc, in albergo...".
"Il tuo pc è qui, nel portabagagli".
"Eh?".
"Avevi già preparato la valigia per la partenza", si giustificò lui.
"E tu ti sei introdotto nella mia stanza?!", s'indignò lei. Cioé... aveva raccolto le mutandine e il reggiseno dal letto, prima di andare alla festa nel pub?
"Il tuo conto è stato saldato, se è questo che ti preoccupa".
"No! Non... Dio... Io... io... E' che... Non posso dileguarmi così... Io ho una famiglia, un lavoro e...". Fred si zittì. Sì, beh... "Ho una famiglia e un lavoro. Basta. Però li ho e...".
Un secondo flash. Al calor bianco.
"I miei genitori!! E se la Wolfram & Hart se ne servisse per...".
"Me ne sono già occupato io", la interruppe l'uomo.
Spaventandola a morte. "IN CHE SENSO?!".
"No... No!!!". Lui parve esasperato. "Mi sono occupato della loro incolumità!! Un mio amico li sta sorvegliando e ho predisposto per loro una vacanza in un luogo protetto. Non appena il fuso orario ce lo consentirà, tu telefonerai a casa con il mio cellulare personale, non rintracciabile, e li convincerai a partire subito. Non mi importa come, ma convincili. Quando la tua scomparsa verrà denunciata, la polizia non deve trovarli". Si appoggiò allo schienale del sedile, conscio della valanga di informazioni che le stava riversando addosso. Le fece un piccolo sorriso comprensivo. "Potranno portarsi anche Floppy, il cagnolino. Ho prenotato in un centro vacanze in cui accettano gli animali".
"Wow". Fred lo rimirò. "Sei sicuro di essere un killer?".
L'uomo rise. "Sicurissimo. Però... non il tuo. Considerami un angelo custode, d'accordo?".
Un angelo...
Un angelo oscuro. Come Lucifero. Di nuovo Lucifero.
Che, dopotutto, era l'angelo più bello del Paradiso
...
"D'accordo. Ci proverò", replicò Fred.
D'altro canto non aveva molta scelta...
"Bene". Lui si allacciò la cintura di sicurezza e avviò il SUV. "Allora muoviamoci. Tu dormi un po', riposati. Viaggeremo tutta la notte".
"Dove siamo diretti?".
"A Rosslare. Da laggiù salpano i traghetti per Le Havre".
"Andiamo in Francia?".
"A Parigi conosco una persona che potrà esserci d'aiuto ed è preferibile spostarsi via mare".
Non era mai stata a Parigi...
In preda a una sorta di smarrimento, Fred sbirciò il killer... l'angelo... quel che era... intento a fare inversione. Il suo compagno, per il prossimo, misterioso futuro...
"Posso chiederti una cosa?".
Il SUV svoltò sulla strada principale. "Sì...".
"Come ti chiami?".
Le mani dell'uomo fremettero e strinsero il volante.
"Liam", rispose piano.
"Liam", ripeté Fred.
Ignorando di avergli appena regalato un'emozione.


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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


*CAPITOLO TRE*

Londra, Gran Bretagna
21 maggio

Gli incartamenti del caso erano arrivati sulla sua scrivania di Scotland Yard quella mattina presto e l'ispettore Wesley Wyndham-Price si stava domandando perché.
Si trattava di un semplice caso di scomparsa avvenuto quattro giorni prima nell'Eire, a Dublino. Certo, la giovane donna sparita era una cittadina americana, ma... come mai la polizia irlandese richiedeva la collaborazione di quella inglese?
Questa Winifred Burkle era forse una persona importante?
Sfogliò di nuovo i rapporti. Mmm... no, pareva di no. Ricercatrice di laboratorio, lavorava per l'università del Texas, figlia unica, nubile, una vita abbastanza anonima... Graziosa, un sorriso timido. Una brava ragazza che era stata vista l'ultima volta in compagnia di uno sconosciuto.
Probabilmente lo sconosciuto sbagliato.
Tipico. Succedeva spesso alle straniere in cerca di una notte differente. Specie se erano brave ragazze. L'ingenuità le spingeva su strade pericolose.
Nulla che alla Centrale di Dublino non fosse già capitato.
Si grattò la nuca, perplesso. Oltretutto, al momento, non aveva uomini da mandare laggiù e...
Bussarono. Virginia, la sua segretaria, si affacciò sulla porta. "Ispettore...".
"Sì?".
"Ci sono qui due federali che...".
"Federali?". Wesley si tolse gli occhiali. "Intendi dell'FBI?".
"Esatto, ispettore. Dagli Stati Uniti. Debbono parlarle del caso Burkle".
Questa poi... Pure l'FBI?
"Falli passare", sospirò, sistemandosi la cravatta e alzandosi per infilare la giacca appesa alla spalliera della poltroncina. La stava ancora indossando, quando i federali entrarono.
Un uomo e una donna. Lei era bellissima, lui con un'aria piuttosto arrogante.
"Signori...", li salutò Wesley. "Accomodatevi. Io sono l'ispettore Wyndham-Price".
"Agente speciale Cordelia Chase", si presentò la donna, quindi indicò il collega. "Agente speciale Lindsey McDonald". Sorrise, poi scostò una sedia e vi sedette accavallando le lunghe gambe perfette. "Abbiamo da raccontarle una storia interessante, ispettore".


Los Angeles, California
Lo stesso giorno, un diverso fuso orario

"Avrei dovuto capirlo", brontolò Lilah, camminando in tondo, le braccia conserte sul tailleur blu scuro. "E invece non mi sono accorta di niente, dannazione".
"Non colpevolizzarti, mia cara", le disse tranquillo Holland Manners, dal tavolo della sala riunioni. "Angelus non è un tipo comune".
"Voi accettate così passivamente di essere traditi dal vostro personale?", intervenne il Deputato Richard Wilkins, alla destra del signor Manners. "Credevo che pretendeste il massimo della lealtà. Mi ero fidato".
"Noi assumiamo il meglio", rispose Holland, sorridendo accondiscendente. "E Angelus è sempre stato tale, nel suo campo. Uno che fa le cose per bene. Persino se si tratta di far perdere le proprie tracce".
"Appunto!", esclamò la dottoressa Maggie Walsh, all'altro lato del tavolo. "Sembra quasi che tu lo ammiri. Ma, grazie all'improvviso colpo di testa del tuo prezioso Angelus, noi rischiamo di perdere tutto ciò per cui abbiamo lavorato ed investito quattrini negli ultimi cinque anni".
"Sì, lo ammiro, Maggie". Holland annuì, senza modificare la propria espressione serena. "E lo rivoglio. I contratti di lavoro con la Wolfram & Hart sono come i diamanti. Per sempre".
"E allora? Questo dovrebbe rassicurarci?". Wilkins sogghignò. "Questo Angelus è una sorta di genio, ma alla fine sarà abbastanza stupido da farsi ritrovare da voi?".
"No. Saremo noi ad essere più intelligenti".
Lilah distolse lo sguardo dai membri della riunione e lo spostò sui grattacieli di Los Angeles, scintillanti nel sole. Provava una disturbante inquietudine alla bocca dello stomaco e la calma del suo capo la irritava.
"Ridicolo". La dottoressa Walsh diede inconsapevolmente voce ai suoi pensieri. "E in che modo? Quali garanzie ci offrite?".
"Semplice. Ci serviremo di qualcuno in grado di prevedere le sue mosse".
"Oh, sì, lasciami indovinare...", ribatté Wilkins, "... qualcuno assunto dalla Wolfram & Hart. Il meglio. Per sempre". Si alzò bruscamente. "Sciocchezze, Holland. Lo conosco, il tuo stile. Negare e sorridere. Sorridere e negare. Soprattutto se stai affondando. Sono un politico. Certe tattiche non mi ingannano".
La Walsh lo imitò. "C'è troppo in ballo e la tua parola non mi basta. Per quanto mi riguarda, cercherò quel guastafeste e la piccola scienziata con le mie risorse. Non con le tue".
"Lo stesso vale per me", concordò Wilkins, mentre si avviavano entrambi alla porta.
Holland allargò le mani. "Come preferite...".
Non tentò di trattenerli, non si agitò. E per lunghi minuti, dopo che se ne furono andati, la sala fu silenziosa. Sino a che Lilah non si girò verso Holland.
"Qualcuno che può prevedere le mosse di Angelus?", chiese. "E chi sarebbe?".
Annunciate dal suono indolente dei loro tacchi a spillo, due donne apparvero sulla soglia dell'adiacente salotto privato di Holland. Una bionda, piccola e sensuale e una bruna pallida e magrissima. Erano sempre state lì, nella stanza accanto, ad ascoltare lo svolgimento della riunione.
"Chi gli ha insegnato tutto", proclamò la bionda. Scoccando un'occhiata carica di sfida a Lilah. "Prima di me, Angelus non esisteva".
"Ah, sì?", ribatté lei con pari sfacciataggine.
Non resisteva mai alle sfide...
"Lilah...". Holland si schiarì la gola. "... ti presento Darla e Drusilla. Anni fa lavoravano con Angelus. Darla è quella che gli ha rivelato i segreti del mestiere".
"Che lo ha fatto", sottolineò Darla. La bionda, naturalmente.
"E' un po' come se fosse sua madre", aggiunse Drusilla.
L'arroganza dell'altra si sgonfiò. "Adesso non esagerare", le sibilò offesa.
"Oh... credo di comprendere...", commentò Lilah. "Immaginavo già che Angelus fosse un figlio di puttana...".
Drusilla rise. Darla... no.
Ad Holland la stoccata non dispiacque. Apprezzava che i suoi dipendenti sapessero graffiare, all'occorrenza. Da principio, perlomeno. Dopo... era bene soprattutto che dimostrassero di saper pugnalare.
Per uccidere.
Come un genitore paziente batté le mani. "Ragazze... Siamo tutti dalla stessa parte, qui. E i nostri obbiettivi sono Angelus e la giovane scienziata". Guardò Darla. "Winifred Burkle deve morire. Angelus, invece, lo vogliamo...".
"... vivo", terminò la bionda, leccandosi le labbra.


"E' arrivata poco fa", gli annunciò il suo assistente, quando Richard Wilkins giunse nel proprio ufficio, un'ora più tardi. "La aspetta di là".
"Perfetto. Esistono ancora persone efficienti a questo mondo", sospirò lui, andando dritto nello studio. Alla scrivania sedeva una brunetta vestita di pelle, la bocca sfacciatamente lucida e rossa che succhiava un lecca-lecca.
"Dov'eri finito?", lo apostrò. "Il mio culo stava per mettere radici".
"C'era traffico", si scusò Richard. "Ciao, Faith. Il tuo viaggio? Gradevole?".
Lei addentò il lecca-lecca. "Una palla".
"Mmm... e hai letto la nota che ti ho inviato?".
"No. Troppi bla bla bla".
Benedetta ragazzina indisponente.
Avrebbe potuto essere sua figlia e Richard la adorava come se lo fosse, ma certe volte il desiderio di rivoltarla a testa in giù e rifilarle un sacco di frustate superava l'affetto.
La scrutò torvo. "E' una questione delicata, Faith, e se non ti ci impegni con serietà...".
"Troppi bla bla bla", ripeté Faith, oscillando sulla sedia. "E poi non ne avevo bisogno. Non dopo aver visto quel nome in cima alla pagina".
"Allora è vero", mormorò Richard, intrigato. "Tu hai già conosciuto questo famigerato Angelus...".
"Oh, sì...". Gli occhi neri di Faith brillarono di una sfumatura che assomigliava alla tinta del rancore. "E sono ansiosa di rinnovare la nostra conoscenza".


Non ricordava più com'era fatta casa sua.
Da anni viveva in laboratorio. Giorno e notte.
Senza nemmeno più il tempo per il parrucchiere...
Varcando la porta a vetri del Centro Sperimentale Iniziativa, Maggie Walsh si toccò una guancia. Sotto le dita la percepì secca, svuotata, sciupata.
Sono invecchiata precocemente, per via di questo progetto, e ora non posso permettere a quella nullità del Texas di rovinare il mio lavoro.
Il suo furore si calmò solo nello scorgere la figura alta e imponente di suo figlio Adam. Le stava venendo incontro lungo il corridoio. Un attimo e fu tra le sue braccia.
Caro, caro Adam... La ragione della sua esistenza.
"La riunione con Manners è stata fallimentare come supponevamo?".
"Purtroppo sì".
Adam le cinse le spalle. "Al contrario, io ho buone notizie. Lui è qui. Gli ho già spiegato tutto".
Svoltarono nella sala delle proiezioni. L'uomo di cui parlava suo figlio fumava pigramente una sigaretta, appoggiato alla parete con il cartello "Vietato fumare".
La Walsh lo studiò da capo a piedi, scettica."Spero che lei valga i soldi che le pagheremo".
"Assolutamente, signora, li valgo", la rassicurò lui, esalando un anello di fumo. "C'è un motivo se sono noto come William il Sanguinario".


Mi scuso per la lunga assenza, ma vari impegni e una brutta influenza mi hanno rallentato. Comunque rieccomi. Ringrazio Lilyjuve per il commento: non temere la continuo, i capitoli d'ora in poi arriveranno più in fretta e regolarmente. Darò senz'altro un'occhiata alla tua storia. ;) Grazie di leggermi!!


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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


*CAPITOLO QUATTRO*

Quattro giorni prima, il 17 maggio
Tra Rosslare, Irlanda, e Le Havre, Francia

Stavano bussando.
Da un altro pianeta.
Un pianeta dove la nausea non esisteva. Era stata dichiarata fuorilegge da molti secoli e la gente viveva felice e serena senza vomitare mai.
Che pianeta paradisiaco...
"Sì?", biascicò Fred, tentando di sollevarsi dal cuscino.
"Sono Liam".
Liam?
E chi era Liam?
... ah... sì, sì...
Lo sconosciuto bellissimo che mi ha salvato dai cattivi...
Oohhh, no, no, no...
Ho appena vomitato l'anima...
Non deve vedermi così
...
"Siamo arrivati?", gli chiese. Il cervello che girava a vuoto in cerca di una possibile scusa con cui tenerlo fuori dalla cabina.
Da dietro la porta si udì un sospiro. "Non ti ricordi più quello che ti ho detto mentre salivamo a bordo del traghetto? Il viaggio dura ventidue ore e stiamo navigando solo da tre...".
Mmm...
Ventidue meno tre... ventidue meno tre...
Ventidue meno tre... Ah!!! DICIANNOVE!!!
Altre diciannove ore di quest'incubo?!

"Winifred?", insistette Liam. "Posso entrare?".
"Uh... eh?... No, preferirei di no... Io stavo riposando e...".
"Winifred, per favore, tu stai male...".
"Co... come lo sai? Non è vero...".
"Sì che è vero. Quando ti sei chiusa in cabina avevi la faccia grigia. Lascia che entri, ho una pastiglia per il mal di mare".
"Sul serio, non ti preoccupare...".
"D'accordo". La porta si spalancò. "Volevo essere educato, però mi costringi a rimedi estremi", proclamò lui, puntando deciso verso il letto. Aveva con sé un bicchiere d'acqua.
Fred si coprì il volto. "No... sono orribile...".
La mano di Liam le scostò i capelli dalla fronte. "Tranquilla...", bisbigliò. "E tira via quelle mani... Non sei l'unica in queste condizioni: c'è una tempesta, l'infermeria ha già quasi esaurito la scorta di pastiglie... perciò non sprechiamo questa...". L'aiutò a bere. "Da brava, manda giù...".
Lei obbedì. Per fortuna la cabina era semibuia a causa del temporale in corso e lui era stato abbastanza misericordioso da non accendere le lampade. Lo percepiva come una figura robusta e calda, che la sorreggeva.
Robusta, calda e... profumata.
Nonostante la nausea, il suo profumo continuava ad ammaliarla.
"Che cos'è?", indagò, di nuovo distesa.
"Di che parli?".
"Del tuo profumo... Cos'è?".
Un attimo di silenzio. Probabilmente non era la domanda che un killer si aspettava da una donna in procinto di vomitargli addosso.
"Hypnos".
Con le palpebre pesanti, Fred si rannicchiò su un fianco, le gambe che si raccoglievano contro la coscia di Liam. La penombra e la presenza di quel corpo accanto al suo stavano iniziando ad avere un effetto rassicurante.
"Hypnos? E' il profumo pubblicizzato da Clive Owen?".
Una risatina. "Già".
"E' buono...".
"Sì, piace anche a me". Liam si alzò. "Prova a dormire un po'. Io torno più tardi".
Che tristezza. La prima volta in tanti anni che un uomo si avvicina al mio letto... ed è per darmi una pastiglia per il mal di mare.
"Liam?".
Sulla soglia, lui si girò. "Sì?".
"Non sembri un killer...".
"Le apparenze ingannano".
La porta si richiuse.


La svegliò il sole, accarezzandole le ciglia.
Sbatté le palpebre e, per un istante, si incantò ad ammirare la lama di luce che galleggiava in spirali di pulviscolo sopra di lei. Quasi accecata, si sforzò di sbirciare l'oblò: incorniciava un tramonto dorato e brillante. Grazie al cielo, il temporale era passato. E così la nausea...
Anzi, aveva persino fame.
Una fame dannata, in verità...
Stiracchiandosi, si mise a sedere. Intanto, magari, poteva fare una doccia e...
LIAM.
Sulla poltrona accanto al letto, c'era Liam.
Addormentato.
Il capo reclinato di lato, una mano in grembo, l'altra appoggiata a una guancia. Come se si fosse appisolato...
... guardandomi...
Il sangue le si riscaldò.
E non riuscì a resistere alla tentazione. Scese piano dal letto, a piedi nudi, e si chinò su di lui, trattenendo il fiato. Che strano... di solito nei film polizieschi gli uomini come Liam avevano il sonno estremamente leggero... Scattavano e agguantavano la bionda procace o la bruna flessuosa di turno, schiacciandole sul materasso. Poi, virilmente, si scusavano.
"Non mi devi toccare mentre dormo", dicevano.
Una frase che lei aveva sempre trovato molto sexy...
Ma era questo il vero problema di Winifred Burkle, no?
Da trent'anni viveva di studio, ricerche e... favole. Favole scritte, favole su pellicola. Quale che fosse il formato, la musica non era mai cambiata. Dialoghi e scene recitati da altri, di cui lei rimaneva banale spettatrice.
Ma adesso...
Adesso quest'uomo era reale e probabilmente esausto, dopo aver guidato per mezza Irlanda. Sul traghetto erano al sicuro, in vantaggio, per il momento, su chi li avrebbe inseguiti, e doveva essersi abbandonato alla stanchezza...
Mmm... una sfumatura di fragilità che lo rendeva assai più sexy di una battuta cinematografica.
Si piegò sino a sfiorargli i capelli scuri con il respiro.
Anche le sue ciglia erano scure, folte. E i suoi lineamenti rilassati, vulnerabili, illuminati dal crepuscolo, risultavano persino più eleganti...
Più, più, più...
I pensieri di Fred si erano trasformati in una sequenza ininterrotta di più, da quando aveva incontrato Liam.
Ah, Burkle, piantala.
Ha il profumo di Clive Owen, ma non è un attore.
E' un killer.
Un K-I-L-L-E-R.

Osservò le sue mani. Grandi, curate.
Mani che avevano ucciso. Quanto? Come?
Eppure erano anche mani capaci di gentilezza...
Già poco prima della partenza del traghetto, mentre mangiavano un panino in un pub di Rosslare, Fred si era accorta che lui indossava un claddagh, l'anello tipico irlandese. Pure lei ne aveva uno, acquistato in una gioielleria di O'Connell Street. La particolare forma di questo gioiello e la sua storia l'avevano affascinata: mani che reggevano un cuore sormontato da una corona, a simboleggiare l'amicizia, l'amore e la lealtà. Se si teneva il cuore dell'anello rivolto verso se stessi, significava che si era innamorati...
E Liam lo portava così.
Amava qualcuno, quindi?
Era per amore che intendeva smettere con il mestiere di assassino?
E... oh... e il suo ciondolo? Finalmente lo distingueva, tra le pieghe della camicia semisbottonata di lui. Un proiettile. Alla catenina c'era appeso un proiettile inesploso, placcato in argento.
Nascondeva un simbolo anche quello? Un ricordo? Un pegno?
Chi sei, Liam?
Perché hai scelto proprio me come svolta per la tua esistenza?
Dove mi condurrai?

Domande, domande, domande...
Aveva troppe domande da porgli... E sospettava che alla maggior parte Liam - se era davvero il suo nome - non avrebbe mai risposto.
Gesù, Gesù, forse era veramente meglio infilarsi alla svelta sotto la doccia. Gelata.
Per salvaguardarsi gli ormoni e le sinapsi.
Ed evitare di incorrere in figuracce patetiche.
Dirigendosi in bagno, lanciò un ultimo sguardo a Liam.
Non so chi sei, ma so a cosa mi fai pensare.
All'amore a prima vista.
Sei arrivato all'improvviso, hai cambiato la mia vita e mi stai trascinando in un viaggio misterioso
...
Scosse il capo. Sorrise in silenzio.
La doccia, la doccia! Presto!
Si voltò e...
... allora accadde.
Liam allungò una gamba, nel sonno. E Fred inciampò.
Afflosciandosi come una marionetta senza fili sul pavimento della cabina, con il vestito - lo stesso vestito della sera precedente - fin sopra il sedere.
Continua a dormire, Liam.
Per carità continua a dormire.

"Winifred...", farfugliò lui.


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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


*CAPITOLO CINQUE*

Aveva le mutandine di cotone stampato.
Per un attimo, Liam restò seduto sulla poltrona, a fissare il sedere di Winifred Burkle, finita sul pavimento.
Straordinario.
Non vedeva mutande di cotone indosso a una donna da...
... dal liceo?
Più o meno...
Sbatté le palpebre appesantite dal sonno e accennò ad alzarsi. "Winifred...".
Ma lei fu più veloce. In un paio di secondi scattò in piedi, le mani che si tiravano giù il vestito sulle ginocchia. Lo stesso abito della sera prima. Corto, semplice, nero. Peccato che si fosse sgualcito: al pub, mentre la osservava, aveva pensato che le donasse.
"Sono stato io?", le chiese sollecito. "Ti ho fatta inciampare?".
"Sì...". La ragazza aveva i lunghi capelli tutti spettinati e se li teneva sul viso, come per nascondersi. "Sì, ma... non preoccuparti. Volevo solo andare in bagno, senza svegliarti e tu ti sei mosso... Non è successo nulla".
"D'accordo, ma tu come stai? Meglio? Passata la nausea?".
"Sì, sì...". Ad ogni domanda pareva che l'imbarazzo di lei aumentasse. "Scusami. Ho proprio bisogno di una doccia".
Scappò nella piccola toilette della cabina, impedendo a Liam di aggiungere alcunché. Con un sospiro, lui si stiracchiò, indolenzito. E vagamente frustrato.
Aveva messo in conto che tutta quella faccenda sarebbe stata difficile, però solo ora realizzava quanto.
Non sapeva trattare con le persone. Non con quelle normali.
Di solito lui aveva a che fare con la gente senz'anima, come Lilah, come Holland Manners. Persino coloro che uccideva rientravano in questa categoria, spesso erano soggetti addirittura peggiori dei mandanti delle loro esecuzioni. Non che intendesse giustificarsi, per carità...
Eppure schiacciare certi individui equivaleva a schiacciare una cimice. Ti restava la puzza sotto la suola della scarpa, però ti eri tolto un fastidio. Se poi oltretutto ti pagavano...
In quel territorio sporco ed immorale, Liam - anzi Angelus - non si poneva problemi. Conosceva le regole del gioco e lo giocava con destrezza. Ma Winifred Burkle... Apparteneva ad un'altra razza.
Ecco perché lei era il suo segno.
Ecco perché non l'aveva uccisa.
Nel mondo delle cimici, non si uccideva una coccinella.
Se schiacciavi una coccinella, allora eri davvero senza speranza.
E Liam necessitava di un po' di speranza. Almeno un po'.
Giusto un granellino...
Se soltanto fosse riuscito a guadagnarsi la fiducia di Winifred.
Come si interagiva con una coccinella?
Grattandosi la nuca, bussò piano alla porta del bagno. "Winifred, hai fame?".
Il suono dell'acqua che scorreva si interruppe. "Sì...".
"Vuoi che ti porti qualcosa dal bar?".
"Se fosse possibile...".
"Certo che è possibile. Cosa ti prendo?".
"Scegli tu. Io non ho gusti particolari".
"Ok".
Stava uscendo dalla cabina, quando la voce di lei lo chiamò. "Liam?".
"Dimmi...".
"Se però trovassi del cioccolato...".
Liam sorrise. "Lo troverò".


Si attardò una ventina di minuti sul ponte.
Per concedere la giusta privacy a Winifred.
E a se stesso lo spazio di un pensiero, rimasto in disparte tra gli altri, nei quindici giorni in cui l'aveva pedinata per le vie di Dublino.
L'Irlanda.
Vi era ritornato dopo due decenni.
Fingendo di non sentire niente.
La sua specialità.
Se ci si abituava a dominare le emozioni, ci si convinceva di non provarne.
Per mentire al prossimo, bisognava prima imparare a mentire al proprio cuore...
E all'inizio aveva stentato a riconoscere Dublino. Specie il quartiere dove ora si estendeva Temple Bar. All'epoca della sua adolescenza era stato un luogo malfamato e fatiscente, da cui tenersi alla larga. E... accidenti... adesso era l'emblema della giovane swinging Dublin, prediletto dai turisti, vibrante di colori e opportunità...
Non aveva sentito niente? Davvero?
No... qualcosa aveva sentito, in realtà.
Il peso degli anni , forse.
Gli anni accumulati tra Liam, il ragazzo arrabbiato e ribelle, e Angelus, il killer privo di identità e legami. Così tanti da mutare una città.
E... Galway?
Si era trasformata allo stesso modo pure Galway?
Galway che, secondo i depliants delle agenzie di viaggi e le riviste del settore, ora rappresentava uno dei punti nevralgici del fenomeno della Tigre Celtica, la rinascita economica irlandese.
Non aveva sentito niente, eh?
Oh, aveva sentito molte, molte cose...
Sollievo. Immenso sollievo per non essere dovuto tornare a casa.
Per non aver dovuto rivedere le coste dell'ovest, la luce del Connemara...
Le strade a cui aveva rinunciato.
E i volti... Ai volti non voleva pensare.
Non voleva chiedersi quanti della sua famiglia fossero ancora vivi.
Li aveva abbandonati.
Non era degno di porsi domande sui loro destini.
Ah, Cristo.
Niente. Magari non avesse sentito niente.
In quel momento, con il tramonto che sprofondava nell'oscurità del mare, sentiva invece una lacrima scendergli giù, lungo una guancia.
Una maledetta lacrima.
Lui, il killer che quasi non sorrideva, stava piangendo.
Per un non-ritorno durato quindici giorni.
Assurdo. Frettolosamente si passò una mano sulla faccia e si avviò alle cabine.
Alcuni potevano permettersi di guardarsi indietro...
Non Angelus.


Nella cabina c'era un buon odore di bagnoschiuma e di crema per la pelle.
Il vestitino nero e spiegazzato era gettato sullo schienale della poltrona e Winifred indossava un paio di jeans e una camicetta bianca. Aveva legato i capelli in una semplice coda di cavallo e il fondotinta le copriva con scarsi risultati il livido causato dallo scontro con la grondaia.
Gli aveva aperto a piedi nudi, l'aria di un agnellino nel periodo di Pasqua.
Accidenti...
Le depositò le cibarie su un tavolino. "Ti ho trovato tramezzini, macedonia e... cioccolato alle mandorle. Che ne dici?".
"Dico che è una cena perfetta, grazie", sorrise lei. Un sorriso piccolo, piccolo, sempre evitando il contatto diretto con i suoi occhi. "Tu... non hai preso nulla per te?".
"Ho già mangiato, mentre dormivi".
"E... uhm...".
Pareva talmente sulle spine, povera ragazza.
Cosa pretendeva, del resto?
Nell'arco di una notte lui le aveva devastato l'esistenza. Doveva essere intimamente distrutta...
"Ti lascio cenare in pace", la rassicurò, indietreggiando. "Se hai bisogno di me sono nella cabina qui a fianco".
"Non occorre che...".
"Sul serio. Sono piuttosto stanco".
La vide annuire. Più tranquilla?
Lo sperava.
"Beh, buonanotte, allora...".
"Buonanotte, Winifred. Oh... Il mio amico ha telefonato: i tuoi genitori sono diretti all'aeroporto. Sei stata veramente brava a convincerli".
Il visetto pallido di lei si animò. "Diciamo che ho approfittato di certi discorsi che avevamo fatto alla vigilia della mia partenza per l'Irlanda. L'idea di un viaggio insieme... Il tuo suggerimento della vacanza last minute scontata come regalo per l'imminente compleanno di mio padre è stata la ciliegina sulla torta".
"Mmm... credo che la ciliegina sia stata la possibilità di portarsi Floppy", obbiettò Liam.
Risero entrambi. Per un istante l'atmosfera si alleggerì.
Winifred infine lo guardò. "Probabile. Però... prima o poi capiranno che non li raggiungerò come promesso e che...".
"Rimedieremo se e quando accadrà", la interruppe lui, con dolcezza. "Procediamo un passo per volta".
"Sì... sì, hai ragione. Scusa...".
"Non ti scusare". Liam serrò le labbra e infilò la mano nell'interno della giacca di pelle. "Quasi me ne dimenticavo... Tieni". Le allungò un libro. "L'ho comprato allo shop del battello. Ti piace leggere?".
Una domanda retorica. Sapeva che lei amava leggere. Ogni tardo pomeriggio, terminati i corsi al Trinity College, passeggiava sino alla Cattedrale di St.Patrick e si sedeva sul prato con un romanzo. E lo sapeva perché l'aveva spiata. Ma preferì non rivelarle quel dettaglio così invasivo.
"Sì, sì, mi piace...", rispose infatti Winifred. Accettò il libro un po' esitante. "Un lungo, fatale, inseguimento d'amore... di Louisa May Alcott...".
"Non avevano molti titoli tra cui scegliere... Dal retro di copertina mi è parso... in tema", sorrise Liam.
Ancora sbalordito per essersi fermato a spulciare i tascabili di genere rosa.
La cassiera lo aveva osservato con curiosità. Chissà a quali conclusioni era giunta...
"Ti farà compagnia, se ti annoierai", continuò.
"Prevedi che mi annoierò?", mormorò lei.
"Sono un tipo di poche parole".
Di poche emozioni.
Di poche virtù.
Poco di tutto, a livello umano...
"Beh, buonanotte, Winifred", ripeté.
"Buonanotte". La ragazza accennò al libro. "Grazie".
"Prego... In fondo sono il tuo angelo custode, no?".
Le girò in fretta le spalle e uscì, celandole la fragilità del suo sorriso di commiato.


Mi scuso per il lungo silenzio. Grossi problemi di connessione mi hanno impedito di aggiornare, ma ora è tutto sistemato e ritorno in pista. Spero che vorrete continuare a leggermi. :)


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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


*CAPITOLO SEI*

La protagonista di "Un lungo, fatale, inseguimento d'amore" era la giovanissima e bella Rosamund: cresciuta isolata e inconsapevole dei fatti della vita, s'innamorava perdutamente dell'affascinante e tenebroso Philiph Tempest, solo per scoprire troppo tardi quanto l'uomo fosse pericoloso e malvagio. Gli sfuggiva e Tempest la braccava ossessivo per mezza Europa, deciso a riaverla, sino ad un epilogo infausto per entrambi.
Accidenti, cara la mia Alcott, altro che "Piccole Donne"...
Fred richiuse il libro, guardando di sottecchi Liam, concentrato sulla guida. Avevano attraccato a Le Havre intorno a mezzogiorno e, dopo un pranzo sbrigativo, erano immediatamente partiti per Parigi. Lui sembrava avere parecchia fretta ed era più che di poche parole. Praticamente non le parlava dalla sera precedente, se si eccettuavano alcuni monosillabi di estrema necessità. Per il resto, muto come una tomba.
Essendo tuttora mortificata dall'imbarazzo, non le dispiaceva. Però... Al di sotto dello strato di vergogna, persistevano la curiosità e la fascinazione.
Perché Liam aveva scelto proprio quel libro?
Aveva detto che gli era parso in tema...
Era un velato messaggio sottinteso per suggerirle che non doveva crearsi troppe fantasie su di lui?
Se fosse stata più audace ora glielo avrebbe chiesto...
Ma il vocabolo audace le era totalmente sconosciuto. Per carità...
Mentre lo guardava, Liam si stiracchiò, massaggiandosi la nuca con una mano.
Oh, per favore, Burkle...
Riprenditi...
Dovresti pensare al casino in cui sei finita, non a questo pezzo d'uomo qui...
Un pezzo impossibile.

"Tutto a posto?".
Lui si era accorto di essere fissato. Le guance di Fred s'infiammarono sin quasi a brillare di luce propria. "Sì, sì, a postissimo...".
Gli occhi di Liam si abbassarono un istante sul libro che lei teneva in grembo. "Già terminato?".
"Sì".
"E ti è piaciuto?".
"Abbastanza. Peccato per il finale".
"Finisce male?".
"Parecchio".
"Mi dispiace", sorrise lui. "Ammetto che mi sentivo a disagio, là nello shop, a scegliere un libro femminile, con la commessa che mi scrutava come se fossi un animale strano... Non ho badato granché a quello che compravo. Ho solo visto che trattava di un inseguimento...".
Wow. Quante parole tutte insieme...
Parla ancora. Sei persino più bello, quando chiacchieri.
Ok. Era deciso. Non appena si fosse trovata in privato, magari alla toilette, Fred si sarebbe presa a schiaffi. Schiaffoni potenti. Che diamine.
Anche perché...
Deglutì, bloccandola, la replica spontanea che le era nata in gola. Cioè che probabilmente la commessa non lo aveva scrutato per i motivi che riteneva lui...
"Di che ti scusi? E' stato un gesto gentile da parte tua".
Ecco. Un'educata, innocua risposta.
Brava. Vai così...
"Dici?". Liam si morse il labbro inferiore, lo sguardo sulla strada. "Non ne so molto di gesti gentili...".
"Mai fatti o mai ricevuti?".
Ehi, questa è stata brillante.
Però rischiosa.

Infatti lui un po' si irrigidì. "Sono un killer, ricordi? Credi che i killer siano soliti fare o ricevere gentilezze?".
Ritirati, Burkle, ritirati.
"Beh, ma non sei mica nato con la pistola in mano, no? Sarai pur stato qualcun altro... prima di essere un killer...".
Complimenti. Non ti sei ritirata.
Ti sei votata al suicidio.
Per fortuna che eri contenta che stesse zitto perché eri imbarazzata...
Che c'è? Hai formattato il fatto che ti ha vista con il sedere per aria, in mutande di cotone?

Ignaro del suo monologo interiore, Liam sorrise storto. "Lasciamo stare il passato, Winifred. E' talmente lontano che mi pare non sia mai esistito".
E il claddagh con la punta del cuore rivolta all'interno?
Il ciondolo a forma di proiettile?
Vengono dal tuo passato...

Stoicamente, Fred riuscì a resistere e ad imporsi di tacere.
Circa.
"E' un peccato", le scappò.
"Che cosa?".
"Non avere un passato. Senza passato non si hanno radici. E senza radici si è più deboli e fragili".
Il sorriso appena accennato di Liam si trasformò in una lieve risata sarcastica. "Do l'impressione di essere fragile?".
Lei rammentò la sera precedente, lui che dormiva totalmente abbandonato. Un angolino di cuore le si annodò.
Mentre dormi, sì, lo sembri...
L'aveva detto a voce alta?
No... Ma accidenti, doveva piantarla di discutere mentalmente con se stessa.
Era troppo pericoloso.
"E' difficile stabilire il tipo di impressione che dai... Sei... enigmatico".
Era pericoloso perché si distraeva e sparava stupidaggini come questa.
Enigmatico. Un killer professionista.
Della serie che aveva scoperto l'acqua calda.
D'un tratto focalizzò una scena di uno dei suoi film preferiti. Dirty Dancing.
Baby che parlava a Johnny per la prima volta e gli diceva "Ho portato i cocomeri".
Cavolo, Baby, comprendo il tuo dolore.
"Cioè, nel senso che...", tentò di correggersi. Inutilmente.
"No, hai ragione", replicò lui. "Altrimenti che razza di killer sarei?".
"Però non vuoi più esserlo, giusto? In futuro...".
"Al momento il futuro più importante è il tuo. Siamo arrivati".
Sbalordita, Fred si accorse che l'auto era ferma davanti ad un massiccio portone di ferro, ai cui lati si innalzava un muro di recinzione sormontato da filo spinato elettrificato. Il tutto nel mezzo dei campi.
"Dove siamo? Non dovevamo andare a Parigi? Questo assomiglia più ad un carcere...".
"Siamo a Parigi, in effetti. O meglio, in territorio parigino". Liam digitò veloce un messaggio sul cellulare e in pochi istanti il portone iniziò ad aprirsi. "E questo posto, beh... è più difficile da inquadrare di me".
Nello scorgere il luogo oltre il portone, Fred fu d'accordo.


Quella che il suo proprietario attuale aveva ribattezzato Chateau Caritas, era una villa del primo settecento, completa di parco in stile piccola Versailles. Nessuno conosceva il vero nome o la vera età del padrone di casa, nè il suo volto prima della plastica facciale. L'unico dato certo era che Lorne - così si faceva chiamare ora - non tollerava conflitti e qualsiasi forma di violenza nel suo paradiso personale: ogni vecchio amico, killer compresi, era ben accetto, a patto che si comportasse pacificamente e deponesse le armi per tutta la durata della propria permanenza.
"In pratica questo è come il terreno consacrato per gli Immortali", mormorò tra sé Fred. Lorne, che precedeva lei e Liam lungo un ampio corridoio illuminato su un lato da una serie di splendide vetrate, si voltò compiaciuto.
"Seguivi anche tu la serie tv, giuggiolina? Io la adoravo. Tutte quelle spade...". Scoccò un'occhiatina maliziosa a Liam. "Tu sai usare la spada, Angelus?".
Non attese risposta e accelerando il passo, esclamò: "Forza, pasticcini, che ho proprio le camere che fanno per voi!".
Giuggiolina?
Pasticcini?

Che tipo, questo Lorne... Era alto, molto, più di Liam, e camminava con la grazia di un dandy d'altri tempi. Non avrebbe sfigurato in un romanzo di Wilde...
E andava chiaramente pazzo per il colore verde. La tinta, in ogni possibile variante, era presente ovunque, dalle tappezzerie ai tendaggi, persino ai particolari dei soprammobili. Per cui, quando entrarono nella stanza a lei riservata, Fred non si stupì troppo di scoprirla con pareti e accessori verde mela.
“Ecco qua, caramella. Adesso ti mando una cameriera, per qualsiasi tua esigenza”.
Le pizzicò una guancia, con una strizzatina d'occhio. “E' veramente tanto bellina, Angelus”, sorrise indietreggiando.
“Uhm... già...”. Liam si sporse nella camera. “Resta qui, ok?”, le intimò. “Io devo parlare con Lorne”.
“Aspetta...”, lo richiamò Fred prima che chiudesse la porta. “Angelus... E' il tuo nome... da killer?”.
Il viso di lui si mantenne impassibile. Rispose solo con un cenno della testa. “Torno presto”, sussurrò.
Dileguandosi.
Era veramente molto bravo e veloce nel chiudere le porte e troncare i discorsi.
Come nel troncare vite umane, ragazza. Non dimenticarlo.
Angelus
.
Per lei, Liam aveva affermato di essere un angelo custode...
Ma per quanti aveva rappresentato l'angelo della morte?
Sconfortata, il cuore improvvisamente oppresso da un pesante senso di solitudine e sgomento, Fred si strinse le braccia intorno al corpo.
E pensare che, oltretutto, il verde nemmeno le piaceva...


“Allora, allora... “. Lorne si chinò ad odorare una delle rose in boccio che adornavano le siepi di uno dei viali del parco. Qualche metro più avanti l'acqua zampillava da una fontana a forma di unicorno. “Angelito, che mi combini? Da quando scarrozzi damigelle in difficoltà?”.
“Avrei dovuto ucciderla, in effetti”.
“Ah... E cosa è accaduto, invece? Te la sei portata a letto? Uhm... avrei giurato che le preferissi bionde...”.
“Mi ferisci”, si lamentò Liam con finta contrizione. “Pensi sempre cose cattive di me...”.
Risero. “Chissà come mai...”.
“Scherzi a parte... No. Il sesso non c'entra”. Liam divenne serio. “Io sono stanco, Lorne. Molto stanco. Faccio questa vita da un tempo che mi sembra eterno e ormai ho più soldi di quanti potrò mai spenderne ...”.
“Capita a tutti, prima o poi, bigné. E' per questo che ho creato Chateau Caritas. Ero stanco”. Lorne si sedette sul bordo della fontana. “Ed è stata la ragazza a spingerti a compiere il salto?”.
“Sì. Sono anni che elimino gentaglia e lei... E' innocente, Lorne. Un'innocente finita nell'ingranaggio sbagliato... Non potevo ucciderla. Non potevo proprio”.
“E fin qui ti sto seguendo... Ma continuo a non spiegarmi perché la piccola sia insieme a te. Lasciare il mestiere è una faccenda complicata, specie se si lavora per quei demoni della W&H, e avere del bagaglio a mano non aiuta... Perché non te la sei svignata e basta? Avrei un ottimo chirurgo plastico con cui metterti in contatto. Un passaggio nella sua clinica e... voilà... faccia nuova, vita nuova”.
In piedi di fronte a lui, Liam lo ascoltava immobile, le mani in tasca, i piedi leggermente divaricati. Il sole gli schiariva i capelli, regalando loro sfumature rossastre. “Che senso avrebbe avuto non uccidere la ragazza se poi qualcun altro l'avrebbe fatto al posto mio?”, ribatté poi. “Non scordare che se ti trovi sul libro nero della W&H diventi un bersaglio mobile e con il destino segnato”.
“Il che ora vale anche per te...”.
“Lo so. Ma io sono in grado di difendermi. Winifred no. Mi sono preso la responsabilità di lasciarla in vita e devo proteggerla di conseguenza. Riesci ad immaginare il genere di killer che la W&H ci metterà alle calcagna?”.
“Essendo tu la preda, si tratterà di gente che ti conosce”. Lorne fischiò. “I peggiori assassini sul campo”. Inarcò un sopracciglio. “Dopo di te, ovvio”.
“Appunto. Elementi spietati, che non le userebbero alcun riguardo. Se l'avessi uccisa io...”. La voce di Liam si ammorbidì. “... ecco, io avrei fatto in modo che non soffrisse, che non lo capisse...”.
“Spero che questo tu non gliel'abbia detto...”.
“Certo che no”.
“Bravo. Però... sì, comprendo il tuo ragionamento. Ineccepibile. Sebbene...”.
“Sebbene?”. Liam sollevò gli occhi.
“Beh... mi hai confessato di essere stanco e devi esserlo davvero molto, tortino. Davvero molto, per esprimerti così”, considerò Lorne alzandosi e battendogli una mano su una spalla. “Solo la stanchezza autentica risveglia i cuori di quelli come noi”.
Ah, per favore...
Poco attratto dall'idea di discutere, Liam evitò di replicare.
Ma... andiamo... il suo cuore?
Un vecchio muscolo rinsecchito ed inservibile.
Neppure una bomba atomica avrebbe potuto ridestarlo...
Meglio occuparsi di dettagli pratici. “Mi aiuterai a trovare chi sai tu?”, chiese.
Con un sorriso, Lorne lo prese sotto braccio.


Grazie a chi sta leggendo! :)


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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


*CAPITOLO SETTE*

Parigi, Francia
24 maggio

La stanza era completamente al buio, tranne che per la fiammella dell'accendino nella mano dell'uomo seduto accanto alla finestra. Con uno scatto veloce del pollice, lui l'accendeva e spegneva ad intermittenza, le caviglie incrociate poggiate sul davanzale, lo sguardo nascosto dall'ombra, perduto a vagare tra i palazzi che circondavano la piazzetta di fronte all'albergo.
“Qualcosa di nuovo”, mormorò. “Dimmi qualcosa che non so già, Merle”.
“Che cosa cazzo intendi?”, squittì il secondo uomo, in un angolo. Piccolo, nervoso, gli occhi guizzanti da rettile. “Che sapevi già che Angelus si trova a Chateau Caritas?”.
“Certo che lo sapevo già, pezzo di cretino. Era ovvio che sarebbe andato da Lorne. Chiunque di noi, nella stessa situazione, ci andrebbe”.
“E allora perché mi hai mandato in giro a fare domande? Ti rendi conto che se Angelus lo scopre, io non potrò più avere figli?”.
“Non li puoi avere nemmeno adesso, dato che sei senza palle”.
“Oh, forse non avrò le palle, Sanguinario, ma ho il cervello. E comunque...”. Infastidito, Merle premette l'interruttore del lampadario, illuminando di colpo la camera. “... perché te ne stai al buio? Credi che quei tuoi capelli platinati brillino di luce propria?”.
William il Sanguinario, meglio noto come Spike, sobbalzò, mascherandosi gli occhi chiari. “Al Diavolo!”.
In un attimo scattò in piedi e spinse il piccolo informatore contro il muro, sovrastandolo con la mascella che vibrava. “E non fare commenti sui miei capelli”.
Nessuno doveva osare sbeffeggiarlo per il colore dei capelli.
Era stata un'abitudine di Angelus.
Ehi, Capitan Perossido...
Ricordarlo gli provocava un fastidio crescente allo stomaco. Collera nuova che si accumulava a collera antica. Mai sfogata.
E aveva una gran voglia di sfogarla. Magari sul caro vecchio Merle...
Indietreggiò, dopo aver battuto un pugno d'avvertimento sulla parete, a qualche millimetro soltanto dalla testa dell'altro. “Cerchiamo di non perderci in chiacchiere, ok?”, intimò. “Angelus ha portato la ragazza da Lorne, ma ha fatto altro? E' uscito dalla villa? Si è messo in contatto con qualcuno?”.
“Non che io sappia”. Merle deglutì, restando aderente al muro, per prudenza. “Sono arrivati circa una settimana fa e da allora intorno allo Chateau non si muove una sola foglia... A parte quella pupa che ne pattuglia costantemente il perimetro come un cane da tartufo. Lorne si starà facendo un sacco di risate: non è per niente discreta”.
“Di chi parli?”, chiese Spike, interessato.
“Ma sì, quella brunetta con le tettine strepitose che l'anno scorso ha fatto quel lavoro per i giapponesi... Mi pare si chiami Faith...”.
“Ah, Trashy Slayer...”. Spike scoppiò a ridere. “Anche lei è della partita, quindi?”.
“Parrebbe di sì. Certo che...”. Merle esitò.
“Certo che... cosa? Esprimiti”.
“No, ecco, pensavo che certo ne ha di coraggio, la ragazzina... E' una novellina nel vostro campo e da quel che si dice ha la grazia di un elefante in una cristalleria... Come spera di misurarsi con uno come Angelus?”.
“E' incazzata con lui”.
“Ah, lo conosce? Cavoli, ma allora sua maestà l'angelo delle tenebre di tanto in tanto si mescola ai comuni mortali?”.
“Giusto il tempo di ricordare loro che non sono all'altezza”, sibilò Spike, tornando a sedersi.
“Ops”. Merle comprese. “Perciò la nostra Trashy sarà incazzata forte...”.
Non quanto me.
Mai quanto me.

Inclinando la sedia e puntellandosi con i piedi nudi alla parete, Spike incrociò le mani dietro la nuca. Quello scambio lo stava annoiando. “Vattene, adesso. D'ora in poi me la caverò da solo”.
“Ok. Come vuoi, Sanguinario”, sospirò Merle.
Di sollievo.
Un sollievo tale che in pochi secondi era già sparito.
Lasciando la luce accesa, ovviamente.
Coglione...
Con il pepe al culo per colpa di Angelus. Lo temeva. Ne era terrorizzato.
Chiunque, nel loro mestiere, era terrorizzato dal Flagello.
Dal Sanguinario... moderatamente.
Il che era irritante. Molto molto irritante.
Nervoso, inquieto, si alzò ancora. Spense il lampadario, trovò il letto e vi si tuffò pancia sotto. Come un adolescente frustrato.
Un po' di eleganza, William.
Possibile che tu debba essere sempre così debordante?
Sii serio. Noi siamo professionisti.

Cristo.
Chiuse gli occhi. Rivide la stanza.
Una stanza di un albergo di Londra. La notte di un lontano Capodanno.
Il Capodanno in cui Cecily gli aveva rifilato un definitivo, crudele, stronzissimo due di picche.
E lui aveva imparato cosa significava avere il cuore lacerato dai morsi del dolore e dell'umiliazione.
Poi, tra la folla di festaioli che celebrava il nuovo anno per le strade, aveva incrociato lei. Bellissima. Come la protagonista di un sonetto oscuro, tipo quelli di Blake. Lo aveva preso per mano e condotto nella stanza.
Dove lui sedeva davanti al fuoco nel camino.
Ed esattamente come la sua straordinaria compagna, pareva uscito da un libro.
Uno di quei volumi antichi rilegati in pelle e rifilati in oro, magari scritti in qualche lingua sconosciuta e antica foriera di segreti innominabili.
In che maniera surreale era cambiata per sempre la sua vita...
Con pochi tocchi rosso gotico.
Una mano di fata nella folla.
Una stanza d'albergo.
Un demone di fronte al fuoco.


Il Demone.
Quel titolo, tra i vari dei numerosi volumi impilati nelle pareti della biblioteca, la attirò da subito, senza una spiegazione razionale. Per prenderlo, Fred dovette sollevarsi sulle punte e la polvere che si liberò quando lo sfilò dal suo posto la fece starnutire.
Una volta che lo ebbe tra le mani, lo soppesò curiosa.
Michail Lermontov. Roba russa.
Dalla copertina la guardavano gli occhi grandi della donna di un dipinto. Si stringeva contro la gola un velo bianco e alle sue spalle parevano esserci un mare grigio e delle scogliere.
Sfogliando le prime pagine scoprì che si trattava del particolare di un quadro denominato La principessa Cigno, conservato in una galleria di Mosca.
Sì, decisamente roba russa.
Accidenti. Le piaceva leggere un po' di tutto, ma aveva sempre detestato gli autori russi. Non erano proprio nelle sue corde. A metà di Delitto e castigo si era addormentata.
Eppure...
Passò le dita sulla carta ingiallita, odorosa di pomeriggi piovosi e notti insonni. Il Demone la ispirava.
E d'altra parte non aveva molto altro da fare, se non leggere o guardare film in uno dei salotti super attrezzati di Lorne.
Sbuffando, uscì dalla biblioteca. E si fermò, indecisa.
Dove poteva andare a leggere?
C'era troppo spazio. Troppo.
Troppe stanze. Troppo silenzio.
Troppa solitudine.
Torno presto...
Oh, sì, come no...
In realtà non vedeva Liam praticamente da sei giorni. Stava quasi sempre chiuso nello studio di Lorne.
Per il resto le sembrava di trovarsi in un cartone animato di Walt Disney.
I domestici apparivano alle ore dei pasti e scomparivano subito dopo, forse trasformandosi in teiere o in criceti appena girato l'angolo. E la sua stanza veniva misteriosamente rassettata in sua assenza. Probabilmente dai sette nani.
Nel parco, poi, di tanto in tanto, incrociava i bodyguard di Lorne. Ma dubitava che fossero senzienti. Sospettava che a mezzanotte, all'esaurirsi dell'incantesimo che li animava, si spegnessero come automi a pile.
L'unica con cui le era capitato di parlare era Harmony, la segretaria di Lorne. Comunque anche lei doveva essere in qualche modo finta. Magari Lorne l'aveva ricavata da una Barbie e si attivava con un pulsantino sulla schiena, nascosto dal golfino rosa confetto...
Con il libro in mano, decise di dirigersi verso uno degli ingressi che si aprivano sul giardino. All'esterno c'erano panchine e sentieri ben illuminati, sarebbe stato carino leggere sotto le stelle. Alla peggio poi ci avrebbe trovato uno dei replicanti e si sarebbe potuta esibire in un monologo schizofrenico.
Giunta a destinazione, però, si bloccò.
In fondo alla scalinata, allungate dalla luce dei lampioni, si stagliavano le ombre di due uomini. Uno stava fumando. La linea delle sue spalle era inconfondibile, distinguibile tra mille.
Liam...
Peccato che lui e Lorne fossero fuori portata d'orecchio...
Di cosa accidenti stavano parlando?
Perché Liam la stava così platealmente escludendo dai loro discorsi infiniti?
Era lei quella con il bersaglio sparate qui stampigliato sulla fronte, no?
Si mosse più piano che poté. Se scendeva di qualche gradino, forse sarebbe riuscita ad origliare...


“C'è la nostra piccola albicocca”, disse Lorne, appoggiato alla balaustra di pietra della scalinata.
“Lo so”. Liam gettò il mozzicone della sigaretta tra la ghiaia e lo schiacciò con la scarpa. “Sta cercando di avvicinarsi un po' per sentirci”.
“Rimandiamo a dopo?”.
“Sì. Ti raggiungerò nelle tue stanze”.
Lorne esitò. La sua voce si affievolì in un sussurro. “Sei sempre sicuro di volerlo fare?”.
“E' la cosa migliore”.
“Per lei... o per te?”.
“Per tutti”.
“D'accordo... Come preferisci, Angelito... Ah, quasi dimenticavo: i federali e quelli di Scotland Yard sono a Parigi. Da questa mattina”.
Con la coda dell'occhio, Liam sbirciò il cauto procedere della ragazza dietro di loro, impegnatissima a non fare rumore. “Me lo aspettavo. Adesso è l'intera famiglia Burkle a risultare scomparsa... E, lasciami indovinare... uno dei federali è l'agente speciale McDonald?”.
“Mmm... oh, sì”, rise Lorne. “Vecchio amico?”.
“Il nostro è un rapporto travagliato”.
“E...?”.
“E sebbene sia un federale, non lavora per l'FBI”, sorrise Liam, piuttosto sicuro che Winifred avesse afferrato nitidamente solo metà di quell'ultima frase. Infatti la udì schiarirsi la gola, per palesare la propria presenza.
“Buonasera...”.
“Oh, buon Dio, gattina!!”, esclamò Lorne sobbalzando. “Ci hai spaventati a morte!! Che passo felpato!”.
La ragazza parve imbarazzata. “Scusatemi, non volevo...”.
Liam reagì con più compostezza. “Scusaci tu. Eravamo così immersi nel nostro dialogo da non accorgerci di nient'altro”.
Il visetto di lei si animò di intraprendenza. “Di che parlavate? Di me?”. Strinse le labbra. “Non avrei il diritto di partecipare anch'io?”. Un deciso alzarsi ed abbassarsi del petto. “E poi tu...”. Lo trapassò con lo sguardo. “Non sei nemmeno venuto a dirmi un ciao, in questi giorni”.
Wow. Il fiume Burkle era straripato.
Simulando un brivido, Lorne allargò le mani. “Provo un urgente bisogno interiore di concedervi un momento di privacy, cioccolatini”. Si piegò a sorriderle. “Non ammazzarlo, mi raccomando. A modo suo è un pezzo di pane”.
Risalì la scala fischiettando Over the rainbow.
Ma Fred non si era addolcita. Fissò Liam. “Un pezzo di pane assente”, puntualizzò.
Lui deglutì. “Mi dispiace, ma ti avevo avvertita che non sono un tipo di compagnia. E del resto...”. Accennò al libro di lei. “... ritenevo che non ti saresti annoiata senza di me”.
“Non è questo il punto”, obbiettò Fred. “Io voglio sapere che succede. Quanto tempo ancora resteremo qui? E per favore non mi rispondere il tempo necessario...”.
“Purtroppo è l'unica risposta che ho da darti”, sospirò Liam. Il suo tono, stanco, strascicato, la colpì.
Di colpo si sentì stupida. Petulante.
“Insomma mi devo fidare di te e basta, giusto?”, mormorò.
Gli occhi di lui la osservarono di sotto in su. Per un attimo Fred credette – e un pochino sperò – che stesse per prenderle una mano. Quella destra di Liam, grande, elegante, in effetti si mosse in avanti, appena. Non andando oltre l'intenzione.
“Winifred... So che ti senti sola e che sei preoccupata”, le sussurrò. “Ma qui sei al sicuro ed io... sto facendo davvero tutto ciò che è in mio potere per aiutarti e salvarti. Su questo non devi avere dubbi, sul serio”. Guardò altrove, nel nulla. “E capisco che tu voglia sapere cosa succede, però...”. La sua mascella vibrò. “Lo faccio per te, Winifred. Meno particolari conosci del mio mondo, più uscirai pulita ed integra da questa storia”.
Perfetto.
Ora quella con il senso di colpa sono io.

“Ok. Prometto di non rompere più le scatole”, concesse Fred arrossendo. “Ma tu... promettimi almeno un ciao saltuario...”.
Lui le rivolse uno sguardo stranamente triste. Annuì.
E nell'aggirarla le sfiorò una spalla con il tessuto fresco della camicia scura. Avvolgendola fugacemente nel suo profumo.
Soltanto in ritardo, quando ormai Liam si era dileguato, Fred realizzò che non le aveva promesso proprio alcunché.


Grazie come sempre a tutti coloro che stanno commentando e leggendo (per chi è interessato alla pairing Angel/Fred, io ho scritto un altro AU con questa coppia come protagonisti... Vi va che pubblichi anche quello? Basta chiedere. ;)


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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


*CAPITOLO OTTO*

Non ebbe bisogno di cercarla.
Individuò immediatamente le sue gambe, lunghe e accavallate, dietro lo schienale di una delle ampie poltrone rosso cupo del privée dell'albergo.
La raggiunse con il cuore che batteva un po' più forte e il nodo della cravatta leggermente stretto.
Sentendosi uno stupido. Che diamine...
Lei si sporse oltre il bracciolo della poltrona ancor prima che lui parlasse. I capelli sciolti le scivolarono in una cascata scura e luminosa a un lato del collo. Gli sorrise. “Ispettore... Credevo fosse andato a dormire...”.
Wesley tentò di sorridere con altrettanto charme. Ma temeva di non averlo nei geni. “Agente Chase... sì, beh, ho scoperto di non avere sonno...”.
“La capisco. Forse siamo troppo stanchi”. La ragazza lo invitò a sedersi. “Le va di bere qualcosa?”.
“No, grazie. Io... l'agente McDonald?”.
“Sta telefonando a Washington”. Cordelia indicò il collega, all'esterno delle porte principali dell'albergo. Camminava avanti e indietro, parlando animatamente al cellulare. “Lascio sempre a lui l'incombenza di fare rapporto. E' una cosa che mi annoia”. Suggellò l'ammissione con un sorriso che le arricciò il naso in modo delizioso.
“Lavorate insieme da molto?”, domandò Wes, rimirandola.
“Un paio d'anni. Lindsey ha più esperienza di me. Indaga su Angelus da parecchio. Come lei, ispettore...”.
“Già. Sebbene io non sapessi nemmeno su chi stavo indagando... Intuivo che molti dei delitti insoluti di cui mi ero occupato sul territorio britannico fossero opera di un'unica mano, ma, se non fosse stato per il vostro intervento...”.
Un altro sorriso smagliante di lei. E la pressione arteriosa di Wesley subì una consistente variazione.
Dall'esterno, Lindsey McDonald lo vide sporgersi verso Cordelia. Come un bambino che si tende verso il carretto dei gelati...
Sorrise tra sé. Niente di meglio di un'oca giuliva e sexy come partner. Serviva sempre allo scopo.
“Prenotate il volo immediatamente. Sono in troppi alle spalle di Angelus. La mossa vincente è precederlo. Qui è protetto dal suo amico miliardario, ma laggiù abbiamo più legami e connivenze. Saremo noi quelli in vantaggio... Quanto a me, terrò impegnato il nostro Mr Bean. E' un ometto simpatico. Sarà facile far ricadere su di lui gli errori che condurranno alla tragica morte della povera Winifred Burkle e alla fuga del super criminale Angelus...”.
La replica nel ricevitore lo fece ridere. “Oh, sì, potete credermi, non sto nella pelle... Siamo d'accordo allora. Fatemi sapere quando sarete sul luogo”.
Chiuse la comunicazione senza congedarsi. Non era mai necessario.
Con gli occhi blu scrutò la notte parigina. Si leccò le labbra.
Angelus era là fuori... e presto le loro strade si sarebbero di nuovo incrociate.
Sì, sì... Davvero non stava nella pelle.


Un rumore secco la strappò ad un sonno leggero ed inconcludente.
Forse uno sportello che sbatteva.
Sbattendo le palprebe, Fred non si pose troppo a lungo la questione.
Era esausta. Una strana tensione le aveva impedito di dormire e per ore aveva letto e riletto il libro di Lermontov, rigirandosi nel letto.
Il sole tenue dell'alba indugiava ancora sulle pagine aperte, sulle parole del brano che più l'avevano colpita...

Lo straniero nebuloso e muto,
Splendendo di bellezza non terrestre,
Sul suo guanciale si chinava: e tale
Era l'amore nei suoi occhi, e la pena,
E così tristemente la guardava (...)
Era forse un angelo celeste?
Era forse il suo angelo custode?
Ma iridata corona di raggi
Non abbelliva le sue chiome: e allora
Era forse uno spirito dell'Ade,
Lo spirito del Male? Non lo era,
Egli era come una chiara sera;
Non tenebra né luce, giorno o notte!...

Come una chiara sera.
Non tenebra. Non luce.
Non giorno. Né notte.
Poi di nuovo il rumore: lo riconobbe con sicurezza, questa volta. Si trattava davvero dello sportello di un'auto. Pigramente, intontita dall'insonnia, Fred andò alla finestra in punta di piedi.
Il SUV di Liam era posteggiato davanti alla scalinata d'ingresso. Lui, già vestito di tutto punto, stava parlando con Lorne, e l'aria tersa del primo mattino rendeva nitidissimi i suoni. Contrariamente alla sera prima, lei non ebbe difficoltà a decifrare ciò che dicevano.
E di colpo fu più sveglia e lucida che mai.
“Te la affido, conto su di te”.
“Le riserverò gli onori di una regina, tranquillo. Sei certo di non volerla almeno salutare?”.
“No. Non è il caso”.
“Si arrabbierà, bignè”.
“Preferisco saperla arrabbiata, ma protetta”.
Cosa?
Cosa?!
COSA?!?!
Liam se ne andava? E la mollava lì?
Neanche il disturbo di un bye bye?
Ehi, la prendeva in giro?
Con chi credeva di avere a che fare?
Con l'ultima sprovveduta del villaggio?
No, no, no, che cavolo...
Non tolse il pigiama, non si lavò la faccia. Pensò solo a gettare qualche indumento nello zaino che teneva nella valigia. Più il cellulare che le aveva procurato Liam per sentire i suoi genitori e il cd con i risultati dei test sul farmaco. Legò sbrigativa i capelli con un elastico e infilò le scarpe. Quelle basse con cui aveva camminato in lungo e in largo per Dublino. Più pratiche.
Volò di sotto alla velocità massima consentita ad un corpo umano.
Ma era tardi.
Del SUV di Liam restavano solo le tracce sulla ghiaia.
Per un attimo la colse il panico. Si pietrificò.
Ed ora?
Chi le restava?
No!!
Un moto di ribellione interiore le irrigidì i muscoli.
No. No. NO.
Doveva trovare Lorne. Costringerlo a darle un'auto per raggiungere Liam.
I garage! Erano sul retro!!
Un'altra corsa a perdifiato.
E una decisione repentina. Istintiva. Tutta sangue e adrenalina.
Dio, Winifred Burkle che decideva qualcosa senza riflettere.
Da pazzi.
Eppure... Non aveva tempo da perdere e la soluzione le si presentò nella sua perfezione assoluta.
Il portone posteriore aperto.
Uno scooter incostudito accanto alla siepe.
Lorne distratto da uno dei suoi uomini.
Un'occasione unica.
Per cui agì. Non se ne capacitò, ma agì.
In pigiama, lo zaino appeso alle spalle, rubò lo scooter.


Questione di un secondo.
Lorne registrò l'immagine con la coda dell'occhio e il suo cervello impiegò più neuroni del dovuto per elaborarla.
Stupito, guardò l'uomo di fronte a sé.
“Jerome... quella era la ragazza di Liam?”.
Jerome, altrettanto sbalordito, annuì. “Sì, signore”.
“Ed è appena scappata in pigiama sullo scooter del giardiniere?”.
“Sì, signore”.
“Dal portone aperto...”
“Esatto, signore”.
A braccia conserte, Lorne ispirò ed enspirò. “Questa villa è dotata di un perimetro elettrificato e di tre diversi sistemi di allarme. Perché il portone era aperto?”.
“L'ho lasciato aperto io, signore”, ammise Jerome.
“Per... un motivo particolare?”.
“No. Nessun motivo particolare, signore”.
Calò un tetro silenzio.
“Io...”. Lorne deglutì. “Io non posso credere che stiamo facendo questa conversazione”. Tirò fuori il cellulare. “Non dovevo alzarmi, oggi... Angelus?”.
A distanza di qualche miglio, Liam rispose. “Sei tu, Lorne? Che succede?”.
“Ti sta inseguendo”.
“Chi?”.
“La piccola pesca. Winifred”.
Liam inchiodò. Il SUV si bloccò di traverso. “COSA?!”.
“Se non sbaglia strada, presto scorgerai una rabbiosa nuvoletta di polvere nello specchietto retrovisore. E' sullo scooter del giardiniere”.
“Su... su uno SCOOTER? Ma... ne sei sicuro?”.
“Fidati, kiwi. Sono un tipo fantasioso, però non così tanto. Recuperala, prima che si faccia male o che Trashy le spari addosso. Lo scooter di Antoine ha un problema alla marmitta: ruggisce come un t-rex inferocito”.
Sferrando un pugno al volante, Liam buttò il cellulare nel portaoggetti.
Pure la marmitta danneggiata.
Era inaudito. Non stava capitando.
E quella stradina era troppo stretta per fare inversione.
Accidenti.
Inserì la retromarcia e iniziò a procedere all'indietro.
Dannazione, dannazione, dannazione.
Già . Lorne l'aveva informato della presenza di Faith Trashy Slayer Lehane nelle vicinanze della villa. Aveva auspicato di trascinarsela dietro. Ma una Winifred in aggiunta non era stata contemplata e.. Oddio... ma era lei quella? Era Winifred?
Ah, sì, Gesù. Doveva essere proprio lei.
Avanzava veloce. E il rombo acuto dello scooter sbandierava la sua presenza peggio di un megafono pubblicitario per killer. Professionisti e non.
“Ti prego, Faith”, mormorò Liam, fermando il SUV. “Ti prego, dimmi che non mi hai seguito. Dimmi che non sei nei paraggi...”.
Smontò, i sensi all'erta, pronto ad estrarre la pistola. E a chiudere in auto Winifred non appena lei... Ehi, ma non frenava?
“Winifred!”, urlò. “Frena!”.
Di rimando, lo scooter ringhiò.
E anziché frenare, accelerò.


Grazie per la partecipazione, gente. Spero che la storia continui a piacervi e a divertirvi. ;)


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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


*CAPITOLO NOVE*

Subito dopo lo schianto, Liam non vide nulla. C'era solo polvere di ghiaia dovunque.
“Winifred? Winifred, stai bene?”.
Capì che era viva perché la udì tossire.
Mentre la polvere si diradava, iniziò a distinguere il profilo dello scooter accartocciato contro il paraurti del SUV e poi la scorse, seduta sull'erba del ciglio della strada. L'aria stupefatta e stranita.
E un pigiama rosa a fiorellini. Strappato su un ginocchio.
L'aveva inseguito in pigiama?
Scuotendo il capo, Liam si chinò a tenderle la mano. “Stai bene?”, le ripeté. “Tutta intera?”.
“Credo di sì...”, bofonchiò la ragazza.
Ignorò il suo aiuto e si rimise goffamente in piedi da sola.
“Perché non hai frenato?”.
“L'intenzione era quella... ma se finora non ho mai partecipato al MotoGP, beh, evidentemente c'è un motivo”.
La battuta non divertì Liam. Le si piazzò davanti. “Si può sapere che ti è preso?”, esclamò. “Che diavolo significa tutto questo?”.
Impegnata a rassettarsi il pigiama, Fred sollevò la testa di scatto, gli occhi che le occupavano metà del volto. Enormi.
Accesi di scintille.
“Che cosa mi è preso?”. Iniziò esprimendosi a bassa voce, ma via via il suo tono divenne più acuto e stridulo. “Cosa diavolo significa tutto questo?”.
Sbatté le palpebre. E poi gli sferrò un calcio ad uno stinco.
Così forte e preciso che il dolore e la sorpresa piegarono in due Liam.
“Che... Winifred! Ma...”.
“E piantala di chiamarmi Winifred”, sbraitò lei. “Winifred era una mia vecchia zia morta zitella. Io sono Fred!”. Lo aggirò, scavalcando la carcassa dello scooter. “ E tu sei uno stronzo bastardo”.
Non contenta, gli rifilò una spinta stizzosa. “Come hai potuto? Eh? Spunti all'improvviso nella mia vita terrorizzandomi con una minaccia di morte, mi porti via come un pacchetto, praticamente sequestri i miei genitori... e poi mi pianti nella villa di un ex killer che si crede il Cappellaio Matto?! Io quello neanche so chi sia...”. Si interruppe, ansimante. “Ok, non so nemmeno chi sia tu, ma... e se Lorne avesse deciso di spararmi nella nuca? Naturalmente anche tu potresti spararmi nella nuca, ovvio... ma hai detto che ti dovevo considerare il mio angelo custode, no? Quindi perché mi stavi abbandonando?!?”.
Non aveva più fiato.
“Wi... mmm, Fred, io non ti stavo abbandonando”, tentò di replicare Liam. “Volevo...”.
“Proteggermi. Già, già”, sbraitò Fred. “E te ne andavi senza una parola? Una spiegazione? Sei il mio unico punto di riferimento in questa maledetta storia... non ti è passato per la testa?”.
“Io... “. Lui borbottò qualcosa di incomprensibile, tra sé.
“Cosa?”. Lei lo spinse di nuovo. “Che cosa stai mugugnando? Aspetta che indovino: tu non ci sai fare con le persone. Non sapevi cosa dirmi. Ho indovinato? Beh, io lo so cosa devo dirti... EVOLVITI!! Anche gli organismi monocellulari ci sono riusciti!”.
L'ennesima spinta. Ci stava prendendo gusto. Liam era solido come un muro di pietra. Che lei avrebbe tanto voluto abbattere.
“Adesso basta. Ti sei spiegata”, sibilò lui decisamente contrariato. L'aria di una pentola in ebollizione. Anzi no. Assomigliava più a un vulcano. Uno di quelli spenti per centinaia d'anni che poi si ridestavano di botto.
Un botto colossale.
In fondo alla collera, Fred pensò che così era persino più bello.
Terribilmente sexy.
Si sentì solleticata. Spronata.
Nella sua vita si era sempre nascosta di fronte a uomini come Liam.
Ora no. Non aveva timore. Nonostante il pigiama, la mancanza di trucco e la pettinatura da ananas.
Anche le Fred si evolvono.
E lo spinse ancora. Al centro del petto.
“Decido io quando ho finito di spiegarmi... Angelus”.
Nello sguardo di lui si andava formando un uragano. “Fred...”.
Poi d'un tratto ci fu un cambiamento.
I lampi e i tuoni si smorzarono, sostituiti da una gelida lucidità.
Con prepotenza, Liam la afferrò. “Stai giù!”.
Finirono tra la ghiaia, Fred schiacciata sotto il suo corpo. E su di loro iniziarono a piovere proiettili.


La tirò con sé nel fossato asciutto al bordo della strada, al riparo del SUV.
“Ci stanno sparando!!”, urlò Fred. “Ci sparano!!”.
“Già. Me ne sono accorto. Uno dei tanti motivi per cui questo bieco essere involuto preferiva che te tu ne rimanessi al sicuro con il Cappellaio Matto”. Liam aprì lo sportello destro posteriore e aiutò la ragazza a salire sull'auto. “Resta sdraiata tra i sedili. Non muoverti fino a che non te lo dico io”.
Salì a sua volta dallo sportello del passeggero. Non poteva rispondere al fuoco, gli stavano sparando da direzioni diverse. Non c'era solo Faith. I killer erano due.
Partì a razzo. Avrebbero dovuto smettere di sparare per stargli dietro.
Infatti i colpi scemarono, sino a cessare del tutto.
Nello specchietto, Liam scorse una moto. E a ruota una... ah... Una De Soto.
Spike.
Ecco chi era l'altro killer.
Quasi gli venne da ridere. Sempre la stessa vecchia auto...
Eppure una delle prime lezioni che gli aveva impartito era stata la necessità di cambiare mezzo il più spesso possibile.
Certo, ma il secondo nome di Spike era mulo.
“Non sparano più?”. chiese Fred con una vocetta piccina piccina.
Tutta la sua baldanza si era esaurita nella paura.
“Sì, hanno smesso, ma tu resta giù comunque”. Liam accelerò. “Devo semi...”.
La moto di Faith tagliò la strada alla De Soto di Spike.
Si scontrarono in un'esplosione di polvere e sassi e stridere di freni.
“... narli”.
Stupefacente.
Se glielo avessero raccontato, non ci avrebbe mai creduto.
“Che succede?”, balbettò Fred.
“Shh... Un istante...”. Accelerando ulteriormente, Liam recuperò il cellulare. “Ehi, Lorne...”.
Lo accolse un grido d'esultazione. “Angelito!!! Sei vivo! Da qui abbiamo udito degli spari! Stavo già mandando i miei uomini!!”.
“Mandali. Fred ed io saremo lontani, ma tu troverai ugualmente alcune sorprese sulla strada...”.
“Sorprese?”.
“Beh, Antoine dovrà cambiare scooter...”.
“Era quasi ora...”.
“E Faith e Spike hanno avuto un incidente cercando di catturarci”.
“Spike? C'è anche Spikettino?”.
“Purtroppo. Sarebbe bello che lui e Faith si fossero eliminati a vicenda nell'impatto, ma non credo di essere così fortunato... Hanno la pelle più dura della mia, quei due. Fammi solo il favore di tenerli occupati per un po'”.
“Sicuro. Sarà divertente. Salutami la tortina. Dille che conserverò le cose che ha lasciato qui con estrema cura”.
“Ok, grazie, Lorne”.
Chiudendo la comunicazione, Liam si girò di sbieco. “Puoi tirarti su, ora”.
La massa arruffata dei capelli di Fred spuntò tra i due sedili anteriori.
“Tutto a posto? Sei ferita?”.
“No, non sono ferita”.
“Bene”, Liam annuì. “Perché io invece lo sono...”.


Capitolo breve ma "intenso".:D
Grazie a chi sta leggendo e a chi commenta, di cuore. ;)


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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


*CAPITOLO DIECI*

Scese dall'auto con un unico, pressante desiderio che gli sorgeva dalle viscere. Ammazzarla.
Ammazzare quella strega.
In maniera possibilmente lenta e dolorosa.
Sbattè lo sportello con furore e l'intera struttura della De Soto vibrò, mentre dal cofano si levavano volute di fumo poco rassicuranti.
Con una gamba bloccata sotto la moto rovesciata, lei si tolse il casco, liberando una folta chioma ribelle di capelli scuri. Gli occhi invece erano neri come carboni roventi, la bocca rossa e arrabbiata.
Spike si ritrovò a trattenere il respiro suo malgrado.
Accidenti. Non si era aspettato che Trashy Slayer fosse così... Cioè... Ehi, cavolo...
“Non avvicinarti, cazzone”.
Ok. Ora poteva comprendere perché la chiamassero Trashy.
Dunque bisognava che le insegnasse perché lo chiamavano Spike.
Le torreggiò sopra, coprendola con la propria ombra, provocatorio. “Perché altrimenti cosa mi fai, uhm? Lo sai con chi stai parlando?”.
“Certo che lo so”, ribatté lei, tutt'altro che impressionata. “Sei il runner up. Quello sul secondo gradino del podio”. Sorrise, sprezzante. “Non serve che tu porti i rialzi in quegli anfibi fuori moda: resterai sempre e comunque più in basso”.
Ah... la piccola pantera bruna era feroce.
E attaccava con crudeltà.
“Non mi piace che mi si definisca runner up”, ringhiò lui, la mascella serrata. “Attenta a te”.
“Altrimenti cosa mi fai?”, lo scimmiottò Faith. “Mi pianti un chiodo in fronte?”.
Allora sapeva già perché lo chiamavano Spike...
“Già, potrei... E' il mio marchio di fabbrica. La cosa non ti spaventa?”.
La ragazza rise. “A vederti di persona non mi sembra che tu abbia un martello abbastanza potente...”.
I muscoli facciali di Spike si contrassero. Che razza di vipera ...
Bloccata nella polvere, eppure velenosa...
Oh, ma le avrebbe dimostrato chi...
Non riuscì ad elaborare il pensiero. Due berline scure li stavano raggiungendo a velocità sostenuta. Si fermarono a poca distanza e ne scesero quattro tizi vestiti di nero e armati come barracuda.
“Dannato inferno... Ti pareva...”, brontolò Spike tra i denti.


Lorne li attendeva sulla scalinata di Chateau Caritas.
Con in mano una videocamera ed una macchina fotografica digitale.
“Ero indeciso sul modo con cui immortalare il vostro arrivo...”.
Sorrise e, tenendo puntata la videocamera, prese contemporaneamente la mira con l'apparecchio fotografico. Nel display inquadrò Spike, le braccia conserte sulla giacca di pelle, le sopracciglia unite in un'unica linea di cupo livore. Dietro il Sanguinario, uno dei bodyguard teneva sulle spalle Faith con i polsi e le caviglie legati e la bocca imbavagliata.
Spike sollevò il dito medio nel momento dello scatto.
“Meraviglioso. Farò fare un ingrandimento per il mio salotto privato”, proclamò Lorne con una strizzatina d'occhio. “Qualche problema con la signora, Luc?”, chiese poi all'uomo che reggeva Faith.
“Era un po' restia a collaborare, signore”.
“Capisco... Questi giovani, sempre restii...”.
“Io non sono restio, se ti può consolare”, intervenne Spike. “Anzi sono assolutamente ben disposto ad ammazzare qualcuno. Chiunque”, precisò con un ghigno.
“Ne sono certo, ma conosci le regole, William. A Chateau Caritas le armi sono bandite”.
“I tuoi uomini sono armati”.
“Sono il padrone qui, tartufino”, ammiccò Lorne “Mi riservo dei privilegi... Ora entriamo, da bravi. La colazione è in tavola”.
“Questo diversivo non funzionerà”, replicò Spike, mentre l'altro filmava gli uomini in nero che trasportavano Faith nella villa. “Troverò Angelus. A qualunque costo”.
La sua passione non scalfì l'imperturbabilità di Lorne, che, conclusa la ripresa, infilò confidenzialmente un braccio sotto il suo. “Sono ancora a stomaco vuoto, bon bon... Rimandiamo la psicoterapia a più tardi, vuoi?”.


Il lieve gemito di Liam rieccheggiò tra le pareti del fienile abbandonato in cui si erano rifugiati, amplificandosi.
Fred sobbalzò. “Sei sicuro che non ti possa aiutare?”.
“Sicurissimo, grazie...”, rispose lui, la voce spezzata.
Da una certa distanza, nascosta nella penombra, lei allungò il collo per sbirciarlo. Aveva tolto giacca e camicia e si stava medicando la ferita ad un fianco. Niente di preoccupante, le aveva detto, era solo di striscio, un graffio.
Già... Un graffio che però gli aveva inzuppato la camicia di sangue...
“Hai trovato il flacone?”, domandò Liam. “La cassetta si è aperta nella fuga... Sarà rotolato fuori...”.
“Lo sto cercando...”, temporeggiò Fred, distogliendo lo sguardo dalla schiena di lui, illuminata da una lama di luce che penetrava dal tetto semisfondato del fienile. Sulla scapola destra si delineava un tatuaggio. Un qualche animale mitologico, con una A tra le zampe... “Continua a sembrarmi incredibile che tu abbia una cassetta per il pronto soccorso nel portabagagli...”.
“Un killer professionista deve essere pronto a qualsiasi eventualità. Non sempre si può andare all'ospedale. Anzi, quasi mai..”.
“Sai anche ricamare a punto croce, per caso?”.
“No, ma potrei imparare...”.
“Ti assicuro che è qualcosa che vorrei davvero vedere...”.
La mano di lei si chiuse sul flacone perduto, finito in un angolo del portabagagli. Ma i suoi occhi furono catturati dalla borsa del computer, caduta di lato: nella tasca esterna c'era il suo vecchio pc portatile...
Quando era riuscito a sottrarglielo Liam?
Fino alla sera prima era stato tra le sue cose, nella sua stanza...
Importava, comunque?
Non contava il come. Contava il significato.
Liam aveva i dati sul farmaco. Lei non gli serviva.
Eppure l'aveva protetta. Come promesso. Con il suo corpo.
Le aveva fatto da scudo.
L'eco di una conferma le si allargò nel cuore.
Si diresse verso di lui a piccoli passi. “Eccolo”, mormorò porgendogli il flacone. Liam non la guardò, impegnato ad applicarsi un cerotto quadrato sulla ferita. Sul suo petto nudo spiccava la catenina con il ciondolo a forma di proiettile.
Lo rimirò oscillare lucente tra i suoi pettorali e nella luce incerta scorse numerose piccole cicatrici. Chissà quante altre volte, dunque, lui si era curato in quella maniera spartana...
Da solo.
In silenzio Liam prese il flacone, pieno di pillole bianche. “Sono antibiotici”, le disse. “Per prevenire un'eventuale infezione”. Ne mandò giù uno. “Provocano sonnolenza, per cui è meglio che mi stenda per un paio d'ore. Appena l'effetto sarà passato, ci rimetteremo in marcia”.
“Potrei guidare io...”, propose Fred.
“Non siamo in pericolo, al momento...”. Lui si alzò e tornò al SUV, parcheggiato nel punto più buio del fienile. Aprì la valigia. “Spike e Faith non saranno un problema per qualche giorno”. Scelse una maglia scura a maniche lunghe e la infilò piano, con un sospiro.
“Li conosci?”.
“Faith e Spike? Sì, li conosco”.
“E sono bravi?”.
“Peggio. Sono delle teste calde. Raramente si danno pena di pensare. E chi non pensa è una mina vagante”.
Fred arrossì. “Come me, che ti ho rincorso senza riflettere?”.
“Non mi riferivo a te”. Liam inclinò il sedile del passeggero e vi si sedette. “Però...”. Si girò a fissarla. “Hai rischiato davvero grosso, Fred. In questa situazione non puoi permetterti di agire d'impulso. Spero che tu ora te ne sia resa veramente conto”.
“E io spero che tu abbia capito che ti seguirò dovunque”, ribadì lei, seria.
“Perché?”, ribatté lui. Aveva appoggiato il capo al poggiatesta. Il suo sguardo era morbido, vellutato. “Perché ti fidi di me?”.
“Non dovrei? Sei stato tu a dirmi che dovevo...”.
“Sì, sì...”. Liam sbatté le palpebre. “Ma ho l'impressione che per te sia troppo facile...”.
Appariva stanco. Non a causa della ferita o dell'antibiotico.
Piuttosto pareva stanco in generale. Esausto come chi è vuoto di desideri e speranze. Fred si rattristò. Lei aveva sperimentato spesso la solitudine, ma... quel tipo di stanchezza di vivere?
No, quella mai...
Chi doveva essere davvero salvato, fra loro due?
“Hai fame?”, gli chiese d'un tratto.
Lo stupì, ridestandone l'attenzione. “Cosa?”.
“Io sì, io ho fame. E credo che anche a te farebbe bene mangiare. Ho notato un campo di fragole qui vicino... Ti piacciono le fragole?”.
Gli strappò un vago sorriso. “Sì, mi piacciono”.
Ok. Bisognava lavorare su quel sorriso.
Renderlo luminoso.
“Tu sei un killer di lusso, giusto? Tipo le prostitute d'alto bordo...”.
Tattica vincente. Non soltanto il sorriso di Liam s'illuminò ma si trasformò in risata divertita. “All'incirca...”.
“Perciò scommetto che lei hai mangiate con lo champagne...”.
“Alcune volte, sì...”.
“Ed erano buone?”.
Lui si strinse nelle spalle. “Non male, ma le preferisco semplicemente con lo zucchero”.
Anche Fred rise. “Oh, pure io le adoro con lo zucchero!!... “.
“Che non abbiamo...”, le ricordò Liam. Dolcemente.
Come se quella conversazione lo intenerisse.
Un dialogo sulle fragole... Inusuale per un killer, vero?
“Non abbiamo lo zucchero, ma abbiamo il sole”, gli fece notare Fred. “Al sapore di sole sono fantastiche”.
“Condite dal sole non le ho mai mangiate...”, bisbigliò Liam.
Fidati di me, allora”, mormorò lei. Con gli occhi scuri di lui addosso.
Era stata capace di spiegarsi... ?
Deglutì. Sorrise. “Riposa... Vado a raccogliere la nostra colazione”.
E gli voltò le spalle, scappando dal fienile.
Nel sole. Tra le fragole.


Grazie come sempre a chi legge e a chi commenta! :D


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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


*CAPITOLO UNDICI*

Che razza di giornata, pensò Lorne... Più proseguiva, più si movimentava. Proprio mentre passeggiava tra le sue preziose rose era scoppiato un violento temporale e insieme ai fulmini erano giunte visite non del tutto inattese. Così ora, nell'atrio principale della villa, c'erano due agenti dell'FBI e un ispettore di Scotland Yard, accompagnati dal sovrintendente Duprez, della polizia di Parigi. Tutti con le scarpe fradice e infangate.
Una visita di cortesia, per carità. Con le conoscenze che aveva nei piani alti, nessuno in città si sarebbe mai sognato di firmare un mandato di perquisizione per Chateau Caritas, però era ugualmente seccante.
Se non altro l'agente donna era una bella creatura...
“Sovrintendente...”, li accolse gioviale. “Cosa posso fare per lei e questi signori? Gradite qualcosa di caldo? La temperatura si è abbassata...”.
“No, grazie, non occorre”, rifiutò con un sorriso Duprez, che probabilmente si era comprato quel bel completo firmato con la gratifica che Lorne gli aveva offerto il Natale precedente. “Le ruberemo solo pochi istanti. I miei colleghi dall'Inghilterra e l'America sono sulle tracce di un pericoloso criminale internazionale...”.
“Uh, nientemeno...”, commentò Lorne ostentando meraviglia.
La federale sorrise. Il suo compagno dagli occhi sfacciatamente blu lo squadrò con strafottenza. L'inglese forse non colse il tono ironico. Dei tre sembrava il più coinvolto nell'indagine. I suoi occhiali dalla montatura di metallo erano appannati dal vapore della pioggia.
“Si tratta di un killer professionista. Un assassino senza scrupoli”, precisò l'uomo.
“Comprendo ma...”. Lorne esibì un'espressione di assoluto candore. “... perché lo state dicendo a me?”.
“Il killer ha rapito una donna”, gli rispose il giovane federale, fissandolo. “E alcune fonti ci confermano che lei sta ospitando un uomo ed una ragazza, giunti qui proprio nei giorni successivi al rapimento”.
“E' vero. Ospito un uomo ed una ragazza”, ammise sereno Lorne. “Come immagino, statisticamente, stia accadendo in molti luoghi d'Europa... Comunque, considerando che probabilmente voi avrete degli identikit delle due persone che cercate, vi posso presentare i miei amici. Sono persone molto affabili. Saranno certamente lieti di collaborare...”.
Duprez annuì compiaciuto. Gli altri tre si scambiarono delle occhiate sospettose e seguirono Lorne sino ad uno dei salotti del piano terra.
Ammiccando lui bussò. “Sapete... sono sposati da poco...”.
E infatti, quando aprì la porta, la coppia sul divano sobbalzò.
Lei, una brunetta vistosa, con una scollatura mozzafiato, sedeva in braccio all'uomo, un tipo vestito di pelle, con un volto scolpito dagli zigomi alti e arroganti e i capelli biondo platino. Le stava accarezzando una coscia.
“Ehi... cosa...”, protestarono all'unisono.
“Scusatemi, ragazzi”, iniziò a dire Lorne. “Ma è che...”.
“Lasci stare”, lo interruppe l'ispettore dello Yard, una nota rassegnata nella voce. “Non sono loro”.
“Se preferite posso anche farvi il giro dell'intera villa... Vi assicuro che questi sono i miei unici ospiti”, precisò Lorne e al contempo richiuse la porta, con un cenno malizioso agli sposini avvinghiati.
“Non serve”, tagliò corto l'agente dell'FBI. “L'avevo detto che avremmo perso tempo”. E pronunciando quelle parole astiose guardò tracotante l'inglese.
Mmm... qualche attrito tra sbirri, eh?
Il giovanotto americano dallo sguardo di ghiaccio azzurro doveva essere Mc Donald, quello di cui gli aveva parlato Angelus. Lorne lo studiò di sottecchi. Aveva intuito, sapeva leggere le persone e, che Dio lo fulminasse, quel ragazzo aveva un'anima nero catrame. L'oscurità traboccava da lui. Accidenti... Come se Angelito non avesse già abbastanza barracuda alle calcagna...


Dal divano li sentirono parlare e allontanarsi verso l'ingresso.
Faith sbuffò. “Fammi subito scendere”.
Spike non si mosse. Con la mano le indugiò sulla coscia. “Perché? Hai paura di eccitarti troppo?”.
Sdegnata, lei scivolò via dalle sue ginocchia. “Non mi eccito per così poco”.
Lui s'imbronciò.”Non ho avuto tempo di fare qualcos'altro...”.
“Oh, per favore”, sogghignò lei.”E' così che tenti di avere una vita sessuale? Rubando le battute ai film? E c'è qualche femmina così stupida da bersele?”.
Con un lampo di sfida negli occhi, Spike appoggiò un gomito allo schienale del divano e la scrutò. “E tu fai questo, invece? Giochi alla donna che non deve chiedere mai?”.
“Sicuramente non ho nulla da chiedere a uno come te”, ritorse Faith, incrociando le braccia sul seno rigoglioso. Nella mente di Spike si formò l'immagine di due arance mature e succose... Lui andava pazzo per le arance... Ma la grinta di quella ragazzina arrabbiata gli fece passare l'appetito: poteva scommettere che tutto in lei doveva avere un sapore acido.
“E' una fortuna, gattina. Qualsiasi cosa mi chiedessi... non te la darei”.
Si alzò, impedendole di proseguire la battaglia verbale. Andò ad una delle finestre. Oltre le tende, scorse i poliziotti che salivano sulle auto scortati dagli uomini di Lorne armati... di ombrelli.
“Non posso credere di aver coperto la fuga ad Angelus...”.
“Non dire cazzate”, sibilò Faith alle sue spalle. “Non l'abbiamo fatto per lui. Ma per noi. I federali non lo devono trovare. Angelus è nostro”. Un'esitazione e poi si corresse, rabbiosa. “E' mio”.
Spike si voltò. Sola e corrucciata, rannicchiata sul divano, gli parve terribilmente giovane. “Senti un po'... so che sei incazzata con lui, ma per quale motivo? Non te l'ha dato?”.
Rise. E poi smise di ridere. Lo sguardo carico di furore di lei era eloquente.
“E' così?”, esclamò Spike. “Davvero è per quello? Perché non te l'ha dato?”.
Faith non si scompose. “Ora sai come reagisco se non mi dai quello che ti chiedo”.


Il vento trasportò l'odore della pioggia sino a lei e Fred aprì piano gli occhi, chiedendosi che ora fosse. Il fienile sembrava così buio... Le rispose il bagliore di un fulmine, immediatamente seguito dal boato di un tuono. Per la sorpresa lei scattò a sedere e la giacca che aveva addosso le scivolò dalle spalle.
Le idee le si schiarirono. Esausta per la nottata insonne, doveva essersi appisolata sul sedile posteriore del SUV e Liam l'aveva coperta con la sua giacca... Sbirciò il sedile davanti. Vuoto.
Dov'era lui?
Un secondo lampo illuminò l'interno del fienile e una figura immobile sul portone divelto per metà. Liam rimirava il temporale con le mani in tasca, appoggiato alla parete cadente. Oh, wow... Che peccato non avere una macchina fotografica...
Fece per alzarsi, attenta a non fare rumore. Quasi le dispiaceva disturbarlo...
Poi lo sentì.
Qualcosa che le camminava addosso.
Una cosa viva.
Sotto il suo pigiama sdrucito.
L'urlo eruppe dalla gola di Fred come una sirena. “Oddio!! Oddio!! Oddio!!”. Schizzò fuori dal SUV ed iniziò a saltare in tondo, mulinando le mani come improprie armi di sterminio.
Furono quelle più grandi e salde di Liam a bloccare la sua danza impazzita. “Fred!! Fred!! Che ti succede?”.
Lei per un attimo lottò anche contro la sua stretta, quindi si arrese tremante, la crocchia di capelli ormai sciolta a coprirle la faccia. “Ho un animale addosso!! Una BESTIA!!!”.
Liam sbatté le palpebre sbalordito. “Cosa?”.
“Sì, sì, un animale!!!”. Ma perché non sembrava capire? Era colpa dell'antibiotico?. “Toglilo!! Uccidilo”.
“Ok, calmati!!”, la zittì lui. “Credo comunque che l'abbia già fatto tu. Ai tuoi piedi c'è una piccola poltiglia con molte zampe...”. Si chinò. “Sì, doveva essere un ragno...”.
“Io odio i ragni!!!”, piagnucolò Fred.
“Penso che se ne sia reso conto anche il ragno, in effetti”, commentò Liam. E la fissò. Serio. All'improvviso, lei realizzò un particolare.
Nella foga si era tolta il pezzo superiore del pigiama e adesso stava di fronte a quell'uomo bellissimo con il solo reggiseno... Si ravviò i capelli dal volto, il cuore ancora agitato dallo spavento che accelerava di nuovo. Di più. Oh, mamma...
Cosa avrebbe fatto Liam, ora? Cosa stava pensando?
Gli piaceva quello che vedeva? Lo desiderava?
Nel giro di pochi, brevi istanti, nella mente di Fred si formarono svariati scenari da romanzo erotico ambientati tra la paglia dei fienili... Già, non leggeva solo buona letteratura. Colpevolmente, ogni tanto, comprava quei libri con in copertina i disegni di due amanti in costumi d'altri tempi e ritratti in ardenti pose plastiche...
Deglutì e la travolse un panico persino più cieco di quello provato a causa del ragno. Non era all'altezza di nessuno di quegli scenari bollenti. Suvvia, lei era Winifred Burkle... Santissima miseria.
Cominciò a sudare. “Liam, io...”.
Mentre balbettava senza coerenza, però, lui si mise le mani sui fianchi.
Assolutamente non con l'aria di uno in procinto di coinvolgerla in un amplesso appassionato. Mmm... no. Anzi. In verità la sua pareva proprio un'espressione di rimprovero.
“Te ne sei andata da Chateau Caritas soltanto con questo pigiama?”.
Eh?! Era per quel motivo allora che la stava fissando così intensamente?
Per rimbrottarla come una bambina dell'asilo?
Empatizzò con il ragno in poltiglia.
“Uh... sì...”, bofonchiò attonita. “Avevo fretta...”. E serrò le braccia sul seno, congelata dall'imbarazzo.
Scuotendo il capo, Liam riaprì il portabagagli del SUV e prese una delle sue camice dalla valigia. “Metti questa, per adesso. Non appena il temporale sarà passato, ripartiremo. Strada facendo cambieremo l'auto e ti compreremo dei vestiti”.
“Dove...”. Fred ingurgitò, la voce che le cedeva, le dita nervose che scivolavano sui bottoni della camicia. Alla fine decise di infilarla dalla testa, abbottonata. Tanto era enorme. “... dove siamo diretti di preciso?”.
Non le importava un fico secco, ma doveva pur darsi un contegno.
“In Italia”, le rispose Liam. “A Torino”.


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