L'occhio sospeso

di Milla Choc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 27 Maggio ***
Capitolo 2: *** 15 aprile - mattina ***



Capitolo 1
*** 27 Maggio ***


 

27 Maggio

 

Plic, plic, plic, plic, plic...

Gocce d'acqua cadevano dal rubinetto nel lavello marmoreo.

Bisogna che chiami l'idraulico.

Lo dico da più di due settimane ormai, ma tra una scusa e l'altra non l'ho ancora fatto.

E' abituale che non porti a termine qualcosa. Posso già sentire la voce accusatoria di mia madre che mi riprende per l'ennesima volta. -Come pensi di poter continuare così, eh? Devi ricomporre la tua vita, tesoro. Se avessi un uomo al tuo fianco ora ci penserebbe lui a ripararlo. Non capisco cos'ho sbagliato con te. Alla tua età io avevo già marito e aspettavo tuo fratello Samuele. Lo dico perché mi preoccupo per te, tesoro-.

Ma a me quel “tesoro” mi sembra soltanto l'ennesima pugnalata al cuore afflitta da una madre che ti scambierebbe volentieri per un tostapane nuovo. Non sono come avrebbe voluto lei. Non che lei sia il mio prototipo di madre ideale. Ma lei sente la necessità di rinfacciarmelo ad ogni occasione, ad ogni mio errore o imperfezione. In modo velato, ovviamente, in modo che io non possa sentirmi in diritto di ribattere o di offendermi. Si preoccupa per me, quindi. Le piacerebbe vedermi sposata con un uomo “per bene”, con due bambini, un Golden Retriver, una casa con giardinetto e una vita triste passata a rammendare lenzuola, cucinare stufato, spettegolare con le amiche dalla parrucchiera sulle ultime tendenze portate avanti da Julia Roberts e il tutto mentre dovrei impegnarmi per fingere che sia la vita che ho sempre desiderato.

Non che sia una donna cinica o che voglia restare da sola per la vita intera.

Avrei benissimo potuto avere già la fede al dito a questo punto, se solo non avessi buttato tutto all'aria per la promozione a ricercatrice capo. Ho sempre messo la carriera davanti agli affetti e ciò ha comportato che tutte le promesse di una vita condivisa con gli uomini che ho avuto andassero distrutte.

Ora tutto quello che avevo raggiunto a così caro prezzo poteva crollare per una stupidaggine.

Plic, plic, plic...

Le gocce sembravano cadere sempre più rumorosamente e con vigore crescente.

Ecco un'altra goccia. Cerca di rimanere attaccata al rubinetto, la sua casa, la sua origine. Malgrado gli sforzi, inizia a cedere. Rimane sospesa per un momento tra lo scendere e il rimanere attaccata. Ma la gravità vince e la goccia, staccatasi, cade veloce, come un paracadutista senza paracadute.

PLIC

Si schianta contro la ceramica bianca con un urto sonoro. Quel suono riempì il bagno. Mi riempì la testa.

Mi sentivo come la goccia. Sospesa nel vuoto, con la paura di cadere a picco.

Il suono del rubinetto che perde stava iniziando a diventare più insistente e insopportabile ogni secondo che passava. Fiumi di pensieri mi attraversavano la mente. L'ansia cresceva. L'ignoto mi teneva in pugno. Il respiro era diventato affannoso.

Basta!

Basta.

Erano ormai passati 5 minuti. Dovevo sapere la verità, ma avevo paura di scoprirla.

Le mie mani tremavano leggermente mentre lo tenevo in mano.

Abbassai lo sguardo e lo puntai sul test di gravidanza.

 

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Capitolo 2
*** 15 aprile - mattina ***


15 aprile-mattina

 

La mattina era luminosa e allegra fuori dalla finestra della camera da letto. Decisi di non aspettare un minuto di più per alzarmi. Infilate le pantofole rosse mi diressi verso la cucina ancora un po' addormentata, e quindi andai a sbattere un paio di volte: una addosso lo stipite di una porta e l'altra contro il tavolino dell'ingresso. Non ci feci caso più di tanto, era routine anche quello per me.

Arrivata alla meta accesi la macchina del caffè e, messa la cialdina, selezionai 'Cappuccino', come al solito.

Il profumo del caffè si spargeva veloce e presto invase la cucina intera. Inspirai profondamente. Tutto ciò rendeva la giornata promettente. Nell'attesa presi due fette biscottate integrali e ci spalmai sopra uno strato bello spesso di marmellata di fragole. Ne addentai una e intanto ritirai il mio cappuccino bello fumante.

Finita la colazione pensai che anche se era domenica avrei dovuto fare qualcosa di produttivo, o avrei sentito un senso di colpa la sera stessa per aver perso una giornata. D'altronde non sono mai stata il tipo che si riposa. Per impiegare la mattinata in modo utile decisi che avrei fatto la spesa. Mi infilai un paio di jeans, una semplice maglietta grigia, il chiodo di ecopelle nera e un paio di sneakers bianche.

Il sole e il cielo azzurro e privo di nuvole mi riempirono di energia e quindi optai per andare in bicicletta.

-Dunque, mi servono le penne, le melanzane e le zucchine, le carote... mmh no quelle le ho. Ah già la passata di pomodoro!- mi ripetevo mentalmente mentre vagavo tra gli scaffali tentando di governare il carrello che sembrava volersene andare per conto suo.

Arrivata nella corsia della pasta cercai di individuare le pennette.

-Eccole!-

Allungai la mano per prenderle, e solo quando ormai avevo toccato la scatola blu mi accorsi che un'altra mano si era avvicinata per prenderla.

Ritrassi subito la mia mano, e notai che anche l'altra fece la stessa cosa.

Era una mano bellissima. Maschile, grande, dita lunghe e affusolate, unghie ben curate e niente calli. Sono sempre stata molto colpita dalle mani delle persone.

-La prenda pure!- dissi imbarazzata, e girai la testa per vedere a chi appartenesse la mano misteriosa.

Era di un ragazzo più o meno della mia età, forse di un paio di anni più giovane, diciamo sui 23 anni. Indossava una canottiera nera e dei jeans. Sulla testa aveva un berretto, da cui spuntava un ciuffo di capelli corvini. Aveva la carnagione chiara ma le guance velate di rosso, nascoste da un filo di barbetta incolta.

-Figurati, prendila te! In effetti io cercavo le orecchiette. Sembrano introvabili.- mi disse con un accento un po' britannico e una voce dalla sfumatura graffiante, l'espressione pensante.

-Grazie mille allora!- dissi, e misi la scatola nel carrello.

Feci per andarmene ma qualcosa mi trattenne, non saprei spiegare cosa.

-Le orecchiette sono per di qua!- e il ragazzo mi seguì. Pochi metri più avanti mi fermai. Gli indicai la pasta che cercava e mi ringraziò con un sorriso caldo e sincero.

Mentre mi allontanavo per continuare a fare la spesa sentii delle voci (due maschili e una femminile) che parlavano inglese con il ragazzo di prima. Mi girai e vidi un ragazzo bassino con una telecamera che filmava un altro ragazzo biondo mentre faceva delle espressioni divertenti. Mi scappò un rumore che doveva essere una risata, ma subito la soffocai con le mani. Fortunatamente non se ne erano accorti. La ragazza, bellissima e con dei capelli lisci molto voluminosi, diede un bacio sulla guancia al ragazzo dalle belle mani.

Mi misi a camminare di colpo molto velocemente, come se avessi fatto qualcosa che non avevo il diritto di fare.

Arrivata alla cassa iniziai a scaricare i prodotti dal carrello. Mentre mi giravo per vedere se era rimasto altro da far passare alla cassiera incrociai lo sguardo del ragazzo di prima. Prima non avevo notato che i suoi occhi, apparentemente marroni, nascondevano delle pagliuzze verdi. Aveva degli occhi molto belli.

-Ehi! La ragazza-pennetta!- esclamò con un tono di voce allegro.

Alle sue parole mi sentii al contempo felice perché mi aveva riconosciuta ma anche un po' contrariata dall'aggettivo che mi ero guadagnata. Decisi di comportarmi allo stesso modo.

-Il ragazzo-orecchietta!-. Usai un tono pungente.

-Ok, forse sarebbe meglio usare i nomi veri. Io sono Alfie, tu?-

-Mi chiamo Alice-

La nostra breve e imbarazzante conversazione fu interrotta dalla cassiera -Sono 34 euro e settantaquattro centesimi.-.

Mentre mettevo la borsa della spesa nel cestino del carrello, Alfie e la sua compagnia stavano uscendo dal supermercato.

Mentre gli altri tre si allontanarono per filmare qualcosa di apparentemente buffo all'angolo, Alfie mi si avvicinò con lo sguardo basso.

-Ehi Alice-

-Ehi Alfie- feci io-

Notai che mentre cercava le parole giocherellava col pollice e il palmo della mano, come se fosse nervoso.

-Senti ehm... Io e i miei amici non siamo di qui. Staremo qui per un paio di settimane per lavoro. Non è che conosci un posto carino dove poter andare stasera? E' due giorni che siamo chiusi in albergo.-.

Rimasi un po' delusa che si trattasse solo di questo, ma felice che avesse usato la parola 'amici' e non avesse parlato di una sua ragazza.

-Certo ma è una città grande e non è facile muoversi se non la si conosce!- ribadetti.

-Se non hai degli impegni potresti venire con noi stasera e portare un paio di amici. So che non ci conosci, ma non abbiamo brutte intenzioni.-

Se questa situazione mi fosse capitata in un qualsiasi altro momento avrei rifiutato, non era proprio da me andare in giro con degli sconosciuti. Ma istintivamente sentivo che sarei dovuta andare, quindi risposi -Va bene. Ci vediamo all'angolo del supermercato alle otto.-.

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