wings - come sopravvivere ad un angelo custode non richiesto

di tndproject
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** O1 - Prologo ***
Capitolo 2: *** .atto #O1 - specchi sporchi ***
Capitolo 3: *** .atto #O2 - fughe improvvise ***



Capitolo 1
*** O1 - Prologo ***


wings

(come sopravvivere ad un angelo custode non richiesto)

✖  ✖ 

C'era così tanto nero che non riusciva a capire se avesse già sollevato le palpebre o se stesse ancora dormendo. Ci pensò un dolore acuto ad avvertirla che sì, si era effettivamente svegliata ma non sapeva quanto questo potesse andare a suo vantaggio.

Provò ad alzarsi, a tendere un braccio, una gamba, qualcosa, ma con un solo piccolo movimento le catene che le imprigionavano i polsi e le caviglie tintinnarono, come il suono della campanellina che sua madre suonava quando era pronto da mangiare.

Sua mamma. Da quanto tempo non la vedeva? Non ne aveva idea, Thiphanie sentiva la testa pesante e il respiro affannato e un groviglio di pensieri a tenerle compagnia. Povera donna, doveva essere così preoccupata...

Sì guardò intorno, cosa che non servì a molto perché era così buio e silenzioso che tutto ciò che ottenne fu solo altro nero.

Nero. Nero, nero, nero, ovunque. Thiphanie dovette reprimere l'impulso di urlare. Detestava il nero.

Passò solo qualche minuto dove l'unica cosa a farle compagnia fu il suo respiro, il battito del suo cuore e quell'oscurità che sembrava non voler scemare: poi una porta che sbatteva.

Si mise seduta e le sue labbra s'incurvarono. Un suono di passi si diffuse, passi svelti e controllati; si avvicinavano sempre di più e sentì la speranza iniziare a diffondersi nel petto.

«Ci sei?», la domanda posta con voce tremante si perse nell'aria e i passi conclusero. Qualcuno le si era appena avvicinato e adesso la guardava dall'alto, poteva capirlo dai contorni che delineava nell'oscurità.

«Grazie al cielo, allora non sono – ».

«Thiphanie Lacroix».

La voce che l'aveva interrotta era talmente dura e ferma che la fece tremare. Guardò il suo volto dal basso, cosa che le fu finalmente possibile fare grazie alla fievole luce di una candela che sembrava essere apparsa dal nulla.

Era un uomo dai lineamenti severi e marcati, ma non spiacevoli alla vista. I suoi occhi erano talmente azzurri da non sembrare naturali, i capelli così biondi da parere tinti. Erano corti ed elegantemente pettinati all'indietro. Deglutì a fatica, poi mormorò:

«Di solito la gente mi chiama Tip».

L'uomo non si scompose.

«Thiphanie Lacroix, tu sei morta alla venerevole età di diciassette anni il dodici dicembre duemilasedici».

Una risata, roca e poco credibile.

«Senti, amico, non sono in vena di scherzi, davvero». Thiphanie sorrise, curando di non far trapelare la preoccupazione che iniziava ad assalirle lo stomaco. «Ti va di dirmi cosa ci faccio qui, con queste bellissime e pittoresche catene ai polsi?».

Lo sconosciuto schioccò la lingua, seccato, guardandola con sufficienza, come se quello che avesse detto fosse qualcosa di eccessivamente normale e lei una testa dura che si rifiutava di capire.

«Thiphanie Caron Lacroix, tu sei morta il dodici dicembre duemilasedici per suicidio».

Adesso stava iniziando davvero ad avere paura.

«Okay, senti bello, non è div – ».

«Ti sei buttata dal tetto di un palazzo dopo essere stata assalita da un attacco di panico alle ore diciotto e trentasei», insistette. Poi scosse la testa. «Che morte patetica. Problemi in famiglia, eh?».

Lo guardò con gli occhi bruni spalancati per una manciata di secondi, aprì le labbra, le richiuse. Poi ricordò.

Si era aspettata che almeno un po' di gente sarebbe venuta ad intimarle di chiamare la polizia e di non buttarsi, come accadeva nei film, e invece si era ammazzata con l'aria gelata di dicembre che le pungeva la faccia e nemmeno un'anima viva in giro. Ricordava le lacrime, il salto, la caduta, il buio – ma non ricordava il dolore, il perché di quella scelta, i suoi pensieri in quel momento. E soprattutto non ricordava di aver davvero mai preso in considerazione l'opzione di morire.

«Ehi, no, aspetta, prendiamola con calma». Stava iniziando ad accendersi il panico nella sua voce. «Mi stai dicendo che sono morta? Crepata? KO? Oh, andiamo, devi aver fatto male i conti, io non ho mai voluto morire! Tu sei un angelo o qualcos'altro, no? Allora dovresti – ».

«Thiphanie Lacroix, tu ti sei suicidata». Il suo tono di voce non dava cenno di volersi addolcire.

«Questo significa che morire è stata una tua completa scelta».

«Ma ci sarà un modo per tornare in vita, no? Insomma, di solito non ci si rincarna o qualche altra cazzata?».

«Thiphanie Lacroix, tu ti sei suidicidata», Thiphanie si chiese se non fosse un disco rotto, «questo significa che hai volutamente rifiutato il dono della vita e che sarai dannata in eterno».

Il suo cervello ci mise un po' a metabolizzare la notizia.

Vita. Dannata. In eterno.

«Quindi vado all'Inferno?».

«Quindi rimani qui per i prossimi trentamila anni».

Schioccò di nuovo la lingua, mentre i muscoli di Thiphanie si tendevano come corde di violino.

«Il mio lavoro qui è finito. Le auguro un piacevole riposo».

Si voltò con grazia e il suono di passi svelti riprese a diffondersi nell'aria, quasi come se stesse uscendo dopo un colloquio di lavoro e non dopo aver dato ad una povera adolescente (deceduta, ma sempre adolescente era) la cordiale notizia della sua morte e della sua permanenza in un luogo non identificato per i prossimi trenta secoli.

Scosse la testa, furiosamente. Ah no, non se ne parlava proprio.

Il panico la colse all'improvviso.

«Aspetta!», ululò, con il tintinnio delle catene che stava furiosamente scuotendo. «Aspetta, ti prego! Dove vai?! Non puoi lasciarmi qui a morire! Aspetta!».

L'uomo sospirò pesantemente.

«Lacroix, tu sei già morta».

«Ti prego, io non volevo questo, non l'ho fatto apposta, è stato un errore – ».

«Non si cade da un palazzo per errore». La sua voce era sempre più lontana.

«Faccio tutto quello che vuoi, divento pure la tua schiavetta personale ti giuro, ma ti prego, non lasciarmi qui!».

Lo urlò con tutto il fiato che potè, sforzandosi di non scoppiare a piangere. Dio, che pateticità.

Eppure, in qualche modo, i passi s'interruppero. All'inizio Tip pensò fosse perché la sua ultima ancora di salvezza fosse già uscita dalla stanza, e si morse il labbro quasi a sangue. Stava già iniziando a bestemmiare come una furia, quando delle parole la zittirono velocemente.

«Farai davvero ogni cosa?».

Non si fece sfuggire l'occasione. «Sì, ogni cosa, prometto!».

L'uomo si voltò, la sua figura alta e slanciata nell'oscurità. Di nuovo quei passi svelti e in men che non si dica era davanti a lei, in ginocchio, gli occhi azzurri che la fissavano severamente. Le accarezzò una guancia con una mano inguantata, e Thiphanie tremò. L'uomo sorrise.

«Allora diventa un angelo custode».











Yo! ( ´Д`)
Ringrazio chiunque abbia avuto la voglia (e il coraggio) di arrivare a questo angolino dimenticato dal mondo ;_;
Sinceramente non ho molto da dire, l'idea per questa mini-long (che spero di concludere in dodici capitoli secchi) mi frullava già da un po' in testa e finalmente stasera mi sono decisa  a buttar giù il primo capito - che in realtà è solo il prologo, but dont worry, le cose prenderanno una bella piega da qui in poi 8D
Non posso promettere niente su quando aggiornerò, sono una persona pigra di natura ed è capace che pubblichi il nuovo capitolo dopo una settimana così come lo pubblichi dopo cinque mesi ;v;
Spero che il prologo vi abbia almeno incuriositi e che deciderete di seguire questo sclero; in tal caso,  non potrò che essere contenta uvu
Se non siete di fretta, ricordatevi di lasciare anche solo una mini critica/ opinione ;v; potete anche contattarmi sul mio account di Dolce Flirt (di cui trovare il link nel mio profilo) se preferite, sappiate che a me fa sempre piacere 

 

nicki

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Capitolo 2
*** .atto #O1 - specchi sporchi ***


wings

(come sopravvivere ad un angelo custode non richiesto)

 
✖  ✖ 
atto #O1 - specchi sporchi

La prima cosa a cui Thiphanie pensò fu che quel liceo aveva un nome dannatamente imbarazzante. Ma per quanto strizzasse gli occhi o se li sfregasse con le dita, la scritta sull'enorme cartellone piazzato davanti all'entrata rimaneva.
Quale malato mentale avrebbe mai chiamato una scuola superiore Dolce Amoris? Era da qualche minuto che si sforzava, ma proprio il suo cervello non riusciva ad arrivarci – non arrivava a capire nemmeno che strano intreccio di lingue fosse, dannazione!
«E' davvero questa?».
Si voltò verso l'uomo che, come l'aveva accolta in quello che lei aveva etichettato come Inferno, le aveva insegnato tutto sugli angeli e su come svolgere bene il suo futuro lavoro.
«E' questa».
Mac (naturalmente quello non era il vero nome del biondino freddo e “simpatico come un calcio in culo!”, ma quando Tip aveva provato a chiederglielo lui le aveva semplicemente risposto con un accademico “gli angeli sono figli di Dio e non hanno nomina”; così, in memoria del suo cagnolino morto qualche mese fa, Thiphanie gli aveva attribuito il soprannome Mac) era vestito in nero, come sempre; le uniche cose bianche che possedeva erano i guanti di seta aderenti ai palmi delle mani e le ali, che gli puntavano dalla schiena enormi ed imponenti.
Thiphanie non ci aveva creduto quando glie le aveva viste per la prima volta; erano talmente grandi che avrebbero potuto perfettamente avvolgerlo completamente, e quando aveva dato uno sguardo alle proprie (due alette di pollo a malapena visibili) si era quasi sentita in imbarazzo per il confronto. 
Mac le aveva poi spiegato che la grandezza delle ali di un angelo dipendeva dall'esperienza di quest'ultimo, ma Tip aveva continuato a sentirsi a disagio e non darsi pace per tutta la settimana che era seguita, complicando il lavoro dell'uomo che più volte l'aveva insultata senza pietà.
«Ma dai, sul serio, che diavolo si studia qua dentro? La radice quadrata della somma del tempo che Cupido impiega per scoccare una freccia?».
Il freddo sole degli inizi di dicembre le colpiva le spalle senza riscaldarla e Tip, con un'occhiataccia veloce agli studenti che ridevano e li sorpassavano senza battere ciglio, pensò che non si sarebbe mai abituata all'essere invisibile all'occhio umano – fattore indispensabile per quello che sarebbe stato il suo compito.
«Risparmiati le battute scadenti, Lacroix, non siamo qui per una gita».
La ragazza schioccò la lingua, tirandosi indietro una ciocca di capelli neri. Da quando era morta, erano tornati al loro colore naturale. Mac le aveva detto che era perché quando si muore tutto le frivolezze accumulate da umani spariscono; in pratica rimanevi come mamma ti ha fatto, e a Thiphanie le ci volle un po' per abituarsi e dire addio al suo amato biondo cenere e alle tinte a basso costo dei cinesi.
«Allora entriamo?».
Mac scosse immediatamente la testa, poi la guardò assottigliando gli occhi in due fessure azzurre. «Tu entri. Il debito da saldare è il tuo, Lacroix, quindi a te spetta il lavoro sporco».
Tip sbatté le palpebre un paio di volte, le mani nelle tasche dei jeans sgualciti, poi spalancò le labbra. 
«Come, scusa? Mi lasci di nuovo da sola? E il ragazzo come lo trovo?!».
L'uomo sembrò ignorare la sua protesta, alzando la testa verso il cielo ed emettendo un sonoro sospiro seccato. 
«Ti verrà recapitata una foto».
«Una foto? Scherziamo? Ti avviso che non ho mai letto Sherlock Holmes – anzi, in realtà non ho mai letto in generale. Avevo di meglio da fare».
«Tipo il suicidio?».
Quello sembrò toccare un nervo scoperto e tanto bastò a far star zitta la ragazza, che abbassò lo sguardo mordicchiandosi il labbro; aveva inarcato le sopracciglia e sembrava mortificata.
L'angelo sospirò nuovamente e tirò fuori un taccuino su cui prese a scribacchiare.
«Non serve essere Sherlock Holmes per rintracciare uno studente, Lacroix».
Thiphanie borbottò quello che sembrò essere un “stavo scherzando” poco convinto, lo sguardo ostinatamente posato a terra e le mani che erano ritornare alle tasche. Mac non sembrò nemmeno più ascoltarla, troppo preso a riportare informazioni con una scrittura che Tip non riuscì a decifrare nemmeno sforzandosi.
«Ricorda, Thiphanie Lacroix, hai sei mesi di tempo. Sai già cosa succederà in caso di fallimento».
Non le diede nemmeno il tempo di ribattere; svanì, semplicemente, con un battito di ali che sollevò un vento freddo e le scompigliò i corti capelli. Riaprì le palpebre che aveva involontariamente chiuso a causa della vampata d'aria improvvisa e, quando fu certa di averlo perso di vista, strinse i denti e  imprecò tra sé e sé. Diede l'ennesima occhiata al cartellone col nome del liceo. Sospirò pesantemente prima di incamminarsi verso l'entrata.


Non era servito sciacquarsi il volto con l'acqua gelata, ne' dare un'occhiata al suo riflesso negli specchi sporchi dei bagni della scuola; anzi, il vedersi lì sul posto con quella carnagione pallida, le labbra cerulee, i capelli biondi scompigliati e due occhiaie da far invidia al Conte Dracula non aveva fatto altro che accrescere il pensiero.
La vita di Nathaniel faceva schifo. Ne era convinto già da un po', in realtà, esattamente da quando sua sorella aveva compiuto tredici anni e i favoritismi di suo padre avevano iniziato ad essere sempre più palesi; qualche tempo dopo era arrivata anche Debrah che non aveva fatto altro che danneggiare ancor di più la situazione con il suo strisciargli furtivamente addossocome la vipera che era scatenando una violenta rissa tra lui e Castiel che avrebbe segnato il loro rapporto per tutti gli anni seguenti. Poi era riuscito a diventare delegato e ciò gli aveva dato una gioia che presto si era trasformata in un ma chi me l'ha fatto fare a causa delle pressioni ora più maggiori che mai dei suoi genitori.
Il ragazzo fissò ancora un po' i suoi occhi stanchi, i suoi zigomi magri e deglutì. Si sistemò la cravatta rossa e uscì dalle toilette.


La campanella era già suonata da un pezzo e quasi tutti gli studenti avevano lasciato l'edificio. Uno dei pochi vantaggi dell'essere delegato principale era, a suo parere, il potersi trattenersi di più a scuola senza che i professori venissero a cercarti e ti cacciassero via a calci nel sedere. Più tardi tornava a casa, meglio era per lui, pensava sempre Nathaniel sistemando i soliti documenti noiosi. Quella volta non faceva eccezione.
Si fece sfuggire un sospiro rassegnato giocherellando con la penna nella mano destra e leggendo di sfuggita le parole sui fascicoli ordinatamente poggiati sul tavolino senza comprenderne a fondo il significato. Aveva la mente che vagava altrove e si sentiva più emotivamente distrutto del solito.
Tornò alla realtà solo quando udì qualche passo e il rumore dei fogli frusciare. Sbattè le palpebre e guardò fuori dalla finestra; era inverno e faceva buio presto, perciò già alle cinque di pomeriggio riusciva ad intravedere il sole tramontare.
Un altro rumore molesto, passi più forti. Nathaniel inarcò le sopracciglia turbato. Era sicuro di essere rimasto solo nella scuola, l'aveva constato di persona già un'ora prima; eppure quei suoni erano troppo insistenti per essere solo frutto della propria fantasia.
«Professor Faraize...?», chiamò incerto, sperando fosse solo davvero lui; ma il rumore di qualcosa che si spaccava e di un corpo caduto a terra seguito da un rozzo (e fantasioso, doveva ammetterlo) “ma porco il maiale che è tuo padre” gli fece capire che di certo non si trattava del professore. La cosa che lo stupì di più era il fatto che la voce fosse femminile.
Si alzò dalla sedia, camminando insicuro verso il luogo da cui aveva sentito provenire il disastro; non fece in tempo a chiedersi chi fosse che una mano gli afferrò il polso e lo trascinò in avanti.
«O- Ohi – !».
«Ah».
Nathaniel riaprì gli occhi che aveva chiuso in impulso e ciò che vide gli fece gelare il sangue nelle vene.
Una ragazza. Della sua età, a giudicare dai lineamenti; i suoi occhi castani lo scrutavano con un misto tra curiosità e aspettativa e le labbra erano incurvate in un lieve ghigno, le dita magre sembravano non volersi decidere a mollargli il polso. I capelli neri, così scompigliati come non ne aveva mai visti, erano corti e sbarazzini. Mosse il braccio e sfuggì dalla sua presa mentre il suo sguardo si riempiva di diffidenza e un briciolo di paura.
«E tu chi saresti?!», chiese, con più brutalità di quanta volesse mettercene; ma la sconosciuta non sembrò turbarsi. Incrociò la braccia, schioccò la lingua, poi si passò una mano tra i quattro ciuffi che aveva in testa.
«Dal vivo sei più carino».
Nathaniel incurvò, se possibile, ancora di più le sopracciglia bionde. Ecco, adesso stava iniziando ad avere davvero paura.
«Scusa?».
«Voglio dire, c'era davvero bisogno di nascondersi così tanto? Non hai idea di tutte le bestemmie che mi hai fatto lanciare nelle due ore che ho passato a cercarti. Ma poi, intendo, come diavolo è che questa scuola è così immensa? Ho girato a vuoto così a lungo che –».
«Chi diavolo sei?», la interruppe Nathaniel, che già stava iniziando a perdere la pazienza.
La ragazza sorrise di nuovo.
«Mi chiamo Tip e sono il tuo angelo custode».
E Nathaniel seppe di essere fritto.











Yo! ( ´Д`)
E dopo ere glaciali, sono felice di riuscire finalmente a pubblicare il nuovo capitolo di questa long uvu
In realtà non ho molto da dire, quindi mi limito a ringraziare chi ha deciso di leggere fino a qui e mi scuso per la lunghissima attesa ;_;
A presto!
nicki

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Capitolo 3
*** .atto #O2 - fughe improvvise ***


wings

(come sopravvivere un angelo custode non richiesto)

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atto #O2 - fughe improvvise
 

«Era velocissimo! Un fulmine, ti dico! Ma che diavolo gli danno da mangiare la mattina? Dovevi vederlo, è scattato come una lepre!».
Thiphanie fu costretta ad interrompersi mentre il riflesso dell'uomo che aveva soprannominato Mac emetteva un lungo, vigoroso sospiro e si portava una mano al volto, scuotendola come per scacciare un moscerino fastidioso.
«Non m'interessa quanto era veloce».
Tip s'imbronciò fissando il vetro della finestra dentro la quale riusciva a scorgere i contorni dell'angelo. «Mi avevano detto che era un secchione, è statesticamente impossibile che un ragazzo che passa più di metà giornata sui libri possa correre così veloce!».
«Statisticamente».
La ragazza sbattè le palpebre. «Eh?».
«Statisticamente, non statesticamente. Si dice statisticamente». Mac sospirò di nuovo e Thiphanie si stupì nel constatare quanto il suo sguardo potesse sembrare freddo anche senza avercelo materialmente lì al suo fianco. Si chiese cosa avrebbero pensato i suoi coetanei nel vederla parlare da sola (o almeno, ai loro occhi sembrava sola, in realtà quegli occhi raggelanti le facevano fin troppa compagnia) con il vetro di una finestra; poi si ricordò che tecnicamente era invisibile e scosse la testa. «Come se avesse importanza. Piuttosto, che faccio? E' scappato!».
«E di chi credi sia la colpa?», replicò l'uomo senza scomporsi.
«Ah, mia? Tu credi sia mia? Voi mi avete affidato questo stupido incarico, io ho solo eseguito i vostri ordini!».
«I nostri ordini, come poco professionalmente li chiami tu, non comprendevo il presentarti senza preavviso davanti a colui che sarebbe dovuto essere il tuo protetto e farlo fuggire via per lo spavento. Ti si è fritto il cervello? “Mi chiamo Tip e sono il tuo angelo custode”?».
«E cosa avrei dovuto dirgli? “Ciao, piacere, sono la persona a cui, con mia immensa sfiga, hanno affidato la tua patetica vita! Mi hanno informata che se fallirò nella mia missione entro sei mesi ti vedremo correre sotto una macchina con l'intenzione di ammazzarti senza ritegno, quindi vediamo di andare d'accordo, okay?”», disse tutto d'un fiato la ragazza, imitando una vocina piuttosto irritante e grondando ironia.
Mac fece una smorfia. «Sapevo fossi stupida, ma non pensavo fino a questo punto. Eppure fino a poco tempo fa eri viva anche tu, dovresti capire più di chiunque altro. Cosa avresti fatto se un mese fa uno svitato ti fosse apparso un casa senza avvisare e si fosse proclamato tuo angelo custode, senza spiegazioni ne' cordialità perlomeno civili?».
Thiphanie gonfiò le guance, nella pallida imitazione di una bambina capricciosa. «Non sono una svitata. E credevo avrebbe capito, sembrava intelligente».
«Certo, certo,» la interruppe seccamente l'angelo. «Non m'importa cosa pensi, sappi solo che adesso devi ritrovarlo. Completamente da sola. E spiegargli la situazione, perché dubito che si lascerà convincere così facilmente. Probabilmente si crederà pazzo e questo aumenterà il rischio di suicidio».
«Che ansia!», sbottò senza preavviso la ragazza. «Non puoi darmi una mano?».
Mac le lanciò l'ennesima occhiata gelida che aveva imparato a riconoscere come “nemmeno per sogno” senza bisogno di parole.
«Vedi di fare buon lavoro, Lacroix».
E poi la sua immagine sparì così velocemente come era arrivato, e Thiphanie si ritrovò a fissare la propria figura riflessa nello specchio. Cavolo, non ricordava di aver mai avuto un colorito così pallido.
Imprecò, passandosi una mano tra i capelli. «Dannazione».

 

«La tua missione è semplice, Lacroix», dice accademicamente l'angelo dai capelli biondi, sistemandosi comodo su una sedia. «Diventa un angelo custode».
Tip sbatte le palpebre: non capisce di cosa stia parlando, e si massaggia con le dita il polso destro su cui sono ancora presenti i segni rossi delle catene che indossava poco prima. «Questo lo so, me l'hai già detto», mormora con cautela, perchè quello è pur sempre l'uomo capace di sbatterla di nuovo in quella buia cella quando e dove vuole. «Quello che non capisco è che cosa tu intenda per diventare un angelo custode. Se sono morta, perché non ho le ali?».
L'uomo alza una mano e le fa segno di sedersi sulla poltrona davanti a lui; Thiphanie ubbidisce in silenzio.
«In quanto suicida, al momento sei ancora un'anima dannata, Lacroix, e lo rimarrai fino a che non accetterai la missione. A quel punto ti sarà recapitato tutto ciò che ogni angelo deve possedere, ma non aspettarti granché: meno esperienza hai, più misero è il materiale posseduto. Non credere che il solo accettare ciò che voglio proporti ti salvi dall'Inferno; quella che ti sto dando è solo una chance per riscattarti, ma se non saprai sfruttarla e fallirai di conseguenza ti sarà tolto tutto ciò che avrai ottenuto e rimarrai dannata in eterno».
La ragazza beve con avidità ogni parola che l'angelo pronuncia, cercando di dare un senso a tutto ciò. Inizia già ad avere mal di testa. «Okay, okay, fino a qua credo di esserci. Quello che non capisco è qual è la mia missione».
Il biondo sembra rimuginarci su per qualche secondo, indeciso. Poi socchiude le labbra, facendo uscire la sua voce dura: «Ogni angelo, per un periodo prestabilito, ha il compito di diventare l'angelo custode di un determinato umano. Ma i soggetti a cui affidare un angelo non sono scelti casualmente: sono umani che non apprezzano la vita come in realtà dovrebbero».
Tip corruga la fronte. «Intendi dire che...».
«Coloro destinati a suicidarsi», taglia corto l'angelo. «L'angelo custode ha il compito di far tutto ciò in suo potere per evitare che questo succeda. Stando accanto al suo umano, aiutandolo, proteggendolo, provando a far capire loro quanto questi pensieri negativi siano sbagliati e quanto in realtà la vita meriti di essere vissuta fino alla fine; per fare ciò, hanno un tot di tempo, allo scadere del quale questi avrà due opzioni: suicidarsi, come scritto da destino – e in quel caso l'angelo custode avrebbe fallito nel suo intento – o continuare a vivere».
Thiphanie sta in silenzio per qualche secondo, poi quasi urla: «Assurdo! Perché a me non è stato recapitato un angelo custode? Io mi sono ammazzata senza nessuno al mio fianco che provasse anche solo a convincermi che,
oh, in realtà la vita è così bella!».
«E' proprio questo il problema», risponde l'uomo, senza scomporsi. «In questo periodo, il numero di suicidi è vertiginosamente aumentato, non sappiamo neanche perché. Milioni di angeli, in ogni parte del mondo, ogni giorno tentano in tutti i modi di evitare che qualcuno si tolga volutamente la vita. E tu, Lacroix», e la fissa intensamente, «diventerai uno di questi angeli».
Tip si trattiene dall'urlargli contro, senza motivo, giusto perchè si sente la testa scoppiare e ha voglia di sfogarsi un qualche modo. Opta quindi per stringere i pugni fino a sentire le unghie conficcarsi nella carne. «Dovrei convincere qualcuno a non suicidarsi? Ti ricordo che io stessa mi sono suicidata giusto giusto qualche ora fa».
«Tecnicamente sono passati tre giorni», la corregge, impassibile. «E ti ripeto che è l'unico modo che hai per riscattarti. O questo, o te ne torni negli Inferi per i prossimi diecimila anni».
Thiphanie tenta di rilassare i muscoli tesi come corde di violino e sospira, sprofondando nella poltrona. «Credi che a questo punto abbia scelta? Accetto, che altro potrei fare».
L'uomo sorride malignamente, o molto probabilmente è solo una sua impressione; tira fuori il taccuino e si mette a scribacchiare. «Il tuo protetto si chiama Nathaniel Gautier, diciotto anni, francese, destinato a suicidarsi entro sei mesi. Apprezza lo sforzo di averti trovato un umano tuo coetaneo e della tua stessa nazionalità».
«Apprezzo lo sforzo, davvero», dice ironica. Poi aggrotta le sopracciglia: «Aspetta, sei mesi? Ho così tanto tempo?».
L'angelo biondo sorride impercettibilmente. «
Oh, sarà una missione più difficile di quanto credi».

 

 

Completamente, irrimediabilmente, schifosamente impazzito: non c'era altra spiegazione. Il troppo lavoro e il troppo stress l'avevano portato ad avere le allucinazioni, senza ombra di dubbio. Nathaniel cercò di riprendere fiato e poggiò il palmo aperto sul muro dell'aula dentro la quale si era piombato alla velocità della luce dopo essere scappato da quello che si costringeva a credere il suo subconscio: di certo il non aver avuto contatti da tantissimo tempo con una forma di vita femminile che non fosse la sua cara amica Melody – davvero, non riusciva a vederla di più che un'amica – non aveva aiutato. Che la sua mente avesse cercato di dirgli che era ora di trovarsi una ragazza? Eppure colei che gli era apparsa davanti era tutto meno che la ragazza dei sogni di Nathaniel: ci aveva parlato per meno di un minuto ma l'aveva già inquadrata alla perfezione. Rozza, violenta, sboccata e forse anche un po' stupida. I suoi capelli neri corti e scompigliati non volevano lasciare la sua mente.
Il delegato trattenne un conato di vomito: da quanto tempo non correva così? Non era più abituato, il cuore gli pompava nelle petto almeno tre volte più veloce rispetto al normale.
Cristo, adesso mi viene un infarto, pensò, appoggiando la schiena alla parete e scivolando pian piano, fino a poggiare il sedere sul pavimento e prendersi una ciocca di capelli biondi tra le dita.
Calmarsi, calmarsi, aveva assolutamente bisogno di calmarsi. 

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