Favola

di Angelika_Morgenstern
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un mattino ***
Capitolo 2: *** Certezze ***
Capitolo 3: *** Illusione ***
Capitolo 4: *** Crollo ***
Capitolo 5: *** La fine della storia ***



Capitolo 1
*** Un mattino ***




Favola

1. Un mattino

 

“E
raccontano che lui si trasformò
in albero e che fu per scelta sua
che si fermò
e stava lì a guardare
la terra partorire fiori nuovi.”
Favola – Eros Ramazzotti

 

Il cielo ancora plumbeo, i raggi del sole che iniziavano col fare capolino spuntando negli spazi tra le nuvole, la nebbia del primo mattino che si ritirava lentamente, la rugiada che imperlava l'erba tagliata corta ai bordi delle strade.
Volatili cinguettanti volavano intrecciando le loro traiettorie, disegnando trame estremamente semplici a mezz'aria, felici del loro libero vagare senza ostacoli, il loro cinguettare a chiunque sarebbe sembrato un festoso inno alla semplicità della loro vita.
Uno di essi si separò dal compagno, planando dolcemente poco più in basso, fino a raggiungere uno degli alberi che costeggiavano la piazza principale del paese, voltando il becco alle montagne che avevano assunto un colore rosato grazie al sole che aveva iniziato la sua ascesa sulla volta celeste da poco più di un'ora.
I punto migliore da dove ammirarle era indubbiamente una piccola casa del colore del grano con il pittoresco tetto coperto di tegole scure, sul quale si ergeva una canna fumaria nera, sporca fino all'impensabile, e dalla quale usciva ancora una nube scura nonostante all'esterno non facesse più molto freddo da qualche giorno.
Il calore nell'aria era giunto tardi quell'anno e la vecchina che abitava lì aveva acceso il camino da circa mezz'ora per accogliere il nipotino in una sala da pranzo più calda, ove ogni mattina facevano colazione insieme prima che il bimbo si dirigesse verso la scuola. Dopodiché la nonnina avrebbe iniziato a sbrigare le faccende di casa.
Ed eccola controllare ancora che il fuoco avesse preso e rimanesse acceso per l'intera giornata, come sempre.
Si strinse nelle spalle curve, degne di una persona avanti con l'età, sotto lo scialle blu con stampe di candidi gigli il cui perimetro era appena ornato da un paio di fili argentei.
Il solito scialle, lo stesso che indossava ogni giorno tanto da aver assorbito il profumo dei fiori freschi con cui ornava il balcone, l'odore preferito della vecchina, la quale si voltò dirigendosi verso una piccola porta intagliata in ciliegio mentre si appoggiava al muro di legno, che aveva contratto un perfetto matrimonio con l'arredamento della casa.

Con le nocche sembrò quasi carezzare volutamente la superficie del piccolo uscio e l'aprì.
All'interno della stanza, seduto sul letto vi era un bambino dai capelli così biondi che alcune ciocche potevano dar fastidio alla vista per il chiarore emanato.
Il piccolo guardava con insistenza fuori dalla finestra posta al di sopra del suo giaciglio, tenendo da una parte la tendina di cotone a quadretti bianchi e verde pastello, fissando qualcosa con aria sognante, rapito a tal punto da battere raramente le palpebre, i grandi occhi azzurro cielo sgranati.
La nonna avanzò appena, tastando con una mano il suo chignon al fine di controllare che la matita tenuta tra i lisci capelli color zucchero a velo non avesse ceduto, come spesso accadeva grazie alla pesantezza della sua ancora folta chioma.
Aprì la bocca a cuore quasi schiacciata tra le paffute guance appena solcate da rughe che ricordavano le impronte degli sci sulla neve fresca, e disse — Klaus, sei già lì a vedere le montagne?
Il bimbo si voltò, guardando la vecchina, mostrando un sorriso in parte sdentato — Stavo dando il buongiorno. – disse pacatamente.
La vecchina drizzò la schiena per quel che l'età le permetteva, piazzando i pugni chiusi sui fianchi ormai fusi col punto vita in larghezza — E a me non saluti? – domandò chiudendo un occhio in segno di finto rimprovero.
Il piccolo scese dal letto e zoppicò a dare un bacio sulla guancia della nonna, sporgendosi sulle punte dei candidi piedi nudi.

— Vieni, la colazione è pronta. Ci sono i kaisersemmeln* che piacciono tanto a te. 
Si avviò verso la cucina, seguita dal nipotino solo dopo che questi si fosse voltato a guardare un'ultima volta, per quella mattina, le montagne.
Bellissime, naturali ed imponenti sculture, forgiate dagli elementi nel corso degli anni, dei secoli, dei millenni. Il solo pensiero dell'imperversare del tempo sulla roccia che veniva plasmata dal volere di chissà quale essere superiore faceva correre su per la schiena del piccolo Klaus un brivido di eccitazione.

Ma com'era mai potuto accadere?
La roccia era dura e più le vette s'innalzavano, più veniva a mancare l'erba, scoprendo la scultura come fosse la testa di un uomo avanti con l'età. Eppure loro continuavano a vegliare amorevolmente la cittadina, salutandola ogni mattina al suo risveglio, quando i flebili raggi del sole facevano capolino tingendo il cielo e tutto ciò che la natura spettacolare aveva costruito in quel lembo di terra, svelando la differenza tra i piani separati dall'orizzonte.
Pensando ciò il bambino era rimasto di nuovo imbambolato, perso nei suoi fantasiosi pensieri.

— Klaus, vieni!
Dopo aver lanciato un bacino a fior di labbra alle sue amiche di pietra, seguì finalmente sua nonna nella sala da pranzo, felice di vedere la fiamma del camino danzare come fosse viva. Si avvicinò alla sua seggiola e la fissò, traendo un sospiro di sollievo. La nonna allungò le mani verso di lui, che esclamò — No, faccio io! Sono grande!
Afferrò la seduta con le manine candide e cercò di salire, incespicando neanche stesse tentando di scavalcare una montagna. Rinunciò. Tentò di nuovo in altro modo e di nuovo quasi cadde.
Solo al terzo tentativo, cambiando ancora approccio con l'oggetto, sempre sotto lo sguardo vigile, preoccupato ed affranto della nonna il piccolo riuscì a dominare la sedia, salendovi sopra.
Era più piccolo di statura per la sua età, doveva avere circa sei anni eppure doveva ricevere ancora aiuti per sedersi, ma sembrava non preoccuparsene.

— Senti nonna...
— Mh?
— Pensi che crescerò ancora? – domandò con la sua voce che suonava simile a dei campanelli e faceva sciogliere il cuore alla vecchina. Questa quasi lasciò cadere la ciotola di latte caldo che gli stava poggiando di fronte ma si riprese in tempo, poggiandogli le mani sulle spalle strette e magre.
— Amore di nonna, certo che crescerai!
— E quando sarò cresciuto mamma e papà la smetteranno di lavorare e rimarranno un po' a casa con me?
La nonna cercò di dominare l'istinto di stringere forte a sé quell'esserino fragile, avvertendo in pieno la sua solitudine.

— Mamma e papà lavorano per farti mangiare, vestire e mandarti a scuola. Però ci sono io con te!
Il bimbo annuì poco convinto, poi domandò — Diventerò alto come il nonno?
La vecchina annuì, sorridendogli ed in quel mentre il suo sguardo sembrò sparire nei meandri della memoria.
Poi gli mise una mano dietro la nuca per dargli un bacio, ed in quel mentre qualcosa l'allarmò — Klaus, sento che scotti un po'...
— Davvero? Allora posso rimanere a casa ad aspettare la mamma che torna a mangiare? – domandò lui con occhi oltremodo luminosi.
Sua nonna lo rimproverò — Non devi saltare la scuola così spesso, crescerai ignorante e bugiardello!
Il bambino sembrò mortificato — Però io volevo stare un po' di più con mamma...
La vecchietta gli intimò di finire la sua colazione, cosa che Klaus fece anche troppo in fretta, tanto da allarmarla — Piano altrimenti ti strozzi!
— Shcusha gnogna! – rispose il bimbo, mandando giù un grosso boccone di pane, burro e marmellata. 
Riprese a mangiare più lentamente e, appena finì, scese dalla sedia con un balzo, inciampando.
L'anziana sapeva che Klaus era nato malformato, motivo per il quale trascorreva le giornate in casa con lui, accudendolo al posto dei genitori che lavoravano duramente per potersi permettere le cure mediche e le terapie di cui aveva bisogno.
Le sue gambe molto magre, anzi esili, avevano fatto disperare tutta la famiglia. Solo grazie ad una serie di costose operazioni era riuscito a guarire ed ora aveva cominciato a crescere come i bambini normali, anche se era alto quanto un piccolo di tre o quattro anni e doveva comunque continuare a sottoporsi a svariati controlli.
Aveva un animo gentile ed un carattere dolce ed affettuoso. Sentiva molto il peso della mancanza dei genitori ed era molto affezionato alla nonna.
Suo nonno era morto pochi anni fa, quando lui ne aveva tre, non in tempo per vederlo guarire. Klaus aspirava a diventare come lui, ovvero molto alto e con un fisico sano e ben piazzato. Fino al momento della sua morte, ad ottantasette anni, il tempo non era riuscito ad avere ragione sulla sua schiena, rimasta sempre ben dritta, gli occhi ancora di un azzurro quasi trasparente, vividi e brillanti come le stelle, dall'espressione forte che rispecchiavano il suo carattere testardo, indipendente, fiero, ribelle, solitario e duro come roccia.
Il piccolo non si spiegava per quale oscuro motivo una persona così forte fosse morta.
Una volta sceso dalla sedia andò a prendere sua nonna per una manica del maglione a righe larghe
— Cosa c'è? – domandò lei, tra le mani già lo straccio bagnato che usava per pulire il tavolo subito dopo la colazione.

— Non pulire, stai con me!
Ecco, quando Klaus faceva quella vocina supplichevole alla povera vecchietta si scioglieva il cuore.
Quel bambino le faceva tenerezza: non poteva avere fratellini perché dopo il primo parto sua madre non era più riuscita ad averne, i compagni di scuola non si avvicinavano molto per via del suo aspetto, i suoi genitori non erano mai in casa ed il nonno, il suo idolo che gli aveva promesso di insegnargli a scalare le montagne, era morto.
Sotto la superficie mite e gentile, il bambino nascondeva accuratamente un fardello di tristezza e solitudine, formatosi anche grazie alla consapevolezza di essere diverso.

Aveva sviluppato, però, uno spiccato amore per la natura.
La adorava, credeva che le montagne avessero vita propria e che, quando faceva più freddo esse soffiavano per scaldare la cittadina, generando così i fiocchi di neve che scendevano piano, simili a delle fate che si adagiavano sui tetti, scaldando le abitazioni come una calda e soffice trapunta.
Perché Klaus pensava, anzi, era sicuro che in realtà fuori dalla sua accogliente casina facesse molto freddo.
In fondo lui sapeva cos'era veramente il freddo.
Ed è ancora così piccolo...
All'anziana sfuggì una lacrima traditrice, che venne prontamente fermata dalle sue stesse dita
— Lo sai che devi stare a letto quando hai la febbre. Chiamerò il dottore e la mamma.
— Poi vieni da me, eh?

La nonnina capì che Klaus pensava di essere l'ultima delle preoccupazioni altrui ma che accettava anche questo pur di non stare solo con la sua malattia, che ancora gli dava qualche fastidio dovuto alla convalescenza ed all'improvvisa crescita.
Temeva di essere dimenticato dagli altri.
La donna gli poggiò una mano sui capelli, dandogli un bacino sulla testa

— Faccio tutte queste cose solo per te!
Un sorriso illuminò il volto del bambino, che zoppicò verso il lettino, coprendosi e riprendendo a guardare le montagne.
La vecchina lo avvertì di coprirsi meglio e di sdraiarsi mentre componeva il numero di telefono del medico ma il bambino invece si sporse dal letto, afferrando una borsa rigida nera, la cui pelle era solcata da graffi, strappi e macchie.
Se la poggiò al lato e la aprì, estraendo con la massima delicatezza un vecchio violino dall'aria fragile ma, evidentemente abbastanza resistente.
Iniziò a suonare qualche nota a casaccio, gli occhi puntati verso la tastiera, la faccia contratta nello sforzo.
Aveva appena iniziato a prendere lezioni di violino e la nonna era commossa da ciò: sapeva che aveva iniziato perché anche suo nonno lo suonava e molto spesso gli aveva cantato delle ninne nanne accompagnandosi con lo stesso.
Klaus voleva riprodurre quei suoni così familiari e dolci, che in passato l'avevano cullato fino a farlo scivolare nel mondo dei sogni.
L'anziana aveva appena chiamato il medico quando chiamò la figlia — Morgana, sono mamma. Klaus sta male e l'ho fatto rimanere a casa. No, non agitarti è solo una febbre. Ah, bene, il bambino sarà molto felice! Allora a dopo.

Riattaccò ed andò nella stanza del bimbo, che smise subito di suonare — Hai sentito come sono bravo? – domandò lui, le gambe incrociate sul letto, ormai completamente scoperto. Quest'ultimo particolare fece accigliare la sua parente — Si, ma devi coprirti altrimenti quello ritorna a fare le ninne nella custodia, chiaro?
— Nonna ti prego, era del nonno!-
— Appunto! – replicò secca la vecchietta, poggiando con cura lo strumento nella sua custodia, che chiuse con delicatezza.
Il bambino si coprì, ostentando un certo fanciullesco disappunto — Che cosa mi racconti, stavolta? – domandò imbronciato.
Sua nonna rifletté prima di rispondere, sedendo con calma sul bordo del letto

— Una favola.
— Di che parla? – chiese euforico il piccolo.
— D'amore.
Il nipotino sembrò deluso.

— Non ti piace l'amore? – domandò sua nonna.

— In realtà non molto... preferivo qualcosa sulla natura. – borbottò quello.
— Ma questa favola parla dell'amore per la natura e dell'amore tra due persone.
— Vuoi dire che le due persone fecero la natura?– fu la conclusione poco convinta di Klaus.

— Oh, no! – rise sua nonna, dando un colpo di tosse. 
Ormai il bambino aveva capito che la vecchina stava per iniziare il racconto: assunse una posizione più comoda per le sue gambe, rimanendo vigile e attento mentre la donna aprì la bocca per parlare.

 

Buonasera a tutti :) 
Esordisco con un mea culpa in quanto non ho nessuna esperienza nella pubblicazione di testi online, ergo se ho sbagliato sezione, rating, ecc., chiedo venia!
Questa storia è in realtà un piccolo esperimento in quanto, purtroppo sono molto timida riguardo materiale scritto da me ma sono piena di storie anche molto vecchie. Inoltre credo che le critiche facciano bene qualora siano costruttive, ergo ho deciso di pubblicare qualcosa al fine di sfondare il muro della timidezza nonché migliorare il migliorabile :)
La storia è un po' vecchiotta, risale al 2007, è stata ripescata pochi giorni fa e corretta (sperando di averla resa quantomeno decente). Non è molto lunga (5 capitoli) ed è tratta dal pezzo ampiamente citato in ogni capitolo, per me molto caro in quanto risale alla mia infanzia.
Un po' tutta la mia modesta produzione ruota attorno alla musica, è un pallino che ho da età infantile a tal punto da influenzare qualsiasi parte della mia vita.
Beh, per ora è tutto, spero solo che la storia possa piacervi.
Attendo critiche a pioggia! ;)
Aggiornerò di lunedì.
Buona lettura! ^^

- Angelika


 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Certezze ***


2. Certezze
 
“ Ecco la bellezza della vita che cos’è.”
Favola – Eros Ramazzotti
 

Il sole aveva appena sormontato le montagne, illuminandone i fianchi e svelando al mondo il colore dei boschi che le rivestivano e calmando magicamente il vento che quella notte aveva soffiato incessantemente sulla piccola cittadina.

Un nuovo giorno iniziava, un giorno di primavera, uno di quelli che permetteva i giochi all'aria aperta, le passeggiate più lunghe, e poi canti, grida, bisticci tra bambini, il chiacchiericcio della gente che si incontra per la strada, il latrare dei cani felici del loro tempo speso a correre in libertà. La vita aveva preso a scorrere già al mattino presto: erano appena iniziate le vacanze di Pasqua, i bambini potevano divertirsi lasciando da parte la scuola e pensando solo alla famiglia e ai loro giochi, al cioccolato che avrebbero ricevuto e mangiato, alle ore mattutine che avrebbero passato a casa o all'aperto.

Ma anche ai loro amichetti: nel paese si conoscevano tutti e, ovviamente, alcuni si distinguevano.

Chi per la sua bellezza, chi per quanto fosse ricco, grasso, magro, alto, basso, buono, cattivo...

Markus non era tra questi.

Era quello che si definiva un bambino imprevedibile.

Anche durante le lezioni scolastiche se ne stava ore ed ore ad ammirare le montagne dal suo banchetto vicino alla finestra, ed alcune compagne di classe erano affascinate da questo suo strano comportamento sfuggente, dal suo carattere da sognatore.

Era indubbiamente innamorato della natura.

Markus era più alto della norma e molto gentile, ma non aveva molti amici perché non gli interessava averne, così dicevano gli altri bambini facendo spallucce.

In realtà non sentiva il bisogno di perdersi in giochi, nella compagnia altrui, nell'allegro vociare dei bambini, non amava il contatto umano ed anche spendere tempo nel fare sempre le stesse cose non lo attirava.

Voleva solo stare ad osservare la natura, la sua natura. E voleva farlo in religioso silenzio, segno del rispetto che le portava.

La definiva un'opera d'arte che l'uomo non avrebbe mai potuto riprodurre e passava ore e ore a perdersi guardando le montagne, cercando di captare ogni cenno di vita in esse contenuta.

Nonostante ciò aveva comunque un lato allegro e vivace: nonostante non interagisse molto coi suoi parenti, quando ciò accadeva veniva fuori un carattere allegro e vivace, spensierato oltre ogni immaginazione, per nulla posato e serio come sembrava dall'esterno. Era in realtà dedito allo scherzo, ingegnandosi per dar fastidio agli adulti come ne aveva l'occasione.

I suoi genitori apprezzavano questo suo attaccamento alla natura, giudicandolo sano e tipico delle persone di animo gentile, temendo però che troppo presto essa si sarebbe portata via il loro bambino. Una paura infondata della quale non parlavano mai per non essere malgiudicati: come avrebbe potuto un paesaggio rapire il loro bambino?

Sua madre sognava ogni notte che un albero afferrava suo figlio, il suo piccolo che era ben felice di assecondare la pianta, separandosi all'abbraccio della donna per finire inglobato nella ruvida corteccia.

Si svegliava di soprassalto, sudata ed affannata: Markus era l'unico che aveva potuto avere, non avrebbe mai voluto perderlo così e la sola idea la terrorizzava tanto da farle perdere il sonno nei mesi seguenti, temendo che le sue preoccupazioni fossero reali, tanto che iniziò a pensare che non si trattasse di un semplice sogno, bensì di una premonizione. D'altronde il bambino passava sempre più tempo fuori casa per stare ore ed ore a suonare il violino sotto l'ombra degli alberi della pista 3tre, la famosissima pista di sci alpino che si estendeva di fronte ad un hotel della cittadina dove risiedevano, precisamente nella zona turistica.

Markus adorava prendere la via a piedi ed inoltrarsi nel bosco, perdersi tra il canto degli uccelli e il rumore delle foglie secche calpestate o dei doposci che affondavano nella neve fresca, ascoltare il vento frusciare tra gli abeti che si muovevano come in risposta al suo soffio.

Durante le sue passeggiate Markus usava fermarsi e rimanere molto tempo con le mani poggiate sulla corteccia degli alberi per sentire solo il rumore del bosco fondersi con quello del suo respiro. Sembrava che anche le piante sotto la loro ruvida corazza celassero un cuore che pulsava pieno di vita e lui la cercava, la percepiva.

Gli animali venivano attratti dal suono del suo violino e più il bambino cresceva, più tempo passava sotto quello stesso albero, il suo migliore amico al quale confidava tutte le sue più intime emozioni.

Quanto avrebbe desiderato essere egli stesso uno di quelle imponenti piante!

Era ancora un bambino ma quell'amore era grande e puro, sicuramente migliore di quello esistente tra due persone.

Trovava gli adulti mutevoli, esseri che non appena vedevano qualcosa di più bello si perdevano in essa senza considerare il sentimento altrui, contemplando e soddisfacendo unicamente il proprio ego, proni alle volontà del proprio istinto, senza nessuna riflessione.

Lui amava la natura, la amava dal profondo del cuore e sarebbe voluto nascere natura anch'egli, distaccandosi dai deboli umani. Non voleva dividere la stessa forma di esseri come i suoi compagni di scuola, che se la prendevano con le loro compagne per farsi notare come se non avessero nulla di concreto da offrire, oppure si azzuffavano tra loro per imporre la propria autorità, vittime della logica del più forte.

C'era poco pathos, poca poesia in tutto ciò. Avrebbe voluto vivere circondato da un universo colmo di armonia come quello della natura, che non aveva nessun bisogno di violenti accadimenti: semplicemente andava avanti nonostante le avversità, scavalcando ed avvolgendo strutture abbandonate nelle sue spire quando queste invadevano il suo territorio.

Desiderava solamente quello.

Quella sera a cena c'era il gulash, che Markus adorava e forse proprio per questo si sentiva più gioviale e chiacchierone del solito, tanto da esclamare a voce alta il proprio desiderio, lui che era sempre così chiuso in sé stesso, tanto che i genitori si erano chiesti più volte se il piccolo avesse un qualche disturbo dello spettro autistico, concludendo poi che no, era solamente strano.

Il bambino voltò gli occhi fuori dalla finestra, carezzando il panorama con lo sguardo ed esclamò

— Ho deciso che da grande sarò un albero!

I suoi genitori si scambiarono un'occhiata perplessa — Cosa dici, Markus? – domandò di rimando sua madre dolcemente. Il piccolo ripeté ciò che aveva appena detto, aggiungendo con occhi scintillanti — Voglio fare parte della natura!

La donna trasse un profondo sospiro e rispose — Ma noi ne facciamo già parte, siamo nati dalla natura.

— Lo so però è diverso. Noi la stiamo distruggendo! Io non voglio farlo. Non voglio essere... così... cattivo.

— Adesso basta! – gridò suo padre, battendo i pugni chiusi sul tavolo di noce – Piantala di parlare di questa natura! Sei un essere umano, hai gambe, braccia e sai parlare, leggere e scrivere, non puoi diventare un animale o un vegetale! Toglitelo dalla testa e cerca di rimanere coi piedi per terra!-

Il bambino rimase sorpreso dal comportamento burbero del genitore, solitamente sorridente e gentile. Ripensando a tutte le volte che avevano passeggiato insieme nel bosco, il suo viso si arrossò, gli occhi si bagnarono di lacrime, le quali ben presto solcarono le guance colorite — Va bene, papà. – rispose abbassando triste lo sguardo, riprendendo a mangiare in silenzio la sua zuppa.

Era convinto che lo avrebbe appoggiato. In fondo se amava così tanto la natura era per tutte le storie che suo padre gli aveva raccontato da piccolo: gli gnomi, gli alberi parlanti, le città nella roccia, gli spiriti del bosco...

Sua madre fu molto preoccupata dai ragionamenti del piccolo mentre il padre si sentì subito in colpa: non aveva mai visto Markus così abbattuto.

Nonostante la sgridata appena ricevuta, il bambino si voltò verso la madre appena tutti ebbero finito di mangiare

— Vuoi che ti aiuto, mamma?

La donna quasi si commosse per l'innata dolcezza che suo figlio dimostrava sempre nei loro confronti quando c'era qualcosa da fare — Non preoccuparti, vai a riposare. Domani devi andare a passeggiare nel bosco, no?

Il bambino fu felice del fatto che lei ricordasse qualcosa che gli stava così a cuore e diede un bacio sulla guancia ad entrambi i genitori prima di andare a suonare il violino nella sua stanzetta.

Si addormentò con lo strumento tra le braccia, lo sguardo sempre rivolto fuori dalla finestra.

Fu il lieve ma ripetuto bussare alla porta che lo svegliò, riportandolo dolcemente alla realtà.

— Markus, la colazione è pronta!

La donna tornò verso la cucina per affettare il pane che al bambino piaceva tanto e che suo padre gli aveva comprato fresco alzandosi molto presto per farsi perdonare, preda dei sensi di colpa. Che senso aveva trattare così un bambino? In fondo aveva le sue fantasie, come tutti.

Il piccolo fece il suo ingresso nella sala da pranzo, grattandosi la nuca coperta dai capelli biondi e stropicciandosi poi gli occhi a mandorla sui quali splendevano pupille color cielo — Forza che si fredda! – lo esortò sua madre, sorridendo.

Markus sedette e con cautela portò la ciotola di latte caldo alle labbra — Mamma, non preoccupatevi per me, va bene? – disse poi, a sorpresa.

Lei non capì e si limitò a sorridere — Quello che chiami preoccuparsi, significa volerti bene. Quindi ci preoccuperemo sempre per te, amore. –

Gli diede un bacio sulla fronte e il bambino sorrise ancora, la linea della bocca che compresse le guance color mela rossa alle palpebre inferiori facendolo sembrare uno di quegli gnomi scolpiti nel legno.

Quello era il giorno del suo compleanno e Markus avrebbe chiesto un dono speciale.

Non appena finì di fare colazione si alzò porgendo alla madre la ciotola.

Lei ringraziò e rientrò in camera sua a prendere i vestiti — Vestiti pesante, forse oggi si mette a piovere! Porta un cappuccio. – lo avvertì la donna.

— Ok! – rispose il bambino, dirigendosi verso il bagno con gli abiti sottobraccio.

Una volta fatto afferrò la sua mantella di lana con cappuccio ed il suo violino — Allora io vado, mamma.

— Va bene, non fare troppo tardi, ti aspetto per pranzo.

— Forse torno per cena.

La donna sospirò — E va bene, per cena.

Diede un bacio tra i capelli del suo bambino, che poi uscì dalla casetta.

Ma non aveva considerato quel forse.

 

 

 

Buonasera e buon lunedì a tutti ^^
Che dire, col secondo capitolo siamo entrati nel vivo della storia. Quel che accadrà dopo sarà forse prevedibile.
Dove andrà Markus?
Sarà solo?
Cos'ha in mente?
Le risposte saranno nel prossimo capitolo! Intanto ringrazio _Fedra_ per la recensione e spero di non deludere le aspettative di nessuno! ^^
Al prossimo lunedì!

A.


 

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Capitolo 3
*** Illusione ***


3. Illusione
 
“La mia felicità – diceva dentro sé stesso –
ecco… ecco… 
l’ho trovata ora che
ora che sto bene
e che ho tutto il tempo per me
non ho più bisogno di nessuno.”
Favola – Eros Ramazzotti
 

Il bambino uscì vivacemente in strada, salutando chi gli capitasse a tiro come suo solito.
La gente ormai conosceva bene la sua stravaganza ed ogni volta il suo passaggio veniva accompagnato da commenti: se armato di violino, stava sicuramente andando nel bosco, altrimenti si sarebbe limitato a raggiungere il punto più panoramico del paese per ammirare le montagne in solitudine.
Neanche quel mattino deluse nessuno, il fedele strumento a corda sottobraccio col quale attraversò la cittadina, fermandosi solo al supermarket dove acquistò un panino per il pranzo.
Quando si trovò davanti al sentiero che portava al suo adorato nascondiglio sospirò e portò la custodia scura davanti al suo viso — Guardala, Sigfrid. – disse voltandosi verso la cittadina – Guardala bene perché questa è l'ultima volta che potremmo farlo. Sono convinto che chiunque egli sia, esaudirà il mio desiderio!
Rimase forse più del dovuto a guardare il luogo dove era cresciuto, avvertendo un peso sullo sterno e lo stomaco chiudersi.
Una lacrimuccia traditrice gli solcò la guancia, rivelando così i suoi sentimenti, ma venne subito trascinata via dal pollice.
Markus diede le spalle al posto che lo aveva visto nascere e crescere, iniziando a camminare sul sentiero che portava al bosco.



— Quindi Markus non vide più il suo papà e la sua mamma? – domandò ad un tratto Klaus alla nonna, che sorrise e rispose — Purtroppo no.
— Io non riuscirei mai ad allontanarmi così da mamma, papà e te. – borbottò il bimbo dopo un'attenta seppur breve riflessione, evidentemente in disaccordo con la scelta dell'altro. 

Ma come aveva potuto abbandonare la sua famiglia?

— Ma no, questa è solo una favola, tesoro! – rispose la nonna, baciandolo sulla fronte.
Il bimbo sembrò riprendersi — E poi...?



Markus aveva camminato diverse ore, fermandosi solamente il tempo necessario per poter mangiare, e la sua perseveranza lo aveva premiato: era arrivato nel punto più alto della pista da sci, la sua sommità.

La leggera brezza pomeridiana che si era alzata lo fece sorridere di piacere mentre si girava in cerca del sole, che si apprestava a tramontare dietro le montagne. Il cielo terso era ancora di un notevole azzurro anche se la luce si faceva via via sempre più tenue.

Era emozionato.
Cominciò a cercare un posto abbastanza esposto — Voglio che si vedano sia le montagne che la mia casa, capisci Sigfrid? – domandò al suo violino, che ovviamente non rispose.
Perlustrò così bene da trovare un angolino perfetto per il suo intento, dove gli alberi formavano un piccolo spiazzo nel quale sembrava essere stato nascosto proprio un posticino per lui.

— Finalmente l'ho trovato! – esclamò, felice. Si affacciò per dare un'occhiata dal dirupo di fronte e vide casa sua, il camino fumante e qualcos'altro che non si aspettava di vedere: c'era un'auto della polizia attorno al piccolo edificio giallo, alcuni poliziotti erano attorno a sua madre, piegata su sé stessa.
Probabilmente stava piangendo.
Suo padre era in piedi vicino a lei, forse nel vano tentativo di consolarla.
Improvvisamente Markus si sentì in colpa e desiderò tornare a casa e riabbracciare la mamma e il papà per tranquillizzarli, dire loro che non sarebbe scappato più, mai più se la cosa avrebbe dovuto farli soffrire così tanto.
Invece qualcosa lo trattenne e scelse di restare.
Si drizzò in tutta la sua breve altezza ed osservò gli alberi attorno a sé mentre si diresse verso di loro, allargando poi le braccia a mezz'aria col visino rivolto verso l'altro — Tu lassù, chiunque tu sia, ascoltami!
Ovviamente non giunse risposta.
— Oggi è il giorno del mio compleanno e sto facendo soffrire molto il mio papà e la mia mamma. Sono andato via per realizzare il mio sogno: voglio diventare parte della natura, di quella cosa che hai creato tu! Mi hai sentito?
Nessuna voce. Solamente il soffiare del vento che iniziava a diventare più forte gli rispose.
Tuttavia Markus non si arrese e continuò la sua invocazione per almeno un'ora o due.
Quando vide che non accadeva nulla cominciò a perdere le speranze ed i singhiozzi scossero velocemente il suo corpo di bambino— Per... favore... – balbettò.
Dopo pochi minuti il cielo si fece nero ed iniziò a piovere, con una leggera pioggerellina primaverile che in breve si trasformò in un violento acquazzone.

Devo tornare a casa altrimenti la mamma piangerà ancora.

Il piccolo sospirò, facendo per abbassare le braccia, ormai dolenti per la posizione mantenuta a lungo.
Ma ci ripensò: non abbandonò il suo posto, anzi, alzò il nasino al cielo — E va bene, se non vuoi tu diventerò io un albero. Adesso mi trasformo....
Il bimbo strizzò gli occhi e li tenne chiusi per diverso tempo, contando i minuti, combattendo il freddo e la pioggia.
Quando cercò di riaprirli si guardò attorno, constatando con forte delusione che non era cambiato nulla.
Non sentiva cambiamenti nel suo corpo ed era alto come prima.
Cominciò così ad osservare la vita sotto di lui nella vana speranza di diventare un albero.
Si addormentò.

Il mattino dopo Markus aprì gli occhi e scoprì che non si era minimamente mosso dalla sua posizione.
Aveva dormito in piedi e con le braccia alte, che stavolta non gli davano nessun cenno di dolore.
Provò a girare la testa ma si accorse che non poteva: era bloccata, il collo era rigido e poco propenso ad eseguire il movimento che il cervello ordinava.

Vuoi vedere che ho preso la febbre?

Alzò gli occhi al cielo al pensiero di dover rientrare a casa, beccarsi una sgridata clamorosa e rimanere a letto per qualche giorno.
In quella non vide l'estremità della frangia del suo caschetto biondo, e solo dopo si rese conto che non sentiva più il peso degli abiti bagnati e soprattutto notò che non riusciva neanche a chinarsi per riprendere il suo violino, rimastogli fedelmente ai piedi durante la nottata tempestosa.
Con fatica riuscì a sfiorarsi i piedi con lo sguardo, sobbalzando quando si rese conto che ruvida e resistente corteccia scura li ricopriva, salendo anche su per le gambe.
Era così: Markus si era trasformato in albero poco prima di addormentarsi, senza rendersene conto.
Talmente grande era il suo desiderio e talmente si sentiva parte della natura da non aver notato mutamenti nel suo fisico, che era cambiato in non si sa quanto tempo.
Sentiva solo una grande felicità crescergli dentro, avrebbe voluto saltare e cantare, andare dai suoi genitori e fargli vedere che era diventato la cosa più bella del mondo: finalmente era parte di quel magnifico paesaggio.
Eppure non poteva muoversi, non aveva libertà di parola, non poteva più suonare.
Ma era felice così.
Talmente felice che chiuse gli occhi e s'abbandonò alla natura, iniziando a vivere giorno per giorno ogni sensazione che ella poteva offrirgli. 

Poco più di una decina di primavere erano trascorse e Markus era rimasto lì, accogliendo con gioia la furia degli elementi nell'alternarsi delle stagioni, piegandosi al vento che sembrava voler strappar via la sua pelle ruvida tanto soffiava forte a quell'altitudine.
Era felice della sua nuova vita, il tempo per lui trascorreva più velocemente dato che dormiva molto spesso, d'inverno anche per diversi giorni, cadendo in un vero e proprio letargo.
Il suo fusto era cresciuto in altezza ed in larghezza, diventando così un possente abete, ancora giovane rispetto agli altri, ma comunque un albero dalla corteccia sana e forte.
Era veramente felice quando gli uccellini facevano il nido su alcune sue innumerevoli, lunghe braccia.
Oppure quando gli scoiattoli si arrampicavano su per il corpo, solleticandolo con le loro zampette, quando veniva bagnato dalla pioggia o appesantito dalla neve, quando era scosso dal vento, quando cominciò a produrre resina, quando i conigli e gli scoiattoli facevano rifugio del suo corpo.
Ecco, quella era la sua felicità.
Non aveva bisogno di nessuno lui, né di esseri umani, né di feste, voleva solo avere a che fare con la natura. Amava vedere i primi fiori primaverili fare capolino, ma anche osservare come la brina aveva adornato le sue foglie durante le nottate invernali lo rendeva felice.
Adorava constatare la timidezza ed il timore degli uccellini che si svegliavano dopo il letargo.
Sì, questo è il massimo, sono felice e lo sarò per sempre così.
Non sentiva nostalgia della sua vita da essere umano nemmeno quando cominciava a vedere le coppiette formate dai suoi vecchi conoscenti che si avviavano a passeggio tenendosi teneramente per mano su quegli stessi sentieri calpestati da lui quando era un piccolo umano, posti che conosceva a memoria in ogni più piccolo anfratto.
Non sentiva il bisogno di tutto ciò.
Era ormai totalmente parte della natura: quando era stato triste per la morte di sua madre e di suo padre, sui quali aveva vegliato dall'alto fino ai loro ultimi istanti di vita, gli elementi si erano uniti a lui.
Aveva pianto gocce su gocce di resina e si era scatenato un acquazzone mentre il vento aveva smosso gli alberi in una danza piena di malinconia, salutando così il viaggio delle anime di coloro che lo avevano messo al mondo.
E quando aveva finito di piangere, la sua tristezza era così forte che iniziò a nevicare e continuò per diversi giorni, ricoprendo la cittadina di una fitta coltre di neve e gelo che bloccò la vita per quasi due settimane.
La natura era così, un'unica entità che non veniva divisa dalle diverse tipologie a cui i suoi figli appartenevano.
Che fossero animali o vegetali, alberi, fiori, conigli, scoiattoli, uccelli, serpenti, qualsiasi sentimento forte essi provavano la natura lo percepiva e lo esprimeva.
Così era sempre stato e così sarebbe continuato ad essere.
Questa era la cosa che faceva amare la natura a Markus: la sua istintiva dolcezza.
Tutti i figli della natura, accomunati solo dal fatto di essere vivi, si amavano e rispettavano come fratelli.
L'uomo era l'unico a non rispettare questa condizione, essendo l'unica specie che distruggeva vegetali ed animali per il proprio tornaconto, andando molto oltre grazie alla sua cosiddetta intelligenza.
Ed era l'unico essere vivente che uccideva i suoi simili.
Più volte Markus da piccolo aveva pensato che sarebbe stato sicuramente meglio se l'uomo non avesse raggiunto determinati livelli di sviluppo, da sempre aveva quella convinzione ed aveva sempre desiderato tirarsi fuori dalla società che imponeva uno stile di vita nocivo per la natura.
Era felice così, aveva cambiato radicalmente la sua vita, dissociandosi da quella razza assassina ed egoista.
Lui non voleva crescere come uomo, voleva essere parte della natura e lo era diventato sacrificando la sua umanità, senza ripensamenti.
Non voleva affatto essere considerato uno di quei mostri che uccidono e razziano, egoisti e capricciosi, volubili ed incapaci di amare.
No, non voleva essere un uomo, se ne vergognava particolarmente.
E per questo motivo era diventato un albero, meraviglioso, protettivo e rispettoso delle leggi naturali nella sua imponente immobilità.
Era felicissimo della sua condizione nonostante fosse veramente solo dal punto di vista oggettivo: non poteva parlare, non poteva muoversi, non poteva mangiare.
Non poteva esprimersi autonomamente
Eppure non era solo. La natura lo capiva, la sua vera madre lo capiva e tutti i suoi fratelli lo sostenevano e lo consolavano laddove ce ne fosse il bisogno, solo aveva un diverso linguaggio.
Questo era vero amore.
Non aveva bisogno di saper parlare e saper scrivere.
Non aveva bisogno d'essere un uomo.
Dava e riceveva amore, ed era felice così.




Buon lunedì a tutti! 
Siamo ormai giunti a metà storia.
Il piccoletto ha fatto la sua scelta... trasformandosi! Ovviamente c'è un significato in tutto ciò ma è bello che ognuno la veda a modo suo ^^ C'è un forte simbolismo e la "morale" arriverà solo alla fine della storia.
Bene, bene, ringrazio quanti stanno seguendo la storia: _Fedra_ e blueOwl, anche per le recensioni.
Spero che l'evolversi della storia non deluda le aspettative di nessuno e chiedo venia se i capitoli sono molto corti ma è la storia in sé ad esserlo e non vorrei tediare nessuno con letture lunghissime ^^' (era una oneshot di 37 e più pagine su word...!).
Tra due settimane posterò l'ultimo capitolo ma -se riesco a non essere discontinua- inizierò a pubblicare un'altra fanfic dai toni molto più cruenti di questa.
Un grosso abbraccio a tutti! ^^

- Angelika

 

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Capitolo 4
*** Crollo ***


4. Crollo
 
“Ma un giorno passarono di lì
due occhi di fanciulla
due occhi che avevano rubato al cielo un po’ della sua vernice
e sentì tremar la sua radice”
Favola – Eros Ramazzotti
 

La nonnina fece una pausa e si alzò, dirigendosi verso la cucina.

— Nonna finisce così? – domandò subito Klaus, il tono quasi ansioso.

— No, stavo andando a prendere dell'acqua, ne vuoi? 
Il bimbo annuì e incrociò le braccine, riflettendo — Ma nonna, se Markus è diventato un albero la storia è finita! 
— No, tesoro, non è ancora finita. – rispose pazientemente la vecchina, riempiendo due bicchieri di acqua di rubinetto.
Tornò nella stanza del piccolo, che gettò uno sguardo alle montagne mentre beveva, adorante.
La nonna prese il suo bicchiere anche con l'altra mano, portandoselo al grembo.

— Dov'eravamo rimasti? 

Una bella mattina inondata di sole Markus stava riposando placidamente nella sua corazza lignea, avendo dimenticato ormai che quello era il giorno del suo compleanno.
Foglie e rametti caduti dagli altri alberi scricchiolarono, il rumore di passi che andavano avvicinandosi destarono con delicatezza l'albero dal suo oblio.
Col sole addosso ci mise qualche attimo a recuperare la vista e ciò che vide lo sorprese: c'era una ragazza vestita di blu dall'aria profondamente triste che passeggiava sola per il bosco.
L'albero ne fu stupito: non doveva essere di lì perché aveva i capelli scuri, ad occhio e croce avrebbe potuto avere la sua età ma lui non ricordava di averla mai vista da bambino.
Chissà chi è.
La ragazza stava parlando da sola, maledicendo sé stessa perché si era sacrificata ed era stata ingannata, e quando arrivò nei pressi dell'albero lo notò, guardandolo con occhi indagatori.
Per un attimo Markus credette di essere scoperto e fu attraversato da un brivido.
La ragazza sospirò — Come vorrei essere un albero anch'io.... .
Poggiò una mano candida sulla corteccia e la pianta avvertì un calore famigliare che non sentiva da anni, qualcosa che gli riportò alla mente ricordi di sua madre che gli fecero affiorare la resina sulla corteccia.

— Ti invidio, tu non soffri mai, eh? – mormorò la ragazza, che spostò un piede, toccando così qualcosa di duro che evidentemente era sotto le foglie e generò un tonfo sordo. Aggrottò le sopracciglia e guardò in basso — Ma questo... cos'è?

Si piegò sulle ginocchia e toccò quella specie di masso nero, che risultò morbido al tatto, e se ne stupì perché non era un sasso. Spostando le foglie rimaste alla base scoprì che si trattava di una custodia.

Anche Markus rimase sorpreso, poiché aveva dimenticato del tutto la presenza di Sigfrid, suo compagno di avventure ormai lontane.
Dov'era finito il suo amore per il violino, l'unico suo amico che gli teneva compagnia quando se ne stava solitario all'ombra degli alberi per intere giornate?
Improvvisamente sentì l'istinto di muoversi e riprendere tra le mani il suo strumento, ma si accorse che non poteva farlo.
I rami dell'albero si mossero e la ragazza alzò lo sguardo verso di essi, pensando che fosse strano: non c'era brezza.
Una fogliolina si era staccata e la raccolse su una mano, chiudendola nel palmo — Come vorrei essere una foglia che viene trasportata dal vento. – disse, volgendo lo sguardo al panorama, trasportata da una delle sue fantasie – Scapperei di qui e non tornerei mai più, dimenticherei tutto e tutti, vivrei sola vagando ovunque, sarei sicuramente felice. 
A Markus sembrò di sentire sé stesso da piccolo ed un moto di tristezza smosse ancora i suoi rami, riflettendo al giorno in cui i suoi genitori erano morti.
La ragazza aprì la custodia ed i due constatarono che il violino si era conservato bene nonostante le intemperie del tempo.
Vi era un intaglio sulla sua superficie e la ragazza strizzò gli occhi per leggere meglio, avvicinando lo strumento al suo naso quanto poté.

— Sig.... Sigfrid. – lesse.
Già, Sigfrid.
Markus ricordò tutte le volte che aveva suonato quel violino, seppur alle prime armi, sotto quegli alberi mentre il sole tramontava e le nuvole sembravano muoversi per scovarlo dalla loro privilegiata posizione.
Avrebbe voluto suonare ancora, chissà a che punto sarebbe arrivato se avesse continuato a vivere da essere umano e a studiare.
La ragazza sedette tra delle accoglienti radici scoperte dell'albero che quasi l'avvolsero, poggiandosi la custodia sulle ginocchia per poi tirare fuori lo strumento.
La giornata era abbastanza calda per essere solo marzo e lei poggiò goffamente il mento sul poggiatesta del violino, cercando di suonare qualcosa utilizzando con l'archetto.
Miracolosamente si era tutto conservato alla perfezione.
La ragazza cominciò a parlare all'albero, come se questi potesse capirla — Sono sicura che tu puoi ascoltarmi. Non credo sia un caso che io abbia trovato questo violino qui. – sospirò – Mia mamma mi raccontava spesso di un bambino che era andato nel bosco con un violino sottobraccio e non era tornato più. Si chiamava Markus ed aveva denominato il suo violino Sigfrid. – si fermò un attimo – Mi ha detto che sua madre è impazzita e poi è morta. Anche suo padre è morto. Sono morti tutti e due per il dolore della perdita di quell'unico figlio. 
Si portò le ginocchia al petto — Però ho invidiato per anni quel bambino... io sono sempre stata molto attaccata alla mia famiglia ed ho sempre fatto quel che volevano solo per farli felici, ho abbandonato tutto quel che amavo. Adesso però sono stufa, vorrei scappare lontano ma non posso. Non ho soldi per mantenermi e non ho un lavoro né un titolo di studio adeguato. Cosa potrei fare se non morire? 
Una lacrima attraversò veloce le gote della ragazza, la cui schiena si alzò scossa da singhiozzi lenti.
Markus sentì una profonda tristezza farsi strada nel suo fusto: avrebbe voluto aiutarla, ma come? La sua forma era inutile allo scopo.

Ma era maggiormente sconvolto per la triste sorte di sua madre e suo padre.
Sono morti per il dolore.
Per causa mia.

La ragazza sentì le campane della chiesa suonare, il che significava che erano già le sei della sera. Il sole stava per tramontare e doveva rientrare di corsa prima di essere scoperta a vagabondare sola per i boschi.
Si alzò, baciò sulla corteccia l'albero — Vorrei portare via il violino. Era di una persona che ho ammirato molto da piccola per il suo coraggio!

Ovviamente Markus non poté rispondere anche se non voleva che portasse via il suo Sigfrid, ma la fantasia della ragazza prese quel silenzio per un assenso e ringraziò l'albero, portando lo strumento con sé.

— Che cattiva, perché l'ha portato via? – domandò Klaus, interrompendo la nonna.
— La ragazza non sapeva che quell'albero fosse Markus. Ma sapeva che quel violino era di Markus. Non aveva mai conosciuto quel bambino o forse non si ricordava di lui. Le piaceva una persona così libera e voleva avere qualcosa di suo. – rispose la vecchina, sorridendo amorevolmente.

Arrivò l'alba di un nuovo giorno.
L'aria era un po' più frizzante del giorno precedente e Markus si sentiva solo, sensazione molto strana per lui che aveva agognato la solitudine per lungo tempo.
Avrebbe voluto rivedere quella ragazza, era sicuro che se fosse accaduto avrebbe anche rivisto anche il suo violino, e forse avrebbe saputo qualcosa in più sui suoi genitori.
Improvvisamente la sua felicità era svanita.
Neanche diventando un albero aveva potuto cancellare la sua colpa di essere nato uomo:
aveva fatto morire di dolore i suoi genitori, era un assassino anche lui, esattamente come tutti gli uomini.
Eppure la natura l'aveva accolto così bene tra i suoi figli.
Ma lui era stato egoista quanto gli altri uomini, non aveva tenuto in considerazione l'amore che i suoi genitori provavano per lui e li aveva uccisi.
Aveva pianto lacrime su lacrime di resina, quella notte aveva piovuto un po' ed ora faceva più freddo del giorno precedente.
Markus avrebbe voluto rimediare ai suoi errori e tornare indietro, ma non poteva.
Sarebbe voluto tornare a muoversi, voleva conoscere gente per farsi raccontare dei suoi genitori, voleva vederli nelle foto, almeno avere la possibilità di andare al cimitero per far loro visita.
Perso in quei pensieri tristi non si accorse che la ragazza era tornata.
Aveva Sigfrid tra le braccia e si era avvicinata fino a cogliere la resina dalla ruvida corteccia con le dita.

— Perdi sangue. – mormorò – Allora anche gli alberi soffrono. – sentenziò sconfortata

– Esisterà al mondo un essere incapace di soffrire? Comincio a perdere le speranze, sai? La vita non è mai stata peggiore come ora. Solo adesso mi rendo conto che tutto quel che ho fatto non è valso a nulla, mi ritrovo con un pugno di mosche in mano. 
Si voltò a guardare la cittadina sotto di lei e Markus avvertì chiaro l'istinto di abbracciarla, ma ovviamente non poteva muoversi.
Avrebbe voluto consolarla ma così, in quella condizione di totale immobilità si sentiva perfettamente inutile.
A cosa servo? Ho ucciso i miei genitori e non posso consolare una creatura che soffre.
La ragazza guardò il violino, indicandolo con un sorriso mesto — Sai, quando mia madre lo ha visto, per poco non le prende un colpo. Mi ha chiesto dove l'ho preso, era davvero agitata! Poi ha visto l'iscrizione ed anche lei è scoppiata in lacrime. Pare fosse amica della mamma di Markus quando siamo arrivati qui e l'abbia assistita finché non è morta. Povera donna... 
L'albero sentì il senso di colpa crescere dentro di sé ed infine in tutta la sua umana prepotenza, sentì il desiderio di tornare uomo farsi spazio in lui.
Ma che diavolo sto pensando?

Sono diventato un albero perché lo volevo io, ho fatto soffrire i miei genitori per questo, li ho uccisi per il mio grande desiderio, ed ora...?

Rinuncerei al mio sogno così?

Per cosa?
Tutte queste domande erano inutili, lui lo sapeva: l'istinto era rimasto tale, lui aveva mutato solo la sua fisicità. Fondamentalmente non era cambiato affatto.
Gli esseri umani sono mutevoli, questo lo sapeva anche lui, l'aveva osservato da bambino.
Eppure lui era un albero da tempo, perché pensava ancora da umano?
Sapeva la risposta ma non voleva ammetterlo.
Non voleva ammettere che era nato uomo e che dentro di sé lo era sempre stato.
Che le sue emozioni erano così mutevoli per via della sua natura, del suo istinto volubile.
Oh, no...
Cominciò a pensare di avere sbagliato tutto, disperandosi per aver condannato le due persone più importanti della sua vita per soddisfare una scelta egoistica.
Non aveva capito nulla, avrebbe dovuto accettarsi e cercare soltanto di essere migliore degli altri, senza giudicare le azioni altrui, rimanendo coi piedi per terra.
Magari avrebbe potuto fare comunque qualcosa per la sua adorata natura.
Forse avrebbe fatto meglio.
Che stupido era stato.
Un vero egoista.
Un vero uomo.
La sua tristezza prese possesso di ogni sua minuscola cellula e, quando la ragazza disse— Si è fatto tardi, devo andare. – avvertì forte il bisogno di chiederle di rimanere, di parlare ancora a lui.
Voleva aprire la bocca ma non ne era più dotato.
Che tristezza, che senso di impotenza, quale smarrimento stava provando adesso!
Eppure fino a pochi giorni fa era così felice della sua condizione.
La ragazza si allontanò giù per il sentiero e lacrime di resina ripresero a scendere, stavolta come una piccola cascata, dalla sua corteccia.

— Markus soffrirà per sempre? – chiese Klaus e la nonna sorrise — Sei un po' troppo curioso! 
Il bimbo cacciò la lingua— Lo so... è che... è una storia molto triste. 
— Già.

La vecchina guardò la sua gonna scura e strinse le mani attorno al bicchiere.
Poi alzò il viso e riprese a raccontare.

Passarono diversi giorni ma la ragazza non tornò da Markus.
L'albero sentiva premere in maniera sempre più insistente nelle sue viscere il desiderio di muoversi per andare a cercarla, ma ovviamente non poteva spostarsi e ne soffriva molto.
Cominciò a maledire sé stesso ed il suo sogno di bambino.

Sono stato uno stupido.


 


Rieccoci qui, per l'aggiornamento del lunedì! 
Non so se siamo ancora nel periodo della Merla, però fa un freddo atroce... ieri sera ha nevischiato dalle mie parti mentre nei monti vicini c'era uno strato di neve che sembrava cotone *_*
Bello. Bello ma fastidioso... spero domani non ci siano fastidi, più che altro per andare e tornare dal lavoro.
La settimana è stata molto meno produttiva del solito, colpa della mia passione per, ehm, i videogiochi (si, alla mia età!) che mi ha tenuta incollata a mandare avanti Dragon Age.
Ma questi sono dettagli, no? ^^'
Proprio per questo motivo preferisco sempre scrivere e corregge le storie prima di pubblicarle: conosco la mia mente farfallona, sono capace di non scrivere per mesi e riprendere da dove avevo lasciato così, come se avessi finito mezz'ora prima.
Che dire? Ringrazio _Fedra_ che mi segue dall'inizio, da prima di pubblicare. La mia unica sostenitrice, al momento, eheh!
Buona settimana!

- A.

 

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Capitolo 5
*** La fine della storia ***


5. La fine della storia
 
“Quanto smarrimento
d’improvviso dentro sé
quello che solo un uomo senza donna sa che cos’è
e allungò i suoi rami per toccarla.”
Favola – Eros Ramazzotti
 

— Ei. Ei, svegliati!
Nonostante non vedesse ancora nulla, capì: qualcuno doveva aver trovato la ragazza, agitandola tra le sue radici per svegliarla, per questo si sentiva smuovere.
Eppure... eppure... sento tanto caldo.

C'è un incendio?
Improvvisamente avvertì il mondo capovolgersi, il suo fusto era morbido e i suoi rami piegarsi e ciondolare morbidi — Ragazzo, vuoi svegliarti? Avanti!
...ragazzo?
Markus credette di sognare quando aprì gli occhi e si rese conto di guardare gli alberi da un'altra angolazione, molto più bassa rispetto ai suoi canoni.
Era steso a terra e credette di essere stato tagliato via dalle sue radici, ma non poteva essere, non avvertiva nessun dolore lancinante.
Inoltre l'avevano chiamato ragazzo.

Era confuso.

— Finalmente hai aperto gli occhi! Ce la fai ad alzarti? – domandò la voce della ragazza, sempre lei, che ora gli sorrideva preoccupata.
Avvertì il suo corpo indolenzito ed un torpore nuovo che si era impadronito delle sue membra, portandogli alla mente ricordi passati di quando si svegliava nel suo letto con la febbre e dolori ovunque.

Fece per muovere gli occhi ed invece si rese conto che il suo sguardo aveva angoli più ampi da esplorare: stava muovendo nuovamente la testa.
Le ossa del collo produssero un secco scricchiolio, abbassò il capo e poté guardarsi di nuovo il torace, non riconoscendo quel corpo da giovane uomo che aveva adesso.
Provò a puntare le braccia per alzarsi in piedi ma queste cedettero subito, facendolo cadere sui gomiti.

— Stai attento, potresti farti male!– esclamò lei, preoccupata.
Adesso Markus poteva guardarla meglio e sentì un calore sul viso: quella ragazza era davvero carina.

— Come ti chiami?– gli chiese.
Il ragazzo aprì bocca per parlare ma non uscì nessun suono, avvertendo ad un tratto la gola secca ed una sete improvvisa.

— Dai, non preoccuparti. Adesso stenditi, sembri molto stanco. Ma da dove sei sbucato, mi domando.
La ragazza aveva la strana certezza di aver trovato una persona a lei famigliare e Markus si sentiva felice: rivedeva dopo tanti anni il mondo dalla sua angolazione naturale, quella che aveva tanto rimpianto e desiderato negli ultimi tempi.
Poteva girarsi e muoversi, seppur con molta cautela visto il troppo recente recupero delle originarie funzioni vitali. Era rinato.
Non riusciva ancora a parlare ma cercò comunque di schiarirsi la voce, sforzandosi di urlare per farla uscire.
D'improvviso riuscì a produrre un flebile suono, quasi impercettibile, e la ragazza sembrò felice — Evviva, allora non sei sordomuto, puoi parlare!
Lui la guardò stupito: perché mai una persona era così contenta per questo?
Neanche sapeva che lui era quell'albero al quale aveva parlato per giorni, confidandogli a poco a poco frammenti della sua vita che gli avevano permesso di affezionarsi a lei, l'unico contatto umano dopo tanti anni, forse l'unico che aveva agognato da... da quando?
Flebilmente lui disse il suo nome e la ragazza batté le palpebre, incredula — Che cosa....? Ti chiami... Markus?
Lui annuì e lei fu scossa da un brivido, osservandolo meglio. Il suo sguardo gli stava ponendo proprio la domanda fatidica e lui annuì, indicando il posto vuoto dove risiedeva fino alla notte precedente, per poi puntare il dito sul suo petto, indicandosi.

Quella restò a bocca aperta. Non gli avrebbe mai creduto, ma effettivamente quella pianta sembrava sparita nel nulla. Non c'era nessun buco del terreno che indicasse la presenza di radici, non era venuto nessuno nella notte per segarlo via, lei stessa si era svegliata esattamente dove si era addormentata.

Seppur molto scettica, non aveva elementi per sostenere il contrario.

— E dove sei stato tutto questo tempo? Ti hanno cercato tutti. – domandò, anche se ancora poco propensa a credergli. La sua razionalità la bloccava.
Lui annuì — ...so

— Come fai a saperlo? – era ancora guardinga.
— Tu...– disse solo indicandola con la testa, incapace di proferire altro verbo a causa di una tosse improvvisa.
La ragazza assunse un'espressione interrogativa — Io cosa? Io non ti ho mai visto. –
ci pensò su – Vuoi dire che tu abitavi sugli alberi e mi hai sentito? – domandò, imbarazzata. Era arrossita al pensiero che un matto che viveva sugli alberi avesse sentito spezzoni della sua vita privata.
Lui scosse la testa in segno negativo — Ero... – e indicò di nuovo lo spiazzo, ora vuoto.
Lei sbottò a ridere — Dai, non mi prendere in giro! Non potevi essere quell'albero, com'è possibile? 
Lui indicò il posto dov'era piantato poco prima e sorrise, sapendo d'avere ragione

— ...oto – disse solo e lei non poté rispondere. Le prese una mano, che lei gli strappò via per lo spavento. Markus aggrottò le sopracciglia chiare e gliela afferrò con più forza, poggiandosela sulla spalla. La ragazza, timorosa ed imbarazzata, dapprima non se ne rese conto, ma poi si accorse che la pelle di lui era dura.
A quel punto, stupita ed incredula gli prese la mano, premendo e tastando bene la pelle per saggiarne la consistenza: era calda, sì, ma ruvida come fosse corteccia, la stessa che lei aveva accarezzato durante quei giorni.
Resasi conto della situazione si alzò, allontanandosi spaventata — Mio Dio... Non è possibile, tu...tu, sei davvero lui?
Markus cercò di avvicinarsi, cercando di trascinarsi con mani tremanti, e lei si accorse di quanto era innocuo, provando una gran pena quando lui le fece capire di voler vedere sua madre e suo padre, che ormai erano morti da tempo. Il viso del ragazzo era il ritratto della tristezza, non le incuteva più timore nonostante sembrasse molto alto, ma in quel mentre la sua prestanza fisica era davvero ridotta a quella di un nascituro.
— Veramente... – fece per replicare lei alla sua richiesta, subito bloccata da lui, che la precedette —... so. Morti.

La ragazza si portò le mani alla testa, appoggiandosi contro un albero con la schiena.

Inspirò forte, espirò, incrociò le braccia al petto ed alzò il naso all'aria, guardandolo dopo quella che sembrò un'acuta riflessione — Penso che crederti sia l'unica cosa che io possa fare. Ma non dobbiamo dirlo a nessuno, va bene? Non ti crederebbero. Diremo che sei tornato e basta da non so quale posto lontano, ok?
Lui annuì e poi si guardò attorno, mormorando — ...frid. Si...
Lei si voltò di scatto e trovò il violino vicino a sé. Lo prese con delicatezza e lo depose tra le braccia di lui lentamente, quasi avesse paura che Markus non riuscisse a tenerlo.
Difatti i suoi arti tremanti crollarono a terra, ma poco dopo riuscì a portarselo al petto, seppur con difficoltà. Le sembrò una cosa buona: probabilmente stava recuperando energie.

Markus fece per mettersi seduto, cercando in qualche modo di piegare le lunghe gambe — Vuoi una mano? – domandò l'altra.
— No. 
Riuscì ad incrociare le gambe ed aprì la custodia del violino dopo averci armeggiato qualche istante, tanto che si richiuse una volta prima di riuscire a fissarla e tirare fuori lo strumento che quasi gli cadde dalle mani. Goffamente, Markus se lo pose sulla spalla, cercando di poggiarvi sopra il mento, senza riuscirvi.
— Mmm...glio... ima. – sospirò e ripeté – Prrrr... ima.

Nonostante le difficoltà, il ragazzo ridacchiò, felice della sua forma riconquistata e la ragazza rise con lui, che si voltò rendendosi conto sola ora di non sapere nulla di lei

— N... me? – la indicò e disegnò in aria un punto di domanda – Nnnn... me? ...ome? – ripeté.
— Rebecca. – rispose lei, sentendosi stupida per non aver capito subito cosa volesse. 
Markus piegò la testa di lato senza dire nulla, poi provò a tenere l'archetto senza riuscirci. Sospirò quando quello gli cadde tra l'erba, ma la sua espressione non fu certo quella di uno che avrebbe lasciato perdere.

Ci avrebbe sicuramente riprovato, anche a breve, secondo Rebecca.

Seguì un momento di silenzio e lui poggiò il violino a terra, per poi guardare la cittadina sotto di loro. Mosse indice e medio in aria, facendole capire di voler camminare.

— ...sa. Caaaa... ssa. ...Sa. – disse, accompagnando il gesto.
Lei mosse la testa verso di lui — Vuoi tornare... a casa? Ora?! – precisò, sconfortata dalla sua mole. Era più alto della norma e sicuramente lei non sarebbe riuscita a trasportarlo da sola.
Lui annuì, sorridendo. 

— E quindi?– domandò Klaus alla nonna.

— Beh,quindi i due scesero la montagna grazie all'aiuto di alcuni falegnami e tornarono in paese. Quando tutti videro Markus ne furono sorpresi, essendo convinti che fosse morto. Ovviamente Rebecca non volle trasferirsi con i suoi e rimase lì con lui, ebbero una bella famiglia e Markus imparò ad accontentarsi di quel che la vita gli offriva. Si batté per diverse cause a favore della natura, ma queste sono tante altre storie.
Il suono del campanello interruppe la vecchina, che dovette alzarsi per andare ad aprire e a Klaus venne un dubbio.
Prima che sua madre piombasse preoccupata come al solito nella sua cameretta,riuscì a scendere dal letto per avvicinarsi al suo violino e verificare i suoi dubbi sulla cassa dello strumento.
C'era proprio inciso quel nome: Sigfrid.
Sua nonna se ne stava appoggiata alla porta quando sua madre fece irruzione nella piccola stanza inondata di sole e lo prese in braccio, inondandogli il viso di baci, lasciando così tracce del suo tipico rossetto color ciliegia —Amore di mamma, come stai?
— Bene, nonna mi ha raccontato una bella storia! – rispose quello.
— Davvero? Che bravo bambino sei. – sua madre gli carezzò i capelli, annunciando
– Sai che mamma si è presa tutto il pomeriggio per stare insieme a te? Sei contento? Anche papà rientra prima, così stiamo tutti insieme.
— Davvero? Che bello! – esclamò il piccolo, allargando le braccia in aria e la donna lo abbracciò più forte, timorosa che qualche imprevisto potesse portarlo via.
Il bambino venne deposto di nuovo nel suo lettino e guardò la nonna con aria complice, avendo intuito la questione. La vecchina ricambiò il suo sguardo,fingendo indifferenza.
Poi guardò una delle tante foto appese fuori dalla sua camera di lei e suo nonno da giovani.
Sua nonna aveva lunghi capelli scuri, mentre suo nonno era molto alto ma simile a lui nei colori.
Nel mentre che sua madre andò in cucina, il piccolo continuò ad osservare con insistenza sua nonna, tanto che questa dovette finalmente dirgli qualcosa.
— Mantieni il segreto. – sussurrò la vecchina, portandosi un dito alla bocca e strizzando un occhio al bimbo, che annuì dandosi un'aria importante — Nonfiaterò nonna, promesso. – sentenziò, incrociando i due indici e stampandovi sopra un bacino che suggellava il giuramento.
Dalla cucina sua madre disse — Amore, vuoi venire a cucinare con mamma? 
— Sì! – esclamò felice Klaus, scendendo zoppicante dal lettino, seguito a vistadalla nonna per impedire che si facesse male.

“Capì che la felicità non è mai la metà di un infinito.
Ora era insieme luna e sole, sasso e nuvola
era insieme riso e pianto o soltanto era un uomo che cominciava a vivere.
Ora era il canto che riempiva la sua grande immensa solitudine
era quella parte vera che ogni favola d’amore
racchiude in sé per poterci credere.”
Favola – Eros Ramazzotti



 
E con ciò siamo giunti alla fine della storia. Spero vi sia piaciuta e vi abbia fatto venire un po' voglia di fare una passeggiata tra i monti ;)
Markus ha intrapreso una vita normale nonostante tutti gli sconvolgimenti che egli stesso ha causato. Come si evince dal testo, è riuscito nella sua "impresa", generando addirittura una famiglia.
Ringrazio molto _Fedra_ per il supporto e l'incoraggiamento per continuare a pubblicare non solo questa storia ma anche un'altra che molto probabilmente vedrà la luce questo stesso pomeriggio.
Buona settimana a tutti.


- A.

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