W&P

di Dont_Cry_Kla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo Primo ***
Capitolo 2: *** 2. Prologo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo primo ***
Capitolo 4: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 5: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 6: *** Capitolo quarto ***



Capitolo 1
*** 1. Prologo Primo ***


è la terza volta che comincio a scrivere queste note, poi mi alzo un attimo e qualche idiota chiude la pagina senza che io potessi salvare, non posso credere di esserci riuscita. 

Comunque vecchia storia, vecchio titolo. Perchè postarla di nuovo? Non è più pratico correggere semplicemente i capitoli della vecchia storia? No! Semplicemente perchè erano orribili e pieni di errori, gli errori di una ragazzina che non sono più. Spero dunque che qualcuno sia disponibile a leggere (di nuovo) questo parto di una mente malata (o semplicemente troppo sognatrice). Giusto un paio di precisazioni prima di cominciare:

1. La trama è mooooolto OOC, è probabile quindi che i personaggi possano essere diversi da quelli che vi immaginate e che possano fare o dire cose che nella versione originale non sarebbero possibili.

2. A causa del punto 1 potrebbero esserci linguaggi scurrili e/o temi delicati.

***

Prologo Primo
Quella mattina 

Quella mattina mi svegliai più stanca del solito; forse perché avevo dormito malissimo o forse perché per tutta la notte una sola immagine mi era girata per la testa: quell’uomo, mentre tornavo a casa, stava fissando proprio me. Ad essere sincera la cosa un po’ mi inquietava ma probabilmente era solo una mia impressione, almeno di questo avevo cercato di convincermi per tutta la notte.

Mio fratello John dormiva beato nel suo lettino. Com’è bello quando sei piccolo e non ti devi preoccupare di niente, nè dell’ennesimo 4 al compito di matematica, nè del tipo di 5 B che non ti fila proprio e che probabilmente non lo farà mai. Il problema è che prima o poi si cresce.

Quanto avrei dato per restare per sempre un ragazzina di sedici anni, se fosse stato possibile anche di otto, ma non credevo che avrebbero inventato a breve una macchina del tempo.

Prima di uscire avevo litigato di nuovo con mamma e papà, non ne volevano proprio sapere di comprarmi il cellulare nuovo, visto che quello che avevo era vecchio, per non dire antico, mentre i miei compagni, perché di definirli amici non era il caso, avevano tutti I-Phone e Galaxi S. Ed io? Io sarei stata sempre quella relegata all’ultimo banco.

-Se ti giudicano per il telefono che usi, non sono degni di essere amici tuoi.

dicevano sempre, e forse avevano ragione, ma la cosa che mi dava fastidio era che non avevano esitato a comprare un computer nuovo a Michael, il “genio”, non si rendevano conto che lui aveva sempre la vita facile perché era bravo a risolvere qualche equazione? C’erano momenti in cui mi sentivo un estranea in casa mia.

Guardai l’ora: le 7.50: era tardissimo ed io ero ancora in pigiama.

Mi preparai in fretta, misi la prima cosa che mi capitò a tiro ed uscii senza fare colazione, mi ricordai di non aver preparato nemmeno la cartella: pazienza sarei andata a scuola con i libri di venerdì.

Come al solito feci tardi e litigai di nuovo con il custode che non mi voleva far entrare -La prego sono solo le otto e dodici- lo supplicai quasi, ma lui irremovibile mi rispose che alle otto e dieci precise si chiudevano i cancelli e che non si facevano eccezioni. Non ci voleva proprio, avrei dovuto essere interrogata, se fossi entrata alla seconda ora tutti avrebbero pensato che avessi voluto saltare l’interrogazione, tanto valeva bigiare.

Andai verso il portone e i miei pensieri continuarono a vagare incontrollati mentre aspettavo il pullman per arrivare in centro.

Perché avevo dei genitori che sembravano del tutto insensibili a quello che mi passava per la testa? Perché avevo dei compagni che mi trattavano come se fossi una nullità? Nessuno si preoccupava di conoscermi meglio, nessuno sembrava capire che a volte le parole potevano ferire più di cento spade, o probabilmente lo avevano capito benissimo.

Accesi l’ MP3 ritrovando l’ultima canzone che stavo ascoltando Scivoli di nuovo ancora come tu fossi una mattina da vestire da coprire… Questa era proprio la mia canzone, mai parole più azzeccate.

Mi chiesi perché me la prendevo con gli altri, forse ero io che ero del tutto sbagliata; troppo diversa per un mondo che non ammetteva cambiamenti, ci sarebbe stato mai un posto in quell’ universo per me?

Mi persi talmente tanto nei miei pensieri che non mi resi conto che il bus era passato ed io non l’avevo preso: di male in peggio. Mi guardai intorno, strano che a quell’ora non ci fosse nessuno per strada, forse era colpa del brutto tempo, certo quei nuvoloni non invitavano di certo ad uscire, mi pentii di non aver preso un ombrello.

Ad un tratto sentii qualcosa muoversi dietro di me, mi girai ed il cuore iniziò a battere più del normale: era l’uomo che mi guardava ieri sera mentre tornavo a casa.

-Wendy, giusto?- Lo sentii dire, aveva una bella voce, profonda calma, quasi sensuale.

Mi accorsi che lo stavo fissando come un ebete da un po’ troppo tempo allora, con un filo di voce, cercando di mascherare il mio terrore, gli dissi di si. Mi sorrise beffardo, aveva un bel viso: giovane, ma segnato da chissà quali sventure. Delle ciocche di capelli neri uscivano dal cappuccio. Era vestito in modo strano, non si vedeva bene, ma sembrava uno di quei vestiti ottocenteschi, di un bel rosso porpora. C’era un dettaglio, però, che attirò la mia attenzione, un dettaglio che, da come provava a nasconderlo, non voleva che io vedessi: al posto della mano destra brillava ,alla luce di quei raggi di sole filtrati dalle nuvole, un uncino.

***

Capitolo iniziale, un po' corto in effetti, qui troviamo la mia Wendy, adolescente inquieta, mezza inglese e mezza italiana, pessimo rapporto con i genitori e con i compagni che la considerano un po' snob per la sua aria da "inglesina". Abbiamo anche un piccolo assaggio del mio Hook che come ben sappiamo non fa nulla per nulla. 

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Capitolo 2
*** 2. Prologo secondo ***


Per vostra sfortuna sono tornata, lo so che è passato pochissimo tempo, ma voglio postare tuttti i capitoli a mia disposizione in fretta in modo da poter cancellare la storia vecchia.

***

Prologo secondo
Era tanto tempo fa...

L’ennesimo schizzo d’acqua mi colpì in viso, Mildred si alzò su uno scoglio per attirare la mia attenzione

-Peter! Dai tuffati con me- la sua voce grondante malizia, che per gli altri era come musica, giungeva alle mie orecchie come un ammasso di rumori indistinti, forse perché era un pesce, anche se a dirla tutta era davvero bella per essere un pesce, bhe non proprio un pesce: Mildred era una sirena; mezzo pesce e mezza umana, e neanche la metà migliore a dirla tutta, in certe situazioni avrei fatto volentieri a meno di quella faccia per sostituirla con qualsiasi altra parte del corpo.

Le sue urla si sentivano per tutta l’isola, meglio zittirla prima che mi vedessi costretto a tagliarle le corde vocali con lo spadino, e no, non era un doppio senso.

 - NO! Milly adesso non ne ho voglia, magari domani!!-

-Ma Pity è una vita che dici domani!- Bekie era uscita dall’acqua e mi guardava con uno sguardo che non si poteva definire innocente.

Anche lei come tutte le sirene era terribilmente superficiale non pensava ad altro che a divertirsi. Spesso pensavo che fossero davvero dementi, come ripeteva in continuazione Campanellino.  Chissà che fine aveva fatto. Era passato quasi un anno dall’ultima volta che l’avevo vista, assurdo come mi fossi staccato da tutto ciò che un tempo era la mia vita. Al porto girava voce che fossi morto, ed in parte era vero;  Peter Pan era morto quella maledetta notte in cui gli era caduto il mondo addosso. Non sapevo bene chi fosse la persona che si rifletteva nell’acqua in quel momento, ma di certo non era più il ragazzino che volava con le fate.

- Pete manda via questa stupida fata!-

Non capii bene chi fosse stato a parlare perché una folata di polvere dorata mi inondò il viso ed un piccolo esserino alato iniziò a parlare:

-Come temevo. Non voli nemmeno se ti inondo con la polvere di fata. Come ti sei ridotto?-

Campanellino. La mia Campanellino. La solita irritante Campanellino. Non l’avrei mai detto, ma mi era mancata.

-Da quanto tempo, allora è vero che chi non muore si rivede- Risposi. La guardai con molta calma, sapevo che prima o poi sarebbe venuta a cercarmi,  mi stupii che non l’avesse fatto prima o che non l’avessero fatto i bimbi sperduti, d'altronde se avessero voluto mi avrebbero trovato facilmente. Forse la mia fata glielo aveva impedito, sapeva come mi sentivo e per questo l’ammiravo, ma ormai doveva aver deciso che era il momento di tornare a casa.

-Noto con piacere che almeno la tua ironia non se ne è andata- Il suo viso era serio, qualcosa mi diceva che questa non era una visita di cortesia –Wow! Devi essere proprio disperato- disse indicando le sirene, che intanto continuavano a schizzarsi, incuranti di cosa accadeva intorno a loro  -Non sono così male, sorridono sempre e non fanno domande- ribattei

Camminai fino ad una spiaggetta isolata dietro il golfo delle Sirene, lì mi voltai verso di lei e le dissi: -Non tornerò a casa se è questo che vuoi dirmi-

-Tranquillo, non è per questo che sono qui-

-Sputa il rospo allora-

-Vedi si tratta di...Uncino- una fitta di dolore mi prese lo stomaco al sentir pronunciare quel nome. In quell’arco di tempo avevo provato sensazioni che non sapevo nemmeno di poter provare, ed erano tutt’altro che piacevoli  -Cosa ha fatto quel verme schifoso?- strinsi i pugni e non mi preoccupai di mostrare tutta la rabbia che opprimeva i miei polmoni da troppo tempo ormai. Inspirai profondamente e le feci cenno di continuare -Vedi… sull’isola ultimamente è arrivato un altro bambino sperduto, una ragazza precisamente…  Wendy, credo si chiami Wendy-

Un nuovo bambino sperduto sull’isola ed io non ne sapevo niente?

-Credo? Che vuol dire “Credo si chiami Wendy”? Non si usa più chiedere il nome ai nuovi arrivati?- una volta c’erano delle regole, regole che mi impegnavo a far rispettare, erano necessarie perché non si diffondesse il caos.

-Non se il “nuovo arrivato” non è affar nostro-

-Da quando i bambini che arrivano sull’isola non sono affar vostro?-

-Da quando non ce li portiamo noi-

 -E chi ce l’avrebbe portata? Uncino?- pronunciare quel nome mi faceva ancora male e soffrii ancora di più quando la vidi annuire.

-Meglio che te ne vada, non sono qui per risolvere i tuoi problemi- i suoi occhi si fecero tristi, e per un attimo smise di battere le ali, lasciandosi cadere, fino ad arrivare alla mia spalla, sapevo di averla ferita e sapevo che non se lo meritava, ere l’essere più vicino ad una madre che avessi mai avuto.

-Perdonami, tu non c’entri, sono io che procuro solo guai- Ci Avevo messo un po’ per arrivarci, ma negli ultimi tempi mi ero reso conto che tutte le sciagure che dovevano sopportare i miei compagni erano causate da me.

-Non è stata colpa tua. Te lo vuoi mettere in testa che è stato un incidente?- Mi rispose, come se mi stesse leggendo nel pensiero, tuttavia queste parole mi irritarono ancora di più: gli facevo pena e io non volevo la pietà di nessuno
-Non dire stupidaggini! Lo sanno tutti che è stata colpa mia. Lo potevo salvare! Potevo, ma non ne sono stato capace- una lacrima solitaria mi rigò il viso- Ed ora basta non voglio la tua pietà- Le lacrime continuavano a scendere contro la mia volontà, volevano vedere il sole da troppo tempo per trattenerle oltre.

-Tu non mi fai pena! Mi fai soffrire. Non vedi come ti sei ridotto? Stai perfino… crescendo- Pronunciò l’ultima parola quasi con disgusto. Un altra cosa vera, non ci avevo mai pensato, ci sarei dovuto arrivare da solo, i vestiti mi andavano strettissimi, la mia voce era cambiata, provavo desideri che fino a poco tempo fa trovavo disgustosi. Stavo crescendo. Ma com’era possibile?
-Non si può crescere qui- asserii solo per convincermi, ma nella mia voce non c’era niente di convincente -Certo che si può, guarda i pirati. Si cresce se si perde la voglia di giocare, la curiosità, l’innocenza. Mi dispiace dirlo ma tu queste cose le hai perse da un pezzo-

-Non dire sciocchezze.- protestai.

-Perché dovrei trovare questa tipa? E non dico che lo farò- speravo di cambiare discorso senza che ne accorgesse, e ci riuscii. Il suo viso si illuminò, sapeva che non ci avrebbe messo molto a convincermi –Vedi, dovresti convincerla a tornare a casa sua-

-Tornare a casa? Ma se è qui vuol dire che ci deve stare-

 -La sua storia non è come la tua: lei ha una famiglia che le vuole bene e che prima o poi soffrirà per la sua assenza, anche se il tempo passa in modo diverso. Non è giusto che per un momento di smarrimento rinunci alla sua vita- in effetti questa possibilità non l’avevo considerata, un'altra cosa alla quale non avevo mai pensato, per me questo era sempre stato l’unico mondo, invece ce n’era un altro: un mondo dove i figli crescevano con i genitori, un mondo dove si diventava adulti, un mondo che mi era appartenuto un tempo, ma tanto tempo fa che nemmeno ricordavo com’era fatto.

-Dove dovrei trovarla secondo te?- Lei doveva tornare a casa, volente o nolente, se aveva avuto la fortuna di poter essere felice nel suo mondo, non c’era motivo per cui avrebbe dovuto cercarla altrove. In fondo se Campanellino si prodigava così tanto un motivo ci doveva essere.

-C’è chi dice di aver visto un viso nuovo al porto, con i pirati- mi disse raggiante. Tanto al porto ci sarei andato comunque - E come faresti tu ad avere queste informazioni?

- Credi che una fata abbia solo polvere magica e un paio d’ali?-

-C’è altro?- domandai prima di congedarmi.

-Le somiglia Pete, te la ricordi?- rimasi impietrito dopo quella affermazione, un mare di ricordi presero il sopravvento, ricordi di una vecchia amicizia, dei primi sorrisi, dell’unica persona che a malincuore ho dovuto lasciare andare.

-Ci sono legami?-

-Forse qualche lontana discendenza, ma non ne sono sicura-

-È possibile che sia una trappola?-

-Non ne ho la certezza ma stai attento, di Hook non ci si può fidare-

Wendy, quel nome risuonava come un’eco lontano, il soffio di una vita passata, quanti anni erano trascorsi da allora? Cinquanta? Cento? Non ne avevo idea. Il tempo scorreva in modo diverso sulla Terra e le mie visite  in quel posto erano terminate da un po’.

Le feci cenno di andarsene, avevo bisogno di pensare, e mi voltai per fare ritorno al golfo ma lei mi chiamò: -Ah Piter, se scopro che sei andato di nuovo a ubriacarti al porto te la vedrai con me e sai cosa sono capace di fare- mi fu spontaneo sorridere, mi era mancata la sua apprensione.
Il sole era già tramontato oramai, a quell’ora la gente che di solito frequentava il porto era già troppo ubriaca per potermi essere minimamente utile, avrei fatto meglio ad aspettare il giorno dopo. Dopo aver racimolato qualche cosa da mangiare, andai a dormire, conscio che quella riunione non avrebbe avuto un bell’effetto sul mio riposo.

Nonostante non avessi dormito per niente quella mattina mi alzai di buon’ora, mi incamminai con la testa ancora in quella maledetta notte, non passava momento che non fosse tormentato da quei ricordi,  non c’era sogno che non avesse il suo viso. Mi ricordavo tutto, le urla, il coccodrillo, il sorriso malefico di Hook, lo sguardo terrorizzato di Campanellino, il sapore amaro del sangue nella mia bocca, il corpo di Matt privo di vita.

Matt era il mio migliore amico, ed era morto per colpa mia, se solo non mi fossi distratto, se solo gli avessi impedito di venire con me, se solo non mi fossi gettato in gioco più grande di me, in una battaglia da adulti, io che volevo essere giovane per sempre.
Feci cose che un bambino non avrebbe mai dovuto fare, supposi fosse stato lì che cominciai a crescere, quella notte la mia anima perse tutta la sua innocenza, si macchiò di un crimine che nemmeno il più vile dei pirati avrebbe dovuto commettere; quell’uomo pagò col sangue per qualcosa che non aveva fatto. Non mi perdonai mai per quello che feci. 

***

Ecco il mio Peter, che come è evidente sta crescendo, anche se contro la sua volontà. Mi sono sempre chiesta come mai i pirati e gli indiani crescessero e questa è la mia personale spiegazione della cosa. Anche Campanellino è diversa, è la figura materna della quale ogni bambino ha bisogno, e Pete non è escluso. 
Io ho finito, spero di sapere quello che ne pensate, perchè per migliorare c'è bisogno degli altri e non c'è niente di più triste che passare inosservati *tipo depresso con la bottiglia di Rumh in mano*

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Capitolo 3
*** Capitolo primo ***


Faccio schifo, sono un mostro avrei dovuto postare secoli fa e non l'ho fatto, ma per disperazione ho riscritto questo capitolo e tra l'esame e altri casini che sono successi non ho avuto tempo di scrivere. Beh eccolo qui. Buona lettura

Capitolo primo
 Roba da pirati 

Fui sorpresa di trovarmi Spugna davanti che mi avvisava che il capitano voleva vedermi, innanzitutto perché in due settimane di permanenza su quella nave non aveva mostrato nessun interesse particolare nei miei confronti. Nonostante fossi sicura che non fosse il tipo di persona che agiva senza un motivo, faticavo ancora a capire come mai mi avesse voluta lì, su quell’isola.
La cabina del capitano era quella più distante dal ponte, scelta insolita visto che da quel punto era completamente isolato dal resto della nave, nel caso succedesse qualcosa.
Camminai a passo svelto per i corridoi fino a giungere davanti alla sua porta, dall’interno si sentiva un pianoforte suonare una strana melodia, simile ad una vecchia canzone un po’ stonata, esitai un attimo in più a bussare e qualcuno dietro di me mi urlò ridendo di non starmene lì impalata, ero certa che il capitano mi avesse sentito perché smise di colpo di suonare e poco dopo mi invitò con poca gentilezza ad entrare. Spinsi la pesante porta in legno e mi ritrovai in un ampia scala tutta in penombra, illuminata da poche candele poste sullo scrittoio e su un tavolo ricoperto di scartoffie. Uncino si trovava su una sedia vicino al pianoforte, seduto in maniera scomposta con la schiena appoggiata ad un bracciolo ed i piedi che pendevano dall’altro. Era a petto nudo e questo metteva in evidenza le numerose cicatrici che aveva sul torace, un sigaro pendeva dalle labbra, emettendo un sottile filo di fumo. Era bello, non bello nel senso comune del termine, insomma le mie compagne di classe lo avrebbero definito un barbone, tuttavia inserito in quel contesto era perfetto.
Ero intimorita da quella presenza così austera, anche se molti avrebbero detto semplicemente “pericolosa”,  e non sapevo esattamente come comportarmi, limitandomi a ciondolare su un piede, comportamento che doveva risultare particolarmente buffo, perché per un attimo nei suoi occhi apparve una scintilla di divertimento.
-Che stai facendo?- mi chiese. In quel momento avrei voluto sprofondare, avevo fatto la figura della bambina spaventata
-Io…Niente signore, perdonatemi- mormorai abbassando la testa mortificata.
-Bene, ne sono felice- continuò disinteressato a dare boccate di sigaro, noncurante della mia presenza.
-Beh, in realtà avrei una cosa da dirvi- azzardai intimidita, il capitano alzò la testa e per la prima volta ebbi l’impressione che fosse davvero interessato a quello che avevo da dire – Francamente sono un po’ confusa, signore. Insomma, mi avete fatta chiamare qui, quindi eccomi, eppure mi state facendo fare la figura della cretina perché non ho la minima idea di cosa vogliate, né tantomeno sembrate minimamente interessato alla mia presenza nella vostra cabina. Cosa volete da me?- sbottai innervosita, di tutta risposta il capitano si limitò ad alzarsi per prendere da un mobiletto una bottiglia di rum da cui prese a bere. Non ero una persona calma e soprattutto non avevo molta pazienza, quindi la rabbia cominciò a salire quando mi resi conto che mi stava ignorando, di nuovo.
-Capitano!- urlai.
Finalmente si girò a guardarmi.
-Giusto, che maleducato- tirai un sospiro di sollievo –Ne vuoi un po’?- e mi allungò la bottiglia.
-Mi state prendendo in giro?-
-È così divertente vederti arrabbiata ragazzina, su vieni, accomodati- Impacciata mi sedetti sulla sedia dove prima era seduto lui e attesi che finisse di bere.
-Vedi, Wendy, ci sono delle cose importanti di cui dobbiamo parlare, riguardo la tua permanenza qui- si avvicinò lentamente a me mentre ancora sorseggiava il rum.
-Beh questo lo avevo intuito, capitano- provai a dire, purtroppo il mio cervello fu distratto da una gocciolina di liquore che gli scendeva sulla gola al petto.
Posato il bicchiere, dovette aver deciso di essersi preso gioco di me abbastanza quel giorno, dato che divenne finalmente serio.
-Dobbiamo stabilire delle regole- Uncino si appoggiò al tavolo ed accese un altro sigaro e, mentre fumava, continuò a parlarmi. Io annuii.
-Innanzitutto non potrai lasciare la nave senza il mio permesso. Avrai ben capito che l’isola non un posto per ragazzine ingenue come te-
-Emh…devo…prendere nota?- dalla faccia che fece mi resi conto che forse era meglio stare zitta e continuare ad ascoltare.
-Se io dico di fare una cosa, tu la fai. Se ti dico “scappa” tu scappi! Se ti dico “combatti” tu combatti! Ci siamo capiti?-
-Si signore- Non ero esattamente sicura di aver capito la parte del combattere visto che le poche volte che mi avevano dato un’arma in mano ero riuscita a ferire solo me stessa, ma capii che era meglio non commentare.
-Per ultima cosa, hai bisogno di imparare a difenderti, e visto che le poche volte che hanno provato ad insegnarti hai fatto solo danni, credo che ci voglia un approccio più diretto. Sta sera, dopo cena torna qui, ti spiegherò i fondamentali della scherma.
Non mi sarei mai aspettata un comportamento del genere da parte sua, in realtà non mi sarei aspettata perfettamente nulla da lui, fino a pochi minuti prima ero fermamente convinta di non essere nulla di meno di un mozzo, invece se voleva insegnarmi a combattere poteva significare solo che voleva rimanessi viva quindi o gli importava di me oppure, cosa ben più probabile, gli servivo e da morta non sarei stata un granché utile. La domanda era: a cosa gli servivo?
Mi congedai dopo poco dalla cabina del capitano e mi diressi alle cucine a dare una mano al cuoco a preparare il pranzo, come oramai facevo ogni giorno.
Ad attendermi con un sacco di patate da pelare c’era William, un altro mozzo che, come me, aveva il sogno di diventare un vero pirata. Oh lui si che oggettivamente bello, occhi azzurri e capelli tanto biondi da sembrare quelli dei putti che disegnavano i pittori seicenteschi, forse un po’ troppo mingherlino per essere un pirata ma nessuno faceva mai caso a quel particolare.
-Wendy Moira Angela Darling, sei in ritardo- Mi salutò allegramente quando mi vide entrare. Senza nemmeno darmi il tempo di dargli delle spiegazioni mi allungò un coltello ed il sacco di patate. -Dai che ho dovuto fare io gran parte del lavoro. A proposito mi devi un favore, se non ti avessi coperto forse Cuoco ti avrebbe già sgozzata e messa nel brodo- Sorrisi, era sempre così disponibile William. -Grazie Will, ma non ce n’era bisogno, vedi ho fatto tardi perché Uncino mi ha convocata- d’un tratto smise di pelare patate ed assunse una buffissima espressione stupita. Tanto che scoppiai a ridere rumorosamente, tanto rumorosamente che Cuoco mi urlò di “chiudere quella maledetta fogna”.
-Non c’è niente da ridere, è strano che il Capitano ti abbia voluto parlare, che ti ha detto?- chiese.
-Ma niente mi ha solo detto che dovevo starlo a sentire e che dovevo obbedire-
-Strano, molto strano- mormorò più a se stesso che a me.
-Cosa è strano?-
-È che di solito non gli importa molto di chi lavora su questa nave, men che meno degli sguatteri-
-Non so che dirti- e non lo sapevo davvero, l’unica cosa di cui ero certa era che su quella nave chiunque avesse qualche scheletro nell’armadio, compresi Uncino e William.
-Ah la gente è strana…-
-Prima si odia e poi si ama- canticchiai automaticamente dopo che il mio compagno pronunciò quella frase.
-Cosa…?-
-Ah lascia perdere è una canzone delle mie parti- lo zittii e ricominciai il mio lavoro, attenta a non tagliarmi.
-Da dove vieni tu?- Dopo una manciata di secondi di silenzio arrivò la fatidica domanda.
-Sono nata in Italia, ma mio padre è inglese, e tu non hai idea di cosa sto parlando, vero?-
-Già- sorrise timidamente -Quindi, tu un padre ce l’hai. Di solito chi arriva qui non ha nessuno-
-Beh è una lunga storia- “che non ho voglia di raccontarti”, aggiunsi mentalmente sperando di non essere costretta a dirlo ad alta voce senza nessuna cortesia.
-Tu invece? Di dove sei?- il suo viso si incupì per un attimo prima di rispondermi e le mani strinsero forte il coltello che aveva in mano.
-Io non ricordo molto del luogo dal quale vengo, sono un cosiddetto “bambino sperduto”-
-Bambino sperduto?-
-Si sai, quando i bambini in carrozzina si perdono ed i genitori non li cercano più allora vengono portati qui, non chiedermi di spiegarti come perché, te l’ho detto, non ricordo nulla della mia vita prima di arrivare qui-
-Mi dispiace- provai a dire credendo che spiegarmi quelle cose potesse averlo fatto stare male in qualche modo, invece subito mi sorrise allegro e cominciò a fischiettare la stessa melodia che suonava prima Uncino.
-Come si chiama questa canzone?- “la curiosità uccise il gatto” mi ripetevano sempre da bambina, ma era una lezione che non ero mai riuscita ad imparare.
-È un canto di battaglia degli indiani- mi rispose sbrigativo. Indiani, avevo sentito parlare di loro, ma quella non mi sembrava una canzone da Pellerossa. Era troppo melodica, troppo tranquilla. Ma forse gli indiani dell’ Isola erano diversi da quelli che avevo studiato a scuola.
-Non sapevo che a Uncino piacessero queste cose-
-Beh, a lui no ma a Peter Pan si- Peter Pan? -Era un vecchio rivale di Uncino, da quando l’ha battuto usa quella canzone come sorta di inno alla vittoria-
-Roba da pirati, insomma- dissi ridendo.
-Già- e ridendo ridendo, finimmo finalmente di pelare le patate per il pranzo.

***

Le allegre signorine del saloon il pomo d’oro erano un bel diversivo ai dispiaceri della vita quotidiana, avevano bei sorrisi e le gonne sempre pronte ad alzarsi e soprattutto stavano zitte se non interpellate. Le gioie del sesso erano alcuni dei lati positivi del crescere, lati che avevo conosciuto da troppo poco tempo, se non fosse stato per Campanellino che mi aveva mandato a cercare quella ragazzina forse non sarebbe mai successo.
Dopo due giorni di ricerche si poteva benissimo dire che avessi gettato la spugna. Non che prima mi fossi effettivamente impegnato, giusto qualche domanda qua e la, mentre facevo conoscenza con il mio corpo (e con quello delle “signorine” del porto!). I ricordi andavano svanendo mentre i vapori dolci della pipa indiana riempivano la sala, all’improvviso nulla aveva più importanza, non esisteva Campanellino, non esisteva  Uncino, lì nessuno avrebbe potuto riconoscermi, mi davano tutti per morto, avrei potuto fare quello che mi pareva…

***

-Ahi!- urlai mentre provavo a schivare l’ennesimo colpo del capitano, meno male che stava usando una spada finta, altrimenti mi avrebbe già ucciso da un pezzo.
-Sei lenta Wendy!- mi sgridò per l’ennesima volta -Possibile che dopo due settimane tu non abbia imparato nulla?- mi appoggiai ad una botte, sfinita dall’allenamento che ormai si protraeva da ore. Dopo la prima lezione puramente teorica, in camera sua, erano subito seguite quelle pratiche, che prevedevano l’uso di armi vere. Fino a quel momento ero riuscita a colpire Uncino solo due volte, per pura fortuna e dopo che avevo rischiato di fare seriamente male sia a me che a lui decise di fare fabbricare delle spade in legno per fare pratica.
Il mio riposo durò giusto il tempo di riprendere fiato, poi subito mi colpì di nuovo ed io fui costretta a rotolare di lato per evitare la colluttazione: pessima mossa. In un attimo avevo i suoi piedi ai lati della testa e la spada puntata in fronte. -Non hai ancora capito che non devi mai metterti in posizioni di inferiorità rispetto all’avversario.- innervosita dall’ennesima sgridata feci l’unica cosa che mi venne in mente di fare. Gli morsi più forte che potevo il polpaccio sinistro ed approfittai del momento in cui lui era distratto dal dolore per fuggire e recuperare l’arma poco distante da lì, gliela puntai alla nuca ed attesi una sua reazione, finalmente ero riuscita a batterlo e questo mi riempiva di orgoglio.
Dal ponte si sentiva sommesso un applauso e vidi William incitarmi con i pollici in su.
-Era ora, ragazzina! Domani vedremo come te la cavi con un’arma vera- detto questo sparì dietro la porta che portava all’interno della nave.

***

P.S. Tenete d'occhio William, io lo adoro, ma generalmente i personaggi che amo di più sono quelli più controversi. 

P.P.S. La canzone di cui parlo è quella che si sente all'inizio del cartone quando appare per la prima volta Peter Pan. (mi scuso, non sono riuscita a trovare il link della musica)

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Capitolo 4
*** Capitolo secondo ***


Lo so che avevo promesso che avrei postato due giorni fa ma il computer ha deciso di mollarmi, ho seriamente avuto il terrore di perdere tutto. Grazie per la comprensione!

Capitolo secondo
Regola numero 2 

 

Prima o poi la realtà viene sempre a bussare alla porta dei fuggiaschi, avrei dovuto ricordarmelo quando sparii per tre giorni interi a rincorrere le gonnelle nei saloon. Un bel giorno, quando  completamente esausto cercavo un posto per riposarmi un po’, mi trovai Campanellino davanti agli occhi che chiese come stessero andando le ricerche. Sarò sincero. Provai ad inventare una storia credibile, ma dopo una nottata passata a bere e fumare non è che avessi grandi capacità interpretativ. Per farla breve mi presi una sgridata colossale, tanto che temetti seriamente che mi trasformasse in qualche essere ripugnante. Mi mortificò a tal punto che non ebbi il coraggio di dire nulla e l’unica cosa che riuscii a fare fu invertire la rotta e tornare al porto. 

Ero abbastanza sicuro che non l’avrei incontrata nei posti che frequentavo di solito, effettivamente era una cosa che avrei dovuto notare subito, era risaputo da tutti che i pirati frequentavano i locali nella zona ovest dell’isola, quella più malfamata, e logicamente io avevo evitato accuratamente di andarci.

Arrivai davanti ad uno dei locali più conosciuti della zona, la sua fama non era delle migliori e nemmeno l’aspetto ad essere sinceri, avevo l’impressione che avrei preso una miriade di infezioni solo mettendoci un piede dentro. L’insegna, consunta e sbiadita, diceva “La mela rossa” anche se sarebbe stato meglio “La mela marcia” o addirittura “La mela avvelenata” a giudicare da com’era ridotto l’ingresso. Mi strinsi nel cappuccio ed entrai. Il disgusto si fece ancora più forte quando, passando davanti a quello che doveva essere la latrina, fui travolto da un puzzo a metà fra il vomito e la pipì, erano passati dieci secondi e già volevo andar via. Quel posto non mi piaceva. Decisamente.

Mi avvicinai alla locandiera e, con la voce più matura che potessi avere, ordinai un wiskie. Lei mi squadrò da capo a piedi, in quel momento ebbi seriamente il timore che mi facesse togliere il cappuccio per vedermi in viso, e mi disse con aria scettica:

-Bambolina, non sei un po’ troppo giovane per bere?- Un brivido mi percorse la schiena quando mi accorsi che la locandiera era in realtà il locandiere, anche se a pensarci bene era abbastanza evidente visto il pomo d’adamo grosso quanto un pugno.
Cercai di essere più convincente possibile quando dissi di no, e dovette funzionare o semplicemente, indeciso sulla mia identità preferì fregarsene, dato che mi portò un wiskie (scadente in un bicchiere sudicio) -10 scellini. Serve altro?- gli porsi il denaro e dissi -Si. Un altro cicchetto e un informazione- solo adesso mi rendo conto di quanto dovessi essere apparsi ridicolo dopo quella battuta infelice -Dimmi tutto, stallone- mi chiedo se si rendesse conto di quanto fosse disgustoso.

-Cerco una ragazza, è nuova del posto, mi hanno detto che si chiama Wendy- ci fu un momento durante il quale il suo sguardo vagò per un punto imprecisato del locale, poi mi disse -Wendy… no qui non c’è nessuna Wendy , ma ho un Adelaide che per 100 scellini si farà chiamare come vuoi, ti interessa?- stavo parlando con un idiota, quello oramai lo avevo appurato, non credo proprio che Uncino si fosse messo a fare il protettore

-Non è una prostituta che cerco- mi guardò come se avessi chiamato sua madre “prostituta”, così aggiunsi, giusto per darmi un tono -Normalmente me lo sarei fatto un giro, ma adesso ho cose più importanti da fare- Continuai il mio discorso noncurante delle idee che mi si erano fatte in testa vedendo la famosa Adelaide che faceva un balletto sulle gambe di uno degli avventori -Quella che cerco dicono sia un pirata-

-Se la tua ragazza è un pirata è meglio che lasci stare-
-Chi ti dice che sia la mia ragazza?-

-E chi te l’ha fatto fare di innamorarti di un pirata? Deve essere proprio bella-

-Non potrei mai innamorarmi di un pirata!- quella conversazione cominciava ad irritarmi.

-Ma scusa che ci devi fare con questa Wendy?-

-Faccio un piacere ad un’amica! E scusa ma due fatti tuoi non te li sai fare?- Sentivo le vene sul collo pulsare e stavo cominciando ad avere un fastidioso (ed alquanto inquietante) tic all’occhio sinistro.

-Ma che modi. Trattare così una signora-  Ci voleva coraggio a chiamarla signora –Comunque, se proprio ci tieni , chiedi a quelli-
Indicò tre tipi seduti in un tavolo in fondo alla sala, il primo era incappucciato era quasi impossibile distinguere il suo viso, un altro era alto grosso con i capelli unti che incorniciavano il viso spigoloso, l’ultimo era magro, molto magro e aveva il naso aquilino messo in risalto da un grosso anello d’oro e da due lunghi baffi neri. Sgozzo e Schizzo. Li avrei riconosciuti ovunque, alcuni dei più temuti prati della banda di Hook, due facce del genere non si dimenticano così facilmente. Con loro avevo un conto in sospeso, il problema era che anche loro ne avevano uno con me, dato che negli ultimi anni gli avevo dato più grane io di tutti gli indiani sull’isola.
Mi avvicinai con tutta la calma possibile tenendomi stretto il cappuccio. Provai a parlare con quello più piccolo, sembrava essere quello meno pericoloso -Scusa, mi dispiace essere costretto a disturbarvi ma volevo sapere se avete sentito parlare di una certa Wendy tra le navi…- odiavo usare quel tono referenziale, se fosse stato per me lo avrei minacciato con un coltello alla gola, ma non mi sarebbe convenuto, mi sarei fatto scoprire ed era meglio approfittare un altro po’ dell’anonimato. Quel tipo nemmeno mi guardò in faccia quando mi rispose - Wendy? Che nome stupido- e rise sonoramente, attirando l’attenzione dei suoi compagni.

- Ehi moccioso, che vuoi? –

Sbottò il pirata grosso, Sgozzo, visibilmente ubriaco. Nonostante la mia voglia di prenderlo a calci sul denti, feci un respiro profondo e mi imposi di rimanere calmo.

- Niente signore, chiedevo solo informazioni -

- E che volevi sapere? Spera che sia importante, non sono in vena di perdere tempo-

Stavo cercando una risposta, perché quella vera di certo mi avrebbe messo nei casini, ad un certo punto sentii una strana sensazione nell’inguine, ero bagnato, quell’idiota mia aveva buttato quell’intruglio che stava bevendo addosso -Guardatelo, si è fatto sotto dalla paura!- si diffusero risate per tutta la locanda, continuavo a ripetermi di stare calmo, sapevo che volevano solo che reagissi, ed io speravo che se non lo avessi fatto l’avrebbero smessa. Sentì Schizzo, quello magro, che fino a quel momento era rimasto in disparte, sussurrare qualcosa al suo compagno incappucciato, quest’ultimo sorrise. Ci fu uno scambio di monete, sapevo che non era una cosa buona. L’incappucciato si alzò da tavola e si diresse verso di me, mentre Schizzo urlava -Scommetto dieci scellini che Emmepi lo fa fuori in meno di mezzora!- L’incappucciato mi si gettò contro brandendo una spada che gli aveva dato il locandiere, ero evidentemente svantaggiato. Mi svincolai dal primo affondo, ma era veloce ,anche se sembrava essere più intenzionato a mantenere il cappuccio in testa che a combattere, anche lui aveva qualcosa da nascondere, evidentemente. Avrei potuto batterlo, avessi avuto un’arma, o almeno avrei evitato di farmi ammazzare, pensandoci bene avrei vinto di sicuro.L’altro doveva avere qualche problema serio visto che si era fermato a guardarmi invece di attaccare come avrebbe qualsiasi pirata degno di quel  nome.
-Voglio combattere ad armi pari, qualcuno gli dia una spada!- disse, voleva combattere ad armi pari, peccato che questa non sia una caratteristica di quelli come lui. Non finì di parlare che mi ritrovai una spada che sembrava più intenzionata a ferirmi che ad aiutarmi, era vecchia pesante ed arrugginita, ma era sempre meglio di niente. La presi con due mani e provai difendermi, potevo considerarmi un bravo spadaccino, ma i luoghi chiusi sono sempre stai un mio grande punto debole. L’incappucciato mi bloccò le mani e i piedi contro un muro, non potevo muovermi, sentivo le risate delle persone intorno a me. Ero sull’orlo di un crollo nervoso, le vene sul collo tornavano a pulsare e temevo che stesse per venirmi di nuovo quel maledetto tic all’occhio.

Una voce si fece più forte rispetto alle altre, ed arrivò chiaro il messaggio che mi portava -Non ti vergogni? Farti umiliare così davanti a tutti!- Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Preso dalla forte rabbia dovuta alla derisione, con un colpo d’anca mi liberai in fretta da quello scomodo abbraccio e riuscii a portarmi di nuovo davanti a lui. In quello spazio non sarei mai riuscito ad attaccare e quello era un enorme svantaggio. Quello che ne seguì somigliava più ad un gioco tra bambini che ad un duello, dato che non facevamo altro che rincorrerci per la sala senza che nessuno dei due predominasse, il cerchio di gente si stancò in fretta di quel patetico teatrino, sperando forse in qualche bello scontro alla vecchia maniera, con pochi colpi e tanto sangue, e ognuno tornò alla propria attività. A quel punto muoversi era diventato impossibile. Fu il mio avversario a prendere l’iniziativa, avviandosi verso l’uscita e facendo in modo che lo seguissi, era un elemento decisamente singolare considerando che non aveva fatto altro che darmi le spalle per tutto il tragitto. Chiunque fosse stato minimamente abituato a combattere non avrebbe mai nemmeno lontanamente ipotizzato un gesto del genere, nemmeno se fossi stato il suo migliore amico. Nei duelli la buona fede è una cosa da dimenticare subito.

Mi fece strada fino ad un piccolo spiazzo isolato dietro il locale, e finalmente ebbi l’onore di sentire la sua voce

 -Non pensare che lo abbia fatto per te, sono uscita solo perché mi stavano innervosendo-

 Sollevai un sopracciglio scettico e lo osservai velocemente, doveva essere uno di quei tipi strani che si vestono da donna -Uscita? Sei un po’ confuso lo sai?- dalla sua bocca uscì un suono simile ad una risata che però non riuscì a vedere a causa del cappuccio, qualcosa di simile a –Ma ci sei o ci fai?- che francamente non capii, e non mi impegnai nemmeno più di tanto a farlo, volevo solo chiudere quella questione in fretta, ed all’aperto sapevo che non mi ci sarebbe voluto molto, furono pochi attimi. Salto. Schivo. Affondo. Schivo ancora. Non ci misi molto a colpirlo, niente di grave, solo una ferita superficiale dalla quale non usciva nemmeno tanto sangue, lo feci arretrare fino a bloccarlo, con la spada sulla pancia, contro il muro che mi stava di fronte

-Non sei così bravo come credevo. Di le tue ultime preghiere, ma prima…- e misi una mano sotto il cappuccio sentendo una pelle stranamente liscia e morbida -Voglio vedere chi si nasconde dietro questo “coso”-

Sollevai con le dita quel pezzo di stoffa e fui enormemente sorpreso nel vedere che quel sudicio cappuccio lasciava spazio ad una schiera di capelli castani che ricadevano in grossi boccoli sulle spalle, sembrava li avesse tagliati alla cieca, e conoscendo le abitudini di quella gente non mi sarei stupito se fosse stato così, una camicia larga tentava di coprire un rigonfiamento all’altezza del petto, ma quello che mi colpì furono gli occhi, che mi guardavano senza traccia di paura malgrado avesse una spada appoggiata sullo stomaco. Una ragazza, il mio avversario era una ragazza, forse avrei dovuto capirlo prima, insomma col senno di poi i segnali erano parecchi. A mia discolpa posso solo dire che era parecchio inusuale che una femmina sapesse maneggiare una spada, o avesse il coraggio di farlo.

-Vattene. Non ho intenzione di combattere contro una ragazzina- dissi solo, cercando di mantenere al massimo un atteggiamento distaccato. Provai ad allontanarmi, ma mi prese per l’orlo del mantello e mi trattenne. Senza nessuna forza, erano i suoi occhi a trattenermi lì, parevano sfidarmi e così fu. Approfittò di quell’attimo di distrazione e recuperò velocemente la spada, mossa che solo il suo corpicino esile le permise di fare, e me la puntò contro -Secondo me hai solo paura di perdere contro una ragazza.- sorrise e mi si lanciò contro. Fui preso alla sprovvista da quel gesto e caddi a terra il suo ghigno si trasformò in una risata -Lo sapevo che non eri capace. Ci si vede sfigato- Il mio orgoglio maschile si face sentire prepotentemente alla parola “sfigato”. Mi alzai e, approfittando del fatto che era di spalle, la attirai a me e portai la spada alla gola, poi afferrai la sua spada senza aspettare che lasciasse la presa e la puntai sullo stomaco, impedendole ogni movimento. Davvero pensava che mi facessi battere da lei?

-Regola numero uno: mai voltare le spalle all’avversario- lei sospirò scocciata ed aspettò che io la liberassi, o almeno era quello che credevo io.

Dopo un manciata di secondi sentì un forte dolore nelle parti basse, mi aveva dato un calcio! Quasi istintivamente ritirai le armi dal suo corpo ed in quel preciso istante mi arrivò un'altra forte gomitata nello stomaco ed un calcio che mi rispedì nella polvere, se cado io cadi anche tu… afferrai il suo braccio e la feci cedere su di me. Merda! Bella mossa Pete. adesso sei sotto il suo controllo!

Se mi avesse riconosciuto sarei finito nei casini sul serio. Era sopra di me e mi guardava con quel sorrisetto soddisfatto che ti faceva venire voglia di prenderla a testate e romperle tutti i denti

–Regola numero due: mai sottovalutare il tuo avversario. E adesso vediamo cosa c’è qui sotto…- Si era pure messa a farmi il verso!

Iniziavo a sudare freddo, se avesse capito chi ero sarei morto sicuro -Che c’è, hai paura? - mi prese in giro. Porco Uncino! Si che avevo paura! Ma non lo avrei mai ammesso ad alta voce. Quando temi che stia per succedere l’irreparabile ecco che “la fortuna aiuta gli audaci”: mi tolse il cappuccio ma rimase a fissarmi per un momento che mi sembrò un eternità. Squadrò la mia faccia e poi sorrise -Sei un ragazzo…- sospirai di sollievo, sembrava che non mi avesse riconosciuto ma c’era solo un modo per capire se era vero, e quel modo poteva anche portarmi ad ammazzarmi con le mie stesse mani. Feci un respiro e con il sorriso più falso del mondo le dissi -E chi dovrei essere Peter Pan?- la sua faccia si trasformò in un enorme punto interrogativo. Non mi conosceva. Strano, tutti mi conoscevano, almeno tutti i pirati.

-Pensandoci sei anche un bel ragazzo, peccato che dovrò rovinare il tuo bel faccino- mise il broncio come se le dispiacesse davvero quello che stava per fare, la lama era a pochi centimetri dal mio viso quando un ombra comparve sulla strada polverosa, un ombra terribilmente conosciuta.

-EMMEPI!!! DOVE DIAMINE TI SEI CACCIATA!! –

Urlò uncino spuntando dal vicolo che poco prima ci aveva condotto lì.

Lei si alzò velocemente e si diresse verso di lui.

-HOOK! Sono qui!!-freneticamente rimisi il cappuccio, se la ragazza non mi aveva riconosciuto lui l’avrebbe fatto di sicuro e sicuramente non ero così incosciente da voler tentare la fortuna due volte nella stessa ora.

-Perché hai la faccia scoperta? Ti diverte proprio disobbedirmi eh?- fece lui scuotendo il grosso copricapo per farsi aria in quella giornata afosa
-Ma non vedi che fa un caldo bestiale? Mi vuoi vedere sciolta? –

-Ti ho già detto che è per il tuo bene- continuavano a discutere senza curarsi che io stessi ascoltando. Quello era il momento migliore per scappare, ma andai a sbattere contro una delle nostre spade lasciate a terra che fece rumore, attirando l’attenzione di Hook, che si girò -E questo che sarebbe?- Dopo tutto quel tempo non aveva perso una punta della sua presunzione.

-Nessuno degno di considerazione. Andiamo che ho fame- Quella ragazza non mi stava coprendo, era certo. Semplicemente davvero non mi considerava degno di attenzione, Dio come si sbagliava. Si allontanò portandosi dietro quel pallone gonfiato di Uncino. Io quella l’avrei ammazzata. Se me la fossi trovata di nuovo a tiro l’avrei ammazzata, di sicuro.

Mi alzai, mi ripulii e mi avviai verso un altro posto per continuare le mie ricerche, quella pagliacciata si era presa fin troppo tempo.

Camminavo di nuovo con il cappuccio a coprirmi il viso, facendomi i fatti miei, quando mi affiancò un’altra ragazza, Giglio Tigrato, non Giglio, assolutamente non Tigre, Giglio Tigrato. Figlia del capo della tribù indiana, bella da far schifo e migliore amica storica. Non era una rarità che scappasse dalla sua gente e che andasse a zonzo per la città. Mi prese sotto il braccio, camminandomi a fianco, nessun saluto, non una parola, come suo solito.
-Allora chi ha vinto? Tu o lei? - chiese con nonchalance dopo qualche passo. Io mi voltai di scatto –Come lo sai?-

- Ne parlava un travestito alla “Mela Rossa”, un ragazzino mingherlino, con un pesante cappuccio sugli occhi. Non ne girano molti da queste parti, così mi sono fatta un giro e vi ho visti combattere, ma sono scappata via subito-
-E come diavolo hai fatto a capire che era una ragazza?-

-Caro mio solo un cieco non se ne sarebbe accorto…bhe escluso te ovviamente.-

-Non è divertente. La cosa strana è che non mi ha riconosciuto quando mi ha tolto il cappuccio-

-Sei così egocentrico da pensare che tutti ti conoscano? Ti ricordo che è da un bel po’ che non si vede in giro il ragazzino volante, e che al suo posto ora c’è un bellissimo ragazzo - arrossì nel dire quelle ma io preferì non farglielo notare -O semplicemente è nuova dell’isola- Mille connessioni cerebrali si crearono appena sentii quella frase, se era nuova vuol dire che non era un bimbo sperduto, e se non era un bimbo sperduto voleva dire che altri l’avevano portata lì, per un attimo pensai che potesse essere Wendy per poi ricordarmi che Trilli aveva parlato di una bambina, lei era grande.

-Non pensiamoci, è probabile che non la rivedremo più. Piuttosto com’è che ti trovavi in mezzo a quella feccia?-

-Avevo bisogno di staccarmi un po’ dalla tribù- disse ad occhi bassi

Le presi una mano, intuendo che c’era qualcosa che non mi aveva detto

-Perché non sei venuta da me? Sai che per te ci sarò sempre-

Lei abbassò ancora il viso e non rispose. Mi sorse un dubbio -Ce l’hai con me per caso?-  rise, tornando a guardarmi negli occhi -Se ce l’avessi avuta con te non ti starei camminando accanto, non credi?-

-Touchè. Andiamo? -

- Dove?-

-Non lo so. Dove vuoi.-

-Andiamo un altro po’ in giro, senza meta. Come quando eravamo piccoli- piccoli. Già, perché anche lei era cresciuta, solo che lo aveva scelto.

Così ci incamminammo verso il tramonto, provando a dimenticare per una sera tutti i nostri problemi.


Piccole note prima di andar via.
Peter non è molto sveglio, non è stupido, anzi è fin troppo intelligente, ma troppo abituato al fatto che ci sia qualcuno che si occupi di lui e che lo aiuti. Insomma anche se sono cose che sembrano basilari, non vi aspettate sempre che lui le colga al volo, ragiona ancora come un bambino a volte e certe cose o gliele sbatti davanti al naso o non ci arriva.

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo terzo ***


Questa volta ho una scusa plausibile: SESSIONE INVERNALE. 

Capitolo terzo
"Pensavate davvero di esservi liberati di me?" 

I miei piedi seguivano le impronte che il Capitano lasciava sul terreno umido del porto. Era nervoso perché avevo disubbidito ad un suo ordine e, come mi aveva ripetuto centinaia di volte, lui odiava che qualcuno non rispettasse i suoi ordini. Ma che ci potevo fare se quel ragazzo mi aveva tolto il cappuccio? Non era colpa mia, giusto? Mi voltai giusto un attimo per vedere se ci fosse ancora, e lo vidi che parlava con una ragazza dalla pelle abbronzata. Che stano tipo, in mezzora era riuscito a stupirmi più volte di quanto pensassi, prima sembrava un incapace e poi mi disarmava in poche mosse, prima era impertinente e sbruffone e poi entrava nel panico quando finalmente lo si vedeva in faccia. Poi quel nome,Peter Pan, era la seconda volta che lo sentivo nominare, e la cosa cominciava a stuzzicare la mia fantasia.

- Capitano, chi è Peter Pan?- Chiesi all’improvviso. Lui si voltò e mi guardò per un istante, per poi riprendere la camminata, se è possibile accelerando ancora di più.

-Nessuno. Solo un bambino che gioca a fare l’adulto- Dal tono della sua voce era chiaro che volesse chiudere il discorso. Peccato che io non fossi della stessa idea.

- In che senso scusa? credo di non capire-

- Nel senso che è solo uno stupido moccioso che gioca a fare il grande. E adesso basta. Discorso chiuso.

-Ti rende nervoso eh? Significa che il moccioso la faceva bene la parte del grande.-

-Sapeva giocare bene, è vero, ma ora non è più un problema- sorrideva.  Anche se era di spalle potevo benissimo immaginare i suoi zigomi che si alzavano e formavano quel ghigno maledettamente sexi. Probabilmente per assicurarmi che vedessi la soddisfazione che aveva dipinta in volto, aveva rallentato in modo che lo raggiungessi.

-Per fartela breve: Peter Pan è uno che ha creato non pochi problemi alla ciurma ma, come ti ho già detto, era solo un moccioso, quindi non mi ci è voluto molto per liberarmene.

Il ghigno si trasformò in vero e proprio sorriso, cosa molto rara da vedere sul suo viso, quel  Peter doveva essere stato davvero una spina nel fianco, o un insetto fastidioso, come avrebbe detto il Capitano.

- Quindi, problema risolto giusto? Cioè non dovrebbe creare molti problemi da morto- la mia voleva essere una battuta, qualcosa su cui avrei voluto ridere, ma non sono mai stata brava in queste cose ed il Capitano non aveva di certo uno spiccato senso dell’umorismo.

-Non ho detto che è morto- Ecco. Se quella era una battuta non l’avevo capita.

- E allora che voleva dire “Non mi ci è voluto molto per liberarmene”?-

- Semplicemente che da un po’ ha smesso di rompere, corrono molte voci sulla sua “scomparsa”- terminò la frase mimando quelle odiose virgolette con l’indice e il medio della mano desta, mi sembra ovvio.

- Sarebbero?-

- C’è chi dice che si nasconde, chi che si sia arreso, chi addirittura che sia cresciuto – e scoppiò in una fragorosa risata.

- lo trovi così buffo? Insomma non è che fa ridere- Che avevo detto sul suo senso dell’umorismo?

- Ti hanno raccontato la storia dei bimbi sperduti no?- Ricordai quella breve storia che mi aveva raccontato Will qualche giorno prima, mentre eravamo nelle cucine della nave
-I bambini che nessuno vuole che finiscono sull’Isola per magia?-
-Esatto. Vedi, lui era uno di loro, e per loro è praticamente impossibile crescere, deve succedere qualcosa che ti corrompa l’anima, che distrugga la tua innocenza e credimi non è una cosa facile- interruppe il flusso delle sue parole, guardando il cielo, pensando chissà a quale ricordo -Anche se dopo quella notte…- sussurrò sovrappensiero, forse senza nemmeno rendersi conto di averlo detto ad alta voce, capii che forse era meglio per me sorvolare sull’argomento. Almeno questa volta.

Facemmo il resto del tragitto in totale silenzio, lui aveva delle commissioni da fare in alcune botteghe sul molo ed io lo aspettai fuori, in silenzio pensando a quello che mi aveva detto. Non che non avessi altro da chiedere, solo che il Capitano diventava piuttosto burbero se era nervoso e sicuramente non volevo trovarmi in punizione per l’ennesima volta, la mia situazione era già abbastanza complicata senza che mi mettessi di impegno per farlo arrabbiare.

Quando arrivammo alla nave una strana tensione si sentiva nell’aria, tutto era troppo tranquillo, troppo silenzioso, per una nave con un equipaggio di 20 uomini. Ci addentrammo alla stiva dove trovammo l’intera ciurma radunata attorno ad un tavolo, dove era poggiato qualcosa che attirava tutta la sua attenzione, riuscivo a scorgere William che discuteva con Cuoco, di qualcosa che non riuscivo a capire, ma che doveva animarlo molto. Hook si fece strada tra la folla e nello spazio che si era creato attorno a lui riuscii a scorgere una testa penzolante con gli occhi inespressivi, era un cadavere. Sentii le ginocchia cedere e soffocai un urlo a stento, poi tutto divenne buio.
Non so quanto fosse passato dal momento in cui svenni a quello in cui ripresi i sensi nella mia cabina, trovando William che attendeva.
-Stai bene?- disse non appena si accorse del mio risveglio, avvicinandosi fino a sedersi a pochi centimetri da me.
-Ho fatto la figura della donnetta, dì la verità- Nonostante la mia fosse stata una reazione più che normale, visto che non ero per niente abituata alla cosa, quella era l’unica cosa alla quale riuscissi a pensare. In tutta risposta lui rise. Cosa che mi fece piuttosto arrabbiare.
-Hai avuto la reazione che tutti si aspettavano avesse una ragazza-
nascosi la testa nel cuscino, imbarazzata, e tentai di tirarmi la coperta fino al naso, ma lui non me lo permise. -Non c’è niente di male in questa cosa, insomma credo che siano stati i primi cadaveri che vedevi ed è perfett…-
-Cadaveri ? Ce n’era più di uno?- Tutta quella storia mi sembrava assurda.
-Erano due- si era fatto serio, non c’era più traccia di quel sorriso sbarazzino di pochi minuti prima.
-Chi erano?-
-Saperlo non ti cambierebbe niente-
-Chi erano, Will?-
-Schizzo e Sgozzo- a quel punto capii perché era restio a dirmi i nomi, temetti di non riuscire più a respirare dopo quella notizia. Schizzo e Sgozzo erano stati uccisi? Io ero con loro fino a quella mattina, probabilmente era successo mentre stavo combattendo, o mentre ero con il Capitano. Avrei potuto fare la loro fine. Willam mi porse un bicchiere d’acqua, vedendomi sconvolta. Bevvi pochi sorsi, e pian piano ripresi a respirare.

-Chi…chi è stato? Lo sapete?- biascicai.
-Con i cadaveri c’era un biglietto. Alquanto macabra come cosa, “Pensavate davvero di esservi liberati di me?” era firmato “P” -  era tutto così folle.
-“P” come…?-

-Non ti viene in mente nessuno?- uno strano luccichio apparve per un attimo nei suoi occhi, una scintilla di accesa…follia, che quasi mi spaventò.
-No, niente-
-Peter Pan, ti ricorda qualcosa?- quella conversazione cominciava ad essere surreale. Per come la vedevo io Peter Pan era un ragazzino, morto, o quasi, e William andava in giro a dire che ammazzava pirati alla luce del sole?
-Non dire idiozie-
-Perché sarebbero idiozie? Le cose stanno cambiando, si prepara una bella battaglia-si era alzato e vicino all’oblò osservava il mare agitarsi. Aveva di nuovo quel luccichio sinistro negli occhi. Sembrava decisamente esaltato dall’imminente minaccia.
-Peter Pan è un bimbo sperduto e i bimbi sperduti non crescono-
-Chi ti ha detto questa cosa?-  se ne stava con i piedi incrociati, appoggiato alla vecchia specchiera arrugginita che in teoria doveva essere la mia toletta. -Io sono un Bimbo sperduto eppure non mi sembra di essere un bambino- aveva detto la pura e semplice verità eppure sembrava così stupida, il Capitano aveva detto che per crescere si doveva fare qualcosa che ti toglieva l’innocenza, e non riuscivo ad immaginare cosa potesse essere successo ad uno come William, che aveva l’animo buono come il pane, o almeno così credevo prima di vedere quella scena.

-Cosa dovrebbe volere Peter Pan?- chiesi, cercando di non far trasparire quell’inquietudine che sentivo addosso.
-Te- secco. Senza emozioni. Voleva me, Peter Pan, potenziale serial killer psicopatico, che aveva appena ucciso a sangue freddo due pirati esperti e capaci, voleva me.
-Tu-tutto questo non ha senso-
-Bevi dell’acqua, e calmati. Non credo voglia farti del male-
-CHE DIAVOLO VUOL DIRE “NON CREDO VOGLIA FARTI DEL MALE!”!- la brocca cadde a terra rompendosi in mille pezzi e spargendo tutta l’acqua che conteneva sul pavimento. Le assi di legno di quella vecchia nave subito si facevano più scure, assorbendo come spugne quel liquido.

-Non c’è molto da spiegare, non ne so molto, ma appena saprò qualcosa sarai la prima a cui lo verrò a dire-
-Non il capitano?-

-A tempo debito, piccola ora devo andare. Ci sono un casino di cose da fare. Ah, Cuoco ha detto che il fatto che tu sia svenuta non ti salverà dal tuo turno in cucina per la cena!- Ero di nuovo sola, con un gran mal di testa e se è possibile ancora più inquieta di prima, c’era qualcosa di profondamente perverso in quello che stavo ascoltando, qualcosa che urlava di complotti e segreti, e temevo che il mio amico fosse molto più coinvolto di quanto pensassi.

 

PETER POV

 

-Dai Gì un altro sorso!- urlavo alla mia compagna che stava per stramazzare a terra tanto aveva bevuto

-No dai…Pete…non vedi che non mi reggo in piedi?- mi rispose mentre con poco successo cercava di alzarsi dalla sedia.

-Ragazzina, prendi esempio dai veri uomini, come me che dopo tutte queste bottiglie sono ancora lucido! Cameriera un altro giro!-

-Peter non ti sembra di esagerare? Ho perso il conto di quanti “giri” hai fatto fino ad ora- dopo aver vagato un po’ eravamo finiti seduti al tavolo di un’altra locanda a scolare birra come se non ci fosse un domani. In realtà io bevevo come se non ci fosse un domani, per dimenticare la magra figura di qualche ora prima, Giglio Tigrato era stata molto più morigerata, le usanze della sua gente non prevedevano che si ubriacasse in compagnia di uomo, aveva detto, ma sapevo che voleva tenermi d’occhio, perché delle usanze non le era mai importato niente.
in quel momento sembrava davvero preoccupata per me, non capiva che reggevo l’alcool molto meglio di quanto sembrasse, ma dopo qualche altra stupida moina da femmina, pur di non farla allarmare e per evitare che facesse una scenata, cosa che non avrebbe esitato a fare, l’accontentai.

- Ho cambiato idea portatemi il conto! Ti va bene adesso?-

- Non deve andar bene a me, è la tua salute che va a farsi fottere-

-Ma com’è possibile che sei pesante anche da ubriaca?!

-IO NON SONO PESANTE-

-SI, E IO NON SONO PETER PAN!- forse avevo bevuto davvero un po’ troppo. Fortuna che a quell’ora c’eravamo solo noi ed altri due tizi apparentemente innocui.

-Me sei scemo o cosa?- sussurò al mio orecchio, per non peggiorare la situazione.

-Ma dai che non mi ha sentito nessuno…- Avrei dovuto stare attento ad ogni mio movimento, mi sarei dovuto rendere conto che anche due persone potevano essere pericolose se conoscevano persone pericolose, ma in quel momento non ero esattamente padrone di me stesso  - Anzi sai una cosa? Mi sono rotto di nascondermi. Se mi vogliono che vengano a prendermi!- e mi alzai in piedi sotto gli occhi dell’oste e della cameriera, quei due tizi erano usciti di corsa tre secondi prima.

-PETER!- aveva bevuto meno di me, era certo, ma nemmeno lei era così presente -SIEDITI SUBITO!-

-E tu che mi dai?- si. Avevo bevuto troppo

-Ma che diamine dici-

-Me lo dai un bacio?- si avevo decisamente bevuto troppo

-si, si te lo do, te lo do. Ma dopo che avremo pagato e saremo usciti di qui- Era fin troppo facile convincermi quando ero ubriaco. Ci stavo spudoratamente provando con la mia migliore amica, e questo doveva essere sufficiente a fermarmi, buttare la testa nell’acqua del molo e stare lì sotto fino a che non mi fosse passato e avessi dimenticato quella enorme cazzata.
Il locale si trovava in uno stretto vicolo nei dintorni del porto, non ci andava mai nessuno, per questo ci si trovava bene se avevi bisogno di un posto dove parlare, o se, come me, non potevi farti vedere troppo in pubblico. Era un posto angusto e frequentato da gente poco raccomandabile, ma proprio per questo lì dentro tutti si facevano i fatti loro.

Eravamo appena fuori di lì, avanzavamo barcollando appoggiandoci uno all’altro verso la una zona più frequentata, dove sarei potuto affogare dalla vergogna, quando, preso da una strana frenesia, mi gettai addosso a Giglio Tigrato e la schiacciai contro il muro

-Credevi non sarei venuto a riscuotere?- non rispose. Mi guardò negli occhi, un'altra avrebbe abbassato lo sguardo, ma lei no, lei non si faceva abbattere da niente e nessuno, non si faceva soggiogare dalle situazioni, così avvicinai il viso al suo. Tutta quella situazione mi esaltava, vedere i suoi occhi persi nei miei e le sue guancia arrossate mi mandava in visibilio, sarà stata la situazione, sarà stato l’alcool, questo ancora non lo so, e credo che non lo saprò mai, fatto sta che in quel momento il mio unico desiderio era far arrivare le mie labbra sulle sue.

Eravamo arrivati ad un lento sfiorarsi di labbra, di quelli che precedono il bacio vero, e le mie mani vagavano in cerca dei suoi riccioli scuri, quando sentii dei passi dietro di noi, di scatto mi allontanai imbarazzato, l’incantesimo era rotto e l’atmosfera rovinata. I due tizi che fino a qualche istante prima erano con noi dentro stavano svoltando l’angolo parlando concitatamente. D’istinto coprii la mia amica con il mio corpo, speravo che passassero semplicemente di lì,  ma qualcosa mi diceva che era meglio stare allerta e col tempo avevo imparato ad ascoltare sempre le mie sensazioni. Mai come in quel momento avrei preferito che per una volta il mio istinto si sbagliasse, visto che insieme a loro erano arrivati anche altre due persone ben conosciute: Schizzo e Sgozzo

- è lui- disse freddo uno dei due tizi e gli altri si avvicinarono fino a circondarci, non avevo paura per la sorte della mia amica, in caso di combattimento se la sarebbe cavata benissimo, era più la superiorità numerica che mi spaventava, ah e anche il fatto che fossi ubriaco non aiutava.
Schizzo si avvicinò ancora di più, riuscivo a contare le carie nella sua bocca, e mi tastò il viso con occhio clinico, come un folle dottore esamina il paziente.

- Così il piccolo Peter Pan non è più tanto piccolo… cos’hai fatto per ridurti così?- schizzi di saliva mi colpirono e repressi un conato di vomito: il suo alito era terribile.  Le sue parole non mi toccarono, furono quelle di Sgozzo che mi spinsero a reagire – AMMAZZALO, non perdere tempo in stupidaggini! La ragazza no.-un ghigno perverso di diffuse sulle facce dei suoi compagni -Lei potrebbe servire ad altro, e mi raccomando acqua in bocca con Hook-  Solo dopo molto tempo mi resi conto che quelle parole servivano solo a provocarmi e che probabilmente ci avrebbero uccisi entrambi senza troppe cerimonie.

Prima di trovarmi un coltellaccio nello stomaco mi mossi velocemente sempre mantenedomi davanti a Giglio Tigrato, non le avrei permesso di combattere, le presi la mano e corremmo via, mi vergognavo a scappare così ma in quel momento avevo troppe cose da perdere e soprattutto troppo poche possibilità di sopravvivere. Percorsi tutto quel vicolo con i pirati alle calcagne, avevo appena schivato una pietra e speravo che lo facesse anche lei, era quasi arrivato alla via principale, mi girai per controllare se ci inseguissero ancora e proprio in quel momento andai a sbattere contro qualcuno:

-mi scusi io…oh cazzo- un altro pirata era davanti a me e mi impediva di andare avanti. Intanto anche gli altri ci avevano raggiunti, eravamo circondati, vidi la mia amica stringere la presa sul suo coltello così la spinsi di lato e presi anche io il pugnale, ma loro erano comunque in sei.
In un minuto mi ritrovai ad essere mantenuto per le braccia mentre sgozzo si divertiva ad tagliarmi il braccio con la lama, il dolore che sentii in quel momento fu terribile, credevo che sarei morto dissanguato. Solo che in quel momento quegli idioti avevano infranto la regola uno e la due: “mai dare le spalle all’avversario e mai sottovalutarlo”, ed in quel momento l’avversario non ero io. Giglio Tigrato si avventò sul collo di Sgozzo e lo tagliò di netto, lui si accasciò a terra, non credevo che fosse capace di tanto, uccidere un uomo a sangue freddo.  
Vista quella scena gli altri pirati scapparono a gambe levate, da bravi codardi, insomma non era bello vedere che una ragazza aveva appena sgozzato uno degli elementi più temuti dell’isola. Lasciarono da solo Schizzo con le spalle al muro, senza alcuna via di scampo, anche perché era rimasto bloccato dal mio pugnale che gli faceva pressione sulla pancia, un attimo e anche lui fu a terra, non so se fu il colpo o il sangue perso ad ucciderlo, ma non aspettammo.

-Non avrei mai immaginato che prima o poi saremmo stati complici in un omicidio- Eravamo sporchi di sangue, io ero ferito e c’erano due cadaveri ai nostri piedi, ero letteralmente terrorizzato da tutta quella storia. Avevo visto un lato di Giglio Tigrato che fino a quel momento mi era stato nascosto, la cosa più inquietante era la calma che si imponeva di ostentare, dietro quegli occhi da cerbiatta non c’era il solito fuoco, era fredda, glaciale, quasi spaventosa e, anche a costo di sembrare un pazzo, eccitante. -Beh, se non avessimo agito così probabilmente ora saremmo al loro posto, si chiama istinto di sopravvivenza- rispose mentre si ripuliva le mani con un pezzo di stoffa stracciato dalla sua camicia, che ora vantava una manica più corta dell’altra.
Sanguinavo ancora, ma fortunatamente le ferite non erano così profonde come credevo, anche se bruciavano come il fuoco, avrei dovuto medicarle. Chiedere a Campanellino di guarirle era fuori discussione, mi avrebbe ucciso lei se fosse venuta a sapere di quel casino
-Comunque non fare più gesti così azzardati, questa volta ti è andata bene ma poteva anche non essere così-  c’erano solo due parole per descrivere la nostra situazione: fortuna sfacciata. Sicuramente non sarebbe stato il caso di tentare di nuovo la sorte.

- Peter non è stata la prima ne sarà l’ultima persona che uccido, sai come funzionano le cose alla tribù. Da quando papà è morto nulla è più come prima- Suo padre era stato ucciso da una brutta infezione qualche mese prima, da allora si erano susseguiti decine di uomini alla guida della tribù, che si uccidevano a vicenda per il potere, come donna Giglio Tigrato aveva dovuto imparare in fretta a difendersi.

- Lo so. hai ragione. È difficile trovare un buon capo.

- Dovresti curarti, prima che facciano infezione.

-Tu ti preoccupi troppo. Sto bene.

-Scusa se ci tengo a te.- ci fu una pausa di silenzio durante la quale esaminammo i due corpi per terra. Schizzo era morto con una buffa espressione, aveva le labbra arricciate in una “o” di sorpresa e dalla bocca scendeva un rivolo di sangue, mentre Sgozzo era bianco come il latte. menti -Ma che ne facciamo di questi?- disse indicandoli. Ci pensai per alcuni istanti, osservai prima lei, poi i corpi, poi la nave di Hook in lontananza, infine mi venne un idea, completamente assurda e pericolosa:

-Io un idea ce l’avrei ma dobbiamo fare attenzione a non farci vedere-

- Cioè?-

- Credo che il caro vecchio uncino riceverà presto mie notizie.- Giglio Tigrato sospirò rassegnata, oramai abituata alle mie idee folli. Solo che ora non si trattava di stupidi dispetti tra bambini.

Dovevamo fare la massima attenzione se non volevamo farci scoprire,così io trascinai i cadaveri nel vicolo Giglio Tigrato smosse il terreno in modo da nascondere le traccie.

Non parlammo mai di quello che sarebbe successo se non ci avessero attaccato, forse perché non alla fine non era successo proprio nulla e devo ammetterlo un po’ mi dispiaceva, quello era l’unico momento della giornata che si poteva considerare passabile. Ah se Campanellino fosse stata lì!


La seconda parte non mi piace, non mi convince per niente, la trovo tremendamente piatta, ma dopo averla riscritta milioni di volte non ce l'ho fatta più.
Per quanto riguarda il capitolo, non credo che ci siano molte cose da capire, rispetto alla vecchia versione è stata aggiunte la parte di Will e Wendy in cabina, nella quale William da qualche cenno di cedimento, o almeno così sembra a Wendy. Io vi avevo avvertito che William era un personaggio controverso!
Qualche parola su Giglio Tigrato, su di lei cambio idea mille volte al minuto, lei è una donna forte, indipendente, abituata a cavarsela da sola, anche a costo di sporcarsi, non prendetela come un'influenza negativa su Peter, lei è molto saggia ma anche molto pratica.  

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo quarto ***


Capitolo quarto
L'Isola non può scegliere

 
Un uomo stava seduto nella taverna con un boccale di birra mezzo vuoto, attorno a lui gli avventori si muovevano in modo confusionario ed un forte rumore impediva di intrattenere conversazioni, francamente non avrebbe voluto passare lì le sue ore libere ma questioni urgenti lo avevano richiamato a quel tavolo.
Qualcuno gli toccò la spalla e lui si voltò, sorrise ma non lo invitò a sedersi con lui. C’era comunque una certa tensione tra i due, l’eco di problemi irrisolti.
-Ce l’hai?- chiese soltanto.
-È tutto quello che hai da dirmi?- rispose l’altro, non aspettandosi davvero una risposta.
-Ce l’hai o no?- l’uomo si fece più incalzante, non era quello il momento dei convenevoli. Quello allora da una tasca interna del mantello estrasse una boccetta di medie dimensioni, dal colore scarlatto L’uomo sorrise –Non voglio sapere come te la sei procurata-
-No. Non vuoi, fidati- si allontanò senza salutarlo. L’uomo allora gettò un paio di monete sul tavolo ed uscì. Nessuno fece caso a quello scambio di battute, i traffici illeciti erano all’ordine del giorno in posti come quelli.
Una volta fuori stretto nel suo cappotto per ripararsi dal vento si soffermò a ripensare a quello che era appena successo. Quella notte tutto sarebbe cambiato, nel bene o nel male.
-Non ti ho detto come utilizzarla- sentì dire, si voltò questa volta ben più rilassato, senza il peso della gente attorno. Se lo conosceva, e dopo tutto quel tempo poteva dirlo con convinzione, quella era tutta una scusa per vederlo di nuovo. –Mezza bottiglia nella cassa di rhum e mezza in quella di vino e vedrai che dormiranno come ghiri- prima che se ne andasse di nuovo lo tirò per il mantello scoprendogli il viso potendo vedere che il sorriso beffardo che ricordava così nitidamente non era andato via. –Peter sta attento-  
-Tu rischi più di me, non sei obbligato ad aiutarmi-
-Era anche mio amico Pete, sono secoli che aspetto la mia vendetta, non pensare che sia solo una cosa tua-
-Sei sempre lo stesso pazzo-
-Anche tu-
Le loro strade si incontravano e si dividevano sempre allo stesso modo, senza salutare, senza educazione. Due come loro andavano oltre queste misere convenzioni. Il loro affetto si basava solo sulla certezza di esserci sempre l’uno per l’altro e se entrambi sapevano che le cose non sarebbero mai tornate come prima non volevano altro che poter ricominciare da capo.
 
***
 
Sulla nave si respirava un’aria gelida. il capitano passava ore chiuso nella sua cabina a rimuginare su una possibile soluzione al problema, e spesso mi chiamava con se. Non gli andava che stessi da sola, o con qualcuno di cui non aveva una cieca fiducia. D'altronde a me andava benissimo così, più tempo passavo con lui e più ero contenta. Mi ero beccata una di quelle sbandate tanto frequenti nell’età adolescenziale: l’uomo adulto, bello e misterioso. Mi sembrava fosse l’unico in grado di capirmi, di comprendere i miei bisogni e le mie debolezze. Peccato che il massimo che potessi ottenere da lui fosse una pacca sulla spalla quando facevo qualcosa per bene.
-Non devi fare nulla che io non ti abbia autorizzato a fare- mi ripeteva in continuazione. Come se fossi così folle da andarmene in giro da sola con un assassino in libertà. “P” si era firmato. Cosa mai poteva significare? Non ero sicura di poter credere alle parole di William, per quello che ne sapevo Peter Pan era solo una leggenda e Will poteva essere tranquillamente un visionario. Avevo chiesto spesso, a tutta la ciurma, spiegazioni ma sembrava che nessuno fosse autorizzato a darmele. Tuttavia ero più che decisa a far luce da sola su quella faccenda.
Nonostante le reticenze del capitano non ero riuscita a sottrarmi al turno di vedetta, in quanto la ciurma si era espressa perché non ricevessi trattamenti di favore.
Quella notte ero sul ponte insieme a due incompetenti, che avevano bevuto talmente tanto e adesso russavano con la bava ai lati della bocca. Quando Hook, il mattino dopo lo sarebbe venuto a sapere per loro sarebbero stati dolori.
Il cielo era terso e le stelle si riflettevano sul mare, tutta l’isola sembrava oramai nel mondo dei sogni. Le botteghe avevano mandato a casa i lavoranti e le locande avevano chiuso le cucine, persino le allegre signorine de La mela rossa avevano terminato i loro servizi.  Il silenzio regnava sovrano e le luci erano tutte spente, tranne un lontano bagliore proveniente da lontano, segno che gli indiani avevano qualcosa da festeggiare. Me ne stavo appoggiata al legno umido ad osservare le onde che si infrangevano contro la prua quando qualcosa attirò la mia attenzione. Qualcuno suonava il Flauto, non molto lontano da me. Una melodia familiare, una ninnananna. Provai a svegliare i miei compagni, ma non diedero segni di vita. Incuriosita mi diressi verso il luogo da cui proveniva quel suono, un’ombra se ne stava seduta su una botte abbandonata, intenta a produrre melodie.
-Ehi tu! Ti rendi conto di che ora è?- dissi sporgendomi verso il molo in modo da dover alzare la voce il minimo possibile. Quello sembrò non sentirmi e continuò la sua attività.
-Ehi!- alzai la voce quel tanto che bastava per attirare la sua attenzione. Alzò per un attimo gli occhi, per poi cominciare ad ignorarmi, se avesse continuato a suonare avrebbe svegliato Pugno, che aveva il sonno molto leggero e la cabina esattamente sotto di me, e se si fosse svegliato sarebbero stati dolori per entrambi.
-Smettila! Non vedi che disturbi?- strillai esasperata. Finalmente quello sembrò rendersi conto della mia presenza. Fece qualche passo, giusto per avvicinarsi alla lanterna che tenevo in mano. La debole luce lo illuminò quel tanto che bastava per  farmi vedere un volto conosciuto. Il ragazzo davanti a me era lo stesso di quella mattina.
-E a chi darei fastidio? A te?-  disse guardandomi dal basso.
-Non ti sembra si avere già avuto abbastanza problemi con me?-
In un attimo non lo vidi più, pensai avesse fatto qualche passo indietro nel buio per andarsene senza essere visto, quando sentii un soffio sulla nuca.
-Cosa ti fa pensare che non ti abbia fatto vincere?- mi voltai spaventata. Si trovava dietro di me, e sorrideva beffardo. Indietreggiai, indecisa se chiamare aiuto o provare a vedermela da sola.
-Tranquilla, se avessi voluto farti del male non credi che lo avrei già fatto?- non ero armata. Il capitano non voleva. Potevo solo fuggire. Con forza cercai di nuovo di svegliare quei due, li strattonai con forza e gli urlai contro: niente.
-È inutile, ho avvelenato il rum. Disse con risolutezza.
Allora corsi verso il ponte superiore ma inciampai in una delle tante cime che Spugna non aveva sistemato bene, poggiai le mani davanti alla faccia per evitare inutili danni ma il ragazzo mi aveva già raggiunto.
-Vuoi deciderti a capire che non voglio farti del male?-  mi tese la mano per farmi alzare, ma la rifiutai. Una volta di faccia feci un profondo respiro, come mi aveva detto di fare il mio psicologo quando sentivo che stava per venirmi un attacco di panico.
- Cosa vuoi?- riuscì a stento a pronunciare quelle due parole. Non era normale che qualcuno sparisse e apparisse dal nulla!
-Wendi. Ti chiami così no?- annuii - Come ho fatto a non capirlo prima.- sapevo che mi cercava. Aveva chiesto di me alla Taverna, credevo di averla fatta franca. Si batté una mano sulla fronte come un monito, poi mi tese di nuovo la mano. - Sono Sam e sorrise, sorrise con i denti da fuori. Come fanno i bambini.
-Beh il mio nome lo sai già a quant…-
Ma lui non mi stava ascoltando, si guardava intorno incuriosito, toccava cime e nodi, osservava le vele e sorrideva malinconico. Come se tutto quello gli ricordasse qualcosa. Io lo seguivo con gli occhi, incapace di avvicinarmi, come se facesse parte di qualcosa in cui io non ero compresa. In un paio di falcate mi fu di nuovo accanto. - Dovresti fare più silenzio, rischi di svegliare qualcuno-  muscoli appena accennati guizzavano sotto la leggera maglia di lino molto grezzo che indossava, occhi chiari, almeno così pareva, mi fissavano saccenti. Quel Sam era irritante.
-Oggi cercavi me? Vero?- chiesi senza abbassare lo sguardo. Se quella era una sfida, non ero disposta a perdere. Una scrollata di spalle distratta fu l’unica risposta che ebbi. – Tu lo credi?- lo sguardo che mi indirizzò fu talmente inquietante che mi si gelò il sangue nelle vene. Le pupille dilatate spiccavano nel verde dei suoi occhi, che era oramai ridotto ad un misero contorno iridescente. –Tu. Sei. Completamente. FOLLE!- gli diedi un calcio e scappai, volevo chiamare qualcuno, volevo che il mio capitano mi salvasse.
-Ehi. Ti ho già detto che non voglio farti del male. Ma se mi costringi dovrò portarti via con la forza- mi canzonò, cogliendomi di sorpresa per l’ennesima volta in quella lunga notte. Il fiato mi si gelò in gola, non capivo come facesse ad apparire così all’improvviso, ero terrorizzata e la consapevolezza che non potessi chiamare nessuno non mi aiutava a pensare lucidamente. –C-cosa vuoi da me?- chiesi con un filo di voce.
-Semplice. Farti vedere cosa ti perdi-
-Temo di non capire-
-Non c’è nulla da capire. Ti hanno trascinato qui, senza un vero motivo, con l’illusione di una vita migliore. Quello che non sai è che nessuno può darti una vita migliore, qui.- tutto quello che mi diceva suonava completamente privo di senso. Discorsi senza né capo né coda, frutto di una mente perversa.
-Cosa ti fa pensare che sia così?- risposi allora tentando di mettere più distanza possibile tra me e lui.
- L’isola è stata creata per ospitare quelli senza prospettive, è vero. Ma è lei a scegliere chi volere, nessun’altro può- ogni parola era un passo avanti, in un attimo mi ritrovai attaccata al parapetto, senza sapere dove scappare.
-Un isola non può scegliere-
-Quest’isola non dovrebbe nemmeno esistere, e nemmeno le fate e le sirene. Quindi o hai preso una brutta botta in testa e queste sono solo allucinazioni, oppure, mia cara, devi cominciare a considerare l’ipotesi che le tue idee siano sbagliate- capitava a volte che anche i pazzi facessero discorsi intelligenti.
Mi prese per la manica della giacca e mi trascinò con sé. Tentai di urlare, ma mi coprì la bocca con una mano mentre con l’altra mi teneva per la vita. Mi stava trascinando di peso fuori dalla nave. Il cuore perse un battito quando mi resi conto che i miei piedi si erano staccati da terra. Stavo volando. Chiusi gli occhi, incapace di guardare il paesaggio intorno a me che mutava velocemente. Sembrò passata un’eternità quando finalmente sentii i piedi poggiare sul suolo. Istintivamente cominciai a menare pugni sul suo petto, nella vana speranza di fargli del male.
-Ehi ragazzina!- ulrò –smettila!- mi bloccai di colpo, senza sapere cosa fare. Solo in quel momento mi accorsi del posto in cui mi trovavo. Una scogliera a picco sul mare, dove non potessi fuggire.
-Tu…tu…tu come diavolo fai a volare?- ero sull’orlo di una crisi isterica, non sapevo se dominasse la paura o la rabbia - Gli esseri umani non possono farlo!-
Sam incrociò le braccia e tranquillo si mise a giocare con un filo d’erba - Gli uomini non volano, le sirene non esistono, l’isola non può scegliere…-
Con rammarico mi resi conto che non solo ero stata rapita da una persona potenzialmente pericolosa, ma che questa si stava anche prendendo gioco di me! Sospirai rassegnata e mi sedetti a gambe incrociate sul prato.
-Mettiamo conto tu abbia ragione, che l’isola non mi ha scelta e roba così. Che vuoi da me?-
-Convincerti a tornare sui tuoi passi-
-Cioè?-
-Quante volte te lo devo spiegare!?-
-Fino a che non avrò capito!-
-Insomma, tu a differenza degli altri poveracci che vivono qui, hai qualcuno ad aspettarti dall’altra parte, qualcuno che prima o poi si accorgerà che sei scomparsa!- Già, qualcuno, da quanto tempo non pensavo alla mia famiglia, ai miei fratelli, ai miei genitori -…per questo non posso permettere che tu faccia scelte sba…ma mi stai ascoltando?!- di colpo mi ricordai di non essere sola, mi scusai e ripresi ad ascoltare, cercando di mantenere la calma.
-Dicevo, qualcuno sentirà la tua mancanza, tu non puoi rimanere qui a giocare a fare il pirata senza pensare alle conseguenze delle tue azioni! Qualcuno dovrà farti ragionare, prima che tu faccia qualche altra scelta totalmente sbagliata. E quel qualcuno sono io!- L’ultima frase me la urlò a cinque centimetri dal viso. Ero sconvolta.
-Oh! Così io sarei la povera  ragazzina immatura e tu il nobile cavaliere pronto a venirmi a salvare! Ma che gentile- Mi allontanai di nuovo, avvicinandomi allo strapiombo, per un attimo pensai che buttarmi di sotto fosse una soluzione accettabile per fuggire di lì.
-Non penserai mica di buttarti? Le vedi quelle rocce? Finiresti a pezzettini- mi fece notare Sam
-Comunque ci tengo a precisare che non è minimamente nei miei interessi occuparmi di una mocciosa viziata- mi disse- Semplicemente mi hanno costretto. In quel momento mi chiesi cosa volesse dire, poi ricordai che stavo parlando con uno squilibrato.
-Non sprecare tempo allora
-Infatti. Se non vuoi ascoltarmi di riporto alla nave, ma te ne pentirai, stanne certa- finalmente aveva detto qualcosa che mi potesse interessare.
Mi riprese in spalla e in un attimo ero di nuovo in cielo.

Angolo di Kla
Non credevo che sarei tornata a scrivere questa storia dopo tutto questo tempo, la puntualità e la costanza non sono proprio il mio forte. Non so nemmeno in che modo chiedere scusa visto che sembra sempre una presa per il c**o.
Passiamo al capitolo va…La parte iniziale è un po’ confusa ne sono consapevole, ma credo anche che sia facilmente indovinabile chi sono i due uomini che discutono, non sono brava con le sorprese xD.
Wandy incontra ‘Sam’ (che ha cambiato nome tre volte nel corso della stesura) che fondamentalmente non riesce a concludere niente, perché lei sembra irremovibile sulle sue posizioni, ma possiamo considerarlo una sorta di trampolino di lancio per quello che succederà in futuro.
Non sono sicura di cosa succederà con i prossimi aggiornamenti, spero di essere più puntuale e spero di riuscire a finirla un giorno questa storia.
Grazie a quei pochi che hanno scelto di continuare a seguirmi anche dopo tutto questo tempo.
Kla 

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