Il Sospiro del Drago

di Ayr
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***



Capitolo 1
*** I ***


I

Il primo ad avvistarlo fu Trevor: un magnifico esemplare che si stagliava contro il grigio-azzurro del cielo invernale.
«Saranno almeno sei metri di apertura alare!» esclamò Benjy con una mano sulla fronte per vederlo meglio. Benjy era nuovo, un pivello di appena quattordici anni che era stato spedito lì dal padre perché diventasse un “vero uomo”, come se uccidere draghi potesse aiutare. Arden lo guardò con un misto di compassione ed invidia: lui di anni ne aveva diciotto ed era da quando ne aveva dodici che attraversava quelle foreste in cerca di draghi, ormai nulla lo stupiva più. Loyd iniziò ad urlare ordini. Era un ragazzo di neanche ventiquattro anni, sarebbe stato anche affascinante se un drago non gli avesse portato via metà della faccia, comunque, nonostante la giovane età, sapeva come farsi rispettare. Trevor prese posizione agli arpioni, aspettando il momento in cui il drago si sarebbe avvicinato.
La sua figura scendeva verso terra in spirali concentriche, Arden rimase come incantato a fissare quella strana danza poi Tasha gli diede una gomitata e lui ritornò alla realtà. Il drago, intanto si era posato in una radura poco distante, i Cacciatori si avvicinarono con cautela, cercando di far cigolare il meno possibile il loro mezzo: una specie di vascello su ruote di piccole dimensioni equipaggiato con arpioni lunghi almeno venti piedi e larghi dieci. Uno di questi arpioni venne scagliato da Trevor e andò a lacerare un’ala del drago che ruggì di dolore, la punta dell’arpione si ancorò a terra, impedendo al drago di spiccare il volo, a meno che non avesse l’intenzione di lasciare a terra tutta l’ala destra. Dall’altra parte sopraggiunsero Brody e la sua squadra e anche l’ala di sinistra venne saldamente assicurata al terreno. Il drago emise una fiammata che carbonizzò la foresta davanti a lui. Benjy indietreggiò spaventato, era la sua prima battuta di caccia. Brent, accanto a lui, gli mise tra le mani con ben poca grazia una lancia alta almeno il doppio del ragazzino e pesante tre volte lui, Benjy la guardava spaventato «Cosa ci dovrei fare?» sembravano dire i suoi enormi occhi castani, spalancati per la paura. Arden prese con sicurezza una lancia simile e fece cenno a Benjy di seguirlo.
«Devi prenderlo sul petto, dove è più vulnerabile e non è protetto dalle scaglie» gli disse, il ragazzino annuì non troppo convinto. Gli altri, intanto stavano cercando di rendere inoffensivo il drago avvolgendogli la bocca in poderose corde d’acciaio ignifughe, la testa del rettile si abbatté sul terreno, sradicando qualche albero, dal suo naso uscirono sbuffi di fumo sulfureo in segno di protesta e rabbia, ma ora era diventato inoffensivo; altre corde assicuravano il suo poderoso corpo al terreno. Arden si avvicinò, lancia sguainata e pronta a colpire, Loyd gli fece un cenno e affondò l’arma nella carne vulnerabile del petto dell’animale, sangue scuro sprizzò fuori schizzando il viso del ragazzo, ma questi non parve preoccuparsene e spinse ancora più a fondo l’arma; Arden lo imitò, ma con meno violenza e soprattutto senza un sorriso sardonico che gli increspava le labbra; il piccolo Benjy, invece, era ancora indeciso sul da farsi e guardava con un misto di disgusto e paura gli altri due. Il drago emetteva lamenti strazianti e cercava di divincolarsi, ma invano, quelle corde erano a prova di drago. Arden sentì Loyd esultare e chiedere a gran voce un contenitore, aveva finalmente trovato il Sospiro del drago: era una sostanza vischiosa, appiccicosa, di colore ambra scuro e altamente infiammabile, usata come combustibile per le lampade. Era una sostanza rara e preziosissima venduta a peso d’oro, questo perché era molto difficile da recuperare dal momento che si trovava all’interno dei draghi. Il liquido colò nel contenitore di vetro azzurro, era una quantità infinitesima ma che avrebbe fruttato molto denaro se fosse stata venduta al compratore giusto. Loyd sorrise soddisfatto: era il quarto contenitore che riempivano quel giorno, il titolo di Cacciatore dell’anno se lo sarebbe aggiudicato lui questa volta, se lo sentiva. «Brent, finisci il drago» gli ordinò Loyd chiudendo il contenitore. Brent era un essere sadico e cinico che aveva perso ogni briciolo di umanità nei cinque anni che era stato rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Verendor, era spietato e senza un briciolo di compassione, perfetto per questo tipo di lavoro, insomma.
Con un sorriso grottesco colpì il fianco del drago con una lancia più grossa e lunga delle altre, munita di una punta ritorta su se stessa e costellata di spuntoni, la chiamavano la Spina anche se non aveva nulla a che vedere con quelle piccole sporgenze che ricoprivano il gambo delle rose, era molto più letale e dolorosa. Il drago emise un ultimo atroce grido di dolore che lacerò l’aria fredda del tardo pomeriggio, poi la sua testa cadde con un tonfo e un potente rimbombo sul terreno e non si mosse più. Arden fissò gli occhi del drago, rimasti spalancati: erano color giada con striature dorate e avevano la pupilla verticale, come quella dei gatti. Arden ne rimase come rapito, nonostante il drago fosse morto, quegli occhi continuavano a sprigionare una saggezza e una forza immensa, antica e misteriosa. «Se ti piace così tanto puoi portartelo a casa, come souvenir» gli propose Reg prima di scoppiare in una risata sguaiata. Tutto in quell’essere era sguaiato e sgraziato, dall’aspetto fisico sproporzionato, ai modi, all’atteggiamento, al comportamento; di giorno andava per foreste a caccia di draghi, di notte per bordelli a caccia di puttane. Arden non lo degnò neanche di uno sguardo, era un essere disgustoso, volgare e stupido e lui non voleva averci niente a che fare. Era un nuovo acquisto di Loyd, ma si comportava come se fosse uno dei veterani se non addirittura il capo, importunava tutto il tempo Kayle, una giovane e avvenente Cacciatrice, e non faceva altro che ridere, raccontare barzellette sconce e fare battute porche che capiva solo lui, nessuno lo sopportava ma era il migliore nell’adoperare l’arpione insieme a Trevor. Arden aveva invece una vista acutissima ed era di solito quello che avvistava i draghi, anche a molte leghe di distanza, per questo si era conquistato il soprannome di Falco; stavolta però era toccato a Trevor e si sarebbe aggiudicato lui il secondo giro di birra gratis. Non che a Arden dispiacesse: la birra che di solito offrivano era terribile, odorava vagamente di orina e ne aveva anche il colore e di solito era insipida o amarissima. Per questo Arden non accettava mai il secondo giro, molti ritenevano che lo facesse come dimostrazione di finta umiltà, ma in realtà lo faceva per preservare la salute del suo stomaco.
«Ehi Arden, stasera devi offrire da bere tu a tutti, è d’obbligo!» esclamò Tasha dalla sua postazione al timone, era una bella ragazza, mora, dai grandi occhi verde scuro e due labbra carnose rosso intenso, ma era intoccabile e di proprietà esclusiva di Loyd. Si sosteneva che fosse diventata una Cacciatrice proprio perché era andata a letto con lui, ma a parte Reg, erano in pochi a credere ancora a questa storia.
«E perché proprio io?» chiese il ragazzo, scostandosi i capelli biondi che gli erano finiti davanti agli occhi.
«Come segno di ammirazione e rispetto nei confronti di Trevor, insomma, questa volta è stato lui ad avvistare l’ultimo drago» rispose la ragazza.
«Sì ma gli altri tre gli ho visti io» replicò lui con un sorriso, Tasha scrollò le spalle.
«Sarebbe adogni modo un gesto carino» ribatté la ragazza.
«Certo perché non devi tirare fuori i soldi tu» le fece notare il ragazzo, Tasha scoppiò a ridere.
«Non ti facevo così tirchio» commentò la ragazza.
«Più che avidità, è buon senso» rispose lui. Se avesse dovuto pagare da bere, avrebbe fatto dilapidato tutte le sue finanze in una sola volta, soprattutto per riempire la pancia a quel parassita di Reg.
«Ho capito, ho capito…ci penserà ancora Brody» concluse la ragazza.
«Che cosa dovrei fare io?» chiese il ragazzo, sentendosi chiamare improvvisamente in causa.
«Niente, lo scoprirai stasera» replicò la ragazza con un sorriso sornione.

Il pub, come sempre, era gremito di persone e nell’aria aleggiava l’odore dolciastro dell’alcol. Arden riusciva a fatica a passare in mezzo alla gente, le mani occupate da enormi calici di birra di color giallo scialbo. Era già il terzo giro che facevano e fortunatamente, non era lui a dover pagare. Arden raggiunse finalmente il tavolo ma all’ultimo si inciampò e sparse parte della birra sul tavolo.
«Diamine, Arden! Per fortuna che non sei ubriaco! Se fai fatica a stare in equilibrio quando sei sobrio, non oso immaginare a quando sei sbronzo» commentò Loyd, suscitando una risatina generale; anche Arden si costrinse a sorridere, in fondo stavano festeggiando e ad una festa bisognava stare allegri e divertirsi. Il ragazzo sedette nel misero spazio che era rimasto, nel giro di due minuti, il tempo di andare al bancone a prendere le birre e tornare, il numero di persone intorno a quel tavolo era aumentato considerevolmente e il ragazzo non era neanche sicuro di conoscerle tutte, alcune non le aveva proprio mai viste, come per esempio la bionda tinta avvinghiata a Trevor, era sicuro di non averla mai vista, eppure era lì a scolarsi birra e ridere come una gallina facendo sussultare il suo seno prorompente, come se si conoscessero da una vita e gli avesse sempre frequentati.
«Ehi, che ne dici se ce la svigniamo, tanto non credo che lo noterebbero ubriachi come sono» la proposta era giunta da una flebile voce alla sua sinistra, voltandosi si ritrovò davanti gli occhi azzurro ghiaccio di Kayle.
«Ci sto» acconsentì Arden che non vedeva l’ora di uscire da quel luogo soffocante e puzzolente. I due si alzarono dal tavolo e senza salutare nessuno uscirono dal pub. Una volta in strada Kayle scoppiò a ridere.
«Dio, non c’è la facevo più» dichiarò in un soffio «faceva un caldo tremendo, c’era puzza di fumo, si stava stretti, la birra faceva schifo e Reg continuava a palparmi le tette, o era Brent?» continuò la ragazza camminando per la strada immersa nel buio, barcollava un po’, segno che anche lei non era completamente sobria, ma almeno non si era messa a urlare frasi sconnesse dettate dall’alcol come Reg o aveva improvvisato uno spogliarello sul tavolo come una rossa che aveva tentato di portarsi a letto Arden, ma senza successo. Il ragazzo sorrise con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.
La notte era fredda, il respiro si condensava in nuvole biancastre che salivano verso il cielo solcato di nubi, la luna era coperta e non illuminava le strade, bagnate invece dalla calda luce della lanterne disposte ad intervalli regolari e alimentate dal Sospiro di drago, gli edifici erano scuri, la luce non riusciva a raggiungerli e parevano profili di uccelli rapaci che incombevano sulle strette strade della città, in attesa di rapire i viandanti che le percorrevano. Un vento freddo si insinuò nella via e fece rabbrividire Arden che si strinse nel suo cappotto di lana pesante.
«Dove vuoi andare?» chiese a Kayle, che camminava a pochi passi davanti a lui, la ragazza si voltò, un sorriso radioso che le illuminava il viso dai tratti sottili e delicati, derivazione dell’origine nordica della sua famiglia.
«Non lo so» ripose la ragazza «tu dove vuoi andare?»
A casa avrebbe voluto rispondere il ragazzo, ma si limitò a tacere. Non era snob o insofferente, come in molti credevano, era solamente un ragazzo molto timido e riservato, che non si sentiva a suo agio alle feste (a meno che non fosse ubriaco fradicio) e che preferiva passare le serate nella sua stanza, a leggere. Kayle si era fermata di colpo, come se fosse stata colta da un pensiero improvviso.
«Puoi venire a casa mia» propose voltandosi verso Arden.
A fare cosa? Avrebbe voluto chiedere lui, ma temeva di sapere già la risposta. Ma il proposito venne rimandato da un urlo improvviso che squarciò l’aria fresca della notte. Arden e Kayle si precipitarono verso il luogo da cui era provenuto. Giunsero in un vicolo stretto e buio, solamente un debole fascio di luce riusciva a rischiararlo e ad illuminare due figure: una era Daren, un Cacciatore di draghi a cui era riservata la parte nord-orientale della foresta, l’altra era quella di una ragazzina di poco più giovane di Arden, indossava una cappa di spessa lana nera, il cappuccio era scivolato via, liberando una cascata di lunghi ricci castani, la ragazza si teneva una mano sulla guancia sinistra tumefatta, Daren la teneva con forza per il braccio destro.
«Cosa è successo?» domandò Kayle.
«Non ti immischiare Kayle, non sono cose che ti riguardano» rispose bruscamente il Cacciatore.
«Mi riguardano eccome! Perché stai maltrattando una povera ragazza innocente?» replicò la ragazza.
Daren scoppiò a ridere «Innocente! Proprio!» sputò per terra, «Se ti interessa davvero saperlo, questa piccola bastarda ha cercato di boicottare il mio carico di scaglie di drago. Enon è la prima volta». La ragazzina per tutta risposta si mise a sussurrare qualcosa in una lingua sconosciuta piena di suoni sibilanti che fece accapponare la pelle ad Arden.
«E questo ti sembra un valido motivo per malmenarla?» chiese ancora Kayle «i furti si denunciano al Console, non ci si fa giustizia da soli picchiando una ragazzina in un vicolo.»
«Senti principessa, non mi scocciare, va bene? Tornatene a scopare il tuo amichetto e lasciami in pace» rispose Daren.
Arden vide la rabbia montare in Kayle, le posò delicatamente una mano sulla spalla, «Daren ha ragione, non è una questione che ci riguarda» le disse per evitare che la situazione degenerasse. C’erano sempre stati dei contrasti tra Daren e Kayle, e ogni motivo diventava buono per litigare e recriminarsi a vicenda vecchi torti subiti.
In quel momento il vicolo venne illuminato a giorno da un lampo di luce rosso-dorata, sprigionatosi dalla mano destra della ragazzina. Questo andò a colpire Daren che si accasciò a terra premendosi una mano sull’occhio sinistro, grondante sangue.
«Lurida bastarda» mugugnò l’uomo, la ragazzina, per tutta risposta si alzò e corse via «Te la farò pagare» le urlò dietro, ma lei era già lontana.
Kayle si precipitò da Daren «Stai bene?» gli chiese preoccupata.
«Sparisci!» la cacciò via lui in malo modo «è colpa tua se è scappata, puttana impicciona!»
Arden, invece rimase a fissare il punto in cui era sparita la ragazzina e cominciò a correre in quella direzione. Solo un’altra volta aveva visto un lampo di luce di magia di quel tipo ed era stata anche l’ultima volta che aveva visto vivo suo padre. Doveva scoprire chi o cosa fosse la ragazzina, ma prima di tutto doveva trovarla.
Intravide uno svolazzo di stoffa nera sparire dietro un vicolo e lo seguì. Lei era lì, come se sapesse che la stava seguendo e lo stesse aspettando. Aveva la mano destra pronta a scattare e la guancia sinistra gonfia e rossa.
«Perché mi stavi seguendo?» domandò la ragazzina «Vuoi punirmi per quello che ho fatto al tuo amico?» alcune scintille baluginavano intorno alle sue dita, crepitanti di magia.
«Daren non è mio amico. Non voglio punirti, non ho intenzione di farti del male» rispose Arden cauto.
La ragazzina sorrise, era un sorriso strano, sghembo, vagamente inquietante «Anche il tuo amico non voleva farmi del male, voleva solo farmela pagare.»
«Io voglio solo parlarti» dichiarò Arden.
La ragazzina non rispose ma le scintille che si sprigionavano dalle sue dita diminuirono, diventando delle minuscole lucine sfarfallanti, e questa bastò al ragazzo come risposta.
«Come ti chiami?» le chiese Arden.
«Perché ti interessa tanto saperlo?» domandò lei «Così puoi denunciarmi al tuo cosiddetto Console?»
«Voglio solo sapere chi sei» si scusò Arden O cosa sei.
La ragazzina sorrise di nuovo «Una leggenda» rispose semplicemente e per un attimo Arden intravide uno scintillio dorato attraversare i suoi grandi occhi castani.
In quel momento si sentì un rumore di passi di corsa in avvicinamento e di voci concitate.
La stanno cercando pensò Arden, anche la ragazzina parve capirlo e i suoi occhi si spalancarono, disse qualcosa in quella strana lingua sibilante e il ragazzo sentì nuovamente rizzarsi i peli delle braccia. Non poteva permettersi che la prendessero, le serviva, era l’unica che potesse dare una risposta alle sue domande.
«Vieni» le disse, facendole cenno di seguirlo. Lei lo guardò incredula.
«Cosa vuoi fare?» chiese scettica.
«Salvarti la vita» rispose lui, e senza attendere risposta la prese per un polso e la trascinò per i vicoli della cittadina. All’inizio la ragazzina provò a divincolarsi, ma la presa di Arden era forte e salda, così dopo vari e vani tentativi, rinunciò e si lasciò condurre. Si fermarono davanti ad una casa a due piani, in mattoni.
«Dove siamo?» chiese la ragazzina, il fiato corto per la corsa.
«A casa mia» ripose il ragazzo inserendo la chiave nella toppa, lei lo guardò ancora più perplessa «Questo è l’ultimo posto dove verrebbero a cercarti» aggiunse facendola entrare.

La ragazzina era seduta sul letto a gambe incrociate, si era tolta la cappa e guardava Arden con uno sguardo penetrante e sospettoso. Sotto la cappa indossava abiti in pelle: corsetto in pelle e bracciali in pelle che fermavano le maniche della camicia ai polsi, pantaloni in pelle inseriti in stivali in pelle da cui spuntava l’elsa di due pugnali, un terzo pugnale era assicurato ad una cintura alta di cuoio da cui pendeva anche un sacchetto di pelle.
«Perché mi hai salvato?» chiese la ragazzina dopo un interminabile silenzio. Arden non sapeva cosa rispondere «Ora sono in debito con te» continuò lei.
«Perché dovresti? Salvare ragazzine dai vicoli in piena notte è uno dei miei compiti» ripose lui. La ragazzina sorrise, un sorriso ben diverso da quello solito, strano e sghembo; era un sorriso dolce che si rispecchiava nei suoi occhi.
«No davvero, perché mi hai portato qui?» incalzò lei. Arden si morse le labbra, non sapeva se raccontare tutta la storia a quella ragazzina, in fondo era la prima volta che la vedeva; eppure la sete di conoscenza era più forte e premeva dentro di lui, bramava di scoprire cosa fosse quella ragazzina e come fosse stata capace di evocare quella magia.
«Come hai fatto a creare quel lampo?» chiese alla fine.
«In realtà non lo so nemmeno io. Da quanto ricordo sono sempre stata capace di fare queste cose. Ma non so da dove provenga questa magia, se è quello che vuoi sapere.»
Silenzio. Arden continuava a tormentarsi un laccio della camicia, indeciso se rivelarle o no tutta la sua storia, alla fine concluse che se avesse voluto avere delle informazioni in più dalla e sulla ragazzina, avrebbe almeno dovuto spiegarle il motivo. È così iniziò a raccontarle di com’era morto suo padre. Se lo ricordava come se fosse avvenuto il giorno prima e non ormai sei anni fa. Era una calda mattina di tarda primavera e come sempre lui e suo padre erano andati a caccia, di daini, non di draghi, suo padre aveva sempre aborrito quel tipo di caccia. Avevano avvistato uno stupendo daino, in mezzo ad una radura e suo padre stava per scoccare la freccia, quando si erano sentiti un urlo e un tonfo. Suo padre si era precipitato nel luogo da cui era provenuto e Arden si ricordava ancora che vi avevano trovato tre persone: una era incappucciata, l’altra aveva il volto scoperto e una cicatrice che gli deturpava metà del viso, la terza era distesa a terra, morta. Da quel momento i ricordi diventavano sfuocati e confusi, come le immagini sbiadite di un sogno che sta svanendo, si ricordava solo grida, colpi e quel lampo rosso; l’ultima immagine che era rimasta impressa nella sua mente era quella di un’altra figura distesa a terra, dal volto esangue e un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca, suo padre. Dopo la sua morte Arden era diventato l’uomo di casa e si era ritrovato sulle spalle il gravoso compito di mantenere la madre e una sorella, per questo era diventato un Cacciatore di draghi, l’alternativa sarebbe stata lavorare in una taverna o in un bordello, ma alla fine aveva optato per i cacciatori, molto meglio retribuiti. Questo però non lo disse alla ragazzina; durante il racconto non aveva proferito parola, era rimasta in silenzio e per un attimo Arden aveva anche intravisto i suoi occhi farsi lucidi, ora era tornata a guardarlo con quello sguardo penetrante frammisto a qualcosa d’altro, compassione forse?
«Mi dispiace molto per tuo padre» disse infine, con voce flebile «Ma, per quanto io sappia, non credo che sia stato uno di Noi ad ucciderlo, almeno non volontariamente.» il suo sguardo si era abbassato verso le sue mani che tormentavano i lacci degli stivali «Noi non uccidiamo, a meno che non sia strettamente necessario, ma di solito troviamo altre vie per difenderci» un sorriso triste era affiorato alle sue labbra «Quindi, non so chi possa aver ucciso tuo padre, potrebbe essere stato uno di Noi come potrebbe non esserlo stato…»
«Noi chi?» la interruppe bruscamente Arden.
La ragazzina sollevò lo sguardo verso di lui e il ragazzo venne catturato da quegli occhi castani profondi, malinconici e misteriosi «Hai mai sentito parlare delle Lingue di fuoco?» domandò.

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Capitolo 2
*** II ***


II
 
«Uomini nati dal fuoco che sanno parlare l’antica e misteriosa Lingua dei draghi e come loro sanno volare. Questi uomini vengono chiamati Lingue di Fuoco».
Erano le parole di una filastrocca, una di quelle che raccontavano i vecchi ai bambini nelle calde sere d’estate, e proprio quelle parole tornarono alla mente di Arden, rimaste assopite per lungo tempo nelle pieghe della sua memoria; le pronunciò in un sussurro e la ragazzina scoppiò a ridere, il ragazzo la guardò con aria interrogativa.
«Non siamo nati dal fuoco» iniziò a spiegare lei «Ma siamo nati come tutti gli altri esseri viventi, solo che noi abbiamo un dono: conosciamo e parliamo l’antica Lingua dei draghi. In quanto a volare non lo so se ne siamo capaci, io non ho mai provato; però possiamo dominare il fuoco ed evocarlo a nostro piacimento».
«Quindi quel lampo che è partito da te era…» inizio Arden.
«Una fiammata, sì» rispose la ragazzina. Poi fece roteare lentamente la mano e dalle sue dita scaturì una piccola fiammella traballante di un rosso vivido, il ragazzo la guardò stupito.
«Siete come dei maghi?» domandò. I maghi ormai erano scomparsi da tempo e ritornavano solo per popolare le storie di menestrelli e girovaghi.
«Una specie» sorrise la ragazzina, la luce della fiammella si rifletteva nei suoi occhi, conferendo una sfumatura quasi magica alle iridi scure, come se fossero attraversate da sottili fili dorati, con un altro impercettibile gesto della mano la fiammella sparì in uno buffo di scintille aranciate.
«Sappiamo anche applicare la Magia curativa» aggiunse e improvvisamente la guancia tumefatta venne circondata di una calda luce color del sole, pian piano il gonfiore e il rossore scomparvero, e la guancia della ragazza tornò quella di prima: magra, liscia e pallida, sembrava che non fosse mai stata colpita.
Arden era rimasto sbalordito, aveva sentito molte storie sulle Lingue di fuoco, ma non aveva mai avuto la fortuna di conoscerne una da vicino. Si stupì del fatto che fossero persone normalissime: si immaginava potenti esseri circondati dalle fiamme con possenti ali come quelle dei draghi e lunghissime lingue fiammeggianti, e invece si era ritrovato davanti una ragazzina minuta e assolutamente normale, senza ali, né fiamme.
«Ora è meglio che torni a casa» annunciò la ragazzina scendendo dal letto «Saranno in pensiero per me».
«Dove abiti?» le domandò il ragazzo, non si fidava a lasciarla andare in giro da sola, non con Daren nei paraggi.
«Nella foresta» rispose e Arden pensò che lo stesse prendendo in giro.
Nessuno abitava nella foresta, eccetto gli eremiti e i vecchi pazzi ubriachi, persino i taglialegna e i cacciatori avevano una casa in città o in un villaggio vicino.
«Non dirai sul serio?» le chiese scettico, la ragazzina annuì, Arden era sempre più convinto che lo stesse deridendo.
«Forse è meglio se per stasera rimani a dormire qui» le propose «Daren è ancora nei paraggi ed è un uomo piuttosto violento e vendicativo.»
«Non ho paura di lui» rispose lei.
«Insisto perché tu rimanga» cercò di convincerla il ragazzo «È pericoloso andare in giro di notte, soprattutto se devi andare nella foresta».
Nessuno sapeva cosa si nascondesse davvero tra gli alberi, c’erano un sacco di racconti su uomini che si erano avventurati nel bosco di notte e non erano più tornati, si diceva che fosse popolata da creature demoniache che si cibavano di carne umana, le stesse Lingue di fuoco erano oggetto di molti racconti di questo tipo e di altre storie che avrebbero fatto accapponare la pelle persino ad un impavido Cacciatore di draghi.
La ragazzina si voltò verso di lui e parve soppesare la sua proposta, alla fine acconsentì.
«Spero solo che non sia una scusa per approfittare di me» mormorò.
Arden insistette perché la ragazza dormisse sul letto e riuscì a convincerla. La ragazzina si era tolta gli stivali e la cintura e si era sdraiata sul letto stringendo tra le mani un pugnale e usando la sua cappa come coperta.
«Buonanotte!» sussurrò e si addormentò subito.
Arden la guardò per qualche momento, i lunghi capelli ricoprivano il cuscino simili ad un mare di onde castano scuro, scosse la testa ancora incredulo del fatto di aver incontrato una Lingua di drago; con un sospiro si abbandonò su una sedia e lì si addormentò.
 
«Arden! Svegliati!».
Qualcuno batteva forte alla porta. Arden si svegliò intontito, si trovava ancora sulla sedia su cui aveva trascorso la notte, scomodissimo. Il suo sguardo andò subito al letto ma lo trovò vuoto: la ragazzina se n’era andata.
Altri colpi alla porta «Vuoi alzarti, dannazione a te!».
Arden riconobbe la voce di Loyd, scese le scale di corsa, cercando di darsi un aspetto presentabile, aveva tutti i capelli scompigliati e gli occhi ancora impastati di sonno.
«Finalmente!» esclamò Loyd non appena il ragazzo aprì la porta «Credevo che ci avresti dato buca pure tu, tutti gli altri sono troppo ubriachi o stanchi per andare a caccia e Cale sostiene di aver visto un fitto gruppo di draghi verso le montagne dell’Ovest e deve essere nostro».
Arden si chiese da quando Cale facesse parte della squadra, era proprio dietro Loyd, un ragazzo magro con i capelli neri spettinati e una faccia pallida dallo sguardo scuro che fece rabbrividire Arden.
«Dammi un attimo per prepararmi e sono da te» disse prima di sparire in casa. Arden si cambiò in tutta fretta e ancora più in fretta preparò tutto il necessario, gettandolo in una sacca di pelle di daino. Ridiscese la scale pettinandosi i capelli con le mani e in un attimo stava camminando in strada con Loyd e Cale, diretti verso il luogo in cui l’altra sera avevano lasciato il loro mezzo.
«Da quando Cale è dei nostri?» chiese Arden a Loyd, il ragazzo in questione camminava a qualche metro dietro di loro, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, lo sguardo rivolto verso la strada, il viso pallido nascosto dai capelli.
«Da ieri sera, ha deciso di abbandonare la squadra di Daren, dice che è troppo dispotico e sadico»
Perché non ha ancora conosciuto Brent o Reg pensò Arden; Cale lo insospettiva , soprattutto per il fatto che venisse dalla squadra di Daren, da sempre la sua squadra e quella di Loyd erano in competizione e i due si odiavano apertamente, inoltre gli avvenimenti di ieri sera fornivano un buon pretesto per vendicarsi di qualcosa.
«Ci possiamo fidare di lui?» domandò il ragazzo biondo, Loyd guardò prima l’uno poi l’altro.
«Fino adesso non ha dato problemi, anzi».
Anche Arden gettò uno sguardo al ragazzo, questi alzò la testa, sotto i capelli neri brillavano due occhi grigi e Arden seppe che Cale era una Lingua di fuoco.
Giunsero nel luogo, ad aspettarli c’erano Kayle, Tasha e Benjy.
«Così pochi?» si stupì Arden, erano solamente la metà.
«Trevor e gli altri erano troppo ubriachi per riuscire a centrare con l’arpione un drago, e il che dovrebbe barti un’idea delle loro condizioni» commentò Tasha fermando la lunga treccia di capelli scuri con un laccio di cuoio.
«Pochi ma buoni» sentenziò Loyd «Lasciate che vi presenti Cale, un nuovo acquisto» continuò indicando il ragazzo cupo.
Benjy sussultò, Tasha gli gettò un’occhiata annoiata mente Kayle iniziò a studiarlo con i suoi penetranti occhi azzurro ghiaccio.
«Non mi piace quel ragazzo» confessò a Arden in un sussurro mentre salivano sul mezzo, pronti per la caccia.
«Neanche a me» convenne il ragazzo biondo «Ha qualcosa che mi inquieta.»
«Dove sei sparito ieri sera?» cambiò discorso la ragazza «Ti ho cercato dappertutto ma sembrava che ti fossi volatilizzato. Ho anche pensato che la ragazzina mora ti avesse fatto qualcosa.»
«Ero andato a cercare lei» confermò il ragazzo «Ma poi l’ho persa di vista e me ne sono tornato a casa, mi spiace non averti avvisato, scusami.» Kayle lo guardò, il suo sguardo diceva più di mille parole, non credeva alla scusa dell’amico.
«Daren è furibondo per questa storia!» riferì la ragazza «E forse è per questo che non mi fido molto del fatto che ci sia uno che faceva parte della sua squadra tra noi. Era convinto che te la fossi svignata con la ragazzina e l’avessi portata a casa, sosteneva di averti intravisto correre con lei mano nella mano…Ha tirato scema metà delle persone con questa storia. Secondo me il lampo doveva averlo accecato più del previsto» commentò con una risatina.
«Ma lui sta bene?» chiese Arden preoccupato.
«Sì ha solo una lieve bruciatura sulla tempia, ancora qualche centimetro e il suo occhio sarebbe andato» rispose la ragazza, Arden tirò un sospiro di sollievo.
«Comunque quella ragazzina pare essere completamente scomparsa, Daren è da ieri sera che la cerca per tutta la città ma non l’ha ancora trovato, ha addirittura convinto i membri della sua squadra ad andare a caccia della ragazzina al posto di cacciare draghi, quindi oggi dovrebbe essere tutto molto più tranquillo» continuò la ragazza.
Intanto erano entrati nella foresta, l’aria fresca del primo mattino passava ululando attraverso ai rami spogli, simili a mani scheletriche che si protendevano verso il cielo cupo, preannunziatore di neve. Arden voltava la testa da una parte all’altra, cercando con lo sguardo una qualsiasi cosa che potesse somigliare vagamente ad un’abitazione.
«Dovresti guardare in aria, Arden, non in giro!» lo rimproverò Loyd dal timone.
Arden si scusò e alzò lo sguardo verso il cielo, socchiuse gli occhi e gli parve di distinguere un’ombra più grigia delle nuvole volare in cerchio verso nord-ovest.
«Siamo vicini» sentì dire da Cale, da qualche parte dietro di lui, aveva una voce bassa, inquietante come il resto di lui.
Arden fu il primo a scorgerli, presto, alla prima figura scura se ne aggiunsero altre più piccole, dovevano essere draghi giovani che non avevano ancora raggiunto la maturità e questo significava che il loro Sospiro sarebbe stato più acerbo, si sarebbe acceso subito, ma avrebbe bruciato per poco tempo. Ce n’erano cinque in tutto che sorvolavano la zona sopra la foresta occidentale, proprio a ridosso delle montagne, dei colossi color antracite pieni di speroni e affranti, il posto perfetto in cui trovare dei draghi. Si sentì un ruggito lontano e Loyd scoppiò a ridere «Signori, il premio quest’anno sarà nostro» annunciò felice.
Si fermarono in un boschetto di giovani alberi, vicino ad una radura, i draghi erano i tipici esemplari delle montagne: enormi, con le squame dello stesso colore delle montagne e glaciali occhi azzurri, molti li confondevano con i draghi del gelo, ma quelli stanziavano sulle montagne del Nord; avevano le squame bianco-argento e gli occhi rossi, inoltre non sputavano fuoco, bensì ghiaccio.
Loyd iniziò ad impartire ordini, Cale aveva assicurato che prima o poi uno di loro si sarebbe avvicinato e allora avrebbero potuto attaccare.
Dopo un’attesa che parve interminabile finalmente uno dei draghi scese ad una quota abbastanza bassa per venire colpito dagli arpioni, Loyd dette l’ordine il primo arpione squarciò l’ala sinistra dell’animale. Questo si abbatté al suolo emettendo un possente ruggito e cercò di divincolarsi, lacerando ancora di più l’ala, Kayle sparò il secondo arpione e anche l’ala destra venne ancorata a terra. Con la metà dei componenti fu più difficile imprigionare il drago nelle corde ma alla fine riuscirono a renderlo inoffensivo. Loyd partì con la lancia sguainata e in meno di un minuto trovò il punto esatto, il Sospiro di drago colava copioso dal collo dell’animale, simile a resina rossastra. Stava riempiendo il contenitore quando il drago diede uno strattone più forte degli altri e una delle corde cedette, uno dei lembi andò a colpire Tasha in pieno volto, scaraventandola lontano. Kayle si precipitò verso di lei, la guancia destra della ragazza era uno squarcio rosseggiante e sanguinante, Arden invece si fiondò verso la corda che aveva ceduto, ma ben presto anche le altre iniziarono a spezzarsi, il drago si stava liberando.
«LOYD!» urlò Arden «VAI VIA DI Lì». Il suo capitano era ancora tutto intento a riempire il contenitore e non si era accorto di quello che stava succedendo. Una corda colpì Benjy che ne stava trattenendo un’altra e venne sbalzato anche lui lontano.
Arden corse da Loyd , chiamandolo a gran voce e cercando di scansare le corde che saettavano da tutte le parti e schioccavano come fruste. Presto il drago sarebbe riuscito a liberarsi del tutto e avrebbe dato sfogo a tutta la sua rabbia e Arden non aveva intenzione di esseri lì quando sarebbe successo.
Il ragazzo raggiunse finalmente Loyd.
«Che sta succedendo?» chiese quello incredulo.
«Una delle corde ha ceduto» gli spiegò Arden «Il drago si libererà del tutto a momenti, dobbiamo recuperare gli arpioni e andarcene»
Loyd annuì «Tu pensa a quello di destra io a questo» comandò e il ragazzo biondo corse verso l’altro arpione. In tutta quella confusione aveva perso Cale, sembrava essersi volatilizzato.
L’arpione era ben fissato nel terreno e fu un impresa liberarlo, soprattutto con le corde che dardeggiavano da ogni dove, minacciando di colpirlo ogni volta, e il drago che continuava a muoversi e ruggire imbestialito. Una corda gli colpì il braccio scorticandoglielo, Arden urlò di dolore e il suo grido si mischiò a quello del drago, ancora poche corde e la sua bocca sarebbe stata libera. Il ragazzo strinse i denti, il braccio gli bruciava e sentiva del sangue scendergli anche lungo la gamba. Mancavano ancora pochissimo per liberare del tutto l’arpione, ma in quel momento Arden sentì qualcosa arrivargli dritto in faccia. Si sentì sbalzato via, con la faccia che bruciava come se gli stesse andando a fuoco, sentì la schiena cozzare contro qualcosa, il profumo di resina, il ruggito del drago e poi più nulla.
 
Aprì gli occhi e si ritrovò davanti le iridi azzurro ghiaccio di Kayle.
«Per fortuna non sei morto» sospirò sollevata, Arden sentiva la faccia bruciargli e tirargli, qualcosa gli stringeva il braccio e la gamba, e sentiva la testa pulsare.
«Cosa è successo?» chiese a fatica.
Kayle gli spiegò l’accaduto: mentre lei stava cercando di curare la ferita di Tasha, il drago si era liberato del tutto dalle corde, fortunatamente però Loyd era riuscito a divellere l’arpione e anche lui ci stava riuscendo fino a quando una delle corde non l’aveva colpito in pieno volto, allora era stato sbalzato via ma così era anche riuscito a liberare del tutto l’arpione. Il drago, finalmente libero aveva iniziato a sputare fuoco; lei e Loyd hanno cercato in fretta e furia di raccattare i supersiti e di metterli sul mezzo prima che finissero tutti carbonizzati, poi erano venuti a casa sua dove lei, sua madre e sua sorella li avevano curati.
«E gli altri come stanno?» chiese Arden preoccupato.
«Se la caveranno: Tasha avrà una cicatrice come il suo fidanzato, Loyd è un po’ bruciacchiato ma sta bene, è solo un po’ ferito nel’orgoglio, tu eri quello messo peggio» la sua voce si abbassò improvvisamente «Benjy, però non ce l’ha fatta, il colpo che ha ricevuto è stato troppo forte»
«Vuoi dire che…» le parole gli si fermarono in gola.
«Sì, è morto» confermò Kayle, gli occhi pieni di lacrime.
Arden sentì le lacrime premere agli angoli degli occhi, gli dispiaceva per Benjy, era solamente un bambino, non era giusto che morisse così.
«Voleva diventare uomo ed è morto da tale» disse Loyd, nessuno l’aveva sentito entrare «Abbiamo riportato le sue spoglie al padre, è stato straziante» continuò entrando nel campo visivo di Arden, aveva il volto teso, le cicatrici svettavano su di esso, profondi segni bianchi che gli attraversavano tutta la parte sinistra, i capelli biondi erano un po’ bruciacchiati, i vestiti strappati e ricoperti di cenere, ma per il resto stava bene, Arden notò che una profonda tristezza oscurava gli occhi nocciola, di solito vispi e sorridenti.
«E Cale?» domandò Arden, sapeva che stava rigirando il coltello nella piaga, ma doveva sapere.
«È sparito nel nulla» rivelò Loyd «Nella radura non c’era e neanche sul mezzo.»
«Sapevo che non dovevamo fidarci di lui!» esclamò Arden «Daren stava architettando qualcosa.»
Né Kayle né Loyd risposero nulla, l’uno stava con un braccio appoggiato contro alla porta, la testa abbandonata su di esso, l’altra sistemava le bende con cui aveva fasciato Arden. Non aveva mai visto i due così abbattuti, tristi e stanchi. Erano le colonne portanti della squadra, quelli che li incitavano e incoraggiavano sempre, quelli che non si arrendevano mai, ora Arden li vedeva per ciò che erano in realtà due ragazzi giovani, feriti e non solo fisicamente, che piangevano per una perdita.
Benjy pensò il ragazzo sorridendo tristemente, ancora una volta si ritrovò a pensare a quanto fosse giovane e spaurito quel ragazzo, in un certo senso gli ricordava lui quando aveva appena iniziato a fare il Cacciatore: allora anche Loyd era solo un ragazzo, aveva la stessa età di Arden adesso e la squadra era guidata da suo padre, un uomo affascinante con i capelli castani e la voce autoritaria di cui poi Loyd aveva preso il posto.
«Credo che per un po’ di tempo è meglio se rimaniamo fermi» annunciò Loyd «Tu e Tasha dovete riprendervi e…anche noi» mormorò il ragazzo.
«Potremmo chiamare il nostro mezzo Benjy» propose Kayle «In memoria di quel ragazzino così spaurito che aveva paura anche solo vederli i draghi».
Arden si costrinse a sorridere, e così pure Loyd e convennero con l’idea della ragazza, sarebbe stato un bel modo per ricordarlo e far sì che comunque stesse ancora con loro e venisse a caccia di draghi.
I due uscirono dalla stanza per riposare Arden. Il ragazzo però non riuscì a chiudere occhio, aveva troppi pensieri che gli vorticavano nelle testa: la sua mente andava da Benjy a Cale alla ragazzina mora e poi di nuovo a Cale, sapeva che c’era un collegamento tra quello che era successo oggi e il ragazzo e Arden aveva il sospetto che quella corda non si fosse staccata solo grazie al drago.
Provò a girarsi su un fianco e sentì una fitta terribile al braccio, mai come in quel momento avrebbe voluto anche lui saper utilizzare la magia curativa come quella ragazzina.
E con il pensiero di lei, riuscì ad addormentarsi.

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Capitolo 3
*** III ***


III
 
Erano passate quasi due settimane. La ferita di Arden era diventata una cicatrice: un sottile segno biancastro che gli attraversava la guancia destra, dall’attaccatura del naso fino al collo, per poi sparire nella stoffa della camicia. Anche Tasha si era ripresa bene e ora lei e Loyd venivano chiamati i “fidanzati sfregiati”.
Aveva passato gli ultimi dieci giorni segregato in casa, ricevendo solo qualche saltuaria visita di Loyd e degli altri, sentire nuovamente il vento accarezzargli la faccia gli procurava un’inebriante sensazione di libertà.
Fu Kayle la prima a scorgerlo e gli corse subito incontro saltandogli al collo, poi venne Loyd che gli diede una pacca sulla spalla e gli disse un «Bentornato a bordo»; uno dopo l’altro vennero a dargli il benvenuto tutti quanti, con una pacca sulla spalla, un abbraccio, una stretta di mano, Arden rispondeva a tutti con un caloroso sorriso che si rispecchiava negli occhi chiari, era contento di essere tornato tra loro. Improvvisamente però, il suo viso si oscurò: appoggiato a Benjy, con la divisa di cuoio dei Cacciatori di Loyd, stava Cale, il viso come sempre coperto dai capelli.
«Cosa ci fa lui qui?» sibilò Arden a Kayle.
«Loyd l’ha voluto comunque in squadra, ha un’ottima vista» le spiegò, dietro a Cale apparve un ragazzino di circa sedici anni, con i capelli biondi ricci e due occhi verde chiaro.
«Lui invece?» domandò ancora il ragazzo.
«È Hayden, il sostituto di Benjy» rispose la ragazza.
«Loyd non ha perso tempo» commentò Arden.
«Sai che abbiamo bisogno di nuovi uomini, Arden» replicò la ragazza.
«E anche di nuove donne» fece notare il ragazzo «Loyd si è dato un sacco da fare in questi giorni per raccattare nuovi membri».
«Quella è Cloudy» disse Kayle indicando una ragazzina che sembrava la sorella di Cale, stessi capelli neri e stessi penetranti occhi grigi.
«È imparentata con Cale?» chiese il ragazzo biondo.
«Perché?» domandò a sua volta Kayle, sorpresa.
«È inquietante allo stesso modo» rispose Arden caustico.
Non gli piacevano i nuovi acquisti di Loyd: Cale aveva qualcosa di sospetto, Hayden gli sembrava un pivellino privo di esperienza e Cloudy la versione femminile di Cale.
Arden scosse la testa e si issò sul mezzo.
Ben presto i suoi pensieri vennero spazzati via dall’aria invernale che sibilava tra gli alberi; il rumore di ruote sul terreno e i ruggiti lontani dei draghi fecero spuntare ad Arden il sorriso e a fargli dimenticare tutte le sue congetture e sospetti.
Alzò lo sguardo verso il cielo in cerca di qualche drago, ne avvistò uno, magnifico, che si librava alto sopra gli alberi, doveva essere un cosiddetto Drago delle Pianure: per niente massiccio ma con una corporatura più sottile e longilinea, le squame che andavano dal color sabbia, al verde brillante ad un grigio spento, il loro Sospiro del Drago era il più richiesto in quanto era quello che bruciava meglio e più a lungo. Arden mandò un richiamo e Tasha diresse Benjy verso il drago. L’animale si stava abbassando in spirali concentriche verso una piana, alla ricerca di cibo. Questi animali mangiavano principalmente capre, pecore e tutto quello che potevano offrire gli altipiani di Brentol; molti contadini avevano perso parecchi capi a causa loro e i Cacciatori erano serviti anche per stanare queste bestie, ora i draghi delle Pianure erano molto rari, alcune specie quasi praticamente estinte, altre migrate altrove, dando modo ai contadini di tirare un sospiro di sollievo e non temere più per i loro greggi. Quel drago doveva essere uno dei pochi rimasti, era piuttosto giovane, baldanzoso ed elegante.
Loyd iniziò ad urlare i soliti ordini, Arden mentre prendeva posizione incrociò Cale.
«Spero che non te la svignerai come l’altra volta» gli disse sprezzante, il ragazzo lo fissò e Arden rimase intrappolato nel suo sguardo grigio acciaio, aveva lo stesso scintillio della ragazzina (che da allora non aveva più rivisto, ma non aveva neanche avuto occasione di cercare) ma questo era freddo, crudele, molto diverso da quello caldo e rassicurante di lei; le labbra del ragazzo si aprirono in un sorriso malizioso.
«Non mi perderei lo spettacolo per niente al mondo» dichiarò misterioso, Arden lo seguì con lo sguardo fino a quando non scomparve tra la folla di Cacciatori in fermento che si apprestavano ad attaccare.
Il primo arpione fu lanciato e il drago venne colpito quando era ancora in volo. Si abbatté al suolo, facendo sussultare Benjy. L’ala destra era squarciata. Trevor scagliò il secondo arpione e strappò la membrana dell’altra ala, come se fosse stata una vela lacerata da un vento impetuoso di tempesta. Il drago emise un ruggito terribile. Subito vennero lanciate le corde che lo circondarono e lo legarono stretto. Arden vide Loyd partire con la lancia sguainata ed ebbe un improvvisa sensazione poco piacevole. C’era qualcosa che non andava, eppure non riusciva a capire cosa. Qualcuno lo richiamò all’ordine e anche Arden si gettò verso il drago, ma con meno forza e slancio di Loyd.
Giunto di fronte alla creatura non poté fare a meno di aprire la bocca, in due sole settimane si era dimenticato di quanto fossero possenti e magnifici da vicino.
«Allora che aspetti?» gli chiese Loyd che piantava con furia la lancia nel collo dell’animale alla ricerca del Sospiro. Arden si riscosse e iniziò a pungolare la bestia, non per cattiveria ma per capire dove si trovasse la sacca contenente il Sospiro, improvvisamente da un piccolo squarcio uscì un liquido appiccicaticcio dorato misto a sangue, aveva trovato la sacca. Esultò sottovoce e chiese a gran voce un contenitore, glielo portò Kayle congratulandosi con lui, era la prima volta che trovava lui la sacca, di solito era riservato a Loyd questo onore.
Il ragazzo biondo gli gettò un’occhiata che non riuscì a capire se fosse di meraviglia, invidia, approvazione o tutte e tre le cose insieme.
Mentre riempiva il contenitore la sensazione si fece più insistente tanto che iniziava a sentire come un macigno gravare sul suo stomaco, stava accadendo qualcosa di brutto. In quel momento si sentì un ruggito, e qualcuno urlare «Un drago! Ci sta attaccando!»
Questa è buona pensò Arden, da quando i draghi andavano deliberatamente incontro alla morte?
Il ruggito si fece più vicino e Arden vide delle fiamme levarsi al di là dell’enorme massa giallo-verde del corpo del drago. Qualcuno urlò.
«RITIRATA!» sentì ordinare Loyd. Arden imprecò, il contenitore era pieno solo a metà e c’era ancora tanto Sospiro da prelevare.
«Muoviti Arden! O preferisci morire carbonizzato?» gli intimò Loyd passando di corsa accanto a lui.
Un nuovo ruggito e una nuova fiammata, la cosa positiva era che il drago non poteva atterrare, quella negativa era che i suoi attacchi dall’alto avrebbero potuto colpire chiunque.
Arden imprecò nuovamente e iniziò a correre verso Benjy, ma a pochi metri dal mezzo si inciampò in un pezzo di corda. Cadde malamente a terra, il contenitore gli volò via dalle mani e rotolò via, spargendo il Sospiro ovunque. Merda pensò Arden, se una fiammata del drago avesse raggiunto il Sospiro sarebbe stato circondato dall’inferno. Cercò di rialzarsi e a fatica riuscì a rimettersi in piedi, nella caduta si era slogato una caviglia. Merda ripeté mentre zoppicava verso Benjy, i ruggiti del drago che sconquassavano la terra e gli facevano tremare le viscere.
Una nuova fiammata e il Sospiro prese fuoco. Arden si gettò a terra e rotolò via appena in tempo, dove un attimo fa c’era lui si sollevavano alte fiamme rosse, e in mezzo a quelle fiamme gli parve di vedere qualcuno. Impossibile pensò il ragazzo, evidentemente il colpo ha fatto più danni di quanto pensassi, ho le allucinazioni.
Cercò di rialzarsi ma il suo braccio sinistro mandò una fitta atroce, era ustionato: grosse fiacche bianche iniziavano a formarsi sulla pelle lesa. Merda ripeté il ragazzo per la terza volta, il suo fianco e la sua gamba sinistra non erano messi meglio.
La figura intanto non se n’era andata, al contrario, avanzava e diventava sempre più vivida, segno che non era un’allucinazione. Le fiamme la circondavano, senza bruciarla, anzi parevano accarezzarla, baciarla, spostarsi per lasciarla passare. Era a pochi passi da Arden, con un braccio ustionato, una caviglia slogata, i capelli bruciacchiati e il viso coperto di sangue, terra e cenere.
«Cale!» esclamò il ragazzo stupito, era proprio il ragazzo inquietante a svettare davanti a lui, i capelli mossi da un vento che non c’era, le fiamme che si riflettevano nei suoi occhi. Cale sorrise e ad Arden nessun sorriso parve più terribile di quello «Traditore!» gli urlò. Il ragazzo moro non si scompose, avanzava sempre di più verso Arden, iniziò a parlare nella lingua sibilante che faceva venire i brividi al ragazzo biondo, era a pochi centimetri sopra la sua testa.
«Daregan Mahar» sibilò con disprezzo Cale e sputò a pochi centimetri dal viso del ragazzo prima di abbandonarlo al suo destino e sparire tra le fiamme. Fu tutto ciò che Arden riuscì a vedere prima di perdere i sensi.
 
Arden sentì delle voci e riaprì gli occhi, la piana fumava, gli alberi più vicini erano neri, carbonizzati, Benjy era sparito. L’avevano abbandonato, molto probabilmente l’avevano creduto morto, forse erano loro che erano tornati per recuperare il suo cadavere, ma Arden non era morto. La parte sinistra del suo corpo bruciava in maniera terribile e quel dolore atroce era per lui la certezza di essere ancora vivo, non riusciva a rialzarsi, né a trascinarsi, era stremato dal dolore. Le voci si fecero più vicine, erano voci giovani, di ragazze.
«Che orrore!» esclamò una.
«Sono stati i Cacciatori a creare questo scempio!» replicò un’altra con disprezzo.
«È stato Caleisha a creare questo scempio e su tuo ordine» rispose una terza voce che suonava familiare. La seconda voce borbottò qualcosa allontanandosi.
«Dovevi proprio organizzare un attacco così terribile?» chiese la voce familiare avvicinandosi.
«Guarda come hanno ridotto questo Dareg, Eilesha e dimmi che non avremmo dovuto dargli una lezione.» Arden sentì la ragazza chiamata Eilesha sospirare, o meglio pensò che fosse lei.
«È ANCORA VIVO! Il drago, non è morto!» esclamò la prima voce.
«Davvero?» chiese la seconda speranzosa.
Il ragazzo sentì un rumore di passi affrettati e si sforzò di alzare un po’ la testa, c’era una figura longilinea a pochi metri davanti a lui, scura, contro il sole morente, era affiancata da due figure più piccole che emisero un gracchio e piombarono su di lui. Arden si rese conto che si trattava di due piccoli draghi neri. I draghi rimasero sospesi su di lui come se lo stessero studiando, poi lo aggredirono. Il ragazzo sentì un improvviso dolore, quelle creature lo stavano mordendo e graffiando, non aveva la forza per scacciarle, né per difendersi, si lasciò torturare rassegnato, sperando che la morte giungesse in fretta.
«Tanatos! Nosos! Venite qui!» sentì richiamare dalla voce e i due draghi dopo un breve momento di esitazione obbedirono «Che vi è preso?» domandò la voce. I due draghi si erano posati sulle sue spalle. Arden pensò che fosse una figura possente e magnifica e per un attimo gli tornò alla mente la leggenda della Signora dei Draghi. Era una storia che gli aveva raccontato sua mamma quando era molto piccolo e raccontava di questa Signora che sapeva parlare con i draghi, dialogare con loro e controllarli, aizzarli contro le persone e richiamarli. Si ricordò anche di quello che faceva ai Cacciatori di draghi e rabbrividì. La figura intanto si era avvicinata.
«Mahanate leira!» la sentì esclamare, Arden sollevò il viso e incontrò uno sguardo profondo, malinconico, misterioso e familiare racchiuso in due occhi di un caldo castano. Appartenevano ad un viso molto giovane che Arden aveva già visto, una treccia scura usciva dal cappuccio calato sulla sua testa, un ciuffo era sfuggito alla presa e le copriva un occhio in un’onda color cioccolato.
La giovane iniziò a mormorare qualcosa e dalle sue mani si sprigionò una calda luce dorata, passò le mani sul corpo del ragazzo e questo sentì una piacevolissima sensazione di calore pervadergli tutto il corpo. Iniziò a sentire anche la pelle tirarsi e il bruciore alla parte sinistra diminuire.
«Ahanare lai garede tie Dragean Mahar» gli sussurrò la ragazza con un sorriso dolcissimo e Arden fu sicuro di essere morto, la ragazza mormorò qualche altra parola e il ragazzo sentì un piacevole torpore avvolgerlo tutto, chiuse gli occhi e si lasciò invadere da esso, l’ultima cosa che sentì fu un tocco delicato sulla sua guancia sinistra e poi più nulla.
 
*
 
«Non penserai di portarlo con noi!»
«Ma è ferito, non posso lasciarlo qui!»
«È un Cacciatore!»
«È un essere umano!»
«C’è ben poco di umano in quello che ha fatto a quel drago»
«Non puoi far ricadere la colpa di molti su uno solo!»
«Forse è proprio lui che ha ridotto così il drago»
«Ciò non toglie che abbia bisogno d’aiuto»
«L’hai già curato, Eilesha! Usando la magia curativa, oltretutto. Hai già fatto più di quel che si merita questo Mahar »
«Io non permetterò che venga lasciato qui!»
«Fai come vuoi, ma sappi che non voglio averci nulla a che fare. Quelli come lui dovrebbero perire nel fuoco dei draghi che uccidono!»
Eilesha non rispose, qualsiasi parola era inutile e sarebbe servita solo ad aumentare la rabbia e il disprezzo in Leisha. Gettò uno sguardo al ragazzo biondo, disteso sulla pancia nell’erba, aveva provato a curare le sue ferite, ma l’ustione era profonda e il veleno di Tanatos e Nosos era già entrato in circolo. Quel ragazzo aveva bisogno di riposo e cure continue.
«Devo ancora finire di pagare il mio debito» sussurrò, come se stesse cercando di convincere qualcuno «Lui ha salvato la mia vita e io mi sento in dovere di salvare la sua».

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Capitolo 4
*** IV ***


IV
 
Arden aprì gli occhi e si trovò davanti un soffitto di legno chiaro. Scoprì di essere sdraiato su un letto, sentiva le morbide e fresche lenzuola sfiorarli la pelle bollente, aveva la febbre.
«Temevo non ti svegliassi più» sospirò sollevata una voce conosciuta. Il ragazzo sforzò il collo per capire chi avesse parlato ma fu la ragazza a entrare nel suo campo visivo. Aveva un viso dai tratti decisi, addolcito da una matassa di morbidi ricci castani, Arden la riconobbe: era la ragazzina che aveva incontrato tempo fa nel vicolo, la Lingua di Fuoco.
«Dove mi trovo?» domandò Arden a fatica, aveva la gola secca.
«Sei al Rifugio, a casa mia» rispose la ragazzina.
«Da quanto tempo sono qui?» chiese ancora il ragazzo.
«Quasi un giorno» rispose lei, «hai dormito per tutto il tempo». Arden sentì qualcosa di fresco bagnarli la fronte e una piacevole sensazione di sollievo, la ragazza aveva appoggiato una pezza bagnata.
«Nessuno è venuto a cercarmi?» domandò Arden, pur intuendo già la risposta.
«Nessuno pensava fossi ancora vivo» replicò la ragazza «Se i miei draghi non ti avessero visto e attaccato neanche io ti avrei notato» continuò «A proposito, mi dispiace per l’aggressione. Ma con così pochi draghi e con così tanti Cacciatori in giro hanno paura, e li capisco».
In quel momento si sentì un gracchio e una figura nera atterrò sulla spalla della ragazzina, il ragazzo sussultò.
«Non ti preoccupare» lo tranquillizzò lei, «non dovrebbero più farti del male, gliel’ho ordinato».
«Sei la Signora dei draghi?» domandò Arden, la ragazzina scoppiò a ridere.
«No, no» si affrettò a dire «sono una semplice ragazza di sedici anni che conosce la lingua dei draghi, ma tu puoi chiamarmi Elleboro»
Elleboro ecco come si chiamava quella ragazzina.
«Arden» si presentò il ragazzo e provò a muovere la mano destra per stringere quella della ragazzina, ma una fitta lo costrinse a desistere dal suo proposito.
«Stai tranquillo» sussurrò la ragazza «Sei debole, la parte sinistra del tuo corpo deve ancora guarire dall’ustione e il veleno dei miei draghi è entrato in circolo, mi dispiace.»
«È per questo che ho la febbre?» chiese il ragazzo, si sentiva anche intorpidito, caldo ed esausto, con i sensi obnubilati dalla febbre, non riusciva a muoversi, ogni movimento gli costava un enorme fatica, come se fosse immerso in un lago di melassa irto di spilli.
«Sì, è uno dei sintomi. Ma tranquillo, farò di tutto perché tu guarisca velocemente» gli sorrise la ragazza e il solito scintillio dorato le illuminò il castano caldo dei suoi occhi..
«Ora sono in debito con te» le fece il verso lui, la ragazza sorrise di nuovo.
«In realtà adesso siamo pari» rispose lei, si diresse verso un tavolino e prese un vassoio, sopra c’erano una ciotola piena di brodo caldo, del pane bianco e una brocca piena d’acqua.
«Ora è meglio se mangi, per recuperare le forze» gli consigliò appoggiando il vassoio sul letto e aiutando Arden a mettersi seduto, fitte di dolore simili a aghi appuntiti lo costrinsero a stringere i denti.
«Come faccio se…» iniziò lui ma si ritrovò un cucchiaio di zuppa in bocca. Gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, con sua mamma che lo imboccava e gli raccontava le favole quando era costretto a letto dalla febbre, sperò che a Elleboro non venisse in mente di fare anche questo, si sentiva già terribilmente in imbarazzo.
«Devi proprio?» domandò, e Elleboro ne approfittò per dargli un’altra cucchiaiata di brodo, «Mi sento un infermo» protestò.
«Sei un infermo» replicò lei con un sorriso.
«Sembra che la cosa ti diverta» notò lui.
«Da morire» rispose lei. Dopo averlo imboccato, Elleboro lo costrinse a prendere una medicina
«Serve per neutralizzare il veleno dei miei draghi» gli spiegò facendogliela ingoiare a forza, non gli erano mai piaciute le medicine. Questa però, nonostante l’aspetto poco invitane, era infatti un liquido marrone scuro, aveva un sapore dolce e piacevole.
«Ora devo controllare lo stato della tua ustione» continuò. Solo ora Arden notò che aveva il braccio, il petto e la gamba fasciate e che lì la pelle tirava terribilmente. Elleboro iniziò a svolgere le bende e il ragazzo rimase inorridito di fronte alle ferite, erano delle lunghe strisce rosse, ricoperte di fiacche purulente.
«Ho provato a curarla con la magia, ma non è servito a molto» rivelò sconsolata la ragazza iniziando a spalmare una sostanza vischiosa rosa pallido, all’inizio l’unguento procurò una sensazione di piacevole sollievo al ragazzo, ma venne subito sostituita da un bruciore atroce. Si morse le labbra e sentì il retrogusto metallico del sangue.
«Lo so» mormorò la ragazza «Ma è l’unico unguento che sono riuscita a trovare in grado di far guarire un’ ustione del genere. È pur sempre fuoco di drago quello che ti ha ferito.»
La ragazza iniziò a riavvolgere le bende e Arden sentì un’ultima atroce fitta quando stinse il nodo.
«Ora ti lascio riposare» annunciò «Tornerò stasera, con la cena.»
Arden la vide dirigersi verso la porta, il piccolo drago nero che le era sempre stato accanto indugiò un attimo a studiare il ragazzo, aveva piccoli e intelligenti occhi verde smeraldo nei quali erano immersi delle sottili pagliuzze dorate.
«Tanatos, vieni» lo chiamò la ragazza ferma sulla porta, il draghetto si voltò verso la padroncina e gracchiò.
«No, non puoi stare qui con il Cacciatore» gli disse «Hai già fatto abbastanza per lui», il drago gracchiò di nuovo, questa volta il ragazzo sentì una sorta di nota quasi dispiaciuta nella sua voce.
«Non mi interessa se ti sta simpatico. Non puoi stare nella sua stanza da solo, non in queste condizioni», il drago gracchiò con fare interrogativo.
«Perché rischieresti di attaccarlo di nuovo, e il tuo veleno ha già fatto troppi danni» il draghetto gracchiò risentito.
«Non importa che sia stata Nosos a morderlo, non posso permetterti di farti rimanere qui. Quindi ora vieni» rispose la ragazza spazientita e aggiunse qualche parola nella lingua sibilante dei draghi, Tanatos gracchiò dispiaciuto e seguì remissivo la sua padroncina fuori dalla stanza. Arden li seguì con lo sguardo fino a quando la ragazza non si richiuse la porta alle spalle, rimase ancora qualche minuto a fissare la porta prima di riappoggiare il collo sul cuscino.
 
*
 
«Gli fai anche da infermiera adesso?»
«Cielo Leisha! Ti stiamo forse dando fastidio?»
«Non mi piace che tu dedichi così tante attenzioni ad un Cacciatore.»
«Ti ricordo che è innanzitutto un essere umano.»
«Uccide i draghi! Quanto può esserci di umano in questo?»
«Anche noi uccidiamo, gli animali.»
«Sì ma lo facciamo per sopravvivere.»
«E per cosa credi che lo facciano loro? Il Sospiro di drago serve come combustibile e loro hanno bisogno della luce.»
«Adesso li difendi? Sei diventata anche tu una di loro?»
«Sto solamente cercando di farti capire che non sono così crudeli come li dipingi tu.»
«Non sono crudeli?!?! Mahanate Eilesha! Ma ti sei mai accorta di come lasciano quelle povere bestie? Agonizzanti, ferite, con le ali lacerati e la gola scarnificata, a volte li strappano perfino le scaglie e li torturano! Non hai mai visto con quale ferocia conficcano le loro lance nel collo di quei poveri animali, con quale crudeltà gettano i loro arpioni squarciando le loro ali come se fossero stoffa? Devo ricordarti che uno di quelle povere bestie è proprio qui, a due passi, quasi in fin di vita e tutto questo per colpa di quello stupido Mahar che ti ostini a difendere e curare?»
«Ma lo possiamo cambiare Leisha! Possiamo fargli conoscere i draghi, farglieli apprezzare e fargli capire le atrocità che quelli come lui compiono contro di essi!»
«È dunque questo quello che vuoi fare? E cosa speri di ottenere?»
«Il fatto che un Cacciatore torni a cacciare cinghiali.»
«È un progetto irrealizzabile Eilesha. È nato Cacciatore e rimarrà tale, non puoi farci nulla»
«Almeno provarci, Leisha.»
«Fai come vuoi, ma poi non venire a piangere se il Cacciatore tornerà con la testa di Tanatos appesa alla cintura.»
Eilesha vide la sorella allontanarsi con furia. Forse aveva ragione, forse il suo progetto era completamente privo di senno, ma cosa aveva da perdere, in fondo? Se non avesse funzionato non sarebbe cambiato nulla, ma se avesse funzionato avrebbe conquistato l’amicizia e la stima di un Cacciatore, sarebbe riuscita a non farlo più cacciare; inoltre essendo riuscita a cambiare lui avrebbe potuto cambiare anche altri.
Hardef nafin Eilesha si disse scuotendo la testa. Eppure il suo era un progetto migliore di quello che portava avanti Leisha, lei i Cacciatori li stanava, li attaccava, li uccideva, quanto poteva essere diversa da loro comportandosi così?
Il problema era, che ci fosse chi la seguiva e la sosteneva, Caleisha e Anisse in primo luogo e finché Leisha avesse avuto seguaci e raccolto consensi non si sarebbe fermata.
Eilesha si era sempre chiesta perché sua sorella provasse così tanto odio nei confronti dei Cacciatori, la ragazza infatti non agiva solo per proteggere e difendere i draghi, spesso usava gli stessi e il potere che esercitava su di essi per attaccare deliberatamente i Cacciatori, come l’ultima volta. Sarebbe bastato spaventarli e invece aveva obbligato il drago a continuare a sputare fuoco e quando questi si era ribellato aveva lanciato lei stessa le fiamme, lei e quello spregevole di Caleisha.
Anche lui serbava un odio profondo nei confronti dei Cacciatori, se fosse stato per lui li avrebbe sterminati tutti uno ad uno, Caleisha era crudele, vendicativo, subdolo, spietato e molto intelligente, ma avventato e irascibile, pericoloso insomma.
In quel momento Eilesha sentì la porta aprirsi e si ritrovò proprio Caleisha davanti.
«Salve Eilesha» la salutò.
«Cosa ci fai qui?» rispose lei, quel ragazzo le metteva paura.
«Devo parlare con Leisha.»
«Di un nuovo modo per uccidere quanti più Cacciatori possibile?» gli chiese lei sprezzante.
«Di come uccidere quello che tieni nella tua stanza» le ripose lui con uno scintillio crudele negli occhi grigi.
«Non ti permetterò di toccarlo!» esclamò la ragazza.
«Cos’è? Ti sei innamorata di lui?» la punzecchiò il ragazzo avvicinandosi «Solo perché ti ha salvato una volta la vita, non significa che lo rifarebbe una seconda.»
Era troppo vicino, Caleisha afferrò i polsi di Eilesha e avvicinò il suo viso a quello della ragazza.
«E comunque ricordati che tu sei mia, Eilesha maharan maregi» le sibilò, la ragazza per tutta risposta gli sputò in faccia. Caleisha si allontanò inveendo contro la ragazza nella lingua dei draghi e ripulendosi il viso. In mezzo a quel mare di concitati suoni sibilanti la ragazza riuscì a distinguere una parola “Taleiso”, vendetta.
«Te ne pentirai Eilesha. Tu sei mia, ricordatelo» la minacciò prima di sparire per il colloquio con Leisha. Era tutta colpa di sua sorella, era stata lei a prometterla a quell’essere, senza il suo consenso, per ottenere in cambio il suo aiuto, e ora Caleisha era convinto che lei fosse una sua proprietà esclusiva, ma non lo era.
Una volta o l’altra gli aizzerò contro un drago disse tra sé massaggiandosi i polsi, nel punto in cui l’aveva stretta aveva lasciato dei segni rossi, come delle lievi bruciature. In realtà non pensava davvero a quello che aveva detto, non avrebbe mai usato i suoi poteri per controllare i draghi e obbligarli a uccidere le persone, non sarebbe diventata come sua sorella.
Con un sospiro uscì dalla casa, chiuse gli occhi lasciando che il vento le accarezzasse il viso e portasse via tutti i suoi guai, temeva per il cacciatore, Caleisha sarebbe stato capace di fargli qualcosa, aveva già tentato una volta di ucciderlo, non avrebbe esitato a farlo una seconda. Eilesha emise un fischio basso e un drago esile, longilineo ed elegante atterrò ai suoi piedi, aveva le scaglie nere anche se sul fianco destro erano attraversate da una striscia bianco perla.
«Nosos, ho bisogno che tu faccia la guardia al Cacciatore e non permetta a nessuno di avvicinarsi, a meno che non te lo chieda io, me lo faresti questo favore?» domandò la ragazza nella lingua degli uomini, il drago emise un basso gorgoglio, segno di assenso poi un fischio simile ad una domanda.
«Sì, può aiutarti anche Tanatos, basta che non entri nella stanza. Non mi fido a lasciarlo solo con il Cacciatore, per me vuole assaggiarlo anche lui» rispose lei, il draghetto emise una specie di suono strozzato simile ad una risatina soffocata, Eilesha le diede una pacca sulla testa e il drago volò via.
 
*
 
Arden stava dormendo quando sentì qualcuno bussare alla porta, era Elleboro che reggeva tra le mani un vassoio con la cena.
«Spero di non averti svegliato» si scusò, la luce rossastra del tramonto donava delle sfumature ramate ai suoi capelli, raccolti in una treccia.
Arden scosse la testa.
«Ti ho portato la cena» lo informò lei appoggiando il vassoio su un tavolo, i draghetti che seguivano la ragazza ovunque, entrarono nella stanza e dopo aver svolazzato un po’ verso il soffitto si posarono sul letto del ragazzo fissandolo con i loro piccoli occhi verdi, simili a smeraldi.
«Loro sono Tanatos e Nosos, i miei draghi» gli presentò la ragazza, i draghetti emisero un flebile gorgoglio, «Ci sarebbe anche Fobos ma ha un’ala spezzata, te lo presenterò un’altra volta» promise.
Arden sorrise e uno dei due draghi zampettò fino a lui, il ragazzo allungò una mano, il draghetto indietreggiò sospettoso, studiandolo con i suoi occhi intelligenti e accertatosi del fatto che non fosse pericoloso, si lasciò avvicinare e toccare. Era la prima volta che Arden accarezzava un drago, l’animale emise quelle che parevano fusa mentre il ragazzo sfiorava con la mano la sua testa squamosa.
«Tanatos adora essere accarezzato sulla testa» disse Elleboro prendendo la ciotola con la zuppa «Ora però il Cacciatore deve mangiare» aggiunse rivolgendosi al drago, questo si voltò e la guardò con occhi supplichevoli.
«Non ti dà fastidio, vero?» chiese la ragazza ad Arden «Che stia lì con te mentre mangi, intendo. Credo che dopo averti ridotto a brandelli si sia affezionato a te» sorrise la ragazza «Tanatos dà troppa confidenza, a chiunque. È Nosos la più diffidente»
«Gli hai sempre avuti?» domandò Arden mentre la ragazza lo imboccava.
«Quando ero molto piccola stavo giocando nel bosco vicino a casa mia, stavo correndo e ad un certo punto sono caduta, mi ero inciampata in qualcosa. All’inizio pensavo fossero delle pietre molto grandi, erano ovali e grigio-verdi, ma scoprì che in realtà erano uova. Mentre le stavo osservando, infatti, quella su cui mi era inciampata si crepò e ne uscì un draghetto, Tanatos. I draghi sono soliti considerare come madre la prima creatura che vedono e siccome la prima che aveva visto ero io, ero diventata automaticamente la sua mamma. Da allora li o presi con me e li ho accuditi, li ho cresciuti e li ho educati.»
Arden aveva ascoltato affascinato l’intera storia.
«Ma i tuoi genitori non hanno detto nulla quando sei arrivata a casa con tre draghi?» domandò mentre la ragazza prendeva le bende.
«Non hanno avuto modo di farlo» rivelò lei «Mia mamma è morta dandomi alla luce, mio padre l’ha seguita cinque anni dopo. Eravamo rimate solo io e mia sorella e una zia che si era presa cura di noi dopo che mia mamma era morta e lei era una Lingua di fuoco, con i draghi aveva a che fare tutti i giorni, quindi non ha sollevato obiezioni quando gliene ho portati a casa tre. Lei stessa raccattava e curava draghi feriti dai Cacciatori o abbandonati dai genitori, questo posto è suo.» raccontò la ragazza mentre svolgeva le bende.
Arden vide che gli occhi della ragazza erano diventati lucidi.
« Mi dispiace» sussurrò lui «So come ci si sente», la ragazza sollevò lo sguardo e sorrise.
«Lo so» mormorò «Me l’hai raccontato» dopodiché tornò al suo lavoro, il ragazzo la osservava accarezzando distrattamente Tanatos accoccolato sul suo grembo. Era davvero particolare quella ragazza, e non solo perché aveva tre draghi al seguito, c’era qualcosa in lei che lo affascinava e lo incuriosiva, qualcosa nel suo sguardo, nel suo sorriso, era capace di passare dalla più dolce gentilezza alla più impertinente irriverenza; si ricordava ancora quanto era stato difficile avvicinarla, si era dimostrata una ragazza terribilmente diffidente e orgogliosa, invece ora era affabile, allegra e loquace, ben diversa dalla ragazzina spaurita incontrata nel vicolo.
Arden strinse i denti, la ragazza era tornata a spalmargli quell’unguento infernale.
«In due o tre settimane dovresti guarire del tutto» le annunciò la ragazza.
«Due o tre settimane?!» esclamò il ragazzo, sconvolto.
«L’ustione è piuttosto grave e molto estesa e per quanto unguento riesca a spalmarti non riesco ad accelerare il processo di guarigione» si scusò la ragazza.
«Nemmeno con la magia curativa?» domandò Arden speranzoso.
«Non sono così pratica, riesco ad usarla solo per piccole ferite poco gravi» mormorò, abbassando la testa, come per chiedere scusa per la propria impotenza, anche Arden abbassò lo sguardo sconsolato.
«Però entro pochi giorni il veleno dovrebbe sparire del tutto e io potrei portarti da mia zia» propose la ragazza «lei è una Lingua di fuoco molto più potente di me, forse lei potrà esserti di più aiuto.»
«Non abita qui?» chiese Arden stupito, in fondo quella era casa sua.
«Ha preferito trasferirsi in un posto più tranquillo» rispose laconicamente Elleboro rialzandosi.
«Ora devo andare, buonanotte» aggiunse dirigendosi verso la porta «Tanatos, Nosos, venite!» li richiamò la ragazza. Il draghetto accoccolato tra le braccia di Arden si riscosse e volò verso la ragazza seguito da Nosos.
«Buonanotte» rispose il ragazzo mentre Elleboro chiudeva la porta.

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Capitolo 5
*** V ***


V
 
«Secondo te è una pazzia?» chiese Eilesha al piccolo drago bianco accoccolato ai suoi piedi, questi sollevò la testa e scrutò la ragazza con i suoi occhi verde spento. Fobos era un drago albino, con le squame di un bianco perlaceo là dove avrebbero dovuto essere nere, era anche il più piccolo e fragile e il preferito di Eilesha. Il draghetto albino gracchiò. Da lontano si sentivano i richiami di Tanatos e Nosos usciti per cacciare. Nonostante la gran quantità di Cacciatori presenti i due draghi non avevano rinunciato alla loro caccia serale, anche se l’avevano spostata a dopo il crepuscolo, quando il buio impediva che venissero individuati. Quella notte però una luna piena brillava squarciando il nero del cielo con la sua luce argentata e Elleboro temeva per i suoi draghetti.
Un flebile ruggito e Nosos atterrò sul davanzale della finestra, alcune gocce di sangue luccicavano ancora intorno alla sua bocca. Con l’aumentare del numero dei Cacciatori, il drago si era progressivamente limitato a cacciare all’interno del perimetro sicuro del Rifugio, che non mancava certo di prede. Tanatos, invece, più temerario, si avventurava ancora al di fuori di esso, sfidando la minaccia di Cacciatori notturni e altri draghi. Fobos rispose con un rantolio basso.
«Forse ripongo troppa fiducia in quel Cacciatore» ragionò tra sé la ragazza, tormentandosi un ricio castano tra le dita «Forse ha ragione Leisha, e lui tornerà a uccidere draghi come ha fatto fin’ora.»
Il piccolo drago bianco gorgogliò di nuovo seguito da Nosos, «Avete ragione anche voi, come posso arrendermi ancora prima di aver cominciato? Eppure, più ci penso più mi sembra un’impresa impossibile e assurda.»
Il draghetto bianco si avvicinò alla ragazza e le diede dei colpetti con la testa sulla mano, Eilesha lo accarezzò distrattamente, mentre osservava le evoluzioni di Tanatos nell’aria, un’ombra più scura che spiccava contro il blu profondo del cielo, illuminata dalla luce lunare; Nosos si sposò sulla spalla della ragazzina è iniziò ad emettere un basso gorgoglio che a volte si alzava e si abbassava come se fosse stata una musica. Stava cantando. Poteva sembrare strano, eppure Nosos cantava e il suo canto aveva il potere di calmare la ragazza. Eilesha la accarezzò sulla testa «Grazie piccolina» sussurrò.
In quel momento anche Tanatos fece il suo ingresso nella stanza, era il più grande a anche il più baldanzoso dei tre, nella bocca stingeva un pezzo di carne, la cena di Fobos. Avendo un’ala spezzata non poteva volare, né tanto meno cacciare, erano i suoi fratelli che gli procuravano il cibo.
Eilesha appoggiò il draghetto sul davanzale perché potesse mangiare e ne approfittò per guardare fuori dalla finestra. In basso, davanti alla porta principale del Rifugio distinse due figure, illuminate dalla luce che proveniva dall’interno della casa, stavano parlando e anche animatamente a giudicare dai loro movimenti concitati. Eilesha li riconobbe: erano sua sorella e Anisse, si chiese di cosa stessero parlando, dal punto in cui si trovava non riusciva a distinguere una parola, le loro voci le giungevano lontane e incomprensibili. Tanatos si sporse con lei, incuriosito.
«Staranno organizzando un nuovo attacco» disse, con una nota di rassegnata tristezza nella voce. Sua sorella la preoccupava, la rabbia che aveva da sempre covato nel suo cuore era fermentata in un odio profondo che l’aveva accecata e non la faceva ragionare. Aveva riversato questo sentimento contro i Cacciatori che reputava essere la causa di esso, ma le sue azioni si erano fatte più efferate. Sua zia aveva provato a porre un freno alle sue azioni delittuose e ad arginare quell’odio, ma ci aveva solo rimesso un occhio.
«Non voglio vivere sotto lo stesso tetto di un’assassina che va persino contro il sangue del suo stesso sangue. Sei succube del tuo odio e lo stesso di logorerà e deteriorerà, e quell’odio in nome del quale uccidi ucciderà te.» Erano state le sue ultime parole prima di andarsene. Leisha non ci aveva fatto molto caso, ma le parole della donna avevano spaventato Eilesha, facendola temere ancora di più per la sorella.
Sua zia l’aveva invitata più volte a stare con lei, preoccupata per l’incolumità della nipote, ma Eilesha era sempre rimasta, non aveva mai abbandonato la sorella, sicura che per combattere e vincere quell’odio bastasse solo un po’ di comprensione, buon senso e affetto e a lei non mancava nessuna delle tre. Aveva però capito, a proprie spese, che era difficile ragionare con lei, era testarda, orgogliosa e cieca, eppure non aveva mai rinunciato, perché dunque avrebbe dovuto rinunciare al suo progetto con il Cacciatore?
La ragazza si sdraiò sul letto, le mani dietro la testa. Chiuse gli occhi pensando ad un modo per riuscire a frenare Leisha prima che le parole della zia diventassero davvero realtà e anche ad un modo per far capire ad Arden la bellezza dei draghi. Lei ci aveva sempre vissuto assieme, li conosceva come se fossero stati suoi fratelli, si fidava ciecamente di loro e loro di lei, ma come si poteva ricreare questo rapporto in un ragazzo che i draghi li uccideva?
Con questi pensieri chiuse gli occhi e si addormentò.
 
*
 
Era passata quasi una settimana. Il veleno aveva perso il suo effetto, la febbre era passata e Arden riusciva a muoversi liberamente e a mangiare senza l’aiuto di Elleboro, evitandogli così un enorme imbarazzo. Era, però, sempre rimasto chiuso in quella stanza, la ragazza gli aveva detto che lì era più al sicuro, ma da che cosa, si era sempre rifiutata di rivelarglielo. Qualcuno bussò alla porta e Arden seppe che era lei. Non aveva visto ancora nessuno al di fuori di Elleboro e dei suoi draghi.
«Avanti» rispose allegro, non vedeva l’ora di uscire di nuovo, il suo elemento era l’aria e odiava starsene segregato al chiuso come un animale in gabbia o un carcerato.
Arden stava cercando di vestirsi, ma l’ustione lo rendeva impacciato e dolorante.
«Aspetta ti do una mano» si offrì la ragazza, quel giorno indossava quello che pareva un vestito, anche se la gonna verde chiaro si apriva lasciando intravedere i pantaloni di pelle sottostanti. Elleboro aiutò il ragazzo ad infilarsi la camicia e la giubba, erano nuovi dal momento che i suoi vestiti si erano rivelati talmente rovinati da non poter far altro, se non gettarli via.
«Grazie» sussurrò il ragazzo, la ragazza gli sorrise in risposta, sulla sua spalla sinistra stava appollaiato un piccolo drago bianco che pareva sonnecchiare.
«Lui è Fobos» lo presentò la ragazza mentre uscivano dalla stanza, il draghetto, sentendosi chiamare aprì un occhio, di un verde livido e spento, ben diverso da quello brillante degli altri draghi della ragazza «è albino» spiegò lei dandogli una pacca sulla testa e il drago tornò a sonnecchiare. Arden si accorse di quanto fosse grande il Rifugio e interamente fatto di legno.
«Ma non è pericoloso, con tutti questi draghi in giro?» chiese.
«Il legno è stato trattato perché resista al fuoco» gli spiegò la fanciulla mentre scendevano le scale. Quel luogo era pieno di stanze e corridoi, un vero labirinto.
«Chi vive qui?» domandò Arden.
«Io, mia sorella e altre Lingue di fuoco, ma sono visitatori occasionali che passano qui una o due notti, a volte pernottano anche altri viaggiatori. Un tempo questo era un punto di snodo per le carovane dei mercanti e il Rifugio fungeva da locanda, poi le rotte sono cambiate e nessun mercante passa più da queste parti.» rispose la ragazza.
«E quante altre Lingue di fuoco ci sono e cosa fanno?» chiese Arden curioso, più volte gli erano frullate queste domane per la testa ma non aveva mai avuto il coraggio di dare voce ai propri pensieri.
«Non lo so» replicò lei «Io, oltre a mai sorella e mia zia, ne conosco ancora tre o quattro, ma perché vengono spesso qui. Noi ci occupiamo principalmente dei draghi, portando avanti il lavoro iniziato da mia zia. Li cerchiamo, li troviamo e se sono feriti li curiamo» spiegò.
«E cosa usate per curarli?» chiese Arden.
«La magia curativa, ma io sono ancora inesperta» rispose la ragazza.
Intanto erano giunti al pianterreno dove si apriva un grande atrio dalle pareti e il pavimento in legno scuro, nella stanza c’erano altre due persone: una ragazza che era uguale a Elleboro solo più alta e decisa, e un ragazzo dai capelli ricci castano chiaro e gli occhi azzurri. Quando passarono li gettarono uno sguardo pieno di disprezzo e la ragazza iniziò a sibilare qualcosa nella lingua dei draghi. 
«Non farci caso.» gli sussurrò Elleboro passando oltre.
«Chi erano?» domandò Arden una volta usciti. Era una bellissima giornata di sole anche se l’aria fredda che soffiava tra  rami li costrinse a stingersi nei cappotti di lana.
«Mia sorella Passiflora e il suo adepto Biancospino» rispose lei «Per di qua» aggiunse facendo strada lungo lo spiazzo che si apriva davanti al rifugio. Da fuori aveva l’aspetto di una baita strutturata su quattro piani, un edificio molto alto tutto interamente costruito con un legno dalla tonalità calda e rassicurante.
«Sono Lingue di fuoco anche loro?» chiese il ragazzo, Elleboro annuì.
«E tutte le Lingue di fuoco hanno nomi di piante?» domandò ancora, la ragazza sorrise.
«Non è una regola, ma di solito abbiamo nomi di fiori o piante per far sì che poSsano essere tradotti anche nella Lingua dei draghi. In questo modo possiamo dialogare e relazionarci con loro.» spiegò la ragazza.
«E come sarebbe il tuo nome nella Lingua dei draghi?» domandò ancora il ragazzo.
«Eilesha» rispose lei, il modo in cui l’aveva pronunciato lo faceva somigliare ad una specie di sussurro, come un alito di vento che fa frusciare le fronde. Arden lo ripeté sottovoce, la sua lingua però si inciampava e non riusciva a dare quel tocco di leggerezza che il nome faceva intuire.
«Preferisco Elleboro» disse infine rinunciando a chiamarla nella Lingua dei draghi.
«Anche io» rispose la ragazza, sorridendo di nuovo. Quel giorno ad accompagnarla c’era solo il piccolo drago bianco «Ha bisogno anche lui di uscire un po’ all’aria aperta, anche se preferisce di gran lunga poltrire sui cuscini della mia stanza, vero principino?» continuò la ragazza dando uno sbuffetto al drago che per tutta risposta sbadigliò, aprendo la bocca e mostrando una serie di piccoli dentini appuntiti e una lunga lingua rosa, anche Arden si ritrovò a sorridere.
Si stavano addentrando in un bosco di sempreverdi, alti pini che svettavano fino al cielo e parevano voler fare a gara con le montagne che si distinguevano sullo sfondo grigio-argento del cielo. Arden non era mai stato in quella parte di foresta e non sapeva neanche dire con sicurezza dove si trovassero, lo chiese alla ragazza.
«Il rifugio si trova a nord-ovest rispetto alla città in cui vivi, è molto spostato verso nord, tanto che siamo quasi vicini alle montagne. Questo è il bosco di Sherinoot che nella lingua dei draghi significa aghi verdi. Nessun Cacciatore si è mai avventurato sin qui, tu sei il primo. Credo che abbiano paura dei draghi del gelo, sono ancora gli unici che dominano incontrastati senza mai aver subito attacchi.» spiegò lei «Anche perché è molto difficile scalare queste montagne dove si trovano i loro nidi, sono ripide, impervie e il clima è rigidissimo» continuò. Arden alzò lo sguardo verso le montagne, rispetto a quei colossi quelle dell’Ovest parevano quasi colline, la punta della maggior parte di esse era nascosta da banchi di nubi e il sole faceva risplendere la neve che spolverava i loro pendii tanto da farla quasi sembrare vetro.
«Non so come le chiamiate voi, ma per me queste sono sempre state le Sidernan Naiel, i Giganti di Cristallo» rivelò la ragazza.
«Nome molto appropriato. E quelle dell’Ovest come le chiamate?» replicò il ragazzo, stava iniziando a trovare la Lingua dei draghi molto affascinante.
«Solernahan Mateizen, le Sentinelle del crepuscolo» rispose lei.
Intanto erano giunti in una piana tranquilla, circondata da pini, su di essa era adagiata una casupola in legno chiaro dal tetto spiovente, aveva l’aspetto di una comunissima casetta tipica di qualche villaggio, ma sorgeva nel bel mezzo del bosco. La casa era circondata da piantine d’erica e sui davanzali delle piccole finestre erano appoggiati vasi di camelie dai toni rosa decisi alternati a fiori di elleboro dai petali candidi o neri come la notte.
«La zia ha sempre adorato questi fiori» disse la ragazza accarezzandone i petali. Arden notò come quei fiori rispecchiassero molto la ragazza che ne portava il nome: all’apparenza delicati e fragili, erano capaci di resistere al freddo e alle intemperie invernali, erano tenaci e coraggiosi, come quella ragazza ma nel contempo non mancavano di grazia e bellezza che, però, nascondevano un’alta velenosità, il ragazzo sorrise pensando che anche la ragazza nascondesse qualcosa di letale dietro l’apparente maschera di indifesa fragilità, i suoi pugnali o le fiamme stesse che era capace di sprigionare dalle proprie mani. Elleboro intanto aveva bussato alla porta in legno di betulla, questa venne aperta da una donna slanciata e molto magra, nonostante fosse ancora giovane, il tempo aveva lasciato dei segni sul suo viso asciutto e si riusciva a distinguere qualche filo d’argento fare capolino dalla matassa di ricci castani, lasciati sciolti sulle spalle.
«Eilesha!» esclamò la donna abbracciando la ragazza «è da molto che non vieni a trovarmi.»
«Ti chiedo scusa, ma ho avuto molto da fare» si scusò la ragazza, la donna si discostò dalla nipote e  sollevò lo sguardo verso Arden che rimase inchiodato dai suoi occhi: uno era di un castano chiarissimo quasi ambrato, l’altro invece era bianco, vuoto e attraversato da una cicatrice biancastra, se non fosse stato per quello, la zia di Elleboro sarebbe stata sicuramente una bellissima donna.
«Mi devi presentare il tuo amico» disse la donna studiando il ragazzo, Arden sentì un brivido attraversargli la schiena.
«Zia lui è Arden; Arden lei è mia zia Baccaneve» fece le presentazioni la ragazza.
«Ma tu puoi chiamarmi Ailea» rispose la donna porgendogli una mano, il ragazzo gliela strinse, esitante, aveva una presa salda ma non stritolante.
«Prego entrate» li invitò la donna «Se avessi saputo che saresti venuta avrei già preparato qualcosa da bere, dovrete aspettare un po’» continuò sparendo in cucina. La casa di Ailea era piccola ma accogliente, nella stanza aleggiava un buon profumo di resina e legno di pino tanto da dare l’impressione di essere ancora immersi nella foresta.
«Avanti siediti» gli fece cenno la ragazza prendendo posto su un divano inondato di cuscini, Arden si sedette accanto a lei titubante.
«Che novità mi porti?» chiese la zia dalla cucina.
«Abbiamo trovato un drago ferito una settimana fa, un Drago delle pianure. Aveva le ali lacerate, ma stranamente la gola non era dilaniata come al solito, solo un piccolo graffio in corrispondenza della sacca del Sospiro più altre ferite più profonde ma che sono riuscita a curare io stessa. Le ferite davvero gravi sono quelle alle ali.» rispose la ragazza.
«Strano che abbiate trovato un drago delle pianure, dovrebbero essersene andati tutti» commentò la zia rientrando in salotto e prendendo posto su una poltrona sgangherata rosso fuoco.
«E l’altra mia nipotina?» continuò la donna «Dà ancora la caccia ai Cacciatori?», Arden sussultò.
«È stato proprio durante il suo ultimo attacco che abbiamo trovato il drago e…lui» rispose Elleboro indicando Arden, lo sguardo della donna si posò su di lui, Ailea chiese qualcosa alla nipote nella lingua dei draghi e questa annuì.
«Sai che non approvo quello che fa tua sorella» disse la donna accomodandosi meglio sulla poltrona e prendendo una lunga pipa giallo senape da un tavolo lì vicino.
«Ti dà fastidio se fumo ragazzo?» gli chiese e Arden ci impiegò qualche secondo per capire che stava parlando con lui, fece segno di no con la testa e la donna si accese la pipa, un forte profumo di anice si diffuse nella stanza; Ailea tirò una o due boccate poi tornò a parlare «E questa volta ha davvero esagerato. Lei e il suo amichetto Cale.»
Arden sussultò un’altra volta, allora aveva intuito giusto, Cale era davvero una Lingua di drago!
«Lasciare in fin di vita un povero ragazzo. Per fortuna che c’eri tu o a quest’ora questo baldo giovine non sarebbe qui.» commentò la zia e uno sbuffo di fumo azzurrognolo seguì le sue parole disperdendosi nell’aria.
«È proprio di questo che ti volevo parlare zia» disse la ragazza sistemandosi meglio sul divano «Ho bisogno del tuo aiuto. Vedi, Arden durante l’attacco è stato ferito: ha una bruttissima ustione che gli ricopre l’intera parte sinistra del corpo. Io ho provato a curargliela con la magia curativa ma non ci sono riuscita.»
«E vuoi che lo faccia io.» concluse la donna tirando un’altra boccata alla pipa. Un silenzio tombale calò sulla stanza, si sentiva solo il vento e lo scorrere lontano di un ruscello.
«Allora?» incalzò la ragazza rompendo il silenzio «Lo aiuterai?» ma a risponderle fu il fischio del bollitore. 

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Capitolo 6
*** VI ***


VI
 
Arden si sentiva piuttosto imbarazzato a trovarsi mezzo nudo nel salotto della zia di Elleboro. Alla fine la donna aveva acconsentito ad adoperare la sua magia curativa su di lui, forse per amore della nipotina o forse per compassione; per questo ora si trovava seduto sul divano giallo di Ailea, la parte superiore del suo corpo completamente esposta ed esaminata dall’unico occhio rimasto della donna. Una striscia rossa correva lungo tutta la parte sinistra del suo corpo, attraversava il braccio e parte del petto, le pustole bianche che la disseminavano erano ancora ben evidenti e non appena Ailea ne sfiorò una, il ragazzo si allontanò bruscamente da quelle dita fredde che avevano risvegliato in lui un intenso dolore.
«È veramente conciato male» commentò la donna «Mi servirà molta energia»
Non è obbligata ad aiutarmi, avrebbe voluto rispondere il ragazzo, non perché fosse orgoglioso, ma odiava essere indebitato con le persone, per questo preferiva sempre sbrigarsela da solo e odiava essere aiutato; in questo ultimo periodo, però, era successo esattamente il contrario, quella ragazzina non aveva fatto altro che aiutarlo e prendersi cura di lui, e si sentiva terribilmente in debito con lei, oltretutto non faceva altro che chiedersene il motivo: insomma, uccideva i draghi, perché una che li salvava non l’aveva lasciato perire? Era il suo nemico, in fondo.
«Adesso ti brucerà un po’» Elleboro lo distolse dai suoi pensieri «Vuoi che ti tenga la mano?» aggiunse con un sorriso malizioso, il molto tempo che avevano passato insieme li aveva resi più complici, ma sentiva che nessuno dei due si fidava pienamente dell’altro, siamo nemici in fondo, si ripetè il ragazzo e ancora una volta si chiese per quale motivo stesse facendo tutto questo per lui.
«Credo di non averne bisogno» rispose Arden  rispondendo al sorriso «In caso te lo chiederò io».
Elleboro sorrise dolcemente, come sapeva fare solo lei, e i suoi occhi gentili e caldi si illuminarono, Arden rimasse per qualche istante a guardarli, come incantato, poi sentì un piacevole calore sfiorarli la parte ustionata e chiuse gli occhi. Sapeva che quel calore era dovuto alla magia curativa, Ailea aveva iniziato l’operazione. La sensazione di piacevole sollievo fece sorridere il ragazzo. Il calore aumentò pian paino, quasi che la donna stesse avvicinando al suo braccio una fiaccola, fino a diventare insopportabile; il ragazzo si morse le labbra, la fiaccola si era diventata un ferro arroventato premuto contro la sua pelle lesa. Sentiva la pelle tirarsi come se volesse coprire la parte rimasta ustionata. Strinse i denti e affondò le mani nel tessuto del divano, cercò di sottrarsi a quella che era diventata una tortura ma qualcuno lo trattenne, socchiuse gli occhi, rimasti serrati strettamente fino a quel momento, e distinse solo una matassa di ricci scuri, capì che era Elleboro a trattenerlo, non la credeva così forte, riusciva a tenerlo perfettamente immobile, senza permettergli di sfuggire in alcun modo al supplizio.
«È quasi finita» gli sussurrò la ragazza, Arden sentì un ultimo terribile bruciore poi la sensazione di calore scemò lentamente fino a sparire.
«Puoi riaprire gli occhi, ora» gli disse la ragazza e Arden ne socchiuse uno poi l’altro. La prima cosa che vide fu l’occhio cieco di Ailea e rabbrividì involontariamente.
«È stato un lavoraccio, soprattutto con te che continuavi a muoverti, però alla fine ce l’ho fatta. La ferita si è rimarginata, ma non dovrai fare sforzi per almeno una settimana per farla guarire del tutto. Sei stato molto fortunato, ragazzo. Non so quanti possano ancora raccontare di aver incontrato un drago e soprattutto di essere sopravvissuti al loro alito di fuoco» gli disse la donna. Lo sguardo del ragazzo passò da lei al suo braccio sinistro: al posto dell’ustione c’era della pelle leggermente arrossata ma sana, la sfiorò incredulo, provava solo un leggero fastidio.
«Grazie» sussurrò, veramente grato alla donna, Ailea rispose con un mesto «Di nulla» ma parve quasi vedere l’ombra di un sorriso fare capolino dalle sue labbra sottili. Quella donna era piuttosto strana, sembrava scorbutica e scontrosa ma era generosa e riservava una grande gentilezza e affetto a Elleboro, proprio in questo momento stava abbracciando calorosamente la ragazza che aveva iniziato a profondersi in una serie di ringraziamenti.
«È quasi ora di pranzo» fece notare la donna e Arden se ne chiese il motivo «Non mi dispiacerebbe affatto se rimarreste a mangiare da me» continuò.
«Non vorremmo essere di disturbo» rispose Elleboro che stava aiutando Arden a rivestirsi, nonostante la ferita non gli facesse più male e fosse più libero nei movimenti, era ancora un po’ goffo e muovere il braccio gli creava ancora qualche problema e piccolo fastidio.
«Non siete di alcun disturbo, è da tanto tempo che non ti fermi a mangiare da me» cercò di convincerla la zia, Elleboro sospirò e alla fine acconsentì.
 
*
 
«Mi piace tua zia» dichiarò Arden con un sorriso soddisfatto.
«Solamente perché non ha fatto altro che riempirti il piatto con i suoi manicaretti» rispose la ragazza. Stavano tornando al Rifugio dopo un lauto e graditissimo pranzo, almeno da parte di Arden.
«Non mangio così tanto e così bene da…non mi ricordo neanche più io quando» rise il ragazzo e Elleboro si unì a lui. Era contenta che fosse di buon umore, guarirgli la ferita era stato un po’ come guarirgli l’animo, era diventato più gioviale e solare, o forse era semplicemente l’aria fresca. Neanche lei sopportava di rimanere per troppo tempo negli spazi chiusi, si sentiva reclusa, e un po’ le era dispiaciuto costringere il ragazzo a giorni di clausura, ma era stato fondamentale, era debole e ferito. Ora, invece, pareva rinato e mancava poco che saltellasse per il sottobosco.
«Non ti fa davvero più male il braccio?» chiese la ragazza, non che dubitasse delle capacità curative di sua zia, ma sapeva anche lei che i miracoli non esistevano.
«Un po’, ma solo se faccio movimenti bruschi» rispose il ragazzo, non riusciva ancora a credere di essere guarito da un’ustione di secondo grado, così, in pochissimo tempo, ed era allo stesso tempo sorpreso ed elettrizzato.
«Tua zia ci sa davvero fare con la magia curativa» disse, per l’ennesima volta e per l’ennesima volta Elleboro gli rispose che era una delle migliori nell’adoperarla, per quanto riguardava la sua stretta cerchia di conoscenze.
Camminarono per un po’ in silenzio, poi ad Arden vennero improvvisamente in mente alcune parole che Ailea aveva detto quella mattina.
«Davvero tua sorella dà la caccia ai Cacciatori?», Elleboro rimase spiazzata dalla domanda.
«Sì» sibilò in un sussurro impercettibile, era inutile nascondergli la verità, pensò, tanto prima o pi ci sarebbe arrivato da solo.
«In che senso?» chiese il ragazzo, la luce che solitamente illuminava gli occhi della ragazza si spense di colpo, rabbuiandole il viso.
«Preferisco non parlarne» rispose lei mestamente, poi Elleboro alzò improvvisamente il volto e incatenò i suoi occhi in quelli di lui «Comunque stai tranquillo, a te non succederà nulla. Io non lo permetterò.» Arden rimase colpito dal tono di voce deciso e dal lampo di determinazione che attraversò gli occhi della ragazza.
«Perché stai facendo tutto questo?» chiese il ragazzo, la domanda che durante quei giorni gli era ronzata nella sua testa aveva finalmente trovato voce.
«Per sdebitarmi» rispose la ragazza «tu mi hai salvato la vita, quella volta, nel vicolo. E io ora l’ho salvata a te. Siamo pari».
«Tutto quello che hai fatto e stai facendo per me va ben oltre quel poco che ho fatto io» avrebbe voluto replicare il ragazzo, ma gli sembrava che quelle parole avrebbero potuto in qualche modo offenderla, così tacque. Fu lei a rompere di nuovo il silenzio.
«Ti avrei aiutato comunque, anche se non fossi stato tu» dichiarò in un sussurro e Arden non seppe come interpretare quelle parole. voleva forse insinuare che si era prodigata per lui per sola bontà di cuore? Ma perché dire una cosa simile? Non ne vedeva assolutamente il bisogno, perché dichiarare di essere stata mossa da un puro impulso di pietà e compassione quando la cosa pareva ovvia? Voleva forse mettere in chiaro qualcosa, ma cosa? Cosa l’aveva portata a salvarlo, se non la sua indole buona? Arden sentì una parola formarsi pian piano nella sua mente ma scosse la testa, cercando di cacciarla via insieme agli altri pensieri molesti.
«Siamo arrivati» annunciò la ragazza, il Rifugio si stagliava contro il cielo invernale illuminato dal sole del primo pomeriggio.
Elleboro riaccompagnò Arden nella sua stanza in silenzio, gli ripromise che gli avrebbe portato la cena e si fece promettere che non sarebbe uscito di lì per alcun motivo.
«So che ti sto trattando come un prigioniero, ma non mi fido a lasciarti girare per il Rifugio, non con mia sorella e i suoi sottoposti nei paraggi; ormai sai anche tu quello che fanno»
No che non lo sapeva, si era rifiutata di dirglielo, ma forse era meglio così.
Arden vide la porta chiudersi dietro le sue spalle e si sentì di nuovo chiuso, segregato, prigioniero. Iniziava a intuire come dovevano sentirsi i draghi quando venivano stretti dalle corde, agognanti di volare ma impotenti a farlo. In quel momento si sentiva proprio come uno di loro.
 
*
 
Sono una stupida, si disse Eilesha. Aveva appena portato la cena ad Arden ma si era sentita davvero meschina a chiudergli la porta in faccia, addirittura a chiave. Aveva di nuovo ingabbiato quel ragazzo. Ma non era davvero questo a turbare l’animo della ragazza. Accoccolata sotto uno dei pini secolari che circondavano il rifugio scrutava il cielo alla ricerca dei suoi draghi, usciti per cacciare, ma in realtà era persa nei suoi pensieri. Stava ripensando alla domanda che le aveva fatto Arden. Perché stai facendo tutto questo, le aveva chiesto e lei aveva risposto la prima cosa che gli era venuta in mente, rimasta interdetta e sorpresa. Ma ora quella semplice e lecita domanda la stava tormentando, perché sto facendo tutto questo, si chiese. Non aveva abbandonato il suo primario progetto ma le sembrava una scusa troppo banale, non adatta a rispondere a quella domanda: quando era corsa verso di lui, preoccupata, non aveva ancora in mente quell’idea, era arrivata dopo. Lo aveva soccorso perché era ferito e lei era fondamentalmente buona e gentile, glielo diceva sempre sua sorella, rinfacciandoglielo, come se fosse una colpa… Ma era stato sempre per bontà che si era presa cura di lui in questi giorni, che aveva addirittura richiesto a sua zia di usare la magia curativa, cosa che non avrebbe mai richiesto per sé, nemmeno in caso di estremo bisogno? La magia curativa richiedeva un enorme dispendio di energia e sua zia non era così forte come un tempo, anche dopo aver curato la ferita di Arden, aveva notato che era molto debole e stanca, anche se non aveva voluto darlo a vedere, eppure Eilesha aveva insistito perché la usasse sul ragazzo e lei stessa l’aveva adoperata numerose volte, per curargli le ferite meno gravi e alleviargli i dolori. Avrebbe fatto lo stesso anche per un’altra persona? Eilesha se lo chiese, ma non seppe darsi una risposta convincente: finché si fosse trattato di sua sorella o di sua zia non avrebbe esitato a fare quello che stava facendo per quel ragazzo, ma per uno sconosciuto quale lui era? In fondo l’aveva incontrato solo due volte e molto probabilmente Caleisha aveva ragione, cosa le assicurava che l’avrebbe salvata una seconda volta? Forse aveva ragione il ragazzo, forse si era innamorata di lui.
Smettila Eilesha, stai diventando ridicola si rimproverò, che pensieri andava a fare? La stanchezza le stava giocando dei brutti scherzi. Eppure…Basta Eilesha, si intimò, anche se fosse non avresti speranza, vuoi che un ragazzo così carino non abbia già una fidanzata? Eppure nessuno era venuto a cercarlo o aveva chiesto sue notizie; se lei fosse stata la sua ragazza, anche se fosse morto, non avrebbe smesso di cercarlo, anche solo il suo corpo, forse però non aveva una fidanzata e allora… E allora un bel niente! La ragione mise a tacere il cuore che continuava a fare supposizioni assurde ma intriganti. Eilesha si prese la testa tra le mani, devo essere davvero stanca. Richiamò i suoi draghi che atterrarono leggeri sul terreno soffice, uggiolavano soddisfatti, la caccia doveva essere andata bene. Tanatos portava come sempre la preda per Fobos, la sua ala si era ristabilita ma non si fidava ancora a riprendere il volo. Eilesha accarezzò sulla testa i suoi draghi e riacquisì un poco di tranquillità, associò i pensieri assurdi fatti fino a quel momento alla stanchezza e al continuo stress a cui era sottoposta, su sorella era uscita anche quella sera e non era ancora rientrata. I suoi draghi non erano gli unici ad essere andati a caccia.
***
Scusate la prolungata assenza e mancanza di aggiornamenti ma sono stata via, appena tornata, però, ho ripreso subito in mano penna e tastiera e ho scritto di getto questo capitolo. Spero che non sia troppo copnfuso e di aver insinuato il tarlo del dubbio senza essermi incasinata (e avervi incasinato) troppo...Per il resto, spero che il capitolo vi piaccia, e scusatemi ancora ;)
Ayr

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Capitolo 7
*** VII ***


VII
 
 
Quel giorno Elleboro era particolarmente allegra. Aveva un piano in testa e sperava con tutto il cuore che funzionasse.
«Buongiorno» disse allegramente entrando nella stanza di Arden.
«Come mai così allegra?» domandò il ragazzo contagiato dal suo buon umore.
«Oggi voglio farti conoscere un amico» annunciò lei «Un mio grande amico», Arden aggrottò le sopracciglia.
«Sbrigati!» lo incitò la ragazza «Abita piuttosto lontano e vorrei arrivare lì prima dell’ora di pranzo. Diventa piuttosto scorbutico e intrattabile quando ha fame»
Arden uscì dal letto, di malavoglia, ricordandosi solo all’ultimo momento di essere completamente svestito, la sua faccia prese fuoco.
«Scusami» balbettò, ricoprendosi immediatamente con il lenzuolo, Elleboro scoppiò a ridere «Tranquillo, non ho visto nulla. Ti aspetto fuori, così puoi vestirti» disse ammiccando.
Non appena la ragazza chiuse la porta, Arden si vestì il più velocemente possibile. Erano passati due giorni da quando Ailea gli aveva guarito la ferita, due giorni di forzata convalescenza, durante i quali era uscito molto poco all’aria aperta e l’unico svago che si era potuto permettere era stato quello di giocherellare con i draghi di Elleboro. Arden, si stava affezionando parecchio a quei draghetti, soprattutto a Tanatos, il suo preferito; gli piaceva vedere come si avventava sulle prede, o come volava altero verso l’alto per poi scendere in picchiata libera, e spesse volte lo costringeva a fare capriole nell’aria e altre evoluzioni. A Tanatos, però, non di spiaceva fare bella mostra di sé e delle sue capacità, era un drago parecchio esibizionista ed era contento di aver trovato in Arden uno spettatore che apprezzasse il suo talento.
Arden, appena uscito dalla stanza venne travolto proprio dal piccolo drago nero, che non vedeva l’ora di mostrare le sue acrobazie al ragazzo. Arden lo prese tra le braccia e lo accarezzò piano sulla testa per tentare di calmarlo.
«Ormai sei condannato» disse Elleboro ridacchiando «Ha finalmente trovato uno spettatore per i suoi spettacoli e non lo lascerà andare così facilmente»
«Suona come una minaccia» rispose Arden con un sorriso, Tanatos emise uno sbuffo di fumo giallo dalla narici, era ancora troppo giovane per riuscire a sputare fuoco, il suo sospiro troppo acerbo, per il momento si limitava a emissioni di fumo sulfureo e qualche piccola scintilla. Nosos, invece, riusciva già a creare piccole fiammate, non troppo forti né pericolose ma tali da suscitare l’invidia del fratello; in quanto a Fobos, era troppo piccolo e fragile anche solo per emettere sbuffi di fumo.
«Verranno anche loro?» chiese indicando il piccolo drago che gli morse un dito, grazie a quell’espediente si stava mitridatizzando contro il loro veleno, lo stesso metodo era stato usato per Elleboro, ormai completamente immune.
«Non lo so» rispose la ragazza «La presenza di altri draghi potrebbe infastidirlo»
«Di altri draghi?» la interruppe Arden squadrandola con aria interrogativa, Elleboro non rispose ma si limitò a sorridere e fargli cenno di seguirla. Come sempre, quando passarono nell’atrio, la sorella di Elleboro e gli ospiti con cui parlava gli gettarono uno sguardo ricco d’odio. Sapeva che era solo grazie a Elleboro se non era ancora morto, ma si chiese per quanto tempo sarebbe rimasto ancora vivo.
Appena uscì, Arden chiuse gli occhi, lasciandosi investire dall’aria fresca di quella mattina invernale. Il sole cercava di fare capolino dalle nubi che ricoprivano il cielo e se si aguzzava la vista, verso nord, si riuscivano a distinguere delle piccole forme scure stagliarsi contro il grigio.
«Draghi» disse la ragazza seguendo lo sguardo di Arden «Probabilmente draghi del gelo, prima o poi te ne farò vedere uno» promise, mentre si addentrava nel bosco di sempreverdi che circondava il Rifugio. Il viaggio fu piuttosto lungo, erano arrivati alle pendici delle montagne, dove le ultime propaggini di bosco cercavano di inerpicarsi sul versante scosceso e costellato di grotte. Entrarono proprio in una di esse e Arden rimase senza fiato: davanti a lui si stagliava la possente figura di un drago, la sua mole occupava l’intero interno della grotta lasciando uno spazio bastante a stento per i due ragazzi, il suo corpo longilineo e dalle forme armoniose era coperto di squame di un verde brillante e iridescente, le ali, ripiegate sul dorso, avevano la membrana lacerata in più punti, nonostante questo rimaneva una creatura magnifica che lasciò a bocca aperta il ragazzo. Il drago studiò i due nuovi arrivati con i suoi occhi dorati che sprigionavano una saggezza e un’intelligenza secolari.
«Arden ti presento Nartex; Nartex, questo è Arden» fece le presentazioni Elleboro, Arden rimase impalato a fissare il drago, incantato; ne aveva visti molti da vicino, ma nella maggior parte dei casi erano agonizzanti a terra, stretti da funi e con le ali bloccate dagli arpioni.
«Molto piacere Arden» rispose il drago e il ragazzo si stupì che parlasse la sua lingua.
«Credevo che i draghi usassero la lingua dei draghi» osservò incredulo.
«È così infatti, ma io ho imparato anche la lingua degli uomini e adesso riesco a comunicare con loro» spiegò il drago, con somma sorpresa da parte di Arden.
«Nartex è stato trovato dieci giorni fa, non in fin di vita ma in condizioni davvero disastrose. La cosa strana era che aveva ancora più della metà del Sospiro nella sacca, come se i Cacciatori non avessero fatto in tempo a prelevarlo tutto» disse la ragazza avvicinandosi al drago «Le lesioni alle ali, purtroppo sono piuttosto gravi e pur utilizzando la magia curativa ci impiegheranno molto a guarire e può darsi che Nartex non riuscirà nemmeno più a volare» il tono di voce della ragazza si abbassò improvvisamente così come lo sguardo del drago, Arden si sentiva terribilmente in colpa, erano stati dei Cacciatori come lui a ridurre in quello stato quella creatura così magnifica che una volta solcava i cieli sfidando le nubi e le correnti e faceva a gara con le montagne per riuscire a salire più in alto sino a toccare il sole; sapere che non sarebbe più riuscito a volare provocava in Arden una profonda tristezza e sentiva un peso insistente gravare sul suo stomaco.
«Non essere triste per me, ragazzo» disse il drago con la sua voce profonda e cavernosa, che pareva provenire dai recessi più profondi e bui della terra «Neanche tu sai volare, a quanto mi sembra, eppure non sei infelice» osservò.
«Ma io non ho mai volato, non ho mai provato questa sensazione» replicò il ragazzo mesto «Cosa si prova a volare?» chiese poi al drago; questi sorrise, come possono sorridere i draghi e iniziò a parlare dei bei tempi in cui era l’indiscusso sovrano dei cieli dell’ovest, Arden rimase rapito ad ascoltarlo mentre Elleboro si occupava delle ferite del rettile, applicando quel poco di magia curativa che riusciva a evocare, non era molta, ma bastante per ricucire pian piano le ferite e rinsaldare le membra.
Era pomeriggio inoltrato quando i due lasciarono l’antro di Nartex per tornare a casa.
«Posso venire anche domani?» chiese Arden, Elleboro sorrise.
«Non credo che a Nartex dispiacerebbe un po’ di compagnia, è sempre solo, lassù. Vede solo me, Passiflora e qualche altra rara Lingua di fuoco. Ma nessuno parla mai con lui, a parte me. Mi piacciono i suoi racconti» rispose la ragazza.
«Anche a me» confermò il ragazzo «Sembra davvero incredibile che fino ad adesso io abbia avuto il coraggio di uccidere creature simili. Sono così affascinanti, sagge e per nulla pericolose come le hanno sempre descritte» continuò poi, entusiasta. Elleboro sorrise compiaciuta, il suo piano stava procedendo e anche meglio di quanto si aspettasse.
 
*
«Dove sei stata?» le investì Leisha in tono accusatorio, non appena la ragazza entrò in cucina.
«Da Nartex» rispose quella con aria indifferente mentre immergeva i piatti vuoti nell’acquaio.
«E ci hai portato anche il cacciatore?!» chiese l’altra ragazza.
«Non gli ha fatto niente. Hanno solo parlato come se fossero amici» rispose Eilesha, sua sorella strabuzzo gli occhi.
«Sei impazzita! Perché l’hai portato da lui?» domandò
«Per farglielo conoscere»
«Non ti sei fermata a pensare del pericolo nel quale può incorrere adesso il drago?» domandò Leisha esasperata, il suo tono di voce aumentava di un’ottava dopo ogni parola «Ora è a conoscenza dell’esistenza di Nartex, un drago ferito, che non può muoversi e con una sacca piena di Sospiro, e sa anche dove si trova. Non hai pensato che potrebbe approfittarne per andare da lui di notte, prelevargli il Sospiro e finirlo?»
«Impossibile» rispose la ragazza tranquillamente «È pericoloso andare nella foresta di notte, soprattutto se non la conosci. Inoltre non può uscire dalla sua stanza a meno che non si arrischi a fare un volo di due metri e non credo sia così stupido»
«Stupido no, ma avido sì. Può sempre mandare un messaggio ai suoi amici…»
«Trovo altamente improbabile anche questo» la interruppe Eilesha, seccata della sfilza di assurdità che stava uscendo dalla bocca della sorella «I suoi amici molto probabilmente lo considerano ormai morto e sepolto e comunque non avrebbe alcun mezzo per comunicare con loro»
Leisha scosse la testa «Tu per me sei completamente pazza» decretò «Mostrare un drago ad un Cacciatore…perché non gli hai direttamente fornito una lancia per ucciderlo?»
«Non lo ucciderà, Leisha» rispose la ragazza stancamente «Lo ammira e vuole solo parlare con lui. Non gli farà del male e anche se fosse Nartex sa difendersi»
«Assurdo» mormorava Leisha «Un Cacciatore che parla con un drago» e borbottando altre cose incomprensibili uscì dalla stanza. Eilesha sospirò chiedendosi perché sua sorella fosse così testarda e cieca.
 
*
 
«Perché me l’hai portato?»
«Volevo farvi conoscere»
«Sai che c’era anche lui tra i Cacciatori che mi hanno ridotto così?»
«Oh Nartex, mi dispiace! Non immaginavo…»
«Tranquilla. Hai fatto bene a portarlo»
«Lo pensi davvero?» il drago annuì e scrutò la ragazzina accoccolata contro il suo fianco.
«Ti piace quel ragazzo, non è vero?»
«Cosa?..No…cioè…Lui è un Cacciatore e io Lingua di fuoco…» balbettò la ragazza, colta di sopresa
«E quindi?» domandò il drago «Non hai comunque risposto alla mia domanda»
La ragazza sospirò «E va bene, un po’ mi piace. Ma siamo comunque troppo diversi, apparteniamo a due mondi opposti, io sono troppo strana per lui, non potrà mai esserci nulla tra noi» confessò alla fine.
«Perché strana?» chiese Nartex
«Insomma non è che incontri tutti i giorni una ragazzina che parla la lingua dei draghi e può evocare fiamme a proprio piacimento»
«Non sei strana» mormorò il drago «Sei solo speciale»
«Grazie Nartex» sussurrò la ragazza accarezzando il fianco del drago
«Quel ragazzo mi piace» disse dopo un po’ il drago rompendo il silenzio
«Nonostante sia un Cacciatore?» domandò la ragazza
«Non si giudicano le persone in base a quello che fanno, ma a quello che sono davvero. Quel ragazzo non ha scelto di essere un Cacciatore, è stato costretto dalle circostanze»
«Eppure ha continuato ad esserlo» osservò la ragazza
«Non tutti hanno la fortuna di poter scegliere cosa fare. A volte si è costretti a prendere decisioni e a fare scelte che non avremmo mai fatto se ne avessimo avuta la possibilità» disse il drago con tono triste, Elleboro iniziò a provare un po’ di pena e compassione per Arden, non aveva scelto di essere lui un Cacciatore, gli era stato imposto.
«Credi che quello che io stia facendo sia una pazzia?» chiese la ragazza dopo un po’
«No, non credo sia una pazzia, piuttosto qualcosa di avventato e non ancora ben definito, ma comunque molto nobile e ammirevole»
«Sempre meglio di quello che fa mia sorella» si lasciò sfuggire la ragazza
Nartex sospirò «Tua sorella ha molta rabbia e molto odio nel suo cuore»
«Sono preoccupata per lei» confessò Elleboro
«Vedrai che standole accanto, pian piano riuscirai a farle capire che con l’odio e con la violenza non si arriva da nessuna parte»
«Eppure mi sembra di non ottenere nulla» protestò Elleboro
«I frutti non maturano in una sola notte» rispose Nartex
«Mi chiedo solo se vedrò mai i miei, di frutti» mormorò la ragazza sconsolata
 


***
Eccomi qui, a tormemtarvi con un nuovo capitolo. chiedo scusa se l'aggiornamento è lento, ma non trovo mai il tempo per scrivere...Spero che questo capitolo vi piaccia :)
Mi raccomando continuate a recensire, per me la vostra opinione è importante. Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che leggono la mia storia e la recensiscono, per quanti l'hanno inserita tra le seguite e le preferite (non sapete quanto mi abbia fatto piacere) e anche per coloro che la leggono ma rimangono in silenzio. Grazie a tutti!

 

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Capitolo 8
*** VIII ***


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Il giorno dopo Arden chiese di poter ritornare dal drago. Elleboro temette, per un brevissimo istante, che volesse davvero impossessarsi del suo Sospiro, ma dandosi della sciocca scacciò quei pensieri. Avrebbe dovuto essere contenta del fatto che il ragazzo volesse tornare dal drago, eppure lungo tutto il tragitto, la sua mente non smise di fare congetture ben poco allegre: e se invece volesse solo controllare che le condizioni del drago siano così disastrose da potergli prelevare il Sospiro? Ma  se così fosse non avrebbe permesso che lo accompagnassi, anche se in effetti per raggiungere il luogo ha bisogno del mio aiuto, e se avesse deciso di sfruttarmi o peggio, di uccidermi nel caso mi rifiutassi di fare quello che vuole o lo ostacolassi?
Elleboro rabbrividì, stupita e disgustata dai suoi stessi pensieri. Come poteva anche solo pensare certe cose? Come poteva dubitare di Arden, dopo tutta la fiducia che gli aveva concesso? Come poteva prestare fede, o anche solo prendere in considerazione le insinuazioni di sua sorella, quando appena la sera prima le considerava dei deliri privi del benché minimo senso?
La ragazza era combattuta: una parte di lei non smetteva di pungolarla con insistenti pensieri molesti, destati dalle insinuazioni di Passiflora; un’altra cercava di soffocare quegli stessi pensieri, un’altra ancora si sentiva vagamente a disagio per il fatto che il drago avrebbe potuto lasciarsi sfuggire il loro piccolo segreto.
Se inizio a dubitare perfino di Nartex sono proprio messa male pensò Elleboro. La ragazza si sentì improvvisamente afferrare per un braccio e strattonare, stupita si guardò attorno e si accorse che per poco non era andata a sbattere contro un tronco d’albero, immersa com’era nei suoi pensieri.
«Va tutto bene?» le domandò Arden, preoccupato «Sembri pensierosa, c’è qualcosa che ti preoccupa?»
Elleboro aveva fin troppe cose che la preoccupavano; avrebbe voluto avere la mente sgombra da pensieri, tersa, come il cielo di quel giorno, ma in realtà era invasa da una miriade di pensieri che si accavallavano e confondevano l’un l’altro, simili a plumbee nubi temporalesche, preannunciatrici di pioggia. La ragazza però si affrettò ad annuire e ad assicurare il ragazzo che andasse tutto bene. Non poteva certamente dirgli quello che le vorticava nella testa! Arden non parve molto convinto ma annuì a sua volta e lasciò riluttante il braccio della ragazza. Nel punto in cui l’aveva stretta sentiva un piacevole formicolio che andava pian piano scemando. Elleboro scrollò le spalle e cercò di non pensare a nulla per il resto del tragitto, preferiva evitare un incontro ravvicinato con la corteccia di un albero.
Con grande sollievo di Elleboro arrivarono alla grotta di Nartex e la ragazza sentì un improvviso bisogno di parlare con il drago. Avrebbe voluto esporgli i suoi pensieri e sentire la profonda voce del drago che la rassicurava, voleva affogare nel suo sguardo dorato che riusciva sempre a rasserenarla, ma non poteva parlare liberamente, non con Arden presente, soprattutto perché l’argomento principale del suo sfogo sarebbe stato lui. Sospirando entrò nella grotta e venne accolta dal baritonale saluto del drago.
«Che sorpresa!» esclamò questi, visibilmente stupito di ricevere una visita così ravvicinata
«Arden ha insistito per venire a trovarti di nuovo» spiegò la ragazza
Lo sguardo del drago si posò sul ragazzo, che abbassò il viso, imbarazzato, la ragazza giurò di averlo visto perfino arrossire. Scoppiò a ridere, trovava la situazione molo comica: un Cacciatore di draghi che abbassava il capo e si mostrava imbarazzato di fronte ad un drago.
Sempre ridacchiando si avvicinò alle ali del drago, di solito queste creature erano capaci di rigenerare da sé le ferite, ma solo se molto piccole e poco profonde, cosa che non erano gli squarci che si aprivano sulle ali di Nartex; il drago aveva provato a guarirle da solo, ma il risultato era stato davvero molto piccolo. In dieci giorni, però, le ferite alle ali stavano migliorando, si riusciva ancora a vedere la roccia scabra attraverso gli strappi, ma non erano più così estesi. Le altre ferite, invece, di erano già perfettamente rimarginate e si erano trasformate in una foresta di cicatrici che ricopriva i fianchi del drago.
«Cosa vuoi che ti racconti oggi?» domandò il drago, mentre il ragazzo si accoccolava con la schiena appoggiata al suo possente fianco
«Parlami della lingua dei draghi» rispose
Nartex sorrise ed emise quello che parve un sospiro, un suono basso, gutturale, come un rombo di tuono lontano.
«E cosa vuoi sapere della lingua dei draghi?» chiese di nuovo il drago
«Vorrei impararla»
Elleboro strabuzzò gli occhi e dalle dita le sfuggì una sfera di magia curativa che andò a infrangersi sul pavimento della grotta in una pioggia di scintille dorate.
«Se tu sei riuscito a imparare la lingua degli uomini in pochi giorni, non vedo perché io non possa fare lo stesso con la lingua dei draghi» continuò il ragazzo. Fin dal primo momento in cui aveva sentito quei suoni sibilanti e fruscianti ne era rimasto incantato e rapito, pur rabbrividendo ogni volta, trovava che fosse una lingua misteriosa e affascinante e forse, capendo la lingua, avrebbe anche capito meglio le creature che la parlavano. Stava iniziando ad apprezzare i draghi: erano creature maestose e imponenti, eppure erano nel contempo caduche e fragili, bastava qualche arpione e una lancia per spezzare le loro vite. Arden si era chiesto come fosse possibile che bastasse ancorare a terra uno di quei signori dei cieli per averlo completamente sottomesso e come fosse possibile che fosse così tremendamente vulnerabile, nonostante l’armatura di scaglie e il fuoco.
Nartex sorrise e un gorgoglio sommesso risalì lungo la gola, sconquassandogli il petto e facendo sussultare Arden.
«Ma io sono un drago!» esclamò Nartex, Arden lo guardò con aria interrogativa
«I draghi sono più recettivi e perspicaci di noi uomini e hanno una memoria nettamente più sviluppata della nostra. Per questo sono bastati pochi giorni perché Nartex imparasse la lingua degli uomini» spiegò Elleboro mentre sprigionava tra le mani un nuova sfera di calda luce dorata.
«Posso almeno sapere quale sarebbe il mio nome nella lingua dei draghi?» chiese Arden «Sempre che esista» mormorò poi
«Ashra» sussurrò dopo un po’ il drago, Arden lo guardò sorpreso.
«Non è la trasposizione del tuo nome precisa ma significa “aquila”» spiegò il drago «E Arden mi pare significhi “la valle dell’aquila”»
«Ashra» ripeté Arden un paio di volte «Mi piace»
«Io, personalmente preferisco Arden» disse la ragazza «Comunque se volgiamo essere pignoli il suo nome sarebbe Ashrana Rofylin»
«Preferisco Ashra e basta» replicò il ragazzo «Anzi, credo che Arden sia il migliore»
«E Nartex vuol dire qualcosa?» domandò poi dopo un attimo di silenzio
«Cenere» rispose il drago
«E chi te l’ha dato?» domandò Arden
«Elleboro»
«E allora voi draghi non avete un nome? Come fate quando dovete comunicare con qualcuno?» chiese il ragazzo stupito, Nartex sollevò la testa ed emise un fischio talmente acuto da risultare quasi impercettibile, questo perforò la mente di Arden che si trovò costretto a coprirsi le orecchie; Elleboro invece rimase con le orecchie tese in attesa di una risposta che arrivò poco dopo. Era un fischio lontano, sommesso, soffocato dalla distanza, ma era udibile, almeno da chi era abituato a sentirli.
«Cosa era?» chiese Arden, ancora stordito dal fischio
«Un richiamo» ripose Nartex «Noi draghi non abbiamo bisogno di nomi per riconoscerci, ci basta questo»
Il ragazzo rimase interdetto, aprì e chiuse la bocca più volte senza sapere cosa dire, poi scoppiò a ridere, una risata nervosa, incredula.
«Voi draghi siete pieni di risorse» disse alla fine.
«Dobbiamo andare» interruppe Elleboro «L’ora di pranzo è passata già da un po’. Torneremo oggi pomeriggio»
Arden parve molto deluso ma un gorgoglio di protesta proveniente dal suo stomaco lo costrinse a salutare il drago e avviarsi con Elleboro fuori dalla grotta.
Erano appena stati inghiottiti dalla macchia verde dei pini quando si imbatterono in un ragazzo allampanato che avanzava verso di loro, reggendo tra le mani un capra morta, il pelo bianco chiazzato di sangue.
Arden vide Elleboro sussultare ed imprecare tra i denti, il ragazzo l’aveva riconosciuto come uno di quelli che si trovavano al Rifugio e lo squadravano sempre con disgusto e sospetto, quando lo vedevano. Anche allora, quando gli occhi turchini del ragazzo si posarono sul di lui assunsero un espressione di evidente ribrezzo.
«Cosa ci fa qui lui?» sibilò.
«Una passeggiata» rispose candidamente Elleboro
«Non prendermi in giro» replicò il ragazzo «Lui non dovrebbe essere qui. E sai perfettamente a cosa mi sto riferendo» il tono del ragazzo era diventato pericolosamente minaccioso, le mani stringevano convulsamente il pelo della capra, facendo scivolare il sangue lungo le dita. Elleboro si mise davanti ad Arden, frapponendosi tra lui e il ragazzo. La situazione stava prendendo una brutta piega.
«So che l’hai portato da Nartex, Leisha ci ha detto della tua trovata geniale. Sei forse diventata una di loro?» domandò e aggiunse qualcosa nella Lingua dei draghi che fece irrigidire la ragazza.
L’aria si stava facendo carica, il ragazzo aveva lasciato cadere a terra la capra e aveva le mani imbrattate di sangue tese in avanti, pronte a colpire.
«Quel Daregan Mathar merita di tornare nel posto da cui proviene» sibilò minacciosamente mentre tra le sue dita iniziavano a brillare scintille di magia.
«Non oserai…?» iniziò Elleboro ma dalle mani del ragazzo partì una fiammata. La ragazza riuscì a sventare l’attacco erigendo in tutta fretta uno scudo di pallida luce dorata.
«Spostati» ringhiò il ragazzo «Lui non merita di essere qui»
«Lo merita quando te, Anisse» replicò la ragazza respingendo un altro attacco, il suo scudo, per quanto potente, non avrebbe retto a lungo ai colpi del ragazzo
«Io non sono un Daregan Mathar» ad Arden non sfuggì la nota di profondo disprezzo della voce del ragazzo nel pronunciare quella parola «O peggio un Matharna Maregi, la puttana dell’assassino» aggiunse alzando lo sguardo verso Arden che rimase inchiodato da quelle iridi di ghiaccio ardenti di magia e odio. Il ragazzo vide Elleboro tremare e anche il suo scudo vacillò, disse qualcosa nella lingua dei draghi, c’erano rabbia e sdegno nella sua voce. Il ragazzo iniziò a sentire la rabbia ribollire dentro di lui. Chi era quel ragazzo per permettersi di insultare così Elleboro? Fece un passo in avanti, ma la ragazza lo bloccò con uno sguardo deciso e allarmato che lo spaventò
«Arden, non provare a fare un altro passo. Questa situazione è troppo pericolosa per te, rischi seriamente di…» disse la ragazza con voce grave, le sue parole, però, vennero interrotte dalla voce del ragazzo
«Eilesha» la chiamò, il suo tono si era fatto tutto d’un tratto dolce e carezzevole «non vorrai davvero farmi credere che stai dalla sua parte. È un Cacciatore di draghi, il tuo peggior nemico»
Le parole del ragazzo erano accompagnate da fiammate sempre più potenti, lo scudo si era incrinato e si stava progressivamente sgretolando sotto la potenza di quei colpi.
«Lascia che io lo punisca per ciò che ha fatto»
«Uno solo non può subire per la colpa di molti» rispose Elleboro
«Però vedi che anche tu ammetti che ha una colpa» gli fece notare il ragazzo, lo scudo di Elleboro ebbe un tremolio, ma continuò a resistere
«Lascia che provi il dolore che provano i draghi quando le sue lance li squarciano i fianchi. Lascia che per una volta sia lui a dover soffrire, così, forse, imparerà la lezione»
«No» sibilò la ragazza e il tono che usò fece accapponare la pelle ad Arden. Lo stava difendendo, perché? In fondo il ragazzo aveva ragione, lui era il suo peggior nemico.
«Lascia che io lo elimini e con lui tutti quelli della sua specie. Solo in questo modo i draghi potranno tornare a volare liberi nel cielo»
«No» ripeté Elleboro, un nuovo colpo scosse lo scudo, minacciandone la solidità «Tu vuoi solo vendicarti e punirlo per quello che hanno fatto altri»
«Quelli della sua specie hanno ucciso mio padre!» esclamò il ragazzo mentre i suoi occhi fiammeggiavano di rabbia «E lui meritava di vivere quanto loro e, forse, più di loro.Mio padre non si lordava le mani con il sangue dei draghi…
«È  forse uno sbaglio voler liberare il mondo da quelli come lui? Quanti altri di noi dovranno morire perché tu ti renda conto che sono dei mostri? Forse, hai ragione, forse voglio solo lavare con il sangue di questo Mathar l’erba imbratta del sangue di mio padre, ma sono stati quelli come lui a spargerlo»
Un colpo più forte degli altri colpì lo scudo che si disintegrò in una pioggia di schegge dorate. Elleboro venne sbalzata lontano dal colpo e Arden rimase completamente indifeso ed esposto alla furia omicida della Lingua di fuoco.
Questi fissò il suo sguardo di ghiaccio su di lui, le labbra si piegarono in un sorriso pericoloso che Arden aveva già visto sulla bocca di Cale.
«È ora di fare giustizia» sibilò mentre le sue mani erano avvolte da fiamme rosseggianti.
Il colpo partì e attraversò l’aria sibilando letale.
 

***
Vi chiedo umilmente perdono per aver impiegato delle ere geologiche per aggiornare, ma non sapevo assolutamente come andare avanti, la mia vena creativa si era esaurita improvviaamnete per poi ritornare inaspettatamente oggi...Spero che questo capitolo non sia noioso o confuso.
Cercherò di aggiornare il prima possible, promesso.
Nartex in realtà vorrebbe dire "canna" in greco antico, ma chiamare Canna un drago mi sembrava insultarlo e ho preferito trasformare Nartex in cenere, credo stia meglio, no? 

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Capitolo 9
*** IX ***


 
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Arden si aspettava di sentire le fiamme avvolgerlo completamente e consumare le sue carni. Si aspettava di sentire l’acre odore della carne bruciata invaderli le narici, credeva che avrebbe rivissuto quei terribili momenti di appena una decina di giorni fa. Alle sue orecchie giunse un grido, ma era un grido ovattato, lontano. Poi sentì il tanto atteso calore trapassargli la stoffa e accarezzargli il braccio, lasciandovi un marchio rosso. Il grido si fece più intenso e penetrante, ma Arden sentiva solo lo sfrigolio delle fiamme che gli lambiva l’orecchio. È finita.
Elleboro vide Arden cadere, le fiamme che si avvinghiavano avide al suo braccio, mangiando la stoffa verde della camicia. «NO» urlò di nuovo e una bolla rosso intenso avvolse il ragazzo, ma ormai era troppo tardi.
«Tu» sibilò Elleboro rialzandosi, gettando uno sguardo ricco di astio ad Anisse, poi si precipitò verso Arden, completamente in balia delle fiamme che lo stavano avvolgendo tra le loro spire infuocate, in un abbraccio mortale .
«Non puoi più fare nulla per lui» rispose questi quasi in una risata crudele, Elleboro gli gettò un’ occhiata di fuoco «Lascia che venga consumato da quello per cui uccide»
«Sparisci!» urlò la ragazza, e una fiammata dorata si sprigionò dalle sue dita, non colpì Anisse ma sibilò vicinissima al suo orecchio «Sparisci!» ripeté la ragazza, quasi in una preghiera singhiozzata.
La sua attenzione passò presto ad Arden, l’odore di carne bruciata si insinuava nelle narici della ragazza. Elleboro intensificò la protezione della barriera e si apprestò a fare una cosa che non credeva avrebbe mai fatto. Gliel’aveva insegnata Ailea tempo fa e non credeva che le sarebbe tornata utile. Appoggiò la mano sul braccio di Arden, le fiamme si avvilupparono anche introno a questa, ma senza bruciarla; Elleboro sospirò e iniziò ad assorbire le fiamme. Sentiva pian piano il calore di queste entrare in lei, come se la sua mano le stesse risucchiando; potendo governare il fuoco, era capace, oltre che ad evocarlo, anche ad assorbirlo. L’operazione, però, richiedeva una grandissima concentrazione: il fuoco era un elemento instabile e imprevedibile, avrebbe potuto sfuggire al suo controllo e carbonizzare completamente Arden.
Elleboro vide le fiamme sparire pian piano, lasciando il posto ad un braccio profondamente e orribilmente piagato, solcato da strisce rossastre. Sospirò, mentre anche l’ultima lingua di fuoco spariva con un guizzo. Arden aprì gli occhi e la prima cosa che vide furono gli occhi castani di Elleboro, velati di lacrime; la calda luce dorata della magia curativa e quella rossa emanata dalla barriera, creavano giochi di luce sul suo volto, che pareva in fiamme. Arden rimase incantato da quella visione, e quasi si dimenticò del dolore bruciante e del lieve odore di bruciato proveniente dal suo braccio. Elleboro incontrò lo sguardo turchino del ragazzo e si ritrovò a sorridergli, quello stesso dolcissimo sorriso che gli aveva rivolto anche quella volta
«Andrà tutto bene» sussurrò la ragazza, le sue parole arrivarono ad Arden come un fruscio rassicurante, un refolo di vento che gli accarezzava l’orecchio. Fu tutto quello che riuscì a sentire prima che diventasse tutto nero. 
 
*
 
Arden aprì gli occhi e si trovò davanti l’occhio morto di Ailea, per poco non cacciò un grido di sorpresa e paura. La donna era china su di lui e gli stava applicando un composto dall’odore disgustoso sulla parte lesa.
«Questo ragazzo attira più fiamme di quanto non faccia un ciocco di legna da ardere» stava dicendo, mentre le sue mani spalmavano il composto «Mi stupisco che sia ancora vivo. Non mi sorprenderebbe se diventasse ignifugo» la donna ridacchiò e qualcuno rispose ridendo sommessamente.
«Si è svegliato» mormorò Ailea e una figura familiare entrò nel campo visivo di Arden, il volto circondato dai lunghi capelli ricci era visibilmente sollevato
«Per un attimo ho davvero temuto il peggio. Temevo che non avesse funzionato» disse questa, rivolgendosi ad Ailea ma guardando Arden
«Sei stata brava» rispose la zia alzandosi e pulendosi le mani in uno straccio. Elleboro arrossì, in fondo non aveva fatto niente di che.
«Come ti senti?» domandò la ragazza ad Arden
«Cotto a puntino» rispose il ragazzo, Elleboro scoppiò a ridere
«Se riesce perfino a fare dello spirito, significa che sta bene» borbottò Ailea «Te la sei davvero vista brutta, di nuovo»
Arden provò ad alzarsi ma il braccio destro gli inviò una fitta atroce e il sinistro non fu da meno, entrambi erano ricoperti della sostanza verde dall’odore nauseante che nascondeva la reale entità delle ferite sottostanti. Il ragazzo voleva chiedere cosa fossa quella schifezza spalmata sulle sue braccia, ma Elleboro lo precedette.
«È un unguento per curare le ustioni, più potente di quello che ho io e molto efficace. Questa volta le tue ustioni non erano così gravi. Una fiammata di una Lingua di fuoco, fortunatamente, non è così potente come quella di un drago…»
«Ma ugualmente devastante e pericolosa» si intromise Ailea «E per fortuna che Elleboro ha avuto un tempismo perfetto o a quest’ora saresti stato cenere trasportata dal vento»
«Non ho fatto niente di che» replicò Elleboro, il viso in fiamme
Un basso gorgoglio proveniente dallo stomaco vuoto di Arden ruppe il silenzio che era calato nella stanza, questi arrossì, imbarazzato. Ailea inarcò un sopracciglio vagamente divertita
«È da questa mattina che non mangiamo» spiegò Elleboro, la donna annuì e sparì in cucina.
La ragazza si sedette sulla poltrona e Arden fu costretto a girare la testa per riuscire a vederla.
«Per un po’ di tempo rimarrai con Ailea, almeno fino a quando non guarirai completamente. È troppo pericoloso, per te, stare al Rifugio, ora. Non posso assicurarti di riuscire a proteggerti. Questa volta non ci sono riuscita, mi dispiace»
«Dispiaceri per cosa? Hai fatto tantissimo per me» mormorò Arden «Ormai ho perso il conto del numero delle volte in cui mi hai salvato e dei debiti che ho nei tuoi confronti» il ragazzo avrebbe voluto prendere il volto di Elleboro tra le mani e asciugarle quella lacrima che era sfuggita al suo controllo, ma era costretto a stare sdraiato sul divano «Ti sono davvero grato per tutto quello che stai facendo per me, soprattutto per il fatto che avresti potuto lasciarmi morire o uccidermi tu stessa, più di una volta. Invece mi hai aiutato, nonostante fossi un Cacciatore»
«Ciò non toglie che tu sia un uomo, prima di tutto» rispose la ragazza asciugandosi la lacrima ribelle con il dorso della mano «Non mi interessa quello che sei stato o ritornerai ad essere. Io ti ho conosciuto come Arden, non come il Cacciatore, e per me rimarrai sempre Arden»
A quel punto Arden avrebbe voluto saltarle al collo e avvolgerla tra le sue braccia. Quella ragazzina era qualcosa di incredibile, la sua dolcezza era disarmante e la sua abnegazione qualcosa di soprendente.
Ailea entrò nella stanza portando un vassoio ricolmo di cibo, il ragazzo strabuzzò gli occhi
«Hai bisogno di rimetterti in forze» spiegò la donna appoggiando il vassoio sul tavolino, cosparso di unguenti e bende
«E poi non eri tu quello che stravedeva per i suoi manicaretti?» lo canzonò la ragazza prendendo dal vassoio un panino con le noci.
 
*
 Elleboro venne investita dalla fredda aria della sera. Gli ultimi raggi del sole morente tingevano di sangue il cielo, che stava già declinando nei toni dell’azzurro più cupo striato di ocra e rosa.
La ragazza era sicura che fosse stata la decisione migliore quella di lasciare Arden da Ailea, almeno il tempo necessario affinché si riprendesse. Non era più al sicuro al Rifugio. Non lo era mai stato in realtà, ma fino a quel momento per trattenere gli altri erano stati sufficienti una porta chiusa e un draghetto a fare la guardia. Era stato un pessimo errore portare Arden al Rifugio, era stato come sventolare davanti ad un branco di predatori affamati una preda succulenta per poi impedirgli di divorarla; sapere Arden così vicino, eppure così irraggiungibile, non aveva fatto altro che aumentare la loro sete di sangue. Ora, Elleboro se lo sentiva, quel deterrente non sarebbe più bastato, e si sentiva sollevata a sapere Arden con Ailea e non in mezzo ad un covo di Lingue pronte ad ucciderlo. Tenerlo lontano da loro per qualche tempo avrebbe giovato a tutti: l’aria al Rifugio sarebbe stata meno tesa ed elettrica e Arden sarebbe riuscito a riprendersi completamente, lontano dalla costante minaccia di morte delle Lingue. Elleboro si fidava di Ailea, era sicura che non gli avrebbe fatto nulla di male, fino ad adesso l’aveva guarito e aiutato, e la ragazza non trovava alcun motivo per cui la donna avrebbe dovuto cambiare improvvisamente e tradire la sua fiducia. Nonostante questo, sentiva qualcosa pungolarle insistentemente un angolo del petto: la paura che qualche Lingua potesse spingersi fino a casa della zia per eliminare Arden. Nessuno sapeva dove Arden si trovasse e, anche se qualcuno avesse potuto intuirlo, nessuno conosceva l’ubicazione della casa (a parte lei e sua sorella). Decise, comunque, di mettere a guardia del ragazzo anche Tanatos e Nosos, come precauzione. Le dispiaceva immensamente abbandonare così Arden ed era preoccupata di non averlo sempre sott’occhio. Per tutto il tragitto si tormentava con supposizioni di tutto quello che sarebbe potuto accadergli con lei lontana.
Ma c’è Ailea si disse lei saprà sicuramente cosa fare e come proteggerlo. La ragazza, però, si sentiva lo stesso molto inquieta.
Quando entrò in casa ad accoglierla ci fu la sorella, le braccia incrociate sul petto e uno sguardo duro di disapprovazione.
«So cosa hai fatto!» annunciò, non appena la ragazza si tolse il mantello «Dov’è?» sibilò
Elleboro non rispose, ma si diresse nella sala da pranzo. Attorno al tavolo sedevano Anisse e Caleisha, il primo la squadrava con uno sguardo ricco di rabbia e odio, una sottile striscia rossa gli correva lungo lo zigomo destro; il secondo non si degnò nemmeno di guardarla esprimendo, così, tutto il suo profondo ribrezzo.
«Dov’è?» ripeté Passiflora
«In un luogo sicuro. Lontano da voi» rispose Elleboro, ignorando le occhiate furiose di Anisse
«Ti rendi conto di quello che hai fatto?» domandò la sorella
«Ho salvato una persona dall’insensata furia omicida di un altro» disse la ragazza guardando Anisse, il suo sguardo omicida non le faceva paura e lo sostenne con grande sicurezza
«Hai lasciato in vita un mostro!» replicò Passiflora
«Siete voi i veri mostri! Voi, che uccidete ragazzi indifesi!» esclamò Elleboro senza distogliere lo sguardo da Anisse
«Indifesi!» borbottò Caleisha «Non sembrano così indifesi quando affondano i loro arpioni nelle ali dei draghi e li feriscono a morte»
«Ma lo sono quando uno di voi usa i suoi poteri contro di loro. Cosa che fate abitualmente» replicò la ragazza «Non siete poi tanto diversi da loro a comportarvi così» Non si ricordava quante volte avesse già ripetuto quella frase.
Una cappa di silenzio calò sulla stanza.
«Abbiamo discusso» disse ad un certo punto Passiflora rompendo la coltre di silenzio, Elleboro diresse lo sguardo su di lei, sembrava parecchio a disagio, continuava a tormentarsi le mani «Pensiamo che tu ci abbia tradito, comportandoti in questo modo. Hai ostacolato l’applicazione di una giusta punizione…»
«Una giusta punizione!» esclamò Elleboro indignata «Per voi è giusto uccidere ragazzi indifesi, nel bel mezzo del bosco? È questa la vostra idea di giustizia
Passiflora la ignorò e continuò il suo discorso «Pertanto, alla luce dei recenti avvenimenti, abbiamo deciso di bandirti, in quanto ti sei macchiata dell’onta del tradimento, andando contro i nostri…»
«E così che la pensate?» la interruppe di nuovo Elleboro, sconvolta «Pensate davvero che io vi abbia tradito, solamente perché ho evitato che le vostre insane e perverse convinzioni mietessero un’altra vittima? È solo questa la mia colpa? Aver salvato un ragazzo indifeso, un essere umano, come voi?»
«Lui non è come noi!» sbraitò Caleisha alzandosi in piedi di scatto e battendo un pungo sul tavolo
«E hai dimostrato di non esserlo nemmeno tu, Matharna Maregi»
Elleboro sorrise «Va bene» disse alla fine «Se ritenete che questa sia la punizione giusta riservata a coloro che hanno ancora del buon senso, l’accetterò»
«Buon senso!» sibilò Caleisha. «È così che chiami il tuo essere amica dei nostri nemici, una loro alleata, che li sta aiutando a distruggere i draghi e noi? Sei solo una Leisated e come tale devi andartene! » Le iridi di Caleisha presero fuoco, un rivolo di bava scese lungo il suo mento «Vattene! Sei la vergogna della nostra stirpe! Tu deturpi la nostra discendenza! Ernevar »
Elleboro non replicò nulla, anche perché non c’era nulla da dire: l’avevano bandita ed esiliata, per un motivo sciocco, secondo lei, solo perché aveva osato difendere un ragazzo indifeso. D’ora in poi sarebbe stata considerata, feccia, meno di nulla, ma non le importava. Lei aveva fatto quello che aveva ritenuto giusto e non se ne pentiva, anzi era quasi contenta di allontanarsi da quei fanatici accecati dalla smania di vendetta e assetati di sangue.
Sotto i loro sguardi affilati che racchiudevano un grande odio e disprezzo, Elleboro salì fino in camera sua, mentre la notte stendeva il suo pesante velo sulla foresta. 
 
***
Per la vostra gioia (?) sono riuscita ad aggiornare quasi subito, giusto per non lasciarvi troppo con i fiato sospeso.
Ho volutamente esagerato le reazioni e le paorle delle Lingue, per mostrare l'insensatezza delle loro convinzioni, dettate dalla fame di vendetta e dalla sete di sangue; accecati dall'odio non riescono a vedere che le loro azioni non portano a nulla se non a morte, e sono così convinti che le loro idee siano giuste che non permettono a nessuno di contraddirle...Spero di non aver esagerato e che il capitolo sia piacevole :)
Alla prossima ;)
Ayr

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Capitolo 10
*** X ***


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«È una cosa inaudita!» strepitò Ailea agitando le braccia in aria «Bandita! Assurdo!»
Elleboro sospirò, si era trovata costretta a spiegare il motivo per cui si trovava davanti alla porta di casa di Ailea neanche un’ora dopo che l’aveva lasciata, e soprattutto aveva dovuto spiegare l’enorme borsa che si era portata dietro e la richiesta di ospitalità per un periodo indeterminato di tempo. Da allora sua zia aveva continuato a camminare su e giù per la stanza, lanciando improperi e ripetendo che era una cosa assurda, il tutto gesticolando come una pazza.
«E solo perché hai osato sputargli in faccia la verità! Quella che loro chiamano giustizia non è altro che inutile spargimento di sangue. Ma non l’hanno ancora capito e quando questo avverrà, sarà ormai troppo tardi» Ailea si lasciò cadere sconsolata sulla sua poltrona sgangherata «Comunque sia, tu, Eilesha, hai fatto la cosa giusta. Non devi sentirti in colpa o nel torto. Sono loro che accecati da un odio insensato non vedono gli errori e le pazzie che stanno commettendo» e la zia tornò a inveire contro le Lingue di fuoco «Ciò che più mi stupisce e che tua sorella abbia permesso una tale follia e non abbia nemmeno alzato un dito per difenderti!»
Elleboro temeva che se l’avesse alzato, quel dito difficilmente sarebbe stato ancora attaccato alla mano di Passiflora.
«Ailea, ti prego» sussurrò la ragazza, capiva che la zia fosse incredula e sconvolta, ma tutto quello strepitare era inutile, sarebbe servito solo a farle venire un terribile mal di testa.
«Scusami» mormorò la zia abbandonandosi contro lo schienale della poltrona «Ma non riesco a capacitarmi che una tale follia sia potuta accadere»
«Siamo tutti sconvolti, me ne rendo conto, ma inveire contro di loro non migliorerà la situazione»
replicò Elleboro. Il suo sguardo cadde involontariamente su Arden, seduto accanto a lei: non aveva proferito parola e la ragazza leggeva nel suo sguardo un grande disagio e dispiacere, inoltre sembrava volerle dire qualcosa, ma la presenza della zia glielo impediva.
Arden si sentiva tremendamente in colpa, era per causa sua che Elleboro era stata allontanata e aveva litigato con la sorella. Si era messa contro la sua stessa famiglia, aveva rischiato la sua vita e tutto solo per proteggerlo, di nuovo.
«Vado a prepararti la stanza» borbottò la zia, alzandosi dalla poltrona. In realtà Elleboro sapeva che era una scusa per tornare a scagliarsi liberamente conto le Lingue di fuoco e la loro idea di “giustizia”, ma le fu grata del fatto che avesse deciso di farlo lontano da lei. Si sentiva già abbastanza abbattuta e confusa senza che la zia le ricordasse in ogni momenti che era stata bandita. Non è che si pentisse della sua scelta o delle parole che aveva detto, semplicemente, era rimasta basita per la reazione che queste avevano causato e per la drastica decisone che avevano preso in merito, le era sembrata esagerata. Inoltre era rattristata per il fatto che la considerassero una traditrice, in fondo non aveva fatto nulla di male aveva solo impedito che la loro furia cieca mietesse un’altra vittima.
Non appena la donna sparì su per la tromba delle scale, Elleboro si abbandonò contro lo schienale del divano, sospirando sollevata.
«A volte Ailea sa essere davvero pesante» disse, a nessuno in particolare
«Però ha ragione» replicò Arden animandosi improvvisamente « È assurdo che ti abbiano bandito per questo e, soprattutto è assurdo che tu stia facendo così tanto per me»
Elleboro si voltò verso Arden e sorrise «Io vi ho sempre difeso» dichiarò «Non vi ho mai visto come spietati assassini, come più volte hanno cercato di dipingervi. Vi ho sempre visto, innanzitutto come essere umani. Poi, il fatto che non condivida affatto quello che fate, è un altro discorso…Se devo dire la verità, non condivido nemmeno le idee che portano avanti Caleisha e la sua banda…»
«Perché cosa fanno?» domandò Arden, aveva già fatto una domanda simile, ma Elleboro si era rifiutata di rispondere e anche adesso la vide mordersi le labbra, a disagio «Per favore, Elleboro…è davvero così terribile?» la pregò
La ragazza non sapeva se rispondergli o meno, già non doveva avere una grande opinione di loro, se gli avesse raccontato quello che facevano ai cacciatori li avrebbe definitivamente considerati dei mostri e avrebbe iniziato a sospettare anche di lei. Arden, però, la fissava con sguardo supplichevole, facendo pian piano vacillare la sua sicurezza.
«Li uccidono» disse alla fine in un sussurro appena udibile «Li sorprendono di notte, mentre dormono nei loro accampamenti e li danno fuoco, bruciandoli vivi. È uno spettacolo orribile»
Arden spalancò gli occhi ed Elleboro lo sentì trattenere il respiro.
«Non posso crederci!» balbettò sconvolto. Allora tutte quelle storie di fuochi, che si accendevano improvvisamente nel cuore della notte, nella foresta, illuminandola a giorno, erano vere. Falò delle streghe li chiamavano, ma in realtà erano cacciatori che perivano divorati dalle fiamme, come ciocchi di legno secco.
«Sapevo che non avrei dovuto dirtelo. Ora penserai che le Lingue di fuoco sono dei mostri…» mormorò la ragazza
Arden era troppo scosso per poter rispondere qualcosa. Ecco, cosa facevano Caleisha e quelli della sua risma, ecco cosa aveva fatto quella volta, quando Elleboro l’aveva salvato: stava mettendo in pratica un altro dei suoi piani di sterminio e devastazione.
Ora era Elleboro a sentirsi in colpa, dopo quella confessione non si sarebbe stupita se Arden fosse scappato via terrorizzato. Elleboro non aveva mai tentato di ucciderlo, anzi, gli aveva salvato la vita più volte, ma chi poteva assicurargli che non lo avrebbe sgozzato di notte o cercasse di guadagnarsi la sua fiducia solo per giungere agli altri cacciatori?
«Arden» lo chiamò piano la ragazza, posandogli cautamente una mano sul braccio e riscotendolo così dai suoi cupi pensieri «Immagino a cosa tu possa pensare in questo momento, ma sappi che mi sono sempre rifiutata di prendere parte a queste stragi, le ho sempre aborrite, anzi ho sempre cercato di impedire questi abomini»
Non credeva che sarebbe riuscita a convincerlo, le sue erano solo volatili parole: un minuto prima uscivano dalla sua bocca e il minuto successivo si erano già disperse nell’aria.
Arden fissò il suo sguardo turchino su di lei, nei suoi occhi si leggeva un profondo rammarico, si stava scusando per gli scempi che altri commettevano. Sapeva che la ragazza era sincera e lo dimostravano le sue azioni, aveva avuto così tante occasioni per eliminarlo.
Arden le prese le mani, cogliendola di sorpresa «Non ti preoccupare» le disse dolcemente «Mi fido di te, hai avuto così tante opportunità per uccidermi e non l’hai mai fatto, anzi, mi hai sempre protetto, rischiando addirittura la tua vita…»
Elleboro rimase interdetta «Anche se le altre Lingue di fuoco fanno…questo, non implica il fatto che anche tu sia come loro. Mi fido di te» ripeté.
Elleboro si scoprì a trattenere il fiato, non erano mai stati così vicini, almeno, non con entrambi perfettamente coscienti. La ragazza sentì un brivido correrle lungo la schiena: le mani di Arden erano calde e forti e la sua presa delicata eppure salda. Nei suoi occhi si riflettevano le mutevoli spirali del fuoco che scoppiettava nel caminetto e quella luce calda e soffusa faceva risaltare la sottile cicatrice che gli attraversava il volto, conferendogli un’aria da uomo vissuto. Elleboro non si era mai soffermata troppo a guardarlo, mai come allora gli era sembrato così incredibilmente bello. Le sue labbra, così piene e splendidamente rosate, erano un palese e irresistibile invito ad essere profanate con un bacio. Elleboro si morse le labbra, chiedendosi quale sapore avrebbero potuto avere quelle di Arden. Si sorprese a desiderare di baciarlo. Il ragazzo, quasi  avesse sentito la sua muta richiesta avvicinò il viso al suo e le accarezzò la bocca con il suo respiro. Elleboro sentì il suo cuore fare un balzo nel petto e arrivare fino alla gola, serrandogliela e impedendole di respirare. Socchiuse gli occhi e dischiuse le labbra, mentre Arden faceva altrettanto. Le loro labbra si accarezzarono appena e i loro respiri si mischiarono. Elleboro deglutì, mentre il suo cuore batteva all’impazzata e si gettava contro le costole quasi volesse uscire dalla gabbia in cui era rinchiuso. Ebbe un fugace assaggio della morbidezza e del calore delle labbra di Arden prima che la voce di Ailea rompesse l’atmosfera.
«La tua stanza è pronta» avvisò la donna scendendo le scale «E anche la tua, Arden» continuò.
I due si allontanarono immediatamente, come se si fossero scottati e ognuno cercò di assumere un’aria di indifferenza, ma alla zia non sfuggì il rossore sulle loro guance e il loro imbarazzo.
«Se preferite, però, posso preparare una stanza unica per entrambi» li stuzzicò
«Zia!» esclamò Elleboro diventando subito color porpora, Ailea ridacchiò. Almeno la rabbia nei confronti delle Lingue di fuoco è passata pensò la ragazza con grande sollievo.
«Le stanze separate andranno benissimo» borbottò Arden alzandosi a fatica dal divano, non riuscì a trattenere un’espressione di dolore e un’imprecazione.
«Ti serve una mano?» si precipitò subito ad aiutarlo Elleboro
«No, grazie. Ce la faccio da solo» rispose il ragazzo con gentilezza e regalandole il sorriso più bello che avesse mai visto.
«Buonanotte» augurò poi a lei e alla zia
«Buonanotte» rispose Elleboro mentre Ailea aggiungeva un «Fai bei sogni» con le labbra increspate in un sorriso malizioso.
Poco dopo anche Elleboro lasciò la stanza, augurando buonanotte alla zia che sorrise sorniona.
 
Arden stinse i denti, una fitta atroce al  braccio gli aveva mozzato il respiro. L’antidolorifico di Ailea, ovvero un intruglio dall’aspetto poco invitante e amarissimo, poteva ben poco contro quelle bruciature. Il ragazzo si sentiva esattamente come un pezzo di legno che bruciava.
E non solo per le ustioni. Qualcosa dentro di lui si era mosso, quando Elleboro gli aveva sfiorato il braccio e l’aveva guardato con quel suo sguardo dolcissimo a cui non riusciva a resistere. Allora era scattato e le aveva afferrato quelle piccole mani, capaci di grandi cose; ritrovandosi ad una distanza così ravvicinata, aveva sentito l’improvviso e irresistibile impulso di baciarla. Il motivo non lo sapeva nemmeno lui. Aveva avuto tante ragazze, molte solo avventure di una sola notte, altre protagoniste di una storia più lunga e seria, ma nessuna era mai riuscito a farlo sentire come Elleboro. Si sentiva bruciare dentro, quasi una di quelle fiamme che Elleboro sapeva sprigionare dalle dita gli fosse entrata nel petto e avesse appiccato un incendio. Sentiva il suo cuore venire divorato dalla fiamme e rattrappirsi, come un foglio di carta. Eppure non era una sensazione spiacevole. Arden si mosse e un’altra fitta gli strappò un’imprecazione colorita. Sospirò pensando a tutto quello che era accaduto in quel breve lasso di tempo: aveva rischiato di morire parecchie volte, era sempre stato ferito gravemente ed Elleboro era sempre stata accanto a lui e si era sempre prodigata per lui; lo proteggeva, nonostante tutto e continuava ad aiutarlo nonostante fosse il suo nemico giurato. Lo faceva per estinguere il debito che aveva nei suoi confronti, gli aveva detto. Ma quel debito ormai si era estinto tempo fa, quando l’aveva salvato e aiutato la prima volta.
Arden si ritrovò a sorridere ripensando alla prima volta in cui aveva incontrato Elleboro: pareva una ragazzina spaurita, con gli occhi grandi spalancati, eppure, anche allora, aveva dimostrato una grande forza. Pochi potevano vantarsi di aver tenuto testa a Daren.
Improvvisamente un ricordo gli invase la mente, aveva i contorni sfuocati e mal definiti di un sogno e Arden si domandò da dove fosse saltato fuori: c’era la sua stanza e sul letto era stesa una figura minuta, rannicchiata su se stessa, avvolta in uno spesso mantello nero, una matassa scura era sparsa sul cuscino. Un lieve fischio proveniva da quella figura assopita. Arden vide se stesso avvicinarsi alla figura e accomodarle  meglio il mantello sulle spalle; la figura si era mossa borbottando qualcosa, poi si era stretta in quel pezzo di stoffa, rannicchiandosi ancora di più. Arden aveva avvicinato una mano e le aveva tolto un riccio dalla fronte. Il ragazzo corrugò la fronte, non si ricordava affatto quel particolare, doveva averlo aggiunto la sua mente, chissà per quale motivo. La visione, però, continuava, Arden si era avvicinato piano al viso della figura, la guancia appena guarita era arrossata dal freddo. Il cacciatore aveva depositato un bacio lieve proprio su quella guancia.
E in quella vaga e sfumata dimensione di incertezza che era il dormiveglia, Arden giunse alla conclusione che aldilà dell’immensa gratitudine, dell’ammirazione e dell’amicizia che provava nei confronti della ragazza era subentrato qualcosa d’altro.
Lui l’amava.


 
***
Mi rendo conto che ci metto tantissimo ad aggiornare, ma il tempo che ho a disposizione è davvero esiguo...Spero di riuscire a farmi perdonare con questo capitolo. Sento che mi odierete a morte (?) perchè ho interrotto l'azione sul più bello, ma non è ancora arrivato il momento...
Non so quando potrò aggiornare, chiedo già da adesso perdono....
Grazie a tutti coloro che continuano a seguirmi e recensire la storia nonostante tutto! \(^.^)/
Ayr

 
 

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Capitolo 11
*** XI ***




I giorni a seguire furono abbastanza imbarazzanti per entrambi: non riuscivano a rimanere nella stessa stanza senza che i loro sguardi si incrociassero e subito le loro guance prendessero colore. Arden passava la maggior parte del suo tempo disteso sul divano o sul letto. 
Ailea gli aveva dato dei libri da leggere, per rompere la noia, ma per la maggior parte del tempo, Arden sonnecchiava, guardato a vista dai draghi di Elleboro. Il ragazzo stava guarendo, ma molto lentamente; l’unguento portentoso di Ailea era molto efficace, ma spesso la donna usava la sua magia curativa per velocizzare il processo. Nel contempo, però, aveva paura che i rimedi prima o poi avrebbero potuto ledere la pelle, molto più fragile, delicata e provata dalle continue ustioni.  
Elleboro, invece, nonostante il bando, passava molto tempo fuori casa e aveva continuato ad andare a trovare Nartex. Quella sera stava proprio tornando da una visita dal drago. 
La prima volta che si era presentata senza Arden, il drago aveva subito chiesto cosa fosse successo ed Elleboro era stata costretta a raccontare dell’attacco e dell’esilio. Nartex non aveva commentato nulla, ma lo sguardo impresso nei suoi occhi diceva molto più di quanto avrebbe potuto la sua bocca. 
La ragazza passava molto tempo con Nartex, soprattutto per evitare di arrossire ogni volta che sorprendeva Arden guardarla. Ogni volta che il ragazzo posava lo sguardo su di lei, le veniva subito in mente il bacio mancato e se stringeva un poco le labbra, poteva ancora sentire un ricordo del sapore e del calore di quelle di lui. poco più che un lieve sentore, rimasto intrappolato tra le sue. Per questo evitava accuratamente di non ritrovarsi troppo spesso sola con lui o semplicemente nella stessa stanza. Da quella sera non avevano mai avuto occasioni di rimanere soli ed Elleboro, molto spesso, evitava di proposito che questo potesse accadere.
La ragazza camminava spedita, mentre il cielo già declinava nei colori della sera e l’aria fredda della notte iniziava a soffiare, insinuandosi sotto il suo mantello e facendola rabbrividire. Improvvisamente davanti a lei si stagliò una figura scura, Elleboro si fermò sorpresa.
«Cosa ci fai qui?» domandò la figura, ed Elleboro riconobbe la voce di sua sorella.
«L’essere bandita non mi pare mi impedisca di fare visita ad un amico» replicò lei
«C’è anche il tuo amico cacciatore?» chiese Passiflora, allungandosi per vedere se sarebbe sopraggiunto alla spalle della sorella
«No, per la tua felicità» rispose sarcastica Elleboro incrociando le braccia. Le due sorelle rimasero una di fronte all’altra in silenzio. Passiflora fissava i propri stivali, imbarazzata.
«Io non volevo che succedesse» disse dopo un po’
«Eppure l’hai permesso» replicò la sorella
«Cosa avrei potuto fare?» domandò la ragazza
«Prendere le mie difese sarebbe stata un’idea» rispose Elleboro, mordendosi poi la lingua. Non poteva rimproverare nulla a sua sorella, lei non poteva fare niente, sarebbe stato inutile e che, molto probabilmente, ci avrebbe rimesso anche lei. Ma se le parti fossero state invertite, Elleboro non ci avrebbe pensato due volte e si sarebbe schierata in difesa della sorella, pur essendo a conoscenza delle conseguenze. Forse era per questo, che, comunque era rimasta delusa e non riusciva a cancellare quella nota di rimprovero nella sua voce.
Passiflora rimase in silenzio e tornò a guardarsi i piedi.
«Scusami» disse dopo un po’ «Io non sapevo davvero cosa fare. Caleisha mi fa paura e se avessi osato anche solo dire una parola in tuo favore, non oso immaginare cosa mi avrebbe fatto» la voce di Passiflora tremò e tutta la rabbia e la delusione di Elleboro svanirono all’istante. Si avvicinò alla sorella e l’abbracciò.
«Mi dispiace» sussurrò Passiflora accarezzandole i capelli.
Le due sorelle rimasero in silenzio per un po’, abbracciate nella notte che avanzava.
«Devo andare» sussurrò Passiflora, rompendo il silenzio e l’abbraccio.
«Dove?» domandò la ragazza. Passiflora non rispose
«Vai a caccia anche oggi, non è vero?» domandò
Di nuovo nessuna risposta da parte della sorella e la ragazza, interpretò il suo silenzio come una riposta affermativa 
«Perché lo fai, Leisha?» domandò, con voce dolce, stanca, quasi rassegnata.
Temeva che la sorella avrebbe eluso la domanda o l’avrebbe liquidata con una scrollata di spalle, come le altre volte e poi se ne sarebbe andata stizzita, così si stupì quando la sentì rispondere in un flebile sussurro «Per nostro padre».
«Cosa c’entra questo con i cacciatori?» chiese Elleboro incredula.
«Sono stati loro ad ucciderlo» rispose Passiflora.
«Ma cosa dici?!» esclamò Elleboro, sbigottita «Nostro padre è morto per malattia.» 
«È quello che ti hanno raccontato e hanno voluto farti credere. Eri piccola, non avresti capito la realtà dei fatti, per cui era più semplice dirti che fosse morto per cause naturali…»
«Cosa stai dicendo?!» Elleboro era sempre più sconvolta e confusa.
«La verità. Quella che è giunto il momento che tu conosca» rispose Leisha con voce atona «Nostro padre è stato ucciso dai Cacciatori» ripeté.
«Come fai ad esserne così sicura?» domandò ancora Elleboro, anche se temeva la risposta.
«Perché io c’ero» dichiarò la sorella e ad Elleboro mancò il respiro.
«Ero uscita con nostro padre per fare legna, quando improvvisamente ho sentito dei passi e delle voci. Nostro padre mi ordinò di nascondermi e di non muovermi o fiatare, qualsiasi cosa fosse successa. L’avevano circondato quattro uomini, vestiti con lunghe cappe marroni, i cappucci che nascondevano i loro volti. Odoravano di sangue e di morte. «Cosa volete?» aveva chiesto nostro padre cercando di rimanere pacato, anche se vedevo che era visibilmente agitato. Gli incappucciati non avevano risposto ma avevano estratto dei lunghi pugnali. «Tu sei un mostro, Lingua di fuoco e come tale devi morire» aveva dichiarato uno di loro con voce stridula e ad un suo cenno lo avevano assalito. Mio padre non reagì ma lasciò che quegli uomini affondassero le loro lame nella sua carne. Non emise un solo gemito mentre lo accoltellavano a sangue. Quando se ne andarono l’avevano lasciato agonizzante a terra, coperto di sangue. Mi ero precipitata verso di lui. «Leisha» mi aveva sussurrato e insieme alla voce dalla sua bocca era uscito un rivolo di sangue «Sii forte Leisha. Sii forte, per tua sorella. Le sei rimasta solo tu e lei ha bisogno di te» mi disse «Promettimi che proteggerai tua sorella.» 
Gli chiesi disperata cosa fosse successo, chi lo avesse ridotto in fin di vita e perché, mi rispose che erano stati i  cacciatori di draghi, perché ci temevano, e ci uccidevano, per paura che potessimo farlo prima noi. «E non si fermeranno» disse «Cercheranno anche voi per uccidervi. Per questo mi devi promettere che proteggerai e veglierai su tua sorella» 
Mi aveva scongiurato di prometterlo e io lo avevo fatto, poco prima che spirasse tra le mie braccia…
Allora non avevo capito il senso delle sue parole ma è iniziato a diventarmi chiaro quando hanno iniziato a stanare e a uccidere quello come noi...»
Passiflora coprì il viso e iniziò a singhiozzare. Elleboro non aveva mai visto sua sorella piangere. Non l’aveva mai vista così fragile e indifesa, scossa dai singhiozzi e tremante. Le si avvicinò e le posò una mano tra i ricci scuri. 
«È per questo che ti sei unita a Caleisha?» domandò, Passiflora annuì. 
«È per questo che cacci i cacciatori? Per vendicare la morte di nostro padre e di tutte le altre Lingue di Fuoco che hanno ucciso?» continuò Elleboro, accarezzandole piano i capelli.
Sua sorella non rispose, non subito «Ho promesso a nostro padre che ti avrei protetto ed è quello che sto facendo. Ma poi arrivi tu, mano nella mano con il nemico» disse.
«Mi ha salvato la vita e io mi sentivo in debito con lui» rispose la ragazza, le dispiaceva molto per sua sorella, vederla in questo stato le dilaniava l’anima.
«Ma ora l’hai curato. Il tuo debito è estinto» cercò di dire sua sorella tentando di calmare i singhiozzi che le facevano tremare la voce «Perché allora continui a tenerlo con te?»
Elleboro non rispose. Sua sorella sollevò improvvisamente la testa e incatenò i suoi occhi a quelli della ragazza. Per un attimo Elleboro temette che Passiflora avesse capito e invece
«Non riesco a capire perché tu stia facendo tutto questo, Eilesha. Forse perché sei troppo buona e tendi a vedere del buono in ogni persona, ma sappi che non tutti sono buoni come credi. Loro non lo sono. Hanno ucciso nostro padre senza farsi troppi scrupoli e con lui tante altre Lingue di fuoco, e avrebbero ucciso anche noi se avessero potuto…»
«Ma Arden non è come loro, non è crudele» cercò di spiegare Eilesha.
«Ma è uno di loro e presto o tardi farà quello che hanno fatto altri prima di lui. Stai attenta Eilesha, ti dico solo questo. Che la tua immensa bontà non sia la causa della tua morte» rispose con tono lugubre la sorella prima di rialzarsi e ricomporsi. La maschera di severità e finta spietatezza tornò al suo posto «E ricordati quello che ti ho raccontato. Loro non vedono l’ora di stanarci e di ucciderci come hanno fatto con nostro padre. Stai molto attenta Eilesha. Io cercherò sempre di proteggerti. L’ho promesso» detto questo gettò un ultimo sguardo alla sorella, prima di andarsene, lasciandola sola e sconvolta.
*

Elleboro si precipitò in casa, facendo sussultare Ailea e Arden, e senza rivolgere loro nemmeno uno sguardo corse su per le scale, il volto nascosto dalle mani e dai capelli. Improvvisamente la videro ridiscendere e fermarsi a metà della scala.
«Tu lo sapevi?» domandò rivolgendosi ad Ailea. La donna la guardò sorpresa e incredula
«Tu sapevi che papà era stato ucciso dai Cacciatori?» Arden sussultò. Ailea annuì
«Perché non mi avete mai detto nulla? Io per anni ho sempre creduto che fosse morto di malattia e invece…» la ragazza corse via. 
Elleboro si fiondò in camera sua e si gettò sul letto. Solo allora iniziò a dare davvero sfogo a tutta la sua tristezza e la sua rabbia.
Non riusciva a credere a quello che Passiflora le aveva appena raccontato, non poteva credere che suo padre fosse morto, ucciso dai cacciatori. Non voleva crederlo.
Qualcuno bussò cautamente alla porta. Elleboro alzò il viso e si ritrovò davanti Arden, visibilmente preoccupato. Ailea aveva provato a fermarlo, ma quando il ragazzo aveva visto Elleboro così sconvolta nulla era riuscito a trattenerlo e non aveva esitato a seguire la ragazza.
Elleboro si asciugò le lacrime, ma ben presto altre vennero a sostituirsi.
Vattene via avrebbe voluto dirgli, ma non ebbe il coraggio di cacciare il ragazzo. Benchè fosse un Cacciatore, non era stato lui a uccidere suo padre.
«Io mi sento terribilmente in colpa» mormorò Arden, ancora fermo sulla porta
«Non sei stato tu ad ucciderlo» rispose Elleboro, cercando di frenare il tremore nella voce
«Ma sono stati quelli come me, dei Cacciatori e io mi sento in colpa, come se mi fossi macchiato io di quel delitto…»
«Smettila» lo interruppe la ragazza «Tu non c’entri niente e io non ti sto accusando di nulla»
Lasciami sola, per favore aggiunse mentalmente.
Arden parve capire e se ne andò. Al suo posto subentrarono i draghetti che si precipitarono sulla padrona cercando di consolarla in tutti i modi. Fobos si allungò verso la ragazza e le asciugò una lacrima con la lingua ruvida. Elleboro sorrise debolmente e gli diede un buffetto sulla testa. Tanatos dava dei colpetti sulla mano della ragazza, per ricevere una carezza anche lui ed Elleboro l’accontento.
Quella notte i draghi rimasero a guardia della ragazza addormentata. 
Elleboro, raggomitolata nelle lenzuola, cercava di addormentarsi, ma il suo sonno era inquieto, le sue guance umide e il suo respiro spezzato dai singhiozzi. Arden dalla sua stanza riusciva a percepirli e ne veniva straziato ogni volta che ne sentiva uno. Non riusciva a sopportare l’idea di saperla soffrire così. Anche lui ci era passato e sapeva quanto fosse terribilmente lacerante la perdita di un padre, in un modo così orrido ed efferato per giunta, e per nessun motivo.
Arden si alzò, con somma protesta delle sue braccia e si avvicinò alla camera della ragazza.
Esitò sulla porta, incerto se entrare o meno. In fondo, perché andare da lei? Molto probabilmente le avrebbe dato solo fastidio.
Un nuovo singhiozzo, ed Arden entrò.
Si avvicinò cautamente al letto della ragazza, una creatura piccola e gracile squassata dai singhiozzi e consumata dalle lacrime. Mai come in quel momento le era sembrata fragile, lei che di solito appariva sempre così forte.
Lentamente, con delicatezza, iniziò ad accarezzarle i capelli. La ragazza sussultò e si voltò. Anche Arden sobbalzò, non credeva che la ragazza fosse sveglia. I suoi occhi, lucidi di lacrime, nelle tenebre della stanza parevano bruciare.  
«Cosa ci fai qui?» domandò Elleboro, riconoscendo la figura del ragazzo alla debole e morbida luce della luna che filtrava dalla finestra. Non suonava come un rimprovero, quanto come una domanda sorpresa.
«Non potevo sopportare di sentirti piangere, non senza fare nulla…» rispose Arden imbarazzato.
La ragazza lo fissava incredula. Il ragazzo continuava a tormentarsi le mani, ripetendosi di aver appena commesso l’errore più grande della sua vita. Elleboro sorrise e una lacrima luccicò sul suo zigomo, come una goccia di rugiada.
Arden si precipitò ad asciugarla, gentilmente, sfiorandole appena la guancia. La sua mano indugiò sul volto della ragazza, rimasta impigliata nella morbidezza della pelle. L’accarezzò con il pollice, lentamente, timoroso che la ragazza l’avrebbe cacciato via in malo modo. 
Poi, inaspettatamente, rispondendo ad un impulso improvviso, l’abbracciò. 
Elleboro sussultò, sorpresa, ma dopo un attimo di esitazione si lasciò avvolgere da quelle braccia possenti e si lasciò cullare dal loro calore. Il forte odore dell’unguento le invase le narici e le pizzicò il naso, ma non accennò ad abbandonare quel caldo e morbido abbraccio.
Il viso contro il suo petto, Elleboro tornò a piangere e a singhiozzare, inondando la camicia di Arden di lacrime. Le parole, in quel momento, sembravano  ad Arden terribilmente fuori luogo e di troppo, così si limitò a cullarla tra le braccia, accarezzandole i capelli, senza sapere cosa altro fare per consolarla. 
Elleboro si strinse ancora di più a lui, artigliando la stoffa della camicia. Era una situazione così paradossale e assurda: essere abbracciata a un Cacciatore, al suo peggior nemico. Quelli come lui avevano ucciso suo padre!
La ragazza ebbe un fremito ed un sussulto, Arden, preoccupato, la allontanò da sé quel tanto che bastava per guardarla negli occhi. Le asciugò gentilmente una lacrima rimasta ancorata alla sua guancia. Non osava fare di più o dire qualcosa: in fondo era stato un Cacciatore ad ucciderlo. Si sorprendeva già di poterla stringere così tranquillamente tra le braccia.
Elleboro lentamente riuscì a calmarsi, anche se il suo respiro era ancora spezzato dai singhiozzi e qualche lacrima ancora sfuggiva dalle ciglia.
Arden avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa per farla sentire meglio, ma rimase in silenzio.
Ailea, quando passò davanti alla stanza per andare in camera sua li trovò stretti l’uno all’altra, le braccia di Arden che avvolgevano Elleboro in un abbraccio protettivo e la ragazza che dormiva placidamente adagiata sul petto di lui.  




 
***
Mi rendo conto della mostruosa quantità di tempo che è intercorsa tra un aggiornamento all'altro, ma purtroppo per mancanza di tempo sono riuscita ad aggiornare solo ora, chiedo venia.
Non sono troppo soddisfatta del capitolo, c'è qualcosa che stona ma non riesco a capire cosa, o forse non c'è niente che non va e le mie sono solo pare mentali inutili.
Non posso promettervi niente, ma sappiate che il capitolo successivo è già in cantiere.
Grazie a tutti quelli che nonostante i tempi lunghissimi continuano a seguirmi e a recensire. Grazie a tutti quelli che mi hanno aggiunto tra le prefertie, le seguite e le ricordate e grazie anche a tutti i lettori silenti :)
Ayr

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