L'Albero

di Poetessia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Interludio ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Quando ebbi modo di conoscere Leonardo Scaniglia non vidi l'ombra di ciò che era stato o l'accenno di ciò che è ora e, in tutta onestà, non l'avrei mai saputo riconoscere se non avessi visto alcune vecchie fotografie in precedenza. Lo conobbi in un periodo strano e oscuro, e posso vantarmi di averlo conosciuto a fondo, più di alcuni amici o partner passate o future, poiché tutto ciò che so proviene da lui stesso o dai suoi diari, dove sviscerava le proprie emozioni senza freno alcuno. Nel rivederlo, nonostante il mio lavoro mi imponga un certo distacco, ho provato un bizzarro miscuglio di sensazioni tra tenerezza e fierezza, e sono certa che l'esperienza a lui legata (così balzana finanche per me) rimmarrà scolpita nella mia memoria fino a che la mia anima non sarà libera. Per questo ho deciso di condividerla.
Meglio sbrogliare la matassa dall'inizio.

Leonardo Scaniglia era figlio di genitori piuttosto facoltosi e noti nella sua cittadina: figlio unico, era cresciuto in quella bambagia tipica dei nonni, che, dato che i genitori erano colmissimi di impegni, lo viziavano come un sultano. Nonostante ciò si era dimostrato presto ben educato, maturo e dedito allo studio come allo sport, arrivando ad una maturità scientifica con un ottimo voto e prendendo la decisione di proseguire gli studi matematici iscrivendosi ad ingegnieria aeronautica, impressionato da un volo in deltaplano fatto durante il viaggio di maturità. Lungo la sua carriera universitaria aveva macinato esami con discreta facilità, dedicandosi all'organizzazione di grossi gruppi di studio e alla stesura di riassunti e schemi per facilitare l'apprendimento degli altri: da lì aveva deciso che la sua strada era l'insegnamento.
Laureatosi con lode, aveva dimostrato un impegno tale che a soli venticinque anni possedeva ciò che per molti suoi coetanei era una chimera o un mito del passato: un posto di lavoro fisso, come insegnante di fisica in un'importante scuola di volo.
La vita gli sorrideva su ogni fronte: era circondato da cari amici e non aveva mai dovuto sperimentare sensazioni spiacevoli, se non piccole amarezze dovute alle scaramucce con gli amici o nervosismo causato dalla vita quotidiana; ovviamente era un bel ragazzo.
Ciò di cui però sentiva il bisogno per sentirsi realizzato era possedere una casa di proprietà e, non avendo esigenze particolari e preferendo appartamenti di dimensioni ridotte, non aveva faticato molto a trovare una casa che potesse permettersi e poco distante dal luogo di lavoro, pronto ad iniziare una nuova vita.
Si può certo dire che, se non a partire dal trasloco perlomeno poco dopo, la vita di Leonardo cambiò realmente e in modo violento: per questa ragione, un giorno, Leonardo fece trillare il mio cellulare, pregandomi di accorrere al più presto.

La prima cosa che mi colpì di Leonardo furono gli occhi: rossastri, le iridi di un azzurro spento e slavato, segnati da occhiaie viola scuro tanto profonde che parevano tatuaggi; poi balzò agli occhi la barba mal curata, cresciuta male e a chiazze; infine arrivò alle mie narici una mistura di odori che mi risultavano indecifrabili, ma sgradevoli.
«Sei Barbara?» disse con una voce baritonale e profonda, dandomi immediatamente del "tu": annuii. La prassi, comunque, era non utilizzare forme di cortesia durante i colloqui che facevo lavorando.
«Perfetto, entra. Vuoi qualcosa da bere?» chiese, con una parlantina faticosa e tremolante.
Mi addentrai in casa declinando gentilmente l'offerta: ad accogliermi, vicino ad uno svuotatasche sistemato accanto alla porta, campeggiava una fotografia più grande della media, di un ragazzo sorprendentemente somigliante a Leonardo, col braccio sulla spalla di un uomo dall'aspetto vagamente familiare, forse visto in TV. Iniziai a temere che fosse a causa di quel tale che Leonardo mi avesse contattata: non sarebbe stata la prima volta che mi cercavano per una seduta spiritica.
«È Robert Sheehan.» mi spiegò Leonardo vedendomi incuriosita dalla foto «È in un paio di serie TV che mi piacciono.» Non disse nulla sull'altro ragazzo, quindi annuii, sperando che proseguisse.
«L'ho incontrato in vacanza a Memmingen l'anno scorso. Non so neppure cosa ci facesse in Germania, gli ho giusto rubato un momento per una foto ricordo e un autografo. Ci ha fotografati Michela, la mia ex, di cui ho intenzione di parlarti più tardi.»
Rimasi sorpresa per un momento.
«Ti spiace se la guardo meglio? Perché ho già visto lui, ma non ricordo dove... voglio vedere se la mia memoria funziona ancora.» campai in aria, pur di non far trapelare il mio stupore: lui acconsentì, e io presi il portafoto, senza considerare minimamente l'attore.
Effettivamente, prestandovi attenzione, era piuttosto palese che fosse Leonardo, ma differiva molto dal tale vicino a me: il Leonardo della foto era di bell'aspetto, dal piglio fiero e dagli occhi di un azzurro vivido e brillante, come quello di un lapislazzulo; la barba era curata al millimetro, le occhiaie erano sparite; la pelle era abbronzata e sana.
La fotografia mostrava un giovane uomo. Davanti a me c'era un ragazzo anziano.
«Non sembro neppure io, lì.» disse lui, impassibile «O meglio, non sembro neppure io qui.» si corresse, indicando la propria figura.
«Sarò sincera,» confessai «credevo si trattasse di tuo fratello.»
Rispose con un lieve cenno di diniego con la testa e una vaga ombra di un risolino «Sono figlio unico.»
Interiormente tirai un sospiro di sollievo: non avrei dovuto dire che non potevo metterlo in contatto con i morti.
Leonardo mi invitò a sedermi e io lo esortai a parlare: iniziò subito parlando del proprio passato, dei suoi successi scolastici e sportivi e di quanto la vita fosse stata clemente con lui fino ad allora; ogni tanto però si interrompeva, annusava l'aria come un predatore e mi chiedeva se avessi sentito odori strani, con ansia malcelata, domanda a cui rispondevo sempre con un breve e pacato cenno di diniego. Pur non riuscendo a comprendere il senso della mia presenza, lo ascoltai paziente sopportando le sue pause, fino all'arrivo di una svolta: l'acquisto della casa.
«Ho finito il trasloco e mi sentivo davvero felice, credimi. Solo che poi me ne sono capitate di tutti i colori.»
«Per esempio?» indagai.
«Una decina di giorni dopo il trasloco mi è scoppiato il caricabatterie del cellulare; il giorno dopo il tostapane ha preso fuoco; il giorno dopo ancora si è incendiato dell'olio bollente che avevo in una padella.»
Annuii lentamente, senza però comprendere ancora il senso della mia presenza lì.
«Senti, puoi venire al sodo?» domandai. Leonardo mi fissò con i suoi occhi spenti, intensamente.
«Quanto tempo hai?»
«Non ho altri appuntamenti.» svelai, augurandomi che il consulto con lui non mi portasse via l'intero pomeriggio: lui in risposta mi fece cenno di aspettare, alzandosi e portandomi poi un quaderno con alcuni adesivi colorati che sporgevano da pagine precise.
«Ho iniziato a tenere un diario.» mi svelò «Da quando ho notato che gli incidenti erano aumentati mi sono messo di buona lena a scrivere. Ce n'è stato almeno uno al giorno, ma ho segnato i peggiori, altrimenti faremmo notte.» mi disse. Aprii il primo quaderno, in corrispondenza del segnalibro, e lessi ad alta voce «5 aprile: senza una ragione precisa mi è esploso in mano il cellulare, bruciandomi e rischiando di farmi saltare qualche dito. Ringrazio che non fosse in tasca.»
«Puoi evitare di leggere ad alta voce, per favore? Perché devo sentire bene i rumori.» mi redarguì lui, invitandomi a leggere una delle ultime pagine segnate e consigliandomi di proseguire da lì in poi.
"Rumori?" mi chiesi, tacendo comunque e immergendomi nella lettura:
"24 giugno.
I miei allievi hanno fatto l'esame pratico superandolo tutti: sono davvero fiero di me, e ho deciso di festeggiare degnamente invitandoli a cenare tutti insieme e poi uscire a bere qualcosa in un locale chic: abbiamo optato per una tranquilla pizza a cena, ma poi siamo andati a sfondarci di alcool, finendo per girare tutti abbracciati cantando a squarciagola le canzoni di Battisti fino alle tre.
Mi ha portato a casa Mattia, ma quando sono entrato in casa ero lucido. Comunque ho mangiato una banana, ho preso una pastiglia e bevuto parecchia acqua.
Prima di andare a dormire, però, ho notato un bagliore strano dalla cucina: mi aspettavo il solito incidente, ormai ci sono quasi abituato, anche se mi preoccupano sempre, ma non mi aspettavo di sicuro quello che ho visto: il microonde era acceso, il piatto girava a vuoto e il vano del forno era già pieno di scintille, mentre alcune fiamme avevano già iniziato a farsi strada al di fuori. A pensarci ho ancora i brividi."
Notai effettivamente la grafia farsi sghemba.
"Ormai sono attrezzato e ho tirato fuori lo spegnifuoco, ma la mia mira è stata malferma. Le fiamme si propagavano rapide, e stavano arrivando ai fili della corrente. Non so ancora come ho fatto a bloccarle in tempo, ma dopo questa ho davvero paura. Ho trovato una forza sovrumana da chissà dove, e ho strappato il microonde dai fili e l'ho fracassato a terra, distruggendolo e strappando i cavi elettrici, in preda all'isteria della paura.
Mi sono svegliato credendo di aver fatto un brutto sogno dovuto all'alcool, ma la carcassa del forno mi ha ricordato che era vero. Il mio sangue è ghiaccio."
Benché, per lavoro, fossi abituata a ogni genere di assurda fenomenologia, mi stupii anch'io. Arrivai al segnalibro successivo, il penultimo: la grafia era nervosa, storta e l'inchiostro era sbavato in alcuni punti, come se fossero cadute delle gocce sulla pagina. Iniziai a temere che si trattassero di lacrime.
Sforzandomi di decifrare quella grafia incomprensibile, notai che anche la grammatica non era curata come nella pagina precedente.
"13 luglio.
Ho paura, paura da morire. Paura DI morire.
Da quando ho lasciato Michela mi sono preso troppa pausa, quindi sono andato in un locale infighito per trovarmi una ragazza: ho trovato una bella, coi capelli biondi e gli occhi azzurri, ci ho parlato e stavo bene, mi sembrava proprio a posto, così l'ho portata a casa. Non avevo voglia di scopare subito, così ci ho riso e scherzato. Stavo bene. Tanto che ho scordato l'ansia che vive con me da quando vivo qui.
Ci siamo sparati un film sul PC, poi siamo finiti a letto, e andava tutto bene finché non ho sentito quella sensazione alla nuca che mi prende quando c'è qualcosa di brutto, ma ho provato a non farci caso, e lei mi fa "sento una puzza strana".
Sul divano c'era ancora il portatile che stava sputando fumo nero, la coperta era già incendiata e"
La narrazione si interrompeva bruscamente con uno scarabocchio a fine pagina, realizzato con tanta violenza da aver bucato la pagina. Alzai lo sguardo, incontrando gli occhi spenti di Leonardo.
«C'era tutto lì.» confessò con la voce rotta «Le mie slide, le mie foto con gli studenti, anni di vita. In fumo. Letteralmente in fumo.»
Chiusi il quaderno, mantenendo il solito distacco necessario per me.
«Fammi capire bene.» dissi, cercando di riordinare le idee «Ti sei trasferito qui e nel giro di poco tempo si sono sviluppati una serie di strani fenomeni...»
«Tutti legati al fuoco.» concluse lui, pronunciando l'ultima parola in un soffio, spalancando gli occhi «Nell'ultima pagina ho scritto che ho notato che succede tutto quando sono a casa, e tanto più sono felice, tanto più è atroce l'incidente. Ho paura, Barbara. Un fornello acceso, un accendino, addirittura un odore strano o un rumore che sembri un crepitio, mi distrugge. Ho paura del fuoco. E di essere felice.» concluse «Non è assurdo temere di essere felici?» chiese infine, piangendo. Lo fissai, mantenendo l'obbligatorio distacco.
«Cosa posso fare per te?» chiesi, il più dolcemente possibile. Lui si asciugò le lacrime, sospirando e tentando di ritrovare una voce ferma.
«Tu sei un'esperta dell'occulto, giusto?»
Annuii calma: «Credi che la casa sia maledetta? Che so, da uno spirito?»
«No.» mi spiegò lui, con foga ma educatamente «Michela, la mia ex di cui ti dicevo prima, era appassionata di wicca, magia e tutte quelle cose lì. Ho sempre creduto fossero tutte stronzate, ma gli incidenti così strettamente legati alla mia felicità non possono essere un caso. E quando ho portato qui un'altra ha preso fuoco il mio bene più prezioso, soprattutto a livello affettivo, e Michela lo sapeva.»
Risposi con piccoli cenni, incoraggiandolo a proseguire.
«L'ho lasciata io.» mi spiegò «E lei l'ha presa male, malissimo. Mi ha pregato, ma quando ha visto che non cedevo mi ha picchiato, ma le botte non hanno di nuovo risolto niente. Così credo di essere stato maledetto.» mi disse infine, come se non credesse neppure lui a ciò che stava dicendo «Credimi, mi sembra assurdo.» confessò infatti «Io sono un ingegniere, non sono tipo da credere al malocchio, ma non so davvero come interpretare tutto questo. Cosa devo fare?» mi chiese, con tono di supplica.
Contrariamente alla mia etica, gli presi una mano, cercando di infondergli forza.
«Trovala.» dissi senza mezzi termini «E dimmi com'è stato il suo atteggiamento. Le maledizioni lanciate quando si è arrabbiati generalmente, se si realizzano, durano poco e quasi non si notano, ma una cosa così...»
Lasciai la frase in sospeso, lasciandogli intuire cosa intendessi. Lui mi fissò intensamente, una luce lontana che iniziava a rischiarare i suoi occhi.
«Ti farò sapere.» promise, abbozzando l'ombra di un sorriso speranzoso.

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Capitolo 2
*** Interludio ***


19 Luglio.

Ho rivisto Michela.
Le ho scritto appena Barbara è uscita di casa, proponendole di vederci per chiarire ciò che era rimasto in sospeso quando ci siamo lasciati: dai messaggi mi sembrava un po' sospettosa, ma ha comunque accettato di vedermi. Le ho proposto un bar anonimo, mai considerato, in modo che non si facesse strane idee vedendomi in qualche luogo importante per la nostra storia.
Ho cercato di rendermi perlomeno presentabile prima di partire, e arrivato davanti al bar, rivedendola, mi è sembrata bellissima: sebbene non provi più nulla ormai per lei, non ho potuto fare a meno di notare che emanava una sorta di aura. Era sicura di sé, di buon umore, come illuminata.
Mi ha salutato sorridendo, senza però osare avvicinarsi troppo a me e invitandomi ad entrare nel locale: appena seduti, però, non è andata per il sottile.
«Scusa, ma come mai hai voluto vedermi?»
Avevo sempre malsopportato la sua totale mancanza di tatto.
«Be'...»
Non sapevo come introdurre il discorso.
«Terra chiama Leonardo, Terra chiama Leonardo, mi riceve?» ha insistito, ridendo, facendomi sbuffare seccato.
«Senti...» ha poi continuato, tornando seria «Se dobbiamo parlare del passato e di tutte le liti che ci sono state quando ci siamo lasciati io te lo dico onestamente, me ne vado.»
«Perché?»
Lei ha tuffato la testa indietro, ridendo.
«Perché non ha senso rivangare il passato, litigare su chi aveva ragione, perché aveva ragione e tutte queste menate... è passato del tempo, io ho sbagliato, tu hai sbagliato. Pace.»
Sono rimasto stupito per un momento: orgogliosa com'era lei era parecchio strano sentirla dire "ho sbagliato".
«Ascolta, possiamo uscire?» le ho chiesto all'improvviso «Vorrei parlartene in un luogo più... tranquillo.»
Mi ha fissato sospettosa.
«Cosa intendi per tranquillo? Qui c'è silenzio...»
«Appunto!» l'ho interrotta «Va bene anche fare due passi, ma usciamo. Capirai presto, fidati.»
Nonostante fosse palesemente stranita, mi ha seguito, scusandosi brevemente col cameriere che stava arrivando a chiederci se volessimo ordinare qualcosa: varcata la soglia non si è fatta attendere la sua consueta invadenza.
«Mi spieghi che succede?»
Non mi ha dato tempo di aprire bocca: «Ci siamo lasciati quattro mesi fa e, dopo tutto 'sto tempo in cui sei stato ben zitto, sei ricomparso con due occhiaie viola, parlando con un vocino tremulo e comportandoti in modo strano... scusa, ma vorrei spiegazioni!»
Ho sospirato, ho preso fiato e le ho sputato addosso tutti i miei dubbi e timori, sentendomi un coglione: quell'ultima sensazione, poi, si è acuita nonappena ho finito di parlare e l'ho vista scoppiare a ridere, cristallina e senza ombra di beffa.
«Michela, è una cosa seria!»
Senza smettere di sorridere, mi ha guardato «Non lo metto in dubbio, sei strano, te l'ho detto. Però cerca di capirmi: mi hai sempre detto che la wicca era una stupidaggine e mi hai sempre criticata...»
«MICHELA, CRISTO, BASTA!»
Mi aspettavo il suo solito schiaffo, ma ho ricevuto un sospiro profondo.
«D'accordo. Facciamo mente locale.»
L'ho guardata un momento, stupito.
«Da quando ci siamo lasciati o poco dopo, a casa tua sono successi un sacco di incidenti, tutti legati al fuoco, e tu hai paura che sia a causa mia. Ci sono?»
«Sì.»
Lei si è seduta su una panca, invitandomi a sedermi vicino a lei e guardandomi tranquilla.
«Innanzitutto nella wicca c'è un precetto ben preciso: se fai una cosa, ti tornerà indietro tre volte. Se io avessi maledetto casa tua quattro mesi fa, probabilmente a quest'ora casa mia dovrebbe essere rasa al suolo, ti pare?»
Mi sembrava sensato. Ancora adesso, a scriverlo, mi sembra un discorso intelligente.
«Poi... io non sono una strega. Praticare la wicca non significa avere poteri sovrannaturali. E terzo... onestamente non sono tipo da maledizioni e da vendette fredde, dovresti saperlo. L'unica cosa che ho pensato di fare è stato di scrivere "stronzo" con una chiave sul cofano della tua macchina, ma non avevo voglia di beccarmi delle beghe legali...»
«Quindi...» l'ho interrotta «Non è colpa tua?» ho chiesto conferma.
«No.» ha confermato lei, senza ombra di esasperazione «Ti assicuro che non c'entro niente. Comunque arrivata a casa pregherò il Dio e la Dea per te e magari farò qualche rito per scongiurare le maledizioni. Vuoi venire a vedere?»
Ci ho pensato un momento, ma ho preferito evitare: non avevo mai assistito alle sue celebrazioni della wicca quando eravamo insieme, non avrei certo iniziato allora cementando una relazione morta.
«Guarda che a Giorgio non dai fastidio.» mi ha risposto sorridendo bonaria.
«Giorgio? E chi è Giorgio?»
Lei ha risposto ridendo.
«Il mio ragazzo, no?»
«Il tuo ragazzo?»
La sua risata si è fatta sguaiata, né forzata e né beffarda.
«O Leo, ma che sei, geloso?»
Mi sono affrettato a dire no, facendola ridere ancora di più.
«Credevi che sarei stata a leccarmi le ferite per tutta la vita? Sei così pieno di te, mamma mia...»
Si è fatta seria d'improvviso.
«Non è che ti sono venute delle strane manie?»
«Manie?»
«Parliamoci chiaro: sei sempre stato vanitoso, sicuro di te, fino a diventare irritante. Adesso credi che io mi sia persa a lanciare una maledizione di entità devastante perché ci siamo lasciati, e non riesci a capire come sia possibile che mi sia rifatta una vita, dopo avermi detto di non aver mai provato sentimenti genuini verso di me... non è che stai impazzendo?»
Come cazzo si permetteva?
L'ho fissata, ma non ho visto uno sguardo beffardo.
Era apprensiva.
«È fuori discussione.» l'ho liquidata «Ora, se non ti dispiace, me ne andrei.»
Lei non ha smesso di guardarmi con apprensione e un'ombra di tenerezza.
«D'accordo. Riguardati.»
Mi ha baciato la guancia, andandosene senza proferire altro verbo per un po'. Vedendomi fermo sulla panchina, dopo qualche passo, si è girata.
«Comunque se vuoi possiamo vederci. Mi mancano le nottate davanti ai film!»
Non sono riuscito a parlare: ho sorriso, annuendo appena.

***

«Non c'è altro?» chiesi, concludendo la lettura.
«Mi sono scusato dicendole che sono stressato. Lei mi ha detto di non preoccuparmi e che aveva fatto uno dei suoi riti, augurandomi ogni bene.»
Lo guardai, senza vedere cambiamenti di alcun tipo: la voce continuava a tremare come le mani che stringevano una tazza di camomilla, gli occhi erano ancora spenti e il colorito aveva un brutto colorito grigiastro.
«E?» mi informai, ricevendo un gesto verso la cappa della cucina, annerita.
«E la sera mi si è incendiato dell'olio.»
Abbassai lo sguardo.
«Cosa mi consigli di fare?»
Tornai a posare i miei occhi su di lui, conscia della mia pessima figura.
«Sarò sincera.» confessai «In questa casa non ho avvertito presenze maligne, e ho subito pensato che la colpa fosse di terzi: nonappena mi hai parlato della tua storia ho dato per scontato che fosse a causa della tua ex. Ma se davvero era così disponibile, se davvero ha fatto riti per scacciare via la maledizione o quello che è e se gli incidenti non sono diminuiti... non so cosa consigliarti.» conclusi con un sospiro.
Lui mi fissò con gli occhi spalancati.
«Quindi?»
«Io posso solo depurare questa casa. È la sola cosa che mi viene in mente.» dissi, tirando fuori del sale e, senza aspettare un suo consenso, spargendolo lungo la casa, dandogli istruzioni precise. Lui mi rispose con uno sguardo indecifrabile.
«Credi che funzionerà?»
«Non lo so.» confidai, rimettendo a posto la borsa e dirigendomi verso la porta di casa mentre lui si avvicinava con il portafogli.
«Non voglio onorario.» gli dissi, allontanando gentilmente la sua mano e incatenando i miei occhi ai suoi.
«Be'... comunque vada, grazie.» mi congedò, sincero. Rimasi un momento a pensare se abbracciarlo o no, poi, poco prima di uscire di casa, gli posai una mano sulla spalla.
«Buona vita, Leonardo.»

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Capitolo 3
*** Epilogo ***


Non rividi più Scaniglia per almeno un anno.
Nonostante ogni tanto ripensassi a quell'esperienza che mi aveva tanto toccata (forse perché non ero stata capace di comprenderla a pieno), dopo qualche tempo la memoria iniziò a sbiadire il ricordo, imprimendolo nella mia mente come si imprimono i film che hai amato: era un ricordo carico di sentimento ma distante, come se non l'avessi realmente vissuto.
Quando lo rividi ero sulla pensilina dell'autobus, annoiata dall'incombente scadere dell'estate. Non feci quasi caso a quel ragazzo dall'aria vagamente conosciuta che mi fissava incuriosito, fino ad azzardare un timido saluto.
«Barbara!» mi chiamò, più sicuro e sorridente: guardandolo meglio, finalmente lo riconobbi. «Leonardo!»
Il ragazzo che avevo visto in fotografia era ricomparso, se possibile ancora più bello: lo sguardo era sereno, sicuro e felice; le occhiaie erano sparite completamente; la pelle aveva un colorito scuro e sano; un pizzetto curato e dei folti baffi gli incorniciavano le labbra; sembrava, inoltre, più muscoloso e forte.
Mi strinse in un abbraccio vigoroso, esibendo un sorriso candido e felice «Come stai?»
Non riuscii a tenere a freno la mia curiosità: «Come stai tu, piuttosto!»
Lui sorrise: «Sto bene. Vuoi che ti aggiorni sulle ultime novità?»
«Certo!» lo esortai, sperando di non vedere il suo sorriso spegnersi. Ma quello rimase lì.
«Gli incidenti non sono finiti.» svelò «Così ho preso una decisione: ho impacchettato quelle due o tre cose che mi erano rimaste integre e sono tornato dai miei. La casa l'ha affittata una coppietta, e non hanno mai avuto da ridire: forse quella casa odia i single, va' a sapere.»
«In effetti...» pensai, senza però indagare ulteriormente.
«Poi però continuavo ad essere in ansia a ogni rumore, odore o che so io. Così ho iniziato a farmi curare da uno psicologo, e credimi, è stato formidabile. Ora sono tranquillo.»
Sorrisi felice: «E ora?»
«Ho mollato il mio posto alla scuola di volo. Sentivo che quest'esperienza doveva significare qualcosa di importante.»
Lo fissai stupita: «Non insegni più?»
Lui fece un cenno di diniego «Tutto quello che mi legava ai miei allievi è andato distrutto dal fuoco, e te l'ho detto, mi è sembrato un segno del destino.»
Ero sbalordita: «Quindi?»
Lui sorrise, indicandomi uno stemmino che non avevo notato sulla maglietta: «Piloto i canadair. Ora scusami, ma devo proprio andare: questa stagione è un vero inferno!» mi spiegò, stringendomi in un altro abbraccio e augurandomi "buona vita", come avevo fatto con lui.
Lo guardai allontanarsi, colma da una particolare sensazione di pienezza.
Canadair. Leonardo era un vigile del fuoco.
Sorrisi al cielo, divertita dall'ironia della vita.

Ancora oggi, a distanza di anni da quell'episodio, ogni volta che sento un rotore di elicottero sopra la mia testa, mi ritrovo a pensare a Leonardo. Qualche volta, se lo vedo passare, gli faccio "ciao" con la mano.

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