L'angelo della notte - Cap 1
L’angelo
della notte…
Prefazione.
Soltanto la
processione senza fine dei giorni, dei mesi, degli anni.
Il mio
maestro mi ha
lasciato solo ad imparare la lezione più dolente,
che alla
fine siamo
soli, e non c'è nient'altro,
solo la
fredda, buia
e desolata eternità...
Erano i miei nemici…
Sapevo che un giorno avrei dovuto
prendere delle scelte
definitive…
E mi aspettavano giorni terribili, in
cui il senso di colpa,
il dolore, lo schifo che provavo per me stesso mi avrebbero
attanagliato…
Avrei sempre dovuto scegliere tra
quegli occhi verdi intensi
come uno smeraldo, ma profondamente buoni e tristi e quelle iride nere
come la
notte, attraenti e crudeli come una lama che affonda sempre di
più tra le carni
lacerate…
Dentro mi sentivo morire, dentro
sentivo il peso delle mie
scelte e delle mie responsabilità..
Solo di una cosa ero
consapevole…che prima o poi, avrei
dovuto ucciderli entrambi…
Capitolo
uno.
Una stranissima
sensazione svegliarsi la mattina e avere
l’impressione che durante la notte, una mano estranea ha
toccato il tuo viso,
lasciando una strana sensazione sulla guancia. Una sensazione di
freddo, di
vuoto, di eternità che non avevo mai sentito prima
d’ora. Sono…turbato, senza
ombra di dubbio. Cerco di sollevarmi dal letto, facendo leva sulle
braccia e mi
tocco quella cascata di capelli riccioli che spesso mi inondano la
fronte
facendomi impazzire e cerco di razionalizzare.
Mi alzo dal
letto, come un automa, gesti meccanici, sempre
gli stessi. Raggiungo la finestra al piano superiore della mia villetta
e
guardo fuori. Quel lago immenso che sovrasta ogni cosa, di quel colore
verde
azzurro quasi accecante.
Intorno al Lago
di Manitoba, nascono le leggende più
inquietanti, più assurde che avessi mai potuto immaginare.
Fino a quel momento,
non avevo mai dato peso alle chiacchiere della mia famiglia, dei miei
nonni. Ma
da qualche tempo a questa parte, avevo cominciato ad avere delle strane
sensazioni, delle strane percezioni. Come questa notte…avevo
avuto
l’impressione che una mano mi avesse toccato, realmente..
Guardai attorno, in
cerca di qualche prova tangibile a quello che avevo percepito, ma
nulla. Nella
notte era piovuto e non un segno era rimasto impresso nel terreno
perfetto.
Non troppo
lontano da qui, nasce la piccola cittadina di
Amandil, dotata di tutto il necessario per poter vivere tranquillamente
una
vita serena ed appagata. Conosco tutti qui, ci sono nato e cresciuto,
la mia
famiglia era rispettata e benvoluta in questa zona sperduta del Canada.
Ma
Amandil, nonostante fosse incontaminata e sperduta nella natura,
sembrava avere
segreti inconfessabili, avvenimenti che nessuno avrebbe mai potuto
immaginare.
Il mio nome
è Tobias, Tobias Cohen, vivo da solo da quando la
mia famiglia, a poco a poco, si è spenta come un fiammifero
lasciandomi quella
casa come unico appoggio e sostentamento. Ho visto morire tutte le
persone a me
care, l’una dopo l’altra, per ultimi i miei adorati
nonni che mi hanno sempre
amato e cresciuto come il loro figlio. Nonostante la morte dei miei
genitori, quando
ancora ero molto piccolo, non potevo dire di essere stato infelice, i
miei
nonni paterni mi avevano dato tutto l’amore e
l’affetto di cui erano stati
capaci ed io, ero cresciuto forte e per quanto possibile sereno. Poi un
anno
fa, Meredith e Carlos si erano spenti anche loro, lasciandomi nel vuoto
più
assoluto. Adesso, non avevo più nessuno a cui appoggiarmi.
Mi chiedevo
spesso perché i membri della mia famiglia,
fossero morti così, l‘uno dopo l’altro
nel susseguirsi di eventi che sembravano
alquanto poco chiari. Non avevo idea di cosa fosse accaduto realmente,
ma una
parte di me, sentiva che tutto era fuori posto, che gli avvenimenti
accaduti
avessero una chiave di lettura diversa. Perché i miei nonni
mi avevano istruito
alle leggende che popolavano Amandil!?
Sorrisi
lasciando che una parte della mia bocca si sollevasse
in un ghigno divertito. Appoggiai le mani al davanzale e scrollai il
capo con
decisione mentre mi ripetevo che ero pazzo, stavo diventando enigmatico
e
criptico almeno quanto Carlos.
Abbandonai la
finestra, cercando di riacquistare quella
lucidità che finivo per perdere ogni volta che ripensavo al
passato e scesi al
piano inferiore agilmente, mentre con un gesto veloce accendevo la
radio,
sintonizzata sul mio canale preferito. Quella casa un tempo piena di
voci, di
allegria, sembrava un lontano ricordo, eppure, nonostante tutto, mi
sembrava di
percepire la presenza della mia numerosa famiglia accanto a me, come se
la loro
anima fosse ancora lì a seguirmi e a sostenermi.
Certamente la
mia vita, si era complicata molto. Avevo perso
un anno di scuola con la morte dei nonni, avevo dovuto trovare un
lavoro che mi
permettesse di mantenermi alle esigenze della vita e le nuove
difficoltà sorte,
mi avevano destabilizzato per molti mesi. Adesso, cominciavo a stare
meglio, ma
sapevo che avrei dovuto rinunciare a molte cose, non per ultimo alla
possibilità di frequentare l’università
che era esageratamente costosa per le
mie esili condizioni economiche.
Sono le sette
del mattino, fuori dalla vetrata che si apre
sul lago di Manitoba, sta sorgendo il sole, con quel colore rosso
chiaro che mi
illumina la casa di un calore che non si sentiva più da mesi
ormai. Il sole,
per troppi mesi aveva ceduto il posto alla nebbia e alla neve, facendo
diventare
il lago un incontrastato lastrone di ghiaccio scintillante. Per quanto
fossi
fuori dal mondo, non potevo certo dire che quel posto non mi offrisse
nulla,
amavo la natura, gli animali e svegliarmi la mattina con un paesaggio
nuovo
ogni volta, mi faceva sentire bene. Avevo aspettato per molto tempo il
sole ed
adesso, si stava riflettendo sulle acque ancora fredde e mezze
ghiacciate di
quella immensa conca d’acqua.
Preparai
velocemente la colazione, anche mangiare era
diventato un lusso, presi la prima pentola che mi capitò
sotto mano e feci
cuocere due uova strapazzandole. Oggi era una giornata infernale, avevo
bisogno
di energia. La scuola era l’unico momento in cui potevo
riposarmi un pò, ma
successivamente avevo il turno lungo al pub e avrei finito stasera
tardi.
Lavorare al pub,
mi faceva guadagnare bene, Justin mi pagava in
modo corretto le ore che facevo, inoltre mi diceva che attiravo le
donne al
locale e questo lo rendeva soddisfatto. Per quanto mi riguardava,
odiavo essere
l’esemplare da osservare e tutti quei volti girati mente
passavo di lì, mi
creavano solo un gran disagio. Ma dovevo lavorare, era necessario,
quindi
potevo passare sopra a certe cose.
Come al solito
mi sedetti sul piano cottura, presi un piatto
e versai la poltiglia di uova. Notai un pezzo di pane che sicuramente
avevo
dimenticato la sera prima e lo morsicai voracemente.
La casa era piacevolmente tiepida, anche se
ero in maglietta e boxer non sentivo freddo, mi ero accomodato sul
piano cottura,
accanto la finestra e con tranquillità guardavo nascere quel
nuovo giorno.
Lascia per un
istante vagare la mia mente, poi tornai con i
piedi per terra e notai che il tempo passava sempre troppo velocemente.
Posai
il piatto nella lavastoviglie. La richiusi e mi affrettai a salire di
sopra
dove una doccia bollente mi stava aspettando. Raccolsi tutta la
biancheria che
mi serviva e quella da lavare, poi andai in bagno mentre lasciai
scorrere
l’acqua in modo che si scaldasse. Quando voltai il viso,
notai che il dopo
barba che preferivo, era posato sul lavabo. Mi avvicinai lentamente,
era da due
giorni che non facevo la barba.. Ed ero certo che lo avevo rimesso al
suo posto
due giorni fa..
Sollevai il viso
al cielo e cercai di ricordare meglio, ma
ero troppo confuso per esserne certo. Alla fine, aggrottando le
sopracciglia,
rimisi al suo posto sulla mensolina la boccettina e cominciai
lentamente a
spogliarmi.
Cominciavo a non
spiegarmi troppe cose qui ad Amandil.
Decisi di non
farmi domande più del dovuto, sapevo che se avessi
convinto la parte più impulsiva di me, avrei finito con
entrare in una spirale
che volevo evitare. Troppi misteri si agitavano tra le pieghe di quella
apparente tranquilla cittadina e conoscendomi avrei finito col
cacciarmi nei
guai. Avevo per anni lasciato tacere la mia voglia di sapere, la mia
curiosità
su argomenti che i miei nonni non amavano affrontare chiedendomi
apertamente di
non farmi venire strane idee in testa. Non dovevo farlo adesso, ora che
la mia
via era già abbastanza complessa.
Mi lavai in
fretta, mentre pensavo a quello che avrei
affrontato in questa nuova settimana che iniziava. Per quanto amassi
Amandil,
mi rendevo conto che la mia vita, non era come quella di un normale
ragazzo
della mia età. Avevo diciannove anni, frequentavo scuola,
lavoravo per mantenermi,
uscivo raramente con gli amici, dovevo conservare una casa che a momenti mi sembrava
crollare in testa.
Persi la
cognizione del tempo mentre feci meccanicamente
tutti i gesti consecutivi al lavarmi. Mi asciugai, mi vestii
velocemente e
presa la borsa con i libri, mi precipitai al di fuori
dell’abitazione,
chiudendo l’uscio a chiave. Mi ritrovai fuori di casa alle
prese con la ma jeep
wrangler nera, che di prima mattina proprio non ne voleva sapere di
partire
senza scaldarsi un pò prima, peccato che non ero nelle
condizioni di
permettergli questo lusso oggi.
Subito feci una
leggera retromarcia, poi a poco a poco
superai lo sterrato, per arrivare sulla strada vera e propria. Sarei
arrivato
presto alla piccola cittadina di Amandil, tutta costruita in legno e
dall’aspetto antico, affascinante, quanto misterioso e cupo
per certi aspetti.
Nella nostra
comunità vivevano anche una minoranza di Cheyenne,
gli indiani nativi del Canada del nord, si erano inseriti perfettamente
nella
città, ormai da molti secoli, tanto che le nostre tradizioni
si erano spesso
confuse e mescolate con le loro pratiche. Si viveva in una strana e
alquanto
surreale armonia, non per niente uno dei miei più cari amici
faceva parte della
tribù indiana. Cheveyo, era uno dei miei più cari
amici, ero cresciuto insieme
a lui. Mio padre e suo padre, erano sempre stati molto uniti. Adahy, il
padre
di Cheveyo, mi considerava come un figlio e spesso insieme a sua moglie
Yepa,
mi ospitavano a casa loro per non lasciarmi troppo solo.
Faceva parte
delle mie amicizie più strette anche Marc
Mellory. I Mellory, erano molto influenti ad Amandil, infatti erano una
delle
famiglie più ricche di tutta la cittadina. Il padre di Marc
era il proprietario
della banca di città, ma lui, sembrava disprezzare quel
mondo pieno di
situazioni comode e facili. Parlavamo spesso insieme delle nostre vite
e per
quanto ne fossi stupito, Marc sembrava dannatamente attratto dalla mia
vita e a
quella di Cheveyo, seppure la nostra esistenza non avesse nulla di
eccitante.
Ogni cosa che facevamo era ottenuta con il sudore della nostra fatica,
con il
rimboccarsi delle maniche anche per avere un pezzo di pane in
più. Forse era
proprio questa voglia di cavarsela da soli, che rendeva la nostra vita
così
interessante agli occhi del nostro amico.
Quando imboccai
la strada per entrare nel centro della
cittadina, cominciai a sorridere per la buffa vita che quella gente
conduceva,
passata soprattutto a litigare per le cose più stupide.
Appena entrato in
città, già potevo notare la Signora Stuart
litigare col fornaio, perché alla
notte faceva troppo rumore. Oppure il Signor White inveire contro il
cane del
fruttivendolo perché aveva il vizio di appollaiarsi sul suo
porticato e
abbaiare tutto il giorno. Amandil era questo, una cittadina come tante
altre,
in cui le vecchiette ti osservano passare ed immediatamente la loro
curiosità e
il loro chiacchiericcio si concentrano su di te. Sanno tutto della tua
vita, di
quello che sei e vogliono anche avere la pretesa di sapere quello che
sarai.
Sorrido, mentre oltrepassando quelle vie conosciute a memoria,
riconosco
l’edificio grigio dove ho passato la maggior parte dei miei
giorni in questi
ultimi cinque anni. La Saint Andrew è l’unica
scuola superiore della nostra
città, nonostante questo funziona piuttosto bene. Gli
insegnanti amano fare il
loro lavoro e cercano di invogliarci come possono.
Posteggio al
solito posto, vicino al vecchio furgoncino di
Cheveyo che appena mi vede, mi corre incontro aspettando che scenda
dall’auto.
-Ehi…ciao
fratello..- mi dice Cheveyo raggiungendomi.. –Ti
trovo bene…-
-Anche tu sei in
forma oggi…- gli dico picchiandogli un pugno
sul petto… -Allora!?-
-Cerco un
pò di quiete..- mi dice sbuffando sonoramente..
–Non ne posso più…-
-Perché!?-
gli chiedo preoccupandomi.. –Di nuovo problemi con
i tuoi!?-
-Gli spiriti si
stanno agitando…- mi dice grave… -Gli anziani
dicono che sta arrivando qualcosa che non è per niente
buono…-
-Che vuol
dire!?- gli chiedo sorridendo…
-Quando gli
spiriti si agitano, significa che sta arrivando
un cambiamento…- mi dice Cheveyo grave… -Non solo
per noi…per tutti…-
-Puoi spiegarmi
per favore!?- gli chiedo con un sorriso
enigmatico.. –Non capisco…-
-Non so che
dirti di più…- mi spiega lui evasivo..
–Purtroppo
non ci è permesso sapere tutto, ai capi clan viene
raccontato ogni cosa, ma non
a noi ragazzi… Dicono che siamo pericolosi
e…pettegoli…-
-Su questo non
ci piove…- gli dico ridendo.. –La prima cosa
che hai fatto è stato spifferarlo a me infatti…-
-Smettila
Toby…l’ho fatto perché mi
fido…- dice lui rimproverandomi..
–Ma qualcosa di grosso sta succedendo.. E non sono per niente
tranquillo…-
-Ok…scusami…-
gli dico diventando serio.. –Sono stato
insensibile.. senti Cheve, quante volte gli spiriti si sono sbagliati!?
Potrebbe essere così anche questa volta…-
-Questa volta
è diverso Toby…- mi dice lui puntando i suoi
occhi dentro ai miei.. –è diverso…lo
sento anche io qualcosa nell’aria di
diverso… Qualcosa che non ho mai percepito fino ad
ora…-
Cosa potevo
dirgli!? Che questa notte anche io avevo percepito
qualcosa di strano in casa mia?!
Quello era stato
sicuramente un caso, frutto della mia
immaginazione, ma era un dato di fatto che a volte ad Amandil erano
accadute
cose che non potevano avere spiegazioni del tutto razionali. La morte
dei miei
parenti ad esempio…sembrava sempre avvolta da un ombra, da
qualcosa di
misterioso che nel tempo forse mi era sempre stata nascosta.
-Cheve…Amandil
è sempre stata misteriosa..- gli rispondo io..
–Se fossi in te non mi lascerei coinvolgere
troppo…-
-Toby…tu
non hai mai dubbi su quello che ti circonda…!?- mi
chiede perforandomi con lo sguardo…
-Ho sempre avuto
migliaia di domande a cui non avevo
risposta..- gli rispondo evasivo.. –Ma se cercassi la
verità, forse finirei per
mettermi nei guai e la mia vita è già un casino
così…-
-Arriva
Marc…- mi dice Cheve inclinando il capo e terminando
quel discorso all’improvviso..
Marc era un
burlone, la vita non gli aveva mai fatto mancare
nulla e la sua vita tranquilla e negli agi, aveva contribuito a
renderlo un
ragazzo estremamente solare e incline ai divertimenti, sempre e
comunque.
-Ho clamorose
novità…- disse sorridendo a
abbracciandoci…
-Immagino..-
disse Cheve alzando gli occhi al cielo..
-Questa volta
è veramente una novità..- disse lui staccandosi
da noi e parandosi davanti con la sua esile figura.. –Abbiamo
visite in città…-
-Che tipo di
visite..!?- gli chiedo alzando un sopracciglio…
-A quanto pare
uno nuovo…- dice lui appoggiandosi alla
macchina e accendendosi una sigaretta..
-Un nuovo
studente!?- chiede Cheve non curante…
-Esatto…e
a quanto pare, sembra essere proprio nella nostra
classe…- dice Marc soddisfatto delle novità di
cui si fa portavoce…
-Come sai tutte
queste cose!?- gli chiedo con un ghigno…
-Le so da quando
ho scoperto che le nonne me le devo fare
amiche e non nemiche, rubandogli le uova dai pollai…- ride
lui tranquillo..
Lentamente ci
avviammo verso l’entrata, la campanella stava
suonando e trascinai Cheve e Marc con me. Pensavo a questo nuovo
arrivato, mi
sembrava strano che qualcuno arrivasse proprio nel bel mezzo di un anno
scolastico gia avviato da mesi, ma abbozzai e finì per
assecondare Marc che
continuava a parlare del suo nuovo feeling con le nonne di Amandil.
Marc rispetto a
me e Cheve era un ragazzo esile, con capelli
castani uguali agli occhi, piccoli e furbi. I suoi capelli sempre con
una
piccola cresta e ingellati, lo rendevano simile ai bulli di
città, sempre
perfetti e con i vestiti delle firme migliori. Ma nonostante questa
parvenza,
sicuramente di bel aspetto, Marc era altro, altro che però
conoscevamo solo io
e Cheve, i suoi migliori e unici amici. Spesso gli occhi di Marc
sembravano
quelli di un gatto, quasi indifeso, ma lui non era affatto innocente e
casto.
Amava divertirsi, spesso senza rendersi conto che nella sua voglia di
evasione,
finiva per ferire o danneggiare gli altri. Era un ragazzo un
pò superficiale ,
ma era comunque buono con chi amava molto. Poco incline alle
responsabilità
forse, probabilmente solo per ripicca a suo padre che lo aveva
cresciuto con un
fardello di decisioni già prese per lui e per nome suo.
Cheve invece era un
ragazzo estremamente responsabile nonostante la sua età,
probabilmente Marc non
aveva combinato molti casini, perché la nostra influenza era
sempre stata
troppo potente. Avevamo un buon ascendente su di lui e non era un caso
che i
pasticci li combinava solo quando non eravamo insieme.
Cheve era
fisicamente il più possente, anche se la mia
struttura corporea si avvicinava alla sua più che a quella
minuta di Marc. Era
alto, robusto con dei muscoli evidentissimi e sporgenti. I suoi occhi
erano
grandi e neri come la pece esattamente come i suoi capelli. Aveva un
sorriso
coinvolgente, era un gigante buono Cheve, per me era come un fratello.
Quando entrammo
in aula, notai che le ragazze erano in
fermento. Secondo le voci il nuovo arrivato doveva essere un bellissimo
ragazzo.
-Ehi
amico…- mi disse Marc sorridendo… -Da quanto ho
capito,
sembrerebbe che il novellino sia qui per stroncarti il primato di
ragazzo più
corteggiato di Amandil…-
-Era
ora…- dissi io ridendo.. –ero stanco di mietere
vittime…-
-Smettila di
fare il sarcastico Toby…- mi dice lui sedendosi
sul mio banco… -Se io fossi stato al tuo posto mi sarei dato
seriamente da
fare…-
-Marc…per
fare come tutti voi dovrei essere esattamente come
voi…- dico con tatto… -Peccato che ogni volta che
mangio devo stare attento al
portafoglio e il più delle volte, è tanto se
riesco a comprarmi un paio di
pantaloni in più per non andare in mutande!!!-
-Credo che per
le ragazze non sarebbe un problema vederti in
mutande…- disse lui sorridendo malizioso…
-Sei un
cretino…- dico ridendo, mentre vedo Desi osservarmi
con ostinazione…
Desi
è stata la mia prima ragazza. Era dolcissima,
bellissima, ma….io non potevo dargli assolutamente nulla di
quello che lei
desiderava. Le ragazze della sua età amavano passare la
giornata con il loro
ragazzo, andare in vacanza con il loro ragazzo, magari fare gite fuori
Amandil
che io purtroppo non potevo permettermi. Stare con lei voleva dire
chiedergli
di rinunciare a tutto e non potevo permetterlo. Il fatto che la mia
vita fosse
caratterizzata da una rinuncia dopo l’altra, non voleva dire
che il mio stato
fungesse da condizionamento per gli altri. Le sorrisi debolmente mentre
con il mio
atteggiamento cercavo il modo migliore per non illuderla o ferirla. Lei
mi
piaceva davvero, ero stato davvero bene in quel periodo, quando lei mi
stava
vicino. Ma non poteva funzionare, forse
perché…non mi ero innamorato o forse
perché ultimamente ero troppo concentrato su di me, sul come
sopravvivere per
pensare ad altro.
-Mmm…-
mi dice Cheve avvicinandosi al mio orecchio da
dietro…. –Hai spezzato il cuore alla piccola
Desi…-
-Mi spiace...lo
sai…- gli dico voltandomi indietro mentre
scrollo la testa in segno di diniego.. –Sai perché
l’ho fatto..-
Lui mi osserva
con serietà e sospira, Cheve non era del tutto
d’accordo sulla mia decisione. Ma io non volevo essere un
peso per nessuno,
volevo che lei fosse libera di vivere la sua adolescenza come meglio
poteva,
senza rinunciare a nulla. Io non avevo potuto farlo e non che ne
facessi una
colpa ai miei nonni, ma….forse, in condizioni diverse, avrei
voluto farlo.
Quando
entrò il professore, ci voltammo tutti e prima che la
classe potesse prendere a mormorare, dietro di lui un ragazzo
sconosciuto prese
posto affianco alla cattedra. Non so spiegare la sensazione che provai
quando
tra tanti volti, il suo sguardo si posò sul mio, senza
alcuna motivazione
apparente.
Era come se un
freddo polare, pungente e affilato che si
fosse impossessato di me. Aveva degli occhi color smeraldo
meravigliosi, cosi
espressivi, così intensi che mi sembrava di sprofondarvi
dentro. Contornati da
delle ciglia folte e scure, come i capelli che portava leggermente
spettinati,
non troppo corti. Non aveva abbandonato il mio sguardo
finché il professore
aveva preso a parlare. In quel momento sembrò risvegliarsi
dal torpore e il suo
viso indagatore, distogliendosi dal mio, mi procurò un senso
di libertà non
indifferente.
Il professore di
italiano usava troppe parole e il più delle
volte inutilmente, la sua proprietà di linguaggio era ben
nota a tutti, ma
adesso aveva un ulteriore soggetto a cui dimostrare le sue
capacità
intellettive. Le settimane a venire, sarebbero state un tormento nel
sentirlo
pavoneggiarsi della sua esilaranti conoscenze.
Cominciai a
sentire mormorare le ragazze intorno a me, mi
voltai verso Marc sorridendo e con sollievo mi lasciai scappare una
piccola
risata sommessa. Per il novellino si sarebbe aperto un periodo fatto di
persecuzioni assurde, le ragazze di Amandil erano piuttosto passionali.
Il posto di
Nicholas, così si chiamava, era proprio accanto
al mio. Quando si avvicinò a me si limitò a
sorridermi un pochino, ma non mi
rivolse la parola mentre passandomi davanti metteva a posto le sue
cose. Era
indubbiamente bellissimo, di una bellezza quasi sconvolgente e
surreale. Notai
all’orecchio sinistro un orecchino con una forma assai
singolare, una sorta di
dragone, argentato e blu, piccolo e fine.
Quel ragazzo
aveva un’aura di mistero intorno a lui che
avrebbe incuriosito chiunque, anche io che ero poco incline a farmi
trascinare.
Sbirciai con la coda dell’occhio e trovai quel suo sguardo
penetrante, voltato
verso di me. Ma ancora una volta, non mi disse nulla, aprì
leggermente la bocca
e subito si voltò, immediatamente assillato da un gruppo di
amiche di Desi che
cercavano di ingraziarselo.
Sembrava un
ragazzo gentile, educato. Non lo osservai più di
tanto, seguire le lezioni era importante per me, mi consentiva di non
dover
passare troppo tempo sui libri. Ogni tanto sentivo le ragazze fare
qualche
domanda al nuovo venuto e provai un pò di tenerezza per lui,
magari non gliene
interessava nemmeno una.
Notai
più diffidenza da parte dei ragazzi, ma d’altronde
non
poteva che essere così. La competizione bruciava nelle loro
vene e quel Nicholas,
con quel suo modo di fare e la sua bellezza, aveva già
attirato una buona parte
delle ragazze dalla sua parte.
La mattinata era
passata con velocità, tra poco tempo
cominciava il mio turno al pub. Ovunque si ci voltava
l’argomento principale
era il nuovo arrivato dagli occhi smeraldo. I ragazzi già
sputavano veleno
abbondantemente e senza una buona motivazione, le ragazze erano gia partite
all’attacco con una
santificazione imminente. Era abbastanza ridicolo. Non mi sarei mai
voluto
trovare nella sua situazione, in mezzo a due fuochi fatui pronti a
divampare
impetuosi.
Preparai la
borsa e quando uscii dalla porta dell’aula, mi
scontrai proprio con lui. Nicholas…
Ero
soprappensiero, mentre controllavo di aver preso tutto e
non essermi dimenticato nulla. Scontrai il suo braccio possente, mentre
imbarazzato e dispiaciuto alzavo gli occhi per scusarmi.
Ancora, quel suo
sguardo perforatore, quegli occhi che per un
istante mi fecero dimenticare tutto quello che avevo attorno.
-Scusami…-
gli dico semplicemente.. –Sono sempre distratto…-
-No…non
ti preoccupare…- non avevo fatto caso fino ad ora
alla sua voce, così profonda, così ammaliante..
C’era qualcosa in quel ragazzo
che non fosse attraente!? Benché non fossi una donna, potevo
comprendere cosa a
loro potesse piacere e quel ragazzo, sembrava possedere tutte le carte
in
regola per far impazzire le ragazze di Amandil.
-Beh…-
gli dico io con leggera difficoltà.. –Arrivo
complesso
devo dire…-
-Beh…l’accoglienza
non è stata proprio delle migliori, ma in
fondo…- fa un sorriso leggero, enigmatico…
-Già…-
sorrido annuendo.. –Assalito dalle ragazze e ignorato
da buona parte dei ragazzi…-
-Ho provato a
scambiare qualche chiacchiera ma…sembrano
diffidenti..- mi dice con uno sguardo deciso…
-Dagli un
pò di tempo..- dico sollevando le spalle..
–Soffrono della competizione ma….gli
passerà…-
-Anche tu ci sei
passato!?- mi chiede sorridendo..
-Ehm…-
dico scrollando il capo… -Per me è stato un
pò
diverso…sono nato e cresciuto qui… Li conosco da
una vita, sono stati un pò
meno diffidenti…-
Sorride di gusto
e per qualche istante mi osserva tranquillo,
per poi guardare il lungo corridoio.
-Ora…io
devo andare..- gli dico gentilmente..
Lui sorride
timidamente, alzo la mano in segno di saluto e
comincio a percorrere quel piccolo tratto di corridoio che mi divide
dalla
scale. Poi ripenso a Nicholas che percorre quelle stanze deserte, solo.
Mi fa
tenerezza…odio i processi di esclusione che si creano quando
una persona nuova
arriva in un posto dove non conosce nessuno. Mi volto indietro e lui
è ancora
lì, appoggiato alla parete.
-Nicholas…-
dico con tono pacato.. –Se ti va, puoi stare con
me e i miei amici… Sono sicuro che per loro non è
un problema… Pensaci…-
-Grazie…-
mi dice sorridendo e mettendo le mani in tasca…
-Magari da domani sarà un giorno migliore..-
Gli sorrido un
poco annuendo, non avevo compreso se il suo
fosse un si o un no, ma almeno gli avevo proposto di entrare in
contatto con
qualcuno, volevo almeno provare a farlo sentire meno fuori luogo.
Non sapevo
perché mi ritrovassi a fare questo, forse
semplicemente perché se mi fossi trovato al suo posto, mi
sarei sentito
terribilmente solo ed era una bruttissima sensazione.
Mi ritrovai
fuori nel cortile, l’aria era tiepida e mi
sembrava quasi impossibile che i raggi del sole mi stessero
accarezzando la
pelle così dolcemente.
Alzai gli occhi
al cielo, socchiudendo le palpebre.
Poi quella
sensazione di essere osservati mi aveva preso alla
sprovvista.
Voltai di scatto
il mio viso alla foresta lì accanto, come se
qualcosa dietro i cespugli o gli alberi mi stesse osservando con
talmente
avidità, da spogliarmi di tutto quello che avevo. Ero sicuro
che dietro alla
vegetazione non ci fosse nulla, gli animali non sarebbero mai riusciti
ad
essere così immobili, eppure qualcosa dentro mi rendeva
inquieto. Cosa mi stava
succedendo!?
Cercai di
muovere qualche passo verso i fitti alberi, ma poi
realizzai di essere completamente soggiogato dalla superstizione di
Cheve e mi
sentii totalmente stupido. Sorrisi tra di me e tornai verso
l’auto che distava
a pochi passi da me.
Cercai di
tranquillizzare la parte più impulsiva di me,
quella che mi spingeva a vedere sotterfugi e misteri fitti intorno a
me,
ma…sapevo che non era niente di reale. Tutte superstizioni
che nel tempo i
vecchi avevano cercato di inserire nella nostra storia, forse per
renderla più
interessante agli occhi dei turisti. E a quanto pare, con tempo io ero
diventato influenzabile come tutti gli altri, peccato che non avevo
alcuna
intenzione di credere veramente a tutte quelle stupidaggini.
Arrivai
perfettamente in orario al Pub di Justin, che appena
mi vide mi disse di andarmi a cambiare velocemente, come al solito il
locale
era pieno. Mi infilai velocemente nella porta secondaria, quella che
dava
accesso alle cucine e trovai tutti i miei compagni di lavoro.
-Ehi
Toby…- disse Mary la cameriera che mi aiutava a servire
ai tavoli…
-Ciao
Mary… Pienone!?- gli chiedo mentre velocemente mi lavo
le mani e mi infilo il gilet nero della divisa…
-Come
sempre…Justin è già
incazzatissimo…- mi dice
guardandomi con aria scocciata e correndo da una parte
all’altra mentre cerca
qualcosa…
-Perché!?-
gli chiedo urlando dalla stanza attigua,
mettendomi i jeans scuri che portavo per lavorare…
-Sembrerebbe che
non trovi sua moglie…- mi dice con sguardo
malizioso.. –E…insomma, sappiamo tutti
com’è Stefy…-
Stefy….la
moglie infedele di Justin. Lui l’aveva sposata per
permettergli di avere il permesso di soggiorno, ma…era anche
vero che era pazzo
di lei. L’amava con tutto se stesso e la cosa peggiore
era…che lei lo sapeva.
Non riusciva ad essergli fedele e ogni volta, confessava i
suoi
tradimenti con disarmante sincerità. Non sapevo dire cosa
potesse esser peggio
per lui, avevo solo conosciuto un tipo d’amore, quello
profondo e sincero,
vissuto tra persone che si amavano davvero. In questo i miei genitori
erano
stati un esempio.
Justin era come
un padre, da quando i miei nonni se n’erano
andati a volte si prendeva cura di me, dandomi qualcosa da portare a
casa per
mangiare o lasciandomi consumare qualcosa al locale senza doverlo
pagare. Si
era affezionato a me e spesso mi parlava anche dei suoi problemi
famigliari.
Per me sarebbe stato impossibile vivere così, prima o poi
sarei impazzito. Io,
l’avrei lasciata libera di continuare a vivere la sua vita,
quella che voleva..
Io avrei voluto accanto qualcuno che mi amava davvero.
-Lui dovrebbe
fare solo una cosa…- dice John, l’aiuto cuoco,
comparendo all’improvviso in cucina.. –sbatterla
fuori di casa…-
-Lui non lo
farebbe mai..- gli dico convinto…
-Beh…allora
si vede che fare il cornuto gli piace…- dice
Jennifer mentre raccoglie le pentole da lavare..
-Vorrei vedere
voi se vi trovaste al suo posto..- dissi io
cercando di comprendere Justin..
-Suvvia
Toby…- mi dice Mary appoggiando la mano allo stipite
della porta.. –Non si possono accettare certi atteggiamenti..
Quella si farebbe
anche le gambe del tavolo se potesse e ti ha messo gli occhi addosso
già da un
pò.. Se fossi in te correrei ai ripari…-
-Non sono
interessato a quel tipo di donna..- dico sorridendo
e andando verso la sala principale..
Mentre percorro
lo stretto corridoio vedo arrivare justin
imbufalito. È davvero furioso, paonazzo in volto. Appena mi
vede mi batte una
pacca sulla spalla e poco dopo lo sento gridare, inveire in cucina
accusando
gli altri di battere la fiacca.
Quando arrivai
buona parte della scuola era lì a pranzare. Mi
affrettai a raggiungere il bancone, dove molti clienti aspettavano di
avere il
conto per andarsene. Mike,
il barman era
impegnato a preparare le varie bevande e in sala scoppiava un continuo
boato di
proteste per chi ancora non era stato servito.
-Eccola la
nostra speranza…- sentii urlare al tavolo più
lontano.. –Toby abbiamo fameeeeee…-
-Purtroppo mi
hanno fornito di due sole braccia e due sole
gambe…- rispondo sorridendo.. –Un secondo di
pazienza e sono da voi per le
ordinazioni…-
Già
comincia una giornata impossibile.. Justin dovrebbe
decidersi una volta per tutte ad assumere più camerieri.
Mary pur essendo brava
è veramente di un lento allucinante e io avrei bisogno di un
aiuto un pò più
sostanziale. Cerco di togliermi dai casini, quando vedo entrare dalla
porta
principale del locale Nicholas.
Per qualche
istante lo osservo, poi riprendo ad ascoltare le
ordinazioni e controllo che tutti mi abbiano detto quello che
desiderano. Si
guarda un pò attorno, poi lo vedo sedersi al bancone mentre
solo ordina
qualcosa a Mike. Velocemente corro in cucina per dare le ultime
richieste e
ritorno nel salone, dove da una parte all’altra reclamavano
la mia attenzione.
Ogni tanto
buttavo un occhio su Nicholas e non so, mi
sembrava incredibilmente solo. I suoi occhi non si erano distolti un
secondo da
quel bicchiere, dove albergava un liquido marroncino, ma non sembrava
gradirne
molto il sapore. Chissà cosa lo preoccupava così
intensamente.
Dopo due ore di
intense scorribande avanti e indietro, il
locale si liberò quasi del tutto, tranne dei miei compagni
di scuola che
rimanevano lì quasi tutto il pomeriggio a giocare a
bigliardo a studiare come
se fossero in biblioteca, insomma, quel locale aveva un sacco di
funzioni e
Justin ne era sicuramente felice, visto i grandi introiti che ne
ricavava.
Quando fui sicuro che nessuno per il momento avesse bisogno di me,
posai la
spugna con cui avevo lavato tutti i tavoli e mi portai affianco a
Nicholas, che
stupito guardò lo sgabello accanto a se trascinarsi.
-Oh…-
disse sorridendo… -Mi sembrava strano che qualcuno
avesse il coraggio di avvicinarsi..-
-Tranne le
ragazze…!?- chiedo ridendo…
-Già…-
dice lui annuendo.. –Tranne le ragazze…-
-Mi
spiace…- gli dico sinceramente..
-Perché!?-
mi chiede confuso…
-Non si stanno
comportando bene..- gli dico guardandoli
sconcertato… -Insomma…potrebbero almeno invitarti
con loro e provare a
socializzare..-
-Potrei farlo
anche io..- mi dice sorridendo..
-Nicholas
è diverso…- gli dico con aria stupita..
–Se andassi
là a proporti, ti sentiresti un ficcanaso o ancora peggio,
un intruso che cerca
di farsi spazio.. O sbaglio!?-
Lui mi sorrise
abbassando lo sguardo, avevo fatto centro.
-Non mi hai
ancora detto…- mi disse lui un pò in
difficoltà…
-Come ti chiami…-
-Mi
spiace…- dico io sorridendo apertamente.. –Sono
sempre di
fretta e non mi sono presentato…Tobias Cohen… Ma
qui mi conoscono come Toby..-
-Bene…-
mi dice lui porgendomi la mano.. –Piacere di
conoscerti Tobias…-
-Toby
andrà bene…- gli dico gentile…
La sua mano
era....fredda, molto fredda. Subito alla mente
arrivò un’immagine sfocata, con così
tanta potenza che mi provocò una vertigine
assurda e una sensazione diversa dalle altre. Ma…non
riuscivo a capire cose
fosse. So solo che spalancai gli occhi, mentre un moto
d’angoscia mi
attraversava il petto. Mi appoggiai un poco al bancone, mentre Nicholas
preoccupato si era alzato dalla sedia cercando di capire cosa avessi.
-Toby….stai
bene!?- mi chiese aiutandomi a sedermi..
-Si….si….-
gli dico sedendomi tranquillamente… -Sono solo
stanco, dovrei dormire un pò di più…-
Lui si era
riseduto davanti a me e aveva continuato a
osservare il mio volto, che molto probabilmente a poco a poco stava
riprendendo
colore. Mi sentivo decisamente meglio dopo questo strano capogiro,
così, quando
arrivarono accanto a me Cheve e Marc, mi ero ripreso del tutto.
-Fratello…vedo
che hai fatto amicizia…- disse Cheve
sorridendo amichevolmente a Nicholas…
-Beh….qualcuno
doveva pur farlo!!- dissi io pavoneggiandomi e
ridendo…
-Toby
è stato molto gentile, devo dire che non essere
trattato come un alieno da qualcuno è stato piuttosto
confortante…- rispose
tranquillo Nicholas..
-Il mio nome
è Cheveyo…- disse porgendo la mano al nuovo
venuto…
-Piacere…il
mio nome lo sapete già…- disse lui salutando
cordialmente anche Marc…
-Comunque…devi sapere
che siamo un pò tutti dei lupi di mare..- disse Cheve dando
una pacca a Marc..
–Siamo ragazzetti un pò stupidi, ma vedrai che
superato l’impatto ti troverai
bene ad Amandil…-
-Non ne
dubito..- disse Marc sorridendo.. –Basta solo che le
mie prede, rimangano mie..-
-Lo
prometto…non vi sarò d’intralcio
ragazzi…- disse lui
sorridendo, quasi nascondesse un segreto che non potevamo
comprendere…
-Eh…però
hai già messo in ombra uno di noi..- disse Marc
tirandomi una sberla sul collo..
-Perché!?-
chiese lui alzando un sopracciglio confuso..
-Come
perché!?- chiese Cheve alzandosi e prendendo il mio
viso tra le mani.. –Lo vedi questo faccino da angioletto!?-
Lui sorridendo
annuisce con la testa e come al solito mi
punta quegli occhi assurdi sullo sguardo. Quasi riesce a ipnotizzarmi
quando ha
quel viso così tenero e indifeso. Distolgo gli occhi, dando
una gomitata a
Cheve che tossendo molla la presa.
-Beh insomma,
hai di fronte l’unico ragazzo che abbia fatto
impazzire tutte le donne di Amandil…- disse Cheve
sghignazzando..
-Non
ascoltarli…- gli dico io avvertendolo… -Non
riescono a
pensare lucidamente quando si tratta di ragazze…-
-Beh…non
lo trovo così difficile…- risponde lui
sorridendo..
–Toby ha le carte in regola per corteggiare una ragazza.. Poi
anche fisicamente
è messo bene…-
-Si ma ora
tu…gli hai rotto le uova nel paniere…- risponde
Marc parandosi dietro di lui e ridendo…
-Sono certo che
non cambierà nulla..- disse Nicholas
convinto…
-Ah
no…- gli dico io prendendo il block notes e avviandomi
verso il tavolo da dove mi chiamavano.. –Sentiti libero di
agire come vuoi…non
ho tempo per queste cose…-
Li lascio soli
mentre ridono e scherzano come amici di vecchia
data e mi sento felice, sereno perché se non altro mi sono
sentito utile per
qualcosa. Sapevo perfettamente che nonostante l’impatto,
Cheve e Marc sarebbero
stati felici di conoscere Nicholas e che non avrei incontrato un muro
da parte
loro. Erano due ragazzi straordinari, mi sentivo davvero onorato di
averli
affianco e sapevo che Nicholas si sarebbe sentito a suo agio.
Presi le
ordinazioni e chiesi a Mike di aiutarmi con i
cocktail che mi erano stati chiesti.
Cheve stava
ridendo con Nicholas, mentre evidentemente gli
stavano raccontando qualcosa di me. Lui rideva animatamente, mentre
facevano
finta di nulla quando mi voltavo verso di loro con sguardo
interrogativo.
Sembrava
trovarsi bene insieme a quei due mattacchioni,
quindi non mi preoccupai più di tanto e lasciai che si
conoscessero un pò, in
modo che Nicholas potesse entrare agevolmente a far parte del gruppo se
lo
desiderava.
Decisi di
raggiungerli poco dopo per capire se volevano
qualcosa da mangiare o da bere.
-Allora…dopo
esservi divertiti alle mie spalle..- dico
incastrando il collo di Marc tra il mio petto e il mio braccio..
–Volete
qualcosa!?-
-Cameriere…faccia
il suo lavoro.. Mica l’abbiamo chiamata…-
disse Cheve con aria irritante..
-Attento
fratello..- gli dico sorridendo.. –Oh Toby diventa
manesco…-
-Mi fai davvero
paura Toby…- disse Cheve ridendo..
Mi sento
reclamare da un gruppo di uomini seduti al tavolo da
gioco e immediatamente li raggiungo.
Ritorno al
bancone e mentre preparo le ordinazioni, avverto
nuovamente quella sensazione che avevo sentito la notte precedente.
Questa
volta però sento una fitta lancinante, che sembra perforarmi
il collo. Cerco di
ingoiare la saliva, ma è come se la gola si fosse ghiacciata
all’improvviso,
come se qualcosa mi impedisse di respirare, di inghiottire. Subito mi
aggrappo
al marmo del bancone e cerco di respirare piano piano, per recuperare
il
controllo. Socchiudo gli occhi e a poco a poco, nonostante ancora
presente
sento attutirsi quella strana sensazione.
Quando mi volto
per prendere una bicchiere e preparare la
bevanda, davanti a me…vedo un ragazzo.
Non lo
conoscevo…ero sicuro di non averlo mai visto. Mi
scrutava profondamente, con ostinata presunzione, mentre i suoi occhi
neri come
la pece mi scombinavano la mente. Ero rimasto letteralmente ammutolito,
mentre
avevo quasi l’impressione di avere il suo volto a pochi
centimetri dal mio. Invece
la sua mano sorreggeva il viso perfettamente definito, mentre era
comodamente
seduto sullo sgabello e appoggiato al di là del bancone che
ci divideva.
Lo osservai
senza comprendere ancora per qualche istante…ero
certo di non averlo mai visto, quindi di non conoscerlo. Essere
guardato con
così tanta insistenza mi metteva a disagio, se poi ero
osservato con fare
strafottente e con così sfacciataggine, il disagio diventava
fastidio. Era
assolutamente vietato essere scortesi con i clienti, quindi cercai il
modo di
interrompere quella scomoda situazione.
-Posso offrirle
qualcosa!?- chiedo abbassando lo sguardo e
continuando quello che avevo interrotto..
-Hai degli occhi
davvero singolari…- mi dice serio,
sfoggiando una voce attraente, roca, profonda…
-Sembrano…così sofferenti…-
-Cosa le posso
offrire!?- dico facendo finta di nulla…
-Occhi azzurri,
che cambiano colore, diventano chiarissimi o
blu scuri…- mi dice non perdendo un singolo gesto che
compio.. –In più il
contorno è sempre azzurro intenso…con lunghe
ciglia folte e nere…-
Poso il
bicchiere che ho in mano e mi appoggio sospirando
alla lastra di marmo, per un pò mi limito a sorridere
sollevando un lato della
bocca, poi alzo lo sguardo e non accenno a lasciarlo finché
non la smetterà di
analizzarmi.
-Hai intenzione
di analizzarmi ancora per molto..!?- gli
chiedo con un sorriso sulla bocca, ma con tono poco accomodante..
-Per caso ti da
fastidio!?- mi chiede appoggiandosi allo
schienale dello sgabello con fare audace..
-Semplicemente
non capisco perché mi stai scrutando…- gli
chiedo con poco tatto…
-Forse
perché…- mi dice avvicinandosi al viso..
–mi ricordi
qualcuno!?-
Lo osservo
alzando le sopracciglia, mentre voltandomi verso i
miei amici, noto Cheve e Marc guardare lo sconosciuto con sospetto e
Nicholas
stranamente teso, allerta, mentre con una mano sul tavolo sfiora il
legno
antico e poco levigato. Ritorno al mio interlocutore, sorridendo e
mantenendo
la calma.
-Io non ti
conosco…- gli dico chiaramente, quasi al limite
della maleducazione..
-Le cose sono
due allora..- mi dice con un sorriso smagliate…
-O non ci siamo mai visti, o forse…te ne sei
dimenticato…-
-Non dimentico
tanto facilmente…- dico sorridendo.. –Ho buona
memoria…-
-Allora…mi
sbaglio con qualcun altro…- disse poco convinto…
-Probabile…-
gli dico aspettando ancora la sua ordinazione…
-Quelli sono i
tuoi amici!?- mi chiede accennando a Cheve,
Marc e Nicholas al tavolo…
-C’è
qualche problema!?- gli chiedo sorpreso…
-No…ma
non hanno un aspetto accomodante…- sorride divertito..
–hanno tutta l’aria di
volermi…incenerire…-
-Forse
perché hanno notato che essere interrogato mi fa
venire i nervi…- gli dico con un sorriso scocciato..
-Posso avere una
birra!?- mi chiede con quel suo viso da
provocatore..
-Certo…-
gli rispondo mentre vedo Mary passarmi davanti…
La raggiungo un
istante e gli chiedo di occuparsi del tavolo
da gioco, erano tutti pronti gli aperitivi quindi poteva occuparsi di
portarli
dai clienti. Corro in cucina, dove teniamo la scorta di birre e prendo
il
cestello pieno, che avrei dovuto mettere a posto a breve.
Quando arrivo,
quello strano e bellissimo ragazzo mi stava
aspettando e guardava spesso verso il tavolo dei miei amici, dove loro
erano
tornati a ridere e scherzare. Avanzai tranquillo mentre posavo la
scatola della
birra ai miei piedi e cercavo nel frigo al di sotto, una bevanda fresca
da
servire al cliente. Quando la trovai mi alzai e feci per prendere un
bicchiere
in cui versarla.
-No…non
ti disturbare oltre…- mi dice con un sorriso
travolgente, troppo bello per essere reale.. –La
berrò così, dalla bottiglia…-
-Perfetto..- gli
dico annuendo…
-Ecco..- dice
lanciandomi sul bancone una banconota per
pagare il conto… -Tieni pure il resto come
mancia…-
Si fece per
allontanare quando si voltò su se stesso e
camminando al contrario, mi guardò un ultima volta. Era
stupefacente, talmente
bello da mozzarti il fiato. Che si poteva dire di un ragazzo del
genere, era
semplicemente di una bellezza perfetta. Capelli scuri, occhi scuri che
sembravano una notte senza stelle, quelle ciglia che mettevano in
risalto le
iridi quasi surreali da quanto sembravano fredde. Quella bocca piccola
e piena
che si piegava in un ghigno perfido e allo stesso tempo ammaliante. Il
corpo
statuario e perfettamente proporzionato, sicuramente leggermente
più possente
del mio.
Chi era!? Mi
sentivo stranamente curioso…
-Dimenticavo…-
mi disse quando oramai fu vicino alla porta…
-Complimenti per gli occhi…-
Rimasi
sconcertato. Quello mi stava prendendo in giro…o
altrimenti non sapevo davvero cosa pensare.
Ritornai al
bancone e ancora turbato, non so bene per quale
motivo, ripensai a quei pochi istanti.
Continuai a
preparare bevande che a intervalli regolari Mary
mi chiedeva, poi vidi Nicholas raggiungermi.
-Tutto….ok!?-
mi chiede con tono preoccupato…
-Si certo..- gli
dico sorridendo…
-Quello…ti
ha dato fastidio!?- mi chiede evasivo, con un
sorriso tranquillo e divertito…
-No…probabilmente
aveva solo voglia di divertirsi un pò…- gli
rispondo con un sorriso… -Peccato che io non fossi proprio
dell’umore adatto…-
-Non lo
conosci!?- mi chiede non curante..
-Non ho idea di
chi sia..- gli rispondo tranquillo… -Sono
certo di non averlo mai visto…-
-Capisco..-
risponde evasivo.. –Beh….adesso devo
andare…-
-A domani
allora…- dico mentre lo osservo andarsene…
-Ah…Nicholas!!-
guardo Cheve raggiungere il nuovo membro del
gruppo e sorridergli amichevolmente.. –Domani insieme agli
altri abbiamo
organizzato una serata in riva al lago… Mangiamo
lì e balliamo, ci scateniamo..
Proprio vicino a casa di Toby.. Vieni con noi dai…-
-Va bene..-
risponde lui annuendo… -A domani Cheveyo…-
-Ciao…-
si sorridono, poi Nicholas scompare dalla porta…
Cheve mi
raggiunge, mi chiede una birra e mentre se ne va,
sorride.
-Mi piace quel
tipo…- dice soddisfatto.. –Tranquillo,
divertente… Andremo d’accordo…-
-Avevo solo
qualche dubbio su Marc…- dico io mentre recupero
la birra.. –Diamogli il tempo di sentirsi a suo agio e credo
passeremo dei bei
momenti insieme..-
Quella giornata
era stata…come dire, surreale!?
Benché
non fosse accaduto niente di particolare avvertivo uno
strano peso opprimermi il corpo, la mente. Mi sentivo come schiacciato
da
qualcosa di troppo grande, di troppo potente perché potessi
sollevarlo da solo.
Quando Nicholas
mi era stato vicino, davanti a me era passata
un’immagine, del tutto sfocata e che non avevo assolutamente
riconosciuto o
definito nei suoi contorni. Ma mi aveva lasciato un senso di
oppressione
dentro, che mi aveva accompagnato per tutto il giorno, anche la sera
mentre
stanco mi aggiravo tra i tavoli per servire i nuovi clienti del pub.
Quando finii il
turno era tardissimo, avrei ancora dovuto
terminare un paio di cose ma la mattina dopo avevo lezione e Justin
decise di
finire lui al posto mio, in modo che potessi riposarmi un poco. Salutai
tutti,
mentre ormai in cucina si stavano mettendo in ordine le stoviglie e
raggiunsi
velocemente la macchina parcheggiata lì affianco. Ero
distrutto, ma cercavo di
raggruppare più ore possibili di lavoro per mantenermi il
meglio possibile.
Questo significava…tanta fatica, qualche soldo in
più in tasca per gli
imprevisti, ma poco riposo e scarse ore di sonno.
Erano le tre del
mattino. Esattamente tra quattro ore
ricominciava una nuova giornata.
Arrivai a casa
in pochissimo tempo, tutto era buio e
silenzioso. C’erano solo le onde leggere che si muovevano
lente contro la
spiaggetta circostante. E la luna si specchiava tra quelle acque blu,
con
giochi di luce e scintillii meravigliosi.
Decisi di
entrare in casa, ma…il sonno era passato, non
sentivo nemmeno un briciolo di stanchezza portarmi a chiudere gli
occhi. Le
palpebre non sembravano avere proprio voglia di chiudersi.
Guardare il lago
mi rilassava sempre, osservare la vita che
lo popolava mi faceva capire che al mondo, c’era chi era solo come me
ma….che nonostante tutto, avevo
un mondo attorno e che prima o poi qualcuno sarebbe arrivato a
riempirlo.
Cos’era
quel vuoto che mi sentivo dentro ogni volta che
entravo in quella casa!?
Sentivo morire
una parte di me, sentivo ogni volta qualcosa
pesarmi come un macigno. Mia madre mi mancava da morire, in questi
casi, lei
avrebbe saputo sicuramente cosa dirmi, come confortarmi. Decisi di
sedermi al
solito posto, sul piano cottura, quella grande mensola di legno in cui
mia
madre era solita posizionarsi ogni volta che papà partiva
per un viaggio.
Toccare ogni
singola parte di quella casa, era come
ripercorrere anni di vite, di sentimenti, di emozioni, sentire
l’anima dei miei
antenati sorridere e gridare dentro di me. La nostra vecchia casa sul
lago, era
sorta secoli fa ed era stata mantenuta in piedi con amorevole cura dai
miei
predecessori, con ristrutturazioni, lavori per rimodernarla e per
tenerla
sempre al passo con i tempi. C’era sempre qualcosa che
rimaneva intatto, quel
profumo che voleva dire amore, quell’atmosfera di famiglia di
affetto che mi
avvolgeva.
Mi alzai
improvvisamente dalla posizione in cui ero e mi
diressi davanti a quella porta che non era mai più stata
aperta. Quella porta
che significava tutto. Quello stesso uscio che avrebbe significato
riaprire un
vecchio e doloroso capitolo della mia vita. E appesa lì,
ancora intatta, quella
coccarda nera a lutto.
In dodici anni,
non era mai stata tolta. Mia nonna, Meredith,
sembrava volerla vedere lì per alimentare un risentimento ed
un odio che non
comprendevo, che non capivo.
Quando,
già adolescente, decisi che era venuto il momento di
cambiare, di togliere il lutto, mia nonna me lo impedì.
Avevo staccato la
coccarda e chiavi alla mano, avevo deciso che sarei entrato, che avrei
finalmente vissuto quella stanza che da quando erano morti i miei
genitori, era
rimasta intatta. Esattamente come loro l’avevano lasciata. Ma
quella volta, il
mio tentativo fu inutile. Mio nonno mi scoprì nella stanza e
quando lo comunicò
a Meredith, la chiave scomparì dalla circolazione
improvvisamente.
Forse, fu
proprio da lì che cominciai a farmi qualche domanda
in più. Forse fu da lì che cominciai a chiedermi
perché fino ai sei anni, la
mia famiglia mi raccontava delle leggende di Amandil e dalla morte dei
miei
genitori, quelle storie fantastiche divennero un solo lontano ricordo,
tanto
che non ne ricordavo una con un senso logico.
Mi feci forza e
sfiorai quella maniglia gelida, mai più
impugnata in quei lunghi anni. Potevo ancora sentire le lacrime
pungermi gli
occhi ripensando al quel bambino terrorizzato tra le braccia di
Meredith,
stringersi all’unica luce di speranza che gli era rimasta.
Affondai
lentamente la mano nell’impugnatura e lasciai che la
porta cigolasse, per poi aprirsi lentamente, con estenuante calma,
prima di
scorgere quel letto a baldacchino di un bianco panna. Entrai
lentamente, quasi
avessi paura di invadere il loro sonno, di disturbare il loro riposo.
Era
passato troppo tempo da quando bambino entravo urlando in camera e
buttandomi
su di loro, sicuro che due braccia forti mi avrebbero accolto. Sospirai
mentre
la mano correva su quei mobili, su quel letto morbido e ancora
profumato, che
sapeva di lei e della sua dolcezza. Sulla seggiola a dondolo ancora la
vestaglia di seta rosa che usava la notte per ripararsi dal freddo. La
presi in
mano e portandola al naso, respirai profondamente, sentendomi riempire
i
polmoni dell’affetto materno, quello vero e incondizionato.
Cominciai a
guardarmi intorno, aprendo i cassetti un pò
ovunque, cercando un qualcosa che potessi tenere sempre con me,
qualcosa che mi
dicesse che facevano parte del mio essere.
Mentre rovistavo
nei cassetti, all’improvviso trovai un
gioiello.
Un gioiello
strano, sembrava molto antico e sulla parte
posteriore, era inciso quello che era il nostro stemma di famiglia. Una
farfalla adagiata su un pugnale. Rivoltai quell’oggetto tra
le mani più di una
volte, sulla parte anteriore aveva una forma arrotondata, al suo
interno una
farfalla blu era perfettamente conservata in un liquido quasi denso.
Doveva
essere un’esemplare assai raro da quanto era bella, aveva le
ali blu e i
contorni neri, di una bellezza fine ed elegante. Era protetta da quel
vetro,
che la rendeva ancor più lucente e una catenella in ametista
viola, le
conferiva quasi l’aspetto di un talismano. Alzai gli occhi,
guardandomi
attorno.
C’era
qualcosa che mi sfuggiva, io non avevo mai visto questo
gioiello o forse, ero troppo piccolo per ricordarmene. Affondai le mani
ancora
nel cassetto, in cerca di altri articoli che mi potessero dare qualche
spiegazione, ma non trovai nulla, niente che potesse dirmi che fosse
quell’oggetto particolare.
Mi sentivo
stranamente inquieto, era come se quel talismano
avesse al suo interno energie negative che convergevano verso di me,
che
avevano la capacità di influire sul mio umore.
Sentivo la testa
scoppiare e riconoscevo che tutti quei
dubbi, quelle domande che cominciavo a pormi, non avevano alcun
fondamento.
Non avevo alcun
motivo di dubitare della mia famiglia, di
credere che dietro ad essa si nascondessero dei segreti,
eppure…mi sembrava che
ci fossero troppi pezzi del puzzle che non tornavano. C’era
un pezzo della mia
vita, che sembrava avere buchi assurdi, come se la mia mente
appositamente
fosse riuscita a cancellare eventi o situazioni spiacevoli che mi
avevano
lasciato dentro un senso di angoscia.
Cos’erano!?
Sembravano ricordi appesi a qualche evento
particolare, che mi aveva sconvolto ma che nonostante tutto non
riuscivo a
ricordare, anche se ero ad un passo per entrarne in mezzo. Decisi di
tenere con
me il talismano e corsi via da quella stanza, trascinando con me quella
porta
scricchiolante.
Mi appoggiai
alla soglia, mentre sentivo dietro la mia testa,
la coccarda nera morbida accarezzarmi il capo. Raggiunsi velocemente la
cucina
, aprii l’acqua fredda e vi buttai sotto la testa…
Il gettito
gelido mi fece quasi mancare il respiro, come se
una lama mi avesse tagliato la testa a metà, ma a poco a
poco, mi
tranquillizzai e lasciai gocciolare i capelli mossi e fradici.
Quella
sensazione angosciosa, di ricordi rimossi era
scomparsa, non la sentivo più. Cercai di asciugare i capelli
con l’asciugamano
che avevo lì affianco, mentre quei riccioli ribelli,
prendevano nuovamente
posto naturalmente e scompostamente.
Mi adagiai di
fronte al caminetto, mentre mi accovacciavo sul
divano appallottolandomi su me stesso.
Respirai a fondo
molte volte, cercando di riprendere un
controllo che avevo perduto. I capelli umidi mi fecero tremare
violentemente,
quindi decisi di accendere il caminetto e mi procurai la legna
necessaria.
Mi sedetti
affianco al camino, in modo che potessi scaldarmi
più velocemente e quando fu sufficiente mi avvolsi sulla
coperta appoggiata al
divano e mi appoggiai ad esso.
Non so, forse
esausto e preoccupato, il sonno arrivò
velocemente. Sentivo i sensi abbandonarmi e i nervi rilassarsi, mentre
le mani
stavano perdendo il contatto con quello che avevano attorno. Ben presto
non
sentii più nulla.
Non fu certo una
notte tranquilla, dormii poco più di due ore
e malissimo. Mi rigirai nel divano molte volte, sempre in un continuo
dormi
veglia, agitato e sconnesso.
E ancora una
volta, percepii una presenza attorno a me. Forse
era il momento in cui dormivo più profondamente, ma sentii
distintamente una
mano sfiorarmi il mento e toccarmi leggermente le labbra. Mi mossi un
poco, ma
non appena realizzai che qualcuno poteva essere lì
realmente, mi agitai nel sofà,
alzandomi velocemente ancora con gli occhi impastanti nel sonno. Mi
guardai
attorno velocemente per capire quello che stava accadendo, ma di nuovo,
nulla..
Non c’era alcun segno di presenze umane nella stanza, le
vetrate erano chiuse,
intorno a me niente faceva presupporre una intrusione a scopo di rapina
o
altro. E il mistero si infittiva…il mio disagio aumentava,
le mie domande senza
risposta diventavano sempre più fitte…
A breve, le
lontane campane della chiesa di Amandil,
sarebbero suonante con tutta la loro potenza, facendo destare dal sonno
chi
ancora dormiva profondamente nel loro letto caldo e accogliente.
Guardai quel
talismano appoggiato alla tavola, mentre velocemente decidevo come
comportarmi.
La mia figura,
riflessa nella vetrata del salone, mi
permetteva di vedere me stesso e di scoprire un volto teso,
agitato….non
impaurito, quello no, ma se la mia famiglia davvero aveva dei segreti,
che non
erano mai stati svelati, questo non prometteva bene. Mi avvicinai a
quella
immagine riflessa e guardai intensamente quegli occhi blu, che spesso
avevano
ipnotizzato molte persone vista la rara bellezza che possedevano.
Io ero sempre
stato un ragazzo semplice, non mi ero mai
soffermato all’apparenza delle cose. Odiavo la
superficialità e l’ignoranza che
ne scaturiva. Ero dell’opinione che una volta passato del
tempo, il fascino
esteriore di ognuno di noi, veniva meno e a quel punto la bellezza
interiore,
era l’unica cosa che ci rimaneva. Quando mi guardavo allo
specchio,
indubbiamente vedevo un ragazzo molto bello, non potevo dire il
contrario,
sarei stato ipocrita, ma non avevo basato la mia vita su quello. Se
solo avessi
voluto, avrei avuto tutte le ragazze che volevo, eppure….non
me ne ero mai
approfittato, perché amavo rispettare chi mi era intorno,
considerare che oltre
ai miei sentimenti, c’erano anche le emozioni e le anime
altrui.
La natura
indubbiamente mi aveva donato fascino e bellezza,
ma avevo anche coltivato la mia mente, in modo che oltre che con il
cuore,
ragionassi anche con la testa. E la mia testa, per mia fortuna o per
mia
sfortuna, non riusciva a compiere un passo senza prima averci pensato
su un
millennio.
Guardai quei
riccioli neri, quegli occhi chiari, quel fisico
statuario riflesso nello specchio trasparente e mi sembrava di chiedere
a me
stesso, cosa dovessi fare, se era
giusta
la decisione che stavo per prendere. Se il mio segreto fosse stato
scomodo,
coinvolgere qualcuno sarebbe stata una pessima idea.
Ma decisi
velocemente… La mia famiglia non poteva avere
segreti scomodi, era impossibile..
Sospirai
convincendomi del fatto che la mia immaginazione, i
miei dubbi, corressero troppo velocemente e inutilmente. Raggiunsi il
piano
superiore, mi lavai con fretta e con altrettanta velocità mi
rivestii
raggiungendo l’auto.
Quando fui in
auto, collegai il cavo dell’auricolare al
cellulare e effettuai la chiamata che mi interessava.
Dopo qualche
squillo, sentii la subito la voce di Cheve
rispondermi tranquilla. Mi rasserenai all’istante..
-Ehi
fratello…- mi dice sollevato.. –Che mi dici?! Come
mai
mi chiami…!?-
-Ti passo a
prendere Cheve…- gli dico senza dargli
spiegazioni.. –Tieniti pronto…tra poco sono
lì…-
-Toby….è
tutto ok!?- mi chiede preoccupato..
Aspetto prima di
rispondere, non so cosa dirgli. Vorrei
potergli dire che è tutto a posto e che mi sento tranquillo,
ma non è così. Se
non parlavo con qualcun rischiavo di impazzire, troppe cose
cominciavano a
diventare poco chiare e io avevo troppi dubbi per sentirmi sereno.
Avevo solo
bisogno di sentirmi dire che ero semplicemente condizionato da quello
che Cheve
mi aveva detto, ma che non avevo nessun motivo per sentirmi
così confuso.
-Io…veramente
non lo so Cheve…- gli rispondo con calma… -Ho
bisogno di parlarti, ma non per telefono, non me la sento…-
-Dove
sei…!?- mi chiede con tono apprensivo…
-Sono quasi
sotto casa tua….scendi…- gli dico
riattaccando…
Percorro ancora
qualche metro, poi, svoltando l’angolo
incontro lo sguardo di Cheve che correndo mi raggiunge, con
agilità monta sulla
jeep e io mi allontano velocemente.
-Ti sei messo n
qualche casino!?- mi chiede preoccupato…
-No…-
gli dico guardandolo profondamente… -Ti sembro il
tipo!?-
-No…-
dice lui scuotendo la testa.. –Ma è la prima volta
che
ti vedo così teso…-
-Te
l’ho detto…ti devo parlare…- gli dico
guardandolo con
tranquillità…
-Dove
andiamo…!?- mi chiede con un sorriso sornione..
-Ovvio…nel
nostro posto segreto…- gli dico io con un flebile
sorriso…
Il nostro posto
segreto… Era una piccola radura in cui una
piccola cascata, creava un
ruscello che
scorreva fino a valle alimentando il Lago Manitoba. Quel posto, ce lo
aveva
mostrato Denny, mio padre, in una delle nostre escursioni della
domenica.
Prendeva me e Cheve e ci raccontava che era importante conoscere i
luoghi che
ci circondavano, scoprendo anche i più piccoli luoghi
sperduti. Per poterne
godere, per poter passare momenti spensierati e avere un luogo tutto
nostro
come ritrovo, in modo da sentirci a casa.
Eravamo rimasti
totalmente incantati da quel luogo, sperduto
tra le montagne che circondavano Amandil e ogni volta che avevamo un
problema
serio di cui parlare, ci rifugiavamo in quella radura, sicuri che
nessuno ci
avrebbe scoperti. Era come trovarsi al centro del mondo
ma…sicuri che nessuno
ci avrebbe notati. Le montagne intorno ad Amandil, dominavano il
territorio del
Canada, alte e impetuose si inserivano in quelle pianure diventando un
centro
di attrazione, eppure, quasi nessuno si ci avventurava.
Con il mio fuori
strada, era facile arrivare abbastanza
vicini alla nostra meta. Mi avventurai in quelle stradine piccole,
sterrate e
Cheve, con aria furtiva, mi osservava di soppiatto, cercando di captare
cosa
potessi provare in quel momento. Cercando di capire cosa potesse
turbarmi.
Quando
arrivammo, lì dove la strada si interrompeva,
proseguimmo per dici minuti a piedi, senza parlare mentre con
preoccupazione a
volte toccavo la tasca, in cui conservavo quello strano amuleto.
Arrivammo a un
piccolo tunnel naturale, in cui i rami degli alberi si erano
intrecciati tra di
loro formando quel piccolo rifugio quasi del tutto buio. In fondo ad
esso una
gran luce illuminava debolmente quel piccolo tragitto e in poco tempo,
ci
trovammo in quel piccolo paradiso. Il sole si stava alzando nel cielo,
illuminando la valle sottostante, i deboli raggi del sole, scaldavano
quella
fredda mattinata mentre qualche piccola goccia della cascata
trasportata dal
vento ci fece tremare qualche istante. Cheve si era avvicinato al
piccolo
torrente, mentre aveva immerso una mano nella acque trasparenti e
gelide.
Semplicemente aspettava…cercava di lasciarmi il tempo
necessario per decidermi
a parlare.
Lo raggiunsi e
estrassi dalla tasca l’amuleto, tenendolo in
mano custodito.
-Tuo
padre….ti ha mai parlato della mia famiglia!?- gli
chiedo diretto..
-Che domanda
Toby…- mi dice sorridendo Cheve.. –Nella mia
famiglia si è sempre parlato di voi…sai quanto
mio padre volesse bene a Denny…-
-Lo
so…- gli dico io perplesso.. –Ma quello che mi
chiedo è
se ti ha mai detto di qualche strano avvenimento…o di un
segreto che mio padre
doveva custodire, ma di cui non ha mai parlato con nessuno…-
-Denny non aveva
segreti..- disse Cheve sicuro.. –o perlomeno
non ne aveva con mio padre…-
-Ci sono cose
che a volte non sai come dire…- gli dico io
evasivo.. –Non possiamo mai conoscere completamente una
persona…-
-Su questo ti do
ragione…- disse il mio amico annuendo.. –ma
insomma…stiamo parlando di tuo padre.. La persona
più trasparente che abbia mai
conosciuto!! Adahy me lo dice continuamente che Denny era speciale e
che tu sei
come lui…-
-A volte ho
l’impressione che qualcosa non torni…- dico
sedendomi accanto a lui..
-Si
può sapere che ti succede!?- mi dice lui guardandomi
deciso, mentre i suoi occhi scuri si fanno dolci..
-Ho trovato una
cosa a casa…e speravo che tu sapessi qualcosa
a cui collegarlo…- dissi aprendo la mano che nascondeva
l’amuleto…
-Cos’è!?-
mi chiede Cheve avvicinandosi a me e osservando
attentamente il talismano che ho tra le mani..
-Non lo
so…sembra quasi un talismano…- dico confuso,
senza
sapere cosa potesse farsene la mia famiglia di un amuleto..
-Questo
è un talismano Toby…- mi dice Cheve del tutto
certo..
-Era quello che
sospettavo…era troppo diverso da un normale
gioiello…- gli rispondo mentre lo osservo da
vicino… -Come fai ad essere così
sicuro che è un amuleto!?-
-Emana una
strana energia…non so come spiegarlo.. Guarda…-
mi
disse facendomi notare il liquido che si muoveva…
-è come se ogni
volta che lo muovi, si formino delle
strane onde, una strana forza.. Porta inquietudine…-
-Mi
angoscia…- dico io stringendolo tra le mani.. –Mi
porta
ansia, preoccupazione… Non capisco…-
-A chi
appartiene!? Lo hai scoperto!?- mi chiede tranquillo,
come se escludesse del tutto che potesse appartenere alla mia famiglia..
-L’ho
trovato nella cassettiera della stanza dei miei
genitori…- dico pensando che capisse…
-Sei entrato
nella stanza!?- mi chiede sorpreso…
-Si…questa
notte…- gli dico sempre più confuso..
–Non
riuscivo a dormire ed ero sempre più inquieto..
Così, frugando nei cassetti in
cerca di qualcosa che potessi portarmi dietro, nel tentativo di avere
qualcosa
di loro sempre accanto, ho trovato quello…-
Lo stringo tra
le mani, mentre quella strana sensazione di
angoscia, diventa sempre più palpabile, sempre
più evidente. Era come se in
quel talismano si nascondesse qualcosa di così penoso, che
non riuscivo a
sopportarlo. Cheve sembrava curioso, ma allo stesso tempo non capiva la
portata
della mia preoccupazione, forse perché ancora non gli avevo
detto tutto quello
che sapevo.
-Ma hai capito
di chi è o no!?- mi chiede nuovamente, questa
volta inchiodandomi con lo sguardo…
-Si che
l’ho capito…- gli dico voltandomi a guardare i
suoi
occhi scuri e lucenti.. –Appartiene alla mia famiglia
Cheve…-
Lo vedo sgranare
gli occhi, mentre leggo chiaramente dentro
di lui un momento di smarrimento, di confusione, di panico e poi la mia
stessa
espressione…l’ansia, mille domande a cui non
potevo dare risposte. Per un istante,
cerca di riprendere il controllo di se stesso, si prende le grandi mani
l’una
nell’altra e le sfrega rumorosamente. Le osserva con troppa
concentrazione per
un gesto così semplice, poi dopo qualche istante mi fa
l’unica domanda a cui
potevo dare una risposta.
-Come fai a
sapere che appartiene alla tua famiglia…?!- mi
chiede con sguardo rilassato ma allo stesso tempo pensieroso..
-Guarda…-
gli dico avvicinandomi a lui e girando l’amuleto…
-Lo vedi questo!?-
-Un pugnale con
una farfalla appoggiata…- mi dice lui
osservando attentamente l’incisione…
-Esatto…quello
è lo stemma della mia famiglia…- gli spiego
vagamente…
-Non sapevo che
avevate uno stemma…- mi dice lui sorridendo…
-Se è
per quello nemmeno io..- dico guardando Cheve con un
ghigno.. –L’ho scoperto per caso un paio di anni
fa… C’era una foto, in cui
compariva chiaramente, ma non ricordo altro.. Come in altri casi, i
miei nonni
furono evasivi.. Mi dissero solamente che quello, era lo stemma di
famiglia…-
-Abbastanza
inquietante Toby come stemma..- mi disse lui con
delicatezza…
-Un
pugnale…e una farfalla…- dico guardandolo
comprensivo..
–non è proprio il massimo…-
-Beh…se
non altro ha un certo fascino…- dice lui cercando di
sdrammatizzare...
-Cosa devo
fare?!- gli chiedo con tristezza..
-Toby…cosa
vuoi fare!?- mi dice lui mettendo una mano sulla
gamba, per confortarmi.. –Non hai nessun
elemento…è strano ovviamente, ma è
inutile tormentarsi.. Non hai nessuno che possa aiutarti a spiegare
alcune
cose…se solo ci fossero ancora Carlos e Meredith…-
-Mi devo
rassegnare ad avere domande senza risposte!?- dico
tra il convinto e il deluso…
-Io non credo che la
tua famiglia abbia segreti inconfessabili…- mi disse lui
sorridendo…
Se era per
quello nemmeno io ci credevo, sembrava davvero
assurdo che la mia semplice famiglia potesse nascondere segreti
inconfessabili.
E pensandoci bene, forse stavo solo diventando paranoico.
-Pensa Toby se
ti trovassi un cadavere in cantina…- disse lui
ridendo sonoramente.. –Finalmente le tue tristi giornate si
movimenterebbero un
pò…-
Scossi la testa
sorridendo e cercai di pensare che tutto
quello che stavo provando, quello che mi stava succedendo,
probabilmente era
dovuto al fatto che l’ultimo anno era stato infernale. Le mie
certezze, con la
morte dei miei nonni, erano crollate e ritrovarmi solo, con tutte
quelle
domande che spesso mi balenavano in testa, non era facile
perché loro erano gli
unici che potevano darmi delle risposte.
Ma anche se
dietro a questa storia ci fosse stato un qualche
mistero, non poteva essere nulla di così terribile o
inquietante. I miei
genitori erano sempre stati meravigliosi, dolci, affettuosi. Avevo un
ricordo
tenerissimo di loro.
Parlare con
Cheve mi fece sentire molto più sereno,
tranquillo. Anche lui aveva conosciuto i miei familiari e il fatto che
anche
lui la pensasse come me, mi rendeva sicuramente molto più
sicuro della mia
posizione. Rimanemmo lì ancora qualche istante, mentre la
tranquillità
finalmente si impossessava di me, di ogni centimetro del mio corpo. Mi
sdraiai
sull’erba profumata, mentre qualche piccolo fiore faceva
capolino qua e là nel
bel mezzo della radura. Presi lentamente un piccolo filo
d’erba, affilato e
mentre lo sforavo, mi procurò una leggera ferita al dito.
Subito raccolsi la
piccola goccia di sangue che si era fatta strada lungo
l’indice e l’asciugai
con un piccolo fazzoletto che avevo a portata di mano nei miei
pantaloni
mimetici.
Poi sentii
dietro di me, come un ringhio sommesso, mentre uno
frusciare di cespugli era divenuto evidente e continuo. Mi voltai
immediatamente,
mentre con fare protettivo mi parai davanti a Cheve, che guardingo mi
si era
affiancato immediatamente.
-Che
cos’è stato!?- mi
chiede guardandomi con viso grave…
-Non saprei..-
gli dico mentre con attenzione e tranquillità
mi osservo intorno.. –Ma qualsiasi cosa fosse, non era di
certo in tempo di
pace…-
-Quello
è un dato di fatto..- mi disse Cheve con aria
preoccupata..
Cercai di far
fermare quel piccolo rivolo di sangue che
tranquillo, scorreva lungo la mia mano.
Nuovamente,
sentii uno frusciare tra le piante e un ringhio
più tranquillo, ma pur sempre minaccioso. Cercai di
avvicinarmi alla fitta
vegetazione, per tentare di capirci qualcosa, mentre sentii dietro agli
alberi
qualcosa di incredibilmente veloce muoversi sinuosamente, emettendo un
piccolo
sibilo minaccioso. Sembrava quasi volermi avvisare di non avvicinarmi,
come se
cercasse di tutelarmi, altrimenti, non mi avrebbe risparmiato.
-Cheve…raggiungi
la macchina…- gli dico autoritario…
-Che cosa!?- mi
dice contrariato.. –Io non ti mollo qui…potrebbe
essere qualsiasi cosa… Un orso, un puma…-
-Non essere
stupido Cheve…- gli dico tranquillo.. –Lo sai
anche tu che sei più lento di me nella
corsa…allontanati piano piano da qui e
vai sulla jeep.. Dovrebbe esserci un fucile.. Eventualmente, se non
fossi
ancora arrivato torni indietro ad aiutarmi…-
-Vieni via con
me…- mi dice lui agitato..
-Lo sai anche tu
che è troppo rischioso…- gli dico cercando
di non gridare troppo.. –se ci mettiamo a correre entrambi la
confusione
potrebbe irritarlo ancora di più… Senti come si
sposta velocemente?! Non
possiamo rischiare…-
-Va
bene…- mi disse lui ancora poco convinto.. –ma non
ti
muovere di un millimetro Toby… Giuro che se fai qualche
cazzata te la vedrai
con me dopo!!!-
-Se sono ancora
vivo…- ironizzo io, con tono canzonatorio…
-Idiota…-
sibila lui, mentre sento i suoi passi felpati
allontanarsi con calcolata tranquillità…
Mi volto
lentamente, mentre vedo che Cheve è scomparso dalla
mia vista. I movimenti al di là della fitta vegetazione si
sono fatti meno frenetici,
ma ugualmente veloci e regolari. Aspetto solamente di confrontarmi a
viso
aperto con chi al di là della vegetazione, si muove
agitandosi, emettendo
qualche soffocato ringhio.
Mi sento
stranamente guardingo, come se tutti i miei sensi
fossero diventati talmente sensibili da percepire anche movimenti di
piccola
entità, appena percettibili. Mi sento strano, quasi euforico.
E finalmente
sento avvicinarsi a me qualcosa.
Ti sto
aspettando…
Dal buio della
foresta, qualcosa…sta prendendo forma…
|