It’s driving you mad, even if she falls in love

di Molly182
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter one | What Im dreaming of ***
Capitolo 2: *** Chapter two | Drunk ***
Capitolo 3: *** Chapter three | And every excuse I made up, 
tell you the truth I hate. ***
Capitolo 4: *** Chapter four | Tell me what you want to hear ***
Capitolo 5: *** Chapter five. | Do you feel alive?. ***
Capitolo 6: *** Chapter six | It's such a shame that we play strangers. ***
Capitolo 7: *** Chapter seven | I made a mess today but I’m alright. ***
Capitolo 8: *** Chapter eight | You should take my life, you should take my soul. ***
Capitolo 9: *** Chapter nine. | What if I be the one that takes the blame. What if I can't go on without you. ***
Capitolo 10: *** Chapter ten. | That everything you do is super fucking cute and I can’t stand it. ***
Capitolo 11: *** Chapter eleven. | Oh, calamity! ***
Capitolo 12: *** Chapter twelve | When the night will be begin, the pain it won't end even if she falls in love ***
Capitolo 13: *** Chapter thirteen | Lost ***
Capitolo 14: *** Chapter fourteen. | I always freeze when I'm thinking of words to say. ***
Capitolo 15: *** Chapter fifteen | Now we can see! What do we need? We should need nothing, nothing at all! ***



Capitolo 1
*** Chapter one | What Im dreaming of ***


N/A: Allora, inizio col dire che rileggendo alcune mie FF fatte qualche anno fa ho realizzato che facevano piuttosto schifo ma sono migliorata col tempo (?) ora fanno solo schifo! :)
Comunque tra queste c'era una storia diversa dalle solite, avevo utilizzato come protagonista Pierre Bouvier (Simple Plan) e visto che mi sembrava una buona idea ma scritta davvero da cani, mi sono detta: "Perchè non scriverne un('altra)a su Tom DeLonge?". Quindi questo è il risultato.
Siate magnanimi con me. Non scrivo da davvero troppo tempo.
Spero che vi possa piacere.
-Molly

Chapter one
What Im dreaming of

 
Fin da piccola mi piaceva guardare gli aerei volare sopra la mia testa e immaginare di essere sopra a quell’aeroplano e volare in posti sconosciuti dove avrei affrontato mille avventure diverse, come Indiana Jones.
E la cosa non è cambiata molto rispetto a quando ero ancora una bambina. Tuttora spero, desidero, di essere all'interno di uno di quei cosi con le ali e cambiare città, stato, nazione. Desideravo di poter ricominciare una nuova vita e questa volta fare le cose bene, senza troppe preoccupazioni e senza porsi troppi “e se…”.
«Peter, io me ne vado!», annunciai al ragazzo che stava dietro al bancone, in piedi davanti a me. Alzò soltanto lo sguardo senza smettere di pulire la superficie di legno.
«Torni a casa?», domandò tornando al suo straccio. «È ancora presto»
«No, Peter, io me ne vado», ripetei. «Ho deciso!»
«Lo dici almeno una volta mese, questa volta, cos’ha di diverso dalle altre?».
«Che ho deciso! Sono seria!», gli dissi catturando tutta la sua attenzione. I suoi occhi verdi, ora, erano fissi su di me e all’improvviso il tempo si fermò. In quell’istante capii che era giusto così, che era giusto andarmene. Non avevo più niente da fare qui. Mi sentivo come uno di quegli uomini che stavano passando la crisi di mezza età.
«Cassie, hai ventidue anni, dove pensi di andare?
«Da qualche parte…», sospirai iniziando a pensare a tutte le più belle città che avevo sempre desiderato di visitare. «New York, Los Angeles, Parigi, Londra o magari San Diego, me ne hanno parlato bene».
«Chi te ne ha parlato?», chiese sospettoso, rivolgendomi una strana occhiata mentre puliva un boccale vuoto.
«Gente…»
«Ma lì c’è il mare e tu odi il mare»
«Odio andare in spiaggia quando è pieno di gente, odio mettermi in costume, ma non odio il mare»..
Peter restò lì, fermo, a guardarmi senza dire una parola, come se stesse aspettando che da un momento all’altro mi sarei messa a ridere e gli avrei detto che forse sarebbe stata una pessima idea quella di andarmene e che il mio posto era qui a parlare con lui come ogni sera ma questa volta non sarebbe successo e se ne stava rendendo conto anche lui.
«San Diego…», disse assorto nei suoi pensieri.
«San Diego!», ripetei io convinta.
«In California…»
«Sempre che non l’abbiano spostata nell’ultima mezz’ora»..
«Ne sei proprio, ma proprio, sicura?»
«Non è poi così lontano dal Maryland», scherzai ma a quanto pare a Peter non era arrivato il tono ironico della mia frase. «Stavo scherzando», aggiunsi come risposta al suo sguardo da omicida.
«Non ci vedo nulla di divertente Cass, te ne vai dall’altra parte dell’America e tu scherzi mentre il mio povero cuoricino si spezza in mille pezzi per la tua insensibilità!», disse assumendo un finto broncio che non gli si addiceva molto, ma aveva la capacità di farti ridere all’istante. Lui era così! Cercava di sdrammatizzare i momenti più seri. Non avevo mai conosciuto nessuno più buffo e immaturo di lui.
Mi sarebbe mancato, certo, ma restare a Baltimora avrebbe significato sprecare parecchi anni della mia vita a non produrre niente di quello che mi ero promessa appena finita l’high-school. Volevo un lavoro che mi soddisfacesse anziché di quello che mi faceva tornare a casa che puzzavo di birra e di fumo. Volevo una bella casa con un’enorme finestra che potevo aprire ogni mattina e ammirare il paesaggio che si estendeva fuori anziché di un appartamento condiviso con un coinquilino che era sia il tuo migliore amico, sia uno dei baristi del locale dove lavoravi. Volevo poter avere un gatto e non un serpente come animale domestico.
Volevo molte cose per essere una ragazza di ventidue anni, ma non mi sarei arresa finché non le avrei ottenute. Erano una parte degli obiettivi che mi ero imposta di compiere prima che avessi raggiunto i trent’anni. Certo, c’era ancora tempo, eppure a me sembrava che scorresse così velocemente e che non mi rendessi conto di quante opportunità mi stessi perdendo.
I miei genitori mi erano sempre stati vicini, sostenendo le mie decisioni, nonostante fossero separati da diversi anni, eppure erano sempre presente nei momenti più importanti della mia vita: i miei compleanni, il diploma, il ballo (a cui mi obbligarono ad andare) dei diplomati, …. Eppure, sapevo che li avrei lasciati in questa città nel giro di qualche settimana, così come avrei lasciato Peter, ma per quanto potessi apparire insensibile, sapevo per certo che una nuova città avrebbe di sicuro fatto la differenza.

 

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Capitolo 2
*** Chapter two | Drunk ***


Chapter two
Drunk
 
Erano passati due mesi da quando ero atterrata a San Diego e avevo abbandonato la mia vecchia vita. Certo, non l’avevo completamente abbandonata, ma cercavo di tenerla nell’angolo più remoto della mia mente convincendomi che quello che avevo fatto era giusto e che le persone care che erano a Baltimora stavano bene. Non dovevo lasciarmi influenzare dalle mie emozioni deboli e dal fatto di non essere mai stata così tanto tempo lontano da casa. Però questo voleva dire crescere ed è uno dei migliori modi che abbia scelto, anche se implicava ritrovarsi a lavorare di nuovo in un bar a parecchi chilometri da Baltimora.
«Cassie mi serve una mano, il tuo amico è tornato di nuovo e ha intenzione di guidare fino a casa», disse la ragazza posando dei bicchieri nel lavandino dietro al bancone.
«Grazie Sarah», la ringrazia togliendomi il grembiule e appendendolo a un gancio. «Ora ci penso io». Mi avvicinai a lui. La sua testa era nascosta tra le braccia e i suoi lunghi capelli castani, nascosti da un berretto con un’enorme visiera, toccavano il piano del bancone e li sfioravano le braccia. Sembrava come se si fosse addormentato, ma non era così. Sapevo per certo che stava cercando di nascondere qualcosa che noi non potevamo vedere, qualcosa che era solo nella sua mente e che lottava contro di lui. «Ehi…», dissi posando una mano sulla sua spalla. «Matthew, è ora di tornare a casa», lui alzò leggermente la testa e si appoggiò di nuovo sulle sue braccia tenendo il viso voltato verso di me.
«Sarah non mi lascia andare», biascicò. I suoi occhi castani si chiusero di nuovo. Sembrava un bambino nonostante fosse grande e grosso.
«E sai perché?», gli domandai. «Perché hai bevuto ancora e sono le tre del mattino, non posso farti guidare fino a casa tua in queste condizioni. Saresti un pericolo più per gli altri se non per te stesso. Ora dammi le chiavi dell’auto», gli dissi tenendo la mano tesa verso di lui.
In un primo momento sembrava confuso, ma poi s’infilò la mano nella tasca dei jeans e prese, con fatica, le chiavi della macchina e me le porse.
«Aspettami qui, vado a chiamare un taxi»
«N-no…», disse posando una mano sul mio braccio. «N-niente tassì. Mark!»
«Come?», chiesi non capendo quello che aveva detto.
«Ma-mark. Chiama Mark, lui può venirmi a prendere», spiegò porgendomi il suo telefono. «È-è tra le ultime chiamate»
Guardai il ragazzo accasciato sullo sgabello e poi il cellulare che mi aveva dato, dovevo fare come mi aveva chiesto, così chiamai il suo amico. Dopo diversi squilli rispose una voce piuttosto assopita. «Tom, ma che cazzo!», farfuglio con la voce impastata dal sonno.
«Salve, sono Cassie, l’ho chiamata a causa di Matthew…»
«Ha combinato qualcosa?», chiese il ragazzo dall’altra parte della chiamata più attento di prima.
«No, non esattamente. Ha solo bevuto un po’ troppo e mi ha chiesto di chiamare lei»
«Certo, certo», disse questa volta più rilassato. «Beh, arrivo subito, grazie. Dove, beh, dove posso venirlo a prendere?»
«Al “The Space” sulla…»
«Sì, sì, so dove si trova, grazie mille», si affrettò a dire riattaccando la chiamata.
«Sai che non è carino far scomodare la gente a tarda notte?», domandai al ragazzo seduto davanti a me, porgendogli il suo telefonino. «Il tuo amico sembrava preoccupato»
«Mark s-si preoccupa s-sempre t-troppo»
Fu una questione di pochi minuti che il ragazzo con cui avevo parlato prima si presentasse nel bar indossando un jeans e una maglietta, probabilmente presi a caso, e con i capelli più scompigliati che avessi mai visto in vita mia.
Si precipitò da noi scuotendo la testa e passandosi poi una mano tra i capelli arruffati.
«Mi scuso per il disturbo, ma ultimamente lui…», iniziò a dire, ma lasciò la frase a metà, senza concludere cosa affliggesse il suo amico. «Grazie ancora per avermi chiamato»
«Non si preoccupi, volevo chiamare un taxi ma ha insistito per lei».
«Immaginavo, ora ci penso io, grazie ancora per… essersi presa cura di lui».
Il ragazzo si avvicinò all’amico e gli posò un braccio attorno alle spalle come per sorreggerlo. Avvicinò la sua testa a quella dell’altro e gli sussurrò qualcosa che non riuscì a capire. Matthew scosse la testa.
«…di nuovo lei? Devi sistemare questa cosa!», disse il moro.
«Io… p-posso restare da t-te?»
«Andiamo Tom, Skye ha già preparato il divano»
«Gr-grazie», rispose l’altro alzandosi dallo sgabello e sorreggendosi all’amico. Nonostante Matthew fosse più alto di Mark, questo riuscì a sorreggerlo piuttosto bene, come se facesse ciò da sempre.
«Grazie ancora Cassie, ci vediamo… spero in una situazione migliore».

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Capitolo 3
*** Chapter three | And every excuse I made up, 
tell you the truth I hate. ***


Chapter three.
And every excuse I made up, 
tell you the truth I hate.
 
Thomas P.O.V
La luce era troppo forte per i miei deboli occhi che si erano abituati così bene al buio della stanza.
Le pareti bianche, le grandi finestre che davano sul giardino verde, il grande televisore con tutti quegli aggeggi tecnologici che servivano per giocare. Mi bastò poco per capire che ero disteso sul divano di Mark.
«Ben svegliato», disse una voce fin troppo angelica porgendomi un enorme bicchiere che conteneva un liquido arancione quando mi sedetti su uno sgabello della penisola. «Succo d’arancia», rispose allungandomi, poi, una confezione di aspirine.
«Finalmente ti sei svegliato!», ribadì una seconda voce, il cui proprietario si buttò sul divano e accese la tv e prese un joystick bianco che era appoggiato su un tavolino lì vicino. «La principessa non si sarebbe salvata da sola!»
«Grazie Skye», dissi cercando di ignorare il frastuono che proveniva dal televisore e concentrandomi su quello che era accaduto la sera prima.
Non potevo continuare in questo modo. Era estenuante ed io mi stavo lacerando dentro, il mio cuore, le mie viscere, il mio fegato. Tutto sarebbe stato distrutto.
«Mark!», lo richiamò sua moglie. «Potresti essere meno sgarbato, spegnere il televisore e spostare il tuo flaccido sedere qui?».
«Il mio sedere non è flaccido!».
«Ma potrebbe diventarlo subito se non lo porti immediatamente qui!», lo minacciò lei, portandosi le mani sui fianchi. «Tom ha bisogno di te!».
«Skye, non ti preoccupare…», le dissi portandomi le dita sulle tempie e massaggiandomele.
«Si invece!», ribadì lei. «Tom, ormai sono anni che ci conosciamo e so per certo quando hai bisogno di qualcuno e quando hai bisogno di Mark, e questo è uno di quei momenti. Potrei stare qui delle ore cercando di farti parlare, ma so che non otterrei nulla», disse posando una sua morbida mano sulla mia guancia. «Sai che ti voglio bene, e voglio bene anche a lei quindi non mi schiererò con nessuno, ma devi risolvere questa faccenda. Non puoi continuare così. Ti farai male».
«Skye ha ragione, Tom!», aggiunge Mark alzandosi dal divano e facendosi cadere sullo sgabello di fianco al mio. «Che cosa stai cercando di dimostrare?», chiese.
«Vado a fare delle commissioni», s’intromise lei prendendo la borsa e scomparendo nel corridoio. «Ci vediamo dopo».
«Tom!», mi richiamò lui facendomi alzare gli occhi e costringendomi a guardare i suoi azzurri. «Che cosa stai cercando di fare? Vuoi distruggerti? È davvero quello che vuoi?». Non risposi. Mi limitai solo a riabbassare lo sguardo verso il bicchiere che tenevo tra le mani. «È una cosa seria, non voglio vederti star male e non voglio vederti andare in mille pezzi, amico», aggiunse. «Ti prego, stai attento».
Mark aveva ragione. Stavo rendendo la mia vita una scena del crimine. Non potevo continuare così. Cazzo! Avevo trentadue anni, non ero più un ragazzino. Ero soltanto uno sciocco che cercava di nascondere qualcosa che lo stava uccidendo. C’erano alcune verità che facevano male da confessare. Alcune parole difficili da dire. Eppure avrebbero risolto tutti quei problemi che mi riempivano la mente e che cercavo di soffocare con l’alcool ogni sera.
«Dimmi a cosa stai pensando?».
«Dovrei lasciare Jennifer».
«Cosa?».
«Non è quello che mi state dicendo tutti?».
«No, cioè… aspetta Tom, prima di fare qualche cazzata non è meglio se ci rifletti bene? Prendere una decisione simile è azzardato. Vorresti mettere a rischio tutta la tua relazione? Tutti quegli anni passati insieme?».
«Lo hai detto: “Tutti quegli anni…”», gli feci notare. «Troppi anni! Non sono capace di stare così tanto tempo con una persona!».
«Thomas ti sei completamente bevuto il cervello oltre a una tonnellata di birra?», disse lui colpendomi sul braccio. «A volte mi chiedo se sei scemo di natura o lo fai apposta!», continuò scuotendo la testa. «Se ti devi lasciare con qualcuno, è per motivi seri e no perché non sei capace di stare con una persona per tanto tempo!».
«Io non la amo più, ok?», esplosi. «Non c’è bisogno di stare qui a farmi la paternale, Mark. So come funzionano queste cose, ma ormai è da un po’ che tra me e lei non funziona. È perennemente arrabbiata, se la prendere per ogni minima cosa che faccio. È isterica. Ho come la sensazione che potrebbe strozzarmi una notte di queste».
«Tom, non stai…».
«Non sto esagerando!», lo anticipai. «È la verità!».
«Però non puoi ridurti così per questo, prova a parlare, andate da qualcuno…».
«Non penso che funzionerebbe, cioè non per me… non è più amore quello che sento».
Per quanto fosse difficile da ammettere e soprattutto da dire, era la semplice verità. Continuare una falsa non era giusto nei confronti di nessuno, soprattutto non era giusto nei suoi confronti. Non le avrei fatto più perdere tempo dietro a uno sciocco come me. Non avrei più perso tempo fingendo che andava tutto bene. Non avrei più perso tempo cercando di far funzionare il nostro rapporto. Avrei dovuto porre dei cambiamenti. Forse dovevo solo innamorarmi di nuovo.
«E cos’è che senti?».
«Il nulla… torno a casa solo per abitudine».


N/A: Grazie per le recenioni e anche per chi ha solo letto questa FF. Prometto che nei prossimi capitoli ci sarà una svolta, scusate i momenti piatti e forse un po' noiosi di questi tre capitoli.
Alla prossima :)
-Molly

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Capitolo 4
*** Chapter four | Tell me what you want to hear ***


Chapter four.
Tell me what you want to hear.
 
«Ehi Cass, guarda chi è tornato!», disse Sarah indicando con la testa l’entrata. «O il tuo amico ha una cotta per te o sta cercando di diventare un alcolizzato!».
«Non è un mio amico… è un cliente».
«Però ci passi molto tempo a parlare».
«Non così tanto», provai a giustificarmi.
«Beh, ora possiamo cronometrare», disse ridendo e guardando l’orologio. Scossi la testa sorridendole. «Tutto tuo», mimò con le labbra mentre mi avvicinavo al ragazzo.
Sembrava diverso dal solito, un’aria più tranquilla, ma c’era sempre quella fiamma, quel demone, che alleggiava nelle sue pupille che sembrava non voler scomparire.
«Ehi, ciao», dissi avvicinandomi al ragazzo che era già seduto al solito sgabello. «Il solito?». Il ragazzo annuì e gli porsi l’abituale bottiglia di birra. Una delle tante.
«Ti autorizzo a picchiarmi o a legarmi da qualche parte se dovessi di nuovo ubriacarmi come ieri sera», dichiarò dopo aver bevuto un lungo sorso di quel nettare d’orato.
«Penso che…», iniziai a dire, ma mi precedette bloccando la mia frase a metà.
«Dico sul serio. È stato da stupidi e probabilmente umiliante…», affermò. «Soprattutto per uno della mia età, non sono più uno stupido ragazzino che può permettersi stronzate del genere», disse questa volta con un leggero tono d’ironia, non facendo mancare un sorriso, come se gli fosse venuto in mente un vecchio ricordo che lo divertiva particolarmente. «Comunque mi dispiace davvero per il mio comportamento».
«Non ti preoccupare, sono cose che capitano continuamente».
«Ti capita spesso di dover accudire un uomo che non conosci e di chiamare un taxi per lui?».
«Onestamente, mai…».
«Appunto, ma comunque grazie mille Cassie».
«Figurati…».
«Comunque io sono Tom».
«Pensavo che ti chiamassi Matthew».
«Thomas Matthew DeLonge Jr.», disse con un’alzata di spalle e ponendo l’accento su quel soprannome. «Matthew è il mio secondo nome».
«Ed è tua abitudine mentire a riguardo?».
«Solo quando non voglio far sapere chi sono».
«E chi dovresti essere?», domandai catturata dalla risposta che mi aveva appena dato. «Hai per caso problemi con la legge o sei ricercato?».
«No, no, niente del genere…».
«Allora sei un agente segreto?», scherzai.
«Ti pare che possa essere una spia?»
«In effetti… allora dimmi, mi arrendo», dichiarai incrociando le braccia al petto.
«Non adesso, non stasera».
«E quando?».
«Facciamo un gioco!», disse unendo le mani davanti al suo volto e poggiando i gomiti sul bancone. Un sorriso complice e i suoi occhi castani inchiodati ai miei non mi aiutavano a renderlo meno seducente.
«Del tipo?».
«Avrai ogni sera una sola possibilità d’indovinare».
«Penso che questo gioco durerà in eterno». Thomas sorrise di nuovo e inclinò la bottiglia verso di me come se volesse dire “ti metto alla prova”. Guardai Sarah che stava portando tre boccali di birra a dei clienti che erano appena entrati. Mi ricambiò lo sguardo e mi oltrepassò. «Forse dovrei darle una mano», dissi non smettendo di guardarla mentre su un vassoio stava portando due bottiglie di birra e delle patatine verso di noi.
«Tranquilla, non c’è tanta gente», disse passandomi dietro. «Puoi restare a parlare ancora un po’ con il tuo amico», disse e lessi sulle sue labbra la parola “carino” prima che quelle lettere fossero sostituite da un sorriso e da un occhiolino. Avrei voluto seppellirmi. E se ancora non lo avevo fatto per il comportamento di Sarah, di sicuro, lo avrei fatto nel giro dei successivi tre secondi quando notai un altro tipo di sorriso sulle labbra del ragazzo. L’angolo destro alzato, i denti perfettamente bianchi, il segno sulla bocca dove qualche anno prima c’era stato probabilmente uno di quei piercing, lo rendevano particolarmente attraente. A tutto questo si univa il cappello con la visiera che gli metteva in ombra metà volto e i capelli che gli ricadevano disordinati che mi spingevano a desiderare di sapere di più su di lui.
La mia era una sorta d’infatuazione puramente estetica. Probabilmente quel ragazzo era la persona più odiosa e insopportabile che esistesse sulla faccia della terra ed io non mi sarei fatta abbindolare solo da un bel sorriso.
«Dovrei and…»
«Aspetta!», disse interrompendomi. «Senti, a che ora stacchi?».
«Cosa?».
«A che ora smetti di lavorare?», domandò. «Ti andrebbe di andare a bere qualcosa?».
«Lo sai che sei in un bar?».
«Ok, forse non proprio andare a bere qualcosa…»
«Non saprei… non penso che sia…».
«Un caffè?», propose.
«Finisco di lavorare all’una, non pensi che sia tardi per un caffè?».
«Forse hai ragione, ma potrei riaccompagnarti a casa».
«Vado a piedi».
«Non è pericoloso?».
«Non abito lontano».
«Meglio così!».
«Non ti arrendi vero?».
«Potrei continuare per tutta la sera», dichiarò molto soddisfatto. «Beh, almeno per un’altra oretta, finché non smetti di lavorare».
«Si è fatta già mezzanotte?», dissi più a me stessa che a lui, guardando l’orologio che stava alle mie spalle. «Resti qui, quindi?».
«Da qui non mi muovo, anzi potresti portarmi un’altra birra prima?».

N/A: Lo so, è un po' corto, ma manca poco all' "azione".
Comunque volevo ringraziare staywith_me
 che non manca a recensire i capitoli. Grazie mille :)
-Molly

 

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Capitolo 5
*** Chapter five. | Do you feel alive?. ***


Chapter five.
Do you feel alive?
 
Thomas P.O.V
Una cosa era certa: questa ragazza non doveva essere in macchina con me.
Non perché non dovessi dare dei passaggi a delle ipotetiche amiche, ma le mie intenzioni erano totalmente diverse da quelle che i miei gesti cercavano di suggerirle e osservarla mentre distrattamente guardava fuori dal finestrino le vie che scorrevano, non mi aiutavano a rimanere concentrato sul mio obiettivo. Speravo di raggiungere l’indirizzo che mi aveva dato prima che iniziassero a spuntarmi pensieri malati su quanto fosse carina, simpatica e così dannatamente giovane per me.
Il suo volto riflesso sul finestrino era perfettamente tracciato e mostrava ogni minimo particolare come il suo sguardo che la faceva apparire come se fosse lontana mille miglia e sembrava così assolutamente innocente.
E in quell’istante capii che non potevo farlo. Non era giusto né nei suoi confronti e tanto meno in quelli di Jennifer. Dopotutto non avevo ancora chiarito con lei e per il bene di entrambi dovevamo fare al più presto una bella chiacchierata.
«Tutto okay?», le domandai parcheggiando poco più avanti di un cancello di ferro, probabilmente una delle entrate del residence.
«Cosa?»
«Tutto apposto?», le domandai di nuovo. «Sembri distaccata…»
«Sono solo un po’ stanca, scusa.»
«Figurati», dissi spegnendo la macchina.
«Grazie per il passaggio», asserì slacciandosi la cintura di sicurezza e portando poi la mano alla maniglia per aprire la portiera ma lasciò il gesto sospeso a causa del mio monologo che venne in seguito.
«Non mi sembri molto in vena di parlare, presumibilmente è colpa mia che ho il vizio di attaccare subito bottone con le persone e tu probabilmente non hai voglia di stare qui con me quindi forse è meglio se sto zitto e ti lascio andare», dichiarai quasi tutto di un fiato, pentendomi di quello che avevo appena detto. Non avevo la minima voglia di tornare a casa e affrontare il medesimo interrogatorio di Jennifer. Sarebbe stato più facile presentarsi quando lei fosse già a letto addormentata.
Eppure il sorriso che mi rivolse dopo mi fece dimenticare tutto quello che avevo appena detto e senza che me ne resi conto la mia voce disse: «Posso salire?»
Quello che accadde dopo non me lo sarei mai aspettato.
Non era esattamente il comportamento che mi ero promesso all’inizio, tantomeno l’idea di lasciarla perdere del tutto. Mi ritrovai seduto sullo sgabello davanti al piano che divideva la cucina dal soggiorno a fissarla mentre preparava il caffè.
«Perché non mi hai mai detto che il tuo vero nome è Thomas?»
«Perché non me l'hai mai chiesto…»
«Spiegami perché avrei mai dovuto chiederti se quello fosse il tuo vero nome?»
«Perché pensavo che mi avessi riconosciuto.»
«È piuttosto difficile vedere chi ho davanti, sai?», mi disse mentre stava riempendo due tazze di caffè caldo. «Soprattutto se il locale ha luci basse e quello che mi sta davanti ha un maledetto cappello che gli copre metà volto.»
«Hai ragione», le dissi ridendo e appoggiando il cappello sul ripiano.
«Quindi non ti arrenderai sul dirmi la tua vera identità?»
«Potrei rivelarti chi sono, ma poi non avremmo più niente da dirci.»
«Quindi ti presenterai ogni sera al locale?»
«Se vuol dire vederti e parlare con te, beh, si», dissi sorridendole. Abbassò lo sguardo e notai un lieve rossore sulle sue guance. Era da tempo che non vedevo qualcuno arrossire per così poco. «Posso farti una domanda personale?», le domandai facendole alzare gli occhi e costringendola a guardare i miei. «Quanti anni hai?», le chiesi senza aspettare un suo consenso.
«Ventidue.»
«Sul serio?», dissi passandomi una mano tra i capelli. Erano molti di meno di quelli che mi ero immaginato. Mi ricordai che non dovevo essere lì, che dovevo essere a casa da quella che in un futuro sarebbe diventata mia moglie e non a casa di una ragazza di ventidue anni che non aveva la minima idea di chi io fossi e di cosa fossi capace di fare.
Era tutto terribilmente sbagliato. Eppure, tecnicamente, non stavo facendo nulla di male.
«Sei piuttosto giovane», osservai.
«Tu invece dovresti averne… ventisette?»
«Trentadue.»
«Sei un vecchietto!», scherzò ridendo e portandosi poi la tazza alle labbra.
E capii in quell’istante che non era importante l’età, il sesso, la razza o la bellezza di una persona ma bensì il trovarsi bene con essa. E nonostante io la conoscessi da tre settimane e che il nostro primo vero discorso lo avessimo fatto qualche ora fa, mi trovavo perfettamente a mio agio con questa sconosciuta. Sentivo di poter essere rilassato e che non dovevo misurare ogni parola che dicevo per non far arrabbiare chi le ascoltasse.
Mi sentivo decisamente più libero.
Osservai Cassie. Osservai come si muoveva con disinvoltura. Osservai come si sedette sul piano al lato della mia tazza e di come allontanò la sua dalle labbra.
Istintivamente mi alzai dal mio posto e poggiai le mani ai lati dei suoi fianchi e bastò qualche secondo, il tanto da creare quel momento così strano prima del bacio dove gli occhi continuano a fissarsi ed entrambi sapete che cosa sta per succedere, ma nessuno dei due vuole fare la prima mossa perché teme che l’altro non voglia. Eppure quell’intesa che si crea dovrebbe bastare ad afferrarla e a spingere le proprie labbra sulle sue perché, infondo, sapete entrambi che deve andare esattamente così. Sapete che è giusto ed è quello che volete tutti e due.
Le afferrai la mano e la tirai a me. Le sue labbra erano saldamente serrate, pronte per iniziare, così la baciai per primo.
La baciai.
La baciai di nuovo.
Feci scivolare le mie mani una tra i suoi capelli e l’altra dietro al collo così da non dovermi separare da lei.
Fu un tremendo errore e me ne accorsi soltanto quando mi allontanai da lei, ma il suo sorriso imbarazzato sapeva di gran lunga quello che stavo pensando.
«Non avremmo dovuto, vero?», domandò scendendo dal piano e posando le sue delicate mani sul mio petto facendosi spazio.
«Sono un musicista», dissi di colpo senza rendermene conto. «Suono in una band da parecchi anni, in effetti, è strano che tu non ci conosca, siamo piuttosto famosi nel mondo e soprattutto qui in California», continuai a dire senza fermarmi. «Anche il ragazzo che è venuto a prendermi l’altra sera, Mark, è nella band, lui suona il basso e canta e anch’io canto, ma suono la chitarra…»
«Perché mi stai dicendo tutto questo?»
«Perché quando vado in panico inizio a parlare e a farneticare di cose stupide e che non interessano a nessuno e mi sento così stupido, dannazione!»
«Quindi ora che mi hai detto ciò non verrai più al locale?»
«Non dovrei neanche essere qui stasera», dissi passandomi nervosamente una mano tra i capelli e scompigliandomeli tutti.
«Si è fatto piuttosto tardi.»
«Non è poi così tardi.»
«Invece dovresti tornare a casa…», disse prendendo le due tazze di caffè e posandole nel lavandino. Non sembrava né arrabbiata né delusa. Potevo immaginare cosa pensasse: perché mi ero comportato così, perché avevo iniziato a parlare di cose inutili, perché ero ancora qui a fissarla e non ero sparito come avrei dovuto fare….
Una parte di me voleva restare lì, con lei, anche a non fare niente, ma l’altra parte di me, quella più razionale, che dovrei ascoltare più spesso, mi diceva di tornare casa da Jennifer e di dimenticarmi di quella ragazza.
E per una volta gli diedi ascolto.
«Buonanotte Cassie.»
«Notte Thomas.»

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Capitolo 6
*** Chapter six | It's such a shame that we play strangers. ***


Chapter six.
It's such a shame that we play strangers.
 
Il giorno dopo fu come se non fosse successo proprio niente. O almeno io cercavo di non pensarci e di non dargli più importanza del dovuto. Infondo baciare qualcuno non è mai un male. Sono cose che capitano continuamente e il fatto che lui si sia allontanato all’improvviso non significava esattamente che avessi fatto qualcosa di sbagliato, ma non dovevo pensarci più. Dovevo smettere di crogiolarmi nei miei pensieri. Dovevo alzarmi dal letto e iniziare una nuova giornata dove sarei stata piuttosto occupata con il lavoro e non avrei avuto tempo per pensare all’accaduto.
Eppure quel ragazzo non riusciva a sparire dai miei pensieri.
Non riuscivo neanche a dimenticarmi una delle tante frasi che aveva detto: “Non dovrei neanche essere qui stasera”. Allora perché aveva fatto la cazzata di non dare retta al suo cervello e di chiedermi di salire se probabilmente aveva già qualcuno nella sua vita?
«Allora?», disse una voce che ormai avevo iniziato a riconoscere fin troppo bene. «Com’è andata ieri sera?»
«Nulla da raccontare…»
«Non ci credo, un ragazzo del genere non è un tipo da non fare nulla», disse ridendo mentre puliva il bancone. Le sedevo davanti mentre riempivo distrattamente i portatovaglioli.
«Infatti mi ha chiesto di salire in casa, gli ho offerto una tazza di caffè e mi ha baciato»
«Questo non spiega esattamente il significato di “niente”.»
«Finché lui non si è staccato da me e ha iniziato a farneticare sul fatto che fosse in una band e che non doveva essere lì.»
«Quindi non lo rivedrai?»
«Non penso che si presenterà di nuovo al locale»
«Peccato…»
«Mi aveva detto che si chiamava Matthew, ma indovina un po’!», le dissi. «Il suo vero nome è Thomas Matthew qualcosa… forse è meglio davvero che non perda tempo dietro qualcuno del genere, immagino che abbia già una fidanzata o qualcosa del genere… e poi è notevolmente più grande di me…».
«Dai non restarci male…», mi consolò porgendomi un bicchiere di birra e servendo dei clienti al bancone. Il locale si stava riempiendo, come ogni sabato sera.
«Ma non sono né arrabbiata né ci sono rimasta male, cioè non so neanch’io il perché mi senta così strana, solo che boh… forse penso che sia il primo ragazzo di San Diego che m’interessasse…», dissi bevendo poi un sorso.
«Aspetta un attimo!», dichiarò. «Hai detto che si chiama Thomas e che è in una band, è più grande di te e che naturalmente al momento è a San Diego… davvero non ti viene in mente chi lui sia?», mi chiese come se la risposta che dovessi dargli fosse la più scontata del mondo. «Come ho fatto a non accorgermene subito!»
«Di cosa stai parlando?»
«Ti ha per caso detto che ha una band piuttosto famosa?», annuii. «Allora mi sembra strano che tu non abbia mai sentito parlare dei Blink-182»
«Sì, ma non mi sono mai soffermata più di tanto su di loro, solo qualche vecchia canzone, non capisco cosa…», lasciai la frase a metà appena Sarah mi mostrò una foto di Thomas sul suo cellulare. «Ah!»
«Complimenti! Hai baciato una rockstar!»
«Penso che abbia una ragazza»
«Direi di si… si chiama Jennifer Jenkins», dichiarò. «È una ex compagna di università di mia sorella, odiosa…»
«Tanto non lo vedrò mai più», dichiarai alzando le spalle cercando di non darci toppo peso.
«Non ne sarei così sicura…», disse facendo con la testa un cenno che indicava verso la porta. Un ragazzo piuttosto alto stava entrando e si stava avvicinando a noi.
«Ehi…», disse sedendosi al solito posto. Mi alzai dal mio e andai dietro al bancone. Era stato come una doccia fredda. Non mi sarei mai aspettato che avesse avuto il coraggio di presentarsi di nuovo al bar nonostante la strana tensione della sera prima.
«È meglio se porto questi ai tavoli…», dichiarò Sarah mettendo dei portatovaglioli su un vassoio e allontanandosi da noi.
«Ti do il solito?», gli chiesi riempendo dei boccali di birra per due clienti che stavano aspettando di essere serviti di fianco a lui.
«Volevo parlarti di ieri»
«Thomas, sto lavorando…»
«Due minuti!»
«È sabato sera, pensi davvero che abbia due minuti da perdere a chiacchierare di te che hai fatto un errore e che non vuoi ferirmi e altre stronzate simili?», dichiarai porgendo i due bicchieri a quegli uomini e prendendo i loro soldi. «Un attimo che vi porto il resto»
«Tieni la mancia», disse uno dei due per poi allontanandosi insieme all’amico alla ricerca di un tavolo.
«Allora ti do una mano!»
«Non dire stupidaggini, non puoi venire dietro al bancone!», troppo tardi. Il ragazzo era già al mio fianco che stava riempendo quattro bicchieri di vodka alla pesca per delle ragazze che sembravano piuttosto felici di essere servite finalmente da un bel ragazzo.
«Mi posso occupare di birra e di drink semplici, ma se mi chiedono qualche strano cocktail, ci pensi tu!», disse ritirando i soldi dalla bambolina bionda che cercava di catturare la sua attenzione porgendogli probabilmente un numero di telefono.
«Thomas, non ho intenzione di farti restare qui dietro, tantomeno di discutere di ieri sera», sostenni. «Non è successo niente, capita, non sono né arrabbiata né inizierò a piangere pensando che tutti gli uomini sono degli stronzi. Non ti devi preoccupare eccetto il fatto di toglierti dai piedi prima di farmi licenziare!»
«Fidati, non ti farò licenziare!”
Furono le ultime parole famose che sentii uscire dalla sua bocca dopo che sparì a servire dei clienti al lato opposto del mio.
Non so perché si comportava così, non riuscivo a capire cosa volesse dimostrare e il semplice fatto che non mi avesse ascoltato significava che avevo a che fare con una persona di cui non mi sarei liberata facilmente.
 
“Cassie! Ora possiamo parlare?», disse il ragazzo oltrepassando il bancone e tornando a sedersi davanti a esso.  «Ormai il locale sta chiudendo e i clienti se ne stanno andando».
«È davvero così importante?»
«Volevo solo spiegarti…»
«Sono quasi le tre del mattino, tutto quello che voglio fare ora è tornarmene a casa e mettermi a letto».
«Posso almeno accompagnarti?»
«Per fare lo stesso errore?», gli dissi guardandolo negli occhi. «Non è quello che vuoi!»
«Non sai cosa voglio!»
«Ma so che non dovresti essere qui a perdere il tuo tempo con me!».
«Cassie!»
«Senti, se ti dico di sì, mi lascerai in pace?».
«Almeno per una buona parte della tua esistenza», disse sorridendo e stupidamente mi lasciai abbindolare da quella perfetta linea curva che compariva ogni volta sul suo bel faccino.
«Allora andiamo!», annunciai uscendo da dietro al bancone e prendendo la mia borsa.

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Capitolo 7
*** Chapter seven | I made a mess today but I’m alright. ***


Chapter seven.
I made a mess today but I’m alright.
 
«Bene!», dissi sedendomi in auto. «Siccome avevi così tanta voglia di parlarmi, avanti…».
«Mi dispiace»
«Per cosa? Per avermi baciato o per esserti improvvisato barista?»
«Per tutto», sospirò.
«Thomas, non ti devi preoccupare, davvero», gli dissi cercando di chiudere per sempre questa storia. «So che sei già fidanzato e se temi che lo vada a raccontare in giro ti sbagli, non ho il diritto di incasinare la tua carriera musicale».
Non rispose subito. Si limitò a sorridere semplicemente continuando a guardare la strada davanti a sé. «Non è solo la faccenda dei media…»
«Non ti devi preoccupare neppure che Jasmine lo venga a scoprire».
«Jennifer»
«Come?»
«Lei si chiama Jennifer»
«Sì, giusto… beh non è successo niente tra di noi quindi non c’è nulla di cui preoccuparsi, si è semplicemente trattato di un bacio di poco valore», dissi slacciandomi la cintura. «Grazie per il passaggio, ci vediamo!»
«Cassie…», mi voltai a guardarlo curiosa di cosa lo tormentasse ancora.
«Cosa c’è?»
«Mi offri un caffè?», disse portando i suoi occhi oltre il parabrezza.
«Davvero?»
«Ho solo bisogno di parlare un po’ con te e non ho voglia di tornare a casa»
«Mi spiegherai in modo definitivo cos’è che ti tormenta?»
«Penso che mi farebbe bene»
«Andiamo…», proferii alla fine aprendo la portiera e frugando nella borsa alla ricerca delle chiavi. Oltrepassammo il portoncino di ferro battuto e attraversammo la piazzola con la fontana. In lontananza si sentiva qualche schiamazzo di ragazzi che si tuffavano nella piscina scoperta del residence. Il bello di San Diego era esattamente il clima. Potevi farti un bagno in piscina alle tre di notte e non avere il minimo freddo. Attraversammo il cortile fino ai primi edifici con le abitazioni e salimmo i cinque gradini prima di entrare all’interno degli appartamenti.
«Forse prendere un caffè adesso non è esattamente la migliore delle idee, sempre che tu voglia passare la notte in bianco», gli dissi andando verso i fornelli. Mi seguì e si sedette sullo sgabello che aveva occupato la sera prima, con le braccia appoggiate al piano e non distogliendo lo sguardo da me.
«Hai una birra?»
«Ecco…», gli porsi una bottiglia dal vetro color ocra, appena stappata, e ne presi una anch’io. «Eccoci qui… quindi…», esitai. «Di cosa volevi parlare?»
«Come hai saputo di Jennifer?»
«Ho i miei informatori…», scherzai. «A quanto pare la sorella maggiore di Sarah è andata alla stessa università della tua ragazza…»
«Capisco…», disse facendo cadere il silenzio tra di noi. «Non avrei dovuto baciarti ieri sera…»
«Tom, ne abbiamo già parlato, ti prego non torniamo di nuovo sull'argomento»
«Intendo dire che non avrei dovuto ma l'ho fatto ugualmente perché volevo farlo. Cassie, tu mi piaci però la mia vita ultimamente è un casino e non voglio incasinare anche la tua…»
«Non devi darmi giustificazioni», dissi bevendo un sorso di birra. «Cosa ti sta accadendo in questo periodo?», gli chiesi. «So che probabilmente non sono affari miei, ma visto che sei qui…».
«Si tratta di un paio di cose...», sospirò rigirandosi la bottiglia quasi vuota tra le mani. Si alzò e iniziò a camminare per la stanza finché non si sedette sul divano a guardare un punto indefinito davanti a se. «Ultimamente ho un po’ di problemi a casa, c’è dell’attrito tra me e Jennifer. Stiamo insieme ormai da troppo tempo, saranno otto anni… non so più che fare, davvero. Ogni volta che torno a casa finiamo con il litigare, ogni buon pretesto è quello giusto. Questo mi uccide!»
«Tu la ami ancora?»
«Onestamente?», chiese alzando finalmente la testa e guardandomi. Mi avvicinai con un altro paio di bottiglie e mi sedetti di fianco a lui. «Non più di quanto possa amare questa situazione», sospirò. «Ormai mi risulta difficile descrivere cosa provo per quella pazza furiosa. So solo che non è la stessa ragazza di cui mi ero innamorata parecchi anni fa»
«Magari è solo un periodo un po’ così… capita a tutti»
«Cassie, ne sono più che sicuro: io non la amo più!»
«Allora penso che sia inutile continuare a stare insieme con qualcuno se tutto quello che il vostro rapporto produce sono urla e liti».
«Quindi mi stai dicendo di lasciarla?»
«Lo devi sentire tu. Se vuoi lasciare qualcuno ne devi essere sicuro perché sai che la perderai per sempre. Nella maggior parte delle volte succede così», dichiarai. «Questo è quello che rovina le famiglie… e le persone»
«Sai, non so praticamente nulla di te, mentre tu sai ormai fin troppo di me…».
«Se volessi sapere qualcosa su di te, mi basterebbe andare su internet!».
«Touché», rise. «Però sono serio, finora abbiamo parlato di me e non voglio deprimere la tua serata con le mie inutili paranoie»
«Non saprei cosa dirti… sai che mi chiamo Cassandra, che ho ventidue anni, e che lavoro al “The Space”. Cosa posso aggiungere?», dissi appoggiando la testa sul divano e guardando il soffitto bianco. «Sono del Maryland, Baltimora»
«Questo non lo sapevo… cosa sei venuta a fare a San Diego?»
«Volevo dare una svolta alla mia vita»
«Dovevo capirlo dalla tua abbronzatura inesistente», disse ridendo. «E sta funzionando?»
«Diciamo che per il momento sono ancora in prova», gli sorrisi. «Sono qui da troppo poco tempo per dire se sta funzionando davvero o meno. La mia idea era quella di trovare un ottimo lavoro, una bella casa e magari mettere su una famiglia, ma per ora mi sono ritrovata a fare lo stesso lavoro che facevo a Baltimora, la casa è in affitto ma per fortuna non la devo più condividere con il mio migliore amico e per quanto riguarda la famiglia penso che sia decisamente un pensiero fin troppo affrettato. Quando inizierò ad avere trent’anni forse penserò a ciò, ora voglio solo evitare che la mia vita sia un fallimento».
«Sei piuttosto matura per la tua età»
«E tu non lo sei abbastanza!», dichiarai bevendo un sorso dalla mia bottiglia, compiaciuta della mia frecciatina.
In fondo era piuttosto piacevole stara lì seduta sul divano a parlare con lui. Era incredibile come si fosse aperto nonostante non mi conoscesse, nonostante non sapesse nulla di me. Era la prima volta che mi capitava di essere in una situazione del genere, ma penso che sia lui a farmi questo effetto. Era così dannatamente sexy e così dannatamente disperato. Avevo sempre avuto un debole per le storie complicate e lui me ne stava offrendo una su un piatto d’argento. Sapevo che i suoi occhi continuavano a essere una calamita per me e che il suo sorriso faceva perdere un battito al mio cuore ogni volta che le sue labbra s’incurvavano. Quel ragazzo era totalmente sbagliato eppure era come se mi dicesse di finire insieme a lui in quel casino.
Sapevo che pensare a tutto questo era un enorme passo, ma dalla direzione sbagliata.
E così lo baciai.
Totalmente incapace di controllare le mie azioni, mi lasciai trasportare dalle mie emozioni e dai suoi gesti che sapevano come farmi venire i brividi semplicemente con il suo tocco esperto. E fu in un attimo che lo condussi verso la mia camera. Continuammo a baciarci e mi spinse sul letto. I nostri vestiti erano già ben che distesi sul pavimento e il suo corpo si muoveva sopra il mio. Senza dire niente, faceva tutto lui. Sapeva come muoversi, sapeva dove mettere le mani, sapeva cosa fare grazie, probabilmente, agli anni di esperienza in più che c’erano tra di noi, ma questo non m’importava.
La sua disinvoltura mi metteva un po’ a disagio e il fatto che fosse già fidanzato iniziava a turbarmi, ma fu una questione di pochi secondi che mi lasciai abbandonare alle sue attenzioni.
Avevo fatto un errore, ma mi sentivo bene.

N/A: Ehilà! Sono arrivata al capitolo 7 e "finalmente" tra Cassie e Tom è successo quello che probabilmente non dovrebbe succedere, ma che doveva succedere perchè infondo lui è Tom DeLonge e chi non resisterebbe a tenere gli ormoni a bada quando hai un sexy Thomas Matthew DeLonge Jr davanti a te?
Ok, sono pessima! 
Comunque grazie per essere arrivati fin qui a leggere, qualche recensione è sempre gradita, almeno per sapere se vi piace la storia o se è meglio che mi do alla pesca d'altura.
Un saluto :)
-Molly

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Capitolo 8
*** Chapter eight | You should take my life, you should take my soul. ***


Chapter eight.
You should take my life, you should take my soul.
 
Mi preparai una tazza di thè e andai a sedermi nel bovindo della mia stanza da letto. Aveva di sicuro la vista migliore di tutto il mio appartamento.
L’intera città stava dormendo mentre noi c’eravamo persi nel momento.
Quello che era accaduto era sicuramente un enorme sbaglio che non ero riuscita a evitare. Ero stata io l’artefice di tutto ciò buttandomi praticamente sulle sue labbra.
Tutti i pensieri e le preoccupazioni che mi erano assalite all’inizio erano tornati mentre stavo trascorrendo le conclusive ore di buio a fissare le ultime luci che illuminavano la residenza. Appena trovai quest’appartamento ne fui estasiata. Era grande, luminoso, in un buon quartiere e il prezzo dell’affitto non era decisamente troppo alto e per di più si riusciva a intravedere il mare e qualche accenno di spiaggia. Non potevo chiedere di meglio, era tutto quello che cercavo eppure, se di solito mi bastava dare un’occhiata fuori dalla finestra per riuscire a rilassarmi, ora mi sentivo totalmente inerme.
Avevamo fatto quello che non dovevamo fare e ogni tanto lo ammiravo mentre dormiva serenamente disteso sul letto, con la sua possente schiena rivolta verso il soffitto e il braccio tatuato lungo il fianco sinistro.
Non potei fare a meno di sospirare.
Ero terrorizzata da ciò che avevo fatto. Quel ragazzo. Quell’uomo che dormiva nel mio letto era fidanzato, probabilmente in procinto di sposarsi se l’anello che portava all’anulare era l’allegoria di una relazione che durava da più di otto anni.
Il fatto che avesse a portata di mano dei preservativi nel portafoglio significava che presumibilmente non ero neanche la prima con cui aveva tradito la sua ragazza, ma la cosa non mi tranquillizzava per niente.
Non mi resi neppure conto di quando Thomas si alzò dal letto e si sedette di fianco alle mie gambe sul divanetto sotto la finestra. Le strinsi di più a me, circondate dalle braccia che tenevano ben stretta la tazza con due mani.
Rimase lì, in silenzio, non sapendo neanche lui cosa dire. Sembrava più uomo di quando, qualche ora prima, scherzava con me. I lineamenti del volto ben definiti, la barba leggermente incolta, i giochi di luce e di ombre che si riflettevano sul suo tatuaggio, le gambe lunghe che si tendevano sul pavimento, coperto soltanto dai boxer neri che indossava, quella ruga che si era formata sul suo viso mentre cercava delle parole da dire.
«Ti ho svegliato?», dissi rompendo quel silenzio.
«Non esattamente», rispose con una voce bassa, quasi irriconoscibile, che non gli appartenesse. Tra di noi cadde di nuovo il silenzio, rotto solo dai respiri che eravamo costretti a fare. Era tutto così dannatamente strano e statico. «Diventerà più semplice», sospirò. «È solo che è tutto nuovo… dovremmo solo abituarci…».
«Tom non posso farlo», dissi continuando a guardare fuori dalla finestra l’acqua della piscina che si muoveva in perfetta sintonia con le palme che la circondavano. Nessuno dei due aveva il coraggio di cerare gli occhi dell’altro. «Non posso essere io quella che rovinerà la relazione tra te e Jennifer, non voglio…».
«Ormai è già rovinata da un bel po’»
«Ma hai scelto me per distruggere qualcosa che hai costruito per diversi anni, perché?».
«È più complicato di quanto sembra…», attese di dire. «Cassie, puoi tornare a letto?», dichiarò infine alzandosi e mostrandosi per tutta la sua altezza.
«Sono quasi le sei, addormentarsi sarebbe inutile».
«Mi farebbe sentire più tranquillo se tu fossi qui e non avessi intenzione di scappare…».
«Non ho intenzione di scappare…», dissi forse non troppo convinta.
«Il tuo sguardo dice il contrario»
«Non hai una ragazza da cui tornare?», dichiarai infine, irritata dal fatto che riuscisse a leggermi nella mente. «Dovresti tornartene a casa tua…»
«È davvero quello che vuoi?», domandò guardandomi attentamente negli occhi, come se cercasse un mio cedimento.
«Si», dissi raccogliendo tutto il mio coraggio e cercando di non far tremare la voce.
«Bene!», dichiarò buttandosi sul letto e dandomi le spalle, ignorando completamente la mia richiesta. Rimasi allibita dal suo comportamento e infastidita dal fatto che non mi avesse ascoltato. Aveva fatto di testa sua e si era rimesso a dormire.
Odiavo quella situazione così mi alzai dal mio posto e presi una coperta e un libro e uscii dalla casa, costretta a far sparire dai miei occhi la figura di Thomas che giaceva immobile sulle lenzuola bianche.
Scesi le scale fino al cortile della residenza e mi andai a sedere su una degli sdrai a bordo piscina cercando di rilassarmi e ignorare tutti i pensieri che non mi davano pace.
 
Thomas P.O.V.
Sapevo bene che quello che avevo fatto era sbagliato e che probabilmente avrei dovuto lasciarla in pace, rimettermi i pantaloni e uscire immediatamente da casa sua appena me lo ebbe chiesto. Sarei dovuto tornare a casa mia e parlare litigare con Jennifer sperando di porre fine a tutto questo tormento di cui non riuscivo a liberarmi.
Nonostante ciò ero sdraiato sul suo letto e cercavo di ignorare la faccenda. Cercavo di convincermi che in fondo la sua fosse solo una piccola incertezza e non totale paura. Ma di cosa poteva avere paura? Della situazione? Di quello che era accaduto? Di me?
La sentii alzarsi dal suo posto e uscire dalla camera.
Voleva il suo spazio.
Eppure non riuscivo a darglielo.
Così mi alzai e andai alla finestra sperando che non scappasse da un momento all’altro. Non avevo la minima idea di dove fosse andata fino a quando non la vidi seduta su uno sdraio a bordo piscina.
Avevo fallito in un sacco di cose nella mia vita: il rapporto con mio padre, e con Jennifer, i miei dubbi sulla band e i rapporti occasionali con delle fan che avrebbero fatto di tutto solo per una scopata con me, Tom DeLonge, cantante e chitarrista dei Blink-182; Ma di due cose ero certo: la lealtà nei confronti di Mark e quello che stavo iniziando a provare per Cassie.
Avevo fatto tanti errori. Non potevo fallire anche con lei. Non potevo permettermelo.
Così mi rimisi la maglietta e i jeans, infilai le scarpe e la raggiunsi con due tazze di caffè fumante che mi ero permesso di preparare. Per quanto ne potevo sapere, quella del caffè poteva essere una pessima mossa, sia perché avevo fatto come se fosse casa mia, sia perché avrebbe potuto buttarmelo addosso, cosa che era di gran lunga peggiore di una sfuriata che sarebbe passata nel giro di cinque minuti.
«Posso?», le chiesi sedendomi nello sdraio di fianco al suo e porgendole la tazza ancora calda. Con un debole “si” accettò quella che per me era un gesto di pace e si portò lentamente alla bocca quel liquido nero.
E come il giorno prima, quando l’avevo accompagnata per la prima volta a casa, quando tutto il casino era iniziato, sembrava totalmente lontana con la mente, con gli occhi fissi sulle righe di quel libro che teneva sulle gambe chiare.
«Mi detesti così tanto da non poter stare nella stessa stanza?», le domandai cercando i suoi occhi che non volevano alzarsi.
«Io non ti detesto!»
«Allora perché continui a scappare da me?».
«Non sto scappando!»
«Cazzo Cassie, prima ti allontani dal letto e ora fuggi qui, se questo non è scappare non so come definirlo!».
«Non avevo sonno»
«E all’improvviso ti è venuta una smaniosa voglia di andare a fare due tuffi in piscina?».
«È rilassante qui»
«…e lontano dalla tua stanza»
«Dovevo pensare e con te non ce la facevo, okay?».
«Diamine! Perché non puoi fare come tutte le altre ragazze ed essere grata che ti degni della mia attenzione?», sbottai facendole, finalmente, alzare gli occhi dalla pagina. «Ci sono ragazze che farebbero di tutto per passare una notte con me mentre tu ti ostini a ignorarmi!», continuai a dire accorgendomi solo in seguito di quanto quelle parole fossero presuntuose e stupide. «Scusa, io…», provai a dirle passandomi nervosamente una mano tra i capelli, ma lei mi precedette quasi non sentendo le mie scuse.
«Bene, allora scusa se non faccio i salti di gioia!», esplose chiudendo il libro di scatto e facendolo cadere sullo sdraio. «Se volevi qualcuno che ti applaudisse o ti dicesse che sei stato meraviglioso potevi andare da una di quelle “tue ragazze” tanto desiderose di stare con te! Non sono come loro! Non so neanche chi sei, quindi non venire qua a dirmi che dovrei essere al settimo cielo solo perché mi hai portato a letto!», continuò. Sentii tutta la sua rabbia uscire dalla sua bocca. «Sai una cosa, Signor me-le-faccio-tutte DeLonge?». Quelle labbra che si muovevano velocemente. «Puoi andare a farti fott…», provò a dire ma inconsciamente la bacia.
Non sapevo neanch’io come, un gesto del genere, mi fosse uscito, ma non me ne pentii almeno finché Cassie non provò ad allontanarmi, nonostante il suo sforzo di provare a muovermi era pressoché inutile visto la differenza che c’era tra me e lei.
«Sei un idiota Thomas!“
«Mi fai ridere», ammisi con un dolce sorriso. Neanche pensavo di esserne capace.
«Non c’è nulla da ridere», disse. «E smettila di guardarmi così!»
«Sono gli unici occhi che ho»
«Thomas, ti prego, perché non torni dalla tua ragazza e mi lasci in pace?», sospirò portandosi le gambe al petto e stringendole forte. Era un modo per dirmi che non mi voleva, eppure avrei combattuto pur di farmi notare. Forse era proprio questo il motivo per cui mi piaceva tanto. Non era come le altre.
«Potremmo innamorarci»
«Potresti spezzarmi il cuore»
«Potresti amarmi così tanto da lasciarmelo fare?».
«Forse…», dichiarò abbassando lo sguardo e così la bacia di nuovo. Uno di quei baci che non ti aspetti e che ti lasciano senza fiato.
Succede che a volte accadono cose più grandi di noi e non sempre siamo posti davanti a scelte sempre giuste. Tutto questo era terribilmente sbagliato, ma perché avrei dovuto evitare qualcosa che mi faceva stare bene?

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Capitolo 9
*** Chapter nine. | What if I be the one that takes the blame. What if I can't go on without you. ***


Chapter nine.
What if I be the one that takes the blame.
What if I can't go on without you.
 
Thomas P.O.V.
La strada del ritorno non era mai stata così difficile da percorrere nonostante fosse completamente vuota e non faceva neanche così caldo da odiare di stare in macchina. Sembrava che il destino o qualcosa di simile si stesse divertendo con me non facendomi trovare traffico e tutti i semafori rossi. Non era mai successo in vita mia di trovare una fottuta strada libera a San Diego e doveva capitare proprio ora mentre non riuscivo a trovare qualcosa di decente da dire. Diamine! Io con le parole ci sapevo fare, era il mio lavoro quello di comporre testi ma ora, che dovevo parlare a faccia a faccia con una persona, non riuscivo neanche a pensare a una frase decente da dire.
Mi sentivo un completo coglione.
«Tom sei tu?», chiese la voce di Jennifer appena entrai in casa.
«Quante persone pensi che abbiano le nostre chiavi di casa?», domandai sarcasticamente poggiando il mazzo di chiavi dentro di quello che per lei era un elemento di design che non poteva mancare in una casa come si deve. Per me era semplicemente una scodella abbastanza strana.
Mi guardai attorno. Tutto quello che vedevo, doveva essere una casa costruita da due persone che si amavano e che rispecchiasse entrambe le parti, ma tutto quello che percepivo non mi riguardava, eccetto qualche poster e qualche foto che mi raffigurava. Tutto quello che mi apparteneva e di cui andavo fiero, era nascosto sulle pareti del mio studio, dove mi chiudevo spesso per scrivere. E così capii soltanto in quel momento che quella era la casa di uno sconosciuto.
«Se tu non perdessi tutto, potrei essere più tranquilla», disse quando la raggiunsi in sala, totalmente piena di oggetti di cui non avevo la minima idea di come funzionassero e di quale fosse il loro scopo. Non ne capivo il significato.
«Comunque bentornato», disse un po’ troppo acidamente decidendo di non guardarmi. «Dove sei stato ieri notte?»
«Da Mark, stavamo scrivendo qualcosa di nuovo e non ci siamo accorti dell’orario, e siccome si era fatto tardi, ho preferito dormire lì invece di prendere la macchina e causare un incidente perché mi fossi addormentato al volante».
«Balle!», affermò continuando a ignorarmi. «Ieri ha chiamato Skye e non ha accennato nulla di te»
«Probabilmente non mi ha visto»
«Thomas non raccontarmi cazzate!», disse, finalmente, guardandomi negli occhi. «Sappiamo entrambi cosa hai fatto ieri sera, quindi smettiamola con questa storia, okay? Sono stufa, non ne posso più di te e del tuo comportamento da idiota! Non hai più diciotto anni, sei un uomo, comportati da tale!»
«Se dovessi comportarmi da uomo sai cosa succederebbe, sai cosa direi… è quello che vuoi?»
«Sono stanca di essere presa in giro!»
«Allora bene! Fanculo a tutto! Se è quello che vuoi sentirti dire, bene!», dissi alzando la voce. «Dobbiamo parlare, Jennifer!»
«Bene!»
«È meglio finirla qui!», dissi abbassando la voce. Dovevo mantenere la calma, evitare che tutta la rabbia uscisse e che lei mi divorasse con le sue parole perché entrambi sapevamo quello che avevo fatto e lei non avrebbe perso occasione di rinfacciarmi tutto quello che le avevo fatto nonostante se ne fosse approfittata. Tanto finché c’ero io che la ricoprivo di gioielli o di viaggi poteva sopportarlo, ed era per questo che resisteva fino a tanto.
«Perfetto!», dichiarò. «Quindi ora posso tranquillamente dirti che durante le tue assenze non eri solo te a divertirti in tour, ma ehi… grazie per i regali da sensi di colpa! Eri troppo accecato da te stesso che neanche te ne eri accorto!»
«Sei una stronza, Jen!»
«Tu non sei da meno! Probabilmente stanotte te la sei spassata con una ragazza qualsiasi pescata in un bar qualunque, non è vero?»
«Non è una ragazza qualunque e non è esattamente quello che pensi!»
«Vuoi farmi crede che non te la sei scopata?», disse portandosi le braccia al petto. «Ti sei innamorato di lei, Tom?», continuando ridendo. Si stava prendendo gioco di me.
«Vaffanculo Jennifer!»
«Beh, visto che questa, dopotutto, è casa tua deduco che me ne debba andare, giusto?», disse nonostante conoscesse già la risposta. «Non ti preoccupare, impacchetto le mie cose da sola!»
Non la sopportavo! Non riuscii a resistere un solo secondo in quella stanza. Forse era la stessa sensazione che sentiva Cassie, quella di scappare e odiare così tanto una persona da non riuscire a vederla.
Quindi era bastato così poco per mettere fine a un rapporto di otto anni. Erano bastate poche parole per cancellare tutto quello che c’era stato di bello e mostrare tutti i demoni che erano nascosti dentro di noi. Era stato così facile liberarsi di me, lo si leggeva nel suo tono di liberazione e indifferenza. Ero arrabbiato, seccato, deluso da tutto.
«Comunque sono incinta, volevo fartelo sapere!»
«Beh, il figlio non è di non è il mio!»
Ripresi le chiavi di casa e quelle della macchina e uscii immediatamente da quel posto. Infastidito, diedi un calcio alle ruote della macchina. Mi sarei rintanato solo in un luogo, dove sapevo di essere ben accettato nonostante i miei problemi e numerosi casi: a casa di Mark.
Fermai la macchina davanti al viale perfettamente verde. Quella casa così totalmente accogliente era sempre stata il mio luogo di rifugio.
Bussai così tante volte alla sua porta che temetti di rompermi le nocche.
«Per tutti gli dei del Nord!», sentii urlare dall’interno. «Hai intenzione di sfondarmi la porta? Sto arrivando, diamine!»
«Scusa Mark», mi affrettai a dire appena il moro aprì la lucida porta nera in vestaglia. «Disturbo?»
«Entra», disse spalancando la porta per farmi entrare. «A cosa devo la tua dolce visita così mattiniera?»
«L’ho fatto!», annunciai voltandomi a guardarlo, sperando in una sua reazione. «Ho mollato Jennifer!»
«Davvero?», chiese dubbioso, quasi incredulo di quello che avevo fatto. «Ne sei davvero sicuro?»
«Ho dovuto!», dissi seguendolo mentre mi faceva strada verso il loro salotto supertecnologico come se non conoscessi quelle mura.
«Tom, nessuno ti obbligava a lasciarla se non volevi»
«Lo so ecco perché l’ho lasciata, lo volevo io e ho anche fatto bene!»
«Oh, ciao Tom!», mi salutò Skye mentre dai fornelli stava preparando dei pancake. «Ti unisci a noi?»
«Non penso di avere molta fame»
«Tutto bene, tesoro?»
«Ha lasciato Jennifer!», si affrettò a dire Mark.
«Dio, mi dispiace, siediti qui e spiegaci tutto»
«Skye, forse non vuole…»
«No Mark, va bene… è giusto che stia anche lei qui e inoltre ho bisogno di un suo consiglio»
«Racconta…», sintetizzò lei posandomi ugualmente un piatto di pancake caldi davanti.
Aspettai che entrambi si sedessero e iniziai a parlare, a raccontare tutto, nei minimi dettagli, di quello che avevo fatto, di quello che c’eravamo detti e di quello che lei aveva ammesso. Non mi fermai. Sembrava che non avessi bisogno di ossigeno per prendere fiato.
«Premetto che non sono mai stato il miglior ragazzo sulla faccia della terra e che quello che ho fatto ieri sera non esclude il mio pessimo comportamento, ma cazzo! Si è fatta mettere incinta! Poteva avere la decenza di non dirmelo!», sbottai alla fine.
«Non pensi che lo abbia detto per farti arrabbiare?», chiese Mark.
«No, Jennifer non è un tipo da mentire, ti dice le cose in faccia esattamente come stanno», rispose Skye che la conosceva decisamente meglio di quanto la conoscesse lui.
«Skye, tu ne sapevi qualcosa?», le chiesi. «Sapevi che mi tradiva?»
«No, non lo avrei mai detto», disse. «Quando uscivamo non ha mai detto né fatto nulla che potesse farmelo intendere. Sembrava così impegnata nel suo lavoro, non pensavo che una parte del tempo la trascorresse così…», continuò con un tono dispiaciuto.
«Capisco…»
«Io invece non capisco come mai continuavate a stare insieme se c’erano queste divergenze tra di voi»
«Arrivati a questo punto non lo so più neanch’io», ammisi. «Forse anche lei stava con me per convenienza, non lo so… ora non mi interessa più!», sospirai. «Skye, posso chiederti un favore?»
«Dimmi»
«So che non è esattamente il tuo campo, ma visto che ora Jen se ne va via, porterà con se tutte le sue cose, quindi la maggior parte degli oggetti che sono dentro a quella casa,  ti volevo chiedere se, beh, visto che sei una donna e te ne intendi, potresti darmi una mano a renderla un po’ più accogliente…»
«Tom non fare proposte indecenti a mia moglie!»
«Certo che ti darò una mano e non ascoltare Mark», disse ridendo. «Sarò più che felice di aiutarti»
«Guarda che sono ancora qui!», si lamentò il diretto interessato portandosi le braccia incrociate al petto e assumendo sul volto un finto broncio che proprio non gli si addiceva.

N/A: Grazie mille per la recensione e per aver letto fino a qui. Fatemi sapere cosa ne pensate :)
-Molly

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Capitolo 10
*** Chapter ten. | That everything you do is super fucking cute and I can’t stand it. ***


Chapter ten.
That everything you do is super fucking cute and I can’t stand it
 
Come avevo fatto a innamorarmi così profondamente di una persona con cui ero entrata così poco in contatto?
Non riuscivo a spiegarmelo. E non riuscivo a spiegarmi come diavolo fosse entrato nella mia vita. Un semplice bacio, una semplice notte insieme, tutto questo era così assurdo.
Credevo che sarebbe stato più facile cercare di non pensare a lui, ma era così difficile. Ogni volta che qualcuno varcava la soglia del bar o che si sedeva su quello sgabello, il suo sgabello, cercavo di non pensare che quello fosse il suo posto, cercavo di non dar retta a quello che il mio corpo mi voleva dire. Soffocavo ogni mio sentimento sotto l’ordine del mio cervello. Sembrava così facile fingere quello che non provavo.
Distrattamente entrai nel cortile del residence e non mi resi conto che un ragazzo era seduto sul bordo della fontana finché non parlò.
«Ehi!», disse alzandosi in piedi e di conseguenza sollevai gli occhi fino a trovare quelli del ragazzo, che erano notevolmente più in alto dei miei.
«Tom, che ci fai qui?»
«Vuoi che me ne vada?», domandò nervoso. «Perché è stato facile entrare e…»
«No, resta», mi affrettai a dire spostando lo sguardo su un sacchetto di carta posto all’ombra dei suoi piedi. «Cosa c’è lì dentro?»
«Gelato!»
«Gelato?»
«Il migliore», disse fiero tirando fuori due confezioni della Ben & Jerry’s. «Caramel Chew Chew e Chocolate Fudge Brownie, sono andato sul classico, non sapevo che gusti ti piacessero».
«Hai fatto bene!», dichiarai. «Vieni su prima che si sciolgono completamente?».
«Forse hanno bisogno di stare un po’ nel congelatore», disse seguendomi verso il mio appartamento. «Tutto bene il lavoro?»
«Alla grande!», risposi inserendo le chiavi nella serratura. «Per questo mese mi hanno spostato il turno del pomeriggio».
«Fantastico!», rispose estasiato. «Allora dobbiamo festeggiare con questo gelato!».
«Mi sembra un po’ esagerato festeggiare per così poco, non credi?», domandai posando la borsa sul tavolo e rimanendo in mezzo alla stanza, fissando il ragazzo che si era già seduto. «Tom, perché sei qui?»
«Nulla, pura visita di piacere»
«È da una settimana che non ti fai vedere…».
«Avevo da fare…», disse alzandosi dal suo posto e mettendo le due confezioni nel freezer. «Mi dispiace»
«Senti, non dire che ti dispiace!», mi affrettai a dire cercando di rimanere calma. Non dovevo lasciare trapelare nessuna emozione. «Non stiamo insieme, non so neanche cosa siamo noi, amici? Conoscenti?», dissi. «Fai quello che vuoi, ma non scusarti per queste cose, non mi devi dare nessuna spiegazione».
«Potremmo frequentarci…»
«Non sarebbe corretto»
«Tanto il danno è già fatto», disse alzando le spalle. «Non c’è più nulla di cui preoccuparsi»
«Che cosa vuoi dire con questo?»
«Che io e Jennifer ci siamo lasciati»
«Ed è per questo il gelato?»
«Anche…», ammise prendendo le due confezioni dal congelatore. «Più che altro era una scusa per passare del tempo con te».
«Sei un idiota!»
«Sai che novità!», disse mentre cercava dei cucchiai in tutti i cassetti della cucina. «Non sei la prima persona che me lo dice»
«Beh, allora dovresti iniziare a farti qualche domanda», affermai e indicai in seguito un cassetto. «Sono lì»
«Quindi accetti la mia proposta di pace?», disse mostrandomi due cucchiai e porgendoli verso di me.
«E poi cosa accadrà?»
«Lo sa solo l’universo come andrà a finire», sospirai, arrendendomi che sarebbe stata una partita persa.
«Quindi… vuoi parlarne di quello che è accaduto?», tentai.
«Che ne dici di andare in spiaggia?»
«In spiaggia?»
«Sai… il mare, la sabbia… la puoi vedere anche da casa tua», scherzò.
«So cos’è una spiaggia, solo che non ci sono ancora andata».
«Stai scherzando?», mi domandò sembrando realmente sconvolto. «Da quanto tempo sei a San Diego? Tre? Quattro mesi? E ancora non sei andata alla spiaggia? Dobbiamo rimediare!»
«E il gelato?»
«Se ha resistito finora, non può certo fargli del male se resta nel congelatore», disse prendendo le chiavi della sua macchina e aprendo la porta. «Beh? Aspetti che ti trascini giù?», chiese ridendo nonostante cercava di mantenere un’espressione autoritaria.
E come per magia sembrava essere tornato un ragazzo. Non dimostrava più trentadue anni, ma sembrava uno della mia età con i suoi jeans strappati sulle ginocchia, la maglietta leggera e il solito cappellino.
 
«Eccoci qui!», annunciò camminando a piedi scalzi sulla sabbia calda. Nonostante fosse Ottobre, faceva decisamente ancora caldo. Il clima di San Diego non lasciava spazio neanche a una goccia di pioggia o di umidità. C’era perennemente il sole ed era fantastico. «Non è rilassante?», chiese continuando a passeggiare con le scarpe in mano. Lo seguii vicino alla riva. «Dovresti toglierle quelle», mi consiglio indicando le Converse nere che erano ancora sui miei piedi. «Dico sul serio, non sai cosa ti perdi… voi del Maryland non avete l’oceano?».
«Certo che lo abbiamo solo che non mi fa impazzire».
«Allora perché sei venuta a San Diego se non ti piace il mare?», domando sedendosi sulla sabbia, non troppo lontano dall’acqua.
«È complicato da spiegare…»
«Provaci»
«Non oggi…»
«Perché non vuoi mai parlare di te?», domandò tutto di un colpo qualche istante dopo. «Non ti fidi di me?»
«Non capiresti…»
«Cosa c’è da capire Cassie? Potrà sembrare incredibile ma sono capace di stare zitto e ascoltare».
«Tom, non oggi…», e fu così che il discorso cadde in un profondo silenzio infranto soltanto dalle onde. Il cielo stava cambiando colore, tra poco il sole sarebbe tramontato e il cielo si sarebbe colorato di rosso. Adoravo quello spettacolo.
«Senti, posso proporti una cosa?», mi chiese interrompendo la calma. Iniziavo a credere che realmente non era in grado di restare zitto.
«Del tipo?»
«Ti andrebbe una cena insieme una sera di queste?», disse. «Non sei obbligata, solo che ho sistemato casa e Skye, la moglie di Mark, sai il ragazzo che mi è venuto a prendermi qualche tempo fa… beh, mi ha aiutato e per ringraziarli volevo preparare qualcosa, una cosa un po’ intima, nulla di eccessivo, e mi farebbe piacere se venissi anche tu…».
«Cucinerai davvero tu?»
«Dovrei riuscirci»
«Probabilmente moriremo avvelenati, ma va bene, mi farebbe piacere», dissi sorridendo. «Grazie per l’invito»
«Figurati, e poi così potrai fare compagnia a Skye che non dovrà subirsi i nostri soliti discorsi sul nuovo disco».
«A volte mi dimentico che sei una rockstar».
«A volte me ne dimentico anche io», disse guardando davanti a se. Il sole stava calando immergendosi dentro l’acqua. «Quando ero un ragazzino, venivo sulla spiaggia con mia sorella e il mio fratello e nostra madre ci raccontava del raggio verde».
«Raggio verde?»
«Si tratta di un fenomeno piuttosto raro», iniziò a spiegare non distogliendo gli occhi dal sole. «Più che altro è un effetto ottico. Accade quando il sole tramonta, però si può vedere solo quando il cielo è molto limpido», dichiarò. «Nostra madre diceva sempre che quando sarei riuscito a vedere finalmente il raggio verde sull’orizzonte, tutto sarebbe andato per il verso giusto ma inizio a pensare che fosse solo una scusa che si era inventata per tenerci occupati a non pensare a nostro padre che se ne era andato via di casa».
«Mi dispiace»
«Ormai è passato tanto tempo e sono rimasto in buoni rapporti con lui, in verità penso che sia stato un bene che si siano separati: meno problemi, meno discussioni…».
«Anche i miei sono separati»
«Ormai lo fanno tutti, la frase “Stay together for the kids” non serve più a molto».
«È una bella frase»
«È il titolo di una nostra canzone»
«Forse dovrei ascoltare qualcosa in più di vostro».
«Sarebbe ora», rispose ridendo, risollevando il morale di quella conversazione. Chiuse gli occhi e si sdraiò cercando di assaporare gli ultimi raggi sulla sua pelle prima che scomparissero. La luce rossa si rifletteva sui suoi capelli castani facendoli sembrare dorati con qualche sfumatura arancione.
Quello che avevo davanti non era il classico principe azzurro dai capelli biondi e gli occhi azzurri. No, lui era l’opposto. Era meglio. I suoi vestiti scuri e i suoi modi di fare erano così semplici e riuscivano a metterti a proprio agio in qualunque situazione.
Fu in quell’istante che capii che quel ragazzo effettivamente mi piaceva non soltanto perché era bello, ma perché riusciva a rendere unici e memorabili dei momenti così semplici.
«Mi stai fissando?», domando voltando il suo volto verso di me e aprendo un occhio.
«No, pensavo…»
«E a cosa?», chiese girandosi su un fianco e non distogliendo gli occhi dai miei.
«Un po’ a tutto, a questi primi mesi in una città totalmente nuova, al lavoro, alla casa, a come pian piano mi sto facendo dei nuovi amici e a te che stai iniziando a stravolgermi la vita».
«Spero in modo positivo»
«Non lo so ancora… non so come giudicare la faccenda».
«Allora non pensarci»
«Ma…»
«Sarà tutto più semplice», mi rassicurò ritornando a sedersi . «Posso chiederti un altro favore?».
«Dipende…»
«Non muoverti!», mi ordinò e non feci in tempo a rielaborare le sue parole che mi ritrovai a baciarlo. La sua mano, appoggiata alla mia testa, mi spingeva verso di lui e le sue labbra sembravano perfettamente incastrate con le mie. Non riuscivo a spiegarmi come ogni volta inebriava le mie capacità di reagire facendomi sentire inerme di fronte a lui.
«Perché ti ostini a fare così?», gli domandai allontanandomi dalle sue labbra ubriache.
«Perché non riesco a percepire i segnali che mi mandi!», disse. «Tu piaci a me ed io piaccio a te, Jennifer non è più un problema, perché non la finiamo con questa farsa e iniziamo a comportarci come si deve?».
«Perché ti sei appena lasciato!», dichiarai. «Si sta facendo tardi, è meglio se torno a casa», dissi alzandomi dalla sabbia e cercando di scrollarmela dai jeans. «Ci vediamo Thomas», pronunciai quelle parole prima di dargli le spalle e avviarmi verso la strada.
«Cassi, dove stai andando?», domandò seguendomi cercando di infilarsi le scarpe mentre camminava.
«A casa!»
«È lontano da dove abiti, ci impiegherai più di mezz’ora a piedi».
«Una passeggiata schiarisce le idee, dovresti farne più spesso anche te».
«Magari più tardi, ora però aspettami», disse raggiungendomi con uno scatto. «Sei piccola, ma cammini veloce», dichiarò afferrandomi per il polso. «Cassie, non fare cazzate e ascoltami. Magari vorrai essere lasciata in pace, ma fuori è diventato buio e le strade non sempre sono sicure, fatti dare un passaggio e poi puoi mandarmi tranquillamente all’inferno, va bene?», mi disse guardandomi attentamente negli occhi. Era davvero la verità? Lo avrei fatto scomparire dalla mia vita? Ci sarei davvero riuscita?
«Va bene»
 
Quando Thomas parcheggiò davanti al residence mi trovai davanti a un bivio. Dovevo scegliere e il tempo stava scadendo. Non sarei stata in grado di continuare questa commedia. Lui mi piaceva e lo sapeva, eccome se lo sapeva. Questo gli permetteva di giocare con me quanto volesse, lasciandomi ogni volta senza fiato e con la voglia di picchiarmi perché ero stata così stupida da farlo avvicinare ancora a me, ma infondo mi piacevano tutte quelle attenzioni. Mi piaceva averlo attorno. Mi piaceva il suo sorriso. Mi piacevano i suoi modi di fare. Mi piaceva lui.
«Grazie per il passaggio obbligato»
«Quindi ora sei libera, buonanotte Cassie», disse spegnendo il motore della macchina.
«Hai detto che diventerà più semplice…»
«È un modo carino per dirmi che possiamo ancora passare del tempo insieme?».
«Diciamo di si»
«Promettimi che la smetterai di scappare»
«Io non scappo…»
«Scappi. Ogni volta. Via da me»
«Scusa…»
«Ci vediamo sabato allora?», disse cercando di cambiare discorso. «Per quella cena a base di veleno…»
«Certo»
«Ti passo a prendere alle sette e mezza, buonanotte».
«Notte», dissi scendendo dalla macchina e aspettando che partisse. Osservai la strada vuota credendo che da un momento all’altro sarebbe tornato a tormentarmi con i suoi soliti giochini e mi sentii stupida a fissare la sua macchina che si allontanava.


N/A: Ehilà! Scusate se sono stata molto assente e non ho aggiornato la FF, ma sono stata un po' impegnata. Chiedo umilmente perdono e spero che questo capitolo vi possa piacere.
Ci vediamo a quello successivo.
Lasciate molte recensioni e fatemi sapere se la storia vi piace :)
Un bacio!
-Molly

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Capitolo 11
*** Chapter eleven. | Oh, calamity! ***


Chapter eleven.
Oh, calamity!
 
Thomas P.O.V.
Era tutto pronto. La tavola era apparecchiata, la casa illuminata, gli ospiti erano tutti qui e l’atmosfera che si era creata era una delle migliori in assoluto.
Cassie era così bella mentre parlava con Skye, sembrava che si conoscessero da una vita da come ridevano.
«Davvero non sapevi chi fosse Tom?», disse la bionda con un tono dolce, quasi materno. «È così adorabile»
«Oddio, devo dire che successivamente mi sono sentita terribilmente in imbarazzo, probabilmente sono l’unica persona sulla faccia della terra a non riconoscerlo», disse Cassie ridendo e portandosi le mani sul volto per nascondere le guance che si stavano colorando di rosso.
«Davvero, è una bella cosa», rispose Skye posando una mano sul braccio della ragazza seduta a capotavola, di fronte a me. «Penso che gli abbia fatto piacere conoscere qualcuno che non sapesse ancora nulla di lui, un po’ come prima che iniziasse la sua ascesa nel mondo del punk-rock»
«Tom, mi ascolti?», chiese il moro seduto di fronte a sua moglie, che stanco, di non essere preso in considerazione lanciò il suo tovagliolo di stoffa sulla mia faccia. In effetti il suo tono di voce era abbastanza scocciato.
«Mark, ma che cazzo!», sbuffai rilanciandogli la salvietta.
«Ora che ho la tua attenzione, finalmente, potresti passarmi il vino?», disse soddisfatto della sua impresa. «Grazie», ribadì alla fine dopo che gli porsi la bottiglia. «Quindi Cassie, quanti anni hai?», chiese. «Sembri decisamente più giovane di tutti noi», disse ridendo e poi bevendo un sorso di vino.
«Ne ho ventidue»
«Dio! Mi ricordo quando avevo io ventidue anni…»
«…ed eri un idiota dai capelli colorati!», dichiarai ridendo.
«Ero così dannatamente sexy!», disse. «Pardon… Sono ancora così dannatamente sexy!»
«Mr. Hoppus forse ha bevuto un po’ troppo!», disse la moglie. «Forse è meglio se metti nello stomaco anche un po’ di cibo e non solo del vino», dichiarò alzandosi per andare a prendere la prima portata.
«Tranquilla, ci pensiamo io e Tom», si affrettò a dire Mark alzandosi e facendole un segno col capo di sedersi. Mi alzai anch’io lasciando le due donne al tavolo. «Tom ti sei bevuto il cervello?», disse a bassa voce appena raggiungemmo la cucina così che le ragazze non potessero sentirci. «Ha ventidue anni! È ancora una ragazzina!»
«È più matura di quanto pensi»
«Non lo metto in dubbio, ma… tu ne hai trentadue, lei dieci in meno di te… non è un po’ strano?»
«No, assolutamente no, in fondo l’età è solo un numero, no? Non conta poi così tanto… è abbastanza grande da prendere le sue decisioni e ragionare con la sua testa, e per lo Stato dell’America è legale dopotutto»
«Forse ti stai cacciano in qualcosa di più grande di te…»
«Non lo so Mark, per ora mi basta essere felice, non è questo l’importante?»
«Penso di si… », disse posando sull’isola la teglia di lasagne che teneva ancora in mano. «Solo che non voglio che finisca male»
«Per esempio?»
«Non pensi di volere una famiglia o dei figli?»
«Certo, ma non adesso, magari fra qualche anno»
«Quando lei sarà ancora nel pieno della sua vita e vorrebbe divertirsi invece di accudire dei neonati?»
«Non stai correndo un po’ troppo Mark?», dissi cercando di cambiare discorso il più velocemente possibile.  «Ci stiamo semplicemente frequentando… e ora portiamo di là queste cose poiché sto morendo di fame», dissi prendendo la teglia con il pollo e le patate.
Sapevo che quella discussione non sarebbe finita e il fatto che Mark volesse ribattere ma che si limitò a scuotere la testa e a prendere la sua teglia mi dava il via libera almeno per quella serata, prima che si fiondasse a casa mia in piena notte o mi tormentasse di chiamate.
«Basta confabulare voi due! Non ho sprecato la giornata a cucinare per nulla!», dichiarai scuotendomi dalla testa il discorso di prima.
«Onestamente sono abbastanza timorosa di assaggiare quello che ha cucinato, Thomas», disse Cass ridendo.
«Non vi preoccupate, il signor DeLonge ha soltanto contribuito a riscaldare il cibo, tutto il resto l’ha fatto il ristorante in fondo alla strada»
«Mark!», lo richiamai.
«Dovevi nascondere meglio la busta e le confezioni», disse quest’ultimo con un tono saccente. L’espressione sul suo volto era la comicità più pura. Scoppiammo a ridere e la tensione che si era formata nella mia testa dopo quella conversazione era sparita.
 
Eravamo al dolce quando all’improvviso il campanello suonò. Non aspettavo nessuno soprattutto non mi sarei aspettato di trovare quella persona davanti alla porta. Era l’ultima che mi sarei immaginato e non doveva essere qui, non in questo momento.
«Jennifer!»
«Ciao Tom»
«Che ci fai qui?»
«Posso entrare?»
«Non penso convenga…»
«Tom… non c’è bisogno di essere così freddo con me, in fondo quello che è successo non è sola opera mia!»
«Jennifer, cosa vuoi?», dissi, forse, alzando un po’ il tono di voce, il tanto che bastava da far affacciare i tre ospiti verso l’ingresso.
«Volevo lasciarti le tue chiavi di casa»
«Tutto bene, T…», disse Skye apparendo per prima ma lasciò inconclusa la frase appena vide chi c’era alla porta. «Jennifer…»
«È terribilmente imbarazzante», disse appena vide gli Hoppus. «Non pensavo che ci fossero Mark e Skye», affermò guardando le persone nella stanza e soffermandosi infine su Cassie.
«Quindi tu sei la ragazza che si è presa Tom?», disse mentre con i suoi occhi azzurri la stava mentalmente uccidendo. Aveva cambiato espressione velocemente, dimenticandosi del vero motivo della sua visita improvvisata. «Finalmente ti conosco. Vorrei dirti due cose, sono più dei consigli. Non pensare che Tom sia l'uomo migliore del mondo. Se pensi che ti dia una mano quando hai bisogno, che ti faccia qualche gesto dolce o qualsiasi cosa che fa qualunque uomo normale, beh, non illuderti. Non farà nulla di questo. Ho perso troppo tempo dietro lui cercando di tirare fuori il suo lato migliore», sputò tutto di un fiato. «È sempre così, all'inizio è tutto carino, affascinante, può sembrare la persona più interessante del mondo ma col passare del tempo tutto quello che pensavi sfumerà, e te lo posso giurare che lo farà. Tirerà fuori il lato peggiore di se. Uscirà la sera e tornerà tardi, ubriaco e ti sveglierà. E quando andrà in tour, ah si… non lo vedrai neanche con un binocolo. Solo Dio sa cosa combina quando è in tour! Ragazze e alcool a volontà, non che qui a San Diego gli manchino», disse indicandola con il palmo della mano aperta. «Ma so com'è fatto! Quindi goditelo finché non si stancherà di te per una più giovane e più eccitante», sostenne prendendo dalla sua borsa le chiavi della casa e posandole sulla mensola. «Mi dispiace solo di quello che dovrai subire in futuro, sembri una così brava ragazza, così innocente... Stai attenta!»
«Aspetta un attimo… Cassie!», dissi guardandola negli occhi. Vidi il terrore crescere dentro di lei e poi sparire dietro alle sue palpebre e alla parete che divideva l’ingresso dalla sala. Tutta la fiducia che, con fatica, stavo costruendo in lei, la vidi crollare in un secondo. «Se hai finito di dare spettacolo, puoi anche andartene», dichiarai arrabbiato. «Questa non è più casa tua e stai rovinando una bella serata, sarebbe carino se te ne andassi a farti fottere e sparire dalla nostra vista!»
«Thomas, non hai il permesso di dirmi queste cose!»
«Tecnicamente sì, ce l’ho, visto che ti trovi in una proprietà privata!», strinsi i pugni, li tenevo rigidi lungo le gambe. Dovevo restare calmo. «Tu, piuttosto, non avevi il diritto di dire quelle cose su di me!»
«Invece sì, lei ha il diritto di sapere come sei realmente!»
«Lo ero solo con te!», le scagliai quelle parole addosso. «Sei stata tu a ridurmi così!»
«Stai decisamente mentendo»
«Jennifer, vattene prima che ti sbatta la porta in faccia!»
«Dio, non sei cambiato di una virgola!», disse infine prima di darmi le spalle e percorrere il vialetto fino alla sua macchina.
Quella donna era nata per rovinarmi la vita. Mi chiedo come sia stato così stupido a lasciarmi influenzare così tanto da lei otto anni fa. Anche ora che c’eravamo lasciati era riuscita a rovinarmi la vita.
Sbattei la porta e mi voltai verso i miei ospiti che erano stati gli spettatori di questo show a basso costo. Avrei voluto scusarmi ma non trovavo le parole adatte da dire. Mi sentivo così avvilito e arrabbiato.
«Si è fatto tardi, forse è meglio che ce né andiamo», disse Mark con cautela, cercando di moderare il peso delle parole. «Probabilmente sei stanco e ti toccherà pulire la cucina»
«È stata una bella serata, dopo tutto», disse Skye con un flebile sorriso cercando invano di passarmi un braccio attorno alle spalle, forse solo Mark ci arrivava. «Buonanotte Tom». E in poco tempo anche loro se ne andarono.
La casa sembrava così vuota ora, così buia. Tutta l’atmosfera che avevamo creato era stata distrutta da una stronza qualunque. Mi portai le mani sugli occhi cercando di mandare via tutto l’odio che provavo per lei.
«Cassie?», la cercai tornando nella sala da pranzo. La trovai intenta a sparecchiare la tavola e a portare i piatti in cucina. Non alzò neanche lo sguardo quando la chiamai per la seconda volta, ancora turbata da quello che le aveva appena detto Jennifer.
Dovevo capire che quando le cose andavano fin troppo bene, alla fine si sarebbe presentato quell’evento che avrebbe fatto crollare tutto quello che avevi costruito.
«Non ti preoccupare, ci penso io dopo», le dissi infine togliendole i piatti di mano e posandoli sull’isola che occupava il centro della cucina.
Mia nonna diceva sempre: “Chi ama ha il potere di distruggere”. Mia nonna era incredibilmente saggia.
«È tutto vero?», chiese incrociando le braccia al petto. «Ti comporterai così anche con me o sono solo una ragazza di passaggio, una tappabuchi finché non ne troverai un’altra migliore?»
«Cass non dire cazzate!», dissi copiando la sua posizione. «Sei solo turbata da quello che ti ha detto, davvero vuoi ascoltare le parole di una pazza?»
«Tom, non voglio che tu scompaia dalla mia vita, voglio solo evitare di fare le cose di fretta e ritrovarmi un giorno con più nulla da dire e con mille rimpianti, voglio solo avere del tempo per essere sicura»
«Sicura di cosa, Cass?»
«Sicura che non te ne andrai come hai fatto con Jennifer»
«Era diverso con lei»
«E cosa ti dice che non sarà lo stesso?»
«Il fatto che stia qui a discutere con te invece di farti tornare a casa con un taxi e sparire per sempre dalla tua vita, un’occasione che fino a qualche settimana fa avresti afferrato al volo»
«Adesso mi stai dicendo che sono io quella che potrebbe scappare dalla relazione?»,
«Non è quello che volevo dire…»
«Allora spiegati meglio prima che io abbia la possibilità di scappare», replicò con una punta di acidità nella sua voce.
«Senti, non voglio litigare…», dissi liberando le braccia e allungandole davanti a me cercando di porre fine a quella che sarebbe stata la seconda litigata nel giro di dieci minuti. «Mettiamo le cose in chiaro», feci una pausa. Un lungo sospiro.  E iniziai il mio monologo. «Sono sicuro che sei una ragazza romantica sotto a quello spesso strato di ghiaccio che ti riveste. Sono sicuro che vuoi trovare quello giusto, quello che guarda i film insieme a te quando fuori piove e che le domeniche mattina ti aiuta a preparare i pancake che mangerete davanti ai cartoni animati. So per certo che a Halloween vuoi decorare la casa facendola apparire come il set di Nightmare Before Christmas, ma non sono quel tipo di uomo che cerchi, non è da me, ma puoi scegliere», dichiarai. «Prendere o lasciare».
«Quindi ti stai dando gli stessi privilegi di una poltrona lasciata sul marciapiede?»
«Alcune di quelle cose non sono così male», dissi alzando le spalle. «Che cosa hai intenzione di fare?»
«Tom, so per certo che non sei il ragazzo che mi ero promessa di trovare, non lo sei neanche lontanamente, ma c’è qualcosa che mi spinge a tornare continuamente da te e per fortuna lo fai te perché non saprei neanche da che parte iniziare», disse facendosi cadere su uno sgabello. «Tutto questo è così frustrante. Trovo particolarmente difficile ammettere che mi piaci e non ci posso fare niente. T’impadronisci del mio corpo e mi fai fare quello che vuoi, anche intenzionalmente. Mi spaventa e lo detesto»
«Non pensi che sia un bene?»
«Non mi piace che gli altri riescano a prendere il controllo su di me. Sono sempre stata una ragazza indipendente, che se la cava da sola e poi arrivi tu, dal nulla, a ordinare birre su birre e dopo due mesi eccomi qui a casa tua a discutere dei miei problemi esistenziali e della tua vecchia relazione»
«Non lo trovi buffo?»
«Quale parte della storia?»
«Il fatto che ci è bastato poco più di un mese per incasinare le nostre vite»
«Davvero esilarante»
«Se non lo avessimo fatto ora, non saremmo qui e onestamente, scenata a parte, non ho nulla di cui lamentarmi»
«Ci sono troppe cose di cui lamentarsi»
«Ma non stasera, non per ora»
«Non si può rimandare fino all’ultimo…»
«Non pensarci... Prova a comportarti come una della tua età, dico sul serio, rilassati, goditi i momenti. Avrai tutta la vita per rimuginare sugli errori fatti, ora hai ventidue anni, sei bellissima e sei a casa di una sexy rockstar, cosa ne dici di restare qui a dormire?»
«E questa sarebbe la tua soluzione?»
«La migliore!», le sorrisi. «E magari domani potremo preparare i pancake e mangiarli davanti alla tv»
«Pensavo che tu non facessi cose del genere»
«Ma amo i pancake e i cartoni animati», a quelle parole la vidi sorridere finalmente. E poi il sorriso diventò una risata e la sua mano afferrò la mia. 

N/A: Sono tornata. Di nuovo. Ultimamente ho avuto parecchio da fare e lo ammetto: mi sono dimenticata un po' di questa storia e di questo sito.
Però eccomi di nuovo qui. Cercherò di aggiornare più spesso e spero di ricevere qualche vostra recensione per sapere se vi paice la storia.
Alla prossima :)
-Molly

 

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Capitolo 12
*** Chapter twelve | When the night will be begin, the pain it won't end even if she falls in love ***


Chapter twelve.
When the night will be begin, the pain it won't end even if she falls in love
 
La luce bianca del mattino filtrava attraverso le persiane che illuminavano miseramente la camera. Riuscivo a intravedere qualche sagoma all’interno di una stanza che non era la mia.
Mi alzai lentamente e scostai pian piano la finestra cercando di far entrare un po’ di luce e di cambiare l’aria.
Ora riuscivo a vedere il letto disfatto che era vuoto, i mobili impeccabili e ultramoderni appartenuti a una donna che s’intendeva di design, l’enorme specchio davanti alla parete che rifletteva l’esterno della casa.
Mi ritrovai ad aprire anche l’altra persiana e ad ammirare il panorama fuori dalla sua villa. Il cielo rifletteva tutta la sua luce sull’acqua dell’oceano colorando il mare di una splendida tonalità di azzurro. La spiaggia dorata si estendeva a qualche chilometro da noi. Non mi sembrava di essere a Ottobre e trovarmi un clima del genere. A volte avevo nostalgia del tempo uggioso e il cielo slavato di Baltimora, almeno avevo una scusa per rintanarmi a casa a leggere un libro o a guardarmi un film, invece a San Diego mi sentivo in colpa a sprecare giornate come queste.
Allungai le braccia cercando di stiracchiarmi e mi accorsi solo in quel momento che ero in intimo. Mi guardai attorno alla ricerca dei miei vestiti che magicamente erano scomparsi e sostituiti soltanto da una maglietta nera con un disegno massonico sotto la scritta Macbeth gettata su una poltrona.
La indossai nonostante sapessi già che mi sarebbe stata larga. 
«Thomas, dove sono i miei vestiti?», domandai mentre uscivo dalla stanza per dirigermi verso la cucina e trovarlo intento a cucinare dei pancake dall’ottimo profumo.
«Li ho nascosti per poterti vedere indossare una delle mie magliette», rispose girandone uno nella pentola.
«Sul serio, dove li hai messi?», gli chiesi sedendomi su uno sgabello di fronte a lui. «Non posso tornare a casa così»
«In verità speravo che neanche la indossassi e che mi dessi il buongiorno in intimo», dichiarò poggiando anche l’ultima frittella dorata e fumante sopra a una pila. Prese un altro piatto simile a quello che teneva nella mano destra e lo portò sul ripiano mentre continuava a sorridere come la persona più spensierata del mondo. Mi piaceva osservarlo e ultimamente lo stavo facendo davvero spesso.
«Allora non dovevi lasciare lì questa maglietta», dissi alzandomi e prendendo due tazze vuote e riempendole poi di caffè appena fatto e posandole davanti ai piatti.
«Onestamente non mi ricordavo neanche di aver lasciato in giro quella maglietta», confessò alzando le spalle. «È nera, probabilmente non l’avevo neanche vista nel buio della stanza, non volevo svegliarti, però sta notevolmente meglio a te che a me», confessò posando le sue mani, ora libere, sui miei fianchi e baciandomi sensualmente il collo. 
«DeLonge, non ti facevo così seduttore…»
«Allora non mi conosci così bene!», disse poi facendomi voltare e ritrovarmi a pochi centimetri dal suo volto.
La mia mano percorse tutto la lunghezza del suo torace, fino all’ombelico, mentre le sue mani giocavano sui miei fianchi, sotto la maglietta. Le sentii lentamente salire e non riuscii a evitare di mordermi il labbro.
«Potresti evitare di farlo?», domandò bloccando le sue mani sul mio corpo.
«Cosa?»
«Morderti il labbro», disse alzando gli occhi al cielo. «Sto cercando di trattenermi dal saltarti addosso, ma tu non aiuti», spiegò abbassando i suoi occhi su di me. La scintilla che era comparsa nelle sue pupille era stata sostituita da uno sguardo più dolce. «Comunque buongiorno», disse infine avvicinandomi a se stesso e poi baciarmi.
«Buongiorno anche a te», gli risposi ricambiando il bacio.
Il bello di quando stai insieme a una persona che ami è quello di non vergognarsi di niente. Di non vergognarsi del proprio aspetto fisico o di quello che stai indossando, dell’alito del mattino o dei capelli spettinati.
«Però ora mi dici dove sono i miei vestiti?»
«Te lo dirò dopo colazione, o almeno fino a quando non deciderò che sia ora di mandarti a casa».
«Sei crudele, lo sai?».
«È un pregio di cui vado fiero».
«Soprattutto perché non ne hai altri!», dichiarai canzonandolo e sedendomi sullo sgabello che avevo occupato prima.
Mangiammo i pancake che erano davvero buoni nonostante non mi fidassi ciecamente di quello che usciva dalle pentole del ragazzo.
Thomas stava già sparecchiando mentre io mi stavo riempendo un’altra tazza di caffè. Lo guardavo muoversi abilmente per la cucina mentre sciacquava i piatti e li riponeva nella lavastoviglie.
«Sai, stavo pensando che potremmo andare fuori a cena, solo io e te, una sera di queste…», disse asciugandosi le mani e poi alzare le braccia per stiracchiarsi. La maglietta si alzò leggermente scoprendogli la pancia. Persi un battito del mio cuore. Un semplice gesto lo aveva reso così tremendamente perfetto.
Si avvicinò a me poggiando le sue mani sul bancone, bloccandomi tra il piano e il suo corpo. «Cosa ne pensi?», domandò. Provai ad alzarmi ma quello che ottenni fu solo versargli metà caffè addosso. «Brucia!», urlò scostandosi da me e agitando le braccia. «Brucia, cazzo!»
«Mi dispiace, io…»
«Brucia!”, continuò agitandosi e infine togliendosi la maglietta sporca e gettandola a terra come se improvvisamente avesse preso fuoco.
«Io... mi dispiace… wow», mi lasciai sfuggire in un sussurro, quasi impercettibile, tranne che per lui.
«Wow?», domandò avvicinandosi di nuovo a me e togliendomi la tazza di mano. «Cassi, se non hai voglia di cenare con me potevi semplicemente dirmelo anziché versami addosso dell’olio bollente cercando di procurarmi un’ustione di ventesimo grado e uccidermi».
«Non era così caldo…»
«Sono rosso!», disse passandosi una mano sulle macchie rosse che si erano formate sul suo petto. Guardò il suo tatuaggio sul braccio sinistro e alla città futuristica sul suo pettorale sembrava tutto apposto senza nessuna strana bolla o scottatura così grave, la sua pelle non era neanche poi così tanto rossa. 
«Mi dispiace»
«Sono sopravvissuto a cose ben peggiori…», sospirò e ritornò alla posizione iniziale, costringendomi a sedermi sullo sgabello e a essere prigioniera dei suoi occhi e del suo corpo. «Stavamo dicendo… wow?» chiese. «È già qualcosa…»
«Che cosa intendi dire?»
«Tu cosa volevi dire con quel “wow” dopo che hai cercato di uccidermi»
«Nulla…», dissi abbassando la testa incapace di sorreggere il suo sguardo divertito dal mio imbarazzo. «Mi è sfuggito, non significa nulla…»
«Oh forse significa tutto»
«Non è come sembra»
«E come sembrerebbe?»
«Thomas mi lasci andare a casa?»
«Perché ogni volta che cerchiamo di parlare di quello che provi, tendi a scappare?»
«Perché non ho la minima voglia di parlare con te di queste cose, probabilmente hai mille altre ragazze da abbindolare con la tua fama, con il tuo carattere, con la tua bellezza, ma non penso di poter essere una di queste, mi dispiace»
«Quindi te ne vuoi andare e dimenticarmi?»
«Dovrebbe essere la soluzione migliore»
«Cassie, smettila di essere così insicura, diamine!», sbottò. «Non c’è nulla che non dovrebbe andare in te, sei perfetta così perché non ti decidi a rendertene conto anche te?»
«Perché con te non mi sento così sicura»
«Dici questo solo perché hai paura di soffrire, hai paura che ti possa abbandonare da un momento all’altro»
«Potresti farlo»
«Ma potrei anche non farlo e dimostrarti che tutte le cose brutte che t’immagini probabilmente non ti accadranno mai»
«Non hai una sfera di cristallo, Thomas»
«Ma sono responsabile delle mie azioni e se ti dico di fidarti, tu semplicemente fidati del fatto che non ti ferirò», disse cercando di apparire il più sincero possibile. «Ora invece dovresti soltanto allontanarti da qualunque cosa calda che potresti accidentalmente gettarmi addosso e passare un’intera giornata con me e domani mattina sei libera di tornare a casa»
«Non penso che tenermi segregata qui come una reclusa sia la soluzione migliore»
«Ma lo è per me», disse concedendomi un bacio a fior di labbra. 
E così passammo l’intera giornata a non fare niente. Durante il pomeriggio Thomas si era seduto ai piedi del divano con una chitarra classica in grembo e dei fogli volanti sparsi sul pavimento, su cui alternativamente scriveva frasi e note e ne cancellava altrettante. Era totalmente immerso nel suo lavoro. Si era chiuso nella sua bolla personale e non si era neanche reso conto che il sole stava per tramontare e che aveva colorato la casa di una tonalità rossastra, molto calda e accogliente, e così anche il suo proprietario che si passava una mano tra i capelli scompigliandoseli per poi scrivere una frase su uno dei tanti fogli.
«Cosa ne diresti di fare una pausa?», gli chiesi sedendomi sul divano dietro di lui, poggiando il mento sulla sua testa e abbracciandolo delicatamente per paura di averlo disturbato. «So che sei occupato però mi sto iniziando a preoccupare davvero, non hai detto una sola parola da quando ti sei messo lì e inizia a mancarmi la tua voce irritante»
«Te lo ha mai detto nessuno che ammazzi il romanticismo?», disse alzando la testa e guardandomi con due stelle al posto degli occhi.
«Ecco qui le battutine!», annunciai felice di sentirlo parlare. «Quindi non hai perso la voce?»
«Per tua informazione sono pronto a romperti le scatole ancora per molto, molto tempo», dichiarò girandosi completamente verso di me e rimanendo seduto per terra con le gambe incrociate. Sembrava un ragazzo nel pieno dei suoi anni. 
«Suona come una minaccia!»
«Forse lo è!»
«Se è così, allora, non ti preparo la cena!»
«Questa è una minaccia!»
«Stavo pensando di ordinare cinese»
«Per me va bene, dovrebbe esserci qualche volantino sulla mensola», disse ora alzandosi e dandomi le spalle mentre cercava tra i vari foglietti vicino al telefono. «Comunque ti chiedo scusa se non sono stato di molta compagnia, ma quando scrivo, di solito, m’immergo totalmente nel mio mondo e mi è difficile fare qualcos’altro»
«Non ti preoccupare, scusa se ti ho chiamato…»
«Figurati, ormai non riuscivo a produrre più niente di buono...», disse, ma non ero d’accordo con lui. Lessi quelle frasi scarabocchiate tra i fogli, quelle parole che sembravano scritte da una persona totalmente diversa dal Thomas che conoscevo. Sembravano mature, per nulla ridicole e semplici come le canzoni scritte in precedenza. «Ti prego, non leggere!», si affrettò a dire togliendomi un foglio dalle mani.
«Perché?»
«Perché me né vergogno»
«Sei serio?», gli domandai alzando un sopracciglio. «Sei consapevole di essere in una band famosa e che le vostre canzoni siano conosciute da quasi tutto il mondo?»
«Sì, ma questa deve essere perfezionata»
«Secondo me va bene così. Le parole sono molto belle», ammisi spostandomi una ciocca di capelli dietro all’orecchio. «Perché non me la suoni?»
«Perché dovrei?»
«Suvvia Tom non farti pregare», gli dissi porgendogli la chitarra. «Avanti!»
Il ragazzo si sedette su una poltroncina verde con la sua chitarra sulle tra le braccia e iniziò a intonare qualche nota. 
«È ancora da correggere…»
«Zitto e suona!», gli ordinai. 
Lui riprese a suonare qualche nota e poi iniziò a muovere le sue dita lungo le corde intonando una splendida melodia fino a quando la sua voce iniziò a cantare le prime parole: 
«And she was, like a blade of ice
Like a lonely road, clearest day alive
Always sharp and cold, always beautiful
I am such a fool.
 
When the night will be begin,
The pain it won't end even if she falls in love.
Back, you want to turn back, your heart will attack
Even if she falls in love», cantò. Passò qualche minuto prima che riuscii a dire qualcosa di abbastanza bello. Qualunque cosa avessi detto non sarebbe stata all’altezza delle parole cantante da lui. «Fa così schifo?»
«Sei pazzo?», gli domandai incredula di quello che avesse appena detto. «Non so se sei consapevole di quello che hai appena cantato, cioè di quello che hai appena composto… non riesco a trovare le parole giuste per dirti quanto queste due strofe siano bellissime e sono sicura che anche quello che concepirai in seguito sarà fantastico», dissi tutto d’un fiato. «Non mi sento in grado di dire niente a riguardo… sembra una canzone totalmente diversa da quelle che ho ascoltato fin ora, sembra più matura rispetto a quelle degli altri CD»
«Diciamo che ultimamente sono più ispirato», confessò posando la sua chitarra sulla poltrona dove era seduto poco prima e regalandomi uno dei suoi splendidi sorrisi capaci di sciogliere la neve sul K2. «E poi era da una vita che non suonavo qui, di solito Jennifer mi faceva rintanare in una stanza che aveva fatto insonorizzare… diceva che tutti questi accordi senza senso le facevano venire il mal di testa»
«Amante della musica…»
«No, era affetta da una grave forma di stronzaggine!».

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Capitolo 13
*** Chapter thirteen | Lost ***


Chapter thirteen.
Lost
 
«Cassie».
Era piena notte, la città stava dormendo e lo stavo facendo anch’io finché Thomas non aveva iniziato a chiamarmi nel cuore della notte costringendomi a ignorarlo e a voltarmi dal lato opposto il suo.
«Cassie», sussurrò di nuovo. Non si dava per vinto. «Stai dormendo?», mi domandò strattonandomi leggermente, quel tanto che bastava da costringermi a rispondergli.
«Se ti dico di sì, mi lasci in pace?», dissi portandomi il lenzuolo fino a sopra la testa.
«Avanti Cassie, svegliati!», mi ordinò lui avvicinandosi a me ottenendo solo la mia mano sulla sua faccia per allontanarlo. Mi stava stancando. «Cass!»
«Che cosa vuoi Thomas, sono le quattro del mattino, non hai pietà per me?».
«Andiamo!»
«Cosa?»
«Andiamo!»
«Sii più specifico…», gli chiesi mettendomi a sedere ormai svegliata del tutto da quell’uomo a carponi che si agitava sul letto. «Che cosa intendi con “andiamo”?»
«Via»
«E dove?»
«Non lo so»
«Potresti dire qualcosa più di tre parole?»
«Ti spiego dopo, ora vestiti», disse tirandomi i vestiti che il giorno precedente mi aveva nascosto. «Ti aspetto in macchina», aggiunse uscendo dalla stanza prima che io potessi ribattere. Non mi ero accorta che era vestito e aveva già le scarpe ai piedi.
Nonostante la scarsa voglia di alzarmi e l’elevato desiderio di tornarmene a dormire e lasciarlo ad aspettare in macchina da solo fossero notevoli, mi arresi e mi lasciai convincere a seguirlo. Indossai i vestiti e mi lavai il viso e approssimativamente i denti con un po’ di dentifricio sul dito.
«Ce ne hai messo di tempo!», ribadì appena salii in macchina che in precedenza si era preoccupato di tirarla fuori dal garage.
«Dove andiamo?», gli domandai ignorando la sua battuta.
«Non lo so, per ora pensavo di uscire dal vialetto, poi andrò dritto e pregherò».
«Per cosa?»
«Per far si che non ci sia un muro dove andare a sbattere»
«Thomas, non sono in vena di scherzi, ho sonno e domani dovrò andare a lavorare»
«Mi dispiace, se vuoi…»
«Non ti preoccupare, solo non mi svegliare finché non arriviamo a destinazione», dissi accendendo la radio e mettendomi comoda sul sedile del SUV. Sapevo che non mi sarei più riaddormentata, ma volevo farlo sentire in colpa almeno un po’ per avermi svegliato nel cuore della notte.
«Sei arrabbiata?», domandò tornando alla carica, ignorando completamente quello che gli avevo detto di fare.
«No, non sono arrabbiata»
«Mi dispiace»
«Ora siamo qui»
«Scusa»
«Thomas, zitto!», dichiarai. «Non ti preoccupare, mi piace passare del tempo con te», dissi provando a rassicurarlo, cercando di placare la sua parlantina. «Ma perché adesso?»
«Non lo so, mi annoiavo…»
«E non potevi, che ne so, dormire?»
«E perdermi tante cose belle?»
«Hai presente il telefilm “How I Met Your Mother”?», domandai aspettando una sua risposta. «Ecco, Ted dice: Nothing good happens after 2 A.M.*, perché non puoi prendere esempio da lui?». Non rispose. Si limitò a guardarmi e a sorridere per poi tornare a fissare la strada davanti a se.
Ormai eravamo in viaggio già da quasi un’ora, il sole stava pian piano iniziando a sorgere colorando l’intero paesaggio davanti a noi. Adoravo questi momenti della giornata, mi facevano pensare a quanto fossi piccola rispetto a tutti quei fenomeni che il Mondo ci regalava ogni giorno. Ma il Mondo non regala sempre cose incantevoli e, infatti, a ogni reazione bella corrisponde una reazione contraria e fu così che quando ci fummo lasciati alle spalle l’ultimo distributore di benzina e l’ultimo meccanico, la macchina iniziò a fare strani rumori e a bloccarsi in mezzo alla corsia.
 
Scendemmo dalla macchina e Thomas si affrettò ad aprire il cofano e a toccare qualche pezzo al suo interno come se realmente sapesse quello che stava facendo. Aspettai qualche minuto prima di mettere da parte il suo orgoglio da uomo e mettermi di fianco a lui a guardare quell’insieme di aggeggi metallici e cavi che facevano funzionare l’auto. «Pensi di sapere il perché si è fermata o vuoi fingere ancora un po’ di capirci davvero qualcosa?», lo canzonai.
«Houston, abbiamo un problema!»
«Da cosa l’hai dedotto?»
«Secondo me è il carburatore»
«Ne sei sicuro?»
«Non proprio, però nei film è sempre quello che si rompe», disse chiudendo il cofano e appoggiandosi sopra.
«Tom, noi non siamo in un film», gli feci notare mettendomi davanti a lui. «Siamo bloccati in mezzo al nulla e temo che un coyote possa saltare fuori da un momento all’altro e mangiarci»
«Tranquilla, è presto per i coyote», disse prendendomi tra le sue braccia e poggiando il mento sopra la mia testa.
«Senti, non è che non c’è più la benzina?», provai a dirgli ricordandomi che la sera precedente aveva rimandato di farla.
«Ti arrabbieresti se fosse davvero così?», domandò quando, dopo essersi staccato da me, ebbe controllato che la lineetta rossa non fosse sull’E dell’indicatore di benzina.
«Avevo ragione?»
«Ci conviene aspettare un carroattrezzi o almeno spostare la macchina dalla strada».
«Ma è pesante!»
«DeLonge, hai messo su qualche chilo, ti farebbe bene un po’ di allenamento!», dichiarai scherzando e con fatica riuscimmo a spostare la macchina non fuori dalla carreggiata ma almeno al margine così da non intralciare possibili guidatori, anche se improbabile.
Iniziammo a tornare indietro, camminando una di fianco all’altro, cercando di mantenere lo stesso passo, sotto il cielo che si stava schiarendo davanti a noi. Immersa nei miei pensieri non mi resi conto quando a metà strada mi prese la mano e si fece più vicino. Continuò a restare zitto e a camminare al mio fianco con uno strano sorriso sul viso. Nonostante avesse abbandonato la macchina in mezzo al nulla, continuava a sorridere come se non gliene importasse nulla.
«Il carroattrezzi lo hai già chiamato?»
«Ci ha pensato l’auto, quando si è bloccata, ha mandato un avviso con le coordinate all’operatore dell’assistenza stradale dell’auto e la fortuna vuole che prima delle sette non possono aiutarci».
«Efficienti!», dissi sarcasticamente. «Senti, ma perché stavi andando in Messico?»
«In verità stavo andando verso il Grand Canyon ».
«Ehm no, tu stavi guidando a Sud, il Grand Canyon si trova in Arizona, ossia a Nord-Est rispetto a dove siamo adesso».
«Ne sei sicura?»
«Qual è stato l’ultimo cartello che hai visto?»
«San Ysidro se non sbaglio…»
«Questo deve darti una risposta… no ma aspetta!», dissi mettendomi davanti a lui. «Sul serio pensavi di arrivare fino al Grand Canyon entro la mattinata?», gli domandai. «Sono otto ore di macchina!»
«Se ti dicessi che l’ho fatto per passare un po’ di tempo con te serve ad addolcire la pillola?»
«Thomas hai trent’anni, non hai bisogno di comportarti come un ragazzino»
«Lo so, solo che…»
«Solo che cosa?», gli domandai senza lasciargli il tempo di darmi una valida risposta.
«Sii solo mia», disse bloccandomi per un braccio costringendomi a guardarlo mentre diceva quelle parole.
«Thomas, cosa diamine stai dicendo?», gli chiesi passandomi una mano sul viso, stanca di discutere e di camminare.
«Abbiamo passato un bellissimo weekend insieme, speravo di poterlo allungare un po’ di più, volevo trascorrere un’altra ora con te. È chiedere tanto?»
«Sì, se quello che capita dopo è ritrovarci bloccati in mezzo al nulla sulla strada per andare in Messico».
«Ok, è stato uno stupido errore di orientamento, ma tu non avresti mai accettato se te lo avessi chiesto»
«Ne sei davvero sicuro?»
«Mi hai quasi ucciso quando ti ho proposto una cena fuori».
«È stato un errore, non volevo versarti il caffè addosso».
«Allora errare è umano»
«Senti, magari un giorno rideremo di questa cosa, sempre se sopravviviamo, ma per ora possiamo concentrarci soltanto sul camminare e trovare quella maledetta stazione di servizio?»
«Diamine! Non c’è anima viva qui»
«Forse ci conviene tornare alla macchina, sarà più facile rintracciarci o almeno possiamo chiedere un passaggio», e fu così che bloccandoci a metà strada tornammo indietro. Il sole ormai si era alzato e il cielo era di nuovo azzurro, limpido, senza neanche una nuvola.
«Senti, so che quello che sto per dire può sembrare estremamente stupido da parte mia, giusto perché di cazzate non ne ho fatte fin troppe fin ora, ma c’è dell’altro».
«Perché continui a fare giri di parole?»
«Sono un idiota»
«E su questo siamo d’accordo entrambi»
«Non lo metto in dubbio, ma ora stiamo andando fuori tema… ti volevo dire che c’è dell’altro».
«Va bene, sentiamo…»
«Il fatto di essere qui non è stato proprio casuale, cioè la macchina che si è fermata è stata proprio una sfiga venuta dal cielo, ma è vero che volevo passare del tempo con te perché ce ne resta davvero poco».
«Stai per morire?», chiesi titubante.
«No, cioè spero di no, le mia salute è apposto, ma non è questo il punto», farneticò passandosi una mano tra i capelli e infine fermandosi sul ciglio della strada. «Il punto è che adesso iniziano diversi festival e ciò mi porterà a stare via per molto tempo, a viaggiare per il mondo e a essere lontano da te e mi scoccia poiché ora le cose stavano andando bene tra di noi».
«Quando dovresti partire?»
«Settimana prossima, giorno più, giorno meno», disse guardando da tutt’altra parte come se si vergognasse di quello che stesse dicendo.
Feci una lunga pausa, cercando di trovare qualcosa da dire. Non avevo proprio nulla da dire oltre al fatto che nel giro di sette giorni sarei ritornata alla tranquillità senza il ciclone Thomas a stravolgermi le giornate.
Che cosa sarebbe successo? Che cosa avremmo fatto? Che cosa eravamo?
Non lo sapevo neanch’io. Non avevo idea di come gestire la cosa.
«Perché hai aspettato adesso a dirmelo?», gli domandai infine. «I tour non vengono programmati all’ultimo».
Non ero arrabbiata, non ero delusa, mi sentivo svuotata, ma non quella sensazione positiva che si ha quando confessi un segreto e ti senti più libero. No, era un vuoto da: “E ora cosa farò?”.
«Perché era stato organizzato tutto già prima che tu ed io, beh… che iniziasse tutto ciò», spiegò spostando i suoi occhi verso i miei e finalmente guardandomi. «Non potevo dirti: “Fantastico ora che Jennifer si è levata dai piedi possiamo iniziare a stare insieme. Ah si a proposito, tra qualche mese partirò e tu resterai qui. Ci vediamo quando torno. Hasta la vista, baby!”»
«Va bene, va bene», dissi portandomi le braccia al petto. «Quindi cosa faremo?»
«Cerchiamo di passare più tempo possibile insieme e poi ci penseremo venerdì», propose alzando le spalle e accennando un sorriso.
«Continuiamo a camminare»
Non c’erano alternative che accettare la proposta di Tom e cercare di sopravvivere a questa giornata. Tutto ciò che volevo era tornarmene a casa farmi una doccia calda e riflettere sul da farsi.
Il sole ormai alto in cielo stava iniziando a riscaldare l’aria e un venticello leggero e caldo ci colpiva in viso. Dopotutto non era affatto spiacevole.
«Posso dire una cosa spiacevole?»
«No!», obbiettai.
«Nel peggiore dei casi ci potrebbero rapire gli alieni», dichiarò ignorando il significato del mio “no”.
“Thomas, smettila!», gli dissi. «Non dire stupidaggini, non ci sono alieni in Messico che potrebbero rapirci»
«Dico solo una parola, anzi, una città!», dichiarò portandosi le braccia incrociate al petto. «Roswell»
«Senti, l’operatore dell’assistenza stradale sa dove siamo, è impossibile che scompariamo nel nulla»
«Per quanto ne sappiamo possono manomettere qualunque tipo di tecnologia»
«Se stai cercando di spaventarmi, sappi che ci stai riuscendo», gli feci notare facendomi più vicina a lui e aggrappandomi al suo braccio. Tom mi rivolse uno sguardo e sorrise. Sorrise come aveva fatto all’inizio. Come faceva ogni volta che stava con me.
Non ero sicura ancora dei miei sentimenti, non sapevo neppure cosa significava amare qualcuno, eppure stare con lui, anche se eravamo dispersi in mezzo al nulla, non era poi così sgradevole, sapevo che sarebbe andato tutto bene se lui fosse stato al mio fianco.
 
* HIMYM 01x18 - Dopo le due di notte... | Traduzione: Non succede mai niente di buono dopo le due di notte.
N/A:
Ehilà gente, scusate l'assenza ma sono stata abbastanza impegnata con gli esami, l'università e il lavoro.
Spero che questo capitolo vi piaccia e spero anche in qualche recensione :)
Alla prossima.
P.s. Sono abbastanza depressa per come stanno andando le cose (nell realtà) tra la band.

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Capitolo 14
*** Chapter fourteen. | I always freeze when I'm thinking of words to say. ***


Chapter fourteen.
I always freeze when I'm thinking of words to say.
 
Martedì.
Mercoledì.
Giovedì.
I giorni passano così velocemente quando hai dei progetti in mente e tutto quello che vuoi è che il tempo si fermi per sempre.
O almeno che si fermi per un periodo abbastanza lungo.
Eppure, anche quella volta, il tempismo non era stato da meno e venerdì era arrivato in fretta, come se non aspettasse altro che far festeggiare la gente perché finalmente era giunto il weekend, ma per una volta il weekend non era mai stato odiato così tanto da due persone.
«Ti andrebbe di andare fuori a mangiare?»
«Non ho molta volta»
«Allora ordiniamo qualcosa, al contrario tuo io ho una fame da leoni», disse prendendo un volantino di un ristorante cinese e osservando le pietanze che offrivano. «Non so cosa tu abbia intenzione di fare, ma di passare la serata in silenzio non mi va proprio».
«Thomas, lo sai meglio di me… non costringermi a tirar fuori l’argomento ».
«Ma ormai lo hai fatto», disse poggiando il menù sul bancone e sedendosi sul divano per poi accendere la tv.
Restai dieci minuti in piedi a osservarlo, sperando che dicesse qualcosa riguardo alla sua partenza ma nulla. Si limitava a guardare un programma scientifico che davano in tv ignorando tutto il resto.
Stufa del suo comportamento decisi di andarmene da quella stanza. Avrei voluto prenderlo a schiaffi per come si comportava.
Sbattei la porta e mi sedetti sul bovindo portandomi le gambe al petto. Mi ritrovai a guardare fuori dalla finestra e mi tornò in mente come tutto era iniziato e di come mi ero ritrovata lì a pensare a cosa fare con Thomas dopo che eravamo finiti a letto quando lui stava ancora con Jennifer.
Erano passati diversi mesi da quando tutto era iniziato.
Forse cedere alla sua corte non era stata la mossa migliore, ma non mi sarei mai ritrovata qui con lui che in fondo non era così male, col tempo avevo iniziato a legarmi, a volergli bene e probabilmente anche ad amarlo, ma nessuno aveva detto che stare insieme a una rockstar sarebbe stato facile. Il punto è che non esistono guide su come comportarsi e soprattutto mi ero dimenticata che lui fosse in una band piuttosto famosa, questo perché quando stavamo insieme non mostrava mai quel lato che metteva in scena sul palco.
Respirare l’aria in quella stanza era una tortura. Tutto profumava di lui.
Per quanto odiassi ammetterlo, ormai mi ero completamente fatta travolgere dal ciclone Thomas e ora tutto mi ricordava lui come questo stupido bovindo o il letto che avevo rifatto accuratamente ma che Tom aveva disfatto buttandosi sopra per dormire un po’ durante il pomeriggio.
Non ero mai stata una persona così ossessiva, appiccicosa, sdolcinata eppure quel ragazzo stava riuscendo a cambiarmi inconsapevolmente.
Forse non lo avrei mai ammesso a nessuno, ma una parte di me riteneva Tom davvero importante e ammetterlo a me stessa era stata la cosa più difficile.
«Ehi», sussurrò.
Non mi accorsi di come il cielo si era incredibilmente oscurato e di Thomas che fece capolino dalla porta finché non sentii le sue braccia stringermi a lui.
«È venerdì sera. Le persone escono a divertirsi, io vorrei almeno stare in compagnia della mia ragazza», disse senza ricevere risposta. «Cass, ti prego, non essere arrabbiata»
«Non sono arrabbiata»
«Allora parlami»
«Ho cercato di parlarti ma tu mi hai tranquillamente ignorato preferendo uno stupido programma sugli alieni», dissi scostandomi da lui.
Anche Tom si spostò. Col tempo aveva imparato che a volte avevo bisogno dei miei spazi e così si spostò davanti a me, sul bordo del letto. Si limitava a restare zitto e a guardarmi mentre cercavo di ignorare il suo sguardo concentrandomi sull’esterno della stanza.
«Smettila di fissarmi, Tom», gli dissi esasperata. Odiavo quando se ne stava zitto a osservarmi.
«È che a volte ho come la sensazione che tu possa sfuggirmi via», sospirò. «Come adesso. Ti sei rintana nel tuo mondo e io non so cosa tu stia pensando. È snervante non poter fare nulla»
«Non è un problema tuo», cercai di dirgli sembrando più calma possibile.
«Sai cosa si prova a svegliarsi ogni mattina e sperare che tu sia ancora qui?».
«Che cosa stai insinuando di dire?», gli domandai cercando nella penombra della stanza i suoi occhi. Nessuno aveva acceso la luce, e forse era meglio così.
«Sai…», iniziò a dire facendo una breve pausa, il tempo di sorridere a un ricordo che solo lui poteva vedere. «Eri seduta proprio lì, in quella stessa posizione, quando mi sono accorto di starmi innamorando di te», confessò. «Neppure ci conoscevamo, però avevo capito che mi piacevi. Mi piacevi da impazzire e il fatto che siamo qui è la dimostrazione che dopotutto non sono così insopportabile come mi ripetevi spesso», fece un’altra pausa. «Il punto è che ti amo Cass e lo so che ora sarò costretto ad andarmene, ma non voglio che tu sparisca, che metta le distanze da me. Sono tre mesi. Tre mesi e poi tutto tornerà come sempre. Io sono pronto, cioè ormai hai capito che non ti libererai di me tanto facilmente, tu sei disposta ad aspettarmi?».

 

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Capitolo 15
*** Chapter fifteen | Now we can see! What do we need? We should need nothing, nothing at all! ***


Chapter fifteen.
Now we can see! What do we need? We should need nothing, nothing at all!
 
Un’auto veloce, un paesaggio indefinito che scorreva fuori dai finestrini, la voglia di una persona che cresceva ogni chilometro che si avvicinava a quella città.
Tre mesi volavano se eri una rockstar, ma non per me che restavo in attesa di quel ragazzo. Giorno dopo giorno a contare quanti ne mancassero per rivederlo.
Se la “me” di un anno fa guardasse la “me” di adesso, quest’ultima rischierebbe di essere picchiata dalla prima. Non mi sarei mai immaginata che una cosa del genere potesse accadere. Innamorarmi non era mai stato uno dei miei primi pensieri. All’amore non ci avevo mai pensato seriamente visto gli sfortunati eventi che erano capitati nella mia famiglia, non siamo mai stati fortunati in questo campo. Eppure, questa volta, iniziavo davvero a pensare che per me c’era una speranza, che potevo rompere la maledizione degli Steward.
A causa del tour, del fuso orario e dei vari impegni, sentirsi era diventato quasi impossibile. Ci eravamo ridotti a qualche messaggio durante la giornata e a ricevere il buongiorno quando si stava per andare a letto.
Tutto ciò però era sopportabile, almeno lo rendeva meno pesante il fatto che a giorni Thomas sarebbe tornato e che lo avrei ritrovato di nuovo a gironzolare per casa mia o ad ascoltarlo suonare nel suo salotto, mentre cercava di comporre qualcosa di nuovo.
Era solo questioni di giorni, di ore, e tutto sarebbe tornato alla normalità, sempre se si sarebbe potuta chiamare normalità quella di avere un fidanzato stupido che era bloccato ai tempi del liceo. La sua stupidità però non era una di quelle negative, era il suo modo di essere simpatico e gli riusciva piuttosto bene, era uno dei pochi che mi faceva ridere di gusto, fino a farmi lacrimarmi gli occhi. Apprezzavo questa sua qualità, questa cosa del “non prendere troppo sul serio la vita”.
 
Un’altra giornata di lavoro era finita. Rientrare a casa era la cosa che volevo di più al mondo.
«Buonasera», disse qualcuno alle mie spalle.
«Sera», risposi distratta non alzando gli occhi dalla posta che avevo ricevuto.
Ero entrata dal portone e stavo percorrendo il cortile, avevo appena superato la fontana quando la stessa voce disse: «Cassy-Doo?», mi voltai.
Solo una persona mi chiamava così.
«Ehi», disse con uno dei suoi soliti sorrisi obliqui che riuscivano a scioglierti cuore, mente e ovaie. Le fotografie non dimostravano quanto fosse sexy dal vivo, quanto ogni cellula del suo corpo trasudasse bellezza.
I suoi capelli erano cresciuti di qualche centimetro, perennemente spettinati e coperti da quel berretto nero. I jeans strappati sul ginocchio erano gli stessi che mi ricordavo. La maglietta che indossava era quella che mi avevo utilizzato io la mattina che mi aveva nascosto i vestiti. I borsoni per terra erano quelli che mi dimostravano che era davvero tornato.
«Tom, che ci fai qui?»
«Abito qui»
«In verità questa non è casa tua»
«San Diego lo è»
«Va bene, ma non hai ancora risposto alla mia domanda», dissi restando a distanza, non riuscivo a credere che fosse tornato. Che fosse realmente lì davanti a me. «TI aspettavo settimana prossima»
«Anch’io, ma a quanto pare ho capito male i giorni e quindi eccomi qui… Sorpresa!», disse enfatizzando l’ultima parola e aprendo le braccia. Non pensai neanche un secondo. Corsi immediatamente tra le sue braccia che mi strinsero forte. Rischiammo di finire nella fontana a causa del mio impulso di stringerlo forte.
«Diamine!»
«Che c’è?», disse passandomi una mano tra i capelli mentre con l’altra cercava di tenermi in braccio. «Tutto apposto?»
«Sì, certo», gli sorrisi.
«Sicura?»
«Sono solo felice di rivederti», continuai a dire senza smettere di sorridere, contagiandolo. Fu questione di secondi e anche le sue labbra s’incurvarono per poi avvicinare il mio viso al suo e finalmente baciarmi.
Un bacio atteso tre mesi. Non volevo staccarmi dalle sue labbra neanche per respirare.
Eppure fui la prima a farlo.
«Quindi sei tornato?», gli chiesi non smettendo di sorridere.
«E non me ne vado tanto facilmente»
Rimasi qualche istante a osservarlo. A osservare ogni parte del suo volto. Era esattamente come me lo ricordavo, nulla era cambiato.
Mi sarei svegliata con lui al mio fianco ogni mattina da ora al prossimo tour. Non sapevo quando sarebbe stato organizzato o quando sarebbe stata la prossima partenza, per ora mi bastava questa certezza ed era tutto quello che volevo al momento.
Mi dimenticai la stanchezza e la voglia di tornare a casa. Avevo lui tra le mie braccia e sulle mie labbra. Il suo profumo aveva riempito i miei polmoni e annebbiato la mia mente come solo lui era capace di fare.
Ero completamente abbandonata a lui.
«Che ne dici di salire?»
«Pensavo che non me lo avresti mai chiesto».
E lo sarei stata per sempre.
Fin.
N/A: Ed eccoci qui alla fine di questa storia.
Onestamente l'ho dovuta tagliare perchè mi ero un po' stufata, quindi mi dispiace se qualcuno si aspettava di più e vi ringrazio se siete arrivati fin qui a leggere questo calvario hahahah.
Comunque, a bando le ciance, vorrei ringraziare enormemente
 staywith_me che mi ha supportato capitolo dopo capitolo incentivandomi (inconsapevolmente) ad andare avanti :)
Grazie mille.
Alla prossima.
Molly

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