I'm friend with the monster that's under my bed

di Nimel17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** What a pretty little nightmare ***
Capitolo 2: *** Care to make a deal? ***
Capitolo 3: *** What's in a name? ***



Capitolo 1
*** What a pretty little nightmare ***


Jillian cancellò l’ennesima riga, rendendosi conto che non sarebbe riuscita a produrre nulla di concreto per quel giorno. Si guardò allo specchio antico appeso sopra la scrivania, desiderando vedere qualsiasi cosa al posto del suo riflesso.
Non aveva dormito un’intera notte di sonno da quando era piccola e ne erano conseguite delle occhiaie leggere, ma praticamente onnipresenti. Era di carnagione piuttosto pallida, gli occhi color nocciola erano molto grandi ed espressivi, mentre i capelli erano di un ordinario castano, lunghi e lisci fino ai fianchi sottili.
Tre anni prima aveva scritto un libro horror che aveva scalato in pochissimo tempo le classifiche internazionali, definito dalla critica angosciante e opprimente; Jillian aveva all’epoca sorriso amaramente, perché anche lei si era sentita come i suoi lettori.
Angosciata e oppressa, ma dai suoi stessi incubi.
Erano però passati già due anni e il suo editore le aveva strappato, sei mesi prima, la promessa di una raccolta di dodici brevi racconti dell’orrore.
“Consideralo un regalo di nozze, Jill.”
La punta della matita si spezzò bruscamente sul foglio su cui stava disegnando ghirigori senza senso. Ryan era il suo fidanzato da un anno e mezzo, ormai tutti si aspettavano che, entro un paio di mesi al massimo, si sarebbero sposati per poi vivere felici e contenti. I giornali lo speravano sicuramente: il matrimonio tra una giovane promessa della letteratura horror e l’editore che l’aveva lanciata era sembrato loro il coronamento di una fiaba.
In tre giorni avrebbe dovuto consegnargli tre racconti in anticipo e lei non aveva ancora scritto una parola.
Per quanto detestasse ammetterlo, non aveva ispirazione senza i suoi incubi.
Senza di lui.
Poco dopo aver pubblicato il libro ed essersi fidanzata, aveva iniziato a prendere dei sonniferi per sfuggire alla sua presenza piena di rabbia, ma così facendo si era apparentemente sottratta anche al genio creativo.
Andò in cucina a prepararsi un caffè, riflettendo con lo sguardo perso nel vuoto.
La prima volta che aveva scoperto l’esistenza di quella creatura aveva solo sei anni e aveva appena perso la sorellina a causa di un incidente stradale. Nel mezzo della notte si era svegliata con la sensazione di non essere sola nella sua cameretta, poi l’aveva visto.
“C-chi sei? L’Uomo Nero?”
“È uno dei miei nomi.”
Non l’aveva più lasciata da allora, dandole a ogni sonno nuovi incubi e manovrando la sua vita come un abile burattinaio; solo dopo aver conosciuto Ryan aveva osato ribellarsi al suo controllo, facendolo infuriare.
“Io ti ho dato tutto. Ho creato io la Jillian che quel tronfio pavone vuole tanto.”
“Tu mi perseguiti. Non sono che un’ombra. Io voglio vivere, capisci?”
Lei fece inconsapevolmente un sorrisetto beffardo. Aveva voluto vivere e invece aveva firmato la propria condanna a morte.
Due settimane prima aveva scoperto che, dopo la conclusione dei dodici racconti, Ryan aveva programmato di ucciderla per aumentare il valore di quelle brevi storielle, che sarebbero state rilasciate al pubblico a distanze considerevoli di tempo.
Se solo quel pomeriggio non fosse andata in cantina, mentre si trovava a casa di lui per il weekend…
Non appena aperta la porta, i corpi congelati delle precedenti fiamme di Ryan l’avevano fissata con i loro occhi spalancati, pieni di terrore.
Jane, dai capelli dorati e gli occhi castani, nemmeno sedicenne… sapeva che era stata la sua fidanzatina del liceo.
Marian, prima proprietaria della casa editrice, con i ricci scuri e la pelle ambrata. L’aveva vista spesso in fotografia.
Lisbeth, cantante country fallita, dal viso malinconico e lunghi capelli rossicci.
Diane, segretaria di un avvocato, con la chioma brizzolata e bellissimi occhi verdi.
“Tu sarai la prossima. Lo sai, vero, tesoro?”
Lei aveva lasciato cadere la chiave della cantina alla voce garbata di Ryan alle sue spalle.
“Eppure ti avevo detto di non venire in questa stanza.”
Sì, glielo aveva detto. Aveva cercato di allontanarsi da lui, ma era inciampata in uno dei corpi.
“Non temere. Mi sei ancora utile… devi darmi quei racconti, prima.”
“Sei pazzo! La polizia…”
“Non fare la sciocca. Se anche le forze dell’ordine dessero ascolto a una scrittrice di horror dall’immaginazione troppo fervida, farei comunque in tempo a spostare i miei tesori.”
Jillian si era arresa alla verità di quelle parole. Una volta aveva anche cercato di lasciare la città, ma Ryan l’aveva scoperta e dopo non aveva potuto alzarsi dal letto per una settimana.
E quella mattina… aveva trovato un suo messaggio in segreteria.
“Sai cosa succederà se non mi darai quei racconti entro tre giorni, cara. Anzi, passerò domani sera per il primo… una storia al giorno toglie la morte di torno, non trovi Jill?”
Lei si lasciò cadere sul divano, la tazza fumante ancora in mano. Il vecchio vestito da casa le penzolava sulla figura troppo magra e tesa, la pelle era scossa da brividi e il labbro inferiore recava il segno di troppi morsi.
Sapeva che aveva solo un’opzione davanti a sé, ma si sentiva come una volpe che, per far perdere le proprie tracce ai cani, poteva salvarsi solo nuotando in un torrente impetuoso.
Appoggiò il caffè intatto sul tavolo e si sdraiò, chiudendo gli occhi. Non si era resa conto d’essere così stanca, ma sentiva che, dalla sua mente, sarebbero presto riemerse le immagini di quei cadaveri gelidi.
“E così mi lasci entrare, finalmente. Quale onore.”
Fu come se il tempo non fosse mai passato. Jillian socchiuse le palpebre per osservare la figura seminascosta nell’angolo più buio della stanza. Vestito di nero, quell’essere si mimetizzava facilmente nell’oscurità e lei aveva perso il conto di tutte quelle volte che si era sentita osservata, per poi non trovare nessuno nelle immediate vicinanze.
“Sai perché te l’ho permesso.”
“Non riesci più a scrivere, vero? Dillo.”
Jillian stava per storcere il naso a quella familiare arroganza, ma non poteva permettersi nessun tipo d’orgoglio.
“Ho bisogno di te. Avevi ragione.”
Lui sorrise, gli occhi dorati pieni di soddisfazione. Il viso stretto e incavato divenne più nitido mano a mano che si avvicinava, una mano tesa verso di lei fino a sfiorarla con le lunghe unghie appuntite.
“Sì. Sì, è vero.”
La sua voce era poco più di un sibilo irato.
“Tuttavia, cara, io non perdono facilmente.”
“Me lo aspettavo. Voglio fare un patto con te.”
Lui s’immobilizzò, scrutandola attentamente.
“Ti ascolto.”
“Dammi l’ispirazione per un racconto. Devo scriverlo entro domani.”
Sperava, con la prima creazione, di comprarsi un po’ di tempo in più per le altre due.
“E cosa mi daresti in cambio?”
Jillian ci pensò seriamente. L’Uomo Nero nutriva ancora del rancore nei suoi confronti, quindi forse sarebbe bastato dargli qualcosa da cui le sarebbe pesato separarsi.
“Il primo quaderno su cui ho iniziato a scrivere.”
Era l’unico ricordo che aveva di sua nonna e l’aveva sempre custodito gelosamente.
“Molto bene, affare fatto. Chiudi gli occhi, principessa. Ti ridarò un po’ della tua ispirazione.”
Lei obbedì e, al suo risveglio, si mise a scrivere furiosamente di una ragazza prigioniera nelle acque di un lago ghiacciato, con la sola compagnia di anime e corpi abbandonati.

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Capitolo 2
*** Care to make a deal? ***


“Questo racconto è veramente buono, tesoro. Tuo padre non era poi così fuori strada quando decantava i tuoi talenti.”
Jillian si sforzò di mascherare il sollievo che l’aveva invasa, tanto che le gambe le avrebbero ceduto se non fosse stata seduta.
“Se vuoi che gli altri lo siano altrettanto, Ryan, dovrai darmi più tempo.”
“Ah, no, cara! Devi rispettare le scadenze. Passerò domani a quest’ora per il secondo racconto, altrimenti sai cosa succederà.”
Lei lo guardò andarsene, amareggiata. Era stata solo una stupida, come aveva potuto credere che avrebbe fatto cambiare idea a quel mostro assassino? Iniziò a pettinarsi i capelli, senza disturbarsi a frenare le lacrime o la rabbia diretta contro se stessa… e suo padre.
Era stato lui a metterla in quel pasticcio: era solito dire a tutti, al bar, che sua figlia scriveva le storie più belle e agghiaccianti del mondo e Ryan, che all’epoca gli aveva prestato una grossa somma di denaro, gliene aveva chiesto prova. Jillian, allora, aveva messo per iscritto i suoi incubi, incoraggiata dalla presenza oscura che non l’abbandonava mai e aveva salvato il padre dall’arresto, se non da qualcosa di più drastico.
Ora si trovava nella stessa situazione, solo che il tempo era esiguo e la posta in gioco più alta.
Nascose la testa tra le braccia, la fronte appoggiata contro il tavolino.
“Ti prego…”
“Due volte in due giorni. Dev’essere la mia settimana fortunata.”
Una mano gelida le si posò sui capelli, accarezzandoli lentamente.
“Su, su, Jillian. Hai bisogno di un altro racconto, suppongo. Cos’hai da darmi in cambio?”
Lei alzò il capo e si asciugò le lacrime che erano uscite contro il suo volere.
“È inutile. Se non mi ucciderà domani, lo farà dopodomani, o quando gli avrò dato tutti e dodici i racconti.”
Lui s’inginocchiò fino a raggiungere il suo livello e le sollevò il mento con un sorriso crudele.
“E io che pensavo ti affrettassi per compiacerlo o anticipare le nozze. Credevo mi avessi detto che volevi vivere, cara.”
Jillian gli rivolse la sua migliore occhiataccia, che non fece altro che divertirlo maggiormente.
“Ci sguazzi in questo guaio, vero? Che trionfo vedermi costretta a chiederti aiuto, disperata e senza vie di fuga.”
Scacciò via la sua mano con un leggero schiaffo, piena di sdegno e rabbia, mentre si alzava e apriva un cassetto della scrivania, tirandone fuori una vecchia stilografica.
“Ecco. Era la penna preferita di mia madre.”
Lui la prese, senza dire nulla. Freddo e impassibile, la stava mettendo a disagio. Forse, con quello scatto d’ira, si era preclusa la possibilità di chiamarlo il giorno dopo.
“Incubi d’oro, Jillian. Farai meglio a pensare a cosa offrirmi domani.”
Se anche avesse voluto riflettere sulla proposta, venne interrotta dallo squillo del telefono. Fissò l’apparecchio come se volesse assalirla, nauseata al pensiero di dover sentire ancora la voce di Ryan.
“Non rispondi, cara?”
Lei si riscosse e si obbligò a tirare su la cornetta, pallida per l’ansia.
“P-pronto?”
“Jilly! Sembra di sentire un personaggio dei tuoi libri! Tutto bene?”
Jillian sospirò di sollievo e il suo viso riprese un po’ di colore. Riuscì persino a sorridere.
“Peter! Deformazione professionale, fratellone. Come stai?”
“Alla grande. Tu, piuttosto, non mi sembri una fidanzatina felice.”
“Ci… sono dei problemi tra me e Ryan, ma vedrai che si risolverà tutto.”
“Non posso dire che mi dispiaccia. Non mi è simpatico, ma lo sopporto per amor tuo. Senti, sorellina, tra qualche giorno ho un periodo di licenza. Se non ti sto tra i piedi…”
“Certo che no! Mi fa piacere incontrarti, non sai quanto sia contenta del tuo ritorno.”
Dio solo sapeva quanti dei suoi incubi avevano riguardato Peter ucciso in Afghanistan. Questa volta, però, era lei che probabilmente sarebbe stata già morta per quando fosse arrivato.
“Ci sentiamo, Pete. Ho da fare.”
“Devi scrivere qualcosa? Figo, mi farai leggere tutto in anteprima, vero?”
“Sei un bambinone.”
“Mi ferisci!”
“Stai attento, piuttosto.”
“Lo sono sempre. A presto, sorellina.”
Con un grosso groppo in gola, Jillian interruppe la chiamata, gli occhi umidi per la consapevolezza che forse non lo avrebbe sentito mai più.
“Perché quella faccia triste, cara?”
“Ho appena detto addio a Peter e lui non lo sa.”
“Cosa ti fa pensare…”
“Domani non avrò più nulla da darti. Non ho più ricordi importanti.”
Lo osservò prendersi il mento tra le mani e sedersi sul divano, gli occhi socchiusi fissi su di lei. Il suo strano abito nero sembrava fatto di fumo all’estremità, facendole distogliere lo sguardo: le ricordava il fumo che usciva dall’auto in fiamme, dov’era imprigionata la sorella.
“Ci penseremo domani, cara. Sai cosa fare, intanto.”
Jill chiuse gli occhi e si abbandonò al sonno; si trovò presto a casa di Ryan, la chiave proibita stretta contro il palmo della mano al punto da lasciarvi la sua sagoma dentellata e il puzzo di sangue denso, opprimente come vapore.
“Interessante.”
Lei sobbalzò, sentendo la voce dell’Uomo Nero.
“Cosa ci fai nel mio sogno? Non ci sei mai venuto.”
“Oh, solo una breve visita, cara. Sono passato a dirti che, se domani troverai qualcosa da offrirmi, sono disposto a lasciarti la tua ispirazione, ma a due condizioni.”
“Cioè?”
“Che tu mi permetta di tornare, se lo desidero… e che indovini il mio vero nome entro la mezzanotte , sempre di domani.”
La giovane donna sbirciò verso la porta chiusa. I suoi incubi sarebbero stati pochi, normali, avrebbe potuto scrivere senza condizionamenti…
“Ci sto.”

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Capitolo 3
*** What's in a name? ***


“Ciàran.”
“No.”
“Lachlan.”
“Ho detto che ho un nome lungo e strano, cara, ma continua pure a logorare le tue corde vocali.”
Jillian lo guardò irritata, vedendolo giocherellare con la sua collana portafortuna di conchiglie, un regalo di Peter.
L’ultimo che le aveva fatto prima di partire per la guerra.
Erano due ore che stava scrivendo il terzo e ultimo racconto, la sua attenzione divisa tra la ricerca del nome della creatura e il ricordo della risata di Ryan quando aveva letto La Camera di Sangue.
“Non pensavo avessi tanto spirito, Jill.”
“Beh? Ti sei arresa, cara?”
Lei si riscosse e si morse la lingua per non maledirlo.
“Acheron?”
“Non ti stai nemmeno impegnando.”
“Rabelas? Havelock? Azraphael?”
“Una fan di Pratchett, vedo.”
“Mi stai distraendo. Facciamo che torni per confermare se ho indovinato.”
“Primadonna. Tutti uguali, voi artisti.”
Lei lo ignorò, riprendendo a scrivere. Quello era l’ultimo racconto, forse per quello si ritrovava spesso a fissare le pagine, immobile, come se esitasse a finirlo.
O, forse, perché parlava di lui.
Ce l’aveva messa tutta per rendere l’angoscia che la sua presenza provocava, aveva esasperato i suoi doveri e atteggiamenti fino a renderlo un vero mostro che si nutriva della paura delle persone, eppure sentiva che mancava ancora qualcosa.
“Supercalifraglistichespiralidoso?”
Forse era nel suo aspetto fisico il problema? La pelle avrebbe potuto diventare grigiastra, invece che semplicemente pallida.
“Freddy Krueger?”
Allungò considerevolmente i suoi artigli.
“Quasimodo? Abelard?”
Magari doveva modificare di più il suo comportamento, il suo carattere…
“Greystorm?”
Gli occhi li avrebbe tenuti gialli, decise. Rossi ricordavano troppo i vampiri della Meyer.
“Cymbeline? Ebenezer? Keshaun?”
Sbuffò. La mano le faceva male, aveva sete e inoltre si stava irritando.
Troppi, i nomi possibili erano troppi.
“Lancelot? Marmaduke? È Mordecai, vero? Rispondimi, non sto risolvendo nulla.”
“Su, cara, hai ancora una vasta scelta.”
“Ormerod. Raeburn. Sacheverell.”
Ridacchiò.
“Sherlock.”
Silenzio. Jillian si schioccò le nocche, intorpidita. Avrebbe fatto una pausa e si sarebbe schiarita le idee, anzi, avrebbe cercato subito una destinazione verso cui partire l’indomani, purché fosse il più lontano possibile.
Dove Ryan non avrebbe più potuto farle del male.
Doveva esistere qualcuno disposto ad ascoltarla! Come mai il ricco editore non era mai stato sospettato per le scomparse di quelle donne?
Gli avrebbe dato quell’ultimo racconto, dopo sarebbe scappata. Non se la sentiva di rischiare più a lungo, lui avrebbe sempre potuto cambiare idea e ucciderla prima della fine della raccolta.
A malincuore, prenotò un viaggio di sola andata per Monaco: era un posto che odiava e Ryan lo sapeva, avendola interrogata più volte sulle sue destinazioni preferite… per un eventuale viaggio di nozze, diceva. Rabbrividì, chiedendosi se quelle domande non nascondessero già secondi fini.
“Jill? No, non è qui, è partita ieri per Firenze… certo, le dirò che ha chiamato.”
Per precauzione, effettuò altre cinque prenotazioni per località diverse, trattenendo a stento un secondo brivido. Ryan non doveva trovarla.
“Tic toc, cara, tic toc.”
Lei guardò nervosa l’orologio: erano le cinque e mezza.
“Saruman?”
Percepì il suo sguardo severo e si sentì come un’adolescente scoperta dalla madre a navigare su Internet invece di studiare.
“Ho diritto a salvarmi la vita, no?”
“Pensa a indovinare il mio nome, piuttosto, così non saranno più necessari certi sotterfugi.”
“Partirò ugualmente. Da domani, non basterà più l’ispirazione a tenermi viva.”
Non ci fu più nessuna replica.
“Tolivar? Ledavardis? Orogastus?”
Questa volta, ebbe la sensazione di essere davvero sola. Era quasi sicura che lui non si fosse semplicemente ritratto tra le ombre, ma che se ne fosse andato per davvero. Tornò allora al suo personaggio, aggiungendogli una predilezione per i nomi e gli accordi. Avrebbe intrappolato il protagonista in un patto, facendogli credere che il prezzo da pagare nulla non era nulla rispetto al guadagno ottenuto.
Lei, invece, lo sapeva bene. Per quell’ispirazione, non era mai riuscita ad avere amici: da bambina, tutti erano convinti che inventasse frottole mentre, da ragazza, nessuno voleva avvicinarsi a quella che tutti chiamavano “Mercoledì Addams”.
Ora, però, le notti insonni davano frutti insospettabili e Jill non rimpiangeva più quello che aveva dovuto sacrificare.
“Perché hai scelto proprio me?”
L’aveva sentito tornare e leggere da sopra le spalle ciò che aveva scritto.
“Eri una bambina così particolare. Unica, direi. Talmente tanto talento da plasmare…”
“Non ho iniziato a scrivere che da pochi anni.”
“Non eri pronta, prima. Ad ogni modo, cara, perché non cambi i termini dell’accordo tra il perfido me e il ragazzo? La maggior parte degli esseri umani brama oro prezioso, non trovi?”
“Tu non sei un mago. Far comparire un bel gruzzoletto non rientra tra le tue competenze.”
“No, ma so filare la paglia in oro. Lo facevo spesso, quando ancora gli umani usavano gli arcolai.”
Jillian moriva dalla voglia di chiedergli cosa usasse ora, in epoca moderna – una macchina da cucire? Uncinetti?-, ma si morse la lingua per tacere, anche se non riuscì a frenare un sorriso.
“Mi piace come idea.”
Non sapeva spiegarsi il perché, ma quel dettaglio era esattamente ciò che mancava.
“Sanderson?”
Continuò a elencare nomi su nomi, improvvisamente vincere il suo genio creativo le sembrava sempre più importante, mano a mano che finiva la storia. Gli occhi scuri erano accesi, vivi, le labbra piegate in un sorriso esaltato. Quella era la sua vita, non aveva bisogno di niente e di nessuno, non avrebbe più provato a interpretare un ruolo che non era il suo.
Essere normale non le aveva portato che guai.
Sarebbe sopravvissuta a Ryan, avrebbe ricominciato a scrivere in qualche altra parte del mondo; dopo un po’ avrebbe chiamato Peter, spiegandogli perché aveva dovuto fare quello che aveva fatto… No, le telefonate erano rintracciabili. L’avrebbe informato l’indomani, all’aeroporto.
Posò la penna e riordinò i fogli, lasciandoli sulla scrivania per quando più tardi sarebbe arrivato il suo “fidanzato”.
“Hannibal? Roderick? Cornelius?”
“Più lungo, cara.”
“Fitzwilliam?”
Suonò il campanello e Jillian deglutì, intuendo l’identità del visitatore. Era in anticipo e la cosa la metteva a disagio. Non contribuì a rassicurarla il sorriso aperto e smagliante dell’uomo, simile a quello che doveva avere il Lupo Cattivo prima di divorare Cappuccetto Rosso.
“Che denti grandi che hai!”
“È per… mangiarti meglio!”
“Allora, mi fai entrare o no?”
Lo lasciò passare, abbassando lo sguardo per non far vedere la sua paura. C’era qualcosa di strano, lo sentiva, in quella visita.
“Hai finito il racconto?”
“Sì. Quanto tempo ho per gli altri?”
Lui la ignorò e iniziò a leggere, senza neanche togliersi la giacca.
“Hai superato te stessa, complimenti. Sembra quasi reale questo… supervillain. Qual è il titolo?”
“Non lo so ancora. Devo trovargli un nome adatto e quel nome sarà il titolo.”
Ryan si appoggiò alla scrivania, le braccia incrociate e gli occhi lucidi.
“Dimmi, Jill, hai qualcosa da fare stasera?”
Digli di sì.
Lei si chiese se lui fosse davvero lì, o se il suo istinto avesse semplicemente preso in prestito la sua voce.
“Sì, devo trovarmi con Peter più tardi. È in licenza.”
“A cena?”
“Sì.”
Guardarono entrambi l’ora: erano quasi le sette.
“Mi devo sbrigare, allora.”
Prima che Jillian potesse reagire, lui l’aveva colpita alla tempia con il portapenne di legno e lei cadde a terra, la vista offuscata a metà dal sangue caldo che le colava sull’occhio. Si portò la mano sulla fronte, tentando invano di calmare le pulsazioni intense nella fronte.
“Ho trovato una sostituta, cara Jill. Una promessa, non alla tua altezza, ma basterà.”
La prese per i capelli e le alzò la testa, stringendo così forte da strapparle un urlo involontario.
Cercò di graffiarlo, ma non era facile visto che le stava alle spalle.
“Sssh, buona, tesoro.”
Con l’altra mano cercò di afferrarle le braccia, ma lei si dimenava troppo e un calcio lo colpì alla caviglia, facendogli mollare la presa con un’imprecazione. Jillian si voltò e arretrò strisciando, rovesciando  una sedia in modo che Ryan vi inciampasse; non fu delusa e approfittò della distrazione per alzarsi e correre in cucina.
Un coltello, un coltello…
Ne afferrò uno, ma non fece in tempo ad usarlo che si sentì torcere il braccio dietro la schiena.
“Mollalo!”
Lui le strinse anche la gola, ma lei si rifiutò di perdere coscienza o di lasciar cadere la sua unica arma, la stretta sul coltello ancora salda. Gli diede una testata, disperata per la mancanza d’ossigeno e fu ricompensata dal rumore di un osso che si rompeva. Approfittò della momentanea libertà per lasciar cadere la lama nell’altra mano e affondò nella coscia, provocandogli un urlo.
“Stronza!”
Ryan la trascinò con sé nella caduta e Jillian cercò di aggrapparsi al tavolo, ma ottenne solo di rovesciare la tovaglia e la fruttiera a terra, mancandola per un pelo.
Doveva essere caduta sopra il tappeto, perché non si fece particolarmente male. Si sollevò su un gomito per controllare quel pazzo omicida e lo vide che cercava di sedersi, il volto pallido e sudato. Purtroppo aveva avuto il buon senso di non strapparsi il coltello dalla gamba, così non sarebbe morto dissanguato nel giro di pochi minuti e sarebbe stato in grado di afferrarla per la caviglia quando si fosse alzata. Il braccio le faceva un male della malora, anche se era sicura che non ci fosse nulla di rotto, la tempia pulsava e la nausea le stava salendo… doveva avere una commozione cerebrale, come minimo.
Quegli istanti di distrazione le impedirono di vedere Ryan strisciare faticosamente verso di lei con un frammento di ceramica in mano.
Sentì solo un dolore acuto al fianco, così forte da farla ricadere a terra.
“Sei finita, Jill. Dovrò organizzare le cose diversamente, stavolta, ma a qualcosa penserò. Sei stata l’unica che ha lottato, consolati con questo.”
A consolarla fu invece il frastuono di un colpo di pistola.
“Jilly! Jilly, sei ancora viva?”
“C-cosa… Peter?”
Lui non le rispose, occupato a chiamare l’ambulanza.
“Come facevi…”
“Non parlare, meglio che non ti sforzi. Cerca di restare sveglia, hai un brutto livido sulla fronte, vedrai che tra pochi minuti arrivano i soccorsi.”
“P-peter…”
 Improvvisamente, si sentiva così stanca…
“No no no no no, Jilly, sta’ sveglia e ascoltami! Volevo farti una sorpresa, ho trovato un appartamento in affitto vicino a te e mi ci sono trasferito l’altro ieri. Neanche un’ora fa mi ero addormentato e ho fatto un incubo terribile. Eri in pericolo, urlavi uno strano nome e, quando mi sono svegliato, sono corso qui, certo di fare la figura dell’idiota, ma quel sogno era così realistico…”
“I-il…”
“Cosa?”
“Nome… quale…”
“Rum… Rumpelstiltskin, ma probabilmente quello è stato causato dal chilli che ho mangiato a pranzo.”
“R-rumpels…tilts…kin.”
Gli infermieri erano arrivati e, mentre la caricavano sulla barella, Jillian scorse la familiare figura nascosta nell’ombra. Le sorrideva e s’inchinava.
Hai indovinato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Jillian firmò l’ennesimo autografo. Il libro di racconti era stato molto popolare, un ponte perfetto tra il suo primo romanzo e il secondo, ancora in fase di scrittura. Una teenager con la felpa di Nightmare ammirò la sua copia.
“Farà altre storie con questo Rumpelstiltskin? È stata la storia più popolare di questo libro.”
“Chi lo sa. Sembra un tipo che ama intervenire nelle vicende altrui, potrebbe essere il protagonista delle mie prossime opere.”
Sorrise all’uomo vestito di nero con gli occhiali da sole che avanzò verso di lei.
“Sono sorpresa. Non pensavo potessi… a meno che la gente non mi stia vedendo parlare da sola.”
“Sono pieno di sorprese. Posso essere visto, se così voglio, pensavo lo sapessi. L’hai scritto tu, non ricordi?”
“A chi lo devo dedicare?”
“A.U. Rattle.”
“A.U.?”
“Alwyin Uriel. Mi sembrava un alias appropriato, cara.”
“Ad A.U. Rattle, la mia fonte d’ispirazione, perché non mi abbandoni mai.”
 
 
 
 
Note dell’autrice: Il mio Rumpelstiltskin è fuso con il personaggio di Pitch Black, l’Uomo Nero, grazie al permesso di Shinkari. Le iniziali del suo alias simboleggiano ovviamente l’oro, mentre il cognome, “Rattle” è preso dall’originale significato del nome Rumpelstilzchen, cioè “Little Rattle Skin”(piccolo sonaglio).  

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