The Last Of Us: Forgotten Memories

di CitazioniLarry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


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Attenzione: Questa storia è fedele al gioco principale "The Last Of Us", al DLC "The Last Of Us: Left Behind" ed ai quattro fumetti "American Dreams", cercando di ricreare la personalità di Ellie tramite il suo diario. Il Trailer è quello originale del gioco e la storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Tutti i diritti e copyright riservati alla Naughty Dog.




Dal Diario di Ellie Williams
 

 

 

 
2031

 

 

   Fuori era buio pesto ed erano solo le sei di pomeriggio. Il bus viaggiava piano e la mia canzone preferita era appena finita. Mi tolsi una cuffietta e infilai la mano nello zaino per controllare se le mie cassette c'erano tutte. 
   Il bus era pieno di sopravvissuti e mi sentivo felice ma allo stesso tempo intimorita da ciò che mi aspettava. Il ronzio che proveniva dall'inizio del bus mi fece capire di essere quasi arrivati. Affacciandomi al finestrino potevo vedere come l'entrata fosse vigilata da guardie militari. Erano ovunque, e il turbamento che provavo si ingigantì. Per un momento mi chiesi chi fossero quelle persone prima di diventare delle pedine tutte uguali.
   
I muri erano ricoperti di scritte, imprecazioni e suppliche. Una diceva «Le Luci ci salveranno» e un piccolo disegno appariva accanto, mentre sotto, una grande scritta arancione diceva «RIFERISCI L'INFEZIONE: la tua inazione costa vite». Chiusi gli occhi e per un momento pensai di essere nei panni di un infetto e a quanto fosse stato difficile ammetterlo. Il bus si fermò al cancello. Una guardia si avvicinò all'autista, mentre io, sempre con la faccia spiattellata al finestrino, notai due guardie che portavano un uomo proprio dove poco prima stavo leggendo i graffiti sul muro. Lo controllarono, e poi passarono lo scan su tutto il suo corpo. Ma la cosa che mi spaventò, fu il volto dell'uomo dopo che le guardie vennero a sapere il risultato. Positivo. Potei vedere i due che sguainavano i loro fucili e l'uomo fu costretto a inginocchiarsi davanti a loro. Mi dispiaceva per l'uomo. Due colpi di fucile, una minaccia in meno.
   
Il bus partì con una sgommata e subito mi girai avvicinando le ginocchia al petto, ancora terrorizzata. Lì dentro sarebbe stato più sicuro? Entrammo dentro e, diamine, ero più intimorita che mai. L'autista si fermò, e una di quelle personcine imbacuccate fino alla testa ci fece un cenno con la mano.
   
«Uscite tutti quanti!» gridò.
   
Il suo fucile mi metteva agitazione. Volsi lo sguardo altrove e fui colpita da tre ragazzine che ascoltavano con attenzione un uomo con la giacca bianca. Sembrava piuttosto arrabbiato. Sorvolando quella scena, mi incamminai verso l'entrata con il resto del gruppo appena sceso.
   
«Aspetta», qualcuno mi fermò.
   
Mi voltai e notai che quella guardia non aveva il casco. Così erano più rassicuranti, pensai, non potevano restare così per sempre? Si avvicinò a me. Ero pronta a sentire cosa aveva da dirmi.
   
«Ascoltami, in questo posto non potrai più prendere in giro nessuno con le tue bravate. Non potrò più starti dietro», affermò, incrociando le braccia al petto. Con una mano che sosteneva lo zaino, rimasi basita.
   
«Allora portami con te! Potrei aiutarti. Io...» non mi lasciò finire la frase.
   
«E' finita. Ho una famiglia a cui badare. Non posso». Il suo volto si colorò di infelicità. Ci rimasi male, per un momento sperai in un altro lieto fine.
   
«Vuoi dire che non lo farai». Cercai con tutta me stessa di tirar fuori una faccia da cucciolo, ma non ci riuscii. Ci guardammo per un istante con occhi malinconici e poi mi decisi a spostare lo sguardo con delusione. In un soffio sparì.
   
«Pff, come ti pare», girai i tacchi e continuai a camminare. «so cavarmela bene anche da sola». Cercai di parlare a voce alta così che una delle guardie mi sentisse.


   Quando, poco prima, mi chiesi se questo posso fosse stato più sicuro di qualsiasi altro rifugio, non pensavo ai bulli e non intendevo risse. Anzi, non sapevo nemmeno esistessero i bulli della zona di quarantena. Era una cosa nuova per me. Fatto sta che mi presi un bel pugno nella guancia. Il dolore era anche peggiore di quello che provai quando mi tagliai il sopracciglio. Odiavo il sapore del sangue e non capii se proveniva dalla bocca o dal naso. Cascai come una pera cotta tra i due ragazzi.
   
«Cazzo! Devi essere la ragazzina più stupida ad esser mai scesa da quel bus», disse, asciugandosi la mano sanguinosa ai pantaloni. «tirala su!» ordinò al suo amico. Il gigante con il gilè verde mi prese per il collo con il braccio ed io cercai di dimenarmi il più possibile.
  
«Vi ho avvisati di non toccare la mia roba», dissi «ma avrei tirato fuori i miei pugni se avessi saputo quanto fragili eravate». Il gigante biondo spalancò gli occhi e subito dopo mi ritrovai sollevata a venti centimetri da terra. Non ero pronta per un altro pugno in faccia e non ne desideravo altri.
   
«Otterrò quello che voglio e ti farò il culo»
   
«Affrontami a quattrocchi, fifone!» gli urlai contro.
  
«Continua così, stronzetta», il suo pugno stava per accarezzare nuovamente la mia guancia paffuta, ma qualcosa, o meglio, qualcuno, quel giorno decise di salvarmi il culo.
   
«Che ne dici di affrontare qualcuno della tua portata?»
   
Confermato. Quel qualcuno, era una tizia incappucciata. La tizia strattonò il gigante biondo ed io battei a terra, facendomi male al sedere. Diamine, non avevo mai visto nessuno così abile. Io, ancora per terra e il ragazzo dal giubbotto verde rimanemmo a bocca aperta. Ma non feci in tempo a pensare, che pure lui fece una brutta fine. Pugni e calci a destra e a manca. Era uno spettacolo, stavo assistendo ad un miracolo? Ma non si faceva male alle nocche?
   
«Dovrei calpestarti le palle», diamine, quella ragazza era pericolosa. Il biondo se la svignò e io raccolsi le mie cose cadute fuori.
   
«Che mucchio di coglioni. Che cosa volevano?» mi chiese.
   
«Qualcosa che non era loro», dissi. «Lo avevo coperto». Tirai fuori il mio lettore CD e lo sventolai per pulirlo.
   
«Sì, lo vedo». Non lo so, non mi andava a genio quella ragazza.
   
«Oh, qualche consiglio: trovati qualcuno che ti guardi le spalle. Prova a farti qualche amicizia prima-»
  
«Ho per caso chiesto un tuo consiglio?» la fermai prima che potesse finire la frase. Non fu una buona idea, poiché mi fulminò con lo sguardo e ripensai alla rissa di cinque minuti fa. No grazie, non volevo mettermi nei casini.
   
«Hai seri problemi nel fidarti delle persone, nuova arrivata».
   
Scusa? Mi aveva appena chiamata nuova arrivata? «Un'ultima cosa: corri» disse.
   
«Cosa? Perché?» che significava?
   
«Devi solo fidarti di me!» mi urlò mentre si dissolveva nel nulla.
   
Capii. I passi che sentii poco dopo non promettevano nulla di buono. Mi girai, e l'uomo con la camicia bianca che vidi al cancello sembrava un grattacielo da vicino.
   
«Nel mio ufficio. Adesso».
   
Come non detto.

 

   L'ufficio del capo era una stanza accogliente ma lui un po' meno. Non era così che avevo previsto la mia entrata nell'orfanotrofio. Si mise a sedere dietro alla sua scrivania.
   
«Mh, vediamo... Risse, furti, fughe...» ok, di cosa parlava? «risse, disobbedienze agli ordini...» no, non ero io la tizia in questione, ma avevo qualche suggerimento. «... e altre risse». Incrociò le dita. «Hai qualcosa da dire?»
   
Rimasi muta. Non sapevo cosa dire, e negare le sue affermazioni mi avrebbe cacciata in un guaio ancora più grande.
   
«Sai cosa sta in mezzo alle orde di infetti e tutti quelli che lottano in questa città?»
   
«Uhm.. un enorme muro di cemento?»
   
«IO!» saltai dalla sedia. «e qualsiasi altro soldato che mette la sua vita a rischio per queste persone» continuava a indicarsi da solo. Pensai che questo tizio avesse dei problemi. «Manteniamo l'ordine che salva le vite! Ogni cavolo di essere umano di questo mondo sarebbe infetto se non fosse per noi!» Avvicinò il dito alla mia faccia. «Siamo gli unici che vi proteggiamo da tutto, incluso quel fottuto gruppo fuorilegge!»
   
Gruppo fuorilegge?
   
«Le Luci?» domandai.
   
«Sì, le Luci. Tutta la città agisce come se fossero la seconda venuta!»
   
Poi, si avvicinò a me con la faccia. «Pensi che quegli assassini siano la tua salvezza?»
   
Ci pensai. Ne dubitavo, ma se era vero? Se le luci avevano veramente un piano per sconfiggere quest'apocalisse?
   
«No» dissi. «In realtà non penso affatto alle Luci», lì mentii.
   
«Allora è tempo che tu inizi, ragazzina», e con questo, mi mandò a pulire le auto come punizione. Che non meritavo.

 

   Poche ore che ero qui e già mi ero beccata un pugno in faccia e un lavoro come lava-macchine. Fissai il camioncino sporco di sangue con il panno in mano ed il secchiello pieno di acqua e sapone. Immersi il panno infuriata per poi iniziare a strofinare il cofano dell'auto.
  
 «Dovrei calpestarti le palle», dissi strusciando ancora più forte. Ripetei il procedimento ancora più infastidita.
   
«Dovrei calpestarti le palle...» ribadii.
  
Posai il panno e decisi di prendere il mio lettore CD.
   
«...ma dove...» dissi, infilando la mano nella tasca del giubbotto. Non potevo credere di averlo perso, e poi come?
   
«Oh no!», il mio lettore CD non poteva essere sparito. Ma poi misi le carte apposto.
   
«O Dio mio, me l'ha rubato, cazzo!» urlai infuriatissima sventolando il cappotto. «Me l'ha rubato!»
   
Mi chinai in ginocchioni e affondai la faccia nelle mani dalla disperazione.
   
«Come ha fatto? Come diavolo ha fatto?», pensandoci, era una mossa parecchio astuta. Era il mio lettore CD e nessuno doveva toccarlo. Portandomi via quello, mi aveva portato via tutta la voglia di vivere che avevo in quel momento, ed era poca.
   
Quando alzai gli occhi, davanti a me, schiacciato nella portiera del camioncino, c'era un dito amputato di un soldato.
  
Oh Dio, a momenti vomitavo. Potei sentire tutto lo spavento e tutta la pavidità che avevo in corpo risalire su e ad un certo punto, senza volerlo, mi immaginai quella scena.
   
Soldati, due soldati. Delle Luci, probabilmente. Hanno due grossi fucili d'assalto in mano. Uno fa cenno all'altro di sparare al soldato della zona di quarantena. Fuoco. Bastò un colpo alla testa per farlo cadere a terra.
   
Ora forse capivo il significato della ramanzina che mi aveva fatto il capo. Forse avevo esagerato.
   
Buttai via l'acqua del secchio e gettai il panno da un'altra parte. Decisi di andarmi a riprendere il lettore CD.

 

Entrando nella mensa, non si sarebbe detto che fosse stato un orfanotrofio. La gente parlava, giocava a carte o discuteva. Sembravano tutti molto legati.
Percorrendo la sala, incrociai con gli occhi il tavolo della ragazza dalla giacca rossa ed avvicinandomi potevo sentire la loro discussione.
   
«Non è possibile che le Luci abbiano ucciso quei soldati», parlò lei.
   
«L'intera jeep è ricoperta di buchi. Ho sentito che sono morti tre soldati», replicò un ragazzo davanti a lei.
   
«Devono essere stati provocati o monopolizzati»
   
Mi avvicinavo sempre di più.
   
«Attenta adesso, devi badare a ciò che dici. Se qualcuno sentisse...»
   
«E il tuo culo smilzo deve smettere di credere a tutto quello che dicono in classe. E' più complicato di-»
   
Non le lasciai finire la frase nemmeno questa volta.
   
«Dov'è?» i miei pugni si strinsero e le nocche si colorarono di bianco. La sua faccia si trasformò da impassibile a divertita.
   
«Oh, ciao nuova arrivata! Come sta andando il tuo primo giorno all'inferno?»
   
Non avevo voglia di giocare né di essere presa in giro.
   
«Il mio lettore CD. Dammelo»
   
«Cosa ti fa pensare che io prenderei qualcosa di tuo?»
   
I suoi amici mi fissavano divertiti. C'eravamo di nuovo. L'avevo già detto che non volevo un'altra rissa?
   
«Non lo penso. Lo so che l'hai preso tu» affermai,«Sei una ladra carina e pidocchiosa» la sua bocca si curvò all'insù.
   
«D'accordo, nuova arrivata» disse, mettendo una mano dentro alla giacca. «hai dei gusti musicali orribili, comunque» disse, lanciandomelo. Lo presi al volo e sperai di non farlo cadere. E comunque, cara sconosciuta, I Got You Babe di Etta James era un capolavoro. Non poteva capire.
   
Me ne andai voltando loro le spalle e stringendomi al petto il Walkman.

 

   Quella notte non dormii.
   
«Dovrei calpestarti le palle», quella frase iniziava a suonare bene. Strinsi il mio Walkman e provai a riposare, ma dei passi mi fecero sobbalzare. Socchiusi gli occhi e pensai di andare a dare un'occhiata.
   
Presi il giubbotto e lo indossai. Cercando di non attirare l'attenzione di guardie, aprii la porta con estrema cautela. Niente guardie. Di soppiatto, uscii dal reparto e seguii quella figura nera che si addentrava nell'ombra.
    
Arrivammo tutte e due all'atrio principale. Beccata. Che voleva fare? Pensai che sarebbe stato divertente andare a spifferare ciò che aveva in mente, solo per avere la mia vendetta. Ma non ero così stronza.
    
Mi avvicinai, e le toccai due volte la spalla. La vidi sobbalzare all'indietro spaventata. Risi sotto i baffi.
   
«Cristo! Nuova arrivata!» non quel nome di nuovo, ti prego.
   
«Qualche consiglio: trova qualcuno che ti guardi le spalle», dissi.
   
Si arrabbiò.
   
«Torna a letto, nuova arrivata!» gesticolò con il braccio. Non mi mossi, non poteva comandarmi e non mi avrebbe convinta.
   
«Mi dirai come sgattaiolare fuori di qui»
   
«Oh fottiti, nuova arrivata. Sei incredibile», disse sottovoce.
   
«Beh, possiamo litigare affinché qualcuno ci senta e ci scopra, o... possiamo aiutarci a vicenda», suggerii «e smetti di chiamarmi “nuova arrivata”. Ho un nome»
   
Ci fissammo negli occhi: lei con aria da superiore, io mi sentii mancare vedendo meglio quegli occhi.
   
«Pensi di potermi stare dietro?» chiese, dirigendosi verso la porta.
   
«Oh, non è un problema, sono abituata».
   
La ragazza aprì la porta.
   
«Non farmene pentire, Ellie»
   
Avevo sentito bene?
   
«Come...?» come faceva a sapere il mio nome?
   
«Andiamo» disse lei, ridendo.
   
Raggiungemmo l'enorme rete. Sarà stata alta più di quattro metri e non vedevo l'ora di scavalcarla. Salì per prima lei, infilando perfettamente i piedi dentro ai buchi della rete, ed io la seguii. Potevo vedere le case abbassarsi ai miei occhi man mano che salivamo. Arrivate in vetta, decisi di chiederglielo. 
   
«Come sai il mio nome?»
   
Lei sorrise e si girò verso di me. Tutte e due eravamo aggrappate all'asta di ferro che sorreggeva la rete.
   
«Ho i miei metodi. Sembri folle a sufficienza per essere interessata», dichiarò, voltandosi a guardare ciò che ci aspettava dietro a quella barriera. «Il nome è Riley. Sei pronta a farlo, Ellie?»
   
Ero pronta.
   
«Sì», e mi fidai. Mi fidai della ragazza che poche ore prima mi rubò il Walkman, ma soprattutto della ragazza che mi salvò la vita, e quella sera me la salvò una seconda volta.
   
E fuggimmo nella notte che ci abbracciava e ci proteggeva, con l'aria fresca d'autunno che ci sgarbugliava i capelli. Con la voglia di iniziare di nuovo, con la voglia di vivere.

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


 

    Viaggiammo per i tetti dei palazzi. Era da tanto tempo che non mi sentivo così libera. Saltavamo da un palazzo all'altro, godendoci il momento e non pensando a niente.
    Volevamo volare.
    Riley era più avanti di me, e ad un certo punto si fermò per prendere la rincorsa. Fece un bel salto. Toccò a me. Il salto mi riuscì, ma mi sbucciai il ginocchio sinistro. Sentivo il bruciore aumentare ed il sangue uscire piano piano.
    Riley si girò, sempre correndo, a guardare se ero ancora tutta intera.
   
«Muoviti, Ellie!» gridò.
   
Dannazione, quella ragazza era velocissima, non riuscivo a starle dietro; avevo la certezza che quella non era la prima volta, a differenza della mia. Anche io scappavo dalla mia vecchia scuola, ma non ero mai stata sui tetti. Mi piaceva. Guardando giù, potevo vedere le guardie di servizio che, indifferenti, si fumavano sigarette. Speriamo non alzino lo sguardo, pensai.
   
Ad un certo punto non vidi più Riley davanti a me. Arrivata al margine dell'edificio la vidi scivolare giù dal tetto, ed io lo scavalcai benissimo con un salto. Ci sapevo ancora fare con il free-running: Là, nel vecchio orfanotrofio, un ragazzo mi insegnò qualche salto, in caso saremmo dovuti scappare. Un giorno, mi fece vedere anche una “via” che lui usava sempre per uscire.
   
Arrivate alla fine del tetto, mi acciaccai con il fiatone.
   
«E' tutto quello che sai fare?» dissi tra inspiro ed espiro.
   
Lei non mi rispose e si limitò a girare lo sguardo verso un enorme tetto di vetro a forma di piramide. Mi avvicinai a lei, osservandolo meglio. Era bellissimo, mi sarebbe piaciuto molto vederlo quando era ancora intatto. Sopra era rotto, e dalle parti, i vetri sembravano essere stati rotti da qualcuno. Forse era stata la stessa Riley a romperli, perché non sembrò sorpresa come lo fui io.
   
«Pensi mai al futuro?» tuttavia, Riley non staccò lo sguardo da quella direzione, ed io restai ancora più sorpresa da quella situazione che stava diventando alquanto imbarazzante.
   
«Intendi il futuro... con le navicelle spaziali e robe così?»
   
Riley ridacchiò.
   
«Adorabile» e, finalmente mi guardò. «No, intendo il tuo futuro. Cosa ne farai della tua vita», affermò infine, incrociandosi le mani al petto.
   
Bella domanda Riley. Il problema era che io non lo sapevo.
   
«Non c'è molto da pensare, in realtà», risposi.
   
Mise le mani sui fianchi e diventò seria.
   
«E' quello che vorrebbero che noi credessimo», iniziò. «Fai quello che ti dicono, chiudi la bocca, e poi quando hai sedici anni ti mettono una pistola in mano e ti trasformano in un piccolo soldato provetto» lo pensavo anche io, cara Riley ed era ciò che non desideravo diventare. Continuò.
   
«Non starò qui a trascorrere il resto della mia vita con qualche stronzo che mi dice a chi sparare e dove cagare»
   
Scrollai le spalle, non capendo bene cosa avesse intenzione di fare.
   
«Beh, e cosa farai?» chiesi, ma lei non rispose subito, anzi ci pensò bene alcuni secondi.
   
«In meno di tre mesi avrò sedici anni», mi disse «questo è quanto mi resta per pensarci»
   
Aprii le braccia, gridando.
   
«Cos'altro c'è?» volevo sapere il suo piano, perché, dannazione, sapevo che ne aveva uno e non era l'unica a voler fuggire.
   
«Sei mai stata a cavallo?», la guardai male. E adesso cosa c'entrava?
   
«Cosa? No.»
   
«Seguimi!» La vidi volare di sotto.
   
E la seguii.

 

   Come pensavo, passammo attraverso quei vetri rotti del tetto. Riley mi disse di stare attenta, perché la prima volta che venne qui si fece male. Ci calammo e scendemmo delle scale. Dove mi stava portando?
   
Intravidi dei manichini. Riley si stava incamminando, mentre io mi soffermai in quella zona, che pareva essere un vecchio centro commerciale. Peccato che fosse stato abbandonato. Mi avvicinai al manichino con una posa strana. Aveva una mano sul fianco, mentre l'altra era leggermente piegata all'insù ed anche la sua gamba sinistra lo era. Decisi di imitarla, e mi misi a ridere. Che noioso sarebbe stato essere un manichino, ma loro non avrebbero catturato la negatività che stava sopraffacendo ciò che restava di questo mondo.
   
«Inquietante!» urlai a Riley, la quale stava inconsciamente continuando a camminare per conto suo.
   
Proseguendo, vidi con la coda dell'occhio una sala giochi. L'insegna recitava “RAJA'S ARCADE”. Ne rimasi altamente stupita. Adoravo i videogiochi e trovando quel posto i miei occhi iniziarono a brillare. Riley invece, non ci fece manco caso.
   
«Riley, fermati» la richiamai e corsi verso l'entrata della sala. Il pavimento aveva una moquette con un disegno del pianeta Saturno, che si ripeteva per tutti i metri quadri del negozio, ma ormai strappata e distrutta. C'erano tantissime macchinette che contenevano pupazzi e almeno una ventina di videogiochi arcade, purtroppo, rotti anch'essi.
   
«Non ci credo, cazzo!» esclamai. Riley mi seguì calma ed io iniziai ad ispezionare i videogiochi, uno ad uno.
   
«Triple Phoneix!» gridai avvicinandomi al gioco. «Ho letto di questo gioco! E' un picchia-duro multi-giocatore super popolare. E' basato su un cartone che parla di questi tre piccioni che sono mutati e poi-»
   
«Triple Phoneix? Quel gioco è per bambini», Riley mi trascinò verso un altro arcade. «Vuoi parlare di giochi? Questo, è un vero gioco» Ok, adesso ero curiosa.
   
«uno contro uno con milioni di combo e un assurdo boss finale. Hardcore» non si fermò un secondo, ed ero incantata dalle parole. Vorrei averci potuto giocare.
   
«C'è questo personaggio che è chiamato Angel Knives. Ha questa mossa finale dove fa un pugno nel petto del suo nemico e poi, crack, gli porta via la testa» era tutto così eccitante.
   
«Cavoli... i ragazzi a quei tempi erano fortunati».
   
Riley abbassò lo sguardo. Forse anche lei, come me, la notte sognava un mondo diverso, un mondo normale, con la sua famiglia e i suoi sogni divenuti realtà. Chiusi gli occhi e scossi la testa, cacciando via quei pensieri, mentre Riley sfiorò l'arcade per poi allontanarsi.
   
«Stiamo perdendo tempo, andiamo», disse, ritornando seria.
   
Non appena uscii fuori, mi voltai per un ultimo sguardo alla sala giochi ed iniziai ad immaginare. Immaginare come quella sala, prima di tutto questo, fosse piena zeppa di bambini e ragazzi che si divertivano; La mia mente vagava: era dentro ad ogni gioco e faceva vincere ogni ragazzino. La grande insegna sul muro davanti all'entrata era ora accesa e splendeva come se fosse stata il sole. Sopra recitava “il posto più divertente”. L'atmosfera era abbracciata da milioni di colori e tante luci che facevano apparire quella stanza come un mondo fantastico, dove l'unica preoccupazione era bearsi delle piccole cose.
   
Ma tutte le cose belle erano destinate a svanire, a dissolversi in illusioni.
   
E poi li vidi lì. L'intero spazio diventò tenebroso, sanguinoso, i corpi erano distesi, alcuno senza arti, altri senza testa. Il posto più divertente si era ora trasformato nell'inferno.
   
«E' troppo tardi...» dissi fra me e me.
   
E mi allontanai, con una lacrima che mi rigò la guancia livida.

 

   «Che cosa ci facciamo qui?» chiesi a Riley.
   
Mi aveva portata, in quello che doveva essere la corte principale del centro commerciale. La cosa triste era che al posto delle persone, adesso c'era un'enorme tenda da campeggio con un falò spento.
   
«Vedrai» mi rispose.
   
Riley si avvicinò all'entrata della tenda.
   
«Sei lì dentro, vecchio?» ulrò Riley. Conosceva il tizio? Chissà quanto tempo passava qui dentro. Il signore comparve. Aveva un cappello ed un cappotto lungo e una barba altrettanto lunga che non tagliava da molto tempo.
  
«Smetti di urlare, non sono sordo» ribatté lui. «E chi è questa? Diamine Riley, ogni volta che trascini un nuovo ragazzino qui, rischi di mettermi in pericolo» sentenziò, ma Riley, era indifferente ai suoi rimproveri.
  
«Calmati, è ok. Ellie, questo attraente individuo è Winston» disse, indicandolo.
  
«Winston, questa è Ellie», e indicò me.
  
«Hey...» lo salutai con la mano e poi me le misi in tasca.
  
«Mi hai almeno portato qualcosa?»
  
«Cortesia dello stronzo di quel capo di scuola» disse Riley, tirando fuori dal cappotto rosso una bottiglia di alcol. «Sono sicura che voleva dartelo ugualmente, per il duro lavoro che fai proteggendo questo posto».
  
Riley passò la bottiglia a Winston. Quindi era per questo che era scappata. Stavo iniziando a credere che questo posto veniva spesso frequentato da Riley.
  
Winston diede un'occhiata all'etichetta della bottiglia.
  
«Glenfiddich Solera,conservato da quindici anni, malto singolo, direttamente dalla Scozia...» Stappò la bottiglia e sorseggiò con gusto. «Ok, Riley. Quanto mi costerà?»
  
«Sono offesa. Non posso solamente portare ad un vecchio amico un regalo dal profondo del mio cuore?»
  
Winston la guardò socchiudendo gli occhi.
  
«No» affermò «non tu».
  
Riley sospirò e mi guardò. «Voglio insegnare alla piccola Ellie come cavalcare» annunciò. «Non è mai stata a cavallo»
  
Winston si alzò con fatica, ma sempre con la sua bottiglia in mano. «Tutto qui?»
  
Riley annuì sorridente ed io rimanevo dietro di lei, perplessa. Perché voleva proprio portarmi a cavallo?
  
«Beh, sai dove trovare la vecchia» suggerì lui.
  
Riley fece un cenno come per ringraziare Winston e ci dirigemmo verso una stanza che l'uomo aveva trasformato in una stalla. Il cavallo era bellissimo. Era bianco con una criniera tra l'argento e il grigio scuro. Non mi ero mai avvicinata ad un cavallo ed avevo un po' di paura.
  
Riley sembrò leggermi nel pensiero.
  
«Qui, tienila per un secondo» mi disse lei ed io presi lentamente la corda. «Non preoccuparti, non morde».
  
Riley mi lasciò con il cavallo. Credevo se ne fosse andata, ma mi rassicurò dicendomi che era andata a prendere la sella.
  
«Ok, allora, lui ti insegnerà le basi. Ricorda solo di stare calma. Se ti agiti, anche lei lo farà» si raccomandò.
  
Le accarezzai il muso. Lei si agitò un pochino, ma dopo aver sbuffato, prese fiducia e si riavvicinò. Riley mi aveva sorpresa in tutti i modi possibili.
  
«Sai, ha un buon odore» dissi io.
  
«Ovvio. Non è come il bestiame che abbiamo a scuola». Montò la sella sotto ad una coperta scozzese. «I cavalli hanno un profumo. Sono le mucche e i maiali che puzzano».
  
Mi passò le redini del cavallo.
  
«Oh, Winston è pigro. Non lasciare che interrompa la tua visita qui. Sii sicura che, almeno una volta, ti faccia fare il giro di tutto il centro commerciale»
  
Mi voleva per caso lasciare da sola? Voleva scappare senza di me, e l'unico modo era farmi distrarre con un cavallo? Così le chiesi che intenzioni aveva.
  
«Stai cercando di farti cacciare?» Riley, che stava finendo di legare la sella al cavallo, s'impietrì. «Infrangi delle regole e ti buttano fuori con le persone normali. E' questo quello che farai?» Riley non si mosse e non mi guardò. La vidi abbassare la testa e avvicinare le braccia al petto.
  
«No. Risposta sbagliata. A quelle persone viene assegnato qualche lavoro di merda per la città e a malapena ricevono abbastanza razioni per sopravvivere»     Non potevo darle torto, perché lei sapeva molto più di me, era brava ad ascoltare, soprattutto di nascosto, era brava a non farsi beccare; sapeva fuggire e nessuno l'avrebbe fermata, qualsiasi cosa avesse avuto in mente. «Sarai sempre uno schiavo del sistema»
  
Rimanemmo in silenzio per cinque minuti buoni. Io continuavo ad accarezzare il muso del cavallo e Riley, imbarazzata, finì di allacciare le fibbie.
  
«Senti... divertiti e basta, okay?»
  
«Okay».

 

 

  «Hop hop!»
  
Winston mi aiutò a salire su Principessa, così si chiamava il cavallo. Riley restò lì e Winston, come se non bastasse, la riprese un'altra volta.
  
«E' il mio Alcol, Riley. Tieni le zampe lontane»
  
«Ma per favore. Ho le mie scorte segrete» urlò, ridendo, mentre noi ci allontanavamo sempre di più.
  
Iniziava il mio tour.
  
«Quella ragazzina... E' un guaio» Winston ridacchiò sotto i baffi folti, mentre teneva a bada il cavallo, tenendolo calmo.
  
«Già... mi piace». Era vero. Riley mi stava simpatica, nonostante fosse il mio opposto.
  
Winston mi fece strada verso il corridoio principale. Alcuni negozi avevano le saracinesche abbassate, altri erano completamente distrutti. Mi colpì particolarmente un negozio d'abbigliamento per neonati, ormai sopraffatto dalle erbacce.
  
«Com'era questo posto? Intendo... prima dell'infezione» chiesi. Ero curiosa di saperlo, come lo ero stata poco tempo prima, immaginando il RAJA'S ARCADE pieno di vita.
  
«Beh, quando avevo la tua età, anche io marinavo la scuola» cominciò a raccontarmi. «Mi incontravo con gli amici, prendevamo un panino e guardavamo un film» C'era un cinema qui dentro? Questo posto era enorme.
  
«E provavamo a pomiciare con Roberta Coen». Mi scappò da ridere. L'amore adesso non esisteva più, vero? «Pioggia o sole, questo posto era sempre pieno zeppo. Durante le vacanze sembravamo un branco di sardine»
  
Winston si rattristì. «Mi... mancano le luci di Natale. Tutti erano stressati cercando di comprare più regali possibile, ma riuscivi a sentire quella sorta di...» Mentre mi raccontava mi immaginai tutto. «... spirito magico nell'aria» Mi guardai intorno, fantasticando sulle parole di Winston. Già... doveva essere proprio magico.
  
«Sto diventando troppo nostalgico e ti sto annoiando».
  
«Nessun problema»
  
La verità è che sarei stata ad ascoltarlo per altre sei ore se fosse stato possibile.
  
Tornammo alla tenda di Winston dopo un'oretta. Winston mi piaceva, era un brav'uomo e sarebbe stato un buon amico.
  
«Allora, com'è andata?»
  
Riley era seduta e stava leggendo un libro.
  
«La piccoletta ci sa fare, ha imparato subito»
  
«E' stato fico. Grazie Winston». Lo ringraziai e poi raggiunsi Riley.
  
«Adesso sono sicuro che questo cadrà nel vuoto, ma perché non tornate a casa e cercate di non mettervi nei guai?»
  
«Beh, devono scoprirti per essere in pericolo»
  
«Ok, ascoltate-»
  
Winston non parlò, perché subito dopo udimmo un forte baccano. Qualcosa era scoppiato e Principessa cominciò a nitrire e ad agitarsi.
  
Eravamo in pericolo?

 

  Quando alzammo lo sguardo, vedemmo sopra di noi un'enorme nuvola di fumo. Il mio corpo si irrigidì ed indietreggiai.
  
«Merda. Devo andare a cercare la mia unità» Winston montò a cavallo. Sperai veramente che ne uscisse vivo. «Riley, non ti sto prendendo per il culo, Torna a casa! Ora!» sbraitò, e fuggì.
  
Lo guardai allontanarsi da noi e ancora una volta rimanemmo da sole. Winston aveva ragione, dovevamo tornare a casa; la faccenda stava diventando seria e i coinvolti non eravamo solo io e Riley.
  
«Forse dovremmo ascoltarlo» dissi a Riley.
  
Mi girai e la vidi gingillare con qualcosa in mano. «Riley?»
  
«Aspetta».
  
Non potevo crederci. In mano aveva un walkie-talkie o stavo vagheggiando?
  
«Quello è un Walkie-talkie?»
  
«Zitta un secondo. Sto cercando di scoprire come funziona questo coso».
  
Era un walkie-talkie. Diavolo! Mi aveva usata come prevedevo! Riley...
  
«Oh mio Dio! Mi hai usata come diversivo così da poterglielo rubare! Per tutto questo tempo-» rabbuffai Riley ma ci rendemmo conto che quella cosa funzionava davvero.
  
«-Bzzt- Esplosione nel dodicesimo settore -Bzzt- nemici -Bzzt- ci sono gruppi ostili, presumibilmente affiliati alle Luci. -Bzzt-»
  
«Non pensavo succedesse stanotte, ma è fatta. Questa è la nostra uscita», mi proferì. «Troveremo le Luci».
  
Riley era felice. Io sgranai gli occhi non appena sentii quella parola. Perché voleva tanto trovare le Luci? Forse era una Luce anche lei e non voleva dirmelo. Perché?
  
«Le Luci?!» schiamazzai. «Cosa sei, fuori di testa?»
  
Riley mi guardò con sguardo bieco mentre rimetteva il walkie-talkie in tasca. Non era colpa mia se si voleva cacciare nei guai.
  
«Bene», si incamminò da sola. «fai come ti pare».
  
No. Riley non poteva lasciarmi sola. Non sapevo la strada del ritorno, non avrei saputo come fare senza di lei. Dopotutto, era una ragazzina come me, che voleva esaudire i propri sogni.
  
Buttai fuori un respiro bello grosso e la rincorsi. Mi fidai per la seconda volta. 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


 

   Uscimmo dal centro commerciale con il fiatone. Riley teneva sempre il walkie-talkie in mano, sperando in qualche risposta. Mi piaceva come, nonostante tutto, lei non volesse arrendersi e credeva fermamente nella salvezza da parte delle Luci, ma per me, era un impegno troppo rischioso.
   
«Quindi... non c'è proprio modo per convincerti che è una cattiva idea, vero?» invitai Riley a guardarmi, ma il walkie-talkie si attivò di nuovo.
   
«Ritiro in area cinque -Bzzt- Andiamo, portate i vostri culi qui, stanno fuggendo -bzzt-» questo fu tutto quello che riuscimmo a decifrare.
   
«Nessuna possibilità».
   
Riley iniziò a camminare ed io la seguii. Per tutto il tragitto, mi misi ad osservare ciò che era rimasto di Boston. I muri erano tappezzati di scritte.
  
«La fine è vicina» sussurrai tra me e me, leggendo sulla parete di un negozio. Sentii i brividi percorrermi la spina dorsale. Mi abbottonai il giubbotto, mettendomi le mani in tasca. Iniziai a pensare alla speranza che le persone cercavano appena scoppiata l'infezione. La fiducia, l'attesa... Tutto ciò mi riportava a Riley. Era incrollabile.
   
«-Bzzt- nemici al MacMillan e Jordan. Mandate i rinforzi, ora maledizione! -Bzzt-»
   
Gli occhi di Riley luccicarono nel buio che ci circondava.
   
«MacMillan e Jordan... è solo a pochi blocchi da qui».
   
Ignara di tutto, e di me, continuò a camminare. Le poggiai una mano sulla spalla, fermandola.
   
«Riley... quelle persone hanno ucciso dei soldati. Sei sicura di sapere quello che stai facendo?» Era sempre meglio andare per le sicure. Evitò la mia domanda senza darle troppo peso e cambiò discorso.
   
«Rimaniamo sui tetti. Saremo completamente fuori pericolo». Mi disse. «Fidati».

 

   Ci spostammo alla velocità della luce, prestando attenzione a non farci scoprire. Come aveva detto Riley a Winston, si è in pericolo solo se si viene scoperti. Seguii Riley sopra ad una scala che conduceva al tetto di un palazzo. Il fumo era a pochi metri da noi. Io mi posai il braccio sul naso per non inalare i fumi, Riley invece, sembrò abbastanza convinta di quello che stava facendo.
   
Si sporse per osservare cosa stava accadendo. Mi disse che c'era un membro delle Luci ferito e dei soldati che si stavano riparando dietro a delle jeep. Avevano fucili d'assalto ed erano ben protetti ed armati.
   
«Luci. E sono in pericolo. Dobbiamo aiutarli» mi disse, appoggiando una mano sulla mia spalla.
   
Sembrava alquanto impossibile aiutarli da qua sopra: l'unico modo era scendere, ma così ci avrebbero individuato e avremmo rischiato di mandare la nostra fuga a monte.
   
«Ehm, come?»
   
«Bombe fumogene» dichiarò Riley.
   
«Cosa?» dove le aveva trovate?
   
«Una per me e una per te» Me ne passò una ma io non la presi. Indietreggiai di un passo.
   
«Riley, questo non è quello che avevamo in mente... qualcuno potrebbe farsi male»
   
Riley mi fissò. Forse ero troppo ingenua, forse ero cresciuta diversamente da lei, ma anche se avevo paura, dentro di me avevo l'impressione che, guardando i suoi occhi, Riley sapesse il fatto suo.
   
«Nessuno si farà male» disse scuotendomi la granata davanti agli occhi. «Gli daremo solo una via d'uscita, tutto qui.»
   
Dentro di me, un uragano stava spazzando via ogni cosa. Tutte le mie sensazioni, i miei turbamenti, le mie emozioni erano polvere, che leggermente si mischiava alla calma che inebriava il mio cervello vedendo gli occhi di Riley.
   
«Questo potrà cambiare il nostro destino»
   
Tornò seria, e quegli occhi che prima luccicavano di gioia, divennero due diamanti neri.
   
«Cosa farai, continuerai a lasciare che ti controllino la vita?»
   
Io non volevo restare. «O combatterai per qualcos'altro?»
   
Le parole di Riley mi rimbombarono nella testa. Fissai quella bomba davanti ai miei occhi. Forse le Luci ci avrebbero portato al sicuro. Forse avrei dovuto iniziare a fidarmi di Riley senza convinzioni. Tanto valeva provare.
   
«Ah, fanculo!» afferrai la granata e tolsi la sicura. La gettai subito di sotto e una nuvola di fumo si innalzò, bianca e densa.
   
Sentimmo i militari che urlavano di abbassarsi e subito dopo, boom, esplose. Mi sentivo di aver fatto la cosa giusta.
   
Ci affacciamo e i quattro ragazzi riuscirono a scappare. Mentre i soldati, sotto, sparavano a vanvera e consumavano proiettili, io e Riley festeggiammo il nostro coraggio. Riley sorrideva a 32 denti, era felice. Infondo eravamo solo delle ragazzine nate nel posto sbagliato al momento sbagliato.
   
«Ce l'hanno fatta! Ce l'abbiamo fatta!» disse entusiasta. «Yeah!». La gioia di Riley mi procurò un senso di appagamento. Sorrisi anche io.

 

   Comunque, ormai avevo capito che quando la felicità prendeva possesso del mio corpo, c'era sempre qualcuno pronto a portarmela via.
   
Infatti, come non volevo prevedere, ma sotto sotto sapevo che sarebbe successo, i militari ci scoprirono. Uno di loro, ancora non riesco a capacitarmi di come abbia fatto, indicò verso la nostra direzione e subito una raffica di proiettili si scagliò contro di noi.
   
Io e Riley, per fortuna riuscimmo a fuggire ripercorrendo la strada a ritroso. Saltammo due tetti, scendemmo la scala e ci addentrammo nelle vie sperdute di Boston.
   
«Ellie, qui!» gridò Riley.
   
Si era nascosta dietro a due cassonetti, così la raggiunsi.
   
Ci mettemmo a sedere. Ero stanchissima, pensai di morire di una crisi respiratoria di li a poco. Maledissi Riley.
   
«Completamente fuori pericolo, uh?»
   
Riley ridacchiò. «Beh, sei viva, no?»
   
La guardai male.
   
«Comunque, dove hai preso quei fumogeni?»
   
«Li ho presi in prestito da Winston»
   
«Cosa? Hai rubato la sua radio e le sue granate?»
   
«Già, presumo che la nostra bellissima amicizia sia completamente finita, cazzo!» disse Riley, sorridente.
   
Mi sarebbe piaciuto fissare quel sorriso per un altro momento, ma vidi qualcosa che non avevo mai visto prima.
   
«Hey, c'è qualcuno lì» dissi.
   
«Cosa? Dove?»
   
Ci alzammo e vedemmo una figura oscurata dalla notte, che si muoveva lentamente e strusciava un piede.
   
Gli strati di plastica che servivano a chiudere la porta si spezzarono.
   
«Lì» indicai a Riley la porta. La figura uscì. Non potevamo essere prese adesso, la nostra fuga, nonostante qualche inconveniente, stava andando alla grande.
   
«Pensi che abbia visto cosa abbiamo fatto?» chiesi a Riley, ma lei non mi ascoltò.
   
«Oh merda, andiamo» Riley mi intimò ad uscire da quella via, ma l'indistinguibile figura uscì fuori dalla stanza. Era piena di sangue e per un momento pensai si fosse fatta male, ma quando sentii che non parlava ed emanava gemiti, capii perché Riley cercava di scappare.
   
«E'... Quello è...?» le mie corde vocali iniziarono a tremolare tutte.
   
«Sì, infetto»
   
Subito si scagliò contro di noi. Era una ragazza. Io e Riley cercammo di indietreggiare ma ci prese e ci gettò a terra. Ringhiava come un cane e il sangue misto a bava le colava dalla bocca. Mi strattonai un po' e riuscii a liberarmi dalla presa dell'infetto, calciandole il torso. Riley però era ancora sotto le sue grinfie. Corsi per aiutarla ma allungò la mano sinistra, sollevò un sasso e la colpì, facendola ribaltare all'indietro.
   
Sbuffai sollevata, pensando che adesso fosse più debole ma l'infetto si gettò di nuovo su Riley. Dovevo salvarla. Mi guardai intorno e presi una stecca di legno. Inspirai, presi la ricorsa e tirai una mazzata nella schiena dell'infetto che, indifferente si voltò verso di me. Che cavolo avevo fatto?
   
«Oh, porca troia» mi maledissi sottovoce.
   
L'infetto fu nuovamente su di me, ed io ruppi la stecca tirandogliela sul capo. Mi gettò a terra e cercai di tener lontano quell'orribile faccia da me. Premetti il pezzo di legno rimasto sul suo collo, cercando di soffocarla. In quel momento, la mia forza non stava dalla mia parte. Stavo cedendo e pensai fosse finita. Stavo per diventare uno di quei cosi, quando Riley le piantò un paletto appuntito, che le trapassò il collo. L'infetto buttò fuori gli ultimi gemiti di dolore e cadde a terra, a due centimetri da me. Ero terrorizzata. Fissai l'infetto e mi venne un conato di vomito.
  
«Oh cazzo...» sussurrai «Non so come abbia fatto a non prendermi»
   
Riley non mi seguì.
   
«Merda.»
   
«Cosa?» Mi girai e vidi quello che, fino a poche ore fa, tornando indietro, volevo accadesse. Riley aveva il giubbotto strappato. «Cos'è?» Mi avvicinai. Volevo sapere se era morsa. Non doveva essere morsa. Non ce l'avrei fatta senza di lei.
   
«Il tuo braccio...» dissi, allungando la mano verso Riley. Lei lo ritirò verso di se, toccandosi lo strappo. «Ti ha morso oltre la manica?»
   
«No» disse, secca. «Non l'ha fatto, non c'è verso»
   
Non mi importava, volevo esserne sicura.
   
«Fammi vedere» lottai contro le sue braccia che mi spingevano via.
   
«Ellie, non c'è niente-»
   
«Fammi vedere!» Urlai, prendendole il braccio. Avevo la tachicardia. Pregai qualcuno che non fosse morsa. Le alzai la manica.
   
Niente.
   
«Nessun morso» mi rassicurò anche lei.
   
«Che ti avevo detto? Sto bene. Quel maledetto coso mi ha rovinato la giacca. Non sai quanto l'amassi...»
   
Riley, dentro di me eri maledetta e venerata allo stesso tempo, come se io fossi stata una barca e avessi finalmente trovato la bussola, la mia salvezza. Mi sentivo di dovergli la vita. Dovevo abbracciarla.
   
E lo feci. Mi catapultai su di lei, stringendola più forte che potessi. Il suo battito, lento, calmo come il mare all'alba si scontrò con il mio, veloce, struggente e che pareva un leone desideroso di uscire dalla gabbia. Dopo un momento di esitazione, sentii le sue braccia toccarmi la schiena e il suo viso appoggiarsi alla mia spalla.
   
«Già... suppongo sia stato spaventoso,uh?»
   
Non l'ascoltai e ci abbracciammo di nuovo.

 

   «Lo senti?» chiesi a Riley.
   
«Sì».
   
Altri infetti si mostrarono. Ne avevo incontrato solo uno e già quei rumori che producevano mi davano alla testa.
   
«Corri!» urlò Riley.
   
Corremmo. Quello che non riuscimmo a fare prima. Scappando, guardavo indietro. Ero un ragazzina curiosa, avrei voluto ascoltare le loro storie, capire come si erano cacciati in quell'errore incancellabile.
   
«Ellie, muovi il culo!»
   
Recuperai Riley ma finimmo in un bel guaio. Sapete, quando pensate di fare una cosa giusta e alla fine l'orgoglio finisce per torcervisi contro? Riley.
   
Davanti a noi, un muro si innalzava e non c'era via d'uscita se non scavalcare la spessa recinzione di filo spinato, dall'altra la piccola orda di infetti si stava avvicinando a noi, sempre di più.
   
Poi una luce.
   
Qualcuno era venuto per noi, o eravamo di nuovo in trappola? Degli spari di fucile uccisero gli infetti dietro di noi, e Riley guardò in alto soddisfatta.
   
«Riley...»
   
«Va tutto bene. Sono le Luci». Come faceva a saperlo?
   
Le torce ci abbagliarono e Riley, zuccona come oramai avevo capito, iniziò a parlare.
   
«Grazie, ragazzi. Tanto per farvi sapere, quelle granate fumogene... eravamo noi. Sono Riley e questa è-»
   
Uno di loro tirò fuori un Taser elettrico, che azionò verso Riley e la fece cadere a terra agonizzante. Mi arrabbiai con il tizio incappucciato e, imprecandogli contro, tentai di gettarmi su di lui ma mi precedette, schiaffeggiandomi con quell'aggeggio.
   
Caddi a terra e davanti a me, l'arma si accese. Sbiancai come il colore delle scintille che provocava, quando sentii una voce.
   
«Fermo».
   
Il tizio incappucciato si fermò. Io ero distesa a terra, accanto a Riley, prona e tre figure a me sconosciute, di cui una mi puntò la luce negli occhi.
   
«Ellie?»

 

   Chi fosse, non potevo saperlo, ma scavando nella mia mente e nel mio passato, quella voce mi pareva familiare.
   
«Nel nome di Dio, che ci fai qui fuori?»
   
Ma cosa voleva da me? Potevo vederle la faccia. Il suo volto mi ricordava Riley.
   
«Chi-»
   
«Prendetele e portiamo il culo fuori di qui»
   
Uno di loro si occupò di Riley mentre gli altri due mi presero e mi legarono i polsi.
   
«No, aspetta-», urlai. Fu l'unica cosa che riuscii a dire, prima che mi infilassero un sacchetto in testa.
   
Riley... credevi coraggiosamente che la tua speranza fosse diversa da quella degli altri, invece era la stessa, la stessa speranza che portò il mondo alla rovina. 

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