Pirates

di Lady Vardakas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una birra alla piratessa, prego ***
Capitolo 2: *** Scommesse e fraintendimenti ***



Capitolo 1
*** Una birra alla piratessa, prego ***


Guardai il panorama dal muretto su cui stavo seduta. Il mare era calmo, in piena bonaccia, i gabbiani volavano sul pelo dell’acqua limpida e azzurra, a caccia di qualche sfortunato pesce
Osservavo con il sole negli occhi. Sotto di me la cittadella, arroccata sul colle che scendeva fino alla spiaggia, iniziava a sentire della calura pomeridiana, i negozianti attiravano clienti, la zona del mercato come al solito era chiassosa e nell’aria risuonavano le grida delle trattative sul pesce e sugli alimenti più o meno freschi.
I pochi nobili che ormai erano rimasti in questa cittadella di pescatori si facevano accompagnare dai loro servi che portavano i loro effetti e li proteggevano dal sole con ampi ombrelli colorati, che stridevano con i toni neutri dei vestiti che erano soliti portare i pescatori.
<< Nereide! >> Della, una ragazzina dai ricci castani e le lentiggini, mi raggiunse correndo lungo le scale che portavano alla zona alta della cittadella e, riprendendo fiato dopo lo sforzo, mi guardò preoccupata. << Sono arrivate delle navi enormi! >>.
<< Esageri sempre >> Ridacchiai.
<< No, no! Giuro che sono enormi davvero! Sono scesi uomini dell’esercito della capitale! >>.
Balzai velocemente in piedi. La capitale non mandava mai grandi truppe per controllare la nostra città, che vantava un discreto mercato di pesce e niente più.
In quella città o si diveniva pescatori, rischiando la vita ogni giorno in mare aperto, oppure si trovava lavoro in qualche locanda, a servire da bere a marinai ubriachi che inventavano storie su pesci giganteschi e navi fantasma.
Quindi perché la capitale mandava soldati qui?
Seguii Della oltre il mercato, spingendo qualche marinaio per passare e attardandomi a derubare qualche nobile distratto (ormai era così facile) e arrivai all’Agorà della Cittadella.
Diversamente dalla vita di tutti i giorni, la folla era ai lati della piazza circolare e tutti fissavano un plotone di uomini in armatura completa marciare verso il palazzo del Reggente della cittadella.
In mezzo agli uomini bardati camminavano tre individui distinti, senza elmo, e dalle rifiniture delle loro armature e dallo sguardo altezzoso dei due più giovani, capii che dovevano essere comandanti o comunque figure autoritarie per l’esercito appena sbarcato.
Il più maturo dei tre si fermò al centro e, con lui, anche tutto l’esercito.
Fece passare lo sguardo su tutta la folla, poi si schiarì la voce.
 << Popolo di Utrech, so che non siamo ben accetti qui. Vedete le imposizioni della mia città come minacce al vostro commercio e le tasse che pagate dalla fine della Lunga Guerra vi stremano. Ma tutto questo lo avete in cambio di protezione dagli assalti dei pirati. Mai dopo la Guerra ho visto la vostra splendida cittadina così florida e vivace – sorrise, amabile. Non mi fregava quel nobile farabutto – ma abbiamo fallito. Non abbiamo saputo vedere quanto il pericolo fosse vicino alla vostra fiorente città e alcuni pirati si sono nascosti qui, tra i vostri amici, vicini, cari, tra i pochi turisti che decidono di venire ad ammirare questo luogo favoloso. Siamo qui per rimediare, per questo vi chiediamo solidarietà e aiuto, durante la nostra permanenza ci sarà rispetto reciproco e collaborazione. Il mio esercito nulla avrà senza pagare da voi. Pagheremo e vivremo cose fossimo concittadini, aiutandoci l’un l’altro noi nel vostro commercio e voi nel nostro lavoro. Grazie >>. Si chinò leggermente.
La folla rimase in silenzio tombale per qualche minuto. Tante belle parole quelle dei nobili della Capitale. E avevano persino permesso che i Pirati penetrassero nella nostra innocua città.
A dispetto dei miei pensieri la folla scoppiò in grida di gioia. Sbuffai. Questi cafoni di locandieri e mercanti sarebbero stati capaci di baciare i piedi di ogni singolo soldato pur di convincerli ad andare nella loro locanda o a comprare la loro merce.
Certo, un centinaio di soldati stanziati lì a tempo indeterminato portava certamente soldi.
“Che luridume” pensai rattristata. E come se avesse sentito il mio pensiero quell’uomo dagli occhi color ambra mi fissò intensamente dal centro della piazza.
In mezzo a centinaia di persone non so come facessi a sapere che fissava proprio me, ma così era.
Lo sentivo nelle viscere.
<< Nereide! >> Della mi tirò un braccio.
<< Dovremo andare a dare una mano alla locanda con tutti questi soldati! >>.
E corse via, precedendomi verso la locanda della “Schiuma di conchiglia”, dove il nostro tutore ci aveva faticosamente trovato un lavoro, che io non apprezzavo per nulla.
Sorpassai agilmente Della e mi presentai per prima di fronte alla tozza donna che già reggeva in mano il mio grembiule.
<< Sempre con comodo Nereide! >> sbraitò.
Di lì a poco, in effetti, la locanda si riempì di soldati. Servii birra e liquori di ogni tipo, portai i piatti dalla cucina ai tavoli, ignorai qualche commento sarcastico sul mio “bel sederino”.
Quando pensai che la giornata non potesse andare peggio (lavorare e per di più farlo per servire e riverire quei buoni a nulla della capitale) dalla porta principale fecero il loro ingresso le tre figure autoritarie, prendendo uno dei tavoli a me assegnato. Mi avvicinai per prendere le ordinazioni, sfoderando il sorriso migliore del mio repertorio, cercando di smascherare il mio disgusto.
<< Ehi piccola, sei compresa nel prezzo tu? >> Mi chiese il giovane biondo, mettendo il suo braccio intorno al mio bacino.
Al momento fui tentata di schiaffeggiarlo ma la mia mano fu bloccata da quella dell’uomo più anziano, che fece un baciamano da manuale, sottraendomi dalla presa del suo compagno.
<< Perdonate la stupidaggine dei miei sottoposti, sono ancora  parecchio giovani e fin troppo briosi con le fanciulle belle come voi >>.
Beh… innanzi tutto nessuno mi aveva mai baciato la mano. E secondo nessuno mi aveva mai dato del voi. E terzo… rimasi interdetta, non riuscii a pensare a nulla fuorché quello sguardo inquisitorio con cui l’uomo mi osservava. Mi disarmava e mi faceva sentire a disagio, come se avessi qualcosa da nascondere.
Nulla di concreto ovviamente ma il mio disgusto per lui venne meno, un po’ per infondato timore che sentisse i miei pensieri, un po’ perché era il primo viso gentile da mesi.
<< Il mio nome è Caius Poseidon e per qualsiasi problema arrecato a voi perpetrato dai miei uomini, non esitate a rivolgervi a me >> Sorrise.
Sorrisi anch’io. Come una stupida.
<< Sì... sarà fatto signore >> affermai meccanicamente.
Rimase in attesa, probabilmente della mia presentazione, poiché lui si era ben presentato.
<< Oh! – Mi accorsi della mia sbadatezza e feci un inchino decisamente sgraziato – io sono Nereide >>.
<< Nereide e...? >> chiese il biondo.
<< Nereide e basta signore. Sono orfana e gli orfani non hanno un secondo nome >> Risposi un po’ acida, poi mi rivolsi a Poseidon. << Sarò a vostra disposizione per ogni vostra ordinazione >>.
<< Nereide. Magnifico nome. Ah Nereide, sai come si riconosce un pirata? >>.
Scossi la testa. Non ne avevo mai visto uno. 
<< Hanno almeno un tatuaggio sul corpo >> sorrise.
Presi le loro ordinazioni e mi allontanai. Caius Poseidon sembrava diverso dagli altri, ma ancora non potevo cadere così nelle mani dei generali inviati dalla capitale.
Nel mio ciclo di pensieri finii contro un’ospite della locanda.
Una donna alta e dai lunghi capelli neri, un impermeabile bianco e lo sguardo di ghiaccio.
<< Attenta a dove metti i piedi ragazzina. E portami una birra! >> Disse mettendosi al bancone.
La ragazza che la seguiva si sedette accanto a lei ed entrambe, appoggiandosi al bancone con i gomiti scoprirono vagamente i polsi, sui quali vi era un tatuaggio, una piovra che affondava una nave.
Le guardai allarmata mentre servivo loro la birra. Erano senza dubbio pirati.

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Capitolo 2
*** Scommesse e fraintendimenti ***


Rimasi a fissarle a lungo mentre fingevo di lavare un bicchiere.
-  Pensi di lavarlo ancora altre tre volte quel bicchiere prima di smettere di fissarmi,cameriera? -
La donna dagli occhi di ghiaccio sogghignò guardando prima me e poi il bicchiere.
Mi scusai e lasciai cadere un’ultima volta il mio sguardo intimorito sul suo tatuaggio, poi riempii velocemente il vassoio con le ordinazioni per il tavolo dei generali e mi affrettai per portare ai soldati le loro ordinazioni.
La donna mi bloccò il polso, la sua stretta era decisa ma non mi fece male  - Fossi in te, ragazzina, ci penserei un paio di volte prima di parlare a quei tipi del mio tatuaggio –
Sostenni il suo sguardo, cercando di nascondere la mia preoccupazione. Avevo letto molto storie di pirati: fino a una ventina di anni prima, quando ancora il vecchio governo dei mercanti non era caduto, la nostra città era frequentata da pirati, che portavano ricchezze e storie incredibili, di luoghi misteriosi, navi fantasma, ovviamente tutte leggende, ma portavano fama e ricchezza alla città. Almeno così mi era stato detto.
Dei pirati sapevo che una volta qui erano ben accetti, ma erano famosi per la loro pericolosità e bellicosità, non tanto contro la popolazione che ai tempi li supportava e viveva dei commerci con loro, quanto tra le diverse ciurme che si contendevano l’egemonia sulla nostra città.
Poi l’Impero dell’entroterra di Seyera, il più vasto Continente Centrale,  iniziò la sua lenta espansione verso le coste fino ad arrivare a sottomettere quasi tutto il Vecchio Continente, noi compresi, ingaggiando una vera e propria guerra ai Pirati e imponendo religione, tasse e usi dell’Impero. Ma questa è un’altra storia in fondo.
La mia storia in questo momento mi vedeva di fronte ad una scelta alquanto scomoda: c’era una Pirata davanti a me, che molto velatamente mi minacciava. I soldati che potevano risolvere la situazione sedevano a pochi metri da noi, intenti chissà in quali discorsi. Ma erano gli uomini che servivano l’Impero che ci aveva costretto in ginocchio per molti anni.
Ma il loro generale era stato capace con un solo discorso a fari ben accettare dalla popolazione e con me era stato fin troppo gentile.
Sospirai e pensai che in fondo non era mia la responsabilità.
-Senti, ragazza, ce ne andremo stanotte e faremo in modo che tra un paio di giorni quei soldati lo sappiano. Non creeremo disturbo e faremo in modo che loro non restino qui a dare fastidio ok? – fece l’altra, molto più tranquilla.
La donna dagli occhi di ghiaccio la guardò irritata – Rey…. –
-Rey un corno, non possiamo permetterci di farci scoprire! – poi mi guardò e sorrise come se nulla fosse – ovviamente Rey non è il mio vero nome –
La fissai un momento. La situazione si era velocemente ribaltata. Non mi sembravano nemmeno troppo pericolose ora. O almeno, non così tanto.
-Ma certo  - liberai bruscamente il braccio dalla presa della donna e mi diressi al tavolo dei generali.
Se le avessi viste di nuovo l’indomani, le avrei denunciate ai soldati. Continuai a ripetermelo mentalmente mentre le osservavo uscire senza dare nell’occhio.
Forse non era la scelta giusta ma ormai erano andate. Mi rimisi dietro al bancone, osservando la porta come ad aspettare che la soluzione a tutti i miei problemi entrasse da lì, ma l’unica cosa che entrò fu la fonte dei miei nuovi problemi. Solo che ancora non lo sapevo.
Guardai il gruppo di ragazzini con cui ogni tanto mi trovavo per scambiare qualche parola, tutti amici di Della che parlavano di “sabotare il sistema” o “iniziare la rivoluzione contro l’Impero tiranno” e invece l’unica cosa che sapevano fare era imbrattare qualche muro o rubacchiare qualcosa di poco conto.
-Ciao Nereide – Salutarono sedendosi lì.
I due maschi del gruppo iniziarono a vantarsi di come “quella tipa super bella li avesse guardati”. E questo per usare parole più raffinate delle loro.
Sospirai servendo loro della birra. Non era concesso ai ragazzi così giovani bere, ma siccome sapevo come tenerli a bada e allungavo tutto con una buona dose di acqua (non oso immaginare lo schifo, eppure loro pur di vantarsi con i loro coetanei avrebbero bevuto qualsiasi cosa), non mi facevo problemi a servirli.
-Sempre migliore! – Affermarono i due maschi traccannando il miscuglio imbevibile. Vedendo le loro facce disgustate, che poi cercarono di mascherare, provai un leggero senso di colpa, poi ridacchiai.
Non lo capivano mai.
-Pronti per domani?-
-Cosa farete domani? -   mi finsi interessata. Sicuramente una “missione super-super pericolosa”.
-Una missione super pericolosa!-
-Non ditemi, contro quale muro lancerete uova stanotte?-  commentai, polemica.
Tutti e cinque, Della compresa,sogghignarono.
-Niente uova, domani ruberemo il gioiello del Generale -  e indicarono Poseidon.
-L’anello che tiene al dito? – Chiesi, perplessa. Potevano davvero mettersi nei guai.
-No, il diadema che tiene appeso al mantello - . Osservai la medaglia al valore che lo contrassegnava come massimo generale ed eroe di guerra.
-Si chiama medaglia di grado e la vostra è una pessima idea -
Loro mi guardarono con aria di sufficienza. –Hai solo paura Nereide- .
Mi voltai stizzita. - Certo che no. Sono solo preoccupata, sarebbe più facile rubare la bandiera dell’Impero dalla loro nave piuttosto che rubare a lui la medaglia! –
-Va bene allora, se sei così in gamba come dici di essere, domani portaci la bandiera e noi rinunceremo a rubare la medaglia – .
Scoppiai a ridere – Voi siete pazzi. Non farò una cosa del genere. –
Il biondino mi fissò con un sorriso beffardo – Scommetto dieci monete d’oro che non sei capace. Perché sei una femmina –
Lo guardai irritata. Se credeva che avrei ceduto solo per senso dell’orgoglio e per denaro si sbagliava di grosso quell’allocco. Sarebbe stato da stupidi.
 
Ma io ero giovane e stupida, e proprio da tale mi ritrovare, nel cuore della notte, violando ogni coprifuoco imposto dall’Impero, a vagare per la città verso il porto dove erano attraccate le navi Imperiali.
Cercai di fare meno rumore possibile. Ero riuscita a eludere la sorveglianza di Simon, il mio tutore, ma lui era anche ubriaco fradicio e non era stato difficile. Anzi nel vedermi ancora sveglia aveva farfugliato qualcosa riguardo ai miei genitori, ma avrei scoperto tutto l’indomani.
Non ero impensierita, giravano tante voci sui miei genitori in città, qualcuno affermava che erano eroi caduti in chissà quale battaglia di chissà quale posto.
Baggianate.
Mio padre era un furfante e mia madre si era buttata dalla scogliera. Me lo avevano raccontato i vecchi mercanti quando ero bambina. Non m’interessava altro. Anzi, a dire il vero pensai che non m’importasse proprio.
Stavo bene con Simon. Era stato come un padre per me.
Ma ora non avevo a che fare con il tutore severo e troppo sbadato, ma con guardie Imperiali che pattugliavano tutte le strade. E chissà cosa diavolo avrei trovato al porto.
Sospirai maledicendomi per aver accettato e scivolai contro il muro, silenziosa.
Con lentezza e fatica riuscii ad arrivare al porto, dove ciò che trovai era del tutto inaspettato: le sentinelle Imperiali erano tutte a terra coperte di sangue.
Fui tentata di fuggire. Avevo già visto altri morti, molti, soprattutto annegati, ma mai in un luogo così pericoloso e da sola.
Guardai la bandiera svettare alta sull’albero maestro, il cuore a mille.
La morte di quegli uomini era un’occasione perfetta. Oggigiorno la gente si stupirebbe di quanto fui cinica ma quei tempi erano diversi. Non avevo mai ucciso nessuno, ma avevo visto molti duelli tra compaesani, molti omicidi per delle semplici risse da locanda che ormai la morte non mi sconvolgeva più. Non sconvolgeva più nessuno.
La cosa che mi turbava erano tutte quelle guardie morte e il silenzio intorno.
Scattai verso la corda con cui la nave era attraccata e mi issai a fatica sul veliero.
Ripresi lentamente fiato.
Con me avevo solo un pugnale e della polvere urticante che avevo rubato all’erborista qualche giorno prima. Rubando quotidianamente non potevo rischiare di essere scoperta e acciuffata, quindi cercavo sempre di avere scorte a sufficienza per coprire la mia fuga in caso di evenienza: un poco di quella polvere negli occhi e ogni io qualsiasi inseguitore avrebbe passato un brutto quarto d’ora senza avere il tempo di pensare a me.
Sul pontile non c’era anima viva e anche questo mi parve fin troppo strano.
Calmo. Tutto troppo calmo. Risoluta e cauta mi avvicinai all’albero maestro e calai il più silenziosamente possibile la bandiera.
La dannata carrucola cui erano collegate le corde della bandiera cigolava tremendamente. O forse ero io che avevo troppa paura e mi spaventavo per ogni singolo rumore.
Quando finalmente la bandiera, gigantesca, fu ai miei piedi, sospirai. “E ora come diavolo la porto via di qui quest’ammasso di stoffa?”.
-Non muoverti –
Sentii una pistola puntata contro la mia schiena. Alzai le braccia e sentii delle mani femminili perquisirmi.
-Che carina un pugnale -. Mi voltai e vidi la donna pirata della locanda.
-Tu?? –
-Abbassate la voce maledizione. Ci farete scoprire. Abbiamo quello che ci serve, andiamocene Ebony! –
La ragazza chiamata Rey stava qualche passo dietro la donna dallo sguardo di ghiaccio.
-Stai calma Rey. Adesso ce ne andiamo… -
Il mio pugnale era ancora nelle sue mani. –Con questo potresti fare male a qualcuno eh? Lo tengo io –
E così detto fece per andarsene.
-Non credo andrete lontano con il io tesoro, Ebony Charnel -  Il generale Poseidon, ben armato fece il suo ingresso in scena con una ventina di uomini al seguito e i suoi due diretti sottoposti.
-Ci mancava solo questa – sentenziò Rey estraendo le sue pistole. Erano molto pesanti e la ragazza faticava a tenerle in bilancio entrambe.
Per me fu un sollievo vedere Poseidon prendere in mano la situazione. Poi mi accorsi di una terribile verità…  ero vestita per un furto notturno e in compagnia di due pirati. Quante probabilità ci fossero che Poseidon non mi scambiasse per una loro compagna?
-Prendetele, tutte e tre –

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