Listen to the sound we make togheter

di Tabheta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sulla strada del fallimento ***
Capitolo 2: *** Un team perfetto ***
Capitolo 3: *** Quando una giornata comincia male... ***
Capitolo 4: *** Convivenze traumatiche e nemici-amici ***
Capitolo 5: *** La musica deve cambiare ***



Capitolo 1
*** Sulla strada del fallimento ***


"Listen to the sound we make togheter"


Le strade di Death City erano deserte. La frescura mattutina avvolgeva le vie e i palazzi, mentre gli ignari cittadini ancora dormivano beatamente nelle loro case. Maka Albarn, mattiniera per obbligo, sembrava l’unica anima vivente – ad eccezione del sole che sorgeva sghignazzando all’orizzonte, ad avventurarsi a quell’ora per la città.
La struttura di Death City era inusuale – un po’ come i suoi abitanti d'altronde, le case erano state costruite talmente vicine da sovrastarsi a vicenda, ammassate intorno a quella che era la costruzione più importante della città, la Shibusen, centro dell’amministrazione politica e governativa, dalla quale si snodava un’unica strada maestra che conduceva direttamente all'esterno del centro abitato, nel bel mezzo del deserto del Nevada.
Sul perché ai fondatori della città fosse venuto in mente di stabilirsi proprio in quella zona, circondati dalla desolazione, Maka aveva varie ipotesi, ma più probabilmente erano semplicemente persone riservate che avevano preferito vivere in mezzo al nulla. Col tempo poi Death City, sotto la tutela del giulivo sindaco Shinigami-sama, si era ingrandita fino a diventare l’esteso centro abitato che era ora.
Nonostante tutto a Maka non dispiaceva alzarsi così presto, camminando al mattino poteva osservare il sorgere del sole e godersi quella calma fugace che spariva dopo poche ore, riempiendosi dei rombi delle automobili e del caos cittadino, a volte tanto forte da confonderle la mente.
Aveva bisogno di tempo per riflettere in solitudine. Quel tempo che non riusciva a trovare in casa propria, visto che quel dissoluto di suo padre, dopo il divorzio da sua madre e il suo successivo trasferimento, continuava a portare donne sempre diverse nel loro appartamento. Avrebbe voluto seguire sua madre, ma era troppo radicata a Death City per abbandonarla e non sarebbe mai stata capace di lasciare i suoi amici.
Oltrepassato l’ennesimo incrocio, Maka si fermò davanti alla porta di un vecchio palazzotto, vernice azzurrognola e un’ insegna che recava la scritta “DWMA – Death Café” leggermente stinta dal sole. Nonostante l’aria sciupata all'esterno, dalle vetrate a specchio della facciata frontale si notava che l’interno era molto più curato. Un salone spazioso ospitava vari tavoli e un bancone lungo e stretto occupava lo spazio in fondo a destra, mentre della parte opposta un vecchio ma ancora lucido pianoforte faceva bella mostra di sé. Davanti a quest’ultimo stavano accatastate varie sedie a forma di quello che era un buffo teschio, in attesa di essere disposte attorno ai tavoli.
Ormai lavorava come barista al locale da quasi un anno. Inizialmente aveva cominciato per trovare una sua indipendenza, dato che non avrebbe accettato soldi da suo padre nemmeno sotto tortura, in seguito si era affezionata sia alle persone che ci lavoravano che ai clienti, così, nonostante fosse un part-time, quando c’era bisogno andava a lavorarci sia al mattino che al pomeriggio.
Era stato quel balordo di suo padre a trovarle l’impiego, essendo il locale di proprietà del sindaco e lavorando lui a stretto contatto con quest’ultimo non ci aveva messo molto a farla assumere.
Frugò nelle tasche alla ricerca della chiave che, affidabile come lo era da tempo, venne infilata nella toppa e aprì con uno scatto metallico la porta.  
Nell'entrare Maka girò il cartellino appeso sullo stipite e la scritta “Closed” in caratteri neri, venne sostituita dalla scritta “Open” in caratteri rossi. Un ennesimo giorno di lavoro era appena iniziato.

 ~
 
Dopo che aveva sistemato i tavoli all'esterno e aveva riordinato il bancone, puntuale come tutte le mattine, un ragazzo dai capelli rosa uscii dalla cucina porgendole una teglia di pizze, paste e cornetti fumanti da sistemare nell'espositore.
Chrona lavorava al locale come pasticcere e fornaio, o almeno ci provava, viste le ansie che lo assalivano in continuazione. Il suo lavoro necessitava che fosse il primo ad arrivare al mattino, ma l’ansia che gli dava lo stare da solo in negozio lo spingeva sempre a chiudersi dentro a chiave. Ciò nonostante era un bravo ragazzo, estremamente timido.
La salutò con un traballante “B-buongiorno, Maka-san” e si rifugiò di nuovo in cucina non appena ebbe poggiato il vassoio sul bancone.
Alle otto spaccate, quello che pareva il figlio di Shinigami-sama, si schiantò contro la porta a vetri; Maka non aveva dubbi, visto il completo elegante e le immancabili tre strisce bianche orizzontali al lato della testa. Osservò la scena impassibile.
Stava quasi per uscire ad aiutarlo, quando una ragazza bionda dai capelli lunghi, seguita da un’altra dai capelli corti, lo prese per il bavero della giacca e lo scosse in preda a una crisi isterica. Elizabeth “Liz” e Patricia “Patty” Thompson vivevano a casa di Death The Kid da circa due anni.
Erano state raccolte dalla strada da quest’ultimo e lavoravano al Death Café come cameriere da allora, visto che non volevano gravare economicamente su Kid più di quanto già facessero. Nonostante il buon rapporto di convivenza che avevano instaurato, le continue fisse di Kid erano difficili da sopportare per chiunque, quindi situazioni del genere avevano smesso di stupire Maka da un bel po’.
Dopo cinque minuti buoni di scenata, i tre varcarono la soglia preceduti da una Liz ancora furente, che sopraggiunse a passo di marcia verso il bancone.
“Ah Maka-chan, non so più che pesci prendere con questo cretino!” indicò Kid per rafforzare il concetto.
“Liz te l’ho detto un milione di volte, non possiamo lasciare l’auto parcheggiata lì davanti in settima fila, in ottava forse, l’otto, l’otto sì che è un numero perfetto!” Maka si aspettò di vedere i suoi occhi gialli diventare cuoricini da un momento all'altro.
“Dobbiamo spostarla!” continuò.
“Nono, la macchina rimane lì!” Liz lo guardò intimidatoria, mentre Patty rideva giuliva dietro alla sorella.
“Kid, siete arrivati giusto in tempo! Potresti aiutarmi a sistemare lo scaffale?” tentò di distrarlo Maka.
Il giovane Shinigami volse la sua attenzione su di lei – sullo scaffale per l’esattezza, e annuì convinto.
“Lo farò con decisione e precisione!” e in un attimo si era fiondato a riordinare dimentico del diverbio.
Liz sospirò affranta ma sollevata di non dover più discutere, così dopo aver mimato un “grazie” con le labbra a Maka, andò insieme a sua sorella a cambiarsi. L’unica che mancava all'appello era Tsubaki, che attaccava il suo turno di lavoro nel pomeriggio, avendo quella mattina lezione.

 ~

Il locale aprì ufficialmente verso le otto, quando le cameriere furono pronte ed il locale sistemato.
Le varie operazioni si svolsero tutte sotto lo sguardo perfezionista di Kid, che aveva da ridire su ogni cosa e anziché velocizzare l’apertura, finì per rallentarla. Quando il grado di esaurimento collettivo fu talmente alto da risultare incontrollabile, Kid fu malamente chiuso nello sgabuzzino delle scope, con la scusa che gli spazzoloni andassero sistemati in ordine di altezza e le scope in ordine cromatico.
Così venti minuti dopo tutte le incombenze furono completate, Kid, che aveva adempito perfettamente al suo compito, fu fatto uscire e cominciarono ad arrivare i primi clienti abituali. Il primo fu il Signor Excalibur, della cui presenza avrebbero fatto tutti volentieri a meno, che cominciò a ciarlare sull'architettura del dodicesimo secolo e che ordino il solito tea inglese, dopo il quale venne poco gentilmente invitato a levare le tende.
Poi arrivò il Signor BJ insieme alla Signorina Marje, che era un grande appassionato di Caffè e ne conosceva tutte le marche esistenti, ma il suo preferito era quello nero prodotto a Death City, lo stesso che ordinava tutte le mattine prima di andare al lavoro.
In seguito fu la volta di Spirit Albarn, che, parole sue, non poteva cominciare una giornata di lavoro senza consumare una colazione servita dalla sua adorata figliola. 
Fu dopo che quest’ultimo aveva consumato il suo caffè che arrivarono trafelati Ox Ford, ansimando come se avesse corso una maratona nonostante – Maka ne era più che mai certa, avesse percorso solo poca strada, e il 'sempre-impassibile' Harvard. I due costituivano una sorta di unica entità, quindi quando stringevi amicizia con uno dei due prendevi in blocco anche l’altro, la cosa buffa era che Maka non ricordava di aver fatto amicizia con nessuno dei due. Conosceva di vista Ox perché frequentava alcuni dei suoi corsi al college e un giorno di punto in bianco se l’era visto spuntare insieme ad Harvard al locale ed era diventato un cliente fisso.
“Ragazzi dobbiamo indire un’assemblea straordinaria!” disse con enfasi.
“Idiota, abbiamo appena aperto, spaventi la clientela se continui ad urlare! L’ultima volta che hai detto una scemenza simile era per decidere se era migliore il caffè macchiato o il cappuccino di Maka!” gli rispose Liz con la solita finezza. Maka ricordava bene di avergli schiaffato un impietoso Maka-chop in testa per calmarlo quel giorno.
“Questa è una faccenda più seria!” snocciolò con aria grave, leggermente risentito al ricordo dell’evento.
“Ah sì?” disse Liz che nel frattempo aveva portato le ordinazioni ai clienti e si era avvicinata al balcone. 
Patty, che aveva sentito tutto ripeteva esagitata “Quandoquandoquandoquando?” battendo nel mentre anche le mani.
“Subito” continuò Ox.
“Non possiamo chiudere ora, il mio nobile padre si infurierebbe.” anche Kid, che emerse da sotto il bancone dove stava riponendo in ordine di annata le bottiglie di alcolici, espresse la sua opinione – ovviamente contraria.
“Non vi preoccupate ragazzi, tra un po’ il locale sarà vuoto.” 
A quell'affermazione ci fu uno scambio di sguardi generale, segno che la curiosità stava avendo la meglio.
“Ti avverto però, se è un’altra delle tue scemenze sai già cosa ti aspetta.” Maka si sentì in dovere di ribadire il concetto tirando fuori – da chissà dove poi, un grosso tomo, che appoggiò al suo fianco sul bancone come intimidazione, facendo deglutire Ox.
“Bhé, conoscete tutti il ristorante qui di fronte no?”
Tutti annuirono e lo fissarono come se avesse detto la più grande delle ovvietà, Maka ricordava persino di esserci andata insieme ai suoi genitori – prima che divorziassero ovviamente, e che l’unico piatto decente che era riuscita a mangiare era la bistecca al sangue. Strano, visto che il proprietario, nonché unico cuoco del ristorante, era un tipetto talmente pallido e malaticcio da sembrare anemico.
“Sapete anche che da un po’ il vecchio proprietario, un tale Mosquito, l’ha messo in vendita…”
“Ox, arriva in fretta al punto!” Urlò Liz, curiosa e allo stesso tempo frustrata.
“L’ha venduto alle streghe.”
Quella delle streghe era una delle gang più estese e potenti della città, si divertivano a portare scompiglio compiendo piccoli furtarelli e opere vandaliche più o meno gravi, ed essendo sotto la protezione di quella che veniva chiamata Grande-Vecchia-Strega, donna dalle molte conoscenze e parecchio stimata a Death City, non era raro che queste non pagassero per le loro colpe.
“Non capisco come questo possa riguardarci.” Disse Kid.
“Hanno deciso di riaprire il locale in una nuova veste, più… moderna, in poche parole concorrenza, amici miei.”
Ox accompagno le sue parole srotolando un volantino pubblicitario passatogli da Harver, che aveva ascoltato in silenzio tutto il discorso in piedi al suo fianco.
Maka gli strappò praticamente il pezzo di carta dalle mani e se lo avvicinò al viso per studiarlo meglio. L’ inaugurazione era fissata per quella mattina. Attorno a lei anche Kid e Liz occhieggiavano interessati.
“Un Maid Café? Hanno intenzione di aprire un Maid Café? A chi potrebbe mai interessare un locale frivolo come questo? Il Death Café è aperto da anni e si è sempre meritato la stima dei clienti grazie alla sua sobrietà. Non crederete mica che un postaccio del genere possa…” il sermone di Maka fu interrotto dagli schiamazzi provenienti dalla strada. Nel vecchio ristorante di fronte ragazze in succinte uniformi da maid lanciavano volantini su una folla adorante, che entusiasta si riversava dentro il neonato locale.
Maka non finì mai il suo sproloquio.

~
 
Note: Non so perché sono qui, non so cosa sto facendo, spero soltanto che apprezziate quest'idea malsana che mi è venuta in mente una sera, tra la lettura di Soul Eater Not e la rilettura di Soul Eater. Commenti e critiche sono sempre benaccetti, cercherò di mantenermi più o meno costante con gli aggiornamenti, ma non posso garantirvi niente essendo la mia prima esperienza con una long ahahah <3

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Capitolo 2
*** Un team perfetto ***



 
Era dagli eventi del giorno precedente che al Death Café regnava il silenzio. Non soltanto i dipendenti interagivano tra loro il meno possibile, scambiandosi monosillabi o ignorandosi deliberatamente, ma anche i clienti sembravano spariti nel nulla – eccezion fatta per i pochi fedelissimi.
In una giornata di lavoro le uniche facce che avevano visto erano state quella immancabile del Signor Excalibur e quella del Signor Albarn, accolto a librate da una più che mai irritata Maka.
A rompere il silenzio in quel desolante pomeriggio fu Tsubaki, che era stata aggiornata sulle ultime novità dai colleghi la sera stessa del giorno incriminato.
“Ragazzi, so che non è il momento giusto ma devo chiedervi un favore.”
Le parole appena uscite dalla sua bocca sembrarono congelare e ridursi in frantumi in quell’atmosfera glaciale.
“Tsubaki sai bene che puoi contare su di noi.”
Maka si sforzo di sorriderle, aveva parlato anche a nome degli altri che nel frattempo, come mummie, si aggiravano per il locale svolgendo le rispettive faccende. Patty stava semplicemente facendo origami con il cartoncino, ma nessuno ci badò.
“Black Star ha perso il lavoro, mi chiedevo se c’era qualche lavoretto che potesse fare qui al locale…”
No. Decisamente no. Tutti loro conoscevano Black*Star, lo sregolato fidanzato di Tsubaki. Con sommo esaurimento di Kid era stato al locale più volte, demolendo parte dell’arredamento e causando altri danni più o meno ingenti. Danni che era stata costretta a ripagare la povera Tsubaki, perché il tipo viveva – ed a giudicare dai racconti della ragazza la sua situazione non era cambiata, come un vagabondo, senza il denaro sufficiente nemmeno a sbarcare il lunario.
Da quella vicenda si riferivano a lui con l’appellativo di ‘flagello azzurro’ – soprannome liberamente ispirato al suo improbabile colore di capelli.
Non lo volevano tra i piedi in condizioni normali, figuriamoci adesso che i clienti erano evaporati e i pochi che rimanevano andavano trattati con i guanti di velluto, Black*Star era come dei guanti di carta vetrata, praticamente.
“Ecco… Non so Tsubaki, sai, sono tempi incerti e siamo già abbastanza dipendenti.”
Maka si mantenne sul vago, cercando con gli occhi il supporto di Kid, proprietario surrogato quando il padre non c’era, nella speranza che la dissuadesse da un’ idea tanto catastrofica.
“Già e con un dipendente in più saremmo in sette, che disgusto!”
Kid accompagnò il tutto con un’espressione di puro ribrezzo.
“Quindi se trovassi anche un'altra persona disposta a lavorare qui andrebbe bene? Saremmo in otto.”
Centrato. Maka sapeva esattamente dove Tsubaki voleva andare a parare, riconosceva la sua furbizia.
“Non ci avevo mai pensato! Potremmo diventare un team perfetto!”
Kid si illuminò, acconsentendo definitivamente alla proposta di Tsubaki, che si ritirò trionfante nel retro del locale ad informare telefonicamente il suo ragazzo. Nel mentre Ox e Harver si catapultarono nel locale – o meglio solo Ox, visto che Harver non aveva perso neanche per un attimo la sua innaturale compostezza.
“Ragazzi abbiamo informazioni top-secret per voi!” disse un Ox innaturalmente eccitato, spalmando un braccio sul bancone a rafforzare ulteriormente il concetto. Maka avvertì un brivido quando, guardandolo in faccia, riuscì a vedere i suoi occhi spiritati anche attraverso le spesse lenti dei suoi occhiali a spirale.
“Che è successo?”
Cominciava ad essere abbastanza in ansia, considerando lo stato febbrile in cui verteva l’amico.
“Ho avuto occasione di assaporare il dolce nettare dell’amore!” sospirò affranto, tornando in un baleno allegro, per poi fare una faccia che avrebbe definito disgustosa. Temeva per la sua di incolumità adesso, oltre che per quella della fortunata, che sperava non avrebbe mai avuto modo di vedere Ox in quello stato pietoso, scosso da crisi bipolari. Maka voleva che considerasse il Maka-chop che gli aveva scagliato come un favore.
“Sei un idiota! Sarebbe questa l’informazione top-secret?” Immancabile il commento fine di Liz.
“Siamo andati a spiare le streghe” riprese composto Harver, dopo aver lanciato uno sguardo rassegnato al povero Ox, che ancora non si era rialzato dal colpo. Bastò la sua affermazione perché tutti si riunissero nuovamente attorno ai due per sentire cosa avessero scoperto.
Quando Ox ebbe ripreso il controllo delle sue azioni, come se dovesse fare un discorso di grande importanza, si schiarì la voce ed alzò la testa.
“Come ha detto Harver, stamattina siamo andati a spiare la concorrenza. Inizialmente non avrei dato un soldo bucato a quel postaccio, già dalla depravazione della clientela, ma poi ho visto un qualcosa di inaspettato: un delicato fiorellino ci ha aperto la porta e accompagnato all’interno!” Alternava la narrazione a sospiri di pura adorazione.
“Senza offesa Ox, ma non ci interessano i dettagli della tua vita sentimentale.”
Kid era decisamente più interessato alla parte narrativa che a quella descrittivo/amorosa.
“Dicevo…” dal tono della voce sembrava stesse raccontando di chissà quale impresa, quando in realtà non aveva raccolto nessuna informazione particolarmente rilevante. Sperava solo che Harver non tirasse fuori uno stereo con la musica epica d'accompagnamento.
 
 
 ~

A fine giornata fu il momento di tirare le somme. Il denaro fu estratto dalla cassa e contato da Liz, che si era auto-nominata contabile ufficiale, nonché gestore, della baracca. Il verdetto fu un pugno nello stomaco.
“Falliremo, se andremo avanti così.”
“Non ti sembra di esagerare Liz?”
Tsubaki cercava di alleggerire la situazione dall’inizio del pomeriggio.
“Non mi pare, ci siamo sbattuti tutto il giorno e quello che abbiamo guadagnato sono solo un misero pugno di dollari e oggi abbiamo speso quasi il doppio in aria condizionata!”
Di solito Liz non era catastrofista, o meglio, si tratteneva, soprattutto in presenza della sorella, per evitare che quest’ultima si preoccupasse, ma il fatto che non fosse di turno quel pomeriggio le aveva rimosso tutti i filtri inibitori. Sarebbe potuta scoppiare una rissa da un momento all’altro.
“F-forse potremmo mm-migliorarlo anche noi.”
Era stato Crona a parlare. Fatto più unico che raro, visto che di solito si limitava a rimanere in silenzio e finivano persino per scordarsi che lì dentro ci lavorasse pure lui.
“Cosa intendi?”
Maka, decisamente interessata, più per l’improvvisa presa di posizione, che per la proposta in sé, lo stava invitando a continuare.
“CC-Cioè dico che… Se avessi due coniglietti e uno diventasse più grande dell’altro cc-cercherei di dare più cibo anche all’altro per farlo crescere.”
Sguardi di pura confusione attraversarono la sala. Sapevano che Chrona non era esattamente sano di testa, ma cosa c’entravano adesso i conigli? L’unico coniglio che avevano visto di recente era quello dello stesso Chrona: Ragnarok, che aveva un pessimo carattere e che si portava spesso al lavoro in una gabbietta per evitare che, lasciato da solo, gli distruggesse la casa.
“Come abbiamo potuto non pensarci prima!”
Maka sembrava l’unica ad aver capito cosa volesse dire. Effettivamente Maka era una di quelle rare persone che – scatti d’ira a parte, riusciva ad adattarsi agli altri e a capirli, come se potesse leggere loro l’anima.
“Ti spiacerebbe tradurre?”
L’irritazione di Liz non accennava a diminuire, anzi, tutti quei giri di parole la stavano rendendo ancora più nervosa e come se non bastasse Kid, a due passi da lei, le aveva svuotato la borsa con l’intento di risistemargliela con decisione e precisione.
“Se le Streghe hanno modernizzato quel vecchio locale non vedo perché non potremmo fare lo stesso anche noi.”
“Potrebbe essere la soluzione!”
Kid stava seriamente prendendo in considerazione l’idea.
“Che cosa hai in mente?”
La frustrazione di Liz sembrò placarsi per far posto ad un rinnovato entusiasmo.
“Ho sentito che ultimamente vanno di moda i locali a tema…”
“No. Non abbiamo denaro sufficiente per cambiare l’arredamento o comprare costumi, dovremo inventarci qualcos’altro.” Kid cestinò immediatamente la sua idea, la situazione restava invariata.
L’unica che ancora non aveva proferito parola era Tsubaki che, pensierosa più del solito, guardava fuori dalla finestra i clienti che si affollavano fuori dal Maid Café “Chupa Cabras” e smaniavano volenterosi di entrare.
“La musica deve cambiare.”
Tsubaki sussurrò più a sé stessa che agli altri.
“Che cosa?”
“Ragazzi, credo di aver trovato la soluzione.” Tsubaki indossò la sua faccia più soddisfatta. Non aveva ancora spiegato in cosa consistesse esattamente la sua idea agli altri, ma il fatto che apparisse così serena e rilassata li aiutava a ben sperare.
Del suo piano la ragazza aveva solo rivelato loro che conosceva la persona giusta per dare una botta d’aria fresca al locale e sarebbe stato proprio l’ottavo uomo che aveva promesso a Kid, un ragazzo che stava tornando in America dopo un periodo di studio in Inghilterra.
Inutile dire che il fatto che provenisse da così lontano avesse scatenato una serie di attacchi di fantasia generale, così mentre Kid si chiedeva se avesse la decisione e la precisione necessarie, Liz se fosse attraente, Maka se fosse intelligente e Patty se fosse una giraffa – Chrona non immaginava perché non sapeva come comportarsi con la sua fantasia, l’atmosfera si era via via alleggerita.
“Black*Star ha detto che andava a prenderlo all’aeroporto questo pomeriggio, ma non so quando dovrebbe tornare…”
Il fatto che non avesse continuato stava probabilmente ad indicare che Tsubaki non sapeva nemmeno se avrebbe effettivamente fatto ritorno, con lui era la prassi non sapere cosa aspettarsi.
“Non avrai davvero lasciato quel poveretto nelle mani di Black*Star?” Maka provò seriamente pena per lui.
“Qualcosa mi dice che non avremo mai il piacere di incontrarlo vivo.” si lasciò sfuggire Kid, la faccia sconsolata al solo pensare che dal giorno successivo anche quell’ incontrollabile flagello di un Black*Star avrebbe lavorato con loro. La catastrofe era stata appena annunciata.

 
~

Note: Ciao a tutti coloro che sono arrivati a leggere fin qui! ;)
Capitolo di transizione. I'm sorry, ma non potevo fare altrimenti, resistete fino al prossimo capitolo e vi prometto che la storia comincerà ad ingranare sul serio ahahah
Ringrazio coloro che hanno recensito il primo capitolo e tutti i lettori silenziosi - dedico questo premio Oscar a mia madre *cough cough*- siete adorabili, davvero <3

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Capitolo 3
*** Quando una giornata comincia male... ***


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Si era svegliata tardi. Lei non sia alzava mai tardi, aveva inciso a fuoco nel codice morale della sua testa che l’arrivare in ritardo al lavoro - ma anche ai più generici appuntamenti, era un atto immorale e pertanto degno della pena capitale. Invece aveva tradito i suoi principi, si dichiarava colpevole di alto tradimento.
Correndo per le vie gli riecheggiavano in mente le parole di Tsubaki della sera prima. Dopo che era tornata a casa dal lavoro avevano avuto una lunga chiacchierata al telefono, l’aveva chiamata lei, per sfogarsi dell’ennesima scappatella di suo padre, ed erano finite a parlare di quello che ormai definiva ‘l’ottavo uomo’, il tale in realtà aveva un nome normale solo che non l’aveva colpita più di tanto e l’aveva già dimenticato, come tutte le cose irrilevanti.
Tsubaki le aveva detto che non lo conosceva direttamente, era il migliore amico di Black*Star – premessa che aveva fatto perdere a Maka tutte le aspettative positive che aveva avuto nei suoi confronti, e che era stato via per un po’ a studiare in una prestigiosa scuola oltreoceano. Perfetto, un altro figlio di papà, sperava solo che non avesse anche lui una qualche strana ossessione.
Per un attimo durante la sua folle corsa si chiese perché si scaldasse tanto, dopotutto al locale non ci sarebbe di certo stato un afflusso di clienti tale da rendere necessaria anche la sua presenza. Questo pensiero la rattristò incredibilmente. Non contava di passare tutta la sua vita a lavorare come barista, questo era certo, ma non era ancora pronta per dire addio a quell’impiego che, nonostante fosse l’opposto di quello che si sarebbe aspettata di fare, le dava non poche soddisfazioni.
Da quando era stata costretta a lasciare gli studi a seguito della disastrosa situazione economica in cui quel dissoluto di suo padre li aveva precipitati, il lavoro al Death Café le aveva restituito il sorriso e una parvenza di serenità. I suoi amici avevano bisogno di lei ora più che mai, ma le sarebbe piaciuto tornare a scuola quanto prima.
Le sue elucubrazioni mentali sarebbero continuate se, ad un passo dall’arrivare al locale, non avesse visto un secchio volare in fondo alla strada, guarda caso proprio dalla porta di quel vecchio palazzotto che tanto le era familiare.
Dietro a quello un tornado azzurro, colpito da un nugolo di spazzole e saponette che volavano fuori dall’entrata neanche fossero uno sciame, si precipitò fuori nel tentativo di recuperarlo. Il primo giorno di Black*Star. Era arrivata tardi il primo giorno di lavoro di Black*Star. Il suo tempismo era stato fatale.
Ad accoglierla trovò il caos più totale. Kid veniva tenuto fermo a fatica da Patty e Liz che cercava di evitare con la diplomazia che Black*Star facesse altre mansioni, chiudeva il quadretto un terrorizzato Chrona che giaceva in posizione fetale sotto al bancone, nel blando tentativo di proteggersi.
“Dimmi cosa deve fare ora l’illustre sottoscritto, Liz!” una risata esagitata accompagnò quelle parole.
“Che sta succedendo?”
Maka preferì fermarsi davanti all’entrata del locale piuttosto che procedere oltre, vista l’instabilità della situazione.
“Maka finalmente!”
La sua entrata in scene fece trarre un sospiro sollevato a metà dei presenti, Liz sembrava addirittura commossa, ma non servì a placare la furia omicida che animava lo Shinigami, che cercava di liberarsi dalla stretta di ferro della minore delle sorelle Thompson. Poteva sembrare innocua, ma Patty aveva una forza davvero incredibile, non a caso l’aveva conosciuta al corso di Judo organizzato dal signor Franken Stein, amico molto stretto di suo padre – se così si poteva definire il fatto che avesse cercato di dissezionarlo più volte (aveva il pallino per le ricerche), nonché suo padrino.
“Quel vandalo sta distruggendo il locale!” disse un Kid che si divincolava come un’ anguilla tra le braccia di Patty.
“Non ascoltarlo Maka, Black*Star ha soltanto preso un po’ di materiale dallo sgabuzzino e Kid è andato fuori di testa urlando qualcosa sulla ‘distruzione dell’ordine cromatico’.”
“Ho visto un secchio volare.”
“Non ti preoccupare ci vuole ben altro per ferire un big come me!” Black*Star alzò il pollice verso di lei in segno che stava bene. In realtà non era particolarmente preoccupata per la sua salute fisica, ma questo ritenne fosse meglio non dirglielo.
“Patty lascialo andare” si rivolse Maka alla Thompson più giovane, riferendosi a Kid che ancora scalpitava.
Maka gli si parò davanti immediatamente in modo da evitare qualsiasi sua mossa azzardata. Non voleva che quei due scatenassero una rissa in negozio, non potevano né pagare ulteriori spese, né spaventare i pochi clienti rimasti.
“Senti Kid, sai bene che non possiamo permetterci di fare idiozie, quindi cerca di essere il più tollerante possibile e di non fare il matto, inoltre…” aggiunse questa volta a bassa voce “l’abbiamo promesso a Tsubaki.”
Lo Shinigami parve calmarsi, riacquistando il suo solito contegno, poi si rivolse a Black*Star.
“Non credere che ti dia campo libero! Tutto quello che toccherai d’ora in poi verrà scrupolosamente messo in ordine da me!” disse Kid, l’indice puntato sull’azzurro.
Black*Star, che aveva passato gli ultimi minuti a ridacchiare concitato, si bloccò.
“Fidati di me, rimetterò in sesto questa baracca!” gli rispose, per poi riprendere a ridere più fragorosamente di prima. La mano le si mosse da sola sulla fronte e le sfuggì un sospiro esasperato, la guerra era solo iniziata.
 
~

Nonostante l’inizio disastroso la giornata lavorativa procedette per il meglio, non contando l’esiguo numero di clienti.
Kid era riuscito a mantenere un certo contegno, anche se il modo in cui seguiva spasmodicamente ogni mossa di Black*Star cominciava a risultare asfissiante, fortunatamente l’azzurro non ci badava più di tanto, felice di avere un ammiratore tanto entusiasta.
Alla fine avevano capito di non potergli affidare nessun compito concreto e visto che ad ogni sua mossa lo Shinigami rimetteva immediatamente in ordine ciò che toccava – ma soprattutto rompeva, risultava praticamente inutile. Così Tsubaki per farlo contento lo aveva nominato ‘uomo delle pulizie onorario’ e non ne avevano parlato più.
Quella sera toccava a Maka chiudere il locale e, sebbene non ne fosse particolarmente entusiasta, contare l’incasso. Avrebbero dovuto trovare alla svelta una soluzione, perché di questo passo non sarebbero riusciti a pagare nemmeno i loro stessi salari e la sua situazione economica era troppo disastrosa per poterle permettere di lavorare in bianco. Così mentre quelle vandale delle streghe si arricchivano, loro si riducevano a fare la fame.
Dalla vetrina del Death Café riusciva a vedere perfettamente la lunga fila per entrare al Chupa Cabras e i sorrisi soddisfatti di quelle spudorate delle ingressiste, i cui vestitini sembravano diventare ogni giorno più corti. Oltre al danno anche la beffa.
Ogni passante sembrava calamitato da quella coppia di ragazze, la più piccola, che aveva dei buffi capelli rosa, si esibiva in un sorriso talmente interessato che poteva avvertire le banconote uscirle dal portafoglio anche da qui, mentre l’altra, mora, stava facendo un profondo inchino al cliente. Si aggiravano per i dintorni del locale ad invitare quanta più gente possibile, Maka aveva notato che avevano persino convinto un paio di ragazzi che stavano venendo al loro locale a seguirle, lasciandoli a bocca asciutta con quelle loro cortissime uniformi. Non lasciavano scampo a nessuno. Maka si chiedeva se avrebbe potuto fare causa al Chupa Cabras per la loro politica di lavoro invasiva nei confronti dei clienti, anche se a quella manica di pervertiti non sembrava affatto dispiacere.
Aveva visto solo un ragazzo fino al quel momento declinare le loro avances, uno strano tipo dai capelli bianchi, ma ciò non gli aveva impedito di dare comunque una bella guardata alla mercanzia audacemente esposta dalle due.
Gli dava però una sensazione diversa, rispetta a quella degli altri pervertiti che si fiondavano al locale come se non avessero mai visto una donna in vita loro, sembrava non fosse nuovo a quel genere di spettacoli, ma Maka aveva anche notato quello sguardo diffidente che rivolgeva a chiunque gli si facesse un troppo vicino.
A dispetto di quanto credeva, il ragazzo si diresse proprio verso il Death Café, in cui le uniche anime viventi erano lei e il giovane Mifune, impiegato delle poste a tempo pieno, che al termine del suo turno era venuto a prendersi un tè.
Il ragazzo entrò con nonchalance, aprendo talmente delicatamente la porta da non far fare al campanellino attaccato all'estremità più di un unico trillo.
Non degnò Maka di uno sguardo, andando a sedersi al tavolo più lontano dal bancone. Per un attimo le venne in mente che l'avesse fatto apposta, per indispettirla e costringerla a fare più strada del previsto per prendere la sua ordinazione. Si costrinse a scuotere violentemente la testa per scacciare quel pensiero tanto assurdo.
Mentre si avvicinava col block notes sentiva lo sguardo dell’albino che la squadrava, per la prima volta da quando era entrato al locale. Una vota arrivatagli vicino le rivolse un sorriso aguzzo, segno che aveva terminato la sua scansione.
“Cosa le porto signore?” esordì Maka sorridendogli cordiale, la testa piegata da un lato le fece inclinare anche le codine.
“Avete del succo mango e pesca?”
“Come?” Maka non sapeva neanche che esistesse una simile qualità di succo.
“Ho detto un succo mango e pesca, suppongo sappia cosa sono” le sorrise sarcastico, riferendosi ai frutti.
“Credo che l’abbiamo finito” Maka usò la prima scusa che le venne in mente, cercando di mantenersi garbata il più possibile, ma gli avrebbe volentieri aperto la testa in due con un bel Maka-chop. Chi si credeva di essere, visto che era tanto esperto poteva benissimo togliersi il grembiule e lavorare lui al suo posto, Mr. Pescalmango.
“Allora un semplice caffè.”
Il suo cervello le disse che anche quella del succo era stata una scusa per indispettirla, ma stavolta quest’ipotesi non le sembrava tanto surreale. Tornata al bancone comincio a macinare il caffè per l’infusione.
Nel frattempo il ragazzo si era alzato e si aggirava per il locale, a suo agio come se fosse a casa sua. Esitò davanti al pianoforte a coda, lucido come quando era stato acquistato anni prima. Una mano affusolata ne accarezzò il profilo, fino ad alzare il copri tastiera e posare le dita sui tasti, che sembrava si fondessero con essi per quanto erano pallide.
“Scusi, i clienti non possono toccare il pianoforte” gli disse, negli occhi una scintilla di curiosità per quel ragazzo albino che sembrava più a suo agio con uno strumento che con le persone.
“Io non sono un semplice cliente” si sentì rispondere, un ghigno dipinto su quella faccia da schiaffi che aveva appena inquadrato ma già sentiva di detestare.
“Io sono Soul Eater.”
 
 ~
 
Note: Questo capitolo è arrivato più in fretta del previsto, per farmi perdonare della povertà dello scorso, spero apprezziate, finalmente si è fatto vivo anche il nostro caro Soul e Black*Star ha cominciato a seminare il panico ahahah ;)
In caso aveste delle curiosità o delle domande da pormi (no spoiler) riguardo alla storia, ho aggiunto alla mia pagina autore il link di ask, potete rivolgermi i vostri interrogativi lì, giuro che non mordo non sempre <3

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Capitolo 4
*** Convivenze traumatiche e nemici-amici ***


-

Sapeva che rimanere da sola al locale e lasciare che i suoi amici smontassero prima il turno non era stata una buona idea, ma quando Tsubaki le aveva detto che quel pomeriggio aveva probabilmente scacciato a male parole proprio il ragazzo che, secondo l’amica, li avrebbe aiutati a tirare su il locale, se ne era definitivamente convinta.
Non era riuscita a trattenersi, nel momento in cui l’albino le aveva risposto tanto sfrontatamente gli aveva intimato di andarsene, che poteva macinarselo da solo, il suo fottuto caffè, e gli aveva lanciato dietro un libro preso da chissà dove. Inizialmente non aveva provato nessun senso di colpa, anzi, si riteneva soddisfatta di aver ripagato quel maleducato con la sua stessa moneta, si era sentita una stupida quando aveva raccontato a Tsubaki l’accaduto, che le aveva svelato la vera identità di quello zotico.
Probabilmente avrebbe dovuto capirlo da sola quando si era arrogantemente presentato, visto che l’amica le aveva accennato un paio di volte il suo nome, ma l’ira del momento le aveva offuscato i sensi, come un toro che vede rosso, e non era riuscita a pensare razionalmente. Maka riconosceva di avere un problema nel controllo della rabbia, ma si era anche resa conto che quel Soul riusciva a smuoverle il nervoso più di qualsiasi persona avesse mai incontrato – più di suo padre perfino. Casualmente, quando pensava al genitore, se lo ritrovava sempre tra i piedi e così era stato quella sera stessa, tornando a casa. Lo aveva visto mentre usciva dall’odiato Chupa Cabras, in faccia un sorrisetto soddisfatto, che cercò di nascondere non appena vide Maka che lo coglieva sul fatto, e arpionata al braccio una delle discinte accompagnatrici del locale che lo allietava con i suoi urletti striduli, più acuti di una sirena rotta.
Per evitare che avvenisse il peggio decise di ignorare per il momento l’idiota – avrebbero fatto i conti a casa beninteso, ma Spirit sembrava fosse di ben altro avviso.
“Maaaaaka-chan!” urlò l’uomo correndole incontro, rifiutando stoltamente la possibilità offertagli da Maka di evitare momentaneamente la guerra. Provò a persistere con l’ignorarlo, ma aveva cominciato a chiamarla sempre più forte e la stava facendo vergognare.
“Che vuoi?” gli rispose freddamente.
“Non essere così fredda col tuo papino Maka-chan! Il papà, il papà ti ama!” esclamò singhiozzando l’ultima parte, in una piroetta perfettamente calcolata. Vedendo che non lo ascoltava, ma che Maka continuava a fissare con insistenza l’accompagnatrice del Maid Café che li seguiva, Spirit Albarn colse l’occasione.
“Maka ti presento Blair, lavora al Chupa Cabras, l’hanno sfrattata dal suo appartamento e non ha un posto dove andare, così pensavo avremmo potuto ospitarla a casa nostra per un po’...” buttò fuori quelle parole tutto d’un fiato e talmente in fretta, che era innegabile che sperasse che Maka non capisse e acconsentisse così al soggiorno a casa Albarn della ragazza.
A volte Maka si chiedeva chi fosse realmente il genitore tra loro due, Spirit le si era rivolto come un bambino che chiedeva il permesso alla mamma di poter adottare un animaletto –il primo randagio trovato per strada, con la sola differenza che lui voleva portarsi a casa una persona, non un dannato animale.
“Cosa?” emise in un fiato, se non altro il suo stupore era giustificabile.
“Io sono Blair, piacere di conoscerti Maka-chan, nya” le disse la donna, stringendole la mano che aveva mollemente sollevato in aria con l’idea di scuotere suo padre fino a farlo rinsavire. L’unica cosa che riuscì a fare fu stringerle a sua volta la mano dicendole un incolore ‘piacere’.
“Meno male che hai detto di sì, Spirit era molto preoccupato sai, dice che da quando se ne è andata sua moglie tu sei diventata indifferente nei confronti del papà e che…” Blair continuò a parlare a raffica per cinque minuti buoni. Il buffo cappello a punta che portava in testa, marchio delle streghe, le oscillava con frequenza, mentre portava le mani ad abbassarsi il corto vestitino che rischiava di alzarsi e lasciarla nuda ogni minuto che passava. Non potè fare a meno di notare lo sguardo affamato di suo padre quando la ragazza si allisciò le pieghe del vestito sul petto prosperoso, semplicemente disgustoso.
Di tutto quel discorso, che la ragazza le aveva propinato, non era riuscita a cogliere quasi nulla, se non parole come ‘violazione di domicilio’ e ‘nuda’. Quando aveva acconsentito esattamente alla sua permanenza a casa loro? Ormai era inevitabile, si sarebbe ritrovata il nemico persino in casa.
 
~
 
Il giorno successivo si prospettarono per Maka due grandi problemi. Il primo, il minore dei due, che avrebbe risolto semplicemente uscendo di casa per andare al lavoro, era evitare quella scocciatrice di Blair, che aveva scoperto essere più pedante di quanto avrebbe mai potuto immaginare, a cominciare dal risveglio a tette in faccia che le aveva riservato. Il secondo, assai più arduo da risolvere, poteva essere diviso grossomodo in due fasi: quella in cui spiegava ai suoi amici il casino che aveva combinato il giorno prima e lo scusarsi per il suddetto casino con loro e con l’albino. Sarebbe stata una giornata impegnativa.
Aspirò l’aria fresca del mattino a pieni polmoni. Il sole era sempre al suo posto, ghignante sulle teste degli abitanti di Death City. Durante la traversata da casa sua al Death Café non potette far altro che studiare articolati discorsi da propinare ai suoi amici e sperare che avrebbero capito che il suo era stato un madornale errore, che non aveva né tirato addosso volontariamente il libro a quel tizio, né l’aveva volontariamente mandato a quel paese.
Ad attenderla trovò il locale chiuso, sulla porta un semplice cartello che recava la scritta ”Chiuso per riunione del personale”. Quella mattina non era suo il turno d’apertura, quindi non aveva le chiavi per entrare, che avessero programmato una riunione esplicitamente senza di lei? Maka avrebbe buttato giù la porta a spallate, se solo la figura ricurva di Chrona non le fosse venuta a aprire.
“Buongiorno Ma-Maka-san…”
Non gli diede neanche il tempo di terminare la frase che Maka si era già catapultata dentro al locale nella speranza di cogliere in flagrante un qualsiasi complotto ai suoi – senza dubbio colpevoli, danni.
Quello che trovò la fece agitare decisamente di più, i suoi compagni seduti a tavolino a prendere tranquillamente il tea con quello stesso ragazzo che meno di ventiquattro ore prima aveva non tanto gentilmente scacciato dal locale.
“Oh, Maka, siediti pure, scusa se non ti abbiamo chiamata prima, ma questa riunione non è stata esattamente programmata” Kid parlò con il suo solito tono pacato, sembrava non sapesse niente delle sue prodezze del giorno prima. La faccenda era poco chiara e non c’era neanche la presenza rassicurante di Tsubaki a cui chiedere delucidazioni.
“Maka questo è Soul Evans e da oggi lavorerà con noi al locale.”
Maka poteva giurare di aver sentito le campane dell’apocalisse accompagnare quella frase.
Il ragazzo, che aveva indossato un sorriso sornione per tutto il tempo, alzò una mano verso di lei, allentando per un attimo l’aura di tensione che si era andata a creare. Maka non sapeva se accettare quel gesto come un segno di pace, o come una presa in giro nei suoi confronti. Nel dubbio gli riservo una stretta di mano spacca-ossa.
Mentre Soul e Kid si mettevano d’accordo riguardo a non sapeva dire cosa, probabilmente alla paga e ai turni, i ragazzi si stavano prendendo una pausa: Liz le parlava di quanto le sembrasse interessante il nuovo arrivato e Patty, presa in una partita a braccio di ferro all’ultimo sangue contro Black*Star, le urlava di rimando le più sconnesse frasi d’assenso.
Non riusciva a concentrarsi su nessuno dei loro discorsi – per quanto potessero essere sconclusionati, l’unica cosa che aveva in mente era quel Soul. Perché Evans non aveva raccontato agli altri del loro incontro/scontro del giorno prima? Perché Evans sembrava volesse stipulare una tregua tra di loro? Ma soprattutto, perché Evans diceva di chiamarsi Evans quando la sera prima le si era presentato come Eater? Questi ed altri interrogativi affollavano la mente confusa di Maka Albarn.
La riunione terminò esattamente otto minuti dopo quelle riflessioni, che ci fosse sotto lo zampino della precisione maniacale di Kid? Dopo di che furono illustrati i nuovi orari dei turni. La fortuna non era decisamente a suo vantaggio, nei giorni dispari i turni di chiusura erano stati assegnati rispettivamente a lei e a Soul Eater Evans o quale diamine era il suo vero nome. Non sapeva come prendere la situazione, se da un lato voleva evitarlo più che poteva, dall’altro non le sarebbe neanche dispiaciuto parlarci e chiarire l’ambigua situazione, così decise di fingere di non vedere il problema fino a quando non ci sarebbe sbattuta contro.
Si ignorarono buona parte della giornata, finché non giunse il turno della chiusura, in cui tutti gli altri dipendenti smontavano. Furono lasciati nuovamente soli al locale, in un’atmosfera che sapeva immancabilmente di dejà vu.
Stranamente a cominciare quello spinoso discorso non fu Maka.
“Certo che sei brava a fingere, eh” gli si rivolse Soul con tono irriverente, mentre le si andava a sedere vicino, su uno dei sedioloni che circondavano il bancone.
“Che vorresti dire! Sei tu quello che ha fatto finta di niente!” ed eccoli che tornavano nuovamente a litigare, ma non era quello, il punto a cui voleva arrivare Maka.
“Pensavo non volessi che i tuoi amici sapessero del tuo maleducato comportamento con i clienti” disse l'albino, sul volto un sorrisetto aguzzo che avrebbe volentieri fracassato.
“Non credere che con i clienti mi comporti così di solito” gli rispose mettendo su il broncio. Si stava giustificando, perché sentiva di doversi giustificare con lui? Che si sentisse ancora in colpa per il suo brusco comportamento?
“In fondo non mi sono comportato molto bene con te, non è vero…”
Sbagliava o quello era un magro tentativo di scusarsi? Non che potesse esserne soddisfatta, ma almeno sapeva di poter deporre l’ascia di guerra.
“… senzatette?” aggiunse poi sorridendo ironico.
Il Maka-chop che sferrò quel giorno fu uno dei più forti della sua carriera. Ora le cose potevano dirsi davvero a posto tra loro.
 
~
 
 Note: Ciao ragazzi, come ve la passate? In questo capitolo Soul e Maka finalmente mettono in chiaro le cose tra di loro, ma la faccenda è ancora oscura: riuscirà il nostro Evans a sopravvivere ai colpi di Maka? E Maka sopravvivrà alla convivenza con Blair? Questo e molto altro nella prossima puntata di Beautiful nel prossimo capitolo! Grazie mille per i vostri pareri e i vostri complimenti, mi scuso per non aver risposto alle recensioni dello scorso capitolo ma non ho avuto molto tempo :C
Se avete interrogativi vari o volete semplicemente prendermi a parole, potete rivolgervi al mio ask (link nella bio autore), per ora è tutto biscottini <3

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Capitolo 5
*** La musica deve cambiare ***


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“Maka-chan la colazione è pronta, nya!” la voce leziosa di Blair la risvegliò dal sonno. Saltò giù dal letto non appena realizzò che la ragazza la chiamava, spaventata dal fatto che potesse di nuovo infilarsi tra le lenzuola e darle il buon giorno, soffocandola con il suo seno prosperoso.
La vita domestica con un membro in più le ricordava i vecchi tempi in cui c’era anche sua madre, solo che era molto più infernale, oltre al fatto che Blair cucinava da schifo. Al mattino doveva sorbirsi i flirt della strega e di suo padre e buttare giù una colazione terrificante, quasi sempre a base di pesce.
Ancora trafelata e con una codina al contrario –la sera prima si era scordata di scioglierle, si diresse al bagno per prepararsi, cercando di allisciare le pieghe sul suo pigiama rosa, che la faceva sembrare ancora più bambina di quanto già non fosse. Dopo una rapida vestizione si diresse in cucina per scoprire la colazione del giorno, o meglio, il pesce del giorno.
“Dormito bene tesoro?” la voce di suo padre, le parlò da dietro un giornale. Non che lo leggesse sul serio, aveva solo bisogno di una scusa per guardare indisturbato le forme di Blair.
“Una meraviglia.”
Il problema era il risveglio, ma questo preferì non dirlo. Era ancora arrabbiata con suo padre per l’indesiderata coinquilina che si era portato a casa, pertanto non gli rispose più se non a monosillabi. Ingurgito un quarto della sua porzione di sgombro, si alzò ed uscì, pronta a cominciare un'altra giornata di lavoro.
 
~

A conti fatti la presenza di Soul Evans non era poi così male. Certo, in due giorni avevano discusso e attaccato briga un numero indefinito di volte, ma in fondo era un bravo ragazzo, stava lentamente imparando a fidarsi di lui.
Aveva scoperto che era sì un figlio di papà –come aveva sostenuto sin dall’inizio d'altronde, ma sapeva anche essere molto alla mano e, sebbene peccasse spesso di arroganza, era perfettamente sopportabile.
Rispettava i suoi spazi –Maka aveva capito che era un tipo schivo dalla prima volta che lo aveva visto, e per questo gli era grata, odiava i tipi troppo invadenti (chissà perché il nome di Black*Star gli comparve in mente come a voler confermare la sua affermazione), occasionalmente sapeva anche essere gentile con i clienti.
Avrebbe giurato che la clientela femminile, da quando lo avevano assunto, era decisamente aumentata, in fondo non si poteva certo dire che non fosse affascinante, a modo suo –questo ovviamente non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, nonostante sapesse essere insopportabile, sarcastico, fastidioso e avrebbe potuto continuare per ore ad elencare sfilze di suoi difetti.
L’unico problema con lui erano i vari nomignoli che le affibbiava e più di una volta aveva cercato di farglieli dimenticare con un deciso Maka-chop. Così era cominciata anche quella mattina, con un turno di apertura insieme e un ‘buongiorno senzatette’ di troppo, che l’aveva fatta implodere come una mina, il resto è storia.
“Ancora mi chiedo perché abbiamo assunto un idiota come te!” l’esordio di Maka, in quella che aveva tutte le carte in regola per diventare una rissa coi fiocchi, non fu dei più gentili.
“Se Kid non te l’ha detto, non devi certo chiederlo a me!” le rispose Soul ancora massaggiandosi la testa offesa.
“Che avrebbe dovuto dirmi scusa?”
Maka era certa che stesse nuovamente cercando di metterle il nervoso tirando fuori discorsi che non avevano il minimo senso, forse nel tentativo di distrarla dalla sua sfuriata, ma poteva stare sicuro che stavolta non attaccava.
“Davvero non te l’ha detto? Quel Kid è più strano di quanto pensassi…”
Su questo non poteva certo dargli torto, si era resa conto per la prima volta della stranezza di Kid in prima elementare, quando aveva tagliato con le forbici la treccia di una loro compagna perché secondo lui era storta. Per lei, che lo conosceva fin da bambino, le sue bizzarrie erano ormai parte della routine.
Effettivamente con quel discorso era riuscito a farle sfumare la rabbia e ad accenderle un barlume di curiosità, come facesse a raggiungere sempre il suo scopo, Maka non lo sapeva.
 
~

Quello stesso pomeriggio Kid proclamò un’ ennesima riunione straordinaria, felice come una pasqua.
“Ragazzi ho grandi notizie!” esordì giulivo, tra le braccia una miriade di volantini avvolti a mo’ di papiro.
“Ci risiamo…” la voce rassegnata di Liz precedette quella dei suo colleghi. Ricordava che una volta, ispirato da un qualche stupido programma televisivo per bambini, aveva vestito Liz e Patty da mascotte –lei si era rifiutata di prestarsi ad una simile buffonata ovviamente, e le aveva fatte andare in giro per la città con appeso un cartello pubblicitario del locale mentre lui col megafono le seguiva cercando di dare al Death Café una maggiore visibilità. L’unico giovamento che ne avevano tratto era che erano riusciti a liberarsi di Kid per buona parte della giornata, anche se questo valeva unicamente per lei e Chrona, che erano rimasti al locale. Quel giorno fiutava la stessa aria di allora.
“Ta-dà!” proclamò srotolando uno dei tanti volantini che portava tra le braccia.
Un coloratissimo depliant che portava il titolo di “Music Café” si srotolò davanti ai loro occhi. Le lettere rosse e gialle del titolo erano intersecate da chiavi di violino e note musicali, mentre la dettagliata illustrazione di un pianoforte a coda affiancato da alcuni strumenti faceva capolino sulla carta traslucida del volantino. No, non poteva fare sul serio, non erano mica una banda di musicisti di strada, per la miseria!
Kid li fissava con la faccia di uno che si aspettava una qualche grandiosa reazione, ma tutto ciò che ottenne furono gli occhi di quattro dipendenti che lo fissavano in tralice, eccezione per Soul Eater, che fissava svogliato lo sfondo del suo cellulare, mentre Black*Star portava la maggior parte dei volantini che Kid non riusciva a tenere in mano da solo, sotto lo sguardo apprensivo di Tsubaki. Deluso dal risultato poco entusiasta, dopo un colpo di tosse smorza tensione, riacquistò la sua tipica aria pacata, cercando di non dare a vedere la sua quanto mai palese insoddisfazione.
“Di che si tratta Kid?” disse Maka, più per non offenderlo che per reale curiosità, visto che stava cercando di mantenere la calma e non strozzarlo con uno dei suoi papiri.
“E’ un progetto che mi ha suggerito Tsubaki e con cui ho già discusso con il qui presente Soul Evans…” tutti gli occhi si puntarono su Soul, che li degnò di un misero sorriso aguzzo. Possibile che tutte le peggiori trovate provenissero da lui?
“… non so se ve ne ha già parlato, ma è da poco tornato da un periodo di studi a Londra, in una prestigiosa accademia musicale, così ho pensato che questa potesse essere la soluzione a tutti i nostri problemi!”
Molti dei tasselli che affollavano la sua mente cominciarono finalmente a quadrare. Ecco spiegata l’assenza di Tsubaki e Black*Star, che probabilmente in quei giorni stavano aiutando Kid col progetto –anche se si chiedeva come potesse essere d’aiuto l’azzurro, e la discussione di quella mattina con Soul. Tutto le appariva chiaro. Chiaramente incasinato, di questo passo non sarebbe riuscita a rilassarsi nemmeno a lavoro –aveva rinunciato alla sua tranquillità domestica con l’arrivo di Blair.
“Cosa credi che potremmo fare, non siamo mica dei musicisti come quello là noi! Non abbiamo l’attrezzatura, o gli strumenti necessari, e nemmeno ce li possiamo permettere!” Maka diede voce ai pensieri di tutti loro.
“Ho dato fondo a tutte le mie conoscenze, un amico di mio padre è disposto a prestarci casse amplificatori e microfoni, mentre il Signor Excalibur ha acconsentito ad affidarci alcuni dei suoi strumenti del dodicesimo secolo.”
Una faccia disgustata nacque sul voltò di Kid al ricordo di ciò che era stato costretto a sopportare per ottenere quegli strumenti, un tea di tre ore con quello squilibrato che non la smetteva più di parlare.
“Ma Kid, noi non siamo una vera band!” Liz ancora cercava di farlo ragionare.
“Io però so suonare il triangolo Kid-kun!” esclamò Patty propositiva.
“Ma-ma io non so come ccco-comportarmi con le scale e le note musicali!” un Chrona in preda ad una crisi isterica si ripiegò su sé stesso animato dalla disperazione.
“In guerra bisogna arrangiarsi! In qualche modo impareremo, è la nostra ultima speranza di risollevare il locale, immagino che questo interessi anche voi…”
Come se lui sapesse cosa voleva dire arrangiarsi, anche se anche il locale fosse fallito, Kid restava comunque di buona famiglia e non avrebbe perso nulla. Dal fianco del moro, Tsubaki la occhieggiava apprensiva, probabilmente aveva captato i suoi pensieri dalla faccia frustrata che stava indossando.
“Cosa conti di fare?”
Era inutile girarci intorno, Maka voleva arrivare subito al succo del discorso.
“Faremo delle prove, dobbiamo prima definire il nostro livello di conoscenza musicale, anche Oz e Harver si sono offerti di darci una mano.”
Maka era certa che sarebbero riusciti a trasformare il tutto in una sessione di casting dei poveri.
“Nessuno qui ha chiesto il mio parere” esordì Soul, come risvegliato dal coma in cui era caduto.
“Pensavo che… Insomma, ne avevamo già parlato…” cercò di intavolare un discorso Kid.
“Non mi pare di aver detto che accettavo.”
Kid, spiazzato, lo fissò in tralice. Insomma, aveva messo su tutto quel teatrino per lui.
“Credevo che…”
“Non mettere fretta a Soul-kun, Kid, dagli del tempo per decidere.”
Tsubaki, che era stata silenziosa per buona parte del tempo, era intervenuta per la prima volta da quando quella deprimente riunione era cominciata.
“Yahoooo, finalmente il big qui presente avrà la fama che si merita!”
L’atmosfera tesa fu interrotta da Black*Star, che lanciati come coriandoli tutti i volantini che teneva in mano, riacquistò la sua normale iperattività.
“Forza Soul, non dirmi che non vuoi diventare famoso anche tu! Se suonerai come si deve potrei anche concederti un duetto con l’illustre sottoscritto!” la tipica risata esagitata che lo caratterizzava si disperse nell’aria, riportando un po’ di allegria negli animi turbati dei dipendenti del Death Café.
Finalmente l’atmosfera giuliva che da sempre contraddistingueva il loro locale tornò a regnare sovrana, non avevano nulla da temere finché erano insieme, in un modo o nell’altro sarebbero riusciti a superare anche questo momento difficile, Maka non riusciva a non esserne certa, mentre guardava i suoi amici che ridevano e scherzavano tra loro animati dall’entusiasmo di Black*Star –alla fine un’utilità l’aveva anche lui.
Occhieggiò verso Soul che stava scherzando con l’azzurro, sembrava tranquillo nonostante l’uscita di poco prima. L’albino la sorprese a fissarla, nei suoi occhi rossi uno sguardo indefinito che non fu in grado di decifrare appieno, Maka lo ricambio con un sorriso ottimista.
In fondo non avevano nulla da perdere, avevano già toccato il fondo no? Era il momento di risalire.
 
 ~


Note: Ciao a tutti biscottini belli! Ho avuto problemi vari ed eventuali (la maggior parte di essi causati dalla mancanza di luce per colpa di una nevicata record -.-), ma alla fine sono riuscita a partorirlo, questo capitolo! ^^”
Che dire, io vi ringrazio, siete dei precious babies, avete messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e recensito, vi adoro, però mi scuso per non aver risposto alle recensioni (aye, di nuovo, spero non diventi un’abitudine ahahah) ;.;
Mi sono divertita particolarmente a scrivere questo capitolo e spero possiate godervelo anche voi almeno la metà di quanto ho fatto io <3
 

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