Love&Friendship

di mamogirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** * Kiss It Away * ***
Capitolo 2: *** * Fighter * ***
Capitolo 3: *** - Deck The Halls - ***
Capitolo 4: *** * Baby it's cold outside* ***
Capitolo 5: *** * Snow Fight * ***
Capitolo 6: *** * Faith & Love * ***
Capitolo 7: *** * Silly Love Songs * ***



Capitolo 1
*** * Kiss It Away * ***


* Kiss It Away *

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

Sotto la luce, di un opaco e caldo color ocra, delle lampade poste sopra i due comodini, il livido appariva ancor più brutto e doloroso: un cerchio sfocato giallo racchiudeva una tinta che stava passando velocemente dal color prugna ad un intenso nero. Cercando di essere il più delicato e gentile possibile, Nick vi appoggiò sopra la punta dell'indice, cercando di capire se la botta si stesse pure gonfiando.
Brian non emise nessun gemito di dolore a quell'improvviso contatto; si lasciò sfuggire solamente un sibilo mentre mordicchiava con nervosismo il labbro inferiore e cercava di non dar attenzione all'emicrania che aumentava di intensità.
«Scusa. - Mormorò Nick, ritirando il dito e appoggiando, in quello stesso punto, il fazzoletto in cui aveva recuperato tutto il ghiaccio che era riuscito a trovare. - Speriamo che non esca un bernoccolo.»
«In quel caso, mi sa che sarai costretto ad essere doppiamente sexy per distogliere l'attenzione dalla mia fronte.» Scherzò Brian, gli angoli della bocca che si curvarono in un sorriso mentre le dita delle mani si attorcigliavano attorno al tessuto dei pantaloni di Nick.
«Farò del mio meglio. - Sul viso di Nick si rispecchiò lo stesso sorriso, sollevato che, almeno, il senso di umorismo del compagno non fosse stato minimamente sfiorato. - Come diavolo hai fatto a combinarti questo disastro?»
Nessuno era riuscito a comprenderlo. Era successo nemmeno a metà del concerto, durante una delle pause fra una sezione e l'altra; in un momento, mentre tutti si davano da fare per riprendere fiato e reidratarsi, Brian era scomparso chissà dove per poi riapparire sul palco con un fazzoletto in mano, in modo da continuare a bloccare il sangue che ancora usciva da quei due tagli che ora facevano la loro bella presenza sulla fronte.
«Sono andato a sbattere contro lo schermo mentre tornavo nel backstage. Ero in ritardo di qualche secondo e le luci si erano già abbassate, così me lo sono ritrovato di fronte all'ultimo momento e non ho potuto evitare lo scontro.»
«Spero che almeno lo schermo fosse ridotto in peggiori condizioni. Hai la testa dura.»
Una linguaccia rispose a quell'ultima battuta, provocando uno strappo di risata in Nick. «Per fortuna che siamo assicurati.» Aggiunse poi Brian, il tono e gli occhi divertiti da tutta quell'avventura.
«Sei un disastro ambulante, lo sai? - Lo punzecchiò Nick mentre scuoteva la testa, incredulo di essersi perso quella scena che doveva esser stata divertente da assistere. Soprattutto ora che poteva constatare, con i propri occhi, che il compagno stava bene. Tutto sommato. - Avresti dovuto andare in ospedale. Giusto per un controllo.»
«E causare un altro dramma fra le fans? - Ribatté Brian esasperato. - Sono solo due taglietti.» Aggiunse poi, alzando le spalle.
«Taglietti mica tanto. Almeno potevi farti mettere dei punti.»
«Non erano necessari.»
Il tono brusco non ammetteva repliche così Nick rimase in silenzio, non per niente colpito da quella apparente durezza. Dopo decenni di amicizia, dopo anni di amore e convivenza, sapeva che era quella la difesa di Brian di fronte alla preoccupazione e alle attenzioni delle persone nei suoi confronti. Gli angoli erano stati smussati, certo, ma ancora resisteva quell'ostinazione a non mostrarsi mai debole o ammettere realmente quanto stesse soffrendo.
Seduti sul letto confortevole della camera d'albergo, l'uno di fronte all'altro nella stessa posizione, con le gambe incrociate e i ginocchi che si toccavano, i due ragazzi rimasero in silenzio lasciandosi cullare dal ticchettio degli orologi lasciati sulla scrivania.
«Nick? - Fu Brian a spezzare quel silenzio, in un sussurro che lasciava sfuggire via più di quanto avesse mai fatto prima. - Posso confidarti un segreto?»
Nick tolse la mano dalla fronte di Brian, appoggiando il fazzoletto ormai bagnato sopra la sua coscia.
«Certo.»
Un accenno di rossore dipinse le guance di Brian mentre i denti ancora tormentavano quel lembo di labbra reso prigioniero sotto le loro grinfie.
«Fa abbastanza male.»
La rivelazione lasciò Nick senza parole per qualche attimo, un breve lampo prima che un caldo sorriso ritornò a far breccia sul suo volto. Una mano, quella non resa fredda dal ghiaccio e dall'acqua, andò a posarsi sulla guancia del compagno, avvolgendola in una carezza nella quale Brian si lasciò avvolgere. Senza mormorare nessuna parola di conforto, inutile quando si trattava di cercare di far scomparire il dolore fisico, la sofferenza provocata e nata da nervi infiammati e arrabbiati, Nick avvicinò il viso a quello di Brian fino a quando i loro nasi erano a pochi millimetri di distanza. Un lampo di curiosità illuminò per qualche secondo l'azzurro grigio negli occhi di Brian ma bastò il primo e gentile tocco di labbra sopra l'occhio per dipanarlo.
A quel primo bacio ne seguì un secondo, un contatto caldo su quella pelle che aveva assorbito gran parte del freddo e che, almeno superficialmente, sembrava essere insensibile a tocchi o sensazioni. Ma bastò un terzo tocco, un altro bacio caldo e confortante, per lasciare che il dolore diventasse il secondo messaggio che i propri nervi mandavano e trasmettevano al cervello.
«Va meglio?» Il tono di voce di Nick acquistò una velatura roca, bastava sempre un minimo e quasi impercettibile contatto per liberare redini di quell'amore che era soprattutto intimità e calore, anche se non solo prettamente fisico. Le dita ripresero ad accarezzare la guancia mentre l'altra mano andò a sfiorare la fronte, scostando ciuffi di capelli che avrebbero potuto dare fastidio.
Di risposta, il maggiore strofinò la punta del naso contro quella di Nick, assaporando per qualche secondo quegli attimi in cui ogni sua difesa e forza erano state completamente abbassate per permettere a mani e labbra amate di prendersi cura di lui.
«Sì. - Rispose Brian, lasciando sfuggire un sospiro per quel colpo di dolcezza e tenerezza che lo aveva avvolto in un battito di ciglia. - Decisamente meglio.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Informazione di servizio: invece di lasciare sparse flash e one-shot, ho deciso di avere una raccolta in modo da non dover sempre scervellarmi per trovare un riassunto decente. lol Più che altro perchè, molto spesso, queste piccole storie nascono da foto, video o ciò che accade durante le date dei tour quindi preferisco averle tutte raccolte in un'unica storia invece che perse chissà dove.
Ed ora l'ispirazione per questa mezza flash. Brian è un danno ambulante! XD Solo lui poteva andare a sbattere contro uno schermo durante un concerto!!!
Alla prossima!
Cinzia

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Capitolo 2
*** * Fighter * ***


 

* Fighter *

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“La paura cambia il corpo come uno scultore incapace
trasforma una pietra perfetta.
Solo che la paura colpisce dall’interno
e nessuno vede quanti frammenti e strati ti toglie.
Diventi sempre più sottile e instabile fino a quando
La minima emozione ti fa crollare.
Un abbraccio, e pensi di essere a pezzi.
Perso.”

-       Una Piccola Libreria A Parigi, Nina George  -

 

 

 

 

 

 

 

 

Raggi caldi e dorati entravano dalle finestre completamente spalancate, inondando ogni camera della casa con il suo inconfondibile profumo di estate.
Era mattina, un lieve venticello si era alzato fra le fronde degli alberi e scuoteva dolcemente le loro foglie, un verde smeraldo reso ancora più narciso da quella luce che sembrava essere attratta da esso. Alcuni nuvoloni, di un pungente color grigio, osservavano la città sotto di loro. I marciapiedi erano presi d’assalto dai pedoni, gente di ogni età che camminava speditamente verso la reciproca destinazione e poco incline a fermarsi e osservare chi aveva vicino. Qua e là, in quel mare di folla, facevano capolino turisti facilmente distinguibili per le onnipresenti macchine fotografiche, i cui obiettivi erano puntati verso l’alto e verso quei grattacieli che sembravano alzarsi fino a quasi raggiungere il cielo. Chiunque poteva scomparire in quella marea variopinta, chiunque poteva nascondersi in un angolo e poi mescolarsi insieme a facce ed espressioni sconosciute, disperdendo le proprie tracce prima che qualcuno potesse scoprirlo. Quel chiunque, quel giorno, era un uomo di trentotto anni, il cui viso era conosciuto da poco più di metà della popolazione mondiale: negli ultimi vent’anni, infatti, il volto era apparso in videoclip, in poster che avevano decorato le camere di milioni di ragazzine e che ancora faceva battere i cuori di donne e fan. I capelli erano diventati più sottili e corti e, in alcuni punti, stavano già lasciando intravedere dei lembi di pelle; il volto, però, poco era cambiato con il passare degli anni: sulla pelle, agli angoli degli occhi e sulla fronte, erano apparse qualche ruga ma bastava un sorriso per farle scomparire. Gli occhi erano ciò che ancora attraevano più attenzione: quel particolare colore che, a seconda della luce, poteva sembrare il più chiaro degli azzurri o il più perlato fra i grigi e che sembrava risplendere se accompagnato da un sorriso, caldo e rassicurante, oppure diventare un’ombra scura se l’espressione si rabbuiava diventando sempre più fredda e colma di tensione e rabbia. Quel giorno gli occhi erano nascosti dietro ad un paio d’occhiali da sole, due lenti scure e nere che permettevano solamente di poter osservare ciò che lo circondava senza che gli altri, estranei e non, potessero comprendere il suo stato d’animo con un solo sguardo.
Ecco perché amava New York. Non solo per i suoi grattacieli, non solo per le luci e la frenesia e nemmeno per quel polmone verde che era Central Park. No, il motivo per cui più amava New York era la concreta possibilità di scendere per la strada e diventare una qualsiasi altra persona, scomparire in quella folla con un solo passo e sperare, forse, di non ritrovare mai più la via di ritorno. Nessuno dava importanza a chi li camminava vicino, nessuno badava se ci fosse un sorriso o una lacrima sul suo volto. E quel giorno, nascosto in una felpa più grande di lui almeno quattro taglie e il più vecchio paio di jeans che aveva ancora nell’armadio, l’uomo sapeva di assomigliare di più a uno studente universitario più che a una popstar milionaria e mondiale.
Un gruppo di ragazze lo sorpassò di lato, parlando con voci eccitate del luogo in cui la famosa band, di cui erano fan, si sarebbe trovata quel pomeriggio e di quanto, troppo tempo, avevano aspettato quel momento per incontrarli. Per un momento, l’uomo temette che potessero riconoscerlo così alzò il cappuccio della felpa, nascondendovi sotto i capelli color castano chiaro e aumentando il passo. Scorse un gruppo di turisti, non sapeva dire se fossero cinesi o giapponesi, e si mischiò insieme con loro fino a quando le risate ed esclamazione su chi fosse il più bello del gruppo divennero solo un eco portato dalla brezza.
Non sapeva quale fosse la sua meta. Non sapeva esattamente dove stesse andando o dove volesse andare. Tutto quello che sapeva e voleva era andarsene il più lontano da tutti e tutto, esaurire ogni energia camminando e camminando fino a quando la sua mente non potesse più pensare e ripensare a quella giornata.
Sarebbe mai giunta la fine di quel calvario?
Dopo due anni, ormai, sembrava che la fine di quel tunnel non arrivasse mai, lasciandolo isolato fra quelle pareti in completa oscurità. Ma non era solo quello il pensiero che lo stava spingendo oltre il baratro, non era solo l’incertezza sulla sua salute a lasciarlo con un macigno gigantesco sulle spalle. Ciò che stava facendo pericolosamente cadere l’ago di quel precario equilibrio era che stava rovinando il gruppo, anche se sapeva che ancora nessuno dei suoi compagni recriminava o protestava.
Ma fino a quando sarebbe durata la loro pazienza?
Già quelle delle fans stava drasticamente calando, almeno a giudicare dall’aumento di messaggi che ogni giorno non solo lui ma anche gli altri quattro ricevevano su Twitter. Ma che cosa avrebbe potuto dire loro? Come avrebbe potuto dir loro, e al mondo intero, che dopo due anni di visite, terapie, operazioni e diagnosi, ancora i medici brancolavano nel buio? Non poteva rassicurarle, non poteva dir loro che tutto stava andando alla perfezione e che presto la sua voce, quella voce di cui loro si erano innamorate, sarebbe presto tornata.
Nemmeno lui, ormai, credeva più a quella speranza.
Le mani erano ben chiuse nelle tasche dei jeans, lo sguardo rimaneva fisso sul marciapiede e sulla punta delle scarpe rosa mentre si lasciavano dietro centimetro dopo centimetro; la mente, però, non riusciva ad allontanarsi da quell’ufficio da cui il suo corpo, fisicamente, era uscito quasi un’ora prima. 

“Un altro?”
L’espressione del medico, seduto di fronte a lui, lasciò trapelare la stessa espressione di sincera delusione che sapeva essere presente anche sul suo di volto. “Sì.”
Non solo era deluso. Ma anche confuso. E arrabbiato. “L’operazione avrebbe dovuto risolvere tutto.” Si ritrovò a mormorare, ripetendo quella rassicurazione che gli era stata data di fronte alle sue obiezioni. Non preoccuparti, gli avevano detto con un sorriso, non preoccuparti e si sistemerà tutto.
“Era troppo piccolo per poter essere notato.”
Deglutì a fatica, sapendo che quell’ostacolo nella sua gola poco aveva a che fare con groppi o lacrime. Era qualcosa di più meschino, più viscido, assettato di quella voce che ora faticava a uscire. “Che cosa si fa?”
Un sospiro, le dita che andavano e passavano sopra la pesante cartella clinica. “La solita trafila.”
“Un’altra operazione?”
“Sai che è l’unica soluzione.”
L’unica, certo, ma anche quella che richiedeva più tempo. E lui non ne aveva. Lui non ne poteva più chiedere perché la macchina era già stata messa in moto e si erano già allontanati dalla prima e unica fermata. Non poteva obbligare tutti a fermarsi e aspettarlo. Poteva solamente saltare e sperare di non farsi troppo male nella caduta.

  

Quella scelta, forse, era da codardo. E, effettivamente, era così che si sentiva. Si sentiva un vigliacco, un soldato che abbandonava la trincea perché aveva troppo paura di che cosa lo stava aspettando. Forse era un’analogia un po’ troppo estrema ma negli ultimi mesi era così che aveva sentito il palco: una guerra. Era la sua battaglia, uno scontro fra la voglia e il desiderio di cantare ed esibirsi e, dall’altra, la paura e l’ansia che lo spingevano a nascondersi e a non salire fino a quando non fosse stato perfetto come le passate volte. Era estenuante. Era un lento logorio di nervi, non c’era mai un momento di pausa e la sua voce, ormai, era l’unico argomento di conversazione ovunque andasse. Sapeva che parte, gran parte, di esse nasceva solo dalla preoccupazione e dal desiderio di aiutarlo e cercare di farlo sentire a suo agio ma si era trasformata, ogni giorno che passava, solo una cappa sempre più pesante e opprimente.
Ecco perché voleva scomparire. Non voleva più essere il centro dell’attenzione, non voleva più spaventare e preoccupare le persone attorno a lui.
Voleva solo sparire.
Eppure, dall’altra parte, c’era qualcosa che continuava a tenerlo in quell’impasse. No, non qualcosa. Qualcuno. E quel qualcuno era il suo compagno che, pazientemente, lo aveva accompagnato a ogni visita e gli aveva stretto la mano a ogni sconfortante notizia. Era lui la ragione per cui si era rimesso in piedi dopo ogni caduta, erano state le sue parole di supporto che avevano lenito il suo animo quando si era ritrovato a malapena capace di pronunciare una frase senza quell’inconfondibile tremito. Era stato lui a tenergli compagnia nelle interminabili ore mentre aspettavano l’inizio della prima operazione ed era sempre stato lui a prendersi cura di lui una volta conclusasi questa.
E ora... ora avrebbe dovuto ricominciare tutto.
Non poteva. Non poteva infliggergli ancora quel tormento. Né a lui né, soprattutto, a suo figlio.
Ma quali altre alternative aveva?
Così camminava, sperduto in un flusso di gente cui poco importava se il mondo stesse perdendo una voce. Ed era quello ciò di cui aveva bisogno: nessuno che lo fermasse, nessuno che lo inseguisse con domande, richieste, consigli. Non voleva niente, se non scomparire e diventare invisibile.
Non era molto alto, non doveva essere un problema.
Poteva sparire, sì. E sarebbe anche stato facile. Gli altri se ne sarebbero fatta una ragione e, in linea molto pratica, sarebbe stato più semplice andare avanti senza di lui. Senza l’oggetto ormai irreparabilmente rotto. Senza quel meccanismo che non permetteva all’orologio di funzionare perfettamente.
Poteva sparire e l’avrebbe fatto. Non aveva bisogno di dettagli, d’itinerari organizzati fino all’ultima fermata e di hotel lussuosi. Gli bastava la sua macchina e il suo senso dell’orientamento. L’aveva sempre sognato, aveva sempre desiderato di saltare su un’auto e lasciarsi guidare dalla strada: viaggiare, macinare chilometri e chilometri sotto le ruote senza avere una benché minima idea di dove si trovasse e perché avesse scelto proprio quella piccola cittadina invece che un’altra.
Senza averne memoria o intenzione l’uomo si ritrovò a superare la soglia di un piccolo caffè. Esattamente come lui, quel luogo passava quasi inosservato, nascosto com’era fra due alti grattacieli che lo oscuravano dall’attenzione dei passanti. Era minuscolo, un unico salone in cui i tavolini, di un nero ormai sbiadito, erano disposti alla rinfusa; sedie ognuna differente dall’altra per stile e colore e divanetti che avevano l’aria di appartenere a decadi passate. L’aria, sebbene filtrata dall’aria condizionata, era intrisa dell’aroma di chicchi di caffè appena macinati e i dolci e biscotti che uscivano fumanti dalla cucina annessa. Era sempre immerso nell’oscurità, anche in quei giorni in cui il sole brillava come una prima stella nel cielo e ciò era a causa di quel vetro perennemente appannato dalla polvere che si era depositata negli anni e da quei bisonti di edifici che torreggiavano ai fianchi della piccola caffetteria.
L’uomo abbassò il cappuccio, lasciando liberi i capelli. Nessuno lo avrebbe riconosciuto in quel luogo, frequentato soprattutto da anziani e alcuni uomini d’affari che sceglievano quel locale per portare a termine contratti non del tutto legali. Superò i pochi tavolini occupati e si sedette nell’unico tavolo rimasto libero nell’angolo più nascosto, vicino all’uscita d’emergenza e i bagni. Una volta sistemato, prese dalla tasca della felpa il telefonino, rimanendo a fissare la foto del display. Ricordava nei più piccoli particolari il momento in cui era stata scattata, una giornata di sole esattamente come quella che New York stava vivendo: nello sfondo si poteva, infatti, intravedere un cielo completamente terso e uno squarcio di luce dorata riflettersi contro l’obiettivo. Sorrisi ed espressione di felicità erano la prima cosa che catturavano la sua attenzione, dipinti su due volti che aveva e amava ogni giorni che passavano. Due tinte di capelli quasi simili, un biondo che sembrava scendere direttamente da un raggio di sole mentre un altro più scuro e tendente al castano. Anche le iridi degli occhi erano più o meno simili, entrambe azzurre ed entrambe spendenti. Lui non c’era nella foto, seduto in un angolo a osservare la sua famiglia correre e rincorrersi per poi terminare in una matassa di braccia e gambe. E ricordava ancora come il suo cuore avesse perso un battito di fronte a quella scena, un’assenza che era stata riempita da una sensazione di caldo e di amore.
Ogni volta che si sentiva al limite, ogni volta che era sul punto di mollare, guardava quella foto e si ricordava per quale motivo stesse davvero affrontando tutto senza lamentarsi o protestare. E anche in quel momento l’immagine di fronte a lui riusciva a lenire, in parte, il senso di fallimento per quell’ennesimo nuovo intoppo. Ma non ci riusciva completamente perché, in quel momento, quella foto rappresentava solamente tutto ciò che stava per essere ancora nuovamente distrutto: equilibrio, stabilità, serenità. Tutte cose che aveva promesso non avrebbe mai fatto mancare a suo figlio.
Quante volte aveva infranto quella promessa?
Quante altre volte l’avrebbe infranta?
Le dita scivolarono sul display, sbloccandolo. Ancora più codardo, ancora più vigliacco, aprì un nuovo messaggio e incominciò a digitare una sorta di spiegazione per quella sua scomparsa. Almeno quello, almeno una scusa. Non poteva andarsene senza dirgli niente. Non poteva scomparire dalla sua vita, almeno temporaneamente, senza un perché. E, in un certo qual modo, gli stava lasciando la possibilità di convincerlo a far marcia indietro.
Solo lui ci sarebbe riuscito. E, una parte di lui, desiderava che ci riuscisse.

 

 

 


 

**********

 


 

 

Il messaggio arrivò nel bel mezzo della riunione, un noioso e più che mai futile incontro che si stava disperdendo in discussioni e situazioni che poco interessavano agli artisti. Solamente Kevin ne sembrava interessato, almeno a giudicare dai cenni che faceva con il capo a seconda se fosse d’accordo o meno con ciò che stava venendo detto.
Aveva cercato, Nick, di spostare quel meeting. Non aveva senso incontrarsi e decidere riguardo al nuovo album e al tour quando un membro del gruppo sarebbe mancato. In realtà, anche lui avrebbe voluto non partecipare, preferendo accompagnare Brian all’ennesima visita medica nell’arco, ormai, di poche settimane. Ma era stato Brian stesso a obiettare, ad assicurare che non sarebbe stato un problema se gli altri avessero deciso o programmato senza la sua presenza.
E ciò aveva messo in allarme Nick.
Non erano state solamente le parole. Non era stato solamente il curioso, e quanto mai poco credibile, fatto che visita e meeting fossero venuti a coincidere in modo così perfetto. Cose di quel genere, avvenimenti e incontri che si accavallavano uno sull’altro erano soliti capitare lui, così disorganizzato da non sapere nemmeno dove era andata a finire la sua agenda o dimenticarsi sempre di segnarli sul calendario del telefonino. In parte, non si era mai preoccupato di quel caos perché c’era sempre stato Brian a occuparsene, uno dei tanti vantaggi e privilegi che nascevano non solo da essere compagni di vita ma anche di lavoro. Era Brian, sempre e solo Brian, a organizzare con precisa maestria ogni giornata in modo che tutto s’incastrasse alla perfezione: vita domestica, vita lavorativa e vita da genitore. Nick si adeguava, Nick seguiva la corrente perché sapeva che, a parti invertite, la loro vita si sarebbe trasformata solamente in un infinito e disordinato caos.
Ecco perché quella coincidenza suonava strana.
Fin troppo strana.
Ma, almeno all’inizio, non vi aveva dato troppa attenzione. C’erano tanti altri problemi cui dar la precedenza, c’era già il preoccuparsi per lo stato di salute della compagna che si prendeva buona parte di tutta la sua attenzione e concentrazione.
In quello, almeno, Nick sentiva di esser diventato bravo. Il che, considerato di chi doveva occuparsi, sembrava quasi paragonabile all’aver scalato l’Everest e esser discesi nel più veloce tempo possibile. L’inizio era stato quasi una sorta di silenziosa e invisibile guerra: più la voce si spezzava, più erano evidenti i suoi problemi, più Brian si era chiuso in se stesso, nascosto in una sorta d’illusione dove niente stava succedendo. Nascosto da ogni domanda, nascosto da ogni espressione di preoccupazione e da ogni sguardo che gli chiedeva solamente un’apertura, uno spiraglio affinché si lasciasse aiutare. L’ultima volta che Brian aveva avuto problemi, Nick lo aveva abbandonato. Forse era anche stato meglio così, in tutti quegli anni era finalmente arrivato a raggiungere una sorta di maturità che, lui ne era sicuro, non avrebbe mai potuto apprendere se non fosse stato per tutto ciò che aveva dovuto subire e superare. Così non aveva abbassato la testa al primo rifiuto, al primo cenno di rabbia mascherata da frustrazione. Aveva spinto, non si vergognava di aver anche usato basse mani pur di arrivare al suo scopo. Ogni volta, ogni visita, ogni caduta e ogni nuova operazione, Nick era rimasto lì, a dimostrare che non era più il bambino viziato ed egocentrico che non riusciva mai a comprendere che anche gli altri, non solo lui, avevano un disperato bisogno di amore e di supporto.
E in quei mesi, in quegli anni, Nick era riuscito finalmente a scorgere e imparare quell’intricata ragnatela di emozioni, paure e ansie che si era formata dietro al sorriso del compagno. Ed era da quella consapevolezza, da quella conoscenza che solamente il tempo e l’esperienza erano riusciti a formare, che Nick ora carpiva il sentore che qualcosa non quadrava.
Non solo la coincidenza. Non solo quella rinuncia che stonava con i mesi precedenti, a quel continuo spronare il gruppo o ribattere al pessimismo controllato di Kevin ogni volta che si lamentava quanto fossero indietro con il lavoro.

“Ci manca troppo, abbiamo scritto venti canzoni e registrato nemmeno la metà.”
“Siamo a buon punto, Kevin. Abbiamo venti canzoni e ne abbiamo registrate cinque in due giorni. Direi che siamo a buon punto per aver appena incominciato.”
 

Non avrebbe mai rinunciato a quell’incontro. Il Brian che conosceva avrebbe spostato mari e monti in modo che ogni visita e incontro s’incastrassero alla perfezione in modo da essere e sembrare un eroe.
Non quella volta.
Quella volta aveva semplicemente abbassato il viso, gli aveva voltato la schiena e aveva mormorato che non poteva.

“Ho una visita. Non posso rimandarla.” Gli aveva detto, con quel filo di voce che ormai era diventato padrone indiscusso di tutta la loro vita. E che nascondeva, ora, un altro mistero, un sospetto che ormai aleggiava ma che nessuno di loro osava mai pronunciare ad alta voce.
“Okay. Chiamo Kevin e gli dico di spostare il meeting visto che non ci saremo...”
“Non c’è bisogno che tu venga. Posso andare da solo.”
 

Si era opposto, Nick. Si era opposto in ogni modo perché aveva lottato così tanto per dimostrare al maggiore che poteva appoggiarsi e prendere supporto da lui. Non aveva saltato nessuna visita, era rimasto ore in attesa durante i più lunghi esami e aveva cercato di informarsi in ogni modo pur di non trovarsi impreparato. Si era preparato a dover mordersi la lingua di fronte a un Brian frustato, un Brian arrabbiato e stanco di tutto e di tutti. Lui e la pazienza non erano mai stati grandi amici ma per Brian ci aveva provato perché era quello che era giusto fare.
Era quello che si doveva fare in una relazione seria.
Ed era stato bello, per quanto quello potesse essere un aggettivo utilizzabile in quella situazione. Era stato bello essere lui, per una volta, la roccia che stava sostenendo Brian, quando era sempre stato il contrario. Gli piaceva prendersi cura di lui, aveva sempre anelato e desiderato poter prendersi cura di qualcuno senza mai doversi aspettare qualcosa in cambio o pretendere un altro favore.
Anche se era stato stancante. A volte avrebbe voluto urlare, a volte avrebbe voluto spegnere qualsiasi discorso perché era sempre su quello che andavano a parlare: appuntamenti, medicine, effetti collaterali. A volte avrebbe voluto arrabbiarsi con Brian per avere portato quell’ennesimo dramma nella sua vita, in un periodo in cui era finalmente riuscito a buttarsi tutto alle spalle e ricominciare dall’inizio. A volte, invece, avrebbe voluto prendere Brian per le spalle e scrollarlo fino a quando non fosse riuscito a far crollare ogni difesa rimasta, quelle mura che ancora gli impedivano di lasciarsi andare e ammettere l’ingiustizia di ciò che gli stava capitando. Ammettere, soprattutto, che nessuno avrebbe avuto da ridire se, per una volta, Brian avesse lasciato le redini del controllo agli altri e pensasse solamente a rimettersi in piedi.
A volte, come in quel momento, avrebbe voluto poter avere una bacchetta magica e cancellare tutto, togliere quei problemi con una formula pronunciata a sottovoce e rivedere il sorriso ritornare a brillare e far brillare il volto del compagno.
Senza nemmeno pronunciare una scusa o una giustificazione, Nick si alzò nel bel mezzo della riunione e uscì velocemente dalla stanza. Non appena la porta si chiuse dietro le sue spalle, Nick recuperò il telefonino e si ritrovò di fronte al più lungo messaggio che Brian gli avesse mai mandato. Con il cuore in gola e l’ansia che si stringeva sempre di più attorno allo stomaco, Nick aprì la busta lampeggiante, sperando con tutto se stesso che non fosse ciò che aveva temuto.

C’era una ragione per cui non ti ho voluto oggi con me.
Vorrei dirti che è andato tutto bene. Vorrei dirti che ci siamo preoccupati per niente, che ci siamo torturati per giorni per qualcosa che era solamente un fantasma delle settimane, dei mesi e degli anni che abbiamo trascorso schiavi di questa situazione.
Se te lo dicessi, se ti mentissi così spudoratamente, soffriresti di meno?
Me lo sono chiesto, sai. Mi sono chiesto quanto tutta questa situazione debba pesarti, quanto meriteresti di poter finalmente assaporare la vita ora che hai risolto i tuoi problemi. E invece ti devi preoccupare, invece trascorri ore a cercare qualcosa che possa aiutarmi o tutte quelle volte che mi rivalgo delle mie frustrazioni su di te.
Ho cercato di non esserti un peso. Ho cercato di non dipendere da te, dal nostro amore, prima di rovinarlo definitivamente. Mentirei se non dicessi che sei stato tu e Baylee le uniche persone che sono riuscite a tenermi a galla in questa tempesta.
Ma sono stanco.
Non voglio più combattere contro i mulini a vento.
Non voglio più essere sconfitto, abbattuto nello spirito e in quell’incrollabile fede che ora sembra solo un miraggio.
Voglio solo andarmene.
E’ da codardi. E’ da vigliacchi.
Ma a che serve tutto questo?
Sto rovinando tutto. Sto rovinando ogni piano e, per quanto cantare e salire su un palco sia ancora l’unico appiglio a quel poco che è rimasto di me stesso, non posso più continuare.
Non so nemmeno se lo voglio.
Tu meriti di meglio.
Baylee merita di meglio.
Il gruppo...
Forse anch’io. Forse merito di lasciare il palco silenziosamente, lasciare che le luci si spengano mentre l’attenzione è rivolta verso chi può davvero brillare di luce propria.
Non so dove andare. Non so nemmeno se questa è la decisione migliore o se è solamente frutto dell’ennesima prova da affrontare. Non ho energie, non ho forze mentali per rimettere in piedi ancora piani e progetti in modo che nessuno soffra da questo ennesimo intoppo.
Voglio scomparire.
Come questa voce.
Voglio andarmene, magari sperando che nella mia assenza qualcosa si risolva da solo. Voglio andarmene da tutto, non voglio più essere il veleno e il seme che sta distruggendo tutto ciò di buono che avevamo creato.
Ha senso?
Non so se ha senso. Non so nemmeno se io stesso ho più un senso senza la voce. Forse è per questo che me ne voglio andare, allontanarmi da tutti per capire chi e che cosa posso essere se... non riesco nemmeno a scrivertelo.
Nick...

 

Il messaggio, la serie di messaggi, terminava così all’improvviso. Nick riusciva a immaginare perfettamente Brian mentre lo aveva composto, le dita che tremavano per lo sforzo di tenere a bada quel turbinio di emozioni che si stava tempestando all’interno della sua anima. Lo immaginava mentre prendeva pausa, socchiudeva gli occhi alla ricerca di un filo logico in quell’ammasso di parole e di confessioni. Lo immaginava mentre cercava il modo per dirgli addio senza riuscirci perché l’implicito di quella confessione era un grido d’aiuto. Non era una lettera, un messaggio, d’addio. Forse all’apparenza, forse come prima intenzione. Ma sotto quelle frasi c’era solamente un grido che veniva ripetuto fino a rendere la voce un rauco sussurro, una richiesta di essere finalmente quel punto fermo in una vita che si stava sbriciolando sotto le sue stessa dita.
Quante volte Nick aveva fatto lo stesso?
Quante telefonate ubriache aveva fatto all’indirizzo di Brian?
Quante volte aveva urlato, sbraitato e odiato perché non sapeva in che modo poteva rialzarsi?
Troppe. Tante. Fin troppe. E ora Brian stava facendo lo stesso, in quel modo così pieno di quell’orgoglio che non sarebbe deceduto nemmeno sotto i più potenti e letali dei colpi. Quel Nick finale era un’implicita richiesta. Era un invito a non lasciargli commettere quell’atto dettato dalla stanchezza, era l’ordine perentorio di combattere per lui invece che arrabbiarsi perché ormai sul ciglio di essere abbandonato senza nemmeno una giusta motivazione.
E si definiva codardo. Nonostante tutto, ancora Brian temeva di esser visto debole e fragile com’era sempre stato etichettato per buona parte della sua vita. Si definiva vigliacco per essere un combattente ormai esausto, anche se ancora rimaneva in piedi appoggiandosi a tutto ciò che incontrava sul suo cammino.
E toccava a lui, toccava a Nick rassicurarlo. Toccava a Nick fargli capire che non sarebbe esploso il mondo se Brian avesse ammesso di non essere nel pieno delle sue forze per quest’altro, ennesimo, ostacolo da superare.
Prima di perdere il proprio coraggio, prima che quella finestra di possibilità si chiudesse per sempre, Nick digitò velocemente il numero del compagno mentre incominciava a uscire da quell’edificio. Gradino dopo gradino, squillo dopo squillo fino a quando Brian rispose. Non disse nulla, aprì semplicemente la conversazione lasciando ancora la palla fra le mani di Nick.
Si dovette fermare, Nick.
Si fermò e appoggiò la mano contro la parete, socchiudendo gli occhi per qualche secondo. Non poteva sbagliare, non poteva permettersi nessun errore. Brian si trovava sul ciglio di un precipizio e sarebbe bastato poco per farlo cadere nell’abisso o se, allungando una mano, si sarebbe potuto salvare.
“Bri... – Mormorò, fermandosi quasi immediatamente. Appoggiò la schiena contro il muro, rischiando quasi di tirare una testata con la nuca. – Hai tutti i diritti di questo mondo ad essere stanco. Hai tutti i diritti dell’intero universo ad alzare le braccia e mandare tutto a quel paese. Nessuno vuole dirti che cosa devi fare, nessuno vuole costringerti a fare cose che non ti senti. Se ti hanno detto quello che sospettavamo... non ti dirò che puoi farcela. Non ti dirò che, anche questa volta, sopporterai tutto con la pazienza da santo che hai avuto con la passata operazione. Se non te la senti, va bene. Non c’è nessun problema. Se vuoi prenderti una pausa, va bene. Troveremo qualcosa ma...”
Era egoista, Nick lo sapeva. Quello che stava per dire suonava e appariva la frase più egoista di quel mondo ma non poteva, Nick, immaginarsi cantare sul palco senza Brian al suo fianco. Le loro canzoni, tutto il loro repertorio, non avrebbero avuto senso senza quelle note che solamente lui poteva tirare fuori.
“... sei il nostro centro, Brian. So che per tanto tempo ti sei sentito un estraneo, so che hai sempre spinto più di quanto dovevi solo per dimostrare che avevi diritto a quel posto. Ma eri più di quello, eri e sei il nostro punto focale, la persona che ha sempre portato un’aria ottimista quando le cose non andavano bene. Ora sei tu ad avere bisogno di ottimismo e non ti abbandoneremo.
Non ti abbandonerò.
Pensi davvero di potertene andare e non portarmi dietro con te? O Baylee? Non sarà così facile, amico mio. Ormai sei legato a infiniti lacci con noi.
Hai ragione.
Non merito tutto questo nuovo dramma. E sono frustato. Sono arrabbiato. Più di tutto, mi sento inutile perché non c’è niente che possa realmente fare per aiutarti.
Ma è la vita.
Ricordi?
Me lo avevi detto proprio tu. A volte la vita è ingiusta, a volte la vita ti riduce a pezzi solamente perché vuole metterti alla prova. O forse perché, semplicemente, è stronza e bastarda. Non lo merito, tu dici. Ma nemmeno tu lo meriti, per quanto so che tu abbia già trovato mille ragioni per cui doveva capitare proprio a te.
Vuoi andartene?
Vuoi mollare tutto perché non ne hai più la forza?
Va bene. Ne hai tutti i diritti. Ma ci porti con te.
Un’avventura.
Sai da quanto tempo desidero fare una cosa del genere? Se mi lasci anche solo mezz’ora, ti preparo un perfetto itinerario e ci dileguiamo da tutti e da tutto.”
Un respiro, veloce e saturo di lacrime, fu l’unica risposta che arrivò dall’altra parte del telefono. Durante quella conversazione, seppur sembrava più una confessione, Nick si era ritrovato ormai seduto per terra, il braccio libero appoggiato sulle ginocchia.
“Pensavi che ti avrei convinto a ritornare a combattere? Pensavi che ti avrei detto quanto non potevi arrenderti proprio ora e che tutto il mondo è sulle tue spalle? Vorrei. Vorrei dirti di non arrenderti, vorrei dirti che sentire la tua voce è l’unica cosa che vorrei ma... sono stato con te ogni giorno. Ti ho visto sopportare e sopportare senza mai lamentarti e so, so, quanto possa essere stancante continuare a portare sul viso la maschera di ottimismo quando hai smesso di credere. Manda tutto a quel paese. Urla, arrabbiati e lasciati cadere finalmente per terra. Non sei solo. Io e Baylee saremo sempre lì pronti ad aiutarti. Non a rimetterti in piedi, non potremo mai essere così forti in qualcosa che solamente tu puoi e sei in grado di fare. E lo farai. Ma hai bisogno di una pausa. E non ti farò mai una colpa per questo.”
Non sapeva più che cosa dire, Nick. Non aveva più parole da cui attingere, lui che non era mai stato bravo a fare discorsi incoraggianti o prediche. Aveva paura di ripetersi, aveva paura di pronunciare le stesse parole fino a quando Brian le avesse comprese o, molto più probabilmente, urlato fino a quando lui non sarebbe stato finalmente zitto.
Ma ora era Brian a restare in silenzio.
Non era un perfetto silenzio perché il suo respiro affannato era una pausa fra quell’assenza di conversazione. Così Nick cercò di affilare l’udito, in modo da carpire qualsiasi indizio su dove Brian si trovasse: sembrava un luogo pubblico, probabilmente un bar considerato che qualcuno aveva appena urlato qualcosa riguardo a un ordine per un caffè.
Un bar. A New York. Era come sperare di trovare un ago in un pagliaio.
Poi un sussulto.
“Central Park. – Pronunciò una voce così flebile che Nick quasi fece fatica a ricondurla a quella di Brian. – Ti aspetto lì.”
Nick annuì prima di ricordarsi che Brian non poteva vederlo.
“Va bene.”
Aspettò il clic che annunciava che la conversazione era stata chiusa ma questo non arrivò. Ci fu ancora un attimo di silenzio, il brusio della gente che andava e veniva e il chiacchiericcio misto ai clacson e ai rumori delle macchine.
“Ti amo.”
Non fece aspettare nemmeno il battito di un cuore, Nick.
“Ti amo.”
Non appena la conversazione venne chiusa, Nick si alzò e ricominciò a scendere le scale. Con passo più leggero e veloce, senza nemmeno badare a qualcuno che ora lo stava richiamando e la cui voce assomigliava quasi paurosamente a quella di Kevin. Non gli importava perché l’appuntamento appena ricevuto era nettamente più importante.
Era fondamentale tanto quanto scoprire se avesse potuto continuare a respirare o meno.

 

 

 

*********

 

 

 

Lo stava aspettando.
All’interno di Central Park, affollato come solo poteva essere quel luogo quando il cielo era di un scintillante e quasi accecante azzurro chiaro. Ci si addentrava, si seguivano i turisti e i newyorkesi che usavano la loro pausa pranzo per riprendere aria e sole; si camminava sui sentieri che serpeggiavano attorno ai laghi, che di artificiale avevano solamente la loro nascita, fino a giungere su uno dei ponti che permettevano di attraversare da sponda a sponda. Quello era un po’ diventato il loro angolo, un piccolo posticino dove potersi mescolare a così tanta gente comune da passare quasi inosservati, sconosciuti in un mondo dove i loro visi, le loro fisionomie, erano conosciuti sin da quando erano stati ancora adolescenti.
Lo aveva aspettato senza farsi notare.
Nascosto.
Anche se, in realtà, non gli sarebbe nemmeno servito. Lui era così differente da Nick, il più delle volte riusciva a passare inosservato senza che nessuno si accorgesse della sua presenza. Nick era differente, Nick era il tipo di ragazzo su cui era impossibile non far cadere lo sguardo, anche quando era vestito con una semplice maglietta e un paio di jeans.
L’aveva sempre visto come un’arma a doppio taglio. Da una parte, per molti anni, Brian si era sempre sentito con i nervi sempre scoperti, all’erta per ogni segno che tutto quello si rivelasse essere un sogno troppo bello per poter esser reale. Come poteva un ragazzo come Nick voler qualcuno come lui, qualcuno con un matrimonio fallito alle spalle e un figlio a cui dedicare e combattere per avere attenzioni?
Ed era ancora così, in un certo senso. Solamente che ora doveva aggiungere un’altra ragione per cui Nick sarebbe stato più che giustificato e spinto a cercare qualcuno di migliore da avere al suo fianco.
Come poteva ancora Nick volerlo se tutto quello che facevano era discutere della sua voce e trascorrere appuntamenti e ore fra ospedali e studi medici?
Eppure, continuava a rimanere. Eppure, Nick continuava a voler combattere per stare insieme, a combattere e lottare anche quando lui, Brian, aveva perso ogni energia e forza. E, anche se ormai aveva ormai perso la speranza di uscire da quel vicolo buio in cui era incappato, ecco che Brian si ritrovava a riprendere in mano la propria fede ferita solamente per quelle parole che Nick gli aveva pronunciato. Scappare, ora, non sembrava più una decisione così immediata e vitale. O, almeno, non lo era farla da solo. Non ci sarebbe mai riuscito, dopo pochi giorni sarebbe tornato in ginocchio e distrutto dalla mancanza e dall’assenza dei due più importanti pilastri della sua vita.
Loro, Nick e Baylee, non lo avrebbero abbandonato al suo destino. Qualsiasi sarebbe stata la sua decisione, loro lo avrebbero seguito. Non lo avrebbero giudicato di fronte alle sue debolezze, non lo avrebbero considerato debole e fragile se solo avesse ammesso di non farcela più. Se solo avesse deciso di rinunciare a ogni nuova tortura, a ogni nuova visita o esame. Se solo avesse deciso di prendere l’ultimo applauso e ritirarsi lontano dai riflettori e dall’attenzione del pubblico.
Il problema era che, per la prima volta nella sua vita, Brian non sapeva quale fosse la scelta giusta. Si era sempre lasciato guidare dalla sua fede, confidando che ci fosse un piano ben preciso scritto per lui e che, se solo si fosse lasciato prendere da quel vento, ogni cosa sarebbe andata alla perfezione. Era vacillata quella fede, essa non era mai stata un qualcosa d’inscritto in una roccia perché la vita, la realtà, non ti permetteva di sederti su una panchina e solamente lasciarsi guidare dalla corrente. C’erano stati ostacoli, c’erano state turbolenze e tormente che avevano rosicchiato un po’ di quella di confidenza e sicurezza ma, in un modo o nell’altro, Brian era sempre stato riuscito a trovare la direzione e seguirla senza rimpianti o rimorsi.
Ora?
Ora era come trovarsi in mezzo ad una tempesta di neve, una fitta coltre di nebbia che impediva di poter vedere anche solo a pochi centimetri di fronte a lui e con un vento così gelido da riuscire a immobilizzarlo in quella posizione, impedendogli di anche solo fare un altro passo. Né avanti, né indietro. Non sapeva che cosa dovesse fare, non sapeva per quale motivo si era ritrovato in mezzo a quel maltempo né quale fosse la lezione che avrebbe dovuto imparare da tutto. Forse era stato troppo presuntuoso? Forse aveva dato per scontato che sarebbe stato sempre al centro di un palco, con fans deliranti che potevano odiarlo per quello che era ma che si ritrovavano senza parole nel momento in cui iniziava a cantare? Forse si era adagiato nel credere di aver finalmente trovato la felicità e la serenità? Non aveva mai preteso nient’altro di ciò che già possedeva, come poteva essere il contrario del resto? Aveva una famiglia, aveva l’amore e un figlio che adorava; un lavoro che molto spesso era più simile a una benedizione e a un sogno. Forse era quello il prezzo da pagare per avere tutto?
Scappare... scappare gli era sembrata la sua punizione. Il giusto prezzo da pagare per riprendersi la sua voce doveva essere staccarsi da quelle benedizioni che aveva dato per scontato, da quelle felicità che lo avevano maledetto.
Ma nemmeno quella sembrava essere la decisione giusta. Restare? Restare sembrava quasi anche peggio, costretto a starsene in un angolo e a sentirsi, ancora, come quando era bambino e chiunque lo trattava come se fosse sul punto di rompersi in mille pezzi se solo avesse partecipato ai giochi o alle attività con gli altri bambini. Aveva lottato così tanto per togliersi quell’etichetta dalla sua identità, aveva lottato per essere considerato come una roccia che non sarebbe mai crollata, qualcuno su cui contare in ogni momento di tempesta. E ora? Ora era come se gli anni passati non significassero più niente, ora era come se lui si fosse trasformato in una variabile difettosa, qualcuno da mettere in un angolo senza nemmeno una spiegazione.
Qual era la decisione giusta da prendere?
Continuare a rimanere lì, nascosto ad osservare il suo fidanzato aspettarlo impazientemente, o farsi avanti e lasciarsi, per una volta, prendere per mano mentre decideva? E accettare ciò. Accettare di non essere più la persona che era sempre stata, accettare che per una volta era lui ad aver bisogno di guida, conforto e infinito supporto. Accettare che anche quello era amore, forse la sua forma più pura e reale. Non solo i bei momenti, non solo quegli attimi in cui tutto sembrava colorato con le più accese e gioiose tinte. L’amore era soprattutto quello, rimanere fianco a fianco quando non si aveva più niente da dare e quando sembrava così difficile farsi amare. L’amore era la pazienza nell’aspettare, in mezzo ad un parco, con la paura di essere dimenticato e abbandonato senza nemmeno una spiegazione; l’amore era ricevere il più lungo messaggio del mondo, pieno di lagne e lamenti, e riuscire a trovare le parole giuste per fargli capire che aveva tutti i diritti di quel mondo a lamentarsi, invece di considerarsi come la persona più colpevole solamente perché non voleva accettare quella situazione.
Ma non importava se fosse fuggito o rimasto. Non importava niente se non che avrebbe sempre avuto qualcuno in cui nascondersi quando il mondo sembrava crollare attorno a lui.
E quella era la decisione più semplice, facile e istintiva da compiere.
In poco tempo, una manciata di secondi, Brian uscì dal suo nascondiglio e si avvicinò verso la figura che stava con i gomiti appoggiati sulla ringhiera del ponte. Non lo aveva ancora visto, perso com’era a osservare le acque del lago rimirarsi come pavoni fra i riflessi dorati del sole. Ma, forse, percepì la sua presenza. Forse, percepì il cambio nei profumi, in quell’aggiunta di colonia fra gli odori di estate e della natura. Forse, semplicemente, erano così in sintonia l’uno con l’altro da aver quasi un sensore che annunciava loro quando l’altro era vicino.
Nel momento in cui i loro sguardi si incontrarono, Brian si ritrovò senza più dubbi. Esserne stato vittima era stato facile quando non aveva la presenza fisica di Nick al suo fianco, quell’amore che riusciva ad avvolgerlo nonostante ancora si trovassero a metri di distanza. Era stato facile, quella mattina, farsi prendere ostaggio dai dubbi e dalle ansie, era stato facile credere che scomparire sarebbe stata la decisione migliore per tutti.
Quanto si era sbagliato!
Scomparire non avrebbe aiutato nessuno. Scomparire avrebbe ferito suo figlio ed era già quella la cosa che si era promesso e ripromesso di non commettere mai.
Non ci fu bisogno di parole.
Non ci fu bisogno di guardarsi prima attorno per controllare se qualcuno li stesse osservando. Il mondo, attorno a loro, era letteralmente scomparso nel momento in cui i loro occhi si erano incontrati, annullando qualsiasi cosa che non fosse e che non appartenesse al loro di mondo. E, in quegli occhi azzurri che lo stavano osservando così intensamente da poterne quasi sentire il loro peso, Brian trovò nient’altro che amore.
Infinito e immenso amore.
Nick poteva essere molte cose, sapeva essere egoista e il più del volte così immerso in se stesso da non rendersi nemmeno conto della vita che lo sfiorava nella sua corsa. Ma quando amava, quando amava senza limiti e senza paure, non c’era nessun ostacolo o nessun pensiero che potesse mettersi fra lui e quella persona così fortunata da ricevere le sue attenzioni.
Come in quel momento.
Per salvarlo, per gettargli un’ancora e riportarlo sulla riva, Nick aveva abbandonato tutto e tutti e sarebbe stato disposto a scappare insieme, a lasciare una scena per cui finalmente si sentiva pronto per sfondare e brillare come la sua più bella stella.
Si avvicinò. Brian annullò quegli ultimi metri, con il cuore che aumentava sempre più la velocità con cui batteva contro lo sterno, come se una forza volesse abbattere quei fragili filamenti di controllo e lasciare esplodere tutto quello che si trovava al suo interno. Tremava, per quello sforzo. Tremava, sotto la spinta di singhiozzi che stavano incominciando a mettersi in fila, scalpitanti nello scoprire di avere finalmente la possibilità e opportunità di lasciare andare la propria voce e poter assaggiare un respiro, l’unico possibile, di libertà.
In quel momento, non c’erano bisogno di parole. Non c’era bisogno di fare domande, non c’era bisogno di rassicurare e ripetere che tutto sarebbe andato per il verso giusto, soprattutto quando nessuno di loro aveva a disposizione una palla di vetro in cui poter predire il futuro. Brian non aveva bisogno di parole, non aveva bisogno di frasi o di lunghi discorsi che, in quel momento, si sarebbero persi fra le ondate di emozioni e sentimenti che si davano tormento dentro di lui.
Tutto ciò di cui aveva bisogno, Brian lo aveva già ricevuto in quella precedente telefonata.
Tutto ciò di cui aveva bisogno era l’ancora che lo avrebbe tenuto in piedi mentre lasciava libere le redini di quell’angoscia che, come un cancro, aveva e stava ancora avvelenando la sua anima e la sua vita.
Tutto ciò di cui aveva bisogno era appoggiare la fronte in quell’incavo fra collo e spalla, quello spazio così perfetto da sembrare quasi esser stato creato apposta affinché lui potesse nascondere il suo viso e impedire al mondo di esser testimone del suo crollo.
Le lacrime incominciarono a scivolare via, gocce d’acqua ognuna colma della stessa egual misura di frustrazione, angoscia, paura. Soprattutto quell’ultima. Nella camicia di Nick, in quel tessuto che stava diventando sempre più bagnato, Brian riversò quelle bolle di paura che lo avevano tenuto prigioniero, quel ma e quel se così troppo grandi ed enormi per poter essere buttati sotto il letto e ricoperti di polvere. Lasciò uscire ogni singhiozzo che parlava di visite e visite che ora sembravano solo un noioso tormento di frasi ripetute senza nemmeno un incipit di pietà e commiserazione; lasciò ogni insicurezza nelle mani di Nick, in quelle dita che avevano e continuavano a disegnare linee e cerchi sulla sua schiena in cerca di un conforto, offrendo una sicurezza e una rassicurazione che mormorava semplicemente “sono qui, lascia che sia io a prendermi cura di te.
E, per la prima volta da quando quell’incubo aveva bussato ed era entrato nella sua vita, Brian accettò quella proposta.

 

 

 

 

 

*********

 

 

 

 

“Settimana prossima? Non ci sono problemi. Grazie mille.”
Brian riappoggiò il telefonino sul comodino lì affianco, senza mai però staccare lo sguardo dalla finestra. Il tramonto stava lentamente terminando il suo spettacolo, lasciando in eredità un’aura arancione che cercava di farsi strada fra gli alti grattacieli e i grandi cartelloni pubblicitari. Uno spicchio di luna aspettava, in un angolo, il suo momento per incominciare a brillare e alcune stelle apparivano qua e là come punti luminosi, piccole guide che un tempo avevano orientato viaggiatori e che li avevano condotti sani e salvi verso la loro destinazione.
Era stupido e sciocco pensare che anche lui potesse trovare una risposta in quel cielo?
Il crollo di quella mattina era servito, lo aveva svuotato fino a quando non vi era rimasto nessuno di quegli artigli che per giorni e giorni lo avevano tenuto sotto scacco e gli avevano impedito di riflettere lucidamente sulla sua situazione. Si era lasciato trascinare dai dubbi, si era lasciato offuscare dalla paura di diventare un peso, di diventare uno svantaggio e una fragilità che aveva cercato, in tutti i modi, di allontanarsi dalle uniche persone che avrebbero, invece, potuto aiutarlo.
Era vero, era dannatamente stanco. C’erano mille ragioni per quel sentimento, c’erano mille punti che potevano essere elencati ma, tutti, potevano essere ricondotti a quello più importante: era stanco di lottare. Era quello che lo aveva tenuto prigioniero, era quel pensiero che lo aveva quasi costretto ad abbandonare tutto e scappare come il peggiore dei criminali. Anche se, in realtà, non era la lotta ciò di cui sembrava aver esaurito ogni forza e energia. Era la delusione, era il continuo superare un ostacolo per poi trovarsene un altro di fronte, ancora più alto e imponente, che aveva finito per seccare ogni sua voglia e desiderio di fronte all’ennesimo palo da distruggere.
Ma scappare non era mai stato nei suoi geni. Si impauriva, quello sì. Si illudeva e faceva finta di non avere nessun problema fino a quando rimaneva quasi impossibile non notare che qualcosa non andava né in lui né nella sua voce o corpo. Ma messo alle strette, messo di fronte alla questione e con nient’altra opzione che arrendersi, Brian si era sempre rimboccato le maniche e, buttandosi alle spalle le paure, aveva affrontato ogni battaglia con la pazienza stoica di chi ha già camminato su quelle strade.
Sapeva che era stata la sua proposta, quell’idea gettata nel nulla senza solide redini, a spaventare Nick. Per mesi, di fronte al suo compagno, Brian aveva sempre mostrato la maschera di chi non si lasciava toccare da niente: aveva stretto i denti a ogni visita, aveva lasciato le lacrime per quei momenti in cui nessuno era in casa e, alle domande colme di preoccupazione, aveva sempre offerto un sorriso. Debole, ma pur sempre un segno che andava tutto bene, almeno apparentemente. Non si era mai lamentato dei mille effetti collaterali delle medicine, innumerevoli, che era stato costretto a prendere e aveva odiato quei giorni in cui aveva dovuto dipendere da Nick per qualsiasi e più piccola esigenza.
E doverne subire una seconda...
Nick, quel giorno, lo aveva sorpreso. Aveva riassicurato e rinsaldato il suo amore verso di lui, aveva promesso e ripromesso che nessun ostacolo sarebbe stato in grado di farlo fuggire via. E quella confessione, quell’ammissione di voler e di essere in grado di prendersi cura di lui, aveva aperto qualcosa in Brian che ora era impossibile chiudere o far finta di non aver visto. Era la parte della sua anima che aveva sempre anelato e desiderato di potersi spogliare di quell’armatura e lasciare che fossero gli altri, che fosse la persona con cui aveva deciso di condividere la propria vita, a prendersi cura di lui quando le energie richiedevano di essere ricaricate. E, anche se l’aveva trovata in Nick, riuscire a lasciare libere le ali sembrava ed era sempre sembrato un passo troppo difficile e pesante da compiere.
Forse era quella una delle ragioni di tutte quelle difficoltà a cui stava venendo messo sotto esame.
Immerso nei suoi pensieri, Brian non si accorse del momento in cui la porta della camera si aprì e si richiuse, lasciando entrare la figura di Nick. Se ne accorse quando si ritrovò le braccia del ragazzo avvolte attorno alle spalle, il suo profumo che lo circondava come un’invisibile e impercettibile protezione e uno scrocchio di labbra appoggiarsi sul lato del collo. Brian socchiuse gli occhi, la mano che risalendo andò ad appoggiarsi sull’intreccio di dita poggiate sul suo petto, e per qualche secondo assaporò quel momento di dolcezza. Forse i baci e gesti d’affezione non erano davvero in grado di scacciare via il dolore, fendere i fumi di dubbi e quella sensazione di essersi lasciato andare ben oltre la deriva, ma li attutivano e li affievolivano, regalando una distrazione su cui potersi focalizzare invece che continuare a concentrarsi su ciò che stava andando sempre più male.
E Brian aveva anche pensato di potercela fare da solo. E Brian aveva anche pensato di poter resistere, lontano da quel goccio di sanità che riequilibrava tutto.
Alzò il viso, dopo qualche attimo di silenzio. Alzò il viso e appoggiò le labbra sulla linea della mascella di Nick, quasi costringendo il compagno ad abbassarsi per poter permettere alle proprie bocche di incontrarsi e salutarsi.
“C’è qualcosa di differente. – Mormorò Nick, gli occhi puntati sul volto del compagno con sguardo scrutatore. Era migliorato, era diventato più bravo a studiare quei lineamenti, quelle sfumature, e apprendere tutto ciò che Brian non lasciava mai sfuggire via dalle redini del suo impenetrabile controllo. E ora, in quel viso che ancora portava i segni delle lacrime, c’era una luce che Nick non aveva visto da molto, parecchio e fin troppo tempo. – Sembri più sereno.”
Brian fece un sospiro, strofinando la punta del naso contro quella di Nick.
“Lo sono.”
Nick si staccò, aggirando poi il divanetto per potersi sedersi accanto al compagno.
“Che cosa è cambiato? – Gli domandò. Quando lo aveva lasciato, spinto da Brian stesso a tornare all’incontro, sul suo volto c’era stata ancora quell’ombra di tormento che aveva dato inizio a tutto. – Non vedo le nostre valigie in giro, quindi deduco che la fuga sia stata bocciata...”
Brian allungò la mano, appoggiando il dorso sopra quella di Nick e lasciando che le loro dita si cercassero e trovassero in un intreccio perfetto.
“Se non ti avessi mandato quel messaggio...”
“Era più un papiro che un messaggio.” Obiettò scherzando Nick.
“... se non te lo avessi mandato, probabilmente l’avrei fatto. E avrei commesso un errore. Non solo allontanandomi da te e da Baylee come se fossi un criminale, come se vi stessi distruggendo la vita. L’errore lo avrei commesso andandomene, l’errore sarebbe stato pensare che fuggire via e rimanere da solo fosse la soluzione ad ogni mio problema. Non lo è.”
“Bri, se hai bisogno di staccare, sono io il primo a prenotare un biglietto aereo e portarti via.”
“Lo so. E non credere che ti lascerò dimenticare questa proposta.” Rispose Brian, lasciandosi sfuggire una stanca risata.
“Dimmi solo il posto.” Fu la risposta di Nick, allungandosi quel tanto che bastava per lasciare un veloce bacio sulla fronte di Brian.
“Anche se ce ne andassimo... – Brian scrollò la testa. – I miei problemi ci seguirebbero. Non è più solo un problema che danneggia la mia carriera ma anche la mia vita. Se non me ne prendo cura, se non cerco e trovo il modo per risolverlo, chi può dire quanto potrà peggiorare? Non posso permetterlo. Non posso perdere la possibilità di parlare con te o di comunicare e essere un padre con Baylee.”
“Era questa la tua paura?”
“Una delle tante. Ma mi bloccava. E quando stamattina il dottore mi ha detto che avevo bisogno di una nuova operazione, quelle sono diventate un demone troppo grande per combattere. Ho lasciato che diventasse l’unica voce che potevo ascoltare e non dava di certo utili consigli. Per tanto tempo mi sono lasciato portare alla deriva, domandandomi e torturandomi sul perché fosse davvero successo a me tutto questo. Non sapere la risposta, non riuscire a trovare un senso logico in tutto questo mi ha destabilizzato, mi ha allontanato anche dalla mia fede. Odiavo la persona che stavo diventando e quindi mi sono rinchiuso ancor più in me stesso perché non volevo che tu vedessi i miei difetti. Le mie crepe. Per te, per Baylee, dovevo continuare a essere il protettore instancabile e indistruttibile.”
“Bri, lo sarai sempre. Sei il nostro supereroe, anche se a volte necessiti e hai bisogno di riprendere fiato o forze. Noi siamo i tuoi aiutanti, lo sai?”
“Ora lo so. O, meglio, l’ho capito. Ho capito che non posso arrendermi. Non è nella mia indole, anche se a volte sembra essere una chimera troppo allettante per non esserne attratta. Se mollassi ora, che cosa insegnerei a Baylee? E forse era questo che dovevo imparare da tutta questa storia: imparare che non sempre la vita ti lascia in pace solamente perché hai già sofferto in passato; imparare che, quando trovi la giusta persona da avere al tuo fianco, va bene ammettere che sei fragile e lasciare che sia quella persona a prendersi cura di te. Non sminuisce la mia forza, non sminuisce che, finché ci sarà una possibile diagnosi e cura, continuerò a lottare perché cantare è la mia vita. Forse era anche questo che il grande capo lassù voleva che imparassi: avevo dato per scontato il cantare, forse mi ero abituato a vederlo come qualcosa di superficiale perché tanto le nostre fans avrebbero e continuerebbero ad amarci anche se non al cento per cento. Ora, ora che lo sto perdendo, mi rendo conto di quanto abbia sempre dato per scontato questo regalo. E anche se magari non potrò più tornare a essere quello di prima, chi lo sa, magari ci sarà un altro modo o un’altra via per continuare a usarlo e a ispirare le persone. Non posso arrendermi.”
Per un momento, Nick non poté far altro che rimanere a osservare il compagno con un’espressione totalmente di sorpresa e di ammirazione. Come poteva non farlo quando, per l’ennesima volta, Brian aveva tirato fuori una forza che nessuno sembrava mai eguagliare? Solo quella mattina era stato pronto a lasciare tutto e tutti, era stato capace di rinchiudersi così tanto in se stesso da credere di essere un peso per chiunque lo amasse e gli volesse bene. E ora, anche se con gli occhi gonfi e rossi dalle lacrime e la carnagione di chi sembrava avesse bisogno di rintanarsi e andare in letargo per mesi, era riuscito a trovare un modo per rischiarare quelle nuvole e riportare, da solo, il sereno nella sua vita.
In quel momento, e forse ancor di più proprio per quel motivo, Nick si ritrovò con il cuore pronto a scoppiare per l’amore che provava per quel ragazzo.
Non c’erano parole.
Come quella mattina al parco, non c’erano bisogno di parole per rimarcare ciò che i loro corpi avevano già sussurrato. E ogni parola, ogni frase, sarebbe apparsa vuota e troppo piccola e inutile per riuscire a esprimere quella luce di orgoglio per la persona per cui il suo cuore batteva.
Così Nick annullò semplicemente la distanza fra i loro due volti, la mano andò a poggiarsi sulla guancia mentre le labbra andavano a trovare le sue anime gemelle. Fu, all’inizio, un bacio semplicemente arso di dolcezza, tocchi che volevano solamente ammainarsi su quelle labbra e dichiarare quei sentimenti che erano nati dalle parole di Brian. Le labbra di Brian sapevano ancora di lacrime, un tocco salato che Nick cercò di cancellare e di asciugare perché non doveva esistere, non doveva esserci su quella bocca che aveva sempre saputo di gioia, felicità e amore. La dolcezza scivolò in una cascata che sapeva di passione, in un fiume che stava ribollendo al pensiero di ciò che Nick era stato sul punto di perdere perché aveva bisogno di Brian, aveva bisogno della sua presenza e di quel contatto di cui ormai non riusciva più a farne a meno. Aveva bisogno, Nick, che Brian avesse bisogno di lui e l’idea, paventata in quell’attimo di disperazione, di poter essere abbandonato senza un secondo pensiero lo aveva spaventato e impaurito più di quanto se ne fosse reso conto. Le mani scivolarono lungo i fianchi, aggrappandosi al materiale della maglietta come se da essa potesse dipendere la sua sanità; spinse Brian contro di lui, spinse fino a quando i due corpi furono così vicini da potersi sfiorare e toccare senza bisogno di volontà o intento. Perché essi ormai si conoscevano, essi ormai sapevano riconoscere immediatamente ciò che l’altro desiderava o stesse chiedendo. Quella mattina, era stato Brian a chiedere e ricevere conforto. Ora, era invece Nick a richiedere una rassicurazione su di loro, una rassicurazione su come non si sarebbero mai divisi nonostante i problemi o la voglia di fuggire.
Insieme.
Brian glielo aveva promesso. Nick glielo aveva promesso. Insieme, lo avevano promesso a Baylee.
“Nick... ehi... – Brian strofinò la guancia contro quella di Nick, prima di lasciare alle sue labbra il compito di continuare con le carezze. – Sono qui.”
“Lo so. – Rispose Nick. Annuì con un cenno del capo, ricambiando la carezza e strofinando la punta del naso contro quello di Brian. – Lo so. Ma per molto tempo, non lo sei stato. E non sapevo come raggiungerti.”
Brian inspirò, lasciando uscire un altro respiro ancora carico di rimasugli ed echi di lacrime. Le parole di Nick implicavano ben oltre ciò che esse semplicemente significavano: era un’accusa, una spinta a rimpiangere come Brian si era comportato, richiudendosi fino a non lasciare nemmeno il più piccolo spiraglio per poter allungare una mano e farsi aiutare. E, in quelle parole, Nick gli stava chiedendo una promessa, gli stava chiedendo di non ritornare più in quello stato e di permettergli, finalmente, di poterlo aiutare come un partner, un compagno, avrebbe dovuto fare.
“Lo so. – Rispose Brian, appoggiando la fronte contro quella di Nick. – Sai che non sono abituato a dimostrare e lasciare apparire le mie debolezze. Ho lottato così tanto per dimostrare a me stesso che potevo essere forte e normale come tutti gli altri. Ma ammettere a te che non sono al cento percento, ammettere a te che non ero più la roccia che poteva sopportare tutto. Ma tu sei l’altra metà della mia anima, se non posso aprirmi con te con chi altri potrei farlo?”
“So che in passato non sono stato la persona più affidabile...”
“Il passato non importa, Nick. Ora sei qui. E’ tutto ciò che mi serve.”
Senza aggiungere nient’altro, Brian appoggiò la testa sulla spalla di Nick mentre le braccia di quest’ultimo lo strinsero nel più forte e confortante abbraccio che fosse mai stato possibile concepire. In quell’intreccio di braccia e gambe, i due si lasciarono cadere sul divano, sdraiandosi anche se l'essere confortabili in quella posizione era l’ultimo dei loro pensieri. Rimasero abbracciati per chissà quanto tempo, consapevoli solamente del battito dei propri cuori e quel respiro che li univa in un’unica melodia.
“Settimana prossima ho un secondo consulto. – Fu Brian a interrompere il silenzio, il viso nascosto nel petto del compagno. – E se anche questo non dovrebbe andare bene, troverò un altro dottore, un altro ospedale o specialista.”
Nick appoggiò le labbra sui capelli di Brian, lasciando un bacio.
“Non importa quanto dovremo girare. Anche in capo al mondo, se servisse.”
Brian non rispose immediatamente. Cercò, invece, una posizione più comoda, per quanto possibile e si ritrovò a circondare con il braccio la vita di Nick mentre la testa si andava e cercava il punto in cui avrebbe potuto ascoltare il battito, lento e regolare, del compagno.
“Raccontami dell’incontro.” Disse solamente, chiudendo gli occhi e lasciando che la stanchezza di tutta quella giornata prendesse finalmente il sopravvento.
Nick si ritrovò a sorridere prima ancora di poter incominciare il suo racconto, riconoscendo il motivo dietro quella richiesta.
“Avresti dovuto esserci... – Incominciò a raccontare, in un sussurro forte solo per far uscire le parole comprensibili ma basso abbastanza da diventare quasi una ninna nanna. - ...c’è stato un momento in cui le sopracciglia di Kevin erano così aggrottate da sembrare le onde del mare durante una tempesta! Per non parlare del fumo che sembrava uscire dalle sue orecchie. Scommetto che, se tu ci fossi stato, non saresti riuscito a contenere la rabbia di fronte a tali stupidaggini che ci hanno proposto. Per chi ci hanno preso? Dei dilettanti, come se non avessimo quasi vent’anni di esperienza alle spalle?”
Dal ragazzo fra le sue braccia non arrivò nessuna risposta, se un borbottio sonnolento che risultò quasi del tutto incomprensibile. Nick sorrise e continuò a raccontare i dettagli di quella giornata, senza nemmeno fermarsi un secondo considerato che l’unico suo ascoltatore si era già ormai addormentato. Continuò a rimanere in quella posizione, con le gambe che si stavano addormentato in quella stana posizione e con la schiena che già reclamava un cambio con fitte acute di dolore. Ma non fece nulla, Nick. Non spostò nemmeno un muscolo, se non incominciare ad accarezzare la schiena di Brian con l’unica mano che gli era rimasta libera. E quando i dettagli dell’incontro andarono a esaurirsi, Nick incominciò a dipingere con le parole tutti i sogni che aveva e che avrebbe sempre avuto per loro due, immagini in cui la loro famiglia veleggiava con la spinta di un caldo vento verso chissà quali avventure.
“Ce la farai, Bri. – Disse Nick, sfiorando ancora una volta la fronte di Brian. – Ce la farai anche questa volta.”
  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Questa storia risale a qualche anno fa, quando ancora non si sapeva bene quale fosse il problema di Brian. Settimana scorsa, ho fatto pulizia nella mia cartella delle storie, e ho trovato questa storia che aspettava solo di essere terminata. =) 

 

 

 

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Capitolo 3
*** - Deck The Halls - ***


* Deck The Halls *









 

 

When I saw you
I fell in love
And you smiled
Because you knew








“Ecco le sue due cioccolate calde.”
“Con mashmallows?” Domandò il cliente, allungando sul bancone i soldi delle consumazioni e aspettando di poter prendere le due tazze calde.
“Con mashmallows.” Assicurò il venditore, controllando velocemente le banconote prima di frugare nelle tasche per recuperare le monete di resto.
“Tenga pure il resto. – Disse il ragazzo biondo, sorridendo all’uomo mentre il calore ormai scottante delle tazze incominciava a farsi strada all’interno delle articolazioni ormai congelate dal freddo. – Buone feste!”
L’augurio in risposta del venditore si perse fra le note di una canzone natalizia che incominciò a risuonare da una macchina ferma al semaforo, rimanendo poi imbavagliato nelle urla e schiamazzi dei bambini che correvano e si rincorrevano in una battaglia a palle di neve. Il parco brulicava di gente e di atmosfera natalizia, accaldata da quell’accenno di bianco che aveva spruzzato erba, sentieri e alberi durante la notte. Sin dalla mattina il cielo era sempre rimasto un’enorme tavolozza di un grigio perlato, neanche puntellato da punti bianchi di soffici nuvole: era il cielo della neve, il cielo che si stava preparando per far lasciare volar via fiocchi ghiacciati invece che gocce d’acqua cristallina. E quella neve si poteva sentire nell’aria, una volta addestrato l’olfatto a scansare via l’odore di cioccolato e di dolciumi che si alzava dalle bancarelle addobbate ai margini dei marciapiedi.
Era inizio dicembre, mancavano ancora troppi giorni alle feste natalizie eppure la città già si stava vestendo di rosso e di oro, di festoni blu allungati sulle vetrine e di campanelli a tema alle porte. Le passeggiate e le più comuni mansioni quotidiane erano accompagnate da canzoncine che partivano dal classico Jingle Bells e finivano per lasciarsi convincere dall’ultima hit natalizia di qualsiasi cantate fosse ora in cima alle classifiche.
Con un sorriso, Nick ringraziò l’automobilista che gli aveva permesso di attraversare la strada e di raggiungere Brian, fermo davanti a una vetrina che scintillava con luci e addobbi. A pochi passi da lui, rimanendo all’ombra e lontano dal proprio riflesso nel vetro, Nick rimase qualche secondo a osservare il ragazzo, anzi l’uomo, con cui ormai condivideva qualsiasi cosa da due anni a quella parte. Guardandolo ora, guardandolo lì in un ambiente che non aveva niente di sfavillante se non le luci delle insegne, Brian sembrava quasi un ragazzino fin troppo estasiato ed entusiasta per l’inizio del periodo natalizio: le mani appoggiate contro il vetro, la punta del naso che ormai aveva lasciato la sua impronta insieme allo sbuffo del respiro che si cristallizzava ogni qualvolta entrava in contatto con l’aria gelata. I tratti migliori, i tratti ancora capaci di fargli battere più velocemente il cuore o di avvolgerlo in una nuvola di calore che poco o niente aveva a che fare con le bevande che ancora stringeva nelle dita, erano però quel sorriso che finalmente era tornato a brillare senza ombre o preoccupazioni, illuminato da due occhi azzurri che avevano perso i segni neri di fin troppe notti trascorse insonni.
Era finalmente così bello poter rivedere il vero Brian, l’anima di cui Nick si era innamorato al primo sguardo ma che aveva dovuto attendere anni e anni prima di poter comprendere fino in fondo quanto gli fosse entrato dentro e si fosse intrecciato attorno al suo stesso essere. Non c’erano più le occhiaie a ricordar loro quante preoccupazioni o paure stessero tessendo la loro rete attorno a Brian; non c’erano più quelle guance scavate e quell’espressione di chi sa e si vede riflesso come schiacciato da un peso e tormentato da un fantasma. Lo spettro, fino a qualche mese prima, era stata quella dannata e bastarda malattia che per anni aveva fatto il bello e cattivo tempo con la sua voce ma che ora, oh finalmente, era stata combattuta e sconfitta fino a prova contraria.
Quella volta era differente.
Già prima, già altre volte avevano sfiorato e toccato la promessa di essersi lasciato tutte alle spalle ma esse si erano rivelate essere solamente delle chimere. E a ogni illusione infranta, un pezzo di Brian si era irreparabilmente incrinato, portando quasi a essere esaurita una fede che mai prima di allora era stata sul punto di crollare.
Ecco perché quell’anno Natale sarebbe stato differente. Più bello. Più felice. E la prova era in quel viso che si mostrava radioso mentre, lentamente, assaporava la cioccolata calda come solo un bambino avrebbe potuto fare.
“Ti ricordi la prima volta che ci siamo visti?”
Brian soffiò sulla superficie della sua cioccolata, naso e guance di un colorito che diventava sempre più rosso.
“Come potrei? Non smetti mai di prendermi in giro per come ero vestito!”
“Beh, la camicia a quadri era proprio quello che mi aspettavo da un campagnolo...”
“E omettiamo sempre il dettaglio che era Kevin a vivere fra i boschi e non io.”
“Comunque... – Nick riprese a parlare, anche se gli angoli delle labbra erano ancora curvati in un ultimo eco di risata. - ... quella prima volta. Sì, credo che sia proprio in quel primo guardo che mi sono innamorato follemente di te. Anche se ancora non sapevo che cosa fosse l’amore, anche se ancora dubitavo che quel sentimento potesse entrare nella mia vita e renderla migliore. E tu... ricordo che mi hai sorriso come se già avessi capito. Come se già avessi saputo che cosa il futuro ci avrebbe riservato.”
Brian appoggiò la tazza sulla prima superficie che intravide, lasciandosi avvolgere per qualche secondo dall’aria fredda prima di cingere le braccia attorno alla vita di Nick. Era sempre e sarebbe sempre stato strano dover alzare il viso per poter osservare e parlare con il compagno nonostante amasse, seppur non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, il fatto che egli fosse più alto di lui: perché quella differenza di centimetri si era rivelata essere il perfetto rifugio in cui rinchiudersi e nascondersi quando tutto attorno a lui sembrava fosse intenzionato a colpirlo e distruggerlo.
Un altro, forse il primo, motivo per cui erano stati fatti e destinati per stare insieme.
“Sapevo che saremmo diventati importanti l’uno per l’altro. Sapevo, già in quel primo sorriso, di aver trovato un compagno, anche se ancora non sapevo in che cosa saresti stato il mio partner. Amico? Collega? Conoscente? Non lo sapevo, non potevo saperlo ma di una cosa ero certo ed era che saresti comunque stato sempre presente nella mia vita. Quello che abbiamo ora è qualcosa che non avrei mai potuto lontanamente immaginare.”
Nick abbassò la testa, in modo da poter sfiorare la punta del naso di Brian e poter appoggiare le labbra sopra le sue. Sapevano di cioccolato. Sapevano di quella dolcezza fin troppo zuccherosa dei mashmellows, con una punta di vaniglia, menta e fragola e quel retrogusto amaro del cioccolato fondente.
Sapevano di Brian.
“Nemmeno io. Già desiderare di averti sempre nella mia vita, Brian, era chiedere troppo. Quello che abbiamo creato in questi ultimi anni, la nostra vita e la nostra famiglia, è il sogno più bello che si sia mai realizzato.”
Brian non rispose, non almeno a parole: lasciò alle sue labbra il compito di trasformare le parole in frasi e sentimenti che solamente loro potevano trasmettere e far comprendere. Erano parole di dolcezza, tocchi che narravano una sorta di ringraziamento per tutti quei mesi in cui lui non era stato perfetto; settimane in cui aveva avuto bisogno di nascondersi e di una dose maggiore di amore e di supporto e giorni in cui la mera presenza di Nick era stata l’unica boccata di aria e di felicità in tutto quel nero.
Sempre in punta di piedi, Brian sfiorò per un’ultima volta le labbra di Nick prima di scostare un ciuffo biondo che aveva fatto capolino dal cappello di lana che indossava.
“Andiamo a finire di decorare l’albero?”
“Non vuoi comprare nessun nuovo addobbo?”
Brian scosse la testa, facendo scivolare la mano in quella di Nick.
“Credo che Baylee abbia fatto qualche decorazione a scuola...”
“Allora non possiamo esimerci dal mettere in mostra il talento di casa.”
“Decisamente no. E sai che cosa non dobbiamo dimenticarci di appendere?”
“Che cosa?”
“Il vischio, ovviamente.”
La risata di Nick si unì alle note delle melodie natalizie, scavalcando gli auguri e gli incontri di gente che si fermava per il marciapiedi. Con una mossa inaspettata, Nick prese Brian e lo fece quasi volteggiare attorno a lui prima di stringerlo contro il petto e schioccare un dolce ma appassionato bacio sulla sua bocca.
“E questo a che cosa servirebbe?” Domandò Brian, incapace di nascondere la risata e il luccichio di innamorato negli occhi.
“A fare le prove, ovviamente.”






 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Aw, fluff a volontà!!!! 
Direi che ci voleva per augurare un buon inizio di atmosfera natalizia!!! E quale miglior modo se non con Brian e Nick tutti cuccioli sotto la neve a bere cioccolata calda? 

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Capitolo 4
*** * Baby it's cold outside* ***


Baby, it’s cold outside.

 

 

 

 

 


 

 

A Laphy,
Grazie di tutto. <3

 

 

 

 


 

 

Il fuoco scoppiettava allegramente all’interno del camino, regalando alla stanza un’aura dorata e un’atmosfera calda e accogliente; in un angolo lì vicino, infilato in una nicchia fra il camino e la finestra, un albero di Natale sonnecchiava sornione mentre le sue luci giocavano a nascondino, rincorrendosi sui fili e luccicando quando finalmente raggiungevano la tana. Ad allietare quel gioco ci pensavano le note allegre e festaiole che, magicamente, spuntavano sempre fuori quando il calendario annunciava l’apertura del periodo natalizio: per settimane, mille e più variazioni dei classici canti si sarebbero dati il cambio con le nuove leve, giovani promesse che si illudevano di poter ricalcare le loro orme e sostituire, con il trascorrere degli anni, i loro antenati e progenitori.

“Devo andare.”

“Fa freddo fuori. Ti ammalerai.”

“Ho il cappotto.”

“L’ho nascosto dove non potrai mai trovarlo.”

“Allora prestami il tuo.”

“E’ troppo leggero.”

“Sfiderò il tempo, allora. Ho ancora i miei guanti e la mia sciarpa, a meno che tu non li abbia fatti scomparire.”

“Sei davvero perspicace...”

“Nick, devo...”

Brian non riuscì a terminare la frase, la parola bloccata e rapita via dalle labbra di Nick che si chiusero sopra le sue. Un sospiro scivolò via, insieme a una piccola parte di resistenza: come poteva, d’altronde, continuare a opporsi quando le mani di Nick lo facevano sentire come se il suo corpo fosse stato gettato direttamente fra le fiamme rosse che crepitavano dietro di loro?

“Devi rimanere qui. E non devi fare nient’altro che respirare.” Nick regalò al compagno un sorriso malizioso prima di riprendere il suo attacco, questa volta preferendo accarezzare e rendere prigioniera la linea della mascella.

Anche volendo Brian era impossibilitato nel trovare e rendere fattibile una via di fuga, non fosse stato per il semplice dettaglio che Nick lo teneva imprigionato fra il divano, dove erano caduti distesi mentre fingevano di ballare una loro personale versione di un valzer, e il suo stesso corpo, ormai così stretto contro il suo da poter sentire e contare i respiri e i battiti del suo cuore.

Ma non avrebbe capitolato senza almeno aver preso parte a quella battaglia.

Brian piegò il viso di lato, in modo da poter intercettare le labbra di Nick ancora occupate a scivolare e risalire lungo la sua mascella; negli occhi azzurri notò, con una punta di orgoglio, un lampo di sorpresa rendere il celeste di una velatura più chiara prima di ritornare ad un languido colore. Usò, Brian, quel frammento di sorpresa per far scivolare le mani sotto la stoffa del maglione che Nick indossava, assaporando con trionfo il brivido che risalì lungo la spina dorsale e che le sue stesse dita cercarono di inseguire e catturare.

“Devo tornare a casa, lo sai.”

“Qualcuno potrebbe vederti sgattaiolare via di qua.” Fu la risposta di Nick, mormorata a fior di orecchio prima di lasciare un tocco di piacere misto a dolore su quel punto.

“E chi? I tuoi vicini sono già andati a dormire.”

“Kevin.”

“Kevin? – Domandò Brian, cercando invano di soffocare la risata che stava solleticando la gola per poter esse lasciata libera. – Ma se abita in un’altra città!”

“Ah, non puoi mai sapere. Magari le sue sopracciglia funzionano come antenne satellitari in grado di captare segnali nel raggio dei trecentomila chilometri.”

A quell’affermazione Brian non riuscì a non trattenere le risate, ritrovandosi quasi a soffocare sotto il peso di quell’attacco e del corpo di Nick sopra di lui. Fra gli attacchi di riso, il mal di pancia che quasi lo costringeva a piegarsi in due e le lacrime che, spontanee, cercavano anche loro di mostrarsi e unirsi a quell’ilarità, Brian riuscì a trovare un soffio di ossigeno per ribattere a Nick.

“Sei l’idiota più idiota che abbia mai conosciuto, Nickolas Gene Carter. Ti amo.”

Furono quelle ultime due parole, cinque semplici lettere, a porre fine all’assedio delle labbra di Nick. Questi rimase sempre a stretto contatto con il corpo di Brian ma il viso si era allontanato quel tanto sufficiente per poter osservare Brian con l’espressione più seria che avesse mai potuto tirare fuori in un baglio di secondi.

“Lo... sei serio? Non mi stai prendendo in giro, vero?”

Brian riuscì ad alzarsi, non molto ma almeno ad appoggiare il peso sui gomiti.

“Sul fatto che sei un idiota?”

Nick scosse la testa, quasi intimidito. Titubante. Impaurito.

“L’altra cosa che hai detto.”

Brian ci rifletté sopra nemmeno un secondo e, sul suo volto e nei suoi occhi, la confusione scomparve e si dissolse per lasciare spazio alla più genuina e amorevole naturalezza_ gli occhi risplendevano, il sorriso sapeva e trasmetteva una sensazione che Nick aveva sempre guardato e osservato con gelosia esser sempre rivolto ad altri. Mai, prima di quel momento, si era lasciato davvero convincere dall’onestà dei sentimenti che Brian aveva professato con i suoi baci e le sue carezze, con gli abbracci e i tocchi che avevano fatto breccia nelle sue difese ancor prima di quelle cinque lettere.

“Ti amo.” Mormorò con tono soffice ma determinato, un sussurro che non ammetteva repliche o obiezioni tanto quanto poteva pretendere un urlo. Appoggiò la mano sulla guancia di Nick, una carezza che Nick seguì e si protese affinché non finisse in un soffio; per esserne ancor più sicuro, trattenne quella mano all’interno della sua e, in quel contatto, trovò la conferma che sottolineava quelle cinque parole.

Amore.

Nick lo sentiva pulsare sotto le sue dita come mai prima d’allora, percepiva il suo potere risvegliarsi dentro e lungo vene e arterie fino a raggiungere il cuore e farlo battere più velocemente: non per paura, non per eccitazione ma per una ragione di pura e mera gioia. Essere amato, senza condizioni e senza recriminazioni; essere amato e amare al contempo stesso, ma senza che questi due fossero una condizione necessaria alla sopravvivenza dell’altro. Essere amato semplicemente per essere se stesso, per essere Nick con tutti i suoi pregi e i tanti, forse infiniti, difetti.

Ed era finalmente una sorta di liberazione poter dar sfogo a quelle sirene che avevano iniziato a cantare da parecchio tempo ma che la paura, il timore di essere solamente un giocattolo pronto per essere gettato, aveva tenuto imbavagliate e silenziose fino a quel preciso momento.

“Ti amo anch’io. – Mormorò Nick, abbassandosi quel tanto che serviva per dare anche lui conferma di quelle parole, seppur convinto che Brian già sapesse e avesse semplicemente aspettato che lui se ne rendesse conto. – E ora non puoi proprio andartene.”

“Beh, fa davvero freddo fuori.” Ribatté Brian, indicando con lo sguardo i vetri appannati della finestra.

Nick seguì il suo sguardo e un sorriso si dipinse sul suo volto quando prese nota di ciò che Brian stava indicando: oltre i vetri, in un cielo nero che veniva rischiarato e colorato dalle luci scintillanti delle decorazioni natalizie esterne, punti bianchi apparivano qua e là, scendendo lentamente e silenziosamente fino a posarsi sul manto erboso. Ormai quasi già spruzzato di una prima passata di bianco soffice.

“Già. Troppo freddo. – Confermò Nick, ritornando a osservare Brian con sguardo malizioso. -  E non posso di certo permettere alla persona che amo di ammalarsi.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Oh sì.
Un'altra one - shot, scritta a tempo di record. E altro fluff. *__*
Ben venga il Natale se mi porta quest'ispirazione.
Ne approfitto per ringraziare non solo chi mi sopporta e ascolta i miei rimbrotti da scrittrice sempre in cerca di conferme, ma anche tutte le persone che, silenziosamente, dedicano anche solo un minuto per leggere le mie parole. <3

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Capitolo 5
*** * Snow Fight * ***


*Snow Fight*

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

La palla di neve centrò il tronco dell’albero dietro il quale Nick era riuscito a nascondersi pochi secondi prima del lancio. Trascorse qualche secondo di silenzio, l’aria tesa da quel senso di trepidazione e attesa per chi dovesse o osasse fare il prossimo passo: né Brian né Nick volevano sprecare la loro occasione, lasciando che fosse l’altro a tradirsi e a permettere loro di mettere in atto la propria mossa. Nel frattempo e senza distogliere lo sguardo dai rispettivi obiettivi, entrambi recuperarono una manciata di neve fresca che, giostrata fra le mani come se fosse cera, diventò immediatamente una nuova palla pronta per essere lanciata.

Brian agì di furbizia, stanco di aspettare che Nick mostrasse qualche centimetro in più di quel ciuffo biondo che spuntava da dietro l’albero: incrociò la gamba sinistra dietro quella destra, appoggiando il piede nel punto dove, solo pochi istanti prima, aveva notato la figura solitaria di un sottile ramo secco; sotto il suo peso la fronda si spezzò con un rumore abbastanza forte da spaventare e far volare via un uccellino che sgambettava lì vicino alla ricerca di cibo. Ma il piccolo volatile non fu l’unico ad aver captato quel suono: il viso di Nick si sporse abbastanza dall’albero, lo sguardo attento per vedere e assicurarsi dove Brian fosse e la mano in posizione per lanciare la propria palla.

Non riuscì a lanciarla. E nemmeno si accorse del repentino e veloce movimento di Brian, solo un lampo bianco prima che si scontrasse e si sciogliesse contro il suo viso. Un esplosione di freddo e di ghiaccio si impadronì del suo viso e, per qualche secondo, Nick dovette mordersi il labbro pur di non lasciarsi fuggire gemiti e imprecazioni. L’imbarazzo venne quasi subito spazzato via e sostituito da un primo velo di arrabbiatura, una rossa sensazione che poco aveva a vedere con il freddo.

“Scusa... Nicky...” Tentò Brian di dire, nonostante le risate che uscivano dalle sue labbra.

Nick non riservò a Brian nemmeno un sguardo, passandogli davanti con un’espressione imbronciata sul volto e le braccia incrociate davanti al petto mentre marciava spedito verso l’ingresso di casa.

“Nick, scusa. Non volevo colpirti in viso.” Mormorò Brian, una volta corsogli dietro ed essendo riuscito a fermarlo mettendosi di fronte a lui.

“Però lo hai fatto.” Sentenziò Nick, pronunciando ancor di più il broncio sul suo volto.

“Fa male?” Il tono di Brian si era fatto più dolce, l’espressione sinceramente e visibilmente dispiaciuta. Di fronte a quegli occhi, la risolutezza di Nick sembrò sciogliersi via.

“Un po’.”

“Rientriamo dai. – Propose Brian, appoggiando il palmo della mano sulla guancia ancora rossa di Nick. – Posso farmi perdonare con una tazza di cioccolata calda?”

“Non dovrei...” Tentò Nick di rifiutare ma nemmeno la sua voce sembrava offrire tanta forza di resistenza.

“E se ce la dividiamo?”

“Mh...”

“E se aggiungo anche i mashmellows?”

“Beh, cosa stiamo aspettando?” Rispose Nick, prima di lasciarsi trascinare da Brian in casa e lasciando l’offesa subita fra il bianco della neve dietro le sue spalle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ed ecco qua la prima storia del 2015. *__* Ancora fluff, vi sto abituando un po' troppo. Qui urge tornare all'amato angst! lol
 

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Capitolo 6
*** * Faith & Love * ***


*Faith and Love*

 

 

 

 

 

 


 

 

It takes a lof of courage and trust

To look past what you’ve been through,

And trust someone new not to put you

Through it again.

 

 

 

 

 


 

L’orizzonte aveva dato inizio al suo spettacolo più affascinante, rilegando a sfondo lo scenario che sfrecciava via e si dava il cambio man mano che i chilometri aumentavano e venivano mangiati via dalla polvere sotto le ruote della macchina. Il tramonto incominciò a portarsi via la luce del giorno, abbassandola fino a quando nel cielo fu possibile incominciare a vedere la ancora spenta e debole fisionomia della luna; il cielo diventò la tavolozza di un invisibile pittore che, con pennellate estreme, incominciò a gettare macchie di rosso e di rosa, arancione e un azzurro così tenue da diventare presto delle sfumature del viola e del primo strato di blu scuro. Attorno alla strada silenziosa, solitaria per quelle poche macchine che la sfrecciavano alla ricerca della propria destinazione, i prati nascosti dalla neve avevano dato prima spazio alle città, maestose con i loro alti grattacieli, e poi a scenari verdi, con un clima ben più caldo e mite per permettere al freddo di attaccare e vincere.

Nell’abitacolo della macchina regnava il silenzio, nemmeno la radio era stata accesa per far compagnia al solitario guidatore: le dita erano strette attorno al volante, una stretta così intensa da lasciare le nocche bianche e uno sforzo che tendeva i nervi della mano e del braccio; la mascella, ben definita e ancor più pronunciata da chili persi nei mesi, era contratta e tesa come se necessitasse di ogni energia per potersi concentrare sulla strada che si estendeva davanti agli occhi azzurri. E, in qualche modo, era esattamente così perché la mente non si trovava in quel preciso istante fisico e reale, ma viaggiava su di un’altra corsia, ripensando e rivalutando quella decisione presa così all’improvviso.

Non si doveva trovare in quel luogo. Né quella avrebbe dovuto essere la sua meta.

Ma, spinto dal puro istinto, Brian aveva cambiato strada quando già si trovava vicino alla casa dei suoi genitori in Kentucky. Non sapeva dire quale fosse stata la ragione che lo avesse spinto a quella decisione come impulsiva e così poco tipica: forse, era stato il pensiero che, di lì a poco, si sarebbe ritrovato accerchiato da coppie consolidate e affiatate da fargli già salire il nervoso e la rabbia; forse era stato il pensiero che era Natale e che, con un pizzico di magia, avrebbe potuto trovarsi in un luogo e con una persona che aveva sempre solo e solamente desiderato e sognato.

Quello, forse, era stato l’impulso che aveva spinto Brian a cambiare ogni piano e progetto.

D’altronde, che cosa aveva da perdere?

Una vocina si insinuò, proprio mentre la mano si spostava sul cambio e ingranava la marcia. Una vocina si insinuò e gli ricordò che c’era ancora molto che poteva lasciarsi sfuggire dalle dita, soprattutto quell’amicizia che, negli ultimi anni, si era quasi ridotta a brandelli e ombre di quel rapporto unico e raro che avevano avuto in passato. Se fosse andato tutto in fumo, se ciò che aveva in mente si fosse trasformato in un incubo, Brian si sarebbe ritrovato senza più niente a cui aggrapparsi per poter andare avanti.

Sarebbe stato facile lasciarsi prendere dallo sconforto. Sarebbe stato facile lasciarsi sopraffare da tutta quella negatività che stava sempre più conquistando centimetri del suo mondo. Eppure Brian non riusciva ad essere così totalmente vittima di quel buco nero che stava cercando di divorarlo: anche se avesse perso la voce, anche se aveva già distrutto anni e anni di esemplare figura di marito e uomo di famiglia, Brian sapeva di potersi trovare sulla soglia di qualcosa ancor più bello. Quel qualcosa per cui aveva trovato la forza di strapparsi via una veste che non era mai stata completamente sua e che aveva usato solamente per nascondersi, un po’ per vigliaccheria e un po’ per paura. E se c’era qualcosa che Brian aveva imparato in tutti quegli anni, se c’era una preziosa lezione imparata da tutti i suoi problemi di salute, era che non si doveva mai sprecare tempo prezioso in rimorsi o in recriminazioni per non averci almeno tentato.

Ecco perché la sua macchina aveva appena superato il cartello che indicava il confine della città di Nashville ed ecco perché essa si muoveva silenziosamente fino a giungere a quel quartiere che aveva imparato a conoscere. La via era illuminata dalle decorazioni natalizie che avvolgevano i profili delle case: alcune sembravano esser state vittime di una letterale e reale esplosione di luci, visto che ogni centimetro del tetto e degli alberi sembravano essere illuminati a giorno; altre, invece, erano molto più minimaliste e sembravano essere le sorelle povere – o tirchie – delle loro vicine.

Brian fermò la macchina di fronte all’unica casa sprovvista di alcuna luce o decorazione. Se non fosse stato per le luci che provenivano dalle finestre del primo piano, qualcuno avrebbe detto che quella casa fosse disabitata o abbandonata dall’eccentrico proprietario che, forse, solo qualche fortunato era riuscito a scorgere. Spense il motore ma, ancora, non riuscì a scendere e risalire il vialetto per poi giungere di fronte all’ingresso. Non si era preparato discorsi, non sapeva nemmeno quale scusa usare se si fosse ritrovato di fronte Nick e la sua fidanzata. Ma sarebbe stato un controsenso rimanere chiuso nell’abitacolo dopo essersi fatto tutti quei chilometri. Non c’era altra soluzione che prendere le chiavi, uscire dalla macchina e affrontare ciò che poteva aspettarlo dietro quella porta.

Fortuna o sfortuna.

Felicità o disperazione.

Sogno o incubo.

In qualsiasi modo sarebbe andata, Brian si disse mentre diminuiva i metri che lo separavano dall’ingresso, era sempre meglio avere una risposta definitiva invece che vivere in quella sorta di limbo fra desiderio e tentennamenti. Con un sospiro che voleva essere di incoraggiamento, Brian alzò la mano e, chiudendola in un pugno, si apprestò a bussare alla porta. Dall’interno della casa arrivarono gli inconfondibili rumori di chi si stava avvicinando, accompagnati da un semplice “arrivo” mentre le luci del portico si accendevano.

Una volta aperta, la porta rivelò un sorpreso Nick nel trovarsi di fronte Brian. “Brian? Che... che cos ci fai qui?”

“E’ un brutto momento? Forse avrei dovuto chiamare...”

“No, no, figurati. – Esclamò Nick, aprendo la porta in modo da farlo entrare. – Anzi, mi fa piacere.”

“Lauren non c’è?” Domandò Brian, seguendo Nick all’interno della casa e incominciando a togliersi la giacca.

“No.”

A quella risposta così laconica e lapidaria, Brian aggrottò la fronte in una linea di confusione. Solitamente, Nick partiva sempre per la tangente a spiegare tutti i motivi per cui Lauren non era con lui in quel momento, con quel tono sempre orgoglioso specialmente se si trattava di nuove opportunità lavorative. Invece, quella volta, il tono sembrava quello di colui che non voleva parlarne nemmeno sotto tortura.

Era strano.

E ancora più strano era il fatto che, una volta passati nel salotto, non c’erano decorazioni natalizie, nemmeno il più piccolo degli alberi, a ricordare che periodo e, soprattutto, che giorno fosse quello. E non era da Nick. Non, almeno, il Nick che diventava sempre pazzo per tutte le luci e le decorazioni, capace di girare per ore in modo da trovare il regalo perfetto per chiunque conoscesse. E Brian sapeva il motivo dietro a quel comportamento, Brian sapeva che era il modo di Nick per riprendersi tutti quei Natali trascorsi fra alcohol e litigate, discussioni e pianti perché non c’erano soldi per anche solo pensare ad abbellire e decorare un albero.

Qualcosa doveva essere apparso sul suo volto, qualche confusione doveva essere trapelata perché Nick si affrettò a dare una spiegazione per quell’assenza e quel vuoto.

“Scusa ma non ho fatto in tempo a decorare. Siamo stati via praticamente... beh, praticamente sempre.”

“Nemmeno Lauren ha avuto tempo? – Gli domandò Brian mentre si avvicinava al camino ormai spento. – Ancora non hai imparato come si accende il camino, signor Carter?”

Nick si inginocchiò accanto a lui, così vicino che Brian poteva captare quel profumo che era sempre stato solo di Nick, così famigliare e così inebriante.

“Ricordo che un certo ragazzo tentò di insegnarmelo...” Ribattè Nick con un mezzo sorriso, quel sorriso che Brian aveva visto offrire a milioni di ragazzine e che sapeva, oh con precisa esperienza, quale fosse l’effetto comune. Ma lui non era una di quelle milioni di ragazze, oramai donne. Lui era Brian e, davanti a lui, c’era Nick, il suo migliore amico. Nick, che usava le battute e i sorrisi maliziosi per sviare l’attenzione dai suoi problemi.

“Nick, che succede?”

Nick alzò gli occhi al cielo per qualche secondo, lasciandosi sfuggire un sospiro. “Non riesco proprio a nasconderti niente, vero?”

D’istinto, Brian allungò la mano e appoggiò il palmo sulla guancia dell’amico. “Ti conosco troppo bene.”

“Non volevo dirtelo. Non ora, almeno.”

“Perché?”

“Hai già fin troppo a cui pensare. E so che cosa avresti fatto, ti saresti dimenticato di tutto pur di consolarmi.”

A quella parola, Brian si ritrovò a lasciare uscire un respiro che nemmeno si era accorto che aveva trattenuto fino a quel momento, prigioniero dell’ansia e della paura che qualcosa di davvero brutto fosse successo all’amico. D’altronde, ultimamente la fortuna non girava molto dalle loro parti.

“Consolare?”

“Io e Lauren non stiamo più insieme.”

“Da quando?” Domandò Brian visibilmente sorpreso.

“Due mesi.”

“Eravate... – Incominciò a dire Brian ma poi si bloccò, lasciando cadere la frase e la punta d’invidia che quelle parole avrebbero inesorabilmente lasciato trasparire. - Come mai?”

Nick voltò lo sguardo verso le fiamme che stavano ormai esaurendo le ultime sfumature di rosso e calore. “Stavo commettendo lo stesso errore dei miei genitori. Mi stavo sposando anche se non ero davvero innamorato. Lauren rimarrà la mia migliore amica ma non potevo legarla in un matrimonio solamente perché avevo paura di rimanere da solo.”

La rivelazione arrivò come un vortice di onde che tentarono di prendere Brian ostaggio. Era venuto lì pronto a dichiararsi anche se sapeva bene che non ci sarebbe stato un immediato lieto fine: la vita e la realtà non erano un film romantico o un romanzo dove qualsiasi ostacolo veniva cancellato via non appena i due innamorati si scambiavano le proprie confessioni e dichiarazioni. Nemmeno sapeva, Brian, se Nick davvero poteva o già ricambiava i suoi sentimenti. Ma c’era la speranza. E, in quel momento, essa viaggiava come la più forte delle farfalle, rinvigorita e rinforzata da quelle parole che lasciavano uno spiraglio. Erano soli, erano entrambi soli con il cuore pronto a battere per qualcun altro. E il suo, quello di Brian, aveva sempre battuto il nome di Nick, anche quando era stato troppo impaurito per sentire quelle sillabe. Quella era la sua occasione e così chiara e limpida non si sarebbe mai presentata nel futuro: avrebbe dovuto, Brian, coglierla ora che era lì davanti a lui, così vicina e così troppo eccitante per non toccarla. Anche se sarebbe poi tutto finito in un rifiuto, anche se magari Nick non stava implicando nulla con quelle parole e quel sottile significato era stato semplicemente aggiunto dal suo cuore desideroso di sentirsi parte di qualcosa più grande di se stesso.

C’era la speranza ed era quello il senso più vero e intrinseco del Natale. Lasciarsi avvolgere da essa e, anche solo per qualche ora, desiderare e credere che qualcosa, un miracolo anche minuscolo, sarebbe potuto accadere. E nonostante tutto quello che aveva passato, nonostante tutto quello che ancora Brian stava passando, la speranza e la fede non si erano mai dileguate al primo ostacolo: si erano affievolite, certe volte avevano dovuto abbassare la testa e rimanere in silenzio ma non lo avevano mai abbandonato.

E non lo avrebbero fatto nemmeno ora.

Il palmo della mano continuò a rimanere appoggiata sulla guancia ma fu il viso di Brian ad avvicinarsi fino a quando non ci fu più distanza fra lui e Nick. Vide la curiosità illuminare l’azzurro di Nick, vide la sorpresa diventare una linea sulla fronte ma vide le labbra incominciare a muoversi per poter pronunciare una domanda. Esse, però, non ebbero mai tempo di dar voce a quella domanda perché le labbra di Brian si appoggiarono sopra di loro, abbracciandole in quello che, almeno inizialmente, fu un dolce e, allo stesso tempo, appassionato bacio. Erano iniziali piccoli tocchi, come se Brian temesse che, da un momento all’altro, Nick potesse tirarsi indietro; erano battiti d’ali, erano piccole scintille di dolore quando Brian decideva di assaporare quei lembi di pelle, per poi ritornare ad accarezzarli come se volesse chieder scusa a Nick.

Ogni dubbio, ogni tremore e ansia venne scacciata via in Brian nel momento in cui le mani di Nick trovarono la loro posizione una sul fianco e l’altra fra i capelli, le dita che giocherellarono con quei fili che una volta erano stati dei riccioli e che ora, invece, sembravano così fini che anche una sola carezza poteva farli scomparire come se fossero granelli di sabbia. Quelle dita, quelle mani, spinsero i due corpi fino a che potessero annullare qualsiasi residuo di distanza e vuoto fra di loro, fino a quando sia Brian sia Nick potevano sentire i fremiti e le risposte che nascevano da quell’intimo contatto.

La passione alimentava altra passione, la dolcezza si era sciolta e aveva lasciato spazio ad ondate di bisogno e desiderio quasi primordiale, quasi come se finalmente avessero scoperto che solamente con il respiro era possibile vivere. E la sorpresa, la confusione e quello shock fatto di estasi, rimanevano quasi in un angolo perché come Nick non si sarebbe mai aspettato quell’azione da parte di Brian, Brian non si era mai aspettato quella reazione. L’aveva desiderata, certo. L’aveva sognata e aveva sperato, fino all’ultimo, che Nick potesse rispondergli esattamente come succedeva nelle favole e nei libri. Eppure, anche se accarezzata e immaginata, quella reazione immaginaria non aveva nulla in comune con quella reale.

Un sospiro di frustrazione sfuggì ad entrambi mentre si staccavano, rimanendo però sempre l’uno contro l’altro: fronte contro fronte, occhi negli occhi e assorti semplicemente a osservarsi con una nuova luce, una lente che solamente in quel momento potevano incominciare ad usare e che rendeva tutto più bello.

“Ecco perché sono venuto.”

La risata di Nick si alzò e, per un secondo, Brian fu tentato di riappoggiare le labbra sulla sua bocca solamente per rubarla e tenerla via, custodirla come il primo di tanti gesti che avrebbero costellato la sua vita da quel momento.

“Sei venuto per baciarmi?” Mormorò Nick con un sorriso, le dita che continuavano ad accarezzare la pelle del fianco coperta dal maglione.

“Farti sapere che cosa provavo. Sperare in un miracolo.”

“Il miracolo che io ricambiassi i tuoi sentimenti?”

“Sì.”

“Perché proprio adesso?”

Brian socchiuse gli occhi, mordicchiandosi il labbro inferiore. “Tu sei sempre stato l’unica mia vigliaccheria. Avevo paura. Ho sempre avuto paura e temuto che cosa potesse pensare il mondo se ti avessi mai confessato i miei sentimenti. Forse anche perché non pensavo di poter essere alla tua altezza o di avere anche la minima possibilità che tu provassi qualcosa per me. Sei sempre stato fin troppo speciale e unico per un ragazzo comune, normale e banale come me.”

Un bacio si appoggiò sulle sue labbra. “Ti sei mai domandato perché, fra tutti, eri tu l’unico contro cui mi scagliavo durante il mio periodo buio?”

“Perché ero uno stronzo?”

“Non lo eri. O, almeno, spero.”

“Odiavo che ti stavi facendo del male. Odiavo la persona che stavi diventando. E odiavo sapere che non potevo fare niente per aiutarti.”

“Non eri uno stronzo, allora. – Ammise Nick mentre il suo indice scivolava sulla pelle, risalendo la spina dorsale e provocando un brivido in Brian. – Ero io lo stronzo che ti punivo per qualcosa di cui non avevi colpa. Anch’io ero codardo, ti amavo ma non sapevo come dirtelo e odiavo, odiavo che tu non ti accorgessi di me e di quanto stavo male. Odiavo sapere che non avrei mai potuto avere una possibilità. Odiavo, soprattutto, vederti felice con qualcuno che non ero io.”

“Mi spiace.” Le parole di Brian volarono via in quel piccolo scrocchio di bacio che si appoggiò su un angolo della bocca.

“Non è colpa tua. – Rispose Nick con un mezzo sorriso, la mano che dalla nuca scivolò sulla mascella e poi risalì fino a giocare con quel ciuffo che, ribelle, scendeva sulla fronte. – Ci ho impiegato molto, forse più del necessario. Ma mi ero messo l’anima in pace, avevo accettato che non saresti mai stato mio e che, almeno, chi mi stava sostituendo ti stava rendendo felice. E dovevo trovare anch’io un modo per esserlo.”

“Lauren.”

“Esatto.”

“Che cosa è cambiato?”

“Che cosa è successo due mesi fa?”

La risposta non impiegò molto per prendere forma davanti agli occhi di Brian. Come poteva dimenticarlo? Quel giorno era ben impresso nella sua mente. “Il mio divorzio. – Pronunciò quindi. – Ma perché non hai fatto o detto niente?” Domandò poi con una linea di confusione ad aggrottargli la fronte.

“Volevo. Soprattutto perché non sopportavo di vederti così triste. Ma con la storia della custodia per Baylee, non volevo metterti sulle spalle altro peso inutile.”

Brian non seppe dire, esattamente, per quale motivo si ritrovò con gli occhi gonfi di commozione. Forse, finalmente, si stava rendendo conto che non era solamente un meraviglioso sogno, una frammento che aveva desiderato così tanto da farlo crescere e diventare una sorta di realtà alternativa.

Ma era realtà.

Era la migliore Vigilia di Natale che Brian avesse mai trascorso, seconda sola al primo e magicamente unico ventiquattro dicembre di Baylee. Forse, era così speciale quel giorno perché almeno una cosa, nella sua vita, stava prendendo il verso giusto invece che rivelarsi un’ennesima delusione. Forse perché, proprio sotto Natale, un piccolo pezzo di vuoto era stato cancellato via dal suo cuore e anche se era consapevole del fatto che un bacio non rimetteva insieme tutti i pezzi e che lunghi discorsi sarebbero rimasti ad attenderli, quella piccola magia faceva gonfiare il cuore di Brian e il groppo in gola, finalmente, aveva solamente lacrimi e radici positive.

Non parlò dunque. Non sapeva esattamente che cosa dire, non voleva sprecare altro tempo con parole che avrebbero potuto perdersi perché entrambi ancora troppo assuefatti dal solamente stare in quella posizione, vicini come mai non lo erano stati e senza più la paura di non essere appropriati o consoni.

Brian non parlò ma lasciò, comunque, che fossero le sue labbra a mormorare e lasciar trapelare messaggi di amore. Esse lasciarono quelle vocali sulla bocca di Nick, consonanti sugli angoli per poi ritornare ed unirle insieme alle loro sorelle; sillabe e frasi, invece, incominciarono a danzare sulla linea della mascella, a scendere sul collo e restare per qualche secondo in quella labile e sensibile linea di confine fra spalle e petto.

“Rimani qui. - Sussurrò all’improvviso Nick, una richiesta che si avvicinò solamente in un respiro nell’orecchio. – Rimani qui con me.” La seconda richiesta era più intrisa di desiderio e bisogno, un qualcosa che trovava perfettamente compagnia con il compagno che viveva dentro Brian e che non voleva lasciare quel corpo o quelle braccia ancora strette attorno a lui. Ma non era pronto. Non per quel passaggio che sembrava naturale, quell’intimità che i loro corpi stavano chiedendo e reclamando con ogni battito e tremito.

“Nick... io...” Era un balbettio più che un semplice pronunciare una frase. E il rossore, in quel momento,poco aveva a che fare con l’eccitazione e il desiderio. Era più imbarazzo e un filo di vergogna ad infiammare le guance di Brian, pensando e considerando che non erano più adolescenti in attesa della loro prima volta. Anche se, in un certo senso, lo era.

Una prima volta.

Ma Nick intuì, Nick comprendeva e capiva Brian come mai nessun altro aveva mai fatto prima. Erano le sue stesse paure, d’altronde. Anche Nick temeva e aveva paura di saltare tutti gli step pur di avere ciò che aveva sempre desiderato. O, almeno, per qualche tempo aveva solo desiderato il corpo di Brian. Chi non lo avrebbe voluto?

Ora, però, era tutto diverso.

Erano diversi. Lui era un Nick differente e ciò di cui ora aveva bisogno e desiderava non era solamente sesso.

“Avremo tempo per quello. – Mormorò quindi, appoggiando le labbra sulle guance di Brian come se volesse scacciare via quel rossore. – Stasera voglio solo tenerti fra le braccia.”

“Per renderci conto che non è davvero un sogno?”

“Qualcosa del genere.”

 

 

 

 

 

 

 

 

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Furono due i motivi per cui Nick si svegliò quando ancora l’alba si stava ricordando di aver pur sempre un lavoro da fare nonostante fosse un giorno di festa.

La prima lo colpì con ancora gli occhi chiusi, le braccia avvolte attorno al cuscino e la voglia di non alzare la testa nemmeno se fosse stata un’emergenza. Ma quell’aroma si insinuò da sotto la porta e, senza incontrare nessun ostacolo, salì sul letto fino a quando non arrivò alle sue narici, ridestandolo da quel sogno meraviglioso.

La seconda, invece, costrinse Nick a svegliarsi di colpo, allungando la mano per rendersi conto che non era davvero uno scherzo. E non lo era, almeno in parte: il lato accanto al suo corpo era vuoto ma le lenzuola stropicciate e le coperte lanciate e poi perfettamente piegate raccontavano che qualcuno aveva effettivamente condiviso quel letto ma s’era già alzato senza disturbare il suo sonno. Non era stato un sogno o un cattivo colpo della sua mente: Brian era davvero venuto da lui la sera prima. L’indice della mano si appoggiò sulle labbra, lì dove ancora Nick poteva ancora sentire la sensazione della bocca di Brian.

Era davvero successo.

Un sorrisino incurvò gli angoli della bocca mentre Nick si stiracchiava.

Era davvero successo.

Non solo era riuscito a baciare Brian, non solo era riuscito a confessargli i suoi sentimenti e parte delle ragioni che lo avevano portato ad allontanarsi da lui e cadere, nel contempo, in quel vortice di autodistruzione. No, non era successo solo quello. Perché le sue parole avevano trovato sintonia e alleanza con quelle di Brian e, intrecciandosi l’uno con l’altro, avevano formato un nodo che Nick non avrebbe permesso a nessuno di sciogliere.

Con uno sbadiglio e un altro allungarsi, Nick si alzò e, dopo aver recuperato la maglietta, si decise ad andare a cercare Brian. L’olfatto lo precedeva e li indicava la strada, con direzione cucina, da dove l’aroma di dolci diventava sempre più intenso man mano che si avvicinava. Ma, una volta arrivato in salotto, Nick dovette fermarsi all’improvviso, sorpreso da qualcosa che, fino a qualche ora prima, mancava da quella casa.

Le decorazioni.

Nick non aveva mentito quando aveva detto a Brian che non aveva avuto il tempo. Tra che erano stati in giro metà dicembre per i concerti e tra tutti i mille impegni che si era preso per uno e l’altro progetto, albero di Natale e luci erano stati gli ultimi pensieri sulla sua lista. Ora, invece, luci intermittenti seguivano il confine del camino, da dove due calze lo aspettavano anche se ancora vuote. In un angolo, invece, l’albero faceva la sua figura con palle e fiocchi.

Rimase fermo per qualche secondo, gli occhi che pizzicavano per colpa di qualche lacrima di commozione che voleva uscire e veder anch’essa quello spettacolo. Il gesto, di per sé, era forse già più di quanto qualcun altro avesse mai fatto per lui ma sapeva, Nick, che il messaggio intrecciato fra palle e fili era ancora molto più personale, perché Brian sapeva quanto a lui mancasse poter festeggiare il Natale come non aveva mai potuto gli anni precedenti. Era sempre stato il suo sogno, d’altronde: festeggiare quel periodo, festeggiare quel giorno, insieme alla persona che amava di più. Per anni, aveva potuto solamente illudersi, quasi accontentarsi e sapeva che non era esattamente un pensiero molto riconoscente a Lauren.

Un accenno di canto si alzò dalla cucina, per poi però spegnersi velocemente così com’era nato. Fu quello l’indizio che spinse Nick a spostarsi verso l’altra stanza, quel luogo che poco aveva utilizzato perché non era mai stato un provetto cuoco. La luce era accesa, una soffusa aura dorata che si rifletteva contro i vetri, oltre i quali il cielo incominciava a tingersi di arancione e rosso; il tavolo non era mai stato così pieno di ciotole e ciotoline, alcune ripiene di glasse colorate mentre altre ormai avevano terminato il loro lavoro e aspettavano solamente di essere riposte nel lavabo. L’anta del forno era aperta, un aroma di biscotti che stavano dorando danzava fuori dalla grata e si disperdeva in tutta la casa ma non era quello a catturare la sua attenzione. Gli occhi e lo sguardo si ritrovarono e concentrarono sulla figura che stava controllando quei biscotti, il proprietario di quella voce che era scomparsa all’improvviso come se avesse avuto paura di essere ascoltata. Brian indossava una sua felpa e sembrava quasi scomparire al suo interno, troppo esile la sua figura anche per quella taglia che era diminuita con il passare degli anni.

In silenzio, senza ancora il desiderio di farsi scoprire, Nick osservò e studiò Brian e, nel contempo, esultando e rinvigorirsi di quella scena che, d’ora in poi, sarebbe stata qualcosa di quotidiano e non più un semplice sogno. Non lo aveva mai fatto, prima. Quando aveva osservato Brian, lo aveva sempre fatto con la malinconia di chi non avrebbe mai potuto avere ciò che desiderava: aveva osservato quel viso rimpiangendo di non aver mai avuto la possibilità di accarezzarlo o tracciare linee e confini; aveva rimirato quei muscoli, aveva desiderato quella pelle e, intrecciata con un misto di tristezza, aveva voluto passare la punta dell’indice su quella cicatrice che ancora non era scomparsa. Non si era mai permesso momenti come quello, attimi in cui poteva veramente osservare il ragazzo senza la paura che qualcuno lo scoprisse e gli chiedesse il perché. Non si era mai permesso, Nick, di prender nota di quei tratti tirati e stanchi, finalmente liberi dalla maschera che ostinatamente Brian continuava a portare per non preoccupare nessuno.

Nick era consapevole di aver volutamente sottovalutato la situazione. Volutamente, sì. Se si fosse preoccupato troppo, se davvero si fosse lasciato prendere ostaggio e controllato dalle paure, i suoi sentimenti si sarebbero mostrati ancor prima che lui potesse scegliere il miglior modo per confessarli al diretto interessato.

Aveva almeno dormito?

“Oh. Sei sveglio. – Esclamò Brian quando, alzando lo sguardo dal forno, si ritrovò davanti agli occhi scrutatori di Nick. – Volevo farti una sorpresa.”

Nick si ritrovò a sorridere, reazione quasi involontaria nel vedere il sorriso, seppur stanco, di Brian.

“Più di ieri sera? Più dell’esplosione natalizia in salotto?”

Con pochi passi, si avvicinò poi a Brian, facendo scivolare le braccia attorno alla sua vita e nascondendo il viso in quel lembo di pelle fra capelli e collo.

“Una cosa c’è da dire, ti scegli sempre compagni decisamente più organizzati di te. Lauren aveva catalogato ogni scatola e quelle natalizie erano impilate tutte assieme, quindi è stato facile tirarle fuori senza far rumore.” Mentre parlava, Brian appoggiò le mani attorno a quelle di Nick, assaporando fino all’ultimo dettaglio quella sensazione: il corpo di Nick stretto attorno al suo, come se fosse un secondo strato di vestiti; il respiro caldo sul collo, il lieve solletico che quei puffetti di aria causavano a contatto con la pelle e poi quell’intreccio di mani, la prova più concreta che non era un sogno. Nick era lì, il suo calore e il suo profumo lo stavano avvolgendo come la migliore delle coperte e, stretto in quell’abbraccio, era più facile dimenticarsi il motivo per cui era già sveglio da ore.

“Significa che stiamo insieme?”

“Vuoi la proposta ufficiale?”

Nick sfregò la punta del naso contro l’orecchio di Brian, appoggiandovi poi un lieve bacio in quello stesso punto. “In realtà, volevo corteggiarti.”

“Corteggiarmi?” Domandò Brian con un sorriso.

“Sì. Hai presente? Romantici appuntamenti, telefonate che potranno durare per ore...”

“Dimentichi un piccolo particolare.”

“Quale?”

“Lavoriamo insieme. Da febbraio viaggeremo anche insieme.”

“Oh. – Mormorò Nick, increspando le labbra. – Il mio piano non può funzionare, allora.”

Brian si voltò nell’abbraccio, alzando le mani in modo da giocherellare con il colletto della maglietta che Nick indossava. “Tranquillo, non hai bisogno di fare colpo.”

“Quindi possiamo già saltare la fase del corteggiamento?”

“Direi di sì. – Rispose Brian con una risata rauca. – Ormai già conosciamo i difetti dell’altro.”

“Stai parlando della tua mania ossessiva compulsiva dell’ordine e del pulito?”

“Ehi! - Esclamò Brian, tirando un pugnetto contro il petto di Nick. – Mi ringrazierai quando scoprirai quanto la mia ossessione sia utile!”

“Sono sorpreso che tu stia qui fra le mie braccia invece di pulire la cucina.”

“Mi hai interrotto. Avrei pulito mentre i biscotti si raffreddavano.”

“Che ne dici di riposare un po’, invece? – Ribattè Nick, un velo di preoccupazione notando quelle linee stanche attorno agli occhi del ragazzo. – E’ Natale, dopotutto. Sembra che hai dormito pochissimo.”

“Non è una novità.” Rispose Brian a sottovoce, staccandosi da Nick e dirigendosi verso il bancone dove, dopo aver preso in mano una spugnetta, incominciò a pulire la superficie dalle macchie di farina.

Per un secondo, Nick si ritrovò infastidito da quell’abitudinale nascondersi e scappare di Brian. Ma il fastidio cedette passo alla realizzazione che, per la prima volta, Brian non aveva usato il consueto “sto bene” come passaporto per nascondere qualcosa: lo aveva ammesso, invece; aveva lasciato intravedere quel primo strappo anche se ancora non si fidava completamente nell’aprirsi e appoggiarsi totalmente a lui. Ed era giusto così, ci sarebbe stato tempo per affrontare tutto, sarebbe giunto il momento in cui avrebbero dovuto parlare delle loro debolezze e trovare, insieme, un sistema per supportarsi a vicenda. E di una cosa Nick era certo: quella volta, il loro rapporto non sarebbe stato unidirezionale, con Brian come unico dispensatore di supporto, conforto e guida. Se c’era una cosa che Nick aveva cercato di ignorare, in quei mesi, era stato quel sentimento di voler prendersi cura di Brian che nasceva ad ogni nota spezzata, ad ogni smorfia di dolore mentre parlava così piano da aver quasi bisogno di avvicinarsi per poterlo ascoltare.

Ora poteva farlo.

“Beh, mio caro, la novità ora è che hai qualcuno con cui trascorrere le ore insonni. – Disse Nick, seguendo Brian verso il bancone e riprendendo la posizione in cui erano rimasti fino a qualche secondo prima. – Posso già trovare uno o due modi per stancare quella mente.”

Brian rimase silenzioso per qualche secondo, come se stesse combattendo per alzare le medesime opzioni della sera prima o se volesse aggiungere qualcosa per spiegare quel comportamento atipico. Invece, si voltò, un sorriso ed una luce negli occhi che sapevano solamente di felicità.

“Anch’io ho un’idea.”

“Davvero?” Domandò Nick sorpreso.

“Beh, dopotutto oggi è Natale.”

“Mh, non lo avevo notato.”

“E che cosa si fa a Natale?”

“Si mangia?”

“Ma tu non dovresti essere a dieta?”

“Non si sta a dieta durante le feste.”

Brian scosse la testa sconsolato. “A parte il mangiare, a Natale si fa anche qualcos’altro.”

Un lampo passò negli occhi di Nick. “Mi hai anche fatto il regalo?”

“Certo. Pensavi che mi sarei presentato qui a mani vuote?”

“Beh, letteralmente non ti sei presentato a mani vuote. Il bacio?”

“Dovevo avere un piano di riserva nel caso il primo non andasse a buon fine.”

Ormai in salotto, Nick si rese conto che, sotto l’albero, pacchi e pacchetti donavano una punta di colore in contrasto con il marrone scuso del parquet del pavimento.

“Lo sai che sei troppo piccolo e magro per essere Babbo Natale?” Scherzò Nick, appoggiando le labbra sulla fronte di Brian.

“Non sono tutti miei. Ci sono anche quelli di mia mamma, uno che Baylee ha scelto personalmente, Kevin... diciamo che ho fatto più da renna porta regali che da Babbo Natale.”

“Ti chiamerò Rudolph. Hai anche il naso della giusta dimensione.” Ribattè Nick, strofinando la punta del suo naso contro quella di Brian.

“Ahahah. – Ridacchiò Brian mentre, abbassandosi, recuperava il suo regalo. – Tieni.”

Era di medie dimensioni il pacchetto che Nick prese dalle mani di Brian. Era soffice al tatto, eppure Nick non riusciva nemmeno lontanamente a intuire che cosa potesse essere. Anche perché Brian si divertiva sempre a far su mille carte pur di non fargli mai capire che cosa potesse nascondersi dietro: quante volte aveva creduto di aver indovinato per poi scoprire che aveva sbagliato completamente.

“Non è che è solo carta, questa volta?” Domandò mentre, con cauti gesti, Nick incominciava a togliere il nastro.

“No, no. – Rispose Brian. – Anche se non è chissà che cosa.”

C’era una punta di rossore sulle guance di Brian, fatto che incuriosì ancor di più Nick. Una volta scartato, il pacchetto rivelò nessun’altra sorpresa al suo interno, solamente l’azzurro di mille tonalità di una sciarpa. E non una sciarpa qualsiasi. Sapeva, Nick, che non poteva essere quella che aveva perso o che qualcuno gli aveva rubato, era in fin troppe nuove condizioni per poter essere colei che lo aveva accompagnato in quei primi viaggi oltreoceano. Le dita scivolarono fra i fili di lana, lasciandosi accarezzare da quel tessuto caldo e che riportava alla mente ricordi e immagini che Nick non voleva scordare.

Non sapeva che cosa dire. Era come svegliarsi quella mattina e trovare la casa addobbata, era come aprire la porta e trovarsi di fronte il suo desiderio più grande: non c’era sogno che Brian non fosse riuscito a realizzare quel giorno. E no, Nick non sapeva che cos’altro dire se non una semplice parola.

“Grazie.” Mormorò con un filo di voce.

“So che non potrà mai sostituire quella andata perduta che ti aveva regalato Leslie. Ma aveva ragione quando te l’ha presa, l’azzurro ti dona davvero molto. – Spiegò Brian mentre, prendendo la sciarpa dalle mani di Nick, gliela avvolgeva attorno al collo. – Ho provato a cercare su internet, ho provato anche a chiedere a qualche fan se magari avevano più fortuna di me, ma sembra che chiunque l’abbia presa o trovata se la sia tenuta. Avevo quasi perso la speranza quando, a Londra, ho notato questa in un negozietto. Sembra la stessa e, fra qualche anno, avrà la stessa apparenza di usato e di comodo.”

La voce si inceppò, in Nick. Essa andò a sbattere contro il groppo, lasciandosi prendere ostaggio e diventare anch’essa commozione e lacrime. Ma Nick non voleva piangere, neanche per un motivo così carico di messaggio e di gioia. La risposta arrivò in un gesto, la risposta arrivò in abbassare il viso in modo da poter essere allo stesso livello di Brian e appoggiare la mano sulla sua guancia, spostando lievemente il volto del ragazzo in modo da facilitare il suo bacio. Non fu un veloce bacio di ringraziamento ma non si azzardò nemmeno ad assomigliare a quel primo e ancor più indimenticabile primo scambio di promesse e sentimenti. Quel bacio cercò, semplicemente, di far trapelare ciò che la voce non poteva significare in tutta la sua profondità, un ringraziamento per aver cercato di ridargli un pezzetto di sua sorella, anche se solo attraverso una copia di un ricordo a lui così caro. E quel gesto, se mai fosse possibile, non fece altro che aumentare ancor di più la devozione e l’amore in Nick per quello scricciolo di uomo fra le sue braccia.

“Wow.” Riuscì solamente a mormorare Brian, aggrappandosi con le braccia contro il corpo di Nick.

“Pensa che può solo migliorare.”

La risata si alzò dalle labbra di Brian, anche se Nick fu veloce a rubarla via con un altro bacio. “Anch’io ho un regalo per te, comunque.”

Una luce di curiosità dipinse di una tonalità più chiara gli occhi di Brian. “Davvero?”

“E’ da un po’ che volevo dartelo ma non trovavo mai il momento giusto. – Rispose Nick, prendendo un ciuffo di capelli e spostandoli dietro l’orecchio di Brian. – Aspetta qui.”

Mentre Brian si accomodava sul divano, posto di fronte al camino, Nick ritornò in camera per solo pochi secondi, giusto il tempo di recuperare quella scatoletta che si era portato dietro tante di quelle volte da aver visto, almeno, gran parte degli stati dell’Europa.

“Non ho mai... no, scusa, era una balla. Non pensavo di regalartelo a Natale così non ho fatto il pacchetto.” Annunciò mentre rientrava in salotto e, sedendosi accanto a Brian, gli porse una semplice scatola nera.

“Siamo già al momento della proposta?” Scherzò Brian, prendendo il regalo dalle mani di Nick.

“La vorresti?”

“Sono appena uscito da un matrimonio, non sono proprio materiale di prima scelta.”

“Nemmeno io lo sono.” Obiettò Nick seriamente.

“Lo eri, Nick. Lo sei sempre stato. Ora sei cambiato, ora sei maturato e chiunque farebbe passi falsi per poterti sposare.”

Per la seconda volta in quella mattina, Nick si ritrovò senza parole. Per tanto e troppo tempo aveva desiderato sentire Brian parlare in quel modo di lui, con quel tono orgoglioso che, solitamente, utilizzava per Aj. C’erano stati momenti in cui aveva voluto urlargli contro, domandargli che cosa altro avrebbe dovuto fare per meritare almeno una parola di orgoglio e, puntualmente, erano sempre i momenti in cui si ritrovava a commettere i vecchi errori. E solo quando aveva abbassato la testa e pensato solamente a lavorare su stesso, quello era stato l’attimo in cui quelle famose parole erano giunte all’improvviso.

“Dovresti... – Nick si schiarì la voce. - ... dovresti aprire.”

“Giusto.” Disse Brian mentre, con dita tremanti, incominciò ad aprire la scatola. Al suo interno, c’era solamente una collana in argento da cui pendeva una semplice croce.

“Girala.” Sussurrò Nick.

Brian seguì quel consiglio, voltando la croce in modo da osservare la parte opposta, una superficie completamente liscia se non fosse stato per una scritta, cinque lettere.

Faith. Fede.

“E’ ciò che ho sempre più ammirato in te. La tua incrollabile fede. Nonostante tutto quello che hai passato, riuscivi sempre a vedere un piano dietro a ogni ostacolo, una lezione che poteva essere imparato solo facendo quell’esperienza. E quando io non ne avevo, quando nemmeno riuscivo a credere in un minimo centimetro in me stesso, sapevo che ci sarebbe stato qualcuno che avrebbe sempre creduto ed avuto fede in me.”

“Ti sei perso, non solo per colpa tua. Ma sapevo che quel Nick, che ora mi sta davanti, sarebbe uscito prima o poi.”

“Visto? – Ribattè Nick, riuscendo a scoccare un bacio sulla fronte. – Hai sempre avuto fede in me, anche quando io pensavo che mi odiassi.”

“Odiavo ciò che facevi. Odiavo la persona che si era impossessata di te. Non ho mai odiato il Nick che ho sempre amato.”

“Te lo si legge negli occhi. Forse non per chi ti conosce bene e, per molto tempo, non ho voluto prenderne coscienza perché era troppo spaventoso pensarci sopra. Ma è lì, ad ogni nota spezzata e ogni giorno in cui la voce desidera scomparire per qualche tempo. – Nick mise la mano sulla collana, sfiorando appena le dita di Brian. – Credo in te. Ho fede che sconfiggerai questa stronza, anche se ora non riesci a vedere la fine.”

“Nick...” Il nome uscii in un singhiozzo, incatenato da obiezioni contro le quali Brian lottava ormai da fin troppo tempo. Aveva ragione, Nick, la sua fede non aveva mai mostrato segni di esaurirsi eppure, in quegli ultimi tempi, Brian faceva fatica ad affidarsi alla speranza. Che cosa serviva sperare quando poi l’ansia vinceva sempre?

“Credo in te, Brian. E non solo io. C’è un mondo là fuori che crede in te. E questa croce ne è la prova.”

Era sottile l’innuendo. Era implicito, esattamente come Brian non aveva mai detto a Nick di credere in lui quando nessun altro, nemmeno Nick stesso, lo faceva. E ora Nick gli stava ridando quella fede, un appoggio quasi fondamentale durante una battaglia come quella che lui si ritrovava a dover affrontare: perché quando essa era lunga, quando i due eserciti affondavano e si ritraevano come in delicato balletto dove ogni passo era studiato a tavolino, bisognava approfittare di tutto l’aiuto possibile. Era quella la lezione più importante che Brian aveva imparato in tutto quel disastro, quel terremoto gli aveva insegnato a prendere e chiedere aiuto nei momenti più disperati per poter andare avanti.

Fra le mani, fra le dita, Brian rigirò quella catena fino a quando si scontrò e si intrecciò attorno a quelle di Nick. Alzò lo sguardo, quindi, ben consapevole che, nei suoi occhi, Nick avrebbe trovato un luccichio bagnato.

“Mi aiuti a metterlo?”

Nick annuì semplicemente, prendendo la collana e mettendola attorno al collo di Brian. Prima di ritirarsi indietro, appoggiò le labbra su quell’incavo che, nonostante tutto, continuava a proteggere le corde vocali.

“Ti sta benissimo.”

“Adulatore.”

“Beh, solo adulandoti posso sperare di riportarti a letto.”

“Devo finire di...”

Nick lo interruppe ancor prima che Brian potesse elencare tutto quello che avrebbe dovuto fare. “Non devi fare proprio niente. L’unica cosa che puoi fare è alzarti, prendere la mia mano e ritornare in camera.”

“A fare cosa?”

“Qualcosa che tu non sei capace di fare. – Rispose Nick. – Fare assolutamente niente. Solo io e te. Che cosa ne pensi?”

Brian si lasciò sfuggire un sospiro prima di prendere la mano di Nick fra la sua. “Che è una splendida idea.”

Perché Natale era anche quello. Natale era stare insieme alla persona che più si amava, trascorrere finalmente qualche ora di tranquillità e di calma e, nel loro caso, imparare a conoscersi in modi e in situazioni che avevano sempre sperato di poter anche solo prendere contatto.

Era quello il regalo più bello che si erano fatti quell’anno. Loro stessi.

E la possibilità di iniziare, finalmente, una vita insieme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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 La vostra befana FrickNFrack vi ha portato, in dono, l'ultima storia di questo periodo natalizio. *__*
Questa storia l'avevo incominciata più di un anno fa: sarebbe infatti dovuto essere una storia il Natale 2013. A quell'epoca ancora non erano usciti gli spoiler sul documentario (Manca poco! *__*) quindi non sapevo che, realmente, Nick avesse detto a Brian che credeva in lui e che sapeva che sarebbe riuscito a trovare un modo per sconfiggere il suo problema alle corde vocali. ç_ç E poi mi si chiede ancora perchè considero questi due come due anime gemelle! *va in un angolo a coccolarsi i suoi bambini così belli.*
Come ho già detto in un'altra storia, quest'anno mi sono ripromessa di scrivere. Scrivere senza remore, scrivere senza dubbi e paranoie. Ridendo e scherzando, sono già a quota 61 storia in questo fandom e questa è una grande soddisfazione. Quindi aspettatevi molto da questi mesi (specialmente la conclusione della mia long più long.).
Buona Befana e alla prossima!

Cinzia 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** * Silly Love Songs * ***


*Silly Love Songs*







“I love you.

I can’t explain the feeling’s plain to me.

I love you.”

- Silly Love Songs, Paul McCartney.


 

 

 

 

 

 

 

A svegliare Brian non fu solamente la musica, quelle note che erano riuscite a intrufolarsi fra le pieghe di quell’invisibile coperta di sonno in cui il suo corpo e la sua mente continuavano a rannicchiarsi e nascondersi dentro. Non era stato nemmeno quell’impavido raggio di luce mattutina che, beffardo in quel suo primo tepore primaverile, aveva fatto capolino da quel soffio di finestra lasciata aperta per far entrare l’odore e l’aroma pungente della spiaggia e dell’oceano.

In un attimo, ancora indeciso se appartenere ancora al sonno o tornare al mondo reale, Brian si stiracchiò: gli occhi rimasero chiusi mentre i muscoli si allungavano come docili felini, le dita della mano destra che andarono a indagare lo spazio del letto accanto al suo corpo.

Vuoto. 

Fu quell’indizio a ridestare completamente il ragazzo: le palpebre sbatterono di più di una volta contro la pelle, nel tentativo di staccarsi dalle maglie di sonno che non avevano intenzione di allentare la presa, mentre l’olfatto captava con più intensità ciò che, inizialmente, aveva infranto il primo mattone di difesa.

Cucina e Nick erano potenzialmente una combinazione esplosiva. Nel più elementare e letterale senso di quell’espressione.

Brian scostò velocemente le lenzuola, posando i piedi sulle piastrelle ancora lievemente influenzate dalla temperatura freschina della notte; velocemente si spostò verso l’origine di quella famosa melodia e di quell’odore che, per quasi un miracolo divino, stava diventando sempre più accattivante e di buone speranze. Lì, giunto alla cucina, Brian si fermò sulla soglia mentre un primo sorriso mattutino si dipingeva sulle sue labbra di fronte a ciò che i suoi occhi carpivano e ridisegnavano all’interno della sua mente. D’istinto, come raramente gli era successo in quegli ultimi anni, un accenno di voce incominciò a seguire le note provenienti dall’Ipod, acceso su di una mensola: all’inizio, la sua melodia fu rauca e ancora aggrovigliata dalla polvere di sonno e di inutilizzo durante le ore notturne. Poi si fece su sicura, determinata, quasi si fosse dimenticata di quella tensione che l’affliggeva e di quell’ansia che l’aveva tenuta prigioniera per fin troppo tempo.

I pancake furono presto dimenticati nella padella ancora sul fuoco. A quella voce Nick si voltò con gli occhi sgranati dalla felicità, resa ancora più intensa e viva da ciò che, a tratti, sembrava un flashback ripreso e rispolverato da un passato glorioso. Rivedere quel ragazzo, quel Brian così sicuro e naturale nel cantare qualsiasi motivo o nota gli si presentasse davanti, era il più bel buongiorno che si potesse desiderare.

La voce di Nick si unì a quella di Brian mentre i due corpi si avvicinavano e, una volta stretti l’uno all’altro, incominciavano a danzare all’unisono. Un accenno di risata interruppe il suono di Brian, gli occhi azzurri che brillavano e non solo per i raggi di quella mattina così calda.

“Hai bruciato i pancake.”

“Sono stato distratto.”

In punta di piedi, Brian appoggiò le labbra su quelle di Nick, sfiorandole e accarezzandole in un bacio che sapeva di risata e di note.

I love you, silly boy.” 









 

 

 

 

 

 

 

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Sì.

Non solo ho pubblicato qualcosa ma è pure fluff. L'apice del fluff. Più fluff di così si muore (solo se si mangiano i pancake cucinati da Nick. lol). Che posso dire? L'ispirazione è nata mentre ascoltavo questa canzone e avevo bisogno di scrivere qualcosa di totalmente leggere e romantico. Come questi due. (I miei due amori *__*)

Alla prossima!

Cinzia 

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