Quando gli schiavi chiudono gli occhi

di Jordan Hemingway
(/viewuser.php?uid=664958)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Quando gli schiavi chiudono gli occhi


Image and video hosting by TinyPic
 
 
1.
φεύγοντας άνδρας έλπίδας σιτουμένους
So come gli uomini in esilio si nutrano con sogni di speranza.
Agamennone, Eschilo
 
 
 
Si dice che siano gli dèi a governare il fato del mondo e, come dio, non ho mai avuto dubbi al riguardo: questo fino a quando il destino di Electra Bianca Lama non ha incrociato il mio.
Non che ne avessimo discusso: il vocabolario della ragazza, squisitamente vario per quel che concerneva armi e strumenti di distruzione di massa, era purtroppo limitato in ogni altro tipo di conversazione, soprattutto riguardo la filosofia.
Forse per questo quando introducevo l’argomento la sua spada si conficcava sempre a pochi millimetri dal mio orecchio destro.
Sto correndo troppo.
Prima che diventassimo così intimi, di Electra conoscevo solo quello che i suoi compagni dicevano di lei.
Traditrice della propria stirpe, assassina di regine.
La sorella dell’uomo che per un trono aveva ucciso la madre.
 
 
“Si aspettano che giuriamo fedeltà?” Sputò uno dei soldati: il grumo biancastro di saliva e lotous andò ad impastare le pietre della piazza antistante il palazzo reale. “Nostra Signora Clitemnestra si rivolterebbe nella tomba, se quegli sporchi animali gliene avessero eretta una.”
Il suo compagno, un mercenario avvolto nel suo mantello multicolore, lo osservò di sottecchi. “Tu appartieni al reggimento di Electra. Vi ho visti combattere assieme sotto le mura di Ilio, schiena contro schiena.”
Il primo soldato, le cui cicatrici testimoniavano il coraggio e la fortuna, si girò con rabbia. “Che cosa vuoi dire con questo? Voi carne mercenaria non potete capire.”
“Voglio dire quello che ho detto: avete combattuto assieme ad Ilio.” Il mercenario inclinò la testa. “Guarda.” La folla radunata nella piazza iniziò a rumoreggiare contro il corteo che si dirigeva verso il palazzo. “I nuovi padroni.” Commentò, vedendo sfilare Oreste, il matricida, accompagnato da pochi strateghi e dal fido Pilade, il principe che aveva rinunciato ad un regno per aiutare l’amico a conquistare il proprio. Una giovane donna, segnata dalle battaglie, guidava il drappello di scorta: la sua corazza era di cuoio bianco e alla cintura portava una spada di uno strano materiale, candido quanto il suo viso illuminato da una galassia di lentiggini.
Electra scrutava la folla, ignorando le proteste che a volte si levavano più forti degli applausi pagati a caro prezzo dai forzieri reali. I suoi occhi, un eco delle ombre del Tartaro, si posarono sul mercenario dal mantello colorato per poi passare al soldato che con lei aveva combattuto.
“Non saluti la Bianca Lama?” Mormorò il mercenario.
“La Bianca Lama?” Il primo soldato distolse lo sguardo. “La Bianca Lama è morta il giorno del matricidio.”
Il corteo entrò nel palazzo reale.
 
 
“Hanno eretto un nuovo tempio.”
Oreste congedò gli strateghi e la scorta, i cui passi risuonarono sotto le buie arcate di pietra. Electra e Pilade erano l’unico pubblico di cui aveva bisogno.
“Le hanno eretto un tempio, capite?” La maschera che lo aveva protetto lungo tutta la giornata si frantumò: il giovane sovrano di Argo cadde a terra, in ginocchio. “Nostra Signora… Hai ottenuto quel che volevi, madre?” Il suo urlo riecheggiò tra le volte del palazzo. Pilade allungò un braccio verso l’amico, ma venne respinto.
“Rialzati fratello. Potrebbero sentirti.” Electra, la donna di ghiaccio: Oreste non ricordava una singola volta in cui la sorella avesse manifestato emozioni. I suoi occhi sfidarono quelli di lei: cielo contro tartaro, luce contro oscurità.
“E se fosse?” Con uno scatto repentino, Oreste sguainò la propria spada e la lanciò con forza: la lama si conficcò nel trono ligneo che era stato di Agamennone e Clitemnestra. “Le erigono un tempio e l’adorano come una dea. Se solo sputassero sul suo nome e su quello dei cosiddetti dèi, allora avremmo una possibilità di vittoria.”
Pilade fermò l’ondeggiare della spada. “Non ci sono vittorie senza guerre.”
“Ci sono state!” Oreste saltò in piedi e fronteggiò l’amico. “Mio padre, tuo nonno, i nostri antenati… Hanno tutti versato il loro sangue per combattere l’invasione, e nessuno lo ricorda!”
“Il piano deve proseguire.”
La voce di Electra aveva il potere di gelare ogni disputa sul nascere: un dono che molti strateghi le avevano invidiato, prima di quel giorno.
“Ognuno di noi ha un compito: il tuo, fratello, è quello di brillare seguendo gli ordini dell’ Athena. Il mio è di farti risplendere grazie alle ombre che mi circondano.”
“E se non volessi più seguire il piano?” La sfidò Oreste.
Fu Pilade questa volta ad intervenire, posandogli una mano sulla spalla. Una mano forte, calda, così diversa dalle dita sempre fredde di Oreste. “Non ci sono alternative: non possiamo tornare indietro, non dopo…” Si interruppe, sapendo che gli altri due avrebbero capito.
Un sospiro fu la risposta dell’amico. 
“Doveva essere fatto.” La Bianca Lama non aveva esitazioni, in battaglia come nell’omicidio a sangue freddo. Un’altra qualità apprezzata, prima di quel giorno.
“Doveva essere fatto.” Ripeté Oreste: la maschera di imperturbabilità era di nuovo sul suo volto.
Pilade lasciò cadere la mano.
“Dobbiamo sapere quanto supporto è disposta a darci l’Athena. Se dobbiamo distruggere la Poseidon, dovranno concederci l’uso delle armi divine.”
Il re di Argo si rivolse poi alla sorella. “Prepara le tue truppe per la ricognizione, sorella. E ricordati del piano, sopra ogni cosa.”
Un inchino, e Electra era già scomparsa nell’oscurità del palazzo.
Una dote ammirata, prima di quel giorno.
 
 
Mi fu riferito che Clitemnestra non gridò né supplicò il giorno in cui i figli adottivi vennero a toglierle la vita.
Le leggende che ora circolano nelle taverne di Argo la ricordano come una sovrana nobile e devota agli dèi , che nel momento finale porse fiera il petto alla lama di coloro che aveva allevato.
Ovviamente nulla di tutto questo è vero, a cominciare dalla devozione.
E credetemi sulla parola, poiché ho visto tutto con i miei occhi – dettagli come quello della mia assenza fisica sul luogo del delitto potrebbero annoiarvi, per cui non mi dilungherò in spiegazioni tecniche: sappiate solo che ho guardato Clitemnestra morire e vi assicuro che lo spettacolo non ha avuto niente di nobile.
Quella donna urlava come un maiale al macello mentre implorava i figli per la propria vita e offriva loro tutto ciò di cui disponeva: ricchezze, onori, donne e uomini, cielo e terra.
Quando la Bianca Lama le affondò la spada nel ventre, Oreste chiuse gli occhi e non vide la madre spegnersi nella pozza di sangue e di merda che si allungava lentamente sotto di lei.
Uno spettacolo misero. E dire che la sua morte era stata decretata da una vera dea: mi sarei aspettato qualcosa di meglio che una scialba morte umana: ironia del destino per una che aveva tanto tramato per diventare una di noi.
Ma d’altra parte gli dèi non muoiono, si dice.
Un’altra menzogna.





Note dell'autrice: Salve! Questa storia è stata scritta per il contest This is War II-Situations, indetto da ManuFury su EFP Forum. Probabilmente è un po' tirata per i capelli, ma era da tanto che volevo scrivere una cosa del genere. ^^ So che al primo sguardo non sembra, ma è fantascienza, trust me. L'immagine iniziale è opera del tempo libero di mia sorella (che ringrazio nonostante l'anonimato). Grazie di aver letto fin qui!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 ***


Quando gli schiavi chiudono gli occhi


Image and video hosting by TinyPic
 
 
2.  
Είμαστε υπηρέτες των θεών, όποια και αν είναι οι θεοί.
Noi siamo servi degli dèi, qualsiasi cosa gli dèi siano.
Oreste, Euripide
                                                 
 
Nei suoi giorni migliori, Electra era stata venerata dalle sue truppe: essere al comando della Bianca Lama significava onore e gloria, battaglie senza respiro guidate da una condottiera in grado di portare gli animi dei guerrieri a vette di eroismo disumane.
C’erano stati tempi in cui interi eserciti erano stati disposti a morire a un suo ordine.
Quei tempi, per mia fortuna, erano passati da un pezzo quando decisi di arruolarmi.
“Tu devi essere pazzo.” Fu la constatazione di Teucro quando gli comunicai che da quel momento avrei servito assieme a lui nel reggimento della Bianca Lama, e per dare solidità al suo pensiero ingollò un boccale di vino in una sola sorsata.
Una reazione comune a molti umani: mi chiedo spesso se vi sia una qualche filosofia nascosta.
“Allora è vero, voi mercenari non siete sani di mente.”
“Colpa della polvere delle pianure persiane: penetra nella testa e fa perdere la mente.” Sorrisi.
“La pazzia è un dono prezioso di questi tempi: ogni notte prego gli dèi di farmi dimenticare chi sono e chi servo.”
 
 
Electra avanzava tra le sue truppe schierate ordinatamente. File e file di opliti, tra i migliori soldati del mondo conosciuto, che gli elmi e le corazze scure rendevano simili a un formicaio pronto a sciamare.
I visi impassibili di chi troppe volte era fuggito dall’amplesso con la morte all’ultimo istante per poter ora cedere alle sue carezze.
C’era stato un tempo in cui questi uomini avevano venerato il loro comandante come una dea. Ora non le rivolgevano più la parola. Non davanti a lei.
“Matricida.” Un sussurro al vento, niente di più, ma assordante come uno squillo di tromba.
La Bianca Lama continuò a passare in rassegna i suoi soldati.
“Empia.”
“Cagna.”
Gli strateghi non tentavano nemmeno di zittire il mormorio sempre più diffuso, tuttavia Electra continuava a camminare senza fretta, il viso pallido e gelido come una notte d’inverno punteggiata di stelle cadute.
Uno sputo cadde nella polvere dietro ai suoi piedi.
La Bianca Lama si fermò.
Teucro si trovò a fissare le iridi vuote di Electra, nere come il Tartaro nel quale avrebbe dovuto bruciare secondo le leggi divine che aveva infranto.
Per qualche secondo nessuno dei due distolse lo sguardo.
Il migliore dei soldati, il migliore degli amici.
L’unico comandante per cui darei la vita.
Electra si rivolse al soldato accanto a Teucro.
“Tu sei nuovo.” Un’affermazione, non una domanda: la Bianca Lama conosceva tutti i volti dei più di mille opliti al suo comando.
L’ex-mercenario aprì il volto in un ampio sorriso. “Sì, Bianca Lama.”
Da quanto tempo non sentiva più la voce di uno dei suoi uomini? Da quanto non li vedeva più sorridere?
“Chiamami comandante. Perché sei qui?”
“Voglio combattere assieme ai migliori. Mi è stato detto che questo è il posto giusto.”
Con un cenno d’assenso Electra avanzò oltre, concludendo l’ispezione.
Si portò al centro dell’accampamento: davanti a lei il suo reggimento era coperto dall’ombra che le mura di Argo e l’Athena ancoratasi a esse gettavano sulla pianura circostante.
La nave della dea sapiente era più snella e lunga della media: gli alettoni erano stati inseriti sul dorso dell’astronave, i motori erano abilmente nascosti nelle paratie laterali, da dove spuntavano gli sfiatatoi per l’energia in eccesso. Electra sapeva che quel mezzo era il più subdolo dell’intera flotta divina, dotato di scudi riflettenti che permettevano di scomparire dalla visuale delle sentinelle umane e dei radar d’avvistamento delle altre navi.
Grazie alla morte di Clitemnestra la dea sapiente non era più una nemica.
“Partiremo all’alba di domani.” I pensieri di Electra tornarono alla sua missione. “Attaccheremo l’esercito di Corinto, dove è ancorata la Ephestus. L’Athena ci accompagnerà per fornirci armi adeguate.” Dopodiché la Bianca Lama si ritirò nella propria tenda.
L’insoddisfazione serpeggiava tra le truppe.
“Armi divine dall’Athena? Impugnare un serpente sarebbe meno pericoloso.”
“Nostra Signora Clitemnestra avrebbe combattuto al fianco dell’Arthemis che abbiamo tradito.”
L’ex-mercenario allungò un gomito verso lo stomaco di Teucro.
“Che cosa significa?”
“Essere nuovo non è una scusa per l’ignoranza.” Latrò quest’ultimo, incamminandosi verso le tende. “Argo adora nuovi dèi: la dea sapiente che comanda l’Athena e il dio del cielo che comanda la Zeus, la nave più possente che abbia mai solcato questo mondo. Ora serviamo nello schieramento che abbiamo combattuto per anni.”
“Non vedo il problema.” L’ex-mercenario si strinse nelle spalle.
Teucro si irrigidì. “Tu non puoi capire, mercenario: per te è normale cambiare fede come una donna cambia i suoi calzari. Noi siamo greci.”
“E con questo? Gli dèi per me sono uguali.”
“Ascoltami bene, straniero.” Teucro si voltò e afferrò il braccio del mercenario. “Per tutta la vita ho adorato e servito Poseidon e Arthemis, come tutti in Argo, e ho obbedito agli ordini di Nostra Signora Clitemnestra. Ora servo dèi stranieri, e il mio nuovo re ha tradito il nostro credo.” Lentamente, Teucro mollò la presa.
“Continua pure a credere che ogni fede sia uguale, mercenario, ma non parlarne con me.”
Quest’ultimo lo fissò attentamente. “Che cosa rende Athena diversa da Poseidon?”
“La benedizione dell’Athena ha un prezzo, così come le sue armi. Il nome di Ilio dovrebbe dirti qualcosa.”
Teucro entrò nella tenda, senza quindi vedere l’espressione sul viso del mercenario.
 
 
A Corinto il Tartaro si era manifestato sulla terra.
A bordo dell’Athena Pilade osservava le schiere di soldati sciamare le une contro le altre e illuminare la notte con la luce delle torce e dei proiettili ardenti lanciati dalle catapulte.
“La Bianca Lama sembra in difficoltà.”
Oreste si avvicinò agli schermi, sfiorando appena il corpo dell’amico. “Electra ha già distrutto l’Arthemis: sa quello che fa.”
Una risata tintinnò alle loro spalle. “Davvero, re di Argo?” La plancia di comando si abbassò fino a raggiungere l’altezza del resto della sala. Pilade sapeva che avrebbe ormai dovuto essere abituato alla presenza fisica della dea sapiente, ma come sempre riuscì a malapena a trattenere il brivido di repulsione di fronte alla figura snella che avanzava verso di loro.
Gli dèi non avrebbero dovuto assumere forma umana, una forma nella quale riuscivano a convogliare fascino e potenza sufficienti a spezzare la mente di uomini e donne meno allenati.
Ironie della sorte: il monarca che vestiva i panni del popolo per visitarlo di nascosto. Peccato che i panni in cui la dea si avvolgeva fossero troppo splendenti per essere presi per umani.
Lo sguardo argentato della dea sapiente oltrepassò Pilade per posarsi su Oreste. “Re di Argo.” Ripeté, reclinando il capo come se stesse riflettendo su una battuta interessante. “Un re senza un popolo può definirsi tale?”
Oreste distese le labbra in un sorriso. “Kyria, il popolo di Argo obbedisce ai miei ordini, il suo esercito è ai miei comandi.”
“E tuttavia Clitemnestra è ancora signora del loro cuore.” La dea si strinse ad Oreste, afferrandogli il mento con una mano. “Sarai in grado di comandare l’attacco finale, re di Argo?”
La mano di Pilade si mosse involontariamente, nel tentativo di interrompere quel contatto.
“Per essere chiamata dea sapiente non dimostri molta intelligenza, kyria.” Alle parole di Oreste la dea strinse gli occhi. “Non sono forse ai tuoi ordini più di mille opliti guidati dalla Bianca Lama, che risponde a me e a te soltanto? Conosci poco i cuori degli uomini: la paura ci attanaglia, siamo deboli e facili a cambiare fede. L’esercito di Argo obbedirà al nuovo re e alla sua dea.”
La dea sapiente si staccò da lui con violenza. “Attento, matricida.” Sibilò. “Voi umani siete deboli: al primo successo credete di potervi innalzare al di sopra di noi dèi. Se le tue schiere non ubbidiranno ai tuoi comandi, nessuno di voi sarà più necessario all’Athena.”
Per un istante Pilade credette che la maschera di sicurezza di Oreste si sarebbe infranta.
Il sovrano chinò la testa.
“L’esercito obbedirà a me e alla Bianca Lama, te lo garantisco.”
La dea lo scrutò a lungo, poi reclinò il capo sorridendo. “Ti credo, re di Argo.” Si diresse verso la plancia. “E per dimostrarti la mia fiducia, ti affido un ordine per il tuo esercito. Dovete perdere la battaglia contro la Ephestus.”
“Che cosa?” Le parole sfuggirono dalla bocca di Pilade. La dea sembrò accorgersi di lui solo in quel momento.
“Qualche problema, soldato?” Aveva occhi come argento liquido, venato di ghiaccio, che si insinuavano nella mente per prenderne possesso. Pilade ammutolì e chinò la testa.
“Molto bene.” La dea mosse una mano, e la plancia tornò a risalire. “La battaglia deve essere persa, ma in modo naturale. La Ephestus deve credere di aver vinto fino alla fine.”
“E lasceremo Corinto in mano al nemico?” Chiese Oreste seccamente.
“Non ho detto questo: quando la battaglia sarà quasi conclusa l’Athena interverrà in prima persona.”
“Questo significa che la potenza di fuoco della nave è superiore a quella della Ephestus.” Oreste strinse i pugni. Solo Pilade intuiva quanto costasse al sovrano mantenere quella facciata di calma apparente. “Allora perché non intervenire subito ed evitare una strage?”
La dea sorrise. “Chiamala una prova di fede.”
 
 
Ricordavo bene Ilio.
Ne ricordavo ogni tempio, ogni casa, ogni crocicchio. Se chiudo gli occhi posso ancora vedere il palazzo di Priamo, con le sue mille stanze e i suoi mille giardini, e sento di nuovo il profumo dell’incenso che le mie sacerdotesse versavano sui bracieri.
Ilio che bruciò in una sola notte, assieme alla mia nave: proprio quello che stava succedendo in quel momento al reggimento della Bianca Lama.
“Perché l’Athena ha ordinato di attaccare adesso?” Sentivo Teucro domandare agli strateghi mentre le fiamme dei fucili sonici fondevano la fanteria nemica direttamente con il terreno. Armi divine per gli umani: tecnologia avanzata per me. “Avremmo dovuto aspettare l’alba.”
“Non si discutono gli ordini.” Fu la risposta, e continuammo a combattere.
Un’altra reazione molto umana.
“Dovresti rallentare.” Teucro, impegnato a schivare i raggi nemici, si gettò a terra mentre all’altezza della sua testa esplodeva un detonatore gamma. Non sembrò quindi propenso ad accettare il mio suggerimento.
“Codardo.” Riuscì a latrare.
Colpii l’avanguardia nemica con una scarica al petto.
“Semplice buon senso: da qui non possiamo vedere cosa esce dall’Ephestus. Dovremmo provare a salire oppure…”
“Non andrò da nessuna parte senza un ordine degli strateghi.”
In quel momento un’esplosione più potente delle altre rese chiara la notte, e la vedemmo: la Bianca Lama, che di bianco ora non aveva più che il nome, combatteva da sola contro un’intera pattuglia, roteando la sua spada nelle tenebre che ricaddero immediatamente.
“Avanzate.” La sua voce metallica risuonò tra il frastuono della battaglia. “Mantenete le postazioni, ordini dell’Athena.”
“Non può farcela da sola: andiamo.” Accanto a me gli opliti fremettero, ma non si mossero. “Che cosa state aspettando? Non possiamo perdere la Bianca Lama!”
“La Bianca Lama è morta.” Fu la risposta, e si allontanarono verso la Ephestus. Una nuova esplosione illuminò Electra.
Con un sospiro mi calcai l’elmo sulla fronte: ci separavano almeno cinquanta metri di terreno scoperto, impossibili da attraversare senza danni.
E in quell’istante, dalle schiere uscì un uomo che si gettò senza paura verso il suo comandante.
Teucro.
Gli umani non smetteranno mai di sorprendermi.
A quel punto non aveva senso attendere oltre, e mi slanciai in avanti.
 
 
Nessuno avrebbe potuto prevedere quello che sarebbe successo a Ilio: un’onda di fuoco che si riversava dalle paratie invisibili dell’Athena, che tutti credevano abbattuta. E solo gli dèi avrebbero potuto sapere che anche l’Ephestus aveva imbrigliato l’energia del plasma terrestre per farne un’arma invincibile.
Un’arma nelle cui fauci l’Athena aveva gettato tutti noi, per poter poi attaccare il nemico non appena avesse esaurito la sua potenza.
Questo è quello che mi fu riferito, intendiamoci: mentre coprivo l’avanzata di Teucro venni centrato da un raggio nemico, e tutto divenne tenebra.
Il che, considerando la mia natura di dio luminoso, fu una vera ironia.




Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3 ***


Quando gli schiavi chiudono gli occhi


Image and video hosting by TinyPic
 
 
3.
 
Καλά έκανε εχθρούς όλους τους ανθρώπους, αλλά τους θεούς
Fatti pure nemici tutti gli uomini, ma non gli dèi.
Coefore, Eschilo
 
 
 
Rinvenire: non avrei mai pensato di poter sperimentare anche questa condizione umana.
La mia testa pulsava come una stella morente, i raggi del sole mi ferivano gli occhi e per un breve istante non ricordai nulla, né la mia identità né quel che era successo.
Non ero mai stato così simile a un umano.
 
 
“I sopravvissuti del nostro esercito sono stati radunati.” L’unico segnale da cui Oreste poteva capire lo stato d’animo di Pilade era la sua voce, controllata e monocorde.
La dea sapiente lo liquidò con un gesto. “Non mi interessa. Ci sono prigionieri dall’Ephestus?”
“Nessuno. La nuova arma ha distrutto l’intera nave e l’esercito attorno ad essa.”
“Molto bene.” Sorrise la dea. “La Poseidon sarà la prossima.” Con un cenno, congedò i due umani, che nel tempo di un battito d’ali si ritrovarono a palazzo, ad Argo. “Confido che l’esercito completo sia pronto entro due settimane.” La voce della divinità risuonò tra le colonne di pietra scura, svanendo nell’eco.
Finalmente.
Oreste riuscì a trascinarsi verso il trono ligneo. Qualsiasi cosa fosse accaduta quella notte, non aveva avuto nulla di divino: sotto le sue palpebre chiuse scorrevano le immagini dei suoi uomini, chiusi all’interno di una tempesta di fuoco mentre la loro carne si apriva sfrigolando e il sangue evaporava in fumi che si fondevano all’aura rossastra che li stava distruggendo.
Non avrebbe mai dimenticato quelle urla.
Le gambe cedettero, e il re di Argo si accasciò sui gradini che separavano il trono da terra: Clitemnestra aveva voluto rendere chiaro il divario che separava i re di Argo dalla natura umana.
“Quanti sopravvissuti?” Non osava alzare la testa per incontrare lo sguardo di Pilade.
Pilade che aveva rinunciato a un regno affinché lui potesse ottenerne uno. Pilade che lo aveva seguito in ogni battaglia, che aveva stretto le sue mani coperte del sangue della madre adottiva, Pilade che con la sua presenza impediva alle Erinni della follia di possederlo interamente.
La dea sapiente aveva chiesto un prezzo troppo alto per la vittoria.
“Una dozzina, forse meno.” Perché la sua voce era così distante?
“E?”
Pilade guardò il suo re, privo di maschere, la testa china di chi non reclama pietà, le spalle scosse da brividi. E nonostante tutto questo Oreste non avrebbe indietreggiato di fronte a nulla per la riuscita del piano.
“La Bianca Lama non è tra di loro.”
E Pilade, ora accanto a lui, stringendolo a sé pensò che avrebbe affrontato tutti i demoni del Tartaro per portarlo alla vittoria, se questo era il suo volere.
 
 
Il corpo di Teucro giaceva a pochi metri da lei.
Il migliore dei soldati, il migliore degli amici.
Che cosa si prova a morire per un amico?
Electra notò che, nonostante fosse crivellato di colpi, il suo viso sfigurato sembrava sorridere, di nuovo in pace con se stesso.
Si alzò, controllando al tempo stesso le ferite ricevute: a parte alcune escoriazioni e un lungo taglio in fronte, niente di rotto. Poteva combattere, se necessario, ma al momento non se ne presentava il bisogno: l’altopiano dove avevano attaccato la Ephestus era coperto da cadaveri, le cui ossa sembravano essersi fuse con il terreno, e della nave nemica rimanevano solo alcuni resti, come giganteschi denti di metallo che spuntavano dalla terra. Electra non si interrogò su cosa potesse essere successo. Recuperò la propria spada, sulla quale il sangue si era seccato in macchie brune, e si preparò ad andarsene.
“Ehi, comandante.”
Il primo impulso fu quello di ignorare la voce, per cui la donna non si fermò.
“Bianca Lama!” Un uomo uscì da uno dei mucchi di cadaveri. “Allora hanno ragione gli aedi delle taverne di Argo: sei davvero immortale come gli dèi.”
Il soldato si avvicinò: Electra vide che zoppicava leggermente, ma non sembrava aver subito danni maggiori.
“Ti ricordi di me, Bianca Lama?” Era il nuovo arrivo del suo reggimento, il mercenario. La zoppia poteva essere dovuta a una frattura, che gli avrebbe reso difficile una marcia prolungata: ad ogni modo, quell’uomo l’aveva vista.
“Mi ricordo.”
Avrebbe dovuto ucciderlo subito?
“Agamennone ha avuto ragione ad adottarti e a metterti a capo dell’esercito.”
Electra si irrigidì.
“Non che tuo fratello non sia ugualmente dotato, sia chiaro.”
Forse lo straniero non era quello che sembrava.
“Tu parli troppo, soldato.” Electra agganciò la propria spada alla corazza di cuoio.
“Anche in famiglia dicono questo.” L’uomo sorrise, mentre il sole si alzava sulla sua faccia incrostata di sangue e polvere.  “Che si fa ora, comandante?”
“Se vuoi tornare ad Argo, ripercorri il cammino fatto all’andata.” Electra lo osservò attentamente.
Lo straniero ricambiò lo sguardo. “Significa che tu non tornerai?”
“Puoi venire con me, se lo desideri.” Se avesse deciso di tornare ad Argo, avrebbe dovuto ucciderlo.
“Sono un mercenario.” Lo straniero scrollò le spalle. “La mia fede va al mio comandante. Anche se da un punto di vista più filosofico immagino si possa dire che…”
“Molto bene. In marcia allora.”
“Dove siamo diretti, Bianca Lama?”
“A nord.” Electra indicò le forme indistinte delle montagne. “Tessaglia.”
 
 
Si racconta che Agamennone fosse il discendente di una stirpe maledetta di fratricidi: lui e il fratello Menelao comparvero all’improvviso in una notte d’estate, mentre Leda di Sparta decideva il futuro delle sue figlie in base ai risultati di un torneo in cui Agamennone e Menelao ottennero la vittoria.
Non ho mai capito perché i cantori umani tendano a glissare sui dettagli importanti.
Le due ragazze, coperte solo dal sangue dei pretendenti che le avevano sfidate, schiena contro schiena, tenevano puntate le spade contro i due fratelli armati allo stesso modo, sotto lo sguardo benevolo della dea amante e del dio guerriero che facevano da giudici.
Un ballo mortale dove le coppie combattevano per la propria libertà e per la propria ambizione.
Menelao, a sorpresa, fu il primo a premere la sua lama sulla gola di Elena, lasciandole una cicatrice che avrebbe dovuto ridurre la sua bellezza innaturale. Clitemnestra emise un rantolo, e si lanciò su Menelao accecata dalla rabbia: questa fu la sua rovina, perché Agamennone non avrebbe potuto batterla altrimenti.
I soldati spartani intervennero a staccare le sorelle ansimanti da un abbraccio che poco aveva di fraterno, e a portare Elena nel talamo nuziale. Clitemnestra malediceva la propria madre mentre veniva caricata sul carro che l’avrebbe portata ad Argo, la città a lei destinata per diritto di nascita, e ora in mano ad un guerriero sconosciuto.
Perché, a dir la verità, nessuno sapeva davvero chi fossero quei due, e come mai fossero scesi dalle montagne del nord, dove Agamennone fece ritorno un’unica volta qualche anno dopo: il grembo di Clitemnestra era sterile (personalmente, più che agli dèi, imputo questo all’infuso di erbe che la regina beveva nel dopocena), e serviva una cura che solo le streghe della Tessaglia potevano fornire.
Quando tornò ad Argo portava con sé due fanciulli, maschio e femmina, entrambi pallidi come la neve in cui erano stati cresciuti.
Quella era la cura per la sterilità di Clitemnestra.
Date le premesse, c’è da meravigliarsi che quest’ultima avesse deciso di porre termine al regno di Agamennone nel più rapido dei modi?
 
 
Dal campo di battaglia raccolsero borracce, corde e tutto ciò che sarebbe potuto risultare utile senza appesantirli troppo.
La strada verso il nord sarebbe stata lunga: scudi e spade di riserva non avrebbero fatto la differenza.
Il cadavere di Teucro li fissava: obbedendo all’impulso del momento il mercenario abbassò le palpebre su quegli occhi spenti prima di allontanarsi seguendo Electra.
Smisero di marciare solo quando Vega fu alta nel cielo notturno.
Il soldato si lasciò cadere al suolo. “Avremmo dovuto impegnare l’esercito di Corinto in una marcia: sarebbe stata una strage.”
“Se sei stanco, puoi avere il secondo turno di guardia.”
“Con tutto il rispetto, comandante, siamo due presunti cadaveri accampati nel mezzo del nulla.” L’uomo indicò le brulle colline attorno a loro, segnate dai combattimenti di secoli di scismi. “Se qualche pattuglia decidesse di passare da queste parti ci scambierebbe per sassi.”
“Allora farai il primo turno.”
Il mercenario sospirò, estraendo dal suo fagotto un pezzo di pane rubato a un commilitone che non ne avrebbe più avuto bisogno. Fortunatamente il giorno dopo sarebbero giunti in vista delle foreste, e avrebbero potuto variare la loro dieta.
Masticando la mollica stantia, l’uomo osservò Electra bere a piccoli sorsi da una piccola fiasca. “Perché non sei tornata ad Argo, comandante?”
Nessuna risposta.
Il soldato terminò il suo pasto e si sdraiò sulla schiena: la Via Lattea era coperta dalle nubi, ma ogni tanto si riusciva a intravedere qualche brandello di costellazione che illuminava la notte.
“Tuo fratello, il re, e tutto l’esercito ti crederanno morta.”
“Per loro ero già morta.”
Questa volta fu l’uomo a tacere. Nel cielo si intravedevano segmenti luminosi: la cintura di Orione, Cassiopea, la Stella Polare. Nomi che, nei secoli in cui gli dèi non erano altro che storie, avevano reso l’universo meno angosciante, popolandolo di eroi e mostri che avevano guidato l’umanità sulla giusta rotta.
E che avevano indicato agli dei la strada verso la Terra.
“Pensi mai a come poteva essere tutto questo senza di loro?” Domandò a un tratto il mercenario, indicando con un braccio la distesa di terreno spoglio e bruciato. “Senza gli dèi.”
“Perché dovrei?” La Bianca Lama fissava un punto indefinibile nel buio attorno a loro.
“Forse non c’è un perché. Forse l’immaginazione non ha bisogno di spiegazioni.” Il soldato alzò lo sguardo di nuovo verso il cielo. “Una volta ho sentito un aedo cantare dei tempi antichi, quando gli dèi erano lontani. Raccontava di navi immense che solcavano i cieli, cariche di merci destinate a regni oltre le stelle, di congegni che permettevano di spostarsi su distanze incalcolabili in pochi secondi, e di sapienza che tutti condividevano, dal più potente al più umile: bastava chiudere gli occhi.”
“Non bisogna credere ai racconti degli aedi.”
“Qualche giorno dopo il cadavere di quel vecchio venne trovato vicino al tempio della dea sapiente: probabilmente le sue storie non erano piaciute.”
Electra rimase in silenzio.
“Gli esseri umani sono deboli.” La sua voce era appena percepibile dal mercenario. “Eppure, un tempo, non erano così diversi dagli dèi. E questa è stata la loro rovina.”
La donna si avvolse nel suo mantello imbrattato di sangue. “Fra quattro ore inizia il tuo turno di guardia. Non sprecarle in conversazioni, soldato.”
“Mi chiamo Lykos. Lykos il Lupo, per gli amici.”
“E’ irrilevante.”
“Buonanotte, Bianca Lama.”
 
 
Per essere un sovrano astuto, Agamennone fu incredibilmente ingenuo nei confronti della moglie.
L’amore acceca anche i più saggi.
Dieci anni a combattere sotto le mura di Ilio senza nemmeno un graffio (la gamba di legno può essere considerata un incidente di percorso) e, tornato a casa, si lasciò sgozzare come un agnello sacrificale.
La sua testa recisa era rotolata oltre il trono in cui sedeva il corpo mutilato, dal cui collo il sangue zampillava e sgorgava ancora quando Electra e Oreste lo trovarono.
Clitemnestra li attendeva: tra le mani reggeva la scure con cui aveva riconquistato il dominio su Argo.
Piegarsi o morire, fu questa la scelta che impose ai figli che Agamennone le aveva imposto.
Oreste fuggì: dalla sua parte aveva i nobili argivi fedeli al padre e il fidato Pilade.
Electra si piegò.
Trascorsero anni prima che Clitemnestra si fidasse al punto da affidare di nuovo il migliore reggimento e la propria vita nelle sue mani: anni passati a lottare fianco a fianco con coloro che aveva comandato, obbedendo agli ordini di strateghi meno esperti e combattendo per non perderne nemmeno uno inutilmente.
Quando la Bianca Lama tornò al comando del suo reggimento l’esercito proruppe in un boato di gioia.
Chi avrebbe detto che qualche mese più tardi quegli stessi uomini avrebbero sputato al suo passaggio?
Solo Cassandra lo avrebbe potuto prevedere: ma lei era già morta.




Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4 ***


Quando gli schiavi chiudono gli occhi


Image and video hosting by TinyPic
 
 
4.
 
 
καὶ τῶνδ' ὅμοιον εἴ τι μὴ πείθω· τί γάρ; τὸ μέλλον ἥξει.
Che mi crediate o non mi crediate, che importa? Tutto si compirà.
Agamennone, Eschilo
 
 
Ilio, la città del sole splendente.
Nessuno di voi probabilmente ricorda com’era ai tempi del suo apice: templi candidi e rilucenti alla luce della luna, palazzi imponenti collocati sulle pendici del colle dove sorgeva la città, una reggia che superava in magnificenza qualsiasi altra costruzione umana e divina.
Non per niente era opera dei primi di noi arrivati sulla Terra.
Le mura erano il motivo per il quale nessuno avrebbe mai potuto espugnare Ilio: un cerchio perfetto di titanio e diamante, che all’occorrenza racchiudevano la città con una cupola di pura energia, mettendola al sicuro da uomini e dèi.
La fortezza perfetta.
E io l’avevo scelta come casa.
 
 
“L’esercito è pronto, signore.”
Oreste si levò in piedi e si avvicinò allo stratega: alle spalle di quest’ultimo poteva vedere file e file di opliti i cui scudi riflettevano le fiamme del sole a picco su di loro.
Si chiese per un momento se non soffrissero per il calore della giornata, prima di ricordare che l’acciaio di Argo non assorbiva il calore: un’antica tecnica di forgiatura che non era andata perduta come tutto il resto della scienza umana.
Guardandoli, si impose di assumere un sorriso soddisfatto. “Molto bene, Temistocles.”
Il capo degli strateghi si inchinò.
“Uomini! Soldati di Argo” Oreste aprì le braccia come per comprendere tutti nel suo discorso. “E’ ormai tempo di convertire tutta la Grecia al culto delle vere divinità. La dea sapiente ci ha sostenuto finora e ci sosterrà anche oggi: la Arthemis e la Ephestus sono state grandi vittorie.” Si fermò per lasciare che le sue parole penetrassero nella mente degli uomini. “Grandi vittorie che tuttavia saranno solo briciole agli occhi dell’impresa che stiamo per compiere. Atene ha rinnegato la dea sapiente per il dio marino, andando contro il nome stesso della città: sappiamo come la Poseidon si sia ancorata sull’Acropoli secoli fa, distruggendo l’effige millenaria della dea. Noi conquisteremo Atene e la restituiremo alla dea sapiente e al dio del cielo. Noi abbatteremo la Poseidon, e lo faremo con l’aiuto dei veri dèi!” Oreste non aveva ancora terminato. “Fratelli: noi entreremo nella leggenda!”
Un brusio si diffuse tra le schiere: Oreste si domandò ancora una volta se le dichiarazioni che aveva fatto al cospetto della dea sapiente corrispondessero al vero. Le promesse di gloria e le ricchezze distribuite nei mesi precedenti sarebbero state sufficienti a far sì che l’esercito obbedisse ai suoi ordini?
Il ruggito di approvazione degli opliti fu la risposta che aspettava.
Un intero esercito aveva venduto la propria anima per entrare nella Storia.
Fu solo la presenza di Pilade al suo fianco a impedirgli di crollare a terra: questo e il ricordo del compito ereditato dal padre.
Agamennone aveva fatto il possibile per realizzare il proprio sogno, compreso forgiare Oreste ed Electra per una responsabilità più grande di loro.
Suo figlio non avrebbe deluso né i vivi né i morti: solo gli dèi avrebbero avuto di che preoccuparsi.
 
 
Dopo due settimane ci fu bisogno di usare le pelli dei conigli per ripararsi dal vento che spazzava le pendici delle montagne. Almeno per Lykos, i cui piedi tendevano ad assumere una tonalità pericolosamente bluastra dopo una giornata di marcia: l’uomo sospettava che invece Electra, oltre a sembrare gelida come la neve, fosse davvero fatta di ghiaccio, dato che pareva insensibile anche alle raffiche più violente.
“Dovremmo fermarci anche durante il giorno.” Propose il mercenario quella notte, accostando le mani al fuoco da campo. “Se vogliamo salire fino in cima avremo bisogno di provviste di legna.”
“Non sarà necessario.” Electra bevve un altro sorso dalla sua fiasca.
“Con tutto il rispetto, Bianca Lama, alberi e arbusti non crescono a quelle altitudini.”
“Non sarà necessario.”
Il soldato diede le spalle al fuoco per guardarla in faccia. “Comandante, ti ho seguito fin qui e ti seguirò ancora: se però stiamo marciando verso il Tartaro vorrei saperlo con qualche anticipo.”
La donna alzò la testa: i riflessi delle fiamme rendevano le sue efelidi ancora più simili a stelle cadute in un mare di neve. “Ti sembra il Tartaro tutto questo?”
“Assomiglia più alle pianure di Hel che spaventano i mercenari nordici.”
“Credi in queste cose?”
Lykos si accoccolò di nuovo vicino al falò. “Io credo alle cose concrete, come dracme e puttane.” Scrollò le spalle. “Ma non per questo escludo l’esistenza di ciò che non si può vedere.”
“Se non si può vedere, come puoi verificare che esista?”
“Lo si può sentire.” Il soldato assunse un’espressione grave, portandosi la mano al petto. “Voglio dire, nel profondo tutti gli uomini sanno che c’è qualcosa che non si può toccare, eppure esiste.”
“Il Tartaro?” Electra inarcò un sopracciglio.
“Le pianure di Hel, l’iperuranio, il mondo del grande spirito… Chiamalo come vuoi.”
“E il tuo stomaco ti dà questa certezza?”
“E’ più un punto tra l’esofago e il diaframma: volendo descrivere la sensazione in termini filosofici, potrei dire che…”
“Tu farai il primo turno di guardia.”
“Buonanotte, Bianca Lama.”
 
 
Ora i loro passi iniziavano a incontrare tracce rade di neve e brina, mentre gli alberi si facevano sempre più scarsi, così come i conigli.
In compenso le stelle sembravano brillare con forza maggiore la notte.
“La luce delle stelle.” Argomentò Lykos. “Non si può toccare e, di per sé, non si può vedere: eppure esiste.”
“Anche la luce del fuoco.” Electra scosse la testa. “E il fuoco è concreto: le stelle sono fiamme, la loro luce non è astratta.”
“E che mi dici del vento?”
“Gli elementi naturali non contano.”
“Gli dèi: crederai almeno nel loro potere. Materializzazione, persuasione, morte con un semplice tocco.”
“Creature differenti con capacità diverse da quelle degli esseri umani.”
“Comandante, tu non credi a nulla.” Sospirò Lykos.
 
 
“Che cosa bevi?” Il soldato era curioso: magari era per merito di quella fiasca che la Bianca Lama riusciva a resistere al gelo notturno.
“Niente che ti riguardi.”
“Se è liquore, comandante, potresti condividerlo con il tuo fedele commilitone.”
“Ti prendi troppe libertà.”
“Va bene, comandante. Niente alcolici per i mercenari.”
Sospirando, Electra decise di risolvere la questione. “E’ una medicina: toccala e appenderò il tuo corpo squartato alla cima della montagna.”
“Ricevuto forte e chiaro.”
 
 
“Il pensiero.” Questa volta il soldato credette di aver vinto. “Esiste ma non si può né vedere né toccare.”
La marcia quel giorno era stata particolarmente faticosa: la neve aveva iniziato a cadere attorno a mezzogiorno senza più fermarsi.
“E le sensazioni!” Aggiunse Lykos. “Amore, odio… Non puoi negare che esistano sensazioni e pensieri.”
La Bianca Lama scrutava le fiamme che cercavano con poco successo di non cedere al gelo.
“Pensieri, sensazioni… Ognuno può provare i propri, ma non quelli degli altri. Chi mi assicura che gli altri non stiano mentendo, e che quello che affermano di provare non sia falso?”
“La tua esperienza non è sufficiente?” Il mercenario era sbalordito. “Quando pensi, soffri, ami… Non ti basta questo per confermare l’esistenza del mondo astratto?”
“La mia esperienza potrebbe essere limitata. Potrebbe essere unica. Non posso sapere cosa provano o pensano gli altri.”
“Se io vedo un bambino che piange posso immedesimarmi nella sua sofferenza. Si chiama empatia, comandante.”
“Non è sufficiente.”
Lykos si strinse di più nel mantello di pelli di coniglio. “E che cosa vorresti come prova?”
Electra stette in silenzio per un lungo istante.
“Se tutti avessero accesso ai pensieri di tutti.” Mormorò. “Se le informazioni di ogni mente fossero collegate e fruibili da tutti, allora forse potrei ammettere l’esistenza del pensiero. Ma per quanto riguarda le sensazioni…”
Non continuò.
“Comandante: secondo me il freddo e quella medicina annebbiano i tuoi ragionamenti. Filosoficamente parlando…”
La lama della spada di Electra si conficcò a pochi centimetri di distanza dalla testa di Lykos.
“Ho capito: il primo turno di guardia è mio.”
 
 
Dopotutto, chi era Agamennone se non un folle visionario?
Questo era il parere comune tra gli dèi: sono felice di constatare che, ancora una volta, il mio giudizio differiva sostanzialmente da quello dei miei simili. Il dio celeste riteneva addirittura che il re di Argo fosse un problema di minore importanza se paragonato alla questione di Ilio.
Questione che assumeva un ruolo cruciale nella politica di tradimenti e trattati di pace, guerre e tregue che ha sempre caratterizzato noi dei, eterni giocatori su scacchiere altrui.
Gli esseri umani sono particolarmente adatti come pedine del gioco: tuttavia a volte una particolare pedina può causare la rovina dell’intera partita, e questo fu chiaro solo a me dal principio.
Un re pazzo e ossessionato dai fantasmi della storia passata, dai millenni in cui la Terra era più che un semplice nome nei nostri giochi di potere.
Fu lui a capire l’importanza di Cassandra.
 
 
Poseidon: bastava il nome a ispirare terrore in chi incrociava la sua rotta.
Un mostro di titanio e metalli alieni, inattaccabile da qualunque forza umana o divina. Migliaia di funi d’acciaio collegavano l’Acropoli alla nave, ancorata sopra il cielo di Atene: la sagoma immensa dello scafo sfiorava le nubi, il rombo sommesso dei motori pervadeva l’aria e la vita degli abitanti della città sottostante. Si diceva che con i rostri laterali la Poseidon avesse abbattuto più di diecimila navi.
Vedendola dal vivo, illuminata solo dai lampi dei propulsori, Pilade non poteva che credere alle dicerie popolari.
L’attacco era previsto per il giorno seguente.
Riabbassò il lembo della tenda. “Nessuno di noi sopravvivrà.”
Oreste annuì, gettandosi in gola il contenuto di una piccola fiasca. “Alla dea sapiente non interessa.”
“Il nostro esercito non riuscirebbe nemmeno ad abbordare la Poseidon: chiederci di affondarla è inutile.”
“L’Athena vuole solo un’occasione per attaccare la Poseidon a sorpresa; le perdite umane non sono un problema per gli dèi.”
“Quindi le armi che ci ha fornito…”
“Sono armi potenti,” Oreste si sedette sulla propria branda, “ma contro i fuochi della Poseidon temo saranno inutili.”
Pilade chinò la testa, posando i pugni sulle casse approntate a mo’ di tavolo dove le mappe e le istruzioni per gli strateghi si confondevano tra loro. “Non possiamo fare nulla per salvarli?”
“Nulla.” Il volto dell’altro si contrasse in una smorfia. “Per salvarli tutti dovremmo prima sbarazzarci dell’Athena, della dea sapiente, degli dèi e di tutte le fedi che stanno distruggendo la specie umana. Niente che si possa fare in una notte.”
“Potremmo arrenderci.”
Il re di Argo alzò la testa: Pilade si scontrò con la determinazione che lesse in quello sguardo.
“Significherebbe gettare al vento ogni speranza: anni di preparativi, di morti insensate, di sotterfugi, di tradimenti e per cosa? Per salvare ora qualche centinaio di soldati che nonostante tutto credono di più negli dèi che non negli uomini.” Oreste passò accanto all’amico e aprì la tenda: il suono delle preghiere e le fiammelle delle fiaccole sugli altari votivi eretti in fretta e furia erano una conferma sufficiente delle sue parole.
E Pilade sentì di non poter più trattenersi.
“Sono i nostri soldati!” Urlò, afferrando Oreste per le spalle e scaraventandolo contro il tavolo. “Parli di loro come se non li conoscessi, come se non sapessi che Pausania ha una moglie incinta, che il figlio di Crise aspetta il ritorno di suo padre per sposarsi.” I fogli si posavano a terra ad uno ad uno. “E tu li stai per guidare in una missione suicida come se… come se…” L’uomo ammutolì.
Oreste si rialzò.
“Esatto. Come se.” Mormorò a se stesso. “Credi che non lo sappia? Che non senta le loro voci alla notte, quando tu dormi? Credi che io non ricordi ogni dettaglio dei volti di Crise, Pausania e Teucro e di tutti gli altri, proprio come li ricordava Electra?”
“Ad Electra non è mai importato nulla di loro.”
“Non sono forse uguale a lei?” Il re di Argo rise all’espressione sconvolta dell’amico, ma fu una risata amara. “Siamo fratelli: lo avevi dimenticato?”
“Non siete uguali. Non lo siete mai stati.”
“Hai ragione: avrei dovuto essere del tutto simile a lei per portare a termine la missione.” La risata di Oreste ora era quella di un folle. “Quante volte ho sognato di poter essere freddo, insensibile e letale come Electra, la Bianca Lama, mai macchiata da sentimenti.”
“Electra non avrebbe potuto…”
“Avrebbe potuto fare tutto quello che io ho fatto finora, e avrebbe potuto farlo meglio.” Lo interruppe Oreste. “Ma dovevamo essere in due. L’esca e l’eroe. Rimane da capire chi di noi due riuscirà a completare la missione.”
Pilade sedette nella polvere accanto al suo re.
“Electra non può fallire.”
“Lo so.” Le spalle di Oreste furono percorse da un brivido. “Eppure ho paura, Pilade.” D’un tratto afferrò il braccio dell’amico. “Che cosa succederà domani?”
Sospirando Pilade spinse Oreste verso di sé. “Domani moriremo tutti. Solo questo è certo: ma forse riusciremo dove Agamennone ha fallito.”
Le mani di Oreste erano fredde mentre tracciavano cerchi sulla sua pelle, spingendosi sempre più in basso. Era il contrasto con il ghiaccio di quelle dita a creare quel calore che serpeggiava nel suo corpo?
“Sarai al mio fianco anche quest’ultima volta?”
Pilade lo afferrò  per i fianchi, cercando la sua bocca con la propria.
“Anche oltre i cancelli della morte.” Mormorò, annullandosi nel gelido bacio del suo re.
 
 
Cassandra era stata molte cose: figlia di re, guerriera, sacerdotessa, veggente, schiava e vittima.
Io preferisco ricordarla come la ragazza che, tra un duello e l’altro, si nascondeva dietro al mio altare per sfogliare volumi proibiti agli umani, e che un giorno alzò gli occhi dai libri e vide un dio in forma umana che cercava di sgattaiolare di nuovo nella sua nave senza farsi notare.
Fu così che iniziò la nostra relazione.
Per la sua sete di conoscenza rinunciò alle sue amate spade e al comando degli eserciti di Ilio: divenne la sacerdotessa incaricata delle comunicazioni con l’Apollo, l’unica umana ad avere libero accesso alla mia nave.
Cassandra amata da un dio.
All’inizio la desideravo: il mio amo per catturarla era la raccolta di antichi documenti terrestri, che solo grazie a me avevano potuto sopravvivere alla furia divina dei secoli oscuri. Racconti di guerre in cui gli dei non avevano preso parte, descrizioni tecniche di armi e congegni il cui ricordo si era perso.
Personalmente avrei preferito si concentrasse su letture più leggere, tuttavia le poesie d’amore che le avevo procurato tendevano a riapparire in forme diverse, come barchette di carta e aeroplanini.
Così iniziai a cercarle manuali di storia e filosofia: una volta letti, discutevamo per ore sul significato di una scelta sbagliata nelle politiche di millenni precedenti, oppure sulla corretta interpretazione di un concetto astratto.
Fu così che mi innamorai di lei.
Notate che, nel momento in cui me ne resi conto (quando mi fece crollare addosso una pila di tomi sulla vita di qualche oscuro filosofo terrestre), per qualche motivo starle accanto iniziò a causarmi sofferenza.
Era la prima volta che provavo qualcosa di simile nella mia esistenza.
Soltanto quando lei mi bloccò contro una parete e mi baciò per farmi tacere (per sua volontà e non per la mia: avevo chiaramente ragione in quella discussione) il dolore scomparve.
Cassandra che amava un dio.




Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5 ***


Quando gli schiavi chiudono gli occhi


Image and video hosting by TinyPic
 
 
5.
 
 
ἀνέφελον ἐνέθαλες οῡ ποτε καταλύσιον, οὐδέ ποτε λησόμενον ἀμέτερον οῑον ἒφυ κακὀν
Hai risvegliato in me un limpido ricordo: il nostro male irreparabile, che non troverà mai oblio.
Electra, Sofocle
 
 
 
Ilio venne distrutta con l’inganno in una sera d’estate.
L’Athena attaccò a sorpresa dopo essersi resa invisibile ai radar, un trucco che fino ad allora era sconosciuto agli dèi: la dea sapiente voleva sempre essere un passo avanti a tutti noi.
Il palazzo di Priamo fu l’ultimo edificio a collassare su se stesso, donando la morte a chi non aveva il coraggio per vivere ancora dopo la devastazione.
Avrei voluto aver incontrato la stessa sorte, perché almeno sarei stato assieme a Cassandra quando Agamennone la raccolse tra i cadaveri che la dea sapiente aveva disseminato dietro a sé, il corpo ancora in vita nonostante le torture.
La sua mente era ormai folle da tempo.
 
L’alba aveva accolto l’esercito argivo con promesse di morte e di gloria.
Pilade aveva udito il suono dei corni di guerra, aveva visto i suoi uomini reggere tra le mani le armi che l’Athena aveva distribuito loro il giorno precedente, e aveva provato quella sensazione di paura, eccitazione e impazienza che precede ogni battaglia in cui si è sicuri di non ritornare dai propri cari.
In quel caso, tuttavia, l’unico dal quale Pilade avrebbe voluto fare ritorno sarebbe stato accanto a lui nella morte.
Oreste guardava i soldati pronti a combattere: secondo le istruzioni dell’Athena sarebbe stato un attacco frontale, in cui l’esercito argivo avrebbe dovuto impegnare quante più truppe ateniesi possibili, sfruttando la potenza di fuoco delle nuove armi fornite dalla dea sapiente. Quest’ultima avrebbe guidato personalmente la propria nave contro la Poseidon: solo Pilade ed Oreste sapevano che la dea avrebbe inoltre guidato a distanza un manipolo di uomini il cui compito era penetrare all’interno della Poseidon per prenderne il controllo.
Entrambi facevano parte di quel piano.
“Pronto a morire?” Sussurrò Pilade, mentre le due navi divine segnalavano di iniziare la battaglia.
Oreste sorrise. “Pronto a vincere.”
 
La tempesta di neve turbinava attorno ad Electra e Lykos che arrancavano sul sentiero. Era come se le streghe della Tessaglia si fossero risvegliate per accogliere degnamente gli stranieri che osavano arrampicarsi sulle loro montagne.
“Dove stiamo andando, comandante?” Urlò il soldato cercando di sovrastare l’ululato del vento. La Bianca Lama sfidava la tormente a testa alta: sembrava fendere la cortina di neve al suo passaggio.
“Comandante!”
“Siamo quasi arrivati.”
Il mercenario si guardò attorno. Niente nella montagna innevata faceva pensare che ci fosse qualche rifugio o qualche casa in attesa di accoglierli.
“Con tutto il rispetto, Bianca Lama, siamo nel mezzo del nulla!”
Electra non rispose e continuò ad avanzare controvento. Lykos non osò fermarsi.
 
 
Il fumo dei colpi provenienti dalle navi celesti presto calò su tutta la pianura antistante Atene, rendendo impossibile per gli eserciti distinguere qualcosa oltre il raggio di tre metri.
Persino i botti degli spari e le urla di agonia arrivavano ovattati alle orecchie degli opliti: un dono inaspettato in una battaglia che non avrebbe avuto altri sopravvissuti che gli dèi.
Oreste premette un pulsante nell’arma consegnatagli dalla dea sapiente in persona: dal fusto circolare esplose una fiamma ardente che consumò i tre ateniesi davanti a lui.
Percepì un movimento alle proprie spalle e si girò caricando un nuovo tiro, pur sapendo di avere alcuni istanti di ritardo, ma il cadavere nemico cadde ai suoi piedi, già aperto dall’inguine alla clavicola.
Pilade non perse tempo a guardare il sangue sgocciolare dalla sua spada, e si lanciò ad arrestare l’avanzata di parte della fanteria ateniese.
Osservando i lembi di carne accartocciarsi per effetto del forte calore prodotto dal combattimento, Oreste rabbrividì, e fulminò l’oplita che gli si parò innanzi.
 
 
Agamennone non poteva ricordare i tempi antichi, ma c’era chi lo aveva fatto al suo posto: i racconti che entusiasmavano Cassandra erano stati molto più che semplici storie per lui e per il fratello.
Storie dove gli umani erano protagonisti e non pedine, in grado di prosperare anche nelle condizioni più estreme. Favole in cui la tecnologia umana non era solo un vago ricordo: tempi in cui ogni essere umano aveva accesso ad una conoscenza infinita, bastava chiudere gli occhi.
Prima che gli dèi scendessero sulla Terra l’uomo stesso era un dio.
Ultimo erede di una stirpe di sognatori capaci di dare vita ai propri pensieri, Agamennone aveva ereditato un destino pesante, ma che sapeva di poter portare a termine.
Le nevi della Tessaglia avevano assistito ai giochi infantili dei due fratelli, le montagne delle streghe per loro non avevano segreti, dal momento che custodivano assieme il mistero più importante di tutti.
Ciò che ognuno di noi dèi aveva ritenuto ormai dimenticato.
Il ricordo del torto più grande.
Un’eredità in grado di cambiare la sorte del mondo e di distruggere la nostra presenza sulla Terra.
Una speranza.
 
 
Infine il sentiero si interruppe di fronte ad una parete di roccia.
“Non possiamo proseguire.”
“Ho due occhi proprio come te, soldato.”
Lykos sbuffò. “Pensavo potesse esserti sfuggito qualche dettaglio, ad esempio la tormenta, il gelo, lo strapiombo qui a lato…”
“Parli troppo per un uomo semi-assiderato.”
Electra si spinse fino alla lastra di roccia che si estendeva sopra di loro liscia e inviolata.
“Non dirmelo.” Il mercenario chiuse gli occhi. “C’è una porta, non è così?”
“Pensavo che il dio luminoso fosse più sveglio.” Commentò la donna, premendo un invisibile pulsante: nella parete si aprì una fenditura, lunga all’incirca quanto la bocca spalancata di Lykos.
“Lo hai sempre saputo.” Il dio scosse la testa, incredulo. “Un corpo creato per ingannare uomini e dèi, e tu lo hai capito subito. Come?”
La Bianca Lama estrasse la propria spada dalla guaina e la inserì nella fenditura: con un rumore metallico la lastra di roccia si alzò, proiettando oscurità sulla neve immacolata.
“Seguimi.”
 
 
Ora il fetore della carne bruciata impediva di respirare.
Pilade premette sulla propria bocca una pezza imbevuta di acqua e sangue e inalò con forza. Era una strage, completa e totale.
Pareva che anche la Poseidon avesse adottato la stessa strategia dell’Athena, mandando al macello gli ateniesi, in minoranza numerica ma che potevano contare sulle armi del dio marino, molto più potenti di quelle della dea sapiente.
E questo la dea lo sapeva quando aveva comandato l’attacco.
“Ricordati il piano.” Oreste passò accanto a lui, coperto di sangue e ustioni da capo a piedi. La sua armatura aveva subito i colpi nemici, e parte delle cinghie laterali pendevano inutili sul fianco destro.
“L’Athena non ha ancora dato il segnale.” Il re di Argo percepì la disperazione nel tono dell’altro. “Forse non ci sarà nessun segnale, e tutto questo sarà inutile.”
“Dubiti degli dèi, umano?” Pilade si voltò di scatto, credendo di essere al cospetto della dea sapiente. Oreste lo fermò e gli mostrò un piccolo congegno metallico che teneva legato al polso.
Un’altra trovata divina.
“E’ il momento.”
Una luce ultraterrena avvolse i due uomini, che scomparvero dal campo di battaglia.
 
 
La montagna era cava: in realtà non era nemmeno una montagna.
Electra armeggiò per qualche istante con la sua spada, che li aveva guidati fin nelle viscere del luogo grazie alla sua luminosità, e riuscì ad infilarla in un buco alla parete.
Tutto venne pervaso dalla luce, e davanti agli occhi di Lykos, il dio sapiente, apparve il più grande laboratorio che mai avesse visto sulla Terra.
E di cui nessuna divinità conosceva l’esistenza.
“Che cos’è questo posto?”
“Agamennone lo chiamava Area Cinquantuno. Sembrava divertirlo molto.” La Bianca Lama si muoveva tra banchi coperti di polvere, di tubi trasparenti e di fiale ancora colme di liquidi colorati come se fosse a casa propria.
“Tu sei nata qui.” Lykos collegò le dicerie delle taverne con le informazioni provenienti dall’archivio della nave madre, l’Olympus. “O meglio, sei stata creata qui. Sbaglio?”
Concepita è il termine corretto.” Il laboratorio proseguiva stringendosi in un corridoio, alla fine del quale si trovava una porta sigillata. Electra ricorse ancora alla propria spada, il cui metallo reagiva illuminandosi per aprire loro la strada.
 
 
Gli occhi di Pilade si riabituarono a fatica alla ritrovata normalità della luce.
“Siamo dentro.” Oreste abbassò la sua testa a livello della propria. Si trovavano in uno stretto corridoio, percorso a intervalli regolari da oggetti volanti che emettevano un suono debole simile ad uno squittio.
“Radar di sorveglianza.” Il re di Argo aveva smesso di fingere di non conoscere quella tecnologia aliena, e Pilade si ritrovò ad annuire, anche se non capiva nulla di quello che l’altro diceva. “Dobbiamo riuscire ad infilarci nel condotto di aerazione e ad arrivare alla sala motori.”
“Esatto.” A quanto sembrava, la voce della dea sapiente li avrebbe perseguitati anche lassù. “Impari in fretta. Non preoccuparti troppo di questi termini tecnici, mio povero re: vi dirò io come avanzare.”
In silenzio, Oreste e Pilade scivolarono lungo il corridoio.
 
 
Un corpo umano è diverso dal nostro: il sangue vi scorre nelle vene per portare energia alla carne, i nervi si collegano per permettere di ricevere i segnali dell’ambiente che vi circonda, un cuore batte incessantemente per mantenere tutto in funzione.
Una macchina complessa dotata di vita: è straordinario che non collassiate su voi stessi, tanto siete complicati.
Ovvio che anche gli dèi hanno cercato di riprodurre questo vostro corpo: la condizione umana è qualcosa che ci ha sempre affascinato, seppure per tempi limitati, e tuttavia è difficile che un dio riesca a imitare perfettamente un uomo, le cui caratteristiche fisiche e mentali sono limitate se confrontate alle nostre.
La dea amante per esempio eccede in bellezza (come la maggior parte delle dee), il dio celeste in potenza, la dea sapiente si ammanta di un’aura in grado di sottomettere qualunque creatura a lei inferiore.
Con modelli simili capirete che anche il mio simulacro umano era alquanto carente in verosimiglianza, prima che Cassandra suggerisse le sue modifiche.
Il compito di rendermi il più simile possibile ad un vero umano sembrava divertirla: grazie a lei ho imparato che il dolore è una sensazione che non si può simulare, per cui è necessario attivare i gangli nervosi preposti a riceverlo (per testarne l’efficacia Cassandra batteva a tradimento il pomolo di una delle sue spade sulle mie ginocchia), e che una bruttezza eccessiva è dannosa quanto la troppa bellezza.
Ecco perché nessuno aveva mai messo in dubbio la mia identità: come sarebbe stato possibile? Anche gli dèi si fermavano all’esame della carne e dei centri nervosi.
Solo Electra fu in grado di riconoscermi: sapevo che sarebbe stata lei la mia nemesi.
Proprio come aveva predetto Cassandra.

 





NdA: Salve! Mi rendo conto che fin qui è stata una cosa piuttosto confusa, e ringrazio chi ha continuato a leggere! ^^' Mi sa che non ho mai specificato che il nome Lykos significa Lupo ed è uno degli epiteti tradizionali di Apollo nel pantheon greco. E dato che questa storia è pesantemente ispirata alla mitologia classica, l'ho usato.
Alla prossima!^^

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6 ***


Quando gli schiavi chiudono gli occhi


Image and video hosting by TinyPic
 
 
6.
 
 
ἅπαξ ἔτ' εἰπεῖν ῥῆσιν, ἢ θρῆνον θέλω  ἐμὸν τὸν αὐτῆς. ἡλίου δ' ἐπεύχομαι πρὸς ὕστατον φῶς
Ancora una volta voglio dire parole distese, non cantilene di lutto per la mia morte. Al sole va la preghiera, sul viso questa sua luce, l’ultima per me.
Agamennone, Eschilo
 
 
Strano a dirsi, ma il destino di noi dèi è cambiato per sempre nell’istante in cui le nostre vite hanno iniziato ad incrociarsi con quelle di voi esseri umani.
Avremmo fatto meglio a proseguire la nostra rotta verso universi più remoti?
Una volta non avrei esitato a rispondere sì a questa domanda, perché niente di quello che avevate da offrire sembrava adatto alla salute mentale della maggior parte di noi. Prendete la dea sapiente: anche se ora ama atteggiarsi a psicopatica egomaniaca (e lo dico con tutto l’affetto che posso provare per lei), c’è stato un tempo in cui ha meritato il suo appellativo.
Oggi, tuttavia, sono giunto alla conclusione che l’umanità non ha colpe: è stata essenzialmente colpa degli dèi se le nostre nature si sono corrotte.
 
 
Oreste uscì dal tubo di aerazione: il sistema di sorveglianza della Poseidon non aveva risposto bene alla presa di controllo da parte dell’Athena. Per bypassare la scheda madre la nave della dea sapiente doveva aver usato quasi tutto il suo potenziale informatico: anche questo sarebbe andato a vantaggio della loro missione.
Il re di Argo aspettò che Pilade lo raggiungesse: avrebbe potuto congedarlo ancora sul campo di battaglia, avrebbe dovuto fare in modo che almeno lui avesse una via di fuga, invece lo aveva portato con sé, ignorando il fatto che ogni fibra del suo corpo urlava all’irrazionalità di quella decisione.
La verità era che Oreste era troppo egoista per poter rinunciare a quell’ultimo conforto, se si poteva parlare di egoismo in un essere come lui.
Accantonò quei pensieri: ci sarebbe stato tempo e modo di analizzarli prima della fine.
Pilade accennò alla porta alla fine del corridoio: non avevano più molto tempo.
“Sbrighiamoci.”
 
 
“Concepire implica una madre e un padre.”
“Ci sono molti modi in cui un uomo e una donna possono generare.” La porta si aprì. “Questo è solo uno dei tanti.” Davanti a noi si stagliava la sagoma di una capsula coperta di tubi, inglobata in un enorme macchinario che occupava l’intera stanza, o forse era la stanza ad essere un macchinario, fu il mio pensiero successivo.
Avevo letto una volta della tecnologia umana in grado di riprodurre integralmente un corpo vivente: i disegni che avevo recuperato erano simili a quel che avevo davanti.
“Una cabina di clonazione?”
Electra accarezzò il coperchio trasparente della capsula. “Non proprio.” Sembrava cercare qualcosa al suo interno. “Chi ha costruito questo posto conosceva la scienza della creazione genetica. Grazie a due donatori è stato possibile avere i semi su cui impiantare i geni adatti, scelti in secoli e secoli di esperimenti.”
“E tu saresti il risultato? Un essere umano selezionato geneticamente?”
“Non ho mai detto di essere del tutto umana.”
 
La sala comandi della Poseidon era simile a quella dell’Athena: ampia e vuota, interamente controllata  da un sistema informatico che al momento presentava grosse lacune.
Le somiglianze si fermavano a questo: guardando i comandi Oreste si lasciò sfuggire un sospiro.
“Sono più complessi di quelli dell’Athena.” Iniziò a ridere piano.
Pilade lo guardò allarmato: non era tempo di farsi prendere dalle emozioni.
Anche se Oreste non era come Electra.
“Non preoccuparti. Funzionerà.”
“Che cosa funzionerà, umano?” Una coltre di paura, timore e disperazione calò sui due intrusi.
Il dio marino era finalmente comparso.
 
 
“Non è possibile.” Lykos attivò i propri sensi alieni, esaminando con essi Electra. “Tu non sei una dea. Nemmeno un atomo nel tuo corpo è simile a ciò di cui siamo fatti.”
“Non sono una dea.” La donna trovò una piccola increspatura nel vetro e vi si soffermò con le dita. “Il vostro genoma non è stato usato su di me.” Con una piccola pressione, la capsula si aprì. Le pareti interne erano rivestite di quel che sembrava essere materiale organico: vasi, corpuscoli, fasci di vene. Un utero di carne e di elementi sconosciuti.
“Millenni fa, per sopravvivere alla più grande catastrofe ecologica mai vissuta da questo pianeta gli scienziati umani svilupparono una tecnologia in grado di modificare tutti gli embrioni. I nuovi nati avrebbero avuto le caratteristiche per sopravvivere in condizioni estreme, e l’intelligenza necessaria a rimediare agli errori di chi li aveva preceduti.”
 
 
Pilade si appoggiò ai congegni che lo circondavano, nel tentativo di non cadere. L’aura di terrore che proveniva dal dio marino aveva attecchito nella sua testa e ora non desiderava nient’altro che scappare, deporre le armi e fuggire il più lontano possibile, prima che il dio decidesse di servirsi di lui come esempio per gli altri umani, abbandonare Oreste…
“Non cedere Pilade.” Da qualche parte, qualcuno lo stava chiamando. “Non lasciarti dominare.” Una voce conosciuta? Gli sembrava di sì. “So che puoi farlo.” La voce di colui per il quale aveva giurato di sconfiggere anche il Tartaro.
La voce di colui che amava più della vita stessa.
Fu come se le braccia di Oreste lo avvolgessero per proteggerlo.
A fatica si rialzò in piedi, combattendo contro il potere mentale del dio.
 
 
“Mi riesce difficile credere che ogni donna umana abbia fatto espiantare il proprio feto in macchine come questa.” Era impossibile. Da quel poco che sapevo della Terra prima dell’arrivo di noi dèi, avevo capito che non solo i problemi etici, ma anche quelli derivati dalla differenza di classe sociale e ricchezza avrebbero impedito un piano simile.
“Non fu necessario.” La mano di Electra si insinuò in una delle cavità del finto utero. “A quell’epoca le onde gamma venivano utilizzate per scopi migliori delle armi. La Terra venne irradiata dai raggi dei satelliti per mesi: alla fine del processo gli embrioni sopravvissuti erano cambiati. La nuova specie umana è quella che voi avete incontrato.”
“Ricordo.” Ripensai ai primi giorni dello sbarco su questo pianeta, alla meraviglia nei confronti di quella tecnologia così avanzata, in grado di resuscitare un pianeta quasi morto, e allo stupore che fossero stati esseri apparentemente tanto deboli a elaborarla.
L’invidia e il desiderio di essere come loro.
“Non erano dèi, ma potevano disporre di tecnologia superiore alla vostra. Potevano comunicare con il solo pensiero, e accedere all’archivio di informazioni più grande dell’universo: bastava chiudere gli occhi e si sarebbero collegati ai dati immagazzinati nel pianeta stesso. Questa era la loro forza.”
Questo era quello che noi dèi avevamo tolto loro.
 
Oreste poteva sentire su di sé lo sguardo del dio nonostante egli non fosse in forma umana.
Era come se la sala fosse pervasa da una nebbia cristallina, che penetrava ovunque e cambiava la percezione di ogni cosa.
L’impulso ad arrendersi e il terrore erano insostenibili: l’arma più letale di un dio. Pilade gemette alle sue spalle.
Il re di Argo respinse i colpi mentali del dio marino. “Il tuo tempo è finito, kyrios.”
Poteva percepire il divertimento dell’entità attorno a lui.
Umano, il mio tempo non ha fine.
“Puoi essere ucciso: gli dèi non sono immortali.”
Davvero? E dimmi, tu saresti in grado di farlo?
Dietro di lui, Oreste udì il rumore di un corpo che cadeva. Pilade.
Decidi in fretta le tue azioni, umano.
Doveva agire subito. Con un movimento rapido azionò il congegno sul polso affidatogli dalla dea sapiente.
“Solo gli dèi possono uccidere altri dèi.” La voce della comandante dell’Athena si sparse nella sala.
Tu! Non puoi entrare nella mia nave: gli scudi genetici te lo impediscono.
“Chi ha parlato di entrare, dio marino?” Oreste poté intuire il sogghigno della dea. “Mi basta usare un piccolo umano per cancellarti dall’universo.”
La potenza distruttiva del dio si scagliò contro il re di Argo. Muori, umano! Le sinapsi stavano per collassare, il battito cardiaco era quasi fermo.
Eppure Oreste viveva ancora.
“Sei sempre stato precipitoso.” Dall’Athena provenne il suono di una risata. “Mai sottovalutare le pedine.”
Il dio marino non fece in tempo a capire cosa stava per succedere: sul corpo di Pilade, riverso a terra, si accese una luce abbagliante che invase ogni angolo della sala e della nave, annullando l’esistenza del dio.
 
 
“Che cosa sei, Bianca Lama?”
“Ha importanza?” Scrollò le spalle. “All’alba dei tempi quelli come me e mio fratello erano fatti di metallo e acciaio, poi la tecnologia è stata in grado di sostituire la carne al metallo, il sangue al plasma. Siamo ancora droidi, ma completamente umani.”
Droidi: schiavi provenienti da secoli che sarebbe stato meglio dimenticare.
“Quella medicina…”
“Un droide non è immortale: molte cose danneggiano il mio corpo. Le medicine lo mantengono intatto.”
Come sospettavo.
“E il tuo obiettivo è riportare l’umanità agli antichi splendori, come voleva Agamennone?” Commentai, cercando di capire cosa Electra avesse tolto dalla capsula.
“Questo era il piano di Agamennone.” Una chiave, ecco cos’era l’oggetto che aveva recuperato. “Questo laboratorio è stato costruito sulle rovine di un complesso più antico: uno dei centri che controllavano il trasferimento di dati nella struttura molecolare del pianeta.”
“Una banca dati.”
“Molto di più: da qui si monitorava il flusso di informazioni a cui gli umani avevano accesso, e qui si è sviluppata la tecnologia a raggi gamma.”
“Vuoi irradiare di nuovo gli esseri umani con quella roba?”
“Non ce n’è bisogno.” Electra inserì la chiave in una delle macchine alle pareti, e il laboratorio prese vita. “Tutti gli esseri umani che vivono oggi sono i discendenti di chi ha subito la mutazione millenni fa: i loro corpi sono già in grado di ricevere e trasmettere informazioni. Quello che manca è il flusso telepatico.”
Sapevo a cosa si riferiva.
La Bianca Lama mi voltò le spalle e iniziò a premere pulsanti.
“Per disperdere gli esseri umani abbiamo distrutto ciò che li rendeva uniti: senza centrali di controllo le conoscenze tecnologiche sarebbero andate disperse in pochi secoli, e noi potevamo aspettare.” Mormorai a me stesso.
“Ma non bastava distruggerle: le informazioni globali erano scritte nel pianeta, avreste dovuto distruggere la Terra stessa.”
“Allora abbiamo deciso che le avremmo tenute sotto chiave.”
“La Poseidon si trova esattamente sopra il più grande centro dati del pianeta. Chi controlla la Poseidon,” Electra iniziò a inserire una sequenza numerica nei computer, “controlla l’intera umanità. Se la Poseidon venisse distrutta la Terra avrebbe una speranza. Non lo posso permettere.”
 
 
Pilade riaprì gli occhi, e accanto a sé non trovò nessuno.
Il dolore che provava al petto era trascurabile se confrontato al pensiero che Oreste potesse essere morto prima di lui, e che tutto fosse stato inutile.
Lentamente, cercò di alzarsi, ignorando il ronzio alla testa.
“Non ti muovere.” Il sollievo riuscì dove la volontà aveva fallito: di nuovo in piedi, Pilade si avvicinò alla postazione di comando.
“Gli ordini del tuo re non hanno più valore?”
“Non quando si sta per morire.” Sorrise Pilade: a terra notò il congegno con cui avevano comunicato con la dea sapiente, infranto. L’altro scosse la testa, continuando ad armeggiare con i cavi e con le leve dei macchinari. “Electra è entrata?” Ormai non serviva misurare le parole e fingere di non sapere.
“Mezz’ora fa ho perso la sua traccia.” Con un pugnale, Oreste tagliò un lembo di pelle dal proprio collo: assieme al sangue zampillarono fuori due lunghi fili sottili color argento, che il re di Argo collegò alla macchina. “In compenso, il segnale della centrale ausiliaria è in linea. Debole, ma di nuovo in funzione dopo mille anni.”
“Ce l’ha fatta.” Cercando di trattenere un gemito, Pilade avanzò verso Oreste. Sapeva che era questione di poco prima che il proprio corpo collassasse per effetto dell’arma genetica che la dea sapiente gli aveva installato nello scheletro. “Ce l’avete fatta.”
“L’attenzione di tutte le divinità si è fissata sulla Poseidon. Neppure la dea sapiente sospetta dell’esistenza di una centrale ausiliaria: è convinta che adesso cercheremo di prendere il controllo della Poseidon per ripristinare l’Acropoli.” Le mani di Oreste volavano sulla tastiera. “Da quando ho interrotto le comunicazioni sta cercando di bypassare il sistema di difesa della sala comandi. Capirà troppo tardi che l’Acropoli non è mai stata un obiettivo da salvare.”
Il tempo sta finendo.
“Quanto ci rimane?”
“Cinque minuti prima dell’esplosione.” Le sirene d’allarme avevano iniziato ad riecheggiare in tutta la nave. Oreste si aggrappò a Pilade, facendo cadere entrami a terra. “Ora possiamo lasciare a Electra la mossa finale.”
Le luci si spegnevano ad intermittenza; dai fasci di cavi agli angoli della sala cadevano scintille sempre più numerose.
Con le ultime forze, Oreste afferrò le spalle di Pilade e premette le proprie labbra sulle sue. “Ti ringrazio.” Sussurrò. “Senza di te non sarebbe stato possibile. Senza di te sarei stato solo un droide dal cervello malfunzionante: tu mi hai reso umano.”
“Per me tu sei sempre stato umano.”
Oreste sorrise.
Il mondo esplose attorno al loro abbraccio.
 
 
“Che cosa significa?”
“Se la Poseidon venisse distrutta , e con essa l’Acropoli, il centro di controllo ausiliario potrebbe prenderne il posto e riattivare i flussi telepatici di informazioni. Quindi distruggerò questa centrale.” Electra continuava ad inserire sequenze numeriche nei computer. “In questo modo, quando Oreste distruggerà la Poseidon non ci sarà nessuna sostituzione.”
“Vuoi dire che gli esseri umani perderanno ogni possibilità di accedere ai dati.”
“Esatto. Gli dèi domineranno la Terra senza più timori.” La sua voce era fredda anche in un momento simile: capivo perché Oreste aveva desiderato essere come lei.
Infallibile, intangibile.
“Dopotutto non è per questo che sei qui, dio luminoso?” Raddrizzai le spalle, come se mi avesse colpito con una frusta. “Ti hanno mandato a controllare che io non tradissi il piano.”
“Per questo non hai detto nulla.”
“La dea sapiente ha confermato quel che avevo intuito. Avevo il permesso di ucciderti se tu avessi intralciato il piano.”
Ovviamente l’Athena non avrebbe tollerato imprevisti nel suo cammino di conquista. E chi meglio di un dio privo di nave, quindi senza possibilità di prendere il controllo poteva garantire una sorveglianza tanto rischiosa?
“Perché?”
Si girò. “Guardami. Sono stata creata per un compito preciso, programmata per portarlo a termine senza che niente mi distraesse dal mio incarico.”
“Anche tuo fratello.”
“Oreste era difettoso: il suo codice genetico era troppo umano. Un droide non ha emozioni. Io sono perfetta: non provo nulla. Sai che cosa significa vivere così?”
Il suo viso era freddo e inespressivo come sempre, e questa era la cosa più tremenda.
“E’ come camminare senza poter vedere o sentire, ma sapendo che attorno a te c’è un mondo di cui tu non puoi far parte. Agamennone e i suoi scienziati non hanno pensato a questo.”
“La dea sapiente invece sì?”
“Mi ha offerto un nuovo corpo.” Intuivo la sua speranza anche dietro al tono piatto della sua voce. “Un corpo come quello che voi dèi utilizzate per sembrare umani: un corpo in grado di provare emozioni.” Ritornò a girarsi verso i computer.
“E quali emozioni proverai? Sarai messa al bando dagli uomini e disprezzata dagli dei: farà male.” L’avvisai.
“Qualsiasi cosa è meglio del vuoto.”
Non potevo replicare, perché la capivo anche troppo bene: per questo quel che successe fu doloroso per me.
Electra spinse un ultimo bottone. “Fra un’ora esploderà tutto, come mi avete ordinato.”
Il mio colpo la raggiunse allo sterno: in fin dei conti la Bianca Lama non era infallibile come aveva creduto.
Cassandra aveva ragione su ogni cosa.
 
 
Il fato del mondo è qualcosa di così complesso che noi dèi possiamo solo illuderci di reggerne le fila.
Se però chiedete la mia opinione, vi dirò che gli unici che riescono a determinare le sorti della Terra sono gli esseri umani.
Senza Cassandra non sarei diventato quel che oggi sono: mi ha insegnato molto più di ciò che io ho mai potuto insegnarle. Grazie a lei ho imparato che gli esseri umani non sono creature misere e sottomesse, come crede la dea sapiente, che la Terra contiene molto più di quel che appare all’esterno, che anche gli dèi possono amare come gli umani.
E’ per lei che oggi sto tradendo la mia stessa specie.
Cassandra aveva un sogno: spezzare le catene con cui noi dèi avevamo sottomesso l’umanità. Le sue domande, le sue discussioni, il suo aiuto per forgiare il mio corpo umano avevano come scopo la raccolta del maggior numero possibile di informazioni. Io lo sapevo, e le davo quel che voleva per poter ottenere da lei ciò che desideravo.
Come avrei potuto prevedere che tra due specie così diverse potesse nascere qualcosa di diverso dall’odio?
Volle combattere durante l’attacco ad Ilio: avrei dovuto sapere che nel profondo era rimasta una guerriera, avrei dovuto prevederlo e tenerla con me.
E’ colpa mia se la sua mente fu spezzata dalla mia gente.
Agamennone la raccolse durante il saccheggio e la portò con sé ad Argo: nei suoi vaneggiamenti aveva colto qualcosa che nemmeno la dea sapiente era riuscita a carpire. I numeri e le cifre che svelavano i segreti della Poseidon, e che solo le menti  artificiali di Electra e Oreste avrebbero potuto decifrare.
Fu per questo che non riuscirono ad arrivare in tempo per salvare il padre, la notte in cui Clitemnestra conquistò il trono: avevano memorizzato gli schemi di Cassandra prima che la loro madre decidesse di sbarazzarsi di lei.
Non riuscii ad arrivare in tempo per salvarla nemmeno quella volta.
Gli dèi non comprendono come si possa arrivare ad amare qualcuno più di se stessi: io l’ho capito grazie a Cassandra.
Nessuno della mia specie ha mai capito che cosa abbia significato per me la sua perdita: per questo la dea sapiente non ha mai avuto sospetti . Quale dio si schiererebbe dalla parte degli uomini?
Vendicarla è stata la mia ragione di vita fino ad ora: tuttavia la vendetta non è stata dolce come speravo. Non ho provato nessun sollievo nell’uccidere Electra, nel vedere quel corpo creato con ogni artificio della genetica cadere a terra e morire.
E dire che avevo programmato la sua morte già da tempo, sostituendo il contenuto della sua fiasca con il liquido che la dea sapiente mi aveva affidato.
Nessuno dovrebbe fidarsi di un dio.
Ho incrociato i suoi occhi mentre la vita scorreva via da lei: mi è sembrato di vederci qualcosa, un ombra di quel che avrebbe potuto essere se fosse stata creata in modo diverso.
Mi piace credere che, prima della fine, la Bianca Lama sia riuscita a provare qualcosa.
 
 
Cassandra direbbe che sto divagando: è tempo di chiudere questa cronaca.
Nel momento in cui queste mie parole vi raggiungeranno la centrale ausiliaria sarà distrutta, proprio come l’Acropoli: non sono riuscito a invertire il conto alla rovescia attivato da Electra.
Ho scoperto però che i flussi di informazione, una volta riaperti, funzionano da sé.
Intanto ho fatto in modo che nessuno possa penetrare qui dentro prima dell’esplosione: la dea sapiente non rovinerà il sogno di Cassandra, ve lo garantisco personalmente.
Questo significa che, quando riuscirete a sentirmi, sarò già morto, e il mio corpo proprio ora si starà consumando nel fuoco sotto le nevi della Tessaglia.
Dovunque andrà la mia anima spero che Cassandra mi stia aspettando.
Notate la poesia del destino: Electra Bianca Lama ha tradito gli uomini da cui è stata creata, un dio ha tradito la propria stirpe per amore di un singolo essere umano.
Dimenticavo: forse fra qualche decennio i flussi avranno bisogno di manutenzione, ma confido che per quel momento sarete già tornati in possesso delle conoscenze sufficienti a ricostruire una banca dati di supporto.
Vi basterà chiudere gli occhi.

 

NdA: E siamo alla fine! ^^ Come dire, ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui: meritate una medaglia alla pazienza. Nonostante la confusione, spero si sia capito che mi son divertita a scrivere questa storia, e spero di essere riuscita a trasmettere almeno in parte il mio entusiasmo per la saga degli Atridi (a cui la storia è sfacciatamente ispirata). Probabilmente non l'avrei mai scritta se non fosse stato per il contest This is War II di ManuFury, per cui ringrazio anche la GiudiciA per aver indetto una cosa tanto ispirante (a prescindere dal risultato, è stata una sfida fantastica).
Ecco, forse in futuro utilizzerò di nuovo queste ambientazioni, dato che mi piacciono molto, ma con una riflessione più attenta sulla coerenza del testo. Per ora vi ringrazio di nuovo e vi saluto. Alla prossima!^^

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3068692