Lo scrittore

di Ashirogi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Una normale giornata di scuola (parte 1) ***
Capitolo 2: *** 1° Una normale giornata di scuola (parte 2) ***
Capitolo 3: *** 2° uno strano caso di premonizione (parte 1) ***
Capitolo 4: *** 2° uno strano caso di premonizione (parte 2) ***
Capitolo 5: *** 3° Ok, questo è veramente troppo strano (parte 1) ***
Capitolo 6: *** 3° Ok, questo è veramente troppo strano (parte 2) ***
Capitolo 7: *** 4° Ora posso vivere sereno (parte 1) ***
Capitolo 8: *** 4° Ora posso vivere sereno (parte 2) ***



Capitolo 1
*** 1° Una normale giornata di scuola (parte 1) ***


Angolino dell'autore: Konnichiwa gentaglia-sama. Questo è il mio primo racconto originale... Spero vada bene... Non sò perché ma ho parecchi problemi con la disposizione del testo, quindi provo ad accorciare il capitolo... Se funziona vi metto poi la seconda parte a parte (Parte a parte... che ridere XD) Un saluto a tutti (recensiterecensiterecensite... No, non sto usando i messaggi subliminari, tranquilli... recensiterecensiterecensite)

Marco si sedette davanti al computer e si impose di rimanere lì per almeno mezzora, cercando un'idea da buttare giù. Non che non né avesse, ma gli sembravano tutte scontate o più adatte a diventare manga o simili, ma in ogni caso non sapeva disegnare, e non era quello che voleva fare, dopo tutto. Dopo aver scritto la prima riga prese una caraffa di acqua calda accanto a se, riempì il mate che aveva già preparato, quindi cancellò la prima riga e si rimise a scriverla dall'inizio.
Ci sono universi che noi non conosciamo, ma possiamo dire che loro non conoscano noi?
Subito dopo la cancellò con stizza. Non era il modo di iniziare un romanzo. Un romanzo doveva iniziare si in mezzo all'azione (L'espressione latina ora gli sfuggiva), ma senza risultare troppo impegnativo da seguire fin dall'inizio. E se facessi un Fantasy? In fondo erano più facili no? Potevi inventarti addirittura le leggi fisiche, non avevi limitazioni di sorta. Potrebbe risultare impegnativo creare un mondo nuovo e tenerlo in piedi. Meglio basarsi su quello esistente. Ma almeno il Fantasy ti lasciava maggiore carta bianca. Marco lo scartò. Troppo complicato, più che semplice.
Poliziesco? Si, poi ci vai tu ad informarti sulle tecniche d'investigazione? Si può copiare dagli altri libri. Ma devi scrivere qualcosa di originale! Marco si alzò dalla scrivania e si spostò in cucina, aprendo il frigo, lo osservò cercando qualcosa di dolce, lo richiuse e tornò a sedersi davanti al computer.
Qualcosa di originale... Un'idea prese forma nella testa di Marco: uno scrittore in erba che non riesce a scrivere, alla fine un mondo che gli si apre davanti, fino a quando non riesce più a distinguere realtà da finzione. Gli piaceva. Si sistemò sulla sedia e cominciò a scrivere:
Marco si sedette davanti al computer e si impose di rimanere lì....

Dopo quindici minuti aveva già scritto cinque pagine piene. Non molto se si pensa ai ritmi dei grandi scrittori, ma lui era costretto a fermarsi spesso per avere idee o controllare informazioni. Per lui cinque pagine, piene, erano un record enorme: tre minuti a pagina!
Soddisfatto prese il mate accanto a se e lo andò a svuotare nel lavello della cucina. Era arrivato al punto in cui il lettore si sarebbe ormai affezionato al nuovo Marco, quindi poteva iniziare la narrazione vera e propria. Marco aveva finalmente deciso cosa scrivere e si era messo di buona lena sul computer, ora bisognava lavorarci su.

“Marco, potresti stare attento per favore?” “Si, mi scusi.” Mi scusi 'sta ceppa! È un ora che parli di cose inutili e senza senso. Marco era infatti immerso nei propri pensieri, mentre all'esterno si svolgeva la lezione di Storia e Filosofia: una palla mortale. Doveva pensare a cosa Marco volesse scrivere. Non lo aveva ancora detto, ma infondo lì si basava tutto: cosa avrebbe mandato in crisi il cervello del personaggio? Un Fantasy? No, così sarebbe stato da manicomio, non si integra un Fantasy con il mondo reale. Uno spionaggio? Ma così si cade nella paranoia, scritta e riscritta. Un fantascientifico. Eccolo. L'idea di aver visto un viaggiatore del tempo, che gli altri siano robot, è da pazzi, ma non tanto da manicomio né da paranoia, o meglio, da paranoia quanto basta. Sarebbe stato fantastico!
Finita la lezione Marco cercò di uscire in fretta dalla classe per raggiungere il cortile interno, per evitare discussioni inutili con i compagni, ma venne fermato da Giulio, uno che si reputava suo amico ma che Marco considerava uno stronzo presuntuoso. “Ohi Ma', tra una settimana è il compleanno di Franca, vorremmo fargli un bel regalo, sarebbero dieci Euro a testa” “Dieci Euro?” In realtà Marco aveva già deciso di partecipare, Franca era la ragazza più bella della scuola (almeno nella sua classifica personale, gli altri non avevano i suoi gusti) “E dai, che fai il tirchio? Siamo in venti, con dieci Euro raggiungiamo a mala pena i duecento. Che gli fai con duecento?” Marco si trattenne a stento dal correggere 'gli' con 'le', non voleva apparire il secchione della situazione. “Vabbé, quando te li devo dare?” “Entro Martedì, ma prima fai meglio è” “D'accordo, ci vediamo dopo” “'N'dò vai?” Marco odiò quel ragazzo dal profondo del cuore, e si trattenne dal rispondere con battute oscene sulla madre di quello stronzo che non lo lasciava andare prima che... “Marco!” Ecco, ora voleva veramente saltargli al collo. Dalla porta era spuntata fuori Elisa, una ragazzina del primo anno che, Marco non ricordava come e perché, si considerava la sua fidanzata, nonostante lui le avesse più volte detto che non provava niente per lei. Tutta la classe, invece, pareva invidiarlo. Elisa si presentava con due tette enormi, un sedere da paura ed era famosa per gettarla al vento come briciole di pane. Tutto questo, a Marco, non importava minimamente. “Normalmente non ti trovo mai, questa volta mi hai aspettato?” e corse ad abbracciarlo “Hai visto che bravo ragazzo che sono?” Rispose, mentre si voltava verso Giulio, lanciandoli uno sguardo carico d'odio, tanto che quello, in imbarazzo, fece un gesto come a dire e io che c'entro?  “Come va la vita?” Da schifo, quando ti ho vista “Si tira avanti, si tira avanti” E qui Marco fu paralizzato da un'idea: lettura della mente! Cosa sarebbe successo se quei poveri deficienti che lo circondavano avessero letto la sua mente? Il professore lo avrebbe sospeso ad vitam, Giulio lo avrebbe pestato a sangue e Elisa lo avrebbe probabilmente castrato. Ecco l'idea! Il Marco del libro non avrebbe più capito se gli altri sapevano o meno ciò che pensava, e avrebbe confuso i propri pensieri con quelli degli altri, perché il proprio personaggio sapeva fare la stessa identica cosa. Si, avrebbe funzionato!
Per l'ora successiva Marco si divertì a far finta di leggere la mente degli altri della classe: quando guardava una ragazza si immaginava lunghi discorsi sdolcinati e cioccolato, mentre quando guardava un ragazzo pensava sempre le stesse cose: tette, tette, calcio, tette! Solo quando lo sguardo si posò su Giulio, con cattiveria si mise a pensare: peni, peni, peni! E la cosa lo fece talmente divertire che quasi scoppiò a ridere davanti al professore.
 

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Capitolo 2
*** 1° Una normale giornata di scuola (parte 2) ***



Angolino dell'autore: Konnichiwa gentaglia-sama! Sono ancora io:l'autore! *alza le braccia aspettando l'acclamazione della folla, che non arriva* Ok... allora... Il sistema della divisione in capitoli ha funzionato, ora hanno un'aspetto legibile. Con questo vi lascio alla seconda parte, sperando che vi piaccia. Recensite! (io petulante? Ma no, vi pare?)

Arrivato a casa, Marco accese il computer e, mentre aspettava che si caricasse, andò in cucina a prepararsi un piatto di pasta riscaldato nel microonde. I suoi genitori erano partiti, e non sarebbero tornati prima di una settimana e mezzo, quindi si spogliò (faceva abbastanza caldo e l'assenza di vestiti gli dava un senso di libertà e trasgressione) e si mise nudo davanti al computer, cominciando a scrivere, mangiando distrattamente il pranzo.
Nelle prime cinque pagine aveva descritto una giornata tipica di scuola, utilizzando come modello una propria, lì Marco aveva avuto l'idea di scrivere qualcosa (che curioso, anche lui aveva avuto l'idea a scuola!). Tornò indietro fino al punto che gli interessava e cambiò la frase, con qualche aggiunta simpatica: il suo personaggio sapeva leggere nel pensiero: ecco cosa aveva pensato il SUO di personaggio. Ovviamente questo comportava che i propri pensieri erano leggibili a tutti gli altri, ma questo, all'inizio del libro, la gente non lo sapeva: quante volte guardiamo una persona e ci immaginiamo ciò che pensa? La gente non ci avrebbe fatto caso, fino a quando non sarebbe successo qualcosa di veramente strano. Si poteva fare. Marco si sistemò meglio sulla sedia, mise da parte il piatto semi-vuoto e iniziò a scrivere come se il diavolo lo pagasse.

Marco si alzò dalla sedia strofinandosi il viso: si era addormentato davanti al computer. Il citofono suonò un'altra volta. “Arrivo! Arrivo!” Si gettò al volo i vestiti addosso e si precipitò a rispondere “Si?” “devo consegnare un pacco per Fideli, può aprirmi?” “Si, prego, piano terra”. Si pulì in fretta la faccia Ti sei addormentato nel piatto, e andò in bagno aprendo l'acqua nella doccia. Quindi aprì la porta “Andrea Fideli?” “Il figlio” “Può mettere una firma qui per piacere?” “Nessun problema.” indugiò un momento a leggere il foglio che gli porgeva sbrigati, che ho ancora un botto di consegne da fare Marco sorrise al pensiero e firmò Che ti ridi, coglione! Fu lì che Marco si preoccupò un momento. Lui non era il tipo da parole volgari. Si, Giulio lo indisponeva abbastanza da fargli pensare peste e corna, ma di norma non avrebbe mai usato “coglione”, piuttosto avrebbe pensato “scemo”. Prese il pacco sovrappensiero e richiuse la porta... Ti stai facendo suggestionare dalla storia che hai pensato, finisce che quello che entra in paranoia sei tu. Sorrise nuovamente e andò in cucina a lavare i piatti, lasciando il pacco vicino all'ingresso.
Il giorno dopo aveva altre pagine già scritte sullo schermo. Era stato quasi tutta la notte sveglio (quando i genitori non c'erano calava la maschera del bravo ragazzo), a bere a piccoli sorsi un liquore del padre mentre scriveva o cercava racconti e trailer come fonte d'ispirazione. Quest'opera lo stava prendendo seriamente, forse sarebbe stata la prima che sarebbe riuscito a finire, dopo le tante opere incomplete che ancora conservava sullo schermo del desktop. Si vestì, facendosi una doccia veloce e bevendo al volo un bicchiere di latte, per poi fiondarsi a scuola, sperando con tutto se stesso che la professoressa non interrogasse.
Nonostante l'aria del bravo ragazzo, Marco odiava il mondo. Non un odio intellettuale, verso una generica “umanità”, ma odiava vivamente ogni singolo uomo o ragazzo che incontrava per strada. Certo non giudicava prima di conoscere, ma sapeva che, al 90% o di più, non gli sarebbero andati simpatici, non lo avrebbero compreso e avrebbero cercato di imporre le proprie idee, quindi li odiava. Non lo esternava, mantenendo la maschera del santerellino per prima cosa perché voleva vivere una vita serena lontano dagli ospedali e poi perché sapeva che sarebbe stato inutile: non avrebbero capito neanche il suo odio. In tutto questo odio generale Franca era diversa e per questo Marco aveva paura ad avvicinarla, temeva che, se la avesse conosciuta meglio, ne sarebbe rimasto deluso. Combatteva tra il desiderio di averla (e non solo carnalmente, si sarebbe volentieri accontentato di un rapporto platonico), e quello di idealizzarla, rimanendone lontano per la vita. Non sapeva odiarla e non voleva amarla. Quel giorno, però, Giulio e chi altri sennò? Si era seduto al suo posto, per poter chiacchierare con qualche suo amico, lasciando a Franca il posto accanto a Marco, che aggiunse questo alla lista dei motivi per sodomizzare e uccidere “l'amico”.
“Ciao” “Ciao”
Uhmm... Che conversazione intelligente
“Hai fatto i compiti per oggi?” “ad essere sincero... no”
E dieci punti per il ragazzo imbranato
“Almeno oggi non interroga” “Già”
Meriteresti l'oscar per la miglior conversazione
“Hai una penna” “no, mi spiace, solo rosse”
E dagli la tua, deficiente!
“Ma se vuoi puoi usare la mia!” “no, grazie non serve, uso la matita”
Dio, sembri un ragazzino delle elementari, tira fuori le palle!
“No, sul serio, usa la mia, scrivo io con la rossa” “Se insisti...”
Oh, almeno l'hai fatta sorridere
L'imbarazzante conversazione a tre (Franca, Marco e i suoi pensieri), continuò fino a che non entrò la prof, quindi fu interrotta fino all'intervallo, quando Marco corse fuori e si chiuse in bagno, martellandosi la testa con i pungi Coglione! Coglione! Coglione! Ah, sì, non solo Giulio gli tirava fuori il peggio di se, ma anche se stesso! Che ti salta in mente, ti ci siedi accanto e non dici una parola? Vai a vedere che pensa che tu sia gay! Non era certo il momento per queste cose, doveva pensare un modo per iniziare una discussione seria. Non ci pensare troppo, vai e siediti, ciò che dirai dirai. Ok, un respirone, svuota la mente e andiamo!
Marco passò l'ora successiva ad odiare intensamente e silenziosamente Giulio, che aveva ripreso il suo posto.
“Allora ce l'hai il grano” sentiti, pari un gangster di un film da quattro soldi “Si, erano dieci euro, giusto?” “Se vuoi mettere di più, gli dico che lo hai fatto” così magari te la da. Marco cercò di ignorare quel pensiero “le dico, te lo ripeto ogni volta: se è femminile le...” “...do una bella botta” ma ti senti quanto sei volgare e fuori luogo? “Quello che vuoi” rispose distrattamente “E dai, te la sei presa? Ti stavo ascoltando: le dirò che sei stato tu, ok così?” Marco si costrinse a sorridere “Tanto non ne metto di più lo stesso” “Che tirchio!”. Ora doveva uscire prima che “Marco!” D'istinto lanciò un occhiata di aiuto a Giulio (solo perché era la persona più vicina), ma non c'era niente da fare. “Elisa!” la scimmiottò con garbo “mi hai aspettato anche oggi! Vedi che sei innamorato di me anche se non lo ammetti?” “Elisa, lo sai che per me sei solo una...” uhmm... bocca mia stai zitta... “...amica” “Sisi, ma prima o poi ti faccio cambiare idea, vedrai: sei il mio ragazzo ideale, e amor ca nulladdato andar perdona” Marco quasi svenne nel sentire Dante storpiato in quella maniera ma almeno sai leggere? “Carina vero? L'ha detto una persona famosa, significa che se io ti amo tu poi devi riamarmi!” che bell'esegesi, e dove l'hai letta: Baci Perugina? “Vieni a prenderti un pezzo di pizza con me?” Beh, almeno avrebbe ucciso qualche “Amico” di sua conoscenza con una buona dose di invidia, potentissimo veleno “Ma perché no? Tanto abbiamo un quarto d'ora...”
Il bar della scuola era qualcosa di impraticabile durante la ricreazione, ma Marco aveva imparato due o tre trucchetti per saltare la fila, e in breve si trovò di fronte al bancone, in prima fila, la destra tesa a porgere i soldi come se stesse cercando di toccare un santo, pur di farsi servire prima degli altri. Quindi sgusciò all'indietro con i due pezzi di pizza in mano, e poi passò un po' di tempo a palare di niente con Elisa, mangiucchiando la pizza e osservando gli altri nel giardino. Terminato il quarto d'ora tornarono in classe e Marco si accorse di aver fatto centro. Dal posto accanto al suo Giulio lo guardava come un cane bastonato. “Scusa Marco” gli chiese imbarazzato “Ma non avevi detto che non ti piaceva”, Marco ghignò sadico “Già, ma così ho avuto l'occasione di parlare male di qualcuno di mia conoscenza” Giulio impallidì “No, ti prego dimmi che non lo hai fatto. Sono due anni che ci provo!” “E chi lo sa” “Marco non prendermi per il culo, ti prego. Dimmi che non lo hai fatto!” Quanto avrebbe desiderato tenerlo sulle spine ancora per un bel po', per poi mentirgli e farlo sprofondare nella disperazione! “Ma no, ti pare. Ti sto solo stuzzicando” “Oh, sia ringraziato il cielo! Domani ho deciso di parlargli” E dagli con i pronomi! “Oh, scusa... Parlarle” Non c'è che dire, Marco fu sorpreso davvero.
Casa, scuola, casa, scuola... Quanto può essere monotona la vita di un giovane asociale? Per questo che Marco aveva sviluppato un'enorme fantasia, capace di creare mondi dove lui era il padrone, il dio, e poteva fare tutto ciò che desiderava, senza limitazioni di sorta: ogni giorno una vita diversa. Per questo motivo, forse, Marco aveva deciso di dare ai personaggi della storia i nomi delle persone che gli erano vicine: il protagonista era Marco, l'amico Giulio, la ragazza Franca e la rompiballe Elisa. Tutti i nomi erano uguali, ora pensava che probabilmente avrebbe dovuto cambiarli, se avesse voluto provare a pubblicare il lavoro ma tanto c'è ancora tempo: hai a mala pena finito il primo capitolo. Aveva ragione, ma quello che sarebbe successo gli avrebbe fatto cambiare idea molto presto.

 

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Capitolo 3
*** 2° uno strano caso di premonizione (parte 1) ***



Angolino dell'autore: Konnichiwa gentaglia-sama! Indovinate chi sono *non riceve risposta, quindi finge* Esatto! Sono proprio io: l'autore *alza le braccia facendosi l'ovazione da solo* Grazie, grazie, non dovevate. Eccovi la prima parte del secondo capitolo, dove già si inizia con qualche difficoltà nel capirci qualcosa... è ancora tutto lieve, presto si complicheranno le cose.
P.s.: qui termina ciò che ho già scritto, quindi ora procederemo insieme, prima scrivo e poi pubblico (mi sembra ovvio XD) non posso più pubblicare con così poca distanza l'uno dall'altro.
P.p.s.: Recensite, e che altro se no?

L'uomo si muoveva nel buio, poteva sentirlo. Era tutto troppo simile ad un film dell'orrore: un rumore qui, un'ombra là. Scosse la testa per cacciare lo stordimento della botta. Doveva riacquistare la piena lucidità. Un ombra sulla sinistra, un istinto. Si girò al volo alzando il braccio, che fu colpito dalla spranga di ferro, evitando di un pelo che gli spaccasse la testa. Si resse l'arto dolorante «È rotto?» Se lo era, l'adrenalina faceva un ottimo lavoro attutendo il dolore. Non si rese conto, nel mentre, che l'uomo era nuovamente sparito nel buio. «un altro colpo così e sono morto» Si guardò attorno con attenzione, quando...
...suonò il telefono. E mo' chi rompe a quest'ora? Marco posò il libro che stava leggendo e alzò la cornetta senza neanche alzarsi dalla poltrona “Pronto?” dall'altra parte non rispose nessuno. “Pronto? Non è divertente!” E in fatti non lo era: la propria voce gli rispose dall'altro lato del capo “aiutami!” Marco raggelò.
No... Forse così diventa troppo Horror, non va bene... Marco cancellò le ultime righe della pagina e si mise a pensare cosa poteva scrivere al suo posto. Il fatto che stesse leggendo gli sembrava fico, perché gli dava l'occasione per un po' di sano meta-teatro, o in questo caso meta-libro, e sembrava rendesse più realistico il tutto, ma cosa sarebbe successo tanto da sconvolgere il Marco-personaggio abbastanza da essere un colpo di scena? Mentre si chiedeva questo squillò il telefono.
Ok... non è divertente. Marco si era appena ripreso dall'attacco di cuore che gli era praticamente venuto quando, alzata la cornetta, non aveva ricevuto nessuna risposta... Inutile dire che il primo pensiero era stato che il personaggio del libro che aveva inventato aveva avuto la stessa esperienza. Così era stato in silenzio aspettando quasi in trans la propria voce che gli avrebbe risposto, invece una voce da ragazzino gli urlò contro qualche parola oscena, si udirono due o tre risate e il telefono tornò muto. Non è affatto divertente. Ma poi realizzò: non è affatto divertente, è questo il punto! È perfetta come idea. Marco si precipitò nuovamente al computer e scrisse freneticamente: il personaggio di Marco avrebbe fatto capitare qualcosa di strano al proprio personaggio, che poi sarebbe capitata a lui, e chissà, magari avrebbe avuto l'idea per far capitare la stessa cosa al proprio Marco no, così diventa un gioco all'infinito... Meglio lasciarla più semplice. Si, aveva ragione, già così era abbastanza intrippante.
Marco si vestì per uscire a fare la spesa, infondo i suoi genitori non c'erano. Al supermercato prese qualche cotoletta da scaldare, due hamburger e un liquore dallo scaffale degli alcolici (lo avrebbe tenuto nascosto in camera, e fatto durare abbastanza). Prese anche una confezione di gelati e una birra (questa la prese solo per sentirsi “grande”, probabilmente dopo i primi sorsi l'avrebbe gettata nel cesso). Pagò e tornò a casa. Sulla strada, però, successe qualcosa.
Stava camminando lentamente quando, passando accanto ad un vecchietto sentì lo sgradevole sentore che stesse per morire, o che meglio, che volesse morire. Cercò di non farci caso e passò oltre distratto, finché, venti passi più tardi un rumore forte non lo costrinse a girarsi: il rumore di una frenata improvvisa e di uno schianto.
Il vecchio giaceva a terra una decina di metri più avanti, mentre dalla macchina si precipitò fuori un tizio che sembrava sconvolto. Una piccola folla si stava radunando sulla scena, Marco fece qualche passo in quella direzione con la testa tra le nuvole, finché non gli giunse alle orecchie la voce di un uomo che piangeva «non... era rosso! Correva... io... Cazzo che ho fatto! Ma... Era un vecchio! Correva... io... Dio Santo!» Marco si costrinse a girarsi e a tornare a casa.
Non è divertente! Cazzo, non è divertente! Appena varcata la soglia di casa Marco aveva abbandonato l'aria calma e aveva lasciato cadere a terra le buste. Non è affatto divertente. Quel tizio si era gettato sotto una macchina, e lui lo aveva “sentito” prima! Ti fai troppe pippe mentali. Era solo istinto. Il tuo corpo ha capito cosa stava... per fare e lo ha immagazzinato a livello inconscio. No, non quello che stava per fare, ma quello che stava pensando! Scherzi? Ancora con quel libro? Se ti fa entrare in paranoia smettila di scriverlo. No, era l'unica opera che stava riuscendo a scrivere, non poteva lasciarla a metà, non anche questa. E allora smettila! È impossibile leggere la mente delle persone. Marco si calmò, la voce interiore aveva ragione, e questa semplice logica aristotelica lo riportò alla lucidità. Sistemò la spesa, preparò al volo una cotoletta e accese il televisore. Oggi non avrebbe scritto nulla, ci avrebbe ripensato l'indomani.
 

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Capitolo 4
*** 2° uno strano caso di premonizione (parte 2) ***


Angolino dell'autore: Konnichiwa gentaglia-sama! Non mi presento perché ormai mi conoscete: Sono Autore-sensei!! *urla!* Si, mi sono presentato lo stesso e si, ho usato su di me il suffisso onorifico -sensei, se avete qualcosa da ridire sulla mia coerenza o educazione ditemelo in una recensione (E no. Non le sto pensando tutte per farmi recensire). Un saluto a tutti e spero che questo capitolo sia di vostro gradimento... Mata nee

Dopo aver dormito come un bimbo tra due guanciali (descrizione che si adattava quasi perfettamente alla realtà, dato che in loro assenza, gli piaceva dormire sul lettone dei genitori, circondandosi di cuscini), si preparò un buon caffè (non ne andava matto la mattina, ma questa volta ne aveva bisogno), e si preparò ad andare a messa. Non credeva in maniera particolarmente forte, anzi, credeva veramente poco, ma in un quartiere di vecchiette, se vuoi mantenere la faccia pulita con i tuoi, devi andare a messa la domenica, e magari fermarti a parlare col parroco per qualche minuto. Così uscì e andò alla messa mattutina, senza però fermarsi a chiacchierare, infondo aveva casa vuota. Tornato si fece una doccia, si prese un gelato e si mise nudo a guardare la TV, facendo zapping tra i canali.
Si alzò dalla scrivania stendendo le braccia per far riprendere sensibilità agli arti indolenziti. Da un po' di tempo non faceva altro che scrivere. Aveva fatto progressi enormi. Dopo l'incidente del vecchio la sua immaginazione si era aperta verso orizzonti impensati, facendogli scrivere senza quasi interruzione per tutto il tempo delle “vacanze” che i genitori gli avevano involontariamente concesso. Peccato che sarebbero tornati il giorno dopo. Non che egli odiasse i propri genitori, ma avevano la sfortuna di appartenere alla categoria “mondo”, quindi non poteva fare a meno di disprezzarli almeno un poco, anche se, dentro di se, gli voleva bene. Comunque in questo caso erano quanto mai inopportuni. Tornati a casa avrebbero ripreso il controllo della casa, decidendo cosa mangiare, cosa vedere, quando mangiare e, soprattutto, quando scrivere. Perché devi studiare, non puoi andare avanti così, stai sempre al computer, non esci mai. Ovviamente non poteva dirgli che della scuola non gliene fregava una ceppa e che uscire di casa significasse incontrare gli odiosi appartenenti alla razza cosiddetta umana. Sarebbe stato troppo per loro avere un figlio antisociale.
Così si limitava a fare qualche passeggiata, studiare un poco, chiamare qualche “amico”. Ma quello che gli mancava veramente era scrivere.
Con un sospiro andò a lavare i piatti in cucina, cercando poi di mettere in ordine il salone. Non che gli importasse nulla, ma se voleva avere altre occasioni per restare a casa da solo, doveva recitare il ruolo del bravo ragazzino diligente.
Il giorno dopo, come previsto, arrivarono i genitori. Marco aveva appena salvato la propria storia su una pennetta USB, cancellandone poi ogni traccia sul computer di casa, che citofonarono alla porta. Marco sospirò nuovamente. Nonostante avessero le chiavi, la madre nutriva l'insensata paura (ovviamente non dichiarata) di sorprendere il figlio letteralmente con le braghe calate; faceva quindi in maniera di raggiungere il citofono prima del marito per poter “avvisare” il figlio del loro ritorno. I due maschi, che avevano capito già da tempo le intenzioni della donna, la assecondavano facendo finta di esserne ignari, salvo scambiarsi qualche battutina a doppio senso ogni tanto, per stuzzicarne la tenera paura materna.
“Come sono andati questi giorni? Hai rotto qualcosa?” E vai con la prima solita domanda, papà “No, tutto intero e in ordine” “Hai mangiato tutti i giorni?” E ora tu con le tue preoccupazioni insensate, mamma “No, ho deciso di digiunare per tutte le domande senza senso che mi fai mamma” “Non prenderla in giro, sai che si preoccupa per te” Dio, ogni volta usate le stesse identiche parole, ve ne rendete conto? “Dai Pa', stavo solo scherzando” “Tutto a posto caro? Oggi mi sembri un pochino strano...” Questa notte non ho praticamente dormito per poter scrivere qualcosa... Grazie per aver notato qualcosa di diverso dal solito. “Sono solo un poco stanco, ho dormito poco” “Allora vatti a riposare caro, ti svegliamo noi per cena”.
Passò il pomeriggio sdraiato sul letto a prendere appunti su un quadernetto nero, segnandosi tutte le idee che gli venivano in mente sulla storia, più qualche pensiero veloce su altre storie che avrebbe potuto scrivere. Per tutto il resto fu il pomeriggio più inutile di tutta la settimana passata.
Dopo cena ebbe l'agognato permesso di chiudersi nello studio a lavorare al computer. Attaccò immediatamente la pennetta e aprì il documento. Avrebbe dovuto fare molto in fretta, perché la madre era molto restrittiva sugli orari per andare a dormire, nonostante fosse ormai sulla soglia della maggiore età. Il sonno è importante per mantenere il corpo sano. E così si trovava in imbarazzanti situazioni da bambino piccolo, costretto a litigare con i suoi per strappargli la visione di un film serale; almeno il padre era piuttosto neutrale in questo.
Aprì il quadernetto accanto a se e cominciò a scrivere, cercando di essere il più veloce possibile.
La cosa strana, ma che sul momento apparve soltanto curiosa agli occhi di Marco, fu quello strano caso di premonizione che avvenne a età del capitolo che stava scrivendo. Marco aveva appena finito di scrivere una riga nella quale la madre del personaggio entrava nella stanza con un coltello in mano, facendogli credere, per un istante, che volesse farlo fuori, impazzita per qualche motivo, quando questa era entrata realmente nella stanza. Girandosi, Marco l'aveva vista ritagliata nel rettangolo di luce della porta, con un lungo coltello in mano, sollevato sopra la spalla. Dopo un attimo di terrore, aveva notato che con quel coltello stava indicando il corridoio dietro di se. “Ti vuole tuo padre. Ha deciso che stasera vi vedete un film tra uomini” Aveva proclamato, lievemente stizzita, andandosene poi in cucina.
Ma ovviamente non era questo il caso che apparve curioso a Marco. Bensì fu curioso che, finito di scrivere l'ultima riga, nella quale la madre del Marco-personaggio entrava nella camera, che anche sua madre entrò nella stanza, ripetendo quasi alla lettera la frase della madre-personaggio. Un totale di tre Marco avevano visto tre madri entrare in stanza con un coltello, e per un attimo, tutti e tre avevano avuto l'impressione che fossero diventate, per un momento, pazze assassine.
Il film che il padre aveva deciso di vedere “tra uomini”, sfidando apertamente il coprifuoco imposto a Marco dalla madre, era un film di spionaggio, pieno di inseguimenti e combattimenti di Kung Fu, evidentemente, cercando di accordarsi con i gusti del figlio, dato che, Marco lo sapeva, odiava intimamente quel genere di film. Passarono tutto il primo tempo commentando la verosimiglianza di tutte le scene, lodando la bravura degli attori e criticando le scelte di regia, scambiandosi battutine allusorie sulle pubblicità televisive ormai piene di oscenità. Il secondo tempo coincise con l'ultimo piatto sciacquato dalla madre, che venne a salutarli, facendo finta di essere felice per i due “maschiacci di casa”, come le piaceva chiamarli. Quando fu andata a letto, dopo aver fatto trascorrere qualche minuto di silenzio, il padre si alzò e andò a prendere qualcosa dal frigo, tornando dal figlio con due bottiglie di birra fredda, già stappata, porgendogliene una “non dirlo a tua madre che altrimenti chiede il divorzio” Disse sorridendo con fare cospiratore. Marco non sapeva che dire. Gli piaceva sentirsi complice del padre, quelle poche volte che succedeva, ma se aveva sfidato il coprifuoco, il divieto tassativo dell'alcool in casa (salvo il vino a tavola e i liquori della domenica) e inoltre gli aveva offerto una birra davanti a un film di violenza, andando così di poker contro il volere della moglie (A cui, di tanto in tanto, rispondevano di tanto in tanto Hi, furer, per prenderne in giro la severità), era ovvio che il discorso che ne seguiva sarebbe stato alquanto imbarazzante.
“Allora, Marco. So a cosa stai pensando. So anche che sono in ritardo di qualche anno per questi discorsi, ma... La verità è che non ho mai voluto pensare a te sotto questo aspetto, quindi... oddio è così imbarazzante” Marco annuì. Beh, caspita... meglio tardi che mai no? Sullo schermo un uomo si era appena gettato da un grattacielo, sperando di atterrare sul tetto del palazzo vicino, ma ovviamente nessuno dei due gli prestava attenzione. “Ora... non voglio farti il discorso classico dell'ape e del fiore... penso che queste cose tu le conosca già, forse meglio di me...” Marco si ritrovò a fissare la finestra. Era invitante, era così larga che la si poteva attraversare senza alcun problema. “Quello di cui ti voglio parlare è di come ci siamo conosciuti io e tua madre. Mi chiederai cosa centra? Ma ti prego di restare ad ascoltare... Allora...” La depressione gli piombò addosso quasi all'improvviso. Quella finestra era così invitante, il pavimento della strada abbastanza lontano, non si sarebbe fatto poi troppo male. Era tutto così perfetto, così quella stronza avrebbe capito cosa si prova a perdere qualcuno. Gli dispiaceva solo per i figli, ma anche loro si sarebbero dimenticati di lui. E poi quella finestra era così invitante, il pavimento della strada così lontano. “Marco, che hai?” La figura passò velocemente davanti alla finestra, che subito si tinse di macchie rosse. Come hai potuto pensare che il pavimento fosse così lontano? Pensò sconvolto mentre il padre correva, al rallentatore, verso la finestra. Sullo schermo un uomo veniva colpito da un proiettile. Il sangue del film, al confronto con quello vero sulla finestra, sembrava assurdamente più realistico. Tu abiti al piano terra.
 

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Capitolo 5
*** 3° Ok, questo è veramente troppo strano (parte 1) ***


Konbanwa, Gentaglia-sama. Come state? Oggi abbiamo una grande notizia: abbiamo ricevuto la prima recensione! Yeah! *esulta, sperando che qualcuno lo segua, ma non accade* Comunque, dicevamo, ci hanno lasciato una recensione (No, non uso il plurale maiestatis, ma sto includendo anche voi, stolti lettori silenziosi), e per la precisione ce l'ha lasciata l'amica Tissues. Carissima, grazie infinite! Ti ho già risposto, ma aggiungo qualcosina anche qua... La vera parte incasinata non è ancora iniziata. Le parti che fino ad ora sono abbastanza chiare e distinte si confonderanno ancora di più: chi è Marco-autore e chi Marco-personaggio? Hihihi, ne vedremo delle belle! Se puoi, recensisci anche gli altri capitoli. Per tutti gli altri, mi raccomando: non recensite (E non sto cercando di usare la psicologia inversa, vi pare...)

 
Marco salvò il documento e chiuse il computer. Forse il giorno dopo avrebbe cancellato l'ultima pagina del capitolo. Il fatto che il personaggio sentisse i pensieri di un suicida era forse troppo esplicito. Inoltre non ci sarebbe stata una paranoia indotta. Si sarebbe scivolati nel paranormale. Marco sospirò. D'accordo, avrebbe cancellato l'ultima parte, forse anche quella della madre che entra nella stanza. Perché? Beh, il fatto che fosse successo veramente, un secondo dopo che lo avesse scritto, lo aveva scosso un pochino. Però era fica come cosa, no? Si, ma veramente troppo strana. Va a finire che diventi realmente paranoico. Comunque per il resto la cosa andava piuttosto bene. In effetti il giorno prima il padre gli aveva fatto un bel discorso su come andassero trattate le donne e su come bisognasse stare attenti e cose simili. Il tutto mentre in tv il protagonista del film decideva di gettarsi da un ponte. La fantasia di Marco aveva fatto il resto ed era nata quella pagina che ora, con più buon senso, aveva deciso di cancellare. La scena della madre però la lascio. Beh, in fondo era veramente forte come cosa.
Sedeva a tavola con i suoi, quasi in religioso silenzio, mentre consumavano il pranzo che la madre aveva preparato con “amore” ma soprattutto fretta. Sembrava di consumare la Pasqua ebraica, con i fianchi cinti e il bastone in mano, per la fretta che avevano nel consumare quello che avevano davanti. Finito, ognuno, in silenzio si andò a preparare. In meno di dieci minuti sedevano tutti e tre in macchina. La casa del nonno in realtà non era troppo distante, ma non era facilmente raggiungibile a piedi, per cui usavano la macchina. Scesero mantenendo quel silenzio e salirono le rampe di scale che li separavano dall'appartamento del nonno. Aprì la porta la donna di servizio, che senza dire nulla annuì alle tre facce da funerale e li fece passare. I tre andarono in processione fino alla camera del nonno, si guardarono un attimo con gli occhi pieni di tristezza ed aprirono la porta con un sospiro. Una volta dentro, divennero immediatamente euforici.
-Ciao, papà!- -Nonno, quanto tempo!- -Come va, Babbo?- I tre entrarono nella stanza dove il vecchio sedeva su un cavalluccio a dondolo, con un aria così ridicola da sembrare grottesco. Indossava corti pantaloncini alla scolaretta, una camicia bianca (almeno lo era una volta) Con un farfallino rosso allacciato male, sul naso due occhialetti da lettura e sulla testa ormai calva un cappello da muratore fatto con un foglio di giornale. Il piede destro indossava uno zoccolo, quello sinistro un mocassino. -Oh! La mia famigliola!- Esclamò una voce un po' troppo acuta per un vecchio! -Che bella sorpresa che mi fate!- Passarono il pomeriggio a giocare, con il vecchietto, ai trenini, a guardia e ladri (correndo lenti per non prenderlo ma facendosi prendere), nascondino (trattenendo le lacrime quando si nascondeva sempre nel solito posto, dietro il cavalluccio, e fingendo di non vederlo) e ogni gioco che potesse renderlo felice senza procurargli danni. Il tutto con un sorriso sulle labbra da far impallidire un attore di Hollywood. Venuta la sera salutarono l'uomo, promettendogli un'altra visita il giorno dopo e uscirono. Sulla soglia li aspettava la donna di servizio.
-Mi spiace avere chiamato, signori, ma Franco così solo. Io gioca lui, ma lui no ride, dice: mi hanno lasciato, no vuole me. Io, mi spiace.- Il padre di Marco la fermò. -Non c'è problema, chiamaci ogni volta che si deprime. Per il padre di mia moglie siamo pronti a fare tutto, in qualsiasi momento.- Uscirono di lì e tornarono, in perfetto silenzio, a casa. Quella sera Marco, nel suo letto, sentì sua madre piangere. Marco adorava il nonno. Si ricordava di quando era piccolo e il nonno era ancora sano di mente: era una persona straordinaria. Già calvo e con un carattere effettivamente tendente al bambinesco (segno non notato della malattia avanzante) il nonno passava le ore a raccontargli favole e storie surreali. Era stato uno scrittore. Non di successo, beninteso, ma comunque uno scrittore, che aveva pubblicato un libro di racconti e due o tre romanzetti, sotto lo pseudonimo di Giulio Roccaforte, libri che, cercandoli bene, si trovavano ancora in non poche librerie.
Il preferito di Marco era una storia strappalacrime di un uomo alla ricerca della donna perduta anni prima, fino a scoprire poi che, in tutto quel tempo lei si era sposata, aveva avuto figli e poi era morta. Si chiamava “le lacrime del vento”. A Marco piaceva non per la trama principale, ma più che altro per lo stile: ogni particolare che l'uomo notava in una donna apriva flashback sulla storia che aveva avuto con il suo amore. Finito quel libro, Marco aveva deciso di diventare uno scrittore. Ora che il nonno si trovava in quella condizione, aveva deciso che sarebbe diventato uno scrittore anche per lui, per completare le sue volontà. Sembrava un po' sciocco, ma come nome d'arte avrebbe scelto Marco Roccaforte. Se Marco odiava il mondo, amava Franca e detestava Giulio, era altrettanto vero che venerava il nonno.
Il giorno dopo tornò a scuola, solita routine, solite cose. Non ne poteva più. Inoltre camminando per strada gli veniva naturale immaginarsi i pensieri della gente che passava, il che lo stancava parecchio. Quello che era nato come un gioco per imitare il proprio libro iniziava a diventare una fastidiosa mania. Passava accanto ad una bella bionda e si diceva tra sé e sé: sicuramente sta pensando a... Quindi partiva un film di tradimenti e rapporti amorosi. Passava vicino ad un vecchietto? Sicuramente sta pensando a... E giù con i problemi della pensione e dei nipoti ribelli. Non né poteva più. Era un'attività snervante, che metteva alla prova la sua enorme fantasia. Eppure non riusciva a smettere. Come il drogato odia la droga o il fumatore detesta la sigaretta, così lui non sopportava quei pensieri, ma nessuno dei tre sarebbe riuscito a smettere. Sennonché, arrivato in classe, la trovò vuota eccezion fatta per Franca.
-Ciao- -Ciao-
Iniziamo come l'altra volta?
-Non c'è nessuno!- -Vero?-
Un applauso a capitan ovvio!
-Non dirmi che si entrava un'ora dopo- -C'è scritto sul registro, io non me lo ricordavo-
Dio del cielo, perché mi odi così tanto?
-Caspita! Se lo sapevo dormivo un po' di più- -A chi lo dici.-
Si sedette accanto a lei, posando lo zaino. Lei aveva un libro posato sul banco, aperto. Aveva interrotto la lettura quando era entrato, ma ora aveva ripreso.
-Che leggi?- -Les Miserables, di Victor Hugo-
Marco sobbalzò sulla sedia
-Davvero? Lo sto leggendo anch'io! Dove sei arrivata?- -Sto alla storia di Fantine- -Oh no, non dirmi nulla! Sto ancora a Monsignor Bienvenu.- -Oh, è un po' lunga quella parte- -Un po' lunga? Sono più di dieci capitoli che presenta il personaggio!- -Però entra nel profondo non trovi?- -Assolutamente. È a dir poco fantastico!-
L'ora vuota, che passarono da soli, può essere riassunta con poche frasi:
Che ne pensi? Spettacolo! Notre Dame de Paris! Bellissimo! Il fantasma dell'opera? Preferisco il musical I promessi sposi! Anche tu?!
Per la prima volta, in vita sua, Marco ebbe veramente voglia di vivere. Stava avendo una discussione intelligente con la donna che amava, su argomenti che amava, senza nessuno intorno. Che cosa poteva andare storto, in un momento come quello?
 

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Capitolo 6
*** 3° Ok, questo è veramente troppo strano (parte 2) ***


Konnbanwa gentaglia-sama! Pensavate di esservi liberati di me, eh? E invece sono ancora qua a rompervi i co...mputer con il mio racconto! Contenti? Vi dico subito che questo capitolo, diviso in due, può sembrare alquanto breve e inutile. In realtà si rivelerà al quanto importante... Inutile dirvi che dovete capire da soli quale sia il Marco-scrittore e quale il Marco-personaggio-scrittore e chi il Marco-personaggio-aggio. Ma se ci fosse stato, senza che voi ve ne siate accorti, un Marco-personaggio-aggio-aggio? Muhahaha! Vi ho messo il dubbio, vero? Per ulteriori informazioni lasciate pure una domanda recensione che, sicuramente, lascerete: vero?


Marco portò la schiena contro la sedia: già, cosa sarebbe potuto andare storto? Forse il fatto che si trovava chiuso in camera davanti al computer a scrivere invece che accanto alla ragazza dei suoi sogni? Sospirò abbattuto. Valeva la pena di vivere in questa maniera? Valeva la pena di continuare a trascinarsi giorno dopo giorno? Non era più semplice mettere fine a tutto questo in maniera veloce e indolore? Marco osservò lo schermo cercando di distrarsi. La storia cominciava a prendere corpo, mentre il personaggio si districava per la trama cercando di mantenere un minimo di sanità mentale. Fin quando non notò qualcosa: si tirò a sedere e osservò con maggiore attenzione ciò che aveva scritto. Quello che aveva davanti agli occhi gli sembrò d'un tratto molto realistico. Ripercorse velocemente le ultime pagine, quindi tornò più indietro. In preda ad una specie di raptus riniziò a leggere dall'introduzione fino all'ultimo capitolo.
E se...? No, non era possibile. Si stava facendo troppi film. I nomi li aveva scelti apposta uguali a quelli della realtà, ci aveva già pensato. Eppure... Diamine! Come puoi pensare cose del genere? Accadono solo nei romanzi! Lo so, però... Vuoi formulare una frase coerente? Non ho scritto quasi parola per parola quello che mi è successo negli ultimi giorni? E allora? Ti sembra così strano? Hai semplicemente tratto ispirazione dalla vita quotidiana. Però effettivamente...Che vuoi dire? Che sai leggere nel pensiero? Ovviamente no! E allora basta!
Marco si alzò dalla scrivania e andò a cena, con un mal di testa terribile che non accennava a diminuire.

“Ciao” “Ciao”
Iniziamo come l'altra volta?
“Non c'è nessuno!” “Vero?”
Un applauso a capitan ovvio!
“Non dirmi che si entrava un'ora dopo” “C'è scritto sul registro, io non me lo ricordavo”
Oddio santo, questa scena l'ho già vista
“Ti senti bene?” “Benissimo!”
Che sta succedendo qui?
“Marco, sei pallido!” “Dici?”
Non è possibile che stia accadendo!
“Marco, ti prego mi stai spaventando!”
Marco, di risposta, rigettò quello che aveva nello stomaco.

...Dopo di che si svegliò sudato nel proprio letto. Ok, questo è veramente troppo strano! Oh, suvvia, è solo un sogno!
Sulla parete di fronte al letto l'orologio luminoso segnava l'una di notte, Marco si alzò per andare a bere un bicchiere d'acqua: si sentiva ancora in bocca il sapore del vomito. Bevve e sputò nel lavandino un paio di volte. Poi mandò giù un paio di bicchieri, quindi uscì dal bagno (Ma non era andato in cucina?) e si massaggiò una tempia, mentre tornava a casa (Era andato a scuola? All'una di notte?), aprì la porta e si trovò in una giungla. Ok, sto ancora sognando. Ora doveva trovare un modo di svegliarsi, perché il sogno iniziava a farsi veramente inquietante. Improvvisamente un ramo si animò e lo prese per un braccio, un altro lo colpi allo stomaco. Il sapore di vomito li riempì nuovamente la bocca. Se sto dormendo, perché provo dolore? Il panico si impadronì di lui quando vide un grosso ramo che...

...lo colpì in pieno svegliandolo. Era nella classe della scuola, Franca, pallida e spaventata era china su di lui, mentre il grosso bidello (in realtà era una lei, ma la stazza e l'accenno di barba le avevano meritato il soprannome di bidello) lo sorreggeva e, a giudicare dal bruciore sulla guancia lo aveva appena schiaffeggiato. “Tutto bene, ragazzo?” “Si, sissignora, una favola!” “A me non sembra, sicuro di non voler tornare a casa?” “No signora, vorrei rimanere. Ho già fatto troppe assenze.” Lei annui, poco convinta “Tra una mezz'oretta passo a vedere come stai. Se non ti sei ripreso fili a casa!” “Sissignora!” E il bidello se ne andò.
Allora era tutto vero? Possibile? Che stai dicendo? L'avevo scritto! È andata come avevo scritto! O mamma, è una coincidenza, non avrete certo usato le stesse parole! Non è quello il punto! Quante probabilità c'erano? Dio santo! Ti stai facendo un sacco di problemi! Sei un paranoico! Non è vero! Era tutto veramente troppo strano! Ok, si è trattata di un'enorme coincidenza, d'accordo! Ma poi è normale sognare quando si è svenuti? Direi che questa domanda è di secondaria importanza.

“Marco, ma che è successo?” “un calo di zuccheri, niente di che”
Quando c'è la salute...
“Eh, quando c'è la salute...” “Ahah, pensavo la stessa cosa!”
Da aggiungere alla lista delle cose strane di oggi...

L'ora successiva la passarono in imbarazzante silenzio: Franca a leggere Les Miserables, Marco a far finta di studiare Fisica. E tanti cari saluti alla loro prima chiacchierata intelligente!

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Capitolo 7
*** 4° Ora posso vivere sereno (parte 1) ***


Angolino dell'autore: Un Salutone Gentaglia-sama! Tutto a posto voi? Io Meglio di così non si può non stare! Yuppy! Perché, miei cari amici silenziosi, abbiamo ricevuto la nostra seconda recensione! (Si, anche questa volta vi sto includendo insieme a me, esserini inutili che non siete altro) Si tratta di una recensione lasciata da MissKiddo, anche in questo caso ho gia risposto alla recensione, ma aggiungo qualcos'altro qui: Carissima, (mi ripeto per quei lettori che non leggeranno la tua recensione) Sicuramente questi capitoli saranno pieni di errori, ma giuro solennemente di ricontrollarli tutti appena l'Università mi lascerà un minimo di respiro... Ho dato un'occhiata al tuo profilo: anch'io adoro il mitico Stephen!
E ora un po' di spam *faccetta satanica che non so fare*: Consiglio a tutti i miei lettori (e spero che ce ne siano) Di leggere la Oneshot su Pirati dei Caraibi di MissKiddo e "Cieli di Cenere" di NoraC, perché lo meritano davvero.
Ok, la smetto di parlare!
P.s.: e questa volta non vi ho neanche ordinato di recensire! XD
 
Marco, seduto sulla tazza del bagno si reggeva la testa tra le mani, cercando di non impazzire. Doveva fare mente locale. Lui era uno studente, del mondo reale, del pianeta terra, un essere umano. In quanto tale non sapeva leggere nella mente, non poteva indovinare i pensieri degli altri. Stava scrivendo un libro: forse il primo libro che avrebbe portato a termine, che avrebbe potuto pubblicare, fosse anche su internet. Quello che succedeva in quel libro non era quello che succedeva a lui, e questo doveva capirlo. Erano due mondi totalmente separati, e lo avrebbe dovuto capire una volta per tutte.
Accese il computer in preda a un raptus, aprì il documento e cercò la funzione 'sostituisci': in breve i nomi dei personaggi si distaccarono da quelli della sua vita reale.

Marco posò la schiena sul dorso della sedia. Ora non c'era nulla che lo legasse a quel libro, nulla che lo potesse perseguitare con somiglianze incredibili. Marco era Marco, Vittorio era Vittorio. Non c'era possibilità di sbagliarsi. Ora posso vivere sereno... O almeno così pensava.

In effetti il giorno dopo si svegliò sereno, fece una colazione serena, si vestì serenamente. Sull'autobus la gente, per la prima volta, probabilmente, non gli urtava il sistema nervoso. Scese e con serenità si incamminò verso la scuola. Sorrise a Giulio, un cenno a Franca, persino un segno della mano verso Elisa. Tutti lo guardavano stupito. Certo nessuno avrebbe potuto anche sospettare che fosse asociale, ma lo conoscevano come un tenebroso poeta maledetto, simpatico ma timido. Vederlo così espansivo e sereno non era normale. Marco, però, era fin troppo sereno per notare quelli sguardi e, con l'anima leggera, si diresse verso la propria classe.

La cosa sorprendente, in verità, fu che neanche le sei ore di lezione riuscirono a fiaccare la serenità che Marco sembrava trasudare da tutti i pori, anzi, si poteva avere l'impressione che questa serenità fosse contagiosa, dato che la metà della classe, durante l'ora di fisica, dormiva beatamente, ma con maggior probabilità, quella era merito del Professore.
Marco attese la fine delle lezioni, quindi si avvicinò al banco di Franca, con l'evidente intenzione di attaccar bottone. Marco non lo notò, Franca lo notò troppo, ma sta di fatto che l'intera classe stava in silenzio a guardarli.
“Ciao Franca” “Ehi, ciao Marco. Ti sei ripreso?”
“Abbastanza, era solo un malore” “Sono davvero contenta”
“Senti, ti dispiace aiutarmi con Inglese? Non ci capisco un acca!” “Volentieri, quando vuoi”
“Possiamo fare domani pomeriggio alla Biblioteca comunale?” “D'accordo. Alle quattro?”
“Sarebbe perfetto, grazie mille!” “E porta i testi di Shakespeare!”
Marco uscì dalla classe sotto lo sguardo compiaciuto di tutte le sue compagne e quello divertito dei compagni. Ora posso vivere sereno! E lo pensava veramente.

A casa non aveva scritto niente. Non si era neanche avvicinato al computer, e aveva evitato in ogni modo di mettere piede nello studio, gironzolando per casa. Non che avesse deciso di abbandonare il libro, ma semplicemente era passato troppo poco tempo dalla crisi di panico che aveva avuto, e non voleva subire un'altra esperienza del genere. In fondo aveva tutto il tempo che voleva per mettersi a scrivere, no? Non c'era nessuno a corrergli dietro, giusto? Adesso aveva un solo pensiero per la testa, ed era suo: Ora posso vivere sereno! E se lo ripeteva come un mantra.


Marco si sedette davanti al computer e si impose di rimanere lì per almeno mezzora, cercando un'idea da buttare giù. Non che non né avesse, ma gli sembravano tutte scontate o più adatte a diventare manga o simili, ma in ogni caso non sapeva disegnare, e non era quello che voleva fare, dopo tutto. Dopo aver scritto la prima riga prese una caraffa di acqua calda accanto a se, riempì il mate che aveva già preparato, quindi cancellò la prima riga e si rimise a scriverla dall'inizio.
Se ci fossero diversi universi paralleli, e se si potesse viaggiare tra questi, e se...
Si, e se mio nonno c'haveva le ruote era una cariola!
Il pensiero del nonno lo rattristi un poco...
Prese un sorso del mate e osservò lo schermo bianco, quindi decise di prendersi un tempo di pausa: se non aveva idee per iniziare era meglio aspettare, no? Prese il cellulare e controllò per l'ennesima volta il messaggio:
Ci vediamo oggi all'Uni per le cinque, d'accordo? Ti amo Smacky Smaccy sciaff!
Rilesse le ultime righe sorridendo. Soltanto una pazza come Franca poteva usare come saluto la cronaca sonora del loro primo bacio: un bacio a stampo, uno un po' più passionale, e poi lo schiaffo di Franca, quasi istintivo... Quando lo raccontavano agli amici non potevano fare a meno di ridere. La pura Franca, ricevuto il primo bacio, aveva provato sensazioni nuove e spaventose, l'istinto era stato quello della fuga. Salvo poi scusarsi imbarazzata per i tre giorni successivi. Lei aveva avuto paura che lui l'avesse iniziata ad odiare, lui l'aveva odiata, ma non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura. Poi non era riuscito a trattarla come tutti gli altri. Si erano baciati nuovamente, ma stavolta Marco, senza darlo a vedere, le teneva le mani.

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Capitolo 8
*** 4° Ora posso vivere sereno (parte 2) ***


Angolino dell'autore: Rieccoci qui, Gentaglia-sama! La seconda parte di questo capitolo è abbastanza breve, è vero, ma non avevo, scusatemi, molta voglia di scrivere: l'università mi uccide.
Inoltre, dato che si va per le vacanze di Pasqua, vi averto che mi rilasserò e non scriverò, il che vuol dire che, essendo la prossima Domenica quella delle palme, non mi leggerete per almeno due settimane! Ma giuro che torno! Non disperate! Mata nee Gentaglia-sama! (In questo tempo, però, potete recensire lo stesso XD)

Marco era appena tornato a casa dopo l'appuntamento con Franca. Gli aveva promesso di passarle un film, e conoscendo la propria memoria, voleva copiarlo subito. Si mise a cercare una pennetta, e fu cosi' che, in un cassetto che non apriva ormai da anni, ne trovo' una.
Era una pennetta semplice, della Kingstom, bianca con l'etichetta e l'impugnatura viola. Se la rigiro' tra le mani. Quel piccolo oggettino gli dava, senza sapersi spiegare il motivo, uno strano senso di inquietudine. Ma tu sei pazzo, è solo un oggetto come tanti altri! Si disse, senza accorgersi, che dopo tanto tempo, aveva riniziato a parlare in mente con se stesso.
Accese il computer e apri la pen drive: dentro vi erano tre cartelle, che Marco osservò divertito, mentre i ricordi gli tornavano alla mente. Nella prima c'erano delle foto, poche in verità, del nonno, ormai morto. Le osservò con un sorriso triste, pensando con affetto all'uomo. Nella seconda c'erano invece alcuni compiti che aveva dovuto fare per scuola: rileggendoli non poté fare a meno di ridere per l'imbarazzo, tanto erano scritti male. Infine la terza cartella. Portava un nome strano: “Forze ce la facciamo”. Marco la aprì mentre il sorriso gli si gelò in faccia. C'era un solo documento World, chiamato nuovo documento.doc. Aprì anche quello, e iniziò a leggere:

“Marco si sedette davanti al computer e si impose di rimanere lì per almeno mezzora, cercando un'idea da buttare giù. Non che non né avesse, ma gli sembravano tutte scontate o più adatte a diventare manga o simili, ma in ogni caso non sapeva disegnare, e non era quello che voleva fare, dopo tutto. Dopo aver scritto la prima riga prese una caraffa di acqua calda accanto a se, riempì il mate che aveva già preparato, quindi cancellò la prima riga e si rimise a scriverla dall'inizio.
Ci sono universi che noi non conosciamo, ma possiamo dire che loro non conoscano noi?

Sobbalzò all'indietro. Quanto anni erano passati da quando aveva iniziato a scrivere quelle pagine? Le aveva totalmente archiviate. Eppure erano buone, talmente tanto che, dopo tanti insuccessi si era detto Forse ce la facciamo! Poi un altro particolare lo colpì: “Marco si sedette davanti al computer...” “Marco si sedette...” “Marco...”
Non aveva cambiato tutti i nomi all'interno del documento?
Questo adesso lo ricordava perfettamente: in preda al panico aveva usato l'opzione “trova e sostituisci” per cambiare tutti i nomi dei personaggi! Perché quel “Marco” stava lì?
Assalito dal dubbio corse all'ultima pagina scritta e si mise a leggere freneticamente:

“Accese il computer in preda a un raptus, aprì il documento e cercò la funzione 'sostituisci': in breve i nomi dei personaggi si distaccarono da quelli della sua vita reale.

Marco posò la schiena sul dorso della sedia. Ora non c'era nulla che lo legasse a quel libro, nulla che lo potesse perseguitare con somiglianze incredibili. Marco era Marco, Vittorio era Vittorio. Non c'era possibilità di sbagliarsi. Ora posso vivere sereno... O almeno così pensava.”

Merda no! Non era possibile. Le pagine continuavano, vi era un pezzo in cui chiedeva a Franca di uscire, in cui si trovavano alla biblioteca. D'istinto osservò il cellulare: il messaggio di Franca era lì. Allora non poteva essersi immaginato anche quello. Possibile però che si fosse fatto prendere così tanto da un libro da scrivere ciò che avrebbe voluto fare e poi credere di averlo fatto realmente?
Marco scoppiò in una risata allegra! “Ero solo un ragazzino impressionabile!” disse ad alta voce, per convincersi. “Hai detto qualcosa?” “No ma', parlavo da solo!”
Ora era diverso, sapeva bene che avrebbe dovuto cancellare quel documento e usare la pennetta per passare il film a Franca. Era così semplice, no?
Spense il computer, prese la pennetta e la rimise nel cassetto. “Ma', hai per caso una penna USB libera?” “Una che?”..

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