- crazy in love

di _ether
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. A new life ***
Capitolo 3: *** 2. Undiscovered ***
Capitolo 4: *** 3. Who is Jamie Dornan? ***
Capitolo 5: *** 4. Meeting ***



Capitolo 1
*** 0. Prologo ***


 

0.


Ti è mai capitato di essere così sicura del tuo amore verso la persona amata da pensare che mai niente sarebbe riuscito a spegnere quel fuoco che ti bruciava dentro? Ti è mai capitato di provare un sentimento così potente che il solo pensiero di tradirlo ti faceva rivoltare le budella nello stomaco? Ti è mai capitato di pensare di essere abbastanza forte da combattere ogni avversione o ostacolo ti si proponesse davanti?
A me è capitato. Non c'era giorno che passavo senza sentirlo almeno una volta, nonostante i nostri impegni, non c'era notte in cui mi addormentavo senza un pensiero per lui, in cui chiudevo gli occhi e non immaginavo le sue braccia intorno al mio corpo o il suo respiro sul mio collo, tra i miei capelli sparsi sul cuscino morbido.
Eppure la vita è imprevedibile, oggi sei al settimo cielo, invincibile, e domani vorresti solamente rimanere solo con te stesso.
«Sei ancora più bella dell'ultima volta che ti ho vista.»
Alzai lo sguardo dalla mia tazza di thé fumante per posarlo prima su quelle labbra leggermente ripiegate all'insù e successivamente su quegli occhi azzurri, quasi grigi direi, che mi scrutavano, fissi su di me. Aveva la stessa aria arrogante e presuntuosa che da sempre lo caratterizzava e che mi aveva colpito al nostro primo incontro.
Le mie mani, appoggiate ai bordi della tazza bollente, avevano iniziato a tremare leggermente da quando mi ero seduta a quel tavolo, ma non volevo dargliela vinta per nessun motivo, così cercai con tutta me stessa di risultare il più naturale possibile.

Non vedendo nessuna reazione da parte mia, sfiorò con i polpastrelli della sua mano il dorso della mia, prima di prenderla e provocarmi la pelle d'oca. Quel contatto mi scioccò letteralmente.
Era da così tanto che non lo vedevo, che non sentivo il suo tocco delicato, ma allo stesso tempo sicuro, proprio di una persona sfrontata come lui. Ci sapeva fare, ci sapeva terribilmente fare con le donne ed era quella un'altra qualità che mi aveva colpito mentre imparavo a conoscerlo.
«Mi sei mancata», continuò, con voce bassa, quasi sussurrando.
Deglutii il groppo il gola, prima di parlare.
«Non ti sei più fatto sentire.»
Avrei tanto voluto risultare fredda, ma la voce mi uscì tremante.
Lui lasciò libera la mia mano e, sorridendo in modo seducente, si appoggiò allo schienale della sedia.
«Ero un coglione a quel tempo, mi sono spaventato da ciò che iniziavo a provare per te», si giustificò.
Scrollai il capo, «ma per favore.»
«Non mi credi?», e ora la sua espressione era cambiata. Quanto era bravo ad incantarti!
«Eri.. Sei sposato», strepitai, quasi urlando. Mi bloccai, feci una pausa, respirando a fondo, e ripresi sforzandomi di usare un tono di voce più pacato. «E senza darmi nemmeno una spiegazione sei sparito.»
«Potrei dire la stessa cosa di te», ribatté subito e incrociò le braccia al petto.
Chiusi per un momento gli occhi per cercare di calmarmi. Quel ragazzo era capace di tutto e più continuava a fissarmi con quegli occhi che sembravano così sinceri, più riusciva a portarmi a fondo, a farmi barcollare, per poi finire tra le sue braccia. Aveva sempre vinto su di me, bastava una sua chiamata, una sua parola e io correvo da lui, lasciandomi usare.
«Perché ti sei rifatto vivo?»
«Sono stato un idiota», e si sporse nuovamente verso di me, «lo so, so di essermi comportato da vero stronzo con te e hai tutto il diritto di essere arrabbiata con me», si bloccò un momento accorgendosi del fatto che stavo serrando improvvisamente la mascella, poi riprese dopo un lungo respiro, «l'altro giorno mi è capitato di leggere un tuo articolo su di un giornale, mi sei tornata in mente, ho avuto l’esigenza di contattarti anche solo per sapere come te la cavi e.. Senti, potrà sembrare ridicolo, ma spero veramente che tu accetterai le mie scuse e ti lascerai spiegare», si bloccò per un attimo e continuò solo dopo aver abbassato lo sguardo sulle mie labbra ed essersi avvicinato ancora di più al mio viso, «non ho trovato più nessun'altra ragazza che facesse l'amore come sai farlo tu.»
La mia testa mi stava dicendo di andarmene, di alzarmi immediatamente da quella sedia e allontanarmi dal diavolo tentatore, dalle sue grinfie, ma il mio cuore stava pompando troppo velocemente e non voleva assolutamente dar retta alla ragione.
Tutto era scomparso, gli ultimi mesi erano stati cancellati, il volto del mio ragazzo si era dissolto.
Sarei crollata, avrei tradito e buttato tutto all'aria, se improvvisamente il mio cellulare non avesse iniziato a squillare.
Sobbalzai e con uno scatto improvviso presi tra le mani il mio cellulare, accettando la chiamata in arrivo.
«Dammi solo cinque minuti e sono da te, okay?» e riattaccai immediatamente, per non dare modo di far capire la mia agitazione a nessuno, né chi avevo davanti, né chi era dall'altra parte della cornetta, anche se ero sicura fosse stato tutto inutile.
Mi alzai in piedi, mentre l'uomo, ormai sconosciuto per me, ancora mi stava fissando.
«Era il tuo ragazzo?» e mi sembrò di leggerci un velo di irritazione.
«Sì, mi sta aspettando», mi voltai e, dandogli le spalle, me ne andai il più lontana possibile da lui, con il cuore che mi sarebbe uscito dal petto di lì a poco.

«Non è finita qui, signorina», lo sentii urlarmi dietro, in tono divertito e allo stesso tempo malizioso.
Senza degnarlo di una risposta affrettai il passo e uscii dal bar.
Stavo per cedere e, cosa ben peggiore, avevo ancora il desiderio pulsante di baciare quelle labbra perfette e rosse.

**

Salve a tutte :-)

Dopo una vita praticamente sono tornata tra voi con questa storia su Jamie Dornan, attore che ho conosciuto grazie alla sua parte in 50 sfumature di grigio, ma che ho imparato ad amare nella serie tv The Fall, davvero stupenda e che consiglio a tutte voi che mi state leggendo. In realtà lo “scheletro”, se così posso definirlo, di questa storia l’avevo già scritta anni fa con altri personaggi e l’avevo già pubblicata su questo sito ma con un altro account. Oggi ho deciso di cancellarla, riprenderla e rimetterci mano.

Spero vi piacerà, anche se questo si tratta solamente di un “prologo”, una specie di flashforward dell’idea di storia che mi sono immaginata nella mente, quindi se non ci avete capito nulla non preoccupatevi, dal prossimo capitolo inizierò a raccontare tutto fin dall’inizio. Ora lascio a voi i commenti, un bacione.

xx

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Capitolo 2
*** 1. A new life ***


1. A new life

 

Londra, finalmente ero atterrata a Londra.
Non so se avete mai provato quella sensazione, come una specie di voce interiore, che vi fa pensare: "la città dove vivo in realtà non mi appartiene". Bh, io quella vocina l'ho sentita fin da bambina. Ho abitato in un paesino sperduto delle campagne fiorentine, un paesino dove tutti conoscevano tutti e che se accadeva qualcosa di sconvolgente, come un nuovo amore o una serata in cui avevi alzato un po' troppo il gomito, potevi stare certa che il giorno dopo tutti ne sarebbero venuti a conoscenza. Odiavo quella cittadina, l'unico lato positivo era l'aver incontrato in primo superiore quella che poi divenne la mia migliore amica. Noi due eravamo come legate da un filo invisibile, ci capivamo a vicenda anche senza aprire bocca, bastava guardarci un nano secondo negli occhi, e avevamo deciso, finite le dannate superiori, di trasferirci rispettivamente a Milano e Trieste per l'università.
La lontananza era straziante per due amiche legate come noi, ma eravamo riuscite a tenerci ancora molto in contatto e a vederci comunque molto spesso. Io avevo scelto il corso in beni culturali, specializzandomi soprattutto in cinema, teatro e ritualità, mentre la mia migliore amica Madeleine, di origini francesi, interpretariato.
Eravamo al terzo anno, quando io ero stata accettata per partecipare all'erasmus nella metropoli di Londra e lei aveva vinto una borsa di studio nella medesima città.

Ed ora eccoci lì, appena atterrate.

«Respira l'aria londinese, amica», fu la prima frase di Mad in terra inglese.
Aveva chiuso i suoi grandi occhi azzurri e ispirato a pieni polmoni l'aria che ci circondava.
«Io in realtà sto respirando solamente lo smog», le dissi, prendendola in giro.
Eravamo appena scese dall'aereo, il panorama che ci si propinava davanti era quello di un classico aeroporto con pulmini che caricavano le persone e le portavano ognuna ai propri reparti per recuperare le valigie, e l'aria non era proprio delle migliori.
«Ah ah, molto divertente, Gin», e mi mollò una gomitata scherzosa tra le costole.
«Aoh, finsi che mi avesse fatto male, facendole subito dopo una linguaccia.
Ero così eccitata di intraprendere quello che mi aspettavo essere l'anno più importante della mia vita, quello di svolta.
L'anno successivo avrei dovuto decidere la specializzazione e ancora non sapevo sinceramente cosa mi interessasse di più tra critica d'arte o cinematografica. Sì, quello sarebbe stato l'anno decisivo; mi trovavo a Londra e sarebbe stata proprio quella città a decidere per me cosa fare della mia vita.
O la va o la spacca, mi dissi tra me e me, prima di entrare direttamente dentro al grande "Heathrow Aeroport" di Londra.

 

«Allora cosa vogliamo fare?»
Io mi trovavo distesa sul letto della nostra nuova camera in una casettina piccola, ma molto graziosa, nei pressi di Piccadilly Circus, stanca morta per il volo di poche ore prima.
La mia valigia era ancora completamente chiusa, al centro della minuscola sala, abbandonata a stessa.
Mad, la quale aveva appena parlato, stava invece sistemando precisamente i suoi vestiti nella sua parte di armadio, prendendo i vari indumenti da dentro la valigia e ripiegandoli nuovamente. La pignoleria della mia amica non aveva mai fine.
«Che ne dici di andare a vedere il campus? Tra due giorni ci incominceranno le lezioni e non vorrei rischiare di perdermi», proposi io, tirandomi a sedere sul letto.
«La tua valigia quando la disferai?» mi chiese sogghignando.
Sbuffai, «prima o poi lo farò, giuro.»
«Sai che odio il disordine Ginevra» e mi puntò il suo indice contro, a mo' di intimidazione.
Mi alzai in piedi, dirigendomi verso la mia adorata valigia, per poi portarla in camera e lasciarla ai piedi del mio letto.
«Se i vestiti rimangono qui dentro stai pur certa che questa casa non vedrˆ neanche volare la parola disordine.»
Mad mi tirò immediatamente una delle sue maglie che aveva in mano, colpendomi in viso.
Spalancai la bocca sconvolta, «Oh, mio dio! E ora Madeleine? Ti si è sgualcita tutta la maglietta, sia mai!» la presi in giro, ironicamente io.
«Smettila o te la farò ingoiare», e mi fulminò con lo sguardo prima di scoppiare a ridere.
Un'ora dopo eravamo al campus, come avevo proposto, mentre la mia valigia si trovava ancora perfettamente chiusa ai piedi del letto del nostro nuovo appartamento.
Ero impegnatissima a studiare la nuova cartina, quando mi accorsi di essere completamente sola. Mi ero persa Madeleine!
Mi guardai per un po' intorno, stralunata, ma il campus era completamente vuoto, c'ero solo io, sotto ad un arco che dava su di un giardino enorme. Ero ancora all'interno dell'università, ne ero certa, ma non avevo la più pallida idea di dove mi potessi trovare.
In più dovevo ammettere che io e le cartine non avevamo mai avuto un buon rapporto.
«Dovresti girare la mappa per poterla leggere, sai?» spezzò il silenzio una voce giovane, ma sconosciuta, in un perfetto accento londinese.
«Oh, grazie..», e girai la cartina, non capendo in ogni caso un accidenti.
«Sei una matricola per caso?» mi chiese, sghignazzando.
Alzai lo sguardo da quella maledetta mappa, giusto in tempo per accorgermi che il ragazzo ormai mi stava di fronte.
«In realtà sono al terzo anno, ma sono una studentessa straniera, come si potrà capire dal pessimo accento», ridacchiai nervosa.
Avevo perfino vissuto un anno a Phoenix all'età di diciassette anni come ragazza alla pari, facendo un anno all'estero, eppure parlare di fronte a qualcuno madre lingua mi metteva ancora in imbarazzo.
«Nah, è solo un po' italianizzante», e mi sorrise gentile.
Era carino; aveva i capelli corti e biondi, che brillavano sotto il pallido sole di Londra, e due occhi verdi con qualche sfumatura di un azzurro cristallino. Aveva i classici lineamenti inglesi e quasi mi venne da ridere a quel pensiero.
«Allora? Fammi vedere. Dove dovresti andare?» e mi affiancò per guardare meglio la mappa.
«Non saprei, ero qui con una mia amica solo in visita. Le lezioni mi inizieranno tra due giorni», gli spiegai.
«E ti sei persa la tua amica, classico», le labbra gli si aprirono in un sorriso ampio e affabile.
Arrossii, impacciata, così lui spezzò il mio imbarazzo presentandosi.
«Piacere John», e mi porse una mano.
«Ginevra», e gli sorrisi di rimando.
«Che corsi seguirai?»
Abbassai lo sguardo verso la mia borsa e iniziai a cercare un volantino all'interno. Per fortuna con Mad eravamo passate in segreteria, dove c'eravamo già registrate e preso tutti i materiali.
Trovai il volantino degli orari e lessi, «allora.. lunedì incomincerò con regia», dissi assorta. Stavo cercando di capirci qualcosa, ma sicuramente mi sarei ritrovata a chiedere aiuto alla mia amica, che d'inglese ci capiva molto meglio di me.
«Fantastico, io sono l'assistente del professore che terrà il corso, Arnold Richarson, e quest'anno per gli studenti ha avuto un'idea grandiosa», mi spiegò.
Spalancai gli occhi, «davvero? Fantastico!», esclamai eccitata.
Lui ridacchiò, «già, sarà un'occasione veramente di crescita.»
Provai a fare gli occhi dolci, per cercare di estrapolargli qualche informazione in più, tanta era la curiosità.
«No, terrò la bocca chiusa, mi dispiace! Ma vedrai, sarà impegnativo e allo stesso tempo veramente formativo», si fermò per un attimo e vedendo che la mia espressione "occhi dolci" non cambiava, decise di cambiare lui argomento, «dai, ti aiuto a trovare la tua amica, non potrà essere tanto lontana.»
Misi il broncio, ma lo seguii sotto il loggiato, lungo i corridoi esterni di quell'enorme plesso, sperando di trovare il prima possibile Mad e potergli presentare John. Avevamo assolutamente bisogno di amicizie!
Un'opportunità di crescita, pensai, mentre lo seguivo. Era proprio quello che cercavo.
Credo che fu l'unico pensiero che mi balenò per la testa fino al lunedì dell'inizio delle lezioni, oltre al puntino fisso della "movida inglese", ovviamente.

 

**

Eccomi qui con il primo capitolo! Più che altro svolge il compito d'introduzione alla storia, ma già dal prossimo inizierò ad addentrarmi un po' di più (e comparirà finalmente Jamie). Non sono la tipa che va subito al sodo, mi piace soffermarmi sui dettagli e spero che questo non vi porterà ad annoiarvi :-)

Aspetto ansiosa i vostri pareri o critiche, anche negative, che servono comunque a crescere!

Ringrazio chi mi ha recensito, chi ha solo letto silenziosamente il mio prologo e chi ha messo la storia tra le preferite, grazie veramente.

xx

 

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Capitolo 3
*** 2. Undiscovered ***


2. Undiscovered

 

Dio, quanto mi girava la testa!
Le luci e la musica assordante del locale sembravano solamente far aumentare lo stordimento che provavo in quel momento, per non parlare della vista che aveva iniziato a diventarmi appannata, ma non me ne importava nulla. Volevo continuare a ballare, con la testa altrove, completamente offuscata. Era come se qualcuno avesse staccato la spina che alimentava il mio cervello. Le inibizioni se ne erano andate allegramente a quel paese e con un bicchiere ghiacciato, per metˆ ancora pieno di quel liquido celestino, mi muovevo sinuosa tra la folla.
Ero rimasta sola, non sapevo dove si trovassero gli altri, sapevo solo che ad un certo punto mi ero allontanata da tutti per prendermi un ulteriore drink e che ora volevo ballare al centro della sala, sentire il contatto con la gente che mi circondava.
Non si respirava e c'erano cos“ tante persone che ogni tanto andavo a sbattere contro qualcuno, eppure questo non m'impediva di muovermi, scuotere il bacino con movimenti lenti, ma a tempo con la musica elettronica, in modo sensuale.
Era un caldo assurdo, ogni tanto mi prendevo i lunghi capelli castani tra le mani, cercando di farmi aria, senza smettere quella danza che il mio corpo stava conducendo da solo. Abbandonai poi la testa all'indietro e lentamente alzai le mani verso il soffitto. Mi trovavo come dentro una bolla, dove esistevo solo io.

Appena cominciai a sentirmi leggermente male, dopo che l'alcool bevuto e il fumo, portato dal mio nuovo amico John, stavano iniziando a compiere il loro effetto, mi avvicinai al bancone del bar, dando alcune spinte qua e là. Pessima idea mischiarli, seriamente pessima!
Era sabato, il giorno successivo al nostro arrivo in città, ed io e Madeleine eravamo state invitate a cena fuori proprio dal ragazzo appena conosciuto, che ci aveva presentato ai suoi amici. Si era riso e scherzato fino a che non si era deciso di andare in una nuova discoteca al centro di Londra che si sarebbe inaugurata proprio quella sera. John ci aveva detto che in realtà era un evento privato, su invito, ma era riuscito a trovare i pass, non so in quale modo losco.
Mi appoggiai al bancone, stravolta, tirandomi indietro i capelli con una mano, e posai il bicchiere con dentro il liquido schifata. Improvvisamente aveva cominciato a schifarmi tutto e a dolermi lo stomaco.
«Salve», mi salutò una voce graffiante all'orecchio, facendomi sobbalzare.
«Ci conosciamo?» biascicai. Non riuscivo nemmeno a parlare, la lingua mi sembrava di pongo.
Un uomo molto più alto di me si parò davanti, appoggiandosi anche lui al bancone e incrociando le braccia al petto.
«Non saprei», mi stava studiando con gli occhi. Due fessure azzurre che mi mettevano in soggezione anche in quelle condizioni di disinibizione.
«Ti sto vedendo triplo, secondo te va bene?» gli domandai, provocando la sua risata, che udii nonostante la musica assordante. Non è che volessi fare la simpatica, però non riuscivo a zittirmi, avrei detto tutto quello che mi passava per la testa.
Lo vidi mentre stava per aprire la bocca e dirmi qualcosa, ma lo bloccai, alzando una mano e parlando di nuovo io, il più velocemente possibile.
«Mi piacerebbe molto rimanere qui a filtrare con un ragazzo carino, sul serio, ma non mi sto sentendo molto bene», e detto così fuggii, traballante sopra i miei amati tacchi, verso l'uscita per prendere una boccata d'aria e cercare di calmarmi. O almeno ci provai perchè nelle condizioni in cui mi trovavo anche la più semplice delle azioni mi risultava difficilissima.

Trovata l'uscita, feci vedere il timbro che avevo nella mano e mi trascinai fuori, all'aperto. L'aria fresca fu un toccasana, mi sembrava di respirare nuovamente, anche se il mondo non smetteva ancora di girarmi intorno, provocandomi la nausea.
Mi appoggiai con la schiena al muro dell'edificio e provai a chiudere gli occhi, ma fu proprio una cattiva idea perchè il senso di nausea aumentò. Mi ritrovai a correre velocemente verso il primo cespuglio che vidi e a vomitare appoggiata ad un palo.
Che tu sia benedetto, palo! Pensai, subito dopo essermi asciugata le labbra con il dorso della mano.
«Ti serve aiuto?»
Cazzo, ci mancava solo che qualcuno mi avesse vista, pensai ancora appoggiata al palo, piegata a metà verso il cespuglio, dando le spalle a chi mi aveva appena parlato. Solo dopo mi venne in mente che non mi trovavo più nella mia cittadina, dove una serata del genere sarebbe stata ricordata ai posteri, fino a che i miei genitori non ne fossero venuti a conoscenza, mettendomi in punizione.
Non riuscii a mettermi dritta, perchè sentii improvvisamente un altro conato di vomito salirmi alla gola.
«'Fanculo, Ginevra!» imprecai in italiano.
«Come scusa?» chiese di nuovo la stessa voce, dietro di me.
Feci un cenno con la mano e dissi solamente che non avevo bisogno di nessun aiuto.
«Sicura? Neanche un fazzoletto?», ridacchiò quella voce, mi stava palesemente prendendo in giro.
Ci mancava solamente qualcuno ficcanaso quella sera o che avesse voglia di rimorchiare.
Con non so quale forza mi tirai diritta e mi voltai verso l'interlocutore.
«Senta, non ho bisogno di nessuna..», ma dovetti bloccarmi, perchè la nausea colpì ancora. Non so come, ma riuscii a non vomitargli addosso e a voltarmi per farlo, invece, verso il cespuglio, tenendomi in piedi solo grazie al palo.
Che scena imbarazzante, mi stava venendo da piangere. In più per quale assurdo motivo non riuscivo a smettere?
Rimasi per un po' nella stessa posizione, cercando di regolarizzare il mio battito, senza pensare che stavo proprio a pecorina di fronte agli occhi del ragazzo.
Quando mi sentii un po' meglio, mi accasciai sul muretto a fianco del palo e poggiai la schiena, nuda per lo scollo posteriore del vestito.
Avevo bisogno d'acqua, ma ero così sconvolta, stordita e disorientata che non sarei riuscita a fare un emerito nulla.
Appoggiai anche la testa sul mio amato palo, compagno della serata, e chiusi gli occhi, per riaprirli poco dopo, appena percepii una giacca appoggiarsi sulle mie braccia nude.
L'unico mio movimento fu quello di girare gli occhi verso la figura che si era messa seduta di fianco a me.
«Perchè non sei dentro a divertirti?» chiesi con voce impastata, dopo aver riconosciuto lo stesso uomo con cui avevo parlato dentro.
Lui alzò le spalle, «non lascio mai una donzella in difficoltà da sola», provò a sdrammatizzare nel suo bellissimo accento inglese.
«No, tu vuoi solo portarmi a letto», e chiusi di nuovo gli occhi. Ora il giramento di testa si era calmato, ma aveva iniziato a pulsare, provocandomi quasi un'emicrania, per non parlare del mio stomaco che mi stava chiedendo pietà.
«Sì, quella era stata la mia prima idea», io risi da sola, pensando che stesse scherzando, ma il suo tono era fin troppo serio.

«E la seconda?» decisi di stare al gioco.

Stette zitto un secondo, mi guardò dritto nei miei occhi neri come la notte, «mi hai fatto pena.»

Aprii per un momento la bocca, sconvolta, ma la richiusi subito e distolsi lo sguardo dal suo viso. Tanto non riuscivo nemmeno a metterlo a fuoco.

Chi si credeva di essere per parlarmi in quel modo?

«A guardarti hai l'aspetto di una piccola donna di classe, non dovresti ridurti in queste condizioni», precisò.

«Puoi anche andartene, adesso sto bene», gli dissi acida e con un movimento di spalle feci cadere la sua giacca. No, non stavo bene, per niente. Volevo la mia amica e tornarmene a casa immediatamente.

Tirai su le gambe, portandomele al petto, e appoggiai la fronte sulle ginocchia. In quella posizione mi si sarebbero viste le mutande, ma chi se ne fregava?

Tanto facevo pena già da sola.

Sentii un'altra volta la giacca di quell'uomo sulle mie spalle.

«Prenderai freddo, siamo a Londra.»

Mi voltai a guardarlo, anche se non volevo immaginare che razza di sguardo da tossica dipendente potevo avere in quel momento, «mi dici che ti frega?»

Si tirò su dritto imponente, nel mettermi la giacca si era piegato verso di me, «hai ragione, niente», si guardò intorno prima di continuare, «allora ti lascio sola», il suo tono era risoluto.

«Ecco, bravo, vattene», e alzai la mano in aria a mo' di saluto.

L'uomo ridusse gli occhi in due fessure e serrò la mascella, «sei proprio una piccola bimba.»

«E tu una testa di cazzo», soffiai, ma probabilmente se ne era già andato, lasciandomi lì, sola col mio palo.

Non lo so spiegare il motivo, ma scoppiai a piangere, prendendomi la testa, che pulsava, tra le mani. Probabilmente ero troppo ubriaca, ma per qualche strana ragione quell'uomo sconosciuto con i suoi occhi indagatori era riuscito a mettermi in soggezione.

«Gin?! Gin, eccoti finalmente», udii la voce affannata della mia amica in lontananza.

Si accucciò subito vicino a me, che non mi ero mossa di un centimetro, stavo ancora singhiozzando con il volto coperto e la fronte appoggiata alle ginocchia.

«Ci sono qui io ora», mi disse in modo amorevole, accarezzandomi i capelli, «smettila di piangere, dai, non è successo nulla.»

Con foga le buttai le braccia intorno al collo e l'abbracciai, mentre lei mi aiutò a tirarmi in piedi.

«Ti è capitato qualcosa? Qualcuno ti ha infastidita?»Scossi il capo, senza parlare. Nessuno mi aveva infastidita, avevo solo un'improvvisa voglia di piangere.

Sentii una seconda voce, quella di John, chiedermi se andasse tutto bene. Assentii, tirai su con il naso e mi asciugai le guance. «Mi porti a casa?», la mia voce uscì come un miagolio, mi sentivo veramente una bambina.

«Subito», e senza dire altro mi caricò sulle spalle.

 

Un aroma dolce di caffè mi arrivò alle narici, inducendomi a svegliarmi dal sonno profondo in cui ero sprofondata.
Mi voltai, mettendomi con la pancia diretta verso il soffitto, e mi portai le mani al viso, stropicciandomi gli occhi.
Che cavolo di giorno, mese, anno era? Dove mi trovavo?
Aprii gli occhi, guardandomi intorno e solo dopo alcuni secondi arrivai alla risposta di quelle domande. Ero a Londra nel mio appartamento, ma non ricordavo niente della serata trascorsa. Sapevo solo che avevo bevuto come una spugna dal mal di testa che mi portavo dietro.
Il mio sguardo fu catturato da una giacca blu appoggiata sulla sedia della scrivania. Che ci faceva una giacca da uomo nella mia stanza? Che avessi invitato qualcuno qui? Che avessi fatto sesso con uno sconosciuto? L'avrei escluso, dato che portavo il mio amato pigiama di pail coi pois anti-sesso.
Mi raccolsi i capelli in una coda, togliendomeli dal viso, giusto in tempo per vedere Mad che entrava nella camera con una tazza fumante di caffè tra le mani.
«Serata pesante?» mugugnai con voce roca.
«Non ricordi niente vero?» e si avvicinò al letto per mettersi seduta di fianco a me.
Mi passò la tazza, che presi tra le mani con occhi sognanti. Ero seriamente drogata di caffè.

«Poco.»

«Immaginavo, quanto hai bevuto, scricciola?»
Storsi la bocca al solo pensiero dell'alcool tracannato la sera prima.
«Come minimo per due mesi non voglio sentire più la parola alcool», e bevvi un sorso di liquido nero, che mi riscaldò, portandomi la solita sensazione di benessere che riusciva ad infondermi il caffè.
«Anch'io ho bevuto un po' troppo, non ricordo nemmeno come ti ho trovata e dove, ma è stata una bella serata comunque.»
Annuii. Peccato avessi i ricordi offuscati.
«Oggi riposati, io vado a fare un po' di spesa al discount vicino. Domani incominciano le lezioni e ti voglio al meglio», parlò la mia amica, prima di alzarsi e lasciarmi sola nella stanza.
«Ah», fece di nuovo capolino la sua testa bionda dalla porta della camera da letto, «non ho proprio idea di chi sia quella giacca.»
«Lo dici a me?»
E le nostre risate rimbombarono per tutta la stanza.

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Capitolo 4
*** 3. Who is Jamie Dornan? ***


3. Who is Jamie Dornan?

Mi ero sempre chiesta per quale assurdo motivo nei telefilm dovevano far vedere che alla mattina questi protagonisti erano tutti allegri, ben truccati, con i capelli acconciati alla perfezione e una voglia assurda di affrontare la giornata scolastica o lavorativa, al massimo delle loro forze, quando io ero l'esatto opposto.
Ero sempre assonnata, rispondevo male anche per un misero buongiorno, non avevo la minima voglia di truccarmi, se non con un filo di matita e i capelli venivano raccolti sempre in una coda alta o magari lasciati sciolti, ma di sicuro non come potevano essere appena uscita da un parrucchiere.
Ero seduta da sola su una delle panche situate più in alto in quell'aula enorme, simile ad una stanza per congressi che nella mia università veniva usata solo quando arrivavano importanti professori per corsi extra, e guardavo fissa la porta, aspettando che il professore o John facesse capolino e si iniziasse la lezione. Intanto tamburellavo con una penna bic sopra il banco e sbadigliavo, stanchissima. Non ero andata a dormire tardi il giorno prima, alle undici io e Mad eravamo già sotto le coperte, ma io la mattina prima delle dieci, come minimo, non riuscivo proprio a svegliarmi completamente, a carburare. Ero in coma, e profondo anche!
«Tieni», e vidi comparire di fronte a me un bicchierone di cappuccino fumante, che proveniva proprio dallo Starbucks vicino.
Mi si illuminarono gli occhi e presi il cartoncino con tutte e due le mani, portandomelo alle labbra.
Poi mi resi conto che non avevo nemmeno guardato chi era che mi aveva offerto quel sidro afrodisiaco, così mi voltai per vedere il volto divertito di John.
«Ma.. che ci fai qui?»
«L'assistente?!» rispose con fare ovvio.
Gli diedi una spinta, «ho capitan ovvio seduto di fianco. Volevo dire.. come hai fatto ad arrivare fino a quassù? Non ti ho visto entrare.»
«Ho notato; stavo cercando di catturare la tua attenzione da ore, ma tu dormi proprio ad occhi aperti», mi sfottè lui.
Arricciai il naso, non era vero, magari ero un po' insonnolita, ma fissavo la porta da un quarto d'ora ormai!
«Ora scendo ad affiancare il professore, mi raccomando, ti voglio attenta», e mi diede un buffetto sulla guancia, con fare affettuoso, mentre io bevevo il mio amato cappuccino che caldo mi scorse in gola.
Appena se ne fu andato e sentii il professore iniziare la lezione, presi un taccuino dalla borsa, pronta a prendere appunti.
Ero eccitata e sentivo la caffeina fare effetto sulle cellule del mio cervello.
«Buongiorno a tutti, studenti, io sono il professor Arnold Richardson e sarò il vostro insegnante di regia per l'intero anno di corso. So che il prossimo anno dovrete scegliere una specializzazione, perciò ho deciso di farvi intraprendere un'esperienza unica che vi permetterà anche di avere delle idee più precise, un quadro più completo, su ciò che vorreste realmente dedicarvi in futuro..»
Continuò a parlare per un'altra ora delle tecniche base di regia, cose che già avevo studiato, dato che avevo dato l'esame di "regia 1" l'anno precedente, così stetti ad ascoltare la lezione senza nessuna particolare attenzione, fino a che le luci non si spensero e sul video proiettore non comparve una foto di una persona che mi sembrava proprio familiare.
Mi alzai diritta con la schiena, mettendomi composta sulla panca. Sì, Arnold aveva decisamente catturato la mia attenzione adesso.
Era Florence and the machine, quella donna stupenda che io amavo più di me stessa. Quante volte Mad aveva dovuto tapparmi la bocca, perchè andavo in giro per casa a canticchiare le sue canzoni malinconiche fino alla nausea? Perfino durante qualche video chiamata su skype, io iniziavo ad intonare qualche sua canzone, smettendo solo dopo aver sentito l'ennesimo grido di protesta della mia amica.
Poi la diapositiva cambiò, mostrando Keira Knightley. No, non potevo crederci! Volevano la mia morte?
Vidi il volto di John alzarsi nella mia direzione e cercare il mio sguardo, mentre soddisfatto incrociava le braccia al petto.
La mia mascella cadde a terra quando sullo schermo comparvero Daniel Radcliffe e poi i Radiohead.
«Che diavolo significa tutto questo?» mimai con le labbra, in direzione di John che però alzò le spalle, non capendomi.
Fecero vedere altri artisti, tra cui vari attori e boy band inglesi, che non conoscevo, infine la luce si riaccese, mostrando dei visi sconvolti quanto me. Una ragazza addirittura stava per strapparsi i capelli, mentre un'altra stava urlando: «Ma era Jamie Dornan quello?»
C'era il delirio puro in aula e sinceramente era alquanto esilarante.
«Ora ragazzi – ci ammutolì tutti il professore – verrete uno per uno qui vicino a me e metterete una mano dentro questa ampolla. Sul foglietto che pescherete ci sarà scritto il nome di uno degli artisti che avete appena visto proiettato. Queste grandi personalità dello spettacolo inglese hanno deciso di collaborare con la nostra importante università per poter darvi l'occasione di migliorare voi stessi, imparare dal mondo della recitazione e della regia e diventare un giorno degli ottimi registi, produttori o critici in questo ambiente. Il voto sarà dato su un piccolo cortometraggio che dovrà durare massimo un'ora dove riprenderete una giornata tipo di questi personaggi, con tanto di dietro le quinte e interviste allegate. Non so se avete presente i documentari di MTV, bhè, vorrei che somigliassero a quelli. E mi raccomando; massima professionalità. Bene, spero sia tutto chiaro, ora potete scendere.. educatamente», aggiunse, sghignazzando appena le prime ragazze si furono alzate, correndo e accalcandosi l'una sull'altra.
Io fui tra gli ultimi a mettere la mano dentro il vaso, poichè avevo preso l'intera storia con serietà, anche se speravo vivamente di leggere il nome di Keira Knightley sopra il foglietto che avrei pescato, dato che non era ancora stata estratta. Lavorare per lei sarebbe stato fantastico.
Vidi John farmi l'occhiolino di incoraggiamento e io gli feci una linguaccia di rimando prima di infilare la mano nel contenitore.
Non presi il primo fogliettino, ma cercai più in fondo, chiudendo gli occhi e strizzandoli, sperando sempre di più nella mia attrice preferita.
Quando fui pronta estrassi la mano e aprii il bigliettino. La mia espressione, da emozionata, cambiò radicalmente.
JAMIE DORNAN.
Ecco cosa lessi scritto sopra il mio bigliettino.
John mi si affiancò e, curioso, lesse anche lui.
«Sul serio? Proprio uno di quelli che non so neanche chi sia?»
Lui scoppiò a ridere divertito dalla mia espressione e da ciò che avevo appena detto.
«Guarda che dopo il film 50 sfumature di grigio è uno degli attori più richiesti», mi informò.
Spalancai gli occhi, «l'ho visto quel film e mi ha fatto schifo», dissi con tono acido, allontanandomi da lui per dirigermi alla lavagna e scrivere il nome dell'uomo di fianco al mio.
Non feci in tempo a voltarmi che la stessa ragazza che aveva urlato poco prima il nome di Jamie Dornan, mi prese per le spalle e iniziò a scuotermi.
«Ti prego, ti scongiuro, ti supplico; fa a cambio con me!»
Aveva almeno respirato? Mio dio, certi elementi mi mettevano paura.
«Ehm – e le tolsi le mani dalle mie spalle – chi hai tu?» e mi ritrovai di nuovo a sperare in Keira.
«I The Wanted», disse speranzosa.
Storsi la bocca, prima di scoppiare a ridere. Mi ricordo che una delle loro canzoni era stata la colonna sonora del mio viaggio di maturità ad Ibiza, su quelle note io e le mie amiche ne avevamo combinate di tutti i colori, ma poi non li avevo più sentiti, perciò preferii tenermi lo sconosciuto.
«No, grazie.»
La vidi guardarmi malissimo e girare i tacchi, diretta di nuovo al suo posto. Per tutta la lezione continuò a fissarmi in malo modo. Avevo seriamente paura di cosa avrebbe architettato per farmela pagare.

«..E quindi alla fine mi tocca lavorare per quel deficiente, perchè solo un deficiente può accettare una parte del genere, che ha recitato in quel film di merda sul sesso, che anche chi non se ne intende di regia direbbe quanto sia girato male, mentre a scuola c'è questa ragazza spagnola, penso dall'accento, che mi guarda sempre come se mi volesse uccidere da un momento all'altro.»
Stavo seduta sulla sedia della cucina, mentre spiegavo a Madeleine come mi era andata la giornata e mi mettevo intanto lo smalto rosso sulle unghie delle mani. La mia amica ascoltava interessata, cucinando nel frattempo qualche piatto italiano.
A pranzo avevamo mangiato entrambe in un fast food e io li odiavo seriamente da morire. Al solo pensiero dell'olio fritto o dell'unto mi si accapponava la pelle.
«Come hai detto che si chiama questo?» mi chiese lei, sghignazzando divertita.
«James Nordan, mi sembra.»
Aspettai di finire a mettermi lo smalto sull'unghia del mignolo, per sbottare con un tono di voce altissimo.
«Ma poi lo sai che anche John deve fare quest'esperienza? E sai chi si è preso? ED SHEERAN!» urlai.
Mad scoppiò a ridere.
«Tu stai delirando, è solo un lavoro per un voto all'università, devi stare calma.»
Sbuffai; certo, lo sapevo che l'importante era fare un buon lavoro, ma proprio io dovevo ritrovarmi a lavorare con uno di cui non avevo mai sentito parlare? Era ingiustizia.
«La tua giornata invece com'è andata?» le chiesi, soffiando sulle unghie della mia mano, sperando che lo smalto si asciugasse velocemente.
«Sai l'amico di John? Quello carino, moro? Abbiamo il corso di letteratura orientale insieme.»
Spalancai la bocca.
«Con David? Quello figo!» esclamai eccitata.
Lei si voltò, lasciando per un attimo i fornelli, e mi fece l'occhiolino. «Dai, che non va poi tutto così male.»
Risi divertita. Aveva ragione, dovevo smetterla di essere cos“ negativa; l'indomani lo avrei incontrato insieme al suo manager e magari avrei scoperto che era un uomo simpatico e non montato. Insomma, qualcuno con cui era bello lavorare, alla fine quello era l'importante.
Prima di andare a letto decisi di prendere il mio laptop e condurre delle ricerche basi; non potevo presentarmi senza conoscere un minimo la sua carriera. Scoprii che era irlandese, di Belfast precisamente, aveva girato una serie tv che stava riscuotendo molto successo e che era notevolmente apprezzato, anche se non era ancora sicuro di interpretare di nuovo il ruolo di Christian Grey nel sequel.
Quella sera mi addormentai con il pc acceso, mentre guardavo quel suo telefilm, e mi parve di ricordare che sognai un uomo affascinante, dagli attraenti occhi azzurri, così particolari da risultare quasi grigi. Quegli occhi gravarono su di me per tutta la giornata successiva.

**
Mi scuso vivamente per il capitolo corto e schifoso, nella mia testa era molto meglio hahah ma vi giuro che nel prossimo mi impegnerò molto di più e che si inizierà ad entrare nel centro della storia!
Grazie a tutti coloro che leggono la mia storia, pur non essendo un granchè, mi riempite il cuore di gioia.

 

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Capitolo 5
*** 4. Meeting ***


4. Meeting

 

Mi posai gli occhiali da sole sul piccolo naso all'insù e mi avviai per il portico fuori dall'aula dove avevo avuto lezione.
Erano le cinque e avevo passato tutta la giornata in università, ma di lì a una mezz'oretta sarei dovuta andare ad incontrare l'uomo e il suo manager in una via che mi aveva mandato il professore per e-mail.
Sbuffai quando vidi le prime gocce cadere e mi tirai su il cappuccio della felpa, stringendomi al petto il libro di arte contemporanea.
«Non è ormai tardi per gli occhiali da sole?»
«John!» lo salutai con la voce senza fermarmi o voltarmi. Era un ragazzo socievole e carino, ma ultimamente mi scocciava il suo girarmi sempre intorno. Dovevo ammettere che dall'ultima volta che avevo amato e sofferto non avevo avvicinato più nessuno a me.
Avevo avuto amici di sesso maschile o storie, ragazzi che magari riuscivano anche a farmi sentire voluta e mi davano attenzioni su attenzioni, ma mai nessuno mi era entrato nel cuore come lui.. pensarlo ancora induceva dolore, nonostante fosse passato un anno.
Quante volte mi ero sentita urlare che ero solo una fredda insensibile? Sinceramente non volevo che capitasse ancora, ero giunta a Londra per incominciare una nuova vita e doveva esserci anche una nuova Ginevra.
Mi voltai e aspettai che mi raggiungesse. Lui, come al solito, era sorridente, aveva solo gli occhi un po' stanchi e i capelli leggermente più spettinati del solito, ma stava bene. Dovevo ammetterlo, era proprio un bel ragazzo, eppure sentivo il cuore di ghiaccio. Non provavo nulla, nemmeno quell'eccitazione iniziale che si prova nel conoscere qualche persona nuova.
Dannazione Ginevra, guarirai mai da quelle ferite?
Forse era solamente la giornata, ero estremamente metereopatica e quella leggera pioggerellina che mi increspava i capelli mi innervosiva solamente.
«Stai andando ad incontrare Jamie Dornan?» mi chiese nel suo classico tono cortese, da perfetto inglesino.
Tirai fuori dalla tasca del giubbotto un pezzo di carta con scritta sopra la via e glielo mostrai, fingendo un sorriso.
«Yep, non vedo l'ora.»
Lui scoppiò a ridere, divertito dalla mia finta eccitazione.
«Sei sicura di essere italiana? Potrei dire che il tuo umorismo è particolarmente inglese», mi sfottè lui.
Alzai gli occhi al soffitto, «italiana al 100%, certificata – feci dei passi all'indietro – ora devo proprio scappare, secondo te non mi perderò almeno una volta prima di arrivare da lui?»
John, sorridendo a ciò che avevo appena detto, alzò una mano in segno di saluto e si allontanò dalla parte opposta.
Meritava decisamente almeno l'occasione di diventare mio amico.

Ero arrivata, ero arrivata alla villa poco fuori città, senza nemmeno perdermi una volta.
Gin, sveglia, alla fine hai optato per un taxi invece che per la metro e il pullman, è normale.
MaPossibile che il mio grilletto parlante interiore non si stancasse mai di mettermi i punti sulle i?
In ogni caso, mi trovai di fronte al grande portone e mi tremavano le mani; non tanto per chi sarei andata ad incontrare di lì a poco, ma al pensiero di entrare in quella villa troppo grande e mettermi di fronte a persone sconosciute, che non parlavano la mia stessa lingua, mi infondeva ansia.
Suonai il campanello e aspettai che qualcuno mi venisse ad aprire. Nella fretta nemmeno mi accorsi che avevo ancora il libro di arte contemporanea tra le mani e dato che mi ero cambiata in taxi, provocando le risa del conducente dall'occhio lungo, nella borsa non c'era più spazio per esso, era già gonfia con la mia felpa bordeaux.
Perfetto, Gin, sei sempre la solita!
Vuoi zittirti brutto grillo parlante?
«Lei sarebbe?»
Mi trovai di fronte un energumeno enorme, che evidentemente doveva essere il portiere o qualcosa del genere, ma che in me provocava un certo imbarazzo. Era dieci volte la mia stazza e io ero una ragazza particolarmente bassina.
«Ehm, sono Ginevra, Ginevra Ghibelli, sono qui per incontrare Jamie Dornan», e nel dire quella frase mi impappinai più di una volta.
L'energumeno guardò su di un foglio all'interno di una cartellina, poi parlò.
«Sei la nuova regista, la ragazza dell'università?»
Che emozione, ero stata chiamata regista! Io, una regista.
Annuii, ancora in imbarazzo ed entrai nel grande palazzo, dopo che l'uomo mi fece passare.
«Può aspettare un attimo qui? La faremo accomodare subito», e se ne andò, come era apparso.
Rimasi ad aspettare inebetita lungo il corridoio d'ingresso, dalle pareti ocra e la moquette bordeaux, arredato da quadri con cornici che sembravano molto preziose e vasi dalla linea classica, contenenti grandi piante verdi e rigogliose. Era tutto stupendo e di gran classe dovevo ammetterlo.
Non potevo ancora crederci; era vero che quell'uomo non mi era andato a genio all'inizio, ma guarda dove mi avevano portata.
Quando una ragazza, in tenuta da lavoro, mi chiamò, dovetti ritornare con i piedi per terra, fuori dai miei sogni futuri di regista affermata che mi elettrizzavano alla sola idea.
Mi fece accomodare su di una poltrona in stile ottocentesco in una sala ampia, dal soffitto alto, e arredata sempre in stile classico, con colonne doriche e massicce ai lati. Di fronte a me, sopra un lussuoso tappeto, c'era un tavolino di vetro, dove al centro su di un vassoio di argento erano poggiati alcuni alcolici, e al di lì un divano, rivestito nello stesso materiale e stile della poltrona in cui sedevo io.
Ero rimasta di nuovo sola, quindi ne approfittai per mettermi comoda.
Appoggiai la mia grande borsa alla mia destra e accavallai le gambe, prendendo una posizione che pensai potesse sembrare elegante. Non volevo fare brutta figura e soprattutto, anche se ero solamente una studentessa dell'università, volevo mostrarmi il più professionale possibile. Eppure non riuscivo a fermare il tremore delle mie dita che tamburellavano ansiose sul mio ginocchio nudo. Ero sempre stata una ragazza ansiosa.
Improvvisamente una porta in fondo alla stanza si aprì di scatto mostrando un uomo alto, elegante e pacato, seguito subito dopo da un uomo che doveva essere il suo manager.
Mi alzai in piedi il più velocemente possibile, come se avessi ricevuto una scarica elettrica, pronta a riceverlo.
«Buongiorno», mi salutò l'attore avvicinandosi, ma immediatamente lo vidi fermarsi per squadrarmi bene in volto. Avevo il trucco a macchie per caso? I capelli in disordine? Qualcosa che non gli andasse bene? In fondo mi ero preparata in un taxi. Mi morsi il labbro e presi coraggio.

«Buongiorno», ma la mia voce uscì in un sibilo.

Era veramente bello, molto più che in foto o sullo schermo di un cinema, e quei suoi due fari grigi mi stavano analizzando troppo intensamente.

Un sorrisetto compiaciuto gli si dipinse in volto prima di dirigersi verso il divano, dove si sedette. Quella situazione mi disorientò, ma cercai di non farmi distrarre e mi misi nuovamente seduta anche io. Il suo manager mi venne incontro e si allungò per darmi la mano.

«Greg, piacere.»

«Ginevra», feci lo stesso, stringendogliela.

«Bel nome», intervenne subito Jamie Dornan, mentre si sistemò la giacca grigia, quasi dello stesso colore dei suoi occhi.

Arrossii e balbettai un grazie, non riuscivo a comprendere il motivo per cui mi incuteva tutto quel timore.

«Ovviamente sai chi sono io, no?» aggiunse.

Il suo tono così sicuro e strafottente mi innervosì e così non riuscii a bloccarmi dal rispondergli acidamente. «Prima di dovermi informare per venire qui no, sinceramente.»

Lo vidi alzare un sopracciglio, la mia risposta non gli piacque.

«Allora, conclusi i convenevoli, direi di passare alla questione», iniziò Greg. «Siamo stati contattati dal tuo professore, dovresti girare un video documentario su Jamie, giusto?»

Annuii e lui continuò.

«Posso avere il tuo curriculum?»

Presi la borsa e tra le migliaia cianfrusaglie all'interno tirai fuori il curriculum, cercando intanto di incastrare il libro di arte che proprio non ci voleva stare.
«Scusate», bofonchiai, mentre la sfida tra me e il libro aveva inizio.
Una volta trovato lo porsi al manager che lo aprì e diede una scorsa veloce.
«Sei italiana?» chiese, senza alzare lo sguardo dai fogli.
«Esatto, Toscana.»
«Di Firenze, vero?» si intromise l'uomo, che intanto non aveva smesso un attimo di fissarmi, con un sorriso saccente dipinto sul volto.
Mi bloccai. Come faceva a saperlo? Evidentemente aveva buttato a caso, Firenze era una città conosciuta in tutto il mondo per le bellezze culturali di cui disponeva.
Annuii, arrossendo un poco.
«Noto che hai preso tutti trenta ai tuoi esami, l'abbiamo trovata anche secchiona», disse il manager, complimentandosi con me, che arrossii ancora di più, se era possibile.
«E si sa persino divertire, quindi Greg concordo. E' fatta per noi», disse Jamie, guardando con sguardo d'intesa colui che lavorava per lui.
Adesso questo mi doveva spiegare che cavolo voleva dalla mia vita.
Sorrisi forzatamente e ripresi il mio curriculum, non appena Greg me lo porse.
«Inizierai a lavorare dalla prossima settimana, okay?» m'informò il manager, alzandosi in piedi, così feci anch'io.
Annuii e gli strinsi nuovamente la mano.
«E' un piacere lavorare con lei, metteremo una buona parola con la sua università», concluse, prima di salutarmi e andarsene verso la porta da dove erano entrati.
Jamie, invece di andarsene subito anche lui, si avvicinò a me con le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Penso che tu abbia una cosa che mi appartiene», mi disse, mostrando un sorriso disarmante.
Da vicino i lapislazzuli che aveva al posto degli occhi erano ancora più scintillanti.
Aggrottai la fronte, «cosa? Non ti seguo, scusami.»
«Una giacca blu ti dice nulla?»
Spalancai gli occhi; come faceva a saperlo?
«Hai un foglietto di carta e una penna?» mi chiese, non vedendo segni di vita da parte mia.
Abbassai lo sguardo verso la mia borsa, cercai un quaderno e quando lo trovai ne staccai una pagina, porgendoglielo insieme ad una bic che avevo preso dall'astuccio.
Feci tutto con un'espressione interrogativa dipinta sul volto. Le battutine di poco prima, la giacca.. per quale assurdo motivo doveva appartenere proprio a lui? E perchè non ricordavo minimamente di aver visto dal vivo il suo volto prima di allora? Domande che mi balenavano in testa velocemente, senza darmi tregue.
Lui intanto scrisse qualcosa e poi mi ridiede sia la penna che il pezzo di carta.
«Chiamami un giorno di questi.»
«Jamie?!» lo richiamò il suo manager al di là della porta.
«Arrivo», rispose con tutta la tranquillità di questo mondo.
Abbassai il volto sul foglietto di carta, dove si trovava appuntato un numero di telefono. Non capivo tutta la situazione, sembrava seriamente irreale.
«Vorrei indietro la mia giacca prima di lunedì», e con un sorriso smagliante, degno di un attore di Hollywood, se ne andò anche lui, facendomi rimanere sola nella stanza.
No, dire che non ci stavo capendo nulla era riduttivo.

JAMIE

«No, ma l'avete vista?» chiese Greg estasiato, subito dopo aver chiuso la porta della sala dove si trovava quella che sarebbe stata la nostra regista personale per non so quanto tempo. Di solito era un uomo risoluto e attento solo agli affari, ma la ragazza doveva averlo colpito seriamente per fargli scappare un commento simile.
«E' una semplice ragazza», gli risposi, affiancandolo.
«Infatti non ci stavi provando, vero?», mi punzecchiò.
«Per me non è niente di che», dissi gelido, fulminandolo con lo sguardo, «e sono sposato Greg.»

Questa mia affermazione lo fece tornare al suo ruolo.

«Certo, mi scusi.»

Scoppiai a ridere, «ci cadi sempre, idiota!»

Lui si bloccò un attimo, poi rispose. «Sei un lurido figlio di puttana, Jamie. Questa storia che ti prendi gioco di me perchè sei il mio capo finirà presto.»

«Certo, certo.», lo sorpassai con un sorriso beffardo dipinto in volto e me ne andai verso l'uscita sul retro, diretto alla mia macchina.

Greg sapeva tutto di me, sapeva di tutte le volte in cui avevo tradito mia moglie, di tutte le volte in cui mi sentivo distrutto, ma ahimè il tradimento era nella mia indole. Amavo la donna che avevo sposato, tantissimo, ma amavo molto di più flirtare con le ragazzine che mi sbavavano dietro.

Oddio, non che quella Ginevra fosse come le solite fans o donne che incontravo, ma forse per quello mi intrigava. Era un gioco per me, niente di più.

Sì, sarei potuto sembrare un mostro, con il volto da angelo, che nella vita di tutti i giorni, a casa propria con sua figlia e sua moglie, a lavoro con i colleghi, era un ragazzo d'oro, dedito all'amore per i suoi familiari e per i suoi ruoli, ma che nascondeva questo segreto di perversione all'interno di sè.

Alla fine non c'era niente di male nel trarre piacere a giocare con le donne. O almeno fino a quel momento era così che la pensavo.

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