Paper World

di SilverSoul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Maka PoV ***
Capitolo 2: *** La vita secondo Maka ***
Capitolo 3: *** La vita secondo Soul: quanto è difficile non essere Raperonzolo ***
Capitolo 4: *** La nascita dei Maka-chop ***
Capitolo 5: *** Galeotto fu il buco... ***
Capitolo 6: *** Guerra… e pace? ***
Capitolo 7: *** So scandalous! ***
Capitolo 8: *** Waterloo // Soul on fire ***
Capitolo 9: *** A song of scents and eyes ***
Capitolo 10: *** What women want ***



Capitolo 1
*** Maka PoV ***


1) Maka


Maka guardava fuori dalla finestra, come faceva ogni pomeriggio da 3 anni a questa parte.
Una mano appoggiata al vetro, i capelli biondi a incorniciarle il viso, un libro aperto appoggiato sulle ginocchia: rimaneva appollaiata intere ore senza muoversi,  seduta sulla sua poltrona preferita, di un rosso così intenso da sembrare sangue, che tempo addietro aveva trascinato vicino a quelle enormi vetrate che davano su quel panorama mozzafiato.
Dal suo appartamento, infatti, la ragazza godeva della vista di Death City in tutto il suo splendore, con i suoi grattacieli enormi  che si stagliavano sullo sfondo cangiante e gli edifici in vetro e acciaio che rilucevano.
Il sole infatti era una’immancabile presenza che, con il suo ghigno insanguinato, prometteva sventure a tutte le creature che dominava dall’alto del suo regno azzurrino: la sua tacita minaccia era resa molto tangibile dall’afa, che avvolgeva come una cappa la città, trasformandola in un grande forno nelle ore più calde.
Ma non erano il panorama, la luce del sole o l’arancione vivido del deserto che catturavano lo sguardo della ragazza.
Lo sguardo di Maka, in genere spento e vuoto, si illuminava e tornava a splendere, vivo, solo guardando molto più vicino a lei.
Maka osservava la gente. Le persone che vivevano nel complesso di cui il suo appartamento faceva parte erano i suoi soggetti preferiti, ormai li conosceva a memoria.
C’era Sid o, meglio, il professor Sid, un uomo sulla trentina che era stato uno degli insegnanti preferiti di Maka al liceo, quando ancora non aveva quel colorito cianotico e non andava abitava al quinto piano con quello schianto di ragazza, la signorina Neigus, che si vociferava fosse un’esperta di armi di una qualche polizia segreta.
Famosi erano poi gli ululati di disperazione e le testate sui muri di Kid, del quarto piano, che rimbombavano lungo tutta la tromba delle scale ogni qualvolta una delle due gemelle bionde che vivevano con lui entravano in casa inciampando sullo zerbino a forma di otto posto sulla soglia di casa: ogni inquilino dell’edifico era in grado di ripetere a memoria la predica del giovane sull’importanza della simmetria che una delle cowgirl aveva sconvolto.
Sullo stesso piano, poi, nell’appartamento di fronte, abitavano uno scapestrato dai capelli blu, che non faceva altro che urlare tutto il giorno saltando da un tetto all’altro, inseguito da una povera ragazza terrorizzata e dispiaciuta che cercava inutilmente di calmarlo.
C’erano poi molti altre persone, come il vecchietto sempre vestito con un mantello nero e una maschera del terzo piano, il signor Mifune e la piccola Angela del secondo, Blair dell’interno 3B, la signorina Aracne che viveva con la sorella Medusa al 2D,il dottor Stein e la tranquilla Marie dell’ultimo piano, Jaqueline e  Kim, le imprenditrici, e i fratelli Fire, Thunder e Kirikou del piano terra e cosi via.
Per Maka, le persone erano un passatempo davvero interessante, dato che erano anni che non usciva di casa neanche per andare a fare la spesa o per mangiare una pizza. Non è che avesse paura degli spazi aperti o cose del genere, semplicemente la bionda aveva perso interesse per il mondo reale.
Suo padre, l’unico suo parente ancora in vita, era partito anni prima con la quinta (o forse era la sesta?) moglie, per andare “a scoprire il mondo”, come diceva lui, lasciandola sola in quell’appartamento, abbandonandola a sé stessa con un sorriso, ricordandosi di avere una figlia solo durante la telefonata di routine che gli consentiva di mettere a tacere la sua coscienza, facendo la parte del “bravo papà”.
Maka era così caduta in uno stato di tristezza, di malinconia, che avevano peggiorato il suo già non facile carattere, rendendola intrattabile: quando il brutto periodo era passato, e aveva scoperto che aveva voglia di ridere di nuovo, si era resa conto di aver allontanato tutte le persone a lei care, facendosi terra bruciata intorno.
Un po’ per orgoglio, un po’ perché non reputava quelle stesse persone, che non si erano neanche sforzate di comprenderla, delle vere amiche, aveva abbandonato tutti, continuando a vivere tranquillamente.
Piano piano, però, la solitudine si era fatta insopportabile, e Maka aveva trovato rifugio e tranquillità solo nei libri.
Persa nel suo mondo di carta, la ragazza poteva ritrovare la sensazione di affetto e calore di una famiglia vera, e i personaggi erano diventati i suoi nuovi amici, persone di cui conoscere a fondo emozioni, sogni e preoccupazioni, di cui poter condividere momenti di felicità e nuovi amori: Maka era certa che le sue storie non l’avrebbero mai abbandonata, così come quelle sensazioni di felicità e di appartenenza che stava riscoprendo dopo molto tempo.
Finalmente era di nuovo lei stessa: e la bionda si era talmente persa tra le pagine dei suoi fidi compagni che non trovava più motivo per mettere piede fuori di casa.
Aveva appena finito il liceo quando se ne rese conto: decise quindi di iscriversi all’università, corso di Letteratura, laurendosi prima del tempo con il massimo dei voti, studiando a casa e presentandosi solo agli esami.
 Maka sospirò, staccandosi dal vetro e riponendo il libro che non aveva ancora aperto. La luce del tramonto tingeva di arancione il soggiorno, rendendo l’atmosfera un po’ magica.
Si alzò e si diresse in cucina, cercando qualcosa da mettere sotto i denti, che non fosse la solita insalatina scialba preparata per svogliatezza.
Ho voglia di pizza, si disse frugando in tutti gli anfratti, nel freezer,nel frigo, sulle mensole e in tutti gli stipetti possibili: era tutto vuoto. L’unica cosa che la bionda era riuscita a trovare era una solitaria scatoletta di tonno impolverata che sembrava avere più anni di lei e dei grissini quasi sbriciolati.
Maka sospirò rassegnata: aveva dimenticato ancora una volta di ordinare la spesa.
Dell’osservare le altre persone vivere, immaginandosi le loro esistenze, le loro storie, cercando di indovinare il loro passato e inventandosi il loro futuro, Maka ne aveva fatto un lavoro. Era diventata una discreta scrittrice e, tempo un paio di romanzi, era arrivata anche la fama, rendendola  anche in grado di mantenersi con la sua passione.
L’aspetto negativo di tutto questo immaginare era, inevitabilmente, una disconnessione dalla realtà che molto spessa l’aveva lasciata senza cibo o sommersa di vestiti sporchi, arrivando anche a farle dimenticare di lavarsi per diversi giorni.
La ragazza  gettò il suo magro bottino nel cestino e decise che l’indomani avrebbe chiamato il supermercato per farsi portare il solito.
Ora che ci penso, si disse la ragazza camminando verso la camera da letto, è davvero da un bel po’ che non vedo Tom. Saranno almeno tre settimane.
Tom era il ragazzo che le portava “di che vivere”, come diceva lui, ed era anche uno delle poche persone con cui parlava.

Nel dormiveglia, mentre cercava di addormentarsi nella solitudine soffocante del suo letto, Maka si chiese se, visto che scriveva delle vite di tutte le altre persone, prendendole quasi in prestito,  lei non fosse condannata a rimanere una semplice spettatrice anche della sua, di esistenza.
 
 
 
 
 



                                                                                                                                                                     ANGOLO SCUSE
Salve, scusate per questo orrore, ma mi era venuta l’idea e se non la mettevo su carta mi avrebbe tormentata. Ringrazio e ammiro già chi è arrivato fino a qui senza che gli sanguinino gli occhi, siete davvero dei lettori accaniti ;)
In teoria questa non è una one shot, ho in mente una mezza idea per il seguito, ma se mi dite che già questa fa schifo vi risparmio il seguito.
Ovviamente sarebbe una SoMa, dato che li adoro, con un Soul in versione… diciamo inedita, più o meno :D
Ergo, fatemi sapere se devo andare avanti!
ps non so che rating sarà, se questa storia andrà avanti, quindi ho messo giallo perché “non si può mai sapere” .
Merci :)
-SS
 

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Capitolo 2
*** La vita secondo Maka ***


 
2) La vita secondo Maka
 
Click.

“Sorgi e splendi, Death City, è appena iniziata un’altra sfavillante e scintillante giornata! Questa è Radio DC, la radio uffic..”  
Un mano pallida e magra sbattè contro la sveglia, lanciandola lontana dal comodino e zittendola all’istante.

“Troppo brio per essere le sei di mattina”

La figura avvolta nelle lenzuola si girò supina e un occhio verde rifletté la scarsa luce che filtrava dalle tapparelle.
Maka si sedette come un automa sul bordo del letto, infilando i piedi nelle sue pantofole rosa pelose e dirigendosi  verso il bagno senza neanche uno sbadiglio: cosa alquanto inusuale, frutto di anni e anni di solitudine. La ragazza aveva anche abbandonato la convenzione sociale -inutile, a suo parere-  di usare un pigiama per dormire, e si accontentava dell’intimo.

Dopo mezz’ora la bionda era pronta: maglia logora, pantaloni infeltriti, capelli pettinati alla meno peggio e e chiusi in un mollettone, si  armò del suo computer portatile rifugiandosi sul divano.
“A noi due, ora, capitolo di svolta” di disse Maka, rivolgendo allo schermo un ghigno di sfida.
Lavorò sodo per un paio d’ore, concedendosi solo un paio di bicchieri di succo di frutta, sbattendo veloce le dita sulla testiera, colta da un’idea fugace.
Il  veloce ticchettio dei tasti risuonava per l’appartamento silenzioso, come se un esercito di criceti corresse a perdifiato sul parquet, avanti e indietro da un capo all’altro delle stanza, cullandola come le carezze di un vecchio amico.

Ad un certo punto il ritmo si interruppe e la bionda prese a torturarsi i capelli e la maglia, alternativamente, mentre si mordeva il labbro inferiore, iniziando a parlare a voce alta:
<< Allora, okay… calma, respira, okay… se Rickon.. no, aspetta, momento! La scena del bacio, ecco! Posso tranquillamente introdurla adesso, tanto, poi invece per … >>
Maka scattò in piedi come una molla, marciando in circolo intorno al divano e continuando a discutere con se stessa, cercando di chiarirsi le idee.
<< E se invece di baciarla, lui la invitasse prima fuori per un appuntamento romantico o che ne so io, e poi… oh no dai, troppi cliché! Trova qualcosa di originale dai Maka! Mmm… vediamo… La porta a fare bungee jumping, o rafting, o in cima all’Everest… o magari qualcosa in cui non rischia di perdere l’uso di qualche arto eh, sarebbe carino… >>

La ragazza chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie, lasciando che le sue gambe continuassero  a muoversi, tanto ormai conosceva la sua casa a menadito.
Aprì gli occhi e si ritrovò davanti alle sue amate vetrate, il sole di mezzogiorno che bagnava di un alone dorato anche lei, chiusa nelle mura grigie del suo appartamento.

“Ma chi voglio prendere in giro? Sono ferma da giorni a scrivere! Io non so niente di amore e annessi e connessi, come faccio a parlarne ad altri? Perchè vogliono proprio un libro di questo genere, invece, e non mi lasciano libera di scrivere…”

Con la mente tornò ad un paio di settimane prima, quando la sua editrice l’aveva chiamata e le aveva dato questo incarico, strillando a pieni polmoni dalla cornetta:
<< Perché, tesoro? Mi stai sul-se-ri-o chiedendo il perché, Maka? >> Arya era la sua editrice, una bravissima persona e quello che Maka aveva di più vicino ad una amica, ma il tatto con era il suo forte. E quando poi si fissava su qualcosa, non c’era modo di farle cambiare idea, neanche sventolandogli sotto il naso i biscotti al cocco pelosi per i quali andava matta.
<<  Si, Arya, io non capisco… perché devo cambiare il mio modo di scriver… >> aveva provato a ribattere la bionda, ma era stata subito interrotta da quella furia travestita da donna d’affari.
<< Perché è QUESTO quello che vende, ca-ris-si-ma! I tuoi libri non sono adatti alle teenagers, ma più a donne di mezz’età… e noi dobbiamo accalappiare una fetta del mercato che libri come Twilight e giù di lì hanno aperto, dol-cez-za! Così pooi potrai… >> e bla bla bla, Maka aveva disconnesso il cervello e aveva capito che questa volta non poteva fare di testa sua. Come li chiamavano, le persone normali?
 Ah, sì, compromessi.
A Maka non erano mai piaciuti, ne faceva volentieri a meno: figurarsi che c’è gente che ci costruisce una vita sopra! Ma questa volta non aveva modo di obiettare, e per lei scrivere era tutto, quindi aveva dovuto capitolare. Così aveva chiuso la chiamata velocemente, cercando di schivare tutti i vezzeggiativi e le sillabazioni che tanto le davano sui nervi, ma di cui la sua amica faceva abbondante uso quando era in trattativa.

Un brontolio la distolse dalle sue elucubrazioni. Un mormorio che proveniva dalla sua pancia.
“Ottimo. Mancava solo questo, è proprio una splendida giornata. E’ proprio ora di chiamare Tom”.


***


Era già pomeriggio inoltrato, e Maka, come ogni santo pomeriggio della sua vita, era seduta sulla sua poltrona rossa, persa nel rimirare le vite che si intrecciavano sotto le sue vetrate, con il solito libro aperto in mano, a cui gettava rare occhiate. Forse, se avesse avuto per le mani un libro un po’ più coinvolgente, non avrebbe fissato con così tanta intensità là fuori, avvicinandosi sempre di più al vetro, un millimetro dopo l’altro, impercettibilmente, in equilibrio precario. E, sempre forse, non si sarebbe spaventata così tanto nell’udire il suo campanello da finire col picchiare il naso e, nel tentativo di salvarsi, la nuca sulla vetrata, ritrovandosi poi –non si sa bene come- con i piedi appoggiati alla poltrona e la faccia schiacciata sul pavimento, mentre la copertina del libro le tentava di bucare lo stomaco.

Maka si rialzò velocemente da quella posizione scomposta, buttò un occhio in giro per vedere se era tutto in ordine e, soddisfatta, andò ad aprire la porta, cercando di rassettarsi i vestiti mentre passava davanti allo specchio d’ingresso.

Guardò nello spioncino: capelli castani, occhi gentili del colore del caramello fuso e un viso armonioso ma virile.

Aprì la porta con un sorriso, facendosi da parte. Tom entrò, trascinandosi dietro le borse con la spesa e lanciò un’occhiata in giro:
<< Ehi bionda, sono arrivato in tempo anche stavolta: non hai ancora iniziato a sgranocchiare le pagine dei tuoi amati libri, a quanto vedo >> l’apostrofò per poi abbracciarla.
Maka si mise a ridere, seguendolo poi  in cucina. I due iniziarono a sistemare le confezioni negli sportelli deserti, parlando del più e del mano, e riacquistando sempre più confidenza.

Tom le chiese del suo ultimo libro, delle sue giornate e si aggiornò sulle sue ultime letture.

Maka invece s’informò della sua famiglia, della salute di sua madre e di come andavano le cose al negozio, e Tom prese a parlare e a parlare mentre Maka, affamata di dettagli di vita vera, lo ascoltava attentamente.

Le piaceva parlare con quel ragazzo, aveva uno spirito ironico che non lo rendeva mai noioso da ascoltare.

“Ed è anche un bel ragazzo”, si ritrovò a pensare la bionda, osservandolo meglio.
Era alto, slanciato, non mingherlino ma neanche palestrato: aveva il fisico di uno che è abituato a spostare scatoloni tutto il giorno nel suo negozio, rifletté la ragazza. E aveva una personalità forte e decisa, ma anche dolce, e dava l’impressione di uno che era capace di farti sentire al sicuro e desiderata, ma senza essere smielato…

<< … e dopodomani arriverà un mio cugino e, certo, devi proprio vederlo! E’ proprio un tipo! Va sempre in giro con un giubbotto di pelle nera, ha i capelli bianchi e l’aria da duro, ma è una brava persona… mi ha chiesto di venire a lavorare nel mio negozio, e non ho proprio saputo come rifiutare… Ti chiederei anche un consiglio su questo, ma in questo momento sei nel tuo mondo e resteresti lì imbambolata anche se ti dicessi che domani mi sposo con Helena Bonham Carter perché Tim Burton l’ha stufata. >>

Maka si riscosse quando lui si mise a fissarla, come in attesa di una risposta.
“Oh cavolo, di che stava parlando?E ora che gli dico?” << Infatti >>, rispose la bionda sperando di andare sul sicuro con quell’avverbio, guardandolo di sottecchi.
Tom scoppiò in una grossa risata e, asciugandosi gli occhi, iniziò ad alzarsi dalla sedia del tavolino in cucina, dato che avevano finito di sistemare già da un po’. La bionda lo guardò con un sorriso imbarazzato, accompagnandolo alla porta.

<< Io,… mi dispiace, non ho scusanti, mi sono distratta un attimo e poi… >>

<< Figurati >> rispose Tom sorridendo << tanto ormai ci sono abituato! E’ per questo che mi diverto a venire qui >> concluse con un occhiolino, prima di uscire.

Maka chiuse la porta e si guardò intorno. L’allegria che sembrava aleggiare quando era presente Tom sembrava svanita. Ora la sua casa sembrava solo vuota e fredda, come al solito.

La ragazza si incamminò verso la cucina, guardando l’ora: erano già le sette di sera, avrebbe mangiato la tanto agognata pizza e sarebbe andata a letto presto. Proprio come al solito.

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Capitolo 3
*** La vita secondo Soul: quanto è difficile non essere Raperonzolo ***


3) La vita secondo Soul: quanto è difficile non essere Raperonzolo
 
Alle sette in punto due occhi carmini si spalancarono, anticipando la sveglia.

Dal groviglio di coperte emerse una figura alta e slanciata, il petto segnato da una cicatrice che correva dalla spalla destra al fianco opposto.

Soul si grattò la testa, sbadigliando vistosamente, e si vestì di tutto punto ancora prima di scendere dal letto, come del resto faceva tutte le mattine. Dopo aver capito che da cinque minuti stava tentando di infilarsi la maglia al posto dei pantaloni, sistemò gli abiti sugli arti corretti, dirigendosi verso il bagno, per tentare di darsi una svegliata immergendo il viso sotto il flusso di acqua gelida che sgorgava dal rubinetto, un’abitudine che aveva preso al tempo delle superiori e che ancora non lo abbandonava.

E, come ogni mattina da almeno dieci anni, tentò di sistemare i candidi ciuffi ribelli che, appena sveglio, sparavano selvaggiamente in qualsiasi direzione, conferendogli un’aria da riccio che si è appena rotolato nell’erba alta: e questo, per uno che, come lui, aveva fatto dell’essere cool uno stile di vita, era assolutamente da evitare.

Tentò. Ecco la parola chiave.

Ancora ad occhi chiusi, infatti, si tastò la nuca, alla ricerca di quella criniera da domare in un look finto scarmigliato che l’avrebbe reso sexy e cool, aspetto grazie al quale aveva fatto capitolare numerose donne nel corso della sua vita.

Niente.

Ecco cosa trovarono le sue mani in esplorazione. Assolutamente niente, se non una zazzera finissima ai lati della testa, e giusto qualche ciocca poco più lunga sopra.
Soul dischiuse gli occhi lentamente, prima uno e poi l’altro,sperando ardentemente che quello che era successo il giorno prima sia stato solo un incubo: un ragazzo dagli occhi rossi gli restituì lo sguardo dallo specchio, scrutandolo attentamente.

“Non posso essere io” pensò Soul, prima di iniziare a sventolare la mano davanti agli occhi dello sconosciuto, “non sono assolutamente io” rifletté, girandosi a guardare se, per caso, e solo per caso, dietro di lui si trovasse uno dei sette sosia che ognuno di noi ha al mondo.

“Dove. Sono. Finiti. I. Miei. Capelli.”
 
***

Soul non era arrivato a Death City da neanche una settimana, che aveva già un paio di lavori. Okay, uno non se l’era proprio cercato lui, ma il risultato era lo stesso. Il mattino lavorava come fattorino nel negozio di suo cugino Tom, il quale gentilmente si era anche offerto di ospitarlo. Ed ecco il problema: il proverbiale e inossidabile orgoglio degli Evans. Nonostante non fosse in buoni rapporti con molti della sua famiglia, il “piccolo” di casa Evans aveva ereditato una buona parte dei modi di fare e delle caratteristiche del suo nobile casato, tra le quali l’orgoglio era preponderante.

Aveva accettato il lavoro che gli veniva offerto solo dopo che Tom l’aveva assicurato che comunque avrebbe cercato, di lì a breve, qualcuno che lavorasse come fattorino: non voleva essere di peso e scombussolare il povero cugino. Quindi, aveva deciso che sarebbe stato un coinquilino-fantasma fino a quando non avesse potuto permettersi un piccolo appartamento: avrebbe dimostrato a tutti che sapeva cavarsela da solo, non aveva bisogno che il cugino gli facesse da balia.

Così, aveva deciso di farla lui, la balia. Dato che aveva il pomeriggio libero e gli servivano quattrini, si era offerto come babysitter: e di lavoro ce n’era.

Dopo un paio di settimane, era arrivato a gestire circa 10 piccole pesti di sei o sette famiglie diverse, a giorni alterni: circolava la voce che sapeva trattare con i bambini, accudirli e calmarli, arrivava sempre puntuale e, soprattutto, tutti i cuccioli d’uomo lo adoravano e ascoltavano tutto quello che diceva.
E se dapprima le famiglie erano un po’ titubanti ad assumerlo, a causa dei mille orecchini, il giubbotto di pelle sempre addosso e i capelli mai in ordine, si erano ricredute immediatamente dopo aver visto gli occhi a cuoricino dei loro pargoli ogni volta che si parlava di Soul.

Ora, dal punto di vista dell’albino, il lavoro era semplice: si trattava di stare spaparanzato sul divano a godersi le partire di basket in tv, scolandosi una  bibita, e lasciando che i bimbi si intrattenessero da sé.

O, meglio, questo era quello che accadeva dopo che Soul e le pesti da accudire siglassero IL patto: il ragazzo si impegnava a procurare loro, di sottobanco, patatine, caramelle, dolci e schifezze che i genitori avevano espressamente proibito e consentiva loro di guardare quanta tv volessero, mentre i ragazzini accettavano di importunarlo il meno possibile.
Semplice e pulito, vantaggioso da entrambe le parti.

A ciò si aggiungeva poi la simpatia spontanea dei bimbi verso quell’essere stravagante e sempre imbronciato: i bambini avevano trovato un compagno di gioco sempre disponibile per una partita alla Play Station o a basket mentre le bambine… be’, nel loro piccolo, erano donne, quindi venivano ammagliate da quegli occhi di fuoco contornati da candida neve, e si limitavano a fissarlo, un po’ intimorite e un po’ ammiranti, senza osare neanche respirare.

Oh. E poi, c’era lui.

Il piccolo Spirit*: lunghi capelli rossi, sempre vestito elegante, con le sue giacchette,  ed una grande passione per i coltelli e le lame in generale.
Era uno degli ultimi acquisti di Soul, ed era una palla al piede: tra loro, era stato odio a prima vista.

Ovviamente, Spirit aveva rifiutato IL patto e non solo: aveva minacciato di svelare i metodi da babysitter di Soul a tutto il quartiere, facendogli perdere i suoi clienti, se avesse smesso di essere la sua balia.

Ebbene sì, gente: il grande e cool Soul era ricattato da un bimbo che a malapena gli arrivava al ginocchio.

Nessuno delle babysitter precedenti del piccolo rosso, infatti, aveva resistito più di qualche giorno alle torture del bimbo, il quale si aggirava per casa armato dell’argenteria, tendendo agguati alle povere malcapitate, giocando  “alla guerra”, per poi ritrasformarsi nel lezioso e capriccioso moccioso di sempre appena i suoi genitori rimettevano piede in casa. Genitori che, ovviamente, stravedevano per lui.

Soul era bloccato in quella casa ogni mercoledì, ed ogni stramaledettissima volta era una battaglia: se le davano di santa ragione, volavano vasi e forchette, si tiravano i capelli, imbrattavano i pavimenti e le pareti, distruggendo casa.
Vincevano a turno, un mercoledì Soul e uno Spirit, prolungando quella mischia selvaggia fino alle sei di sera, ora del rientro della madre del piccolo: allora, spalla a spalla, scopa e stracci alla mano, pulivano il disastro che avevano combinato, aiutandosi a vicenda.

Non li avevano ancora scoperti, segno che potevano mettere su insieme un impresa di pulizie efficientissima, se solo avessero collaborato.

Il giorno prima del risveglio del nostro Soul era stato, guarda caso, un mercoledì. E non uno qualsiasi, ma uno di quelli in cui la vittoria era toccata al piccolo tormento: Soul era tornato a casa stanco, sudato e sporco, ma era solo durante la doccia che aveva scoperto il peggio.
Aveva una gomma da masticare appiccicata sui capelli.

Ma, si sa, al peggio non c’è mai fine.

Aveva scoperto di avere quell’impiastro sulle ciocche proprio mentre si stava facendo lo shampoo: ergo, aveva sparso l’ammasso schifoso su tutta la sua meravigliosa chioma, prima di accorgersene.

Aveva urlano tante maledizioni e bestemmie che, se avesse potuto, Mefistofele si sarebbe prodotto in una standing ovation con tanto di ola. Aveva chiuso l’acqua, giurando vendetta, ed era corso in giro per casa coperto solo da un asciugamano sui fianchi, alla ricerca di Tom, che aveva trovato in cucina a guardare uno di quei programmi da casalinga disperata, della serie “corso di cucina per deficienti: impara anche tu!”.

Solo poche volte nella sua vita aveva lasciato che qualcuno gli toccasse i capelli, ma quella volta aveva implorato: e Tom, trattenendo a stento le risate, aveva tagliato via la gomma e aveva cercato di sistemare il taglio il più possibile.

Alla fine, Soul era corso a letto, rifiutandosi di passare davanti ad uno specchio o di toccarsi i capelli con le mani, timoroso del vuoto che avrebbe trovato, certo che era tutto solo un brutto sogno: era andato a dormire con le lacrime agli occhi, dopo tanto tempo.

Ma, in fondo, era Soul Eater Evans, e non si sarebbe fatto sconfiggere da un ragazzino: le lacrime rimasero aggrappate lì dov’erano, sulle ciglia, rifiutandosi di cadere.

Un ghigno si disegnò sulle sue labbra, un ghigno malefico.

“Oooh, dopo questa, sarà guerra aperta, piccolo demonio”.
 
 



*Spirit: ovviamente qui non faccio riferimento al padre di Maka, che è perso nei suoi viaggi, ma ad un piccolo bambino che ha le sue fattezze e che da’ grattacapi al nostro povero eroe. Mi piaceva l’idea che Spirit gli desse il tormento anche se non come genitore della sua “piccola bambina” ;)

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Capitolo 4
*** La nascita dei Maka-chop ***


 
4) La nascita dei Maka-chop
 
<< ….I thank you aalllll… But it’s been no bed of rooses, no pleasure cruuuise… >>

Il bagno in casa di Tom era pieno di vapore. Davanti allo specchio, una spazzola in mano, sopracciglia corrugate, il nostro albino preferito si stava esibendo nella sua più brillante imitazione di Freddy Mercury, per la gioia dei flaconi e degli spazzolini appoggiati sul rubinetto di fronte a lui.

<< I consider it a challenge before the whole human race and i ain’t gonna looooooseeee >>

Soul accennò un paio di passi, fece una piroetta su se stesso, sempre tenendo la spazzola a livello delle labbra e mimando le parole che uscivano a tutto volume dalla radiolina sulla mensola.

<< And we mean to go ooon and ooon and ooon and oooon >>

Il coretto lo abbozzò strisciando la mano a destra e a sinistra a tempo degli “ooon” sul vetro, per eliminare la condensa. Occhi lucidi, guance e naso arrossati e i capelli ancora umidi che iniziavano a ricrescergli,  lunghi abbastanza da entrargli negli occhi ma ancora troppo corti per rientrare nei suoi standard da cool: Soul si guardò allo specchio, concentrato come non mai, l’adrenalina che scorreva in corpo, caricandolo per il grande pezzo centrale.

L’albino inspirò a pieni polmoni, portando la mano destra, libera dalla spazzola,  verso il soffitto, ed esplose:

<< Weee are the championsssss, my frieeeendss…and weee’ll keep on fighting, till the eeend…. >>

Il ragazzo ondeggiò a tempo di musica, fece un paio di passi verso il rubinetto e riprese: << Weee are the chaaampions, weeeee are the chaaampions, nooo time for looooosers, cause wee are >>

<< Soul, tutto okay lì dentro? E’ un’ora che sei in bagno! Io vado, a dopo! >> La voce di Tom gli giunse ovattata da sotto la porta.
Soul, colto in fallo proprio durante l’inchino finale, sobbalzò, scivolando sul pavimento umido e portandosi dietro le cianfrusaglie che affollavano il ripiano del lavandino, al quale aveva tentato di aggrapparsi.

“Questo non è per niente figo” pensò l’albino, scattando in piedi mentre si affrettava a rassicurare Tom e a risistemare lo scempio che aveva combinato, massaggiandosi la chiappa che aveva attutito la sua caduta.

Quello era proprio un grande giorno, per il ragazzo.

Dopo settimane che sgobbava, aveva finalmente messo da parte un decoroso gruzzolo di quattrini che gli avrebbe permesso di prendere in affitto un “piccolo e delizioso appartamento”, per dirla con le parole usate da  Blair, la formosa amministratrice del “Condominio Shibusen”, mentre gli si strusciava addosso.

Ammaliato com’era da quella specie di neko cosplayer, il sangue aveva smesso di arrivare al cervello, concentrandosi nelle parti sbagliate, e aveva firmato il contratto per l’affitto a scatola chiusa, senza neanche vedere l’appartamento, preoccupato solo di non sgocciolare sangue dal naso su quel pezzo di carta e pregando tutti gli dei affinché la donna non si accorgesse dell’imbarazzante rigonfiamento che fino a un momento prima non esisteva.

Era tornato a casa pallido, in preda ad una abbondante epistassi, ma felice come non si sentiva da tempo.

Tanto che aveva insistito per cucinare lui quella sera e un Tom molto riluttante l’aveva lasciato fare.
Ovviamente, Soul era riuscito a bruciare il curry, la pentola e un paio di presine nel tempo record di mezz’ora ed erano stati costretti ad ordinare cinese d’asporto.

Soul grugnì sdegnato al ricordo del puzzo di bruciato che aveva infestato la casa per le successive  48 ore, ma oggi era il grande giorno e nulla sarebbe andato storto: avrebbe preso possesso dell’appartamento e sarebbe stato a indipendente da tutto e da tutti.

“Oggi mi sento proprio un dio” L’albino ghignò maliziosamente mentre si preparava per uscire.
“Oggi devo fare solo una consegna per Tom, e al posto della guardia ai marmocchi devo portare le mie cose nel mio nuovo antro” Ricapitolò il ragazzo, ormai per strada, contando sulle dita le cose da fare.
La testa era altrove, ma ormai i piedi avevano memorizzato il percorso per arrivare al negozio del cugino.

“Oh sì, sarà una grande giornata” Mani incrociate sulla nuca, sguardo perso nel cielo afoso di Death City, Soul continuò a camminare, i denti da squalo che facevano capolino tra le labbra incurvate nel primo vero sorriso da quando era in quella sconosciuta città.
 

***
 

<< Perché devo andarci io? Se è una cliente speciale, perché non ci vai tu? >>

L’albino storse il naso alle raccomandazioni del cugino sul comportarsi bene e sul non essere arrogante e invadente e bla bla bla.

“Che noia”. Gli sembrava di essere tornato bambino, quando i suoi genitori davano una delle tante feste a casa Evans per non si sa quale scopo benefico e prima dell’evento lo asfissiavano per ore su quello che doveva o non doveva fare.

<< Be’, cuginetto, si dà il caso che il tuo lavoro sia fare il fattorino. Ora, so quanto ti disturba la cosa, ma per avere uno stipendio devi, be’, come si dice nel gergo di noi comuni mortali, lavorare. E il tuo lavoro consiste nel far felice i clienti: o meglio, nel tuo caso, fare quello che devi senza farli incazzare troppo >>

Tom fissò l’albino negli occhi per alcuni interminabili secondi, poi entrambi scoppiarono a ridere, dandosi il cinque.

<< Comunque, tornando a noi >> riprese Tom, << sii “carino e coccoloso” stavolta, fammelo come favore personale.E’ una persona interessante, ma molto strana. Sei sicuro di saperci arrivare? >>

<< Pff, ormai conosco questo squallido posto come le mie tasche >> Soul fece l’occhiolino al cugino, prima di prendere la borsa della spesa e uscire dal negozio.

Si diresse verso un complesso di palazzoni dall’aria molto costosa, nel centro città: i grattacieli svettavano nel cielo, dominando la città, mentre le vetrate riflettevano la luce del sole.
Il ghigno insanguinato dell’astro, dapprima accennato, divenne più marcato quando il suo occhio andò a posarsi sulla chioma albina del giovane, come ridendo di una sua personale battuta.

Intanto Soul era arrivato: superò senza problemi il portiere, intento com’era a cercare di districare il lungo naso da uno strambo cappello a cilindro bianco, mentre blaterava qualcosa su una leggenda iniziata nel dodicesimo secolo e una certa spada sacra.

Il ragazzo salì in ascensore e premette il bottone del dodicesimo piano, per poi appoggiarsi alla parete cercando di sistemarsi alla meno peggio i suoi ciuffi ribelli, la borsa della spesa poggiata a terra.

Dliiiiin Dloooon.

Era arrivato: le porte dorate si spalancarono e si ritrovò di fronte ad un corridoio lungo, stretto e leggermente curvo verso destra. Era decorato con tappezzeria alle pareti dalla stampa discutibile, nero su giallo, e la moquette di un orribile color verde malva.

“Questo posto fa concorrenza ad un ospedale… allegro quanto l’obitorio” Sempre più riluttante, Soul avanzò, strascicando i piedi e gettando occhiate alle porte, cercando l’appartamento giusto.

“15 nooo… 18 nooo..come è possibile il 18? E guarda qui, poi c’è il 21…” Si bloccò davanti al numero 22.
“Evidentemente chi ha numerato le porte era ubriaco”.

Il ragazzo scosse le spalle, come a scrollarsi di dosso il briciolo di interesse che aveva fatto breccia nella sua mente indolente.

Un respiro profondo, un’ultima passata di mano sui capelli, e suonò il campanello.

Passarono i minuti e, be’, niente, passarono i minuti. Perché per ben dieci minuti restò impalato, sempre più perplesso, a fissare lo spioncino della porta, da dove era certo che qualcuno lo stesse osservando – d’altronde, vedeva il riflesso verde dell’iride attraverso la lente.

All’improvviso si riscosse dallo stupore e batté un pugno sulla porta, il volto congelato in una maschera di cattiveria:

<< Dannazione, vuoi aprire o no? >>
 


-----------Maka pov------------
 
“Oh.Mio.Dio. Chi diavolo è questo?”

Una Maka in preda ad una crisi di panico rimase a fissare per dieci minuti buoni lo sconosciuto che aveva suonato il suo campanello.
Capelli bianchi come la neve, occhi rossi come il fuoco, giubbotto di pelle nera aderente, orecchini e stivali da bikers.

“Cosa vuole, chi è, perché bussa da me? Oh madre, ora cosa faccio? E se ha cattive intenz”

<< Dannazione, vuoi aprire o no? >> Una voce roca per il furia, ma calda e suadente si infranse contro il suo orecchio, e Maka si ritrovò paralizzata: quella specie di caramello “vocale” la colpì come un pugno nello stomaco e, senza accorgersi delle sue azioni, senza pensare,  tolse il catenaccio e spalancò la porta, ammaliata.

Il ragazzo intanto aveva abbassato lo sguardo e chiuso gli occhi, massaggiandosi la radice del naso con la punta delle dita, come se fosse concentrato.

Maka inclinò la testa da un lato, osservandolo meglio.

Era bello. Bello non nel senso convenzionale del termine, ma aveva quel fascino che lo rendeva piacente agli occhi. Quella posizione poi, il capo basso e il busto incurvato, metteva in risalto il suo fisico asciutto e la larghezza delle spalle.

<< Cioè, volevo dire… Ciao, sono qui per conto di Tom, con la spesa che hai ordin >> Le parole erano strascicate, come se le stesse masticando per dare loro quell’intonazione gentile, per cacciarle fuori a forza.

“Tipico di chi è abituato a parlare in modo brusco”, riflettè la ragazza. “Umm, personaggio particolare… forse potrei inserirlo nel libro, una bella infanzia difficile alle spalle ed è perfetto”.

Intanto, sul finire della frase, il ragazzo aveva aperto gli occhi e l’aveva guardata, bloccandosi all’istante.

Due fanali rossi:  Maka ne rimase abbagliata… Due fanali vermigli, spenti e indolenti, che passarono dal suo viso al suo corpo, in un attimo, squadrandola: all'improvviso i suoi occhi risplendettero, una scintilla vivace andò a risvegliare la brace sepolta in quei pozzi, permettendo alle fiamme di divampare prepotentemente, facendoli ardere.
Sul viso del ragazzo si disegnò pigramente un ghigno malizioso.

La stessa malizia che risuonò evidente anche nelle parole che le rivolse: << Originale modo di accogliere chi bussa alla tua porta. E, dimmi, è usanza comune in questa città? Perché se è così potrei sbagliare spesso campanello >>

Una  Maka distratta dal movimento sinuoso delle labbra piene del ragazzo e dal suo tono seducente ritornò in sé quando afferrò il significato di ciò che gli stava dicendo, abbassando lo sguardo su di sé.

Arrossì.
Divenne furiosa.
Ammiccò. Ripescò un libro dal mobile vicino e lo scagliò in direzione dell’albino.
Chiuse la porta. Si accasciò per terra.

Tutto questo nel tempo record di tre secondi.

In intimo. Aveva aperto la porta in intimo.
 

***
 

Si dà il caso che quella mattinata era stata tra le più afose degli ultimi anni. La casa sembrava un forno, e  anche spalancando tutte le finestre nell’appartamento di Maka non girava neanche un soffio d’aria.

Quando si era svegliata, la ragazza era talmente fradicia di sudore che se si fosse coperta anche un centimetro quadrato di pelle avrebbe vomitato, lo sapeva.

Per questo aveva deciso di rimanere in quello che per lei era il pigiama e, che si è già detto, per noi comuni mortali è la biancheria intima.

“Tanto”, aveva pensato, “non viene nessuno”.

Si era scordata che il giorno prima si era accordata con Tom per ricevere quelle quattro cose che servivano a riempirle il frigo.
E così, eccoci davanti alla più grande figuraccia che Maka Albarn avesse mai fatto.
 

***
 

Come aveva potuto essere così stupida? Maka scattò in piedi, corse in camera e acchiappò la prima maglietta che gli passava sotto mano, indossandola. Perché abitava sempre nel suo mondo, perché non aveva mai la testa sulle spalle? Lei si vantava di essere intelligente, ma poi cadeva su quelle piccole cose. Stare sempre chiusa in casa non le faceva bene, proprio no.

“Umh, aspetta un attimo” riflettè la ragazza. “Fino a prova contraria questa E’ casa mia. Potrei andare anche in giro nuda, se volessi. E’ stata colpa sua, di quello lì, se ho fatto una pessima figura.”

Ma neanche Maka credeva ai suoi pensieri. Molto spesso è utile nascondersi dietro una falsità, pur di non incolpare sé stessi ed essere costretti a farsi un esame di coscienza.
Ritornò alla porta, sospirando, pronta a scusarsi con quello che –ormai lo aveva capito- doveva essere il nuovo fattorino di Tom: la spalancò, e trovò l’albino comodamente appoggiato alla parete, che l’aspettava con le braccia conserte, un accenno di sorriso sul volto.

<< Oooh, molto meglio! >> disse Soul  gentilmente, accennando col capo alla sua maglietta. Si staccò dalla parete e avanzò verso di lei, sempre sorridendo.

Maka quasi si sentì rincuorata. Quasi. Perché il sorriso del ragazzo era sfumato in un ghigno sarcastico.

<< D’altronde, non è che faccia poi molto differenza, senzatette, ho visto tavole da surf più sexy di te. Mio Dio, mi avevano detto che eri strana, ma non pensavo poi così tanto! Comunque questo è tuo >>
Il ragazzo rise, restituendogli il libro che aveva lanciato e la borsa della spesa.

<< Pessima mira, tra parentesi… “Orgoglio e pregiudizio” eh? Lettura leggera, mi ricordo che ce l’avevano dato da leggere a scuola ma… >> Soul continuò a cianciare.

La bionda impiegò un attimo a riprendersi da quel fiume di parole. Accettò la borsa della spesa, che appoggiò sulla soglia di casa, soppesando poi il libro, senza ascoltare il ragazzo.

Fissava il tomo intensamente, con sguardo interrogativo, come se dovesse prendere la decisione più importante della sua vita: ad un certo punto scosse la testa, e lo sguardo si affilò, posandosi su Soul.

La ragazza sorrise dolcemente, prima di prendere il capolavoro della Austen e colpire con tutte le sue forze l’albino in testa: il ragazzo crollò a terra, svenuto, senza un lamento.

A passo leggero, Maka si avvicinò per studiare attentamente la  voragine rettangolare che ora decorava la nuca di Soul e dalla quale cominciò a sgorgare una fontanella di sangue.
Ghignò, mentre si rialzava e tornava verso casa, i piedi scalzi che affondavano nella moquette.
Lanciò un’ultima occhiata al cadavere da sopra la sua spalla.

<< Lettura leggera, eh? >>

 Una volta di nuovo in casa, guardò il testo che ancora stringeva fra le dita come se lo vedesse per la prima volta.

“Non avevo mai considerato i libri come delle armi non convenzionali” rifletté la ragazza, mentre con noncuranza ripuliva il dorso del suo nuovo migliore amico dai ciuffetti di capelli argentei e dai residui di pelle e sangue dell’albino, il sorriso che ancora gli aleggiava sul viso.

“Quel colpo, dovrei brevettarlo.”

Maka si spostò in cucina, aprendo gli stipetti e il frigo per mettere in ordine il cibo, completamente indifferente alla sorte di Soul che, a due passi dalla soglia di casa sua, giocava da solo a fare il morto.

“Lo chiamerò Maka-chop”
 
 
 
 

To be continued...  

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Capitolo 5
*** Galeotto fu il buco... ***


 
5)Galeotto fu il buco…
 
A Sir T., anche se so che non lo leggerai mai.

A te, mia leva, grazie alla quale mi sento in grado di sollevare il mondo.
A te, che mi fai sentire in grado di amare.
A te, che mi fai ridere alzando solamente un sopracciglio.
A te, che mi fai sentire viva con un semplice ciao.
A te, che mi fai venire voglia di ballare con uno sguardo,
anche se so di non esserne incapace.
A te, che non sarai mai mio.
Grazie, perché ora so che gli amori che non iniziano neanche sono i soli che non ti possono deludere,
pur facendoti morire dentro.
Grazie, perché se ancora guardo in cielo e trovo bellissima la luna, 
è merito tuo.
 
 

[Ehilà! :) Essendo una persona molto sbadata, mi sono scordata nello scorso capitolo di aggiungere un “to be continued” alla fine (cosa a cui provvederò), visto che questo e il precedente sono praticamente lo stesso capitolo. Insomma, quello che leggerete oggi avviene temporalmente subito dopo quello che è successo nel cap 4 :) spero che la storia stia piacendo, comunque, e alla prossima! :)
XOXO SilverSoul]
 
 

Soul si ritrovò sdraiato a faccia in giù su una moquette di pessimo gusto, mentre il tessuto entratogli nelle narici gli procurava una fastidiosa sensazione di solletico.
Si sedette, sputando peli di gatto che -evidentemente- aveva leccato via dal tappeto mentre dormiva.
“Un momento. Cosa ci facc” La mano dell’albino corse a tastarsi la nuca, da dove all’improvviso arrivava un dolore sordo e pulsante: osservò il sangue raggrumato che macchiava ora le sue dita, e ricordò.
 
Una bionda. In intimo.
 
L’aveva subito classificata.
Nada sex appeal, senzatette.
No, non senzatette: piatta come una tavola da surf era più adatto. Poche curve e troppo poco accennate.
Belle gambe, lunghe e affusolate, questo doveva ammetterlo.
Due occhi profondi come pozzi, di un verde che spiazzava.
E un bel sorriso dolce.
Lo stesso sorriso che le illuminava il volto proprio un attimo prima che…
<< Quella stronza mi ha colpito con un libro! >> Soul lo urlò nel corridoio in penombra, rendendosi immediatamente conto di essere stato atterrato da uno scricciolo biondo alto almeno mezzo metro meno di lui e che urlarlo ai quattro venti non era esattamente una mossa da cool boy quale era.
Il ragazzo si zittì subito, alzandosi immediatamente in piedi e ringraziando profondamente tutti gli dei a lui conosciuti e non per il fatto che non ci fossero in giro testimoni del suo KO.
Ancora esterrefatto, Soul lanciò un’occhiata al suo orologio,gelandosi sul posto: aveva esattamente 10 minuti prima dell’appuntamento con Blair, e se non si faceva vivo la donna avrebbe dato l’appartamento a qualcun altro. Non contando il fatto che doveva ancora passare da Tom per rassicurarlo di aver consegnato la spesa e recuperare le sue quattro cianfrusaglie dall’appartamento del cugino, che guarda caso si trovava esattamente dall’altra parte della città.
L’albino scattò verso l’ascensore, imprecando, le parole che si ingarbugliavano le une sulle altre, tormentando il bottone di risalita finché la gabbia di metallo non arrivò al piano.
Era stata una giornata da Dio, fino a quel momento.
Si era sentito un Dio, potente e incontrastato: finalmente si faceva la sua volontà, finalmente sarebbe stato indipendente.
Ora invece era in ritardo, tutto stava andando per il verso sbagliato e, se non si sbrigava a mettere una pezza, sarebbe andato tutto ancora più a puttane.
“Tutta. Colpa. Di. Quella. Dannatissima. Gambelunghe.”
Mentre sgambettava nell’ingresso, guadagnandosi l’uscita e ritrovandosi nel caldo afoso tipico della città, Soul sorrideva malignamente.
Oh, gliel’avrebbe fatta pagare, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua. E se fosse andato tutto a rotoli, Soul si sarebbe premunito di essere in compagnia della bionda quando la frana si sarebbe abbattuta sulla sua testa.
Quella stronza aveva osato mandare a tappeto la sua mascolinità, il suo orgoglio, la sua figaggine, lasciandolo svenuto su quel tappeto per più di un’ora. Oltre ad averlo mandato a tappeto nel senso letterale del termine, ovvio.
Soul giurava vendetta, correndo a perdifiato per le vie della città, gli stivali che ticchettavano sul cemento, sorpassando i pedoni, schivando le bici, e tentando lo slalom tra le macchine ferme ai semafori, per guadagnare tempo.
“Volevo solo essere un Dio, ma ora mi accontenterò di essere un’apocalisse”
 
 
***
 
 
Nel giro di mezz’ora, era arrivato a casa di Tom, prendendo a malapena al volo i due miseri scatoloni di cartone che contenevano le sue cose, ed era volato giù dalle scale, ripartendo alla volta del negozio del cugino, correndo a più non posso.
Lungo il tragitto, le due scatole erano cadute due volte producendo, una volta toccato il suolo, rumore di vetri infranti. Soul aveva stretto i denti e non aveva avuto il coraggio neanche di pensare di aprire le scatole per controllarne il contenuto, anzi: approfittando delle mani libere, si era asciugato il sudore che gli colava negli occhi, poi aveva raccattato le scatole che si erano schiantate ai suoi piedi e aveva ripreso a correre.
 
Però, si sa: non c’è due senza tre.
 
Fatti trecento metri,  Soul era inciampato, finendo lungo disteso con la faccia spiaccicata sul marciapiede. Le scatole, sfuggite alla sua presa, avevano finito la loro corsa sulla testa di un vecchietto, aprendosi e spargendo il loro contenuto ai quattro venti: l’albino era scattato in avanti, incurante delle sbucciature, e aveva iniziato a raccogliere alla bene e meglio i frammenti – letteralmente- della sua vita.
 
Come si dice poi? Il quarto vien da sé.
 
Mentre era chino, Soul aveva sentito dei passi, sempre più vicini, sempre più veloci: aveva alzato gli occhi, ed aveva visto il vecchietto che aveva colpito con gli scatoloni corrergli incontro urlando, furibondo, e agitando il bastone da passeggio in aria. Be’, non si poteva dire che le sue intenzioni non erano chiare.
Soul aveva ripreso a correre, quasi impaurito, con in braccio ormai un’accozzaglia di vestiti, cartone, riviste, carte, biancheria, collanine e chi più ne ha più ne metta, in direzione della piazza in cui aveva appuntamento con l’amministratrice, inseguito dal vecchietto, sorprendentemente veloce e in buona forma per la sua età.
“L’unico ottantenne che fa triathlon  lo dovevo proprio beccare io, eh?”
L’albino riuscì a seminarlo solo dopo ben due isolati e utilizzando un paio di scorciatoie attraverso i parchi che nessuno prima di lui aveva mai utilizzato: si ritrovava ora davanti a Blair, con un’ora abbondante di ritardo, ansimante, sudato, sanguinante, con le scarpe infangate e il chiodo a pezzi, ma ce l’aveva fatta. Gli rimanevano in mano giusto qualche capo di ricambio, e il suo poster preferito, quello di Scarface.
 
<< SOOOUL-KUUUUN, sei qui finalmente! >> Quella specie di gatta gli si avvinghiò addosso, stringendolo al seno prosperoso, impedendogli ancora di più il respiro. Soul tentò di staccarsi, puntando le mani sulle spalle della donna e torcendo il busto per allontanare quei due rigonfiamenti da sotto il suo naso, per evitare un’altra epistassi e contemporaneamente riprendere a incamerare ossigeno.
Mentre lo lasciava andare, Blair continuò: << Allooora, ora che sei qui, possiamo andare! Zuccherino, su, forza, che non è così lontano! Facciamo un gioco però >>
Soul guardò l’amministratrice da sotto in su, visto la sua posizione mezzo accucciata sulle ginocchia, le labbra socchiuse,  in attesa di riprendere fiato: la donna aveva un’espressione maliziosa sul volto e un gran sorriso, da cui spuntavano dei canini eccezionalmente lunghi.
<< Per avere le chiavi e l’appartamento, amoruccio, devi metterti una cosuccia carina carina! Così diventa tuuuutto più divertente! E se poi stasera avrai bisogno di rilassarti, tesoro, c’è qui la tua Blair ad aiutarti! >> L’amministratrice rise seducente, ma non gli diede tempo per ribattere: si posizionò alle spalle di Soul e in men che non si dica, l’albino si ritrovò bendato. La donna lo fece girare su se stesso un paio di volte, con spinte poderose, per fargli perdere l’orientamento, per poi chiudere qualcosa di metallo intorno al suo polso destro.
<< Co-cosa è questo? Pe-perché la benda? >> Disse il ragazzo, con voce tremante, sventolando il polso a casaccio.
<< Ma tesorooo, la benda rende tutto più eccitante! Ora hai anche un nuovo braccialetto, che ti legherà a me per sempre sempre, così non ti perdi >> La gatta gli sussurrava all’orecchio, con voce roca e profonda, arrotondando le r come se facesse delle fusa, e a Soul passò la voglia di protestare, mentre il sangue andava ad addensarsi ancora una volta dove non doveva.
“Perché tutte le squilibrate a me? Cosa ho fatto di male oggi?”
Fu l’ultimo pensiero, per la seguente mezz’ora non riuscì neanche mettere in fila due parole di senso compiuto: si lasciò sballottare in giro, legato per una mano, da quella pazza dai capelli viola. Salì dei gradini, scese delle scale, si ritrovò con i piedi in una pozza d’acqua, e poi scartò a destra e subito a sinistra, si schiantò contro un muro di piena faccia e passò in mezzo a quella che presumeva fosse un’aiuola, uscendone con delle spine attaccate ai jeans e alla maglietta. Perse sensibilità ai piedi, e non capì più nulla. Soul pensava solo a rimanere in equilibrio, pregando che tutto ciò finisse presto, balbettando lettere a casaccio.
Ad un certo punto rallentarono,e  il ragazzo sentì Blair scambiare qualche parola con un uomo.
Scale, scale, scale e ancora scale. Qualcosa di  morbido sotto le scarpe. Soul arrancò, finché la donna non lo sbatté contro ad una porta, armeggiando con quelle che sembravano essere un paio di chiavi.
La porta si spalancò, e il ragazzo crollò a terra, stremato.
<< Nyyyaaaa, siamo arrivati! Dì “ciao ciao” al tuo nuovo posticino carino! >> Una raggiante Blair gli tolse la benda e quella che ormai aveva capito essere una manetta, consentendogli di guardarsi intorno: era al centro di un piccolo e grazioso salotto, completo di tv. Con gambe tremanti, il ragazzo si alzò e, reggendosi alle pareti, percorse l’intero appartamento. Un bagno luminoso, con la vasca. La camera da letto con un armadio. Un cucinino col minimo indispensabile.
Soul, ad ogni passo, riacquistava le forze e il buon umore.
“Ce l’ho fatta, nonostante tutto”
L’appartamento era piccolo, essenziale, ma lo sentiva: era “casa”.
 

Soul si girò sorridendo grato verso la donna che lo aspettava, accomodata sul piccolo divano.
<< E’ perfetto direi, grazie mille >> Il ragazzo ora voleva solo disfarsi della donna il più in fretta possibile, farsi una doccia e una dormita di quelle che duravano anni. E l’indomani sarebbe iniziata la sua grandiosa vita da “scapolo”. Continuò a fissare la donna, sperando che capisse il messaggio sottinteso che quelle parole racchiudevano.
<< Bene bene pasticcino, ora passiamo alle cose serie >>  
Evidentemente no, non aveva capito l’antifona.
La donna si alzò,ancheggiando sensuale verso di lui, scoccando scintille dagli occhi, leccandosi le labbra peccaminose.
Il ragazzo si appiattì alla parete, confuso e spaesato, mentre Blair lo schiacciava contro la parete.
L’encefalogramma dell’albino divenne piatto e rischiò un infarto, quando la donna prese a succhiargli e mordicchiargli la giugulare, mentre le sue mani esploravano il petto del ragazzo, dirigendosi sempre più verso sud.
Soul spalancò gli occhi, quasi risvegliandosi dal torpore che l’aveva avvolto fino allora: ghignò malizioso, staccandosi da Blair.
“Bene bene bene. Ottimo modo per battezzare la casa”
Prese la donna per i polsi e capovolse la situazione, sbattendo Blair alla parete con malagrazia, mentre questa si lasciava sfuggire un gemito simile ad un miagolio.
L’albino si lanciò sulle sue labbra, vorace, mentre le sue mani correvano verso l’orlo della maglietta aderente della donna, cercando di sollevarla. Cosa quasi impossibile visto che, dal canto suo, Blair stava trafficando per aprire la zip dei suoi pantaloni: continuava a sfiorarlo,provocandogli cascate di brividi sulla schiena, e Soul non era neanche sicuro che la donna lo facesse ingenuamente.
“Be’, se è la guerra quella che cerchi…”
Soul lasciò perdere la maglia di Blair e si dedicò alla sua gonna, alzandogliela sui fianchi bruscamente: prese poi la donna per le spalle e la girò, risbattendola al muro, questa volta di spalle. Il ragazzo fece aderire il suo corpo sulla schiena di lei, intrappolando contemporaneamente i polsi della ragazza con una sola mano, sopra le loro teste. Con l’altra mano scese invece lentamente, soavemente, a stuzzicare le mutandine di quella gatta assatanata, già completamente inzuppate. Soul sogghignò, appoggiando il palmo aperto della sua mano sulla femminilità di Blair, assaporando il sussulto che colse la donna e il lamento di piacere che gli morì sulle labbra, per poi…

Biiip biiip bi-biiiip

I tentativi di approfondire la conoscenza dei due furono messi a tacere dal cercapersone dell’amministratrice, che si staccò di malavoglia, ansimando, dalla parete. Blair si sistemò i vestiti, controllando l’ora, mentre emetteva un miagolio insoddisfatto.
<< Uh-oh, Soul-kun, sono in ritardo per il mio prossimo appuntamento! >>
La donna si sistemò i capelli, recuperando la borsetta e avviandosi alla porta, sempre sculettando.
<< Pasticcino, dovremo aspettare un’altra volta per mangiare… il dessert >> Lo guardò con occhi felini, carichi di promesse erotiche, accennando alla sua virilità, ancheggiando fuori casa.
La porta si chiuse alle sue spalle, mentre Soul si accasciava per terra, aderente al muro, il respiro pesante.
Il ragazzo sbuffò, guardandosi i pantaloni divenuti improvvisamente stretti.
“Ho proprio bisogno di una doccia. Fredda, possibilmente”
 

***
 

Era ormai sera, Soul si era fatto la famosa doccia, aveva ordinato e mangiato cinese in solitaria, seduto sul tavolo della cucina, guardandosi intorno soddisfatto.
Aveva poi chiamato Tom, scusandosi per essere sparito e glissando abilmente le domande del cugino per quel che riguardava la sua gentilezza verso Maka.
Oh, Maka.
Non se l’era certo scordata. E come avrebbe potuto? Era andato tutto di male in peggio da quando l’aveva incontrata. Se aveva capito una cosa in vita sua, era che le persone non sono mai quello che sembrano.
E Maka aveva l’aspetto di un angelo ma, se guardavi bene, da vicino, potevi  scorgere due piccole cornina nere che spuntavano da sotto i suoi ciuffi biondi.
Soul aveva anche sistemato i quattro vestiti che gli rimanevano, ripromettendosi di andare il più presto possibile a fare shopping. Come poteva essere cool avendo solo 4 maglie e 2 pantaloni? Non ci voleva neanche pensare.
L’ultima cosa che doveva fare era trovare un posto dove appendere il suo poster di Scarface: gironzolò un po’ in giro per casa, chiodi, martello e la foto in mano, osservando perplesso le pareti. Non c’era un posto che lo soddisfacesse.
Arrivò in quella che, da quel giorno in avanti, sarebbe stata camera sua: sopra la testiera del letto, svettava il disegno stilizzato di un dragone, che occupava tutta la parete.
D’altronde, se la casa costava poco di affitto, c’era un motivo.
“L’inquilino precedente doveva essere una specie di artista” rifletté Soul, guardando con occhio critico lo schizzo “Non è malaccio, potrei anche lasciarlo”.
Abbassando lo sguardo, Soul adocchiò un piccolo spazio vuoto proprio sotto il dragone, all’altezza del suo petto.
“Massì, un posto vale l’altro, in fin dei conti” L’albino scrollò le spalle, sbuffando, mentre iniziava ad armeggiare con chiodo e martello.
Picchiettò delicatamente sulla testa del chiodo, appoggiandolo al muro, ma quel piccolo pezzo di ferraglia non voleva saperne di entrare.

Aggrottando un sopracciglio, Soul martellò il in maniera più decisa.
tum tum tum
 Continuò a picchiare, sempre più duramente.
TUM TUM TUM
Niente.
Il giovane, spazientito, caricò il martello al massimo, abbattendolo sul chiodo con un colpo poderoso, degno di Thor.
Il pezzo di ferro rimase finalmente al suo posto.
“Ecco, con le buone si ottiene tutto”
L’albino sorrise, soddisfatto, appoggiando il martello e osservando la sua opera, le braccia appoggiate ai fianchi.
All’improvviso qualcosa prese a tremare, sempre più forte, sempre più prepotentemente.
Soul si guardò intorno, spiazzato, cercando di capire l’origine di quel rumore.
Il chiodo che aveva appena fissato crollò a terra, portandosi dietro mezza parete.
Calcinacci, cartongesso e pezzi di cemento piovvero ai piedi dell’albino, mentre un gran polverone imbiancava l’aria.
Con gli occhi lacrimanti e i polmoni in fiamme, l’unico pensiero arguto che il ragazzo osò formulare fu
 “Oh cazzo”
Qualche minuto e qualche attacco di tosse dopo, la polvere si posò al suolo, consentendogli di distinguere il vasto soggiorno che si apriva al di là della voragine che aveva appena creato. L’appartamento che si intravedeva era molto più grande del suo, e ben arredato.
Sudando freddo, Soul si affacciò in quella specie di porta, cercando di trovare le parole giuste per scusarsi di quel disastro.
Ma non era preparato a quello che si trovò davanti.
 
Il suo peggiore incubo.
 
Il suo peggior incubo, biondo, seduto sul divano a leggere un tomo alto almeno 15 centimetri.
 
Maka alzò lo sguardo dal suo libro, fissandolo sgomenta a bocca aperta.
Il sorriso di scuse appena accennato sulle labbra dell’albino si trasformò subito in un ghigno di sfida, malizioso e malefico al tempo stesso.

Non avrebbe chiesto scusa, oh proprio no.
<< Ehilà vicina! Mi stavo proprio chiedendo se avevi un po’ di zucchero da prestarmi >>
Soul guardò la bionda farsi ancora più impietrita, e capì che poteva farcela.
Il destino gli stava offrendo la sua vendetta su un piatto d’argento.
“Finalmente la fortuna gira”
 L’albino fece l’occhiolino alla ragazza.
 
“Apocalisse. Sarò la tua apocalisse”
 





 
                                                                                                                                                                  ANGOLO SCUSE
Pardonnez-moi per la scena un po’ spinta, non so da dove sia uscita né chi l’abbia scritta D:
A parte le battute, il primo abbozzo vedeva un Soul in difficoltà davanti ad una Blair molto osè, solo che non mi sembrava in linea con il personaggio, visto che Soul ha la sua reputazione da sciupafemmine da difendere…. Se qualcuno ha lamentele o consigli o altro, I’m here for you! :)
SilverSoul :)

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Capitolo 6
*** Guerra… e pace? ***


6) Guerra… e pace?

 
Click.

“Sorgi e splendi, Death City, è appen…”  

Maka era avvolta nel suo bozzolo caldo di coperte quando la sveglia iniziò a trasmettere la radio, costringendola a districare una mano dal fagotto in cui si era avvolta per cercare di spegnere l’aggeggio infernale.

Ancora mezza addormentata, con in testa un unico pensiero  - “Ancora cinque minuti, papà” - , la ragazza sventolò la mano approssimativamente nella direzione da cui proveniva il baccano che, con un grande e prevedibilissimo clank, si interruppe di colpo.

Insospettita dalla resa incondizionata e fulminea della sveglia, Maka aprì un unico occhio verde, strisciando sulla pancia, come se fosse un lombrico, fino al limitare del letto –cosa si fa pur di non lasciare la sua tana calda, eh?-, e guardò il pavimento, dove faceva bella mostra di sé una scatoletta di plastica mezza aperta, contornata da quelli che si potevano definire i suoi organi interni – un insieme confuso di viti, bulloni, molle e ingranaggi.

Sbuffando, la bionda si girò supina, frustrando l’aria con i codini mezzi disfatti che la sera prima si era dimenticata di slegare perché era arrabbiata con Soul.

Arrabbiata con Soul.

“Arrabbiata?!? Furiosa!! Quello stupido criceto ritardato! Mentecatto! Quel cretino di un procione indisponente... Oh ma nooo, non ci voglio pensare adesso”. I pensieri di Maka passarono dall’essere inviperiti a lagnosi in un baleno, mentre si girava su un fianco, chiudendo gli occhi che, per l’ira, si erano spalancati. “Adesso sto così bene, qui al calduccio… posso non pensarci ancora per un po’, anzi posso non pensarci affatto! Non-è-un-mio-problema!” sillabò la bionda, muovendo le labbra e tornando supina.

Be’, forse era un suo piccolo problema, invece. Piccolo quanto la voragine che le aveva aperto in soggiorno  una settimana prima. Quando ci ripensava, l’unica cosa che il suo supremo intelletto sapeva fare era indurla a ringhiare, irata.

Ci aveva provato, oh se ci aveva provato, ad ignorarlo. Nei primi due giorni aveva appiccicato di tutto a quello stramaledetto buco, pur di chiuderlo.

Un poster delle Spice Girls, una pesante tenda di velluto e una ancora più pesante vetrinetta in ferro battuto erano state la sua risposta a quel funesto crollo nel suo appartamento, ma era stato tutto inutile.

Ogni volta che chiudeva il fastidioso passaggio che portava al sul suo personale inferno, quello tornava inevitabilmente ad aprirsi.

Tutto ciò che aveva appeso era stato, nell’ordine:

strappato
(<< No maaa… fai sul serio?? Un poster delle Spice Girls? Cosa sei, una specie di fanatica? Non pensavo ne avessero venduto neanche uno, di quei pezzi di carta straccia… >>),
 incendiato
(<< Ops, scusa, ho perso di vista un secondo la fiamma della candela e boom, tutto va a fuoco! Ahahah! Meno male che non si è incendiata la casa, oltre alla tenda! Ma…perché sei bagnata dalla testa ai piedi? >>)
e fracassato in mille pezzi
(<< Oddio che sbadato, volevo solo chiederti in prestito non-mi-ricordo- cosa e accidentalmente mi sono appoggiato…  To’, è ora di andare a lavoro! >>)
dal suo pestifero vicino albino.

Al che la ragazza si era arresa. Era inutile discutere con gli idioti, si era detta. Com’era quella frase? “Mai discutere con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza”. Ecco,  di questa massima Maka ne aveva fatto ormai uno stile di vita, dato che viveva gomito a gomito con uno di loro.

Ebbene sì, il caro signorino sono-figo-solo-io aveva decretato che la casa di Maka era molto meglio della sua, e faceva di tutto pur di trascorrere la maggior parte del tempo dal lato sbagliato della voragine, spaparanzandosi beatamente sul divano –non suo-, utilizzando la cucina –non sua-, sbriciolando in giro per il salotto –non suo- e calpestando con le scarpe incrostate di fango il tappeto persiano di inizio secolo –sempre non suo-.

A nulla erano servite le urla, le minacce, i lanci di libri e di scodelle della ragazza, Soul non voleva saperne di schiodarsi da lì, si limitava a sorridere davanti alle sue scenate da pazza isterica. Maka iniziava a sospettare che infastidirla fosse diventato il passatempo preferito del ragazzo. Ma la cosa peggiore era che Soul non voleva saperne di stare zitto un minuto. Parlava sempre, sempre, sempre. La stordiva a forza di chiacchiere inutili. E così Maka rimaneva in un angolo a rosicchiarsi le unghie, cercando di isolarsi dal mondo e controllando ogni movimento del ragazzo con gli occhi fuori dalle orbite, borbottando sottovoce e giurando vendetta.

Ad andare avanti così, si sarebbe rovinata il fegato, lo sapeva.

Ormai la ragazza non riusciva più a scrivere, a leggere, a fissare lo splendido deserto che si vedeva dalle sue amate vetrate. Ogni pomeriggio era una schermaglia continua di battibecchi, risposte acide, urla inconsulte e prove tecniche di risse da bar sul tappeto in salotto, il tutto contornato dal malumore nero della bionda che aleggiava sopra casa come una nuvola temporalesca, mentre Soul continuava a ridere e a blablablare rilassato.

La vita di Maka era stata completamente capovolta nel giro di sette lunghissimi giorni.

La bionda era ormai così stravolta dalla convivenza forzata con il suo nuovo “coinquilino” che non riusciva neanche più ad alzarsi presto la mattina, l’unico momento senza quel cialtrone che le girovagava per casa –“Sia resa grazia a Buddha, Quetzalcoatl e a Shinigami per questo ”e rimaneva a poltrire a letto o, come lo chiamava lei, “a recuperare le forze per l’imminente battaglia” fino a mezzogiorno.

Ma d’altronde, Maka era Maka, non una debole principessina in perenne ricerca di un dannato principe azzurro che la difendesse dall’ancora più dannatissimo drago albino con gli occhi rossi.

Ogni tanto, quindi, giusto per tenere il punto e non farsi mettere i piedi in testa, la nostra leggiadra fanciulla metteva KO Soul con la sua invenzione più recente – il Maka-chop- , che le regalava ancora grandi soddisfazioni e impagabili attimi di pace.

Allora, nel silenzio più assoluto, si accomodava compostamente sul divano, le caviglie unite e le braccia delicatamente posate in grembo, sorridendo al cadavere di Soul che si dissanguava lentamente sui suoi preziosi tappeti e accarezzando la copertina della sua arma preferita, come una madre accarezzerebbe la testolina della figlia più piccola.

Per Maka, ogni goccia di sangue che rimaneva impressa nella stoffa era un trofeo di guerra, ogni macchia aveva il sapore della vittoria.

***

Persa nelle sue elucubrazioni mentali, la bionda aveva fatto l’unica cosa che non doveva.

“Sto ancora pensando a Soul” ammise Maka, imbronciandosi e battendo le palpebre, cercando di riprendere sonno.

Un battito di ciglia.
Un occhio rosso che la scruta, circondato da una massa di ciocche nivee.

Altro battito di ciglia.
Una bocca, dalle labbra sottili ma invitanti, che disegnano il solito ghigno cool.

Battiti di ciglia in successione, per schiarirsi le idee.
Niente, solo il soffitto candido.

“Sono così fissata con Soul che ora inizio anche a immaginarmi le cose, fantastico” pensò la ragazza sarcasticamente, prima di girarsi a pancia in giù e cacciare la testa sotto le coperte, alla ricerca di quel buio che l’avrebbe fatta riaddormentare.

“Devo piantarla di esserne così ossessionata, sto diventando pazza! Questa storia deve finire, non è possibile che io debb-“

<< Guarda che lo so che sei sveglia, è inutile che fingi. >>

Maka si immobilizzò, spalancando gli occhi spaurita, ancora al riparo nel suo bozzolo.

“Sto peggiorando, ora ho anche illusioni uditive… sento le voci! Urge colloquio con uno psicologo, forse potrei prendere appuntamento al telef-“

<< Ehi bellezza, quand’è che ti alzi? Ho fame. Non è che mi offriresti il pranzo? Sempre che tu sappia cucinare qualcosa oltre al tonno in scatola, ovvio >>

Maka si rizzò a sedere, sconvolta, girandosi e osservando il suo nuovo “coinquilino” che se ne stava tranquillamente stravaccato sulla sedia su cui lei in genere appoggiava i vestiti, una gamba sul bracciolo. I vestiti che aveva usato il giorno prima giacevano scomposti sul pavimento, stropicciati, ovviamente.

Soul la fissava, strafottente, l’ombra di un sorriso perfido che gli aleggiava sulle labbra, mentre nella testa di Maka dilagava un unico pensiero.

Il proverbiale omino interiore aveva preso la rincorsa, lanciandosi nel burrone.

Il suo “NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO” rimbalzava nel cranio della ragazza, amplificandosi sempre di più durante la caduta, mentre fissava, agghiacciata e impotente, il suo diavolo personale.

Il ragazzo dagli occhi di brace allargò il sorriso, squadrandola, proprio mentre l’omino raggiungeva il fondo del precipizio, schiantandosi con soffice e delicato splat.

 
***


C’è solo una cosa al mondo che abbia il sapore più dolce della vittoria, e Soul lo sapeva bene.

E’ la  vendetta.

Quella che lui stava gustando fredda da una settimana a questa parte, poi, era più zuccherosa della pesca matura che si stava gustando in quel momento al tavolo del suo cucinino, appena rientrato dopo un turno al negozio di suo cugino.
 
Ormai, il tormentare Maka rientrava tra le sue personalissime abitudini, ed era inclusa nella Top Five dei passatempi più belli che avesse mai provato: superava persino il rimorchiare il sabato sera nei bar, ma solo perché le povere disperate erano ubriache fradice e al mattino non si ricordavano niente, e cioè costituiva un duro colpo per il suo enorme ego.

Maka, invece, dava parecchie soddisfazioni.

Soul aveva scoperto, infatti, che se ad un primo impatto la bionda poteva sembrare un tipino tutto cervello e razionalità, in realtà Maka affrontava i problemi di pancia: e lui stava diventano un suo grosso problema.

L’aveva tartassata con lunghe sedute ad orari improponibili di musica metal, amplificata dallo stereo che –guarda caso- era appoggiato alla parete che divideva la sua camera dal soggiorno della bionda, trasmettendo le vibrazioni attraverso il cartongesso, alternandola poi a concerti di musica classica, così, giusto per confonderla un po’.

L’aveva costretta a sorbirsi la sua compagnia, ciarlando in continuazione di cose inutili, aggirandosi per casa toccando qualsiasi cosa avesse sottomano e stravaccandosi sul divano a guardare le partite di basket nel grande televisore impolverato che Maka aveva in soggiorno, ungendo intanto i cuscini con le mani sporche dei dolciumi che aveva rubato dalla già povera dispensa della ragazza.

Le era stato sempre, costantemente, perennemente e instancabilmente incollato addosso come un cerotto per un intera settimana, impedendole di riposare, scrivere, leggere e di fare qualsiasi altra cosa che non fosse badare a lui. Aveva occupato i suoi spazi vitali, invadendo la sua casa e la sua vita con la sua presenza.

Sperava di essere diventato un suo grande problema, aveva giurato vendetta, in fin dei conti!

E Soul stava iniziando a notare segni di cedimento in Maka.

Con ogni sua minima provocazione, gesto o parola, Soul andava a colpire con precisione studiata il piccolo bersaglio immaginario posto tra le sopracciglia della ragazza, contribuendo sempre di più all’ingrossarsi della vena sulla sua fronte.

Ogni stoccata di Soul corrispondeva a un passo, sempre più vicino, sempre più veloce, verso  una miccia collegata ad un enorme carico di tritolo sotto il quale si nascondeva la pazienza di Maka: la distanza si stava rimpicciolendo, e Soul correva con l’accendino in mano.

Ma l’albino era perfettamente consapevole di ciò, ed estremamente curioso.

No, forse curioso non era la parola più adatta. Era eccitato. Affascinato come uno scienziato poteva esserlo scoprendo che al di sotto di un vasto ghiacciaio si nascondeva un vulcano ancora più ampio.

Soul voleva vedere cosa succedeva a scatenare quel ciclone di nome Maka: intendiamoci, non è che la ragazza fosse proprio un blocco di ghiaccio, anzi, era una delle creature più bollenti che avesse mai conosciuto.

Maka si arrabbiava, s’infuriava, sbraitava a destra e a manca lanciandogli dietro oggetti di tutte le fogge e i colori, insultandolo con epiteti così fini che anche gli scaricatori di porto sarebbero impalliditi a sentirla.

Non che fosse volgare, ma quando si infiammava,  la fantasia della ragazza prendeva il volo e allora anche una  semplice frase – per quanto i paroloni cervellotici che Maka utilizzava potessero essere considerati semplici – poteva trasformarsi in una freccia acuminata grondante veleno, diretta al tuo cuore.

Comunque, l’albino ci stava prendendo gusto, e non perdeva occasione per passare del tempo a casa della sua preda preferita: aveva addirittura diminuito le sue ore di baby-sitteraggio, pur di tormentare la bionda anche di pomeriggio, complice il fatto che minacciare i genitori di Spirit di andarsene gli era valso un aumento di stipendio del tutto inaspettato.

Al mattino andava a lavorare da Tom, sempre come fattorino, ma già sulla via del ritorno si leccava le labbra pregustando le battaglie che avrebbe combattuto per il resto della giornata.

Certo, come ogni mestiere, anche questo aveva i suoi rischi che, nel caso di Soul, potevano tutti essere classificati sotto il nome di “Maka-chop”: la ragazza, infatti, quando era al limite, si divertiva un mondo a tramortirlo a suon di librate, per poi lasciarlo, sanguinante, al suo destino.

“Ad ognuno il suo, in fin dei conti”

Soul si alzò sbuffando e andò a gettare il nocciolo spolpato nel lavandino, lavandosi poi le mani.

“Okay, okay, ora basta pensieri: è ora di divertirsi!”. L’albinò sogghignò, per avviandosi lungo il corridoio, ciondolando leggermente nel suo tipico modo cool, con le spalle sbilanciate all’indietro e i fianchi in avanti.

In camera sua, Soul aprì l’armadio intenzionato a cambiarsi e iniziò a rovistare tra le sue poche cose.
“Dove l’avrò messa, dove l’avrò messa…”

Il ragazzo raddrizzò la schiena, portando poi la mano destra a grattarsi i suoi ciuffi nivei che ormai stavano ricrescendo ed erano giunti – a detta sua- ad una lunghezza “almeno decente”.

Stava iniziando a pensare che forse la maglia blu che cercava l’aveva dimenticata a casa di Tom, quando un pensiero improvviso gli fece spalancare gli occhi carmini.

“Aaah, deve essere tra i panni sporchi! E’ quella che avevo quando la Gambelunghe ha rovesciato quella sottospecie di gelato.”

Soul sorrise malignamente al ricordo, dirigendosi in bagno dove effettivamente era presente l’oggetto della sua ricerca, ancora impregnato di panna.

 
Soul quel giorno era rientrato dal lavoro più tardi del solito, quindi quando aveva scavalcato la voragine che portava all’appartamento di Maka non l’aveva trovata a leggere rintanata sul divano, come era solita.
Era riuscito a infiltrarsi nell’appartamento non visto e non udito e, già solleticando l’idea di far prendere alla bionda un bello spavento, era andato in esplorazione in punta di piedi, nella speranza di cogliere la ragazza alle spalle.

E, in effetti, ce l’aveva fatta.

Aveva trovato Maka di spalle in cucina che, con un orribile grembiule a fiorellini, canticchiava stonata sottovoce, mescolando energeticamente qualcosa che aveva sul banco di fronte.

Per un momento, Soul si era bloccato, le mani in aria chiuse ad imitare gli artigli di una strega, fissando il sedere della bionda che, incurante della presenza alle sue spalle, si era chinata a prendere una scodella dallo sportello in basso della cucina.

“Maledetta minigonna” ricordava di aver pensato Soul, ancora immobile, gli occhi spalancati nel tentativo di cogliere quanti più dettagli possibili di quel posteriore sodo e di quelle gambe bianche e lisce che si muovevano graziosamente ad un ritmo noto solo alla proprietaria.
Soul aveva udito uno sbattere di metallo contro vetro che l’aveva riscosso così che – ringraziando gli dei per quel rumore provvidenziale-, aveva ripreso a muoversi verso la bionda, che nel frattempo era tornata dal frigo con una ciotola di fragole in mano.

Ormai Soul era alle sue spalle, quando Maka si era girata di scatto, con una coppa di gelato alla vaniglia ornato di panna e fragole in mano.

A onor del vero, Maka non aveva gridato, non aveva emesso i soliti strilli acuti da femminuccia in pericolo.

Era però sobbalzata, e anche tanto, spalancando gli occhi e facendo saltare la coppa per aria.
Il gelato aveva terminato il suo arco acrobatico sulla faccia e sui vestiti di entrambi, ricoprendoli di bianco.

Soul aveva visto le guance di lei imporporarsi, sia per il disastro che aveva combinato che per l’eccessiva vicinanza che c’era tra loro.

In effetti, le loro labbra erano a pochi centimetri di distanza.

Maka aveva aperto la bocca per prendere fiato e urlare una delle sue solite sfuriate, e lui ne aveva approfittato.
Aveva chinato la testa, sorridendo e  avvicinandosi ancora di più alle labbra della bionda, che nel frattempo si era bloccata e lo fissava rigida,  in apnea, in attesa.

All’ultimo momento, poco prima del contatto, il viso dell’albino aveva cambiato direzione: aveva così tirato fuori la lingua, leccando via voluttuosamente la poltiglia biancastra dal naso di Maka, che lo guardava stupefatta.

Soul aveva chiuso gli occhi, assaporando vistosamente il gelato.
<< Mmmm, niente male >>
 

Ridacchiando, l’albino tornò in camera dove si cambiò con una maglietta verde pescata a caso dal mucchio di abiti in suo possesso.
Si guardò allo specchio distrattamente, ma poi adocchiò nel riflesso un libro appoggiato sul suo comodino.

Guerra e pace.

Rise più forte, ricordandosi invece come aveva ottenuto quel cimelio, il giorno prima. Anche la fontanella di sangue che gli era sgorgata dalla testa, annessa al libro, era valsa la pena.
 
Si era allontanato da casa di Maka da dieci minuti, e già la ragazza era sparita.
Il ragazzo dai capelli di luna si guardava intorno nel soggiorno della bionda, indispettio, fissando l’angolo in cui fino a pochi minuti prima era stata seduta Maka.

“Beh, dove è sparita?”

Soul andò ancora una volta in esplorazione della casa.
In salotto e in cucina non c’era, e non era neanche nel piccolo “studio” dove c’erano quelle grandi vetrate e quella poltrona rosso sangue.

“Non è neanche in camera” si disse dalla soglia della stanza in questione un sempre più perplesso Soul, voltandosi per andare a controllare se per caso la bionda fosse in bagno e incappando accidentalmente in qualcosa di bagnato che lo atterrò neanche tanto dolcemente.

Soul si ritrovò così, sdraiato sulla moquette, con addosso una cosa magrissima, bagnatissima, incazzatissima e potenzialmente pericolosa.

Maka lo fulminava con i suoi occhi verde prato al di sotto di una scompigliata chioma bionda e bagnata che le ricadeva sul viso, ancora sdraiata sul suo petto.

Soul ci mise giusto due secondi a capire che l’asciugamano in cui si era avvolta la ragazza era quell’ammasso bianco che giaceva qualche metro più in là.

E mentre incuriosito tentava di convincere  i suoi occhi a sbirciare le forme della ragazza nuda stesa sopra di lui, la mano di Maka fu più veloce del suo pensiero.
La testa di Soul andò incontro al libro, all’urlo belluino di << MAAAKAAA-CHOOOOP! >>.

Un rivoletto di sangue scese dalla testa del povero albino, andando a congiungersi con il rivoletto gemello che usciva dal naso del ragazzo svenuto.
 

Soul gettò un’ultima occhiata al libro, il respiro pesante e le guance accaldate. L’albino scosse la testa, tornando in sé, fece due passi e si infilò a piè pari all’interno della fessura del muro.

“Signore e signori, si va in scena!”
 
 






 
                                                                                                                                                                  SOLITO ANGOLO
Mes amis, pardonnez-moi pour le ritardo inimmaginabile, ma non sapevo come scrivere questo cap e il colpo di genio (si spera) è arrivato solo ieri sera.
Per dirla tutta, non sono molto soddisfatta di quanto ho scritto sopra, soprattutto la parte centrale mi sembra mal gestita però va be’, mi sono detta: “O la va o la spacca”.
Francamente, spero che vada e che non mi spacchiate niente in testa.
Colgo l’occasione per ringraziare tutti quelli che stanno seguendo, preferendo e recensendo tutto ciò, e anche a chi legge e basta.
Spero di strapparvi un sorriso, ogni tanto :)
Adieeeeeeeeeuuuuu <3
SilverSoul

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Capitolo 7
*** So scandalous! ***


7) So scandalous!
 
Da che si ricordi, Maka aveva sempre adorato leggere.

La ragazza non rammentava neanche più quando fosse iniziata la sua passione divorante per quelle creature cartacee, che ancora oggi l’accompagnava: semplicemente, era sempre stata parte di lei, una naturale estensione della sua anima, un po’ come una mano o un braccio risultavano essere parte del suo corpo.

Era qualcosa di costitutivo, di essenziale: i libri erano la sua personale riserva di ossigeno che le permettevano di andare in apnea, isolandosi dalla realtà, autoescludendosi da un mondo che non le piaceva.

Cosa, questa, altamente prevedibile, dato il genitore screanzato che la natura le aveva concesso.

Aveva imparato a leggere da piccolissima, alla tenera età di quattro anni, strizzando i piccoli occhi verdi alla luce fioca della lampada posta accanto al letto e torcendo le pagine tra le sue manine rosee, rese nervose dallo sforzo.
Mentre suo padre dormiva stravaccato sulla poltrona accanto al letto della bimba con la bava alla bocca, reduce dalla solita serata di follie con una delle sue innumerevoli conquiste, infatti, la piccola Maka si esercitava fino a tardi sulle pagine delle fiabe della buonanotte, sforzandosi di comprendere il significato nascosto di quell’ammasso intricato di linee nere dalle forme eleganti sparse sui fogli, rievocando nella mente le esatte parole con cui sua madre le leggeva quelle stesse storie, indicandogli  man mano ogni vocabolo presente sulla pagina decorata, mentre le sorrideva felice.

Maka si lasciava cullare dal ricordo del dolce suono della voce della donna che leggeva per lei fino a quando, stremata, la piccola si addormentava, stringendo il grande volume al petto, le ciglia rese brillanti dalla luce della lampada ancora accesa, scintillanti di lacrime trattenute.

La bimba aveva capito molto presto, dopo la morte della madre, che non ci sarebbe stato più nessuno a leggerle le fiabe fino a farla addormentare. Non ci sarebbe più stato nessuno che si sarebbe preso cura di lei amorevolmente, così come aveva fatto lei.
 Sì, aveva cercato di affidarsi a suo padre, ci aveva provato: ma aveva ben presto capito –dopo una o due delusioni di troppo- che quell’uomo che non riusciva a rinunciare all’alcol e alle donne per amor suo, non sarebbe mai potuto diventare uno dei punti fermi della sua vita.
Così, aveva deciso di diventare grande, di crescere,di fare a meno di quell’uomo che, in qualche suo strambo modo l’amava, e di cercare di arrangiarsi da sé. D’accordo, era piccola, una bimba spaesata e persa, orfana di madre, ma non era stupida: affidarsi alle cure dell’uomo senza riflettere sarebbe equivalso al gettarsi in mare da un’alta scogliera.

Sventato e molto stupido.

E, nel suo tentativo di rendersi indipendente, si era messa in testa di imparare a leggere.

Ci aveva messo un po’, aveva faticato e studiato quegli strani caratteri per interminabili ore, ma i risultati non si erano fatti attendere.
Dopo qualche mese, era già in grado di leggere le storie più semplici.

Più passava il tempo, e più Maka si impratichiva, e più il volume dei tomi che la bimba trascinava sotto le coperte aumentava.
 
 
La sua storia preferita si intitolava “La princetta e il capitano”*: era un tomo alto una spanna, con la copertina di un bellissimo verde mare. Maka non aveva mai creduto al detto che diceva “un libro non si giudica dalla copertina” perché sì, lei lo faceva sempre. E quando, quella volta in libreria, mano nella mano col padre che doveva farsi perdonare l’ennesima scappatella, il suo sguardo era stato attirato da quel volume luminoso, semi-sommerso da una marea di libri neri, aveva subito capito di aver trovato un piccolo tesoro.

Liberandosi dalla stretta del padre in tutta fretta, si era precipitata a raccogliere quel prezioso volume, timorosa di vederselo sottrarre: era poi tornata da con tutta calma dal genitore, bloccandosi ad un passo da lui.
Aveva poi sollevato il libro, dal colore così diverso ma anche così simile a quello dei suoi occhi, e aveva detto solo : << Questo. >>

Una volta tornata a casa, si era chiusa in camera sua e si era gettata sul letto senza neanche togliersi le scarpe, iniziando a divorare le pagine, una a una, assaporando ogni dettaglio.

La princetta era una piccola principessa che, annoiata dalla vita di corte e costretta ad un matrimonio forzato, una notte decise di scappare con il figlio di un pirata.
Sulla nave dei contrabbandieri, la piccola decise di tagliarsi i lunghi capelli come atto di coraggio e segno di distacco definitivo dalla vita che aveva scelto di non vivere,  come affermazione della sua indipendenza e libertà: l’unico modo che aveva per domare la sua chioma ribelle, ora, era quella di costringerla in due codini.
La ragazza crebbe vivendo mille avventure e divenne una donna forte e bella, rispettata da tutti, con amici sparsi in tutto il mondo e l’anima gemella sempre al suo fianco.
Una persona completa e felice, insomma.
 
E’ risaputo che, da sempre, i libri letti durante l’infanzia sono quelli che più sono in grado di influenzare la psiche e il carattere di una persona, anche nel profondo.
Da quel giorno, la biondina prese ad acconciarsi i capelli in due morbidi codini ai lati della testa e a portare il meraviglioso libro azzurro, chiave di volta della sua rivoluzione interiore, sempre con sé, rileggendolo più e più volte, fino a consumarne le pagine.
 
***

Maka, in fondo, era sempre stata una ribelle.
E lo aveva dimostrato in più occasioni, crescendo.

Si era ribellata contro la morte della madre, continuando a farla rivivere nei suoi pensieri e nella sua passione per la lettura.

Si era ribellata alle cure del padre, sempre assente e distratto, relegandolo al ruolo di mero spettatore della sua vita.

Si era ribellata, per quanto le fosse stato possibile, alle imposizione della massa:  ad esempio, il sabato sera lo passava in compagnia di pagine profumate d’inchiostro, non in discoteca, come le sue coetanee. Non si vestiva secondo la moda, ma continuava imperterrita ad indossare la sua gonna scozzese, camicia bianca, cravattino, mantella nera e anfibi, non lasciandosi scalfire dai commenti maligni delle compagne. A lei piaceva studiare e lo dimostrava sempre e comunque, divenendo la prima della classe già dalle elementari, fregandosene se qualcuno la chiamava “secchiona” o se la cosa non era abbastanza “cool” per gli standard altrui.

Ed essendo l’anima di questa bionda creatura legata a doppio filo col mondo di carta, come pensare che la sua ribellione non si sarebbe ripercossa anche sulla sua bruciante passione?

Durante l’adolescenza, infatti, mentre tutte le sue amiche e compagne si dedicavano ai libri d’amore, riversando brevi sospiri e lacrimucce sulle pagine dei loro romanzetti rosa e sbirciando, contemporaneamente , da sopra la copertina, discrete ma attente, cercando il principe in calzamaglia azzurra sul suo destriero perlaceo che le avrebbe condotte al castello, Maka si dedicava ai fantasy, ai gialli, ai thriller e agli horror.
Parallelamente, anche lei scrutava vigile da sopra la copertina dei suoi libri, che ormai  invadevano la sua piccola stanza, ma per controllare che non vi fossero strani clown o sospetti movimenti nella penombra che la lampada non riusciva ad illuminare.
Attorno ai vent’anni, poi, Maka si era poi riscoperta donna.

Non le bastavano più i brividi ghiacciati giù per la schiena o il sottile terrore che si infiltrava nella sua mente a causa di tutti gli orrori che leggeva, aveva bisogno di qualcosa che la scaldasse e riempisse internamente.

Aveva quindi riportato alla luce suo nucleo più femminile,  che negli anni aveva nascosto tra panni abbondanti e videogame traculenti, e si era data ad un nuovo genere di romanzi, quelli che avevano come tematiche l’amore, l’amicizia e i drammi e problemi quotidiani.
E quando, affascinata, aveva scoperto di aver letto più o meno tutti i romanzi rosa in circolazione, decise che ne voleva ancora, che voleva di più, che il tempo dell’amore dolce dai lievi baci rubati è finito.

Maka voleva la carne, le labbra, e ogni altro libro viene dimenticato, mentre la bionda cade preda di un vortice di sensazioni nuove e sconosciute, ma impetuose, che la scottano fino a bruciarla ma senza mai farle male.
Cerca libri sempre più spinti, sempre più dettagliati, bramosa di calore e di informazioni, di sensazioni,  senza però mai scadere nei romanzi  erotici fini a sé stessi.
Maka  era diventata schiava volontaria dei suoi desideri e istinti più reconditi, persa nella ricerca di mondi cartacei dove ancora la sensualità è un derivato della complicità e della scintilla di passione che scattano  tra due persone, dove il sesso è una conseguenza e non il piatto forte.

I libri, però, hanno un grosso prezzo: ti offrono tutto quello che sono, tutto ciò di cui hai bisogno e cerchi, tutto quello che desideri, ma in cambio pretendono che doni loro tutta te stessa.

A furia di leggere, di perderti tra le pagine di un qualsiasi tomo, divorandolo senza pietà, soddisfacendo la tua immaginazione, rischi di perdere te stesso, e di non uscirne più.

Rischi di desiderare troppo, di rimanere ad aspettare una vita intera qualcosa o qualcuno che molto probabilmente non arriverà mai, osservando attentamente la tua vita dai margini, ma senza vivere veramente.
E quando il vuoto che hai dentro diventa così insopportabile da iniziare a scavarti nella carne, a divorarti ossa e muscoli, ti ritrovi a gettarti tra quelle pagine tanto care e sicure, che profumano di casa, tuffandoti per giorni in storie sempre diverse eppure così vicine, così reali.

E poi, una volta sazia di parole, riemergi da quei fogli del peccato, ritrovandoti catapultata in un mondo che non ti appartiene, che risulta così tanto vacuo e noioso ai tuoi sensi ancora eccitati da risultare doloroso.

E via così, in una spirale infinita di immaginazione e ritorno al reale.

E’ facile entrare nel mondo di carta, il problema vero è uscirne.

Lì, in quel mondo fantastico, hai tutto ciò di cui hai bisogno, tutto quello che ancora non sai di volere.
E Maka, dalla dipartita della madre, non riusciva a smettere di leggere: i libri erano la sua droga, in grado di donarle quegli attimi di felicità e calore che non provava più da tempo.

Una dipendenza che si era aggravata –anche se la bionda non l’avrebbe mai ammesso- dopo l’abbandono del padre.

“La gente è così arida, secca e piatta, se conosciuta di persona”, rifletteva spesso la bionda, appollaiata sul bracciolo del divano, gli occhi persi tra le righe fitte del volume di turno, “mentre i personaggi… Loro sì, sono così complessi, ma allo stesso tempo decifrabili, così pronti ad essere letti, assaporati… Sono ansiosi di condividere anche i loro desideri più nascosti e i segreti più reconditi con te, semplicemente e onestamente. Di quante persone si può dire lo stesso, anche ammesso che abbiano qualcosa di così interessante da dire?”

A questo punto delle sue considerazioni, la bionda iniziava ad agitarsi, cambiando continuamente posizione sul sofà, davanti agli occhi le immagini di tutte quelle persone che aveva considerato amiche, e si erano rivelate l’esatto contrario.
Quando le stilettate al cuore diventavano troppe da sopportare, Maka si alzava di scatto, con un dito inserito a tenere il segno del libro chiuso, e marciava fino alla sua adorata poltrona rossa, sprofondando nel suo cuscino avvolgente e perdendosi nel panorama di Death City.

“Dei personaggi posso fidarmi, non mentono mai”

E se un protagonista o una trama non ti aggrada, puoi sempre posare il libro e passare al prossimo, piccola Maka.

E’ tutto così semplice nel mondo di carta.

I personaggi sono sempre pronti ad accoglierti, a farti sorridere, rilassare e a renderti felice, senza neanche che una singola sillaba esca dalla tua bocca.
Loro, ti capiscono sempre, esistono per te, ti fanno sognare con le loro avventure.
Nel mondo di carta, puoi avere un amore come quello delle fiabe, infinito e indissolubile, forte e sempre passionale, nessuna routine che intervenga a spegnere le braci che alimentano i tuoi sentimenti.
Le tue aspettative sarebbero sempre appagate: amicizie fedeli, fraterne, un amore  certo quanto la morte, il lavoro dei tuoi sogni: tutto è possibile, basta immaginarlo.

In fondo, i libri sono il pane di cui si ciba la fantasia, sono quello che mantiene attiva la mente.

Come si può rinunciare a qualcosa di così… appagante?
Maka non lo aveva fatto.

Si era persa tra le spire di carta, persa come Alice nel paese delle sue meraviglie, identificandosi così tanto con le storie di cui leggeva da dimenticarsi di vivere davvero, non accorgendosi che quelle stesse spire che dapprima la avvolgevano protettive ora la stavano stritolando.

Questo, fino all’arrivo di Soul.

Fino all’arrivo di quel diavolo di un albino, sempre pronto a tormentarla, sempre presente, sempre appiccicato, sempre pronto a prenderla in giro e a tenerla lontano da quelle che erano diventate le sue personali prigioni d’inchiostro.
Le aveva sconvolto la vita, costringendola a concentrarsi solo su di lui, ad interrompere il suo esilio dal mondo.
Le aveva fatto capire che oltre ai libri, c’è qualcosa di più, qualcosa per cui vale la pena vivere.
Le aveva sconvolto la vita, è vero,  ma l’aveva anche salvata da se stessa.
L’aveva salvata dal suo abbandono alla carta, l’aveva riportata alla vita.
 
Maka aveva smesso di essere apatica e impassibile, aveva smesso di essere indifferente a tutto e a tutti, aveva ripreso a provare rabbia, piacere, dolore e gioia e tutta un’altra serie di sensazioni nuove, che  la sconvolgevano e la travolgevano come un’onda d’oceano: Maka era tornata a respirare, fuori dalla sua bolla, finalmente.
Ora la ragazza passava le giornate a ridere, bisticciare, a litigare e a divertirsi con l’albino.
Si sentiva viva, come non lo era da troppo tempo, come non lo era stata mai.

Soul era divenuto in breve tempo l’ancora di Maka alla realtà, ma di questo i due erano ancora all’oscuro.

Pian piano, i due si stavano abituando l’uno all’altra e, senza rendersene conto, stavano scivolando lentamente verso quella routine familiare di cui entrambi sentivano un urgente bisogno, ma che non avrebbero saputo come definire.
Il bisogno di sentirsi accettati ed essenziali per qualcuno, forse.

Qualunque fosse la situazione o, meglio, comunque stessero per mettersi le cose, un fatto era certo.

A  Maka si era spezzato il cuore quando Soul aveva smesso di fare incursione da lei.
 
***
 
Stessa storia, stesso  posto, solita rissa da bar: si potrebbe riassumere così quello che era successo un pomeriggio come tanti, ma che avrebbe portato a delle conseguenze imprevedibili per i nostri due protagonisti.
Come al solito, appena finito il turno mattutino da Tom e quello pomeridiano da Spirit, uno stressato Soul era rincasato.
Anche se stanco morto, il ragazzo sfoggiava la chiostra dei denti atteggiata a dare il suo solito ghigno, pronto a giocare con la sua preda preferita.
Un bagno e otto tentativi di abbinare una t-shirt a un paio di jeans dopo, il ragazzo più cool di Death City (a detta sua) si infilò nella voragine della sua camera da letto.

La chioma dell’albino fu la prima cosa che spuntò nel salotto di Maka, seguita a ruota dal resto del corpo: il ragazzo trovò la bionda impegnata a marciare su e giù per la stanza come una belva chiusa in gabbia, gli occhi verdi socchiusi per la concentrazione e un orecchio incollato al telefono.
Sembrava una chiamata importante, quindi Soul si limitò ad un accenno di saluto militare in direzione della ragazza, per poi fiondarsi col suo passo ciondolante in cucina: aprì il frigo, cercando qualcosa da bere.
Afferrò una lattina di birra (che lui stesso si era premunito di portare, qualche giorno prima) e si diresse verso il corridoio col suo solito passo baldanzoso, intenzionato a tornare da Maka.

Mentre tirava la linguetta della bevanda, sentì una calda risata cristallina provenire dalla sala: ne rimase talmente stupito da dimenticarsi di prestare attenzione a dove metteva i piedi.

Soul inciampò su uno di quelli stramaledetti tappeti persiani che la ragazza aveva sparsi per tutta casa, afferrando una delle tante librerie che Maka aveva in corridoio nel tentativo –inutile- di evitare la caduta.

Morale della favola?

Maka accorse, richiamata dal rumore, e trovò l’albino supino, sdraiato sotto la libreria rovesciata e sommerso da una catasta di libri: la lattina, ancora integra nella mano del ragazzo, pensò bene di scoppiare proprio in quel momento, regalando loro un’esplosione di schiuma degna di un party in discoteca.

Quando Soul rinvenne, qualche attimo dopo, capì di essere spacciato.

 
Quello che era successo dopo, per Maka, risultava molto confuso e sfuocato, i rumori ovattati.

Ricordava di aver alzato di peso Soul, iniziando ad urlare qualcosa sulle macchie permanenti sui suoi preziosissimi tappeti e sul fatto che l’albino le avrebbe dovuto ricomprare tutti i libri che la sua birra aveva insudiciato.

Soul aveva tentato di dire qualcosa, ma l’attenzione della bionda era stata attirata da qualcosa che fuoriusciva dalla schiuma, alle spalle del ragazzo.
Qualcosa che aveva una copertina del colore del mare.

Con un debole ma potente crac, aveva sentito il suo cuore finire in pezzi.

Maka non ci aveva visto più: aveva riportato la sua attenzione sull’albino, che la stava fissando.
Con un ringhio degno di una tigre, la bionda era calata sul ragazzo, pronta ad uccidere.

***

Ripensandoci a posteriori, Maka non sapeva come fosse successo.
L’assalto improvviso di Maka aveva fatto cedere le gambe all’impreparato albino, facendoli finire per terra, ad inzupparsi di schiuma più di quanto già non fossero.

Maka, seduta sul petto del ragazzo, cercava in tutti i modi di graffiare e colpire lo sbalordito ragazzo.

Dopo qualche pugno ben assestato, però, Soul aveva iniziato a reagire, parando i colpi che la ragazza, in preda alla collera, sferrava .
Anni e anni di risse a scuola avevano forgiato il ragazzo che riuscì, con un colpo di reni, ad invertire le posizioni, nonostante la furia bionda, in barba al fatto di avere i polsi bloccati dalle mani Soul, si agitava come una pazza nel tentativo di liberarsi.

Prima che Maka si capacitasse di quello che era successo, si ritrovò con la schiena aderente al pavimento, schiacciata al suolo dal dolce peso del ragazzo che, letteralmente, era in mezzo alle sue gambe, mentre i suoi polsi erano uniti sopra la testa e fermamente inchiodati al suolo.

“Un libro! Mi serve solo un libro!” La ragazza tentò di liberare almeno una mano, nella speranza di mettere in atto quello che spesso si era rivelato un asso nella sua manica – un grandioso Maka-chop.

Dopo qualche sforzo, Maka smise di lottare, conscia di essere stata messa alle strette.

Si guardavano negli occhi, ora, il respiro affannato dell’altro sul viso, le fronti che non si sfioravano per pochi centimetri.

Poi Soul sorrise.

Non un ghigno, una delle sue solite smorfie, ma un vero e proprio sorriso.
E l’occhio di Maka cadde sulle labbra del ragazzo, così rosse, lucide, piene e al contempo sottili ed eleganti.
La bionda arrossì e abbassò lo sguardo, consapevole che Soul si era accorto del viaggetto che i suoi occhi si erano fatti , dati che era durato diversi istanti.

Gli occhi di brace del ragazzo da luminosi, divennero torbidi, e il suo sguardo velato di malizia si abbassò a percorrere il profilo del suo reggiseno, ora visibile a causa della maglia bagnata, alzandosi fino a seguire la curva delicata del collo e ad approdare sulle labbra di Maka, dove si fermò.

La mano libera di Soul, quella che non le bloccava le mani, si spostò dal pavimento dove era posata, per reggere il peso del ragazzo, alla guancia di Maka, accarezzando la pelle morbida come una pesca.
L’indice e il medio del ragazzo presero a strisciare sulla gota, seguendo la linea dello zigomo, fino ad accarezzare la pelle sensibile del labbro inferiore, delicatamente, gli occhi rossi tornati fissi in quelli della ragazza.

A quel tocco Maka, dapprima incantata e incapace di reagire, si risvegliò: iniziò di nuovo ad agitarsi.

Non sapeva se voleva liberarsi dalla presa di Soul per spingerlo via o per buttargli le braccia intorno al collo e spalmarselo addosso, sapeva solo di volerlo toccare. Era una specie di impellente bisogno, una necessità.
Nel tentativo di ribellarsi, però, la ragazza alzò la testa e il collo, cercando di fare leva: non si era resa conto dell’effettiva vicinanza del ragazzo.

Le loro labbra si scontrarono, morbido sul morbido, e i denti cozzarono.

Non era un bacio da favola Disney, eppure ad entrambi mancò il fiato.
Gli occhi dei due ragazzi non si lasciarono neanche per un secondo, leggendo l’anima dell’altro, resa priva di difese da quella intimità non prevista.
Maka fece appena in tempo a percepire il sapore di quelle labbra, che già le aveva perse.

Si ritrovò seduta sul pavimento, lo sguardo fisso nel vuoto, ancora incantata, un chiodo fisso in testa.

“Menta”.

***

Soul l’aveva lasciata subito, mollando la presa come se si fosse bruciato, ritrovandosi a dondolare accucciato sui talloni, gli occhi che ancora fissavano Maka.

Si era passato nervosamente una mano nei capelli d’argento, arruffandoli, ed era sparito.

***

Era scomparso da una settimana.
Non si era più fatto vedere, niente di niente, e dal suo appartamento non arrivava neanche il più piccolo rumore.

Che si fosse anche trasferito?

***
 
Maka era seduta sul divano, sulla punta del cuscino, pronta a scattare al minimo accenno di ciuffi bianchi.
Non aveva neanche il libro aperto sulle gambe, per fingere di stare leggendo, ma fissava apertamente la voragine del muro, come se qualcosa dovesse cambiare da un momento all’altro.

Il che la diceva lunga sull’agitazione interiore della piccola bionda.

I primi due giorni dopo “quello”, Maka aveva cercato di convincersi che non fosse successo niente di importante, che fosse una cosa normale, che un tipo come lui lo faceva con tutte e che quindi lei era solo una tra le tante.

Che era una cosa un po’ così, una specie di saluto.

Alcune persone si stringono la mano, altre –lui- facevano…

Ma allora perché le era sembrato così sconvolto? Così privo di difese, spaventato?

Che la cosa lo schifasse così tanto?

“Eppure”, rifletteva Maka avvampando, “non era stato così terribile, anzi”.

I primi due giorni, quindi, Maka li aveva passati a cercare giustificazioni per quello che era successo, evitando accuratamente di anche solo passare davanti a quel buco nella sua parete in salotto.

E ora, a distanza di qualche giorno, Maka ha smesso di mentire a se stessa, ha smesso di cercare stupide scuse e quello che vuole è solo capire il perché ed andare avanti come se nulla fosse successo.

Perché non si sarebbe più ripetuto, no?
A questo pensiero, Maka iniziava a mangiarsi le unghie.

Impalata davanti a quell’apertura, la ragazza sa di essere ad un punto di svolta nella sua vita.
Sa di essere divisa tra il suo passato, con tutta la solitudine e il suo  -si può dire così- piangersi addosso ma anche la sua routine così sicura e confortante, e il suo futuro, pieno di incognite e di nuove sensazioni, di desiderio e voglia di rivederlo.

“Per chiarire e mettere fine a questa… cosa” precisò la bionda tra sé.

Si ritrovò con le mani ai lati della voragine, un piede e la testa dentro, e seppe in cuor suo di aver già deciso.
Maka lanciò un’occhiata alle sue spalle, restia a lanciarsi in avanti, facendo il bilancio di quello che aveva vissuto fino ad allora.
O meglio, non vissuto.

Chiuse ancora una volta gli occhi, ma è inutile tentennare nuovamente.
Si era rinchiusa come Raperonzolo nella sua torre d’avorio troppo a lungo perché, si era detta , non c’era niente di suo interesse nel mondo che non potesse avere nella comodità di casa sua.
Ed era precisamente questo il suo intento: riavere quello che le interessava di nuovo all’interno del suo appartamento.

Maka prese il coraggio a due mani, uscendo per la prima volta da anni dal suo appartamento.

E per la prima volta da anni abbassò volontariamente  gli scudi che le proteggevano l’anima, esponendosi  alla vita, rischiando, facendosi travolgere dalla sua onda che –Maka ne è consapevole- può sia trascinarla verso il cielo che gettarla nei più profondi abissi.
 
 
 
 
 
 
 
 


*Titolo e opera originale: quella che descrivo come trama me la sono un po’ inventata, sia per adattarla alla storia, sia per “esigenze di storia”.
 

 
                                                                                                                                                    BONJOUR BONJOUR
O forse buonanotte, data l’ora!
Non sono ancora morta, per vostra (s)fortuna, anche se è passata una vita dall’ultimo aggiornamento.
Chiedo scusa, ma non ho avuto materialmente tempo.
Non prometto di aggiornare più spesso, perché so già che non lo farò, ma giuro di aggiornare (e non tra anni). ;)
Allora, cosa dire? Ah sì, se ci sono coniugazioni errate dei verbi, per piacere fatemelo sapere che odio questo tipo di errori!
Sono molto curiosa, questa volta: quella che emerge in questo capitolo è la mia personale visione del mondo di carta vs mondo reale, che poi in sostanza è l’incipit della storia… e tra le righe c’è un po’ il mio approccio alla lettura, questa grande passione.
Ora, la mia domanda è: e voi? Come la vedete questa contrapposizione tra libri e realtà? Per voi è una contrapposizione? Come vi siete avvicinati ai libri?

Vi lascio, sperando che qualcuno abbia voglia di confrontarsi con me su questi temi, giusto per vedere i diversi punti di vista sulla questione, anche per MP se proprio non volete lasciare una recensione :)

See you soon!
XOXO SS :D

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Capitolo 8
*** Waterloo // Soul on fire ***


8)Waterloo // Soul on fire
“So how could I ever refuse,
I feel like I win when I lose”
[Abba – Waterloo]
 
<< Sooooul! >>

L’urlo di Tom risvegliò l’albino dal sogno ad occhi aperti in cui era sprofondato da quando, dopo l’ultima consegna, era rientrato nel negozio del cugino e aveva appoggiato i gomiti sul bancone, la testa fra le mani che correvano nervose e ripetitive ad arruffare la matassa argentea che si ritrovava.

Soul sbatté le palpebre, perplesso, guardandosi intorno e tornando finalmente presente a se stesso.

“Così non va”
Doveva riacquistare il suo solito contegno, il suo solito distacco, assolutamente.

Le mani scivolarono lentamente a sostenere il mento, mentre con studiata noncuranza si girava verso il cugino, scoccandogli un’occhiata appena appena interrogativa.

“Un Evans non si fa mai cogliere in fallo”. Le parole che sua madre non perdeva mai l’occasione di ripetere gli tornarono in mente, provocandogli una lieve nausea.
Un Evans non si fa mai cogliere in fallo, specialmente se sta pensando e ripensando da giorni ad uno stupido problema di cuore, facendosi viaggi mentali degni di una quindicenne alla sua prima cotta.

 Tom si schiarì rumorosamente la gola, richiamando l’attenzione dell’albino per la seconda volta in trenta secondi netti.

Negli occhi rossi di Soul lampeggiò una scintilla di consapevolezza, mentre si dava mentalmente dell’idiota per essersi fatto cogliere platealmente durante uno dei suoi voli pindarici.

Alla faccia del distacco e del contegno a cui tanto si aggrappava.

Il cugino approfittò del raro momento di lucidità dell’albino per snocciolargli un paio di frasi a tempo record, prima che Soul si incantasse ancora:
<< L’ultima spesa che hai da consegnare oggi è pronta lì, ai tuoi piedi, da minimo un quarto d’ora. Tralasciando il fatto che se i surgelati della signora Gorgon non arriveranno integri a destinazione sarai tu a pagare… col sangue >> Tom si fece sfuggire un ghigno sarcastico, prima di riprendere << Mi spieghi cosa sta succedendo? E’ più di una settimana ormai che non fai altro che sospirare, appoggiarti a qualunque mobile ti capiti a tiro e fissare il vuoto come se fossi in attesa che qualche dannato miracolo ti piombi addosso tra capo e collo… >> Il ghigno di Tom si era addolcito, fino a diventare un piccolo sorriso triste in direzione dell’albino.  << Per non parlare del fatto, poi, che il “Tom mi serve un posto per dormire, solo per stanotte davvero” si sta prolungando un po’ troppo… Non fraintendermi, è un piacere ospitarti, specie quando sei di umore così gradevole ed espansivo >> un lampo di ironia colorò lo sguardo di Tom << ma tu non avevi un appartamento? E, soprattutto, mi stai ascoltando o hai bisogno di una mia registrazione da mettere in loop così da capire finalmente cosa sto cercando di inculcarti in quel tuo cervellino così annebbiato? >>

Inutile dire che il ragazzo aveva a malapena ascoltato a stento tre frasi, prima di perdersi nuovamente nei meandri bui della sua mente, osservando le labbra del cugino muoversi sinuosamente dando vita alle parole, quasi accarezzandole mentre le lasciava librarsi nello spazio, finalmente libere.

Mentre il cugino era a metà del suo noioso borbottio, un dolce formicolio si propagò lentamente lungo la gamba destra, inducendolo a cambiare posizione.
Soul indietreggiò di qualche centimetro, del tutto incurante dello sguardo sempre più omicida di Tom sulla sua pelle, alla ricerca di qualcosa su cui crollare e riposarsi, quando il suo piede inciampò in un sacchetto di plastica posato sul pavimento.

Mentre la raccoglieva, l’albino la degnò a malapena di uno sguardo, giusto quello necessario a mettere a fuoco l’indirizzo, per poi caricarsela in spalla.

Soul prese a muoversi lentamente verso la porta del negozio sotto lo sguardo penetrante di Tom, i cui occhi ormai ridotti a due fessure sembravano in attesa di una risposta.

Soul lo fissò interrogativo a sua volta, non capendo cosa volesse.

Aveva finito il discorso, no? Le sue labbra erano imbronciate ma chiuse, e il mormorio di fondo aveva smesso da un pezzo di esserci.
Per un attimo, lo sguardo di Soul vacillò, sorpreso, registrando improvvisamente quel pesante silenzio carico d’attesa che si stava addensando tra loro.

 Il ragazzo scrollò le spalle, stringendo la presa sulla busta di plastica, per poi farla dondolare docilmente davanti al naso del cugino borbottando uno “Sto andando, sto andando!” mentre gli sfilava sotto il naso per uscire.

Mentre Soul scompariva alla sua vista, Tom dovette faticare per non spalancare la sua bocca in una “o” basita: quel citrullo di suo cugino non aveva ascoltato mezza parola di quello che aveva detto!

“E’ come se qualcosa si fosse spento in lui… Sembra un disco rotto… si incanta ogni tre secondi!”

Incredulo, stava ancora scuotendo la testa quando sentì dei forti tonfi provenire dalle scale di ingresso al negozio.

Era la quarta volta, e solo quella settimana.

Ormai rassegnato, si affacciò appena alle tromba della scale per poi urlare:
<< E sta attento, Soul! Almeno sulle scale e mentre attraversi la strada, cerca di non essere uno zombie senza cervello! >>

Appena il giorno prima il ragazzo stava anche per essere investito da un bus turistico pieno di occidentali mentre, sulle strisce pedonali, passeggiava con la stessa attenzione con cui Heidi saltellava di fiore in fiore nei suoi pascoli di montagna.

Tom fece per tornare al lavoro ma poi, ripensandoci, sporse di nuovo il capo per urlare:
<< E ricordati che non siamo una Onlus! Cerca di farti pagare la spesa, almeno stavolta! >>
 
***
 
Erano le tre e cinquantasei del pomeriggio, e Soul era appena rientrato a casa dall’ultimo giro di consegne.

Appena, poi, per modo di dire: erano ben ventisei minuti e trentotto secondi che l’albino era sdraiato sul letto, lo sguardo fisso sulla sveglia digitale, intento nell’arduo compito di controllare che l’aggeggio non sbagliasse il conto dei secondi.

“A casa di Tom” precisò l’albino tra sé e sé, pensieroso, socchiudendo gli occhi “Casa mia è a tre isolati da qui, in un palazzo di lusso dove ho lasciato-“ Soul avrebbe voluto terminare il pensiero con parole come “vestiti”, “averi”, ma quelle che premevano ai confini della sua mente per palesarsi puntavano ad altri significati, come “dignità”, “coraggio” e “cuore” – termini che avevano lo stesso sapore delle labbra rosse di Maka.

Un sapore dolceamaro, che lo aveva stregato nel lento trascorrere di un unico istante come mai gli era capitato prima, che lo aveva sommerso di sensazioni travolgenti e sconosciute anche a lui, che non si riteneva certo un novellino in fatto di relazioni amorose - “O forse dovrei dire di sesso”.

Un sapore che sapeva contemporaneamente di sconfitta dolce come miele e vittoria amara come fiele, di gloria e viltà, di esaltazione e di umiltà.

Quel bacio era stato quello che, per Napoleone, era stata Waterloo: l’arrendersi a forze inarrestabili col sorriso sulle labbra, certi di essere vincitori, anche nella sconfitta.

Soul sospirò, stringendo gli occhi, ma non consentendo al suo corpo di rilassarsi: rimaneva là, teso, le braccia incrociate sotto la nuca, a fissare il tempo che scorre con lentezza e pigrizia, quasi a prendersi gioco di lui.

Perché sì, l’anima di Soul era un ricettacolo di energia inespressa, pronta ad esplodere.

E il ragazzo avrebbe anche saputo come sfogare quell’energia in modo piacevolmente produttivo, soprattutto per i suoi sensi, ad esempio con quella amministratrice ninfomane con cui aveva un conto in sospeso o con una ragazza a caso, rimorchiata nel primo bar… Era quello che faceva prima, per rilassarsi e ridurre in una quieta brace dormiente quel fuoco che ora gli divampava dentro, specchio dei suoi occhi.

Prima, infatti.
Ecco la chiave dell’arcano.

Quello su cui da giorni Soul rifletteva, perdendoci la testa.

Perché non aveva voglia di andare con chicchessia, per sfogarsi?

Perché questa volta era diverso? Aveva baciato un sacco di ragazze, e si era spinto molto più in là del semplice bacio con ancora più donne, allora perché ora non riusciva più a provare desiderio verso alcuna di quelle?

Uno dei primi giorni in cui si era sentito così scombussolato, rimestato nel profondo, era entrato in uno dei tanti pub sotto casa, pronto a catturare all’amo una delle tante prede che di solito si offrivano a lui spontaneamente, senza neanche costringerlo a scomodarsi.

Il tempo di buttare giù due drink, e si era ritrovato nel retro del locale con uno schianto di mora tutta curve che lo baciava appassionatamente mentre lui trafficava prima con le sua cintura, poi con l’intimo di lei, cercando contemporaneamente di reggerne il peso quando le lunghe gambe affusolate della donna gli avevano circondato il bacino, attirandolo a sé.

Soul la prese lì, su quel muro, le mani inchiodate ai lati di quei lunghi capelli d’ebano, i respiri e i gemiti che si confondevano ed aumentavano, mentre il ragazzo accelerava il ritmo delle spinte, gli occhi rossi fissi e persi al ricordo di un altro bacio, di un altro paio di occhi, questa volta verde prato, che lo guardavano imbarazzati e tentatori da sotto le lunghe ciglia che ornavano  un volto in fiamme.

Fiamme che lui aveva provocato.

Fiamme che divamparono in lui quando la sua mente si perse nel ricordo di un altro paio di gambe, messe bellamente in mostra in un corridoio vuoto, quella che ormai doveva essere una vita fa.

E Soul venne, al termine di quello che, alla fine, si era rivelato un mero gesto meccanico, una misera opera riproduttiva messa in atto a causa degli effluvi dell’alcol che gli inondavano le vene e che puntava unicamente a soffocare quelle braci interne al ragazzo che ora, invece, divampavano alte, avvolgendo in calde lingue di fuoco la sua anima.

E Soul aveva capito.

La risposta ai suoi innumerevoli perché era unica, semplice, candida.

“Maka”
 
***
 
Da quell’episodio, il nome di Maka gli rimbalzava in testa continuamente, ossessionandolo.

Maka, pronunciato come una ringhiosa imprecazione e al tempo stesso caritatevole preghiera.
Maka, l’orgoglio, il coraggio e la testardaggine.
Maka, la gentilezza, la comprensione, l’accettazione.
Maka, l’indole gentile murata dietro quella fortezza di acciaio temprato.
Maka, le gambe eleganti e slanciate, gli occhi sinceri e il sorriso ironico e un po’ malizioso.
Maka, la mancanza.

Quel continuo rimbombo interiore lo portava a incantarsi sempre più spesso, a riflettere sempre di più, cercando disperatamente una via di uscita da quella gabbia dorata come i capelli della ragazza.
Ma la via di uscita non c’era, Soul aveva vagliato ogni singolo angolo di quella risplendente prigione, ma non aveva trovato né brecce né cedimenti né crepe.
“Un po’ come il suo carattere”
E Soul aveva capito che era inutile fuggire da sé stesso o negare l’evidenza.

L’albino poteva non sapeva chi era Wilde, ma una frase  del celebre poeta ormai l’aveva compresa a fondo: “L’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi”.
 
***

Ore quattro e quarantasette: Soul era ormai sdraiato da un po’, in attesa di racimolare dal fondo dei suoi visceri quel po’ di coraggio che gli avrebbe permesso di fare quello che era in attesa di fare da più di una settimana.

“Tornare a casa”

A casa, sì, dove c’erano i suoi vestiti, Maka, i suoi spazi da riconquistare, gli occhi verdi di Maka, il poster che non aveva mai appeso, le gote rosse di Maka, i suoi cd e vinili, i capelli biondi di Maka, le sue abitudini da riprendere, le labbra di Maka, il suo soffice letto, dove sarebbe di certo stato più comodo con Maka…

“Okay, ora basta! Qui siamo al limite del ridicolo!” Soul alzò di scatto il busto, insieme rassegnato ed euforico per aver intrapreso il primo piccolo ma definitivo passo che l’avrebbe portato dalla ragazza.

Ora stava lì, il ragazzo dai capelli di luna, in sospeso sul ciglio del letto, consapevole che l’appoggiare un piede sul pavimento avrebbe messo fine alla sua eterna attesa, che l’avrebbe portato finalmente a qualcosa di concreto.
Se solo avesse avuto un altro briciolo di coraggio per superare quell’ultimo ostacolo… ma non era di certo Maka, così avventata e intrepida!

Soul sbuffò al solo pensiero di essersi appena paragonato alla ragazza, e senza pensarci oltre corse a cambiarsi e a racimolare le quattro cose che avrebbe dovuto riportare nella sua “tana”.
 
***

Il ragazzo inchiodò, ritrovandosi con il fiatone davanti alla porta di casa sua.

“Finalmente”

 Il sorriso di Soul si estendeva da un orecchio all’altro, felice come non lo era da un pezzo e trepidante come una sposina la notte prima del grande giorno.
Lungo il tragitto fino al suo appartamento, aveva deciso che si sarebbe sistemato con calma nel suo alloggio, e solo l’indomani, sempre con calma, avrebbe rivisto Maka.

La strategia del comportamento da tenere nei confronti della ragazza sarebbe stata decisa al momento, in base alle impressioni che avrebbe ricavato dal colloquio.

“Anche perché” aveva pensato l’albino mentre si torturava le labbra con i denti “non ho ancora preso in considerazione quello che Maka prova al riguardo.

Si sarebbe dato un libro in testa da solo, per quanto era stato stupido.

Era stato così impegnato a fuggire e poi a chiarirsi con sé stesso, che non aveva minimamente pensato che anche Maka doveva essersi interrogata riguardo al loro –ehm- “piccolo incidente”, e che magari lei era giunta a conclusioni diverse dalle sue e forse non voleva più avere niente a che fare con lui e probabilmente lo avrebbe pestato a sangue per poi dirgli che non lo voleva più vedere….

Soul si ritrovò impalato davanti alla porta di casa sua, mentre la sua mano destra stritolava la maniglia dell’entrata in preda a spasmi nervosi dovuti ai suoi pensieri macabri  e insicuri.

Che cosa strana, per un ragazzo cool come lui, con i movimenti sempre perfettamente studiati e non un’espressione lasciata al caso, non sapere cosa aspettarsi né come comportarsi.
Soul sorrise al pensiero, mentre allentava la presa e faceva scattare la serratura, entrando nel buio del suo appartamento.
“Ci penserò domani. Per oggi, è già tanto che sono qui”

I pensieri per una volta in linea con quello che realmente provava il giovane e non con il personaggio che ogni giorno si sentiva costretto a cucirsi addosso vennero interrotti bruscamente quando Soul accese la luce del salotto con uno scatto del polso, rivelando una figura accucciata sul divano, semisommersa dalle felpe che Soul vi aveva lasciato quelli che sembravano anni prima.

Soul si avvicinò lentamente, la bocca socchiusa dalla sorpresa.
<< Maka… >> Il morbido mormorio di Soul fece muovere la ragazza, che però non si svegliò.

La ragazza dormiva serena, i capelli biondi sciolti e sparsi, le ciglia lunghe che sfioravano le gote che tanto Soul aveva agognato.
Indeciso sul da farsi, l’albino continuò la sua avanzata, ritrovandosi ad un certo punto con Maka, addormentata e avvolta in una sua felpa, in braccio.

Mentre si dirigeva in camera sua per riportare la ragazza nel suo appartamento, Soul si ritrovò a sorridere, inspirando profondamente il profumo della chioma d’oro della ragazza.

“Casa, finalmente”
 
***
 
Maka sapeva di stare sognando.
Correva in un prato rosso sangue, inseguita da una luna di ghiaccio, l’espressione sanguinosa dell’astro congelata dal freddo.
Correva, ma non era impaurita né ansiosa, era come… fiduciosa, che quel che doveva accadere sarebbe accaduto di certo di lì a breve.
 
Qualcosa di caldo la sfiora, dietro il collo e sotto le ginocchia,
e un dolce rollio la spinge ancora più a fondo nel sogno.
Maka sospira, serena, e le labbra imbronciate si distendono.
 
Una grande esplosione, e Maka viene colpita da una potente folata di aria calda, che trasforma il prato rosso sangue in un campo di papaveri che ondeggiano pigri al vento.
La ragazza continua a correre, spensierata, e mentre getta uno sguardo all’indietro vede che la luna di ghiaccio è esplosa, liberando il piccolo sole che era al suo interno.
Maka ride, e la sua risata cristallina si riverbera nell’aria, provocando la risposta da parte di delicati uccelletti nascosti chissà dove.

Maka viene sballottata in avanti,
percepisce il freddo di una parete sui piedi e sulle gambe.
Presto il freddo svanisce, mentre il corpo della ragazza viene attirato verso un petto caldo e forte,
e mani altrettanto calde passano lungo le sue gambe,
accertandosi che non si sia ferita.
 
All’improvviso alberi, alberi ovunque, e Maka si ritrova circondata, in piedi al centro di una graziosa radura.
La ragazza si guarda intorno, raggiante, e mentre gira su se stessa da ogni papavero sbocciano gigli e violette e dalie e viole e margherite, inondando l’aria con i loro profumi.
Maka si sdraia sul terreno freddo che piano piano si riscalda, mentre lei si raggomitola sotto una foglia di palma, sentendosi al sicuro.
 
Maka viene posata sul suo letto,
le braccia che l’hanno condotta fin lì la abbandonano per un istante,
prima che le mani si spostino sulla sua tempia, sfiorandola lievi.
 
Una brezza leggera e calda si alza nella radura, spazzando via i mille profumi dei fiori, lasciando al loro posto una dolce fragranza di menta.
E’ piacevole, il venticello, e le accarezza piano il volto, gentile.

E’ così tenue e impalpabile che Maka teme quasi di immaginare le parole che lo sbuffo d’aria le sussurra all’orecchio:
<< Dormi serena, ora, piccola Maka: non me ne andrò più. >>
 
 





 
 
 
 
                                                                                                                                                            ALOHA
Hi everyone! I’m back :)
Ho solo un appunto da fare (le mie scuse per il ritardo sono implicite e rinnovate fino alla fine della storia, quindi sorvolo): in teoria questo capitolo è spezzato in due, quindi il filo (narrativo) che è stato tranciato bruscamente alla fine di questo cap verrà riannodato all’inizio del prossimo.
In pratica, doveva essere un capitolo più denso di avvenimenti e dialoghi, ma una volta che mi sono messa a scrivere di Soul mi sono persa tra i suoi sentimenti e mi sarei sentita morire a non concedergli lo spazio necessario: chiedo scusa se mi sono dilungata o vi siete annoiati, ma mi sentivo di fare così ;)
Se per caso l’”ossessione/attrazione” (chiamiamola così) di Soul per Maka non fosse chiara (ossia non si capisse dove, perché, come l’ha tirata fuori in così breve tempo) ditemelo che questo  è importante che io lo descriva meglio.

Detto ciò, ascoltatevi la song degli Abba (che adoro e trovo molto ricca di sfumature, se ci si ragiona su).

Un bacio a tutti, e grazie infinite a tutti quelli che leggono/recensiscono/seguono/preferiscono/etc , davvero grazie mille!
XOXO SilverSoul :)
 
   

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Capitolo 9
*** A song of scents and eyes ***


9) A song of scents and eyes
 
Maka dormiva su un letto di menta. E aveva caldo.

Okay, sapeva che non poteva essere sul serio distesa su un letto di quelle piccole pianticelle profumate, ma l’odore fresco e pungente che le invadeva le narici e la circondava come una soffice coperta induceva la sua mente, ancora provata dal dormiveglia, a crederci.

Ma il caldo, oh, la stava facendo impazzire.

La ragazza alzò la schiena di scatto, sedendosi a gambe incrociate e meditando un attimo, prima di aprire gli occhi.
Diede un’occhiata in giro: una sedia appoggiata al muro, la sua scrivania stracolma di lettere e libri, i vestiti sparsi in giro sul pavimento dove li aveva gettati, incurante di tutto, la bozza incompleta del suo futuro manoscritto…  Sì, era proprio nella sua camera, anche se non riusciva proprio a ricordarsi come ci fosse arrivata.

Maka scosse la testa, cercando di schiarirsi le idee, prima di cercare di buttare il piumone lontano da sé per liberarsi da quell’insopportabile caldo che la stava asfissiando.

Cercare, appunto.

La bionda fece appena in tempo ad alzare il lenzuolo che un “Miaaaaoo!” indispettito la facesse balzare per aria, spaventata.
Una piccola testolina pelosa spuntò dall’ammasso di coperte, dimenandosi per districarsi, e le si strusciò addosso, miagolando ancora più forte, in cerca di attenzioni.
<< E tu, chi sei? Cosa ci fai qui? >> borbottò Maka , la voce ancora arrochita dal sonno, mentre un sorriso involontario le spuntò sul viso quando la sua mano, quasi avesse una propria volontà, si tese automaticamente ad accarezzare la piccola gatta, a saggiarne il pelo morbido.

All’improvviso, la bestiola smise di fare e le fusa e si irrigidì, attenta, annusando l’aria intensamente: con un unico, elegante balzo, la micia lasciò sola Maka e sparì in direzione della cucina, la coda alta che sobbalzava  ad ogni suo baldanzoso passo.

In un istintivo gesto, Maka alzò appena un braccio, come per richiamare vagamente la gatta a sè, ed una manica scivolò leggera lungo il polso sottile, arrivando ben oltre la sua mano e cancellando ogni pensiero ozioso che aveva occupato la mente della giovane fino a quel momento.
Maka si stava ancora fissando stupita il braccio quando il piccolo sbuffo d’aria causato dal movimento di poco prima le colpì il viso.

Menta.

E la ragazza capì.

Capì il perché avesse caldo, lei, che era solita dormire senza pigiama e che non sarebbe andata a dormire con una felpa neanche con venti gradi sotto zero.
Capì come fosse arrivata in camera sua, quando l’ultimo ricordo che aveva era quello di essersi accoccolata sul divano davanti all’ingresso… be’, non di casa sua.
Capì perché avesse indosso quella felpa troppo grande, per essere una delle sue.
Capì perché si era svegliata così serena e rilassata, cosa che non succedeva da qualche settimana.
Capì anche perché la gatta fosse corsa in cucina quando un leggero sentore di cioccolato si propagò nella stanza, mischiandosi alla menta e creando un connubio perfetto. Era un leggero  effluvio, come di un dolce che cuoce in forno, tanto delicato ed invitante che il suo stomaco si risvegliò con un brontolio.
Capì che c’era davvero qualcuno nella sua cucina, però, solo quando udì distintamente il rumore di ceramica che si schiantava sul pavimento e la seguente imprecazione subito soffocata.

Soul.
Era tornato.
 
 ***
 
Maka rimase immobile per soli due secondi, prima di balzare in piedi e correre letteralmente in cucina, come aveva fatto quella gatta misteriosa poco prima di lei.
Si arrestò di botto sulla soglia della stanza, stupefatta, la bocca e gli occhi spalancati.
 
Soul era nella sua cucina.
Soul era nella sua cucina, in carne ed ossa.
 
Soul era nella sua cucina, non si era accorto di lei e, cosa ancora più sorprendente, non stava mangiando a sbafo come suo solito ma, anzi, stava cucinando.
Per lei, stava cucinando per lei.

Maka avvertì  una fitta al petto, a quel pensiero.
Una fitta piacevole, molto.
La bionda bloccò sul nascere il piccolo sorriso che le stava per illuminare il volto: l’aveva fatta arrabbiare, con quella sua fuga, e soffrire molto più di quello che avrebbe mai ammesso.
Non era disposta a passarci sopra così facilmente: il ragazzo avrebbe dovuto faticare un po’ più di così, per riguadagnarsi la sua fiducia.

“Non che io sia intenzionata a negargliela, però” pensò Maka maliziosamente.

Per non parlare del fatto che dovevano ancora chiarirsi per quanto riguarda quel piccolo bacio che avevano condiviso.
Prima di perdersi dietro qualche ragionamento contorto, la ragazza si schiarì forte la voce, cercando di attirare l’attenzione di Soul.
L’albino si girò, un mestolo e un pentolino in mano, sorpreso.

<< Oh. >> fu tutto quello che disse.
 
***

<< Oh. >>

Soul  se la ritrovò davanti all’improvviso, molto prima di quanto avesse immaginato, e, preso alla sprovvista,  iniziò  a osservarla minuziosamente: gli occhi lucidi e i capelli scompigliati che le incorniciavano il viso, il busto appena coperto dalla sua felpa malamente allacciata, le lunghe gambe dalla pelle di porcellana lasciate nude e i piedi scalzi.

Trattenne il fiato, cercando di farlo il più silenziosamente possibile.

Bellissima.
Bellissima, e seminuda.

Soul si perse nel mangiarsi con gli occhi quella figura così minuta ma allo stesso tempo così… perfetta.

Perfetta, almeno  per lui.
D’ora in poi, sarebbe stata sempre perfetta, sì, ma solo per lui.

Quel pensiero lo faceva sentire potente, ansioso e be’… eccitato.

“Accidenti! Ma non si rende conto di come gira per casa? E se qualcuno la vedesse? Cioè, qualcuno a parte me, insomma… Non è male vedersela comparire davanti così, ammettiamolo,  ma con queste vetrate enormi offre lo spettacolo a tutto il vicinato!… Ah, ho la soluzione: tende pesanti  di velluto nero alle finestre! A-ah, sono un genio! Oscureremo tutta questa luce così potrà anche andare in giro nuda, se volesse… Di certo non sarò io ad oppormi alla cos-“

<< Ti sarei grata se mi guardassi negli occhi, sai, ora che ti sei goduto il panorama. E magari se chiudessi la bocca. Non hai per niente un’aria cool, così >> i pensieri sui futuri cambiamenti di arredamento di  Soul vennero interrotti da quella voce, calda ma tagliente, resa roca dal recente risveglio.

Ah, come gli era mancata!

L’albino si rese conto che, effettivamente, era a bocca spalancata e sul punto di sbavare come un cagnolino, e che era appena stato beccato in pieno nel bel mezzo della sua perlustrazione.
Distolse lo sguardo, chiuse  le fauci ma si rifiutò di arrossire: dando le spalle alla ragazza, posò gli arnesi che aveva in mano sul tavolo, prima di girarsi strofinandosi  le dita sul grembiule e sorridere alla ragazza.

<< Colazione? >> propose, il tono vivace e allegro, più di quanto lo fosse stato nelle ultime settimane. O negli utimi mesi. O forse anni…
Maka annuì, sorridendo suo malgrado, e si sedette al tavolo: Soul le servì un piatto stracolmo di leccornie, prima di sedersi a sua volta e guardarla mangiare.
La ragazza sorrise ancora di più davanti a quel quadretto familiare.
“Potrei anche abituarmici” pensò la bionda, prima di afferrare una forchetta e iniziare a mangiare con gusto.

<< Buono, per uno che sa a malapena che forma ha un uovo >> Maka masticò un grosso boccone, prima di continuare << Però non ti basterà. >>
Soul la guardò stranito, facendosi attento e unendo le mani sotto il mento.
<< Cosa? >> le chiese un po’ indispettito.

“Sempre dritta al punto. Non me ne lascerà passare una neanche a pagarla!”

<< Non ti basteranno dei pancake e delle uova strapazzate per farti perdonare. Per rientrare nelle mie grazie. Per evitarti la spiegazione che mi devi. Per evitare che ti schianti un libro sulla testa, ora. Ovviamente, dopo aver finito queste delizie. >> La voce di Maka era decisa, acida e scontrosa, ma Soul lesse un briciolo di felicità nel luccichio dei suoi occhi che lo fissavano e sì, quello che sembrava un piccolo ghigno giocoso, prima che la bionda ricostruisse la sua maschera di finta indifferenza e tornasse a prestare attenzione al cibo.

Oh, Soul lo sapeva: sapeva che Maka non si sarebbe ammorbidita  finché non avesse avuto quel che voleva, e lui non aveva niente in contrario a darle delle spiegazioni. Spiegazioni che, sperava, sarebbero servite a farsi perdonare e, contemporaneamente, avrebbero fornito delle illuminazioni su quel che la bionda pensava riguardo al loro piccolo scontro di labbra.

Soul sapeva quello di cui era in debito con Maka, ma questo non significa che, prima di saldare il conto, non si sarebbe divertito – almeno un pochino – a sue spese.

“Magari posso provare a farla sciogliere in un altro modo”
Soul ghignò e, mentre allungava una mano verso la guancia di Maka e iniziava a tracciare delicatamente il contorno dello zigomo, ribatté a voce bassa e roca:
<< E se, diciamo, aggiungessi dei muffin al cioccolato? >>
Gli occhi verde prato di Maka scattarono nei suoi cremisi, per poi dirigersi verso le sue labbra, su cui Soul aveva intenzionalmente passato la lingua con deliberata lentezza, mentre continuava a fissarla.

Maka trattenne un fremito.

Non gliela avrebbe data vinta, non così facilmente.

La ragazza, presa da un impulso di momentaneo coraggio, sorrise appena e avvicinò il suo volto a quello di Soul, fino a solleticare con il proprio naso quello del ragazzo.
<< Be’,allora… Diciamo che si può trattare >> alitò sulle labbra dell’albino, calcando le parole,  prima di alzarsi e andare in salotto, senza mancare di fargli un occhiolino prima di sparire nella stanza accanto.

Soul rimase lì seduto, come imbambolato, le labbra che ancora pizzicavano per quel contatto appena accennato.

Forse, aveva sottovalutato Maka: a quel gioco, in fondo, si può giocare in due.
E Maka, per ora, aveva tra le dita la mano vincente.
 
***
 
Erano in salotto da almeno un quarto d’ora, e ancora non volava una mosca.

Lei, rintanata sul bracciolo del divano che l’aveva sorretta nelle molte notti che si era addormentata nella speranza che una certa chioma albina spuntasse dalla voragine nel muro, e lui all’altro capo della stanza, appoggiato sul mobile di legno scuro che ospitava la tv polverosa della ragazza.
Soul era entrato nella stanza dopo di lei, dopo aver sistemato il caos di pentole e stoviglie in cucina: si era fermato sulla soglia, aveva individuato la chioma bionda di Maka e a passi lenti e strascicati si era portato davanti a lei, appoggiandosi al mobile a braccia conserte.
Si stavano fissando da allora, in un muto scontro di occhi rossi e occhi verdi, aspettando con ansia e contemporaneamente sfidando l’altro a rompere quel muro di silenzio.

Silenzio che tra loro non aveva mai avuto modo di esistere, e che li stava inesorabilmente allontanando, più dello spazio che avevano fin troppo consapevolmente messo tra loro, entrambi consci di cosa fosse successo l’ultima volta che si erano ritrovati vicini.

Era cambiato tutto da allora, e così in fretta, che non si fidavano più di loro stessi.

Poteva un bacio così piccolo portare a ripercussioni interiori così grandi?

La situazione di stallo venne interrotta dalla micia: zampettando ma sempre elegante, l’animale arrivò in salotto e balzò al fianco di Maka, strusciandosi sinuosamente sulle sue gambe.
Una volta ottenute le carezze tanto agognate, la gatta si mise seduta composta e inizio anch’essa a fissare l’albino, in attesa.

Soul studiava attentamente la situazione, anche se i suoi occhi rimanevano fissi sul volto della bionda, attento a non rompere quel gioco di sguardi.
No, non avrebbe iniziato lui a parlare. Avrebbe lasciato che fosse lei ad esporsi, a  mostrarsi impaziente di sapere, impaziente di cavargli qualcosa di bocca, per poi accontentarla a suon di monosillabi e sguardi ammiccanti: tutto come da “codice di comportamento del maschio cool medio”.

Il tempo passava, intanto, e Maka diventava sempre più nervosa: Soul se n’era accorto dal cambiamento del ritmo delle carezze alla gatta. Erano passate dal “dolce e rassicurante” al “tengo occupate le mani prima di stringertele al collo”.

“Forse sto tirando un po’ troppo la corda…” si disse il ragazzo, ma fu allora che lo vide.

Il piccolo segno di cedimento che aveva aspettato da mezz’ora a quella parte era arrivato.

Maka aveva sbattuto le palpebre, e lo scintillio degli occhi si era fatto diverso: stava per iniziare.
 
***
E’ vero, Maka era consapevole che, a volte, era infantilmente testarda: si puntava sulle cose, e non arretrava di un passo, non fino a che stringeva la vittoria in pungo.
Era altrettanto vero, però, che sapeva di essere anche una persona matura, responsabile e razionale.

Avrebbe perciò interrotto lei quella specie di stupido braccio di ferro, quella stupida prova di forza che era iniziata da fin troppo, oramai.
E lo avrebbe fatto perché, così,  avrebbe sottolineato al ragazzo di essere lei quella più matura, tra i due.
“E coraggiosa. E brava. E responsabile. E con i voti migliori.” Gne gne gne.

Maka sbattè le palpebre e aprì la bocca, pronta per dare inizio alle danze, quando…
<< Si chiama Blake >> ammise Soul, ghignando al suo indirizzo quando vide la smorfia di disappunto che le si era disegnata sulle labbra per l’essere stata battuta sul tempo.
Inutile fingere di non sapere a cosa si riferisse, visto che la palla di pelo in questione stava facendo le fusa proprio sotto le sue dita.

<< Mmm >> mugugnò in assenso Maka, stringendo tra i denti il labbro inferiore, per poi squadralo da capo a piedi. << E perché Blake è nel mio appartamento?  >>
<< Qualche giorno fa stavo facendo una consegna, e l’ho vista per strada. Sembrava affamata, così sono tornato con del cibo. Mi segue da allora >> Soul si strinse nelle spalle, come a minimizzare la cosa, come se la gatta non avesse molta importanza per lui.

Anche se il suo primo pensiero quando aveva accarezzato quel pelo nero come la notte per la prima volta era stato il vero motivo per cui aveva deciso di tenerla con sé.
“E’ soffice come la Sua pelle, ma ha gli artigli affilati come il Suo carattere”

<< Anche se, a vedervi adesso, mi sa che d’ora in poi abiterà con te >> Soul sorrise al suono di un miagolio indignato,  emesso in protesta di quella mano che aveva abbandonato il suo collo peloso.

Maka sorrise in risposta, abbassando poi lo sguardo sulla bestiola, che stava cercando di artigliarle le dita.
<< Perché? >> soffiò appena Maka, mentre teneva i suoi occhi fissi sulla gatta e gli angoli della bocca rigidamente bloccati a mantenere quella parvenza di sorriso, che risultava, nonostante gli sforzi, fasullo.

Perché?
Soul sapeva a cosa si riferiva.

Perché te ne sei andato quel giorno, scappando dal mio appartamento come se avessi i segugi infernali alle calcagna?
Le braccia di Soul ora penzolavano ai suoi lati.

Perché te ne sei andato per settimane, senza un biglietto o una spiegazione?
Una spinta del bacino contro il mobile, e Soul si ritrovò in piedi, a meno di tre metri da lei.

Perché mi hai lasciata sola a cercare di ordinare e comprendere la confusione che ti sei lasciato dietro?
Uno, due, tre, quattro passi, e Soul era davanti a Maka.

Una Maka che ora si stava alzando in piedi,  la testa tenuta alta e orgogliosa e che lo guardava negli occhi con cipiglio deciso.
Il cipiglio di chi ha già riflettuto abbastanza e ora sa che è il momento dell’azione.
Il cipiglio di chi sa cosa vuole ed è disposto a tutto per ottenerlo.

Soul la strinse tra le braccia, forte, spalmandosela addosso e inalando il suo odore, mentre con la bocca cercava il suo orecchio, incurante dei capelli biondi che gli finivano tra le labbra.

<< Non ero in grado di ragionare, in quel momento. Non sapevo cosa volevo >>  appena un soffio leggero, quello di Soul, che prese poi a seguire il contorno della mascella della ragazza con il naso, risalendo poi lungo la guancia, la tempia.

Soul si staccò appena, facendo in modo che gli occhi di Maka finissero nei suoi: la ragazza era ancora rigida tra le sue braccia, ed il suo sguardo era attento.

<< E ora lo sai? >> Era pronta a buttarsi nel precipizio, Maka, però non prima di aver dato un ultimo strattone alla corda di sicurezza che la legava: una piccola certezza che poteva essere ancora di salvezza o evidenza di morte.

Soul le sorrise, mentre le sue mani continuavano a viaggiare su quel corpo che tanto aveva agognato, ma da cui era fuggito per un’infinità di tempo, incapace di trovare il coraggio per fare chiarezza con se stesso.

La bocca del ragazzo calò sulla gola di Maka, creando delle lingue di fuoco al suo passaggio. Non baciava, Soul, ma si limitava ad accarezza la pelle soffice di Maka, dalla gola alla spalla, in un movimento ripetitivo ma sempre nuovo.

Lo spostamento si interruppe all’improvviso, mentre l’albino incastrava la testa tra la spalla e la mascella di Maka e la scuoteva appena, in un gesto di diniego che le provocò solletico.

Le labbra ripresero il loro moto per un po’, fino a giungere alla spalla dove si fermarono definitivamente: Soul spalancò le labbra le morse deciso la clavicola.

Maka non riuscì a trattenere un brivido, accompagnato da un piccolo gemito.

Il ragazzo riprese sfiorarla con le labbra nel punto in cui aveva appena assaggiato la sua pelle, soffiando leggermente e non riuscendo a trattenere una risatina roca, che rimbombò nella cassa toracica di Maka, eclissando persino il battito forsennato del suo cuore.

<< Ora,  so ciò di cui non posso fare a meno >> Un sussurro più lieve del respiro di Soul  contro di lei, appena più di uno schiudersi di labbra.

Qualcosa di talmente appena abbozzato, che il ragazzo di chiese se Maka l’avesse sentito.

La risposta alla sua domanda silenziosa arrivò quando le braccia di Maka, fino ad allora tenute ostinatamente incollate ai suoi fianchi, risalirono lungo il suo petto in una carezza leggera, per poi soffermarsi sulla sua schiena: la mano destra di Maka proseguì la sua corsa, fino ad approdare alla sua nuca, tuffandosi in quella nuvola argentea e intrappolandogli il collo tra le sue dita sottili.

Maka lo strise a sé, forte e dolce allo stesso tempo, quasi volesse mettere in contatto i loro due poveri cuori  quasi impazziti.

Ancora con la testa incastrata nell’incavo del collo della ragazza, a Soul mancò il fiato quando si accorse che il tempo scandito da entrambi era quello di una stessa ballata.
 
 
 






 
Alors, ciao, per vostra disgrazia non sono ancora morta sotto le valanghe di esami.
Questo capitolo non mi convince, anche perché è stato scritto in due volte e quindi magari non è proprio lineare dall’inizio alla fine.
Ebbene sì, sono una romanticona da strapazzo *sguardo omicida* ma a me è venuto il diabete alla fine del cap.
Quindi boh, non so cosa pensare né cosa dire, sono in dubbio su tutta la linea, ma tanto non avrei saputo scrivere di meglio, ma va bene così.
Grazie mille a tutti! :)
Alla prossima!
XOXO SilverSoul :)
 

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Capitolo 10
*** What women want ***


10) What women want
 
Erano passate due settimane dal giorno del loro rappacificamento, e le cose erano tornate alla normalità.
Soul aveva ripreso a sorridere o, meglio, a ghignare, ed era tornato ad essere il vivace scapestrato ragazzo di sempre. Aveva smesso di fissare il vuoto, aveva ripreso ad ascoltare –più o meno- quando le altre persone gli parlavano, e non c’erano più stati tentativi di pseudo-suicidio lanciandosi da rampe di scale o facendosi investire da vecchiette in carrozzina – almeno, Tom tentava di autoconvincersene ogni giorno.

Il ragazzo era addirittura tornato a vivere nel suo disordinatissimo appartamento, e c’era uno strano scintillio che traspariva nel suo sguardo, che contribuiva a sbarrargli gli occhi, facendolo apparire come uno costantemente strafatto di LSD.
Tom era abbastanza certo che Soul non facesse uso di droghe, ma vederselo praticamente correre su e giù per il negozio spostando merce e mettendo a posto i prodotti senza che nessuno gliel’avesse chiesto, be’, qualche dubbio lo faceva venire.

Maka, invece, dal canto suo, era tranquilla. L’ansia perenne che le aveva attanagliato le viscere nelle settimane precedenti era sparita e questo, unito al fatto di aver ricominciato a dormire sul suo comodissimo e morbidissimo letto, le aveva permesso di ricominciare ad occuparsi del suo lavoro.
Intendiamoci, la bozza scribacchiata di malavoglia di quello che la sua editrice Arya voleva - << Il nuovo Twilight, tesoro, il nuovo Twilight! >>- era ancora sul pavimento di camera sua a prendere polvere, utile solo come scendiletto, e lì sarebbe rimasto.

Maka non aveva nessuna intenzione di cambiare, di cambiare le sue storie e il suo modo di scrivere solo per piacere agli altri: era una cosa di cui era sempre stata convinta, ma se prima si era sentita sopraffatta dalle ciance di Arya e si era lasciata convincere, ora aveva riscoperto e rispolverato dentro di sé l’entusiasmo degli inizi e il coraggio di portare fino in fondo le sue idee.
Molte volte era scesa –era stata costretta a scendere, veramente - a compromessi negli ultimi tempi, ma era riuscita a mantenere una sua integrità.
Era sempre rimasta Maka, sempre, ma cedere su quello che la rendeva felice… non se lo sarebbe mai perdonata!

Tornando a noi, quindi, Maka aveva ripreso a scrivere, e quella specie di “blocco creativo” che era giunto con l’ingresso rocambolesco di Soul nella sua vita era come svanito, lasciandola piena di idee ed entusiasmo.
Passava le mattinate a scrivere pagine su pagine, battendo allegramente le dita sulla tastiera, rilassata e felice come non lo era da tempo. Più scriveva, e più si rendeva conto che quello che aveva tra le mani non sarebbe stato solo il suo ennesimo libro, ma il suo capolavoro, il culmine della sua carriera.

E se le mattinate erano tranquille e solitarie, il silenzio spezzato solo dal ticchettio dei tasti che rimbombava nell’appartamento, i pomeriggi, con l’arrivo di Soul dal lavoro, erano quanto di più incasinato, rumoroso e confusionario si possa immaginare dopo una compagnia di circensi russi ubriachi.

Maka-chop, inseguimenti, lanci di patatine e libri, insulti più o meno pesanti, grida che si alzano fino al limite dell’ultrasuono, risse in cucina per l’ultimo biscotto, botte sul divano per il controllo del telecomando, zuffe per… be’, per il piacere di picchiarsi, litigi infiniti davanti alla porta del bagno per stabilire chi dovesse andare prima…
Insomma, tutto era tornato alla normalità.
Ebbene sì, alla normalità del prima, almeno apparentemente.

***

<< MAKAAAA! >>

Un urlo strozzato ruppe la quiete di quel pomeriggio soleggiato.

La bionda schizzò in piedi dalla sua poltrona preferita, quella rosso sangue vicino alle vetrate.
Mezza impaurita e mezza preoccupata, abbandonò a se stesso il tomo che stava leggendo e corse velocemente nel soggiorno, per poi infilarsi nella voragine e sbucare in camera da letto dell’albino.

Albino che in quel momento si stava infilando i pantaloni della tuta, mentre a torso nudo e ancora voltato verso l’armadio guardava con occhio critico l’ammasso intricato di magliette cercando di scegliere a colpo d’occhio quella più pulita e meno stropicciata.

Maka fece appena in tempo a registrare l’informazione che Soul portasse dei boxer blu elettrico – “E anche molto bene, bisogna dire”-, prima che il ragazzo finisse di sistemarsi i pantaloni.

Si bloccò all’istante.

Distratta dei muscoli delle spalle che guizzavano sotto la pelle, non si accorse della breve occhiata che Soul le lanciò, inclinando appena il volto verso di lei per poi rigirarsi subito, camuffando il movimento come qualcosa di casuale.

Girando nuovamente la testa verso l’armadio, Soul lasciò che i capelli argentati (nuovamente della giusta lunghezza) nascondessero il sorriso sghembo di puro orgoglio maschile che gli si era disegnato sulle labbra vedendo Maka così interessata alla sua schiena nuda.

Improvvisamente, aveva deciso che avrebbe indossato una delle magliette che si trovavano nei ripiani più alti del mobile: raddrizzò appena la schiena, allungando pigramente un braccio verso l’alto fino ad afferrare il primo pezzo di stoffa che gli passò sottomano.
Soul si infilò la maglia, avendo cura di flettere ben bene le spalle, per poi girarsi di scatto.

***

Maka, ancora mezza persa in contemplazione e mezza lanciata in fantasticherie vietate ai minori, vide il ragazzo girarsi: rapidamente, richiuse la bocca e incurvò le sopracciglia in un cipiglio che sperava ardentemente fosse interrogativo e desse al suo viso un’espressione intelligente.
Vide un lampo di divertimento nello sguardo di Soul, e capì che il suo volto dovesse apparire tutto fuorché intelligente, al momento.

Indispettita, decise su due piedi di giocare d’anticipo: d’altronde, non è l’attacco la miglior difesa?

<< Ma dico, sei scemo? Ti sembra il modo di chiamare la gente? Mi sono preoccupata, sembrava ti stessi strozzando con qualcosa! >>
Vide il sopracciglio di Soul inarcarsi in modo elegante, sollevandosi lentamente verso la fronte, in una silenziosa richiesta di spiegazioni, quindi si sentì in dovere di sbuffare, prima di proseguire:
<< L’urlo di prima, genio. Sembrava l’ultimo rantolo di un condannato a morte >>
<< Aaahh! Mi si era incastrato l’orecchino nella maglia mentre la stavo sfilando. Stavo solo cercando di avvisarti di essere arrivato così, nello strano caso tu avessi deciso di venire di qui, non mi avresti trovato in mutande mentre mi cambiavo >>
<< Che poi è esattamente quello che è successo, idiota >>
<< Non mi è sembrato che la cosa ti fosse dispiaciuta troppo, prima >>

Beccata in pieno.

Soul  1 – Maka 0
Palla al centro.

Maka si bloccò con la bocca aperta, l’indice alzato, già pronta a ribattere: arrossì vistosamente, realizzando cosa il ragazzo avesse effettivamente detto, mentre Soul sogghignava godendosela da morire.
Non era certo cosa da tutti i giorni zittire Maka Albarn.
 “Magnifico Maka, continuiamo così! Dritte verso la rovina! YAHOOOO! “ bisbigliò una vocina nella testa della ragazza, per altro eccezionalmente simile a quella del suo stupidissimo vicino dai capelli azzurri.

“ E’ decisamente ora di ritirarsi”,  pensò Maka voltandosi senza aggiungere niente, e sperando di guadagnare l’uscita attraverso la voragine conservando ancora quel poco di dignità che le era rimasta.
<< E Maka? >>
Speranza che ovviamente morì dopo pochi secondi.
La bionda si paralizzò, girando appena la testa e puntando un unico occhio verde su di Soul, in modo da squadrarlo da sopra la spalla.
Non rispose, non si fidava della sua voce e sapeva che non ce n’era bisogno: Soul non si sarebbe fatto problemi a continuare neanche se gli avesse sparato addosso.

Il ragazzo sorrise dolcemente, per poi affondare l’ultima stoccata:
<< Hai un po’ di saliva proprio qui >> disse, picchiettandosi l’indice destro sul mento per indicargli il punto esatto, l’espressione del volto atteggiata a comprensiva che non riusciva a mascherare l’infinito divertimento che gli si leggeva negli occhi.

Maka lo fulminò per poi andarsene, stizzita,  le spalle contratte e i pugni chiusi lungo i fianchi, il naso all’insù, certa che la stesse prendendo in giro.
Soul la guardò andarsene divertito: sapeva già che Maka non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di vederla pulirsi il mento lì, proprio di fronte a lui.

Il ragazzo si lasciò cadere sul letto, sdraiandosi supino  e portando le braccia a incrociarsi dietro la testa.
“Uno” pensò Soul “due, eeee tr-“
Un ringhio riecheggiò nel silenzio dei due appartamenti, quando Maka si rese conto che, effettivamente, Soul aveva detto il vero.

Eeeeee Soul stravince per KO dell’avversario! DIN DIN DIN!

***

Erano passate due settimane, e da quell’ultima specie di abbraccio con strofinamenti vari, non era successo niente.
Niente di niente.
Sembravano due ragazzini alla prima cotta, e forse era proprio così.

Maka, dopo tanto tanto tempo, si sentiva finalmente felice ed appagata, e il vuoto che da sempre sentiva dentro e che aveva sempre tentato di combattere a colpi di letture sentimentali e immaginazione si era come placato, lasciandola con una sensazione di… quasi completezza, addosso.

Essendo abbastanza fuori allenamento per quanto riguardava la gestione e il controllo dei sentimenti reali, non di carta, si lasciava trasportare dalle mille emozioni diverse che Soul scatenava in lei con la sua vicinanza, senza analizzarle minuziosamente, ma solo godendo del calore che riuscivano a regalarle all’altezza del petto.

Tutto questo, ovviamente, accadeva dentro di lei.
Fuori, lasciava trasparire poco niente del caos bollente che la metteva a soqquadro tutti i giorni, timorosa di dire o fare qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi.
O che avrebbe fatto scappare Soul.
E quindi Maka attendeva, fiduciosa nella sua personalissima visione delle cose: “se qualcosa deve accadere, accadrà”.
Per ora, si accontentava di sentirsi come una piuma in balia di una tempesta, cosa che non le dispiaceva affatto.
Per il momento, almeno.

Per Soul, invece, ogni giorno era una battaglia contro se stesso.
Dal momento in cui Maka si era rilassata tra le sue braccia, il giorno del suo ritorno dopo “la grande fuga”, era come se il suo corpo fosse in costante tensione verso di lei, verso Maka.

Bramava costantemente la sua pelle, morbida e soffice al suo tocco, plasmabile come se fosse creta sotto le sue dita, come se fosse stata creata solamente per il piacere delle sue mani.
Anelava immergersi nel suo profumo, agrodolce come il suo carattere, e smarrire i polpastrelli in quella chioma bionda lunga fin oltre le spalle.
Smaniava per toccarla, per starle accanto, e ogni occasione era buona per stuzzicarla e vedere quel miscuglio di orgoglio, malizia e sarcasmo che traspariva nei suoi occhi verde prato mentre ribatteva stizzita.

Più la conosceva, e più desiderava carpire i più piccoli segreti occultati anche alla sua coscienza, i suoi pensieri più nascosti e le pieghe più sottili della sua anima.

Ma.

C’era un grosso “ma” che impediva a Soul di realizzare fino in fondo quelle che per ora rimanevano semplici fantasie appena abbozzate nella sua testa.
Soul non riusciva a capire cosa volesse Maka o, meglio, quanto in fretta lo volesse.

Entrambi si comportavano normalmente l’uno con l’altra, ma c’erano momenti in cui bastava un lieve sfioramento delle loro dita, una battuta più spinta delle altre o uno sguardo più lungo e intenso ad accendere una tensione elettrica tra di loro.
E, puntualmente, ogni volta che quella scintilla di qualcosa scoppiava tra loro due, Maka prontamente di tirava indietro: spostava la mano con un gesto casuale (che di casuale non aveva niente), gli tirava dietro un libro arrossendo e iniziando a balbettare o distoglieva lo sguardo puntandolo nel vuoto.

Soul non era stupido, e l’episodio dell’armadio era stato solo l’ennesima conferma: Maka era attratta da lui tanto quanto lui lo era da lei.
Il problema era: quanto ancora avrebbe dovuto aspettare, perché Maka si decidesse a sciogliersi un attimo e a concedergli l’occasione per portare il qualcosa che c’era tra loro ad un altro livello?
Soul stava impazzendo: avere quella biondina tutto pepe sotto il naso a tutte le ore del giorno era una tentazione costante che lo rendeva smanioso di agire, pur avendo paura di rovinare quella specie di tregua che si erano faticosamente –più o meno- costruiti.

***

Passò un’altra settimana, e se le cose nei fatti non erano cambiate, erano però cambiati gli animi dei nostri due protagonisti preferiti.
Soul era… be’, come da un po’ oramai, al limite. Aveva deciso che si sarebbe buttato alla prima occasione che si sarebbe venuta a creare perché ehi, “il gioco vale tutta la candela” e “all’inferno questa situazione alla vorrei-ma-se-poi”.

Quindi, mentre Soul rimuginava e ponderava tutti i modi possibili per sfruttare a suo favore quelle ore passate in compagnia della bionda, Maka aveva deciso di passare all’azione.

Dopo quasi tre settimane di attesa filosofica, fiduciosa nel domani e nella proverbiale intraprendenza degli uomini, che mai come in quel momento era venuta a mancare, la ragazza aveva deciso di prendere in mano le redini del gioco.

Si era fatta un piccolo esame di coscienza, che dopo i suoi millemila voli pindarici aveva portato la giovane a tre semplici conclusioni:
  1. Lei voleva Soul
  2. Aveva visto gli sguardi affamati del giovane che l’accarezzavano quando lui pensava che non vedesse: ergo, lui voleva lei
  3. Se avesse aspettato ancora che fosse Soul a prendere l’iniziativa, era meglio rinunciarci in partenza: quindi, doveva agire.
Non sapeva ancora come, cosa, quando, ma Maka sapeva che era arrivato il momento della verità.
E, nel caso fosse stato necessario, ci avrebbe pensato lei, a farlo arrivare.

***

Stavano guardando un film in tv, cosa che accadeva spesso ultimamente.
Si erano accorti che quel genere di svago consentiva loro di passare del tempo insieme senza urlarsi addosso o battibeccare, senza contare l’incredibile opportunità di potersi osservare di sottecchi l’un l’altro senza farsi beccare con la bava alla bocca dal “nemico”: inutile precisare che be’, in definitiva, a nessuno dei due poteva fregare di meno della trama o dell’interpretazione degli attori.

Ma quella volta era diverso.

Davano “Wolverine”, quel pomeriggio, e Maka era ben decisa a non farsi distrarre dalla piacevole compagnia.
Era uno dei suoi film preferiti, l’aveva rivisto infinite volte, tanto da saperne ormai le battute a memoria.

Ma, ovviamente, le cose non vanno mai secondo i piani.

***

Il film era iniziato da una mezz’oretta, e Maka era seduta impettita sul divano del suo salotto, la schiena rigida appoggiata allo schienale e il mento posato sulle mani che racchiudevano le ginocchia portate al petto.
Gli occhi verdi risplendevano appena nella penombra della stanza, socchiusi com’erano ad osservare concentrati lo schermo.

Soul, al suo fianco, era mezzo stravaccato, i piedi che appoggiavano sul tavolino davanti a lui.
Stiracchiandosi, il ragazzo sbadigliò vistosamente, per poi posare le braccia spalancate sullo schienale del divano e domandarsi oziosamente tra sé e sé cosa ci trovassero mai le donne di tanto eccitante in uno come Hugh Jackman.
Gli occhi ancora appannati dal recente sbadiglio, girò la testa verso Maka, squadrandola: perché sì, quello scintillio nello sguardo era assolutamente eccitazione.

Sbuffò contrariato, iniziando a tamburellare impaziente con le dita: aveva davanti per lo meno ancora un paio d’ore di film… o forse no.
 Soul ghignò: forse, l’occasione che tanto aveva atteso per cambiare le cose era appena giunta nei panni di quell’attore da strapazzo.

Il ragazzo si era appena reso conto di dove avesse effettivamente appoggiato le braccia, e di quanto fossero pochi i centimetri che separavano i suoi polpastrelli dalla spalla lasciata nuda dalla canottiera di Maka.
Il ghignò si allargò, mentre negli occhi ora di nuovo lucidi e attivi del ragazzo la brace tornava a bruciare.

***

Dapprima sentì solo una carezza lievissima, Maka, talmente impalpabile che pensò di essersela immaginata.
 
<< Sai perché la Luna si sente così sola? >> chiese Kayla

Un momento dopo, la sua schiena era invasa da brividi, che avevano tutti come origine il punto sulla sua spalla dove Soul, come sovrappensiero, stava trascinando lentamente le dita, avanti e indietro.
<< Perché? >> risposte Logan

Maka espirò il fiato che non si era accorta di trattenere, mentre quei polpastrelli si facevano sempre più avidi di carne, arrivando a saggiare l’osso della clavicola, resi sfacciati dalla sua mancanza di reazioni.
<< Perché aveva un amante, una volta >>

Il primo impulso della ragazza fu quello di fuggire, ma l’istinto di scattare in piedi ed andarsene fu immediatamente bloccato dalla volontà della ragazza.
<< Racconti queste storie ai bambini? >> domandò Logan sorridendo,
il tono della voce canzonatorio.

Finalmente le cose si stavano sbloccando, e non aveva alcuna intenzione di fare passi indietro.
E soprattutto non aveva alcuna intenzione di sottrarsi a quelle dolci carezze, anelate quanto un soffio d’aria fresca in una pesante notte estiva.
<< No... Lui si chiamava Quequacho e viveva con la Luna,
 nel mondo degli Spiriti... >> riprese Kayla, seria

Persa nelle sue considerazioni, a malapena registrò il rilassarsi improvviso del braccio posato sulle sue spalle e il profondo respiro che si liberò nell’aria alla sua sinistra, quando Soul comprese che non se la sarebbe data a gambe, non quella volta.
 
<< Ahh, è una storia vera... Bene... >>
Il sorriso giocoso di Logan non accennava a spegnersi.

Distratta, sempre più persa in quel vortice di sensazioni riscoperte, Maka ricordò all’improvviso la promessa che si era fatta solo pochi giorni prima: agire, doveva agire.
E lo fece senza pensarci un attimo di più, senza pensare alle possibili conseguenze.
 
Incurante di tutto, Kayla continuò il racconto, il tono sempre più grave
<< E ogni notte vagavano insieme per il cielo.
Però uno degli spiriti era geloso... Quell'imbroglione voleva la Luna tutta per sé.
Così disse a Quequacho che la Luna voleva dei fiori.
Gli disse di venire nel nostro mondo e raccoglierle delle rose selvatiche >>

Allungò le gambe sul divano, accanto a sé, mentre faceva scivolare la schiena un po’ più giù, in modo tale da appoggiare la guancia sulla spalla di Soul e la mano sul suo petto, all’altezza del cuore.
Cuore che, si rese conto con un certo stupore,  batteva all’impazzata sotto il suo palmo.
Le abili dita di Soul ripresero a tracciare sentieri invisibili sulla sua pelle.
<< Quequacho non sapeva che una volta lasciato il mondo degli spiriti
non sarebbe potuto tornare.
E ogni notte lui guarda su nel cielo e vede la Luna e ulula il suo nome... >>
 
Avvertì la testa del ragazzo appoggiarsi contro la sua, emettendo un piccolo mugolio soddisfatto mentre lei, con la pelle in fiamme, teneva ostinatamente i suoi occhi verde prato incollati allo schermo.
<< Ma... Non può più toccarla >>
 
All’improvviso, avvertì un bisogno incontrollabile crescerle nello stomaco.
Non sapeva perché, ma quello che stavano vivendo in quel momento non era abbastanza.
Le sensazioni che aveva dentro, il calore che emanava dalla sua pelle e la pace che provava a stare praticamente distesa su Soul all’improvviso non bastarono più.

Ne voleva ancora, ne voleva di più, voleva qualcosa di più intimo.

Complice forse la sequenza di battute più tristi e meravigliose del film che facevano da sottofondo o la riscoperta di un bisogno che aveva sempre avuto ma che fino a quel momento era riuscita ad ignorare, Maka voltò la testa e incatenò i suoi occhi a quelli rossi di Soul, già fissi su di lei, ad aspettarla.

La ragazza lesse sorpresa e piacere in quello sguardo, ma anche determinazione.

Doveva agire? Avrebbe agito. “Fino in fondo”, si disse.

Maka si scostò appena da Soul, il quale, dapprima contrariato per quel gesto, rimase ancora più interdetto dalle intenzioni della ragazza.
Gli posò le mani sulle spalle, spingendolo delicatamente, costringendolo a scivolare lungo lo schienale del divano, facendolo sdraiare, per poi arrampicarsi fino ad arrivare a sedersi a cavalcioni sul ragazzo.

“Non è Maka, non può essere Maka. Chi sei tu e che ne hai fatto di lei?” si chiese Soul, non del tutto certo di volerla fermare, però.

Completamente basito ma del tutto attento, il ragazzo non aveva staccato neanche per un secondo gli occhi da quelli di Maka. Non si era concesso neanche di sbattere le palpebre, non voleva perdersi neanche un millesimo di secondo di quello che stava succedendo.
A quel pensiero, le labbra di Maka si incurvarono in un mezzo ghigno.
<< Sai >> disse la bionda, con voce resa roca un po’ dall’imbarazzo e un po’ dall’eccitazione che provava ad avere quegli occhi di fuoco concentrati su di sé << qual è la definizione di pazzia? >>
Soul scosse lentamente la testa, prima che il solito ghigno strafottente facesse capolino sulle sue labbra, e continuò:
<< Ma sono sicuro che muori dalla voglia di dirmelo, da piccola so-tutto-io quale sei  >>
Maka, a quelle parole, girò gli occhi al cielo sbuffando, e il ghigno di Soul si trasformò in sorriso: eccola, la sua Maka, la ragazza che conosceva.
<< Ma sta’ zitto, era una domanda retorica! >> La bionda gli mollò un piccolo pugno sulla spalla, che venne subito intrappolato dalla mano veloce di Soul.
Schiarendosi la voce e spostando lo sguardo dalle loro mani, ormai intrecciate, agli occhi di Soul, continuò imperterrita:
<< E’ continuare a fare le stesse cose, aspettandosi un risultato diverso >>
Il viso della ragazza iniziò la discesa verso quello di lui.
Le labbra di Maka erano a meno di due centimetri da quelle di Soul, quando concluse a voce lieve:
<< E io, mi sono stancata di comportarmi da folle >>

Soul, impaziente come non mai, diede un colpo di reni facendo scontrare le loro labbra, dopo così tanto –troppo- tempo dalla prima volta: contemporaneamente, le passò un braccio dietro al collo, attirandola a sé e lasciandosi ricadere sul divano con un gemito soddisfatto.
Maka rise sulla sua bocca, mentre la mano non impegnata correva ai suoi capelli di luna, scompigliandoli e saggiandone la morbidezza di seta. Ne tirò piano una ciocca, mentre le labbra si spalancavano e si impegnavano con vigore in quel duello di lingua e saliva: Soul sospirò beato, facendola ridere ancora.

Proprio quando il ragazzo stava per approfondire ulteriormente, il campanello trillò.

Si staccarono, le labbra gonfie e rosse e il respiro affannato, occhi negli occhi alla ricerca anche della più piccola scintilla di pentimento.

Il campanello suonò per la seconda volta, sorprendendoli ancora intenti a fissarsi.

Mentre Soul borbottava ingiurie e vendette verso tutti gli dei e pianeti avversi conosciuti e non, cercando  contemporaneamente di afferrarla per la vita e trattenerla, Maka rise ancora, felice, riuscendo a liberarsi da quell’intrico di braccia e correre alla porta.

Le dita posate lievi sulla maniglia, Maka si voltò un’ultima volta verso Soul.

Il ragazzo, le mani che passavano frenetiche nei capelli, aveva ripreso a borbottare, questa volta qualcosa a proposito di docce fredde e vagonate di ghiaccio, mentre si dirigeva verso il buco che separava i loro due appartamenti: le sorrise, facendole l’occhiolino, prima di scomparire nella casa accanto.

Maka spalancò la porta di casa, sorridendo a trentadue denti.

***

Altro che semplice doccia fredda!
C’era voluta mezz’ora sotto il getto d’acqua più gelido che avesse mai provato,  seguito a ruota da un’ora buona di appostamento davanti alla porta aperta del frigo, intervallata da qualche scappatina alla finestra della cucina, da cui spirava un sottile venticello gelido, per schiarirgli le idee.

Non che tutto questo fosse bastato a frenare i suoi bollenti spiriti, ma, per lo meno, erano sotto controllo.

Quello che non era sotto controllo, invece, era il sorrisino isterico e soddisfatto che sfoggiava da quando era uscito da casa di Maka.
 Soul iniziava a sentire le guance dolergli per quello sforzo prolungato, ma non sapeva proprio cosa fare per convincere i suoi muscoli a rilassarsi.

Macché calmarsi! Cominciava a pensare che tutta quell’esposizione al freddo da frigo avesse avuto come unico risultato quello di fargli un lifting, mal riuscito per giunta, che gli avesse deturpato il viso in maniera permanente.
Eppure, per quanto gli dispiacesse che il suo perfetto viso da maschio cool fosse andato irrimediabilmente perduto, in quel momento non gliene poteva importare di meno.

Finalmente, dopo tanto sangue, lacrime –simboliche, ovviamente- e sudore, era riuscito a baciare Maka!
Un bacio come si deve, con tutti i crismi! Be’, quasi tutti i crismi… se non fosse arrivato qualcuno a interrompere forse…
“Forse niente” pensò ironicamente Soul, cercando di calmare il suo cervellino impazzito e di contenere tutte le immagini vietate ai minori di 18 che gli stava inviando di quello che sarebbe potuto accadere dopo, se il campanello non avesse suonato.

Soul lanciò uno sguardo all’orologio appeso alla parete, soppesando le alternative.
Era tardo pomeriggio… Avrebbe potuto rilassarsi un po’, magari mangiare qualcosa… oppure sarebbe potuto tornare a tormentare lei.

“Lei, e quelle sue labbra rosse e morbide come seta”

Neanche a dirlo. L’albino chiuse lo sportello del frigo davanti al quale era piantato da almeno un quarto d’ora, iniziando a massaggiarsi le guance contratte mentre camminava a passo spedito verso la sua camera da letto, infilandosi felice nella parete.

D’altra parte, lo scocciatore di prima, chiunque fosse, doveva essersene andato da tempo.

***

Mai previsione fu più sbagliata.

Giunto sulla soglia della cucina, Soul si trovò davanti una scenetta abbastanza scioccante:
l’intruso o, meglio, suo cugino Tom, chinato su Maka, ad una distanza irrisoria.
Si guardavano intensamente negli occhi, le mani di lei posate delicatamente sulle tempie di lui, quasi ad accarezzarlo teneramente, il viso di entrambi leggermente arrossato.

Non si accorsero del suo arrivo, talmente erano concentrati.
E Soul non ci vide più.
Con un urlo degno di una banshee che scende in battaglia, l’albino calò sul cugino.

L’ultimo pensiero coerente di Soul fu per le sue guance: non gli dolevano più.

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