Una seconda occasione.

di wanderingheath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jennifer ***
Capitolo 2: *** Il nuovo supplente. ***
Capitolo 3: *** Buon compleanno. ***
Capitolo 4: *** Walter Hilde. ***
Capitolo 5: *** Affare intrigante. ***



Capitolo 1
*** Jennifer ***


~~Capitolo 1.

Aveva i piedi doloranti e il sudore le scorreva a rivoli sul volto, inondandole il body rosato che la soffocava.
I capelli lunghi e tinti di un blu intenso erano raccolti come sempre in uno chignon, ma qualche ciocca ribelle era riuscita a scappare alla tensione dell’elastico, andando ad appiccicarsi alle guance bagnate.
Odiava terribilmente quello sport e a dire la verità non lo considerava nemmeno un vero sport, ma solo una tortura che ormai andava avanti da troppo tempo.
Si era iscritta a quello stupido corso di danza classica quando aveva solo otto anni e l’aveva fatto unicamente perché sua madre insisteva a tutti i costi affinché facesse un qualche tipo di sport.
Aveva iniziato a detestare il ballo fin dalle prime lezioni in cui non si faceva altro che qualche piccolo esercizio di riscaldamento e stretching.
L’unica cosa che era in grado di rendere piacevole quell’ora e mezza di pura sofferenza era Karen, la sua storica migliore amica. Si conoscevano fin da piccole e avevano passato insieme i più bei momenti delle loro brevissime vite, a partire da semplici gite scolastiche fino a pranzi di Natale, quando Karen e la sua famiglia si autoinvitavano a casa sua.
Ma adesso che Karen non era più lì e lei non aveva nessuno con cui parlare, quelle ore di danza classica si riducevano ad una collezione di noiosi ed interminabili minuti che scorrevano con estrema lentezza.
Stava seriamente pensando di fregarsene una volta per tutte di quello che sua madre pensava del ballo e lasciare il corso, per guadagnare più tempo per se stessa, ma poi si sentiva come in colpa e preferiva tenersi tutto dentro, perché non voleva dare l’ennesimo dispiacere a sua madre.
- Jennifer, vuoi stare al passo?- la rimproverò la sua insegnante con la solita voce stridula.
Sentì tutti i nervi del collo tendersi come crode di violino, mentre si sforzava di sfoderare un mezzo sorriso e riprendeva a seguire la lezione controvoglia.

Stava tornando a casa, le mani affondate nei soliti blue jeans sgualciti a vita bassa, la testa incassata tra le spalle, i capelli zuppi raccolti in una coda scomposta, il cappuccio della felpa rossa tirato su a coprirle le orecchie dal gelido vento novembrino, quando ricevette una chiamata sul cellulare da una delle ragazze che facevano parte del suo piccolo gruppo di amici.
Impiegò solo qualche secondo a leggere il numero sul display del telefono, per poi rispondere in tutta fretta con il cuore che le batteva a mille.
La voce calda, suadente e familiare di Tiffany Low le risuonò piacevolmente nelle orecchie:- Jenny! Che stai facendo di bello a quest’ora?-.
Tiffany era una delle ragazze più belle della scuola e la maggior parte delle persone la guardava con un sentimento di ammirazione misto a soggezione, senza contare la ridotta cerchia di gente che la squadrava dall’alto in basso, disgustata dall’idea che fosse lesbica.
Jennifer aveva sempre provato dei sentimenti contrastanti per quella ragazza dai corti capelli violacei e i grandi occhi ghiacciati, che si aggirava per il cortile scolastico puntualmente con una sigaretta accesa tra le labbra ed improbabili capi di vestiario indosso.
Se c’era una cosa che le restituiva vitalità era la frizzante ed eccentrica Tiffany Low con i suoi sguardi ammiccanti, la voce seducente, le proposte innovative e a volte inusuali, le lunghe unghie tinte di colori sfolgoranti ed il viso coperto di piercings.
Quando si erano incontrate per la prima volta, Jennifer aveva sentito il proprio cuore fare una capriola e tornare con difficoltà al suo posto; poi con il passare del tempo, aveva iniziato a desiderarla come qualcosa di più di una semplice amica, nonostante Tiffany fosse l’unica persona appartenente al genere femminile che lei trovasse davvero attraente. L’unico ostacolo che s frapponeva ad una loro ipotetica relazione romantica e che rendeva insignificanti tutte le premurose attenzioni, le confessioni e gli sguardi complici che Tiffany le dedicava, era Chloe Justice, la ragazza di Tiffany.
- Non ho programmi a dire il vero- rispose Jenny, rincasando in fretta:- Qualche idea, Tiff?-.
- Speravo che me lo chiedessi- trillò l’altra nel telefono:- Danno una festa stasera al molo e non voglio assolutamente mancare-.
- Al molo?- ripeté interdetta, gettando a terra svogliatamente il proprio borsone da danza.
- Al molo- confermò Tiffany, senza riuscire a contenere l’emozione:- Il padre di un amico di Paul dà una festa sul proprio yacht privato e ha deciso di invitare parecchia gente. Dicono che ci sia un rinfresco molto gustoso e hanno la vasca idromassaggio da qualche parte. Ti prego, dimmi che verrai, Jennifer-.
Quella voce implorante le fece affiorare alla mente tante immagini, ma prima tra tutte l’espressione da cucciolo indifeso assunta dai grandi occhi chiari di Tiffany quando la ragazza doveva ottenere qualcosa.
Jennifer si mordicchiò il labbro inferiore, facendo la sostenuta per chissà quale ragione, visto che moriva dalla voglia di vedere la propria amica e passare con lei un’intera serata al molo.
- Non saprei…chi altro c’è?-.
- Sicuramente io, Chloe, Paul e Tony-.
- I fantastici quattro- commentò Jennifer, amareggiata dalla notizia della presenza della partner di Tiffany:- Ci penso un attimo e poi ti faccio sapere-.
Il tono di Tiffany Low mutò radicalmente e da supplice divenne seduttrice:- Non sono vietati gli alcolici-.
Jennifer rifletté per qualche istante su quelle parole, poi, abbassando il tono della voce, bisbigliò:- Qualcuno porta per caso della roba?-.
- Certo!- replicò Tiffany quasi assordandola:- E’ una festa, Jenny e ci viene anche Tony. Dove c’è Tony, ci sono quintali di roba-.
- Potevi dirlo subito!- sbottò l’altra, scoppiando a ridere ed accentando dunque l’invito, senza ulteriori indugi.
Non fece in tempo a concludere la conversazione che si ritrovò sua madre davanti, i piedi ben piantati a terra, le braccia incrociate sul petto ed un’espressione di pura disapprovazione dipinta sul viso.
Jennifer si portò una mano sul cuore e fece finta di ansimare:- Mamma, mi hai spaventata-.
- Smettila di fare sceneggiate, Jennifer- la rimproverò la donna con un tono tagliente.
La diciassettenne sollevò lo sguardo da terra e fissò i propri occhi chiari in quelli verdi di sua madre, da cui aveva ereditato solo i lunghi capelli neri, che ormai erano completamente tinti di blu.
Il loro rapporto non era più quello di un tempo. Non potevano certo conservare quella stretta relazione che avevano quando Jennifer aveva otto anni, non solo perché ormai lei era cresciuta e sua madre si era inasprita, ma anche perché ormai non c’era più nulla che le tenesse veramente unite se non la convivenza sotto uno stesso tetto e il legame di sangue.
Eppure Jennifer sarebbe stata in grado di riconoscere quell’espressione accigliata anche in mezzo ad una folla di perfetti sconosciuti. Così decise di arrivare subito al sodo.
- Cosa c’è che non va?-.
- Dimmelo tu, ragazzina- ribatté sua madre, mentre l’atmosfera si faceva sempre più tesa.
Non poteva sopportare quello sprezzante nomignolo, né quell’aria di finto disprezzo che si era dipinta sul viso per l’occasione. Adesso voleva far passare la linea dell’adulta responsabile e premurosa che si preoccupa per la sua figlia scapestrata. Adesso. Adesso non serviva più a nulla.
- Non chiamarmi ragazzina-.
- Perché stamattina non sei andata a scuola?-.
Quella domanda non la colse minimamente alla sprovvista: era certa che i professori avrebbero avvertito la famiglia della sua assenza e già si era preparata la classica scusa della malattia.
- Non mi sentivo bene. Avevo qualche filo di febbre-.
 La donna inarcò un sopracciglio folto e scuro con aria quasi sarcastica:- Ma davvero? Ti è scomparsa improvvisamente per andare a fare i comodi tuoi stasera?-.
- A me non piace fare danza classica, mamma- rispose Jennifer, determinata a non dargliela vinta:- Ci sono andata solo per non saltare le lezioni e rimanere al passo-.
- Però delle lezioni scolastiche non te ne importa nulla, vero?-.
La ragazza decise che la conversazione era terminata. Non aveva intenzione di rovinarsi la festa al molo in compagnia di Tiffany a causa delle insensate prediche di una madre che da sempre si era curata solo del proprio dolore, senza mai domandarsi perché sua figlia si fosse chiusa in se stessa, perché avesse smesso di prendere buoni voti a scuola, perché avesse iniziato a fumare, bere e fare uso di droghe anche pesanti.
La verità era che a Mary Young non interessava cosa facesse sua figlia e queste improvvise crisi derivavano solo dal peso delle responsabilità di cui mai si era fatta carico.
- Dove stai andando?- chiese, seguendo la figlia per le scale fino al piano di sopra.
- In bagno. Vado a farmi una doccia e mi cambio-.
- Stasera non esci, signorina, hai capito? Mi hai capita?!-.
La voce di Mary Young divenne più acuta, tentò di ingrossarsi e diventare minacciosa, ma a Jennifer non fece né caldo né freddo. Le sbatté la porta in faccia, senza temerne le conseguenze.
Ormai non le importava più di nulla. Suo padre se n’era andato via di casa da troppo tempo e sua madre era inesistente. Lei non era altro che una diciassettenne frustrata e in quel momento voleva solo andare alla festa al molo, bere fino ad annegare il lume della propria ragione nell’alcool e sprofondare nella vasca idromassaggio di cui si era parlato al telefono.
Niente pensieri, niente responsabilità, niente preoccupazioni, niente ricordi. Niente.

 

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Capitolo 2
*** Il nuovo supplente. ***


~~Capitolo 2.

Devastante era l’unico aggettivo che avrebbe descritto pienamente quella serata appena trascorsa.
Erano stati liberati fiumi di alcool, le risate si erano via via innalzate fino al cielo con una tonalità sempre più elevata e, mentre gli invitati ballavano o chiacchieravano animatamente tra di loro, Jennifer e  i suoi quattro amici si erano appartati in una zona buia del molo, per farsi di cocaina fino a perdere completamente la testa.
Ora le tempie le bruciavano come non mai e non faceva altro che starnutire.
Era stata tentata di fare sega quella mattina, ma voleva evitare l’ennesima ramanzina da parte di sua madre, che in quel periodo aveva assunto i panni della paladina della giustizia.
L’insegnante di letteratura stava riconsegnando i temi della scorsa settimana, ma in quel momento la correzione dei compiti era l’ultimo pensiero che fluttuava nella testa di Jennifer.
Il suo sguardo si era fissato fuori dalla finestra sulle piccole gocce di pioggia che cadevano a terra, bagnando il cortile scolastico, con suono ovattato.
Le tornò in mente quel piovoso pomeriggio di ottobre, quando lei e la sua migliore amica Karen, a quel tempo entrambe tredicenni, stavano rincasando e si erano messe a correre, protette  dall’improvviso acquazzone che era scoppiato solo dalla felpa gialla di Karen, che si era irrimediabilmente inzuppata.
A tredici anni Jennifer già poteva vantarsi di avere un drammatico passato alle spalle con suo padre che se ne era andato via di casa, quando lei era solo una bambina di otto anni, senza poi farsi più vivo ed una madre provata fisicamente ed emotivamente, che era costretta a portare avanti la baracca.
Karen era l’unica che conosceva la sua storia perché era l’unica persona di cui poteva veramente fidarsi. Quando suo padre era stato beccato con la sua amante e Mary Young aveva iniziato ad urlare e a tirare stoviglie per tutta la cucina, Jennifer si era rinchiusa in camera propria e aveva immediatamente telefonato a Karen, nella speranza di poter soffocare quelle terribili urla provenienti dal piano inferiore.
Durante quel pomeriggio di ottobre, che ora era riaffiorato alla mente di Jennifer, era avvenuto un drammatico incidente che si sarebbe fissato indelebilmente nella memoria della ragazzina di tredici anni e in quella del fratello gemello di Karen: George.
- Jennifer, il tuo tema è stato una schifezza come al solito-.
La voce della professoressa Kart interruppe il flusso confuso dei pensieri della ragazza.
Jennifer puntò i propri occhi chiari in quelli tinti di un profondo nero della professoressa.
- Mi hai delusa per l’ennesima volta.  Jennifer, l’anno si sta avviando alla sua conclusione e non vorrei doverti bocciare-.
- Ma siamo solo a novembre!- intervenne Tony, il suo compagno di banco e amico stretto.
La Kart liquidò il ragazzo con un semplice sguardo di sufficienza:- Non credere che il tuo sia andato meglio, Tony-. 
- Non avevo dubbi al riguardo- replicò l’altro, sfoderando il suo migliore sorrisetto sarcastico.
- Cosa vuoi insinuare?-.
- Lei ha i voti preconfezionati. Non c’è speranza di alcun miglioramento nelle sue materie….non è possibile vedere alcuno spiraglio di luce alla fine del tunnel-.
L’intera classe ammutolì, trattenendo il fiato per l’emozione e per il terrore: nessuno si era mai permesso di rivolgersi ad una docente come la Kart con quel tono irriverente e provocatorio (nonché accusatorio).
Jennifer sorrise appena, rivolgendo uno sguardo pieno di gratitudine al suo migliore amico.
- Tony. Come ti permetti di parlarmi così? Chi credi che io sia?- esplose l’insegnante, digrignando i denti.
- Prof, non se la prenda con Tony- s’intromise Jennifer con una voce impastata:- Lui non c’entra nulla. La colpa è mia. Non ho studiato e mi merito il voto che ho preso-.
La Kart non sembro particolarmente convinta di quella risposta, ma preferì lasciar cadere la questione, consolandosi al pensiero di potersi vendicare delle offese ricevute in qualunque momento.
- Non c’è nulla che si possa fare con te, non è vero Jennifer?- domandò,  rivolgendosi esclusivamente alla ragazza.
Jennifer ci pensò per qualche istante, poi scosse la testa:- Temo proprio di no, professoressa. Sono un caso perso, oramai-.
- Se ti arrendi fin dall’inizio, non potrai mai sperare di vincere la tua battaglia- profetizzò l’insegnante, tornando a sedersi alla cattedra.
“Ecco che adesso se ne esce con le frasi fatte. Quante cazzate spara questa donna”.

L’ora seguente, la classe di Jennifer era attesa nel laboratorio di scienze da un nuovo supplente di chimica, che stava aspettando gli studenti con un’aria curiosa ed impaziente.
Jennifer entrò in ritardo nell’aula, essendosi fermata, come al suo solito, a parlare e a fumare  in cortile in compagnia di Chloe, Tiffany e Tony.
- Stasera c’è un’altra festa- annunciò Tiff con il solito luccichio negli occhi.
A differenza degli altri, Tiffany Low sembrava in forma smagliante con i capelli violacei raccolti in due codini, un trucco leggero sul viso, un sorriso perfetto sulle labbra: era il ritratto della salute.
- Non sei un po’ stanca?- domandò la sua ragazza, poggiandole la testa bionda sulla spalla.
- No! Chloe, non fare la guastafeste. Stasera danno una festa strepitosa in un locale in cui non sono mai stata. Dobbiamo andarci, per favore, per favore, per favore, per favore!!-.
Jennifer acconsentì subito e alla fine anche gli altri due cedettero, almeno per far cessare quegli acutissimi trilli che le uscivano dalla bocca.
Una volta accordatisi sui dettagli della serata, Tony e Jennifer raggiunsero senza fretta il laboratorio di scienze, avanzando con il solito passo molle sincronizzato.
- Allora- iniziò il biondo, scrutando la sua migliore amica:- Pensi di dirglielo stasera?-.
- Se stai parlando di Tiffany, la risposta è no-.
Tony era l’unico ad essere a conoscenza della forte attrazione che la ragazza provava per la leader del gruppo e, nonostante l’oggetto dei desideri di Jennifer avesse già una partner, (anche piuttosto gelosa), lui continuava ad incoraggiare le speranze della propria migliore amica, spingendola perfino a farla apertamente dichiarare a Tiffany.
Jennifer, secondo la sua ottica più realistica (ed intrisa di pessimismo), non voleva in alcun modo farsi persuadere e continuava a rimandare il momento della sua dichiarazione.
- Perché no? Stasera sarebbe l’occasione perfetta. Io distrarrò Chloe, tu prenderai da parte Tiffany e le dirai quello che veramente provi- insistette ancora il biondo.
- Smettila, Tony. Non accadrà mai. Tiffany è già impegnata e non mi vede come più di una buona amica-.
L’altro si limitò a sospirare e a scuotere la testa  in segno di forte disapprovazione.
Quando aprirono la porta dell’aula, si ritrovarono ad interrompere l’accalorata spiegazione del supplente, che stava tenendo una lezione di chimica.
L’uomo, che era molto giovane, (non avrà avuto più di trent’anni), si fermò di botto e li guardò con un’espressione di sincero spaesamento.
- Voi…fate parte di questo corso?- domandò con una voce baritonale.
- Sì- risposero i due ragazzi in coro.
- Va bene. Prendete posto e ascoltate, ma che non accada più che facciate ritardo-.
Il supplente, che si presentò come professor Jackson, si rivelò un ottimo insegnante  e la sua spiegazione fu talmente fluida e chiara, che al suono della campanella di fine lezione, perfino Jennifer, che odiava imparzialmente tutte quante le materie, rimase affascinata da quella personalità competente.
L’aula si svuotò in pochi istanti, ma lei indugiò per qualche secondo ancora sulla soglia della porta, fino a quando non fu richiamata dentro dal professor Jackson, accortosi del suo tentennare.
- Tu sei Jennifer Young, dico bene?- domandò, scrutandola da un paio di occhialetti a mezzaluna.
- Sì. Per quanto…fino a quando durerà la sua supplenza?- replicò lei, imbarazzata.
L’uomo sorrise appena in maniera enigmatica e si strinse nelle spalle:- Fino a quando la titolare non ritornerà. E- aggiunse dopo qualche secondo di silenzio:- dal momento che la vostra insegnante è in maternità, credo che dovrete sopportarmi per molto tempo-.
Jennifer non si preoccupò affatto di nascondere la propria gioia:- Meno male! La sua spiegazione mi è risultata molto chiara…-.
Lui si limitò ad annuire, soddisfatto:- Spero che imparerai ad apprezzare la mia materia, Jennifer-.
- Questo temo che sia impossibile- ribatté la ragazza, trattenendo a stento una risatina scettica:- Nessuna materia scolastica mi attira e non vedo perché dovrebbe-.
La conversazione sembrava ormai terminata, ma prima che la diciassettenne lasciasse l’aula, il professor Jackson la stupì con un’insolita affermazione:- Sai…la scienza può risultare davvero molto affascinante. Ci sono cose, che io studio, che non sono strettamente legate alla chimica e alla biologia, ma che anzi vanno oltre i limiti imposti dalla nostra conoscenza. Forse quello potrebbe appassionarti…-.
Jennifer fu tentata di approfondire l’argomento, ma la voce acuta di Tiffany che la richiamava dal corridoio, la portò a salutare il supplente con un semplice:- Arrivederci- e a tornare dalla propria combriccola.
Non c’era posto nella sua mente per passioni e per la scienza. Non ci sarebbe mai stato spazio per quello di cui parlava il professor Jackson, qualunque cosa fosse.

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Capitolo 3
*** Buon compleanno. ***


~~Capitolo 3.

Si era ormai alla fine di novembre e il gelido vento quasi invernale la stava facendo rabbrividire, mentre percorreva da sola la spiaggia deserta accanto al molo.
Era scappata da una festa in una casa non troppo distante da lì, perché non poteva più soffrire la presenza di Chloe e Tiffany insieme che ballavano, appiccicate, strusciandosi l’una all’altra, e si baciavano, facendo collidere i loro corpi perfetti.
Non poteva più trattenersi ormai e sapeva che se fosse rimasta anche solo un minuto di più, non avrebbe resistito: avrebbe parlato chiaramente a Tiffany, avrebbe lasciato che le parole facessero il loro corso, mettendosi a nudo davanti a lei come mai aveva fatto con nessun’altro. Non le importava più nulla della scuola, della propria famiglia, delle struggenti lezioni di danza classica, del fumo, dell’alcool ,dei voti scolastici, della droga, delle feste, degli amici. Non le importava più nulla nemmeno della figura di Chloe, onnipresente e onnisciente, che non si staccava mai dallo spirito libero di Tiffany Low.
Non le importava più niente di nessuno.
Quel giorno era il suo compleanno, ma non aveva ricevuto gli auguri nemmeno da parte di sua madre, che era uscita presto di casa, (nonostante fosse sabato), per andarsene al lavoro, senza lasciarle nemmeno un biglietto scritto in cucina, nemmeno un post-it sul frigo, nemmeno una chiamata in segreteria. Niente.
I suoi migliori amici si erano completamente dimenticati di lei e se l’avevano trascinata a quell’assurda festa a casa di Paul, ( un ragazzo della comitiva), quel pomeriggio, era solo perché volevano spassarsela e non per farle una sorpresa o cantarle tanti auguri.
Ora si sentiva meglio, sola con davanti a sé l’immensa distesa marittima dalla superficie increspata da qualche piccola onda. L’orizzonte era grigio e sopra di lei c’era una fitta coltre di nubi cineree che la minacciava silenziosamente, lanciando solo di tanto in tanto qualche debole lampo.
Si era tolta le scarpe con il tacco e passeggiava con svogliatezza sulla costa, lasciando che i piedi affondassero nel morbido strato di sabbia bagnata.
Sentiva le tempie doloranti e aveva la testa piena della rumorosa musica che Paul aveva messo alla festa.
Non aveva preso droghe, non aveva nemmeno bevuto un goccio d’alcool e adesso se ne stava amaramente pentendo, ma per nessuna ragione sarebbe tornata indietro, piuttosto avrebbe comprato da qualche parte dieci lattine di birra e se le sarebbe scolate da sola sulla spiaggia.
Jennifer prese seriamente in considerazione quell’ipotesi e decise che non era affatto una cattiva idea.
Dopo nemmeno dieci minuti, era seduta a gambe incrociate sulla sabbia bagnata, con i piedi inzuppati dall’acqua, il naso pieno dell’odore di salsedine, il dolore alla testa lenito dal dolce suono della risacca.
Era solo alla quarta birra e già era riuscita a zittire la voce della sua coscienza. Era decisa ad ucciderla completamente, facendola affogare nell’alcool. Per questo aveva comprato una birra con gradazione alcolica particolarmente elevata.
- Cazzo- sibilò ridacchiando:- Più che una birra è un vino. Tanti auguri a me!-.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato, ma era ormai arrivata alla nona lattina quando sentì una voce baritonale alle sue spalle, che la fece letteralmente sobbalzare.
Per quanto fosse spaventata, non era in grado di alzarsi in piedi e non ne aveva la minima intenzione.
- Jennifer, sei tu?- chiamò la voce.
La ragazza gettò la testa all’indietro e riconobbe il viso familiare del professor Jackson, il supplente di chimica e biologia, con cui aveva ormai stabilito un ottimo rapporto.
Erano passate circa tre settimane da quando l’uomo era arrivato per la prima volta nel loro istituto, ma conoscendolo Jennifer aveva imparato ad apprezzarlo sempre di più, non solo per la sua professionalità e per la chiarezza nell’esporre, ma anche per la sua disponibilità ed apertura al dialogo con i suoi studenti.
- Professore- bisbigliò con voce ubriaca:- Cosa ci fa lei qui?-.
L’uomo lanciò una veloce occhiata alle numerose lattine di birra vuote che circondavano la ragazza e le domandò se potesse sedersi accanto a lei.
- Ma certo! C’è spazio per tutti! Vuole una birra?-.
- No grazie- rispose in fretta lui, alzano una mano in segno di diniego:- Sono astemio-.
- Bella roba- borbottò Jennifer, ormai non più lucida.
Jackson lasciò passare qualche minuto in silenzio e si limitò ad osservare l’orizzonte scuro, poi decise di iniziare a parlare per primo:- Cosa ci fai qui, Jennifer?-.
- Gliel’ho chiesto prima io- ribatté lei, sorridendogli appena.
- Hai ragione- annuì, abbassando lo sguardo a terra.
Si scoprì che il professor Jackson era un romantico di prima categoria ed adorava passeggiare in spiaggia, praticamente ogni sera, per godersi le ultime luci del tramonto e quel giorno aveva fatto il solito tragitto fino al vecchio molo.
- Sciocchezze- brontolò la ragazza, facendo un cenno in aria con la mano, come a voler allontanare una mosca fastidiosa.
- Come dici?-.
- Non le credo. Avanti, qual buon vento la porta qui?-.
L’uomo la osservò ammirato, ma si limitò a risponderle con un piccolo sorriso sulle labbra:- Secondo te perché sono qui, Jennifer?-.
Lei si strinse nelle spalle:-Magari qui vicino abita un suo amico. Se l’avessi saputo, non le avrei domandato nulla, no?-.
- E tu perché sei qui?- chiese il docente dopo una breve pausa di silenzio, senza rivelare la vera motivazione che lo aveva spinto fino alla spiaggia alle cinque di un sabato pomeriggio.
Jennifer abbozzò un sorriso, fissando gli occhi azzurri sull’orizzonte, proprio come aveva fatto il suo insegnante poco prima.
- Oggi è il mio compleanno-.
- Oh, tanti auguri!-.
- Ma la smetta-.
L’uomo le rivolse uno sguardo sinceramente stupito e confuso, che lo fece risultare non molto intelligente.
In quel momento si dipinse sul viso della diciassettenne un’aria profonda, che la invecchiò di molti anni.
- Non c’è proprio un cazzo da festeggiare- commentò amareggiata la ragazza:- Mio padre se n’è andato di casa quando avevo solo otto anni, dopo che mia madre lo beccò in compagnia di un’altra donna. A tredici anni, un pomeriggio nuvoloso come questo, sono andata a casa della mia migliore amica e quando siamo rientrate da una lunga passeggiata abbiamo scoperto che il fratellino minore di Karen, la mia amica, era scappato e non si trovava più. Avevamo tre ore per cercarlo, prima che i genitori di Karen tornassero a casa e fossero messi a parte della terribile notizia. Così iniziammo a cercare il piccolo moccioso…eravamo io, Karen e suo fratello gemello George. Tre ragazzini di tredici anni, che non sapevano da dove cominciare. Eravamo soli, spauriti, distrutti, ma a fine giornata l’abbiamo trovato. Stava giocando nel parco e nessuno l’aveva visto, nessuno l’aveva toccato, nessuno gli aveva fatto del male per fortuna. Così ci siamo rimessi in cammino verso casa, ma mentre dovevamo attraversare la strada, quel ragazzino si è imbizzarrito e si è lanciato senza motivo dal marciapiede. Karen lo ha rincorso, gli ha assestato una bella spinta e gli ha salvato la vita, ma lei è stata travolta in pieno da un dannatissimo autocarro, che non è riuscito a frenare-.
Il professore la ascoltava con attenzione, scioccato da quelle improvvise ed inaspettate rivelazioni. Non sapeva nulla del passato di quella studentessa e mai prima d’ora aveva pensato che Jennifer avesse una drammatica storia da raccontare, che si teneva dentro da troppo tempo.
- Avevo tredici anni quando ho perso la mia migliore amica. Le assicuro, professore, che è stato come perdere una sorella. Prima mio padre e poi mia sorella. Ero distrutta. Non avevo altre amicizie all’infuori di lei e di suo fratello George. Lui ha continuato, o almeno ha provato, a rimanere in contatto con me…ma io l’ho ripudiato, perché i suoi capelli rossicci, i grandi occhi verdi, i lineamenti delicati, il sorriso beffardo…tutto, tutto di lui mi ricordava sua sorella ed ogni volta che lo vedevo era una nuova tortura. Adesso si limita a mandarmi ogni anno i suoi auguri per il mio compleanno e a volte ricevo anche un regalo da parte della sua famiglia. Pensi che abitano a pochi isolati da casa mia, ma non ci incontriamo più ormai-.
Seguì una lunga pausa di silenzio in cui il professor Jackson pensò a cosa rispondere, ma non riuscì a trovare delle parole per rincuorare quella giovane diciassettenne dissestata.
Poi lei riprese a parlare improvvisamente:- Adesso sono sola, anche se alle feste sono circondata da un sacco di gente e i miei amici non mi fanno mai mancare nulla. Ho una migliore amica, ma vorrei che diventasse la mia ragazza…ho una madre, ma vorrei che si comportasse come una vera madre. Ho una vita schifosa e non c’è modo di uscirne se non perdere ogni tanto il lume della ragione. Mi dica, professore, che cazzo dovrei festeggiare oggi?-.
Si prese un po’ di tempo prima di rispondere, ma alla fine riuscì a tirare fuori qualcosa:- E’ il giorno in cui sei nata, Jennifer. Dovresti festeggiare questa ricorrenza, perché significa festeggiare te stessa, significa inneggiare alla vita e anche se adesso stai vivendo un periodo buio e non ti sembra di poterne uscire…vedrai che ci saranno tanti bei momenti in futuro che ti daranno gioia-.
Jennifer si limitò a fare un sorrisetto amaro:- Tutta la mia vita è un periodo buio. È un buco nero senza via d’uscita-.
- Non essere così tragica. Intanto dovresti smettere di bere e di farti continuamente di droga. Dovresti darti da sola una seconda chance, lo sai? Inizia a prenderti cura di te stessa e vedrai che tutto andrà meglio-.
- Grazie per le belle parole, professore. Lo sa? Si vede proprio che lei è un sognatore. Forse la scusa dei tramonti che mi ha rifilato prima non era poi così falsa-.
Jackson fu tentato di tacere, ma la vista di quella ragazza sbandata con la mente confusa, offuscata dall’alcool, gli occhi celestiali persi nel vuoto, il viso bellissimo sciupato e rigato di lacrime, lo portò a risponderle con sincerità:- No. Non era la verità quella che ti ho detto prima, Jennifer. Vuoi sapere il vero motivo che mi ha spinto qui oggi pomeriggio?-.
Lei non si prese nemmeno il disturbo di guardarlo in faccia. Era come persa nel proprio mondo in quel momento e non le importava nulla delle finte parole di conforto del supplente sognatore.
L’uomo continuò imperterrito il suo discorso:- Sono venuto qui perché sto studiando un fenomeno molto particolare, Jennifer, e qui vicino c’è un mio amico (come avevi detto tu, ottima intuizione!) che collabora in questo strambo progetto-.
- Di che si tratta?-.
- Diciamo che noi studiamo, o proviamo ad esaminare, tutti quei campi che la scienza ancora non ha dichiarato validi. Mi esprimerò meglio: noi studiamo fenomeni paranormali e siamo fermamente convinti dell’esistenza di universi paralleli al nostro. E non sto parlando di altri MONDI, ma di altri UNIVERSI-.
Jennifer si prese qualche minuto di riflessione, per quanto riuscisse a pensare durante la sbronza:- Lei sta cercando di dirmi…che esistono degli universi paralleli? Cioè realtà parallele alla nostra?-.
Jackson annuì vigorosamente, sorridendo compiaciuto:- Esattamente, Jennifer-.
- Stronzate. Lei è solo un professore romantico che viene in spiaggia a godersi i tramonti-.
- No. Non è vero. Smettila di imbottirti di bugie. Io sono una specie di scienziato-.
- Ma i suoi esperimenti non hanno mai portato a delle conclusioni certe o sbaglio?-.
- Cosa intendi dire…?-.
- Intendo dire- riprese lei con una lucidità incredibile:- Che non ho mai sentito  parlare al telegiornale di mondi paralleli…-.
- Universi- la corresse immediatamente lui.
- Universi- ripeté Jenny infastidita:- E poi come dovrebbero essere questi universi?-.
- Esattamente identici al nostro. O meglio, simili al nostro, ma con delle piccole modifiche-.
- C’è la possibilità di passare da un universo ad un altro, professore?-.
Robert Jackson fissò quella studentessa con un’intensità unica e capì che tra loro si era stabilito un legame di tacita complicità che mai nulla avrebbe potuto spezzare.
- Vuoi vedere le nostre teorie?-.
- Dove?-.
- A casa del mio amico. Abita proprio qui vicino al molo-.
- Ma...posso vederle? Insomma, non dovrebbero essere segrete?-.
Il professore si strinse nelle spalle con indifferenza:- Non credo che tu abbia il coraggio di divulgare le nostre teorie ed essere presa sul serio. Ci vogliono dei pazzi come noi, per poter credere in cose come realtà parallele e quant’altro-.
- Allora sì-.
L’uomo le rivolse un’aria interrogativa:- Allora sì, cosa?-.
- Accetto il suo invito. Sarebbe un bellissimo regalo di compleanno, professore, essere messa a parte delle vostre ricerche, per quanto assurde ed improbabili possano risultare-.
Si alzarono entrambi in piedi. Jackson l’aiutò a raccogliere le lattine di birra gettate sulla sabbia ed attese che la ragazza si infilasse le scarpe ai piedi; dopodiché lasciarono insieme il molo.

 

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Capitolo 4
*** Walter Hilde. ***


~~ Capitolo 4.

La casa del professor Hilde non distava effettivamente molto dal molo.
Era una piccola villetta che sembrava in procinto di cadere a pezzi, con un giardino poco curato ed una recinzione esterna non molto invitante.
Jennifer con una mente ormai quasi del tutto lucida stava riflettendo sulla decisione che aveva preso così avventatamente in un tempo ristretto.
Non riusciva a spiegarsi in alcun modo perché si fosse confidata con un uomo come il professor Jackson, che, pur essendo un adulto responsabile con cui aveva stretto un rapporto decente,  restava comunque uno sconosciuto. Nessuno all’interno della sua stretta cerchia di amici era mai stato scelto come confidente (se non Tony che sapeva del suo interesse per Tiffany, ma quella era un’altra questione) e l’ultima cosa che avrebbe voluto era farsi vedere debole e piangente davanti al professor Jackson, per il quale nutriva una grande stima e di cui aveva in parte un po’ soggezione.
Forse era stato il cedimento di pochi secondi a portarla a confessarsi con quell’uomo.
Era il giorno del suo compleanno e nessuno, nemmeno sua madre, se ne era ricordato; se ne stava sola ad ubriacarsi su quella spiaggia ed era sicura che quella morbosa tristezza, quella deprimente solitudine le piacesse, che avrebbe sempre preferito il silenzio alle parole di conforto di un adulto. Eppure si era sbagliata. Quell’uomo, quell’insegnante con cui ogni tanto, dopo le lezioni, si fermava a chiacchierare degli argomenti più svariati, quell’unica persona che in meno di un mese si era interessata del suo rendimento scolastico ( e aveva speso la sua pausa pranzo a parlare con lei e cercare di capire come poterla aiutare a migliorare i voti nella sua materia), forse contava per lei molto più di quanto avrebbe mai ammesso.
Nonostante Jackson si fosse preoccupato dei voti, mai le aveva chiesto dei suoi rapporti familiari,  dei pensieri che le fluttuavano nella testa, e mai si era dimostrato interessato al suo tremendo passato. Forse nemmeno si immaginava che Jennifer portasse sulle spalle un simile peso.
Ma quel pomeriggio nuvoloso di metà novembre Jennifer era quasi ubriaca e tormentata dal ricordo della sua amica Karen con cui aveva passato così tanti compleanni e che invece adesso non era lì a festeggiare con lei e lui era stato l’unico a trovarla, a sedersi accanto a lei, sulla sabbia, e a farle gli auguri. Forse, se Tony si fosse accorto della sua assenza ,l’avesse cercata e l’avesse poi raggiunta in spiaggia, forse avrebbe deciso di aprirsi con lui e gli avrebbe rivelato tutto, (a partire dalla morte di Karen, fino all’indifferenza di suo padre e alla freddezza di sua madre). O forse no. Non avrebbe saputo dire con certezza se avrebbe preferito parlare con Tony o con Jackson, ma di una cosa era sicura: non rimpiangeva affatto di aver confidato i propri segreti al suo insegnante, ad un adulto responsabile che si era interessato di lei, che l’aveva notata e considerata.
Adesso si trovavano entrambi di fronte alla porta d’ingresso della casa del collega di Jackson: Walter Hilde, questo era il nome scritto su un’etichetta accanto alla cassetta della posta.
Il professor Robert T. Jackson stava come attendendo qualcosa e non si decideva a suonare il campanello.
- Qualcosa non va, professore?- chiese la ragazza con una voce piuttosto sobria.
- E’ solo che…il mio amico, Walter Hilde…ecco è una persona un po’ strana e non so se apprezzerà molto un’intrusa-.
Jennifer fu visibilmente offesa da quel termine:- Come scusi? Un’intrusa?-.
- Sì…insomma, non gli ho detto niente. Non sa chi tu sia, né del tuo interesse per i nostri esperimenti-.
- Innanzitutto è stato lei ad invitarmi qui. In secondo luogo, non può semplicemente presentarmi al suo collega? E poi- aggiunse con un tono quasi stizzito:- Io non sono interessata ai vostri esperimenti. Non me ne importa niente di nulla-.
- Allora perché hai accettato?- le domandò lui, rivolgendole un sorrisetto ambiguo.
- Perché non avevo nulla di meglio da fare. E poi tutte quelle storie su universi paralleli eccetera eccetera sono solo un mucchio di balle. Voglio proprio vedere cosa vi siete inventati-.
Il professor Jackson non sembrò affatto turbato da quell’improvvisa reazione e si limitò a dire con semplicità:- Beh, se pensi che siano un mucchio di balle, puoi anche tornartene a casa oppure in spiaggia. Noi non abbiamo tempo da perdere con una ragazzina scettica-.
Jennifer indietreggiò istintivamente di un passo. L’insegnante non aveva usato un tono severo, né alterato, ma l’aveva ferita quasi come se le avesse assestato un pugno nello stomaco.
- Non mi chiami ragazzina- rispose con i denti serrati:- Non ho più dieci anni-.
- Bene- annuì il professore, compiaciuto:- Allora sarai in grado di decidere se restare oppure andartene. Sei interessata a queste ricerche oppure no?-.
Odiava il modo in cui la metteva di fronte ad una scelta definitiva: era necessariamente bianco o nero; o decideva di restare oppure se ne andava; o ammetteva di provare interesse per qualcosa oppure rimaneva coerente con i propri principi. Jennifer era di natura una pessimista ed una fatalista, ma adesso era più propensa a pensare in positivo e voleva credere a quelle improbabili teorie. Eppure le costava così tanta fatica dare ragione al professore e sbilanciarsi così tanto, umiliarsi, rimangiandosi le precedenti parole.
Jackson lo sapeva e si stava crogiolando nella propria gioia: era sicuro che quella ragazza non si sarebbe tirata indietro; sapeva che avrebbe chiesto scusa e avrebbe ammesso di provare interesse per quella piccola branca della scienza.
Forse Jackson aveva imparato a conoscere solo una parte di Jennifer, ma non avrebbe dovuto dare così per scontato la sua determinazione (e cocciutaggine).
- No- rispose semplicemente la ragazza, sollevando il mento in modo tronfio.
- No cosa?-.
- No- ripeté lei con decisione:- Non rimangerò quello che le ho appena detto. Sono ancora convinta che i vostri esperimenti siano delle stronzate e non ammetterò mai di volere essere messa a parte delle vostre “grandi scoperte”-.
- Quindi preferisci andare via?- domandò lui con voce dura:- Benissimo. Non sei una ragazza coerente, sappilo-.
- Non ho mai detto di esserlo- replicò lei ormai irritata:- Eppure non sono nemmeno incoerente, perché non le ho detto che me ne andrò via. Ho deciso che entrerò e vedrò i vostri esperimenti, benché non me ne freghi nulla-.
- Se devi farlo per fare un piacere a me, puoi anche tornare a sbronzarti in spiaggia. Pensavo di farti un bel regalo di compleanno, ma a quanto pare per te è solo un’inutile perdita di tempo-.
Fu in quel momento che la porta si aprì e ne uscì fuori un uomo sulla quarantina con una barba ispida e lievemente brizzolata, una massa di ricci neri in testa e un paio di occhietti vispi ed arrossati.
Sobbalzò nel trovarsi davanti le due figure che inizialmente non riuscì a mettere bene a fuoco, stordito dalla luce del giorno: non metteva piede fuori di casa da più di quarantotto ore.
- Ma che diamine…- borbottò, parandosi la vista con una mano.
- Walter!- esclamò il suo collega, sorridendogli:- Sei vivo, vecchio mio-.
- Robert!- rispose l’altro, riconoscendolo:- Sono quasi morto, a dire la verità. Sono due giorni che non lascio quel cazzo di laboratorio, ma ce l’ho fatta! Ho trovato la…ehm…chi è questa ragazza?-.
Jennifer si presentò in modo cordiale, stringendo la mano dell’ospite e sorridendogli gentilmente.
Sapeva che avrebbe dovuto fare i conti dopo con il suo insegnante, ma adesso non le importava nulla: non doveva pretendere troppo da lei; dopotutto lui era solo uno conoscente e lei era libera di fare quello che le pareva, senza l’obbligo di renderne conto a lui. Ammettendo pure il suo interesse per le scoperte dei due colleghi, cosa avrebbe ottenuto il professor Jackson? La soddisfazione di trovare delle contraddizioni in lei?
Non gli bastava come prova del suo coinvolgimento il fatto che lei avesse immediatamente accettato di seguirlo in un posto sconosciuto con la sola promessa di essere messa  a parte di alcuni loro segreti?
- Lei è una mia studentessa- aggiunse Jackson, tentando di posarle una mano su una spalla.
Jennifer intuì subito il movimento fin troppo confidenziale e si scostò appena, per fargli capire che non accettava alcuna riconciliazione con lui.
- Vorrebbe vedere alcuni nostri risultati- terminò il professore, lasciando cadere con nonchalance il braccio lungo il proprio fianco:- So che potrà sembrarti strano, ma Jennifer è un’ appassionata di quella che al giorno d’oggi viene miseramente chiamata “fantascienza” e le ho promesso di svelarle i nostri esperimenti. Stai tranquillo, non ne farà parola con nessuno…è troppo timida e poi nessuno le crederebbe. Non è vero Jennifer?-.
La ragazza gli lanciò uno sguardo furente: lei timida?
- Non ho alcun motivo per parlare di certe scoperte in giro. Chiunque mi prendere per una pazza-.
Il professor Hilde non sembrò particolarmente convinto:- Non lo so…non che tu mi dia l’idea di una ciarlona, ma questi sono progetti segreti. Sono degli esperimenti che io e Robert stiamo portando avanti in estrema segretezza, nessuno ne è mai stato messo a parte-.
 - In realtà una volta è successo- precisò Jackson:- Quando abbiamo provato a far pubblicare le nostre teorie su una rivista scientifica-.
Seguì un lungo silenzio in cui entrambi i colleghi tennero gli occhi fissati al suolo.
Jennifer fremeva dalla curiosità:- E come è andata a finire?-.
- Ovviamente non ci hanno preso sul serio. Ma un giorno me la pagheranno, quei balordi- terminò il professor Hilde, rivolgendo lo sguardo sull’orizzonte con aria carica d’odio.
- Possiamo entrare, dunque, Walter?- chiese Jackson con cautela.
- Sì. Ma la ragazza non deve toccare nulla. Facciamo un patto di sangue? Così di sicuro non ne parlerai con nessuno-.
Jennifer lo guardò disgustata ed ammirata allo stesso tempo: un patto di sangue? Quell’uomo era completamente folle.
- No. Niente roba strana- borbottò Jackson, scortando la sua studentessa all’interno della casa.

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Capitolo 5
*** Affare intrigante. ***


~~Capitolo 5.

Mezz’ora dopo erano tutti e tre seduti al tavolo della minuscola cucina di Hilde. La casa aveva davvero un odore sgradevole, oltre a delle stanze strettissime e poco pulite.
Hilde aveva preparato un thè per i suoi ospiti, ma né Jennifer né Robert Jackson sembravano intenzionati a berne anche solo un goccio, data la terribile condizione in cui versavano le tazzine.
- Sai, Walter- commentò improvvisamente il professore:- Credo che debba prenderti una pausa ogni tanto. Staccare per un po’ dal tuo lavoro. Magari dedicare qualche ora a te stesso o alla tua casa-.
- Al diavolo questa vecchia e marcia casa-.
- Credevo che vi fossi affezionato- replicò il professor Jackson.
- Sono solo affezionato alla mia vita da lupo solitario…non so se capisci cosa intendo dire-.
Hilde cercò con uno sguardo ammiccante la complicità del suo collega, ma Robert T. Jackson aveva già posato gli occhi altrove, attratto da una fotografia appesa alla parete di fronte a lui.
L’ospite notò l’interesse del suo amico e collaboratore per la foto incorniciata e sorrise compiaciuto:- Bella,  non è vero?-.
- Che cos’è?- domandò Jackson aguzzando  inutilmente la vista.
Jennifer non ci pensò due volte ed istintivamente, pur essendo ancora stordita dall’alcool ingerito, balzò in piedi per raggiungere la parete su cui si trovava la fotografia in questione.
A braccia conserte studiò l’immagine, spostando il peso da una gamba all’altra, inspiegabilmente insofferente.
- E’ una foto di quando ero alle superiori…bei tempi quelli- sospirò Hilde con tono nostalgico.
- Non sapevo che fossi così attaccato alla vecchia scuola-.
- In realtà odiavo tutti i professori e i compagni di classe, ma è quella sensazione di libertà, quel bivio davanti al quale tutti prima o poi veniamo posti, che mi manca davvero...-.
Jennifer continuò a tenere gli occhi fissi sulla foto color seppia, che ritraeva una schiera di venti studenti tra ragazzi e ragazze intorno ai diciotto, tutti vestiti con una stessa, monotona uniforme.
La conversazione tra Jackson e Hilde nel frattempo proseguì.
- Se avessi di nuovo la possibilità di scegliere- disse quest’ultimo, guardando attentamente il suo interlocutore:- e potessi decidere di fare qualunque cosa, credi che sceglieresti di nuovo questa strada?-.
Jackson rifletté in silenzio qualche istante su quel quesito: l’indice e il pollice della sua mano destra torturavano il mento, segno che era immerso in una questione importante.
Prima di dare una risposta definitiva, si voltò lievemente in direzione di Jennifer, ancora assorbita dalla foto, e sorrise appena:- Sì. Rifarei tutti gli stessi errori-confermò infine, soddisfatto:- Non cambierei l’insegnamento con nient’altro al mondo-.
Jennifer si voltò proprio in quel momento verso Hilde:- Lei chi è tra questi?- chiese, puntando l’indice sull’immagine.
- Indovina-.
Le bastarono pochi secondi per poter affermare con certezza che la figura magrolina con i capelli arruffati e un paio di occhialoni calzati sul naso lentigginoso era quella del professor Hilde.
-Le lentiggini non ci sono più- concluse l’uomo, stringendosi nelle spalle:- Misteri della fede-.
Jennifer scoppiò a ridere di cuore e si riaccomodò accanto al suo insegnante.
Passarono un altro quarto d’ora a chiacchierare del più e del meno, per sciogliere l’atmosfera e soprattutto per fare in modo che Hilde prendesse confidenza con Jennifer: Robert Jackson era sicuro che se non avesse testato da sé la ragazza, Walter non le avrebbe mostrato nessuna delle loro scoperte.
Jenny si lasciò progressivamente andare e Jackson riuscì a vedere il lato meno scontroso e più spontaneo della sua studentessa. Non aveva dubbi: la professione d’insegnante era la cosa migliore che gli potesse capitare.
- Bene, così tu sei interessata ai nostri studi- decretò alla fine Walter Hilde, quando fu sufficientemente convinto dalla lingua svelta e dalle risposte argute della diciassettenne:- Cosa ti piacerebbe esattamente sapere? Sappi che questo è un unicum, mia cara…io e Robert non mostriamo a tutti le nostre scoperte-.
- Lei parla di scoperte- osservò Jennifer, decisa a stuzzicare i due professori:- Ma io non ho mai sentito parlare in vita mia di universi paralleli…quindi dove sono tutte queste scoperte?-.
Hilde si alzò in piedi e le fece cenno con una mano di attendere qualche istante.
Sparì in qualche stanza della casa, lasciando professore ed alunna nuovamente da soli.
Jackson non resistette alla tentazione. Si voltò verso Jennifer e le disse:- Allora, queste scoperte ti interessano oppure no?-.
- La vuole smettere?- sbuffò l’altra:- Se continua con questa storia, mi alzo e me ne vado-.
- Mi stai mancando un po’ troppo di rispetto oggi-.
- Non siamo a scuola al momento- gli fece notare lei:- E mi sembra che il mio comportamento sia il solito-.
Jackson scosse la testa rassegnato:- Perché non vuoi ammettere di avere qualche passione?-.
- Perché questa può essere una passione per lei e per il suo collega, ma di certo non per me- replicò indignata Jennifer, drizzandosi sulla sedia di legno:- Voi avete votato le vostre intere vite a queste ricerche…io ho solo diciassette anni e non so cosa voglio fare della mia vita; non ho hobby, né interessi, né passioni e se mi voglio informare di questa storia degli universi paralleli è solo perché la trovo insolita. È un po’ come quando si parla di ufo e alieni, ha presente? Si sa che non è vero nulla, ma l’argomento è comunque…intrigante-.
Jackson preferì non continuare quella discussione: il fatto che Jennifer avesse descritto come “intrigante” la questione degli alieni e, per proprietà transitiva, anche quella degli universi paralleli, gli bastava come risposta al proprio quesito. Jennifer era una ragazza molto particolare: indubbiamente ermetica e scontrosa, ma anche fragile e insicura, priva di punti e modelli di riferimento; non aveva nessuno che la potesse indirizzare da qualche parte…era come una banderuola al vento.
Improvvisamente provò compassione per quella povera creatura, che a soli diciassette anni aveva sperimentato sulla propria pelle la morte, l’abbandono, l’indifferenza, la solitudine e, in fondo, anche la depressione.
Forse le serviva solo qualche stimolo, qualcosa che l’aiutasse a scoprire le proprie attitudini, le proprie passioni, qualcosa che la distraesse e la incoraggiasse. Jackson decise in quel momento che avrebbe aiutato ad ogni costo Jennifer Young ad uscire da quella spirale di solitudine, a sfondare quelle inutili barriere difensive che alzava con tutti.
- Potrebbe smetterla di fissarmi?- brontolò Jenny, infastidita dallo sguardo indagatore dell’insegnante:- Sono sporca? Ho qualcosa sul viso?-.
Jackson si rese conto solo in quell’esatto momento di aver incollato i propri occhi, involontariamente, sul volto della ragazza: gli capitava sempre di perdersi nelle proprie riflessioni e lasciare che il suo sguardo vagasse chissà dove.
- Scusami, stavo riflettendo- ammise lui, imbarazzato ed umiliato da quel rimprovero aspro.
Walter Hide finalmente fece rientro in cucina con un pacco polveroso di giornali lucidi.
Li sbatté senza complimenti sul tavolino di legno, rischiando di ribaltare thè, tazzine e teiera; poi, con aria decisamente compiaciuta li spinse verso la giovane conoscente.
- Cosa sono?- chiese Jennifer, prendendone uno.
- Le varie riviste scientifiche che hanno pubblicato dei risultati simili ai nostri, senza mai prendere in considerazione le nostre teorie…che cazzo!- esplose Walter, abbassando un pugno sul tavolo con violenza e pentendosi subito del proprio comportamento:- Oh scusami, non sono abituato ad avere ragazze, oltretutto minorenni, intorno-.
- Non preoccuparti, Walter- lo rassicurò Jackson, intromettendosi nella discussione:- Sa essere anche più volgare di te- aggiunse, lanciando una veloce occhiatina a Jennifer, che lo ignorò apertamente.
La ragazza era assorbita del tutto dalle riviste e le sfogliava avidamente una dopo l’altra.
- E’ incredibile! Pensavo che nessun giornalista con un minimo di buon senso volesse imbarcarsi in un’impresa kamikaze come questa- esclamò improvvisamente, sollevando gli occhi chiari dalle lettere stampate sui vari fogli:- Chi è così pazzo da scrivere articoli su “universi paralleli”?-.
Walter scoppiò a ridere e Jackson si limitò a fare un sorrisetto amaro.
- Lei- proseguì Jennifer, rivolgendosi al primo dei due uomini:- Non aveva detto che solo una volta avevate provato a far pubblicare su una rivista le vostre scoperte, ma non eravate stati presi sul serio?-.
Il professor Hilde annuì in un grave silenzio.
- E allora perché dice che “nessuno ha mai preso in considerazione le vostre teorie”, se avete tentato di confrontarvi solo con un giornale?-.
Jackson si sentì compiaciuto di avere come studentessa una ragazza così brillante.
Hilde replicò con un tono scoraggiato:- Non ci siamo più voluti esporre semplicemente perché bruciava parecchio l’umiliazione a cui siamo stati sottoposti-.
- Quanto tempo fa è accaduto?- lo interruppe Jennifer, impaziente.
- Che cosa?-.
- Il rifiuto da parte di quella cazzo di rivista!-.
- Oh!- esclamò Hilde, aggrottando di nuovo la fronte:- Mmh…un annetto fa-.
Jennifer schizzò in piedi e sbatté la rivista sotto al naso dello sconosciuto che la stava ospitando in casa propria e che conosceva da meno di due ore. Nessuno dei tre sembrò fare caso a quanta confidenza la ragazza si stesse prendendo.
- E allora riprovate! Diamine, non potete farvi scoraggiare da una rivista, oltretutto di stronzi, che non ha voluto pubblicare l’articolo! Ci sono almeno altri venti giornali che s’interessano di questa…roba che state studiando voi- proseguì la ragazza, animata da un’emozione completamente nuova e da un entusiasmo inspiegabile e del tutto nuovo. Sicuramente era stato l’alcool a farla eccitare in quel modo e a farla strillare.
- Insomma, siete due ricercatori e le vostre scoperte potrebbero davvero essere valide. Anzi, sono valide, cazzo! Dovreste riscrivere l’articolo e presentarvi nelle sedi di altre riviste! Ci sarà qualcuno pur disposto ad ascoltarvi, porca troia!-.
Quando il suo sfogo entusiastico fu concluso, Jennifer si riaccomodò al proprio posto e affondò la faccia nelle proprie mani, riacquistando la stessa espressione neutra e impassibile di sempre:- Scusate, non so cosa mi sia preso. Devo aver bevuto troppo…-.
- E invece mi sei piaciuta un sacco- replicò Hilde, a sua volta entusiasta:- Hai una grinta incredibile e, sai che c’è? Hai ragione. Forse dovremmo riprovare. Jackson, la tua studentessa è fantastica-.
Il professore annuì, soddisfatto.
- Dobbiamo rimboccarci le maniche e ritentare- continuò Hilde imperterrito, insistendo sullo stesso argomento. Terminato il discorso, rivolse uno sguardo speranzoso a Jennifer, che era però tornata ad essere la stessa adolescente indifferente e fredda di sempre, probabilmente confusa e spaventata da quell’improvvisa ondata di entusiasmo che l’aveva travolta.
-  Walter, comunque io te l’avevo detto che imprecava molto più di te- osservò Jackson, sorridendo.

 

 

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