Scritto nel Destino di Alexandra e Mac (/viewuser.php?uid=175435)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -prologo- Tramonto ***
Capitolo 2: *** All'alba ***
Capitolo 3: *** Ispirazione ***
Capitolo 4: *** Cambiamento ***
Capitolo 5: *** Ostacoli lungo il percorso ***
Capitolo 6: *** La Maison Dior ***
Capitolo 7: *** Fotografando un sogno ***
Capitolo 8: *** Lady Sinclair ***
Capitolo 9: *** Al Castello ***
Capitolo 10: *** Una scoperta ***
Capitolo 11: *** Strane sensazioni ***
Capitolo 12: *** Ripensamenti ***
Capitolo 13: *** Seduzione in abito rosso ***
Capitolo 14: *** Felicità ***
Capitolo 15: *** Parigi di notte ***
Capitolo 16: *** Monique ***
Capitolo 17: *** Un intruso al castello ***
Capitolo 18: *** Sua Signoria, l'erede del Duca ***
Capitolo 19: *** Al lavoro insieme ***
Capitolo 20: *** Solo amici ***
Capitolo 21: *** Nei dintorni ***
Capitolo 22: *** Sogno o realtà? ***
Capitolo 23: *** Gelosia ***
Capitolo 24: *** La fine di un idillio ***
Capitolo 25: *** Un nuovo legame ***
Capitolo 26: *** Riflessioni ***
Capitolo 27: *** Un progetto in comune ***
Capitolo 28: *** Preparativi ***
Capitolo 29: *** Valzer viennese ***
Capitolo 30: *** Sogno di una notte di inizio estate ***
Capitolo 31: *** Incontro al destino ***
Capitolo 32: *** Desiderio ***
Capitolo 33: *** Sfumature di un inganno ***
Capitolo 34: *** Novità ***
Capitolo 35: *** Un nuovo piano ***
Capitolo 36: *** Progetti ***
Capitolo 37: *** Notte d'amore ***
Capitolo 38: *** Amore di notte ***
Capitolo 39: *** Una proposta ***
Capitolo 40: *** Confessioni ***
Capitolo 41: *** Mr. e Mrs. Rabb ***
Capitolo 42: *** Senza di lei ***
Capitolo 43: *** Ritorno a Cluny ***
Capitolo 44: *** La scommessa ***
Capitolo 45: *** Sulle tracce di un amore ***
Capitolo 46: *** -epilogo - Scritto nel Destino ***
Capitolo 1 *** -prologo- Tramonto ***
Disclaimers :
Il marchio
JAG e tutti i suoi personaggi appartengono alla
BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno
scopo
di lucro.
Qualunque riferimento a fatti o persone, che non
siano
avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.
I contenuti del racconto sono tutelati ai sensi
della legge
633/1941 (legge sul diritto d’autore). Tutti i diritti riservati.
Nota
dell’autore:
Pubblico
questo racconto (perché più di “racconto” che di fanfic si tratta) in
questa
sezione, benché sia incentrato su personaggi che con Jag hanno ben poco
a che
fare, solo per il fatto che, assieme ad Harm e Mac, questi personaggi
sono
stati i protagonisti dei due capitoli precedenti di questa trilogia.
Lo
pubblico, inoltre, sotto il nick
“Alexandra
e Mac” nonostante
lo
abbia scritto da sola perché trattasi, appunto, del capitolo conclusivo
della
serie “SCRITTO
NEL DESTINO” e anche perché
l’idea di questo racconto, che avrebbe dovuto concludere il nostro
viaggio
nella Storia, io e Mac l’avevamo avuta assieme.Pu
rtroppo,
poco dopo aver buttato giù a grandi linee la trama di questa storia, la Vita
ci ha allontanate:
impegni e interessi diversi hanno modificato le nostre priorità e
abbiamo
smesso di scrivere insieme.
Io
stessa, per molto tempo, ho smesso di scrivere: JAG era terminato e con
esso
l’ispirazione. Questa storia appena abbozzata, tuttavia, restava lì, nella mia
testa. Per passatempo,
dopo un anno circa che giaceva abbandonata, mi venne voglia di
riprenderla in
mano e tentare di farla rivivere. Tra alti e bassi di un’ispirazione
che andava
e veniva senza neppure un filo logico, un bel giorno mi sono resa conto
che
avevo scritto parecchio e che quindi questo racconto meritava di avere
una
conclusione e di essere pubblicato. Ne
ho parlato con Mac la quale, benché dispiaciuta di aver abbandonato la
nostra
idea, non ha avuto obiezioni in merito.
E
così, sempre tra gli alti e bassi di un’ispirazione ballerina, non ho
desistito:
l’ho rivisto, in parte riscritto e terminato e, alla fine, a distanza
di anni
dall’idea iniziale, eccovi l’ultimo capitolo della trilogia “SCRITTO NEL DESTINO”.
Certamente
questo racconto è diverso da quello che sarebbe stato se io e Mac lo
avessimo
scritto assieme. Ciò
non è stato possibile, quindi quello che leggerete è la “mia
idea” di quell’idea comune iniziale.
Spero
che vi piaccia comunque.
Nel
pubblicare questo primo capitolo, colgo l'occasione di augurare a tutti
voi Buona Pasqua!
Alexandra
Capitolo I
Prologo
Tramonto
Alla
luce della lampada la penna scorreva
rapida sul foglio, nonostante la mano che l’impugnava dimostrasse,
ormai da
tempo, i segni dell’età. Una parola dopo l’altra i pensieri si
trasferivano
dalla mente alla pagina bianca attraverso una calligrafia ancora ferma
e sempre
elegante.
Soddisfatto
di sé, l’uomo sorrise: il suo cuore
ogni tanto faceva i capricci, ma la mente funzionava ancora e si
sentiva lucido
come a vent’anni. O forse era più giusto dire come vent’anni prima.
Nella
stanza il camino acceso riscaldava
l’ambiente e lo illuminava di una luce dorata; benché fosse estate il
temporale
del pomeriggio aveva rinfrescato l’aria e il tepore del fuoco mitigava
l’umidità della notte.
L’uomo
controllò l’orologio: segnava l’una e un
quarto eppure non aveva ancora sonno. Si era messo a scrivere appena
dopo la
mezzanotte, e oramai aveva intenzione di terminare prima di raggiungere
sua
moglie a letto; purtroppo da alcune settimane le cose da annotare erano
troppe,
ma quando aveva la mente affollata di pensieri difficilmente riusciva
ad
addormentarsi. Era sempre stato così, fin da ragazzo: doveva scrivere
tutto
quanto e solo allora riusciva a prendere sonno. Per fortuna alla sua
età gli
bastavano poche ore di riposo.
Era
preoccupato per la situazione politica
creatasi dopo l’attentato del 28 giugno e sentiva nell’aria odore di
guai
grossi; conosceva troppo bene le pedine sulla scacchiera per non
immaginare i
giochi che si sarebbero fatti.
Forse
ancora nessuno aveva compreso appieno che
quel lutto, pianto come una tragedia familiare, in realtà si profilava
piuttosto come un disastro spaventoso; ma lui aveva pochi dubbi su come
si
sarebbe evoluta la faccenda, era solo questione di tempo, e forse
neanche
tanto.
Avrebbe
dato metà del suo patrimonio per avere
vent’anni in meno e poter partecipare alle trattative diplomatiche
poiché,
forse, un suo intervento avrebbe potuto scongiurare ciò che ormai
temeva come
imminente; mentre avrebbe dato la restante metà per evitare che i suoi
figli e
i suoi nipoti vi assistessero.
I
suoi ragazzi…
Era
orgoglioso di ognuno di loro, senza
distinzione. Adorava le sue bambine, le aveva adorate fin dal primo
sguardo. E
amava molto i due maschi, anche se da anni evitava di dirglielo, si
limitava a
farglielo capire. E poi c’erano i nipoti... quattro ragazzi e cinque
ragazze
che erano la gioia della sua vecchiaia e che avrebbero continuato la
sua
discendenza.
L’ormai
familiare sfarfallio al cuore gli
impose di posare la penna, appoggiarsi allo schienale della sedia e
respirare
profondamente. Certe preoccupazioni, alla sua età, avrebbe dovuto
risparmiarsele, il medico gliel’aveva raccomandato più di una volta. Ma
per non
preoccuparsi avrebbe dovuto ignorare ciò che accadeva nel mondo e non
era nel
suo carattere, non lo era mai stato.
Era
sempre stato un uomo molto attivo e ben
calato nella realtà del suo tempo, non avrebbe smesso proprio ora di
esserlo.
L’età avanzava inesorabile e il corpo non era più robusto e potente
come quando
aveva trent’anni, ma lo spirito e la mente se li sentiva ancora quelli
di
allora pertanto, nonostante la tragicità degli eventi e ciò che temeva,
la
situazione di quel momento, precaria, instabile e potenzialmente
pericolosa,
era al tempo stesso stimolante per un uomo che aveva fatto della
diplomazia e
della strategia politica due tra le ragioni principali della propria
vita.
Tuttavia,
in quel preciso istante, l’età si
stava facendo sentire e, nonostante i respiri profondi, il suo cuore
non
accennava a tranquillizzarsi. Decise di mettersi più comodo: si alzò,
si
diresse con passo incerto verso la poltrona davanti al camino e si
sedette. Si
rese subito conto che quel breve tragitto lo aveva affaticato molto più
del
solito, allora allungò le braccia e respirò di nuovo a fondo, per
riprendersi.
Sentì
la lingua calda di King, il suo adorato
setter irlandese, che gli lambiva la mano sinistra, quasi ad
infondergli forza
e tranquillità. Sollevò la mano e grattò la testa all’animale, che lo
seguiva
come un’ombra da ormai otto anni; il cane uggiolò beato e si accoccolò
a terra,
il muso come sempre appoggiato sui suoi piedi.
L’uomo
abbandonò il capo sullo schienale e
rimase per qualche attimo in contemplazione del cielo stellato che si
vedeva
attraverso i lucernai al soffitto. Il temporale aveva soffiato via le
nuvole
che avevano reso buia fin dal mattino la giornata appena trascorsa.
Si
sentiva esausto.
Lasciò
vagare i pensieri, come spesso faceva
quando si sedeva sulla poltrona del suo studio. Adorava quella stanza
ampia e
luminosa, il suo rifugio di solitudine e tranquillità, soprattutto
quando i
bambini erano piccoli. Eppure era stato proprio lui a volere l’ampia
vetrata
verso il giardino, per poterli osservare giocare o correre felici tra
le
braccia della loro madre.
Lei
era sempre bella come il giorno in cui lo
aveva fatto innamorare… avrebbe tanto voluto raggiungerla e stendersi
accanto a
lei, come faceva da ormai più di cinquant’anni, ma
si rese conto di non riuscire più ad alzarsi.
Era
come se l’energia che ancora attraversava
il suo vecchio corpo all’improvviso lo avesse abbandonato e che, in
pochi
minuti, tutti gli ottantacinque anni che avrebbe compiuto di lì a
quattro
giorni gli fossero caduti sulle spalle.
Anche
i pensieri cominciavano a sfuggirgli...
attraversavano la sua mente senza un nesso logico...
Si
guardò attorno, quasi a ricercare sicurezza
negli oggetti che lo circondavano, nei suoi libri, nelle sue carte...
ma tutto
gli appariva sfocato, come in un sogno.
Percepì
il proprio respiro più affannato del
solito e all’improvviso comprese d’essere giunto alla fine del suo
percorso.
Non avrebbe assistito al precipitare degli eventi.
Sentì
gli occhi inumidirsi di lacrime, ma non
piangeva per se stesso… aveva avuto una vita piena e bellissima e non
aveva
rimpianti.
Le
lacrime erano per lei, per sua moglie.
Un
mese prima aveva avuto un leggero attacco di
cuore e lei si era spaventata moltissimo; era riuscito a
tranquillizzarla solo
promettendole che non l’avrebbe mai lasciata.
Aveva
promesso sapendo di non mentire, perché
per nulla al mondo avrebbe desiderato abbandonarla; tuttavia, sapendo
di non
poter essere certo di mantenere la parola data, non appena si era
ripreso tanto
da riuscire ad alzarsi dal letto, le aveva scritto alcune lettere, che
in quel
momento si trovavano chiuse nel cassetto della scrivania: l’ultima
l’aveva
terminata proprio quella sera, poco prima di iniziare a scrivere il suo
diario.
Lettere in cui l’amava a parole come, per oltre cinquant’anni, l’aveva
sempre
amata con tutto se stesso.
Eppure
sapeva che quelle parole non sarebbero
bastate ad attenuare il suo dolore. Nonostante le lettere, lei avrebbe
sofferto… e lui avrebbe dato qualunque cosa per evitarle ogni
sofferenza… dal
giorno in cui l’aveva conosciuta aveva fatto il possibile perché non
soffrisse
e per renderla felice.
Una
morsa più violenta delle altre gli strinse
il petto e lo fece rimanere per qualche istante senza fiato.
Chiuse
gli occhi e alla mente apparvero i volti
sorridenti dei suoi figli. Gli sarebbero mancati molto…
Poi
apparve quello di lei, incantevole come la
prima volta che l’aveva veduta: conoscerla e innamorarsi d lei era
stata la
stessa cosa. Come in un gioco d’illusione, l’immagine di allora si
sovrappose
alla bellezza del suo viso ormai accarezzato dagli anni.
Avrebbe
voluto toccarla… stringersi a lei e
addormentarsi per sempre tra le sue braccia… Tentò di alzarsi, per
raggiungerla
a letto, ma non riuscì neppure a muoversi. Gli sfuggì un debole gemito
e una
lacrima gli scivolò lungo la guancia.
Nello
stesso istante il suo cuore cessò di
battere ed egli, esalando il suo ultimo respiro, reclinò il capo, il
nome della
donna amata ancora tra le labbra.
Con
la sensibilità tipica degli animali, King
percepì immediatamente la morte del padrone e si alzò da terra,
guaendo, mentre
riprendeva a leccargli la mano ormai priva di vita.
Di
lì a poche ore dalla vetrata alle sue spalle
il cielo si sarebbe schiarito, portando con sé l’alba del 14 luglio.
Quattordici
giorni dopo l’Austria avrebbe
dichiarato guerra alla Serbia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** All'alba ***
Capitolo II
All' alba
Sentiva solo
il suo respiro; il respiro e il rumore sordo
e cadenzato dei passi che battevano sul bagnasciuga, scandendo il ritmo
della
sua corsa mattutina. Ogni tanto il verso di qualche gabbiano a caccia
della
colazione.
L’alba era
sorta da poco.
Era uscito
quando le prime luci del giorno illuminavano
appena la linea dell’orizzonte e l’aria fredda e umida della notte non
aveva
ancora lasciato il posto al lieve tepore del sole; aveva indossato un
paio di
short e una canottiera, come sempre, ma aveva aggiunto una felpa
leggera per
sopportare l’aria frizzante del mattino almeno finché la corsa non lo
avesse
riscaldato a sufficienza.
La spiaggia
era deserta.
Si era
prefissato di correre per circa un’ora, non
importava fin dove sarebbe arrivato. Avrebbe pensato più tardi a come
rientrare. Dopo una colazione abbondante in un caffè lungo la spiaggia,
avrebbe
chiesto un passaggio. Oppure avrebbe potuto affittare una bici. O
ritornare a
piedi, così com’era arrivato.
Il tempo, in
quei giorni, non importava. Era suo. Soltanto
suo.
Un paio di
settimane prima aveva messo piede in quel
piccolo paese francese affacciato sulla costa atlantica e fin dal primo
momento
aveva provato l’irrefrenabile desiderio di correre su quella spiaggia
solitaria
e selvaggia, forse perché ben si addiceva al suo stato d’animo in quel
periodo:
solitario e selvaggio.
Dal giorno
successivo il suo arrivo l’aveva fatta
diventare una piacevole abitudine.
L’anno appena
trascorso era stato davvero difficile: la
promozione del suo ultimo romanzo aveva richiesto una campagna
pubblicitaria
pressante e faticosa ed era stato costretto dal proprio agente a
soddisfare le
richieste dell’editore.
Ma sarebbe
stata l’ultima volta.
Non gli
importava se i suoi libri vendevano centomila o duecentomila
copie. Non a lui. Quelle cifre importavano solo a quei due pescecani. A
lui
importava solo di scrivere.
Scriveva per
i lettori, ovviamente; ma aveva iniziato a
scrivere, brevi racconti oltre
al suo
diario e a penosi tentativi di poesia, soprattutto per se stesso e si
era
ripromesso che quello sarebbe stato sempre il suo obiettivo principale.
Invece
le cose avevano preso una piega diversa da quella decisa quando,
improvviso,
era arrivato il successo proprio con il suo primissimo romanzo,
pubblicato a
soli venticinque anni.
Dopo cinque
best-seller, praticamente uno all’anno, si era
accorto che certe cose non facevano per lui. O meglio: se n’era accorto
molto
prima, ma aveva permesso che gli eventi lo travolgessero.
Era giunta
l’ora di cambiare la situazione e
riappropriarsi della propria vita e, soprattutto, della propria
creatività.
Aveva
abbandonato il suo loft di New York ed era partito
per l’Europa.
Indeciso fino
all’ultimo sulla meta, una sera aveva aperto
un vecchio atlante (ne conservava ancora uno tra i suoi numerosi libri)
su una
pagina a caso e il caso l’aveva condotto in Francia. Non ci aveva
pensato due
volte: l’idea di quindici giorni, un mese… forse anche due, in uno
sperduto
paesino sulla costa atlantica, dove nessuno lo conosceva, l’aveva
attratto in
maniera irresistibile. Si era immaginato una specie di novello Ernest
Hemingway
a caccia di esperienze, di nuovo ossigeno per la propria ispirazione.
Magari
avrebbe ambientato proprio in Francia il suo prossimo romanzo.
Già, il suo
prossimo romanzo: aveva solo qualche idea
confusa che ogni tanto gli frullava nella mente; andava e veniva, senza
soffermarsi. Ancora nulla di concreto.
Non aveva la
trama giusta, non sapeva bene neppure dove né
in quale periodo storico ambientare la vicenda ma, soprattutto, non
aveva
ancora un titolo. Quando arrivava il titolo, la storia c’era. Ed era
quella
giusta. Purtroppo finché il titolo restava un mistero, le idee gli
riempivano
la mente, ma tutto il processo creativo si fermava lì.
Non
arrivavano immagini, non arrivavano parole.
Continuavano ad arrivare solo idee confuse, che si accavallavano senza
sosta,
l’una sull’altra.
Solamente il
titolo metteva fine a tutto quel disordine e
chiariva ciò che ancora restava oscuro. Da quel momento in poi era in
grado di
scrivere per ore ed ore, senza interruzione, finché le pagine non
assumevano la
forma desiderata: le immagini descritte diventavano quelle che aveva
visto con
gli occhi della mente e le parole sul foglio erano le stesse che aveva
sentito
risuonare nelle proprie orecchie.
Purtroppo
negli ultimi mesi non era arrivato proprio
nulla, se non poche idee vaghe. Di immagini e parole neanche l’ombra.
In quel nulla
totale, c’era un’unica cosa di cui
finalmente si era reso conto e della quale ormai era assolutamente
certo. Non
era mai accaduto, infatti, che trascorresse così tanto tempo senza che
qualcosa
prendesse forma nella sua testa; sapeva che la maggior parte della
colpa era da
attribuire alla sensazione di disagio che lo assaliva quando un libro
era terminato
e la sua pubblicazione imminente, ma il fatto che quel vuoto assoluto
durasse
così a lungo doveva pur dirgli qualcosa.
Sempre più di
frequente le idee per il nuovo romanzo, che
già cominciavano ad affacciarsi al suo subconscio quando ancora non
aveva
scritto la parola fine al lavoro
che
stava terminando, finivano con lo scomparire, soffocate proprio da quel
disagio; a suo avviso, però, il protrarsi della mancanza d’ispirazione
stava a
significare che c’era qualcosa in più: desiderava un cambiamento. Un
cambiamento rispetto a ciò che aveva scritto fino a quel momento.
Aveva sempre
odiato tutto ciò che comportava il successo e
il lancio di un nuovo libro: le interviste, la pubblicità, scegliere le
immagini per la copertina… tutti dettagli che a lui non interessavano,
ma che
richiedevano il suo tempo.
L’unica cosa
che a lui interessava, invece, era potersi
concentrare su quelle nuove idee che gli frullavano nella testa, quei
teneri e
indifesi germogli che sarebbero scomparsi immediatamente se non
coltivati con
sufficiente pazienza e attenzione.
Purtroppo
quello era il prezzo del successo, e, mentre le
nuove idee svanivano così com’erano affiorate alla mente, a lui
restavano
soltanto tutte quelle incombenze da soddisfare. Ma fino ad allora,
terminato il
periodo legato alla promozione del suo ultimo romanzo, le idee
tornavano con la
stessa rapidità con la quale erano scomparse, e lui poteva immergersi
di nuovo
nella scrittura, finché terminava un nuovo best-seller e il ciclo
ricominciava.
Per fortuna,
con un po’ d’astuzia, era riuscito almeno a
convincere l’editore ad evitare servizi fotografici, di qualunque tipo
e per
qualunque motivo.
Odiava l’idea
di essere sotto i riflettori, eppure
sua madre continuava a dirgli che era
così bello che avrebbe potuto benissimo fare il modello… forse aveva
ragione,
pensò sorridendo, meditando sulla corporatura forte e atletica che
Madre Natura
gli aveva donato. Alto e con ampie spalle, aveva la fortuna di
possedere anche
un volto affilato, dai bei lineamenti finemente cesellati. La carriera
di
modello, tuttavia, non era la sua strada.
Lui
desiderava scrivere. Solo scrivere, fin da quando era
ragazzo.
Senza
smettere di correre, si levò la felpa e la legò in
vita. L’aria cominciava a riscaldarsi.
Sorrise
divertito, ricordando l’espressione dell’editore
quando lo aveva visto per la prima volta di persona: si era sfregato le
mani al
pensiero di poter mettere in copertina l’immagine di un giovane
scrittore tanto
attraente. I libri avrebbero venduto di più, gli aveva detto
compiaciuto. Era
probabile che sognasse già cartelloni pubblicitari con la sua immagine
in
formato gigante. Ma lui aveva stroncato sul nascere quell’entusiasmo:
appena
aveva scorto quel particolare luccichio negli occhi dell’editore,
subito si era
visto costretto a sopportare anche la tortura di sfibranti servizi
fotografici
e così lo aveva convinto ad abbandonare l’idea di sfruttare la sua
prestanza
fisica per incrementare le vendite, con la brillante trovata di creare
attorno
alla propria persona un alone di mistero che, in un mondo dove
l’immagine ormai
contava più d’ogni altra cosa, avrebbe incuriosito più del suo volto
sul retro
della copertina.
Aveva esteso
la storiella anche ad eventuali foto per
interviste… in pratica s’era creato il personaggio dello scrittore
senza volto,
e l’idea aveva fatto centro. Ai lettori era piaciuto l’alone di mistero
che
circondava la sua persona e acquistavano i suoi romanzi perché
avvincenti e ben
scritti e non perché l’ultima produzione dello scrittore bello e sexy!
L’editore era
contento, il suo agente pure ed entrambi non
avevano più insistito con le foto in copertina. Ora erano proprio loro
i primi
a tutelare la sua immagine e a controllare che ogni intervista fosse
priva di
un qualunque servizio fotografico, persino del minimo scatto effettuato
da un
cellulare.
E così almeno
quella tortura se l’era risparmiata!
Guardò
l’orologio e scoprì di aver corso per più di
mezz’ora.
Non si
sentiva per niente stanco. Anzi, ad ogni passo, ad
ogni respiro, ad ogni tensione dei muscoli, sentiva una nuova energia
impadronirsi di lui, come non gli accadeva da settimane.
Aveva fatto
bene a staccare la spina e scomparire per un
po’.
Si sentiva
libero, finalmente. Libero e selvaggio, proprio
come quella spiaggia deserta. Avrebbe tanto desiderato avere con sé
Joy, la sua
cavalla araba, uno splendido esemplare dal mantello nero che aveva
acquistato
con i proventi del suo primo romanzo; quando era in California, a casa
dei suoi
genitori, ogni mattina poco prima dell’alba montava in sella a piedi
scalzi e
con indosso solo un paio di vecchi jeans e la lanciava in un galoppo
sfrenato
lungo la spiaggia... correvano insieme, criniera e capelli al vento,
due
animali selvaggi, finché Joy non decideva che era l’ora di rientrare;
allora le
permetteva di ricondurlo a casa al passo, mentre si godeva il sole che
lentamente sorgeva ad illuminare la giornata.
Invece aveva
lasciato Joy in America, per evitarle lo
stress di un viaggio oltreoceano solo per soddisfare il suo desiderio
di
libertà.
Avrebbe
dovuto accontentarsi delle proprie gambe, quel
mattino, per sentirsi libero.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Ispirazione ***
Capitolo III
Ispirazione
La donna
camminava lungo la battigia, le scarpe in una
mano e una sciarpa ad annodarle i capelli, che le svolazzava attorno al
viso
come le ali di una farfalla bianca. Bianco era anche l’abito che
indossava.
Procedeva
lenta, affondando i piedi nudi nella sabbia
ancora umida, mentre la brezza a tratti gonfiava e sollevava la gonna,
scoprendole le gambe snelle. Camminava osservando l’acqua spumeggiante
lambirle
i piedi; ogni tanto, tuttavia, alzava lo sguardo e si perdeva a
contemplare
la linea dell’orizzonte che si andava delineando alla luce rosata
dell’alba. In
lontananza, in direzione dell’Inghilterra, il profilo scuro di una nave
sembrava aver attratto la sua attenzione: forse il ricordo del viaggio
fatto da
poco.
Due giorni
prima era sbarcata a Calais, di ritorno dalla
contea dello Hampshire, la stessa che aveva visto i natali di Jane
Austen e
Charles Dickens e dove si trovava la residenza in cui era nata sua
madre;
preferiva sempre navigare o, in alternativa volare, piuttosto che
attraversare the Chunnel, il tunnel
ferroviario della
Manica: l’aveva fatto una volta sola da ragazza, con suo padre, e le 23
claustrofobiche miglia di percorso sottomarino nonostante l’alta
velocità del
treno, le avevano fatto giurare che mai più lo avrebbe utilizzato,
piuttosto
avrebbe attraversato il Canale a nuoto!
Una volta
sbarcata, anziché rientrare subito a Parigi, si
era concessa qualche giorno in quel piccolo paese di mare sulla costa
atlantica
per pensare. Il viaggio che aveva intrapreso non aveva dato i frutti
sperati:
non aveva trovato ciò che era andata a cercare e ora era punto e a
capo.
Aveva davvero
sperato di trovare quel vecchio cimelio di
famiglia tra gli effetti personali di sua madre, invece aveva cercato
ovunque
nella casa dei suoi avi materni, rovistando persino fra vecchi
documenti dei
nonni; aveva anche domandato ad Anthony, il figlio del vecchio
maggiordomo
tuttofare, che lei aveva promosso ad amministratore e che si occupava
della
tenuta in sua assenza, se ricordava qualcosa in proposito, ma anche
quello era
stato un buco nell’acqua. Anthony, che portava lo stesso nome di suo
padre e di
suo nonno e del bisnonno ancora prima, ricordava moltissimi particolari
della
propria famiglia e di quella dei suoi antenati, particolari tramandati
di padre
in figlio, così come, da secoli ormai, sembrava che fosse tramandato il
nome
del primogenito maschio, quasi fosse una specie di “onore” che il
maggiordomo
della famiglia di sua madre dovesse chiamarsi Anthony; tuttavia tra
quei ricordi
l’oggetto che lei stava cercando non rientrava.
Era partita
dalla Francia con l’assoluta certezza di
trovare in Inghilterra ciò che stava cercando da oltre un anno, ossia
da quando
era entrata in possesso della sua parte di eredità alla morte dei
genitori. Ora
si sentiva un po’ triste e depressa, perché non aveva proprio idea di
dove
guardare ancora; anzi, a dire il vero, cominciava a pensare che quel
cimelio
appartenuto al suo antenato non esistesse più.
Stava
rimuginando su questi pensieri, oltre a riflettere
che era ormai tempo di rientrare a Parigi dove il lavoro l’attendeva,
quando
una folata di vento improvviso le sollevò i capelli insieme alla
sciarpa bianca
che li legava, la quale si sciolse e, trasportata dall’aria, si librò
in cielo
come gabbiano.
Avvenne tutto
in un attimo e la giovane donna si accorse
troppo tardi di non riuscire più ad afferrarla; d‘istinto si voltò per
inseguirla, proprio mentre dietro di sé un uomo che correva sulla
spiaggia, a
sua volta immerso nei propri pensieri, si era accorto della sua
presenza solo
quando aveva intravisto qualcosa di candido passargli davanti; egli
tentò di
fermarsi, ma non fu rapido a sufficienza per evitare che la donna gli
finisse
addosso: se la ritrovò tra le braccia, disorientata dallo scontro
improvviso.
Per alcuni
istanti rimasero a guardarsi negli occhi,
finché la sciarpa non li distrasse entrando nel loro campo visivo
mentre,
rincorrendo i capricci della brezza mattutina, si abbassava sul mare,
imitando
ancora una volta il volo di un gabbiano, per poi dirigersi verso di
loro. La
donna cercò di prenderla ma il tessuto capriccioso seguiva i giochi del
vento e
si allontanò di nuovo. L’uomo reagì subito e, con due agili falcate,
afferrò al
volo la lunga stola in seta candida un attimo prima che cadesse in
acqua.
Con un
sorriso si voltò verso la sconosciuta e gliela
porse; lei la recuperò, facendogli un breve cenno di ringraziamento col
capo.
Per qualche
attimo rimasero ancora a guardarsi negli
occhi; poi la donna si mosse appena, un gesto impercettibile nel quale,
tuttavia, egli colse dell’imbarazzo. Allora la salutò e riprese la sua
corsa,
lasciandola sola a scrutare il mare.
***
Rilassato
dall’incedere regolare e ritmato dei propri
passi, tentò di ripensare al volto della giovane sconosciuta,
accorgendosi di
ricordarne solo vagamente i lineamenti, che gli erano sembrati
graziosi.
L’unico particolare del quale si ricordava alla perfezione erano gli
occhi,
soprattutto il colore, un intenso turchese, molto simile alla tonalità
del
mare, o del cielo, in una chiara e luminosa giornata estiva.
Rallentando
si voltò verso di lei e la vide ferma, così
come l’aveva lasciata, lo sguardo ancora perso in lontananza ad
osservare la
linea dell’orizzonte; una figura solitaria, bianca alla luce rosata
dell’alba
appena sorta. Si era riannodata la sciarpa attorno al capo e la brezza
sollevava i lembi del tessuto in un groviglio di capelli scuri e
chiazze
candide, creando un contrasto che gli trasmetteva un non so che di
nostalgico.
Si fermò ad
osservarla, affascinato dall’immagine che, in
quel preciso istante, si stava formando nella sua mente: una donna, in
abiti settecenteschi
o dell’Ottocento… il particolare non era ben definito… sul ponte di una
nave,
un antico veliero, in mezzo all’oceano, che tratteneva e copriva i
capelli con un
lungo scialle dello stesso colore dell’abito…
Continuando a
correre, assecondò la propria immaginazione,
lasciandola libera di esprimersi, e subito si sentì carico di una nuova
energia.
Nella testa,
in rapida successione, le immagini gli scorrevano
una dietro l’altra, pronte per essere organizzate e successivamente
tradotte in
parole…
Sorrise
compiaciuto: finalmente l’ispirazione stava
ritornando.
Sentì che era
la volta buona ed era certo che se avesse
permesso alla propria mente di agire, presto sarebbe arrivato anche il
titolo.
E con il
titolo anche il suo prossimo romanzo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Cambiamento ***
Capitolo IV
Cambiamento
Rientrò dalla
corsa pervaso da una strana euforia.
Accadeva sempre così quando, finalmente, i pezzi del puzzle
cominciavano ad
incastrarsi e il quadro, dapprima sfocato, cominciava ad assumere una
forma più
definita.
Prese il
cellulare e compose un numero.
“Pronto”
rispose una voce femminile dal piglio sicuro.
“Mamma!”
“Andrew,
tesoro, finalmente! Sono settimane che sei
sparito”
“Scusami
mamma, avevo bisogno di staccare da tutto e da
tutti. Papà come sta?”
“Bene, ma tu
dove sei?”
“In Francia,
con un nuovo progetto in testa”.
“Raccontami tutto”.
Immaginò,
dall’altra parte del mondo, la madre che si
sedeva sulla sua poltrona preferita, nel salotto della casa dei suoi
genitori
in California, il quale traboccava, oltre che di volumi di vario
genere, anche
di tutte le prime edizioni dei romanzi del figlio, tradotte in varie
lingue e
autografate, nonché dei
premi da lui
vinti durante la sua, seppur breve, travolgente carriera di scrittore.
“Sto pensando
di scrivere un romanzo storico ambientato
nell’Ottocento”.
“Come mai
quest’idea?”
“Sono stanco
di ciò che ho scritto finora: assassini, beghe
da tribunale, spionaggio... Vorrei cimentarmi con qualcosa di diverso e
di più
impegnativo. Credo d’aver bisogno d’un cambiamento, per ritrovare
l’ispirazione. E poi...” si fermò, indeciso se continuare.
“E poi cosa?”
lo stuzzicò la madre.
Sorrise,
ricordando com’era sempre stata capace di
convincerlo, fin da piccolo, a raccontarle ogni pensiero che gli
passava per la
mente. Era stato fortunato: con entrambi i genitori aveva sempre avuto
un
rapporto speciale di intesa e di confidenza.
“Vedi... il
passato mi ha sempre affascinato; fin da
bambino mi è sempre piaciuto immaginare, ogni volta che mi trovavo in
un posto
nuovo, come avessero vissuto le persone nei secoli precedenti...”.
“Non me ne
avevi mai parlato” disse la madre.
“Ricordi come
mi affascinavano i racconti del passato? E
quanto mi piaceva andare con papà, alla domenica mattina, in stazione?
Lui
sapeva che mi piaceva andarci e credeva che fosse per i treni, così mi
ci
portava appena possibile; i treni mi piacevano molto, è vero, ma quello
che mi
affascinava di più era immaginare la stazione com’era nei secoli
passati, con
le donne in abiti lunghi e cuffiette e gli uomini in redingote...
e lo stesso mi accade, ancora oggi, ogni volta che mi
trovo in qualche luogo nuovo...”.
“Allora forse
devi tentare. Potresti mantenere lo stesso
genere e ambientarlo a metà Ottocento, ad esempio” suggerì sua madre.
“Un giallo
ambientato nel XIX secolo? Mhm... forse... è un
‘idea. Ma...”
“Ma tu avevi
in mente altro” finì per lui sua madre oltre
oceano.
“Non so... il
fatto è che da un po’ rifletto sulla vita,
sugli uomini... il destino di un uomo, alla nascita, è di appartenere
ad un
certo periodo storico... di nascere e magari vivere in un luogo
piuttosto che
in un altro; tutto questo non dipende da noi, ma dal destino: si
incontrano
persone... ma se fossimo nati e vissuti in un altro periodo, o in un
altro
luogo, avremmo conosciuto, amato, odiato, persone diverse... e anche
questo non
dipende da noi, ma dal nostro destino. Dal fatto che siamo nati proprio
in un
certo momento, in un certo periodo storico, in un certo luogo. Ogni
uomo
appartiene alla propria epoca... Spesso mi sono scoperto a desiderare
di poter
aver vissuto in un'altra epoca, per sapere cosa sarei stato, CHI sarei
diventato. E poi ancora: il nostro spirito, la nostra anima... quando
moriamo... è possibile che “rinasca” in altre persone, che riviva in
altre
epoche storiche? E cosa rimane di ognuno di noi, alla nostra morte? Il
corpo
muore, ma l’animo? Il pensiero? Quello che più mi spaventa, della
morte, non è
tanto non esistere più nella mia fisicità ma non esistere più come
pensiero,
come animo... perché è quello che determina un essere umano e lo
distingue da
un altro...”.
Si rese conto
all’improvviso del silenzio di sua madre e
si fermò.
“Scusami
mamma... ho permesso ai miei pensieri di prendere
il sopravvento”.
“E’ questo il
reale motivo per cui scrivi?” gli domandò
sua madre, interrompendolo.
Lui comprese
all’istante il senso della domanda.
“Non lo so...
forse sì, ora che mi ci fai pensare. E’ John
Locke a dirci che il linguaggio è il segno convenzionale delle idee, lo
strumento per mezzo del quale l’Uomo indica il proprio pensiero e con
il tempo
tale strumento si è perfezionato grazie all’ acquisita capacità di
renderlo
permanente trasferendolo su un supporto materiale, ossia scrivendolo.
La lingua
è ‘madre’ perché oltre a permetterci
d’intrattenere rapporti con gli altri, prima di tutto ci consente di
pensare
noi stessi come individui, e quindi di esistere in quanto esseri
pensanti. La
lingua è sì una struttura logica, ma è anche un poderoso sistema
emotivo,
capace di suscitare sentimenti tanto quanto è in grado di trasmettere
informazioni... Forse è sempre stato questo il motivo per cui scrivo e per cui, fin da ragazzo,
ho sempre scritto un
diario: per ‘fermare’, nel tempo, i
miei pensieri, il mio animo, la mia personalità ”.
“Continui a
scrivere il tuo diario?”
“Sì...
infantile, vero?”
“Non direi
proprio” disse sua madre ed egli colse una
sfumatura nel tono di voce che non riuscì ad inquadrare: sembrava
stupore misto
a tenerezza, ma anche un accenno di rassegnata certezza, come se desse
per
scontato che lui non potesse farne a meno. “Tu non sei mai stato ‘infantile’, neppure quando eri un bimbo.
Anche allora stupivi sempre tutti per le tue acute osservazioni “,
aggiunse poi
sua madre.
“Già... forse
è proprio di questo che vorrei parlare nel
mio romanzo: non so... è come un’esigenza che sta risalendo pian piano
alla
superficie. Ciò che ho scritto finora raccontava semplicemente delle
avventure.”
“Non sminuire
così i tuoi romanzi, caro”.
“Non
fraintendermi, sono contento di ciò che ho prodotto
finora; ma è sempre stata roba commerciale, quasi una sorta di
preparazione, di
allenamento, per un qualcosa di diverso. Il problema è che non so
ancora bene
cosa, ma lo scoprirò.”
“Ross che ne
dice?” chiese la madre, con l’ombra di un
sorriso divertito nella voce. Sua madre sapeva quanto gli fosse
difficile convincere
il proprio agente ad un qualsivoglia infinitesimale cambiamento; di
certo già
si figurava la battaglia verbale che avrebbe dovuto sostenere per un
cambiamento così radicale. Probabilmente sorrideva nell’immaginare Ross
in
preda ad una crisi di nervi o in procinto di avere un attacco di cuore!
“Ross farà i
capricci, come sempre, ma come sempre la
spunterò io, lo sai. Devo avere la stoffa dell’avvocato, a furia di
scriverne!”
rispose, sorridendo a sua volta.
“Saresti
stato un eccellente avvocato, io e tuo padre te
lo abbiamo sempre detto, figliolo”.
“Lo sai com’è
fatto Ross... per lui conta solo che io
rimanga ben saldo sul viale del successo, ma a me questo non basta più.
Per
dirla tutta, il successo è stato piacevole e, soprattutto, inaspettato,
ma non
è mai stata la mia priorità, tu lo sai. E ora lo è ancora meno“.
“Cosa vuoi,
adesso?”
“Voglio
raccontare qualcosa di ‘vero’,
mamma. Non so ancora bene cosa, ma so che ho la necessità di
cambiare: cambiare genere, innanzitutto, ma forse non solo... Io scrivo
perché
amo scrivere. Scrivo per il gusto di farlo, se poi quello che racconto
piace
anche alla gente, tanto meglio. Ora sento che è giunto il momento di
dirigermi
altrove... Del resto siete stati tu e papà a dirmi sempre che nella
vita
bisogna fare solo quello in cui si crede e perseguire la propria strada
fino
alla fine”.
“E allora fallo”.
“Tu che cosa
ne pensi?”
“Andrew, sei
tu che devi decidere cosa fare, la mia
opinione è ininfluente” lo rimproverò lei con affetto .
“Per me è
molto importante saperlo. I tuoi consigli sono
sempre stati preziosi”.
“Lo senti
davvero?” chiese.
“Sì, lo sento
davvero. Ed è una sensazione molto forte”.
“E allora
segui il tuo istinto, come ti ha sempre detto
tuo padre”.
“E anche tu”.
“Certo,
anch’io”.
“Grazie
mamma. Ci sentiamo presto. Ti voglio bene.”.
“Anche io e
tuo padre te ne vogliamo, Andy. A presto,
tesoro”.
Spense il
cellulare con una sensazione di pace. Anche se
dentro di sé sapeva che la strada giusta era quella del cambiamento,
parlarne
con sua madre gli aveva fatto bene: ora era sicuro più che mai che il
suo
prossimo libro sarebbe stato un romanzo storico.
Ma ora più
che mai gli serviva un esperto: qualcuno che
conoscesse talmente bene la cultura, la vita e l’arte del XIX, secolo
da
rendergliela famigliare, come se fosse vissuto lui stesso nel 1800.
Era quello il
segreto dei suoi romanzi: chi leggeva era subito
rapito dalla perfetta descrizione dell’ambientazione e dei personaggi,
al punto
da immedesimarsi e avere la sensazione di vivere in prima persona tutte
le
avventure narrate.
Riusciva ad
ottenere ciò solo con un’attenta ricostruzione
ambientale, un procedimento che la sua mente elaborava, tramite
documentazione
fotografica e uno studio attento e preciso di fatti e luoghi, non
appena
l’ispirazione si concretizzava in una storia da raccontare.
Lui stesso,
dopo aver delineato i punti salienti della
trama, si lasciava catturare dall’ambientazione e per tutto il tempo in
cui
scriveva si trasferiva là, dove la vicenda si svolgeva; e se la sua
prossima
vicenda si fosse svolta nel XIX secolo, era pronto a fare i bagagli
mentali e
trasferirsi nell’Ottocento, ad inseguire i suoi personaggi, ovunque
essi lo
avrebbero portato.
Aveva bisogno
di Ross, ora; tuttavia non aveva alcuna
intenzione di intavolare una discussione. Riaccese il cellulare, ma
invece di
fare la telefonata, inviò un sms succinto, che non ammetteva repliche.
“Trovami al più
presto, in Francia, un esperto del XIX secolo”.
In fondo era
anche grazie a lui che Ross poteva
permettersi una barca ancorata a Martha’s Vineyard, con tanto di villa
a
seguito… che si guadagnasse quel privilegio, una volta tanto, facendo
il
proprio lavoro senza domandare e senza discutere.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Ostacoli lungo il percorso ***
Capitolo V
Ostacoli
lungo il percorso
“Monsieur Andrèws?”.
Riconobbe
subito, dall’accento e dalla
pronuncia, la voce dell’assistente di Lady Sinclair. Del resto non era
a
conoscenza di altre donne francesi che avessero il suo numero di
cellulare: benché
si trovasse in Francia ormai da quasi due mesi, e a Parigi da una
settimana,
era trascorso ancora troppo poco tempo, soprattutto perché in quel
periodo le
donne erano l’ultimo dei suoi pensieri.
L’unica
donna di cui gli importava era la
protagonista del suo romanzo, alla quale doveva ancora trovare un nome
e, a
dire il vero, anche una fisionomia, un carattere... tutto, insomma,
compresa la
trama della vicenda nella quale voleva inserirla. Nonostante l’euforia
che la
sconosciuta incontrata sulla spiaggia oltre un mese prima gli aveva
suscitato,
le idee erano rimaste confuse e prive di un seguito; eppure era certo
d’essere
sulla strada giusta.
No.
Era più corretto precisare. Due erano
le donne alle quali era interessato in quel momento: l’eroina del suo
romanzo
e, naturalmente, Lady Sinclair.
Aveva
un disperato bisogno di Lady
Sinclair.
“Oui.
C’est moi”.
“Bonjour,
monsieur” lo
salutò mademoiselle
Marie-Antoinette Valens
prima di passare all’inglese, mantenendo tuttavia l’adorabile accento
francese.
“Lady
Sinclair è davvero molto dispiaciuta.
Mi ha pregato di avvertirvi che è costretta a rimandare di nuovo il
vostro
appuntamento. Un altro impegno urgente, che l’ha costretta a tornare
alla Maison Dior…”.
“Capisco”
la interruppe secco lui,
infastidito.
La
donna dovette cogliere il disappunto
nella sua voce, poiché si affrettò ad aggiungere:
“Milady
sarebbe disponibile dopodomani,
alla stessa ora. Oppure quando è più comodo monsieur”.
Attese
qualche secondo, prima di rispondere
che gli andava benissimo quando sarebbe stata disponibile milady. A
dire il
vero non gli andava bene affatto aspettare altri due giorni e proprio
per
quello sarebbe stato divertente spostare l’appuntamento a suo
piacimento,
magari anche rimandarlo una volta o due, ripagando milady con la sua
stessa
moneta; però quell’incontro era troppo importante per partire col piede
sbagliato. Se la nobildonna si fosse rivelata davvero la persona di cui
aveva
bisogno, avrebbero lavorato assieme per parecchio tempo.
Ad
essere sincero cominciava a nutrire seri
dubbi che questa Lady Sinclair potesse davvero essere l’esperto che
stava
cercando; Ross doveva aver preso un granchio quando gli aveva fatto il
suo
nome. Oppure si era divertito di proposito, per vendicarsi di non
avergli
ancora spiegato a cosa gli servisse un esperto del XIX secolo.
Con
ciò non voleva affatto mettere in
dubbio le conoscenze dell’aristocratica signora; piuttosto ciò che
criticava
era semmai la sua scarsa professionalità. Era anche vero che la
nobildonna non
era una sua dipendente, anche se era ovvio che l’avrebbe ricompensata
per la
sua consulenza; tuttavia non poteva neppure affidarsi a qualcuno di
tanto
frivolo e poco rispettoso degli appuntamenti presi e, di conseguenza,
del suo
tempo.
Era
abbastanza evidente che milady era più
interessata ad occuparsi delle sue toilettes
all’ultima moda che delle esigenze di uno scrittore americano.
Anche
il più rozzo degli uomini
probabilmente era a conoscenza che la Maison Dior
era un importantissimo atelier di
alta moda, uno dei pochi sopravvissuti al dilagare del prét-a-porter,
che aveva risucchiato nel suo vortice tutte le case
di moda più famose, dalle francesi alle italiane, comprese quelle
oltreoceano,
nessuna esclusa. La Maison Dior era
rimasta una delle poche che, pur avendo più di una linea consacrata al prét-a-porter, conservava immutata la
tradizione dell’haute-couture come
il
suo fiore all’occhiello.
“Bien,
Monsieur. Riferirò a Milady. Au
revoir” lo salutò mademoiselle
Valens.
Dopo
aver ricambiato il saluto della sua
interlocutrice, rimase per un attimo pensieroso, il cellulare ancora
tra le
mani.
Quando
aveva saputo dal suo agente che
l’esperto di cui necessitava sarebbe stata una nobildonna inglese, in
un certo
senso lo aveva preso come un segno del destino: gli piaceva l’idea che
per il
suo primo romanzo ambientato nel passato potesse avvalersi addirittura
della
consulenza di una vera lady, probabilmente una delle poche rimaste
ancora in
vita. Con la sua fervida immaginazione si era visto lavorare fianco a
fianco ad
una raffinata signora sull’ottantina, dalla mente ancora lucida e lo
spirito
brillante.
L’idea
che Lady Sinclair potesse essere più
giovane non lo aveva neppure sfiorato.
A
quel punto, però, doveva correggere
l’immagine mentale che si era creato della sua esperta: per quanto una
signora
ottantenne potesse essere arzilla ed eccentrica, non se la immaginava
proprio a
disdire ben due appuntamenti con un potenziale ascoltatore di
innumerevoli
storie del passato, solo per trastullarsi con abiti alla moda e toilettes stravaganti.
Pertanto era quasi certo che non
potesse trattarsi che di una signora sulla sessantina, magari ancora
piacente o
convinta di esserlo.
La
peggior razza da tenere a bada, a suo
avviso.
Una
donna giovane, a maggior ragione se
bella, diventava una potenziale conquista ed era un piacere averci a
che fare.
Una
signora decisamente anziana era
un’adorabile vecchietta e, se presa per il verso giusto tanto da farsi
voler
bene come un nipote, diventava una gradevole compagnia
e, soprattutto, fonte inesauribile di affascinanti
storie del passato.
Le
donne tra i quaranta e i cinquant’anni
potevano vantare il fascino dell’esperienza e una maggiore sensualità e
sedurle
poteva avere il gusto del proibito. In alternativa, se non ancora
inacidite
dalla vita e pertanto ancora tollerabili, erano in grado di diventare
ottime
amiche.
Ma
le donne intorno alla sessantina erano
una specie a parte.
Innanzitutto
erano vicine alla menopausa,
nel senso che con molta probabilità ci erano entrate da poco e già
questo le
rendeva ingestibili: con gli ormoni ancora impazziti diventavano esseri
incontrollati, spesso poco soddisfatte dai mariti, se ancora li
avevano. Un
bell’uomo, e se giovane ancora meglio, poteva pertanto diventare una
preda
ambita, anche solo per illudersi di vincere la battaglia contro il
tempo. Se
invece più inibite, spesso risultavano irritanti o addirittura
insopportabili,
soprattutto se depresse o rese amareggiate dalla vita; in rari casi
erano
esseri equilibrati e soddisfatti di sé.
Ovviamente
la propria madre non rientrava
mai in questa categoria di signore e, anche se ne avesse fatto parte,
sarebbe
stata di certo l’eccezione che confermava la regola!
Rassegnato
all’inevitabile di fronte ad una
Lady Sinclair tra i cinquantacinque e i sessant’anni,
bassa e rotondetta, con molta probabilità
abbigliata come una trentenne per convincersi di esserlo ancora (se la
immaginava, chissà perché, con un paio di calze colorate: verdi oppure,
peggio
ancora, addirittura viola!), sorrise all’idea che gli era appena venuta
in
mente: se l’avesse cercata alla Maison
Dior, avrebbe potuto accompagnarla a casa, carico di tutti i
suoi acquisti,
e così facendo avrebbe guadagnato i due giorni che l’appuntamento
spostato gli
avrebbe fatto perdere.
Aveva
bisogno, un disperato bisogno, di
rimettersi a scrivere; ma se la sua esperta non si fosse rivelata la
persona
che stava cercando, avrebbe dovuto attendere ancora. Pertanto se
accompagnare a
casa Lady Sinclair dalla sua scorribanda nell’importante casa di moda
era il
prezzo da pagare per procedere al più presto con
la stesura del suo romanzo, allora lo avrebbe
pagato senza battere ciglio.
E
al diavolo se all’atelier lo
avessero scambiato per il suo ultimo e giovane amante!
***
Mademoiselle
Marie-Antoinette
era agitata. La telefonata con Monsieur
Andrèws
le aveva messo addosso una strana ansia. Temeva di non aver svolto al
meglio il
proprio compito, come le era stato richiesto da Milady.
Monsieur
le
era parso contrariato a spostare l’appuntamento. Lei era certa d’aver
fatto il
possibile per fargli capire che non era stato per sua volontà che Lady
Sinclair
aveva dovuto posticipare di nuovo l’incontro, ma non era sicura
d’essere
riuscita a convincerlo.
Milady
le aveva raccomandato di assicurarsi
che il famoso scrittore capisse, temendo che egli cambiasse idea e così
non
potesse più incontrarlo. E Marie-Antoinette ben sapeva quanto la sua
padrona ci
tenesse ad incontrare Monsieur Andrèws
essendo uno tra i suoi scrittori preferiti.
“Marie,
un'altra occasione come questa non
l’avrò mai più. Ti rendi conto? Consulente per il suo prossimo romanzo.
Sai che
non esistono sue immagini? ‘The young writer of
mystery’… ‘Le jeune écrivain de le mystère’… E
io potrò
conoscerlo di persona… Wonderful! Incroyable!”.
Era
così entusiasta, Lady Sinclair, quando
aveva saputo! E ora, forse, lei aveva rovinato tutto.
Girò
tra le mani il biglietto su cui vi era
scritto il numero telefonico dell’agente di Alex Andrews, nonché il
numero di
cellulare al quale contattare lo scrittore.
Era
indecisa se richiamare Monsieur,
col rischio di indisporlo
maggiormente, oppure se telefonare al suo agente, l’uomo col quale
aveva
parlato proprio lei alcune settimane prima, per tentare di spiegare e
domandargli che intercedesse a favore di Lady Sinclair.
Alla
fine, temendo di peggiorare la situazione,
decise di non fare nulla e di ritornare agli altri incarichi che era
solita
svolgere ogni giorno per Milady.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** La Maison Dior ***
Capitolo VI
La
Maison Dior
“Ok,
abbiamo finito”.
Sospiri
soddisfatti si levarono dal piccolo
gruppo di modelle che da alcune ore erano in posa, uno scatto dopo
l’altro,
davanti all’obiettivo esigente della giovane fotografa assieme alla
quale,
tuttavia, a tutte loro piaceva lavorare.
Nicole
Montgomery era conosciuta e stimata
come una seria professionista, pignola all’inverosimile, ma capace, più
di
altri artisti della fotografia, di mettere a proprio agio modelli e
modelle che
posavano per lei.
Ogni
sua foto era un piccolo capolavoro,
sia che si trattasse di un ritratto, un servizio fotografico per una
galleria
d’arte o di una copertina di moda; pochi, tuttavia, conoscevano il suo
talento
nel ritrarre anche comuni passanti, clochard
sconfitti dalla vita o
bambini
che correvano felici nei prati. Dalle sue foto traspariva sempre la
vera anima
del soggetto, che era in grado di mettere a nudo, neppure lei sapeva
bene come.
“Ragazze,
siete state favolose! E’ sempre
un piacere lavorare con voi. Grazie…”.
Quella
era un’altra sua caratteristica, che
gratificava moltissimo chi, per il lavoro che svolgeva, spesso era
considerato
alla stregua di un manichino.
Nicole
apprezzava sempre la fatica di chi
posava per lei e non la dava mai per scontata. Con una semplice frase
sapeva
far sparire la stanchezza di ore e ore davanti all’obiettivo e ridare
dignità
umana a persone sfruttate solo per il proprio corpo.
Le
modelle e i modelli che sfondavano
davvero in quel mondo erano pochi e a quale prezzo ciò accadeva. La
maggior
parte di loro trascorreva, da quando iniziavano giovanissimi, anni e
anni a
sfinire il proprio fisico con estenuanti ore di lavoro da una parte
all’altra
del globo, sottostando a diete rigidissime e a regole di vita che
sempre più
rapidamente li portavano a soccombere al mondo che invece sognavano di
conquistare.
“Grazie
a te, Nicole. Alla prossima…”
risposero in coro le sei ragazze, mentre raccoglievano sacche e borsoni
contenenti il necessario per il servizio fotografico. La truccatrice se
n’era
andata non appena le modelle erano state preparate per l’ultimo scatto;
gli
abiti del servizio sarebbero stati recuperati più tardi dagli addetti
ai
lavori.
Nicole
sorrise, mentre riponeva nella borsa
due delle tre macchine fotografiche utilizzate; la terza le sarebbe
rimasta
appesa al collo, come sempre.
Non
si può mai sapere quando il “soggetto giusto” per la “foto perfetta”
incontra
la tua strada.
Quello era il suo motto, fin da quando aveva scattato la sua prima
fotografia.
Aveva dodici anni, allora, e la macchina fotografica era stata il più
bel
regalo di compleanno.
Credendo
d’essere rimasta sola, sobbalzò
quando una voce maschile, una profonda voce maschile, la interpellò.
“Pardon…
stavo cercando…”.
Si
voltò di scatto, facendo cadere a terra
due rullini, per sua fortuna già ritirati nelle loro custodie; con
molta
probabilità era l’unica fotografa rimasta al mondo ad utilizzare ancora
la
complessa apparecchiatura tradizionale, affiancata alle più moderne
attrezzature digitali. Lei aveva sempre preferito utilizzare entrambe
le
tecniche, per ottenere il meglio dal suo lavoro e la tecnologia, da
sola, a suo
parere non avrebbe mai sostituito la qualità. Inoltre adorava
sviluppare in
camera oscura, come le avevano insegnato a scuola; era un’attività che
la rilassava
molto.
Rendendosi
conto d’averla spaventata, il
nuovo arrivato si chinò a raccogliere i rullini che, nel frattempo,
erano
rotolati quasi ai suoi piedi, e glieli porse.
Invece
di allungare la mano per prenderli,
Nicole rimase immobile ad osservarlo.
“Excusez-moi”,
disse di nuovo lui. Poi aggiunse: “Non volevo spaventarla…”.
Lei
li recuperò, rivolgendogli un sorriso
rassegnato.
“Non
si preoccupi…”.
Credeva
d’aver terminato e invece, a quanto
sembrava, doveva scattare altre foto. Peccato che nessuno si fosse
preso il
disturbo di avvertirla e di dirle quali. Era una libertà che alla Maison si stavano prendendo un po’
troppo spesso e che le stava causando non pochi problemi a livello
organizzativo.
Osservò
di nuovo l’uomo e a quel punto fu
certa: si trattava dello sconosciuto della spiaggia. A causa del suo
lavoro
aveva una capacità formidabile di memorizzare i volti, soprattutto se
particolari o se suscitavano, per un motivo o per l’altro, la sua
curiosità o
il suo interesse. L’uomo col quale si era scontrata sulla spiaggia più
di un
mese prima aveva un volto per lei indimenticabile: lineamenti maschi,
tuttavia
finemente cesellati, con il naso dritto, dal taglio che lei amava
definire
“aristocratico”, e
labbra piene e ben
disegnate; gli occhi, sottolineati da folte sopracciglia scure, erano
di un
colore strano, una particolare sfumatura di grigio-azzurro stemperato
nel
verde, e gli conferivano uno sguardo intenso e seducente, messo ancor
più in
risalto dal suo incarnato scuro e dai folti capelli neri e mossi, che a
quanto
sembrava egli amava portare un po’ lunghi a sfiorargli il collo.
Che
strana coincidenza! Erano settimane che
pensava a lui. Aveva colpito la sua immaginazione ed in effetti, ora
che lo
osservava meglio, volto a parte era un soggetto davvero interessante,
diverso
dai soliti modelli che doveva ritrarre, spesso più simili ad efebi che
a maschi
così come li intendeva lei. Quell’uomo non aveva nulla dell’efebo. Era
mascolinità allo stato puro, ma con una finezza insita in lui che lo
rendeva
superlativo. Quantomeno da fotografare.
Quel
pensiero la riscosse all’improvviso e
affievolì in parte il suo entusiasmo.
Sospirò
rassegnata, mentre tornava al
tavolo dove aveva lasciato la borsa e tirava fuori di nuovo
l’attrezzatura che
aveva appena ritirato. Pur felice di avere un tale soggetto con cui
lavorare,
erano pur sempre diverse ore che non staccava un attimo. Inoltre
avrebbe
preferito conoscerlo meglio come uomo, ma in questo caso non avrebbe
dovuto
esserci di mezzo il lavoro.
“Venga
avanti e si rilassi. Cercheremo di
fare prima possibile. Sto scattando da quasi quattro ore senza
interruzione e
speravo fosse finalmente giunta l’ora di andarmene”.
“Non
credo che sia il caso… io stavo solo
cercando…” provò a dire lui, senza avvicinarsi.
“Mi
scusi, sono davvero stanca e vorrei
finire presto”, lo interruppe di nuovo, mentre trafficava con le luci
per
creare l’atmosfera giusta.
Sensualità.
Voleva sensualità, per il tipo
che stava per ritrarre.
“Non
abbiamo mai lavorato assieme e già
questo renderà il tutto meno rapido di quanto vorrei. Ma lei ha un
volto
davvero interessante e un fisico magnifico… non sarà difficile ottenere
delle
belle foto. E’ sufficiente che si rilassi” disse con aria
professionale.
Dato
che non aveva idea di che foto
volessero, avrebbe deciso lei in base a ciò che le suggeriva l’istinto.
In
genere non aveva mai sbagliato.
“Ha
già posato, non è vero?” gli domandò,
dopo un attimo di pausa.
Non
ricevendo risposta, si voltò di nuovo
verso di lui e vide che la stava osservando, con un misto di
divertimento e
sfida nei suoi incredibili occhi. Sulle labbra l’ombra di un sorriso.
Sembrava
che stesse prendendo una decisione importante e valutasse qualcosa,
chissà
cosa, che avrebbe decretato una scelta piuttosto che l’altra.
Forse
avrebbe dovuto metterlo più a suo
agio. A ben pensarci non lo aveva accolto con particolare entusiasmo.
“Mi
scusi, l’ho aggredita senza neppure
presentarmi. Io sono Nicole. Nicole Montgomery” disse, inquadrandolo
attraverso
l’obiettivo. Non si era sbagliata: era davvero fotogenico.
“Parente
del famoso generale?” domandò lui,
divertito.
“Tra
le altre cose…” rispose vaga,
concentrata soprattutto sull’immagine che stava mettendo a fuoco. In
genere
questo era il momento in cui, per creare un’atmosfera rilassata e
mettere a proprio
agio chi doveva fotografare, di solito passava al tu. Invece fu restia
a farlo:
aveva la sensazione che una maggiore confidenza avrebbe creato troppa
intimità.
Così si limitò a chiedergli:
“Come
vi
chiamate, monsieur?”.
Lui
la osservò ancora per qualche secondo,
continuando a sorridere enigmatico. Chissà se sarebbe riuscita a
ritrarlo con
quel sorriso? Sarebbero state foto magnifiche.
Quindi,
come se avesse preso finalmente una
decisione, lo vide avanzare verso di lei.
“Andrew…
Mi chiamo Andrew. Dove mi devo
mettere?”.
***
“Oh… c’est la huitième
merveille du monde!”
esclamò Fantine Roland, estasiata.
“Chi?”
chiese Angélique Baudoin, tornando
dalla toilette.
“Oh,
Angélique! L’avessi visto. Cercava
Lady Sinclair. Gli ho detto che era impegnata e che non sapevo quando
si
sarebbe liberata… tu sai com’è Milady
quando è alle prese con la nuova collezione… non vuole essere
disturbata. Ma
lui…”
“Lui
chi?” chiese di nuovo Angélique,
frastornata dal fiume di parole della collega. Fantine, quando era
preda dell’entusiasmo,
non si fermava mai.
“Un
uomo… la huitième merveille du monde…
“
“Suvvia,
Fantine… Sii seria!” la rimbeccò mademoiselle
Baudoin.
“C’est
vrai, ma parole!”
Poi,
vedendo la sua amica ancora scettica,
si lasciò trasportare di nuovo dall’entusiasmo:
“Alto,
giovane, occhi bellissimi e un
sorriso… ah, ce sourire! Un sorriso
davvero affascinante!”.
“E
cercava Lady Sinclair?” domandò curiosa
Angélique, assecondando finalmente la voglia di pettegolezzo di mademoiselle Roland. Essere le réceptionniste della Maison
Dior offriva diversi argomenti di
discussione e ampio spazio alle chiacchiere.
“Oui…”
“E
chi era?”.
“Non
l’ha detto”, rispose contrariata la ragazza, “ma era
straniero.
Americano, forse. Parlava francese, ma con accento straniero”.
“Credi
che possa essere...?”
“Son amant? C’est fort probable. Donna fortunata,
Lady Sinclair! ”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Fotografando un sogno ***
Capitolo VII
Fotografando
un sogno
“Metta
le mani in tasca e guardi lontano…
no, non verso l’obiettivo… volga lo sguardo altrove… ecco, così…
perfetto…”
Senza
smettere di scattare, la fotografa
continuava a girargli intorno, per riprenderlo da ogni angolatura; se
sua madre
lo avesse visto in quel momento, sarebbe scoppiata a ridere divertita,
come
solo lei sapeva fare. Poi sarebbe corsa a chiamare suo padre, per
condividere
con lui un evento eccezionale, come facevano da oltre trentt’anni, e
lui avrebbe
sorriso altrettanto divertito.
Spesso
si domandava quante coppie si
amassero quanto i suoi genitori. A volte lui stesso si era sentito un
intruso,
sebbene non lo avessero mai tenuto all’oscuro delle loro numerose
avventure.
Anzi, erano stati molti dei loro racconti quando era ancora bambino a
stimolare
la sua già fervida fantasia.
“Ora
slacci lentamente la camicia…”.
La
voce della bella fotografa gli arrivò
roca e sensuale, come se gli stesse chiedendo di spogliarsi per lei. Ma
che
genere di foto stava scattando?
Osservandola
sollevò un sopracciglio.
“Non
dovrà toglierla, stia tranquillo” gli
disse, tentando di metterlo a suo agio. Doveva aver colto la sua
esitazione.
“Solo
alcuni scatti un po’ più sexy…”
aggiunse, quasi tra sé.
Si
scoprì a sorriderle, intrigato dal tono
che aveva colto nella sua voce: languido. Se avesse dovuto descriverlo
a parole, lo
avrebbe definito languido.
“Solo
pochi scatti, Andrew. Non so bene che
genere di foto vogliano, pertanto è meglio anticipare le loro
richieste, non
crede? Per non dover essere costretto a rifarle” precisò lei. Doveva
essersi
accorta d’aver espresso quasi un suo personale desiderio ad alta voce e
sembrò
voler smentire quell’impressione, giustificando la richiesta con la
scusa della
professionalità.
“Coraggio,
Andrew… Immagini di spogliarsi
sensualmente per la sua donna”.
Quasi
per incanto si rese conto che,
guidato dalla sua voce, il suo stesso volto si stava trasformando e che
un’espressione intensa stava prendendo il posto del pigro sorriso di un
attimo prima.
Le sue mani risalirono al primo bottone della camicia, slacciandolo.
Poi
proseguirono lentamente, scoprendo, ad ogni bottone aperto, nuove
porzioni di
pelle.
“Bravissimo…
perfetto così… Ora togliti le
scarpe e vieni verso di me a piedi nudi… Voglio lo stesso sguardo di
prima. E
non dimenticare: stai per fare l’amore con la tua donna”.
Senza
rendersene conto, aveva assunto un
tono entusiasta ed era passata al tu. Forse non se n’era neppure
accorta, ma
lui sì, e ciò lo intrigava molto. Chissà cosa l’aveva resa più
disinvolta? La
passione per il suo lavoro, oppure guardarlo mentre si spogliava per
lei?
Ed
era consapevole di come lo faceva
sentire, dicendogli quelle cose?
Senza
smettere di guardarla attraverso
l’obiettivo e senza neppure piegarsi, si levò i mocassini,
allontanandoli con
un tocco del piede. Sentì il rumore della macchina fotografica in
azione e
sorrise.Immediatamente la voce di Nicole Montgomery
lo redarguì, come si era aspettato. Ma gli piaceva sentirla parlare,
senza
vederla in volto. Lo trovava eccitante.
“No,
no… non sorridere. Ti voglio sexy, con
lo stesso sguardo di prima. Ti stai dirigendo verso la donna che fra
poco
bacerai con passione”.
Si
rendeva conto di quello che gli stava
dicendo? Lei… Era lei la donna che in quel momento avrebbe voluto
baciare.
Avanzò
a piedi nudi, con quel pensiero
fisso nella mente.
“Sì,
perfetto… ecco lo sguardo che
volevo…”.
A
quelle parole si sorprese a pensare che
avrebbe dato chissà cosa per vedere quelle foto. E, soprattutto, farle
vedere a
sua madre.
La
macchina fotografica emetteva senza
sosta, con ritmo simile al battito del suo cuore, il secco rumore dello
scatto
appena effettuato.
Perché
le stava permettendo di
fotografarlo? Per quale motivo non aveva spiegato cosa ci faceva lì?
A
quel punto aveva perso anche l’occasione
di conoscere Lady Sinclair, ma non gli importava più un accidenti della
nobildonna. In quel momento gli interessava solo la donna nascosta
dietro ad
una macchina fotografica.
Alla
reception
lo avevano indirizzato da quella parte quando aveva domandato di Lady
Sinclair;
aveva aperto alcune porte, domandando di milady, prima di capitare nel
bel
mezzo di un servizio fotografico: non appena l’aveva vista non era più
riuscito
a toglierle gli occhi di dosso. Si era fermato ad osservare, non visto,
gli
ultimi scatti, mentre stava riprendendo un gruppetto di modelle in
abito da
sera. Tutte ragazze giovanissime e molto belle, ma nessuna l’aveva
colpito
quanto lei.
Si
muoveva agile e rapida attorno al
soggetto che stava immortalando, senza rendersi nemmeno conto di quanto
apparisse sensuale. Era alta, esile, ma con un corpo voluttuoso, che
lui era
riuscito ad intuire nonostante lei indossasse jeans sbiaditi e una
lunga
camicia blu in morbida seta, portata con nochalance
fuori, lungo i fianchi, e slacciata sul fondo. Le maniche arrotolate
fin quasi
ai gomiti scoprivano la pelle candida, ed egli l’aveva immaginata
liscia e
morbida al tatto. Aveva i capelli neri raccolti in una treccia bassa e
molto
lunga, che sfoggiava contemporaneamente con la disinvoltura di una
tredicenne e
lo charme di una delle modelle che
stava fotografando.
Quando
aveva terminato e aveva scorto il
suo volto, fino a quel momento nascosto dalla macchina fotografica, si
era
quasi sentito mancare: un viso dall’ovale perfetto e dai tratti
delicati, con
labbra piene e morbide, naturalmente disegnate, e occhi di un
incredibile punto
di azzurro che contrastava con ciglia scurissime, tanto da sembrare
turchesi.
Occhi splendidi, che lo avevano catturato al primo sguardo, e che gli
sembrava
d’aver già immaginato.
Non
si era accorta di lui, intenta com’era
a riporre l’attrezzatura e a salutare le modelle che avevano posato per
il suo
obiettivo; così aveva avuto modo di osservarla con calma. Era di una
bellezza
semplice, per nulla costruita. Proprio per questo risaltava tanto,
attorniata
da diverse ragazze perfettamente truccate e abbigliate: la sua pelle
non aveva
un filo di trucco ad esaltare l’incarnato luminoso e i lineamenti
perfetti.
Più
la guardava, più gli era sembrato di
avere un misterioso legame con quella donna… come se l’avesse già vista
da
qualche parte. O come se un sogno gli avesse raccontato di lei. Forse
era stata
quella strana sensazione ad averlo intrigato al punto di volerla
conoscere
meglio… per quel motivo aveva deciso d’assecondarla e farsi
fotografare, quando
aveva capito che lei lo aveva scambiato per un altro modello da
ritrarre.
Cosa
avrebbe pensato se si fosse resa
conto, in quel momento, di avere tra le mani la possibilità di un
gigantesco
scoop?
Mentre
avanzava verso di lei, la immaginò
in un provocante abito da sera blu notte, con i lunghi capelli sciolti
sulle
spalle nude, le labbra socchiuse, pronte a ricevere il suo bacio…
***
Nicole
si rese conto di trattenere il fiato
mentre, uno scatto dietro l’altro, immortalava una delle scene più
sensuali cui
avesse mai assistito. A rendere l’immagine tanto seducente non era
soltanto il
lento svelarsi della sua pelle, quanto soprattutto lo sguardo che
accompagnava
i suoi movimenti.
Ad
essere onesta con se stessa probabilmente
quelle foto non sarebbero servite per la collezione, anche se non
poteva
esserne certa; ma aveva deciso di fare quel servizio fotografico
basandosi sul
suo istinto e l’istinto, non appena lo aveva visto, le aveva suggerito
sensualità. La stessa sensazione che lui le aveva trasmesso su quella
spiaggia.
E comunque era inutile mentire a se stessa: voleva quelle foto! Era dal
loro
primo incontro che avrebbe voluto fotografarlo, ma quella mattina, caso
più
unico che raro, non aveva con sé la macchina fotografica.
Se
lo immaginò in una camera da letto, con
un’ombra di barba a scurirgli il volto; lo sguardo appassionato mentre
raggiungeva una donna distesa su lenzuola di seta…
Quell’uomo
sarebbe dovuto comparire sulle
copertine di ogni rivista femminile: avrebbero venduto il triplo.
Eppure
più fotografava quell’uomo e più
aveva la sensazione che non fosse affatto un modello di professione.
Allora che
cosa ci faceva lì? Erano almeno venti minuti che aveva quella domanda
sulle
labbra, tuttavia non si era ancora decisa a fargliela. E forse non
gliel’avrebbe mai fatta, perché temeva la risposta: personalmente non
le
importava proprio nulla se lui era o non era un modello professionista.
Fosse
dipeso da lei avrebbe continuato a fotografare quell’uomo all’infinito.
Fin dai
primi scatti le era stato evidente che non era solito farsi ritrarre;
eppure
possedeva un’innata sensualità ed era talmente fotogenico, oltre che
bello,
da trasmettere
all’obiettivo la sua
naturale carica sensuale senza fare nulla di particolare per riuscirci.
Semplicemente era se stesso.
“Bravissimo,
Andrew, sei stato perfetto!
Stupendo… uno sguardo stupendo. Ogni donna s’innamorerebbe di te e di
questo
sguardo…”.
“Anche tu?” si sentì
chiedere.
“Io
mi sono innamorata di te appena ti ho
visto…” disse lei senza riflettere, ancora calata nella parte della
fotografa
che doveva mettere a proprio agio il modello. Ricambiando il sorriso
abbassò la
macchina fotografica.
“Davvero?
Allora esci con me a cena,
stasera?” la invitò lui.
Si
rese conto solo in quel momento che
erano passati al tu... e che era stata proprio lei, rammentò, ad averlo
fatto
per prima. Si sentì colta di sorpresa. Eluse la domanda, riprendendo un
tono
professionale, evitando di guardarlo negli occhi ed iniziando a
rimettere via
l’attrezzatura.
“E’
stato davvero molto bravo, molto
professionale, Andrew. Ora si può rimettere le scarpe, abbiamo finito.”.
Lui
dovette cogliere il turbamento che
aveva tentato di nascondere col cambio di tono, divenuto all’improvviso
distante,
perché la provocò domandandole sornione: “E la camicia?”.
Lei
smise per un attimo di riporre le
pellicole e lo guardò, confusa.
“Come,
mi scusi?”
“La
camicia…” ripeté lui, sollevando le
braccia e facendo muovere così i due lembi slacciati, che in quel modo
offrivano un panorama più che interessante del suo ampio petto nudo.
Lei
si rese conto che era riuscito
nell’intento di confonderla più di quanto già non fosse, perché lo vide
sorridere. Eppure non riuscì ad evitare di posare lo sguardo sulla sua
pelle
ancora scoperta e di provare un fremito… avrebbe desiderato che fossero
le
proprie mani ad accarezzargliela, come invece in quel momento potevano
fare
solo i suoi occhi.
“Posso
chiuderla?” domandò infine
Andrew, ponendo
fine a
quell’esplorazione visiva.
Aveva
atteso un attimo prima di domandarle
se poteva rivestirsi e lei capì che aveva aspettato volutamente, per
permetterle di guardarlo. Arrossì, mentre rispondeva:
“Oh…
la camicia… Sì, certo che può riabbottonarla…
abbiamo terminato”.
Lui
obbedì, ma con molta calma, allacciando
ogni bottone con la stessa lentezza che aveva usato prima per
aprirsela. E con
lo stesso sguardo negli occhi. Occhi che lei non poté evitare.
“Allora,
per la cena?” chiese di nuovo lui.
Nicole
si costrinse a non guardarlo più,
altrimenti sarebbe venuta meno alla sua ferrea regola di non mescolare
mai
lavoro e piacere.
“Mi
dispiace, Andrew, ma non esco mai con
chi posa per me.”.
“Peccato…”,
rispose lui, con un sospiro.
Poi aggiunse, enigmatico: “Ad averlo saputo prima…”.
Quell’ultima
frase le provocò una stretta
allo stomaco e le fece vibrare corde che si trovavano molto in
profondità. Oh,
ma perché quell’uomo le trasmetteva certe sensazioni? Recuperò la borsa
con
l’attrezzatura e, senza voltarsi, si diresse verso l’uscita, decisa ad
andarsene senza più guardarlo. Ma un attimo prima di richiudersi la
porta alle
spalle, non resistette e si voltò di nuovo verso di lui: era ancora lì,
in
piedi, immobile, con uno sguardo negli occhi che le tolse il respiro.
“Adieu…”
riuscì appena a sussurrargli, prima di allontanarsi.
Un
vero peccato che avesse dovuto
fotografarlo per lavoro. Ma una regola era una regola e andava
rispettata.
Anche se per un uomo come lui l’avrebbe infranta più che volentieri.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Lady Sinclair ***
Capitolo VIII
Lady
Sinclair
“Oh,
Milady... perché non avete chiamato e
atteso che venissi ad aiutarvi?” disse mademoiselle
Valèns vedendo rientrare Lady Sinclair con le mani ingombre
di pacchi,
oltre alla borsa che portava sempre con sé.
“Non
ti preoccupare Marie-Antoinette, ce la
faccio da sola...” rispose la nobildonna, anche se in quel momento,
scarmigliata e carica di pacchi com’era, non ne aveva affatto
l’aspetto. Ma,
come diceva mademoiselle Valèns,
Milady era fatta così.
“Piuttosto...”
aggiunse, sfilandosi la
giacca e porgendola alla solerte assistente che, nel frattempo, aveva
già
recuperato dalle sue mani le tre scatole e le aveva posate sul tavolo
antico a
lato dell’ingresso, “hai contattato monsieur
Andrews? Sei riuscita a spostare l’appuntamento? Cos’ha
detto? Era molto
seccato? Spero che non si sia sentito troppo trascurato... No, no... è
di certo
un uomo intelligente, avrà compreso”.
Con
lo stile tipico che la
contraddistingueva, era solita porre una domanda dietro l’altra,
talvolta senza
attendere risposta, dandosela invece da sé. Marie-Antoinette trovava
divertente
questo lato di Milady, che la rendeva sempre attiva, al tempo stesso
attenta ad
ogni minimo particolare, ma con quel pizzico di insicurezza,
soprattutto quando
c’era di mezzo qualcosa a cui teneva in modo particolare, che la
rendeva quasi
una fanciulla.
“Ho
fatto come mi avete detto, Milady. All’inizio
mi è sembrato che monsieur fosse
un
po’ deluso... io gli ho assicurato che voi eravate estremamente
dispiaciuta...
ha acconsentito ad incontrarvi, come avevate suggerito, dopodomani”.
“Speriamo
che nel frattempo non subentri
altro “.
“Problemi
alla Maison?” domandò
Marie-Antoinette.
“Già...
come sempre, ultimamente. Ma non
solo. Potrebbe saltar fuori altro” rispose cupa, mentre si accingeva a
salire
le scale per andarsi a cambiare e a riposare prima di cena.
“Ehm...
Milady...” disse mademoiselle Valèns,
indecisa se
fermarla o parlargliene più tardi.
Lady
Sinclair si voltò, con un mesto
sorriso:
“Coraggio,
Marie-Antoinette... cosa voleva
questa volta mio fratello?”. Quando Marie-Antoinette aveva quell’aria
incerta e
titubante era sicura che fosse a causa di Edmund.
“Ecco...
mi ha pregato di dirvi che sarà a
Parigi nel prossimo fine settimana e gradirebbe invitarvi a cena la
domenica
sera...”
“Mi
obbliga, vorrai dire!” la interruppe
Lady Sinclair. “Carino come sempre mio fratello a non domandare neppure
dei
miei impegni”.
“Inoltre”,
proseguì mademoiselle Valèns,
“trova assai disdicevole che continuiate ad
evitare Lord Carlington, il quale è, parole sue, ‘estremamente
affezionato’ a
voi e vorrebbe che cambiaste finalmente idea e che vi decideste ad
accettare un
suo invito ad accompagnarvi a teatro.”.
“Sono
anni che, secondo mio fratello,
dovrei accettare le attenzioni di Lord Carlington... un vecchio
bacucco,
insipido e viscido.”
“Milady,
Lord Carlington ha solo dieci anni
più di voi!”
“Stai
dando della vecchia anche a me? Dieci
anni di Lord Carlington sono venti degli altri uomini, eccezion fatta
per mio
fratello. Lord Carlington è vecchio per definizione. Lo era già nella
culla. E
comunque sia è insipido e viscido, su questo non mi puoi dare torto”.
Mademoiselle
Valèns
trattenne un sorriso.
“Infine...”riprese
come se non fosse stata
interrotta.
“Ah,
c’è pure un infine questa volta!”
sospirò Milady, comprendendo subito che la
sua assistente stava terminando di elencarle gli ordini del fratello.
“Infine
vi ricorda che tra un mese, a
Londra, c’è il ballo di Lady Pensworth, e sarebbe assolutamente...”
“...
disdicevole, riprovevole, o questa volta
ha usato IMPERDONABILE? se non ci andassi.”
“Imperdonabile.
Questa volta ha usato
imperdonabile, Milady!” disse Marie-Antoinette, a sua volta divertita e
più
rilassata.
“Giusto,
imperdonabile. Dimenticavo che riprovevole
lo aveva già usato ieri. Chissà
cosa userà domani per convincermi, visto che non ho alcuna intenzione
di
partecipare ad un ballo, a Londra, quando potrei essere impegnata
ancora con
Alex Andrews. Glielo hai detto, questo?”.
“Certamente
Milady. Ma mi è parso che non
considerasse importante la faccenda ”.
“Ovvio
che no, per mio fratello la mia
vita, i miei impegni, non hanno mai contato nulla. Neppure ora, che
vivo in
Francia, riesce a lasciarmi in pace...” sospirò.
“Si
preoccupa per voi, Milady”.
“Mio
fratello si è sempre e solo preoccupato
per se stesso. Dovrà concludere qualche affare con Lord Pensworth ed è
per
questo che mi vuole al ballo: sa che Lady Pensworth è una mia amica e
conterà
sul fatto che un mio intervento la convinca a
ben disporre il marito, il quale non sopporta mio
fratello. Edmund pensa
ancora che il ruolo di una moglie, o delle donne in generale, sia
quello di
convincere i mariti a fare quello che vogliono, dimenticando che lui
per primo
comanda a bacchetta mia cognata da anni. Mio fratello avrebbe dovuto
nascere tre
secoli fa e sarebbe stato vecchio e di idee antiquate anche allora!
Degno amico
di Lord Carlington”.
“Siete
troppo dura con vostro fratello...
sono sicura che vi vuole molto bene, Milady”.
“Oh,
Marie-Antoinette, sei tu che sei
troppo tenera con lui. Ad ogni modo ci penso io: più tardi lo chiamerò
e gli
dirò di permettermi di valutare l’impegno che potrò avere con mister
Andrews;
se gli andrà bene, allora potrebbe avere qualche probabilità di avermi
al
ballo, altrimenti non se ne parla. Per quanto riguarda Lord Carlington,
dovrà
rassegnarsi al fatto che continuerò ad andare a teatro da sola, oppure
a
scegliermi da sola gli accompagnatori che più mi aggradano. Infine...”
“Oh,
c’è anche un infine?” domandò
divertita mademoiselle
Valèns, assecondando il tono scherzoso che aveva colto nella
voce della sua
datrice di lavoro.
“Infine”
proseguì divertita Lady Sinclair
“gli dirò che avrò piacere di accettare il suo invito a cena purché sia
in quel
ristorantino di Montmartre che mi piace tanto... o, meglio ancora, su
un
battello lungo la Senna. Lo adoro!”
“Siete
diabolica, Milady. Sapete bene che
vostro fratello, a Parigi, non tollera di mangiare in nessun luogo che
non sia
il Ritz”.
“Oh,
che peccato! Pazienza, intanto
domenica prossima ho già un impegno con il dottor Dumònt e sua moglie
per
parlare del nostro progetto comune... non credo che ad Edmund interessi
assistervi e io non ho alcuna intenzione di rimandarlo per mio
fratello” e con
questo scambio di battute Milady si ritirò nel suo appartamento al
primo piano,
lasciando mademoiselle Valèns a
sogghignare divertita, immaginando
il
povero duca di Kesington al telefono, alle prese con la sorella.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Al Castello ***
Capitolo IX
Al
Castello
Da alcuni
minuti aveva lasciato la strada principale e,
oltrepassato il cancello che delimitava la proprietà, stava
percorrendo, seppur
lentamente, il viale fiancheggiato da alti cipressi che conduceva al
castello.
Eppure, dell’antica dimora, ancora non si vedeva neppure una pietra.
Era arrivato
nello splendido borgo francese nel cuore
della Borgogna in tarda mattinata e come prima cosa aveva visitato i
luoghi ove
si erigeva un tempo la celebre abbazia benedettina, sede principale
dell’ordine
cluniacense, fondata nel 910 da Guglielmo il Pio, duca d’Aquitania, e
considerata la più grande chiesa della cristianità fino alla
costruzione della
Basilica di San Pietro a Roma: era partito dal Musee
Ochier, dove aveva ammirato antiche sculture romaniche che si
trovavano nell’abbazia, e un fedele modello in miniatura, esposto per
permettere di rendersi conto delle proporzioni e della disposizione
delle varie
costruzioni che formavano l’intero complesso; quindi era arrivato sino
a place du 11 Aout, da dove aveva
potuto
ammirare la facciata restaurata del XIII secolo e si era spinto fino
alla fila
di alberi che si trovano al di là del Clocher
da l’Eau Benite, il campanile chiamato Torre dell’Acqua
Benedetta, e della Tour de l’Horologe.
Aveva evitato invece
quelli che un tempo erano il transetto meridionale e l’antico chiostro
dell’imponente Eglise Abbatiale,
poiché occupati da una scuola di specializzazione per ingegneri civili
e
meccanici.
Verso metà
pomeriggio, dopo un rapido spuntino in un bistrot
a base di pane e formaggio
accompagnati da un bicchiere di ottimo vino della zona, aveva preferito
raggiungere lo Chateau dove
avrebbe
trascorso la notte e rimandare la visita dello splendido borgo
medievale sorto
attorno all’abbazia al giorno successivo.
L’appuntamento
con Lady Sinclair a Parigi era stato
rimandato per l’ennesima volta e a quel punto non era più sicuro che si
sarebbe
avvalso ancora della consulenza della nobildonna: da una settimana
l’impegno
era stato spostato di due giorni in due giorni e ancora una volta mademoiselle Valèns si era profusa in
mille imbarazzanti scuse, assicurandogli che Milady era estremamente
dispiaciuta di essere costretta, sempre per motivi professionali, a
cambiare di
nuovo la data dell’incontro. Tuttavia lui era piuttosto stufo di
aspettare i
comodi della “Nobiltà Vostra”, come
aveva iniziato a chiamarla tra sé, soprattutto perché era convinto che
gli
impegni “professionali” altro non fossero che capricci della nobildonna
la
quale non aveva forse capito con chi aveva a che fare.
Pertanto, non
sapendo come trascorrere il week-end in cui
aveva sperato di iniziare finalmente con il suo romanzo, aveva dato
un’occhiata
su internet per scoprire se vi fossero luoghi interessanti da visitare
oltre
Parigi, che ormai conosceva quasi a memoria, dato che non aveva fatto
altro che
girovagare per la città in attesa di iniziare a lavorare con la “Nobiltà Vostra”. Oltre ai classici
luoghi turistici, per altro già visti durante i suoi precedenti
soggiorni nella
capitale francese, questa volta si era concesso di visitare Maison Balzac, in rue Raynouard, dove il
grande scrittore lavorava, allo scrittoio della stanza d’angolo, 18 ore
al
giorno alla sua “Comédie humaine”;
si
era spinto, inoltre, sino all’estrema periferia sud-ovest di Parigi, in
luoghi
carichi di memorie e reminiscenze della grande letteratura francese, a Chatenay-Malabry dove si trova la Maison Chateaubriand,
acquistata dallo scrittore
per ventimila franchi frutto dei diritti d’autore e delle vendite di Atala, il romanzo che lo aveva reso
famoso, e dove vi passarono anche Anna de Noailles e Saint-Exupery.
Ovviamente di
altri luoghi interessanti, sia a Parigi che
altrove, ve n’erano moltissimi, ma lui cercava qualcosa di ben preciso,
che
potesse tornargli utile per il suo romanzo: aveva saputo di un’antica
residenza
un tempo appartenuta ad una nobile famiglia francese che talvolta
metteva a
disposizione una camera del castello per qualche giorno a chi era
interessato a
visitare la proprietà e a conoscerne la storia, consultando testi della
fornita
biblioteca e curiosando tra vecchi cimeli.
Aveva
telefonato e si era presentato come un professore
universitario, uno studioso interessato in particolare alla storia
dell’Ottocento; del resto non aveva neppure mentito del tutto: era
laureato a
pieni voti in legge a Harvard e, da quando era diventato famoso, era
stato
contattato da più di un’università, americana e non, per tenere delle
lezioni.
Aveva così
saputo che vi era parecchio materiale risalente
al XIX secolo; a quel punto, dopo essersi messo d’accordo per riservare
la
camera per quel week-end, era partito per la Borgogna.
Svoltò ad una
curva del viale e, finalmente, il castello
gli apparve in tutta la sua maestosa bellezza. Era un’imponente ma al
tempo
stesso elegante costruzione in pietra grigia, più simile ad una grande
casa che
ad un vero e proprio castello, anche se la massiccia torre rotonda sul
lato
destro conferiva all’insieme un che di regale.
Era facile
immaginare un aristocratico gentiluomo di
campagna, proprietario dei vigneti che circondavano per ettari la
proprietà,
percorrere a cavallo lo stesso viale che lui aveva appena percorso
sulla
decappottabile argento e arrivare, proprio come stava facendo lui in
quel
preciso istante, nell’ampio spiazzo prospiciente l’ingresso, che dal
lato
opposto dava sull’immenso parco fino a quel momento nascosto dagli
alberi che
costeggiavano il viale; lo immaginava smontare da cavallo, accolto
dallo
stalliere, che si sarebbe occupato dell’animale, e dai suoi cani, che
l’avrebbero
accompagnato all’interno dello chateau.
Non appena fu
sceso dall’auto, apparve
un distinto signore sulla sessantina
che, in un perfetto inglese, si presentò come Pierre; mentre l’uomo si
avviava
verso l’ingresso con il suo borsone da viaggio, egli si guardò attorno,
affascinato dallo spettacolare paesaggio che si presentava ai suoi
occhi: il
parco era davvero fantastico, con un tappeto verde di prato all’inglese
curato
alla perfezione; cespugli di ortensie, disposti quasi fossero stati
disegnati
in un quadro nei punti strategici per far risaltare al meglio il
dipinto e il
cui colore andava dal viola intenso, al lilla, all’azzurro tenue, si
alternavano a selvaggi mazzi di lavanda profumata e ad altre varietà di
fiori
dalle varie tonalità, sempre nelle gradazioni del viola e del lilla,
quasi a
richiamare, in quell’accostamento di verde e viola, i colori storici di
Wimbledon.
Dal lato
della torre, la fila di piante che costeggiava il
viale d’accesso alla proprietà sembrava dilatarsi all’infinito in un
bosco che
dava anch’esso l’impressione di essere perfettamente curato; infine,
sul terzo
lato della costruzione, vi era un patio con tavolo e sedie in ferro
battuto e,
poco più in là, si intravedeva l’inizio di quella che di certo doveva
essere
una piscina che si estendeva verso il retro della casa dove, con ogni
evidenza,
il parco proseguiva fino a circondarla completamente.
Da quello
stesso lato, ma più appartata rispetto alla
struttura principale, si ergeva un’altra costruzione in pietra, quelle
che un tempo
dovevano essere state le scuderie o che forse, con un po’ di fortuna
–si disse-
lo erano tutt’ora, e di lato ad essa un porticato chiuso, usato come
rimessa
per ritirare le carrozze e trasformato in garage, visto che vi era una
jeep
parcheggiata sotto.
Senza il
rumore dell’auto il silenzio era totale,
interrotto solo dal cinguettio degli uccelli che popolavano il bosco.
“Vi piace, monsieur?”.
La voce di Pierre, che si era fermato ad attenderlo, lo distolse dalla
contemplazione.
“E’
meraviglioso”.
“Sua Signoria
ci tiene davvero molto che lo Chateau,
e soprattutto il parco,
rimangano esattamente come li avevano voluti i suoi antenati...”.
“Deve essere
bellissimo abitare qui”.
“Sua Signoria
non vive qui, anche se ci viene spesso,
appena possibile... ma venga, l’accompagno a vedere il castello”.
L’interno
della costruzione lo sorprese: si immaginava
stanze ridondanti di mobili antichi e preziose suppellettili, ad
ostentare la
ricchezza e la nobiltà della famiglia; invece l’arredamento, pur
formato da pezzi
di evidente valore, era semplice e di grande gusto e, benché non più
abitato,
lo Chateau dava l’impressione di
una
casa accogliente e vissuta.
“Mi pare
sorpreso, monsieur...”
“Lo sono,
infatti. Mi aspettavo un genere diverso”.
“Molto più
appariscente?”
“Esatto.
Invece è così... non so come dire... si respira
l’aria di una casa vissuta, in cui le persone che la abitano non
possono che
essere felici”.
“Ha molto
intuito, monsieur.
A quanto ne so è sempre stato un luogo ove chi vi ha vissuto è stato
molto felice.
La proprietà è sempre stata mantenuta in discrete condizioni, la nostra
famiglia l’ha sempre curata per conto degli eredi, tuttavia sono più di
cento
anni che non è abitata... Sua Signoria n’è entrata in possesso da poco
e ha
voluto riportarla all’antico splendore, soprattutto il parco, che era
stato
abbandonato. Ha trovato tra i vecchi documenti il progetto originale e
ha fatto
in modo che i giardinieri si attenessero a quello, per sistemarlo: ogni
fiore è
della specie voluta in origine ed è disposto come disegnato
nell’acquerello che
accompagnava il progetto. I
mobili,
invece, sono quelli originali; sua Signoria si è limitata a farne
restaurare
alcuni che erano molto rovinati. Noi speriamo che, prima o poi, decida
di
venire ad abitare qui... forse quando si sposerà...”
“Io abiterei
qui da subito. Questa
è una casa che farebbe innamorare
qualunque donna... sua Signoria non dovrebbe faticare a trovare una
moglie
disposta ad abitare in un luogo tanto bello”.
“Oh, no, monsieur...
“ disse Pierre con un sorriso, ma fu interrotto dall’arrivo di una
signora,
anche lei sulla sessantina, con tanto di grembiule inamidato sopra
l’abito nero
e cuffietta bianca a trattenerle i capelli argentati.
“Pierre, non
accompagni il signore nella sua camera?”
“Certo,
Madeleine... stavo solo raccontando a monsieur
ciò che ha fatto sua Signoria
per riportare lo Chateau al suo
antico splendore “.
“Oh, oui! E’
stata una gioia per noi veder tornare alla vita questa bellissima
proprietà...”
disse la donna, “la bisnonna di mia nonna ha lavorato per la famiglia e
mia
nonna mi raccontava dei ricordi di sua madre che, a sua volta, le
tramandava i
racconti della nonna, la quale aveva servito gli ultimi proprietari che
vissero
qui: fu la cameriera personale della duchessa fino alla sua morte,
avvenuta
poco dopo quella del marito. Da principio la famiglia abitava nello Chateau solo in estate, quando il duca
veniva una volta all’anno ad occuparsi delle sue proprietà in
Francia... allora
la casa si riempiva delle voci gioiose dei bambini, che giocavano nel
prato e
nella vasca che già allora sua Signoria aveva voluto per i figli. La
piscina
ora è nuova, ma si trova nel punto esatto dove il duca aveva voluto la
vasca
per i bambini. Avevano
quattro figli,
due maschi e due femmine e, a quanto raccontava la mia trisavola, si
amavano
moltissimo. Quando i figli furono grandi e si fecero una vita propria,
il duca
e la moglie si trasferirono a vivere qui e la mia trisavola si trasferì
con
loro. Lui morì all’età di ottantaquattro anni, ne avrebbe compiuti
ottantacinque dopo pochi giorni e lei è sopravvissuta solo poche
settimane
senza di lui. Vissero qui, insieme solo loro due, per quasi vent’anni,
ma i
figli venivano a trovarli spesso. Il duca è stato sepolto qui per
volontà della
moglie; quando è morta anche la duchessa, i figli, che vivevano ormai
tutti in
Inghilterra, se si esclude la figlia che si fece suora e che viveva in
Francia,
decisero di seppellirla accanto al marito. Sul retro del castello, in
fondo al
parco, se lo desidera potrà trovare le loro tombe. Ma ora venga,
l’accompagno
in camera. Pierre, porta la borsa di monsieur...
Pierre è mio marito e da anni siamo noi i custodi della
proprietà; ci
occupiamo del castello e del parco, mentre dei vigneti e della
produzione del
vino se ne occupa nostro figlio, per conto di Sua Signoria...” .
Senza
smettere di parlare un istante, la donna gli fece
strada al piano superiore fino ad una camera in un’ala del castello
riservata
agli ospiti.
“Se lo
desidera servirò la cena nella sala da pranzo per
voi, monsieur” gli disse madame
Madeleine.
“Oh, no, non
si disturbi per me, madame. Mangerò
con voi. Oppure posso uscire e trovare una locanda…”.
“Non lo dica
neppure. E’ un piacere preparare per un bel
giovane come siete voi” gli disse la signora, ammiccando, “allora
ceneremo
assieme, così avremo compagnia. Anche Sua Signoria, quando viene qui,
preferisce mangiare con noi e chiacchierare un po’. Bene, la cena sarà
pronta
alle 20; fino ad allora potrà fare ciò per cui è venuto. Troverà la
biblioteca
al piano terra, prima de ‘Le Bureau de le
Comte’, che si trova nella torre, monsieur
le professeur” aggiunse la donna.
Sentendosi
appellare in maniera tanto altisonante, ma
preferendo continuare a passare in incognito, la invitò a chiamarlo per
nome.
“La prego, madame
Madeleine, mi chiami Andrew... e anche lei, Pierre.”
“Andrew? E’
questo il vostro nome, monsieur?”
domandò la donna.
“Andrew
Alexander, per la precisione. Ma mia madre mi
chiama Andy“.
Vide Pierre e
Madeleine scambiarsi un’occhiata strana.
“Qualcosa non
va nel mio nome?” domandò, tra il divertito
e il perplesso. Quella coppia gli piaceva, lo faceva sentire quasi a
casa e al
tempo stesso catapultato indietro nel tempo di almeno due secoli.
“Oh, no, monsieur le
prof... ” iniziò a dire Madeleine, ma visto lo sguardo che il
giovane le
rivolgeva, si corresse immediatamente: “
Monsieur
Andrew, d’accordo. E’ solo che... oh, nulla, nulla. Il vostro
è un nome
molto bello, si adatta ad un bel ragazzo come siete voi. Bene, ci
vediamo più
tardi, a cena. Pierre vi accompagnerà in biblioteca, se lo desiderate”
e così
dicendo marito e moglie si congedarono.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Una scoperta ***
Capitolo X
Una
scoperta
Quel
week-end, contrariamente a come si prospettava quando
l’assistente di Lady Sinclair aveva spostato di nuovo l’incontro, si
stava
rivelando molto interessante e il breve soggiorno allo Chateau
una fonte d’ispirazione inaspettata.
Era come se
in quella casa fossero rimaste le anime degli
ultimi due amanti che l’avevano abitata. Ogni cosa parlava di loro: i
ritratti
appesi nella galleria al secondo piano, il parco fatto rivivere come lo
avevano
voluto loro, numerosi piccoli oggetti che Pierre e Madeleine gli
avevano detto
essere appartenuti al duca o alla duchessa, tra i quali un orologio da
taschino, un paio d’occhiali, il set da ricamo... perfino un armadio,
nella
camera da letto che madame
Madeleine
gli disse essere stata la loro, contenente alcuni abiti da ballo
maschili e
femminili della seconda metà dell’Ottocento. A quello che gli avevano
raccontato a cena Pierre e la moglie, sembrava che la duchessa, quando
si erano
trasferiti ad abitare lì lasciando l’Inghilterra, avesse voluto portare
con sé
numerosi ricordi, tra i quali appunto alcuni abiti da sera che la
coppia aveva
sfoggiato di certo ai balli a corte.
E fino a quel
momento non era ancora entrato nella stanza
della Torre; si era limitato alla biblioteca, per altro molto fornita,
segno
evidente di appassionate letture. Aveva sfogliato parecchi testi e in
ognuno
aveva trovato, qua e là, segni inconfondibili della stessa mano, brevi
annotazioni in inchiostro nero in una calligrafia chiara ed elegante.
Quasi
tutti i libri risalivano al Settecento e all’Ottocento, se non
addirittura a
prima, e la biblioteca era fornita di moltissime prime edizioni di
classici
inglesi, francesi e anche italiani. Un settore a parte era dedicato ai
testi
latini e greci e un altro agli autori tedeschi, in particolare a
trattati di
filosofia. Infine vi era una zona della biblioteca chiaramente
aggiornata di
recente, con libri di autori del primo ‘900, da Virginia Woolf a Edith
Wharton,
da d’Annunzio a Hemingway, da Pirandello alla Von Arnim, oltre
a vari autori di
fine secolo scorso, tra cui Pennac, Saramago, Eco, Marquez, fino ad
arrivare a Follett,
Grisham e altri. Solo un piccolo scaffale conteneva romanzi più recenti
tra i
quali, con un sorriso divertito, riconobbe anche i suoi: a quanto
pareva
l’attuale proprietario amava i romanzi gialli e i legal-thriller.
Ora si
accingeva ad entrare in quella che Pierre e
Madeleine chiamavano ‘Le Bureau de le
Comte’ , lo Studio del Conte. A cena era stato troppo preso
dai racconti
dei due coniugi per domandare come mai, nel castello di un duca e di
una
duchessa inglesi, una delle stanze fosse intitolata ad un conte; aveva
saputo
che prima della Rivoluzione Francese il castello apparteneva ad una
famiglia di
conti originari del luogo ed era probabile che, fin dall’inizio
battezzata
così, aveva mantenuto l’appellativo nel corso dei secoli. Ad ogni modo
a lui
non importava granché il nome dato ad una stanza; ciò che gli premeva
soprattutto era vederne il contenuto.
Aprì la porta
in legno massiccio ed entrò.
Erano gli
inizi di giugno e la temperatura esterna era
tiepida; ciononostante il fuoco ardeva nel grande camino a fianco della
porta,
nell’unica parete diritta della stanza. Per il resto l’ambiente seguiva
il
profilo tondo della torre e ne occupava tutta la superficie.
Pierre o
Madeleine dovevano aver preparato lo studio per
il suo arrivo poiché erano state accese diverse candele disposte un po’
ovunque
e persino un’antica lampada ad olio che si trovava sulla grande
scrivania posta
di fronte al camino, più o meno al centro della stanza, alle spalle
della quale
si apriva l’unica vetrata, che interrompeva il susseguirsi di scaffali
pieni di
libri alternato ad antiche carte geografiche posti lungo la parete
arrotondata;
tuttavia la fonte di luce più spettacolare, che durante la giornata
doveva
contribuire ad illuminare l’ambiente, proveniva dall’alto soffitto ove,
in quel
momento, i vari lucernai lasciavano penetrare la luce argentea della
luna e
permettevano di vedere il cielo trapunto di stelle.
Per un attimo
si sentì quasi in soggezione di fronte a
quel luogo tanto affascinante, al punto che non riuscì neppure ad
entrare e
restò ad osservare l’effetto d’insieme sulla porta; poi prevalse la
curiosità e
l’euforia di mettere piede in una stanza che sembrava provenire
direttamente
dal passato.
Nei giorni
precedenti aveva visitato i luoghi dove avevano
vissuto e lavorato due tra i grandi della letteratura eppure, benché
entrambi
interessanti e suggestivi, nessuno di quei luoghi gli aveva trasmesso
una così
intensa sensazione di una presenza ancora viva come quella casa ed in
particolare quello studio. Forse questo fatto era dovuto alla
popolarità delle
altre due abitazioni, visitate sempre da molti turisti, in contrasto
con la
riservatezza di quel luogo tanto privato. Era come se lo spirito di
Balzac, o
di Chateaubriand,
se ne fosse andato
poco alla volta assieme alle molte persone che erano state a rendere
omaggio ai
luoghi dov’era vissuto; mentre colui che aveva abitato per ultimo
quello studio
era ancora lì, come se non se ne fosse mai allontanato.
Si chiuse la
porta alle spalle e si avviò alla scrivania,
guardando per prima cosa fuori dalla vetrata ed era sicuro che vi
avrebbe visto
ciò che vide: una parte dell’enorme piscina, di certo nel punto in cui,
oltre
cent’anni prima, c’era stata la vasca per i bambini.
Gli sembrò di
non essere solo in quella stanza. Aveva la
sensazione di avere di fianco qualcuno che lo osservava muoversi e
quasi gli
indicava come farlo e dove andare.
Era
un’esperienza stranissima, che non aveva mai vissuto,
paragonabile quasi ad un deja-vu,
ma
neppure del tutto. Faticava persino a descriverla nella propria mente.
Prese
coraggio, spostò la sedia e si sedette allo
scrittoio; sul tavolo, oltre alla lampada ad olio, c’era un antico
calamaio con
la penna d’oca e tutto il materiale per la scrittura di un tempo:
inchiostro,
tampone assorbente, ceralacca e nell’unico
cassetto aperto, fogli in pergamena ingiallita, buste e
alcuni sigilli.
Nessun
computer, nessuna stampante, nessun fax.
Tutto era
rimasto come, con molta probabilità, lo aveva
lasciato l’ultimo proprietario dello studio.
Si domandò
come mai l’attuale erede avesse deciso che
quella stanza dovesse rimanere inutilizzata, ma fu solo un attimo,
poiché
proprio grazie a ciò poteva godere di quella particolare atmosfera
ottocentesca. Avrebbe dato l’intero guadagno delle vendite del suo
ultimo
romanzo per poter scrivere per il resto della sua vita in un luogo
simile...
adorava il suo studio nel loft di New York, ma quel luogo aveva
dell’incredibile.
Tutta quella proprietà era fantastica.
Si rese conto
che avrebbe desiderato poter abitare in un
luogo simile e pensò che forse avrebbe potuto contattare Sua Signoria e
fargli
una proposta d’acquisto. Del resto Pierre e Madeleine non gli avevano
forse
detto che non abitava lì, ma che ci andava solo ogni tanto? Magari
l’offerta
giusta lo avrebbe convinto a vendergliela.
Nel frattempo
si era alzato ad osservare i libri negli
scaffali, attratto dalla libreria alla destra dello scrittoio che
seguiva il
profilo arrotondato della parete alla quale si appoggiava; ad un tratto
notò
due ripiani che non contenevano volumi stampati, ma una serie di
volumetti che
potevano essere dei quaderni rilegati.
Incuriosito
ne prese uno e lo sfogliò: riconoscendo la
medesima calligrafia chiara ed elegante che aveva notato in alcuni
libri nella
biblioteca, iniziò a leggere. Comprese subito che si trattava di un
diario;
allora ne tirò fuori un paio d’altri e li guardò, scoprendo che anche
quelli
erano dei diari.
Poiché lui
stesso aveva l’abitudine di segnare, sulla
prima pagina di ogni quaderno, la data di inizio e quella di fine
relativa al
lasso di tempo che il diario comprendeva, andò alla pagina iniziale e,
sorridendo, osservò che a distanza di quasi duecento anni gli uomini
non erano
poi cambiati così tanto. O che forse aveva in comune con l’autore di
quegli
scritti più di quanto si aspettasse.
Ne controllò
alcuni e si rese conto che erano stati
sistemati in ordine cronologico, dal primo all’ultimo. Ne contò quasi
una cinquantina,
il primo era datato 18 luglio 1834 – 8 maggio 1836 ed era scritto in
una grafia
infantile. L’ultimo, in prima pagina, aveva solo la data iniziale: 17
giugno
1914; andò alle ultime poche pagine scritte e lesse la data, 14 luglio
1914. Se
la memoria non lo ingannava esattamente due settimane prima dell’inizio
della
Prima Guerra Mondiale.
La tentazione
fu troppo forte: accomodatosi sulla poltrona
di fronte al camino, incominciò a leggerli, partendo dal primo. Scorse
rapidamente i primi due, quelli infantili, osservando con curiosità che
erano
scritti in francese e che denotavano, già allora, un acuto spirito
d’osservazione e una discreta capacità espressiva. Raccontavano di
giochi con
piccoli amici e di avventure immaginarie; brevi resoconti sugli studi
con un
precettore che il fanciullo, a quanto scriveva divertito, metteva
sempre in
crisi con domande azzardate, e appassionanti descrizioni delle lezioni
di
equitazione e del pony bianco che gli aveva regalato il padre.
Dal terzo in
poi il tono cambiava e diventava evidente che
il fanciullo si stava trasformando in ragazzo: le prime ribellioni
all’autorità
paterna, alle piccole ingiustizie che vedeva attorno a sé e che gli
sembravano
indegne dell’Uomo; i primi turbamenti per il cambiamento del proprio
corpo e un
susseguirsi di domande, molte delle quali senza risposta, altre con
descritto
il proprio pensiero in merito, sugli argomenti più disparati, dal senso
della
vita alla morte, e altre più complesse, che derivavano di certo da
testi
filosofici che il ragazzo aveva con ogni evidenza già cominciato a
leggere.
Ad un certo
punto, alternati alla lingua francese, trovò
brevi pezzi in un inglese stentato, chiari tentativi di imparare il
nuovo
idioma. Trovò la cosa alquanto strana, perché avrebbe pensato semmai il
contrario.
Dopo il
quinto quaderno sollevò la testa e guardò
l’orologio: erano le due di notte. Ricordando all’improvviso che Pierre
gli
aveva detto che lo avrebbe atteso alzato per spegnere le luci e
chiudere lo
studio, ripose con rimpianto i quaderni al loro posto sullo scaffale ma
si
ripromise di proseguire nella lettura il giorno successivo.
Purtroppo non
sarebbe riuscito a leggerli tutti; aveva
previsto per l’indomani una visita al borgo medievale, e due giorni
dopo aveva
l’appuntamento a Parigi con Lady Sinclair... ora, tuttavia, era più
interessato
a restare al castello per leggere quei vecchi diari.
In quel
momento decise che avrebbe fatto a meno di
un’esperta che sembrava non interessata ad incontrarlo: quei diari gli
stavano
facendo venire l’ispirazione molto più dell’eccentrica nobildonna.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Strane sensazioni ***
Capitolo XI
Strane
sensazioni
Nicole
Montgomery scese dall’auto e si guardò attorno: era
strano che nessuno venisse ad accoglierla, eppure aveva avvertito del
suo
arrivo.
Girò attorno
alla macchina per recuperare la borsa con
l’attrezzatura fotografica e solo allora notò la decappottabile argento
parcheggiata sotto la tettoia.
Si avviò
all’ingresso e bussò all’antico batacchio, senza
tuttavia ottenere risposta.
Per ciò che
era venuta a fare, avrebbe potuto lavorare
anche se non vi fosse stato nessuno, ma era comunque strano il fatto
che avesse
trovato aperto il cancello principale della tenuta, altrimenti non
sarebbe
potuta arrivare fin lì, mentre lo Chateau
era chiuso.
Incuriosita
dall’auto posteggiata, si avvicinò per
osservarla meglio ma fu distratta dal suono inconfondibile, seppur
lieve,
dell’acqua che sciabordava: c’era evidentemente qualcuno che stava
nuotando,
poiché l’aria era troppo immobile per esserne la causa. Abbandonò il
precedente
obiettivo e, svoltando verso il retro della casa, si soffermò sotto
l’ombrellone color lavanda che, abbinato alla tovaglia sul tavolo in
ferro
battuto e al tessuto che ricopriva le sedie, richiamava l’esatta
tonalità degli
arbusti profumati che circondavano il patio. Da lì poteva osservare la
vasca
senza dare troppo nell’occhio.
In acqua un
uomo stava nuotando a crawl, con un
ritmo costante, rilassato, quasi ipnotico; nonostante
ciò procedeva con rapidità, macinando una vasca dietro l’altra, segno
che la
spinta di gambe e braccia doveva essere potente. Dopo venticinque metri
eseguiva una virata perfetta, increspando l’acqua che invece, durante
la
bracciata a stile libero, sembrava appena sfiorata, quasi che il
nuotatore
l’accarezzasse, anziché fenderla con vigore.
Dal punto in
cui si trovava riusciva a scorgere dell’uomo
solo i capelli scuri, le braccia e parte dell’ampio dorso; attraverso
l’acqua
intuiva appena la sagoma delle gambe, che dovevano essere lunghe e
muscolose,
mentre il profilo del volto si confondeva nella lieve increspatura
formatasi
dal movimento del braccio e dalla rotazione del capo durante la
respirazione.
Rimase ad
osservarlo per alcuni minuti, affascinata da
quei movimenti lenti ma al tempo stesso potenti, contando una
quindicina di
vasche prima che l’uomo decidesse di smettere; quando lo vide
rallentare e
dirigersi verso il bordo della piscina, comprese che sarebbe uscito di
lì a
breve e, guidata dall’istinto, posò la mano sulla macchina digitale che
portava
come sempre al collo, pronta a cogliere l’attimo. Egli si issò sul
bordo
facendo leva sulle braccia, mentre le dava le spalle; la scaletta per
risalire
era al lato opposto, ma Nicole aveva intuito che sarebbe uscito da dove
si era
tuffato per recuperare l’asciugamano appoggiato a terra e quando lo
vide
attraverso l’obiettivo in piedi capì anche il perché: non indossava il
costume
e lo scatto immortalò, inquadrato di schiena, un corpo nudo
assolutamente
perfetto.
A dire il
vero gli scatti furono tre, uno di seguito
all’altro, mentre l’uomo, sempre di spalle, si asciugava rapido
dapprima capelli
e volto e poi si avvolgeva in vita il telo bianco; al terzo egli si
accorse del
rumore e si voltò proprio mentre Nicole ne scattava un quarto che colse
entrambi di sorpresa, lui perché scoperto da una donna a fare il bagno
nudo e
per di più immortalato con delle foto, lei perché, nell’attimo in cui
vide il
volto sorpreso dell’uomo, capì come mai l’istinto le aveva suggerito di
fotografarlo mentre usciva dalla vasca: si trattava del medesimo
esemplare di
maschio che aveva incontrato su una spiaggia e che aveva fotografato
alcuni
giorni prima alla Maison Dior.
Era da quel
giorno che non faceva che pensare a lui e
sviluppare il servizio fotografico in cui era l’unico modello non aveva
certo
contribuito a toglierselo dalla mente. Le foto erano splendide, le più
sensuali
che avesse mai fatto, se si escludevano gli ultimi quattro scatti;
aveva
sufficiente esperienza per sapere che merito dell’eccezionalità di
quelle
immagini era dovuto al mix pericoloso tra la sensualità insita in
quell’uomo e
l’effetto che aveva su di lei. Non era l’unico uomo attraente che aveva
fotografato, considerato il suo lavoro, ma di certo era l’unico che le
trasmetteva quelle strane sensazioni alle quali, nonostante i suoi
ferrei
propositi, faceva fatica a resistere.
Dopo l’attimo
di sorpresa anche lui la riconobbe e lei lo
capì dal sorriso sornione con cui il suo volto si illuminò.
“Salve”, le
disse, con aria divertita.
“Salve”
rispose lei, cercando di avere l’aria più naturale
possibile mentre si gingillava la macchina fotografica nelle mani.
“Ci si
rivede” aggiunse lui.
“Già...”
puntualizzò lei a sua volta, per prolungare gli
inutili convenevoli, onde evitare l’imbarazzo del silenzio.
Lui non disse
più nulla e si diresse verso di lei con
estrema disinvoltura come se, anziché avvolto in un telo, fosse
abbigliato in
abito da sera.
“Sono appena
arrivata... ho bussato al castello ma non c’è
nessuno... devo... dovrei fare un servizio fotografico al giardino...”
balbettò, cercando di contenere le strane sensazioni che l’uomo le
procurava.
“E’ solo?”
aggiunse poi.
Non appena
ebbe posto la domanda, si rese subito conto di
quanto fosse stupida. Lui colse al
volo
l’occasione per metterla ancora più in imbarazzo, facendole notare di
essersi
accorto che lo aveva guardato e addirittura fotografato mentre usciva
nudo
dalla piscina.
“Ovviamente,
altrimenti non mi avrebbe trovato a fare il
bagno in costume adamitico! O per caso pensa che sia solito nuotare in
queste
condizioni ove chiunque potrebbe vedermi?” chiese divertito. Poi, senza
attendere risposta, proseguì: “Non avevo il costume con me, ma l’acqua
era
talmente invitante... credevo che sarei rimasto solo per almeno un paio
d’ore.
A quanto pare lei è sempre pronta a scattare una foto... deformazione
professionale?” domandò con un sorriso da presa in giro, assecondandola
nella
formalità verbale che lei si ostinava ad utilizzare, per non renderle
la vita
facile.
“Non sapevo
che fosse lei...” tentò di scusarsi Nicole.
“Quindi, se
avesse saputo che ero io, non mi avrebbe
fotografato, mentre un qualunque altro uomo sì? Ahi, ahi, che duro
colpo per il
mio ego! Devono essere venute davvero brutte le foto dell’altro
giorno...”
scherzò lui, con l’aria di non temere affatto ciò di cui pareva
preoccuparsi a
parole.
Quando la
vide arrossire aggiunse, avvicinandosi di
qualche passo e arrivandole pericolosamente vicino:
“Non mi dirà
che svilupperà queste foto, vero?”
“Si
vergogna?” chiese lei, a mo’ di sfida.
“No, non
direi. Se mi avesse fatto mettere in posa
apposta, è molto probabile che mi sarei sentito in imbarazzo, ma visto
che lei
ha scattato a mia insaputa...” disse con l’aria di chi voleva farla
sentire
quasi in colpa per avere violato la sua privacy; ma poi aggiunse
divertito:
”Mi
preoccupavo solo per lei...”
“Le ricordo
che sono adulta... e poi il ritratto
di un nudo, se ben fatto, può essere considerato persino un’opera
d’arte. E le
assicuro che le mie foto, anche se improvvisate, non sono mai
volgari...” .
Posandole un
dito sulle labbra lui la zittì:
“Non volevo
affatto mettere in dubbio la sua
professionalità... mi preoccupavo per lei...
“Per me?” domandò
Nicole a fatica, ipnotizzata da quel lieve tocco sulle sue labbra.
“Sì” rispose
lui, sorridendole “non vorrei che certe mie
foto la turbassero al punto da mettere in discussione i suoi ferrei
principi di
non mescolare mai lavoro e piacere e la spingessero ad accettare un mio
invito
a cena” aggiunse poi, sempre col sorriso sulle labbra e lo sguardo
acceso di
una luce particolare, la stessa che gli aveva visto alla Maison
Dior mentre lo fotografava.
La pressione
del suo dito unita a quello sguardo le resero
difficilissima la risposta che si costrinse a dargli:
“Lei
dimentica che sono una fotografa di professione e
sono abituata ad avere a che fare con modelli e modelle, quindi con
persone di
bellezza superiore alla media... Ci vuole più di un bell’uomo nudo per
farmi
cambiare idea e dimenticare le mie regole” disse con la voce che le
usciva a
fatica, mentre si allontanava di un passo.
“Mi sta forse
provocando?” domandò di rimando lui, gli
occhi fissi sulla sua bocca.
“Niente
affatto. Sto solo chiarendo la mia posizione” si
affrettò a precisare, osservando che ci sapeva davvero fare con le
parole,
tanto da trasformare una banale conversazione in una seducente
schermaglia
amorosa d’altri tempi.
“E, se non se
ne fosse accorta, mi sta dando anche un
grande vantaggio...” aggiunse lui, in un sussurro.
Aveva
ragione. Nicole se ne rese conto dalla tensione che
aleggiava tra loro. Se l’avesse baciata, come gli era sembrato che lui
stesse
per fare, in quel momento avrebbe capitolato.
“Dove sono i
custodi?” domandò, cercando di cambiare
argomento.
“Monsieur Pierre
e la moglie sono andati per un paio d’ore dal figlio... la nuora ha da
poco
avuto un bambino e loro volevano passare del tempo con il nipotino.
Sono andati
via da un po’, torneranno a breve. Perché non si siede ad aspettarli
con me?
Oppure può iniziare a fotografare il giardino, come preferisce. Io
starò buono
buono ad osservarla” rispose accomodandosi su una sedia con le gambe
allungate
davanti a sé e l’aria più rilassata del mondo.
Fotografare
il giardino... Figuriamoci! Con un uomo,
QUELL’UOMO, vestito solo di un asciugamano bianco stretto attorno alla
vita,
che la osservava mentre si concentrava per le foto che doveva fare...
Non se ne
parlava neppure!
“La
ringrazio, ma preferisco tornare un’altra volta”,
disse decisa. Poi aggiunse: “Piacere d’averla rivista” e, prima di
dargli il
tempo di capire che se ne sarebbe andata, girò sui tacchi e si diresse
rapida
all’auto.
Lui la
raggiunse e la fermò, prendendola per un polso.
“Sta
scappando, Nicole?” chiese in un sussurro al suo
orecchio.
Si sentì
percorrere da un brivido e si augurò che lui,
così vicino, non se ne accorgesse.
“Mi sta dando
un altro grande vantaggio psicologico, lo
sa, vero?” .
La sua
domanda le confermò che aveva colto con grande
perspicacia il suo turbamento.
Preferì non
rispondere e, liberando il polso dalle sue
dita, salì sull’auto e mise in moto.
“Mi saluti
Pierre e Madeleine”, aggiunse e, ingranata la
marcia, lo lasciò in mezzo al cortile, a piedi nudi e avvolto
unicamente da un
asciugamano.
Mentre
percorreva il viale alberato che conduceva
all’uscita si sforzò di scacciare dalla mente la sua immagine e,
soprattutto,
la sensazione provata quando gli aveva toccato le dita per allontanarle
dal
proprio polso.
Si sforzò ma,
come temeva, fu del tutto inutile.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Ripensamenti ***
Capitolo XII
Ripensamenti
“Che abito mi
consigli per domani, Marie-Antoinette?”.
“Intendete
per l’incontro con monsieur Andrews,
Milady?” domandò a sua volta l’assistente
tuttofare, mentre recuperava dal tavolino in camera da letto il vassoio
del tè.
“Sì. Non
voglio qualcosa di troppo ricercato, non vorrei
metterlo a disagio, ma al tempo stesso non vorrei neppure che
sottovalutasse la
mia competenza se mi presentassi troppo semplice o troppo sportiva”.
Mademoiselle Valèns non
finiva mai di stupirsi
di Lady Sinclair: era una donna affascinante e sicura di sé, molto
apprezzata
nella sua professione. Era in gamba, colta, intelligente, inoltre aveva
un’energia inesauribile... era capace, come quel giorno, di rientrare
all’ultimo momento dopo un’intera giornata fuori per lavoro e
prepararsi in
mezz’ora per assistere ad una prima a teatro. Aveva un milione di
interessi
diversi, finanziava varie opere di beneficenza e riusciva persino a non
farsi
comandare dal Duca suo fratello... eppure, quando teneva a qualcosa, o
a
qualcuno in particolare, diventava insicura come una scolaretta.
“Avete due
lauree alla Sorbona, in storia e in storia
dell’arte... senza contare la vostra passione per il XIX secolo... come
potrebbe sottovalutare la vostra competenza?”
“Il problema
è che temo sia mal disposto nei miei
confronti, a causa degli appuntamenti rimandati”.
“Non vi
preoccupate, Milady. Non appena parlerà con voi
capirà quanto siete competente e resterà affascinato, come tutti del
resto, dai
vostri discorsi” disse mademoiselle Valèns
per tranquillizzare la nobildonna.
“Sei troppo
buona con me, Marie-Antoinette”.
Terminato di
vestirsi per la serata, piroettando su se
stessa con aria sbarazzina domandò:
“Come sto?”.
“Perfetta
come sempre, Milady” rispose mademoiselle Valèns
con un sorriso
ammirato.
Aggiunse poi,
porgendole la pochette da sera:
“Eccovi la borsetta... L’auto vi sta aspettando”.
“Grazie, sono
pronta” disse uscendo dalla camera e
iniziando a scendere le scale.
Mademoiselle Valèns la
seguì a ruota, commentando:
“Una signora
come voi non dovrebbe andare a teatro da
sola”.
“Ah,
Marie-Antoinette! E cosa suggeriresti? Che accettassi
l’invito di Lord Carlington, per caso?”.
“Forse vostro
fratello ha ragione...” provò a dire la
donna.
“Non pensarci
neppure!” tagliò corto Lady Sinclair.
“Dovreste
uscire con un qualche bell’uomo...”
“Oh, no,
Marie-Antoinette! Non mi accontento che sia solo
bello... deve essere anche intelligente, affascinante, elegante, colto
e
raffinato... Un esemplare più unico che raro, al giorno d’oggi. Più
facile
trovare un bravo autista!” rispose divertita, aprendo la porta.
“Milady... se
me lo permettete, sceglierò due o tre toilettes
per voi per l’incontro di
domani e ve le lascerò appese nello spogliatoio... deciderete con calma
domattina, in modo da dare il tempo a
Pauline di stirare quella che indosserete.”.
“Sei un
angelo, Marie-Antoinette!” rispose Lady Sinclair.
“Buona
serata, Milady”, la salutò la donna con un sorriso
compiaciuto, gratificata dal complimento.
Chiuse la
porta e vi si appoggiò contro, le labbra ancora
atteggiate al sorriso: era stata molto fortunata con quell’incarico.
Lady
Sinclair era una persona davvero gradevole ed era facile lavorare per
lei.
Pretendeva moltissimo da tutti, soprattutto da se stessa, ma non era
mai troppo
dura se qualcosa andava storto.
Decise di
occuparsi subito delle toilettes
per Milady, così poi avrebbe potuto godersi la serata,
c’era un film in televisione che la ispirava proprio.
Aveva fatto
solo due gradini, quando squillò il telefono.
Tornò sui
suoi passi, sollevò il ricevitore e da come
l’uomo la salutò e pronunciò il suo cognome, riconobbe la voce di Alex
Andrews
prima ancora che lui si presentasse.
“Lady
Sinclair, s’il vous plait “.
“Mi dispiace,
monsieur,
Milady è appena uscita...”.
“Capisco.
D’accordo, dirò a lei: ringrazi Lady Sinclair da
parte mia per il disturbo... ho deciso di annullare l’appuntamento di
domani e
liberarla dall’impegno. Non mi servirà più la sua consulenza”.
“Ma... Monsieur
Andrèws… Milady sarà davvero dispiaciuta. Posso domandarvi il perché di questa vostra
decisione?”
“Ho in mente
di sviluppare un nuovo progetto e
l’assistenza di Lady Sinclair non mi serve più, al momento. Magari in
futuro...”.
“Capisco”,
rispose Marie-Antoinette, per nulla convinta
che ciò sarebbe avvenuto. I timori di Milady a quanto pareva si stavano
avverando: era più che evidente dal tono evasivo di Alex Andrews che i
continui
rinvii lo avevano spazientito.
Provò ad
insistere:
“Eppure...
non desidererebbe incontrarla comunque domani,
giacché avete l’appuntamento fissato? Potreste conoscervi e parlare...
vi
accorgereste, monsieur, che Milady
potrebbe esservi di grande aiuto e ispirazione...”.
“Spiacente, mademoiselle,
per domani ho già preso un altro impegno”.
Marie-Antoinette
rimase per qualche secondo in silenzio.
Aveva avuto conferma di ciò che sospettava.
“D’accordo,
riferirò”.
“Merci, mademoiselle... Bonsoir”
“Bonsoir, monsieur”.
Chiuse la
telefonata con la sgradevole sensazione che in
parte fosse colpa sua, per non essere stata capace di ben predisporre
lo
scrittore nonostante i continui rinvii.
E le toccava
ancora la parte peggiore di tutta la
faccenda, ossia informare Milady che non avrebbe più conosciuto ‘Le jeune écrivain de le mystère’, come
lei amava definirlo.
***
La telefonata
non era stata facile, ma non aveva potuto
evitarla. In quel week-end era cambiato ancora tutto quanto e ormai
istinto e
ispirazione lo portavano altrove.
Lady Sinclair
non gli sarebbe più servita. Gli era
spiaciuto solo che mademoiselle Valèns
si fosse convinta che aveva rinunziato alla consulenza della nobildonna
perché
stanco dei continui spostamenti d’appuntamento. Era sicuro che avrebbe
riferito
così a Lady Sinclair.
Pazienza. Non
era quello il reale motivo della sua
decisione, tuttavia era anche vero che tutti quei continui rinvii lo
avevano
spazientito.
Il vero
motivo, ad ogni modo, stava in quei diari che
aveva ritrovato e iniziato a leggere; stava nella storia degli ultimi
abitanti
di quella splendida proprietà, il cui spirito ancora aleggiava tra
quelle mura.
Aveva
trascorso la mattinata e parte del pomeriggio
immerso nella lettura, tralasciando persino la visita al borgo
medievale, e
mentre procedeva con i diari era rimasto affascinato dalla personalità
del
giovane scrittore, ma anche dalla sua bravura nello scrivere, tanto che
in
primis aveva pensato di far pubblicare quegli scritti;
conosceva varie case
editrici che sarebbero state interessate alla cosa e una sua
raccomandazione, o
ancora meglio una sua personale introduzione, sarebbe stata la
pubblicità
migliore. Avrebbe dovuto chiedere il permesso all’erede del Duca, ma
non
dubitava di riuscire a convincerlo.
Poi, però,
era cambiato qualcosa: a mano a mano che
leggeva, la capacità descrittiva dell’autore dei diari era riuscita a
farlo
calare talmente bene nella vicenda al punto da fargli desiderare di
essere egli
stesso a narrarla, nelle pagine del suo prossimo romanzo. E più
procedeva con
la storia privata del Duca, del quale ancora non conosceva neppure il
nome, più
la trovava affascinante.
Rapito dagli
scritti, solo da poco si era reso conto di
non aver mai chiesto a Pierre o a Madeleine come si chiamavano il Duca
e la
Duchessa; i due custodi,
anche nel mostrargli i ritratti, li avevano sempre nominati con il loro
titolo.
Di certo avrebbe letto i
loro nomi sulle
tombe, ma aveva deciso che le avrebbe visitate solo dopo aver
conosciuto
l’intera vicenda.
Si sentiva
particolarmente romantico... e l’aver rivisto
quel pomeriggio madamoiselle Nicole
Montgomery aveva contribuito molto al suo recente stato d’animo. Per
qualche
motivo che lui stesso non si spiegava non voleva essere influenzato da
nomi e
casati e preferiva scoprire poco alla volta il mistero di quella
meravigliosa
storia d’amore che sollecitava tanto la sua immaginazione.
Fino a quel
momento non era ancora arrivato al punto in
cui si erano incontrati: aveva appena terminato il diario che si
concludeva
nell’agosto 1856 e che vedeva l’autore nientemeno che a corte. Di quale
corte
europea si trattava ancora non gli era chiaro, poiché quell’ultimo
diario era
piuttosto evasivo su certi particolari, a differenza dei precedenti,
soprattutto dalla seconda metà in poi. Vi era citato “Sua
Maestà l’Imperatore”, ma ricordava dai suoi studi di storia
che
vi erano almeno due corti europee, quella francese con Napoleone III e
quella
austriaca con Francesco Giuseppe, che in quegli anni si inchinavano ad
un
imperatore. C’erano anche l’impero Ottomano e quello Russo, ma in quel
caso era
convinto che il Duca, con la precisione che lo contraddistingueva, li
avrebbe definiti
sultano o zar. Per
quanto riguardava la Prussia e l’impero
Tedesco, se non ricordava male, Guglielmo I di Hohenzollern era
divenuto
imperatore solo dopo l’unificazione tedesca, quindi non prima del 1870,
mentre
suo padre, Federico Guglielmo III, era solo re.
Presumibilmente
si trattava della corte di Napoleone III,
ma non poteva esserne certo. Forse avrebbe scoperto qualcosa in più nel
diario
successivo.
Impaziente di
sapere come proseguiva quella vicenda di
vita vissuta, afferrò il quaderno in pelle che si trovava in sequenza
dopo
quello appena terminato e iniziò a leggere.
Dopo poche
pagine, tuttavia, si rese conto che qualcosa
non andava: ciò che aveva letto non aveva continuità con quello che
aveva letto
nel quaderno appena terminato tanto da sembrare la vita di un’altra
persona,
benché la calligrafia e lo stile fossero gli stessi.
Controllò le
date sui due quaderni e vide che uno
terminava ai primi di settembre del 1856 e l’altro iniziava nell’agosto
1857.
Pensando che
potesse essere fuori posto, sfogliò
rapidamente la prima pagina di tutti i quaderni ancora da leggere, e
non si
stupì di trovarli in perfetta sequenza cronologica; del diario mancante
nessuna
traccia.
Non gli venne
neppure in mente che potesse essere altrove
nel castello: dall’accuratezza con cui erano conservati gli altri, era
ovvio
che se esso fosse stato presente, sarebbe stato nell’esatta posizione
dove ci
si aspettava che fosse.
Avrebbe
dovuto rassegnarsi al fatto che nell’appassionata
storia che stava leggendo mancava tutto il periodo compreso tra il
settembre
1856 e l’estate 1857, in
pratica quasi un intero anno.
Cos’era
accaduto in quel lasso di tempo? E come mai il
diario non c’era?
Superata la
delusione iniziale, decise di proseguire
comunque con la lettura, cercando di riannodare i fili della storia, ma
non fu semplice.
Nel lasso di
tempo relativo al diario mancante doveva essere
accaduto qualcosa di davvero significativo, perché tutto ciò che era
scritto
nel quaderno successivo sembrava incomprensibile e molto confuso: brevi
accenni
ad una lunga malattia e ad un viaggio oltreoceano (perché era andato
via
dall’Europa?); il ritorno in Inghilterra e la ricerca di una donna...
l’incontro con un’anziana signora e il resoconto di una vicenda
familiare, di
eredità e suicidio, piuttosto confusa e scritta quasi per enigmi, senza
nomi,
date o qualunque altro riferimento che permettesse il riconoscimento
della
famiglia in questione.
Poi il
delinearsi di un piano, del quale tuttavia non vi
erano che cenni e allusioni, nessun dettaglio troppo specifico.
Lo scrittore
che fino a poco tempo prima era stato chiaro
e semplice nel descrivere gli accadimenti della propria vita, sembrava
essersi
trasformato all’improvviso in una specie di cospiratore che parlava per
mezzi
termini col timore di svelare un importantissimo segreto. Solo la
calligrafia,
la medesima, chiara ed elegante, rassicurava sul fatto che a scrivere
quelle
pagine fosse sempre la stessa persona.
Ad un certo
punto del diario entrava in scena un anziano
gentiluomo, a quanto sembrava lo zio del Duca... e quindi eccolo ancora
a
parlare di “lei”, la misteriosa
donna
che sembrava essere la stessa da lui cercata all’inizio di quel diario.
Chissà se si
stava riferendo a quella che sarebbe poi
diventata sua moglie, oppure ad un’altra donna ancora?
Scoprì che
per saperlo avrebbe dovuto proseguire col
quaderno successivo.
Quando lo
aprì ed ebbe letto le prime pagine, percepì da
subito che il tono dei resoconti era cambiato di nuovo: c’era stato un
matrimonio, mantenuto sottotono e segreto all’alta società, con la
donna citata
nel quaderno precedente, la “lei”
che
a quanto sembrava era molto importante; poi, anziché pagine e pagine di
sdolcinati
resoconti sulla luna di miele o sulla felice vita coniugale, vi erano
un
susseguirsi di dubbi e tristi riflessioni dal tono estremamente
sincero,
benché sotto certi
aspetti
incomprensibili.
Nonostante
l’attaccamento che egli mostrava per la
consorte, da certi passaggi, sembrava che la donna fosse innamorata di
un altro, qualcuno che aveva perduto. Nel leggere ciò, veniva da
domandarsi come mai
un uomo che fino a quel momento aveva reputato intelligente e molto
padrone di
sé, si fosse coinvolto volutamente in un matrimonio senza
amore: il ritratto del duca che aveva
visto, benché fosse di qualche anno più tardi rispetto alla data del
diario,
mostrava un uomo di bell’aspetto; per come lo aveva conosciuto dalle
sue stesse
parole giuntegli attraverso i secoli, lo riteneva anche di grande
carisma e
forte personalità... un uomo, dunque, difficilmente privo
dell’ammirazione
femminile e il titolo e il patrimonio che avrebbe potuto offrire lo
rendevano di
certo un partito appetibile, soprattutto per quei tempi dove i
matrimoni erano
più che altro unioni nobiliari ed economiche. Ma proprio l’alto
lignaggio e la
cospicua fortuna non gli imponevano la necessità di un matrimonio privo
d’amore
e tanto infelice, pertanto la domanda restava la stessa: per quale
motivo si era
legato ad una donna che non lo voleva e lo rendeva tanto infelice?
L’unica
risposta plausibile doveva essere l’amore: era lui
ad essere innamorato di lei.
Nel
riflettere su tutto ciò, aveva abbandonato per un
attimo la lettura e l’associazione di idee gli aveva portato alla mente
l’immagine di una donna bellissima, della quale, iniziava a rendersene
conto in
quel momento, si sentiva molto più che attratto... una donna che
invece, a
quanto sembrava, non riusciva a conquistare, forse neppure ad
affascinare.
Il duca
sembrava aver fatto il possibile per legare a sé
la donna amata, ma a quale prezzo?
E comunque
doveva trattarsi di un’altra donna e non
dell’amata moglie che era morta poche settimane dopo di lui, come gli
avevano
raccontato Pierre e Madeleine: in ogni angolo del castello si respirava
ancora
l’amore che aveva legato gli ultimi due abitanti, quindi il loro non
poteva
essere stato che un matrimonio molto felice.
Chi era,
allora, la misteriosa prima consorte del duca? E
che fine aveva fatto?
Con la sua
fervida immaginazione iniziò ad ipotizzare gli
scenari più svariati: era morta, pochi mesi dopo il matrimonio, di
infelicità
perché prigioniera di un uomo e innamorata di un altro; col tempo aveva
imparato ad amarlo, ed era morta dando alla luce il loro primogenito.
Era
impazzita e il duca era stato costretto a rinchiuderla, dimenticandosi
di lei.
Era fuggita assieme al suo amore ritrovato, abbandonandolo allo
scandalo. Era
stata uccisa dai briganti. Il duca l’aveva lasciata dopo aver
conosciuto colei
che avrebbe fatto diventare la seconda duchessa. Il matrimonio era
fasullo e il
duca l’aveva abbandonata dopo essersi innamorato di sua moglie... Aveva
tentato
di ucciderlo ed era stata arrestata e condannata a morte...
Sorrise delle
sue idee bislacche e, guardando l’orologio,
si rese conto che era già quasi mezzanotte.
Era
impaziente di conoscere il seguito della vicenda, ma
forse avrebbe fatto meglio a rimandare. L’indomani sarebbe partito
molto presto
per Parigi: aveva un incontro con Ross, che gli voleva parlare di
alcuni
aspetti economici dell’ultimo suo romanzo pubblicato; non aveva alcuna
voglia
di stare a sentire il suo agente, al quale tra l’altro rinfacciava la
pessima
scelta dell’esperta di storia dell’Ottocento, tuttavia sapeva che Ross
non lo
avrebbe lasciato in pace finché non lo avesse incontrato e poi doveva
preparare
il terreno soprattutto con lui, per il suo cambiamento. C’erano forti
probabilità, conoscendolo, che Ross sospettasse già qualcosa e che
avesse
imbastito una scusa per estorcergli qualche informazione, ancora non
sapeva se
perché interessato alla prospettiva di ulteriori lauti profitti, oppure
perché
volesse valutare con calma l’ipotesi di abbandonarlo e di cercarsi un
nuovo
talento di best-seller da spremere.
L’aspettava
quindi una giornata piuttosto faticosa;
eppure, nonostante ciò, non riusciva ad abbandonare il mistero della
prima
moglie del duca.
Decise di
proseguire e si rimise a leggere.
Dopo un po’
di pagine sorrise e si diede dello stupido per
aver dubitato del Duca. La verità era per certi versi più semplice di
ciò che
aveva immaginato, anche se camuffata da una storia pazzesca!
Niente da
dire: più imparava a conoscere quell’uomo
vissuto due secoli prima, più provava ammirazione e rispetto per la sua
intelligenza, per la sua astuzia, ma in particolar modo per la sua
determinazione a raggiungere i propri obiettivi.
E si
rammaricò ancora più di prima di non poter leggere
quel diario che, ormai ne era certo, era andato perduto: era sicuro che
contenesse la parte più importante di tutta quella intricata vicenda
d’amore ed
era impensabile che il Duca, appassionato scrittore, non avesse tenuto
nota
proprio della nascita di quel sentimento.
Appagato
dalla soluzione del mistero, decise di finire
quel quaderno e di rimandare a quando sarebbe tornato al castello la
lettura
dei restanti.
Fin dalla
prima sera in cui aveva scoperto i diari,
infatti, si era accordato con Pierre e Madeleine per prolungare il suo
soggiorno per l’intera settimana e un altro week-end: innanzi tutto
aveva una
mezza idea di contattare l’erede del Duca per fargli un’offerta per lo Chateau e sapeva che per il week-end
successivo era previsto il suo arrivo, pertanto fermarsi più a lungo
gli
avrebbe fornito l’occasione di incontrarlo e porre la questione nel
migliore
dei termini. Nessuno sapeva chi in realtà egli fosse e di quanto denaro
disponesse poiché aveva mantenuto riserbo sulla sua vera identità, ma
per avere
qualche possibilità di entrare in possesso di quella meravigliosa
proprietà non
avrebbe esitato a rivelare lo pseudonimo col quale era conosciuto anche
in
Europa.
In secondo
luogo aveva bisogno di più tempo per conoscere tutta
la vicenda, poiché mancavano ancora parecchi quaderni; non aveva ancora
deciso
se ispirarsi alla vita del Duca per il suo prossimo romanzo, oppure se
scrivere
una sorta di biografia romanzata, o ancora se far pubblicare gli
scritti
ritrovati con una semplice prefazione di suo pugno. In qualunque caso
avrebbe
avuto bisogno dell’autorizzazione degli eredi, pertanto in un incontro
con Sua
Signoria avrebbe risolto anche questo problema.
A Pierre e
Madeleine aveva fatto sapere che desiderava
potersi fermare più a lungo del previsto poiché, considerati gli
innumerevoli
cimeli perfettamente conservati che si trovavano al castello, le sue
ricerche
sulla vita privata nel XIX secolo avrebbero richiesto dell’altro tempo;
una
volta avuta conferma da Sua Signoria che monsieur
le professeur avrebbe potuto fermarsi ancora, aveva così
deciso di diluire
nel tempo il piacere della lettura.
Si risolse a
terminare quel diario che gli aveva rivelato
così tante sorprese e riprese a leggere: dopo alcune pagine che
trattavano d’affari
durante un viaggio in Scozia e senza alcun cenno alla donna amata, ecco
che
proprio le ultime pagine tornavano a parlare di lei.
“A Londra nessuno è ancora a
conoscenza del nostro
matrimonio...”.
Fu catturato
di nuovo dallo stile narrativo dell’autore e,
come gli era già successo, cominciò ad immaginare la scena descritta
come se vi
stesse partecipando da spettatore.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Seduzione in abito rosso ***
Capitolo XIII
Seduzione
in abito rosso
Arrivò
al galoppo, in sella al suo morello.
Rallentò l’andatura dell’animale solo quando giunse in prossimità della
residenza del duca di Sheffield.
Smontò
da cavallo e lo consegnò nelle mani
degli stallieri di Sheffield Park, che lo guardarono stupiti. Dopodiché
si
diresse rapido verso l’ingresso principale del palazzo.
Il
ricevimento doveva essere già iniziato e lui
non vedeva l’ora di rivedere sua moglie.
Era
stato lontano da lei per quasi un mese,
avendo dovuto sostituire suo zio che si era ammalato, in un viaggio
d’affari
nei loro possedimenti in Scozia.
Sarah
sarebbe dovuta andare con lui ma poi una
serie di incombenze burocratiche legate all’eredità paterna l’avevano
trattenuta a Londra. Purtroppo neppure il viaggio in Scozia poteva
essere
rimandato, pertanto era stato costretto a lasciarla per diverse
settimane.
Quel
giorno sarebbe dovuto rientrare in tempo
per accompagnarla al ballo, un evento programmato ancora prima della
sua
partenza, ma un imprevisto durante il viaggio l’aveva fatto tardare.
Quando era
arrivato nella loro residenza di Londra, sua moglie era uscita da poco
in
carrozza; allora si era cambiato d’abito in tutta fretta e l’aveva
raggiunta a
cavallo, contravvenendo a tutte le regole della buona società che
impedivano ad
un gentiluomo di recarsi ad un ricevimento cavalcando il proprio
destriero e
sfuggendo alle accorate preghiere del secondo cocchiere, preoccupato
più di lui
che il futuro Duca di Lyndham potesse far parlar male di sé.
Era
troppo impaziente di rivedere sua moglie.
Entrò
nel salone in cui si stava svolgendo il
ricevimento, illuminato da splendidi lampadari in cristallo di Boemia,
e si
diresse a rendere omaggio ai padroni di casa.
Compiuti
i suoi doveri di ospite, si risolse a
cercare Lady Thornton.
Lady
Thornton...
Adorava
pensare a lei, chiamandola con il nome
da sposata: lei, così indomita ed indipendente, ora era sua, soltanto
sua.
Le
era mancata da morire e, benché fosse
consapevole che rivederla dopo così tanti giorni ad un occasione
mondana non
avrebbe appagato il suo desiderio di poterla stringere tra le braccia,
non
sarebbe riuscito ad attenderla a casa; per questo, nonostante il
viaggio di tre
giorni lo avesse stancato, aveva fatto il possibile per raggiungerla al
ricevimento,
per poter fare almeno qualche ballo con lei.
Stava
per scendere i gradini che lo avrebbero
condotto nel salone, quando la vide in mezzo alla sala e ciò che vide
gli
impedì di muoversi per qualche minuto. Restò ad osservarla col volto
teso, lo
sguardo che non riusciva a staccarsi dalla scena che aveva davanti agli
occhi.
***
Lady
Sarah maledisse ogni attimo che passò tra
le braccia di Lord Williams. L’uomo la stringeva troppo e continuava ad
importunarla con occhiate lascive, le mani che non stavano al loro
posto.
Purtroppo
non poteva fare nulla per levarselo
di torno, se non sperare che quel ballo terminasse alla svelta; ma
anche così
dubitava che l’avrebbe lasciata in pace. Era tutta sera che tentava di
appartarsi con lei, nonostante lei gli avesse detto di attendere un
cavaliere
che presto l’avrebbe raggiunta.
Aveva
tanto sperato che
Andrè tornasse in tempo dal suo viaggio
per accompagnarla al ricevimento ed ora era anche in ansia per lui.
Temeva che
gli fosse accaduto qualcosa.
Ricacciò
per l’ennesima volta al posto la mano
di Lord Williams che stava scivolando audace oltre la sua vita e si
rimproverò
per essersi lasciata tentare dall’idea di indossare, proprio per quella
festa,
l’abito rosso col quale aveva partecipato mesi prima al ballo in
maschera in
cui aveva visto per la prima volta Lord Thornton vestito da pirata.
Andrè
le aveva ricordato che gli doveva ancora
un ballo con indosso quell’abito e lei gli voleva fare una sorpresa,
immaginando che lui sarebbe stato al suo fianco per tutta la serata;
quando
aveva capito che lui non avrebbe fatto in tempo ad arrivare per
accompagnarla,
era ormai troppo tardi per cambiarsi.
Ora
stava pagando le conseguenze della sua
audacia.
Anche
se… nulla di quello che lei poteva (o non
poteva) indossare avrebbe dovuto dare il diritto a quel mascalzone di
Lord
Williams di comportarsi a quel modo e nel bel mezzo di una sala da
ballo.
La
musica finì e per evitare che il suo
cavaliere la importunasse oltre, lasciò il salone da ballo per una più
appartata zona riservata alle signore, sperando in un attimo di pace.
Stava
attraversando un corridoio quando,
all’improvviso, si sentì afferrare per la vita da dietro, mentre una
mano le
premeva sulla bocca per impedirle di urlare.
Sospinta
con forza all’interno di una saletta
che si apriva sulla destra, una voce maschile le sussurrò all’orecchio:
“Non
gridate e non vi accadrà nulla”.
Il
cuore iniziò a batterle furioso nel petto e
un brivido l’attraversò tutta.
La
stanza era al buio: la luce della luna che
proveniva dalla finestra di fronte permetteva di scorgere soltanto
delle ombre.
L’uomo
abbassò la mano dalla sua bocca,
lasciandola libera di parlare, ma non abbandonò la presa alla vita; al
contrario, continuò a trattenerla contro di sé, la sua schiena premuta
contro
il proprio torace, in modo che le fosse impossibile voltarsi.
Con
le dita della mano libera le sfiorò la
curva del collo e la pelle lasciata scoperta dalla generosa scollatura
dell’abito. Una carezza sensuale e molto, molto sconveniente. Credeva
di
essersi scrollata di dosso le mani lascive di Lord Williams
allontanandosi dal
salone e invece... a quanto pareva i nobili principi e l’educazione di
un
gentiluomo, come già aveva avuto modo di costatare, lasciavano il posto
ai più
bassi istinti animaleschi di fronte ad una donna avvenente.
“Che
cosa volete?” chiese decisa. Sapeva come
fronteggiare certe situazioni e certi uomini, essendosi venuta a
trovare più di
una volta in circostanze simili, se non peggiori, e un tono da superba
nobildonna sapeva essere più efficace di svenevoli suppliche o di inutili appelli alla
nobiltà d’animo.
Tuttavia non era facile mantenere un tono altero e distaccato senza
poter
guardare in volto il suo rapitore.
Abbassò
lo sguardo sulla mano dell’uomo che
continuava a sfiorarle il decolleté
e
dovette ammettere con se stessa che quel tocco lieve era, nonostante la
situazione in cui si trovava, decisamente eccitante.
“Siete
la donna più bella e intrigante presente
a questo noiosissimo ballo”. La voce dell’uomo era un sussurro roco al
suo orecchio.
Lei
non rispose.
“L’abito
che indossate vi sta d’incanto… mi
piacerebbe molto essere il fortunato che ve lo toglierà”, continuò
nello stesso
tono, senza smettere di accarezzarle la pelle.
“Sono
una donna sposata” puntualizzò lei.
“Non
cambia nulla. Sono sposato anch’io e lo
desidero lo stesso. E comunque non sono geloso” le sussurrò l’uomo, con
voce
quasi divertita.
“Dovreste
raggiungere vostra moglie, milord”
disse lei, sottolineando con sarcasmo la parola milord.
Un uomo tanto sfacciato
non meritava d’essere appellato ‘signore’.
“Ho
idea che mia moglie, in questo momento, si
trovi a sua volta in piacevole compagnia”.
“Capisco.
Tuttavia questo non è un buon motivo
per importunare una gentildonna, per di più sposata. Ad onor del vero,
il
vostro comportamento lascerebbe a desiderare anche se io fossi una
donna
qualunque“ aggiunse sostenuta, senza farsi sopraffare dall’imbarazzo di
portare
avanti una discussione senza poterlo guardare in faccia e sempre
imprigionata
nella sua stretta.
“Ah...
una paladina dei diritti femminili!
Vostro marito è a conoscenza delle vostre rivoluzionarie opinioni?”.
“Mio
marito è un gentiluomo, e come tale si
comporta... permettendomi di avere le mie idee e rispettandomi per
questo”.
“Un
rivoluzionario anche lui, insomma!” concluse
l’uomo, sarcastico.
“Non
un rivoluzionario, ma un uomo intelligente
e di vedute moderne”.
“Di
ampie, molto ampie vedute oserei dire, se
permette a sua moglie di partecipare ad un ballo indossando un abito
tanto
audace, che è la tentazione per ogni uomo...”
disse lui, stringendola di più contro di sé; la mano che
fino ad un
attimo prima le sfiorava la pelle, era andata in aiuto del braccio che
la
teneva alla vita, posizionandosi appena sotto il seno e imprigionandola
così in
un abbraccio più intimo e sconveniente.
“Di
certo non l’ho indossato per gli altri
uomini presenti, ma semmai per lui... e di sicuro non per voi” replicò
lei,
sforzandosi di restare indifferente a quell’abbraccio che, nonostante
tutto,
trovava malizioso ed eccitante.
“Un
vero peccato...” mormorò lui al suo
orecchio, così vicino da sfiorarle il lobo con le labbra.
“Milord...”
lo richiamò lei, seccata da quel
discorso e dal quel comportamento scandaloso, ma soprattutto dalla
improbabile
reazione che stava avendo il suo corpo “non mi avete ancora detto cosa
volete
da me...” esitò solo un attimo, per accrescere il sarcasmo, e poi
aggiunse, pur
consapevole di ripetersi “...signore”.
Ma
l’uomo, per nulla offeso dal tono
irriverente, rispose divertito:
“Oh
no, vi sbagliate, milady. Ve l’ho detto
eccome: desidero da morire potervi spogliare e fare l’amore con voi”.
Senza
allentare la presa, anzi sfiorandole col pollice la rotondità di un
seno,
attese un’impercettibile frazione di secondo, quasi a darle il tempo di
indignarsi ulteriormente, poi aggiunse:
“Ma
posso accontentarmi di danzare con voi”.
“Siete
saggio, milord. Non credo che mio marito
vi permetterebbe di fare ciò che desiderate. Avrebbe preteso
soddisfazione”
disse lei, senza concedergli l’impressione di sentirsi offesa, come
invece
avrebbe dovuto, per le sue inopportune parole e il comportamento
sfacciato. Poi,
dopo aver atteso a sua
volta qualche attimo, per confermargli l’impressione di non essere
turbata,
aggiunse conciliante:
“Se
invece vi accontentate di ballare con me
posso accondiscendere alla vostra richiesta. Tuttavia non serviva
rapirmi, per
domandarmi un ballo”.
“Non
un solo ballo. Io voglio danzare con voi
per tutto il resto della serata”, rispose pronto lui.
“Non
concedo mai, a nessun uomo, più di un
ballo”.
“Oh,
questo l’ho notato. Proprio nessuna
eccezione?”
“Solo
mio marito”.
“Vostro
marito, questa sera, dovrà fare a meno
di voi. A meno che non vogliate che scoppi uno scandalo. O danzerete
con me
finché non andrete via, oppure farò qui, in questo momento, ciò che
desidero
fare da quando vi ho veduta”.
Non
stava scherzando, lo capì dal tono della
sua voce.
“Ebbene,
milord, non mi lasciate altra scelta.
Sono costretta ad accettare di riservare a voi tutti i miei prossimi
balli. Ma
sappiate che saranno soltanto tre: ho intenzione di rientrare presto,
questa
sera.”
“Solo
tre? Allora… forse era meglio se non
aveste accettato” sussurrò lui al suo orecchio, stringendola di nuovo e
di più
contro il proprio corpo.
“Invece
l’ho fatto” si affrettò a sottolineare
lei “e mi aspetto che ora voi manteniate la vostra parola”.
“Ricordate
che dovrete mantenerla anche voi,
quando saremo di là e vi chiederò di danzare”.
“Siate
certo che terrò fede al nostro patto”.
“Allora
sono proprio costretto, mio malgrado, a
lasciarvi andare…” disse lui, con rimpianto, “uscirò per primo, voi
aspettate
qualche minuto, così non desteremo sospetti”.
“Vi
preoccupate della mia reputazione o della
vostra vita?” domandò lei, con scherno.
“Siete
incredibile, milady... combattiva fino
all’ultimo! Vi rendete almeno conto di quanto siete desiderabile?”.
“Facciamola
finita, milord” ribatté lei, secca,
facendo il cenno di muoversi, nonostante lui la tenesse ancora stretta
a sé.
“Aspettate…”
“Che
cosa volete, ancora?” domandò esasperata.
“Questo…”.
Prima
che lei potesse rendersi conto di quello
che stava per fare, la fece voltare tra le braccia e le rubò un bacio:
le
schiuse la bocca senza darle il tempo di respingerlo, mentre una mano
era
risalita ad accarezzarle la nuca e con l’altra la stringeva ancora alla
vita; poi
la lasciò andare e, rapido com’era arrivato, sparì.
***
Andrè
vide sua moglie rientrare nel salone; gli
sembrò che fosse turbata, poiché si guardava attorno con attenzione
come se
cercasse qualcuno e con un dito si sfiorava le labbra. Rimase ad
osservarla con
il bicchiere stretto nella mano ed un’espressione indecifrabile, mentre
lei si
faceva largo, seguita da numerose occhiate maschili, tra i numerosi
invitati al
ricevimento.
“E’
molto bella, vero?”.
Si
voltò in direzione della voce che aveva pronunciato
quelle parole. Lord Belhaven lo stava osservando a sua volta, negli
occhi uno
sguardo divertito.
“L’ho
già vista indossare quell’abito. E anche
quella sera, ogni uomo che la guardava, aveva la medesima espressione
che avete
voi in questo momento”.
André
si ricordò all’improvviso che a Londra
nessuno, o solo pochissime persone, sapevano che si erano sposati. La
notizia
era stata mantenuta segreta per evitare che Cedric Hewitt venisse a
saperlo e
il piano per smascherarlo fallisse. Poi… poi erano stati troppo presi
dal loro
amore e infine lui era partito per la Scozia.
“Sì,
è molto bella”, rispose a Lord Belhaven, “e
quell’abito le sta d’incanto” disse, continuando ad osservarla. Aveva
appena
rifiutato l’invito di due uomini.
“Diciamo
pure, Lord Thornton, che quell’abito
la rende la donna più seducente di tutto il ricevimento e farebbe
impazzire
qualunque uomo”.
“Anche
voi, milord?” chiese André, un sorriso
negli occhi.
“Oh,
io… io sono troppo vecchio per impazzire
per una bella donna. Ma questo non significa che sia immune al suo
fascino. Vi
assicuro che se solo avessi dieci anni in meno e soprattutto dieci
chili in
meno, non esiterei ad invitarla a ballare” rispose l’anziano signore,
divertito. Poi aggiunse: “Che aspettate a farlo voi? Non è continuando
a
guardarla che placherete il vostro desiderio”.
“Un
solo ballo non mi basterebbe e ho notato che
non ne concede mai un secondo”.
“Su
questo avete ragione. Lady Sarah Montagu
non ha pietà per il cuore di nessun uomo; però voi, alla morte di
vostro zio,
sarete duca… il vostro titolo, il vostro patrimonio ed infine la vostra
avvenenza
potrebbero compiere miracoli”.
“Dite?
Eppure ho sentito dire in giro che ha
rifiutato la proposta di un nobile francese, un conte, tra l’altro a
quanto
dicono altrettanto affascinante e ricco”.
“Oh,
questo non lo sapevo. Allora forse non
avrete nessuna speranza neppure voi, ragazzo mio!”
“Sapete
che vi dico, milord? Avete ragione:
limitarmi ad ammirarla da lontano non mi farà di certo entrare nelle
sue
grazie. Pertanto seguirò il vostro consiglio…”
“La
inviterete per un ballo?”
“Oh,
no, milord. Vi assicuro che non mi
accontenterò di un solo ballo. Danzerò con lei per tutta la sera”.
“Niente
da dire, figliolo: avete la tempra di
un vero duca! Buona fortuna!”
“Grazie.
Milord, aspettate...” disse fermando
l’anziano gentiluomo che stava per allontanarsi. “Non sareste così
gentile da
presentarmi a Milady?” domandò Andrè, un sorriso divertito nei suoi
incredibili
occhi.
“Certamente.
Seguitemi, raggiungiamola”.
Superarono
varie conoscenze, dispensando
complimenti a nobildonne e cenni di saluto a signori, decisi però a non
farsi
fermare da nessuno.
“Lady
Sarah…” disse Lord Belhaven appena furono
davanti a lei, inchinando il capo in segno di rispetto, “permettete che
vi
presenti Lord Nicholas Thornton, futuro duca di Lyndham. Ha espresso il
desiderio di conoscervi”.
Andrè
osservò sua moglie volgere il capo verso
di lui, una luce maliziosa nello sguardo.
“Lord
Thornton…” disse, con un lieve ed
aggraziato inchino, porgendogli la mano.
“Lady
Sarah… “ la salutò a sua volta lui,
portandosela alle labbra e trattenendovela più del dovuto, mentre non
staccava
lo sguardo da lei.
“E’
un piacere, milord, fare la vostra
conoscenza” disse lei, educata.
“Il
piacere è mio, milady. Desideravo molto
conoscervi. E vorrei tanto danzare con voi. Posso invitarvi?”.
“Per
il prossimo ballo?” domandò lei.
“Sì.
Ma non solo: desidero ballare con voi per
tutta la sera”.
“Non
danzo mai più di una volta con lo stesso
cavaliere”.
“Mi
è stato detto. Nessuna eccezione?”.
“Nessuna
eccezione.”
“Neppure
per un futuro duca?” chiese lui, negli
occhi un lampo di divertimento.
“Ah...
noto che state schierando in campo
l’artiglieria! Avete quindi proprio intenzione di vincere questa
battaglia,
milord?” lo prese in giro lei, irriverente.
“Stiamo
combattendo una battaglia, milady?”
domandò lui.
“Mi
credete così interessata ad un titolo
nobiliare?” chiese a sua volta, ignorando di proposito di dargli una
risposta.
“Non
lo sono tutte le donne?”
“E
del vostro patrimonio, considerevole suppongo,
cosa mi dite?”
“Quello
sarebbe stato... la cavalleria! Speravo
di non averne bisogno; mi auguravo che bastasse l’artiglieria, ma a
quanto pare
la battaglia è più impegnativa di quanto immaginassi, pertanto non
esito a
confermarvi che sì sono molto, molto ricco. E quando erediterò il
titolo, lo
sarò ancora di più” rispose serafico lui.
Vide
Lord Belhaven trattenere un sorriso
divertito, mentre non si perdeva una sola battuta.
“Mi
avete messa in una difficile posizione,
milord. Se ora accettassi di concedervi più di un ballo, pensereste che
lo
stessi facendo per il vostro titolo, o il vostro patrimonio, o
addirittura
entrambe le cose. Se non accettassi, invece, pensereste che sia pavida,
timorosa che possiate giudicarmi avida e calcolatrice”.
“Mhm...
un dubbio amletico. Quindi, cosa
deciderete?” domandò lui, sfidandola.
“Non
sono mai stata una donna paurosa” gli
disse, porgendogli finalmente la mano per danzare.
“Allora
dovrò ringraziare il vostro coraggio?”
“Oh,
no, milord. Soltanto il vostro titolo e i
vostri soldi” rispose lei, impertinente.
Andrè
prese tra le braccia sua moglie, il petto
ancora scosso da una risata bassa che risuonò roca e molto sensuale
all’orecchio di lei; prima di iniziare a ballare, egli rivolse un
rapido
sorriso di ringraziamento a Lord Belhaven, che lo stava guardando con
aria al
tempo stesso stupita, divertita e molto, molto compiaciuta.
Quando
furono lontani dall’anziano gentiluomo,
sua moglie gli disse:
“Povero
Lord Belhaven… se sapesse!”
“Povero?
Ma non hai visto come lo abbiamo reso
felice? Ora sarà convinto d’aver fatto da Cupido!”
“Sei
tremendo”.
“E
tu sei bellissima. Mi stai facendo morire,
lo sai, vero?”
Lei
non disse nulla, si limitò a sorridere.
“Dicevi
sul serio, prima, quando hai detto che
avrei ottenuto solo tre balli perché volevi rientrare presto?”, chiese
malizioso.
“Mhm…”
“Allora
facciamoli alla svelta questi dannati
balli e poi andiamocene” bofonchiò lui, lo sguardo velato dal
desiderio,
incapace di trattenere oltre la passione che lo stava consumando.
“E
se avessi cambiato idea e desiderassi invece
danzare più a lungo con un futuro duca? In fondo, per intrappolarlo e
costringerlo a farmi l’adeguata proposta di rito, sono necessari ben
più di tre
balli” lo stuzzicò, divertita.
“In
questo caso c’è sempre la saletta di
prima...” rispose pronto lui.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Felicità ***
Capitolo XIV
Felicità
Raggiunta
la carrozza, aiutò sua moglie a
salire e poi si rivolse al cocchiere:
“Ethan
andiamo a casa. Ma non andare troppo
veloce”.
“Capisco,
milord” disse l’uomo
André,
sorpreso dal commento, gli rivolse uno
sguardo, aggiungendo: “Non vorrei che il mio cavallo si slegasse”.
Aveva
assicurato dietro alla carrozza il suo morello arabo.
“Milady
è davvero molto bella, questa sera” gli
disse l’uomo, con sguardo complice.
“Sì,
davvero molto bella…” sorrise lui,
rassegnato. Doveva essere davvero evidente il suo desiderio, se anche
il
cocchiere lo aveva intuito.
Impaziente
di raggiungere sua moglie, fece per
voltarsi e salire in carrozza, quando l’uomo lo sorprese di nuovo:
“E’
stata Milady a volere la carrozza più
grande e più comoda, per questa sera”.
André
sorrise tra sé.
“Grazie,
Ethan”.
“Di
nulla, signore. Sappiate che ci vorrà
all’incirca un’ora per tornare a Londra… per evitare che il vostro
cavallo si
sleghi, ovviamente”.
“Ovviamente”
ripeté André con un sorriso: dalla
loro residenza londinese a Sheffield Park, che si trovava a poche
miglia da
Londra, in carrozza si impiegava non più di mezz’ora; quella sera lui a
cavallo
ci era arrivato in quindici minuti.
Scuotendo
la testa divertito, salì in carrozza
e, dopo quella che gli era parsa un’eternità, fu solo con sua moglie.
Attese
che la carrozza si muovesse, poi le si avvicinò, facendole scivolare
dalle
spalle lo scialle che aveva indossato per uscire dal ricevimento.
“Vieni
qui… “ sussurrò, attirandola a sé.
Finalmente
era tra le sue braccia.
“Oh,
Sarah… mi hai fatto impazzire per tutta la
sera” disse, prima di baciarle il collo, le spalle, l’incavo del seno,
incapace
di trattenersi oltre.
Lei
sospirò di piacere.
L’abitacolo
era al buio; non riusciva a vedere
la passione negli occhi di André, ma poteva sentirla scorrere
attraverso le sue
mani e le sue labbra che, impazienti, erano ovunque su di lei
“Ma
questo lo sai, vero? Hai indossato di
proposito quest’abito, sapendo l’effetto che mi fa. Quando ti ho vista… avrei voluto che il mondo
intero scomparisse
e che restassimo solo noi due, come in questo momento. Quando ti ho rapita ero molto tentato di chiudere a
chiave la porta e non attendere oltre”.
“Lo
so... soprattutto dopo che mi hai baciata,
neppure io sarei voluta uscire da li”.
“Ti
voglio, Sarah...”.
“André…
“
“Anche
tu lo vuoi…” disse, prima di baciarle le
labbra. “Dimmelo. Dimmelo, Sarah…” la implorò, poco dopo.
“Mi
sei mancato, André”.
“Anche
tu. Mi sei mancata da morire. Ti voglio,
Sarah. Ora… “ disse, la voce irriconoscibile, mentre alla cieca cercava
l’allacciatura del vestito per spogliarla.
“Dopo...”,
cercò di fermarlo lei.
“Non
posso aspettare fino a quando saremo a
casa… non farmi questo…” la pregò lui.
“Intendevo
il vestito… me lo toglierai dopo”.
“Sai
cosa succederà dopo, vero, se vuoi che
aspetti ancora a levartelo?”
“Credo
di poterlo immaginare”, rispose lei
accarezzandogli una guancia. Vedere i suoi occhi trasformarsi dal
desiderio era
un qualcosa che la faceva impazzire. Voleva vederli cambiare di colore
e diventare
scuri, come l’oceano in tempesta. Ma anche lei, in quel momento, non
poteva
resistere fino a casa senza sentirlo dentro di sé, dopo averlo
desiderato tanto
per tutta la sera.
“Non
serve che mi spogli, per avermi…” gli
sussurrò all’orecchio, audace.
Per
tutta risposta lui le baciò le labbra,
intrigato da ciò che sua moglie gli stava proponendo.
“Hai
pensato proprio a tutto, vero?” la prese
in giro, alludendo a quello che gli aveva detto il cocchiere.
“Mhm…
non capisco cosa intendiate, Milord” lo
sfidò lei, mentre trafficava con l’allacciatura dei suoi calzoni.
“La
carrozza… Ethan mi ha detto che sei stata
tu a volere questa, quella più comoda”.
“Mai
fidarsi della servitù…” ridacchiò lei.
La
risata le morì in gola quando suo marito le
strappò un gemito, entrando in lei non appena l’ebbe sopra di sé. La
possedette
senza dolcezza, solo con l’intensità del desiderio che aveva scatenato
in lui,
trattenendola ai fianchi e stringendola tra le braccia fino quasi a
farle male.
In quel momento era impossibile resistergli.
Lo
accolse dentro di sé, felice di regalargli
quel momento tutto per lui, ben sapendo che più tardi egli l’avrebbe
ripagata
con mille attenzioni.
***
“Non
chiamare Lynnette…” le sussurrò
all’orecchio André.
Come
promesso, Ethan li aveva condotti al
castello in circa un’ora; appena saliti nelle loro camere, lui
l’abbracciò di
nuovo, incapace di starle lontano.
“Ho
dato la serata libera a Lynnette” rispose
lei.
“Mhm…”
mormorò lui nei suoi capelli, scoprendo
un’ulteriore conferma di quanto quella serata fosse stata pianificata
con
estrema cura da sua moglie.
“Qualcosa
mi dice, Milady, che questa sera voi
vi siate divertita a giocare una partita a scacchi col sottoscritto… e
che la
stiate vincendo”, la prese in giro.
“Voi
dite, Conte?” lo rimbeccò lei, stando al
gioco.
Era
bellissimo vivere con lui: André era un
concentrato di energia e voglia di vivere, humor e sfrontatezza,
dolcezza e
intelligenza che non avrebbe mai smesso di affascinarla.
Aveva
alle spalle un viaggio di quasi tre
giorni, un ricevimento, sebbene breve, e un intenso e appassionato
tragitto in
carrozza, eppure sembrava instancabile e di nuovo pronto a fare l’amore
con
lei.
Senza
risponderle la prese per mano e la
condusse nella sua camera.
Com’era
usanza abitavano due stanze separate,
ma comunicanti tramite una porta che era sempre aperta. André non amava
dormire
solo, voleva addormentarsi e risvegliarsi accanto a lei ogni giorno,
liberi di
far l’amore ogni volta che lo avessero desiderato. Sarah si era trovata
d’accordo con lui.
Nella
stanza di suo marito il camino era acceso
e il fuoco creava un romantico gioco di luci ed ombre insufficiente,
tuttavia,
perché potesse distinguere il colore dei suoi occhi.
Lui
la lasciò per un attimo e si avvicinò al
lume posato sullo scrittoio; lo accese e poi tornò da lei.
“Va
meglio, adesso?” domandò, alludendo al
fatto che nella stanza vi era più luce, anche se soffusa.
“Andava
bene anche prima”, rispose lei, anche
se doveva ammettere che così era meglio, perché riusciva a scorgere il
colore
dei suoi occhi.
“Ne
sei proprio sicura? Credevo che il fine di
tutto fosse quello di potermi guardare mentre ti spoglio” disse lui, un
dolce
sorriso sulle labbra.
Lei
non replicò; si limitò a constatare, per
l’ennesima volta, la sua perspicacia e il fatto che la conosceva molto
bene.
Non era solo il suo corpo, quando lui la toccava, a trasformarsi in
argilla
plasmabile dalle sue mani; anche il suo animo non aveva segreti per lui.
“Non
era questo ciò che volevi?” la stuzzicò,
mentre le sfilava ad una ad una le forcine dai capelli, liberandoli da
ciò che
restava della complicata acconciatura studiata apposta per il ballo.
La
sua voce si era abbassata di un tono mentre
le sue mani non si limitavano a toglierle i fermagli, ma s’infilavano
nella sua
chioma, ad ogni ciocca che liberava, per accarezzarle la base della
nuca e il
collo… il suo tocco era così sensuale ed intimo da farla sciogliere di
piacere.
“Non
desideravi guardarmi negli occhi, mentre
impazzisco di desiderio per te?” la provocò di nuovo lui, mentre
lasciava
scivolare le mani dai capelli lungo il suo collo, ad accarezzarle la
pelle
scoperta dall’ampia scollatura del vestito: era una scollatura molto
profonda,
creata apposta per lasciar intravedere l’incavo dei seni; la seta rossa
non li
comprimeva, sembrava invece sfiorarli appena, grazie alla sapiente
fattura
dell’abito e al bustino sottostante, che ne risaltava le forme,
sollevandoli.
Sarah
era sempre eccitante, con qualsiasi toilette,
anche la più castigata, ma
quell’abito rosso fuoco richiamava ogni sguardo proprio sul suo
provocante decolleté.
La
guardò per un lungo, interminabile minuto,
godendo del piacere di osservare il suo petto alzarsi ed abbassarsi per
l’emozione dell’attesa; era un movimento che lo eccitava da morire e
gli faceva
desiderare, fin dalla prima volta che l’aveva vista indossare quel
vestito, di
scoprirle i seni. Le
sue mani, guidate
da quell’istinto, scivolarono lente verso il bordo della scollatura,
scostando
la seta rossa a partire dalle spalle fino a denudarle il petto.
“Sono
sicuro che ogni uomo, al ricevimento, ha
desiderato poter fare quello che sto facendo io in questo momento...”
sussurrò
roco, avvicinandosi al suo orecchio “e quello che ti farò tra poco...”
Lei
trattenne il fiato, rapita dalle sue parole
e da come le sue labbra, nel frattempo, avessero iniziato ad imitare il
percorso delle sue mani; lo vide abbassare il capo e all’improvviso la
sua
bocca le strappò un gemito di puro piacere.
Aveva
desiderato tutto quello dall’istante in
cui si era sentita stringere da lui nella saletta al ricevimento; aveva
riconosciuto subito lo sconosciuto che l’aveva stretta tra le braccia
dal suo
profumo e dalla voce, anche se lui si era divertito a camuffarla;
tuttavia si
era a sua volta divertita a stare al gioco perché non voleva un attimo
fugace
rubato al ballo, ma l’inebriante sensazione di averlo in suo potere con
tutta
calma.
L’unico
problema era che, quando André si
metteva in testa di sedurla in quel modo, ossia facendole capire quanto
fosse
smanioso di lei, non sapeva più chi era ad avere in suo potere chi...
Ma
in fondo cosa importava? Ormai aveva
imparato da tempo che la sua brama di libertà, la sua volontà di non
dipendere
in nulla da un uomo, svanivano nell’istante stesso in cui lui decideva
di
possederla: non serviva neppure che André la toccasse; era sufficiente
che la
guardasse in un certo modo, perché lei fosse subito pronta per lui,
pronta a
cedergli ogni potere su di sé, anima e corpo.
Sentì
le sue mani che si facevano più esigenti:
la stava stringendo con forza contro il proprio corpo muscoloso ed era
incredibile come lui solo riuscisse a farla sentire tanto indifesa e al
tempo
stesso così importante.
Stava
cercando di raggiungere l’allacciatura
del vestito, che si trovava dietro, sulla schiena. André la fece
voltare a dargli
le spalle, le scostò i capelli di lato e con le dita
abili di una mano aprì un bottone alla volta;
le sue labbra esploravano nel frattempo la pelle della schiena fino
alla base
della nuca e l’altra mano era possessiva attorno al suo seno.
Lei
faticò a reggersi in piedi. Ciò che le
stava facendo non era semplicemente spogliarla… era un’opera di
seduzione
completa.
Lui
la fece voltare di nuovo, in modo che
potesse guardarlo negli occhi mentre le faceva scivolare l’abito rosso
giù,
fino ai piedi.
Non
smise un solo momento di guardarla; i suoi
occhi, da chiari che erano, stavano diventando piano piano più scuri.
Rimase
di fronte a lui in corsetto e biancheria
intima, i lunghi capelli sciolti sulle spalle, esposta al suo sguardo.
Incapace
di resistere oltre, lui la strinse a
sé e la baciò a lungo; poi la sollevò tra le braccia e la distese sul
letto. Si
liberò in pochi secondi dei propri indumenti e la raggiunse, per
terminare di
spogliarla. Le sue mani, sulla sua pelle, erano possessive, i gesti più
decisi
e rapidi.
Mentre
osservava il suo volto, l’espressione
tesa dal desiderio, Sarah passò le dita sulla sua guancia, sulla sua
bocca, tra
i suoi capelli, rendendolo ancora più smanioso di fare l’amore.
“André…”
disse lei, in un sussurro “André,
voglio sapere una cosa…”
Lui
sollevò il capo dal suo seno, che aveva
riperso ad accarezzare con le labbra:
“E
devi saperla proprio ora? Non può
aspettare?” chiese lui, infastidito dall’interruzione.
“No,
non può”. Ancora pochi secondi e non
sarebbe più stata in grado di domandargli null’altro se non che si
sbrigasse a
farla sua.
Lui
non smise di toccarla. Non sembrava granché
interessato a ciò che lei voleva sapere.
“André…
desideri ancora un figlio?”.
Sentì
il suo corpo irrigidirsi non appena
registrò quello che lei gli aveva detto. Sollevò il capo e la guardò in
viso,
l’espressione un misto tra la sorpresa, la gioia e la preghiera.
“Lo
vuoi anche tu?”.
Stentava
a crederle… aveva desiderato così
tanto avere un figlio da Sarah, ma poi…
Da
quando era tornato non aveva mai più avuto
il coraggio di chiederle se avesse cambiato idea: lei se n’era andata
subito
dopo quella sua richiesta, lo aveva lasciato solo. Ormai sapeva che il
motivo
non era quello, ma qualcosa lo aveva trattenuto dal dirle ancora quello
che
desiderava di più al mondo, oltre a lei. Se lei non voleva avere dei
bambini,
non li avrebbe voluti neppure lui. Tutto, fuorché perderla ancora.
“Sì…
lo voglio anch’io…”, rispose lei.
Vide
la gioia illuminargli il volto e comprese
che era da settimane che desiderava vedergli quell’espressione in viso.
“Oh,
tesoro… “.
“Allora
sei d’accordo?” lo stuzzicò lei.
“E
me lo chiedi? Certo che sono d’accordo.
Anzi, proporrei di cominciare subito…”
“Aspetta…”
“Perché?
Non voglio aspettare ancora. Voglio
fare un bambino adesso, questa notte stessa”.
“Non
serve correre tanto”.
“Ma…
Sarah… hai detto che lo desideri. Allora…
perché non subito?”
“Perché
già lo aspetto, nostro figlio”.
La
sua espressione fu impagabile, a metà tra
l’incredulo e la felicità più assoluta.
E
poi un qualcosa che mai si sarebbe aspettata
di vedere: i suoi occhi umidi di lacrime.
Stupita
da quelle lacrime, lo strinse forte tra
le braccia.
“Ti
amo, Sarah… non saprai mai quanto…” disse
lui, prima di baciarla e riprendere da dove era stato interrotto.
L’amò
lentamente, come non l’aveva mai amata
prima, con una tenerezza infinita e tutto l’amore e la gioia per il
dono
immenso che presto gli avrebbe fatto. Poi si addormentò tra le sue
braccia, il
capo posato sul suo ventre, ad ascoltare la presenza di suo figlio
dentro di
lei.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Parigi di notte ***
Capitolo XV
Parigi
di notte
Per un
giovane uomo, single e per di più belloccio, senza
problemi economici, trascorrere una serata e una notte a Parigi non è
affatto
un problema. L’unico problema, semmai, potrebbe essere trovare il tempo
per
girare tutti i locali, quelli considerati “giusti”,
ossia quelli frequentati dalle star nazionali ed internazionali.
Per iniziare
la notte a Parigi in genere l’appuntamento è
al bar, magari un piccolo club esclusivo dietro gli Champs-Elysées,
dove, volendo, si può anche cenare e dove vetture
nere con autista attendono davanti all’ingresso coloro che possono
entrare; ma
vi sono anche posti meno esclusivi e più abbordabili anche da chi non
ha le
giuste conoscenze per accedere a certi locali di tendenza.
Dopo la cena,
prima di mettersi in coda per entrare in
discoteca, c’è chi desidera rilassarsi per qualche ora, unire cultura e
divertimento ed assaporare l’atmosfera elegante e raffinata di un
cinema d’essai. Nei cinema di
Parigi si fanno
anche concerti di musica classica e persino serate gastronomiche,
soprattutto
al Balzac, che dà sugli Champs-Elysées, la cui struttura ricorda
quella di un bateau con oblò,
pareti
di ferro e motivi marinareschi e che sulla porta dell’ufficio del
direttore vi
è la scritta “Capitain”.
A scelta vi
sono anche sale storiche, che meritano una
visita a prescindere dal film che c’è in cartellone: lo Studio
28, ad esempio, in zona Montmatre,
definito “la sala dei
capolavori e il capolavoro delle sale”
da Jean Cocteau, che ne disegnò le bellissime lampade.
Oppure c’è
sempre la possibilità di decidere di ascoltare
musica dal vivo, un’esperienza non più tanto all’avanguardia o
scandalosa come
poteva essere dal 1920 in
poi fino al secondo dopoguerra, quando la musa degli esistenzialisti
Juliette
Greco cantava su testi di Jean-Paul Satre e Raymond Queneau, ma resta
pur
sempre un passatempo di buon livello.
Il clou della
notte parigina, tuttavia, è la disco;
ma la serata non finisce mai dopo
la prima discoteca. Aftér (pronunciato
rigorosamente alla francese) indica tutto quanto si fa nel dopo disco: qualunque posto può andar bene
per un aftér-disco, anche un’altra
disco. Sulla scia di locali storici come il Moulin
Rouge o il Crazy Horse,
una vena
sexy ma con stile può essere l’alternativa per l’aftér-disco;
ma una variante può anche essere un ristorante o una
semplice Brasserie che serva birra, paté di foie
gras e choucroute.
Ad ogni modo pare
che, per vivere al meglio la vita notturna parigina, sia fondamentale
la “legge del metro quadro”: più
nascosto e
piccolo è il club e maggiore è la concentrazione di vip locali e
d’oltreoceano.
Fu proprio
per evitare di correre il rischio di incontrare
qualche connazionale che avrebbe potuto conoscere che quella sera
Andrew evitò con
estrema cura la legge del metro quadro e optò per un classicissimo e
persino
banale barcone sulla Senna.
Assecondare
l’umore e l’istinto, ecco com’era solito
scegliere per trascorrere una serata. E poiché quella sera si sentiva
più
solitario che di compagnia, una serata mondana nel vero senso del
termine era
l’ultima cosa della quale aveva bisogno; l’istinto gli suggerì
piuttosto
qualcosa che gli avrebbe permesso di starsene per conto proprio, se lo
avesse
desiderato: un giro in battello sulla Senna, con una cena raffinata e
un po’ di
musica sarebbe stata una scelta più consona al suo umore.
La giornata
appena trascorsa era stata molto pesante:
aveva provato a spiegare a Ross le ragioni del suo desiderio di
cambiamento, ma
era stato difficile convincerlo. La discussione era stata estenuante,
ognuno
arroccato sulle proprie posizioni. Ross non intendeva lasciarsi
sfuggire la
gallina dalle uova d’oro e tale lo aveva fatto sentire quando aveva
minimizzato
e scherzato sulle idee che gli erano venute dopo la lettura dei diari e
sul suo
desiderio di una storia vera, una vicenda “umana”
che dicesse qualcosa, a discapito delle storie commerciali che aveva
scritto
fino a quel momento. Deluso dalla posizione del suo agente, che tra le
altre
cose dimostrava scarsa fiducia nelle sue capacità e nelle sue idee,
aveva
iniziato a prendere in considerazione di fare a meno di lui; ma non si
sarebbe
cercato un altro agente, per il momento avrebbe fatto da sé, del resto
non era
alle prime armi e non doveva ancora sfondare. Se poi avesse valutato di
averne
bisogno, più avanti ne avrebbe cercato un altro.
La
discussione con Ross, tuttavia, aveva avuto almeno un
lato positivo perché lo aveva reso ancora più determinato. E ciò che
aveva
letto nel diario la sera prima lo aveva intrigato al punto che avrebbe
sborsato
una fortuna solo per poter leggere il diario mancante.
Dopo aver
svelato il mistero che circondava la moglie del
Duca, ora più che mai si domandava come si fossero incontrati, come si
fossero
innamorati... purtroppo non lo avrebbe mai saputo. E se da un lato ciò
lo
faceva sentire quasi incompleto, dall’altro aveva spalancato le porte
della sua
immaginazione e della sua fantasia, tanto che aveva già cominciato ad
immaginare innumerevoli scenari possibili da inserire nel romanzo. Il
solo
fatto che due persone come loro si fossero incontrate e amate era di
per sé già
stupefacente e ben rispondeva al tema che gli sarebbe piaciuto
sviluppare nel
suo libro, ossia l’intervento del Fato nella vita di due persone
destinate a
stare assieme.
Due persone
destinate a stare assieme...
Il volto di
Nicole Montgomery gli apparve improvviso alla
mente: stava cominciando a diventare un’abitudine... piacevole o
spiacevole
ancora non avrebbe saputo dirlo.
Anche la sera
prima... le ultime pagine lette erano state
stupefacenti e molto intriganti: vi era descritto in maniera più intima
del
solito ciò che era successo ad un ricevimento e la notte d’amore che
era
seguita, di certo perché proprio durante quella notte la moglie gli
aveva detto
di aspettare un figlio. Da quelle pagine traspariva non solo l’amore
che il
duca provava per la duchessa, ma anche il profondo desiderio che univa
i due
amanti ed era stato per certi versi sconvolgente trovare quasi un pezzo
di
letteratura erotica, e tra i più raffinati che avesse mai letto,
proprio tra le
pagine di un diario privato risalente all’incirca a duecento anni prima.
Aveva già
sperimentato la capacità descrittiva del duca,
ma mai come con quelle pagine si era lasciato trasportare dalla
narrazione. E
mentre immaginava la scena descritta come se la stesse vivendo in prima
persona, si era reso conto che il corpo che stava toccando e stringendo
a sé
nella fantasia era quello di Nicole.
L’aveva
immaginata nel provocante abito di seta rossa
descritto nel diario, la medesima scollatura audace a risaltare le
spalle e il
seno, i lunghi capelli raccolti in un’elaborata acconciatura, il cui
unico fine
era quello di essere sciolta dalle mani esperte di un uomo.
L’immagine
evocata della descrizione contenuta nel diario
racchiudeva in sé un segreto antico come il mondo:
era proprio il nascondere, ma al tempo stesso
lasciar intuire, permettendo all’uomo di fantasticare, il segreto della
vera
seduzione femminile; e non il voler esporre a tutti i costi, privando
un amante
del piacere dell’immaginazione.
Il pensiero
di spogliare Nicole Montgomery come il duca
aveva fatto con la moglie, gli aveva tolto il fiato e il sonno ed era
proprio
per questo motivo che non aveva ancora deciso se l’immagine ricorrente
di lei
stava diventando un’abitudine piacevole o spiacevole. Ed era anche la
causa del
suo attuale umore solitario per cui una serata su un battello che
percorreva la
Senna era un compromesso
perfetto.
No. Perfetto
sarebbe stato se lei fosse stata assieme a
lui.
Invece era
solo. Solo e con un intenso desiderio di lei.
Solo a
Parigi, la città dell’Amore. Che ironia!
Forse avrebbe
fatto meglio a tornare subito a Cluny, dove
l’attendeva l’appassionante lettura dei diari, ma era uscito
dall’incontro con
Ross troppo stanco per rimettersi in auto. Inoltre si era fermato ad
acquistare
un paio di costumi, ciabatte e persino un accappatoio, per sfruttare la
piscina
senza correre il rischio di essere sorpreso di nuovo a fare il bagno
nudo. Nonostante
amasse la velocità, era un guidatore prudente e sapeva riconoscere i
propri
limiti. Suo padre era stato molto esigente su questo punto, quando lo
aveva
iniziato ai principi della dinamica: Ricorda,
Andy, mai perdere il controllo... Meglio rimettersi in auto
l’indomani e
apprezzare con tutta calma il viaggio verso la Borgogna:
panorama
stupendo, tettuccio aperto per godersi il sole di giugno e vento tra i
capelli.
Sorrise
distratto al cameriere che gli riempì per
l’ennesima volta la coppa di champagne
e si voltò, col bicchiere in mano, ad osservare la città che scorreva
lentamente davanti ai suoi occhi: Notre
Dame illuminata era uno spettacolo meraviglioso.
Tutta Parigi
illuminata, a dire il vero, era uno
spettacolo che toglieva il fiato.
Si guardò
attorno, nel ristorante: il tavolo che gli
avevano assegnato era un po’ in disparte dal resto della sala, ma anche
da lì
poteva osservare alcune coppie che si erano alzate per ballare. La
piccola
orchestra stava suonando un famoso motivo francese, tipico e molto retrò: La vie
en Rose.
Uno strano
malessere, un misto di inquietudine, desiderio
insoddisfatto e di senso di solitudine, lo pervase e lo spinse ad
allontanarsi
dal salone e ad uscire sul ponte. I camerieri avevano già iniziato a
servire e
le coppiette non sostavano troppo a lungo, giusto il tempo di
scambiarsi un
bacio e qualche tenerezza sotto le stelle che, in quella notte serena,
punteggiavano il cielo come se fossero state una manciata di brillanti gettata sopra del velluto
blu scuro.
Trovò un
angolo un po’ buio, appartato, e si appoggiò allo
scafo, nascosto alla vista di chiunque fosse uscito e si fosse
affacciato ad
ammirare le luci della città. L’imbarcazione era grande, ben più di
altre
solite a navigare sulle acque della Senna per il classico giro
notturno,
pertanto offriva anche qualche spazio riservato; si trattava di un
locale
raffinato, più esclusivo rispetto ad altre imbarcazioni simili di
impronta
turistica, senza tuttavia rientrare nella categoria dei temuti locali “in” , nei quali avrebbe anche corso il
rischio di fare qualche incontro indesiderato.
Accese un
sigaro e aspirò con calma il fumo. Fumare, un
piacere che si concedeva di rado e solo in occasioni speciali, lo
rilassava.
Quella sera ne aveva bisogno in modo particolare.
Si abbandonò
ai pensieri, mentre davanti ai suoi occhi
scivolavano pigre le immagini di Parigi illuminata: l’Ile
de la
Cite,
l’Ile St. Louis, Pont
Charles de Gaulle… appena superato Pont
de Bercy e il Ministère
des Finances, l’imbarcazione avrebbe invertito la rotta per
il ritorno.
Assaporando
l’aroma del tabacco, finalmente riuscì a
rilassarsi; al malessere iniziale subentrò, tuttavia, una malinconia,
insolita
in lui. La musica, struggente e romantica, lo rese consapevole della
propria
solitudine e quella sera, a differenza di altre volte, la cosa lo
intristì. Lo
turbò, più che infastidirlo, perché si rese conto che il motivo per cui
si
sentiva così era solo il pensiero di Nicole: quella sottile nostalgia
che
nasceva dal desiderare di averla tra le braccia e dal sapere che invece
non vi
sarebbe mai stata. Era molto probabile che non l’avrebbe neanche più
rivista.
Certo, sarebbe potuto tornare alla Maison
Dior e domandare il suo recapito, tentare di contattarla di
nuovo, ma aveva
la sensazione che non sarebbe servito a nulla.
Per la prima
volta in vita sua desiderava una donna, la
desiderava al punto da volerla conoscere e frequentare, e lei non era
caduta ai
suoi piedi.
Sua madre,
quando lo avesse saputo, si sarebbe fatta una
bella risata! Era dall’età di sette anni che lo prendeva in giro per lo
stuolo
di bambine prima, ragazze poi e infine donne, che aveva sempre ai suoi
piedi in
perfetta adorazione... e senza che nessuna suscitasse in lui un
interesse che
andasse oltre l’aspetto fisico e il piacere del momento. Nessun legame, nessun
impegno, erano il suo
motto. Le donne cercavano di cambiarlo, ma lui svicolava sempre. E,
nonostante
tutto, nessuna riusciva ad odiarlo al punto da portargli rancore.
Sua madre
sosteneva che fosse in tutto e per tutto uguale
a suo padre da giovane, ma lui era convinto che suo padre era stato
così solo
finché non aveva trovato la donna giusta, l’unica che lo aveva fatto
innamorare.
Un giorno, lo metteva
in guardia sua madre,
troverai l’unica donna per la quale sarai
disposto a far pazzie e, se non riuscirai a farglielo capire in tempo,
rischierai di perderla. Forse quel momento era arrivato.
Era immerso
nei suoi pensieri quando sentì un fruscio,
quasi un battito d’ali, provenire dalla sua destra. Si voltò e vide che
qualcuno si stava avvicinando al parapetto. Alla malinconia si aggiunse
un
lieve senso d’irritazione: addio pace e tranquillità! Se si fosse
trattato di
una donna, presto sarebbe stata raggiunta con ogni probabilità da un
uomo, e in
quel caso sarebbe stato costretto ad allontanarsi, oppure, ancora
peggio per il
suo umore, ad assistere alle effusioni della coppia, col rischio di
essere
scoperto e magari scambiato per un voyeur.
Come aveva
temuto, si trattava di una donna, la quale si
appoggiò alla ringhiera del ponte dandogli le spalle, ad osservare le
luci
della città. Sembrava tuttavia non avere fretta, né, al contrario di
quanto
aveva pensato, attendere qualcuno. La vide guardarsi attorno per
qualche
attimo, poi abbassare il capo, ad osservare l’acqua che scorreva sotto
i suoi
occhi. Aveva un atteggiamento rilassato ma, al tempo stesso, pareva
quasi
pervasa della stessa malinconia che gli stava tenendo compagnia da un
po’. All’improvviso
ebbe la strana sensazione d’averla già vista da qualche parte.
Osservò la
linea del suo corpo, fasciato da un lungo abito
in seta che aderiva alla sua figura snella, dal portamento elegante; i
capelli
sciolti erano scuri, le arrivavano alla vita ed erano di una bellezza
incredibile. Accarezzati dalla brezza si sollevavano in morbide onde e
rendevano l’immagine davanti ai suoi occhi alquanto seducente. Quando
lei si
voltò, appena un poco di fianco, scorse le sue braccia avvolte in una
lunga
stola, in un tessuto leggero di una tinta più chiara dell’abito; la
spalla
scoperta suggeriva l’idea di una schiena nuda, ma lui fu più attratto
dal
profilo provocante del seno, che il taglio aderente del vestito
sottolineava
con scultorea precisione.
Era distratto
da quell’immagine e dai pensieri che
quell’immagine gli suscitava quando l’improvviso movimento della donna
lo colse
di sorpresa e lo fece piombare all’istante in una specie di dèja-vù: la sciarpa era stata sollevata
dal vento e le era scivolata dalle spalle. Lei si era mossa rapida, per
recuperarla prima che finisse in acqua; seguendo il tragitto
dell’impalpabile
tessuto in balia dall’aria, si era voltata verso di lui ma lo aveva
scorto solo
dopo qualche attimo, quando lui stesso si era mosso d’istinto per
recuperare
l’indumento a terra.
La donna si
fermò all’improvviso, spaventata dalla sua
presenza, poiché aveva di certo creduto d’essere sola. La luce che
proveniva
dal ponte rischiarava la sua figura lasciando tuttavia al buio il punto
in cui
si trovava lui; quando alzò il volto per guardare lo sconosciuto che si
era
trovata alle spalle, quella stessa luce le illuminò il viso e,
riconoscendolo, egli
sorrise.
In silenzio
le porse la sciarpa che nel frattempo aveva
recuperato.
“Grazie…”
disse lei.
“E’ stato un
piacere…” rispose.
Quando lei
udì la sua voce, la vide sorprendersi; allora
fece un passo nella sua direzione, in modo che anche il proprio volto
fosse
illuminato ed egli sorrise di nuovo, nel constatare che anche lei lo
aveva
riconosciuto.
“Di nuovo
lei?”
“Io.
Sorpresa? Oppure dispiaciuta?”
“Sì... anzi
no. No. Oh... insomma, volevo dire no, non
sono dispiaciuta. E sì, sono sorpresa. Non facciamo altro che
incontrarci”.
Se soltanto
avesse saputo che s’incontravano anche nei
suoi sogni!
“O è lei che
mi segue?” domandò lui, sornione.
“Forse è
meglio dire il contrario” ribatté pronta.
Lui la
osservò per un attimo, in silenzio, mentre si
riavvolgeva le spalle con la sciarpa. La sensazione di
dèja-vù ritornò prepotente. Allora la guardò negli occhi,
come se
la vedesse per la prima volta. E ad un tratto capì.
“Eri tu,
vero? Sulla spiaggia, mesi fa...” mormorò
passando ad un tono più confidenziale, ancora sconcertato dalla
scoperta.
Lei non
rispose subito, turbata dall’improvvisa intimità
che si era creata fra loro; ma poi capitolò e ammise:
“Sì, ero io”.
“Tu lo
sapevi... mi avevi riconosciuto quando ci siamo
incontrati alla Maison Dior?”.
“Sono una
fotografa, ricordi? Fa parte del mio lavoro
memorizzare volti, soprattutto se interessanti. E il tuo, come ti ho
già detto,
lo è”.
“Perché non
me lo hai detto subito, quando ci siamo
parlati per la prima volta?”.
“Non lo so...
tu non mi avevi riconosciuta...”.
“Non è del
tutto vero. I tuoi occhi...”
“I miei
occhi?”, lo sollecitò lei, poiché si era
interrotto.
“I tuoi
occhi, sì... li avevo già visti, ne ero sicuro. Ma
non riuscivo a collegare dove... Mi ero convinto di averli solo
immaginati,
così belli...”.
Sembrava un
discorso un po’ strano; in
effetti, non sapendo chi egli in realtà
fosse, lei non poteva sapere che spesso gli succedeva di immaginare un
volto, i
particolari di un viso, mentre creava nella sua mente le sembianze di
un
personaggio di un suo romanzo.
Era lei. La
donna che lo aveva ispirato era lei, Nicole.
Fin da allora era sempre stata lei. Strano gioco del destino.
“E’ destino,
a quanto sembra, che sia tu a recuperare le
mie sciarpe” disse lei, quasi leggendogli nel pensiero, interrompendo
il
silenzio imbarazzante che si era creato.
“Così pare…”.
Nicole lo
guardò, senza sapere più cosa dire. Ricordò
all’improvviso che gli amici con i quali era uscita a cena la stavano
attendendo in sala; si era allontanata per prendere una boccata d’aria
fresca,
così aveva detto loro, ma in realtà voleva stare un po’ sola, perché
stava
pensando proprio a lui. L’affascinante americano l’aveva intrigata
subito
moltissimo, e questo le metteva paura, perché non aveva mai desiderato
tanto un
uomo. E poi se l’era trovato di fronte, come apparso dal nulla. O dai
suoi
desideri più inconfessati.
Lui, più
bello che mai, nell’abito scuro dal taglio
elegante.
“Mi
aspettano. Devo andare…” sussurrò, come scusandosi per
essere lei ad andarsene di nuovo,
un’altra
volta. A differenza delle volte precedenti, in quel momento non avrebbe
voluto
farlo per nulla al mondo.
“No, non
andare via. Non ancora...” la fermò,
trattenendola per un braccio. “Balla con me. Un ballo, uno soltanto… “
disse
poi, facendo un cenno del capo in direzione della musica, “come
ringraziamento
per aver salvato, e per ben due volte, la tua sciarpa. Me lo merito,
non
credi?” aggiunse con un sorriso disarmante.
Lei esitò un
momento, ma lui non le diede il tempo di
decidere: la prese tra le braccia con dolcezza e iniziò a muoversi al
ritmo
lento della musica, dandole tuttavia ancora la possibilità di
allontanarsi.
Quando capì che non lo avrebbe fatto, la strinse a sé, invitandola a
muoversi
contro il proprio corpo.
Una
sensazione deliziosa, prepotente e improvvisa, lo
turbò al punto di costringerlo a domandarsi fino a che punto quella
donna gli
fosse entrata sotto pelle e senza che se ne rendesse neppure conto.
Era quello il
tipo di desiderio che aveva legato i due
amanti vissuti due secoli prima?
Cominciava a
capire ciò che il duca aveva provato per la moglie:
nulla di paragonabile al semplice piacere sessuale che si prova tra le
braccia
di una donna, ma quell’assoluto bisogno di appartenere ad un altro
essere umano
e al tempo stesso di possederlo; un bisogno assoluto, che non si
limitava
all’aspetto fisico, benché le reazioni del suo corpo fossero tanto
intense, ma
che si ampliava, comprendendone la mente e l’animo.
Ballarono
così, vicinissimi e soli, al chiarore delle
stelle, per qualche minuto. La musica arrivava soffusa e le luci di
Parigi
creavano un’atmosfera molto romantica, che rendeva quasi reale
l’illusione di
trovarsi in un’altra dimensione.
Fu lei ad
interrompere il momento magico.
“Andrew… devo
andare. Sono con degli amici che mi staranno
aspettando”.
“Non
ancora...” mormorò tra i suoi capelli, senza
accennare a lasciarla.
“Devo
andare... mi spiace...” lo pregò, con un tono a metà
tra la supplica e il rimpianto.
Riluttante
egli si fermò, ma invece di lasciarla andare, le
sfiorò con delicatezza le labbra con le proprie. La sentì tremare e si
domandò
se stava tremando di desiderio o di paura. Aveva infatti percepito
nella sua
voce, oltre al rimpianto, anche un vago senso di timore: aveva paura di
lui o di
se stessa?
Trattenendosi
dal desiderio di approfondire il bacio,
sollevò la testa e infine abbassò le braccia, permettendole di
allontanarsi;
lei tuttavia non si mosse e lo guardò negli occhi.
Per un attimo
lui rimase immobile, confuso da quello
sguardo: vi aveva letto stupore per quello sfiorar di labbra inatteso,
ma al
tempo stesso il desiderio di qualcosa di più. Sconcertato da quella
scoperta,
fece per sollevare una mano ad afferrare ancora la sua proprio
nell’istante in
cui lei si voltava e si incamminava verso l’entrata del salone.
Se n’era
andata, di nuovo.
Abbassò la
mano, reprimendo il desiderio che lo aveva assalito
e inspirò per qualche attimo, per calmare l’eccitazione; quindi si
decise a
seguirla, rientrando a sua volta. Fu subito avvicinato da un cameriere,
che lo
aveva notato senza bicchiere. Accettò la coppa di champagne
che gli veniva offerta, mentre con lo sguardo seguiva
l’incedere di Nicole attraverso la pista da ballo, finché non la vide
raggiungere il tavolo dove l’attendeva una coppia più anziana di quello
che si
era aspettato. E nessun uomo.
“Gran bella
donna, vero?” sentì dire al cameriere, che
aveva colto il suo sguardo.
“Già…
bellissima” sussurrò, gli occhi sempre puntati su di
lei che nel frattempo si era seduta.
“Milady è
davvero una bella donna” disse di nuovo il
cameriere, a rimarcare il fatto, qualora fosse stato necessario.
Sorpreso
dall’appellativo usato dall’uomo, si voltò verso
di lui, abbandonando per un attimo la visione che aveva appena tenuto
tra le braccia.
“Milady?”
chiese incuriosito, prima di bere un sorso dal
bicchiere.
“Sì, Lady
Sinclair”.
“Lady…
SINCLAIR?” domandò di nuovo, lo champagne
che per poco non gli andava di
traverso.
“Lady Nicole
Montgomery Sinclair, per la precisione”
aggiunse il cameriere “una nostra cliente affezionata”.
“Figlia… o…
nipote di Lady Sinclair?”.
“Oh no! Che
sappia io è l’unica Lady Sinclair attualmente
in vita. Ultima discendente, assieme al fratello, di un’antica famiglia
di
aristocratici inglesi. Figlia di Lord Sinclair, defunto duca di
Kesington e
sorella dell’attuale duca...” continuò l’uomo, orgoglioso di dimostrare
che
conosceva qualcuno della nobiltà d’oltre Manica. Ma Andrew non lo stava
più
ascoltando.
Lady Sinclair
era LEI?
Non la bassa
e rotondetta quasi sessantenne che si era
immaginato, ma quello splendore di giovane donna. La sua esperta,
quella che
gli aveva scovato Ross.
Ah, Ross,
Ross… Quell’uomo si meritava un aumento!
La sua
esperta in storia dell’Ottocento. L’esperta della
quale, proprio il giorno prima, lui stesso si era sbarazzato.
Come aveva
potuto essere tanto idiota?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Monique ***
Capitolo XVI
Monique
"Ci vorranno
alcuni giorni, monsieur" gli disse
il meccanico
sollevando appena la testa dal cofano della sua decappottabile "devo
far
arrivare il pezzo da Parigi".
Ad averlo
saputo prima, pensò
Andrew, si sarebbe potuto fermare nella capitale, ma l'auto aveva
iniziato a
dargli dei problemi quando ormai era nelle vicinanze di Cluny;
considerato che
si trattava di un guasto ad una valvola del motore, doveva essere
ancora
contento di essere arrivato sano e salvo nonostante il problema.
"D'accordo.
Mi faccia sapere
quando potrò venirla a ritirare" disse, porgendogli un foglietto col
numero del suo cellulare.
"Per
cortesia, lasci il suo
recapito in ufficio" disse l'uomo, facendo un cenno col capo in
direzione
della costruzione alle sue spalle.
"Sarà fatto",
rispose
Andrew. Salutò e ringraziò il meccanico, quindi s'incamminò verso
l'entrata
dell'officina.
Procedeva a
testa bassa, stanco
per le ore alla guida, ma soprattutto infastidito per l'inconveniente
all'auto
che, tra le altre cose, lo avrebbe costretto a restare al castello come
minimo
ancora una settimana, se non di più. Non che ciò gli dispiacesse: aveva
così
un'ulteriore buona scusa, se mai gliene fosse servita una, per
aspettare
l'arrivo di Sua Signoria previsto, a quanto gli aveva detto Madeleine,
per il
fine settimana. Del resto aveva ancora parecchi diari da leggere.
L'incontro
con Nicole sul
battello, tuttavia, aveva modificato i suoi piani: aver scoperto che
era lei
l’esperta che Ross gli aveva trovato lo aveva reso più che deciso a
rintracciarla di nuovo per lavorare assieme; l'inconveniente con l'auto
avrebbe
ritardato i suoi propositi, col rischio di non riuscire più a
contattarla.
Non era certo
che presentarsi a
lei come lo scrittore Alex Andrews fosse la mossa vincente per
conoscerla
meglio e riuscire a frequentarla. Si ricordava ancora, infatti, ciò che
gli
aveva detto quando l'aveva fotografato credendolo un modello: era una
sua
regola ferrea non mescolare mai il lavoro col piacere. Fargli da
consulente
storica l'avrebbe
fatto rientrare di
nuovo nella categoria lavoro e non
di
certo in quella di piacere, alla
quale lui, invece, voleva a tutti i costi appartenere.
Se le cose
con lei fossero state
diverse, avrebbe desiderato trascorrere quel giorno insieme, loro due
soli: la
giornata era splendida, calda e soleggiata, e invogliava ad una gita
all'aperto. C'erano così tanti luoghi da vedere, nei dintorni, e Nicole
sarebbe
stata una guida perfetta. S'immaginava di tenerla per mano mentre
visitavano
l'interno di un'abbazia o passeggiavano nelle stradine di un piccolo
borgo
antico; oppure si vedeva seduto con lei all'ombra di un albero, o in un
prato,
circondati da papaveri o mazzi di lavanda... la immaginava con un abito
leggero, vaporoso e impalpabile come la lieve brezza di quel giorno, i
lunghi
capelli sciolti che avrebbero profumato di sole e fiori... sognava di
poterla
baciare e accarezzare... di amarla proprio lì, in un prato, circondati
dall'intenso sentore di erba e lavanda...
"Mon
Dieu!".
Un'esclamazione
improvvisa e il
brusco contatto con un corpo avvolto in una costosa fragranza francese,
così in
contrasto col delicato profumo di fiori nel quale si era perduto, lo
riportarono alla realtà. Sulla porta dell'officina si era scontrato con
una
cliente che stava uscendo. Ricordando un momento simile avvenuto su una
spiaggia tempo prima, per un attimo sperò che fosse di nuovo Nicole la
donna
tra le sue braccia. Dovette ricredersi subito quando, abbassando lo
sguardo
sulla lunga e folta chioma rossa e poi più giù, su occhi verdi da gatta
e su
labbra del colore del fuoco, realizzò che non poteva essere di Nicole
quel
corpo voluttuoso fasciato in un abito color smeraldo, scollato e molto
provocante, che evidenziava la tonalità degli occhi e non lasciava
spazio
all'immaginazione.
Andrew era
alto oltre il metro e
novanta, quindi almeno una ventina di centimetri in più della donna, la
quale
era più piccola di Nicole; tuttavia tutto, in quella donna, la faceva
apparire
molto più appariscente: il corpo prosperoso, il volto dai tratti
marcati,
evidenziati da un maquillage accurato
ma al tempo stesso eccessivo per quei lineamenti tutt'altro che
delicati,
benché piacevoli. Anche la voce, roca e languida, si accordava alla
perfezione con
l'immagine provocante e sensuale che dava di sé. A differenza di
Nicole, che
quasi sminuiva la sua incredibile bellezza tanto era sobria ed
elegante, quella
donna mostrava tutto, al punto che era impossibile non guardarla e
sentirsi
turbati.
In accordo
col suo personaggio,
non appena si rese conto dell'esemplare maschile contro cui si era
scontrata,
sollevò lo sguardo su Andrew e sorrise, dandogli l'impressione di una
gatta che
stesse leccandosi i baffi davanti un piatto appetitoso. Sembrava pronta
a
saltargli addosso e mangiarselo in un solo boccone.
"Excusez-moi, monsieur" celiò, più con gli
occhi e le labbra,
che con la voce.
"Non si
preoccupi è stata
colpa mia... ero distratto" rispose educatamente lui, affascinato da
come
sapeva sedurre un uomo anche solo col semplice movimento delle labbra e
degli occhi.
Doveva aver seguito un corso propedeutico di mimica facciale, era
impossibile
che lo sapesse fare naturalmente.
"Oh, no, monsieur... sono io che non guardo mai
dove vado " ribatté
lei, proseguendo imperterrita la sua opera di seduzione strusciandosi
appena
contro di lui, prima di allontanarsi di un passo, ma sempre mantenendo
un
contatto col suo corpo tramite la mano, ancora appoggiata con
indifferente
familiarità sul suo torace, appena coperto da un'impalpabile camicia di
lino
azzurro.
Il calore di
quella mano sulla
pelle era impossibile da ignorare.
"Madame..." iniziò lui, per tentare di
bloccarla.
"Mi chiami
Monique..."
sussurrò la donna, con la voce di un tono più basso. Sembrava averlo
già
portato con sé in camera da letto.
"Monique, mi
scusi, ora devo
andare. E’ stato un piacere conoscerla".
Comprendendo
che lui aveva
bloccato sul nascere qualunque idea lei si fosse fatta, capitolò con
grande
stile, allontanando la mano e replicando:
"Il piacere è
stato mio, mi
creda". Dopodiché lo superò, scendendo i quattro scalini con la
camminata
più audace e provocante che lui avesse mai avuto occasione di osservare.
Sospirando
tra sé, entrò
nell'officina, dove colse lo sguardo divertito di altri tre uomini che
avevano
assistito alla scena. Fingendo più interesse di quanto in realtà aveva
provato,
sorrise ammiccando, da uomo a uomo, e i tre annuirono solidali.
Uscì
dall'officina dieci minuti
dopo e si diresse a piedi verso il borgo antico di Cluny; aveva
intenzione di
spedire un regalo ai suoi genitori e sperava di trovare qualcosa di
interessante che potesse piacere loro. Non c'era un'occasione speciale;
semplicemente aveva l'abitudine di inviare sempre qualcosa durante i
suoi
lunghi soggiorni all'estero e sapeva che sua madre era felice di
ricevere quei
piccoli doni, così come lo era suo padre, anche se brontolava sempre
dicendogli
che era sufficiente che viziasse lei.
Invece a lui
faceva piacere
scovare ogni volta qualcosa di speciale per entrambi; era un modo come
un altro
per dir loro che li pensava anche quando era lontano.
Girovagò per
quasi un'ora alla
ricerca dei suoi piccoli tesori, senza però trovare nulla
d'interessante; stava
per desistere e decidersi a chiamare Pierre per farsi venire a prendere
quando
si trovò davanti ad una vetrina di un negozio di antichità e restauro
di
mobili, così indicava l'insegna, dove, tra mobili antichi,
cianfrusaglie varie
più o meno di valore e altro ancora, vide un quadro raffigurante un
prato pieno
di papaveri. Il dipinto raffigurava con esattezza come si era
immaginato poco
prima il prato in cui avrebbe desiderato fare l'amore con Nicole.
Spinto da un
impulso irrefrenabile, decise di volere quel quadro per sé ed entrò nel
negozio.
Fu accolto da
un odore persistente
di cera per mobili e da un sentore di tempi passati; passò qualche
minuto prima
che qualcuno si affacciasse dal retrobottega per servirlo.
Riconobbe la
donna dalla chioma
rossa, perché per il resto era completamente trasformata: le forme
procaci
erano nascoste da un informe grembiule bianco, i tacchi vertiginosi che
le
avevano permesso di camminare attirando gli sguardi sul suo didietro
erano
stati sostituiti da un paio di zoccoli e solo le unghie laccate di
rosso
lasciavano intuire la donna sensuale che si nascondeva sotto quella
tenuta da
lavoro. A coprirle in parte il viso c'era una visiera di plastica
trasparente,
che doveva proteggerle occhi e volto da eventuali schegge.
"Bonjoiur, monsier" lo accolse Monique,
con l'ombra di un
sorriso compiaciuto nel tono di voce; dopo una breve pausa durante la
quale sollevò
la protezione al volto, chiese "desiderate qualcosa?".
Fu come gli
pose la domanda a
fargli sospettare che, con molta probabilità, stava pensando che lui
l'avesse
seguita o rintracciata di proposito.
Intanto, con
movenze da gatta,
benché meno ancheggianti di quando calzava scarpe di dodici centimetri
minimo
di tacco, si mosse verso di lui, invitandolo ad accomodarsi all'interno
del
negozio.
Nonostante
l'abbigliamento, la
fisicità di Monique non passava inosservata ed era impossibile che un
uomo
restasse impassibile di fronte all'evidente contrasto tra la quasi
mistica
solennità dell'ambiente e l'audace sensualità della donna. Andrew si
rese conto
di sentirsi a sua volta sedotto, o forse solo incuriosito. O, più
semplicemente, attratto sessualmente, come qualunque uomo potesse
definirsi
tale.
"Il quadro in
vetrina... mi
interessa quel quadro" disse, rispondendo alla sua domanda.
Monique
sorrise, un sorriso
seducente e allettante; poi, con la sua camminata provocante, andò a
recuperare
il dipinto, per mostrarglielo da vicino.
La cornice
era troppo elaborata
per i suoi gusti, ma non sarebbe stato un problema cambiarla.
"Non é
adatta, ci vorrebbe
qualcosa di più semplice, di più lineare, per mettere meglio in risalto
i
colori" disse Monique, leggendogli nel pensiero. Poi aggiunse: "Non è
un dipinto di gran valore, ma con la cornice giusta acquisterebbe in
bellezza".
"Ha ragione,
ma a me piace
già anche così".
"È evidente
che lei è un uomo
di ottimi gusti" ammiccò lei sorridendogli.
Lo provocava
in continuazione;
Andrew si disse che lei era fatta così, che era solita flirtare con
ogni uomo.
Con ogni probabilità era capace di ammaliare anche le donne con il suo savoir-faire, eppure qualcosa gli diceva
che provava un'attrazione particolare per lui ed era quest'attrazione a
spingerla ad essere così sfacciata nel suo essere provocante.
Nel frattempo
aveva iniziato a
spiegargli il dipinto con dettagli tecnici, fornendogli al contempo una
breve
storia del quadro e dei suoi precedenti proprietari. Era ovvio che
amava molto
il suo lavoro e che era ben preparata. Inoltre sapeva come raccontare e
quella
era una qualità che Andrew apprezzava sempre.
Trascorsero
un'ora a parlare
d'arte, mentre nel frattempo lei gli vendeva il dipinto con i papaveri,
un
antico portasigari in argento e un'originale coppia di orologi da
taschino,
anch'essi in argento, i due regali che cercava per i suoi genitori.
Quando le
disse che non sapeva ancora se donare gli orologi al padre e il
portasigari
alla madre o viceversa, lei scoppiò in una risata spontanea che la fece
sembrare più giovane e semplice di quanto era solita mostrarsi. Ebbe il
sospetto che Monique fosse molto più profonda di quanto appariva in
genere agli
altri e questa intuizione gliela fece piacere più di quanto già non se
ne sentisse
attratto fisicamente. Era piacevole conversare con lei. Si rese conto,
inoltre,
che durante quell'ora, il pensiero costante di Nicole, che non lo aveva
abbandonato un attimo dal loro ultimo incontro, era rimasto sepolto nel
subconscio, senza affiorare in superficie... ed era da giorni che non
si
sentiva così libero, così leggero, senza quel lieve tormento al cuore
che non
sapeva ancora come definire.
Quando
Monique si offrì di
accompagnarlo al castello alla chiusura del negozio e lo invitò a cena,
Andrew
accettò con entusiasmo.
"Passo a
prenderti verso le
20.30 e ti porto in un locale che ti piacerà".
"Nulla di
troppo esclusivo,
vero?" domandò lui.
"Tranquillo,
non serve giacca
e cravatta... resta così, sei splendido e perfetto..." ammiccò lei,
sfiorandogli il torace con un gesto intimo.
Lui sorrise e
la salutò con un
bacio sulle labbra. Sapeva di darle un messaggio fin troppo esplicito,
ma si
era detto perché no?
In fondo
Monique era una donna
molto piacevole e lo faceva sentire uomo, senza complicazioni e senza
impegni.
***
"Da quanto
sei allo Chateau?".
"Da alcuni
giorni. Sto
facendo delle ricerche.".
"Sei uno
studioso?"
"Un
professore... Università
di Harward" rispose dopo aver
bevuto un sorso dell'ottimo borgogna che avevano ordinato. Aveva deciso
di
attenersi alla versione che aveva fornito a Pierre e Madeleine.
"Mhmm..."
mormorò
Monique, scrutandolo con espressione assorta.
"Che c'è?" le
chiese con
un sorriso.
Mentre
attendeva la sua risposta,
si appoggiò allo schienale della sedia, allungando appena le gambe
sotto il
tavolo; lei se ne rese conto subito e non perse l'occasione di
strusciargli la
caviglia sul polpaccio, sorridendogli al di sopra di una fetta di
deliziosa tarte tatin che un secondo dopo si portò
alle labbra.
La cena era
stata eccellente, come
il locale del resto: un'antica taverna con cucina tipica francese, a
conduzione
familiare. Niente di troppo ricercato, come Monique gli aveva promesso,
ma al
tempo stesso un locale elegante e raffinato. E dove si serviva la
miglior zuppa
di cipolle e il
migliore foie gras del paese. Per
non parlare
della torta.
Per tutta la
sera lei era stata
divertente e affascinante, con quel tocco di malizia che la
contraddistingueva;
ma in quel momento, lo percepiva, la serata stava per prendere una
piega
diversa, come del resto si era aspettato fin dall'inizio.
"Non sembri
affatto un
professore".
"Ah no? E
cosa sarei, allora,
secondo te?" domandò, deciso ad assecondarla.
"Non
saprei... un attore
forse? No, ti avrei riconosciuto".
"Potrei non
essere famoso in
Europa" la stuzzicò lui, divertito dalla piega che stava prendendo il
discorso.
"Giusto.
Ma... non so, non
hai l'aria dell'attore. Potresti essere un ricco uomo d'affari. Oppure
uno
sportivo".
"Perché non
un professore
universitario?"
"Sei troppo
sicuro di te,
troppo affascinante."
"Le mie
allieve, difatti,
svengono tutte ai miei piedi" disse lui, prendendola in giro.
"Hai l'aria
di una persona di
successo; di qualcuno che sa ciò che vuole e come ottenerlo... eppure,
nonostante ciò, non sei superficiale, né arrogante".
"Quindi
perché non un
professore?" la provocò lui.
"Non hai
l'espressione
arcigna".
"Non sapevo
che i professori
avessero un'espressione particolare".
"Tutti quelli
che ho avuto io
ce l'avevano" disse lei, con un sorriso.
"Ma ti
assicuro che io
insegno" insistette lui.
"Ti credo. Ma
quella non è la
tua reale professione".
"Sembri
decisa e sicura di
te".
"Difficilmente
sbaglio ad
inquadrare le persone. Anche se tu sei un soggetto davvero misterioso".
"Misterioso?
Io?" si
sorprese lui, con finta ingenuità e un lampo di divertimento nello
sguardo.
"Proprio tu"
confermò
Monique, prima di soffermarsi a scrutarlo con insistenza. Lui sostenne
il suo
sguardo, che vagava dal volto a ciò che riusciva a scorgere al di là
del tavolo
al quale erano seduti da quasi due ore.
"Mi domando
cosa nascondi
dentro a questo tuo splendido corpo" domandò lei, quasi a se stessa.
Compiaciuto
di non essersi
sbagliato nell'averla giudicata meno superficiale di quanto non
lasciasse
apparire il suo atteggiamento provocante e al tempo stesso intrigato e
affascinato dalla sua capacità di intuizione, si trovò a domandarle:
"È questo
l'obiettivo della
serata? Scoprire cosa nascondo?"
Lei fu rapida
ad interpretare a
suo favore il senso della domanda: "Assolutamente sì. Ho intenzione di
spogliarti completamente, per scoprirlo".
Aveva parlato
con voce roca e
allusiva. Nonostante non fosse la prima volta che una donna gli si
gettava ai
piedi, Andrew dovette ammettere che nessuna era mai stata tanto
sfrontata e
diretta. E così eccitante.
"Bene" disse,
alzando
una mano per richiamare l'attenzione del cameriere "direi che è il
caso,
allora, di proseguire la serata altrove. Hai qualche idea in proposito?"
Monique gli
sorrise, allusiva:
"Guarda caso, proprio stamattina, ho cambiato le lenzuola al mio
letto...".
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Un intruso al castello ***
Capitolo XVII
Un
intruso al castello
Con la
medesima cautela con cui aveva aperto pochi attimi
prima il portone d'ingresso per non svegliare i custodi, aprì anche la
pesante
porta in legno massiccio; nonostante l'ora tarda e il viaggio
dall'aeroporto Charles de Gaulle
non aveva sonno quindi, anche se
sarebbe stata la cosa
più intelligente da fare, riteneva inutile mettersi a letto. Meglio
piuttosto
trovare prima possibile ciò che le serviva e portarsi avanti con la
lettura.
Si aspettava
di trovare la stanza fredda e al buio, invece
poche braci ancora accese stavano morendo nel camino e la sua luce
fioca
illuminava appena la zona circostante.
Un lieve
movimento, la sensazione di un respiro, la fece
voltare e prestare attenzione alla figura seduta in poltrona: l'uomo
sembrava
dormire profondamente, la testa reclinata da un lato, le lunghe gambe
distese,
un braccio allungato a terra e nella mano un libro, dalla copertina di
pelle,
aperto e in parte appoggiato al pavimento.
Senza neppure
avergli visto per bene il volto, lo
riconobbe subito... era difficile scordare il corpo che l'aveva stretta
a sé
soltanto alcune sere prima.
Perché si
trovava ancora lì?
Quando la
domenica precedente lo aveva trovato al
castello, credeva vi avesse trascorso solo una notte o due dopo aver
fatto del
turismo nella zona.
Quell'uomo
stava diventando una persecuzione. Più cercava
di allontanarsi da lui, più se lo trovava intorno. Eppure, quando aveva
posteggiato l'auto, non aveva visto la sua decappottabile. Dov'era
finita? E come
sarebbe riuscita a toglierselo dalla testa, se continuava ad
incontrarlo?
Aveva fatto
il possibile per allontanarsi da lui: la
delusione di non poter più incontrare Alex Andrews le aveva fatto
prendere la
decisione di staccare per un certo periodo di tempo dal lavoro alla maison e rivedere le proprie priorità,
del resto era stato a causa dei suoi continui rinvii dovuti all'impegno
con la
casa di moda che aveva perso l'occasione di poter lavorare con lo
scrittore; tuttavia
era a causa del turbamento provato tra le braccia dell'uomo che stava
dormendo
che aveva deciso di andarsene per un pò da Parigi. Era volata in
Inghilterra
per parlare col fratello e metterlo al corrente dei suoi progetti;
Edmund aveva
fatto storie, come sempre, ma lei era stata irremovibile. La meta
successiva
era Cluny, per recuperare le informazioni che le servivano per il suo
prossimo
viaggio.
Stava facendo
il possibile per allontanarsi da lui, e
invece eccolo di nuovo sulla sua strada.
Lo osservò
per un attimo: risentiva ancora sulle labbra il
lieve tocco delle sue e guardarlo dormire non l'aiutava certo a
scordare le
sensazioni provate quando lui l'aveva stretta tra le braccia; ma,
soprattutto,
quelle che si era accorta di aver desiderato. Il lieve sfioramento di
labbra
con cui l'aveva baciata sul battello le aveva fatto volere molto, molto
di più.
Rendersene conto l'aveva sconvolta.
Perché ogni
volta che lo rivedeva le sembrava più bello di
come lo ricordava?
Decise che
l'unico modo per dimenticarsi di lui era
fingere di non averlo visto, prendere ciò che era venuta a cercare,
andarsene a
letto e, l'indomani, partire prima dell'alba, cosicché nessuno si
sarebbe
accorto della sua presenza.
In silenzio
avanzò nella stanza e si avvicinò allo
scaffale dove ricordava erano sistemati i diari.
***
Lo aveva
svegliato la sensazione di essere osservato.
Aperti gli occhi, aveva scorto un'ombra avanzare furtiva e si era
immobilizzato
quando si era accorto che non si trattava né di Pierre, né di sua
moglie.
Che fosse
entrato un ladro?
Poi l'ombra
fece un movimento e si mise più alla luce ed
egli, osservandone il profilo, riconobbe con stupore la figura di
Nicole
Montgomery.
Che ci faceva
lì?
Quando aveva
scoperto che, oltre ad essere una fotografa,
era anche l'esperta che Ross gli aveva procurato e della quale si era
purtroppo
liberato, aveva passato la mattina successiva al suo rientro a Cluny
nel
tentare di ricontattarla, ma senza esito. L'assistente di Lady Sinclair
gli
aveva detto che Milady era partita all'alba, senza lasciare alcun
recapito e
neppure un itinerario, né una data di ritorno. Mademoiselle
Valèns si
era
scusata, promettendogli di contattarlo non appena avesse avuto notizie
di Lady
Sinclair ma monsieur Andrews non
doveva farsi troppe illusioni... Milady si era davvero dispiaciuta
quando le
aveva comunicato la decisione di monsieur
di non avvalersi più della sua consulenza e aveva deciso di
allontanarsi per un
po’ da tutto e da tutti. E quando Lady Sinclair decideva una cosa...
Aveva
ringraziato mademoiselle
Valèns ed
era tornato ad immergersi
nella lettura per riuscire a terminare prima dell'arrivo dell'erede del
duca,
previsto, a quanto gli avevano riferito Pierre e Madeleine, per il fine
settimana. Una volta definita la faccenda relativa all'autorizzazione
da parte
del proprietario legale dei diari, avrebbe potuto, col suo permesso,
finalmente
mettersi al lavoro. E dimenticarsi di Lady Sinclair, alias Nicole
Montgomery.
In quei
giorni, grazie anche alla presenza di Monique, era
riuscito ad allontanare la sua immagine dalla mente, almeno fino a
quando la
seducente restauratrice di mobili non lo aveva fatto prender coscienza
dei
propri sentimenti.
La serata in
cui erano usciti a cena per la prima volta
l'avevano conclusa nel letto di Monique, come lei stessa aveva
suggerito: le ci
era voluta tutta la notte prima di averne abbastanza di lui e del suo
corpo...
ogni volta che aveva voluto ricominciare gli aveva sussurrato che era
affamata
di sesso, ma in particolare che era affamata di lui. Andrew non aveva
stentato
a crederle e si era affrettato ad accontentarla, godendosi senza
problemi
quella inattesa e piacevole avventura con una donna che era l'essenza
stessa
dell'amante ideale: disinvolta, disinibita e piena di fantasia. Nei tre
giorni
successivi aveva lavorato di giorno allo Chateau,
ma le sere e le notti le aveva trascorse a casa sua, dove avevano
provato la
resistenza e la comodità di quasi ogni superficie orizzontale; neppure
quando
aveva vent'anni ricordava d'aver fatto tanto sesso e così tanto
appagante...
perché andare a letto con Monique non richiedeva complicazioni o
sentimenti...
lei voleva solo piacere ed era ciò che voleva anche lui.
Almeno era
quello che credeva all'inizio. Poi, però, aveva
capito che ciò che provava per Monique, ossia un mero desiderio fisico,
stava
già sfumando, e persino più rapidamente di altre volte. Forse perché
quegli
amplessi finalizzati al solo piacere sessuale gli avevano lasciato un
profondo
vuoto dentro quando, a poco a poco, insieme a loro due tra le lenzuola,
si era
insinuato il ricordo struggente di Nicole.
Era stato
felice, quindi, di apprendere che Monique doveva
assentarsi per un po’ da Cluny per lavoro.
"Perché non
vieni con me?" gli aveva chiesto
"potremmo passare altre notti come questa".
Era proprio
quello il problema: se all'inizio la sua
aggressività e la sua sfrontatezza lo avevano intrigato e lusingato,
dopo tre
notti quel suo essere selvaggia e il volerlo in continuazione gli
stavano
togliendo l'aria... gli sembrava quasi di soffocare. Aveva sentito il
bisogno
di avere tra le braccia una donna diversa, una donna che gli facesse
provare
sensazioni che andassero oltre l'orgasmo fisico; voleva una donna da
desiderare
alla follia, da possedere anima e corpo.
E quella
donna non era Monique.
"Non posso,
devo proseguire con le mie ricerche".
Lei era
rimasta delusa, ma per poco, perché Andrew,
consapevole che per quanto lo riguardava quella sarebbe stata l'ultima
volta,
aveva fatto il possibile per soddisfarla, finché era riuscito a farla
gridare
di piacere. Languida e appagata, lei gli aveva detto che lo avrebbe
chiamato al
suo ritorno. Non le aveva risposto, lasciando in sospeso la faccenda:
si era
alzato, si era rivestito e prima di uscire le aveva dato un tenero
bacio e le
aveva detto addio.
Era rientrato
allo Chateau
e si era rimesso al lavoro: se fosse riuscito a terminare per l'arrivo
dell'erede del Duca, dopo aver preso gli accordi per i diritti del
romanzo, o
di qualsiasi cosa avrebbe tratto da quei diari, e l'autorizzazione a
proseguire, sarebbe potuto tornare in America e, con un po’ di fortuna,
persino
prima che tornasse Monique.
Aveva
trascorso l'intera giornata a leggere e aveva
pensato di proseguire anche dopo cena, ma Madeleine era una cuoca
troppo brava;
dopo il delizioso pasto e le notti insonni appena trascorse, non era
riuscito a
restare sveglio neppure fino al ritorno dei due coniugi che erano
andati a
trovare il figlio. Si era addormentato, con l'immagine di Nicole nella
mente.
E ora lei era
lì.
Attento a non
fare alcun rumore, rimase ad osservarla. Che
cosa ci faceva allo Chateau in
piena
notte? E, soprattutto, perché si stava muovendo circospetta, come una
ladra?
Si era
abbassata verso lo scaffale dove si trovavano i
diari. Dopo alcuni attimi si rialzò, con due quaderni in mano; quindi
gli diede
una rapida occhiata per accertarsi che fosse ancora addormentato e si
diresse
verso la porta.
Era sul punto
di aprirla per uscire quando lui decise che
era arrivato il momento di scoprire come mai un'esponente della nobiltà
inglese
e, a seguito di qualche discendenza, probabilmente addirittura
imparentata con
il re William, si aggirava in una residenza che non le apparteneva, con
l'intenzione di appropriarsi di due quaderni il cui unico valore era
affettivo
e, semmai, esclusivamente storico.
Con una
rapida falcata le afferrò il braccio e bloccò la
sua fuga. Di fronte alla sua espressione spaventata, le domandò:
"Dove credi
di andare?"
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Sua Signoria, l'erede del Duca ***
Capitolo XVIII
Sua
Signoria, l'erede del Duca
"Lasciami...
Cosa stai facendo?" disse lei,
brusca, cercando di liberarsi dalla presa.
"Questo
dovresti essere tu a dirmelo".
"Io? Ah sì? E
perché mai?".
"Beh... mi
pare evidente: sei tu quella che si è
intrufolata in casa d'altri per rubare" e fece un cenno ai quaderni che
lei tratteneva al petto con l'altra mano.
"Oh, questa
poi! In casa d'altri. E chi saresti, tu,
per dirmi questo? Il padrone, per caso?" domandò lei con ironia.
"No, ma sono
un ospite da alcuni giorni e, in questo
momento, sono l'unico presente in casa".
"Dove sono
Pierre e Madeleine?" lo interruppe
lei.
"Dal figlio".
"E hanno
lasciato la proprietà incustodita, alla tua
mercé?" domandò con tono inquisitorio, facendo sentire lui l'intruso
colto
a rubare.
"Mi conoscono
da alcuni giorni e si fidano... e
comunque non sono affari tuoi. E non cercare di rivoltare le cose.
Allora? Sto
aspettando una risposta. O devo chiamare la polizia?" le chiese lui,
minacciandola. Ma la luce divertita nello sguardo era più che eloquente
in
merito alle sue vere intenzioni.
"La polizia?
Ma certo, accomodati" disse lei,
spiazzandolo.
In quel
momento la porta si aprì e i volti sorpresi e
felici di Madeleine e di Pierre lo confusero ancora di più. Quando poi
vide Madeleine
accogliere tra le sue braccia Nicole, esclamando:
"Oh, Vostra
Signoria, siete arrivata, e con ben due
giorni d'anticipo! Che gioia rivedervi! Ma perché non ci avete
avvertito?", si sentì più stupido che mai.
"Vostra...
Signoria?".
"Già..."
rispose lei ammiccando, ancora
abbracciata all'anziana governante. Poi, per metterlo in
imbarazzo, aggiunse divertita:
"Allora? Questa polizia... la chiami o no?".
"La polizia?"
domandò con ansia Pierre,
osservandoli.
"Devi sapere,
Pierre, che il signore qui presente
credeva che io fossi una ladra e voleva chiamare i gendarmi!".
"Una ladra?
Voi?" domandò esterrefatto l'uomo.
"Beh... cosa
avrei dovuto pensare? Sei entrata di
soppiatto, stando bene attenta a non svegliarmi; hai frugato tra gli
scaffali e
te ne stavi andando con quelli..." e fece un cenno ai due diari che lei
aveva ancora in mano "come potevo immaginare? Inoltre io ero convinto
che
il padrone dello Chateau fosse un
uomo".
"Un uomo?"
domandò Madeleine, "ma... monsieur Andrew,
come vi è venuto in
mente che Sua Signoria fosse un uomo? Pierre, sei stato tu a confondere
monsieur?".
"No,
Madeleine, tranquilla. È stata solo colpa mia se
ho frainteso... è che ho avuto questa idea fin dall'inizio e quando
parlavate
dell'ultimo discendente, vi riferivate sempre a
‘Sua Signoria... e l'equivoco è proseguito...".
"Mah...
Comunque, se non vado errata, voi già
conoscete Lady Sinclair".
"A dire il
vero io conosco Nicole Montgomery,
fotografa della Maison Dior"
rispose
e fu lui a prendersi una piccola rivincita, vedendola arrossire.
"Ah,
milady... voi e la vostra mania di non
presentarvi mai col vostro titolo! Ecco, lo vedete che confusione
generate?" disse Madeleine, irriverente e divertita.
Nonostante il
rispetto quasi d'altri tempi che le
portavano, Andrew osservò l'affetto e la confidenza che legava Nicole
ai due
anziani tuttofare.
"Bene, ora
che l'equivoco è stato chiarito, direi che
noi possiamo andare a dormire. Provvederò subito per la vostra camera,
Lady
Nicole" disse Madeleine, accomiatandosi.
"Vai a letto
e non ti preoccupare, Madeleine. Sono
sicura che la camera è già in perfette condizioni, come sempre. Se
dovesse
mancare qualcosa, ci penserai domani".
"Ma... e i
vostri bagagli?" domandò la donna,
quasi scandalizzata.
"Non pensarci
neppure di metterti a sistemare le mie cose a quest'ora. Aspetteranno
domani
anche quelli" disse Nicole senza ammettere repliche e ottenendo, con le
sue parole, un sorriso di gratitudine da parte della governante.
Evitò di
aggiungere che sarebbe partita l'indomani stesso,
altrimenti era sicura che Madeleine avrebbe tentato di dissuaderla.
Andrew attese
che marito e moglie fossero usciti, prima di
dire:
"Sei molto
buona con loro".
"Sono loro
che sono molto buoni con me e io li adoro,
come se fossero i miei nonni" replicò lei, con voce dolce.
"E così
saresti una vera lady..." mormorò lui,
accarezzandole la guancia con le nocche delle mani, sorpreso ma al
tempo stesso
felice che lei fosse lì "cos'altro nascondete, Vostra Signoria?".
Un improvviso
e inatteso desiderio di toccargli a sua
volta la mano, di sfiorargli le dita con le proprie, turbò Nicole. Lo
guardò
negli occhi e notò ciglia folte e lunghissime, l'invidia di qualunque
donna.
L'ombra della barba di qualche giorno gli scuriva le guance e al tempo
stesso
metteva ancora più in rilievo la linea sensuale della sua bocca. Si
rese conto
che la tentazione di baciarlo era talmente forte da toglierle il fiato.
"E così tu
saresti ‘monsieur le professeur'...
cos'altro nascondi tu, ancora? " lo
provocò a sua volta, per distrarsi dal desiderio di sfiorargli le
labbra con le
dita.
"Io?" domandò
lui, con l'aria più ingenua di
quella di un fanciullo.
"Sì, tu. Cosa
ci facevi, PROFESSORE, alla Maison Dior
fingendoti un modello?"
"Ah, no... io
non ho finto di essere proprio nessuno!
Sei tu che sei partita in quarta e, appena ti sei resa conto del mio
fascino,
hai deciso di sfruttarmi per le tue foto. Io ero alla casa di mode per
cercare
una persona" rispose, omettendo di aggiungere che quella persona, in
realtà, era proprio lei, anche se allora non lo sapeva. Così dicendo,
capì
d'aver deciso che non le avrebbe rivelato ancora la sua vera identità:
se era
l'esperta che avrebbe dovuto incontrare, allora voleva escogitare un
modo per
lavorare assieme, ma senza che lei sapesse di avere a che fare in
realtà con lo
scrittore Alex Andrews.
Voleva che si
innamorasse di lui per se stesso e non per
ciò che rappresentava.
Che
s'innamorasse di
lui...
Finalmente
aveva dato un nome a quel groviglio insensato
di emozioni e sentimenti, desiderio e tenerezza che provava per lei e
voleva
fare il possibile affinché anche Nicole provasse lo stesso. Alla luce
di come
si erano conosciuti (due estranei che si scontrano su una spiaggia,
entrambi lì
per puro caso) e di come continuavano ad incontrarsi nonostante tutto,
era più
che mai convinto che il loro futuro insieme fosse come scritto nel
destino.
Ad un tratto
la vide trattenere a stento uno sbadiglio.
"Forse è
meglio rimandare le nostre chiacchiere a
domani" le disse, sfiorandole con le nocche una guancia.
"Non ci sarò
più, domani".
"Cosa
significa?"
"Che
domattina presto, o meglio..." rispose
guardando l'orologio, "fra poche ore, sarò ripartita".
"Credevo
fossi qui per restare. Madeleine mi aveva
detto che Sua Signoria sarebbe arrivata nel week-end per fermarsi
qualche
giorno".
"Infatti era
quella l'idea".
"E ora? Cos'è
cambiato? È per causa mia?".
"Cosa
intendi?"
"Perché mi
hai trovato qui?".
"E perché mai
questo dovrebbe farmi cambiare
idea?".
"Forse perché
la mia presenza ti turba?" Più che
una domanda, sembrava un'affermazione, espressa con un luccichio negli
occhi
che voleva essere una sfida.
"La mia
decisione non ha niente a che vedere con te. A
Parigi sono successe alcune cose che mi hanno fatto decidere di
lasciare per un
po’ il mio lavoro e dedicarmi ad una faccenda che ho lasciato in
sospeso ".
"Che genere
di cose? E quale faccenda?" domandò
lui.
"Non credi di
essere un po’ troppo invadente? La mia
vita non ti riguarda".
Lui le prese
la mano e la tenne stretta, impedendole di
liberarla quando si rese conto dal suo sguardo che non gradiva il
contatto.
"Credevo che
tra noi due...".
"Non esiste
alcun noi
due " lo interruppe decisa lei.
"Tu credi? E
che mi dici del bacio che avresti voluto
che ti dessi l'altra sera? O del fatto che non facciamo altro che
incontrarci?"
Del bacio che
avresti voluto che ti dessi... Nicole
colse immediatamente la sottigliezza da lui usata per
definire lo sfioramento di labbra con cui l'aveva sconvolta: Andrew aveva capito quanto aveva
desiderato che
proseguisse.
"Pura
coincidenza" rispose decisa, omettendo
qualunque riferimento al bacio e ritirando la mano che egli ancora
tratteneva.
"Non ho mai
creduto alle coincidenze. Io credo che
tra noi vi sia qualcosa di più che un insieme d'incontri casuali" disse
lui, guardandola negli occhi.
"E cosa
dovrebbe esserci, secondo te?" domandò
lei, divertita.
Per nulla
turbato dal suo tono beffardo, decise che non si
sarebbe lasciato sfuggire l'occasione di dirle ciò che pensava, quello
su cui
aveva meditato a lungo, soprattutto dopo aver scoperto che era lei
l'esperta
che Ross gli aveva trovato.
"Credo che vi
sia un preciso disegno del Destino
dietro ai nostri incontri…" iniziò lui, tralasciando tuttavia di
sottolineare il fatto che si erano incontrati comunque, nonostante lui
avesse
annullato quella che sarebbe dovuta essere l'occasione ufficiale della
loro
reciproca conoscenza.
"Un...
disegno del destino? Non è possibile. Non
dirmi che credi a queste cose!" domandò lei, di nuovo palesemente
divertita.
Andrew colse
tuttavia una forzatura nel suo tono che lo
invitò a proseguire, nonostante lo scetticismo che dimostrava.
"Perché, tu
no? E ti dirò di più: ho anche la
sensazione che il disegno non sia neppure ancora del tutto compiuto".
"Cosa
intendi?" chiese lei e ora sembrava più
interessata che divertita.
Lui sorrise,
contento d'essere riuscito infine ad attirare
la sua attenzione, proprio come desiderava. Cercò spiegarle cosa
intendeva,
benché si rendesse conto che era difficile che lei riuscisse a
comprendere
appieno le sensazioni che si agitavano in lui, senza rivelarle chi in
realtà
egli fosse.
"Non so... è
difficile da spiegare a parole. Prova a
ripensare ai nostri incontri, dal primo, su quella spiaggia a
chilometri di
distanza da qui, fino a questo momento: ti pare davvero possibile che
si tratti
di coincidenze? Ogni volta che ci siamo incontrati, abbiamo pensato che
fosse
l'ultima... eppure non era così, a nostra insaputa ci attendeva un
altro
incontro".
"Quindi pensi
che ci incontreremo di nuovo, anche
dopo stasera? È questo che vuoi dire?".
"Assolutamente
no. Per quanto mi riguarda, non ho
intenzione di lasciare di nuovo al caso un nuovo incontro. Ciò che
intendo dire
è che ho la netta sensazione che ci sia un preciso motivo per cui
continuiamo
ad incontrarci e che, finché non adempiremo a questo... chiamiamolo Disegno del Destino, continueremo ad
incontrarci come se fosse per caso".
"Quindi,
secondo la tua teoria, per liberarmi di te
dovrei assecondare quest'ultimo incontro e portare così a termine
questo
fantomatico Disegno del Destino? E in cosa consisterebbe, sentiamo,
sono
proprio curiosa di saperlo" disse lei, di nuovo con tono divertito.
"Scommetto
che se ti propinassi la teoria della
Grande Storia d'Amore tra noi due, non te la berresti affatto, vero?"
domandò lui, per provocarla.
"Ti prego,
risparmiami! E cerca di essere più
originale".
"Perché la
escludi a priori? Ti dispiacerebbe tanto?
O... sei già impegnata?", non poté fare a meno di stuzzicarla di nuovo.
"Sei gentile
a ricordarti di domandarmelo"
rispose lei, eludendo le altre domande.
"Allora? Sei
già impegnata?"
"No, nessun
legame, anche se non dovrebbe
interessarti. E comunque non cambia nulla".
Lui sorrise,
impertinente.
"Ok, ok,
niente storia del Grande Amore. Cercherò di
essere più originale. Dunque... vediamo... che ne dici di un mistero
che
dobbiamo risolvere insieme?".
"Un
mistero... mhmm, interessante. E di quale mistero
si tratterebbe?" domandò Nicole, stando al gioco.
"Ad esempio
scoprire che... ecco, sì... che abbiamo
un antenato in comune".
"Un
professore americano e una nobildonna
inglese?" chiese scettica.
"Perché no?
Potresti essere stata adottata"
"Lo escludo.
Pare assomigli molto all'antenata della
quale porto il nome, Lady Alexandra Nicole".
"Ti chiami
Alexandra Nicole?" domandò lui,
incuriosito.
"Nicole
Alexandra Montgomery Sinclair è il mio nome
completo".
"Vedi? Un
altro segno del destino. Anche il mio
secondo nome è Alexander" disse divertito lui.
"Andrew
Alexander è il tuo nome completo?"
domandò lei, turbata.
"Sì, perché?"
"Impossibile..."
"Perché il
mio nome desta tanta sorpresa? Anche
Madeleine, quando gliel'ho detto, ha avuto la tua stessa reazione".
"Il fratello
di Lady Alexandra... anche lui si
chiamava Andrew Alexander. Erano in quattro: Andrew Alexander, il
primogenito,
poi due gemelli, Jane Elizabeth e Nicholas Joseph, ed infine Alexandra
Nicole.".
"Quindi vedi
che siamo destinati a stare assieme?! O
pensi ancora che si tratti di coincidenze?"
"Sei stato
adottato tu, per caso?" domandò lei.
"Non credo, i
miei me lo avrebbero detto. Ma, ad
essere sincero, non l'ho mai domandato", rispose lui, con un sorriso.
"Smettila di
fare il buffone. Beh, che c'è di strano?
Andrew Alexander... sono due nomi molto comuni. E comunque, da quello
che so e
che ho scoperto degli antenati di mia madre, nessuno ha mai dato in
adozione un
bambino. Devi credermi, ho fatto ricerche approfondite. Quindi è da
escludere
l'antenato in comune".
"C'è sempre
la famiglia da parte di tuo padre, il
duca, se non erro" suggerì lui, dicendosi tra sé che non aveva dubbi in
merito all'attendibilità delle sue ricerche, sapendo che era una
storica molto
competente; ma poi, notando lo sguardo di lei, si affrettò a precisare:
"Ok, ok...
niente antenato in comune. Allora,
vediamo... di quale altro mistero si potrebbe trattare? Trovato! Potrei
essere
il discendente di un figlio illegittimo del duca...".
"Di mio
padre?"
"Ma no, che
dici? Adesso io stavo pensando all'uomo
che abitò per ultimo questo chateau...
Oppure, ecco sì, potremmo essere destinati a risolvere insieme il
mistero del
diario scomparso".
"Come sai del
diario? Li hai letti?" chiese lei
con voce piuttosto dura.
"Beh, sì...
per questo mi trovo ancora qui. Madeleine
non te lo ha detto?"
"Ha solo
detto che eri interessato alla storia della
famiglia... è stata piuttosto vaga".
"È un
problema?" domandò lui, molto serio.
"No, no.
Nessun problema... È solo che... È quella la
faccenda di cui mi voglio occupare. Quella lasciata in sospeso".
"Perché non
mi spieghi tutto dall'inizio?"
Lei lo
guardò, come se stesse valutando la sua
affidabilità. Poi, finalmente, parve decidersi:
"D'accordo,
ti racconterò tutto".
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Al lavoro insieme ***
Capitolo XIX
Al
lavoro insieme
Per la
seconda volta in meno di dodici ore aprì la pesante
porta di legno ed entrò nella stanza dello Chateau
denominata ‘Le Bureau de le Comte’.
Come la sera prima Andrew era lì, sempre seduto sulla poltrona accanto
al
camino, ma a differenza della volta precedente non stava dormendo, era
immerso
nella lettura. Nicole entrò in silenzio, chiudendosi lentamente la
porta alle
spalle per evitare rumori che lo distraessero. In realtà sperava di
poterlo
osservare di nuovo per qualche attimo indisturbata, invece lui si
accorse subito
della sua presenza e alzò la testa, sorridendole.
"Ciao", la
salutò, felice di rivederla.
"Ciao".
"Hai quindi
deciso di restare?" chiese lui.
"Così
pare..." rispose vaga.
Lui la
osservò, notando la sua aria esitante. Dopo aver
sentito la sua storia, aveva fatto il possibile per convincerla a
fermarsi e
aiutarlo con i diari; le aveva raccontato la versione che si era
preparato per
l'incontro con l'erede del Duca, quando ancora non sapeva chi fosse:
era
arrivato al castello perché interessato alla vita privata nel XIX
secolo; poi
aveva scoperto i diari, mentre si destreggiava tra vari cimeli e carte
del
passato ed incuriosito aveva iniziato a leggerli, appassionandosi alla
vicenda
ed ora era intenzionato a conoscerla tutta quanta, poiché era convinto
che gli
sarebbe servita per i suoi studi. Si era accorto anche lui del quaderno
mancante e siccome lei lo stava cercando, aiutarlo nello studio dei
diari, con
appunti e approfondimenti, forse le sarebbe servito a trovare un
dettaglio
magari sfuggitole durante la lettura che aveva fatto tempo prima quando
li
aveva trovati a sua volta; un dettaglio che avrebbe potuto fornirle una
traccia
importante per la sua ricerca.
All'inizio
lei era parsa scettica; poi si era ricreduta,
anche perché aveva ammesso di non aver letto ancora tutti i diari:
quando si
era accorta che ne mancava uno, era rimasta talmente delusa che non era
riuscita più a continuare. Si era accontentata di conoscere la storia
dei suoi
antenati attraverso i documenti ufficiali, consultati nel periodo dei
suoi
studi universitari, dimenticandosi dei diari e del prezioso contributo
che
avrebbero potuto fornirle. Solo di recente, benché presa da impegni
vari, nel
poco tempo a disposizione per se stessa aveva deciso di concentrarsi
sulla
ricerca del quaderno mancante che, ne era convinta, poteva trovarsi
solo nella
dimora della famiglia di sua madre. Era proprio da lì che arrivava
quando si
erano incontrati sulla spiaggia;tuttavia la sua ricerca era stata vana.
"A che punto
sei?" domandò Nicole, facendo cenno
al quaderno che aveva in mano.
"Febbraio
1859. La nascita del mio omonimo"
disse lui, con un sorriso. Era strano scoprire di chiamarsi come il
primogenito
del Duca e della Duchessa, un qualcosa in più che gli dava la curiosa
sensazione di essere legato, in qualche modo che non riusciva a
spiegarsi,
all'autore degli scritti che lo stavano tanto affascinando. O più
probabilmente
era solo la sua immaginazione e si trattava di una semplice
coincidenza: del
resto non era la sua professione quella di inventarsi dal nulla misteri
e
avventure?
"Credevo
fossi più avanti... se i diari arrivano fino
alla sua morte, lo sai quanti anni ancora ci sono?"
"Immagino
parecchi... basta guardare quanti quaderni
devo ancora leggere!" rispose lui. Quindi aggiunse: "Hai impegni per
le prossime settimane?".
"Stai
scherzando vero?"
"Niente
affatto" disse, osservando divertito la
sua espressione sgomenta.
Poi decise di
aggiungere, per provocarla:
"Cos'è, hai
paura del lavoro duro? O di trascorrere
troppo tempo con me?".
"Ah ah ah!"
rispose sarcastica lei.
"Vedrai, sarà
interessante. E anche divertente".
"Già,
divertente..." bofonchiò Nicole. Stava
pensando a tutto il tempo che avrebbe dovuto trascorrere con lui e non
riusciva
ancora a capire se l'idea l'attirava o la terrorizzava. Con ogni
probabilità
entrambe le cose. L'attrazione fisica che aveva provato fin da subito
per
Andrew si stava trasformando, ad ogni incontro, in qualcosa di più
intrigante,
ma al tempo stesso più coinvolgente. E lei non voleva rapporti
coinvolgenti. I
suoi genitori avevano trascorso anni e anni a farsi del male e a
tradirsi a
vicenda prima di decidere di separarsi; il giorno in cui erano morti in
un
incidente stavano andando dall'avvocato per discutere i termini della
separazione. Il matrimonio di suo fratello era una farsa e quello di
diversi
amici altrettanto; dopo alcuni flirt più o meno importanti, a
ventiquattro anni
si era innamorata di Christopher e per un intero anno aveva creduto che
fosse
l'amore della sua vita arrivando a convincersi, nonostante le delusioni
dell'infanzia, che un grande amore potesse ancora regalare la felicità.
Ci
aveva creduto fino al giorno in cui la dura realtà le aveva aperto gli
occhi:
lo aveva scoperto a letto con quella
che
aveva creduto essere la sua migliore amica e in quel frangente aveva
concluso
che lui voleva sposarla solo per i suoi soldi. Uno squallido motivo da
romanzetto rosa, che aveva ridotto il suo grande amore ad una sorta di
avventuretta da reality-show. Persino gli scrittori di romanzi o gli
sceneggiatori, ormai, avevano più fantasia quando si trattava di far
terminare
una storia d'amore!
Christopher
non era uno del suo ambiente; non era il
classico snob figlio di papà con più arroganza che reali possibilità
economiche, uno di quei tipi che le ronzavano attorno dall'età di
quindici anni
pronti ad accalappiare la figlia di un duca che non solo possedeva un
titolo
nobiliare, ma che era anche una delle poche rimaste con una reale
fortuna alle
spalle, resistita a varie crisi economiche perché molto consistente,
saggiamente diversificata e amministrata con estrema abilità.
No:
Christopher era piuttosto un idealista, un
appassionato come lei di arte e cultura, ma soprattutto di fotografia
ed era
stata proprio la fotografia la passione che li aveva uniti. Scoprire
che anche
lui era come gli altri, se non peggio, perché almeno gli altri
ammettevano
d'essere alla ricerca di un'ereditiera che risollevasse le loro
inconsistenti
finanze, le aveva fatto perdere del tutto l'illusione di poter vivere
il grande
amore e decidere di non farsi mai più coinvolgere dai sentimenti. Una
vocina le
diceva che Christopher non era il cacciatore di dote che credeva e che
la sua
avventura con Marie c’entrava in parte anche con lei, ma aveva
preferito non
ascoltare quella voce e dimenticarsi di lui.
Dalla fine
della sua storia con Christopher, pur uscendo
con alcuni uomini, aveva evitato ogni coinvolgimento emotivo e aveva
rivolto i
suoi interessi altrove, impegnandosi in un progetto con il dottor
Dumònt per
aiutare i bambini malati di AIDS; era sempre più convinta che quei
bambini, che
considerava ormai un po’ come suoi figli, sarebbero stati gli unici
figli dei
quali si sarebbe mai occupata.
Madeleine e
Marie-Antoinette, le sole persone con le quali
s'era confidata, continuavano a ripeterle che era troppo giovane e
bella per
dire addio alla possibilità di essere felice, ma lei, dopo aver tanto
sofferto,
aveva trovato un suo equilibrio e le rassicurava dicendo loro che stava
bene
così.
Ciononostante
era una giovane e attraente donna del XXI
secolo e non un'inibita e fragile damigella d'altri tempi, pertanto
quando era
uscita con altri uomini, con alcuni loro aveva avuto brevi relazioni,
limitate,
tuttavia, ad un mero coinvolgimento fisico benché, ad essere sincera,
neppure
da quel lato granché soddisfacenti. Nonostante vivesse in un ambiente
in cui
mostrarsi affascinanti contava più d’ogni altra cosa, anche se fosse
stata
disposta a lasciarsi coinvolgere sul piano emotivo, nessuno degli
uomini con i
quali era uscita l'aveva intrigata al punto da desiderare qualcosa più
d'un
semplice e fugace appagamento sessuale.
Questo prima
di conoscere Andrew; perché da quando lo
aveva conosciuto, la faccenda si era complicata. Fin dall'incontro
sulla spiaggia
aveva provato una forte attrazione e, doveva ammetterlo, un'emozione
così
violenta, così fisica, non l'aveva mai provata neppure per Christopher.
In quel
momento, tuttavia, aveva ancora pensato che l'alone di romanticismo che
aveva
avvolto il suo animo mentre cercava il diario perduto nella residenza
materna,
avesse circondato di mistero e di romanticismo anche l'incontro in riva
al mare
con un affascinante sconosciuto rendendolo più intrigante di quanto in
realtà
fosse stato. Roba da romanzo, insomma; materiale fantastico per uno
scrittore,
aveva in seguito pensato, e quando aveva saputo dell'incarico con Alex
Andrews
si era persino domandata cosa sarebbe stato capace di tirarne fuori un
autore
di quel calibro, che lei ammirava per lo stile ma soprattutto per la
fantasia e
per l'abilità di far calare il lettore nelle avventure che inventava.
Trovarsi
davanti il misterioso sconosciuto alla Maison
Dior aveva dato il colpo di
grazia all'illusione di essersi solo immaginata l'attrazione intensa
che aveva provato.
E ad ogni successivo incontro era andata sempre peggio, perché lui la
intrigava
sempre più anche come persona. Per questo era fermamente decisa a non
lasciarsi
coinvolgere neppure per una breve relazione fisica. Era certa che
andare a
letto con lui sarebbe stato fantastico, ma proprio per questo troppo
pericoloso
per il suo cuore.
Oh, se
soltanto l'incarico con Mr. Andrews non fosse stato
annullato! Era certa che lavorare con "il
giovane scrittore del mistero" come si divertiva a definirlo,
le sarebbe
servito per dimenticare l'affascinante professore-modello.
Aveva
iniziato a fantasticare sull'aspetto dello scrittore
solo dopo aver saputo di doverlo assistere nelle sue ricerche e, guarda
caso,
solo dopo aver conosciuto Andrew; prima non ci aveva mai pensato. In
quel
momento, invece, se lo immaginava di aspetto tutto sommato piacevole,
ma niente
che attirasse troppo l'attenzione; un tipo nel complesso banale, per il
quale
agenti ed editori avevano dovuto utilizzare l'espediente di non farsi
mai ritrarre
proprio per alimentare eccentriche fantasie sul suo aspetto piuttosto
comune.
Del tutto
diverso dall'uomo che in quel preciso istante la
stava osservando con sguardo sornione e ben consapevole dell'effetto
che aveva
su di lei quello sguardo. Andrew non aveva affatto l'aspetto dello
studioso;
era difficile immaginarlo nei panni del professore universitario, se
non pensarlo
circondato da studentesse che pendevano dalle sue labbra e
quell'immagine non
le garbava affatto.
Era
assolutamente certa che lavorare con Alex Andrews
sarebbe stato molto meno pericoloso per il suo cuore che non lavorare
assieme
all'uomo che aveva di fronte e che la turbava oltre ogni dire. Ma ormai
quell'opportunità era sfumata e con essa l'occasione di conoscere il
noto
scrittore americano.
"D'accordo,
cominciamo" si risolse a dirgli
rassegnata.
Come se le
avesse letto nella mente, Andrew la provocò:
"Quanto
entusiasmo! È una fortuna che ti debba
limitare ad assistere un semplice professore universitario e non un
famoso
scrittore che, a quanto ho saputo, è assai esigente con i suoi
collaboratori".
Durante il
suo racconto gli aveva parlato anche del
mancato incontro con Mr. Andrews.
"Lo conosci?"
domandò, senza celare la sua
curiosità.
Divertito
dalla piega che stava prendendo il discorso, lui
annuì con un breve cenno del capo.
"E... com'è?".
"Te l'ho
detto: esigente".
"Non
intendevo in quel senso ".
"Capisco.
Beh... l'ho visto di sfuggita, in
università. A volte tiene delle lezioni... normale, direi".
"Ma... È
alto, o basso? Occhi chiari... o
scuri?".
"E chi lo ha
notato? Non sono mica una donna!"
"Oh, sei
esasperante! Possibile che tu non sappia
descriverlo?"
"Mi pare di
capire che il tuo interesse non sia soltanto
professionale!"
"Ma che dici?
È solo che sono curiosa. E’ da quando avrei dovuto
incontrarlo che ho
iniziato ad immaginare il suo aspetto. Volevo solo sapere se ci avevo
almeno un
po’ azzeccato".
"E come te lo
immagini?" domandò lui,
incuriosito.
"Mah... è
difficile da spiegare, non ho un'immagine
precisa, più un'idea d'immagine".
"Descrivimi
quell'idea".
"Alto... ma
non come te; e più magro..."
"Cioè io
sarei grasso, secondo te?" la
interruppe lui, divertito.
"Sì... no...
Oh, insomma, non intendevo dire che tu
sei grasso" si affrettò a scusarsi lei; poi, cogliendo nel suo sguardo
l'ombra di un sorriso, comprese che si stava divertendo a metterla in
imbarazzo.
"Meno...
sportivo...
sì, con un fisico meno atletico del tuo, ecco" si decise
infine a
dire.
"Ossia meno
prestante di me" puntualizzò lui.
"Vuoi che ti
dica che ti trovo bello? Credevo
d'avertelo già detto".
Lui tese le
mani in avanti, verso di lei, come a volersi
difendere e scosse il capo.
"Scusami,
continua”.
"Me lo
immagino un po’ eccentrico, con l'aria patita
e tormentata dello studioso, ma con un sorriso dolce, da ragazzino un
po’
timido, al punto da evitare di farsi ritrarre per non essere
riconosciuto".
"Insomma
l'esatto contrario del sottoscritto".
"Sì, direi di
sì. Tu non hai affatto l'aria patita e
tormentata. E non mi sembri neppure timido".
"Posso dirti
solo questo: mia madre, che mi
accompagnava..."
"Tu hai una
madre?" lo interruppe lei.
"Beh, sì. Che
cosa pensavi? Che fossi nato da un
uovo?"
Lei sorrise
alla battuta e, pensando a quanto fosse bello
e pieno di fascino, una specie di esemplare raro di maschio, rispose a
sua
volta scherzando:
"Non mi
sorprenderebbe!".
"Che tu ci
creda o no, mi risulta di essere stato
concepito in modo del tutto tradizionale" precisò lui, ammiccando.
"Mi fa
piacere saperlo. Comunque io intendevo: tua
madre è ancora viva?".
"Sì, e lo è
anche mio padre. E, come ti stavo
dicendo, a mia madre, che era con me in università, Alex Andrews piace
molto!" rispose sorridendo, affascinante come sempre, divertito dalla
voluta ambiguità della sua frase.
Di fronte a
quel sorriso, per calmare il battito del cuore
si costrinse a visualizzare l'immaginato sorriso dolce che aveva
attribuito a
mr. Andrews ma, come temeva, fu del tutto inutile.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Solo amici ***
Capitolo XX
Solo
amici
Finalmente si
erano messi al lavoro, dopo aver deciso come
procedere: Andrew avrebbe letto ad alta voce, mentre il compito di
Nicole
sarebbe stato quello di prendere appunti quando lo riteneva necessario
per la
sua ricerca ma, soprattutto, rispondere alle sue domande ogni volta che
gliene
rivolgeva. Presto capì che il lavoro sarebbe andato per le lunghe,
poiché
Andrew faceva domande in continuazione. Ad un certo punto arrivò
persino a
pensare che lui facesse apposta per trascorrere più tempo con a lei, ma
doveva
ammettere che ogni osservazione di Andrew era pertinente e ogni domanda
mostrava reale curiosità e interesse. Si scoprì, quindi, disponibile a
rispondergli sempre più coinvolta, senza rendersi conto che lui l'aveva
abilmente
attirata in un appassionante discorso sull'argomento di cui era
un'esperta: la
storia dell'Ottocento, e in particolare quella dei suoi antenati.
Quando
realizzò la cosa, erano ormai trascorse quattro ore
dal momento in cui avevano iniziato e dovette ammettere con se stessa
che il
tempo era volato in sua compagnia; a quel punto non rimpiangeva neppure
più il
mancato incontro con Alex Andrews. Dubitava, infatti, che avrebbe
potuto
lavorare altrettanto bene e con altrettanta passione con un'altra
persona: a
parte l'eccezionalità di svolgere un incarico di esperta per un noto
romanziere, per il resto scoprire il contenuto di quei diari assieme
all'affascinante professore americano stava rivelandosi un compito
molto
intrigante.
Andrew era
molto abile a leggere e avrebbe saputo
infondere passione anche alla lista della spesa; Nicole si era più
volte
incantata ad ascoltare la sua voce, dal timbro profondo e seducente,
che
variava tono a seconda dei passi del diario i quali, grazie alle doti
di
scrittore del suo antenato e a quelle di lettore di Andrew, sembravano
prendere
vita e riuscivano a trasportarla indietro nel tempo.
Come già
aveva potuto notare dai precedenti quaderni,
l'autore era solito intercalare scene di vita familiare e quotidiana ad
annotazioni e commenti sugli avvenimenti importanti dell'epoca. Dopo la
nascita
del primogenito, Andrew Alexander, nel febbraio 1859, quell'anno il
duca diede
ampia rilevanza ad alcuni fatti di importanza storica: la morte del re
Ferdinando Carlo Maria di Borbone, sovrano del Regno delle Due Sicilie,
avvenuta il 22 maggio e la sconfitta, il 24 giugno, dell'esercito
austriaco di
Francesco Giuseppe nella battaglia di Solferino durante la Seconda
Guerra
d'Indipendenza. Nell'agosto-settembre 1859 descrisse gli effetti di un
fenomeno
atmosferico di notevole entità, che causò l'interruzione delle
trasmissioni
telegrafiche.
"E’ probabile
che si riferisca alla tempesta solare"
disse Nicole, prevenendo quella che riteneva essere la prossima domanda
di
Andrew.
"Che ebbe
effetti ben diversi da quella temuta per la
fine del 2012. Io avevo solo sei anni ma rammento bene la
preoccupazione dei
miei genitori quando, tra le varie assurde teorie in merito alla tanto
pubblicizzata fine del mondo, era
stata ipotizzata anche quella più plausibile di una tempesta solare,
con
inevitabili ripercussioni sul moderno mondo del tutto dipendente
dall'elettricità; in particolar modo erano preoccupati per la sicurezza
americana, dopo gli attentati al World
Trade Center. Non immaginavo che nel 1859 un comune cittadino
europeo, uno
che non fosse un astronomo intendo, si fosse reso conto di un tale
fenomeno,
che procurò lievi disagi considerato lo scarso sviluppo tecnologico di
quei
tempi".
"Il mio
antenato era anche un appassionato studioso;
credo che si interessasse a moltissimi argomenti, e poi non dimenticare
che il
suo rango e le sue conoscenze gli permettevano l'accesso ad
informazioni poco
note al resto della popolazione".
Proseguendo
con la lettura, dovettero attendere poco per
avere conferma delle parole di Nicole; nel diario, in data 26 novembre,
era
descritto con estremo entusiasmo l'acquisto del testo, pubblicato
appena due
giorni prima, di un naturalista britannico, tale Charles Darwin,
intitolato L'origine della specie,
al prezzo di 15
scellini. Solo poco più di un mese prima, il 12 ottobre, era annotata
la morte
di Robert Louis Stevenson, ingegnere britannico inventore della
locomotiva a
vapore, a dimostrazione di quanto l'autore del diario fosse un uomo di
molteplici interessi e attento alla realtà del suo tempo.
"In
biblioteca, nella sezione dedicata alle prime
edizioni, troverai il libro di Darwin" disse Nicole.
"Lo so, ho
già visto la biblioteca. E’
fantastica!".
"Ho saputo
che tutte le 1250 copie della prima
edizione furono richieste dai librai lo stesso giorno e andarono subito
esaurite. La seconda edizione risale all'anno successivo, gennaio 1860,
se non
ricordo male".
"La copia che
possiedi avrà un valore inestimabile,
dunque".
"Sì. L'ho
fatta valutare, anche se non ho mai avuto
intenzione di venderla. È quasi un miracolo che nessuna delle due
guerre
mondiali abbia devastato questa proprietà, anche se con l'invasione
tedesca del
1940
ha
corso seri rischi. Per fortuna le battaglie principali del '40 e del
'44, pur
avvenute piuttosto vicino, non hanno interessato Cluny; inoltre la
proprietà è
stata risparmiata dalla razzia tedesca perché a quei tempi, abbandonata
da
anni, era circondata dal bosco, che l'aveva per certi versi nascosta".
"Non
venderesti mai questa proprietà, vero?"
domandò ad un tratto lui.
"Perché me lo
chiedi?".
"Così...".
"No, non ho
alcuna intenzione di venderla".
"Ma non abiti
qui. Perché?".
"Il mio
lavoro, a Parigi..."
"Potresti
viaggiare".
"Hai ragione,
ma mi piace abitare a Parigi".
"Parigi ha il
suo fascino. E non dubito che la tua
casa sia bellissima, ma se io possedessi un luogo simile, vorrei
viverci e me
ne allontanerei il meno possibile."
"Non voglio
abitare qui... " sussurrò lei, quasi
a se stessa.
"Perché?"
"Dovrei
credere all'amore, per vivere qui" si
lasciò sfuggire.
"E tu non
credi nell'amore?" domandò lui.
"Diciamo che
sono piuttosto scettica, a riguardo. Non
ho avuto grandi motivi per crederci... e forse, ora, non voglio più
neppure
provarci".
"Non sei
troppo giovane per non credere più
nell'amore? Inoltre ero convinto che fosse una prerogativa femminile
attribuire
grande importanza a questo sentimento".
"Nei libri, o
nei film, ma nella realtà... lasciamo
perdere".
"Devo
dedurre, quindi, che non credi neppure al
matrimonio" disse Andrew.
"Un'istituzione
ampiamente superata" aggiunse
lei, in risposta alla sua implicita domanda.
"Eppure
diversi studi di costume sociale ritengono
che, dopo anni di caduta nel dimenticatoio, la sacralità del matrimonio
stia
tornando in auge, in particolar modo tra i giovani".
"Gli studi
sono una cosa, la realtà un'altra. Sono
stata tradita dal ragazzo che credevo di amare e che speravo un giorno
di
sposare. Sono circondata da persone sposate o divorziate, giovani e
non, e
tutte quante sono infelici e deluse perché si sentono ingannate
dall'illusione
nella quale il matrimonio le aveva fatte sperare: la felicità".
"Non credi
che sia più un problema di persona giusta?"
"Forse. Non
so... Ma se anche fosse, come fare a
trovare e, soprattutto, riconoscere la persona giusta?" domandò lei.
"Questa è una
grande domanda. Se esistesse la
risposta magica, sai quanti manuali pubblicherebbero sull'argomento? Io
però
credo che vi siano persone, più di altre, destinate ad incontrarla".
"Ancora con
questa storia del Destino! Ci credi
davvero, allora!".
Lui sorrise,
enigmatico.
"Ero convinta
che fosse solo una tattica per
convincermi a restare" aggiunse lei, quasi parlando con se stessa.
"In effetti è
da un po’ che sto riflettendo
sull'argomento e sì, sono sempre più convinto che il Destino ponga
l'Uomo davanti
a diverse possibilità, alcune buone, giuste, alcune sbagliate" iniziò
lui;
poi, dopo un attimo di silenzio, proseguì: " sta ad ognuno di noi
sapere
cogliere quelle buone e, se possibile, evitare le sbagliate.
Determinate
circostanze occorre accettarle per quelle che sono: i propri genitori,
ad
esempio, o il momento storico in cui si nasce e si vive. Altre, invece,
dipendono un po’ da noi: nel corso della propria vita si incontrano
persone...
molte di esse resteranno come meteore che viaggiano nello spazio e che,
per un
breve momento, hanno incrociato la nostra stessa rotta; altre, invece,
potrebbero
diventare determinanti. Quanto determinanti, a volte, dipende da noi:
il
Destino ce le ha fatte incontrare, in un modo o nell'altro, ma a volte
siamo
noi stessi a determinare, in base a scelte giuste o sbagliate che si
fanno,
quanto tali persone saranno importanti nella nostra vita".
"Ti riferisci
all'amore?" chiese lei.
"Sì, ma non
solo, anche alle amicizie. Prendi ad
esempio noi due: da mesi non abbiamo fatto altro che incontrarci, e nei
momenti
e nelle situazioni più disparate..."
"Ero certa
che saresti tornato su questo punto"
disse lei, con una lieve punta di ironia nella voce. Eppure, da quando
lui le
aveva fatto prendere coscienza della cosa, anche lei ci aveva
riflettuto e non
poteva dargli torto. Tuttavia ammetterlo, in special modo con lui,
sarebbe
stato troppo pericoloso.
"Se
preferisci non ammetterlo, mi sta bene; ma non
puoi non aver riflettuto sulla faccenda. Ad ogni modo i nostri incontri
mi servivano
come esempio. Il Destino ci ha messi, più di una volta, sulla stessa
strada.
Fin qui niente, ancora, dipende da noi. Ma... perché continuiamo ad
incontrarci? Ecco: domandarcelo comincia ad essere quel qualcosa
che dipende da noi".
"Potremmo
anche non porci nessuna domanda"
intervenne Nicole.
"Certo. E
difatti all'inizio è una domanda che non mi
sono posto. Ho semplicemente accettato di aver incontrato sulla mia
strada una
splendida donna" disse Andrew, guardandola per un attimo negli occhi,
affrettandosi poi ad aggiungere: "tuttavia gli incontri sono continuati
e
le circostanze in cui sono avvenuti sono diventate a loro volta sempre
più
interessanti".
"E così hai
deciso di intervenire nel Progetto del Destino
con la tua proposta
di lavorare assieme".
"Le
possibilità erano due: lasciare di nuovo tutto al
Fato, oppure provare ad assecondarlo e stare a vedere cosa ne viene
fuori. Ho
preferito assecondarlo perché l'istinto mi dice che il nostro incontro
era come
scritto nel destino e ci deve essere un motivo o, meglio ancora, più
d'uno per
cui siamo destinati a stare insieme".
"A stare
insieme?" domandò lei, con una
sfumatura di panico nella voce.
Lui sorrise.
"Temi così
tanto questa eventualità?" le
domandò, provocandola. Quando Nicole non rispose, continuò: "Stare
insieme
può avere molteplici significati: anche la semplice amicizia, o il
lavorare
assieme, implicano il concetto di stare
insieme, non credi?"
"Quindi
vorresti che fossimo amici? Soltanto
quello?"
"Ti
sentiresti più tranquilla?" domandò a sua
volta, sempre sorridendo. Era evidente che la piega che aveva preso la
conversazione lo stava divertendo. "Ad ogni modo", continuò, "il
succo del mio ragionamento era questo: a prescindere da dove questo ci
condurrà, proponendoti di lavorare assieme ho voluto concedere al
Destino una chance e l'ho fatto
perché sono del
parere che provare a cogliere le opportunità che la Vita
ci offre è il miglior
modo che abbiamo noi uomini di costruire il nostro presente".
"Capisco. Ma
come fai a sapere se, in futuro, questa
opportunità che hai provato a cogliere si rivelerà una scelta giusta o
sbagliata?"
"E’ ovvio che
non lo so. Solo il tempo potrà dirlo.
Valutando le mie sensazioni l'unica cosa di cui sono certo è che se non
avessi
provato, avrei rimpianto per sempre di non averlo fatto. Vedi, Nicole, io sono
convinto che l'Uomo
teme il proprio futuro perché non sa costruire il proprio presente: in
genere
si limita a fare programmi per il futuro, molti dei quali sa già in
partenza
che difficilmente riuscirà a realizzare; non pensa al futuro come al
fatto che,
prima o poi, la sua vita finirà, ma come ad un qualcosa che desidera
dominare.
Invece ognuno di noi dovrebbe avere sempre ben in mente che nel nostro
futuro,
prima o poi, c'è la fine della nostra vita e questo dovrebbe essere un
pensiero
costante, un pensiero che ci dovrebbe spingere, in ogni singolo attimo,
a
costruire il presente con progetti di vita mirati a renderlo unico e
durevole,
un piccolo pezzo di eternità".
Dopo un breve
attimo di silenzio, lei disse:
"È un
bellissimo pensiero e tu sei molto abile con le
parole. Sai che ti dico? Saresti un magnifico scrittore, se soltanto ci
provassi!"
A quella
frase Andrew non riuscì a trattenere una risata.
"Cos'ho detto
di tanto divertente?".
"Nulla,
nulla... Allora, come la mettiamo?"
"Riguardo a
cosa?" domandò lei, sorpresa da quel
repentino cambio d'argomento.
"Al nostro
stare insieme. Colleghi di lavoro, amici
o... amanti?" la provocò lui.
"Direi che
amici può bastare" si affrettò a
rispondere Nicole.
"Sì, direi
che, per
il momento, amici può bastare" ribatté pronto Andrew.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Nei dintorni ***
Capitolo XXI
Nei
dintorni
Andrew
guidava rilassato, l'espressione concentrata.
Almeno era ciò che immaginava osservandolo, poiché voltava di rado il
capo
verso di lei e gli occhi erano coperti da un paio di occhiali a
specchio che lo
rendevano misterioso. I jeans neri aderenti e la camicia in lino bianca
con cui
si era presentato quella mattina lo rendevano, invece, più sexy del
solito. Lo
aveva già visto indossare quelle camicie di tessuto impalpabile, quasi
trasparente; a quanto sembrava lui le prediligeva a semplici t-shirt o
magliette di altro genere. Le indossava di solito con le maniche
arrotolate
fino al gomito, però non gliene aveva mai vista una a maniche corte.
Doveva
essere una sua piccola mania. Nicole si scoprì divertita nel constatare
come
quel particolare avesse suscitato tanto la sua attenzione. Per il
lavoro che
svolgeva era avvezza ad osservare certi dettagli dell'abbigliamento,
eppure non
aveva mai provato tanto interesse per ciò che indossava un uomo.
La
decapottabile, che Andrew aveva ritirato dal meccanico
il giorno prima, era perfetta per quella splendida giornata di sole e
l'abitacolo, avvolgente e confortevole, era studiato apposta per
proteggere
guidatore e passeggero dall'eccessiva aria dovuta alla guida sportiva
del
conducente; ciononostante il tessuto della camicia di Andrew, come del
resto il
foulard con cui si era avvolta la sua lunga chioma, sottostava a
qualche
sporadico capriccio del vento, sollevandosi e abbassandosi, così da
rendere più
intrigante lo scorcio di pelle maschile, che a tratti scopriva più di
quanto i
bottoni slacciati avrebbero concesso in condizioni normali.
Nicole si
rese conto di posare lo sguardo su quel torace
più spesso di quanto avrebbe voluto e questo non era affatto un bene.
Non
voleva sentirsi tanto attratta da lui, però era davvero difficile
ignorare la
sua sensualità: ogni giorno scopriva in Andrew un qualcosa che le
rendeva
sempre più difficile tenere a bada l'attrazione fisica, e non solo
quella, che
aveva provato per lui fin dal primo momento.
Aveva
scoperto che lavorare con lui era davvero
fantastico; probabilmente non sarebbe stato altrettanto entusiasmante
essere la
consulente storica del famoso scrittore: Alex Andrews, infatti, non
avrebbe
trascorso tanto tempo con lei e non l'avrebbe coinvolta tanto. Con più
probabilità
si sarebbe limitato a farle delle domande o a chiederle di preparare
una
relazione molto dettagliata che avrebbe letto tornato in America. Di
certo non
l'avrebbe coinvolta nel suo lavoro come invece stava facendo Andrew.
Benché
famoso per l'accuratezza nei particolari, qualità che denotava uno
studio
approfondito del contesto in cui si svolgevano i suoi romanzi, Mr.
Andrews non
avrebbe condiviso con lei idee e riflessioni come faceva il suo
misterioso
professore, di questo ne era pressoché certa,
perché scoprirsi tanto avrebbe significato svelare troppo
di sé e questo
avrebbe scalfito il mistero creato attorno alla sua immagine.
Andrew,
invece, non correva alcun rischio nello svelarsi a
qualcuno e a quanto sembrava non aveva difficoltà ad essere se stesso.
Proprio
quella mattina, all'alba, lo aveva scoperto di nuovo in piscina, questa
volta
coperto dal costume, uno slip azzurro che richiamava la sfumatura più
chiara
che a tratti assumevano i suoi occhi, specialmente in giornate luminose
come
quella.
Lo aveva
osservato dal terrazzino della sua camera da
letto per tutta l'ora e mezza in cui era stato in acqua mentre, assorta
nella
contemplazione, sbocconcellava nel più assoluto silenzio un croissant accompagnato da una tazza di
tè fumante; alla fine era giunta alla conclusione che la performance
acquatica alla quale aveva assistito quando lo aveva
sorpreso in costume adamitico era poca cosa rispetto al suo allenamento
quotidiano. Ed era sicura che Andrew nuotasse ogni mattina all'alba,
poiché non
era possibile che qualcuno percorresse tante vasche, con tanta potenza
e al
tempo stesso senza alcuno sforzo apparente, senza avere alle spalle un
allenamento costante.
Aveva anche
scoperto che il crawl era, per lui,
lo stile con
cui si riscaldava prima di affrontare la sessione di allenamento e
quello con
cui si rilassava dopo lo sforzo; lo stile che prediligeva, però, era il
delfino, a quanto ne sapeva lei il più difficile e faticoso... anche se
vedere
Andrew nuotare per circa un'ora, una vasca dietro l'altra, non dava
affatto
l'impressione di assistere ad uno sforzo ma piuttosto all'espressione
della
potenza umana nella sua forma più armoniosa ed elegante.
Ritrovarselo
mezz'ora dopo, vestito di tutto punto,
rilassato e gentile come sempre e per di più con quel suo sorriso che
le
toglieva il fiato, era come essere catapultati all'improvviso da un
mondo ad un
altro. Andrew era un complesso insieme di dolcezza e intelligenza,
forza e
vitalità, sensualità e mistero: com'era possibile resistere ad un uomo
simile?
Era così
persa nei suoi pensieri, incantata ad osservarlo,
che non si era neppure resa conto che lui aveva fermato e spento l'auto
e si
era voltato a guardarla a sua volta. Solo la sua mano che le sfiorava
con
delicatezza una guancia la riportò in sé.
"Credo che
siamo arrivati..." sussurrò lui,
quasi dispiaciuto di ricondurla alla realtà.
Lei si guardò
attorno e riconobbe l'esterno della basilica
cluniacense del Sacrè Coeur, a
Paray-le-Monial, meta della loro gita.
Scesero
dall'auto e s'incamminarono verso l'ingresso;
prima di entrare Andrew le prese la mano e la strinse nella propria;
benché
turbata dall'intimità di quel gesto innocente, Nicole lo lasciò fare.
Era
rassegnata al fatto che quel giorno avrebbe avuto grandi difficoltà a
fargli
mantenere le distanze, come invece si era sforzata di fare in ogni
momento da
quando lo aveva conosciuto e in particolare da quando avevano iniziato
a
leggere assieme i diari, per resistere alla sottile opera di seduzione
che lui
aveva intrapreso: lievi sfioramenti che avrebbero potuto benissimo
essere
casuali ma che la turbavano oltre ogni comprensione e una sfacciata
distribuzione dei suoi seducenti sorrisi, che la lasciavano ogni volta
senza
fiato.
Avrebbe
dovuto odiarlo, per come la faceva sentire, lei
che era ferma nella sua decisione di evitare qualsiasi coinvolgimento
emotivo
con un uomo; eppure era quasi certa che la sua opera di seduzione fosse
più
inconsapevole che voluta e, proprio per questo, ancora più intrigante.
Entrarono
nella cattedrale mano nella mano; la chiesa,
capolavoro dello stile romanico, era bellissima anche al suo interno,
solenne e
luminoso grazie alla tinta pastello di tonalità gialla. Andrew si
guardò
attorno, affascinato.
"Nel Medioevo
l'interno di questa cattedrale, per la
sua delicata eleganza, era anche conosciuto come la La Promenade des anges"
gli disse Nicole, felice che gli piacesse.
Quando lui
aveva proposto una gita per prendersi una pausa
dalle letture, era stata lei a scegliere la meta e aveva optato per la
basilica
di Paray-le-Monial per proseguire col racconto sulla famiglia dei suoi
antenati: era infatti nel vicino monastero della visitazione che aveva
vissuto
la sua vita da religiosa la prima figlia dei suoi antenati, Jane
Elizabeth.
"È davvero
molto bella..." commentò Andrew.
"Vieni,
proseguiamo" gli disse lei, guidandolo
attraverso l'elegante deambulatorio, verso la cappella gotica del
transetto e
poi a vedere il coro. Salirono anche alla cappella alta del narcete,
per
cogliere la visione d'insieme dall'alto, e nel frattempo Nicole gli
raccontava
della vocazione, fin da quando era bambina, di Lady Jane Elizabeth,
divenuta a
17 anni Suor Maria Elisabetta e vissuta nel convento fino alla sua
morte.
"È il motivo
per cui l'eredità dello Chateau di
Cluny è passata a me"
gli disse, mentre stavano uscendo dal Monastero della Visitazione, dopo
aver
visto la teca che contiene le spoglie mortali di Suor Margherita Maria
Alacoque, la giovane religiosa del Monastero a cui, dal 1673 al 1675,
apparve
Gesù.
"Cosa
intendi?" domandò Andrew, mentre
riprendevano l'auto per trovare un luogo tranquillo, magari un po’
fuori dal
centro, lungo le sponde del Bourbince, l'affluente dell'Arroux che
attraversa
la città, per gustare il pranzo al sacco che si erano portati dietro.
"Che sarebbe
spettata ai discendenti di Lady Jane Elizabeth,
se ne avesse avuti".
"Ma non
c'erano due figli maschi, cui spettava per
legge di ereditare?"
"Certo, ma il
Duca fu un precursore dei tempi anche
in materia di eredità: il Duca era di origine francese per parte di
padre, dal
quale aveva ereditato il titolo di Conte e le proprietà francesi;
tuttavia un
prozio per parte di madre, che non aveva avuto eredi, lo aveva
designato come
suo successore al titolo di Duca, pertanto si era trovato ad avere lui
stesso due
titoli nobiliari, per di più in due stati diversi".
"Accidenti...
come dire? Chi troppo, chi
niente!" osservò Andrew.
"È quello che
pensava lui stesso, per questo decise
che i due titoli non sarebbero andati ad un solo figlio, se ne avesse
avuti più
d'uno. Quindi, visto che al primogenito sarebbe spettato già il titolo
di Duca
e i possedimenti inglesi legati al titolo, ereditati dallo zio inglese,
decise
che al secondogenito, Nicholas Joseph, gemello di Jane Elizabeth,
sarebbe
spettato il titolo di Conte e l'eredità ad esso legata, ossia il
castello e le
proprietà francesi, ereditate dal padre".
"Invece?"
domandò Andrew, incuriosito dalla
faccenda.
"Per volontà
della Regina Vittoria, anche il titolo
di Lord Montagu, fratello della Duchessa, disperso durante la guerra di
Crimea
e dichiarato morto alcuni anni dopo, passò dapprima al Duca stesso e
poi ai
loro eredi, come riconoscimento per servizi svolti. Pare che i miei
antenati,
da soli e successivamente insieme, abbiano svolto ruoli diplomatici
alle corti
europee, per ordine della Regina Vittoria, e in qualche modo abbiano
avuto a che fare anche con la corte asburgica... il tutto comunque
resta un po’ un
mistero".
"Magari
proprio quel mistero celato nel diario
scomparso" ipotizzò Andrew, pensieroso.
"Forse. Ad
ogni modo il nuovo titolo e i relativi
possedimenti andavano ad aggiungersi ai due titoli ed eredità già
posseduti. A
quel punto il Duca prese la decisione che il titolo di Conte e i
possedimenti
francesi sarebbero stati ereditati sempre e solo per linea femminile,
facendo
così di Lady Alexandra Nicole, l'unica femmina che avrebbe potuto
ereditare -
Jane Elizabeth aveva già intrapreso la strada della vocazione religiosa- la prima Contessa del ramo
della famiglia che
avrebbe trasmesso titolo e possedimenti per diritto di nascita alle
figlie
femmine".
"E se non ne
avesse avute?"
"Finora il
problema pare non esservi mai stato; ad
ogni modo il Duca, lungimirante qual era, aveva previsto anche questo:
in caso
di soli figli maschi il titolo sarebbe passato al secondogenito, ma con
l'obbligo che tornasse alla linea femminile alla nascita della prima
bambina".
"Quindi tu
sei anche Contessa?"
"Dalla morte
di mia madre io posseggo esclusivamente
il titolo di Contessa... potrò essere chiamata Lady Sinclair, il mio
reale
cognome, perché sorella del Duca di Kesington, solo fino al mio
matrimonio,
poiché il titolo di duca è superiore a quello di conte; dopodiché
manterrò il
titolo di maggior grado rispetto all'eventuale titolo di mio marito...
se mai
ne avrò uno e se mai egli ne avrà uno. Una faccenda un po’ complicata"
disse sorridendo.
"Quindi, se
mai dovessi sposarmi, rimarresti solo con
il titolo di Contessa?" ammiccò lui, divertito.
"Se dovesse
accadere questa improbabile eventualità
sì, rimarrei col titolo che ho in questo momento" rispose lei, con lo
stesso tono scanzonato.
"Ma se non ti
sposi e non hai figlie femmine, il tuo
titolo e la tua eredità che fine faranno?" domandò di nuovo lui.
"Innanzi
tutto non sono costretta a sposarmi, per
avere una figlia. Nella linea di successione al titolo di Contessa è
previsto
solo il riconoscimento di un erede femmina; non specifica -forse di
proposito-
se legittima o illegittima".
"Wow, davvero
un precursore dei tempi, il tuo
antenato!"
"Già... e
comunque, se non dovessi avere figli, ci
sarebbe la figlia di mio fratello. Potrei designare lei come mia erede"
disse Nicole, con un tono che ad Andrew sembrò quasi triste.
"Non mi
sembra che la scelta di tua nipote ti piaccia
granché".
"No, infatti.
Però potrei sempre lasciar tutto ad un
ospizio per gatti!" concluse divertita, volendo porre fine ad un
argomento
che preferiva non affrontare.
Andrew intuì
il suo desiderio di cambiare discorso e
quindi l’assecondò; tuttavia non riuscì ad impedirsi di pensare:
"Oppure
trovarti un amante che ti regali, oltre a notti di passione, anche una
bella
bambina con i capelli neri e gli occhi del colore del cielo."
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Sogno o realtà? ***
Capitolo XXII
Sogno
o realtà?
Avevano
diviso il contenuto del cestino preparato da
Madeleine; quindi, soddisfatto dal cibo, Andrew si era steso sulla
coperta, le
braccia incrociate sotto la nuca, il viso rivolto al sole e l'aria più
rilassata del mondo. Dopo qualche minuto Nicole l'aveva imitato, ma
essere così
vicini la rendeva irrequieta; incapace di resistere alla tentazione si
era
voltata su un fianco, sollevando la testa e appoggiandosi sul braccio
ripiegato
sotto di sé. In quella posizione poteva osservargli il profilo e la
curva
sensuale delle labbra. Ad ogni minuto che passava il desiderio di
baciarlo si
faceva più intenso.
"Mi domando
quando ti deciderai".
Era così
assorta a contemplarlo che la sua voce, quasi un
sussurro, come se stesse parlando più con se stesso che con lei, la
sorprese.
Era convinta che si fosse appisolato, poiché era da quasi un quarto
d'ora che
aveva gli occhi chiusi.
"Cosa dovrei
decidermi a fare?"
"Quello che
desideri fare da almeno dieci minuti".
"E sarebbe?"
domandò con falsa indifferenza.
"Baciarmi"
disse lui, sempre ad occhi chiusi e
immobile nella stessa posizione.
"Baciarti?"
domandò sorpresa. Poi, però,
aggiunse, divertita dalla sua perspicacia, ma decisa a non ammetterlo:
"Cosa ti fa
credere che desideri baciarti?"
"Non hai
smesso di guardarmi le labbra... e di
tormentare le tue".
"Come fai a
dirlo? Stavi dormendo".
Vide la sua
bocca distendersi in un pigro sorriso, a
smentire la sua convinzione; poi, sempre col volto rivolto al sole e
gli occhi
chiusi, lui proseguì:
"È tutta
mattina che mi fissi le labbra e ogni volta
che lo fai, tocchi le tue: talvolta le sfiori con le dita, in alcuni
casi le
inumidisci con la lingua oppure le tormenti coi denti..."
"Non è
vero!", protestò lei, arrossendo nel
constatare come lui l'avesse osservata con attenzione.
"Oh sì che è
vero, lo hai fatto anche poco fa... a
volte lo fai anche quando lavoriamo. È di certo un movimento inconscio,
ma lo
fai, eccome", insistette lui divertito dal suo imbarazzo.
"Ok,
ammettiamo che sia vero. E questo ti fa
immaginare che voglia baciarti?"
"Mhmm..."
"Non hai
pensato neppure per un attimo... chessò?...
che fossi concentrata ad ammirare il tuo profilo, ad esempio? Sono una
fotografa, lo hai dimenticato? E ti ho già detto che hai un bel volto e
come fotografa
sono sempre propensa ad osservare il Bello".
"Mhmm...
sarà..." disse lui.
"Sembri poco
convinto".
"Infatti: se
ammiri soltanto, perché ti tocchi le
labbra?".
"È un gesto
inconscio, lo hai detto tu" cercò di
argomentare lei. Ma il silenzio scettico con cui Andrew rispose,
accompagnato
dal lieve incresparsi delle sue labbra che le procurò un fremito più
che
eloquente, la convinse ad ammettere, almeno come ipotesi, la verità.
"Bene,
poniamo il caso che, come sostieni tu, io
desideri baciarti: potrebbe essere un bel pensiero, un pensiero che mi
piace
coltivare come un sogno, senza alcuna reale intenzione di farlo
avverare".
"Se lo dici
tu... Ma perché mai dovresti fare un
simile pensiero e non desiderare che si avveri?"
"In genere i
sogni sono sempre meglio della
realtà" disse lei, quasi a se stessa.
"Non lo
saprai mai, se non provi”.
"Cosa?"
chiese Nicole. Si era distratta un
attimo dal loro assurdo discorso, persa dietro a ricordi dolorosi che
avrebbe
preferito dimenticare.
"Se non ti
deciderai a baciarmi, non saprai mai se è
meglio il tuo sogno o la realtà".
"Potrei non
volerlo mai sapere. Perché quindi
decidermi a farlo?"
"Perché se
non lo fai tu lo faccio io. Ma in questo
caso deciderò io quando smettere e fin dove arrivare" disse lui,
serafico,
sempre immobile nella sua posizione rilassata ad occhi chiusi.
Le sue parole
la colsero di sorpresa: lui desiderava
baciarla. Lo sapeva da tempo, ma sentirglielo ammettere era eccitante.
"Con questo
vorresti dire, invece, che se fossi io a
farlo..."
"... farei
scegliere a te quando smettere e
fin dove arrivare" concluse lui al suo
posto.
"Non voglio
arrivare da nessuna parte" disse
lei, decisa a stabilire solidi paletti.
"Chi può
dirlo? Un bacio apre sempre diverse
strade" replicò lui con un sorriso, sempre ad occhi chiusi.
"Non per me".
"Sembri molto
sicura di te stessa".
"Lo sono. Non
mi credi, vero?"
"Non hai che
da dimostrarmelo".
"Non devo
dimostrare proprio niente a nessuno,
soprattutto a te", disse seccata. Quel discorso cominciava ad
innervosirla, per di più fatto con un uomo che neppure si degnava di
aprire gli
occhi e guardarla in faccia.
"Ma potresti
mettermi a tacere..." disse lui,
allusivo.
"Questa sì
che è un'ottima argomentazione!"
Comprendendo
d'aver quasi vinto la battaglia, Andrew
sferrò il colpo finale:
"Se mi baci
tu e sei così sicura di te stessa, non
hai nulla da temere e in più mi faresti stare zit...".
Non poté
terminare, poiché lei si era sollevata sul gomito
e aveva posato le labbra sulle sue.
Il suo tocco
fu morbido, dolcissimo, ma fin troppo rapido.
Era evidente che lo stava baciando solo perché provocata.
Quando la
pressione della sua bocca terminò e lei si
scostò quel tanto che bastava per ripristinare le distanze, Andrew
mantenne gli
occhi chiusi e la posizione immobile che aveva mantenuto fino a quel
momento, e
domandò con aria di sfida:
"Tutto qui?
Ovvio che sei così sicura di te stessa! E
lo chiami bacio, questo? Non sai fare di meglio?"
Poiché
continuava restare ad occhi chiusi, a fingere
un'indifferenza che non provava, più che vedere Andrew percepì d'essere
riuscito nell'intento che si era prefisso con le sue parole quando la
sentì
muoversi su di sé: Nicole gli era salita sopra, imprigionandolo a
terra, con le
braccia tese ai lati della sua testa e il bacino che gli sfiorava
l'inguine,
eccitandolo all'inverosimile.
A quel punto
aprì gli occhi: intravide il suo seno
attraverso la scollatura dell'abito e la sua espressione determinata
nell'attimo stesso in cui lei si abbassava su di lui per baciarlo.
Chiuse di
nuovo gli occhi, in attesa del contatto con la sua bocca.
Nicole,
tuttavia, non lo baciò subito; gli sfiorò appena
le labbra con la lingua, facendogli desiderare ben più del bacio con
cui
l'aveva sfidata.
Bloccato
nella sua posizione, con le braccia ancora
incrociate sotto la nuca, Andrew dovette reprimere l'impulso di
stringerla a sé
e toccarla come avrebbe desiderato; fece un'unica cosa: socchiuse le
labbra,
concedendole il completo controllo della situazione.
Nicole ne
approfittò subito e gli invase la bocca,
baciandolo con passione e lui perse il senso del tempo e dello spazio.
Riuscì solo
a percepire l'eccitazione del proprio corpo, mentre lei si allungava
sopra di
lui, il seno morbido premuto contro il suo torace. Tuttavia, pochi
attimi dopo
essersi abbandonata alla passione, fece per ritrarsi, allentando la
pressione
sulle sue labbra.
"Continua...
Non smettere, non ancora..."
sussurrò lui, percependo il suo intento di porre fine a quel momento
magico.
Per una
frazione di secondo lei rimase immobile, indecisa
sul da farsi.
"Baciami
ancora... " implorò lui, mentre
sollevava la testa e le catturava di nuovo le labbra.
Nel sollevare
il capo aveva liberato le braccia, tenute fino
a quel momento sotto di sé; Nicole si sentì stringere con forza e al
tempo
stesso con infinita tenerezza, mentre le sue mani le accarezzavano i
capelli,
le braccia, la schiena, sfiorando le rotondità del seno... Si sentì
travolgere
dalla sua passione e fu colta dal panico: non stava andando come si era
prefissa poco prima; lui stava prendendo il sopravvento, sul suo corpo
e sulle
sue emozioni.
"Avevi
promesso..." mormorò, non appena lui
lasciò la sua bocca per permetterle di riprendere fiato.
"Cosa?"
chiese, mentre le baciava la pelle
delicata della gola.
"Che avrei
deciso io... quando smettere..." disse
lei, il respiro reso affannato dal desiderio
"e fin dove arrivare..."
"Non
ricordo..." sussurrò lui, sfiorandole il
lobo dell'orecchio.
"Bugiardo..."
"Vuoi
smettere?" chiese, dopo essersi sollevato
e aver invertito la loro posizione, facendola aderire con la schiena
alla
coperta e al terreno sottostante, per avere libero accesso al suo
corpo. Scostò
con la mano la scollatura dell'abito e iniziò a baciarle la pelle
appena
denudata.
"Sì..." disse
lei, ma non era sicura se stava
rispondendo alla domanda o lo incitava a proseguire.
"Chi è la
bugiarda, ora?" la canzonò lui,
guardandola negli occhi, mentre con una mano continuava ad
accarezzarla. Lei
ricambiò lo sguardo.
"Non voglio
fare sesso con te" gli disse, senza
convinzione.
"Neanch'io..."
replicò lui. Ma aggiunse:
"Con te voglio fare l'amore, Nicole".
La baciò,
ancora e ancora, un bacio profondo e intimo, a
conferma di ciò che aveva appena detto.
Lei si sentì
perduta e pronta capitolare, a permettergli
qualunque cosa lui avesse voluto, nonostante la paura di lasciarsi
coinvolgere
dai sentimenti. Immaginò di fare l'amore con lui proprio lì, su quel
prato.
Immaginò le sue mani che la spogliavano, che la toccavano, proprio come
stavano
facendo in quel momento, e molto di più. Immaginò le sue labbra ovunque
su di
sé, in un crescendo di passione che l'avrebbe portata ad aprirsi per
lui. E se
da un lato questa sua arrendevolezza la spaventava, dall'altro la
intrigava e
la spingeva a volere di più. Ricambiò i suoi baci con l'istinto di una
donna
pronta a fare l'amore; Andrew comprese l'attimo esatto in cui avrebbe
potuto
averla quando, sollevandole l'abito e accarezzandole una gamba, lei
allargò di
riflesso le cosce per farsi toccare.
Erano giorni
che aspettava un segnale simile; lunghe ed
intere giornate a desiderare che lei gli permettesse di avvicinarsi
fisicamente, ma soprattutto emotivamente. In quel momento aveva avuto
la
certezza di poter avere il suo corpo, ma non gli bastava.
Con fatica
interruppe il bacio e sollevò la testa:
"Voglio fare
l'amore con te... ma non qui, e non adesso... anche se la tentazione è
forte". Così dicendo si alzò e le porse la mano per aiutarla a
rimettersi
in piedi.
Turbata dal
repentino cambiamento, e da quel bacio che
l'aveva sconvolta sin nel profondo, lo osservò mentre iniziava a
ritirare i
resti del loro pic-nic. Come faceva ad avere quel ferreo autocontrollo?
Lei si
sentiva ancora le gambe molli e il respiro affannato. Ed era ancora
pronta a
rotolarsi nell'erba con lui.
"Allora? Era
meglio il tuo sogno o la realtà?".
Lo guardò,
convinta di scorgergli negli occhi l'ombra di
un sorriso malizioso e pronta a ribattere a tono, ma nel suo sguardo
colse solo
l'intensità del suo desiderio e una dolcezza infinita. Le fu
impossibile
mentire, come invece aveva pensato di fare.
"La realtà.
Assolutamente".
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Gelosia ***
Capitolo XXIII
Gelosia
"Non posso
credere ad una tale freddezza tra
loro" disse Nicole, con l'espressione delusa.
Andrew
sorrise: voleva fare la dura, quella che non
credeva all'amore, ma era evidente che quella scorza se l'era costruita
dopo la
delusione ricevuta. Ed era più scalfibile di quanto avesse temuto.
"A volte
capita, anche alle coppie migliori"
rispose con comprensione.
"Lo so ed è
un altro motivo per cui ho poca fiducia
nell'amore e credo ancora meno al matrimonio" rispose lei.
"Diciamo che
è ciò che ti costringi a pensare. "
obiettò lui, quasi parlando a se stesso.
Ma lei lo
aveva sentito.
"Cosa intendi
dire?"
"Che è
normale e comprensibile che la pensi così dopo
ciò che ti è accaduto".
"Ma non credi
che io la pensi davvero così,
giusto?"
"Esatto"
"E ti sbagli.
È vero, sono giunta a certe conclusioni
dopo la mia esperienza negativa; tuttavia ora credo davvero in ciò che
penso".
"Non ho
dubbi, a riguardo..."
"Ma? È
evidente che c'è un ma".
"Non saresti
tanto triste per due persone vissute nel
secolo scorso se non credessi, nel profondo del tuo cuore, ancora
all'amore, al
matrimonio, e non sperassi ancora".
Nicole non
rispose. Non poteva: in fondo, quell'uomo che
aveva incontrato da poco, l'aveva capita meglio di quanto lei stessa a
volte si
comprendeva. E aveva maledettamente ragione. Lei credeva nell'amore,
voleva
ancora crederci. Inoltre, da quando lo aveva conosciuto, sarebbe stata
disonesta nell'affermare il contrario, anche se si ostinava a farlo,
per
tentare di convincere lui, oltre che se stessa, e non abbandonarsi ai
sentimenti che aveva iniziato a provare per Andrew. Sentimenti che la
spaventavano troppo.
"Ci ho
azzeccato?" domandò lui, con un lieve
sorriso ironico, ma non beffardo, negli occhi.
Lei si ostinò
a non
rispondere.
"D'accordo,
non vuoi ammetterlo, te lo concedo. Ma il
tuo silenzio è più che eloquente".
"Riprendiamo?"
domandò lei, per sviare il
discorso. Tuttavia era stanca e soprattutto con le membra intorpidite:
erano
ore che leggevano il diario del suo antenato per poi arrivare a
scoprire che,
dopo la nascita dei due gemelli, il duca e la duchessa si erano
allontanati.
Una delusione. Si stava innamorando di quei due innamorati, della loro
storia
d'amore e scoprire ciò che avevano appena letto le aveva procurato un
grande dispiacere.
Avrebbe preferito non leggere più nulla, per timore di scoprire di
peggio.
"Sei troppo
stanca per continuare" disse Andrew.
Quindi si alzò, si mise alle sue spalle ed iniziò a massaggiargliele
con
movimenti lenti ma
energici.
"Cosa stai
facendo?" mormorò lei, sorpresa e
quasi impaurita da quel contatto.
"Rilassati..."
rispose lui, senza smettere di
toccarla.
Facile a
dirsi. Le era impossibile rilassarsi sotto il
tocco delle sue mani, un tocco che desiderava e al tempo stesso temeva.
Erano soliti
lavorare nello splendido studio del suo
antenato: aveva capito subito il fascino che quella stanza esercitava
su Andrew
e aveva acconsentito senza problemi quando lui aveva suggerito di
leggere in
quel luogo i diari restanti. Si sedevano affiancati all'antica
scrivania, con
l'ampia vetrata alle loro spalle, e leggevano per ore, lasciandosi
catturare
dai racconti del duca. Talvolta lei prendeva appunti, ma il più delle
volte
restava ad ascoltare la voce calda di Andrew che la trasportava in un
mondo al di
là del tempo e dello spazio.
"Chiudi gli
occhi e lasciati andare..." la tentò
di nuovo lui, con la sua voce suadente. Nel frattempo le sue mani non
smettevano di toccarla ed erano risalite a sfiorarle le tempie, per poi
immergersi nei suoi capelli, a massaggiarle con dolcezza la nuca. Era
meraviglioso.
Avrebbe
desiderato moltissimo lasciarsi andare e godere
del contatto con le sue mani, un contatto che le procurava ogni volta
dei
brividi di piacere, anche quando lui si limitava a sfiorarla senza
intenzione;
invece si costrinse a restare rigida e a resistere alla dolcezza di
quelle
sensazioni perché ricordava ancora la violenta ondata di gelosia
quando, quel
mattino, aveva sorpreso Andrew in piscina con Monique.
Come faceva
ormai da alcuni giorni, appena sveglia si era
affacciata alla finestra ad osservare le evoluzioni acquatiche di
Andrew,
mentre sorbiva la tazza di té che Madeleine le faceva trovare sempre
pronta al
suo risveglio; lo aveva osservato per una buona mezz'ora, prima di
decidersi a
raggiungerlo in acqua e stare a vedere quello che sarebbe accaduto. Dal
bacio
che si erano scambiati in quel prato non faceva altro che pensare alle
sue
labbra... forse era ora di lasciarsi andare un po’ e cominciare a
godersi i
veri piaceri della vita.
Si era
infilata un costume, aveva recuperato l'accappatoio
e poi aveva sceso di corsa le scale, felice come una bambina in
procinto di
immergersi in un nuovo gioco. L'euforia si era spenta non appena,
uscita in
giardino, si era trovata di fronte ad una scena che le aveva gelato il
sangue
nelle vene: Andrew era fuori dalla piscina, col suo fisico favoloso che
sgocciolava sulle piastrelle circostanti; accanto a lui, intenta a
strofinargli
un asciugamano tra i capelli, c'era Monique, l'amica antiquaria alla
quale
aveva affidato il restauro di tutti i mobili d'epoca dello Chateau.
L'atteggiamento
della donna era molto intimo e dava ad intendere che l'uomo che stava
toccando
era una sua proprietà. Andrew non sembrava infastidito, né imbarazzato;
quando
lei aveva smesso di asciugargli i capelli si era limitato a sorriderle
e a
tendere la mano per farsi dare il telo col quale si era avvolto il
corpo. Poi,
con la sua solita calma, l'aveva invitata ad accomodarsi ad una delle
poltrone
sotto all'ombrellone. Monique aveva obbedito docile, ma solo finché lui
non fu
seduto a quella di fronte; dopodiché si era alzata rapida e lo aveva
sorpreso
sedendogli in grembo. Solo a quel punto Nicole aveva notato l'aria
infastidita
di Andrew; ciononostante aveva permesso alla donna di restargli in
grembo e per
un attimo l'aveva lasciata fare quando lei aveva iniziato a baciargli
il collo
e a stringerglisi addosso in maniera voluttuosa.
Era evidente
che tra i due vi fosse stato (o vi fosse
ancora) un elevato grado d'intimità. Nicole si era detta che era più
che
possibile che i due si fossero conosciuti e quindi frequentati mentre
lei non
c'era; eppure dirselo non aveva attenuato la morsa di gelosia che aveva
provato. Era irrazionale, se ne rendeva conto, ma non poteva farci
nulla:
scoprire che Andrew e Monique erano stati amanti era un qualcosa che la
sconvolgeva oltre ogni dire. Riusciva ad immaginarsi la sua focosa
amica
godersi senza problemi con quell'uomo tutto ciò che lei stessa aveva
cominciato
a desiderare e questo fatto la faceva sentire insicura e sconfitta.
Un'altra
volta.
Aveva
lasciato i due a parlare sotto l'ombrellone: l'unica
cosa che l'aveva fatta stare un poco meglio era aver osservato che
Andrew, con
estrema nonchalanche, aveva
allontanato da sé Monique e le stava parlando tenendole una mano,
mentre sul
volto della donna era apparsa un'espressione tutt'altro che soddisfatta.
Era rientrata
in casa e per tutta la mattina non si era
fatta vedere. A pranzo si era fatta servire un vassoio in camera e solo
a metà
pomeriggio, dopo che Madeleine le aveva fatto sapere che monsieur
le professeur l'aveva cercata, alla fine lo aveva
raggiunto nello studio.
Andrew
l'aveva scrutata con insistenza dopo che Pierre
l'aveva seguita al suo ingresso per consegnarle una busta che la moglie
si era
scordata di portarle col vassoio del pranzo.
"L'ha
lasciata questa mattina madamoiselle
Lacroix. Era venuta apposta".
“Ah, sì?”
aveva domandato
lei, sarcastica. Poi, dopo aver dato un’occhiata alla
missiva, aveva
aggiunto:
"Pierre,
chiama l'ufficio del sindaco e avverti che
farò avere la mia risposta entro domani sera".
"Pensate di
partecipare, quest'anno? Potreste farvi
accompagnare..." aveva detto l'uomo, rivolgendo uno sguardo verso
Andrew.
"Non credo
sia il caso" aveva risposto lei,
infastidita alla sola idea che i suoi domestici stessero fantasticando
su un
rapporto tra lei e il bel professore. E poi alla festa ci sarebbe stata
anche madamoiselle Lacroix la quale
di certo non
aveva perso tempo e, proprio quella mattina, con ogni probabilità aveva
invitato
il suo amante americano. Sentirsi rifiutare perché impegnato ad
accompagnare
Monique non era un qualcosa che avrebbe voluto sentire dalla sua voce.
E
neppure aveva voglia di vederlo per tutta sera avvinghiato a lei o,
peggio
ancora, vederlo sparire con lei.
"Di cosa si
tratta?" aveva domandato Andrew
quando erano rimasti soli.
"Monique non
te lo ha detto, questa mattina?"
aveva ribattuto acida lei, eludendo la domanda e immergendosi nella
lettura,
costringendolo a fare altrettanto. Sperava di trarre conforto dai
diari, invece
aveva scoperto che anche i suoi antenati avevano sofferto per amore e
venirlo a
sapere l'aveva resa ancora più depressa.
"Allora, hai
intenzione di dirmi dove, secondo
Pierre, dovrei accompagnarti?" domandò all'improvviso Andrew, mentre le
massaggiava le spalle.
Lei si
irrigidì, se possibile ancora di più.
"Rilassati..."
le ordinò lui all'orecchio.
Brividi.
Erano brividi quelli che percepiva sulla pelle
ogni volta che lui la sfiorava: come poteva rilassarsi?
"Mi hai visto
con Monique, questa mattina,
vero?".
Lei non
rispose, ma lui percepì la risposta dalla tensione
alle spalle. Sorrise, perché quella notizia era per lui un ottimo
segno.
"Mi ha
chiesto di accompagnarla alla Festa d'Estate
quando ha scoperto che non ero ancora partito come invece le avevo
fatto intendere
l'ultima volta che ci eravamo visti, prima che partisse per un impegno
di
lavoro".
"Sei stato a
letto con lei, vero?" si decise a
domandargli. Si rese conto di non essere stata capace di trattenere un
tono
rassegnato e al tempo stesso deluso.
"Sì", rispose
lui, cogliendo subito la sfumatura
triste nella sua voce. Sempre standole alle spalle, con una mano le
accarezzò con
tenerezza un guancia.
Lei si scostò
infastidita: la pietà era l'ultima cosa che
desiderava da lui. Ma Andrew non aveva alcuna intenzione di perdere
quel
prezioso contatto fisico, guadagnato a fatica. Le strinse con fermezza
le
spalle, abbassandosi a sussurrarle all'orecchio:
"È stato solo
sesso, con Monique, e per me
l'entusiasmo è scemato rapidamente, nonostante sia stato bello".
Nicole si
rese conto che lui non le doveva alcuna
spiegazione, ciononostante gliela stava fornendo in maniera molto
sincera. La
tensione si allentò.
"Come mai?"
domandò esitante lei. La sua
risposta l'avrebbe messa in crisi in ogni caso e non era sicura di
volerlo
sapere. Al tempo stesso, tuttavia, non avrebbe potuto resistere senza
conoscerla.
Lui esitò un
attimo, prima di rispondere, ma quando si
decise le sue parole le tolsero il fiato:
"Mi sono
accorto che, mentre ero a letto con lei,
desideravo te".
Lo aveva
detto anche a Monique proprio quella mattina, per
farle capire che non voleva accompagnarla alla festa. Monique sembrava
averla
presa sportivamente, almeno era ciò che aveva voluto fargli credere e
lui
l'aveva assecondata, perché non desiderava umiliarla né farla soffrire
più di
quanto non avesse già fatto.
Nicole non
disse nulla; allora lui la fece voltare in modo
da poterla guardare negli occhi. Si piegò sulle ginocchia, per esserle
più
vicino e le accarezzò di nuovo la guancia; lei assecondò il suo gesto,
piegando
il capo verso la sua mano e regalandogli la speranza di poterla un
giorno
amare.
"Permettimi
di accompagnarti alla festa. Di cosa si
tratta?".
"È una festa
in abiti ottocenteschi; riportata in
auge anni fa per i turisti, si svolge come l'aveva voluta il Duca per
celebrare
l'inizio dell'estate, quando era solito giungere dall'Inghilterra per i
mesi
estivi con tutta la famiglia: cibo e danze a volontà, per la gioia di
grandi e
piccini".
"Più conosco
il tuo antenato, più mi piace" le
disse con un sorriso, immaginandosi di stringerla tra le braccia e di
farla
volteggiare in un ampio abito da ballo in seta frusciante... sarebbe
stata
splendida, coi capelli acconciati come usavano le dame nel XIX secolo.
Le sue
fantasie furono interrotte dalla voce triste di
Nicole che gli diceva:
"Continua a
piacerti anche dopo ciò che abbiamo
appena letto?"
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** La fine di un idillio ***
Capitolo XXIV
La
fine di un idillio
La
duchessa di Lyndham sollevò un sopracciglio
con evidente noia:
"Davvero,
lord Hunghuston?"
"Suvvia,
Lady Montagu, siete consapevole
che questo abito vi sta benissimo e che vi rende, come sempre, la dama
più bella
presente al ballo".
"Lady
Thornton, milord. Sono sposata da
cinque anni, ormai dovreste saperlo" puntualizzò lei.
"Ahimè,
faccio il possibile per
dimenticarmene..." replicò lui, con aria addolorata.
Lady
Sarah si disse che non era il solo.
Osservò al lato opposto della sala il marito, come sempre attorniato da
nobildonne pronte a cadere ai suoi piedi, e si chiese con quale si
sarebbe
appartato quella sera.
"E
comunque non sembra che Lord Thornton
se ne ricordi" aggiunse l'uomo ironico, seguendo la direzione del suo
sguardo e dei suoi stessi pensieri.
Infastidita
dall'osservazione di Lord
Hunghuston, Lady Sarah si allontanò dal gruppetto di cicisbei che
puntualmente,
ad ogni evento mondano, l'attorniavano come uno sciame di api di fronte
ad uno
splendido fiore. Nonostante fosse madre di tre figli riusciva sempre ad
essere
la donna più affascinante di qualunque ricevimento.
Stava
per raggiungere il marito quando lo vide
porgere il braccio alla vedova di lord Cavendish, la quale non perse
tempo e
gli si strusciò contro come una gatta in calore. André sorrise alla
donna e lei
sentì il cuore andare in mille pezzi.
Si
fermò, imbarazzata, senza più sapere dove
andare. Fu soccorsa dal conte di Linley, che la invitò a danzare.
Mentre
volteggiava tra le braccia di Thomas
Clyde, non poté evitare di osservare Eleanor Cavendish fare altrettanto
tra le
braccia di suo marito: sorrideva felice e civettava con lui come se non
avesse
mai portato il lutto fino a poche settimane prima. Lo sguardo di André
era
galante ma impassibile, tuttavia questo non significava nulla, perché
lei
sapeva quanto fosse bravo a recitare.
"Quella
donna non è nessuno per Nicholas,
lo sapete" disse il suo cavaliere notando la direzione del suo sguardo.
"Siete
gentile, Tommy, come sempre"
rispose lei, trattenendo a stento le lacrime.
Thomas
Clyde, ottavo conte di Linley, era
l'amico di André che anni prima gli aveva portato la notizia della
condanna di
Hewitt proprio il giorno delle loro nozze.
Alto
e con un fisico prestante quasi quanto
quello del Duca, quando i due erano assieme sembravano essere i due
lati
opposti della medesima medaglia: entrambi con un volto dai bei
lineamenti
maschi, tanto André era scuro di capelli e con gli occhi chiari,
altrettanto
Thomas era biondo e con gli occhi nocciola e questo era, con ogni
probabilità,
il motivo per cui, in un ambiente dove gli uomini in genere erano di
carnagione
e colori chiari, fosse il Duca a spiccare per avvenenza.
L'altro
tratto che li distingueva era il
carattere: intenso e aperto quello di André, introverso e all'apparenza
banale
quello di Thomas; ciononostante Sarah era convinta che il Conte fosse
molto
meno superficiale di quanto la maschera annoiata che spesso indossava
inducesse
a credere, altrimenti non si spiegava come potesse essere l'amico più
intimo di
André.
Da
anni era diventato anche amico suo e da
tempo, ormai, svolgeva il ruolo di ancora di salvezza ogni volta che,
in
pubblico ma non solo, stava per cedere a causa del comportamento del
marito.
"Siete
bellissima, come sempre" la
blandì lui, per distrarla.
André,
quando ancora tra
loro esisteva la speciale complicità di
innamorati che molte nobildonne le invidiavano, le aveva detto
sorridendo che
era convinto che l'amico, come ogni altro uomo che la conosceva, era
invaghito
di lei. E a vedere come in quell’ultimo periodo Tommy fosse protettivo
nei suoi
confronti, molti avrebbero potuto dargli ragione. Lei, invece, era
certa che
Thomas Clyde provasse solo pietà e cercasse di supplire alle mancanze
dell'amico. Era sempre molto leale nei confronti di Nick,
come lo chiamava fin dai tempi di Oxford.
"Questo
abito è splendido su di voi…"
continuò il conte, per farla sentire meglio. Quando lei sorrise mesta,
aggiunse: "Proprio come Nick aveva detto quando l'ha scelto per
donarvelo".
"Non
l'ha scelto di persona. Ormai sono
mesi e mesi che è la sua segretaria ad acquistare i regali che mi invia
per
tacitare la sua coscienza" replicò lei, addolorata.
"Ero
con lui, quando lo ha comprato.
Quello, come per moltissimi altri doni che vi ha inviato. Pare essere
ormai una
consuetudine che io sia presente quando fa i suoi acquisti per voi".
"Eppure
il biglietto che lo accompagnava
era sempre scritto da miss Stanford" disse lei, perplessa di fronte a
quella scoperta.
"Lo
so..." sospirò Thomas
nell'ammetterlo, "gli ho anche domandato il motivo di questa decisione,
ma
lui non ha risposto".
"Perché
mi state dicendo tutto questo,
Tommy?"
"Forse
perché vorrei che capiste che
l'attuale comportamento di Nick deve nascondere qualcosa...".
"Attuale?"
lo fermò irritata lei.
"Sono mesi e mesi che mio marito mi ignora in privato e che in pubblico
addirittura mi offende, corteggiando altre donne".
"A
me sembra, più che altro, che sia lui a
lasciarsi corteggiare" disse lord Clyde, tentando di difendere l'amico.
"La
sostanza non cambia, e comunque io
conoscevo e mi sono innamorata di un uomo ben diverso. Un uomo
appassionato,
che per tre anni e mezzo è stato anche un marito premuroso e che mi
amava. Ora
è un estraneo cortese, più interessato alle altre donne che a sua
moglie".
"Nicholas
vi ama ancora, ne sono
certo" disse convinto lord Clyde.
"Voi
dite? Io invece sono convinta che, se
non fosse per i bambini, si sarebbe da tempo trasferito nella residenza
di suo
zio ad Hyde Park, dove so che a volte trascorre la notte... di certo
con le
donne con le quali se ne va dai ricevimenti".
"Vi
sbagliate, Sarah. Nicholas vi ama
ancora" ribadì lui, mentre la musica terminava.
"Non
credo proprio..." disse lei,
facendogli un cenno verso il marito che, proprio in quel momento, stava
abbandonando
la pista da ballo con Eleanor Cavendish al braccio e dirigendosi verso
l'uscita.
"Non
è neppure passato dai padroni di
casa", sospirò lei amareggiata "così mi toccherà l'ennesima figura
della moglie abbandonata quando li andrò a salutare".
"Sarà
sufficiente che diciate che Nicholas
è andato avanti a prendere la carrozza per voi".
"E
siete convinto che qualcuno ancora
creda a questa storiella?" domandò lei, senza attendere risposta e
dirigendosi rassegnata a porgere i saluti del Duca e della Duhessa di
Lyndham
ai suoi ospiti.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 25 *** Un nuovo legame ***
Capitolo XXV
Un
nuovo legame
"Accompagnatemi
a casa, Nicholas"
disse Eleanor Cavendish, con fare languido. Un invito più che esplicito.
"Certo,
Lady Cavendish" rispose il
Duca di Lyndham, con il suo solito modo garbato e compito che lo
caratterizzava,
aprendole lo sportello della carrozza e salendo accanto a lei. Avrebbe
chiamato
una vettura pubblica per tornare in Hyde Park.
"Eleanor"
lo corresse la donna,
"chiamatemi Eleanor. Almeno quando siamo in privato" aggiunse
maliziosa.
"Eleanor"
ripeté lui, per poi
sprofondare in un silenzio annoiato, interrotto solo da qualche rapido
cenno
d'assenso finalizzato a far credere alla donna d'essere interessato ai
suoi
discorsi. Invece era dai successivi due minuti dopo che gli si era
appiccicata
addosso al ricevimento che non reggeva più le sue chiacchiere. Le aveva
dato
corda solo perché aveva scorto lo sguardo di sua moglie e quindi la
vedova di
Lord Cavendish era diventata all'improvviso la sua avventura
galante di quella notte. Avrebbe potuto attendere che qualche
altra nobildonna, persino sposata, gli si facesse avanti, ma la giovane
vedova
gli era parsa la persona giusta per quella sera.
Dopo
circa una mezz'ora la carrozza si fermò
davanti alla residenza di Cavendish e il Duca tirò un inconscio sospiro
di sollievo:
ancora i minuti necessari (pochi, si augurava) per riuscire a
congedarsi con
garbo dalla dama e poi sarebbe potuto tornare a casa a riposare.
Accompagnò
Lady Eleanor all'ingresso, le prese
la mano e gliela baciò, insistendo un secondo più del dovuto con le
labbra sul
dorso. Lei gemette, fingendosi turbata. Allora lui le accarezzò una
guancia con
le nocche della mano e lei parve quasi svenire al suo tocco. Sorrise
dentro di
sé, sentendosi al tempo stesso un gentiluomo e un mascalzone: stava
diventando
davvero bravo a sedurre per finta una donna e senza farsi malvolere!
"Buonanotte,
milady" disse per
congedarsi. Era tuttavia preparato alle sue rimostranze.
"Ma
come? Ve ne andate di già? Credevo
voleste entrare...".
"Vi
dissi che vi avrei accompagnata a
casa, ed è ciò che ho fatto, Eleanor".
"Sì,
ma... non vi andrebbe di entrare? Per
un ultimo bicchiere della staffa".
"E
poi?" domandò lui.
"Potreste
fermarvi per la notte" lo
invitò, con un timido sussurro.
"Milady,
sono un uomo sposato e non tradisco
mia moglie" puntualizzò, togliendole ogni illusione.
"Ma...
In società si mormora
diversamente" disse lei, oltremodo imbarazzata.
"Non
posso controllare le voci che
circolano, ma questo è quanto. Non ho mai tradito mia moglie e non
intendo
iniziare questa notte, neppure con voi".
Lady
Eleanor colse l'abile sottinteso con cui
le aveva appena fatto credere che resistere alla tentazione che lei gli
offriva
gli era difficile, perché sospirò con sguardo languido e dispiaciuto,
come se
la decisione dell'uomo lo rendesse ancora più nobile e desiderabile ai
suoi
occhi, anziché il bastardo senza scrupoli che lui si sentiva ogni volta
che
ripeteva una scena simile. Tuttavia lei non era così malleabile come
aveva
sperato.
"Eppure
per tutta la serata non avete
disdegnato le mie attenzioni e avete ignorato vostra moglie, la quale
peraltro
sembrava essere in ottima compagnia" aggiunse con una nota cattiva
nella
voce.
"Eleanor...
la meschinità non vi si addice"
la rimproverò lui, e lei ebbe il buongusto di arrossire.
In
fondo poteva capirla: una donna respinta non
è mai priva di un briciolo di cattiveria. Era forse proprio quello il
motivo
per cui tutte le donne che aveva per breve tempo illuso e poi respinto,
non
facevano altro che fare il suo gioco: pur di non far sapere in giro
d'esser
state rifiutate al momento del dunque, alimentavano le chiacchiere su
di lui,
arrivando persino a lodare in pubblico le sue doti amatorie, che non
avevano (né
avrebbero) mai sperimentato.
"Ciò
che accade tra me e mia moglie non
deve riguardare voi, né nessun altro" puntualizzò lui
Lady
Eleanor abbassò lo sguardo, intuendo che
sarebbe stato inutile insistere: per qualche motivo che non avrebbe mai
saputo,
l'affascinante Duca di Lyndham preferiva lasciar credere a tutti di
essere un
impenitente donnaiolo infedele alla moglie, quando invece lei era ormai
certa
che egli amasse molto la sua splendida consorte, anche se sembrava
deciso a
fare in modo che lei stessa non lo sapesse.
"Avete
ragione, Lord Thornton" ammise
sottomessa. Tuttavia non poté fare a meno di aggiungere:
"Non
avrei dovuto propormi a voi con tanta
sfacciataggine, ma la solitudine mi spaventa. Inoltre mi è sembrato
quasi un
sogno che si avverava che voi mi accordaste le vostre attenzioni e così
mi sono
spinta oltre le convenzioni, pur sapendo di non poter suscitare in un
uomo come
voi un interesse che potesse andare oltre la mera galanteria. Avrei
dovuto
capire che siete innamorato della vostra bellissima moglie, anche se mi
risulta
incomprensibile come mai abbiate deciso di renderla tanto infelice. Ma
questi,
come dite giustamente voi, non sono affari che mi riguardano, pertanto
vi ringrazio
d'avermi accompagnata" e gli porse di nuovo la mano, questa volta col
chiaro intento di congedarsi.
A
quelle parole il Duca si sentì più mascalzone
di quanto già non si sentisse: le altre donne avevano fatto qualche
rimostranza, ma nessuna di loro aveva intuito ciò che celava il suo
comportamento.
Lady
Eleanor, invece, che egli solo pochi
minuti prima aveva considerato noiosa, aveva colto al volo la
situazione e
gliel'aveva sbattuta in faccia con poche ed eleganti parole. Era
probabile che
i suoi discorsi, che aveva trovato così poco interessanti, fossero più
arguti e
intelligenti di quelli di altre nobildonne, se solo si fosse preso il
disturbo
di ascoltarli.
"Eleanor"
disse fermandola, mentre
già stava per voltarsi verso il portone d'ingresso "non dovete
biasimarvi.
Chi è da biasimare, questa sera, è il sottoscritto. E non vi permetto
di
pensare di essere una donna priva di fascino: siete molto bella e molto
intelligente, e presto, molto presto, troverete un uomo che vi presterà
tutta
l'attenzione che meritate, ne sono certo".
"Siete
molto gentile, Nicholas" lo
ringraziò lei, con un dolce sorriso negli occhi e posandogli la mano
sul
braccio, in un gesto innocente di evidente empatia. Egli sentì che, nel
breve
lasso di tempo di quella conversazione, tra loro si era creato un
legame che
avrebbe potuto quasi definire amicizia.
"Siete
voi ad essere cara per aver
perdonato con tanta rapidità il mio comportamento, che vi ha illusa"
disse
lui, provando un imbarazzo e una vergogna che fino ad allora non aveva
mai
sperimentato.
"Sono
abbastanza intelligente da rendermi
conto che è inutile cercare di suscitare amore in qualcuno che ha il
cuore
impegnato con un'altra donna. Non mi spiego solo il motivo del vostro
comportamento, se siete ancora innamorato di vostra moglie. Ma avrete
le vostre
buone ragioni...".
"Avete
intuito di me molto più di chiunque"
ammise lui.
"Forse
perché, oltre ad interessarmi come
uomo, mi piacete anche come persona e sarei felice di potervi
considerare
almeno mio amico" disse schietta lei.
Il
Duca osservò quella bella e giovane donna
sotto una nuova luce e si disse che mai avrebbe immaginato che quella
serata
potesse concludersi con la simpatia di una donna che all’inizio aveva
usato per
i propri fini.
"Lady
Eleanor, so di non meritarlo, ma
sarei davvero onorato di avere la vostra amicizia".
"Bene,
Lord Nicholas, allora sappiate che
se un giorno desidererete richiedere un mio consiglio, un aiuto, oppure
vorrete
parlare di qualcosa che vi sta a cuore per avere un punto di vista
femminile,
saprete dove trovarmi".
"Vi
ringrazio molto, lo terrò
presente" rispose lui, di nuovo piacevolmente sorpreso per la
delicatezza
con cui lo stava congedando e al tempo stesso suggerendogli di poterla
usare
come confidente, senza tuttavia imporsi in maniera eccessiva.
Dopo
mesi e mesi di solitudine interiore,
quella sera Nicholas Thornton ebbe la sensazione che la sua vita fosse
giunta ad
una svolta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 26 *** Riflessioni ***
Capitolo XXVI
Riflessioni
Thomas
Clyde sollevò di nuovo la tendina al
rumore degli zoccoli e guardò per la quinta volta attraverso il
finestrino
chiuso della sua carrozza. Per evitare di essere riconosciuto aveva
detto al
suo cocchiere di mettersi in una posizione un po’ discosta dalla
residenza di
Hyde Park e Stuart gli aveva chiesto se fosse andato bene dove aveva
fermato la
vettura la sera precedente.
Quando
gli aveva risposto che sì, lì sarebbe
stato perfetto, Stuart non aveva domandato altro, ma egli aveva colto
uno
sguardo perplesso sul volto del suo cocchiere: di certo si stava
chiedendo come
mai, da alcune settimane, si appostava presso la residenza londinese
dell'amico, senza raggiungerlo quando egli arrivava, anzi stando ben
attento a
non farsi scorgere dal Duca.
Aveva
iniziato a sorvegliare Nick da quando lo
aveva sorpreso a scegliere di persona i regali che miss Stanford
inviava a
Sarah: nonostante a lei avesse dato da intendere, proprio quella sera,
che il
marito lo voleva accanto a sé nei suoi acquisti, la verità era
un'altra, ma
egli aveva ormai deciso, dopo settimane di attenta osservazione del
comportamento di Nick, che i suoi amici avevano bisogno di una mano per
tornare
ad essere la coppia di un tempo. E così aveva mentito, ma si sentiva
bugiardo
fino ad un certo punto. Del resto erano mesi che osservava l'amico fare
acquisti, che all'inizio aveva pensato essere destinati alle donne con
le quali
spariva dai ricevimenti; soltanto per caso aveva scoperto che ognuno di
quei
regali era destinato alla moglie: era stata Sarah a farglielo notare
mentre,
furibonda per aver ricevuto l'ennesimo regalo dal consorte inviatole
tramite la
sua segretaria, aveva tirato fuori ad uno ad uno i doni ed egli aveva
riconosciuto tra di essi almeno quattro degli acquisti che aveva
immaginato
destinati ad altre donne.
A
quel punto aveva iniziato a riflettere sul
motivo che spingeva l'amico a comportarsi a quel modo e a chiedersi se
scegliesse di persona ogni dono per la moglie. Così aveva domandato con
noncuranza a miss Stanford, la quale aveva confermato la sua intuizione
e, tra
una chiacchiera e l'altra, gli aveva sciorinato l'elenco dei negozi che
Sua
Grazia visitava almeno una volta al mese. Aveva fatto alcune domande
discrete,
lasciato un po’ di mance qua e là ed aveva saputo tutto quanto:
Nicholas non
aveva mai acquistato doni per altre donne, ma soltanto per sua moglie,
che
tuttavia non recapitava di persona, ma tramite miss Stanford, la quale
doveva
anche aggiungere un freddo e formale biglietto a suo nome.
Fatta
questa scoperta decise di togliersi un
altro dubbio: per quasi quattro anni aveva visto con i propri occhi
l'amore e
la passione che legavano Nick a sua moglie. Con i propri occhi avrebbe
visto le
prove dell'effettivo comportamento da libertino del Duca di Lyndham:
non si
sarebbe limitato a credere alle voci che circolavano, senza verificarlo
di
persona. Così aveva iniziato con gli appostamenti serali presso la
residenza di
Hyde Park ogni volta che lo vedeva sparire dai ricevimenti accompagnato
da una
donna che non fosse la moglie. E a riprova della sua intuizione,
Nicholas
tornava a casa sempre in un tempo troppo breve perché si potesse
pensare ad un
qualcosa in più di una semplice galanteria nell'accompagnare la dama in
questione. Il tempo in cui stava via difficilmente gli avrebbe permesso
degli
incontri appassionati, se si teneva conto anche dei tragitti in
carrozza.
Perché
il suo amico si comportasse così da
circa un anno questo il Conte di Linley proprio non se lo riusciva a
spiegare.
Così come non riusciva a spiegarsi come fossero circolate voci sulle
doti
amatorie di Nicholas, esplicita conferma per chi mormorava sulle sue
continue
fughe dai ricevimenti in dolce e adultera compagnia, nonostante egli
con ogni
probabilità non ne avesse impalmata neppure una.
Mentre
attendeva che una vettura con l'amico
giungesse dalla residenza del defunto lord Cavendish, Thomas cercò di
mettere
insieme i pezzi di un puzzle e, man
mano che lo componeva, cominciava a sembrargli sempre più chiaro: il
comportamento di Nicholas era cambiato dopo la nascita dei gemelli.
Sarah aveva
sofferto moltissimo in quell'occasione, a differenza di quanto era
successo col
primogenito: durante il parto aveva rischiato la vita e solo la
lungimiranza
del marito, che aveva preteso che fosse assistita da uno dei più
rinomati
medici specializzati in parti, nonché precursore delle nuove tecniche
di
assistenza ai neonati, aveva salvato la vita alla madre e ai due
piccoli. Dopo
la nascita di Nicholas Joseph e di Jane Elizabeth, Sarah aveva
trascorso
diversi mesi in una forma di malinconia, fisica e mentale, che le
toglieva le
forze e la rendeva incapace di occuparsi a lungo dei bambini. Il medico
sosteneva che avesse bisogno di molto riposo, di un clima migliore di
quello
inglese e di cibo in abbondanza. Così Nicholas l'aveva condotta in
Francia,
allo Chateau dei d'Harmòn ed in
seguito in Cote d'Azur, sulla
riviera
mediterranea, dove aveva affittato una residenza per la convalescenza
della
moglie. Assistita da Lynnette, la sua cameriera personale, e da un
piccolo
esercito di servitori che Lord Thornton aveva accuratamente selezionato
di
persona e assunto per l'occasione, Lady Thornton poco alla volta si era
ripresa, confermando in pieno le teorie del dottor Russell che
sostenevano che
lo stato psicologico in cui versava la futura Duchessa fosse dovuto
solo alla
sofferenza fisica di un parto oltremodo miracoloso. Assieme alla madre,
anche i
piccoli si erano ripresi contro le speranze di tutti i medici -escluso
il
dottor Russell- che li avevano visitati e dopo circa un anno dalla
nascita
erano due bimbi vivaci e in salute.
Nei
sei mesi in cui la moglie era rimasta in
Francia, Nicholas le era rimasto accanto quanto aveva potuto; tuttavia
gli
affari e in seguito la morte del prozio, di cui era l'erede designato,
lo
avevano costretto a diversi periodi di lontananza. Sarah lo aveva
accompagnato
in Inghilterra per i funerali dell'anziano Duca, al quale era molto
affezionata, ma ad una visita del dottor Russell le sue condizioni,
benché
migliorate, richiedevano ancora riposo assoluto e un clima più
favorevole di
quello inglese. Così era tornata in Francia, lasciando Nicholas in
Inghilterra
ad assumersi le responsabilità che il nuovo ruolo ormai gli imponeva.
In
quei mesi Tommy lo aveva visto cambiare: lavorava
senza sosta per dirigere l'impero economico che lo zio aveva
incrementato nel
corso dei decenni, ma egli sapeva che ciò non era affatto necessario
poiché
l'anziano duca si era avvalso di un eccellente amministratore che ora
affiancava Nicholas rendendogli il compito più semplice. Tommy era
convinto che
l'accanimento con cui l'amico si dedicava agli affari fosse dovuto alla
necessità di riempire il vuoto per la mancanza della moglie e dei suoi
adorati
figli: non aveva mai visto, infatti, un uomo più felice di essere e
fare il
padre e soprattutto il marito, del Duca di Lyndham. Per questo motivo
non
riusciva a spiegarsi il comportamento dell'amico da quando moglie e
figli erano
tornati a casa. Era arrivato il momento di scoprirlo.
***
Lady
Eleanor non gli aveva permesso di chiamare
una vettura pubblica e aveva ordinato al suo cocchiere di accompagnare
Lord
Thornton ovunque egli avesse desiderato.
"Gli
amici servono anche a questo"
aveva risposto con fermezza quando aveva cercato di rifiutare. Lo aveva
baciato
con dolcezza su una guancia, stringendogli al contempo la mano con la
quale lui
aveva tentato di prendere la sua per il consueto baciamano, un gesto
con cui
avrebbe tentato di rinnovare il proprio pentimento nei confronti di
quella
giovane donna che lo aveva così sorpreso. Lei pareva aver intuito la
sua
necessità di scusarsi di nuovo e, sorprendendolo ancora una volta,
glielo aveva
impedito.
Il
gesto affettuoso di Lady Eleanor lo aveva
turbato, sia fisicamente, sia emotivamente. Era da troppo tempo, ormai,
che non
amava più una donna e quel gesto tenero e intimo gli aveva fatto
ricordare,
molto più delle effusioni a cui lo sottoponevano tutte le sue presunte conquiste
femminili, che era ancora un uomo nel pieno del suo vigore.
Eleanor lo
aveva colto in un momento di totale vulnerabilità e lo aveva spiazzato,
tant'è
che non era stato in grado di resistere e aveva piegato il volto per
incontrare
le sue labbra. Con una lieve esitazione, il bacio fraterno di Lady
Cavendish
era diventato qualcosa di più intenso quando le loro bocche si erano
incontrate... egli l'aveva stretta a sé, accogliendo nel suo abbraccio
quel
delicato corpo femminile e baciandola con passione. Se lei non lo
avesse
fermato poco dopo, la serata si sarebbe conclusa diversamente: quella
notte
avrebbe tradito i propri principi, tradendo per la prima volta sua
moglie.
Si
passò una mano con insofferenza tra i
riccioli scuri che in quel momento erano più ribelli del solito:
cos'era
cambiato in lui con quella giovane donna? Possibile che fosse bastato
che lei
lo capisse, per fargli desiderare d'averla nel proprio letto? Eppure
doveva
essere stato proprio quel senso di intimità che lei gli aveva fatto
provare a
farglielo desiderare, perché durante tutto il ricevimento non aveva mai
provato
un tale interesse, nonostante la trovasse bella.
Da
troppo tempo si costringeva a stare lontano
da sua moglie e la faccenda stava diventando troppo complicata, si
disse non
appena scorse la figura di Thomas Clyde scendere dalla carrozza
posteggiata
poco distante l'ingresso della sua residenza di Hyde Park.
Scese
a sua volta dalla vettura di Lady
Cavendish e, dopo aver ringraziato il cocchiere, si rassegnò a sorbirsi
la
ramanzina dell'amico alla quale, ne era certo, Tommy l'avrebbe a breve
sottoposto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 27 *** Un progetto in comune ***
Capitolo XXVII
Un
progetto in comune
Dopo
una notte agitata e piena di riflessioni,
Eleanor Cavendish aveva preso una decisione e l'avrebbe messa in atto.
Aveva
inviato un biglietto al conte di Linley, che sapeva essere l'amico più
intimo
di Nicholas, ed ora attendeva con impazienza il suo arrivo.
Nel
frattempo i suoi pensieri continuavano a
tornare al bacio della notte precedente: non riusciva ancora a
capacitarsi di
come fosse stata in grado di dominarsi mentre era tra le sue braccia;
era più
saggia e più forte di quanto avesse mai pensato, perché se avesse
seguito
l'istinto e il desiderio che quel bacio le avevano risvegliato, non lo
avrebbe
mai lasciato andare. Per poi pentirsene amaramente.
Di
certo avrebbe vissuto una notte
indimenticabile, la migliore di tutta la sua vita, ma si sarebbe
trattato
soltanto di passione fisica, senza neppure un barlume di speranza
perché
potesse trasformarsi un giorno in qualcos'altro. Era sicura di questo,
e se non
le fossero bastate le parole di Nicholas, proprio il bacio glielo aveva
confermato. Un bacio carico di passione a lungo repressa, ma privo di
un reale
desiderio per lei. Tuttavia era proprio quella passione fisica a stento
trattenuta a farle temere per Nicholas... Se egli avesse proseguito con
l'assurdo e a lei inspiegabile piano di fingersi un impenitente
libertino,
presto o tardi quel gioco gli si sarebbe ritorto contro e i suoi saldi
principi
di non tradire mai la moglie sarebbero svaniti tra le braccia di
qualche dama
meno nobile e leale di lei. Nessuna donna, difatti, sarebbe stata in
grado di
resistere a quella esplosione di desiderio così a lungo soffocato...
nessuna,
almeno, che non gli fosse diventata amica, seppur nel breve spazio di
una
conversazione.
L'arrivo
di Thomas Clyde interruppe le sue riflessioni.
Eleanor lo accolse nel salottino ed osservò l'aria perplessa e stupita
dell'uomo. Probabile che si stesse chiedendo il motivo di quella
convocazione.
"Lady
Cavendish" disse, profondendosi
in un'impeccabile, benché piuttosto rigido, inchino, quando lei gli
tese la
mano.
"Eleanor.
Mi chiami Eleanor, conte di
Linley" lo corresse lei con dolcezza.
Lui
la osservò ancora più perplesso:
"Come
desiderate, milady. Ma solo se voi
mi chiamerete Thomas" concesse a sua volta, nonostante la diffidenza
che
lei percepiva ancora nel suo tono.
Lady
Cavendish fece un cenno d'assenso col
capo, prima di invitarlo ad accomodarsi ed iniziare a spiegargli il
motivo
della sua chiamata.
Gli
raccontò tutto quanto era successo la sera
prima tra lei e il Duca di Lyndham, senza tralasciare nulla. Lo vide
accigliarsi quando gli disse che aveva invitato l'amico a trascorrere
la notte
con lei, e subito dopo increspare le labbra nell'accenno di un sorriso
al
racconto del rifiuto di Nicholas e delle parole che erano seguite.
Poi
Thomas era apparso sorpreso quando lei
aveva accennato all'amicizia nata tra Lady Cavendish e il Duca,
improvvisa ma
sincera. Infine, benché turbato dal bacio che Nicholas le aveva dato e
al quale
lei aveva risposto, era sembrato comunque sincero quando le aveva detto
di
riconoscere la sua lealtà nel rifiutare un uomo in evidente profonda
crisi e
l'aveva ringraziata d'essere stata così sincera con lui.
"Posso
immaginare quanto vi sia costato
raccontarmi tutto questo, Eleanor. Sappiate che lo apprezzo molto.
Tuttavia
ritengo che non lo abbiate fatto per ricevere i miei complimenti".
"Avete
ragione, Thomas. Vi ho chiamato perché
sono preoccupata per Nicholas, come immagino siate anche voi. Anzi,
credo che
voi siate preoccupato anche per Lady Thornton. O sbaglio?"
"Non
sbagliate: Nicholas e Sarah sono i
miei migliori amici e provo grande affetto per entrambi, e per i loro
tre
bambini. Vorrei che tornassero ad essere felici".
"Siete
sicuro di volere proprio
questo?"
"Cosa
intendete?"
"Circolano
voci anche su di voi, Thomas,
non solo su Nicholas. In società si mormora, tra le altre cose, che
siete voi
la causa dei problemi matrimoniali del Duca e della Duchessa di
Lyndham".
"Sono
a conoscenza di quelle voci, ma vi
assicuro che non sono io l'origine dei loro problemi".
"Ma
siete innamorato di Lady Sarah?"
"Siete
davvero diretta, Eleanor..."
rispose il conte con un sospiro. Lady Eleanor temette questa risposta e
le sue
eventuali implicazioni, ma lui si affrettò a chiarire la sua posizione.
"Sarah
Jane Montagu, lady Thornton e
duchessa di Lyndham, è una splendida e affascinante nobildonna, una
madre
dolcissima e una donna molto sensuale... Credo che ogni uomo sia stato,
o sia
sempre, un po’ innamorato di lei. Non è possibile vederla senza esserne
attratti, non è possibile conoscerla e non amarla".
Lady
Eleanor rimase turbata da quelle parole
così cariche di sentimento: quale donna non avrebbe voluto sentirsi
definire a
quel modo, e con tale enfasi, da un affascinante gentiluomo, per di più
ancora
libero? Eleanor Cavendish doveva difatti riconoscere almeno con se
stessa che
anche l'amico del Duca di Lyndham era un uomo che poteva suscitare
forti
passioni in una donna. Il mistero era capire per quale motivo ancora
nessuna
era riuscita ad accalappiarlo. Ciò che le aveva appena detto di Lady
Sarah
poteva svelare quel mistero.
"Anche
voi?" domandò di nuovo.
"Sì,
anch'io... " rispose lui, con
disarmante onestà; ma poi aggiunse: "L'amo allo stesso modo in cui si
può
amare un'opera d'arte che sappiamo non potremo mai possedere: con
venerazione e
rispetto".
"Tuttavia
se lei un giorno dovesse
ricambiare il vostro affetto?"
"Non
sapete nulla, vero, della vita di
Lady Sarah Jane Montagu? Perché se conosceste il suo passato, capireste
le mie
parole: Sarah prova molto affetto per l'amico di suo marito... Ma è
soltanto il
marito l'unico uomo che sia mai riuscito a far breccia nel suo cuore. E
sarà
sempre così, nonostante lui stia facendo il possibile per farsi odiare,
come
tutti gli altri uomini della sua vita."
"Voi
sapete perché?"
"Forse
sto iniziando a farmi un'idea... le
cose tra loro sono cambiate dopo il rientro definitivo di Sarah e dei
bambini
dal lungo periodo di convalescenza all'estero seguito al difficile
parto dei
gemelli. Da quel momento Nick è cambiato: all'inizio ho pensato anch'io
che
avesse delle amanti, anche se mi sembrava impossibile, vista
l'adorazione che
ha sempre avuto per la moglie. Ma ora sono certo del contrario".
"Cosa
vi da questa certezza?"
"Ho
seguito Nicholas per mesi. Non è mai
andato a letto con nessuna delle donne delle quali si mormora in
società.
Neppure con voi ieri sera. Questa certezza è l'unico motivo per cui
sono qui,
in questo momento".
"Avete
pedinato Sua Grazia il Duca di
Lyndham? chiese Lady Eleanor con un sorriso.
"Difficile
da immaginare, vero? Un
semplice conte che segue un duca..." rispose lui, con gli occhi
nocciola
illuminati dal divertimento.
Lei
lo osservò con attenzione, cogliendo in
quello sguardo scanzonato molto di più di quell'uomo di quanto egli
stesso
volesse dare ad intendere: lealtà, determinazione, intelligenza,
coraggio e
persino un intrepido spirito d'avventura. Nulla da invidiare all'amico,
se non
per il fatto che, a differenza del Duca le cui doti trasparivano non
appena lo
si conosceva, quelle del Conte restavano nascoste dietro una facciata di fuorviante
banalità.
"Voi
non siete affatto semplice, caro
Conte... non siete affatto un uomo semplice".
Thomas
Clyde sorrise compiaciuto: Eleanor non
lo sapeva, ma il suo invito, oltre a sorprenderlo, lo aveva anche
intrigato.
Dalla prima volta che l'aveva vista ad un ricevimento, accompagnata
dall'anziano consorte, si era invaghito di lei. Sul momento era
convinto che
l'anziano gentiluomo che l'accompagnava fosse il padre; aveva appreso
invece
che era il marito proprio un attimo prima di rendersi ridicolo e
confessarle la
propria ammirazione. A quel tempo aveva pensato rassegnato che le
uniche due
volte in cui aveva provato forti emozioni per una donna, emozioni che
avrebbe
desiderato approfondire, si trattava di donne già sposate. E lui non
era il
tipo di portar via una donna al suo legittimo consorte, neppure se
questi fosse
stato, come nel caso di Lord Cavendish, più un padre che un amante.
Max
Cavendish, amico del padre di Eleanor,
aveva fatto da tutore alla ragazzina rimasta orfana a soli quattordici
anni,
portandola a vivere con sé e la sorella. Nonostante la disgrazia che
l'aveva
colpita, Eleanor era arrivata all'età di fare il suo ingresso in
società
circondata dall'affetto dei due fratelli, più anziani di lei di oltre
trent’anni.
Lady Sophia, sorella di Lord Cavendish e più vecchia del fratello di
dieci
anni, era morta all'improvviso proprio poco prima del debutto di
Eleanor, che
con tanta eccitazione aveva pianificato assieme alla giovane. La
fanciulla,
addolorata per la perdita di una donna che in quegli anni aveva
imparato ad
amare come un'altra madre, non aveva più voluto essere presentata in
società,
rinchiudendosi in un ostinato esilio nella tenuta di campagna dei
Cavendish.
Lord Max, a sua volta addolorato per la perdita della sorella, con la
quale
aveva sempre convissuto poiché egli, anche durante i pochi anni del suo
matrimonio e a maggior ragione dopo la prematura scomparsa della
moglie, aveva
accolto in casa propria Lady Sophia che non si era mai sposata, non
aveva mai
forzato Eleanor a debuttare neppure dopo il periodo previsto per il
lutto.
L'idea di restare solo lo spaventava, pertanto era ben felice che la
giovane
gli restasse accanto: era difatti certo che se fosse stata presentata
in
società, avrebbe ricevuto almeno una proposta di matrimonio prima che
la
stagione si fosse conclusa. Era una giovane donna troppo bella per non
suscitare l'ardore in un gentiluomo.
Tuttavia
l'essere rimasto solo a vivere con lei
senza la sorella a farle da chaperon
avrebbe potuto suscitare pettegolezzi e rovinare pertanto la
reputazione di
entrambi. La decisione di sposarla egli stesso era nata principalmente
da quel
motivo, anche se l'idea di poter avere ancora almeno un figlio a cui
lasciare
titolo e proprietà aveva cominciato ad affacciarsi alla sua mente
quando si era
reso conto, nonostante la differenza di età, di essere ancora un uomo
vigoroso
e di provare, oltre all'affetto quasi paterno, anche un desiderio più
carnale
per la sua pupilla.
Eleanor,
troppo acerba nei sentimenti da confondere
gratitudine e affetto per amore, aveva acconsentito alla proposta di
Max, che
adorava come un eroe e dal quale non voleva allontanarsi. Purtroppo per
le
speranze del conte, egli era morto all’improvviso come la sorella solo
tre anni
dopo il matrimonio, senza riuscire a procreare l'erede desiderato.
Osservando
la sua ospite, Thomas pensò che
quell'incontro avrebbe potuto essere l'inizio delle sue speranze. Il
periodo di
lutto era ormai trascorso e il suo invito a parlare dei problemi di
Nicholas
stava a significare che era preoccupata per il comune amico. Forse
dividere con
lei le proprie intuizioni gli avrebbe permesso di avere la sua opinione
in
merito e magari anche un consiglio sul da farsi e chissà che il
condividere il
progetto di aiutare il Duca non li avrebbe resi più intimi. Decise
quindi di
dare una mano al proprio destino e si risolse a metterla a conoscenza
dei suoi
sospetti.
"Che
ne pensate?" domandò infine,
dopo averle rivelato che era convinto che Nicholas si stesse
comportando a quel
modo per cercare di allontanare da sé la moglie onde evitare di
metterla ancora
incinta e farle correre altri rischi. Si rendeva conto che affrontare
un
argomento simile con una giovane donna poteva sembrare alquanto
sconveniente,
ma Thomas aveva avuto modo di apprezzare il buonsenso e la capacità di
giudizio
di Lady Cavendish e quel breve incontro lo stava convincendo che con
lei
avrebbe potuto parlare di tutto senza scandalizzarla.
"Se,
come dite, il Duca di Lyndham è così
innamorato della moglie, vederla soffrire a quel modo, il rischio di
perdere
lei e i gemelli durante il parto... tutto ciò può di certo aver turbato
un uomo
di nobili sentimenti come Nicholas. Rinunciare a lei pur amandola e
desiderandola tanto, è un grande atto d'amore nei suoi confronti..."
Thomas
si congratulò con se stesso per aver
valutato bene Lady Eleanor fin dalla prima volta che l'aveva veduta
quando, ad
un ricevimento, l'aveva sentita parlare in maniera molto sensata e
pertinente
di un argomento, l'istruzione delle classi meno abbienti, che le
nobildonne in
genere intavolavano per mettersi in mostra, blaterandone in proposito
senza
alcuna cognizione.
Nel
frattempo lei proseguì col suo
ragionamento:
"Tuttavia
è anche vero che, pur per una
nobile causa, il suo comportamento sta procurando infelicità sia a se
stesso,
sia alla donna amata che tanto desidera proteggere dalle sofferenze...
Ditemi,
Thomas, ne avete già parlato con Nicholas?" chiese infine.
Un
lieve sorriso increspò le labbra del conte
di fronte alla perspicacia e alla schiettezza della giovane donna.
"Ieri
sera, quando l'ho affrontato al suo
ritorno da casa vostra".
"E...?"
"E
Nicholas, pur non ammettendolo
direttamente, con le sue parole ha confermato i miei sospetti".
"E?"
domandò di nuovo Lady Eleanor,
pur intuendo già la risposta dall'esitazione del conte a proseguire.
"E
ha ribadito, cocciuto qual è, che il
suo comportamento è l'unico modo per riuscire a starle lontano ma al
tempo
stesso continuare a prendersi cura di lei e dei bambini".
"Ma
si rende conto di farla soffrire e di
rovinare così l'amore che li lega?"
"In
merito all'amore sì, ne è
dolorosamente consapevole; tuttavia non credo abbia idea fino a che
punto Sarah
sia infelice e addolorata per il suo comportamento".
"Pensa
che alla moglie non importi che il
marito, che fino a poco tempo fa l'amava alla follia, ora se la spassi
con
altre donne? Come può illudersi di una cosa simile?"
"Per
il passato di Sarah, credo. Ritiene
che lei, osservandone il comportamento dissoluto, lo abbia aggiunto
alla lista
degli uomini della sua vita che le fecero del male e che quindi,
considerandolo
un mascalzone, abbia smesso di amarlo e pertanto di soffrire".
"Ah,
voi uomini..." sospirò Lady
Eleanor sconsolata.
Thomas
sorrise a quell'espressione di implicita
commiserazione per i cervelli maschili alle prese coi sentimenti: in
fondo non
poteva proprio darle torto!
"Ho
sentito qualcosa in merito al passato
di Lady Thornton, al suicidio del padre dopo la truffa perpetrata
dall'uomo che
avrebbe dovuto sposare... Ho sentito anche di come lei e Nicholas siano
riusciti, dopo anni, a spedire in carcere il responsabile e rientrare
in
possesso dei beni della sua famiglia. Ciononostante penso che Nicholas
sia uno
stupido a sottovalutare l'amore di sua moglie e la sofferenza che il
suo
comportamento le sta procurando. Non conosco Lady Sarah, ma nessuna
donna
innamorata sarebbe capace di accantonare un sentimento tanto profondo
senza
soffrire e senza domandarsi il perché"
"Concordo
con voi su tutto, soprattutto perché
io ho assistito più volte a questa sofferenza. L'ho detto a Nicholas,
ma lui
non ci crede. O forse preferisce non credere".
"Ebbene,
Thomas, allora tocca a noi
intervenire".
"Noi?"
domandò perplesso e
incuriosito il conte. Quel pronome che li accumunava in un'unica
identità gli
garbava assai.
"Certo!"
rispose convinta Lady
Eleanor "chi, meglio dei suoi due migliori amici, potrebbe aiutarlo? E
non
obiettate, per favore, che io gli sono amica da meno di ventiquattrore:
credetemi quando vi dico che la mia rinuncia di ieri sera vale almeno
cinque
anni della vostra amicizia!" aggiunse sorridendo maliziosa.
Sorpreso
da quell'affermazione, egli fece un
sorriso stiracchiato, incapace di capire se lei stesse scherzando o
facesse sul
serio in merito ai sentimenti che ancora nutriva per l'amico: del resto
solo
poco prima gli aveva confessato di averlo invitato nel proprio letto.
Eleanor
osservò il conte e percepì la sua
esitazione. Le piaceva quell'uomo, all'apparenza così banale ma
decisamente
sorprendente quando lo si conosceva meglio. Non avrebbe dovuto stupirsi
tanto:
il miglior amico di Nicholas non poteva che essere un uomo a suo modo
altrettanto fuori dal comune; in caso contrario non sarebbe mai nato
tra loro
un legame tanto profondo di stima e affetto. Gli si avvicinò e gli posò
con
dolcezza una mano sull'avambraccio:
"Non
temete, Thomas, i miei sentimenti per
Nicholas sono come i vostri per Lady Sarah. Sono giovane e, nonostante
provi
tutt'ora grande affetto per il mio defunto marito, mi resi presto conto
che con
lui non avrei mai provato la passione e l'amore che dovrebbero legare
un uomo e
una donna... ciononostante sarei rimasta fedele a Max, se egli non
fosse morto.
Tuttavia ora sono vedova e ancora giovane e desidererei provare, almeno
una
volta nella vita, certe emozioni. Il Duca di Lyndham è un uomo troppo
affascinante per non suscitare certi desideri in una donna, ne
converrete anche
voi. Quando gli feci quella proposta, però ancora non ero a conoscenza
di certe
cose... altrimenti, credetemi, non l'avrei mai invitato nel mio letto.
Non fraintendetemi:
desidero ancora, forse anche più di prima, vivere un amore
appassionato, ma so
che se ciò mai dovesse accadere, non sarà con Nicholas. Con lui ora le
cose
sono cambiate, anche se il piano che mi è appena venuto in mente per
aiutarlo
potrebbe farvi pensare il contrario".
"Perché?
Cosa ha pensato la vostra
graziosa testolina?" domandò lui, più audace del solito. Le parole di
Eleanor gli davano una speranza che non aveva intenzione di sprecare.
"Perché
lo sedurrò e lo convincerò a
trascorrere una notte di passione tra le mie braccia".
|
Ritorna all'indice
Capitolo 28 *** Preparativi ***
Capitolo XXVIII
Preparativi
Terminò di
allacciarsi il cravattino, si osservò
compiaciuto allo specchio e sorrise. Doveva essere sincero con se
stesso e
riconoscere che sua madre aveva ragione: avrebbe potuto benissimo fare
il
modello. L'abito da sera di metà ottocento, sistemato da Madeleine in
quel poco
che la sua corporatura differiva da quella del legittimo proprietario,
gli
donava un aspetto da nobile d'altri tempi. Nei giorni precedenti aveva
accettato il consiglio di Pierre e si era lasciato crescere la barba
per poi
farsi rasare da lui in modo tale da averne, per quell'occasione, appena
un
accenno ben curato come si usava allora; mentre i suoi capelli, mossi e
più
lunghi rispetto al taglio militare che era abituato a vedere fin da
piccolo,
erano già perfetti per intonarsi all'abbigliamento. Era stato
sufficiente del
gel per fissarli e renderli più lucidi, come se fossero stati
impomatati con
della brillantina. Il risultato finale era eccellente e lui sembrava
essere
appena uscito da un libro di storia.
Doveva
ricordarsi di chiedere a Nicole di fargli una foto
da inviare a sua madre.
Quella
mattina, prima della ormai consueta nuotata in
piscina, l'aveva sentita al telefono; il discorso era scivolato presto
sull'evento al quale avrebbe partecipato quella sera e lei, divertita
ed
eccitata, gli aveva fatto promettere di farsi immortalare in versione
ottocentesca. Proseguendo la chiacchierata, tuttavia, il ballo era
passato in
secondo piano quando, tra una domanda di sua madre e una sua risposta,
dopo
circa un'ora al cellulare aveva forse capito il senso dei suoi continui
incontri con Nicole e il legame che aveva fin da subito sentito con il
Duca.
Nicole
avrebbe detto che voleva a tutti i costi trovare
una scusa per giustificare la sua convinzione che era stato il Destino
a
guidarli l'uno verso l'altra, ma lui, dopo quanto aveva appena appreso,
ne era
ormai certo.
La sua
convinzione, che agli inizi aveva pensato essere
solo un prodotto della sua fervida fantasia, si stava dimostrando
sempre più
come un filo che, attraverso il tempo, si dipanava piano piano, per
legare
assieme in maniera indissolubile un uomo e una donna in ben tre epoche
diverse
e, allo stesso tempo, incatenare ogni coppia all'altra in un ideale
cerchio
che, se ci aveva visto giusto, si sarebbe chiuso con lui e Nicole.
Conclusa la
telefonata si era precipitato da Pierre, per
farsi accompagnare a vedere le tombe sulle quali aveva letto i due nomi
che gli
avevano confermato di aver preso la decisione giusta quando aveva
acconsentito
all'idea di sua madre.
Ora doveva
solo attendere e, nel frattempo, godersi la
serata e la visione della donna di cui si era innamorato in abito da
ballo di
metà ottocento.
***
Scese con
cautela le scale per evitare di inciampare
nell'abito: non era affatto semplice indossare una toilette
della seconda metà del diciannovesimo secolo. Nonostante
fosse avvezza a sfoggiare abiti da sera dall'età di sedici anni,
crinolina,
busto e mutandoni non rientravano, per fortuna, tra gli accessori del
suo
guardaroba e in quel momento ne era più che felice.
Quando
Madeleine glieli aveva porti, li aveva osservati da
un lato affascinata, ma al tempo stesso intimorita: come sarebbe
entrata in
quella corazza e soprattutto come sarebbe riuscita a respirare per
tutta la
sera? Era una fortuna che, sebbene fosse di alcuni centimetri più alta
della
sua antenata, la quale già vantava una statura fuori dal comune per una
donna
dell'ottocento, avesse gli stessi centimetri in meno al petto,
altrimenti
avrebbe dovuto rinunciare ad utilizzare il busto, e di conseguenza
l'abito da
ballo rosso fuoco che Madeleine aveva scelto per lei tra i vestiti della sua antenata
ritrovati ancora ben
conservati dopo oltre un secolo. Invece, con estrema soddisfazione di
Madeleine, l'abito le stava a pennello: per recuperare qualche
centimetro in
statura aveva calzato scarpe senza tacco, mentre la circonferenza del
suo
torace le permetteva quantomeno di respirare senza che l'ampia
scollatura
dell'abito facesse sfigurare il suo decolté, evidenziato dal busto che
le
sollevava i seni in maniera perfetta. Niente da invidiare ai più
moderni
reggiseni push-up!
L'alternativa
sarebbe stata ricorrere, come tutti gli
invitati all'evento, ad una toilette
affittata per l'occasione in un negozio di costumi teatrali. Ma quando
aveva
annunciato ai suoi domestici la decisione di partecipare alla festa
assieme ad
Andrew, Madeleine se n'era uscita con quell'assurda idea che avrebbero
dovuto
indossare abiti originali d'epoca, avendoli trovati nel guardaroba
della
Duchessa.
Un’entrata
alla grande a bordo dell'antica carrozza con
tanto di stemma ducale, ancora conservata nelle scuderie e tirata a
lucido
sotto la supervisione di Pierre, secondo Madeleine sarebbe stata il
tocco
finale degno dell'ultima discendente della nobile casata.
Non era
neppure a metà scala quando vide Andrew che
l'attendeva all'ingresso; non l'aveva ancora vista poiché, sebbene si
trovasse di fronte lei, aveva il viso voltato
verso Pierre che
gli stava dando informazioni storiche in merito al veicolo che li
avrebbe
condotti alla festa.
Nicole
sorrise, constatando come quell'uomo riuscisse ad
interessarsi alla storia anche nei momenti più impensati e si disse che
era una
passione che avevano in comune.
Si fermò e lo
osservò per qualche secondo, rendendosi conto
che le mancava il fiato, ma in quel momento non era per colpa del busto
che le
stringeva la vita.
Sentì alle
spalle la voce divertita di Madeleine che le
sussurrava maliziosa all'orecchio:
"Non valeva
la pena soffrire un po’ per vedere uno
spettacolo simile?" e non poté che essere d'accordo con lei.
Avrebbe dato
qualunque cosa per poterlo fotografare in quel momento: se
anche il Duca
faceva quell'effetto con indosso l'abito da sera, che, per inciso,
sembrava
fatto su misura anche per Andrew (o erano state le abili mani di
Madeleine a
compiere il miracolo?), poteva capire come la sua antenata si fosse
innamorata
di lui. E per l'ennesima volta da quando aveva scoperto i diari, si
rammaricò
di non poter leggere quello andato perduto nel quale, ne era certa,
c'era
l'inizio di quella storia d'amore.
Quando Andrew
si accorse del suo arrivo e si voltò verso
di lei, il suo sguardo la ripagò della tortura di farsi rinchiudere in
quegli
abiti che non le appartenevano e la fece sentire proprio come la
principessa
delle fiabe.
Terminò di
scendere le scale e gli porse la mano avvolta
nei lunghi guanti abbinati alla toilette,
che egli prese per aiutarla a salire sulla carrozza, in attesa davanti
alla
porta; sotto lo sguardo compiaciuto di Pierre e Madeleine, il veicolo
si mosse
e Nicole ebbe la strana sensazione di andare non solo ad una festa, ma
incontro
a ciò che per lei era stato scritto nel destino.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 29 *** Valzer viennese ***
Capitolo XXIX
Valzer
viennese
Non riusciva
a smettere di guardarla.
Da quando
avevano fatto il loro trionfale ingresso sulla
carrozza ducale, madamoiselle la Comtesse
non era stata lasciata sola con lui neppure un attimo. Aveva stretto la
mano e
conversato con tutti i rappresentanti dell'amministrazione locale e
rispettivi
consorti. Poi era stato il momento degli invitati speciali,
ossia quelli che, con il loro contributo economico,
assieme a Nicole avevano assicurato la riuscita della festa. E in quel
momento
era l'ora di tutti gli altri invitati.
Era un evento
eccezionale la partecipazione di un
discendente della casata nobiliare che viveva allo Chateau
da prima della rivoluzione francese. A quanto gli aveva
detto Nicole, il Duca e la Duchessa erano stati gli ultimi ad
assistervi: dagli
anni dieci agli anni cinquanta del novecento venti di guerra avevano
soffiato
in tutta Europa e, anche nei momenti in cui non si combatteva, lo
spirito non
era dei migliori per festeggiare. Tranne la figlia che si era fatta
suora, gli
altri tre figli del Duca erano rimasti in Inghilterra e a quanto aveva
ricostruito da vecchie carte ritrovate mentre studiava alla Sorbona (a
quei
tempi scoprire la storia della sua famiglia era stato, assieme alla
fotografia,
il suo maggior interesse, che le forniva anche l'ottima scusa per
allontanarsi
dai continui litigi familiari) non avevano mai vissuto allo Chateau, tranne che per brevi soggiorni
mirati a visitare le tombe dei genitori o dare disposizioni ai vari
amministratori della tenuta succedutisi nel corso degli anni. Per
quanto
riguardava i nipoti e successivi discendenti le cose non erano state
molto
diverse.
Neppure sua
madre aveva mai partecipato all'evento, troppo
impegnata a tentare, invano, di farsi amare dall'uomo che aveva sposato
per
soddisfare la sete di nobiltà materna: la nonna di Nicole, infatti,
aveva
dedicato la propria vita a tentar di ripulire il sangue della famiglia
dopo che
la bisnonna, nipote di Lady Alexandra e bis-nipote del Duca, lo aveva
insozzato
sposando un borghese; e non importava se in seguito quel borghese si
sarebbe
rivelato essere imparentato in primo grado con colui che un giorno
sarebbe
diventato il famoso generale Montgomery della seconda guerra mondiale,
al
momento del matrimonio era soltanto un semplice ufficiale dell'esercito
britannico.
Per volontà
dell'antenato a cui doveva comunque il titolo
di contessa, nel cognome per le figlie femmine destinate ad ereditare
il titolo
doveva mantenere traccia della linea femminile di discendenza, pertanto
l'acquisita fama della famiglia per meriti impropri era l'unico motivo
per cui
il cognome Montgomery continuava a figurare accanto a quello del
consorte di
turno. Ciononostante, la nonna di Nicole aveva fatto il possibile per
sposarsi
con un nobile e aveva costretto la figlia a fare altrettanto, arrivando
a
scovarle persino un duca e riportando così il sangue della famiglia al
livello
di nobiltà originaria che tanto agognava.
A quanto
ricordava Nicole, la madre l'aveva portata alla
tenuta una sola volta da bambina, quando aveva compiuto dieci anni e
lei aveva
adorato da subito quel luogo che la mamma aveva detto un giorno le
sarebbe
appartenuto per eredità. Allora non immaginava che ne sarebbe entrata
in
possesso tanto giovane, tuttavia era stato proprio quel luogo, e il
desiderio
di scoprire qualcosa su chi glielo aveva destinato, che l'aveva spinta
verso la
passione per la
Storia.
Tutte queste
informazioni Nicole gliele aveva date durante
il tragitto in carrozza, mentre lui non riusciva a smettere di
guardarla: era
splendida con indosso l'abito da ballo della sua antenata e coi lunghi
capelli
raccolti sul capo, alla foggia ottocentesca. Madeleine aveva scovato
anche un
antico fermaglio tra gli oggetti appartenuti alla Duchessa, e lo aveva
usato
per decorarle l'acconciatura.
Andrew
ricordava ancora la scena di seduzione letta nel
diario: si parlava di un abito rosso fuoco, dalla provocante
scollatura, ed
egli era sicuro che si trattasse proprio di quel vestito. Si spiegava
il motivo
per cui, tra tanti abiti da ballo che la Duchessa avrà posseduto,
quello era
uno dei pochi conservato con grande cura: era di certo il capo con cui
era
vestita e dal quale lui l’aveva spogliata la notte in cui aveva
confessato al
marito di aspettare il loro primogenito.
Vederlo
indossato dalla donna che desiderava tanto, gli
sembrava l'ennesimo segno del destino. L'ulteriore conferma che i loro
incontri, che la loro storia d'amore, quella che Nicole si ostinava a
non
ammettere, era scritta in un destino le cui radici arrivavano almeno a
quasi
due secoli prima. E gli confermava, ancora una volta, che loro due
insieme
avrebbero dovuto chiudere un cerchio aperto ormai da troppi anni.
Era immerso
nei suoi pensieri quando, prima ancora si
vederla o sentire la sua voce, riconobbe la fragranza intensa che la
circondava
sempre e si voltò, trovandosi così a fissare Monique negli occhi.
"Buona sera,
Andrew".
"Ciao
Monique. Sei bellissima..." la lodò con un
complimento che non era per nulla forzato. La provocante antiquaria
indossava
un abito molto prezioso che, per semplicità del taglio e del colore,
volutamente sobri per esaltare il prezioso ricamo di piccoli diamanti e
perle
del corpetto, attenuava la sua sensualità prorompente senza tuttavia
offuscarla
del tutto. Al contrario, la delicata tinta avorio dell'abito le
illuminava la
carnagione e faceva risaltare il color rosso tiziano della sua chioma,
anch'essa adorna di un intreccio quasi virginale di perle e diamanti.
L'insieme era eccezionale.
"Sei il
solito adulatore, mon cher.
Tuttavia quella davvero splendida, stasera, è Nicole"
disse Monique, sorprendendolo.
La donna
rise, col suo timbro roco che lui ben conosceva,
quando vide la sua espressione incredula.
"Suvvia,
Andrew, sono una donna, e sono cosciente che
come tale ammettiamo con difficoltà che un'altra donna possa essere
bella, ma
solo un cieco potrebbe restare impassibile di fronte a lei, questa
sera... È
bellissima".
"Hai ragione,
lo è" ammise lui, osservando
l'oggetto del suo incontenibile desiderio. Quella sera tanto Monique
appariva
più casta di quanto la sua personalità e il suo aspetto di solito
lasciavano
immaginare, altrettanto l'abito indossato da Nicole portava alla luce
tutta la
sensualità celata della giovane donna. L'abito della Duchessa, così
audacemente
scollato per quei tempi e di una tinta tanto appariscente, rendeva la
figura di
Nicole molto provocante ed esaltava la sua incredibile bellezza, che di
solito
lei sminuiva più che sottolineare. L'insieme la rendeva una donna
splendida,
sensuale e molto eccitante; ciononostante, grazie alla sua innata
eleganza e
raffinatezza, per nulla volgare.
"E tu, chéri, sei innamorato pazzo di lei,
vero?" aggiunse la donna seguendo
il suo sguardo.
"Mi spiace,
Monique..." disse lui.
"Non
scusarti. Me lo avevi già detto l'altra mattina,
ma non volevo crederci. Sei un uomo difficile da lasciar andare, mon cher, e avevo bisogno vederlo coi
miei occhi. Ora so che dicevi sul serio. Con te è stato bello, e non lo
dimenticherò” aggiunse sporgendosi verso di lui per baciarlo su una
guancia.
“Anche
per me è
stato bello” disse lui, accettando il bacio e ricambiandolo con una
carezza, “neppure io ti dimenticherò. Sei una donna generosa,
Monique” aggiunse poi, ripensando a come lo aveva accolto nel proprio letto.
“Non, cher ami. Sono una donna
molto egoista, invece. Ti ho voluto sin dal primo
momento e ti ho avuto. Peccato solo che sia durato poco. Se non fossi egoista
potrei tentare di averti anche ora ma, se anche venissi a letto con me, non
saresti mai mio. Forse non lo sei mai stato, ma prima potevo illudermi,
adesso non più. È lei la donna che vuoi” disse facendogli un cenno in
direzione di Nicole si stava avvicinando.
“Solo un
consiglio: non aspettare troppo a dirle chi sei
veramente. Potresti perderla. Ha già sofferto molto per essere stata
tradita”
aggiunse, prima che Nicole li raggiungesse.
“Lo so… Ho
intenzione di dirle tutto quanto molto presto”
rispose lui, confermando l’intuizione che lei aveva avuto sin
dall’inizio.
Monique annuì
con un sorriso; quando si voltò per andarsene,
Nicole era ormai accanto a loro e lei si fermò pochi secondi a
sussurrare
qualcosa all’orecchio dell’amica, quindi
si allontanò, lasciandoli finalmente soli.
***
"Vi vedo
pensieroso, monsieur le professeur..."
disse Nicole per stemperare l’imbarazzo
quando lo ebbe raggiunto. Moriva
dalla
curiosità di sapere di cosa aveva parlato con Monique, soprattutto dopo
quanto
le aveva sussurrato l'amica mentre se ne andava.
Da quando
erano arrivati alla festa non aveva fatto altro
che stringere mani e sorridere; temeva di dover trascorrere tutta la
sera ad
osservarlo da lontano ed invece, in quel momento era lì, davanti a lui.
Da
vicino era ancora più bello e il desiderio di essere tra le sue braccia
la
stava quasi soffocando.
Lo aveva
visto baciare Monique e il senso di possesso che
aveva provato nei confronti di quell'uomo, nonché la morsa di gelosia
che le
aveva stretto lo stomaco, non le avevano lasciato più dubbi: nonostante
avesse
fatto il possibile per evitarlo, si era innamorata di lui. Lo
desiderava da
morire, ma il desiderio non era solo fisico. Voleva Andrew anima e
corpo.
Quando
Monique l'aveva fermata per parlarle, si era
stupita di ciò che le aveva detto.
"Non
lasciartelo scappare, chéri... A
letto è sorprendente!"
Infastidita
da un'immagine alla quale non voleva pensare,
stava per dire alla sua amica di tenerselo, quando Monique l'aveva
zittita
aggiungendo: " Lui vuole te e nessun'altra".
Quel commento
l'aveva eccitata. Da alcuni giorni non
riusciva a smettere di pensare a che tipo di amante fosse. Era
probabile che
dipendesse dalla donna e da quanto la desiderasse, eppure lei avrebbe
voluto
andar oltre e saperne di più. Era difatti convinta che chiunque ha un
suo modo
particolare di fare l'amore, nonostante possa essere influenzato dalla
persona
con la quale si trova. Proprio per questo avrebbe voluto sapere come
lui era
davvero, nel suo intimo più profondo; avrebbe desiderato poter
conoscere la sua
natura più essenziale, più istintiva. Era tenero e lento e amava
indugiare sui
dettagli per sedurre, o focoso e appassionato, con un desiderio
ardente,
difficile da contenere? Oppure l'uno e l'altro? E cosa intendeva
Monique quando
lo definiva sorprendente?
"Non sono
pensieroso, solo sopraffatto dalla tua
bellezza. Sei splendida, stasera" rispose lui.
Si sentì
arrossire a quel complimento così spontaneo.
"Merito di
questo abito".
"L'abito è
fantastico, te lo concedo, ma su di te è
spettacolare ed è merito della tua bellezza" disse lui, con un tono che
non ammetteva repliche.
"Credi che
sia lo stesso abito..." domandò lei,
più che altro per dire qualcosa che aiutasse in quel momento di
imbarazzo. Si
rese conto troppo tardi, dal luccichìo divertito negli occhi di Andrew,
di aver
scelto l'argomento peggiore per togliersi dall'impiccio.
"Non ho
dubbi. Sono certo che sia proprio l'abito che
il Duca descrisse nel diario..." rispose lui. Poi, per concederle un
attimo di tregua, aggiunse divertito:
"Quanti abiti
rosso fuoco, con un taglio tanto
provocante, credi che avesse una duchessa nel suo guardaroba?"
Lei sorrise a
sua volta, grata che lui l'avesse buttata
sul divertente. Per fortuna aveva letto quel passo del diario da sola,
per
mettersi alla pari prima di iniziare a procedere assieme, altrimenti
non sapeva
come sarebbe riuscita a resistere alla lettura fatta da lui.
In quel
momento la musica in sala terminò, per
ricominciare subito dopo. Andrew le sfiorò con le dita una ciocca di
capelli
che le incorniciava il volto, indugiando sulla curva del collo; quindi
si piegò
in un perfetto inchino d'altri tempi, le prese la mano guantata e,
portandosela
alle labbra, le chiese:
"Lady
Sinclair, mi fate l'onore di questo
ballo?"
Al suo cenno
affermativo la prese tra le braccia e la
condusse, con un'abilità che di certo non si aspettava da un professore
americano, sulle note di un valzer viennese.
"Sorpresa?"
domandò lui sornione. Ancora una
volta le aveva letto nel pensiero.
"Non ti
credevo avvezzo a questo genere di balli.
Persino io, che frequento l'alta società europea dall'età di sedici
anni, non
ballo un valzer da almeno cinque anni... e anche prima l'ho danzato
molto
poco".
"Ciononostante
sei bravissima" le disse, dopo
averla fatta volteggiare in una figura degna dei migliori maestri.
"Ah, io sarei
brava. E tu? Cosa mi dici di te? Ve lo
insegnano ad Harvard, assieme alla storia?" gli chiese con un sorriso.
"Per questo
devi ringraziare mia madre, che non
voleva che diventassi come mio padre per il ballo, ossia un elefante in
un
negozio di porcellane, e il suo strano amore per le danze viennesi".
"Perché dici
strano?"
"Converrai
che è insolito che un'americana, per di più
avvocato, trovi affascinanti i valzer viennesi di duecento anni fa"
rispose lui, mentre la guidava nella danza.
"Perché un
avvocato non dovrebbe amare il valzer? Tua
madre è pur sempre una donna".
"Non un
avvocato qualunque, ma un avvocato della
procura militare. Mia madre è sì una donna, ma è anche un colonnello
dei Marine
fino al midollo. Per certi versi è persino più soldato di mio padre, a
sua
volta avvocato della procura militare, per alcuni anni capo del Jag in
Europa
prima di diventarlo di tutto il Jag, nonché pluridecorato aviatore
della Marina
Americana".
"E tu come
sei finito a fare il professore?"
domandò lei, divertita da quanto aveva appena appreso sui suoi genitori.
"Sono
laureato in legge ad Harvard" rivelò lui.
"Sei un
avvocato?"
"No, non ho
mai esercitato la professione, anche se i
miei genitori hanno sempre sostenuto che sarei potuto diventare un
principe del
foro ".
"Non stento a
crederlo... E come sei arrivato alla
passione per la storia e ad insegnarla?"
"Non insegno
storia" ammise lui.
"Non sei un
professore?"
"Beh, sì,
anche. Tengo lezioni in varie università
americane".
"Quindi hai
mentito".
"Non ho
mentito: io sono anche un insegnante
universitario. Diciamo che, come te, mi sono presentato con uno solo
dei miei titoli" le disse,
ricordandole con
astuzia che non era il caso che scagliasse la prima pietra.
"E quali
sarebbero gli altri?"
"L'altro. Uno
solo. E non è un titolo, ma una
qualifica professionale, semmai".
"Non dirmi
che sei davvero un modello di
professione?"
"Lo trovi
così improbabile? Sono stato così imbranato
quando mi hai fotografato?"
Lei lo
scrutò, rendendosi conto solo in quel momento che
il valzer era terminato.
"Non ti va di
dirmelo chi sei veramente?"
"In questo
momento preferisco farti ballare
ancora..." eluse la risposta riprendendola tra le braccia e
trasportandola
di nuovo nel magico mondo delle danze viennesi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 30 *** Sogno di una notte di inizio estate ***
Capitolo XXX
Sogno
di una notte di inizio estate
"Mi
piacerebbe fotografarti".
"Vorresti
fotografarmi? Ora?"
Erano
rientrati al castello dopo una festa durata dal
tardo pomeriggio fino a mezz'ora prima e durante il viaggio lei aveva
parlato
poco. Neppure per domandargli di Monique. Era sicuro che li avesse
visti e il
fatto che non avesse chiesto nulla lo rendeva inquieto e al tempo
stesso
curioso di sapere cosa si fossero dette quando l'antiquaria l'aveva
avvicinata.
Ciononostante neppure lui aveva fatto domande e, prima che lei gli
rivolgesse
quella inconsueta richiesta, si stava chiedendo a che punto stavano le
cose tra
di loro, dopo la splendida serata appena trascorsa. Da quando lo aveva
raggiunto aveva ballato con lei per quasi tutto il tempo e Nicole non
era
sembrata dispiaciuta, anzi: le rare volte in cui l'aveva ceduta a
qualche altro
ospite, quando l'aveva reclamata di nuovo per sé si era accorto che lei
gradiva
la cosa.
In quel
momento si trovavano nello studio del Conte, dove
Nicole aveva voluto che la seguisse, e lui non sapeva come chiudere la
serata.
Era la prima volta in tutta la sua vita che non aveva idea di come
comportarsi
con una donna.
"Sì, se per
te va bene. Ti voglio ritrarre in questi
abiti e in questa casa, in particolare in questa stanza".
"Ma sono le
due del mattino!"
"Non dirmi
che non ti è mai capitato di andare a
letto più tardi di quest'ora!"
"Il sonno non
è un problema" rispose lui,
decidendo di concedere a quella sua idea una possibilità ed evitando di
aggiungere che avrebbe potuto non dormire per due notti di seguito se
avesse
potuto trascorrerle amandola.
"Ottimo.
Allora qual è il problema?"
"Che, magari,
se fossi più riposato le foto
verrebbero meglio? Non siete proprio voi fotografi a dire che
l'obiettivo è
impietoso e non perdona?"
"Ohilalà,
siamo vanitosi!" disse lei con un
sorriso. "Hai ragione. Ma tutto sta il genere di foto che si vogliono
scattare e il soggetto da ritrarre. E non mi hai detto che ne volevi
qualcuna
da inviare a tua madre?" lo provocò lei, divertita.
"Certo, ma
non immaginavo di mandarle delle immagini
che mi ritraggono con l'aspetto di un dissoluto libertino!"
"Credevo che
tua madre già sapesse che lo
sei..." lo prese di nuovo in giro lei. "Ad ogni modo non è quello il
genere di foto che vorrei scattarti, anche se sarebbe divertente".
"Che genere
di foto vorresti farmi?"
Lei parve per
un attimo indecisa se rivelarglielo. Andrew
attese con pazienza, perché ebbe l'impressione che il momento fosse
importante.
"Sexy" si
decise a rispondergli. "Intriganti.
Forse un po’ maliziose... ma, soprattutto, sensuali. Il tuo volto, in
questo
momento, con un accenno di stanchezza, è proprio ciò che ci vuole per
quello
che ho in mente".
"Non sai
quanto darei per sapere cos'hai in
mente..." sussurrò lui, quasi tra sé.
"Permettimi
di fotografarti e lo scoprirai... Se non
ti piacciono, le cancellerò".
"Sono sicuro
che il problema non sussisterà"
disse lui, accettando.
Mentre lei,
senza neppure cambiarsi d'abito, si dava da
fare per organizzare in pochi minuti un set fotografico, lui rimase ad
osservarla, domandandosi fino a che punto avrebbe potuto spingersi nel
tentativo di amarla e farsi amare. Forse era giunto il momento di osare
il
tutto per tutto.
"Ok, sono
pronta. Iniziamo dalla scrivania. Siediti e
fingi di scrivere con penna d'oca e calamaio".
Lui obbedì e
lei si immerse nel suo mondo di immagini,
scomparendo dietro l'obiettivo. Solo il rumore dello scatto e il
fruscio
dell'abito rosso gli ricordavano la sua presenza dietro alla macchina
fotografica. Poi, dopo alcune inquadrature da varie angolazioni,
ricompariva la
sua voce che gli diceva come posare: appoggiati allo schienale, guarda
fuori
dalla vetrata con aria pensierosa, slacciati il cravattino e il primo
bottone, arrotolati
le maniche della
camicia, levati il panciotto, alzati e siediti in poltrona, leggi un
libro,
accavalla le gambe... Nel giro di una ventina di minuti gli fece
impersonare un
nobile di metà ottocento, in quasi tutte le pose immaginabili, nei
panni di uno
studioso e scrittore. Andrew sorrise, pensando a quanto lei stesse
avvicinandosi alla realtà seguendo il suo istinto di fotografa e a
quanto
stesse immortalando nella finzione fotografica il suo desiderio di
poter vivere
e lavorare per sempre in un luogo simile.
Ogni tanto le
dava una rapida occhiata, intrigato dal
contrasto tra la sua efficienza di donna moderna che manovrava una
sofisticata
apparecchiatura digitale e l'aspetto romantico che le conferivano
l'abito e
l'acconciatura d'altri tempi.
"Ora alzati.
Voglio usare l'autoscatto per un'idea...
" disse, trafficando con la macchina per sistemarla dove, a suo avviso,
sarebbe stato meglio.
Incuriosito
dalla faccenda dell'autoscatto, che implicava
la presenza di Nicole nelle prossime foto, la raggiunse senza batter
ciglio.
"Cos'hai in
mente?"
"Una sequenza
che dia l'idea che l'uomo non viva
solo. Non so se gli scatti verranno come spero, ma non abbiamo a
disposizione
un'altra donna".
"Tu sei
perfetta per me" disse lui,
interrompendola.
"Per le foto"
precisò lei.
"Per me" la
corresse lui, deciso. Lei lo osservò
ma evitò di ribattere.
Posizionò due
piccoli schermi collegati all'apparecchio
fotografico tramite connessione wireless
in modo tale da poter vedere l'inquadratura da due angolazioni, senza
che nella
foto comparissero i dispositivi e poi, impostando i secondi tra uno
scatto e
l'altro, gli si avvicinò sorridendo.
"Sorpreso?
Come puoi notare gli apparecchi più moderni
hanno acquisito notevolmente in tecnologia".
"Già, me ne
sono accorto" rispose lui.
"Con questo
posso scattare a mia scelta" disse
facendogli vedere il piccolo telecomando che nascondeva nella mano "a
meno
che non scelga di lasciare lo scatto al timer
che ho appena attivato. Nel caso volessi foto più... come dire?
Spontanee".
"Capisco"
commentò enigmatico lui.
"Bene,
iniziamo" e così dicendo gli si avvicinò,
dando le spalle all'obiettivo. Gli posò una mano sul petto e sollevò il
volto,
stando attenta a non farsi inquadrare il profilo. Non appena lui
abbassò il
viso verso di lei per guardarla negli occhi si sentì il rumore dello
scatto ed
Andrew non riuscì ad evitare di proiettare nella propria mente
l'immagine
appena immortalata: il desiderio di un uomo per la donna davanti a sé,
riflesso
nei suoi occhi.
Poi lei gli
prese la mano e intrecciò le loro dita e di
nuovo si sentì il rumore dello scatto.
"Passami un
braccio attorno alla vita" sussurrò
lei e non appena obbedì, di nuovo l'otturatore automatico si aprì e si
richiuse.
Quindi si
avvicinò col volto al suo viso, nell'immaginaria
scena di baciarlo sulla guancia. Fece scattare il dispositivo prima
ancora che
le labbra arrivassero a sfiorargli la pelle.
Si muoveva
rapida, senza quasi lasciargli il tempo di
vedere nel display l'immagine che
stava fotografando. Tuttavia era sicuro che otteneva ogni volta
l'inquadratura
che desiderava perché si era reso conto di rispondere ad ogni suo
movimento
seguendo l’istinto. Non serviva neppure che lei gli dicesse cosa fare.
Si domandò
per un attimo se non fosse quello il vero scopo
di quel servizio fotografico e l'istante successivo aveva già preso la
decisione che avrebbe chiarito una volta per tutte il loro rapporto.
Dopo un altro
paio di inquadrature lei gli disse:
"Bene, abbiamo terminato".
"Neanche per
sogno..." la fermò lui, mentre
infilava una mano tra i suoi capelli e slacciava con sorprendente
abilità il
fermaglio che tratteneva la sua folta chioma.
"Scatta la
foto" ordinò poi con ferma dolcezza,
mentre una nuvola scura scendeva a ricoprirgli il braccio. Non appena
lei obbedì,
spostò di lato i suoi capelli e le abbassò l'abito, scoprendole una
spalla.
"Scatta
ancora" sussurrò, chinandosi a baciarle
la pelle liscia appena rivelata.
L'esitazione
di Nicole fu sufficiente a far partire il timer.
Andrew sorrise, consapevole
d'averla spiazzata, ma al tempo stesso felice che lei non l'avesse
fermato. Non
aveva alcuna intenzione di fermarsi.
La fece
voltare in modo che il corpo di Nicole fosse
rivolto verso l'obiettivo, mentre lui si sistemava alle sue spalle per
slacciare la lunga fila di bottoncini che chiudeva l'abito. Intanto
l'autoscatto svolgeva diligente il proprio compito.
Nicole
sussultò quando lui, terminato di trafficare coi
bottoni, le abbassò il corpetto fino alla vita, regalando allo sguardo
indiscreto della macchina fotografica il suo petto costretto nel
bustino: i
delicati nastri candidi che l'ornavano e le sue mani che le toccavano
la pelle
formavano un contrasto che rendeva l’inquadratura molto erotica.
"Andrew..."
tentò di fermarlo, quando si rese
conto che le stava slacciando anche la biancheria; ma inutilmente. Il
secco
rumore dell'otturatore scandiva, ogni trenta secondi, quella lenta
opera di
seduzione.
Si piegò di
nuovo su di lei, percorrendo con la lingua il
collo dalla nuca alla spalla e facendola rabbrividire, mentre le mani
le
scoprivano i seni e li esponevano all'implacabile lavoro
dell'apparecchio
fotografico.
"Guardati...
Sei bellissima" disse lui con voce
roca, abbracciandola da dietro. Incapace di aprire gli occhi e vedere
nel display quell'immagine
sensuale, preferì
abbandonarsi alle sensazioni che le stava regalando. Già così era
eccitata
all'inverosimile.
Percepì che
lui si muoveva e la girava, posizionandola di
profilo rispetto l'obiettivo. Sempre ad occhi chiusi, non fece in tempo
a
domandarsi come mai, quando sentì le sue labbra sul seno.
Gemette,
inarcando istintivamente il corpo verso il suo
volto. Nel frattempo l'autoscatto immortalava la scena: la bocca di
Andrew
colma della sua carne morbida, che lui torturava con lingua e denti,
facendola
impazzire; e ogni suo sussulto, mentre con le mani infilate nei suoi
capelli tratteneva
a sé la sua testa, quasi a ricercare ancora più piacere.
"Voglio tutte
queste foto" disse lui con voce
roca ma autoritaria. Quindi rialzò il capo e, finalmente, la baciò
sulla bocca.
Fu un bacio intenso, sensuale; in assoluto il bacio più eccitante e
coinvolgente che avesse mai ricevuto.
La sua lingua
le stuzzicava le labbra e le invadeva la
bocca, mentre le sue mani calde le
percorrevano il corpo dalla nuca ai fianchi e anche oltre, in un lento
e
possessivo tocco che la faceva aderire sempre di più al suo torace
muscoloso;
in quel modo i suoi seni scoperti sfregavano contro il tessuto della
camicia
che lui ancora indossava e quel contatto, unito alla carezza delle sue
mani e
delle sue labbra, le toglieva il fiato.
Nicole
immaginò per un attimo tutta le sequenza di
immagini memorizzata nel suo apparecchio da quando lui aveva preso il
comando e
si rese conto che era la sola ad essere stata ritratta seminuda. Non
andava
affatto bene.
"Io, invece,
voglio queste" disse decisa, quando
riuscì a staccarsi da lui. Prese a slacciargli i bottoni della camicia
candida,
scoprendogli i muscoli del torace. Passò il palmo sulla pelle che li
ricopriva
e poi si chinò a baciarla, facendo gemere lui. Quindi gli girò intorno,
sfilandogli l'indumento e lasciandolo a torso nudo. Lo abbracciò da
dietro,
premendogli le rotondità morbide e calde dei seni contro la schiena.
"Portami a
letto" gli sussurrò all'orecchio.
"Non
ancora...".
"Cos'hai in
mente?" gli domandò, incuriosita ed
eccitata.
Quando aveva
iniziato il gioco dell'autoscatto aveva
pensato di intrigarlo un po’, sperando capisse che aveva deciso di far
l'amore
con lui. Non si aspettava che ribaltasse la situazione e la
coinvolgesse in una
fantasia erotica da voyeur. Ad ogni
modo la cosa non le dispiaceva: le foto che la sua macchina digitale
continuava
a scattare potevano essere cancellate senza conseguenza alcuna. Ed in
fondo
doveva ammettere che non vedeva l'ora di rivederle. A dirla proprio
tutta ciò
che desiderava davvero era poterle sviluppare in formato gigante e
tappezzare
una stanza con quegli scatti erotici e sensuali. Sarebbero stati
perfetti per
una mostra privata dedicata al piacere e al desiderio.
Lui si voltò
e la guardò negli occhi.
"Voglio
realizzare un sogno. Il... Sogno di una notte
di inizio estate".
"Mhmm... La
faccenda si fa seria se citi addirittura
Shakespeare. Non dirmi che dovrò trasformarmi in Titania! O addirittura
in
Puck?"
"Non ti
dovrai trasformare, così sei già perfetta per
quello che ho in mente" disse, facendo scivolare il dorso della mano
dalla
sua gola al seno, in una dolce carezza. Negli occhi lei gli vide un
desiderio
intenso e si sentì soffocare dall'aspettativa. Non vedeva l'ora di
essere sua. Da
quando aveva deciso di abbandonarsi alla passione che provava per lui,
era
impaziente di scoprire che tipo di amante fosse.
"E sarebbe?"
riuscì a domandargli, con voce
quasi strozzata.
"Lo vedi quel
tappeto?" e indicò con un cenno
verso il camino, mentre le sue dita non smettevano di giocherellare con
la sua
pelle. Lei annuì, incapace di proferir parola.
"Voglio
amarti lì, prima. Voglio prenderti con ancora
indosso questi abiti, che mi fanno fantasticare di essere tornato
indietro nel
tempo. Voglio che tu sia mia in questa stanza, dove ho sognato milioni
di volte
di averti. Voglio te, qui, adesso".
"Con o senza
foto?" chiese lei, eccitata dalle
sue parole e subito pronta ad accontentarlo.
"Indovina..."
rispose lui, malizioso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 31 *** Incontro al destino ***
Capitolo XXXI
Incontro
al destino
Seduta
davanti alla vetrata del suo salotto, Sarah
Mackenzie osservava pensierosa fuori dalla finestra. Dopo la telefonata
col
figlio della sera prima, non era riuscita a pensare ad altro. Aveva
faticato a
chiudere occhio per tutta la notte e si era alzata alle prime luci
dell'alba.
Con la solita efficienza che la caratterizzava quando era un brillante
avvocato
nel pieno della sua carriera, aveva sbrigato tutte le faccende pratiche
connesse a quanto aveva saputo da Andrew e ora attendeva il ritorno del
marito.
Harm era andato da Jason Rumsfield, l'uomo che trent'anni prima aveva
messo a
disposizione della Marina Americana le carte dell'Ammiraglio Alexander
Blackbird affinché potessero essere consultate. Quelle stesse carte tra
le
quali lei e Harm avevano ritrovato l'antico diario che tanta parte
aveva avuto
nella loro raggiunta felicità.
Mr. Rumsfield
era l'erede dell'Ammiraglio ed era rientrato
in possesso anche del diario del Conte d'Harmòn poiché, a quei tempi,
nessuno
sapeva a chi altri consegnarlo; dopo alcune ricerche, infatti, la Marina
Americana
aveva stabilito che non valeva la pena spendere ulteriori risorse per
vecchi
scritti privati di un conte francese. Sarah avrebbe tanto desiderato
poterlo
conservare per sé, ma non aveva avuto il coraggio di domandarlo
all'ammiraglio
Chegwidden, soprattutto dopo essersi fidanzata con Clayton:
l'Ammiraglio
avrebbe avuto conferma di quanto le mancasse Harm, ormai volato in
Europa e
pronto per un nuovo inizio.
Ciò che era
avvenuto in Inghilterra, alla residenza dei
Montagu a Beaulieu, aveva dell'incredibile: prima di congedarsi dal
loro
ospite, lei e Harm avevano detto a lord Montagu che avrebbe potuto fare
richiesta del diario, ma l'anziano gentiluomo aveva replicato che non
era certo
di poter vantare diritti su quegli scritti, benché appartenuti all'uomo
che era
un suo antenato, poiché egli era erede del titolo acquisito del defunto
fratello di Lady Sarah. Dal punto di vista legale non potevano dargli
torto.
Lord Montagu, ignaro di chi fossero i discendenti più diretti del Conte
d’Harmòn, aveva suggerito che avrebbero potuto fare delle ricerche
partendo
proprio dal paese d'origine del conte, dove terminavano le notizie
riguardanti
Lady Sarah Jane Montagu; ma quando le cose tra lei e Harm si erano di
nuovo
ribaltate, erano stati troppo presi dalla loro felicità e dai
cambiamenti che
la vita aveva donato loro per ripensare a quel vecchio quadernetto in
pelle
marrone: lei e Harm avevano reso omaggio ai due uomini che a loro
avviso li
avevano resi coscienti del loro amore, chiamando il miracolo che
avevano
concepito Andrew Alexander.
Alla luce
dell'uomo che era diventato, Sarah era sempre più
convinta che i nomi che il figlio portava avevano avuto grande
influenza sulla
sua personalità e sul suo destino. Ad ogni successo del ragazzo ne
parlava con
Harm, il quale replicava divertito che era troppo romantica per essere
un duro
colonnello dei Marine. Il marito l'aveva presa in giro anche quando
aveva
insistito affinché Andy imparasse il francese e persino un po’ di
tedesco,
consapevole del motivo che si celava dietro alla conoscenza di una
lingua che
non era certo tra quelle più richieste nel mondo del lavoro. Così,
quando
Andrew l'aveva pregata di dargli qualche lezione in occasione del
tradizionale
ballo di fine anno della scuola e lei si era lanciata a spiegargli
addirittura
i passi del valzer sulle note dei classici valzer viennesi – che lei
aveva
segretamente imparato anni prima, nel periodo in cui stava con Clay -
si era
assicurata che il ragazzo non dicesse nulla al padre. Dal canto suo
Andy non
aveva alcuna intenzione di sbandierare in giro che passava alcune ore
al giorno
a danzare balli d'altri tempi con la madre, per cui la faccenda era
rimasta un
segreto tra loro due.
Harm aveva
appreso dell'argomento della telefonata solo
quella mattina, poiché la sera prima la chiacchierata con Andrew si era
protratta a lungo e Sarah non se l'era sentita di svegliarlo; quando lo
aveva
messo al corrente di ciò che aveva saputo, si era presa finalmente la
sua
piccola rivincita di fronte all'espressione incredula del marito alla
notizia
che il loro figlio si era innamorato proprio dell'ultima discendente
del Conte
d'Harmòn.
"Non ci posso
credere... Ma ne sei proprio
sicura?" aveva domandato.
"Sì. Appena
sveglia ho controllato il cellulare e
c'era il messaggio di Andy che mi confermava il tutto dopo aver letto i
nomi
sulle tombe".
"Mi stai
dicendo che è stato a Cluny, nella casa dove
nacque il conte, per tutto questo tempo senza sapere che si trattava di
lui?"
"Non
dimenticare, tesoro, che nostro figlio fino a
ieri non sapeva nulla della nostra storia. A Cluny ci è capitato per
caso, così
come per caso aveva già conosciuto la donna che poi ha scoperto essere
l'erede
del Duca. O Conte, come meglio lo conosciamo noi" gli aveva spiegato.
"Tutta questa
storia ha
dell'incredibile..." aveva
commentato Harm prima di chiamare mr. Rumsfield e chiedergli un
appuntamento.
Lei non aveva
detto ad Andrew della possibilità di
recuperare il diario mancante, per evitare di dargli delle speranze
qualora non
vi fossero riusciti, ma non aveva dubbi sull'esito della missione di
Harm. Era
stato proprio lui stesso, infatti, a dirle che quando erano rientrati
dall'Europa ed egli era stato nominato ammiraglio e posto al comando
del Jag,
si era avvalso della propria posizione per contattare mr. Rumsfield e
domandargli notizie del diario. L'idea che quell'antico cimelio non
potesse
tornare ai legittimi eredi infastidiva anche lui. Aveva raccontato a
Jason
Rumsfield di Lord Montagu e aveva saputo che nessuno aveva fatto
richiesta del
diario. Mr. Rumsfield gli aveva garantito che avrebbe sistemato le cose
affinché
anche i suoi eredi sapessero della faccenda in modo tale che, quando
lui fosse
passato a miglior vita, il diario sarebbe sempre stato a disposizione
di
eventuali legittimi proprietari che lo avessero reclamato.
Pertanto si
trattava solo di attendere il ritorno di Harm
e poi confermare il volo per la Francia, dopo aver preso
accordi con Andrew.
Sorrise,
ripensando a com'era iniziata la conversazione
col figlio, la sera precedente.
Andy l'aveva
chiamata come faceva ogni cinque o sei
giorni, prima di andare a nuotare in piscina. Sarah già sapeva dalle
precedenti
conversazioni che il figlio si trovava da alcuni mesi in Francia, a
caccia di
nuova ispirazione. Aveva colto nelle sue parole un profondo desiderio
di
cambiamento e si augurava che riuscisse a soddisfare quell'esigenza che
sembrava così radicata in lui. Si era domandata cosa lo avesse spinto
in quella
direzione, dopo così pochi anni di successo in un genere di romanzi che
riscuotevano sempre ottimo consenso dal pubblico ma, conoscendo Andy,
non si
era sorpresa neppure così tanto. Fin da quando era un bambino, infatti,
era
stato di un'intelligenza vivace e superiore alla media dei suoi
coetanei:
sembrava avesse riunito in sé le migliori qualità sue e di Harm e
questa
brillante intelligenza lo aveva sempre reso assetato di conoscenze e lo
aveva
sempre spinto verso scelte a prima vista più difficili, ma che col
tempo si erano
rivelate vincenti.
Benché Andrew
la mettesse al corrente dei suoi spostamenti
e di ciò che gli passava per la mente in un modo così insolito per un
ragazzo,
al punto da suscitare invidia nelle amiche i cui figli o figlie non
facevano
altrettanto, al tempo stesso a volte tralasciava particolari che lui
giudicava
inutili, mentre lei considerava importanti. Nella fattispecie avrebbe
preferito
sapere prima che la residenza di un
nobile europeo risalente ai tempi della rivoluzione francese
si trovava a
Cluny, piuttosto che sapere che la medesima residenza, a quanto le
aveva detto
Andrew, si trovava non troppo lontano da
Parigi e possedeva una fantastica piscina che avrebbe potuto
utilizzare per
tutto il tempo del suo soggiorno. Ma Andrew era Andrew e per lui i
particolari
importanti erano altri.
Pertanto,
quando la sera prima aveva esordito con "Non
immaginerai mai, mamma, dove andrò
stasera" lei non aveva fatto altro che assecondare il figlio
come
aveva sempre fatto e così aveva saputo della festa.
Si era invece
sorpresa quando, poco dopo, cambiando
argomento all'improvviso, le aveva domandato come mai lo avevano
chiamato
Andrew Alexander.
"Come mai ti
viene in mente di chiedermelo proprio
ora?" gli aveva domandato lei, di rimando.
"Così..."
aveva risposto lui; ma subito dopo
aveva aggiunto: "Mi incuriosisce il fatto di chiamarmi come il
primogenito
dell'uomo di cui sto leggendo i diari".
Quando lei
gli aveva chiesto di spiegarsi meglio, Andrew
si era esibito in un appassionato racconto. Era sempre stato bravo a
narrare,
soprattutto quando l'argomento lo affascinava. E in quel caso doveva
affascinarlo molto, poiché lo aveva sentito davvero eccitato mentre le
raccontava come aveva scoperto dei diari risalenti all'ottocento,
scritti da un
conte francese che aveva anche ereditato da uno zio il titolo di duca
in Inghilterra,
dove aveva anche vissuto, e come li stava leggendo assieme alla donna
di cui si
era innamorato, ultima discendente del Duca.
"Fermati un
attimo... Ti sei innamorato? Ho capito
bene?" aveva chiesto lei, esterrefatta a quella notizia, che lui invece
le
aveva comunicato come se le stesse dicendo che usciva per andare a
comprare il
pane.
"Hai capito
bene, mamma" aveva confermato lui,
con un tono divertito. Poi aveva aggiunto, esasperandola: "Li sto
proprio
leggendo con lei".
"Non era
quello a cui mi riferivo quando ti ho
chiesto se avevo capito bene" lo aveva rimproverato, fermandosi non
appena
aveva colto la risata del figlio. La stava prendendo in giro!
"Ti sembra
così strano, vero, che mi sia innamorato?"
aveva chiesto Andrew.
"No, ero
certa che prima o poi ti sarebbe successo. È
solo che..."
"Non ti
aspettavi che mi innamorassi di una francese?
Ma Nicole è una lady inglese. Ha origini francesi solo per parte di
madre e
risalgono ad almeno quattro, se non cinque, generazioni fa".
"No, non è
neppure quello a sorprendermi. È solo che
così sarai tanto lontano... Lo so, lo so, devo smetterla di fare la
madre
chioccia" lo aveva prevenuto lei.
"A me piace
che tu sia una mamma chioccia... Ad ogni
modo è prematuro fare questi discorsi, quando lei non mi ha ancora
voluto".
"Oddio, ti
trasferirai davvero in Europa,
allora!"
"Mamma, ma mi
stai ascoltando?"
"Assolutamente,
Andy" aveva risposto.
"E allora..."
"Lei non ti
ha ancora voluto ma prima o poi ti vorrà...
Se sei innamorato di lei nonostante non ti abbia ancora ricambiato,
quando lo
farà non avrai scampo".
"Lo dici come
se fosse una tragedia" aveva detto
lui, con un misto d'ansia e divertimento.
"No, caro.
Sono felice per te. È solo che mi
mancherai..."
"Mamma, vivo
già per tre quarti dell'anno altrove".
"Lo so... E
poi ci sono gli aerei... Però saresti
dall'altra parte del pianeta. Ma ora raccontami meglio di questa sera e
della
faccenda dei diari, che mi ha incuriosito parecchio".
E così Andrew
le aveva spiegato tutto quanto. Mano a mano
che proseguiva nel dirle quanto aveva saputo degli antenati di Nicole
-anche
quel nome al femminile le faceva venire i brividi- a Sarah quella
storia
sembrava tutto fuorché una coincidenza. Dopo avergli fatto una serie di
domande
tra cui quella diretta relativa ai nomi dei due antenati e aver saputo
che
ancora non li conosceva, per sua esplicita volontà in quanto voleva
immaginarseli a suo piacimento mentre dei nomi lo avrebbero
condizionato,
Andrew aveva iniziato ad intuire qualcosa e le aveva chiesto cosa
sapeva lei di
tutta quella faccenda. E così, per la prima volta, aveva raccontato a
suo
figlio tutta la vicenda del diario di un conte francese ritrovato tra
le carte
di un ammiraglio americano e di come quel ritrovamento avesse influito
tanto
sulla storia d'amore tra lei e suo padre. Gli aveva anche detto
dell'inaspettato incontro con lord Montagu e di quanto avevano saputo
dal
discendente di Lady Sarah.
"Quindi il
mio nome è per ricordare sia il conte sia
l'ammiraglio..." aveva dedotto il figlio. Poi aveva aggiunto che
trovava
sorprendente anche l'assonanza tra i due nomi del passato e quelli dei
suoi
genitori.
"È davvero
tutto molto strano e al tempo stesso
affascinante. Quindi tu e papà avete letto il diario mancante?" aveva
domandato, rapito da tutta quella incredibile vicenda. Sarah aveva
sorriso,
cogliendo lo stupore del figlio, anche se non se ne sorprese. Fin da
piccolo
era sufficiente raccontargli di come le formiche costruivano la loro
casa perché
la sua immaginazione prendesse il volo e iniziasse a costruire una
piccola
avventura partendo da un formicaio.
"Già...
Sempre che quello letto da me e tuo padre sia
il diario dello stesso uomo che ha scritto quelli che state leggendo
voi".
"Lo saprò
presto. Vado subito ad accertarmene e ti
farò sapere. Ciao mamma" ed aveva chiuso la telefonata con la stessa
rapidità con cui da piccolo si catapultava in giardino a giocare.
Andrew era
nato e cresciuto a Londra, dove avevano vissuto
per sei anni in una casetta che ricordava quella dei Banks in Mary Poppins, in una strada molto simile
al viale dei Ciliegi disneyano: nonostante fosse passato un secolo
dall'ambientazione temporale del film, in alcune zone della città il
tempo
sembrava essersi fermato. Vi si erano trasferiti dopo la nascita di
Andrew,
quando era ormai evidente che l'incarico di Harm a Londra sarebbe
durato per
alcuni anni. Nonostante amassero entrambi la loro vita in America e
sperassero
di farvi ritorno prima possibile, sia lei che Harm avevano accolto con
serenità
l'idea che il ritorno in patria sarebbe avvenuto sì, ma col tempo.
Per
intercessione del Segretario, era potuta restare in
Inghilterra e lavorare a fianco di Harm, che aveva sposato con una
cerimonia
organizzata da Harriet, durante un week-end in cui erano volati in
America solo
per evitare che parenti e amici si spostassero a Londra, dove lei non
conosceva
ancora nessuno.
Sia poco
prima della cerimonia, sia nelle settimane
successive, Clayton non aveva fatto altro che tentare di dissuaderla e
convincerla a tornare con lui. Non si rassegnava a come lo aveva
lasciato per
stare finalmente con Harm. Se da un lato poteva comprendere il suo
disappunto
-in fondo non si era comportata granché bene con lui- dall'altro la sua
continua insistenza lo aveva fatto ben presto passare dalla parte del
torto ed
era stato necessario l'intervento dell'Ammiraglio col quale si erano
confidati
per farlo desistere. Ciononostante per diverso tempo, anche dopo la
nascita del
bambino, Sarah non aveva smesso di avere la sensazione di essere
seguita. Non
aveva detto nulla al marito, ma l'Ammiraglio le aveva suggerito
prudenza. Nelle
settimane in cui Trish e Frank si erano fermati a Londra per conoscere
il loro
nipotino si era resa conto che quella sensazione era scomparsa e non
era più tornata.
O si era immaginata tutto a causa del senso di colpa, oppure Clayton
alla fine si
era rassegnato.
Belinda era
stata più comprensiva: non aveva fatto
scenate, si era ritirata di buon grado, rivelandosi una donna
intelligente e
amabile. Col tempo erano diventate persino amiche e, quando aveva
sposato un
medico contro il volere della madre, lei e Harm erano stati felici di
accogliere anche Paul nella piccola cerchia di amici londinesi. Tra
l'altro
Paul era un pediatra, ed era il dottore di Andrew da quando era nato:
Belinda
lo aveva conosciuto proprio a casa loro una volta che era passata a
trovare il
piccolo che aveva la febbre. Dopo trent'anni e nonostante la
lontananza, erano
ancora amici e Andrew li chiamava da sempre zio Paul e zia Belinda.
Quando erano
tornati in America la loro vita era ripresa all’incirca
come prima, col lavoro ad impegnarli, anche se non più nelle missioni
pericolose di un tempo. Harm ogni tanto si lamentava delle scartoffie
da
Ammiraglio a capo del Jag e rimpiangeva i bei tempi in cui volava sugli
F14, ma
Sarah sapeva che in fondo era orgoglioso della nomina, che riconosceva
le sue
qualità non solo di militare ma soprattutto dell'uomo.
Da parte sua
era felice per lui e per il fatto che non
dovevano più volare da un capo all'altro del pianeta, se non per
trovarsi ogni
tanto con Paul e Belinda. Le sue aspirazioni di carriera e l'ambizione
che
l'aveva sempre spinta a competere con Harm si erano placate quando si
erano
sposati ma soprattutto quando era nato Andrew. Lavorava ancora con
piacere e
orgoglio, ma essere diventata madre aveva riempito quel bisogno
costante di
approvazione che aveva sempre ricercato negli altri e nelle sfide con
se
stessa. La maternità e l'amore del marito le avevano dato quella
serenità che
ricercava fin da bambina.
E così la
vita era trascorsa tra una festa di compleanno e
i successi scolastici del figlio, e nel giro di poco si erano ritrovati
in casa
prima un bambino, poi un ragazzo ed infine un giovane uomo.
Alla morte di
Trish, rimasta già vedova alcuni anni prima,
Harm aveva ereditato la casa in California che all’inizio avevano usato
per le
vacanze, per poi trasferirsi definitivamente cinque anni prima, quando
entrambi
avevano concluso la carriera lavorativa. Harm talvolta si recava ancora
a
Washington quando alla Casa Bianca avevano bisogno di un parere in cui
l'esperienza dell'ex capo del Jag, che aveva vissuto anche numerose
esperienze
come militare sul campo e, soprattutto, come aviatore, poteva essere
determinante; oppure ci andavano insieme, a trovare gli amici o per
partecipare
a qualche festa importante.
Il
trasferimento a La Jolla era coinciso anche
col successo di Andrew
come scrittore, il quale aveva lasciato il nido appena terminati gli
studi e si
era trasferito a New York ad insegnare e scrivere; dalla pubblicazione
del suo
primo romanzo li raggiungeva in California ogni volta che terminavano
tutte le
incombenze legate al lancio del nuovo libro. Restava da loro un paio di
settimane per riprendersi, così diceva, dallo stress e ritrovare
l'ispirazione.
In quei giorni cavalcava, nuotava e pilotava il vecchio aereo del
padre,
regalando così ad Harm la gioia di salirci di nuovo sopra almeno una
volta
all'anno, dopo che gli era stato impedito dall'ultima visita di
idoneità al
volo alla veneranda età di quasi sessant’anni. Padre e figlio sparivano
per una
giornata intera e al loro ritorno Harm sembrava più giovane di
vent’anni.
Quella era la
prima volta, da quando era diventato famoso,
che non li raggiungeva dopo la pubblicazione del romanzo. Alla luce di
quanto
aveva appreso dalla telefonata, la profonda crisi di suo figlio legata
al
cambiamento che desiderava per la sua professione a quanto sembrava lo
aveva
condotto non solo oltre oceano, ma anche incontro al proprio destino.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 32 *** Desiderio ***
Capitolo XXXII
Desiderio
Si stirò,
appagata, e poi girò il capo per imprimersi
nella mente l'espressione che assumeva nel sonno. Lei, invece, non era
riuscita
a chiudere occhio, nonostante fosse spossata dalle lunghe e intense ore
d'amore
appena vissute.
Non appena si
mise a contemplarlo si sentì assalire da
un'altra ondata di desiderio. Faticò a riconoscersi, perché una voglia
tanto
intensa non l'aveva mai provata, per nessun uomo. Neppure per
Christopher.
Si disse che
doveva lasciarlo riposare almeno qualche ora;
ne aveva bisogno, dopo tutte le volte che l'aveva portata al culmine
dell’estasi.
Sembrava si fosse posto l'obiettivo di procurarle piacere finché non
fosse
diventata insensibile al suo tocco. Il problema era che lei sembrava
rinascere
ad ogni suo tocco e non smetteva di desiderarlo.
Anche in quel
momento ogni dettaglio del suo volto, ogni
particolare del suo corpo, non facevano altro che farle desiderare di
svegliarlo per poterlo amare di nuovo.
Quando
l'aveva presa sul tappeto era stato intenso e
appassionato. Amava descriverle a parole ciò che voleva farle, per poi,
un
attimo dopo, mettere in pratica ciò che le aveva promesso. All'inizio
aveva
pensato fosse una sua piccola mania, ma ben presto aveva capito che
Andrew le
parlava solo per eccitarla di più. Usava la propria abilità nel
raccontare e la
sua capacità di visualizzare per rendere più erotico ogni gesto e
caricarlo di
aspettativa, al fine di coinvolgerla il più possibile nella propria
fantasia.
Più tardi
l'aveva presa in braccio e portata a letto.
Durante il breve tragitto dallo studio alla zona notte dello Chateau, stretta a lui e coperta solo
dall'abito rosso che Andrew le aveva avvolto attorno al corpo, si era
sentita
come una vergine d'altri tempi che aveva appena scoperto le gioie del
talamo
nunziale. Nelle ore successive, invece, mentre lui l'amava di nuovo con
dolcezza e nel più assoluto silenzio, si era resa conto di passare da
uno stato
d'animo all'altro, quasi che quell'uomo affascinante fosse in grado di
far
uscire dal suo profondo tutte le sfaccettature della sua personalità e
i
desideri più intimi, che neppure lei sapeva di possedere. Dal languore
voluttuoso e inesperto della fanciulla appena posseduta, era passata al
desiderio intenso e sensuale di una donna disinvolta che esigeva un
uomo nel
proprio letto, e quel desiderio intenso e possessivo non l'aveva ancora
abbandonata. Osservandolo si rese conto di volere anche qualcos'altro.
Facendo
attenzione a non svegliarlo si alzò; infilata la
camicia di Andrew, scese rapida le scale e raggiunse lo studio, dove
recuperò
la macchina fotografica, alcuni indumenti che avevano dimenticato e il
diario
del suo antenato. Ritornata in camera e constatato che lui dormiva
ancora,
iniziò a fotografarlo; dopo i primi scatti si decise a spostare il
lembo di
lenzuolo che gli copriva i fianchi e lo inquadrò da varie angolazioni:
Andrew
era steso prono, il volto appoggiato sulla guancia sinistra e il
braccio che
ricadeva rilassato giù dal letto. La penombra donava alla curva dei
suoi glutei
e alle gambe un che di sensuale, allontanando l'idea di volgarità che
un’illuminazione
eccessiva avrebbe potuto suggerire nel ritratto di un corpo nudo in una
posa
tanto vulnerabile.
Per Nicole la
fotografia non era solo un'arte, ma anche
una forma di terapia personale; aveva da presto compreso che ogni sua
foto
raccontava, non solo agli altri ma soprattutto a lei stessa, i moti del
suo
cuore e della sua mente. In maniera inconscia ritraeva sempre ciò che
più la
turbava, sia in negativo sia in positivo. Era sempre l'istinto a
guidarla e
ogni volta, osservando le foto, intuiva cosa c'era dietro ad una certa
scelta
istintiva. A volte riusciva persino a percepirlo prima ancora di
premere
l'otturatore, semplicemente dalla scelta delle inquadrature. Come in
quel momento:
le immagini che si presentavano ai suoi occhi, mentre guardava il corpo
nudo
del suo amante attraverso l'obiettivo, suggerivano ben più di sesso e
passione;
la scelta dell'angolazione, della luce, della posa... tutto indicava un
sentimento più profondo del mero desiderio fisico. Forse sarebbe stato
meglio
evitare quegli scatti, in fondo non aveva mai desiderato ritrarre
nessun uomo
con cui era andata a letto. Neppure Christopher.
Andrew, però,
era un'altra faccenda.
Combattuta
tra il desiderio e la paura di amarlo, continuò
a girargli intorno, inquadrandolo, finché non riuscì più a resistere a
quell'immagine di splendore maschile e scattò diverse foto prima che
lui la
apostrofasse con voce assonnata e divertita.
"Stai per
rendermi il favore e regalarmi il tuo Sogno
di inizio estate?"
Lei non
rispose e continuò a scattare, anche quando lui si
voltò di fianco e rese la sua posa ancora più censurabile.
"Hai idea
dello scoop
che hai tra le mani?" aggiunse lui, per provocarla.
"Temi che
possa inviarle al rettore della tua
università? Il professore modello
immortalato
in un servizio a luci rosse..." rispose finalmente lei, senza smettere
di
scattar foto.
"Non mi
preoccupo di questo".
"Giusto. Le
tue studentesse impazzirebbero per queste
foto" aggiunse lei, del tutto ignara di aver realmente tra le mani la
possibilità di un enorme scoop: la
svelata identità del giovane scrittore del mistero, per di più senza
veli.
"A quanto
pare impazzisci anche tu" commentò
lui, che stava riflettendo sul perché di quelle foto.
Lei fece
qualche passo in direzione della pediera del
letto, alla ricerca della giusta angolazione e fotografò il suo corpo
nudo
disteso su un fianco; riuscì a ritrarlo di fronte,
inquadrato dalla testa ai piedi, senza che
l'immagine rivelasse il suo membro scoperto.
Soddisfatta
di quell'ultimo scatto ripose la macchina
fotografica, prese il diario del suo antenato e tornò a sedersi sul
letto;
tuttavia Andrew ignorò il suo suggerimento e non mollò la presa.
"Perché
queste foto? Credevo ti bastassero quelle di
ieri notte per soddisfare la tua lussuria" la provocò divertito,
pregustando la sua reazione offesa poiché era conscio d'esser stato lui
a
coinvolgerla in una sequenza di foto altamente erotiche.
Invece la sua
risposta lo stupì.
"L'alternativa
era saltarti addosso mentre stavi
ancora dormendo e non mi sembrava carino".
"Avresti
potuto svegliarmi...".
"Avevi
bisogno di dormire. E poi nelle foto di
stanotte il soggetto più esposto ero sempre io. Dovevo porvi rimedio"
disse lei fingendo d'essere seria, ma senza riuscirci.
"E dimmi"
proseguì lui con lo stesso tono di
finta serietà "hai ancora voglia di saltarmi addosso?"
"Preferisco
leggere il diario".
"Mhmm...
Davvero?" la provocò a parole e poi
fece immediatamente seguire i fatti: le si avvicinò e prese ad
accarezzarle la
gamba nuda, dal polpaccio all'attaccatura della coscia, sfiorando
volutamente
l'intimità del suo corpo appena coperta da ciò che lei indossava.
"Mi piace
come ti sta la mia camicia..." mormorò
al suo orecchio, mentre le toglieva dalle mani il diario e lo posava a
terra.
"A questo
penseremo dopo...".
Dopo furono
alcune ore più tardi.
Scesero in
cucina per recuperare del cibo che Madeleine
aveva preparato il giorno prima, dopo aver chiesto il permesso per
assentarsi
un paio di giorni col marito. Mentre riempiva due vassoi con le
leccornie che
l'anziana governante aveva lasciato in frigo, Nicole si domandò se i
domestici
non si fossero allontanati apposta per lasciarli soli.
Consumarono
il pasto a letto e, finalmente, ripresero la
lettura del diario dal punto in cui lo avevano lasciato prima di essere
assorbiti dalla festa e da ciò che era seguito.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 33 *** Sfumature di un inganno ***
Capitolo XXXIII
Sfumature
di un inganno
"Com'è
andata?".
La
domanda di Thomas la
raggiunse non appena fu entrata nella stanza dove, se ne rese conto
solo in
quel momento, lui la stava aspettando.
"Bene...
credo. Ho
atteso per alcuni minuti fuori dalla mia camera..." rispose lei, con un
accenno di esitazione nella voce.
Lui
la scrutò alla luce
del camino: sembrava turbata.
"E'
accaduto
qualcosa? "
"No,
no, state
tranquillo. Tutto procede come abbiamo pianificato."
"Allora
perché
siete turbata?"
Cosa
poteva
rispondergli?
Che
trovarlo lì, ad
attendere Lady Sarah per riaccompagnarla a Beaulieu in caso il piano
fosse
fallito, e presentarsi a lui in camicia da notte non era ciò che ci si
aspettava da una giovane di buona famiglia, benché vedova? Il fatto era
che non
ci aveva neppure pensato: uscita dalla camera da letto con ancora il
timore di
essere scoperta, non si era domandata se il Conte si trovasse ancora
nel
salottino dove lo aveva fatto accomodare con Lady Sarah quando erano
arrivati... Ci era ritornata -punto- sapendo che la Duchessa
lì l'avrebbe
raggiunta non appena il Duca si fosse addormentato, se le cose non
fossero
andate come tutti loro speravano.
Oppure
che sedurre il
Duca di Lyndham per convincerlo a trascorrere la notte con lei e poi
lasciarlo
a sua moglie non era stato affatto facile? Nicholas era un uomo
affascinante e,
anche se ora lo considerava solo un amico, era pur sempre una giovane
donna che
non aveva mai conosciuto la passione e che desiderava sperimentarla.
"È
solo un po’ di
nervosismo, all'idea che qualcosa potesse andar storto..." si limitò a
dirgli, e in parte era vero.
Quando
si era alzata
dal letto per chiudere le tende, così gli aveva detto, e permettere
alla moglie
di prendere il suo posto, aveva temuto che lui si accorgesse dello
scambio e si
infuriasse. D'altro canto si sentiva anche in imbarazzo con Lady Sarah
che,
nascosta già da prima nella camera, aveva assistito all'opera di
seduzione che
aveva dovuto inscenare per farlo capitolare. Nonostante ne avessero
parlato
quando lei e Thomas le avevano spiegato la loro teoria e il piano che
aveva
escogitato, la
Duchessa
era ancora restia a credere a quanto le avevano detto e aveva
accettato,
Eleanor ne era sicura, lo aveva captato dallo sguardo ancora innamorato
della
donna, solo per trascorrere ancora una notte tra le braccia del marito.
Si era
infatti mostrata alquanto scettica quando le avevano detto d'esser
certi che
Nicholas l'amava come un tempo: con estrema razionalità aveva confutato
la loro
convinzione sostenendo che se Lady Cavendish fosse riuscita
nell'intento di
portarsi a letto il marito al fine di permettere lo scambio di persona,
ciò
stava a significare che Nicholas non l'amava più. A quelle parole in
effetti
molto logiche, né Eleanor né Thomas erano riusciti
a ribattere qualcosa; comunque alla fine Lady
Sarah aveva acconsentito e ora Eleanor poteva solo sperare che quella
notte,
nonostante l'inganno, sistemasse le cose tra marito e moglie e che
Sarah
scordasse prima possibile d'averla vista e sentita sedurre il consorte.
Era
felice che almeno
Thomas non fosse stato presente, benché sapeva che sarebbe stato in
grado di
immaginarsi comunque la scena. Già così era imbarazzata a sufficienza.
Doveva
ammettere che
Nicholas non era stato un osso duro come temeva: non appena era giunto
a
palazzo rispondendo al suo invito, si era subito reso conto che la
motivazione
che aveva letto sul biglietto col quale lei lo aveva pregato di
raggiungerla
era una scusa, poiché lo aveva accolto nel propria stanza da letto,
illuminata
solo dalla luce tenue di una candela, in un negligè
di pizzo e seta. Si era irrigidito non appena lo aveva sfiorato e
l'aveva
fermata quando l'aveva baciato, rammentandole quanto detto alcune sere
prima.
Lei aveva insistito, ricordandogli a sua volta il bacio appassionato
che si
erano scambiati proprio in quell'occasione... Era proprio a causa di
quel bacio
che ora si trovava lì: avendo colto la sua passione e il suo desiderio
a lungo
insoddisfatto, temeva che prima o poi qualche presunta amante riuscisse
a fargli
tradire la moglie. A quel punto preferiva essere lei la fortunata. Lui
aveva
esitato, come combattuto per la propria decisione; dopo qualche attimo,
tuttavia, l'aveva guardata incuriosito e intrigato e aveva capitolato
prima del
previsto, prendendola tra le braccia e facendole desiderare, per un
momento, di
non dover essere un'amica leale.
Quando
aveva esposto il
suo piano a Thomas e anche dopo, quando lo aveva spiegato a Sarah, egli
non
aveva detto nulla, il volto teso in una maschera di marmorea
indifferenza,
attraverso la quale non traspariva alcuna emozione. Non aveva obiettato
al
piano, ma non si poteva neppure dire che ne fosse entusiasta. Di certo
temeva
che le si sarebbe rivoltato contro, inducendola a cacciarsi nei guai se
si
fosse innamorata dell'amico. Alla luce di come si era sentita turbata
quando
Nicholas l'aveva baciata e trascinata nel letto, forse Thomas aveva
ragione a
temere per lei. Tuttavia lei era certa che il turbamento provato fosse
solo
dovuto al risveglio dei sensi e non all'amore... Era sicura di provare
per il
Duca solo dell'affetto, ma era comunque un uomo tra i più avvenenti che
avesse
mai visto, e poi baciava benissimo...
"Non
abbiate
timore. Non vi giudico per ciò che avete fatto: la vostra idea era
eccellente".
Sorpresa
lo guardò:
ancora una volta Thomas le aveva letto nel pensiero. Era inquietante
osservare
come sapeva sempre ciò che le passava per la testa.
"Vi
ringrazio. Non
credevo che approvaste. Non vi siete mai espresso in proposito".
"Lo
so..." le
disse senza fornire altre spiegazioni, ma avvicinandosi, prendendole
una mano e
portandosela alle labbra. Sfiorò un dito alla volta e poi risalì a
baciarle
l'interno del polso.
"Thomas..."
tentò di fermarlo lei "non credo sia il caso..."
"Sì,
invece"
disse deciso "avete un aspetto troppo perfetto..."
"Cosa
intendete?" domandò lei in un sussurro, eccitata dalle sensazioni che
stava provando mentre lui continuava a sfiorarle la mano con la
propria. Era
ancora troppo vulnerabile per un ulteriore attacco ai suoi sensi già
eccitati
da Nicholas.
"Quando
Nick vi
rivedrà, più tardi, dovrete sembrare una donna soddisfatta dopo una
notte di
passione..." disse, avvicinando il volto al suo.
"Ma
ciò che noi
speriamo è che lui non mi riveda" disse, cercando di fermarlo. Ma a
quanto
sembrava, fermarsi non era nelle sue intenzioni.
"Adesso
avete solo
l'aria di una donna colpevole di un inganno". Le depose un lieve bacio
prima sulla tempia, poi sulla guancia, mentre la mano che prima
sfiorava la sua
era risalita ad accarezzarle il braccio nudo.
"Thomas...
"
esalò in un sospiro il suo nome, eccitata dai brividi che stava
provando.
Le
labbra di lui
raggiunsero l'angolo della sua bocca dove egli depositò lievi baci,
leggeri
come il tocco di una piuma. Poi sussurrò, deciso:
"Dovrete
avere
l'aria di una donna che sia stata appena e a lungo baciata".
"Thomas...
vi
prego..." ciò che le stava facendo era una tortura peggiore di quella
appena vissuta tra le braccia di Nicholas. Il conte di Linley era più
sfacciato
e più temerario di quanto sembrasse a prima vista.
Lui
non si fece fermare
dalla sua indecisione e prese a torturarle le labbra con le proprie,
senza
tuttavia baciarla realmente. La stuzzicava, sfiorando al tempo stesso
con le
mani il volto, i capelli, le spalle nude... finché lei non socchiuse
d'istinto
la bocca: allora, deciso, la invase e la baciò a lungo, con una
passione che
mai si sarebbe aspettata da lui.
Persa
in quel bacio
infuocato, per un breve attimo si disse che anche il conte baciava
benissimo...
forse la stava baciando persino con più trasporto... ma ben presto
lasciò
perdere qualsiasi paragone e si abbandonò alle sensazioni.
Sentì
il suo corpo
eccitarsi ed il proprio illanguidirsi sotto quell'assalto dei sensi e
intuì che
lui non stava agendo per il nobile scopo di renderla più credibile agli
occhi
dell'amico, o almeno non solo. Quella consapevolezza la aiutò a
lasciarsi
andare ancora di più e godere appieno di ciò che lui aveva intenzione
di
donarle.
Ciò
che non aveva
capito era che Thomas non aveva programmato nulla, ma stava agendo per
puro
istinto, quell'istinto che non aveva saputo reprimere vedendola entrare
nella
stanza con indosso solo quel negligè
in pizzo e negli occhi un turbamento che aveva temuto essere causato
dai
sentimenti per Nicholas.
Non
voleva perderla.
Era
ancora in tempo, o
almeno lo sperava, per evitare che l'infatuazione per l'amico si
trasformasse
in qualcosa di più profondo e aveva deciso di essere meno gentiluomo e
più
diretto. Non si aspettava, tuttavia, quell'esplosione di desiderio da
parte di
entrambi.
La
strinse tra le
braccia, facendo aderire i loro corpi e Eleanor emise un gemito di
piacere,
mentre finalmente si lasciava andare e rispondeva alle sue attenzioni.
Si
aggrappò alle sue spalle e gli infilò una mano tra i capelli, in una
dolce
carezza che gli fece perdere quel poco di buonsenso che gli restava.
Non
aveva avuto
intenzione di arrivare fino a quel punto, aveva pensato solo di
baciarla... ma
sentirla rispondere in maniera tanto appassionata ai suoi baci gli fece
desiderare di toccarla e, mentre una mano scendeva a sollevarle la
camicia da
notte fino a scoprirle le gambe e l'altra si insinuava ad accarezzarla
nella
sua parte più intima, Thomas si rese conto di non agire per renderla
più
credibile agli occhi dell'amico, quanto piuttosto per soddisfare il
proprio
desiderio.
Lei
sussultò quando si
rese conto della sua audacia, ma egli le sussurrò sulle labbra:
"Non
fermatemi,
Eleanor. Lasciatemi continuare..."
Lei
non rispose ed egli
interpretò il suo silenzio come un invito a proseguire e nei minuti
successivi
le regalò un piacere che non aveva mai provato. Suo marito, infatti, si
era
limitato a possederla e, benché la trattasse con affetto e rispetto, si
era
sempre preoccupato solo di se stesso. I loro amplessi erano finalizzati
unicamente alla procreazione di quell'erede che ancora sperava di avere.
Thomas
invece la stava
toccando con l'unico fine di donarle qualcosa, se ne rendeva conto da
come era
attento ad ogni sua reazione e da come assecondava ogni suo movimento
incontrollato. La guardava con dolcezza, le baciava le labbra,
scendendo lungo
la gola... La mano che prima aveva sollevato la camicia da notte, era
risalita
ad accarezzarle il seno, per regalarle maggiori brividi... E lei
esplose
proprio in quel momento, in un appassionato susseguirsi di sussulti e
gemiti.
Quando
lui l'abbracciò
con tenerezza, sorreggendola, Eleanor si rese conto che quello che le
era
appena accaduto era ciò che lui aveva inteso donarle.
"Ecco,
ora non
siete più troppo perfetta, ma avete l'aspetto di una donna
soddisfatta..."
le disse lui con un sorriso accompagnato da una dolce carezza sulla
guancia,
mentre la guardava in volto e ne osservava gli occhi languidi, i
capelli
spettinati e le labbra arrossate.
Nonostante
l'imbarazzo,
Eleanor lo scrutò a sua volta e gli domandò:
"È
stato solo per
questo che lo avete fatto? Solo per darmi il giusto aspetto per quando
Nicholas
mi rivedrà?"
"Voi
cosa ne
pensate?" domandò lui a sua volta. Poi, vedendo che non rispondeva, le
sfiorò con le labbra il dorso della mano, come l'ineccepibile
gentiluomo che
era e, mentre si allontanava da lei per tornare a sedersi sulla
poltrona che lo
aveva ospitato quando la sapeva tra le braccia del'amico, aggiunse,
spiazzandola:
"Decidete
voi,
Eleanor, quali sono state le mie intenzioni, stasera. Dalla vostra
decisione
dipenderà il futuro del nostro rapporto".
|
Ritorna all'indice
Capitolo 34 *** Novità ***
Capitolo XXXIV
Novità
"Tutto bene?"
chiese
Nicole. Si era accorta che anche lui era stato impegnato in una
telefonata, che
aveva concluso proprio mentre lei rientrava in camera.
"Sì. E tu?"
le domando a
sua volta.
"Era la mia
assistente... Ho
notizie fantastiche!"
Andrew
sorrise, immaginando la
conversazione tra Nicole e mademoiselle
Valens.
Era
mezzogiorno ed erano ancora a
letto, intenti a leggere il diario del Duca, quando il cellulare di
Nicole era
squillato e lei era uscita per rispondere, immaginando che si trattasse
di
ordini del fratello. Non voleva rovinare quella splendida giornata ed
era
intenzionata a troncare subito la conversazione, ma aveva colto fin
dalle prime
parole di saluto il tono concitato ed entusiasta della sua assistente.
Lui ne
aveva approfittato per chiamare la madre e aggiornarla sulle ultime
novità.
"Non ci
crederai, ma Alex
Andrews si è rifatto vivo e vuole incontrarmi!"
Ci credeva,
eccome.
Il pomeriggio
precedente, dopo
aver parlato con sua madre, dopo aver visitato le tombe e prima di
scendere per
accompagnarla alla festa, aveva chiamato mademoiselle
Valens per dirle che era intenzionato ad incontrare Lady Sinclair.
Ovviamente
si era presentato nelle vesti di Alex Andrews, anche se non ce ne
sarebbe stato
bisogno: l'assistente di Nicole, infatti, lo aveva riconosciuto subito
dalla
voce non appena l'aveva salutata. Si era raccomandato di attendere
l'indomani,
fino a mezzogiorno, prima di contattare Sua Signoria, per dargli il
tempo di
verificare col suo agente eventuali altri impegni. Se non lo avesse
risentito
nel frattempo, poteva dire a Lady Sinclair che l'avrebbe incontrata a
Parigi
fra tre giorni. Mademoiselle Valens
non aveva atteso un minuto più del necessario: il cellulare di Nicole
era
squillato alle dodici in punto.
"Lo
incontrerai?"
"Stai
scherzando, vero? Certo
che lo incontrerò! Non ho intenzione di lasciarmi sfuggire un'altra
volta
un'occasione simile".
"Nonostante
come ti ha
trattato? Sei disposta a perdonarlo?"
"Lui non sa
che non è stato
per mia volontà che ho disdetto più volte i nostri appuntamenti.
Quindi, dal
suo punto di vista, è lui che ha perdonato me, se di perdono vogliamo
parlare.
E comunque non mi importerebbe, neppure se fossi io a dovergli
perdonare
qualcosa. Non vedo l'ora di conoscerlo!"
Lui abbassò
lo sguardo,
imbarazzato. Un gesto che a lei non sfuggì.
"Che hai?"
"Niente".
Invece
qualcosa c'era, eccome.
Nonostante
avesse deciso di
rivelarle chi in realtà lui fosse, non era più sicuro di come lei
avrebbe
reagito quando avrebbe scoperto la verità. Aveva paura di perderla. E
ora, dopo
quanto era successo tra loro, temeva quell’eventualità per la prima
volta in
vita sua.
"Non sarai
geloso?"
domandò lei, sorpresa.
"Non eri così
felice di
rivedermi, quando sei arrivata qui due settimane fa. E neppure di
lavorare insieme,
quando te l'ho proposto. Saresti altrettanto magnanima con me, se
avessi fatto
qualcosa per cui farmi perdonare?"
"Sei geloso"
asserì lei,
con un sorriso, senza rispondergli, immaginando che la sua fosse una
domanda
retorica.
Invece Andrew
cominciava davvero a
temere il momento in cui le avrebbe rivelato la sua vera identità.
Non commentò,
lasciando che
traesse le proprie conclusioni.
"Non
immaginavo fossi un tipo
geloso... Né un tipo possessivo" gli disse mentre si stendeva di nuovo
nel
letto accanto a lui.
"Tu non lo
sei?" chiese
lui.
"Gelosa? O
possessiva?"
"Entrambe le
cose".
"No. Non
direi...".
"Quindi se ti
dicessi che nel
momento in cui tu sarai con il tuo scrittore preferito io vedrò
Monique, per te
non ci sarebbero problemi?"
Sapendo
d'averla colpita e
affondata la sbirciò di sottecchi, con un sorriso divertito sulle
labbra.
Lei si limitò
a rispondergli touché, facendolo
scoppiare in una
risata divertita e al tempo stesso confortante.
"Tranquilla,
non ho alcun
desiderio di rivedere Monique. Voglio solo te e spero che anche per te
sia
altrettanto. In caso contrario, ci sarà da qualche parte in questo
castello una
spada del tuo antenato con cui sfidare a duello questo scrittore da
quattro
soldi!” disse, facendo scoppiare a ridere lei.
“E ora
rimettiamoci al lavoro: se nelle
prossime settimane sarai impegnata con mr. Andrews, voglio sfruttare al
meglio
il tempo per noi che ci resta. Dobbiamo darci una mossa a leggere i
diari che
rimangono. E non solo quello…" aggiunse, ammiccando malizioso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 35 *** Un nuovo piano ***
Capitolo XXXV
Un
nuovo piano
Nicholas
voleva rivederla.
Doveva
ammettere di non aver previsto un
risvolto simile quando aveva ideato il piano. Era sicurissima che, se
nel
frattempo non l'avesse scoperta, dopo aver pensato d'aver tradito la
moglie il
Duca si sarebbe ricreduto e sarebbe tornato comunque da lei. Invece
voleva
trascorrere un'altra notte con la donna che riteneva essere diventata
la sua
amante. L'aveva detto alla moglie prima di addormentarsi tra le sue
braccia,
credendola l'altra.
Quando
Lady Sarah aveva raggiunto lei e Thomas
nel salottino dove entrambi l'attendevano in silenzio, era talmente
turbata da
non accorgersi neppure dell'imbarazzo che regnava tra il Conte e Lady
Cavendish. Eleanor stava ancora tentando di riprendersi dal momento di
appassionata intimità che avevano appena vissuto e non riusciva a
sostenere il
suo sguardo, che invece non l'abbandonava un momento. Il Conte di
Linley aveva
amoreggiato con lei lì, in quella stanza, addirittura in piedi,
praticamente
sulla porta. E lei non solo glielo aveva permesso, ma ne aveva anche
goduto: se
fosse stata sincera con se stessa, avrebbe persino ammesso di
desiderarlo
ancora.
"Sarah,
che vi succede?"
Era
stato Thomas a riprendersi per primo e
notare il turbamento della donna.
"Oh,
Tommy..."
La
Duchessa
si era rifugiata nell'abbraccio
consolatorio dell'amico ed Eleanor si era scoperta invidiosa e al tempo
stesso
meschina: possibile che fosse gelosa di Lady Sarah e del Conte di
Linley?
"Vuole
rivedervi" aveva detto,
rivolta verso di lei. Il tono non era accusatorio, solo triste. Poi
aveva
proseguito raccontando che, per tutta la durata dell'amplesso, il
marito
l'aveva sempre chiamata Eleanor, dicendole ogni volta quanto fosse
bella,
quanto egli l'avesse desiderata fin dalla prima volta che l'aveva
vista, quanto
avesse atteso un momento come quello, nonostante il suo recente
comportamento,
quanto fosse importante per lui non farle del male.
"È
evidente che tiene molto a voi"
aveva aggiunto, infine, rassegnata.
Eleonor
si era sorpresa.
"Ma
non è vero! Non può aver detto quelle
cose..." aveva ribattuto a sua volta.
Era
sconvolta. Thomas la stava osservando senza
fiatare e lei non osava domandargli a cosa stesse pensando. Si era resa
conto,
all'improvviso, che la sua opinione contava molto: in meno di un'ora,
il Conte
di Linley le si era insinuato sotto pelle e ora la richiesta di
Nicholas,
anziché lusingarla, la infastidiva.
"Dovete
accettare e dare un'altra
possibilità a Sarah" si era espresso lui, sorprendendo entrambe.
"Ma..."
aveva tentato di obiettare
lei. Inutilmente. Egli l'aveva convinta, sostenendo che il piano era
suo e ora
toccava a lei fare in modo che la faccenda terminasse come auspicavano.
Non
potevano permettere che Nicholas pensasse di aver fatto l'amore con lei
e
desiderarla ancora.
Non
aveva potuto tirarsi indietro, altrimenti
avrebbero pensato che era interessata a Lord Thornton.
E
così quella sera avrebbe dovuto fingere di
nuovo. Ma, forse, ciò che temeva di più, era l'idea di ritrovarsi di
nuovo sola
con il Conte mentre Lady Sarah sarebbe stata ancora tra le braccia del
marito.
Stava
pensando a cosa escogitare per evitarlo,
quando il maggiordomo le annunciò una visita.
"Buongiorno
mia cara" la salutò il Duca con affetto,
avvicinandosi e baciandola sulle labbra come minimo cinque ore prima
del
previsto.
"Nicholas..."
il suo nome fu tutto ciò che riuscì ad
uscire dalla sua bocca.
"Non
siete contenta di rivedermi, mia cara?" domandò lui
ed ella colse un qualcosa di strano nella sua voce: un lieve accenno
divertito
che stonava col tono da tenero amante. Anche il bacio, benché glielo
avesse
dato sulle labbra, era stato rapido e per nulla appassionato.
"Sì,
certo. Ma vi aspettavo questa sera, mio caro..."
rispose facendogli il verso, decisa a stare al gioco e scoprire
cos'aveva in
mente.
"Per
un'altra notte infuocata..." annuì lui, con sguardo
sognante. Poi aggiunse:
"È
piaciuta anche a voi. Avevate un aspetto deliziosamente
arruffato e soddisfatto quando mi sono risvegliato!"
Il
tono si era fatto ancora più divertito, a quelle parole. Eleanor
decise di continuare nella farsa. Era ormai certa che Nicholas avesse
in mente
qualcosa.
"Non
devo di certo dirvi io che siete un amante focoso e molto
abile".
"Mhmm...
Addirittura focoso! Il molto abile me lo aspettavo,
ma addirittura focoso..."
"Suvvia,
non siate modesto".
"Oh,
ma non lo sono affatto. Nel mio caso, infatti, mi
definirei un amante superlativo. Chi non immaginavo addirittura focoso
è Tommy.
A volte ha un'aria così... così distaccata ed eterea, nonché annoiata,
che non
avrei mai creduto che fosse anche focoso. Dovete averlo colpito molto,
mia cara
Eleanor!" E, a quelle parole, le fece uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
"Quando
lo avete capito?" domandò lei, arrendendosi di
fronte all'evidenza.
"Poco
prima di decidere di trascinarvi nel letto... Ho colto
nell'aria il profumo di mia moglie" aggiunse poi, rispondendo alla muta
domanda nei suoi occhi.
Lei
annuì, ricordando l'attimo di esitazione che aveva avuto: aveva
creduto che stesse decidendo se lasciarsi andare alla passione per lei,
invece
lui stava cercando di interpretare la recente scoperta e valutando come
agire.
Ammirò il suo sangue freddo e la sua capacità di decidere le sue mosse
in una
manciata di secondi.
"Comunque
non sottovalutatevi mia cara. Resistere alla vostra
appassionata opera di seduzione non è stato facile".
"Siete
arrabbiato?"
"Sono
sorpreso. Non mi aspettavo un piano tanto astuto e,
soprattutto, che Sarah vi acconsentisse".
"Lei
vi ama ancora. Ha acconsentito, nonostante fosse scettica
sulla riuscita del piano e sul vostro amore, solo per trascorrere
ancora una
notte tra le vostre braccia, ne sono certa".
"Ve
lo ha detto lei?"
"No,
ma era evidente da quanto soffriva mentre ci raccontava
che voi l'avete chiamata col mio nome per tutta la notte. Perché le
avete fatto
credere di volere me e non avete rivelato d'aver scoperto l'inganno?"
"Perché
avevo bisogno di tempo per capire alcune cose. E poi
ero sconvolto da quanto poco fosse bastato per mandare all'aria il mio
ferreo
proposito di non far più l'amore con mia moglie per non rischiare di
metterla
di nuovo incinta: avevo fatto la scelta giusta facendole credere di
avere
numerose amanti, per tenermi lontano dal suo letto. Mi è bastato
rendermi conto
che lei era lì e poi averla vicina per dimenticare tutto quanto..."
"Voi
l'amate" disse lei, come se quel fatto spiegasse
tutto.
"Sì
l'amo. Ma non solo: Sarah è parte di me e lo sarà per
sempre..." ammise lui.
"Deve
essere meraviglioso essere amati così".
"Lo
è" confermò lui, riconoscendo di essere amato allo
stesso modo da sua moglie.
"Avete
detto che avevate bisogno di capire alcune
cose..." gli ricordò lei, ansiosa di sapere per quale motivo non avesse
rivelato d'aver scoperto il loro piano.
"Sì.
Innanzitutto cosa prova ancora Sarah dopo ciò che le ho
fatto... e se avrei qualche possibilità per rimediare..."
"Oh,
ma allora avete deciso di smettere la vostra carriera di
libertino!" disse lei, felice.
"Noto
che la cosa vi fa piacere".
Lei
ritenne superfluo rispondere al suo commento; tuttavia aggiunse
divertita:
"La
vostra ultima amante deve essere stata davvero un disastro
per farvi prendere una decisione che farà soffrire la metà femminile
della
nobiltà inglese e tirare un sospiro di sollievo alla metà maschile!"
"La
mia ultima ed unica quasi
amante è stata la migliore amica che abbia mai avuto dopo mia
moglie... E
questo mi porta all'altra cosa che volevo capire, dopo che vi ho
rivista nel
letto accanto a me al mio finto risveglio".
"Quindi
avete finto anche di addormentarvi..."
"Ovviamente.
Dovevo capire sino in fondo il vostro piano e la
reazione di Sarah all'idea che io fossi convinto d'aver amato voi. L'ho
chiamata col vostro nome, ma ciò che dicevo era diretto solo a mia
moglie".
Eleanor
annuì, ricordando ciò che Lady Sarah aveva raccontato,
parole che, ne era convinta, Nicholas non avrebbe mai rivolto a lei.
"Ho
sperato che capisse da quelle parole... In quel caso avrei
rivelato di avervi scoperte. Ma le ho fatto troppo male, ora me ne
rendo conto,
e le serve una spiegazione. Solo che non mi crederebbe, se la dessi a
lei. Dovrò
dargliela mentre crede che vi stia lasciando per tornare da lei dopo
l'ultima
notte tra le vostre braccia".
"Sarà
quindi questo l'obiettivo della nostra ultima notte da
amanti?" domandò lei, per capire bene le sue intenzioni e non correre
il rischio
di sbagliare qualcosa nell'aiutarlo a riconquistare la moglie.
"Questo,
sì" rispose lui. Poi, illuminandosi di nuovo in
uno sguardo divertito, aggiunse enigmatico: "Ma non solo...".
"Cosa
intendete?"
"Lo
scoprirete a tempo debito. Ma affinché il
mio piano funzioni, dovrete aiutarmi voi,
Eleanor. Promettetemi che stasera farete tutto quanto vi dirò".
"Ebbene,
mio caro, dovreste saperlo che le amanti sono
disposte a tutto per trattenere a sé il loro uomo... " gli rispose,
birichina. Poi, invitandolo a sedersi, tornò seria e gli disse:
"Avanti,
accomodatevi e mettetemi al corrente di quello che avete in mente e
cosa dovrei
fare".
|
Ritorna all'indice
Capitolo 36 *** Progetti ***
Capitolo XXXVI
Progetti
"Quindi?"
domandò Harmon
Rabb a sua moglie. Era in camera a preparare la sua borsa quando aveva
sentito
lo squillo del cellulare di Mac: Andy chiamava da sempre al cellulare
della
madre, anche se doveva parlare con lui, perché fin da bambino sapeva
che il
numero dell'Ammiraglio Harmon Rabb si doveva fare solo in caso di
emergenza.
L'abitudine gli era rimasta anche ora che il padre era in pensione.
"Andy ci
aspetterà al Charles de Gaulle
dopodomani, alle 19
ora di Parigi e poi ci accompagnerà in hotel. Abbiamo tutto il tempo
per fare
le cose con calma".
"Verrà con
lei?"
"No. La
conosceremo il giorno
successivo, almeno lo spero. Non ho ben capito il motivo, ma sembra che
Nicole
ancora non sappia chi sia in realtà nostro figlio".
"Mi stai
dicendo che si è
presentato sotto falso nome?"
"Al
contrario, col suo vero
nome. È solo che non sa che lui è anche lo scrittore Alex
Andrews".
"E perché mai
non glielo
avrebbe detto?"
"È una storia
un po’ complicata...
Pare che si fossero incontrati ben tre volte prima di scoprire che,
oltre ad
essere la fotografa che lo aveva ritratto per un servizio di moda,
fosse anche
l'esperta di storia che Ross gli aveva trovato a Parigi e la
proprietaria del
Castello dei conti d'Harmòn, nonché discendente del conte Andrè..."
"Aspetta,
aspetta. Un
servizio di moda? Andrew si è fatto fotografare?"
"Non solo
qualche scatto, ma
a quanto pare ha posato come modello per un intero servizio
fotografico"
rispose Mac divertita, senza riuscire a nascondere un moto d'orgoglio
all'idea
che il loro bellissimo figlio si fosse arreso anche alle sue doti
fisiche e non
solo a quelle intellettuali, dandole così ragione.
"L'idea ti
diverte,
vero?" chiese Harm con un sorriso.
"Assolutamente
sì. Sono anni
che insisto perché sfrutti, almeno in parte, anche la propria immagine
per
promuovere il suo lavoro".
"Ma Andy odia
la notorietà,
lo sai. La sua decisione, devi ammetterlo, gli ha consentito finora di
vivere
piuttosto tranquillo e non assediato da eventuali fan. Ora, però, se
quelle
foto diverranno pubbliche...".
"Non hai
sentito ciò che ho
detto? Nicole ancora non sa chi lui in realtà sia".
"Sì, ma
quando lui glielo dirà,
come reagirà lei? Una persona arrabbiata può fare qualunque cosa, anche
la più
stupida, senza riflettere sulle conseguenze".
Lei annuì,
dandogli ragione.
Sapeva che Harm si riferiva ad entrambi quando, trent'anni prima,
avevano
rischiato di commettere l'errore più grande della loro vita sposandosi,
lui con
Belinda e lei con Clayton, solo perché arrabbiati l'uno con l'altra.
Per un attimo
il pensiero di Harm
andò a Clayton Webb, della cui morte per malattia erano venuti a sapere
l'anno
prima: nonostante tutto, erano stati amici e sapeva che sua moglie gli
aveva
anche voluto bene. Avevano partecipato al suo funerale assieme ad
Harriet e Bud
e in quell'occasione avevano saputo che era morto solo, com'era
vissuto. Alla
cerimonia c'erano davvero poche persone: loro quattro e una decina di
ex-colleghi che avevano voluto rendergli omaggio nonostante non fossero
più in
contatto da anni. Lui, Mac e Bud erano stati, con molta probabilità,
gli unici
amici che Clay avesse mai avuto.
"Andrew è
innamorato di lei,
Harm" gli disse sua moglie dopo un attimo di silenzio ed egli non
riuscì
ad interpretare il tono con il quale pronunciò quella affermazione.
"Te lo ha
detto lui?"
"Sì, anche se
non ce ne
sarebbe stato bisogno: basta ascoltarlo parlare di lei... Non l'ho mai
sentito
tanto preso da una donna".
"Diciamo che
non lo hai mai
sentito parlare di una sua donna, prima d'ora" precisò con benevolenza
lui, rammentandole la reticenza del figlio a raccontare delle sue
avventure
sentimentali fin da quando era ragazzino e quanto questo riserbo la
infastidisse.
"Mi racconta di ogni cosa che gli passa per la
testa, ma mai di quello che
prova con la ragazza di turno" si lamentava Mac ogni volta
che capiva
che Andy aveva un appuntamento. Lui, paziente, le ricordava che
non doveva intromettersi nelle faccende sentimentali del figlio e che a
sua
volta non aveva mai detto nulla a Trish delle sue avventure.
"Io non mi voglio intromettere" replicava
lei "mi piacerebbe solo sapere se è innamorato".
Harm ogni
volta sorrideva a questa
affermazione tipicamente materna e chiudeva il discorso con la sua
solita
pragmatica: "Se non ti dice nulla è
perché non lo è. Quando sarà innamorato te lo dirà".
A quanto
sembrava quel momento era
arrivato.
"Su questo
hai ragione"
ammise lei, restia come sempre a concedergliela. Nonostante l'amore che
li
legava da anni, non avevano cambiato il loro modo di parlarsi e,
soprattutto,
di battibeccare, come facevano in ufficio quando ancora reprimevano i
loro
sentimenti. All'interno di questo codice di dialogo, ammettere che lui
aveva
ragione non rientrava tra le priorità di sua moglie e quando ciò
accadeva era
il segnale che la ferrea volontà di Sarah era fiaccata da qualcosa.
"Non mi
sembri felice,
tesoro. Credevo non aspettassi altro che vedere il nostro ragazzo
finalmente
innamorato!" la prese in giro, per indagare.
Quando
arrivava al punto di concedergli
l'ultima parola su una questione, significava che era pronta a parlare
di sé e
non aspettava che un cenno da parte sua. Cenno che lui era più che
pronto a
fornirle perché aveva imparato che Mac aveva bisogno di lui per
parlare, per
tirar fuori ciò che l'angustiava. In nessun altro campo poteva
arrischiarsi di
aiutarla, perché lei di rado gliene concedeva la possibilità: dal punto
di
vista pratico era sempre stata la donna più indipendente che avesse mai
conosciuto. Sul piano emotivo, invece, le cose erano un po’ diverse, a
causa
del suo passato, tuttavia era sempre stato difficile raggiungerla. Da
quando
avevano iniziato a vivere insieme si era posto l'obiettivo di scoprire
la
strada migliore per esserle accanto e quando infine era riuscito a
trovarla non
aveva mai smesso di percorrerla ogni volta che si rendeva conto che lei
aveva
bisogno di lui. Del resto ci voleva così poco, era sufficiente cogliere
il
momento e dire la frase giusta, col tono giusto: niente domande o,
peggio
ancora, affermazioni dirette mirate a farle intendere che lui aveva già
capito
cosa la tormentava, perché in quel caso alzava di nuovo le barriere e
non c'era
più verso di raggiungerla e quindi di aiutarla. No, da tempo aveva
capito che
il modo migliore era prenderla in giro, senza esagerare però. A volte
era più
complicato che pilotare un tomcat,
ma
se riusciva nell'intento, era altrettanto gratificante.
"Lo so, hai
ragione..."
disse lei in tono mesto.
Se gli stava
dando ragione per la
seconda volta in pochi minuti, il timore che Andrew si trasferisse a
vivere in
Europa doveva essere una faccenda davvero seria per sua moglie.
"Ma...?"
domandò,
fingendo di non aver ancora capito cosa l'angustiava tanto.
"Andy
potrebbe restare in
Europa per sempre..." ammise.
"È solo
questo che ti preoccupa?"
"Cosa
intendi?"
"Nessun
dubbio che lei possa
essere la donna giusta per lui?"
"E come
faccio a saperlo? Non
la conosciamo neppure. Ma ho fiducia nella capacità di giudizio di
nostro
figlio... Se si è innamorato di lei, deve essere una ragazza speciale".
"Hai ragione"
disse.
Ogni tanto non guastava concedergliela, soprattutto lasciarle pensare
di essere
giunta prima di lui ad una conclusione logica.
"Nessuna
forma di gelosia
materna? In fondo ti porterebbe via il tuo bambino"
chiese lui ancora.
"Nulla di più
di quanto non
avessi già messo in conto. E poi, in cambio, potremmo avere dei
nipotini"
rispose lei, iniziando a rilassarsi.
Harm si disse
che era un buon
segno, pertanto decise che era giunto il momento per affrontare il
nocciolo
della questione, senza tergiversare oltre.
"Mi sembra di
capire, quindi,
che il problema sarebbe solo la lontananza, se decidessero di vivere in
Europa.
Ebbene, nessuno ci vieta di trasferirci vicino ai ragazzi, se il
problema è
solo questo".
"Ma Harm,
questa è la casa di
tua madre... Credevo volessi tenerla, che desiderassi vivere qui".
"Sì, ma non
per forza.
Possiamo venirci per le vacanze, anche tutti insieme se lo vorranno,
tanto il
posto c'è".
"Ma se non
vendiamo questa
casa..."
"Dimentichi
il denaro: mia
madre e Frank ne guadagnavano parecchio, più
di quanto siano riusciti a spenderne nella
loro vita".
"Pensavo che
Trish lo avesse
usato per regalare il loft a Andrew quando è andato a New York".
"Credo ve ne
sia rimasto
anche per una casetta europea per noi due!" disse lui, con un sorriso,
mettendo fine alle sue obiezioni.
"Se le cose
stanno così,
allora...".
"Sei più
tranquilla,
adesso?"
Lei annuì, in
silenzio. Per un
momento rimase ferma ad osservarlo mentre chiudeva il borsone che,
durante la
loro chiacchierata, aveva terminato di preparare. Poi gli si avvicinò e
lo baciò
sulle labbra, suscitando in lui lo stesso fremito che accompagnava ogni
suo
bacio da trent'anni a quella parte.
"Avevi già
capito cosa mi
tormentava, vero? Prima ancora che te lo dicessi... Come sempre lo
avevi già
intuito".
Lui non
rispose, si limitò ad
abbracciarla. Se a vent'anni gli avessero detto che a settanta sarebbe
stato
innamorato della propria moglie come la prima volta in cui aveva fatto
l'amore
con lei, si sarebbe fatto una bella risata. Invece le cose stavano
proprio così.
"E, come
sempre, mi hai fatto
sfogare e mi hai rassicurato" aggiunse lei, come semplice osservazione,
rifugiandosi nel suo abbraccio.
Dopo un
attimo, però sollevò lo
sguardo verso di lui e, con aria birichina, gli disse:
"Non ti ho
ancora detto, però,
che fino a ieri sera Nicole non lo ha ancora voluto...".
Lui alzò gli
occhi al cielo, con
fare esageratamente esasperato. Poi, divertendosi a sua volta, replicò:
"Beh, in
questo caso ci siamo
già portati avanti col lavoro!"
|
Ritorna all'indice
Capitolo 37 *** Notte d'amore ***
Capitolo XXXVII
Notte
d'amore
L'attesa
era terminata.
Vide l'ombra di Eleonor chiudere la porta della camera Argento dove
Nick gli
aveva detto di attenderla e gli sembrò che il cuore stesse per
esplodergli nel
petto.
L'amico
era stato di
parola e il resto dipendeva da lui, proprio come gli aveva detto con un
sorriso
quando, quel mattino, se l'era trovato davanti addirittura in camera
propria,
con un povero Fenton che continuava a scusarsi, ancora incredulo e
attonito per
la sfacciataggine del Duca di Lyndham che pretendeva di parlare
immediatamente
con il Conte... e per immediatamente intendeva proprio subito, tanto
che non
aveva nemmeno atteso che lo si avvertisse per permettergli di alzarsi
dal letto
e presentarsi in maniera più consona, ma si era precipitato su per le
scale,
inseguito dal povero maggiordomo.
Thomas
aveva così avuto
conferma di ciò che già sospettava quando Sarah si era rifugiata tra le
sue
braccia per raccontare ciò che era accaduto tra lei e il marito.
Neppure per un
attimo, infatti, aveva pensato che le frasi rivolte alla moglie fossero
indirizzate a Lady Cavendish. Il fatto che Nick, pur dicendo quelle
cose,
avesse chiamato Sarah col nome della presunta amante, non aveva fatto
altro che
confermargli che l'amico aveva scoperto tutto; ciononostante non si era
rivelato e pertanto doveva avere in mente qualcosa. Doveva solo
attendere che
lo mettesse a parte di ciò che aveva escogitato per riconquistare la
moglie. Lo
conosceva da troppo tempo per non sapere quanto fosse astuto. Solo
Eleonor, che
lo conosceva da poco e Sarah, troppo presa dal suo dolore e dall'amore
che
nutriva per lui, avevano potuto credere che Nick non si fosse accorto
dello
scambio.
Quando
Eleonor gli
aveva proposto il piano non si era espresso né contro né a favore
perché voleva
lasciare a Sarah la possibilità di far rinsavire l'amico e, alla luce
dei fatti
aveva fatto bene; però doveva anche ammettere che l'idea avuta da Lady
Cavendish avrebbe potuto regalargli l'opportunità di tentare un
approccio più
intimo con la giovane vedova per cercare di conquistarla e, sempre alla
luce di
quanto era accaduto la notte precedente, aveva visto giusto anche in
quello.
Ciò
che ancora non
immaginava era che Nick aveva capito anche cos'era successo tra lui ed
Eleanor
e intendesse a sua volta aiutarlo.
"Le
dirò di andare
a trascorrere la notte a casa mia dopo lo scambio" gli aveva detto
quando
Thomas aveva domandato come sarebbe riuscito a convincerla a
trascorrere altro
tempo sola con lui dopo come si era comportato la sera prima. L'aveva
turbata,
e molto; se n'era accorto da come evitava imbarazzata il suo sguardo e
per di
più non aveva ancora risposto alla domanda che avrebbe dato la
direzione al
loro futuro rapporto.
"Sciocchezze"
aveva ribattuto deciso l'amico "è evidente che se non ti ha fermato
anche
lei lo voleva. L'imbarazzo è naturale, ma non significa che non voglia
più
avere a che fare con te. Tu l'aspetterai nella camera Argento, dove le
dirò che
sarà accompagnata da Everly, e vedrai che arriverà, perché la
convincerò a lasciare
a Sarah e al sottoscritto l’intimità che ci meritiamo dopo quanto è
successo.
Eleonor non obietterà, perché è una donna romantica. Dopodiché il resto
dipenderà da te; ma se sei innamorato di lei come credo, non ti sarà
difficile
conquistarla. Ho idea che anche tu non le sia indifferente".
"Ma
se all’inizio
voleva te!" aveva protestato lui.
"Voleva
un'avventura con un uomo avvenente e più giovane del defunto marito;
voleva
conoscere quella passione che una giovane e bella donna si merita da un
uomo
innamorato di lei e tu, caro Tommy, hai tutti i requisiti per darle ciò
che
desidera... e forse anche qualcosa in più, o sbaglio?"
Nicholas
non sbagliava.
L'aveva
desiderata fin
dalla prima volta che l'aveva vista, tre anni prima, quando ancora
credeva che
il gentiluomo che l'aveva accompagnata al ballo fosse il padre.
E
in quel momento la
desiderava ancora di più; ma non solo: frequentandola si era reso conto
che
Eleanor era la donna che avrebbe voluto al suo fianco per il resto
della vita.
Trattenne
il fiato
quando si rese conto che, tolta la lunga cappa che la copriva, sotto
non
indossava un abito, ma una vaporosa veste da camera, la stessa con la
quale
doveva aver finto di tornare a letto con Nick. Chissà se anche questo
particolare era un altro regalo che l'amico aveva voluto fargli,
convincendola
a raggiungere la dimora di Hyde Park appena ceduto il posto alla
legittima
consorte, oppure se era stata lei a non perder tempo a cambiarsi per
evitare
che Sarah si accorgesse che era in combutta col marito.
Comunque
fosse andata,
non poteva che essere grato per quell'inaspettata fortuna.
Si
avvicinò piano e la
cinse alla vita, cogliendola di sorpresa. Lei sussultò, non appena si
sentì
circondare dalle sue braccia, ma lui le mise una mano alla bocca e le
sussurrò all'orecchio:
"Non
urlate...
"
"Thomas...
che ci
fate qui? Credevo foste tornato a casa vostra. Oppure che steste
aspettando
Lady Sarah nel mio salottino" disse lei, riconoscendolo.
"Ed
è per questo
che voi siete scappata qui?" domandò lui, dopo averla lasciata andare,
ma
trattenendo la sua mano nella propria.
"Non
sono
scappata. Nicholas mi ha chiesto di lasciargli un po’ di privacy con la
moglie... ma ora capisco che era tutta una scusa architettata da voi".
"Niente
affatto.
L'idea è stata tutta di Nick" disse
lui.
"Anche
quella di
cogliermi di sorpresa e
di trattenermi
contro la mia volontà è un'idea di Nicholas?" domandò ironica lei.
"Vi
sto davvero
trattenendo contro la vostra volontà?" chiese, lasciando tuttavia
andare
la sua mano. Poi, senza attendere risposta continuò:
"Nick
si è
limitato a suggerirmi che poi il resto sarebbe dipeso da me".
"Cosa
volete,
Thomas?" si risolse a chiedergli, infine.
"Voi.
Siete voi ciò
che voglio, Eleanor" rispose lui, senza alcuna esitazione.
La
sua sicurezza la
intrigò molto, tuttavia replicò:
"Non
siete un po’
troppo precipitoso? Ci conosciamo appena".
Quindi,
per prevenire
l'obiezione che aveva colto nel suo sguardo, aggiunse decisa: "Ciò che è accaduto
l'altra sera non
conta".
"Allora
insegnatemi a corteggiarvi" replicò lui, a sua volta intenzionato a non
fermarsi.
"Non
credo abbiate
bisogno che proprio io vi insegni come adulare una donna. Sono più che
sicura
che sappiate farlo da solo" rispose lei.
"Ad
esempio
dicendole che i suoi capelli sono morbidissimi?" chiese Thomas
fissandole
la chioma sciolta sulle spalle. "O che i suoi occhi sono immensi alla
luce
della luna?"
"Non
dovete
esagerare" lo rimproverò Eleanor con tono leggero.
"È
la verità"
obiettò lui, con voce roca, mentre una mano le sfiorava i capelli.
"Non
so se dire la
verità sia una buona idea, quando si descrive una donna".
"Neppure
se la sua
pelle è liscia come la seta?" continuò lui, passandole le nocche su una
guancia. "O quando le sue labbra sono fatte per essere baciate?"
aggiunse, seguendo con un dito il contorno del suo labbro inferiore.
"Avevo
ragione:
siete piuttosto esperto in materia di corteggiamento, se solo lo
volete"
mormorò Eleonor chiudendo gli occhi.
"Cosa
dovrei fare
come prossima mossa?" proseguì imperterrito lui, fingendo di non averla
udita. "Magari un baciamano... Sarebbe appropriato?" e senza
attendere risposta le prese la mano e se la portò alle labbra, premendo
con
gentilezza sul dorso. Poi la girò e baciò il palmo e ogni singolo
polpastrello.
La sua bocca era calda e morbida e la fece rabbrividire di piacere.
Thomas
si fece più
vicino e riprese ad accarezzarle il volto con le nocche.
"O
forse questo è
ancora meglio" mormorò posandole le labbra su una guancia. Si spostò
verso
la pelle delicata della gola, mentre con una mano scivolava lento sul
suo
braccio. Eleanor desiderò non indossare la vestaglia cosicché egli
potesse
accarezzarle la pelle nuda.
"Dicono
che alcune
donne preferiscano un tocco di questo genere" continuò lui, spostandosi
a
mordicchiarle il lobo dell'orecchio.
Eleanor
trasalì e gli
si aggrappò, mentre tutto attorno a lei sembrava vorticare.
"Thomas..."
mormorò quando sentì la sua lingua seguirne il contorno, poiché il suo
tocco le
stava trasmettendo fremiti di piacere in tutto il corpo e lei non
sapeva come
gestirli. Non aveva mai provato un bisogno cosi intenso di un uomo.
Egli,
tuttavia, non
aveva ancora intenzione di fermarsi: le sue mani raggiunsero la cintura
della
vestaglia, l'aprirono e si posarono una sul suo stomaco, l'altra sul
suo seno.
"Una
donna potrebbe
desiderare qualcosa di più... qualcosa di più simile a questo". La sua
voce era bassa e profonda e la seduceva quanto il suo tocco.
Mentre
le sue dita le
sfioravano la rotondità del seno, aggiunse:
"Anche
se qualcuna
potrebbe ritenerlo troppo ardito".
Senza
lasciarle il
tempo di replicare la fece voltare, in modo che la schiena appoggiasse
contro
il suo torace, e dopo averle spostato la massa di capelli da un lato,
prese a
baciarle la nuca. Scossa da un fremito Eleanor si accasciò contro il
suo petto
ed egli ne approfittò per stringerla a sé. Quindi, senza smettere di
baciarle
il collo, fece scivolare la mano lungo il suo corpo e si avvicinò
pericolosamente dove
la volta precedente
l'aveva toccata. Lei trattenne il fiato, indecisa tra il desiderare che
proseguisse
per assaporare il medesimo piacere o che si fermasse, risparmiandole
l'umiliazione di sentirsi in balia della sua volontà. Fece un respiro
profondo,
pronta ad assecondarlo, ma lui la fece voltare di nuovo e le baciò le
guance,
prima una e poi l'altra.
"Ma
forse questa
sarebbe la cosa migliore da fare" mormorò infine, un attimo prima di
sfiorarle le labbra con le proprie. Quando percepì il fremito di
Eleonor, le
catturò la bocca in un bacio appassionato. Dischiuse le sue labbra
senza darle
il tempo di esitare, deciso come non era mai stato nel voler baciare
una donna.
Eleanor gli risvegliava un istinto di predatore che non avrebbe mai
immaginato
di possedere e che doveva tenere a bada con fatica.
"Non
avete
risposto alla mia domanda di ieri sera" le disse con un accenno di
affanno
nella voce, quando,
finalmente, decise
di concedere ad entrambi di respirare.
"É
importante?" chiese lei, senza tuttavia accennare ad allontanarsi dalle
sue braccia. Thomas lo considerò un ottimo segno.
"Per
me lo
è".
Alla
luce della luna
che entrava dalla finestra, lei lo guardò negli occhi.
"Ebbene
non credo
che abbiate agito solo per prepararmi per quando Nicholas mi avrebbe
rivista".
"E
quindi, secondo
voi, per quale motivo mi sarei comportato come ho fatto?"
"Perché...
perché
mi desiderate?" si risolse a dirgli con una domanda retorica dopo un
attimo di esitazione, abbassando lo sguardo.
"Sì,
vi desidero.
Vi desidero dalla prima volta che vi vidi, tre anni fa, al ballo dei
Manderville: entraste al braccio di vostro marito, ma io non sapevo chi
fosse,
credetti che fosse vostro padre. Poi lui si allontanò da voi per un
po’, e voi
danzaste con Lord Mondevale..."
"Era
un amico dei
miei genitori..." disse Eleanor, sorpresa di come lui ricordasse tutto
quanto.
"Stavo
per venirvi
a domandare un ballo, quando sentii qualcuno congratularsi con Lord
Cavendish
per il recente matrimonio e la sua splendida e giovane moglie; mi
voltai e mi
resi conto che stavano parlando con l'uomo che vi aveva accompagnata...
e vidi
lui lasciare l'interlocutore e dirigersi verso di voi. Non ebbi più la
forza
chiedervi un ballo, anche se avrei potuto ancora farlo".
"Perché?"
domandò lei, incuriosita da ciò che le stava dicendo.
"Intuii
subito che
se vi avessi avuta tra le braccia, non sarei stato più capace di
lasciarvi
andare. Alla luce di quanto è accaduto tra noi l’altra sera, a quel
tempo feci
bene" mormorò lui, accarezzandole una guancia. La stava ancora tenendo
tra
le braccia, a conferma di quanto stava dicendole.
"E
ora?" osò
domandargli lei, in un sussurro. La sua confessione l'aveva turbata e
le aveva
rammentato d'averlo notato a sua volta, in quella lontana sera di tre
anni
prima: era stato proprio dopo averlo visto che si era domandata se non
fosse
stata troppo precipitosa a sposare il proprio tutore, impedendosi così
la
possibilità di innamorarsi di un uomo più giovane e più attraente.
Ricordava
che lo aveva intravisto per pochi attimi, ma era lui, ne era certa. La
sua
chioma dorata, l'altezza notevole, solo di pochi centimetri inferiore a
quella
del Duca suo amico, l'eleganza sobria ma distinta e i suoi occhi
nocciola,
penetranti... sì, ricordava quello sguardo, dal quale le era sembrato
di essere
seguita mentre danzava con Lord Mondevale. Ora sapeva che era stato
davvero lui
ad osservarla con un intensità tale da farglielo percepire quasi
fisicamente.
"Ora
vi desidero
più di allora... " rispose lui, baciandola di nuovo.
"Ora
desidero
toccarvi...", aggiunse sfiorando di nuovo la rotondità del suo seno.
"Desidero
spogliarvi, per baciarvi ovunque..." continuò, scoprendole appena la
spalla e accarezzandogliela con le labbra.
Lei
non lo aveva ancora
fermato, anzi aveva assecondato con timidezza le sue avances,
ed egli lo considerò un ottimo segno, che lo indusse ad
osare il tutto per tutto.
"Ora
voglio
portarvi a letto e far l'amore con voi per tutta la notte" concluse il
suo
appassionato elenco tornando ad invaderle la bocca con una passione a
stento
trattenuta, mentre la sollevava tra le braccia per deporla sul letto.
Gli
occhi di Eleanor
erano immensi e lei lo osservava senza dire nulla, dopo che l'ebbe
adagiata sui
cuscini. Thomas non riusciva a decifrare il suo sguardo. Decise di
rivelarle
tutto quanto: "Ora sono innamorato di voi e voglio che siate mia. Per
sempre".
Nonostante
la sua
dichiarazione, non era intenzionato a forzarle la mano; desiderava che
la
passione e l'amore di Eleanor fossero spontanei, pertanto si fermò,
anche se a
fatica, perché voleva capire il significato di quello sguardo.
"Questo
è ciò che
voglio io" le disse, accarezzandole una guancia per scostare una ciocca
di
capelli che le stava coprendo il volto. Lei continuava ad osservarlo,
immobile.
"Cosa
volete voi,
Eleanor? le domandò, infine.
Non
sia aspettava che
lui glielo chiedesse. Suo marito non le aveva mai domandato cosa
volesse lei in
camera da letto. Si rese conto di non essere in grado di rispondergli,
di non
trovare le parole per esprimere a voce tutto quello che aveva iniziato
a
desiderare da lui da quando le aveva donato quell'unico momento di
appagamento
sessuale della sua vita. Nella sua ignoranza dell'argomento, aveva
comunque
intuito che l'uomo giusto, un uomo appassionato, avrebbe potuto
spalancarle le
porte del piacere e, magari, anche dell'amore. Thomas avrebbe potuto
essere
quell'uomo, perché era evidente dalle sue parole e dal rispetto che le
stava
dimostrando quanto ci tenesse a lei. Ed Eleanor non poteva negare a se
stessa
l'attrazione e l'affetto che provava per lui.
Nicholas
l'aveva
colpita molto, era un uomo davvero splendido, ma proprio per questo fin
troppo
impegnativo. Invece Thomas, altrettanto affascinante ma in maniera più
pacata,
quasi invisibile, la intrigava ad un livello più profondo, più sottile.
Più
consono a lei. Sentire la sua dichiarazione, così appassionata e
spontanea, le
aveva tolto il fiato, perché a sua volta si stava innamorando di lui.
Si
rese conto d'aver
atteso troppo perché lui, ingannato dalla sua esitazione, aveva
mormorato:
"Capisco", prima di sollevarsi e lasciarla andare.
Lo
fermò,
trattenendogli la mano.
"No,
non
capite...".
Si
sollevò a sua volta
col busto, per raggiungere meglio il suo volto.
"Ma
capirete"
aggiunse in un roco sussurro prima di prendergli il viso tra le mani e
baciarlo
con trasporto, come poco prima lui aveva fatto con lei.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 38 *** Amore di notte ***
Capitolo XXXVIII
Amore
di notte
La
mano della donna tra
le sue braccia gli sfiorò il volto con tenerezza; poi scivolò lenta sui
muscoli
del suo torace, toccandoli come a saggiarne la consistenza. Si soffermò
quindi
sull'addome, a disegnare sensuali cerchi attorno al suo ombelico. Egli
la fermò
solo quando percepì che sarebbe scesa ancora.
Aveva
bisogno di una
pausa, per riuscire a dirle ciò che aveva pensato, tuttavia la donna
non si
lasciò dissuadere: si mosse con tutto il corpo e salì sopra di lui.
Incapace di
resistere, scivolò di nuovo dentro di lei, guidato dalla sua mano che
sembrava
non volergli concedere tregua. Erano ore che l'amava instancabilmente
eppure
lei sembrava non averne ancora abbastanza. Sembrava volesse consumarlo,
come se
soltanto così sarebbe riuscita a saziarsi di lui. Era come se temesse
che dopo
quella notte non lo avrebbe più potuto avere.
Doveva
dirle tutto.
Risoluto,
si costrinse
a fare ciò che non avrebbe mai immaginato di fare tra le sue braccia:
la fermò,
nonostante morisse ancora dalla voglia di averla.
"Aspetta,
dobbiamo
parlare".
Lei
non disse nulla,
come del resto aveva fatto da quando era entrata nel letto con lui. Non
se ne
sorprese.
"Eleanor,
questa
sarà l'ultima volta che staremo insieme. Voglio tornare da mia moglie,
perché
mi sono reso conto che è solo lei la donna che amo, l'unica che potrò
mai
amare".
Gli
rispose solo un
silenzio assordante. Non sapeva cosa aspettarsi, ma immaginava una
qualche
reazione, anche solo un sospiro. Invece nulla.
"Mi
spiace..." aggiunse, tanto per dire qualcosa.
Di
nuovo silenzio.
Non
sapendo come
interpretarlo, proseguì col discorso che si era preparato.
"Dopo
ciò che ti
ho detto, ti chiederai il perché del mio comportamento. Perché mi sono
allontanato da lei e perché l'ho fatta soffrire. E, soprattutto, come
mai sono
venuto a letto con te se è solo lei che voglio".
Ancora
silenzio. Decise
di proseguire comunque.
"Sarah
ha sofferto
molto, dopo la nascita dei gemelli. Ho temuto di perderla e non avrei
più
potuto vivere senza di lei, soprattutto sapendo d'esser stato
responsabile
della sua morte...".
Percepì
un sospiro,
quasi un singhiozzo, provenire dalla donna accanto a lui.
"Pur
di riuscire a
stare lontano da lei e non farle correre il rischio di una nuova
gravidanza ho
preferito farle credere di spassarmela con altre donne, così mi avrebbe
disprezzato. Lei non avrebbe sofferto e io sarei riuscito a non
avvicinarla. Ma
ho capito d'aver sbagliato. Prima di venire a letto con te, Eleanor,
non avevo
mai tradito mia moglie. Ora che l'ho fatto, spero che possa comunque
perdonarmi".
Attese
un cenno, una
parola che gli facesse capire che aveva compreso il suo tormento. Un
qualunque
gesto che gli rivelasse che avrebbe potuto, col tempo, perdonarlo per
un
tradimento che in realtà non aveva neppure commesso.
Attese,
ma invano.
La
donna che gli era
stesa accanto si alzò, senza dire assolutamente nulla.
Egli,
per la prima
volta in vita sua, rimase spiazzato, incapace di sapere quale fosse la
cosa
giusta da fare o da dire. Decise di seguire l'istinto e si alzò a sua
volta, le
afferrò un braccio e la strinse a sé.
"Non
andartene
Sarah...".
Percepì
che rilasciava
un sospiro, l'unico segno a parte il sussulto di poco prima, ad
indicare che
aveva udito ciò che le aveva detto.
Le
fece appoggiare il
capo sul suo petto e le accarezzò i capelli. Sentì l'umido delle sue
lacrime
bagnargli la pelle.
"Mi
dispiace. Mi
dispiace tanto" mormorò, comprendendo solo in quel momento quanto
l'avesse
fatta soffrire col suo comportamento. Tommy aveva avuto ragione quando
lo aveva
affrontato.
"Ti
amo tanto,
Sarah. Ho sempre amato solo te...".
Sentì
che si passava
una mano ad asciugarsi gli occhi e poi lo abbraccio a sua volta.
"Torna
a letto con
me. Ti prego" sussurrò.
Lei
esitò un attimo
prima di annuire; poi si distese accanto a lui, il capo ancora
appoggiato al
suo torace.
Per
qualche attimo
rimasero in silenzio, entrambi concentrati ad ascoltare la sensazione
di
tornare ad essere uniti anche nel cuore e non solo col corpo: quella
vibrazione
d'amore, quell'energia misteriosa che attraversa corpo, mente e cuore e
rende
consapevoli d'esser un tutt'uno e non più due entità separate.
"Perché?” domandò, facendogli udire
per la prima volta
la voce.
“Te
l’ho detto prima il
perché” rispose.
“No.
Perché hai
confessato di avermi tradito quando non lo hai mai fatto? Quando hai
sempre
saputo che ero io a far l'amore con te e non Eleanor Cavendish?"
domandò
di nuovo, lasciandogli capire che era altro che voleva sapere.
"Come
sai che non
ti ho mai tradito? Potrei avertelo detto solo per farti credere di
dovermi
perdonare una sola scappatella".
"L'avresti
fatto
anche con Eleonor. Soprattutto con lei. È molto bella e anche molto
dolce. Stareste
bene insieme".
Lui
sorrise alla perspicacia
di sua moglie; ciononostante non riuscì a trattenersi dal provocarla.
"Potrebbe
esser
stata lei a non volermi".
"Sciocchezze.
Ti
moriva dietro, quando siete andati via dal ballo, sere fa. Sarà rimasta
delusa,
e parecchio".
"Forse,
ma ti
assicuro che ha cambiato presto idea" disse sorridendo, con aria da
cospiratore.
"Che
hai
combinato?"
"Nulla..."
rispose.
Lei
si sollevò su un
gomito, scrutandolo scettica. Quando lui la guardò di sottecchi, con un
sorriso
appena accennato ad increspargli le labbra, fu sicura d'aver ragione e
lo
costrinse a confessare.
"Avanti,
dimmelo".
Fu
felice di obbedirle,
perché l'argomento leggero gli dava la possibilità di tornare a quella
complicità che credeva d'aver distrutto col proprio comportamento.
"Se
tutto sta
andando come penso, Eleanor dovrebbe essere felice quanto lo sono io,
in questo
momento".
"Con
Tommy”
assentì lei.
Quindi
domandò: “Dove
li hai mandati? E come ci sei riuscito, quando l'altro giorno lei
sembrava
sconvolta dopo che lui l'aveva baciata?"
"Come
ho fatto a
pensare di ingannarti?" disse lui, constatando come sua moglie fosse
un'osservatrice attenta quanto lui.
Perché
si meravigliava?
In fondo aveva sempre saputo che era una donna molto intelligente. Era
riuscito
a sviarla una sola volta, quando si era presentato a lei sotto mentite
spoglie.
Eppure anche allora lei c'era arrivata da sola. E non lo conosceva
neppure
quanto lo conosceva ora.
"Ho
fatto leva sul
lato romantico di Eleanor. Le ho chiesto di concederci un po’ di
privacy; nel
frattempo avrebbe potuto trascorrere la notte nella residenza di Hyde
Park, dove
era attesa per essere accompagnata nella camera Argento..."
"Dove
ci sarebbe
stato Tommy ad aspettarla" concluse lei.
"Esatto.
Da quel
punto tutto sarebbe dipeso da loro. Ma conoscendo Tommy e sapendo
quanto sia
innamorato di lei, non ho dubbi sulla riuscita del mio piano. Ho avuto
la
sensazione che il bacio che l'aveva turbata avesse sortito l'effetto
anche di
intrigarla alquanto".
"Sei
tremendo! E
sempre molto sicuro di te".
"Non
sono mai
stato più insicuro di me stesso come stanotte, con te. Quando non parlavi mi hai fatto
morire..." disse,
tornando serio.
"Sapessi
quante
volte mi sono sentita io morire dentro vedendoti sparire ogni sera con
una
donna diversa... e sentire le voci che ti definivano un amante
eccezionale...".
"Mi
spiace. Ero
convinto che vedendo il mio comportamento scellerato tu smettessi di
amarmi e
non soffrissi".
"Come
hai potuto
pensare un'idiozia simile, proprio tu?"
"Per
ciò che mi
dicesti anni fa, ricordi? In quello chalet immerso nel bianco".
"L'ho
immaginato.
E ho anche pensato a quando ti lasciai sulla Medea... ma da allora sono
trascorsi anni. Anni in cui il mio amore per te è cresciuto... Anni in
cui il
nostro amore avrebbe dovuto farti pensare che mi sarebbe stato
inevitabile
soffrire vedendo che ti interessavi ad altre donne...".
"Hai
ragione,
adesso l'ho capito. Ma in quel momento ero disperato, non sapevo come
smettere
di volerti nel mio letto per non correre il rischio di metterti di
nuovo
incinta. Se tu mi avessi disprezzato, saresti stata tu a non volermi
più e così
saresti stata al sicuro...".
Lei
sentì un dolore al
petto, nell'immaginare il suo tormento. Avevano sofferto entrambi.
"Invece
io lo
voglio un altro figlio tuo" disse lei, facendolo di nuovo precipitare
nell'ansia di poterla perdere.
"No,
Sarah..." la pregò. Era stato molto attento a non farle rischiare una
gravidanza ogni volta che l'aveva amata da quando l'aveva riavuta tra
le
braccia, a costo di privare se stesso dell'estasi del piacere. E ora
lei gli
diceva che voleva un altro figlio.
"Sì,
invece. E sarà
stupendo sentirlo crescere dentro di me. Sarà meraviglioso averlo tra
le
braccia, allattarlo a mio seno... e vederlo in braccio a suo padre. Io
voglio
un altro bambino".
"Ti
prego, no...
non posso vederti soffrire come coi gemelli...".
"Non
accadrà. E ci
sarà il dottor Russel a prendersi cura di noi. Tu non vorresti un altro
bambino?"
"Se
pensassi solo
a ciò che desidero io, ti vorrei sempre incinta di un mio bambino"
disse
lui in tono possessivo "perché sarebbe chiaro ad ogni uomo che ti mette
gli
occhi addosso che sei mia. Odio quei cicisbei che ti ronzano sempre
attorno."
"Ohi
ohi, Sua
Grazia il Duca di Lyndham è geloso!" lo punzecchiò lei divertita.
"E
poi adoro come
il tuo corpo si trasforma, per accogliere la parte migliore di me,
quella che
più d'ogni altra ti ha raggiunto nel profondo... È un miracolo, ogni
volta che
ci penso. Ed è oltremodo eccitante sapere che in un qualche modo mi
posso
annidare dentro di te, come desidererei poter fare ogni volta che
facciamo
l'amore...".
Lei
sentì gli occhi
inumidirsi a quelle parole, che più d'ogni altre le rivelavano
l'intensità e la
passione con cui la venerava.
"Anche
per me è lo
stesso: quando porto il tuo bambino mi sento totalmente tua, perché una
parte
di te sta crescendo nel mio grembo. Per questo voglio un altro figlio,
almeno
ancora uno, che mi faccia scordare la solitudine di questi ultimi mesi
e mi
renda sicura del tuo amore".
"Non
dovrai mai più
dubitare del mio amore" le promise, con tono solenne.
"Allora
vieni
dentro di me..." gli sussurrò invitante, attirandolo a sé "e restaci
fino a quando non ne potrò più d'averti dentro...".
Gli
bastarono quelle
parole per scoprirsi di nuovo pronto a far l'amore con lei.
Quell'invito così
appassionato e intimo gli rammentò, se ce ne fosse stato bisogno, il
motivo per
cui non riusciva a desiderare una donna che non fosse lei: Sarah voleva
lui e
non un qualunque uomo che la soddisfacesse.
Si
allungò su di lei e
riprese ad amarla con tutta l'intensità, la passione e il timore che
provava al
solo pensiero che, nell'impeto del loro desiderio, avrebbero potuto
concepire
il loro futuro bambino.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 39 *** Una proposta ***
Capitolo XXXIX
Una
proposta
"E se venissi
con te a
Parigi?"
"Credevo
volessi terminare la
lettura dei diari al più presto" rispose Nicole, dopo un attimo di
esitazione. Era pronta per salire in macchina e partire e, durante le
due ore
in cui si era preparata con calma al viaggio, lui non le aveva detto
nulla
dell'idea di accompagnarla.
"Non senza di
te".
"Andrew..."
tentò di
replicare lei, ma lui non la lasciò proseguire:
"E poi domani
sera devo
essere al Charles de Gaulle a
prendere i miei genitori... partirei comunque domattina. Anticipare di
un
giorno non cambia nulla e sarebbe bello viaggiare insieme".
"Non mi hai
detto che
sarebbero arrivati i tuoi genitori. Credevo saresti stato tu a tornare
in
America appena terminate le tue ricerche".
"Ossia
terminato di leggere i
diari del tuo antenato?"
"Beh, sì"
rispose lei
"avevo capito che fosse questo lo scopo del tuo viaggio e della tua
permanenza in Francia".
Andrew non
rispose, si limito a
fissarla. Lei colse un accenno di turbamento e di distacco in quel
silenzio.
Decise di interromperlo, per tentare di ristabilire quella intimità che
li
aveva uniti sino a quel momento e che aveva la sensazione di aver
rovinato con
le sue parole.
“Quando lo
hai saputo? E come mai
vengono in Francia?"
"L'ho saputo
ieri mattina:
mentre eri al telefono con la tua assistente ho chiamato mia madre.
Vengono
per... conoscerti" si azzardò infine a dirle.
"Per
conoscere me? Come
mai?"
"Mia madre
vuole vedere in
faccia la donna che è riuscita non solo a scattarmi alcune foto, ma a
ritrarmi
addirittura per un intero servizio fotografico" rispose lui, con tono
leggero. Ma quando vide l'espressione scettica di Nicole, si risolse a
dirle la
verità, o almeno una parte di essa.
"Vogliono
conoscere la donna
di cui mi sono innamorato".
Per un attimo
Nicole lo guardò,
senza dire nulla. Poi si voltò con la chiara intenzione di recuperare
la
piccola borsa che Madeleine le aveva preparato.
"Aspetta..."
la fermò
lui, catturandole un polso e mettendosi di fronte a lei.
"Andrew, ti
prego...".
"Ti ho appena
detto di essere
innamorato di te. Non mi dici nulla?"
"Non so che
dire...".
"Non provi
nulla per me,
vero?" domandò lui e Nicole colse un misto di ansia e rassegnazione nel
suo tono.
"No... Non è
vero. Tu mi
piaci, e molto, ma..."
"Ma per te
sono solo
un'avventura. Piacevole di certo, ma solo un'avventura".
"Non è
esatto".
"Cosa sarei,
allora?"
Era inutile
tentare di evitare di
rispondere: per quel poco che lo conosceva, non si sarebbe accontentato
di
nulla che non fosse la verità. Ciononostante ci provò comunque.
"Un uomo
bellissimo e
adorabile..." disse sfiorandogli una guancia con le labbra e
riconoscendo,
anche con un contatto così fugace, il medesimo brivido di desiderio che
provava
ogni volta che i loro corpi si avvicinavano.
"Nicole...
questo giochetto
con me non funziona" replicò lui.
"Un uomo
bellissimo e
adorabile che desidero da impazzire. Un amante formidabile che mi fa
volare in
paradiso ogni volta che mi sfiora..."
"Ma...?"
domandò lui,
dopo aver colto nel suo tono che il discorso lusinghiero era il
preludio ad
un'obiezione che non avrebbe gradito.
"Potrei
innamorarmi di te,
Andrew. Sei tutto ciò che ho sempre desiderato in un uomo, e forse
anche di più.
Ma mi fai paura..." si risolse infine a dirgli.
"Perché?"
"Mi faresti
ancora più male
di quanto me ne fece Christopher, quando mi lascerai".
"Non ti
lascerò mai,
Nicole".
"La tua vita,
il tuo lavoro,
la tua famiglia sono in America. Io, invece, vivo tra Londra e
Parigi..."
"Esistono gli
aerei,
Nicole" disse lui, che iniziava a sentirsi meglio. Se le sue obiezioni
fossero state solo di carattere pratico, avrebbe avuto delle speranze.
"E quanto
credi che possa
durare una relazione a distanza?" obiettò di nuovo lei.
"Non hai
capito: io voglio
vivere qui, con te. In Francia. Per la precisione voglio vivere in
questa casa,
perché sento che è il luogo che cercavo da tempo, quello che il Destino
ha
messo sulle nostre strade".
"Ancora con
questa storia del
Destino?" chiese lei, un po’ spazientita.
"Non hai
ancora idea, tesoro,
di quanto questa mia teoria, che ritieni tanto balzana, invece ci
riguardi da
vicino" mormorò lui, ma lei non lo stette neppure a sentire.
"Non voglio
vivere con un
amante. L'ho già fatto ed è stato un disastro. Trascorrere alcune
settimane
insieme è una cosa, convivere è un'altra, implica delle responsabilità
che non
ho intenzione di analizzare. Tra di noi è stato bello, Andrew, e può
esserlo
ancora per qualche settimana, al mio ritorno, finché lavoreremo
assieme, sempre
che il colloquio con mr. Andrews non cambi le carte in tavola: sai
quanto ci
tenga a fargli da consulente e se me lo dovesse riproporre, nulla mi
impedirà
di accettare. Né il mio lavoro alla Maison,
né tu. Se sarai a Parigi, potremo rivederci qualche volta…"
"Hai finito?"
domandò
aspro lui.
Lei annuì,
sorpresa dal suo tono
secco.
"Neppure io
voglio convivere.
Non crederai che presenterei a mia madre e a mio padre la mia amante di
turno!
Mio padre mi sbatterebbe fuori casa a calci, se ancora vivessi con
loro. Ti sto
dicendo che desidero sposarti, Nicole, e vivere con te per sempre.
Preferibilmente in questa casa, ma andrebbe bene ovunque".
Tacque e
rimase immobile, ad
osservarla, per lasciarle il tempo di assimilare la sua proposta,
un'idea alla
quale lui, con l'ingenuità dettata dall'esempio dei suoi genitori,
aveva
immaginato avesse pensato anche lei.
Aveva inteso
i suoi dubbi sul
matrimonio e in merito ai legami affettivi in genere, tuttavia aveva
anche
intuito che il suo scetticismo era dettato da un tentativo più che
giustificato
di proteggere il proprio cuore. Nicole era sensibile all'amore come
chiunque,
anzi forse più ancora di altre persone e proprio per questo aveva
sofferto
tanto. Eppure era convinto che riconoscere le potenzialità di un
rapporto
l'avrebbe aiutata a lasciarsi andare ai sentimenti. Lui era più che
certo che
tra loro esistesse il Grande Amore:
bastava solo permettergli di sbocciare, senza bloccarlo sul nascere.
Attese con
pazienza la sua
risposta, un qualunque cenno che gli facesse comprendere d'aver inteso
quelle
potenzialità che lui coglieva in continuazione tra di loro.
Il cenno
arrivò, ma non era quello
da lui auspicato: Nicole si piegò e recuperò la borsa da viaggio,
dopodiché si
voltò e se ne andò.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 40 *** Confessioni ***
Capitolo XL
Confessioni
Ti sto
dicendo che desidero sposarti, Nicole, e vivere con te per
sempre.
Più tentava
di non pensare alle
parole di Andrew, più quella frase continuava a ronzarle nella testa.
Il giorno
prima era arrivata alla
sua casa di Parigi dopo un viaggio in cui aveva fatto il possibile per
distrarsi. In genere quando percorreva la distanza che separava Parigi
da Cluny
le piaceva osservare il paesaggio e immergersi nei propri pensieri;
talvolta
aveva preso persino importanti decisioni riguardanti il lavoro o la sua
attività
col dottor Dumònt proprio durante quel tragitto. Non ricercava neppure
la
musica, che invece accompagnava ogni suo altro viaggio automobilistico,
oppure,
se accendeva lo stereo, sceglieva un brano molto soft e lo metteva come
sottofondo ai propri pensieri.
Quel mattino
la musica aveva
rimbombato nell'abitacolo per tutta la durata del percorso, con
l'obiettivo di
impedirle di soffermarsi sulle ultime parole del suo amante.
Inutilmente.
Neppure
l'accoglienza come sempre
affettuosa di Marie-Antoinette era riuscita a fargliele scordare. E se
non
c'era riuscito neanche l'ottimo pranzo che la cuoca le aveva preparato,
era
sicura che nulla avrebbe potuto levarle dalla mente quella frase. Lei,
però,
non aveva alcuna intenzione di farsi rovinare il suo incontro con Alex
Andrews
da una proposta di matrimonio, pertanto si era rifugiata in camera
oscura
appena terminato di spiluccare il piatto servitole da Clementine, la
quale
aveva osservato inorridita gli avanzi del suo capolavoro culinario
poiché mai,
da quando era al suo servizio, aveva riportato in cucina un piatto non
ripulito
alla perfezione.
Nel luogo in
cui si era sempre
sentita a suo agio e in cui per anni si era rifugiata ogni volta che
assisteva
ai litigi dei suoi genitori, per un po’ la situazione era parsa
migliorare. Quando
era partita da Parigi all’improvviso, settimane prima, aveva lasciato
del
lavoro arretrato per la Maison,
quindi per
qualche ora era riuscita a concentrarsi su quello, sviluppando con
estrema cura
l'ultimo servizio fotografico per la casa di mode. Solo quando tra quei
negativi aveva visto il corpo di Andrew mentre usciva dall'acqua, si
era
ricordata che aveva terminato gli ultimi scatti disponibili proprio con
le
inquadrature fatte accanto alla piscina dello Chateau,
mentre lo aveva sorpreso a nuotare come mamma lo aveva
fatto e senza ancora sapere che quel corpo nudo apparteneva all'uomo
che, fin
dalla prima volta, aveva tormentato i suoi sogni rendendoli
squisitamente
sensuali.
Quelle
immagini avevano fiaccato
il ferreo proposito di scordarsi di lui e delle sue parole; quindi,
rassegnata
all'inevitabile, aveva deciso di esorcizzare il ricordo di Andrew
facendo
l'esatto contrario: con un'attenzione maggiore del solito aveva
sviluppato e
ingrandito tutte le foto che gli aveva scattato negli ultimi giorni e
poi le
aveva appese ad una ad una, col risultato che ora il suo studio era
tappezzato
delle immagini in formato gigante di un solo uomo.
Un benvenuto
non troppo cortese
per Alex Andrews, che attendeva di lì ad un'ora proprio in quella
stanza.
Era stata
Marie-Antoinette a
suggerirle di riceverlo nell'ampia veranda della casa che lei aveva
deciso di
trasformare nel proprio studio, non appena l'aveva vista il giorno in
cui, tre
anni prima, si era innamorata di quel grande appartamento su due piani
che si
affacciava sui tetti di Parigi da un lato e sul Bois
de Boulogne dall'altro. Solo in quel momento si rendeva
conto
d'aver desiderato, fin da ragazza, di poter un giorno avere per sé una
stanza
simile, con ampie vetrate ad illuminarla tutta; e più ci pensava, più
doveva
ammettere che quel desiderio non nasceva solo dall'esigenza di circondarsi di luce
legato alla sua
professione, ma dall'inconscio ricordo dello studio che c'era allo Chateau, visto quell'unica volta da
bambina, quando sua madre l'aveva portata per la prima volta in
Francia. Anche
la posizione e di conseguenza la vista che si godeva dall'appartamento
dal lato
verso il famoso parco, ricordava quella dello Chateau
di Cluny o, quantomeno desiderava richiamarla sempre alla
mente.
Quando lo
aveva acquistato non era
ancora tornata alla casa del suo antenato, eppure l'immagine di quel
luogo
doveva esserle entrato sotto pelle perché anche l'arredamento che aveva
scelto
era molto simile: nessun imponente oggetto di antiquariato stile Luigi
XV come
il palazzo e la zona esclusiva avrebbero potuto suggerire, ma neanche
il freddo
minimalismo che aveva usato per l'appartamento di Londra. Per la sua casa
aveva voluto oggetti di antiquariato più sobri e che al tempo stesso
richiamassero l'idea di calore e di vita vissuta, senza però far
scordare la
raffinatezza, e li aveva miscelati con sapienza allo stile moderno
necessario
alla sua professione e alle comodità del ventunesimo secolo: il
risultato era
un appartamento di gran classe, nel quale si sentiva finalmente a casa.
In
nessun altro luogo, durante tutta la sua vita, si era mai sentita così,
neppure
nella maestosa residenza ducale in cui era nata e che per diciotto anni
era
stata l'abitazione della sua infanzia, alternata a quella londinese,
ormai
entrambe di proprietà di suo fratello Edmund. Solo negli ultimi giorni
trascorsi a Cluny aveva provato lo stesso senso appartenenza.
Aveva
riflettuto su tutte queste
cose mentre sviluppava le foto di Andew e ricordava gli splendidi
momenti
trascorsi assieme.
Perché mai
aveva tanta paura a
lasciarsi andare?
Perché non
riusciva a liberarsi
dei fantasmi del suo passato e permettersi di amare -cosa che se doveva
essere
davvero sincera con se stessa, per altro già faceva- l'unico uomo che
avrebbe
potuto concedersi di sposare?
Con lui
avrebbe potuto realizzare
i suoi sogni di bambina, quelli che coltivava nel cuore prima che le
continue
liti dei suoi genitori e la delusione provata con Christopher li
estirpassero
brutalmente.
Forse poteva
concedere ancora una
speranza al suo cuore. In fondo lei lo sapeva. Aveva solo paura di
riaprirlo
all'amore.
Persa nei
suoi pensieri aveva
appena terminato di raccogliere tutte le foto appese, quando
Marie-Antoinette
bussò per ricordarle che a breve sarebbe arrivato lo scrittore.
"Grazie
Marie-Antoinette...
corro a darmi una sistemata..." e sparì come un fulmine, lasciando la
sua
assistente divertita come al solito nel vederla in preda all'agitazione.
"Mancano
ancora dieci minuti
all'ora dell'appuntamento..." si arrischiò a gridarle dietro la donna,
ma
milady era già scomparsa al piano di sopra, dimenticando sulla
scrivania la
cartella con le foto.
Ridiscese
dodici minuti dopo,
mentre Marie-Antoinette si chiudeva alle spalle la porta del suo studio.
"È già
arrivato, milady. L'ho
fatto accomodare e ho già portato il vassoio, come mi avete chiesto".
"Sei un
angelo, Marie-Antoinette.
Come sto?"
"Splendida e
perfetta come
sempre, milady".
"Bene, è il
caso che entri
ora..." disse Nicole, lasciando trasparire dal tono tutta l'ansia che
stava trattenendo.
"Milady, monsieur Andrews mi ha pregato di
consegnarvi questo" e le
porse un biglietto da visita uguale a quello che l'agente dello
scrittore, mr.
Ross Harler, aveva fornito alla sua assistente quando si era presentato.
"Che
significa, Marie-Antoinette?"
"Non lo so,
lady Sinclair.
All'inizio ho pensato che me lo stesse mostrando per farsi riconoscere,
come se
ce ne fosse bisogno. Voi sapete che mi basta sentire la voce di una
persona una
sola volta, per riconoscerla, anche se non è più al telefono" disse la
donna con orgoglio.
"Certo,
Marie-Antoinette, ma
devi convenire che mr. Andrews non può essere a conoscenza di questa
tua qualità"
rispose Nicole.
"Avete
ragione. Eppure,
nonostante glielo abbia detto mentre lo accompagnavo nel vostro studio,
quando
stavo per uscire mi ha pregato di darlo a voi. E anche quando ho
sottolineato
che non era necessario poiché eravamo già in possesso di ogni recapito
per
raggiungerlo, mr. Andrews ha insistito".
"E va bene,
ci sarà un valido
motivo per cui desidera che io lo abbia. Glielo domanderò tra poco.
Fammi gli
auguri, Marie-Antoinette" e senza aspettare che l'assistente esaudisse
la
sua richiesta, aprì la porta ed entrò.
Alex Andrews
era in piedi, davanti
alla grande vetrata, ad osservare il parco. La luce del sole entrava
con
prepotenza da quella direzione e rendeva impossibile cogliere la sua
figura nel
dettaglio; tuttavia era evidente l'altezza e la corporatura notevole dell'uomo. Indossava un
completo maschile
scuro dal taglio perfetto, con scarpe in pelle nera, certamente di
marca
italiana.
Quando,
percependo la sua
presenza, si voltò verso di lei, per un attimo la luce alle sue spalle
le impedì
di mettere a fuoco il suo volto e l'attenzione di Nicole fu catturata
dall'ampiezza del torace e dalla mano, che l'uomo nel frattempo aveva
allungato
verso di lei, spostandosi in avanti di qualche passo.
Non ha
affatto un aspetto banale si rese conto
di pensare, mentre a sua volta gli si
avvicinava per salutarlo.
"Bonjour, lady
Sinclair".
Fu la sua
voce, dal tono dolce e
un po’ esitante, a farle sollevare lo sguardo sul volto, che finalmente
riusciva a vedere bene ora che lui si trovava più distante dalla
finestra.
Si bloccò con
la mano ancora
sollevata nell'atto di stringere la sua. Lo guardò negli occhi e nello
stesso
momento comprese il motivo della sua insistenza col biglietto da
visita: senza
quello temeva che lei non gli avrebbe creduto.
Poi si diede
della stupida, per
come aveva fantasticato sul suo aspetto ma, soprattutto, per avergli
espresso a
voce le proprie considerazioni. Chissà quanto si era divertito, in
quell'occasione!
"Buongiorno,
mr.
Andrews" si decise a salutarlo, porgendogli la mano, ma risoluta ad
allontanarla non appena percepì la sua esitazione nel volerla
trattenere
"prego, si accomodi. Ho idea che avremo molto di cui parlare..."
aggiunse andando a sedersi alla propria scrivania ed evitando di
proposito la
poltrona accanto a quella in cui aveva invitato lui ad accomodarsi.
L'uomo, però,
non si diresse verso
la poltrona, ma la seguì e, prima che lei potesse impedirgli di
prenderla, si
impadronì della cartella che aveva lasciato sul tavolo.
"Foto
interessanti..."
Ne scorse
qualcuna e si soffermò
sulla prima in cui vi era anche lei, benché non si vedesse il suo
volto. Era
una delle immagini scattate prima di fare l'amore.
"Teme che
possa sfruttarle
per uno scoop?" lo provocò,
continuando a dargli del lei come se stesse effettivamente parlando ad
uno
sconosciuto. Era nervosa e arrabbiata per come si sentiva presa in
giro: più di
una volta gli aveva espresso il dispiacere d'aver perso l'occasione di
fare da
consulente al noto scrittore, e senza saperlo stava già lavorando con
lui.
Si alzò e
allungò una mano per
farsi restituire la cartella.
"Nicole..."disse
Andrew,
ma il suo tentativo di calmarla non sortì alcun effetto, lei era
impassibile,
con la mano protesa a mo’ di comando. In quel momento aveva più
autorità su di
lui di quanta ne avessero mai avuta sua madre o suo padre, pensò sorridendo dentro di sé e
scoprendosi sempre
più innamorato. Arreso, le restituì le fotografie.
"A ben
pensarci ho davvero
tra le mani un fantastico scoop!
Potrei vendere queste foto: Immagini
inedite dello scrittore del mistero... I giornali andrebbero
a ruba e io
farei un sacco di quattrini. Per non parlare della pubblicità...".
"È questo che
vuoi? Quattrini
e pubblicità?"
"Quello che
vorrei davvero è
riuscire a schiaffeggiarti come si deve".
"Cosa te lo
impedisce?"
domandò lui con uno dei suoi sorrisi che erano sempre in grado di
scioglierla.
E lo sapeva bene.
"Non è nel
mio stile"
rispose con tutta l'arroganza che riuscì a recuperare dai secoli di
nobiltà che
aveva alle spalle. Di certo l'espressione divertita di Andrew non le
facilitava
il compito.
"Io, invece,
voglio baciarti
come si deve... e questo è proprio nel mio
stile" replicò lui e, senza darle il tempo di reagire, mise
subito in
pratica il suo proposito.
Stretta tra
le sue braccia Nicole
non riuscì ad evitare di abbandonarsi al suo ardore. Aveva trascorso
una sola
notte senza di lui ed era stata interminabile. Prima o poi avrebbe
dovuto
arrendersi ai suoi sentimenti e alla sua proposta: più ci pensava,
infatti, e
più la trovava allettante. E le faceva sempre meno paura. Ma Andrew si
era
preso gioco di lei e si meritava di soffrire un po’.
"Lasciami"
gli intimò
quando riuscì a staccarsi da lui.
"Tesoro...".
Quell'appellativo
tenero, che lui
usava mentre faceva l'amore con lei, la rese più furibonda.
"Lasciami e
vedi di
propinarmi una bella storia per giustificare il tuo comportamento,
altrimenti
quelle foto faranno davvero il giro del mondo" lo minacciò, nonostante
entrambi sapessero che non avrebbe mai messo in atto il suo proposito
"del
resto inventare storie è ciò che ti riesce meglio, non è vero?"
aggiunse
per provocarlo.
"Non devo
inventare proprio
nulla" rispose lui, calmo.
"D'accordo,
allora. Dimmi
com'è andata".
Andrew la
fece sedere su una
poltrona ma lui rimase in piedi e iniziò a raccontarle tutto quanto
dall'inizio, da quando si erano scontrati sulla spiaggia sino a quando
aveva
scoperto che l'esperta che gli aveva scovato Ross e la donna di cui si
era
innamorato erano la stessa persona.
"Eri
innamorato di me?"
"Sì".
"Ma sei
andato a letto con
Monique" osservò lei, pacata.
"Quando sono
stato con
Monique non me n'ero ancora reso conto. Anzi è proprio grazie alla mia
avventura con lei che l'ho capito. E ne ho avuto la conferma quando ti
ho
scoperta a frugare nella tua stessa proprietà... È stato a quel punto
che ho
collegato tutto quanto e che ho compreso che quelle che all'inizio
pensavo
fossero ben quattro persone diverse -la sconosciuta della spiaggia,
l'affascinante fotografa, la lady esperta dell'Ottocento e l'erede del
Duca-
erano in realtà un'unica persona: tu. In quel momento ho preso la
decisione di tacerti
l'identità con cui mi avresti riconosciuto".
"Perché?"
"Io volevo
che mi conoscessi
e ti innamorassi di me per l'uomo che sono, Andrew Alexander Rabb, e
niente
altro. Se ti avessi detto che sono lo scrittore Alex Andrews, i nostri
rapporti
sarebbero stati diversi" le disse, facendola alzare in piedi per
abbracciarla. Lei non glielo impedì e Andrew lo considerò un ottimo
segno.
"Mi reputi
incapace di
valutare una persona a prescindere dal ruolo che ricopre? Ti faccio
presente
che sono abituata a persone che hanno ruoli ben più importanti rispetto
al
tuo".
"Lo so bene.
Ma faccio io
presente a te che sei la prima a non presentarti col tuo titolo
nobiliare...
questo dovrebbe farti capire ciò che intendo. Inoltre tu stessa avevi
ammesso
come fotografa che non mescoli mai lavoro e piacere; ho temuto che la
pensassi
allo stesso modo anche per il nostro rapporto di collaborazione e io
volevo
rientrare nella categoria piacere e non lavoro".
"Cosa farai
coi diari?"
chiese lei. Non aveva commentato ciò che lui le aveva spiegato, ma il
tono
della sua domanda e il repentino cambio di argomento gli fecero capire
che si
stava ammorbidendo.
"Dipende da
te. Ho diverse
idee in proposito, ma la decisione è tua".
"Dimmi quali".
"Dopo"
rispose lui
"dopo che ti avrò presentato i miei genitori" aggiunse. Aveva colto
la voce di suo padre al di là della porta chiusa.
"Mi hai detto
che sarebbero
arrivati stasera... Hai mentito anche su questo" osservò lei.
"Hai ragione.
Sono partito da
Cluny poche ore dopo di te. Ma la sorpresa che stanno per farti valeva
questa
piccola bugia, credimi".
"Quale
sorpresa?" cercò
di farsi dire, ma in quel momento Marie-Antoinette bussò ed entrò.
"Excuse moi, milady, il
signore qui presente insiste per vedere suo
figlio..." disse imbarazzata la sua assistente, la quale non riusciva a
capire come mai la coppia anziana, che a quanto le avevano assicurato
erano i
genitori del famoso scrittore americano, a tutti i costi dovesse
interrompere
il colloquio che Sua Signoria attendeva da tempo.
Da quando
aveva iniziato a
lavorare per milady, mademoiselle
Valens, contrariamente ai suoi principi, si era abituata a non
attendere una
risposta di Lady Sinclair dopo aver bussato, a meno che non
espressamente
richiesto dalla sua padrona: questa regola gliel'aveva imposta milady,
perché
spesso era immersa nel proprio lavoro e non avrebbe sentito neppure lo
squillo
di un campanello. Inoltre Sua Signoria mal sopportava certe rigidità
dell'etichetta e voleva a tutti i costi non essere trattata come una
persona di
rango superiore. Ovviamente Marie-Antoinette non si sarebbe mai sognata
di dare
del tu alla sua padrona, come più volte lei stessa aveva richiesto, ma
in
piccole cose era dovuta scendere a qualche compromesso. Tuttavia era
conscia
che prima o poi se ne sarebbe pentita, e il momento era forse arrivato:
infatti
nell'aprire la porta senza attendere risposta, aveva visto anche
l'abbraccio
affettuoso nel quale monsieur
Andrews
accoglieva Lady Sinclair, fonte di ulteriore imbarazzo per la giovane
assistente.
"Tranquilla,
Marie-Antoinette,
fallo passare" disse Nicole.
Mademoiselle
Valens osservò che
milady si era scolta dall'abbraccio nel risponderle, ma monsieur
Andrews le aveva afferrato la mano e la teneva nella
propria.
"C'è anche
una
signora..." aggiunse la donna, ancora più turbata dal fatto che Sua
Signoria lasciava la mano in quella dello scrittore. Era convinta che
non si
conoscessero, ma a quanto pareva si era sbagliata.
"Beh, fa
accomodare anche
lei, ovviamente" la sollecitò Nicole; poi, accortasi dell'imbarazzo,
nonché
dello stupore della sua assistente, aggiunse:
"Più tardi ti
spiegherò
tutto" e accompagnò la frase con il sorriso dolce che sapeva sempre
rassicurarla.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 41 *** Mr. e Mrs. Rabb ***
Capitolo XLI
Mr.
e Mrs. Rabb
"Che ti avevo
detto, tesoro?
Andy non avrebbe potuto scegliere che il meglio".
"Non
gongolare troppo, mio
caro. Questo io lo sapevo prima ancora di dirti che nostro figlio si
era
innamorato".
Fu con questo
scambio di battute
che i genitori di Andrew le si presentarono.
Stupita,
Nicole sollevò lo sguardo
verso l'uomo che ancora teneva la sua mano nella propria e lo vide
alzare gli
occhi al soffitto, come a voler dire che
ci posso fare, questi sono i miei genitori e me li devo tenere.
Ma il
divertimento e la tenerezza che velavano la sua espressione esprimevano
tutto
l'amore e l'orgoglio che provava per loro.
Andrew le
lasciò la mano per
avvolgere la madre in un abbraccio dolcissimo e dare una pacca
affettuosa sulla
spalla del padre. Entrambi ricambiarono con altrettanto trasporto.
Nicole pensò
che non aveva mai
visto suo fratello salutare i loro genitori allo stesso modo, neppure
quando
era stato per un intero anno fuori casa per il consueto giro del mondo
che, ciò
che ancora rimaneva della nobiltà inglese, continuava a considerare un
dovere e
al tempo stesso un privilegio del figlio maschio non appena varcava la
soglia
dell'età adulta. Del resto, però, neppure lei aveva mai salutato i
genitori con
slanci genuini. Il suo desiderio di dare e ricevere affetto era stato
stroncato
da entrambi prima ancora che raggiungesse la pubertà con severe
ramanzine sul
contegno che una futura lady doveva mantenere. Nicole aveva riversato
su cani e
cavalli la propria tenerezza: a quanto sembrava, nell'alta società era
più
decoroso salutare con calore gli animali piuttosto che i propri
familiari.
"Mamma, papà,
lei è Nicole,
per l'esattezza Lady Nicole Alexandra Montgomery Sinclair, contessa
d'Harmòn e
sorella dell'attuale duca di Kesington, la donna che voglio sposare".
Furono queste
parole a riportarla
alla realtà. Andrew non aveva usato mezzi termini nel presentarla,
anche se
sospettava che i genitori già conoscessero il suo nome per intero,
nonché il
titolo e persino il fatto che il figlio desiderasse sposarla.
"Nicole, loro
sono i miei
genitori, Harmon Rabb e Sarah Mackenzie" aggiunse poi. Nonostante
l'importanza di quel momento, lei colse la strana assonanza tra i nomi
dei
genitori di Andrew con quelli dei suoi antenati, ma non fece in tempo a
dire
alcunché poiché i due coniugi americani si rivolsero a lei.
"Lady
Nicole..." la
appellarono e lei osservò che entrambi d’istinto avevano assunto una
posizione
più rigida nel salutarla, quasi a ricordare il mettersi sull'attenti
dei
soldati. All'improvviso ricordò ciò che Andrew le aveva detto dei suoi
genitori
e pensò che era probabile che fosse un gesto inconscio di rispetto,
impresso in
loro da anni di vita militare.
Si fece
coraggio e avanzò di un
passo, per salutarli a sua volta.
"Solo Nicole,
per
favore" disse porgendo ad entrambi la mano. "È per me un grande
piacere conoscervi, signori Rabb. Prego, accomodatevi" aggiunse e
indicò
le poltrone alla loro destra. I due ospiti stavano per sedersi quando
realizzò
che lei e Andrew sarebbero dovuti restare in piedi, pertanto si
affrettò a
suggerire: "O forse è meglio che ci spostiamo in salotto...",
rivelando in quel modo l'ansia che invano tentava di celare dietro una
facciata
di contegno aristocratico che le avevano inculcato fin dalla nascita.
Andrew
sorrise: aveva imparato a
conoscerla e sapeva cosa nascondeva quell'agitazione.
"Tranquilla,
tesoro. Qui andrà
benissimo" disse, mentre spostava la sedia accanto alle poltrone e la
invitava ad usarla. Lui si appoggiò al bordo della scrivania con l'aria
più
naturale del mondo.
Nicole non
tentò neppure di
discutere il fatto che quella fosse casa sua e che spettava a lei
decidere dove
far accomodare i suoi ospiti. Si sedette e cercò di placare l'ansia.
Ma,
caspita, stava per conoscere i suoi probabili futuri suoceri...
chiunque avrebbe
avuto diritto di essere agitato, persino una nobildonna inglese!
"E così vi
sposerete"
esordì mrs. Rabb con la stessa naturalezza con cui avrebbe detto che
stava
bevendo un caffè.
"Non
precipiterei le
cose, signora Rabb"
disse Nicole,
decisa, "vostro figlio mi ha mentito".
"Si riferisce
al fatto che ha
omesso di dire che in realtà è lo scrittore Alex Andrews?" si intromise
mr. Rabb.
"Sì".
"La privacy
per nostro figlio
è sempre stata importante. Presentarsi con lo pseudonimo scelto per la
sua
professione l'avrebbe messa a repentaglio. Non dimentichi che lei è una
fotografa e avrebbe potuto darlo in pasto ai media".
"Certo, lo
capisco. Ma ha
deliberatamente deciso di mentirmi anche quando ha saputo che ero
l'esperta che
avrebbe dovuto incontrare come scrittore...".
"Può
condannare il desiderio
di un uomo innamorato di essere scelto per se stesso e non per la sua
notorietà?"
chiese mrs. Rabb, puntando sul romanticismo.
"No,
tuttavia..." si
accinse a ribattere Nicole, ma fu fermata da Andrew.
"Adesso
basta. Papà, mamma,
ho piacere che peroriate la mia causa, ma non siamo in un aula di
tribunale e
Nicole non è una testimone da screditare. Mi avete ricordato quando mi
facevate
assistere alle prove per le vostre arringhe! So gestire io la faccenda
del
nostro matrimonio. Voi siete qui, oltre che per conoscere Nicole, per
un altro
motivo, se non ricordo male".
"Hai ragione,
Andy.
Perdonaci" disse mr. Rabb, con un sorriso disarmante. Lo stesso sorriso
del figlio, pensò Nicole.
Nell'osservare
a prima vista i
suoi genitori, infatti, non era facile dire da chi dei due Andrew
avesse preso.
Tuttavia, ad uno sguardo più attento, si potevano cogliere le
somiglianze: il
sorriso e gli occhi chiari erano del padre, anche se in quelli di
Andrew la
sfumatura verde, appena accennata in mr. Rabb, diventava più evidente.
Anche
l'altezza e la corporatura atletica erano quelle del padre, sebbene
Andrew
fosse nell'insieme meno imponente. Mr. Rabb, infatti, anche a
settant'anni
suonati, era un uomo che non passava inosservato. Il colore dei capelli
e il
taglio degli occhi erano invece della madre, nonché la sfumatura
ambrata della
pelle. Il volto, però, era solo suo, così come la linea del naso.
Ricordò che
Andrew le aveva accennato alle antenate della madre: ad osservare la
struttura
del suo viso, era quasi sicura che egli dovesse ringraziare sia il
sangue persiano
sia quello cherokee per quei lineamenti maschi così interessanti.
Visto che
nessuno parlava più, si
risolse a chiedere:
"Quale altro
motivo?".
E così, in
breve, fu messa a
conoscenza dell'incredibile storia che i genitori di Andrew erano
venuti a
raccontarle.
Seppe
dell'incarico che, oltre
trent'anni prima, li aveva messi sulle tracce del suo antenato
francese, il
Conte Andrè d'Harmòn, divenuto, a seguito della morte dello zio inglese, Lord Thornthon, Duca di
Lyndham. Scoprì anche
che mr. e mrs. Rabb, a quei tempi non ancora sposati, avevano
conosciuto anche
un altro discendente diretto di Lady Sarah e del Duca di Lyndham, Lord
Montagu,
che doveva il proprio titolo proprio ai servigi che il Duca e la Duchessa
avevano svolto
per la regina Vittoria. Infine venne a sapere anche del ruolo che i
suoi
antenati avevano svolto alla corte asburgica.
"Mi state
dicendo che il mio
antenato ebbe a che fare addirittura con Francesco Giuseppe e con
Elisabetta di
Baviera?"
"Non solo vi
ebbe a che fare,
ma assieme a quella che poi sarebbe diventata sua moglie, salvò la vita
all'amata consorte, e per questo ebbero l'amicizia dell'Imperatore e
dell'Imperatrice per tutta la vita. Quest'ultimo particolare è quanto
ci
raccontò Lord Montagu, quando parlammo con lui" disse Harmon Rabb.
"Non hai
trovato mai nulla in
proposito durante le tue ricerche?" domandò Andrew.
"Ho trovato
alcuni documenti
che portano il sigillo della corte asburgica, ma non sono mai riuscita
a
spiegarmi il perché. Ci sono anche delle lettere indirizzate ad
entrambi e
firmate Elisabetta, ma la firma si
limita al nome e non mi sono mai spinta a pensare che potesse essere
addirittura l'imperatrice d'Austria" rispose lei, pensierosa.
"È probabile
che non volesse
che qualcuno venisse a sapere che era in corrispondenza con un'inglese
e un
francese... firmandosi solo col nome nessuno avrebbe potuto affermare
che
quelle missive fossero sue, tranne i diretti interessati" disse Andrew.
"O, più
semplicemente,
Elisabetta di Baviera era fatta cosi: si dice che fosse molto amabile
con chi
sapeva conquistarsi le sue simpatie e che trattava coloro i quali
considerava
amici con estrema familiarità. L'arciduchessa Sophia, madre
dell'Imperatore,
disapprovava questo suo atteggiamento, ma Sissi si ostinava a
mantenerlo, forse
per una forma di ribellione nei confronti della suocera invadente. Ad
ogni
modo, ora capisco il perché di quei secondi nomi..."
"A cosa si
riferisce,
Nicole" domandò incuriosita Sarah Mackenzie.
"Il duca e la
duchessa ebbero
quattro figli: Andrew Alexander..." rispose, e nel pronunciare quel
nome
rivolse lo sguardo verso l'uomo che amava; poi continuò:"due gemelli,
Jane
Elizabeth e Nicholas Joseph, e infine la mia antenata, Alexandra
Nicole. Prima
d'ora non ero mai riuscita a spiegarmi il perché di quei due nomi,
soprattutto
di Joseph, un nome né inglese, né francese, almeno non nella forma in
cui è
stato ufficializzato, ma alla luce di quanto mi avete detto, è tutto
più
chiaro: di certo Elizabeth
e Joseph sono
in onore dell'Imperatore Franz Joseph e della sua consorte, Elisabetta.
Ora non
mi resta che capire l'origine dell'altro nome, Alexander -o Alexandra-,
che
ricorre nella famiglia a partire proprio dai figli del Duca e della
Duchessa...".
"Credo che
qui possano esserci le risposte a questa domanda..." disse mrs. Rabb,
porgendole un quadernetto in
pelle dall'aspetto molto familiare, che aveva estratto dalla borsa.
"Non ci posso
credere..." mormorò Nicole con le lacrime agli occhi, prendendolo.
Sarah e
Harmon Rabb si guardarono,
compiaciuti: c'erano voluti più di trent'anni, ma alla fine erano
riusciti a
consegnare ad uno dei legittimi eredi l'antico diario che avevano
ritrovato.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 42 *** Senza di lei ***
Capitolo XLII
Senza
di lei
A svegliarla
fu la sensazione di non averlo più accanto a
sé. Voltò la testa e si soffermò ad ammirare il corpo di suo marito,
rischiarato dalla luce dell'alba. Harm era in piedi davanti alla
finestra, ad
osservare fuori. Lo scalpiccio nervoso degli zoccoli di Joy stava ad
indicare
che Andy era pronto per uscire a cavallo.
"Di già?"
domandò al marito.
Harm annuì
con un cenno del capo, senza neppure voltarsi.
"Sempre
prima..." sospirò lei. Quindi aggiunse:
"Sono appena le 5.57... Quanto avrà dormito stanotte? Tre, quattro
ore?"
"Meno: alle
tre era ancora in studio a scrivere.
Potrebbe non aver dormito affatto" rispose Harm, sempre con lo sguardo
oltre i vetri.
Lei si voltò
sul fianco e rimase ad osservarlo.
Nonostante la preoccupazione per il figlio, non poté evitare di
ammirare il
corpo del marito. Coperto come sempre solo di un paio di boxer, Harm le
faceva
lo stesso effetto della prima volta in cui lo aveva visto in versione
discinta,
quasi quarantanni prima. Ospite a casa sua per la notte, lo aveva
svegliato coi
rumori che aveva fatto mentre puliva la sua pistola. Aveva freddo e non
riusciva a dormire e lui si era alzato per accenderle il riscaldamento.
Come se
nulla fosse, le si era presentato in tutto il suo splendore e lei
ricordava
ancora di aver pensato, maliziosa, uno che se avesse fatto anche a meno
dei
boxer la sua giornata sarebbe stata migliore, e due che avrebbe
risparmiato in
riscaldamento se l'avesse accolta nel letto con sé.
Il corpo di
suo marito era cambiato, ovviamente, come del
resto il suo; ma entrambi per fortuna godevano di ottima salute ed
erano
riusciti a mantenersi in forma nonostante il passare degli anni. Quindi
la
visione di Harm appena sveglio, con l'aria ancora un po' assonnata, a
piedi
scalzi e con nulla addosso tranne il paio di boxer, le procurava sempre
il
familiare vuoto allo stomaco di quarantanni prima. Ora, però, si
aggiungevano
anche la tenerezza e la familiarità della profonda conoscenza
reciproca.
Da tempo si
stupiva di quanto lo desiderasse ancora. Lo
desiderava con una intensità talvolta maggiore delle prime volte che
aveva
trascorso nel letto con
lui. Era un
bisogno, non solo un desiderio: il bisogno che lui la completasse, che
fosse
unito a lei. La necessità di sapere che l'unione dei loro corpi non si
limitava
alla soddisfazione del piacere, ma colmava il vuoto che l'avvicinarsi
della
morte avrebbe portato nella vita di uno dei due. C'erano delle volte in
cui si
soffermava ad osservarlo mentre dormiva, intenta a captare ogni suo
singolo
respiro. Harm stava bene, non aveva problemi di nessun tipo, salvo i
classici
acciacchi dovuti all'età; eppure lei temeva sempre che un giorno si
sarebbe
risvegliata senza di lui. Un po' com'era accaduto a Lady Sarah.
Altre volte,
invece, temeva che uno dei due avrebbe
scoperto di essere ammalato, di avere ancora poco tempo da vivere, da
trascorrere godendo del conforto dell'altro.
Ogni tanto
esternava questi suoi timori al marito, il
quale rispondeva sempre con la solita battuta, che la faceva sorridere:
"è
perché sei ancora troppo innamorata di me...". La pronunciava
con la
sua solita aria sorniona, ma ogni volta soffermava lo sguardo su di lei
quell'attimo in più, sufficiente a farle capire che lui provava i suoi
stessi
sentimenti e le sue stesse paure.
Era il prezzo
da pagare per aver amato lo stesso uomo per
oltre metà della propria vita.
Harm era in
apprensione, esattamente come lei. Però se
era piuttosto usuale che lei fosse in ansia per Andrew, nel caso di
Harm era
alquanto insolito e quindi più preoccupante. E visto che la faccenda
durava
ormai da oltre due mesi, ai pensieri per il figlio le si aggiungevano
anche
quelli per il marito.
"E' ora di
fare quattro chiacchiere con lui"
disse Harm, sorprendendola.
"Avevo capito
che non volevi che ci intromettessimo.
Ricordi? E' un uomo adulto, si tratta della sua vita..." citò le parole
che proprio lui le aveva detto quando era stata lei a suggerirgli di
parlare
con Andy.
"Pensavo che
a quest'ora avrebbe già preso una
decisione e sarebbe tornato in Francia, a cercarla e a convincerla a
trascorrere la vita insieme a lui".
"Come facesti
tu quando partisti per Londra senza
volermi parlare?" lo punzecchiò lei.
Harm la
guardò di sottecchi, un mezzo sorriso
stiracchiato sulle labbra.
"Proprio
perché so di aver sbagliato non voglio che
lui faccia lo stesso. Erano perfetti insieme. Certe cose si intuiscono
al
volo".
"Però lei se
n'è andata..."
"Dopo aver
letto quel quaderno di pelle marrone che
le abbiamo portato. Solo dopo aver letto quello... Avremmo fatto meglio
a
lasciarlo a Rumsfield" disse secco.
"No, abbiamo
fatto la cosa giusta portandoglielo.
Andrew mi ha raccontato delle
paure di
Nicole, di come è stata cresciuta dai genitori... Povera ragazza,
incarna alla
perfezione il detto che i soldi non fanno la felicità."
"Sì,
d'accordo. Eppure continuo a non capire: ci ha
portati a Cluny, a vedere dove il conte è nato, cresciuto, dove ha
vissuto con
la moglie e i figli e dove è morto. Sembrava felice in quella
settimana. Lei e
Andy erano felici..."
Harm aveva
ragione, quei giorni trascorsi allo Chateau
dei d'Harmòn erano sembrati anche a lei meravigliosi. Alla gioia di
vedere il
figlio sereno accanto alla donna amata, si erano aggiunte l'emozione di
trovarsi nei luoghi dove avevano vissuto due persone che una parte
tanto
importante avevano avuto nelle loro vite e il rendersi conto che si
sarebbero
presto imparentati con la giovane donna che portava in sé il sangue di
queste
due persone, rendendole davvero reali. Il Conte André d'Harmòn e Lady
Sarah
Jane Montagu non erano più due personaggi che sarebbero potuti anche
appartenere ad un romanzo, ma erano stati un uomo e una donna in carne
ed ossa.
Nicole ne era la prova vivente.
In quei
giorni a Cluny tutto era sembrato perfetto:
l'accoglienza affettuosa di Pierre e Madeleine, i gustosi manicaretti
dell'anziana domestica, i bagni di sole nel bellissimo giardino del
castello,
la meraviglia provata nell'entrare nello studio del Conte e nel tenere
in mano
gli altri quaderni simili a quello che avevano trovato loro... Per non
parlare
dell'emozione provata quando Nicole aveva chiesto loro se desiderassero
leggerli: lei e Harm avevano risposto all'unisono e pochi minuti dopo
si erano
già messi al lavoro. Procedevano rapidi, a differenza di quanto avevano
fatto
Andrew e Nicole, perché non si soffermavano su ogni passaggio a
prendere
appunti. Avevano così potuto conoscere meglio la personalità dell'uomo
che
tanto li aveva affascinati anni prima, attraverso i diari di quando era
ragazzo
e poi un giovane uomo. Quindi avevano potuto apprendere della vicenda
che Lord
Montagu aveva raccontato loro per sommi capi, direttamente dalle parole
del
diretto interessato. Infine era stata un'esperienza fantastica leggere
della
vita vissuta di Lord e Lady Thornton vista attraverso gli occhi
innamorati del
Duca: la nascita dei figli, il periodo di crisi del matrimonio,
l'amicizia con
il Conte di Linley e la sua famiglia, la nascita della piccola
Alexandra,
antenata di Nicole. E poi i balli a corte, gli incontri politici, i
viaggi con
i ragazzi e quelli loro due da soli; le letture, gli studi coi quali si
teneva
sempre aggiornato sulle ultime scoperte, notizie sugli investimenti
finanziari,
che avevano assicurato prosperità e diversificazione ad un patrimonio
già
considerevole, che era aumentato al punto che ne restava traccia anche
dopo
oltre un secolo e nonostante fosse stato diviso tra gli eredi.
L'uomo che
avevano imparato ad ammirare attraverso le
pagine di un diario, in tutti quegli scritti si rivelava in ogni sua
sfaccettatura, dalla più intrigante a quella più umana. Un uomo calato
perfettamente nella realtà del proprio tempo, un periodo storico di
grandi
scoperte e innovazioni, ben rappresentato dalla Grande Esposizione del
1889,
che si tenne a Parigi nel centenario della Rivoluzione Francese, alla
quale il
Duca e la
Duchessa
parteciparono assieme ai loro più cari amici e i rispettivi figli,
assistendo
così di persona all'inaugurazione del monumento simbolo della città, la Tour Eiffel.
Un periodo
storico che, tuttavia, portava con sé anche il
seme della Prima Guerra Mondiale. Era stato toccante leggere le sue
ultime
parole, scritte poco prima di morire, quando esprimeva i suoi timori
per una
guerra imminente: la lungimiranza dell'uomo politico aveva previsto
quello che
si sarebbe rivelato essere il primo conflitto mondiale della storia.
Eppure, anche
in quei giorni di preoccupazione, il suo
pensiero era andato sempre alla donna amata, alla quale aveva scritto
missive
d'amore.
Lei avrebbe
tanto desiderato leggere anche quelle
lettere, ma Nicole se n'era andata proprio quando aveva deciso di
chiedergliele.
Dieci giorni
dopo averla conosciuta, dopo averla vista
felice insieme al figlio, dopo aver iniziato ad amarla come una figlia,
Nicole
se n'era andata.
Andrew si era
svegliato un mattino senza di lei, con solo
una lettera nel posto vuoto accanto a sé.
Una strana
missiva, in cui non era neppure ben chiaro se
lo stava lasciando oppure no. Si limitava a dirgli che aveva paura, che
non lo
voleva invischiare in una relazione complicata, con una donna incapace
di amare
e farsi amare, le stesse paure che aveva scoperto aver avuto anche la
sua
antenata quando era fuggita dall'uomo che amava. Aggiungeva che aveva
bisogno
di capire se stessa e per farlo aveva bisogno di tempo e di solitudine.
Lo amava
e lo avrebbe rimpianto per tutta la vita, ma preferiva una separazione
netta
piuttosto che il dolore di vedere l'amore che era certa lui provava per
lei
distrutto dalla propria incapacità di renderlo felice. Gli lasciava a
disposizione tutti i diari e l'autorizzazione a farne ciò che
desiderava:
pubblicarli com'erano, scriverci un romanzo... qualsiasi cosa. La parte
di
eventuali proventi che le spettavano come legittima proprietaria li
avrebbe
dovuti girare alla fondazione che gestiva col dottor Dumònt.
Esattamente come i
soldi che lui le avrebbe versato per l'acquisto dello Chateau:
sapeva
quanto Andrew amasse quel luogo e se ancora lo avesse desiderato, era
disposta
a venderglielo per una cifra che, quando l'aveva letta, Andy era
scoppiato a
ridere, poiché non era neppure un terzo del valore dell'intera
proprietà. A
patto che mantenesse il posto a Pierre e Madeleine e a loro figlio. In
caso
contrario sarebbe potuto tornare lì ogni volta che lo avesse
desiderato.
Concludeva che non sapeva se e quando sarebbe tornata e che
ringraziasse e
salutasse con affetto i suoi genitori, pregandolo di porger loro le sue
scuse.
Andrew aveva
letto ad alta voce la lettera, benché
contenesse frasi indirizzate a lui solo e aveva aggiunto di aver
controllato
presso il suo avvocato, il quale aveva già ricevuto tramite il legale
di Lady
Nicole Alexandra Sinclair, contessa d'Harmòn, comunicato di provvedere
per il
castello e i diari proprio come lei gli aveva scritto. Aveva anche
contattato
Marie-Antoinette Valèns, l'assistente personale di Nicole, la quale gli
aveva
confermato che Milady le aveva ordinato di disdire qualunque impegno
avesse già
preso per i prossimi sei mesi, comunicare alla Maison Dior
la necessità
di un congedo a lungo termine per motivi personali e informare il Duca
suo
fratello che non sarebbe stata disponibile per un po'. Madamoiselle
Valèns gli aveva spiegato di aver già disdetto gli impegni (un paio di
serate
di gala, una prima a teatro per l'inizio della stagione e gli incontri
col
dottor Dumònt) e comunicato con la Maison,
ma non aveva ancora avuto la forza di
affrontare la sfuriata di sua Signoria che dava per certa la
partecipazione
della sorella al ricevimento di Lord e Lady Spencer che si sarebbe
tenuto a
fine ottobre; e Sua Grazia mal sopportava che ciò che era assodato
diventasse
all'improvviso indefinito, se non addirittura improbabile.
Gli aveva
riferito ogni cosa con la medesima meticolosità
che avrebbe riservato a Milady, evidente segno che considerava lo
scrittore
come il fidanzato della sua datrice di lavoro e pertanto in diritto di
conoscere tutto quanto la riguardasse.
Andrew aveva
domandato a madamoiselle Valens e a
Pierre e Madeleine se avessero una qualche idea di dove potesse essere
andata.
Nessuno ne sapeva niente, ma l'efficiente Marie-Antoinette gli aveva
promesso
che avrebbe chiamato ogni proprietà della famiglia per sapere se Milady
fosse
lì o se l'avessero anche solo sentita. Due ore dopo lo informava che
l'unica
persona che aveva contattato, a parte lei, e sempre al telefono, era
stato il
suo legale. Dopodiché nessun numero telefonico di Milady era più
raggiungibile.
Doveva aver spento tutti e tre i cellulari che possedeva.
"Cosa pensi
di fare, ora?" gli aveva domandato
Harm, dopo che Andrew li aveva informati della sparizione di Nicole,
dando voce
anche ai suoi pensieri.
"Nulla.
Torniamo a casa. Ho già fissato il volo per
domattina da Parigi".
Entrambi lo
avevano guardato esterrefatti, non si
aspettavano quella risposta. Non da un figlio che aveva sempre lottato
per
raggiungere i propri obiettivi.
"Andrew, ne
sei sicuro?" gli aveva chiesto lei
con dolcezza, ben sapendo quanto stesse soffrendo.
"Sicurissimo"
aveva tagliato corto, bloccando
sul nascere qualunque obiezione e qualunque discorso genitori-figlio
avessero
pensato di fargli.
E così, da
due mesi ormai, erano tornati in America.
Andrew, però, non aveva ancora messo piede a New York. Era rimasto in
California, dove trascorreva le giornate
chiuso in studio. Nonostante vivesse con loro, lo vedevano di sfuggita
giusto
ai pasti, e nemmeno a tutti. La maggior parte delle volte pranzava o
cenava con
un sandwich davanti al computer. Oppure non mangiava affatto. Gli unici
momenti
in cui prendeva una boccata d'aria era all'alba, quando usciva a
cavallo con
Joy. Non erano neppure certi che tutte quelle ore chiuso in studio le
trascorresse dando vita ad un nuovo romanzo: negli occhi non gli aveva
ancora
visto, infatti, quella luce particolare che di solito aveva quando le
idee gli
si chiarivano ed era pronto ad iniziare. In quelle settimane lo sguardo
di
Andrew era spento; solo per brevi istanti talvolta si animava, ma di
una luce
triste e dolorosa.
"Non è mai
stato abituato ad essere rifiutato, a
soffrire per una donna..." disse rivolta al marito.
Harm si voltò
a guardarla e lei continuò, cercando di
spiegargli la sua opinione:
"Deve
metabolizzare ciò che gli è successo.
Andandosene, Nicole gli ha tolto la
possibilità di combattere per averla e lui non sa più come fare. Si
sente
impotente e sconfitto. Quella donna, d'istinto, ha compreso che l'unico
modo
per riuscire a far ordine nei propri pensieri senza essere influenzata
da Andy,
era quello di andarsene. In caso contrario non ne avrebbe avuto la
possibilità,
perché nostro figlio non le avrebbe dato tregua."
Suo marito
annuì e lei non si sorprese: erano abituati da
decenni a giungere entrambi alle medesime conclusioni. Difatti fu lui a
dar
voce al resto della sua analisi:
"Però adesso
del tempo è trascorso e Nicole dovrebbe
essere riuscita a far chiarezza in se stessa. E' quindi ora che Andrew
la vada
a cercare e la riporti a casa con sé".
"O almeno che
ci provi" lo corresse lei,
facendogli abbassare come sempre le ali. Lui si rese conto subito
dell'arroganza della propria affermazione e sorrise: Mac non perdeva un
colpo e
non gliene lasciava scappare neanche una. Le concesse ragione:
"O almeno che
ci provi".
|
Ritorna all'indice
Capitolo 43 *** Ritorno a Cluny ***
Capitolo XLIII
Ritorno
a Cluny
Di
solito nulla era in grado di liberargli la mente come macinare una
vasca dietro
l'altra, con ritmo lento e costante; invece quella mattina neppure
nuotare
sembrava dar sollievo ai suoi pensieri e restituirgli la calma. Forse
era
distratto dall'aria frizzantina di metà ottobre, che conferiva
all'acqua una
temperatura poco allettante per una lunga e lenta nuotata, come ne
avrebbe
avuto bisogno. L'insolito clima favorevole di quelle giornate che si
erano da
poco affacciate sull'autunno, lo aveva invogliato a tuffarsi come
sempre
all'alba, ma per stare in acqua a lungo avrebbe dovuto attendere la
tarda
mattinata o il primo pomeriggio, quando la temperatura avrebbe sfiorato
anche i
venticinque gradi. In quel momento ce ne saranno stati dieci scarsi.
Eppure
nuotare riusciva comunque a schiarirgli le idee, quindi decise di
proseguire,
sfidando il freddo. Da quando Nicole se n'era andata erano diverse le
sfide
intraprese con se stesso; una in più non avrebbe fatto la differenza.
Era
ormai trascorsa un'intera stagione senza di lei e in quei tre mesi
aveva
attraversato metà continente per ben due volte, aveva pressoché scritto
un
intero romanzo ed era diventato il proprietario dello Chateau
dell'antica e nobile famiglia dei conti D'Harmòn, dove si era
trasferito a
vivere. O meglio: ne era diventato proprietario per metà, poiché aveva
preteso
che l'altra metà restasse a Nicole. Il legale di Lady Sinclair non era
riuscito
a convincerlo ad accettare tutta quanta la proprietà per la cifra
stabilita
dalla contessa, che lui stesso aveva definito irrisoria rispetto
all'effettivo
valore.
Un
mese prima, dopo aver parlato coi suoi genitori, aveva fatto di nuovo i
bagagli
ed era tornato a Cluny, con tutta l'intenzione di restarci per sempre.
Aveva
già deciso di tornare in Francia e accettare, almeno in parte, le
volontà di
Nicole. Stava solo attendendo di arrivare alla fine della prima stesura
del
romanzo; per quel motivo aveva lavorato giorno e notte, nonostante
fosse triste
e sentisse in maniera fisica la mancanza della donna amata. Nei sogni
che
coltivava quando ancora era con lei, avrebbe scritto il suo capolavoro
assieme
a Nicole, tra una notte d'amore e l'altra. Invece le cose erano andate
diversamente, ma forse, per il romanzo, era stato meglio così: si era
infatti
immedesimato a tal punto nel conte abbandonato sulla Medea
e successivamente ammalato di polmonite, senza la donna amata
tra le braccia, che aveva riversato nelle parole scritte ancora più
passione,
più dolore e più nostalgia di quanto sarebbe stato capace di fare senza
aver
provato certe emozioni sulla propria pelle. Il romanzo necessitava
ancora di
una fine opera di limatura, ma la struttura c'era tutta e in quella
struttura
vi era anche l'essenza di un possibile capolavoro. Ross sarebbe stato
soddisfatto di lui.
Il
giorno successivo il suo arrivo era tornato a Parigi e si era piazzato
nell'ufficio di monsieur Renaud deciso a non
andarsene finché non avesse
raggiunto il proprio obiettivo. Aveva perorato la propria causa con
sottigliezza e perseveranza, meritandosi alla fine i complimenti
dell'avvocato
il quale gli aveva detto, salutandolo, che se mai avesse deciso di
cambiare
professione e intraprendere la carriera legale sarebbe stato felice di
averlo con
sé. Lo aveva ringraziato sorridendo, dicendogli che i suoi genitori, se
lo
avessero saputo, sarebbero stati molto orgogliosi di lui. Alla fine di
quella
giornata, infatti, aveva ottenuto di diventare co-proprietario assieme
a Nicole
della residenza dei D'Harmòn: aveva fiaccato le obiezioni di monsieur
Renaud insistendo sul fatto che la cifra suggerita da Lady Sinclair non
copriva
neppure metà dell'intero valore; di fronte alla reticenza
dell'avvocato, lo
aveva minacciato che se non avesse accettato di intestargli solo metà
della
proprietà, l'avrebbe rivenduta a terzi per un quarto di quanto
l'avrebbe pagata
lui, immaginando che Nicole, pur sperando che ciò non accadesse mai,
nella
fretta di andarsene con molta probabilità si era scordata di far
aggiungere
quella clausola al contratto d'acquisto.
Sistemata
la faccenda della proprietà, aveva organizzato il primo e unico
cambiamento che
avrebbe apportato: la sistemazione delle scuderie, che giacevano
abbandonate
all'inizio del bosco che circondava il castello, nonché l'assunzione
del
personale per prendersi cura dei cavalli che vi avrebbero alloggiato.
Aveva
deciso di lasciare Joy in America, per evitarle lo stress di un viaggio
oltre
oceano e il doversi adattare ad un nuovo luogo. La cavalla era abituata
ad
essere accudita da altri e alle sue assenze, quindi l'avrebbe
cavalcata, come
già faceva, ogni volta che sarebbe tornato in California. Però non
voleva
privarsi del piacere di andare a cavallo e le scuderie erano la sua
priorità.
Nelle lunghe chiacchierate con Nicole aveva saputo che lei aveva già in
mente
di portarle di nuovo al loro splendore originale, per trasferire in
Francia il
purosangue che al momento alloggiava in quelle del fratello; dando
inizio ai
lavori non aveva fatto altro che concretizzare le sue idee.
Quindi
era volato in Inghilterra per cercare un animale per sé. Si era fermato
a
Londra una settimana, ospite di zio Paul e zia Belinda, felicissimi di
rivederlo dopo tanto tempo. In quei giorni, oltre ad occuparsi
dell'acquisto
del cavallo, con l'aiuto di Marie-Antoinette, della quale si era
guadagnato la
stima con un sorriso ma soprattutto con l'interesse mostrato per Lady
Sinclair,
era riuscito persino nell'impresa quasi titanica di incontrare Lord
Edmund
Charles Philip Sinclair, duca di Kesington, fratello di Nicole.
L'incontro
aveva avuto luogo nella residenza londinese di Sua Signoria;
assolutamente
deciso a non farsi liquidare rapidamente com'era solito fare il Duca
persino
con la sorella, lo aveva conquistato con la sua abilità nel narrare,
affascinandolo col racconto di alcune avventure che aveva vissuto
durante le
ricerche per il suo primo romanzo, nonché con le prime edizioni
autografate dei
suoi libri. Aveva infatti scoperto, sempre grazie a Marie-Antoinette,
che anche
colui che considerava a tutti gli effetti il suo futuro cognato era un
suo
ammiratore e aveva sfruttato a suo favore la propria notorietà per
ingraziarsi
l'uomo al quale aveva anche formalmente chiesto la mano di Nicole.
Se lei lo avesse saputo, sarebbe inorridita e sarebbe esplosa in una
sfuriata
assolutamente poco adatta ad una nobildonna, poiché non sopportava
certe
tradizioni che considerava superate, per non parlare di quanto odiava
l'idea
che fosse il fratello a doverle permettere qualsiasi cosa; ma come
aveva detto
al Duca, Nicole in quel momento non c'era e lui ci teneva a rendere
formale la
sua proposta, rispettando persino superate tradizioni. Lord Sinclair
era
rimasto molto colpito da questo atto di rispetto, soprattutto tenuto
conto che
giungeva da un borghese americano, e il gesto aveva sortito l'effetto
che, al
termine dell'incontro, i due uomini si erano salutati con un'amichevole
stretta
di mano.
Tutto
ciò era accaduto due settimane prima. Da allora era tornato a Cluny,
deciso a
terminare il romanzo, nell'attesa che Nicole si rifacesse viva.
Era
sicuro che sarebbe successo. Lei era innamorata di lui; doveva solo
affrontare
se stessa e le proprie paure e poi sarebbe tornata. E lui sarebbe stato
lì, ad
attenderla.
Eppure
negli ultimi giorni quella convinzione, quella sicurezza sembravano non
bastargli più. Più passava il tempo senza sue notizie, più l'ansia di
sapere
dove fosse, cosa stesse facendo, se stesse bene oppure no, aumentava a
dismisura, sgretolando le sue certezze, e aveva iniziato a renderlo
irrequieto,
al punto che neanche nuotare bastava più a tranquillizzarlo.
Uscì
dalla piscina e si avvolse rapido nell'accappatoio, asciugandosi quel
tanto che
bastava per non lasciar dietro di sé pozze d'acqua; quindi si rifugiò
in
cucina, dove Madeleine lo attendeva con una sostanziosa ma soprattutto
calda
colazione.
"Avete
le labbra blu" lo apostrofò preoccupata, non appena lo vide, mentre gli
porgeva un telo asciutto e piacevolmente caldo, che lui accettò con
gratitudine.
Tolse
l'accappatoio bagnato e si avvolse nella spugna confortevole, poi si
sedette
per buttar giù la tazza di tè fumante.
"Ah,
ah!" Madeleine gli ordinò con un cenno di alzarsi e sfilarsi anche il
costume prima di iniziare a mangiare. Sorridendo per essere stato
redarguito
come un bambinetto, afferrò
un pezzo di croissant ed effettuò
la manovra di
levarsi lo slip da sotto il telo, masticando nel frattempo il dolce
appena
sfornato. Si ritrovò a pensare divertito all'espressione dell'anziana
domestica
se si fosse liberato del costume senza preoccuparsi di restare coperto,
come
avrebbe fatto se avesse avuto ancora otto anni. In genere si toglieva
l'indumento non appena uscito dalla piscina, dopo essersi avvolto
nell'accappatoio e prima di lasciarsi riscaldare dal sole sorto da
poco; ma col
fresco di quelle mattine l'unico pensiero era quello di rifugiarsi al
chiuso,
per rifocillarsi con qualcosa di caldo. Fin da quando aveva preso
l'abitudine,
da ragazzo, di nuotare all'alba, non era mai riuscito a farsi la doccia
prima
di buttar giù qualcosa nello stomaco; preferiva concedersela dopo, con
calma,
una volta placati i morsi della fame.
"Un
giorno o l'altro vi verrà una polmonite..."
brontolò di nuovo Madeleine, con malcelato
affetto.
I
due coniugi non avevano esitato un attimo ad accoglierlo come nuovo
datore di
lavoro e ogni giorno trovavano almeno un'occasione per fargli sapere
quanto
sarebbero stati felici di averlo lì per sempre assieme a Lady Nicole.
"Tranquilla,
Madeleine, sono di sana e robusta costituzione. Ora fai la brava,
smettila di
preoccuparti e siediti qui, con me. Ti voglio vedere con una tazza di
qualcosa
di caldo da bere in mano, per almeno dieci minuti. E questo è un
ordine!"
disse con un sorriso.
L'anziana
domestica brontolò qualcosa del tipo che
sfacciataggine questi americani ma
alla fine obbedì, felice di accontentare quel giovane che stava
imparando ad
amare come un figlio.
"Nessuna
notizia?" si arrischiò a domandargli, dopo aver bevuto il suo caffè.
Andrew
si limitò ad un cenno di diniego col capo.
"Tornerà,
vedrete" tentò di consolarlo. Era preoccupata anche lei per la
sparizione
improvvisa di Milady, ma ancora di più non riusciva a capacitarsi per
come la
giovane contessa avesse potuto abbandonare un uomo come mr. Rabb, così
bello e
così innamorato, e per di più famoso. Era a conoscenza del passato di
Nicole e
della sua convinzione di non voler aver più a che fare con l'amore, ma
quando
l'aveva vista con l'affascinante americano, aveva pensato che con lui
avrebbe
potuto essere davvero felice e si era sentita sollevata. Trovava
infatti
ingiusto e inconcepibile che una donna come Milady si privasse
volontariamente
dell'amore a causa del suo passato. In questo era assolutamente
d'accordo con mademoiselle Valèns.
"Forse
dovrei fare qualcosa..." rispose Andrew, sorprendendo l'anziana
domestica
con un tono insicuro che in genere non aveva.
"Perché
dite questo?"
"Non
so, Madeleine... da qualche giorno penso che avrei potuto fare di più
per
trovarla. Vorrei poterla raggiungere e farle capire così quanto tengo a
lei.
Quanto desidero passare il resto della mia vita amandola..."
"Avete
fatto tutto quanto era in vostro potere per rintracciarla. Avete
persino
contattato di nuovo quell'antiquaria... Neppure mademoiselle
Lacroix, se dobbiamo crederle, ha idea di dove possa
essere Milady. Eppure la conosce bene... è l'unica amica che abbia da
queste
parti. Solo il Signore sa cosa abbia visto in quella donna..."
"Mi
sembra di capire che non approvi mademoiselle
Lacroix" disse Andrew con un sorriso. "E neppure che ti fidi di
lei... Posso sapere come mai?"
"Suvvia,
monsieur Andrew, non sono nata
ieri.
Quella donna vi muore dietro. Fosse per lei vi avrebbe trattenuto per
sempre
nel suo letto... E non venite a raccontarmi la frottola che non ci
siete mai
stato! Ho occhi per vedere e testa per capire" disse, bloccando sul
nascere qualunque obiezione avesse voluto fare in merito.
Non
osò negare, limitandosi ad un gesto con la mano, quasi a volersi
proteggere.
Chi avrebbe avuto il coraggio di mentire a quell'anziana e dolce
signora?
"Chi
può dire che vi abbia detto la verità quando sostiene di non avere
notizie di
Milady?"
"Io
le credo; Monique sa che sono innamorato di Nicole e, benché, come dici
tu, mi
vorrebbe ancora nel suo letto, sa bene che non ci tornerei più. Ti
sorprenderà
sapere che mi aveva consigliato di dirle al più presto la verità sulla
mia
reale identità".
"Mademoiselle Lacroix la conosceva?"
"No,
ma aveva intuito che non ero un professore. O almeno non solo".
"Se
lo dite voi..." disse la donna con aria scettica. Poi si spinse a
domandargli:
"Non
sarà proprio il fatto che non le abbiate subito detto chi siete ad
averla fatta
fuggire?
"Non
credo. Ci eravamo già chiariti in proposito. All'inizio l'ho pensato
anch'io,
ma poi ho dovuto dar ragione ai miei genitori, che hanno notato che se
n'è
andata solo dopo aver letto il diario che le avevano consegnato... Deve
esserci
stato qualcosa che, unito alla sua paura di legarsi, le ha fatto
decidere di
andarsene. Una ragione che ci è sfuggita...".
"Sì,
ma quale?"
"Non
lo so. Le ho pensate tutte e l'unica plausibile è la sua paura di un
legame
serio, quella che mi ha comunicato nella sua lettera. Secondo mio padre
è stato
leggere della fuga di Lady Sarah, che lasciò il Conte sulla Medea, a darle la spinta a fuggire. E'
probabile che abbia ragione. Eppure ho la sensazione che il tutto non
si riduca
solo a quello. Inoltre l'altro giorno ho riletto alcuni passi di alcuni
diari e
proprio nelle pagine in cui è descritta la nascita dell'antenata di
Nicole,
forse ho trovato qualcosa...".
"Che
cosa?" domandò speranzosa Madeleine.
"Mi
è saltato all'occhio un particolare, al quale non avevo fatto caso
prima,
perché non avevo ancora letto il diario mancante. Nicole deve averlo
notato
mentre leggevamo le parole del Conte André ritrovate dai miei genitori
e deve
aver collegato il tutto molto prima del sottoscritto, ovviamente. E' un
particolare che in seguito non viene più menzionato, ma credo d'aver
trovato la
chiave del mistero e, soprattutto, dove possa trovarsi Lady Sinclair.
Ieri ho
chiesto a Marie-Antoinette di attivarsi per capire se la mia intuizione
è
giusta e sto aspettando una sua risposta".
Madeleine
non fece in tempo a chiedere ragguagli, poiché furono interrotti dal
marito.
"Monsieur, ha appena chiamato mademoiselle Valèns... Non rispondevate
al cellulare e così ha chiamato allo Chateau.
Non voleva attendere oltre per farvi avere la notizia: mi ha pregato di
riferirvi
che avevate ragione..."
Andrew
non lo lasciò terminare:
"Grazie,
Pierre" disse alzandosi di scatto. Poi si avvicinò a Madeleine e
l'abbracciò felice:
"L'ho
trovata!"
"Ma,
ne siete certo?"
"No.
Eppure qualcosa mi dice che non potrebbe trovarsi che lì e ho tutte le
intenzioni di verificarlo di persona..." e così dicendo sparì dalla
cucina, lasciando i due anziani coniugi attoniti.
"Ma...
che cosa è successo a quel benedetto figliolo?" domandò Pierre alla
moglie.
"E'
convinto d'aver capito dove si trovi Lady Sinclair e, a quanto sembra,
ha
intenzione di raggiungerla per riportarla a casa".
|
Ritorna all'indice
Capitolo 44 *** La scommessa ***
Capitolo XLIV
La
scommessa
"Oh,
Sarah, la vostra piccola è meravigliosa" esclamò la
contessa di Linley. Aveva tra le braccia Alexandra Nicole, nata due
giorni
prima.
"Vi
ringrazio, Eleonor. Anche la vostra Daisy è bellissima,
l'ho vista prima che Lynnette la portasse in stanza giochi assieme ai
miei tre
disperati. Cresce anche lei a vista d'occhio" rispose Lady Sarah con un
sospiro di rimpianto.
Si
era ripresa molto bene dal parto, con estrema soddisfazione del
dottor Russel, che l'aveva seguita per tutta la gravidanza, ed enorme
sollievo
di Andrè, il quale aveva sborsato una cifra esorbitante per garantirsi
l'assistenza esclusiva del luminare, affinché si trasferisse nella
proprietà
del Duca di Lyndham fino a quando il bambino non fosse nato e la madre
fuori
pericolo. Sarah aveva ritenuto esagerate quelle precauzioni: a suo
avviso
sarebbe stato più che sufficiente una visita settimanale del medico,
come egli
stesso aveva suggerito quando gli si erano rivolti per sapere se la Duchessa
avrebbe potuto sopportare
un'altra gravidanza, ma André non aveva voluto sentir ragioni. Solo il
consenso
del dottor Russel e l'assicurazione da parte dello stesso che avrebbe
seguito
la moglie in esclusiva, lo avevano convinto a diventare di nuovo padre.
Da
parte sua il Duca aveva concesso al luminare di poter assistere
eventuali donne
gravide del villaggio accanto, quando si fosse trasferito a Lyndham
Park. Ciò
avrebbe giustificato, almeno in parte, l'enorme esborso economico da
parte del
Duca per un
servizio che la Duchessa riteneva
eccessivo solo per se stessa.
Presi
questi accordi, avevano dovuto attendere oltre due anni prima
che Sarah restasse di nuovo incinta, con evidente sollievo del marito
ogni
volta che lei gli comunicava desolata che anche per quel mese avrebbe
potuto
mettere da parte un altro gruzzolo per pagare il dottor Russel. Fino al
giorno
in cui, felice come non lo era mai stata, gli aveva detto che avrebbe
finalmente usufruito di quei soldi. Gli aveva comunicato la notizia a
poco più
di un mese dal loro rientro a Londra, dopo una vacanza in montagna.
Andrè le
aveva fatto una sorpresa bellissima per il suo compleanno: era riuscito
ad
acquistare il piccolo chalet
sui monti del Tirolo in cui avevano trascorso
alcuni giorni anni prima, quando erano in fuga da Klaus Von Webb, e
l'aveva
portata lì a trascorrere alcune settimane, lasciando i bambini con la
governante e la fidata Lynnette. Non era riuscita a farsi dire come
avesse
fatto a rintracciare quel luogo e, soprattutto, il proprietario, ma
sapeva che
suo marito aveva risorse illimitate quando si metteva in testa di
ottenere
qualcosa. Avevano trascorso le giornate a passeggiare e ad amarsi al
sole, sui
prati che in estate erano verdi e profumavano di fiori. E alla sera si
amavano
di nuovo sullo stesso giaciglio che avevano condiviso durante la loro
prima
notte insieme. Sarah era sicura che fosse stata la magia di quel luogo
a fare
in modo che il loro amore si concretizzasse in un altro figlio. Dopo le
rassicurazioni del dottor Russel, Andrè si era tranquillizzato un po’
e, anche
se dava l'impressione contraria, lei era sicura che a quel punto
desiderava
anche lui poter diventare di nuovo padre: glielo diceva l'intensità con
cui
ogni volta la prendeva e la tenerezza che mostrava dopo averla amata,
appoggiando il capo sul suo ventre nello speranzoso ascolto del suo
seme
annidato dentro di lei.
"Non
me lo dite" sospirò a sua volta la Contessa,
coccolando la
piccola con dolcezza, "Thomas sostiene che tra pochi anni dovremo
barricarla in casa perché farà strage di cuori..."
"Ah,
la gelosia dei padri per le figlie femmine. Anche
Nicholas dice le stesse cose di Jane, e non oso immaginare cosa accadrà
ora con
la piccola Alexandra. Ma Tommy ha ragione, riguardo a Daisy: con quei
boccoli
biondi e gli occhi azzurri è bellissima. Ho visto il mio Andrew
guardarla
imbambolato, come se avesse appena visto una principessina delle fiabe.
E non
ha neppure otto anni!" replicò la Duchessa,
divertita.
La
sua felicità era completa e, nonostante fossero trascorse solo
quarantotto ore dal parto, si sentiva piena di energie. Restava a
riposo solo
per seguire gli ordini tassativi del medico e per non far agitare suo
marito,
ma se fosse stato per lei si sarebbe già alzata.
Guardò
il volto della donna che un tempo neppure troppo lontano aveva
pensato essere l'amante di suo marito e che poco dopo era diventata la
moglie
del loro migliore amico, nonché amica sua e, a differenza del solito,
colse un
velo di stanchezza su quel bel viso in genere sempre sereno.
"Vi
vedo stanca, Eleanor. Perché non vi sedete? Chiamo
Lynnette affinché prenda la piccola, così possiamo chiacchierare...
Sono mesi
che non partecipo ad un ballo e temo che non potrò farlo ancora per un
po’...
Dovrete aggiornarmi sugli ultimi pettegolezzi" disse, fingendo un
interesse del tutto contrario a come si sentiva: non vedeva l'ora,
infatti, di
trascorrere altre serate sola con suo marito e coi suoi bambini. Con la
scusa
della gravidanza avevano smesso di partecipare ad eventi mondani che
avevano
stancato entrambi. Anche Andrè sembrava godere di quei momenti di
intimità con
la propria famiglia. Entrambi volevano crescere di persona i loro
bambini e non
rifilarli ad un numero indefinito di bambinaie com'era uso nell'alta
società.
Un conto era avere un aiuto per gestirne quattro dai sette anni ai
pochi giorni
di vita, dei quali due persino gemelli, altra cosa era delegare ad
altri
l'educazione dei propri figli come se fossero stati un'incombenza da
assolvere
per poi dimenticarsene.
"Non
chiamate Lynnette, mi basterà sedermi. E comunque sono
quasi due mesi che anch'io non partecipo ad un ricevimento..." disse la Contessa,
mentre si
accomodava sulla poltroncina accanto al letto dove era stesa Lady
Sarah, sempre
con la neonata tra le braccia.
Dopo
un attimo sollevò lo sguardo verso l'amica e le sorrise.
"Oh,
mia cara, aspettate anche voi un altro bambino,
vero?"
Al
cenno di assenso della Contessa, Lady Sarah proseguì:
"Sono
così contenta per voi. E per noi, anche! Potremo vederci
spesso e crescere i nostri piccoli assieme. E i nostri mariti si
faranno
compagnia, in questi mesi in cui noi due saremo per un po’ fuori
gioco!"
disse la
Duchessa,
audace.
Si
guardarono negli occhi e poi sorrisero entrambe.
In
quel clima di confidenze così insolito tra due dame dell'alta
società, la
Contessa
si azzardò a rivelare:
"Considerato
l'impegno che Tommy ci ha messo nei mesi scorsi
per farmi restare incinta, credo che avrà del sonno da recuperare,
prima di
potersi godere qualche serata di chiacchiere maschili con Nicholas!"
riscuotendo
con queste parole maliziose una risata cristallina della Duchessa, la
quale non
riuscì ad impedirsi di aggiungere:
"Beh,
chi lo avrebbe detto che il caro Thomas, sempre così
compito e distaccato, fosse invece tanto focoso? Ad ogni modo: Nicholas
ha già
recuperato, ma immagino che ne avrà bisogno a sua volta per via della
piccola!".
"Avete
ragione, Sarah" rispose di rimando la giovane
Contessa, ridendo a sua volta.
Fu
così che le trovarono i rispettivi mariti, quando si decisero a
raggiungerle dopo aver parlato di lavoro. Il Duca aveva proposto un
redditizio
investimento all'amico e l'incontro, fissato da alcune settimane, era
finalizzato alla firma dell'accordo. La Contessa
aveva accompagnato il marito quando
all'incontro di affari si era aggiunta la notizia della nascita della
bambina.
Da
quando Thomas aveva deciso di sposare Eleanor, poco dopo la
riappacificazione tra i due coniugi, le due coppie erano diventate
molto
amiche, suscitando non pochi pettegolezzi nell'alta società dove tutti
avevano
notato, una sera di non molto tempo prima, l'interesse poco appropriato
che il
Duca aveva rivolto all'allora giovane vedova. L'amicizia nata tra le
due donne,
che tutti consideravano rivali, aveva fatto scorrere fiumi di parole ai
balli e
alle cene, nonché ai tè pomeridiani. Soltanto il ritrovato affiatamento
tra il
Duca e la
Duchessa
di Lyndham, che il marito venerava, se possibile, ancora più di prima,
e
l'evidente interesse del Conte di Lynley per Eleanor Cavendish,
oltremodo
corrisposto, aveva posto fine a quelle chiacchiere insolitamente presto
rispetto al solito.
"Cos'avete
da ridere tanto, mie belle signore?" domandò
il Duca, avvicinandosi a baciare su una guancia Eleanor e poi sedendosi
sulla
sponda del letto per un abbraccio e un bacio alla moglie, entrambi più
affettuosi di quanto la presenza di ospiti avrebbe di norma richiesto;
ma
quando la moglie gli faceva notare la sua passionalità a volte fuori
luogo,
egli poneva fine al discorso con una poco nobile alzata di spalle,
sostenendo
che tutti sapevano della sue origini francesi e inoltre che doveva
farsi vedere
tanto innamorato di lei dopo tutte le chiacchiere che aveva suscitato
col
proprio comportamento.
Sarah
non ribatteva più nulla poiché sapeva quanto egli ci tenesse
a dimostrare a tutti quanto l'amasse, una specie di riscatto per quanto
l'aveva
fatta soffrire. Una volta lei aveva tentato di dissuaderlo, dicendogli
che non
desiderava alcun riscatto, ma Andrè si era mostrato irremovibile. Una
luce
particolare nel suo sguardo, tuttavia, le aveva fatto capire che quelle
appassionate
e talvolta inappropriate effusioni non erano finalizzate solo a pagare
colpe
ben più gravi di quelle da lui effettivamente commesse, ma servivano a
fargli
trascorrere con maggior rapidità il tempo, prima di poterla amare
nell'intimità
della loro casa.
La
domanda del Duca fece riprendere alle due signore la risata che
stava scemando.
A
quel punto la voce pacata del Conte si intromise:
"Hai
del coraggio, Nick, a domandare a due donne di cosa
stanno ridendo!"
Nel
frattempo si era avvicinato al letto, dal lato opposto rispetto
a dove si era seduto l'amico, per baciare a sua volta la puerpera, per
poi
dirigersi verso la moglie, posarle un bacio affettuoso sul capo e
reclamare la
nuova arrivata.
"Fammi
vedere questo splendore, mia cara" disse,
prendendo in braccio la bambina. Quindi aggiunse: "Complimenti,
ragazzi, è
davvero un amore".
Un
commento così espansivo da parte del Conte di Lynley, noto per
la sua pacatezza, suscitò il sorriso dell'amico, che commentò:
"Cara
Eleanor, ero certo che la tua influenza su Tommy sarebbe
stata solo positiva!", suscitando di nuovo l'ilarità delle due signore
e
uno sguardo indecifrabile da parte dell'interessato, il quale, nel
frattempo,
continuava a cullare la piccola Alexandra.
"Cosa
ci state nascondendo, care signore, dietro questa vostra
allegria?" insistette il Duca, comprendendo da quell'insolito e
prolungato
divertimento una complicità femminile che andava ben oltre le
chiacchiere da
salotto o la cura dei bambini. Non che fosse dispiaciuto di vedere
Sarah ed
Eleanor andare tanto d'accordo: da tempo aveva enorme stima della donna
che
aveva utilizzato per i propri scopi e che, invece di disprezzarlo, lo
aveva
aiutato a riconquistare la moglie ed osservare quanto Sarah confermasse
alla
Contessa di Lynley anche la propria stima lo rendeva felice e molto
fiero di
lei.
"Mio
caro, credo che l'influenza di Eleonor su Tommy vada ben
oltre una maggiore espansività verbale..." cercò di instradarlo la
moglie
verso la lieta novella che, a quanto aveva inteso, sia il Conte sia la Contessa
erano
intenzionati a rivelare agli amici, ma senza comunicarla a parole.
L'affermazione
della Duchessa, forse perché appena velata di una
malizia in merito ad un argomento che in genere la moglie si guardava
bene
dall'intavolare in pubblico, fuorviò il Duca, che rivolse uno sguardo
stupito e
per nulla consono alla sua proverbiale rapidità di comprensione.
Notandolo, sia
Lady Sarah, sia Eleanor Clyde, sorrisero di nuovo, costringendo il
Conte a
rivelare la notizia. Nessuno, tuttavia, si aspettava che egli lo
facesse con
queste parole:
"Mio
caro Nick, noto che l'esser diventato di nuovo padre ti
ha reso più lento; confido che a me non accada altrettanto...". Quindi,
osservando che l'amico ancora non aveva inteso appieno il senso del suo
commento, aggiunse con un sospiro:
"Credo
d'aver inteso che le nostre sfacciate mogli stessero
commentando le nostre prestazioni amorose, che hanno portato voi ad
avere
questa bella bambina e noi alla sorpresa che ci attenderà tra meno di
sei mesi.
Correggetemi se sbaglio, signore...".
"Caro
Tommy, credo che questa volta tu abbia lasciato senza
parole il tuo amico" commentò la Contessa,
divertita dall'espressione del Duca che
finalmente aveva capito ed era esploso in una sonora risata,
congratulandosi
con entrambi.
"Dobbiamo
festeggiare" disse poi il Duca, chiamando il
valletto. Quando fu entrato, sorprese tutti quanti chiedendogli:
"Adam,
ricordi quello che ti dissi stamattina?"
"Certo,
Vostra Grazia"
"Ebbene,
potresti cortesemente ripeterlo ora?"
Adam
si guardò attorno confuso, senza capire bene il senso di
quella richiesta. Addestrato tuttavia a non porsi domande, rispose con
prontezza:
"Vostra
Signoria ha voluto far prelevare dalla cantina la
miglior bottiglia di champagne e ha
chiesto che Rose confezionasse un pacchetto con alcuni dei suoi sigari
da
grandi occasioni".
"Tutto
qui?" lo sollecitò il Duca a continuare.
"No,
Vostra Grazia: quando mi sono scusato per non aver
pensato io a suggerire che all'arrivo degli ospiti le Signorie Vostre
avrebbero
desiderato festeggiare la nascita di Lady Alexandra, voi mi avete
rassicurato
dicendomi che il vino era sì per festeggiare la piccola, ma che i
sigari erano
un regalo speciale per il Conte, che sarebbe diventato padre per la
seconda
volta a breve" disse porgendo il suddetto pacchetto e dimostrando così
ai
presenti che il Duca, poco prima, aveva solo finto di essere ignaro
della
notizia.
Thomas
Clyde, ottavo Conte di Lynley, rivolse uno sguardo alla
moglie dopo aver ringraziato con cortesia.
"Che
ti avevo detto, mia cara?"
A
quel punto Eleonor se ne uscì con una frase che stupì i presenti
e che lasciò ad intendere che il famoso acume del Duca di Lyndham fosse
oggetto
di scommessa da parte dei due coniugi:
"Sono
costretta ad ammettere la sconfitta, tesoro. A casa ti
darò le dieci sterline".
Il
giovane valletto, che attendeva in piedi compito e rispettoso,
non essendo ancora stato congedato da Sua Signoria, non riuscì a
trattenere un
sorriso e tentò di soffocarlo con un lieve ma alquanto rivelatore colpo
di
tosse, che fece voltare ben quattro sguardi verso di lui, col risultato
di
renderlo ancora più rosso di quanto già non fosse ogni volta che si
presentava
al cospetto del Duca e della Duchessa. A dire il vero il giovanotto
arrossiva
anche nei rari casi in cui il piccolo lord Andrew, di soli sette anni,
gli si
rivolgeva per farsi aiutare in qualcosa.
Fu
la
Duchessa
a risolverlo dall'impiccio, chiedendogli a sua volta di portarle la
deliziosa
scatola che giaceva sulla sua toilette e pregandolo di rivelarne ai
presenti il
contenuto.
A
quel punto ad Adam tutta la faccenda fu chiara e, nel porgere
alla Contessa il dono, non si limitò a dire che si trattava di un
omaggio
floreale, ma aggiunse di suo, incontrando con lo sguardo la tacita
approvazione
della sua padrona per l'iniziativa, che la Duchessa
aveva chiesto la sera precedente - e il
giovanotto si premurò di ben sottolineare col tono di voce il termine sera precedente - che fosse detto a Rose
di ricordarsi di cogliere dalla serra un ramo delle orchidee che tanto
Lady
Clyde aveva ammirato una volta e confezionarlo al meglio, poiché
sarebbe stato
il dono perfetto per festeggiare la sua nuova maternità.
Dopo
quella notizia fu il Duca a scoppiare in una fragorosa risata
nel rendersi conto che la moglie era stata più rapida di lui.
Adam,
soddisfatto d'aver inteso correttamente quanto stava
avvenendo tra i suoi due padroni, sorrise a sua volta, pensando che
quella sera
a cena sarebbe stato lui al centro dell'attenzione, raccontando
dell'ennesima
gara tra marito e moglie alla quale la servitù stava cominciando ad
essere
avvezza. Ciò che il giovanotto non immaginava, però, era di stare per
assistere
ad un ennesimo colpo di scena. La Contessa,
infatti, dopo aver ringraziato per il dono
ricevuto, disse al marito:
"Caro
Tommy, hai cantato vittoria troppo presto. Come ti
dissi, saresti stato sorpreso dall'intuito di Sarah. Quindi ricorda
che, una
volta tornati a casa, sono venti le sterline che dovrai darmi!"
Dopo
quella frase le risate tra i presenti non si contarono più e
anche Adam si lasciò andare ad un sorriso spontaneo, felice che il suo
racconto
serale si fosse arricchito di una novità più interessante: era infatti
evidente
che se il Duca e la Duchessa
di Lyndham si divertivano a gareggiare tra di loro per un'infinità di
piccole
cose, era altrettanto chiaro che il Conte e la Contessa
di Lynley
passavano addirittura alle scommesse in denaro. Era proprio vero che i
nobili
non avevano altro da fare e si inventavano i modi più bislacchi per non
annoiarsi!
Cogliendo
un cenno del Duca, Adam servì lo champagne
e si allontanò, lasciando le due coppie ad ammirare
ancora la neonata la quale continuava imperterrita a dormire nonostante
le
risate di poco prima, dimostrando fin da subito di essere superiore a
certe
cose.
In
quell'atmosfera ancora allegra, lord Thornoton si rivolse agli
amici:
"Direi
che a questo punto non ci resta che chiedervi di essere
il padrino e la madrina della nostra bimba".
Fu
il Conte a rispondere, con una frase che non solo consolidava
un'amicizia nata sui banchi di scuola, ma che ne prometteva la
trasmissione
alle future generazioni.
"Solo
se voi accetterete di esserlo del nostro
nascituro".
|
Ritorna all'indice
Capitolo 45 *** Sulle tracce di un amore ***
Capitolo XLV
Sulle
tracce di un amore
Guardò fuori
e si disse che il
momento di andarsene sarebbe arrivato presto. La neve aveva iniziato ad
imbiancare le cime più alte e a breve avrebbe avvolto tutto col suo
manto
candido.
Gustav,
durante la sua ultima
visita per portarle i rifornimenti, le aveva detto che era questione di
settimane, un mese al massimo, e presto tutto sarebbe stato immerso nel
bianco.
La tentazione di restare fino ad allora era tanta, benché si rendesse
conto che
non avrebbe potuto sopravvivere diversi mesi bloccata lassù. E non
avrebbe mai
chiesto a Gustav di rischiare di raggiungerla anche solo una volta ogni
tanto
per portarle i viveri: anche se non avesse avuto moglie e figli, non
avrebbe
mai voluto che qualcuno mettesse a repentaglio la propria vita per un
suo
capriccio. Quindi doveva iniziare a pensare al ritorno.
Eppure
continuava a provare
l'irrazionale desiderio di trascorrere almeno qualche giorno nella
stessa
situazione vissuta da Sarah e Andrè. Forse perché li aveva seguiti fin
lassù,
forse perché ormai era come se li avesse conosciuti di persona, ma quel
desiderio continuava ad impedirle di prendere una decisione.
Era come se
soltanto rivivere
anche quell'esperienza avrebbe potuto metter fine alle sue paure e
farle
ritrovare la propria vita.
Quando era
fuggita da Cluny, aveva
agito d'impulso, programmando ben poco del suo viaggio. Si era limitata
ad un
borsone con abiti e pochi effetti personali; sapeva di poter essere
rintracciata da Edmund, se egli lo avesse voluto, attraverso carte di
credito e
cellulari, proprio per questo aveva chiesto l'aiuto di Monique, la
quale le
aveva dato accesso ad un conto che aveva aperto anni prima in una banca
italiana e che usava per acquistare mobili e oggetti d'antiquariato
durante i
suoi viaggi in Toscana: Edmund non sapeva nemmeno che avesse un'amica a
Cluny.
Al suo ritorno le avrebbe restituito quanto speso.
Non aveva
detto all'amica dove
sarebbe andata e neppure per quanto tempo sarebbe stata via, del resto
nemmeno
lei lo sapeva; si era limitata a dirle che aveva bisogno di restare
sola.
Monique, nonostante non fosse d'accordo, aveva capito: conosceva le sue
paure
e, anche se non condivideva molte delle sue decisioni riguardanti
l'amore, non
la giudicava e sapeva darle i consigli più giusti. Era sempre stato
questo il
segreto della loro amicizia, ovvero la capacità reciproca di
comprendersi senza
pregiudizi, rispettando la privacy dell'altra.
A vederle
dall'esterno era
difficile capire come potessero essere amiche: molto diverse per
carattere ed
educazione, anche il loro stile di vita differiva sostanzialmente. Per
non
parlare delle idee riguardo la vita sentimentale: benché Nicole non si
considerasse una sprovveduta, in confronto a Monique, spregiudicata e
molto
sensuale, poteva passare per la timida illibata d'altri tempi. Eppure,
fin da
quando si erano incontrate la prima volta allo Chateau,
per valutare i mobili da restaurare, in un modo
incomprensibile ad entrambe si erano sentite attratte l'un l'altra e
fin dal
loro secondo incontro erano uscite insieme a cena. Con la sua solita
sfacciataggine, Monique aveva detto, ridendo, che quel loro improvviso
interesse reciproco, in due donne diverse da loro due, sarebbe di certo
sfociato in una relazione sentimentale, tanto era stato forte; ed era
una
fortuna che entrambe non avessero dubbi in merito ai rispettivi gusti
sessuali,
altrimenti quella con eventuali indecisioni, o anche solo aperta ad
altre
esperienze, avrebbe sofferto assai per il rifiuto dell'altra. Nicole le
aveva
dato della matta a quelle parole, ma aveva dovuto convenire con lei:
non le era
mai successo, infatti, di sentirsi tanto legata ad una donna da un
sentimento
di profonda amicizia; per quel motivo si era sentita come tradita
quando aveva
saputo che era stata a letto con Andrew. Poi, però, aveva ragionato che
Monique, ai tempi della sua relazione col bell'americano, non poteva
sapere che
l'uomo affascinante che lei le aveva raccontato al telefono d'aver
fotografato
fosse lo stesso con cui stava trascorrendo notti infuocate.
Alla fine
l'intelligenza di
entrambe aveva prevalso sulla gelosia e, prima che Nicole partisse, si
erano
trovate a sorridere del fatto che era la prima volta che avevano gli
stessi
gusti in merito ad un uomo. In genere il rispettivo partner del momento
non
piaceva mai granché all'altra, soprattutto come personalità. Nicole non
si era
mai preoccupata più di tanto della cosa, perché considerava i suoi
uomini, dopo
Christopher, solo come semplici passatempi, relazioni senza alcuna
importanza.
Monique le aveva detto che l'incredibile caso che Andrew piacesse ad
entrambe e
non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche come persona, doveva
stare ad
indicare che forse era davvero l'uomo giusto per una delle due; il
fatto che
lui avesse preferito Nicole avrebbe dovuto convincerla che era davvero
l'uomo
fatto apposta per lei. Per cui, benché comprendesse le sue paure,
Monique
temeva che lasciarlo avrebbe significato correre il rischio di
perderlo. Nicole
ne era consapevole, ma sapeva anche che non sarebbe mai riuscita a
renderlo
felice se prima non
avesse risolto i
suoi casini interiori. Confidava che se davvero era l'uomo giusto per
lei, in
un modo o nell'altro si sarebbero ritrovati. Monique alla fine aveva
capito ed aveva
acconsentito ad aiutarla. E a quanto pareva era riuscita a mantenere il
segreto, poiché nè Edmund, nè Marie-Antoinette l'avevano trovata.
Per quanto
riguardava Andrew non
aveva mai pensato che avrebbe potuto cercarla e raggiungerla. Per
l'esperienza
che aveva lei, gli uomini tendevano a considerare le ansie e i problemi
di una
donna come paturnie legate al ciclo mensile, che andavano e venivano
assieme ad
esso. In parte poteva dar loro anche ragione, ma non sempre era così e
aveva
avuto spesso prova che con difficoltà riuscivano a penetrare l'intima
sofferenza femminile e, anche nei casi in cui la comprendevano,
preferivano
attendere che passasse da sè. Del
resto
neppure suo fratello l'avrebbe cercata per assicurarsi che stesse bene
o per
aiutarla; lo avrebbe fatto, forse, solo se fosse rimasta introvabile
sino alla
fine di ottobre, quando ci sarebbe stato il ricevimento degli Spencer.
Aveva già
perso il ballo dei Pensworth e questo Edmund non glielo avrebbe
perdonato tanto
facilmente; non partecipare ad uno dei ricevimenti più importanti della
stagione avrebbe decretato la sua fine in ambito sociale, almeno per
quanto
fosse stato in potere del fratello. Era una fortuna, quindi, che lei
non avesse
alcuna intenzione di continuare a vivere legata ad antiche tradizioni
nobiliari
inglesi, perché il giorno del ricevimento si avvicinava e lei non aveva
alcuna
voglia di tornare per tempo.
Il suo
desiderio di fuggire dal
suo mondo non era stato ancora placato.
Tutto era
iniziato quando aveva
letto il diario del Conte d'Harmon che credeva perduto per sempre: in
quelle
pagine, così vibranti di passione, di amore e di avventura, aveva
riconosciuto
il suo stesso desiderio di assaporare la vita; invece nelle parole
scritte da
Lady Sarah quando aveva abbandonato Andrè addormentato sulla Medea,
aveva letto
le proprie paure. La combinazione di emozioni tanto forti le aveva dato
la
spinta per rivedere le priorità della propria vita, e la decisione di
andarsene
era stata l'unica logica conseguenza. Scoprire inoltre cosa ci facesse
uno chalet, sperduto da qualche
parte sulle
Alpi, tra le proprietà che aveva ereditato, le aveva fornito la meta
della
fuga. Nessuno sapeva di quel luogo, solo il suo avvocato ne aveva
traccia tra i
documenti legali inerenti la
successione del titolo di contessa, per cui a nessuno sarebbe venuto in
mente
di cercarla lì, in un luogo che, a quanto aveva letto, era stato tanto
importante per i suoi antenati. Del resto, prima di incontrare Andrew
su quella
spiaggia, stava tornando proprio da uno dei luoghi in cui aveva
ricercato il
diario perduto: già allora si era presa del tempo per ricostruire i
pezzi
mancanti di due vite tanto lontane dalla sua ma, chissà perché, tanto
importanti per lei.
Si stava
domandando se per caso
l'assurda teoria di Andrew riguardo il Destino non fosse più azzeccata
di
quanto lei ancora faticasse a convincersene, quando sentì bussare alla
porta.
Fu sorpresa e
anche un pò
intimorita, perché Gustav, l'unica persona che la raggiungeva sin
lassù, era già
salito il giorno precedente. Lo chalet
era isolato, immerso nelle splendide vallate dei monti tirolesi, e
altri rifugi
distavano da lì parecchio: chiunque fosse alla porta era l'unico altro
essere
umano, oltre a Gustav, che avrebbe visto dopo settimane.
Cercò di
guardare da una delle due
finestre della stanza, ma dava sul fianco rispetto alla porta e non
riuscì a
scorgere il visitatore il quale, nel frattempo, aveva ripreso a
bussare.
Inutile sbirciare dall'altra, perché si affacciava sul retro.
"Chi è?"
domandò con
piglio sicuro, sperando che il visitatore, chiunque fosse, non
percepisse la
nota d'ansia che albergava in lei.
La sua
domanda rimase senza
risposta; solo l'insistente bussare fece eco alle sue parole.
Alla fine si
decise ad aprire e,
quando lo fece, rimase interdetta di fronte alla persona sulla soglia.
"Andrew..." riuscì
a proferire solo il suo
nome, incapace di staccare gli occhi dal suo sorriso.
"Finalmente
ti ho
trovato!" se ne uscì lui allegro, come se lo avesse visto solo il
giorno
prima e si fossero dati appuntamento in un luogo che lui aveva faticato
ad
identificare.
Quindi
aggiunse: " Ti sei
nascosta per bene! Sono settimane che ti cerco..."
La sua
naturalezza la imbarazzò,
ricordandole le parole che gli aveva scritto nella lettera con cui lo
aveva
abbandonato. Monique l'aveva rimproverata, dicendole che per lo meno
avrebbe
potuto parlargli con sincerità dei suoi timori, concedendogli
l'opportunità di
dimostrarle la sua comprensione. Si era difesa sostenendo che se gli
avesse
parlato non sarebbe mai riuscita a lasciarlo; in parte era vero, ma
dentro di sè
sapeva anche che il vero motivo era la scarsa fiducia che riponeva
nelle
capacità maschili di comprendere una donna, scordando che molta parte
di questa
incapacità derivava dalla propria ostinazione a chiudersi sempre in se
stessa
quando soffriva.
"Che ci fai
qui?"
"Credevo
fosse ovvio..."
"Non torno
ancora. Secondo
Gustav mi restano almeno un paio di settimane prima di non potermi più
muovere
e non ho intenzione di andarmene prima di allora" anticipò decisa, per fargli capire
che non intendeva
assecondarlo.
"Chi è
Gustav?"
"L'uomo che
mi porta i
rifornimenti..." rispose, spiazzata dalla domanda. Si aspettava che lui
argomentasse la sua decisione di non andarsene, invece le chiedeva chi
fosse
Gustav, come se si fossero visti solo mezz'ora prima.
"Barba e
baffi rossicci,
capelli corti dello stesso colore e figura imponente?"
"Sì..."
"L'ho
conosciuto, mi ha
indicato come salire sin quassù. Una lunga passeggiata!"
"Sei salito
sin qui a
piedi?"
"Ho buone
gambe."
"Ma... Ci
vogliono ore, dal
paese!"
"Nessun
impegno... Ho tutto
il tempo che voglio".
Quella
conversazione stava
iniziando ad avere i toni della farsa. Doveva darci un taglio.
"Andrew, che
ci fai qui? E
come mi hai trovato?"
"Ho collegato
alcuni indizi e
Marie-Antoinette ha svolto per me delle indagini. Quella ragazza non te
la devi
lasciar sfuggire, è un tesoro di valore inestimabile. A Natale
ricordami di
farle un regalo favoloso. Se lo merita, per come mi ha sopportato in
questi
mesi".
"Ma..."
"E sono
venuto per darti
questo..." aggiunse senza lasciarla continuare. Tirò fuori dallo zaino
che
aveva sulle spalle un grosso plico di fogli tenuti insieme da un nastro
blu
e glielo porse.
Lei lo prese
e lo guardò con aria
stupita, poi sollevò lo sguado su di lui, in una muta domanda.
"Lo so... il
nastro fa tanto
manoscritto retrò, ma non sapevo se avessi un laptop
con te e io non avevo voglia di portarmelo nello zaino.
Inoltre così ha un'aria più romantica, che si addice molto al
contenuto. Almeno
credo. Però non illuderti: non è un manoscritto e neppure un
dattiloscritto,
almeno non nel senso di una vecchia macchina da scrivere. È la versione
cartacea di un file word, assolutamente moderno e digitale", concluse
il
suo discorso col suo solito sorriso.
"È il tuo
romanzo?"
domandò lei, ancora stupita per come fosse riuscito a concluderlo in
così breve
tempo.
"La versione
1.0... riletta
una sola volta e con un finale che ancora non mi convince del tutto. Ma
sì, è
il mio romanzo".
"Perché lo
dai a me?"
"Credevo
fosse ovvio: lo devi
leggere e aiutarmi a renderlo pubblicabile".
"Io?"
"Certo, tu.
Cosa credevi?
D'aver finito di lavorare per me? Lady Sinclair, mi meraviglio di voi!
Credevo
foste ansiosa di venir citata tra i ringraziamenti del vostro scrittore
preferito. Non crederete di cavarvela con semplici appunti e qualche
racconto
sui vostri antenati... vi aspetta ancora del duro lavoro!”
"Stai
scherzando?"
"Niente
affatto".
"Ma... ti ho
lasciato... e
con una lettera, neppure a voce..."
"Era una
lettera molto
carina. Un pò confusa, ma carina!"
"Oh, sei
impossibile!"
sbuffò infine lei, incapace di resistere oltre a quell'approccio
spiazzante.
"Bene, hai
tempo sino a
domani sera per leggerlo e farti un'idea. Fra due giorni ci rimettiamo
al lavoro.
Mi piacerebbe che fosse nelle librerie per Natale quindi abbiamo meno
di
quindici giorni per renderlo pubblicabile".
"Hai
intenzione di lavorare
qui?"
"Certo. Visto
che tu non hai
intenzione di tornare... sai com'è il detto, no? Se Maometto non va
alla
montagna... O era la montagna che non andava a Maometto? Non ricordo
mai chi
dei due fosse il più duro da smuovere! Ad ogni modo sono già d'accordo
con
Gustav: mi porterà su per le otto e tornerà a prendermi alle venti.
Dodici ore
di lavoro e in una decina di giorni dovremmo aver terminato".
"Tu sei
pazzo..."
"Ah ah!
Attenta a quello che
dite, Lady Sinclair. Vi rammento che siete ancora a mia disposizione".
"Ricordate
male, mr. Andrews.
Avevate rifiutato la mia consulenza".
"Dettagli..."
disse lui,
muovendo la mano nell'aria come a scacciare un insetto fastidioso.
Rimasero per
un attimo a fissarsi
negli occhi, quindi riprese:
"Bene. Ora
vado. Ci vediamo
dopodomani" e si voltò verso la porta.
"Aspetta..."
lo fermò
lei "le giornate si sono accorciate molto, fra poco sarà buio. Non
avrai
intenzione di scendere al villaggio a piedi, da solo? O ti sei messo
d'accordo
con Gustav?"
"Beh, no...
oggi no."
"Non hai
pensato che potresti
perderti?"
"A dire il
vero no. Forse perché
avevo in mente altro..."
"Ah sì? E
cosa?"
"Sicura di
volerlo
sapere?" domandò con aria divertita e al tempo stesso seducente,
tuttavia
non attese la sua risposta e proseguì:
"Immaginavo
che avremmo letto
insieme il frutto del nostro lavoro, stesi davanti ad un fuoco
scoppiettante,
dopo aver fatto l'amore..."
L'immagine
che le sue parole le
evocarono fu talmente vivida che la turbò oltre ogni dire: erano mesi
che non
lo sfiorava, che non veniva circondata dalle sue braccia e tutto ciò le
mancava
moltissimo. La sua fuga non aveva nulla a che fare con l'attrazione e
l'amore
che provava per lui. Inoltre l'idea di loro due stesi davanti al fuoco
le
rammentava la scena d'amore descritta nel diario perduto. Solo poco
prima che
Andrew arrivasse stava dicendosi che forse, per sconfiggere i suoi
fantasmi,
avrebbe avuto bisogno di trascorrere qualche giorno in quel luogo in
una
situazione simile a quella vissuta dai suoi antenati. Era probabile che
si
trattasse dell'ennesima scusa che si raccontava da mesi per non porre
fine alla
sua fuga, ma quale miglior occasione di quella per calarsi meglio nei
panni di
Lady Sarah? Di certo, in quello chalet,
sarebbe stato più appassionante vivere delle ore d’amore piuttosto che
trascorrerle da sola, circondata unicamente dal bianco.
"Li ho
seguiti sin qui..."
disse a fior di labbra, seguendo il filo del suo ragionamento.
"Che
intendi?" domandò
Andrew, incuriosito da quell'affermazione che, pur non essendo la
risposta che
sperava, apriva una piccola breccia nei pensieri della donna di cui era
innamorato.
"Non sono
andata da qualche
parte senza una meta. Ho ripercorso, anche se non in sequenza, la fuga
di Lady
Sarah e del Conte Andrè, da Vienna sino in Francia. Per la precisione
sono
partita da Marsiglia e sono andata a ritroso sino ai piedi di questi
monti. Poi
mi sono spostata in Austria e ho seguito le loro tracce fin quassù. Ho
persino
alloggiato nella medesima locanda della prima notte della loro fuga...
non ci
crederai, ma esiste ancora ed è proprio come Andrè l'aveva descritta.
Ho
chiesto alla proprietaria e mi ha confermato che esiste dal 1830 e che
è il
loro fiore all'occhiello la tradizione di mantenerla il più possibile
come
allora. Sono persino riuscita a consultare il registro del 1856: li
conservano
tutti, e Frau Magda era incredula
quanto me quando, nelle ultime pagine, in data 25 dicembre, ho scovato
il nome
di Nicholas Thornton".
"Deve aver
usato il suo
secondo nome e il cognome dello zio inglese per evitare che gli
scagnozzi di
Von Webb potessero scovarli..." disse pensieroso Andrew, affascinato da
quanto lei gli stava rivelando.
"È ciò che ho
pensato
anch'io".
"Perché
questo viaggio?"
si decise a chiederle. Erano ancora in piedi, poco oltre la porta, lei
con in
mano la versione cartacea del suo romanzo e lui vestito con giaccone, scarponi da montagna e
zaino sulle spalle.
Andrew avrebbe preferito parlare seduto comodo, tenendola tra le
braccia, ma
aveva timore di rovinare quel momento, che lei sembrava avergli
concesso per
miracolo.
"Dovevo
andarmene. Tutto, con
te, stava diventando troppo complicato e troppo rapido. I tuoi genitori
ci
vedevano già sposati e io non ero ancora sicura di volerlo. Poi ho
letto il
diario perduto e ho collegato questo luogo ad una proprietà che avevo
da poco
scoperto appartenermi, senza che riuscissi a capire il motivo
dell'esistenza di
un piccolo chalet sulle alpi al
confine tra Austria e Italia. A quel punto non ho potuto fare a meno di
mettermi sulle tracce di quell'amore immenso, forse nella speranza che
mi
aiutasse a capire il mio".
"Quindi mi
ami?"
"Questo non è
mai stato in
dubbio".
"Forse per
te. Ma ti ricordo
che non hai mai fatto cenno con me dei tuoi sentimenti, se non in poche
e
confuse righe nella tua lettera, con la quale per altro mi comunicavi
che te ne
andavi".
"Hai ragione"
dovette
convenire lei.
"Ti è
servito?"
"Forse... non
ne sono ancora
sicura".
"Capisco...".
Il tono
rassegnato con cui lui
pronunciò quell'unica parola le fece male al cuore. Se non lo aveva
capito
quando aveva accennato al camino acceso, in quel momento non poteva
ancora
pensare che l'avesse raggiunta solo per farsi aiutare col romanzo.
Visto che non
sembrava propensa ad
aggiungere altro, fu lui a concludere la conversazione, salutandola con
una
lieve carezza e voltandosi ad aprire la porta.
"Ci vediamo
tra due
giorni" disse, prima di chiudersela alle spalle.
Rimasta sola,
si voltò come in
trance ad osservare il fuoco e immaginò la scena che lui aveva evocato.
Fu
assalita da una sensazione di vuoto incolmabile, da un senso di perdita
così
enorme da percepirlo fisicamente.
Si precipitò
alla porta, l'aprì e
uscì, guardandosi attorno. La figura solitaria di Andrew si stava
allontanando rapida.
"Aspetta..."
gridò.
Quando non
sembrò che avesse
sentito, iniziò a correre nella sua direzione, gridando di nuovo il suo
nome.
"Non
andartene, resta con
me" gli disse, dopo che l'ebbe raggiunto, quando finalmente si era
fermato.
"Sei sicura
che è proprio
questo che vuoi?".
"Sì...".
"Lo sai cosa
accadrà se mi
fermo, vero? E quali implicazioni avrà per noi due... Non ti permetterò
più di
lasciarmi".
"Andrew...
Potrei aver sempre
la tentazione di fuggire. E non intendo solo in senso fisico" rispose
lei,
sconsolata.
"Allora vorrà
dire che ti
troverò ogni volta..." ribattè lui irremovibile, intuendo la sua resa.
"E se non
dovessi
riuscirci?"
"Ci riuscirò".
La sua
sicurezza la indispettiva
perché la rendeva cosciente della propria fragilità.
"E se ti
stancassi di dovermi
raggiungere?"
"E se invece
fossi tu a stancarti
di scappare?"disse infine lui, per chiudere il discorso. Lei non riuscì
più
a replicare. Si limitò a mormorare, con gli occhi lucidi di lacrime:
"Sono troppo
fragile per
te..."
"Tu non sei
fragile"
replicò Andrew "non saresti la persona che sei, col passato che hai
avuto,
se fossi fragile. Sei soltanto disabituata ad amare ma, soprattutto, a
lasciarti amare. Sei convinta, nel tuo inconscio, di non meritartelo,
perché è
ciò che ti hanno fatto pensare le persone che più avrebbero avuto il
dovere di
farlo".
"Ho paura...
Soprattutto di
deluderti..."
"Non accadrà.
Ti amo e tu ami
me. Ci vorrà un pò di tempo, ma troveremo la nostra dimensione".
Quindi,
abbracciandola, aggiunse:
"Ora che ne
dici di rientrare
al calduccio e continuare il discorso davanti al fuoco?"
|
Ritorna all'indice
Capitolo 46 *** -epilogo - Scritto nel Destino ***
Capitolo XLIV
Epilogo
Scritto
nel Destino
Terminò
la lettura e depose il plico di fogli sul tavolo. L'emozione che stava
provando
era indescrivibile e per un attimo sentì gli occhi umidi di lacrime.
Il
romanzo era meraviglioso. Certo, come aveva detto il suo autore, andava
ancora
limato in alcuni punti, e poi necessitava di un finale più all'altezza
del
resto, ma nell'insieme era davvero eccezionale.
Per
quanto riguardava la revisione di alcune parti non vi erano dubbi che
in
quattro o cinque giorni di lavoro sarebbero riusciti a sbrigarsela.
Il
finale, invece, era un'altra faccenda. Era come se ad Andrew mancasse
il
coraggio di concluderlo.
Guardò
i fogli, sul primo dei quali il titolo faceva bella mostra di sé.
Sorrise
rileggendo l'ultima parola delle tre che lo componeva, scritta
addirittura con
la prima lettera in maiuscolo: alla fine, in un modo o nell'altro, quel
termine
continuava a ricorrere nei pensieri di Andrew, al punto che lo aveva
utilizzato
sia per il titolo del romanzo, che per quello delle tre parti di cui
era
composto.
Del
resto non avrebbe potuto che essere così: tutta la trama era un
continuo
succedersi di personaggi che all'inizio sembravano gettati lì a caso ma
che
poi, col procedere degli eventi, si rivelavano ad uno ad uno
predestinati ad
incontrarsi.
Aveva
cambiato i cognomi e le casate nobiliari, ma Andrew non aveva fatto
altro che
narrare l'incredibile susseguirsi di fatti che, a partire dal 1856 fino
a quel
momento, avevano portato al loro incontro, così come li aveva vissuti e
percepiti con la sua sensibilità di scrittore.
Forse
era quello il motivo per cui il finale era scarno e sembrava buttato lì
tanto
per chiudere. Nel cuore di Andrew non vi era ancora una conclusione a
quella
vicenda ed egli non era riuscito, oppure non aveva voluto, inventarne
uno.
Sembrava un gesto scaramantico, per evitare di condizionare il vero
finale
della loro storia.
Si
voltò ad osservarlo, mentre dormiva steso a terra davanti al camino. La
sera
prima, una volta rientrati nello chalet,
non erano riusciti ad attendere neppure un attimo prima di gettarsi
l'uno tra
le braccia dell'altra. Andrew aveva iniziato a spogliarla con ancora lo
zaino
sulle spalle. Quando lei aveva proposto di utilizzare il giaciglio sul
soppalco, lui non aveva voluto sentire ragioni e aveva recuperato il
materasso
per piazzarlo a
terra, nel poco spazio
davanti al camino. Si erano amati per lunghe ore su quel letto
improvvisato e
Nicole si era ritrovata a pensare che mai era stata meglio in tutta la
sua
vita.
Non
si trattava solo di soddisfazione fisica, anche se Andrew era sempre
molto
generoso nel donarle piacere; era piuttosto una sensazione di benessere
e di
completezza, di piena appartenenza ad un luogo, ad un momento, ad una
persona... sentiva d'aver trovato finalmente il proprio posto e il
proprio
ruolo nel meccanismo infinito della Vita.
Forse
in parte quella sensazione era dovuta anche al ritrovamento del diario
del
conte André d'Harmòn, o all'aver voluto ricercare a tutti i costi le
tracce di
quell'antico amore giunto sino a loro, che incastrava l'ultimo tassello
nel
complicato mosaico della sua discendenza materna ma, soprattutto,
chiudeva un
cerchio di cui lei era una parte importante. Oppure tutto si riduceva
alla
vicinanza di Andrew. O, forse, ad entrambe le cose.
Tornò
a stendersi accanto a lui e subito percepì il tepore confortante dei
loro corpi
vicini. Non riuscì ad impedirsi di abbracciarlo. Lui era caldo, morbido
ed
emanava un sensuale odore di uomo. In quel luogo lontano dal mondo
quelle
sensazioni le sembrarono più primitive ed eccitanti del solito.
All’improvviso
si sentì come trasportata indietro nel tempo, come se la sua mente
proiettasse
immagini del passato: due corpi avvinghiati, mentre facevano l'amore
proprio
dove lo avevano fatto lei ed Andrew poche ore prima.
La
sensazione di deja-vu fu così forte
che si sentì sopraffatta da un improvviso senso di timore e si
allontanò
bruscamente dal corpo dal suo uomo. Andrew mugulò di insoddisfazione,
si voltò
verso di lei e, afferratala alla vita, la tirò di nuovo accanto a sè.
"Mhmm...
mi piaceva di più così".
"No..."
tentò di divincolarsi, ancora turbata.
"Cosa
ti succede, Nicole?" chiese lui con dolcezza, allentando la stretta ma
senza laciarla andare.
Indecisa
se confessargli una paura così assurda e irrazionale, disse solo:
"Scusami...
È così sciocco...".
Lui
si sollevò ad osservarla in un chiaro invito a proseguire.
"Ho
avuto una strana sensazione... quasi un deja-vu..."
si risolse a dirgli. Forse parlandone sarebbe scomparsa.
Lui
annuì: "Come se avessi visto Lady Sarah e il Conte André?"
"Anche
tu?" domandò stupita.
"È
da quando sono entrato in questo chalet,
ieri, che le loro immagini non mi abbandonano. È paragonabile ad un
film!"
disse divertito lui.
"Ma...
non ti sei spaventato?"
"E
perché mai avrei dovuto? È’ da una vita che mi capitano cose simili...
Ammetto,
però, che questa volta sono più forti e più reali. L'ho sempre
attribuito alla
mia fervida immaginazione, anche se da ieri tutto è così intenso che
sembra
quasi vero!"
"A
me è successo per la prima volta ora, dopo che sono tornata a stendermi
accanto
a te. Che sia stato perché ho appena letto il tuo romanzo?"
"Lo
hai letto tutto?"
Lei
annuì, divertita di fronte alla sua espressione stupita e al tempo
stesso
ansiosa.
"Dopo
che ti sei addormentato non riuscivo a prendere sonno. L'ho iniziato,
dicendomi
che avrei letto finché non mi si fossero chiusi gli occhi. Invece ha
vinto la
curiosità e l'ho letto sino alla fine".
"E...?"
la sollecitò lui. Era impaziente di avere la sua opinione, l'unica di
cui gli
importasse davvero.
"È
meraviglioso, Andrew" lo gratificò lei, sorridendogli con dolcezza.
"Lo
pensi sul serio?"
"Sì.
Ho solo qualche riserva sul finale, che non è proprio all'altezza del
resto."
"Ti
ho anticipato che non mi convince".
"La
faccenda mi sembra più complicata. Tu non hai scritto un vero finale".
Lui
sorrise. "Ero sicuro che te ne saresti accorta!"
"Mi
stai dicendo che lo hai scritto di proposito per farmelo leggere così?"
"Già...
E il perché dovresti saperlo o averlo capito da sola. Io un finale ce
l'ho in
mente, ma sei tu che devi dirmi se sarà quello".
"Non
puoi parlare sul serio..."
"Assolutamente
sì".
"D'accordo",
cedette lei, "sentiamo questo finale".
"Un
matrimonio, la sera della vigilia di Natale"
"Perché
proprio la vigilia di Natale?"
"Ah,
ah, non ha letto con attenzione, Lady Sinclair! I protagonisti fuggono
da
Vienna dopo la festa di Natale per festeggiare il compleanno
dell'Imperatrice
d'Austria. Il periodo del matrimonio, quindi, deve essere quello.
Inoltre la
vigilia di Natale ha un'importanza anche per la parte di vicenda
americana".
"Tuo
nonno... disperso in Vietnam la vigilia di Natale..." annuì Nicole,
ricordando il cenno che lui aveva fatto nel romanzo quando aveva
introdotto il
personaggio che nella realtà era suo padre. Un matrimonio proprio quel
giorno
per i due personaggi più recenti sarebbe stato un altro legame tra le
coppie di
quell'incredibile cerchio.
"La
sposa che arriva in carrozza... perché appartiene alla nobiltà europea
da
generazioni e non può - nè vuole - evitarlo... è il suo sogno fin da
quando era
bambina" proseguì
lui, rammentando
ciò che lei una volta gli aveva raccontato della sua infanzia.
A
Nicole si riempirono gli occhi di lacrime, nel rendersi conto di quanta
attenzione aveva prestato ad ogni più insignificante particolare che
gli aveva
confidato.
"La
chiesa, antica e solenne, addobbata con rami di pino e stelle di
Natale..." aggiunse lei, per fargli comprendere, senza dirlo a parole,
quanto desiderasse partecipare a quel finale.
"Lo
sposo in un elegante abito da sera scuro e la sposa, bellissima, in uno
splendido abito in seta rossa..." continuò Andrew, con un sorriso.
Lei
si rese conto che stava descrivendo gli abiti che avevano indossato
alla festa
di inizio estate.
"...coperto,
tuttavia, da una corta cappa di pelo bianco, per ripararla dal freddo e
moderare la scollatura, che davanti all'altare sarebbe eccessiva"
aggiunse
lei, proseguendo la sua descrizione.
"Però
niente pellicce di animali, non mi va che delle povere bestiole ci
rimettano la
pelle per il nostro finale. E poi ormai fanno accessori in pelliccia
sintetica
che nulla hanno da invidiare al pelo vero" aggiunse.
"L'importante
è che se la tolga al ricevimento che seguirà al castello del duca suo
fratello
e che tutti gli invitati possano ammirarla nel suo splendore" pretese
lui.
"Ma
il duca sarà d'accordo di ospitare il ricevimento?" domandò lei, del
tutto
calata nel gioco di immaginare quello che ancora riteneva soltanto il
finale di
un romanzo, anche se sapeva essere il desiderio di Andrew per loro due.
"Il
futuro sposo gliene ha già parlato ed è d'accordo. Anzi, ci tiene ad
essere lui
ad offrirlo agli sposi, oltre al regalo di nozze, ovviamente".
"Non
avrai parlato davvero con mio fratello?" domandò lei sbigottita.
"Beh...
a chi altri avrei potuto chiedere la vostra mano, milady?"
"Non
dici sul serio..."
"Tu
che ne pensi?" rispose lui, con un sorriso disarmante.
Nicole
comprese solo in quel momento che tutto ciò che le stava dicendo lo
aveva
pianificato con accuratezza e non si trattava di idee che gli
arrivavano all’improvviso.
Era
giunto il momento di parlare senza mezzi termini.
"Hai
già organizzato tutto quanto, vero?"
"No.
Non ancora. Ma Marie-Antoinette aspetta solo una nostra telefonata per
fare in
modo che tutto ciò che ho messo su carta si trasformi in realtà. È
sufficiente
che tu dica sì... e che aggiunga il dettaglio della pelliccia bianca al
quale,
mi tocca ammetterlo, non avevo pensato".
"Sei
tremendo..."
"Lo
so. Ma converrai con me che un finale simile è molto meglio di quello
attuale".
"Su
questo non vi sono dubbi. Eppure... manca ancora qualcosa".
"Qualunque
dettaglio vorrai cambiare o aggiungere non mi offenderò, nè mi opporrò"
disse lui accondiscendente, credendo che lei si riferisse alla
pianificazione
del loro matrimonio
"Mi
sembra che tu abbia pensato a tutto per la cerimonia. È al finale del
romanzo
che manca qualcosa" e si alzò, lasciandolo a domandarsi di cosa stesse
parlando.
Mentre
la osservava aprire il baule posto accanto all'ingresso, la provocò:
"Pensavo
di poter lasciare all'immaginazione dei lettori le fasi relative al
concepimento e la nascita del nostro primo erede... ma se lo desideri
posso
sempre aggiungerle!"
Tornò
da lui con una antica scatola in legno tra le mani:
"Ti
sei divertito a scrivere le scene d'amore che hai sparso qua e là,
vero?"
"Mhmmm...
Dovevo pur trovare un modo divertente per trascorrere il tempo in tua
assenza!
O avresti preferito che mettessi la stessa passione in incontri
sensuali con
altre donne? Non ci crederai, ma è stato un duro lavoro!" rispose
divertito. Poi, osservando con curiosità ciò che teneva tra le mani,
chiese:
"Cos'è
quella?"
"Il
mio dono per dirti che ti amo e che sì, desidero sposarti".
Con
un'espressione raggiante lui fece per abbracciarla, ma lei lo fermò.
"Dopo...
Abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Ora aprila" gli disse porgendogli
la
scatola.
Andrew
la prese e fece come lei gli aveva detto. Non appena vide il contenuto,
sollevò
lo sguardo, stupito ed emozionato al tempo stesso.
"Non
ci posso credere... Sapevi che erano qui?"
"No.
L'ho trovata per caso, il secondo giorno, curiosando nel baule. Non
appena l'ho
aperta, ho capito subito di cosa si trattava".
"Le
lettere d'amore che André scrisse alla moglie negli ultimi mesi di
vita... Le
hai lette?"
"Sì.
Non ho saputo resistere. L'ultima credo possa diventare il finale
perfetto per
il tuo romanzo".
"Mi
stai dicendo che mi dai l'autorizzazione a pubblicarla nella versione
originale?"
"Come
ti ho detto è il mio regalo di nozze".
"Quindi
questo finale non esclude il matrimonio?"
"Ovvio
che no. L'idea di una sposa in rosso mi piace assai! Comunque prima
leggile, in
particolare l'ultima. Sono sicura che la troverai interessante. Così
come sono
certa che riuscirai ad utilizzarla per la conclusione del romanzo,
incastrando le
parole del mio antenato con un matrimonio la notte della vigilia di
Natale".
"Hai
molta fiducia nelle mie capacità..."
"Ho
imparato a conoscerti. E, cosa più importante, a fidarmi di te. Tu non
molli
mai. Quando ti metti in testa qualcosa, procedi imperterrito, finché
non hai
raggiunto il tuo obiettivo. Non mi meraviglio più che tu abbia
conquistato il
successo in così giovane età".
"Nicole,
hai detto una cosa bellissima. La più bella che potessi dirmi".
"Adesso
non esagerare!" replicò lei, fraintendendo la sua osservazione. "Mi
sono limitata ad osservare la tua tenacia".
"Non
mi riferivo a quello, ma a quando hai detto che ti fidi di me. Lo sai,
vero,
che è proprio la fiducia uno dei fondamentali
dell'amore? Assieme alla fedeltà, al rispetto reciproco, al sapersi
donare e al
saper mettere al primo posto il bene dell'altra persona".
"Parli
dell'amore come di un allenamento di basket!" sorrise lei.
"Se
per questo, i fondamentali sono un
concetto che appartiene a qualunque sport. Però ammetto che il basket è
il mio
preferito. E noto che anche tu ne sai qualcosa".
"Ne
ebbi a che fare per lavoro, per un servizio fotografico".
"Ad
ogni modo hai capito ciò che intendo: senza la fiducia la passione non
diventa
amore. È un pò come riuscire a centrare un canestro senza essere capaci
di
palleggiare, passare la palla o senza saper fare il terzo tempo: puoi
fare due
tiri con gli amici, ma non potrai mai dire di saper giocare a basket.
Così è
per l'amore: ti puoi innamorare di qualcuno, ma finché non hai fiducia,
non sarà
mai vero amore. Certo, talvolta ti può anche tradire..." aggiunse lui,
prevenendo quella che sapeva sarebbe stata una sua obiezione, "in quel
caso puoi anche decidere di impedirti di amare... È un pò come
abbandonare la
squadra in cui si gioca perché delusi dall'allenatore o dai compagni...
ma se
si continua a giocare, i fondamentali non possono essere accantonati,
altrimenti non sarebbe più basket. Se vuoi amare di nuovo, la fiducia
deve
rientrare nei termini dell'equazione, altrimenti è una partita persa in
partenza".
"Credo
tu abbia ragione" confermò lei, riconoscendo di aver compiuto quel
primo
passo, "però è tanto difficile...".
"Per
questo chi pratica uno sport passa anni ad allenarsi sui fondamentali,
perché
sono movimenti non spontanei e devono invece diventare naturali, come
fossero
parte di te. La stessa cosa vale per l'amore".
"Tanto
duro allenamento?"
"Certo,
soprattutto per ciò che ci riesce più difficile e la fiducia è al primo
posto
in questa classifica. Perché non comprende, a mio avviso, solo la
capacità di
fidarsi dell'altro, ma di fidarsi in generale."
"Ovvero?"
domandò lei, affascinata e incuriosita dal suo discorso. Scoprire le
sue idee
era uno degli aspetti più affascinanti del conoscerlo. Andrew aveva
salde
opinioni su tutto e per alcune di queste talvolta aveva anche una sua
originale
visione personale, segno di profonda riflessione.
"Fidarsi
della Vita; credere fermamente che il Destino abbia in serbo per noi
qualcosa
di meraviglioso".
"Ero
certa che l'ultima lettera del mio antenato fosse la degna conclusione
al tuo
romanzo. Tu e lui avete in comune davvero molto".
"Che
intendi?" chiese lui, incuriosito e al tempo stesso spiazzato da
quell'osservazione.
"Leggila
e lo capirai".
***
Entrò
nello studio di André
e, come le capitava oramai da un mese, ogni volta il suo cuore perdeva
un colpo
e gli occhi le si riempivano di lacrime. Lo sguardo cadeva sempre sulla
poltrona davanti al camino, dove aveva trovato il corpo senza vita del
marito.
Vedendola vuota, l'illusione che fosse altrove le riempiva per brevi
attimi il
cuore di una speranza giovanile, per precipitarla immediatamente dopo
nel
profondo dolore che riempiva ogni istante della sua vita da ormai
quattro
settimane.
I
giorni successivi
alla morte del Duca di Lyndham, o Conte d'Harmòn com'era meglio
conosciuto
nella sua città natale, erano stati frenetici e molto faticosi: tutto
il borgo
si era riversato al castello, per porgere le condoglianze alla moglie e
ai
figli, che l'avevano raggiunta non appena avevano saputo della morte
del padre.
La
prima ad arrivare
era stata Jane Elizabeth, che aveva ricevuto dalla madre superiora il
permesso
di rivedere la famiglia in quella triste occasione. Andrew Alexander
era
arrivato poche ore dopo con la moglie e i quattro figli, tre maschi e
una
femmina; li accompagnava anche Eleanor, madre di Daisy e nonna dei
ragazzi: il
marito, Thomas Clyde, amico di André dai tempi della scuola, benché più
giovane, li aveva già lasciati da un anno.
Nicholas
Joseph era
stato preceduto dal fratello di mezza giornata ed era accompagnato solo
dal
figlio maggiore poiché sua moglie Caroline, di quindici anni più
giovane, aveva
partorito da pochi mesi e non si era ancora ripresa, per cui era
rimasta a casa
con le gemelline di cinque anni e la bimba in fasce.
Alexandra
Nicole era
stata l'ultima ad arrivare. Quando il marito e la figlia, che avevano
seguito
di poche ore Andrew, erano scesi dalla carrozza erano soli. Sarah Jane,
che
portava lo stesso nome della nonna, aveva detto che la mamma li avrebbe
raggiunti entro sera.
Sarah
non se n'era
sorpresa: conosceva la figlia e sapeva quanto fosse attaccata ad
entrambi. Era
l'unica che, da quando si erano trasferiti in Francia per restarci per
sempre,
non si limitava ad un paio di visite all'anno di pochi giorni, ma
trascorreva
con loro diverse settimane. Ian accompagnava moglie e figlia e tornava
a
riprenderle dopo quindici giorni; tuttavia era capitato anche che
Alexandra
fosse arrivata da sola, per visite più brevi. Adorava il padre e ogni
volta che
si trovava a Cluny trascorreva moltissimo tempo assieme a lui, mentre
la madre
si occupava della nipote.
Alexandra
e André
avevano moltissimo in comune e, fin da quando era bambina, mentre erano
insieme
talvolta davano l'impressione di escludere il mondo attorno a loro;
Sarah aveva
imparato a non farsene un cruccio, poiché amava entrambi ed era felice
di
osservarli assieme. Inoltre la figlia non mancava di essere affettuosa
anche
con lei, benché fosse evidente a tutti la predilezione per il padre. La
morte
di André doveva averla prostrata non poco e, conoscendola, sapeva che
aveva
bisogno di trascorrere del tempo da sola prima di affrontare tutti
quanti.
Ian
le aveva detto che
avevano viaggiato insieme sino sul continente, dopodiché le aveva
lasciato la
carrozza per permetterle di fermarsi alcune ore al vecchio collegio
alle porte
di Parigi che aveva frequentato da ragazza per terminare gli studi: in
quel
luogo viveva ancora l'ormai ottantenne insegnante di filosofia di
Alexandra,
con la quale aveva instaurato sin da ragazza un profondo legame di
stima e di
amicizia, che durava nonostante gli anni.
Quando
li aveva
raggiunti in serata appariva più serena, segno che il colloquio con mademoiselle Blancharde era riuscito a
darle pace: infatti, oltre all'immenso dolore per la perdita del
genitore,
Alexandra avrebbe dovuto affrontare anche l'idea di essere diventata
l'erede
del titolo di Contessa d'Harmòn, con tutte le proprietà annesse e
connesse.
La
volontà del padre di
suddividere le tre eredità tra i figli, facendo della più giovane una
tra le
prime donne ad aspirare ad un titolo per linea di successione e non per
far le
veci di un marito mancato all'improvviso, era stata innovativa e molto
azzardata, tipica del Duca. Sarah sapeva che Alexandra era orgogliosa
della
decisione del padre; tuttavia, giunti al dunque, le nuove
responsabilità
avrebbero potuto sopraffarla.
Anche
Andrew, che alla
morte di André diventava il nuovo Duca di Lyndham, avrebbe dovuto far
fronte
alle nuove responsabilità dal punto di vista legale e non solo da
quello
pratico, come già faceva da tempo aiutando il padre; l'unico che da
alcuni anni
aveva acquisito a tutti gli effetti il titolo di Lord Montagu,
subentrando
nella linea di successione allo zio materno dopo la sua morte, era
Nicholas,
che oramai iniziava a vedere i frutti della sua accurata
amministrazione. Se
per i due eredi maschi tutto ciò era un qualcosa di scontato sin dalla
nascita,
Alexandra avrebbe dovuto combattere, e non poco, i pregiudizi dell'alta
società,
che non avrebbero visto di buon occhio la faccenda; inoltre,
nell'amministrare
le proprietà francesi, avrebbe potuto trovare ostacoli anche da parte
di uomini
coi quali avrebbe dovuto avere a che fare. Certo, Ian l'avrebbe
aiutata,
inoltre il padre l'aveva preparata da tempo; nonostante questo le
responsabilità
sarebbero state molte.
L'arrivo
di Alexandra
aveva chiuso il cerchio dei familiari più stretti, ma non quello di
tutti
coloro che avevano desiderato porgere i loro omaggi ad un uomo che
avevano
imparato ad ammirare e ad amare. Il giorno del funerale l'antica
abbazia era
invasa da una folla che, in rispettoso silenzio, aveva accompagnato con
affetto
e stima l'ultimo viaggio terreno del signore del castello.
Avevano
sepolto André
in una piccola radura, appena oltre il bosco, dal lato delle scuderie.
Ricordava ancora quando l'aveva condotta per la prima volta in quel
luogo: a
quei tempi trascorrevano solo le estati in Francia e quella era la
seconda
volta che lei si trovava nella residenza della famiglia dei conti
d'Harmòn.
André
era voluto uscire
a cavallo e lei l'aveva accompagnato volentieri, come sempre. A Lyndham
Park
avevano l'abitudine di cavalcare assieme per un paio d'ore ogni giorno
e il
marito aveva ripristinato l'uso delle scuderie anche nei suoi
possedimenti in
Francia proprio per poterlo fare anche lì. Erano giunti in quella
radura dopo
aver attraversato il bosco. Sarah era convinta che fossero ormai usciti
dalle
terre dei d'Harmòn, invece André l'aveva sorpresa dicendole che anche
quel
luogo era loro.
Il
bosco si apriva in
un'ampio prato in cui il sole entrava prepotente; un ruscello, che poco
oltre
si rintanava nel terreno, aveva scelto proprio quello spiazzo per
emergere in
superficie, quasi a voler ricercare la luce, anche solo per un breve
tratto.
Una distesa di fiori di campo colorava l'erba, che cresceva rigogliosa,
mentre
l'aria era attraversata da insetti e farfalle variopinte. Era un luogo
di pace
e serenità. Quando lo aveva mormorato incantata al marito, lui le aveva
detto
deciso:
"È
qui che voglio
riposare per sempre".
Non
ne avevano mai più
parlato, da allora, ma Sarah era certa che quelle fossero le sue
volontà anche
a distanza di anni. Ne aveva avuto conferma dal loro avvocato, non
appena gli
aveva comnicato la notizia della morte del marito.
Ora
la tomba di André
Francois Nicholas, conte d'Harmòn e duca di Lyndham, si ergeva in quel
luogo di
pace, in un angolo della radura, accanto ad un grande albero che le
regalava
ombra nelle ore più calde della giornata. Sarah aveva dato disposizioni
affinché
il prato attorno alla lapide fosse sempre tagliato per permettere a
chiunque
avesse voluto pregare sulla tomba di farlo senza problemi,
accomodandosi sulla
panchina che aveva fatto sistemare. Inoltre aveva fatto ampliare il
sentiero
che dalle scuderie del castello portava sin lì in modo che potesse
transitare
anche un piccolo calesse.
Da
quando André non
c'era più lei aveva trascorso ore intere seduta su quella panchina. Per
i primi
giorni, a turno, le avevano fatto silenziosa compagnia figli e nipoti,
ma ogni
volta che le dicevano di tornare, lei rimandava sempre sino al
tramonto, finché
non arrivava William, il figlio di Lynnette, a riprenderla. Quando i figli e i nipoti
erano ritornati
alle loro vite, lei aveva continuato a farsi accompagnare lì ogni
giorno.
Aveva
provveduto anche
a comunicare all’avvocato la volontà di essere sepolta accanto al
marito, per
non correre il rischio che i figli pensassero altrimenti e decidessero
di
tumularla in Inghilterra, nella tomba di famiglia dei Montagu, accanto
al
padre, alla madre e al fratello. Lei voleva riposare per sempre accanto
all'unico uomo che avesse mai amato. Si augurava soltanto che quel
momento
arrivasse presto.
Si
fece coraggio ed
avanzò nello studio del marito, richiudendosi la pesante porta di legno
alle
spalle.
Si
guardò attorno:
tutto era rimasto come la mattina del 14 luglio quando, svegliata prima
dell'alba dalla sensazione del posto vuoto accanto a sè, si era
affrettata a
scendere ancora in vestaglia; si era diretta senza esitare nel luogo
dove
immaginava di trovare il marito addormentato, poiché sapeva che si
coricava
sempre molto tardi e diverse volte era capitato che lo trovassero che
dormiva
nel suo studio. In genere apriva gli occhi non appena lo sfiorava.
Invece
quella mattina André non si era più svegliato.
Guardò
la scrivania e
la fugace immagine del marito intento a scrivere le apparve come reale:
quante
volte lo aveva visto chino sui suoi quaderni, intento a mettere nero su
bianco
i pensieri che gli affollavano la mente?
Era
capace di andare
avanti per ore e quando lo rimproverava, lui rispondeva che aveva molte
cose da
scrivere. Lei faceva un cenno infastidito, che lui sapeva essere
diretto ai
suoi diari segreti e la faccenda finiva lì.
Un
giorno però, dopo
che aveva avuto un leggero attacco di cuore, le aveva detto che, se lo
avesse
voluto, avrebbe potuto leggerli. Lei era rimasta sorpresa e al tempo
stesso
commossa, perché sapeva quanto il marito fosse sempre stato geloso dei
suoi
scritti e temeva che la decisione fosse dovuta al fatto che André
sentisse imminente
la propria fine. Nonostante ciò non aveva detto nulla e aveva iniziato
da
quelli giovanili, leggendone qualche pagina alla sera prima di
adormentarsi.
Presto, tuttavia, la lettura l'aveva appassionata sempre più e aveva
proseguito
con maggiore rapidità, ricordando quanto, già molti anni prima mentre
leggeva
il diario andato perduto sulla Medea,
le parole dell'uomo che amava l'avessero coinvolta.
Quando
aveva trovato il
corpo senza vita di André, le mancavano solo una decina di diari ancora
da
leggere e in quelle ultime settimane li aveva letti seduta sulla
panchina
davanti alla sua tomba. Le parole scritte del marito le recavano
conforto e le
facevano sentire meno la sua mancanza.
Era
giunta alla fine
dell'ultimo quaderno proprio quel pomeriggio, dopo neppure un'ora che
era
seduta accanto a lui. Nonostante faticasse a leggere a causa della
vista che
negli ultimi tempi le si era velata, le parole di André scorrevano via
sempre
troppo rapide e, prima di arrivare alle ultime pagine, aveva già preso
la decisione
di ricominciare dal primo. Era l'unico modo che conosceva per
sopravvivere al
dolore per la sua perdita, nell'attesa che le ultime battute del
proprio
destino si compissero anche per lei. Quando però era arrivata a leggere
ciò che
André aveva scritto proprio nelle ultime ore di vita, aveva scoperto
che altri
suoi scritti l'attendevano.
L'uomo
che amava le
aveva scritto delle lettere d'amore!
Trattenendo
emozione e
curiosità sino a quando i domestici l'avrebbero lasciata sola, aveva
cenato e
solo dopo si era diretta nello studio dove, era certa, avrebbe trovato
quei
preziosi scritti.
Finalmente,
il momento
tanto atteso era arrivato.
Si
avvicinò alla
scrivania e passò con amore una mano sopra a ciò che stava sullo
scrittoio,
oltre alla lampada ad olio: il calamaio con la penna d'oca che gli
aveva visto
innumerevoli volte tra le dita, un foglio di carta assorbente appena
utilizzato, tampone, ceralacca
e diversi
fogli bianchi, impilati in un angolo. Nessuna traccia, però, delle
lettere.
La
sedia era ancora
nella stessa posizione in cui l'aveva lasciata André, spostata un pò di
sbieco
rispetto allo scrittoio, per permettergli di alzarsi; senza muoverla,
si
sedette al suo posto e, da quella posizione notò subito uno dei due
cassetti
con un piccolo spiraglio, come se fosse stato lasciato aperto di
proposito o
come se, chi avrebbe dovuto chiuderlo, non fosse riuscito a farlo.
Lo
aprì e capì subito
d'aver trovato ciò che stava cercando.
Si
rese conto che la
mano le tremava e gli occhi le si erano colmati di lacrime, mentre
estraeva le
lettere dal cassetto. Le scorse rapidamente: ne contò venti e ognuna di
esse
iniziava con Amore mio, Mio tesoro, Sarah
mia adorata... e terminavavo tutte con una frase d'amore e
una firma, Tuo A.
Sorrise
nel riconoscere
la lettera a puntata con cui lui siglava ogni scritto che lasciava a
chiunque
lo conoscesse: era
come un espressione
di familiarità, che concedeva solo a familiari e a chi considerava suo
amico.
Con
quei preziosi fogli
in mano si alzò, per andarsi ad accomodare sulla poltrona accanto al
camino.
Prima, tuttavia, mandò a chiamare William: aveva preso una decisione e
voleva
che egli la sapesse subito.
L'uomo arrivò proprio mentre la madre, la
fedele
Lynnette, le stava coprendo le gambe con un plaid,
dopo averle consegnato la scatola in legno intarsiato che aveva chiesto
di
portarle.
Lynnette
li lasciò soli
e, mentre William provvedeva a ravvivare il fuoco, si fece promettere
che, alla
sua morte, avrebbe portato di persona quella scatola e tutto il suo
contenuto
nello chalet in montagna che lui
ben
conosceva, senza che nessun altro, figli compresi, fosse messo al
corrente
della cosa. Solo sua madre Lynnette avrebbe saputo di dovergli
consegnare
quella scatola.
L'uomo
tentò di
obiettare che figli e nipoti avevano diritto di sapere, ma lei fu
irremovibile:
quelle parole erano per lei sola e tali dovevano restare. I diari del
padre
sarebbero rimasti a disposizione di tutti, ma quelle lettere no.
Sapeva
in cuor suo che
quello sarebbe stato anche il desiderio di André e, dopo essere
arrivata
all'ultima lettera, le parole che lesse le confermarono d'aver preso la
decisione giusta. In tutti quegli anni trascorsi assieme aveva imparato
a
conoscerlo molto bene e non si sorprese più di tanto nel leggere le sue
ultime
parole.
Avrebbe
desiderato
essere più forte e riuscire a centellinare quegli scritti nelle lunghe
e
solitarie giornate che l'attendevano, ma non ci riuscì: le divorò una
dietro
l'altra con una rapidità straordinaria considerata l'età e la vista
sempre più
affaticata.
Sorrise,
pianse, se le
strinse al cuore... ogni frase le procurò gioia e dolore al tempo
stesso; ogni
passaggio le suscitò ricordi meravigliosi.
Dopo
aver riposato gli
occhi per alcuni minuti ed essersi ripresa da quel turbinio di
emozioni,
ricominciò daccapo, rileggendole ad una ad una con calma, soppesando
ogni
parola, ogni singola frase ed immaginando André mentre le scriveva.
Non
si accorse di
nulla, nè del tempo che trascorreva, nè di Lynnette che, preoccupata di
non
averla ancora vista tornare in camera per la notte, per ben due volte
era scesa
a cercarla. Aperta in silenzio la porta, non aveva osato dirle nulla,
vedendola
ancora intenta a leggere.
Ad
un certo punto si
rese conto di essere molto stanca, eppure non riuscì ad alzarsi e a
staccarsi
da quei fogli. Li ripiegò ad uno ad uno e li mise nella scatola,
trattenendola
in grembo, quasi fosse un neonato da abbracciare. Tenne tra le mani
solo
l'ultima lettera, che rilesse altre volte. Non riusciva a staccarsi
dagli
ultimi pensieri dell'uomo che aveva tanto amato.
Il
pendolo in ingresso
suonò le tre e lei si stupì di essere ancora sveglia a quell'ora.
Seduta
sulla poltrona
che aveva accolto l'ultimo respiro del marito, con la testa e il cuore
pieni
delle sue parole, si sentì nell'unico luogo in cui avrebbe voluto
essere.
Reclinò il capo e si addormentò, cullata dai ricordi e dall'amore coi
quali André
l'aveva avvolta.
Nel
sonno doveva
essersi mossa un po' poiché, ore dopo, Lynnette la trovò rannicchiata di fianco, la
testa appoggiata
nel punto in cui, settimane prima, vi era stato il cuore di suo marito.
Ad
osservarla sembrava fosse in grembo a lui, sprofondata nel suo sonno
eterno. Stringeva
al petto la scatola
di legno intarsiato
e tra le mani un foglio, stropicciato e bagnato dalle lacrime.
Amore
mio,
questa
mattina ti ho osservato mentre
ti occupavi dei tuoi fiori. Passeggiavi tra le aiuole e ti fermavi a
togliere
le foglie secche o i petali ormai appassiti; oppure abbassavi il volto
per
aspirarne il profumo. Mi ha ricordato come ti occupavi dei bambini
quando erano
piccoli: giocavi con loro, li accudivi quando erano ammalati, ascoltavi
con
pazienza i loro racconti oppure ti soffermavi a guardarli dormire. Come
per i
fiori, non hai mai voluto che se ne occupasse qualcun altro.
Il
flusso dei ricordi si è spinto
oltre e il pensiero è andato alla prima volta che ti vidi. Non so se
sono mai
riuscito a farti capire sino in fondo ciò che provai in quel momento:
quando
ebbi posato per la prima volta lo sguardo su di te, sentii che la mia
vita era
ad una svolta. Il Destino ti aveva messo sulla mia strada e, se non lo
avessi
assecondato, lo avrei rimpianto per sempre.
So
che ti sembrerà strano che io,
proprio io, accenni al Destino: sono sempre stato un uomo pragmatico,
che ha
sempre creduto che fosse l'Uomo l'artefice della propria esistenza.
Pensare che
la vita sia solo nelle mani del Destino renderebbe l'Uomo del tutto
passivo e
completamente rassegnato agli eventi; lo priverebbe della spinta a
migliorare,
a credere in se stesso, a prendere qualunque decisione.
Eppure,
col tempo, sono giunto alla
conclusione che negare il Destino sia una forma di arroganza: priva del
Destino
la vita dell'Uomo si ridurrebbe ad una serie di occasioni perdute;
vivremmo nel
continuo rimpianto di ciò che non è stato e che invece avrebbe potuto
essere,
di ciò che non abbiamo fatto e che invece avremmo potuto fare. Il
presente
diverrebbe così soltanto un'occasione perduta e, al posto di viverlo,
non
faremmo altro che sprecarlo.
Forse
la verità sta proprio nel mezzo:
il Destino ci pone davanti a delle situazioni; come le affrontiamo ci
condurrà
su una strada piuttosto che verso un'altra e questo fatto potrebbe
condizionare
ciò che il Destino ha in serbo per noi. Però penso anche che se il
Destino di
un uomo è molto forte, qualunque strada egli prenda alla fine arriverà
dove era
predestinato che arrivasse.
Penserai
che siano le farneticazioni
di un vecchio, e probabilmente avresti ragione, ma è da un po’ di tempo
che
penso che il nostro incontro abbia messo in moto un meccanismo che ho
la
presunzione di immaginare destinato a muoversi nel tempo.
Ultimamente
nei miei pensieri ricorre
spesso il diario che lasciai sulla Medea: forse è solo la vana speranza
di un
uomo che ancora rimpiange, dopo anni, quella perdita; eppure ho come la
sensazione che quel diario non sia andato smarrito... magari è finito
nelle
mani di qualcuno che lo ha già letto. Oppure altre persone lo
leggeranno: in
quelle pagine è narrata una storia d’amore, la nostra storia d'amore, e
mi
piace immaginare che un giorno ci sarà chi vorrà saperne di più
sull'uomo e la
donna che vissero quell'amore; un giorno, forse, qualcuno si spingerà
oltreoceano, sulle tracce di un conte francese e di una nobildonna
inglese che
si incontrarono alla corte di Francesco Giuseppe e salvarono la vita
dell'Imperatrice Sissi. Allora i miei diari racconteranno tutta quanta
la
storia...
Queste
lettere, però, vorrei che
rimanessero solo nostre. E se un domani qualcuno le dovesse comunque
ritrovare,
vorrà dire che era Destino che accadesse.
Da
parte mia, il mio Destino lo
ringrazio ogni giorno per aver contemplato nei suoi progetti per me il
nostro
incontro, il nostro amore, la nostra vita insieme.
Tuo
per sempre, A.
Fine
E
così questa lunga avventura è
terminata: desidero rigraziare tutte le persone che, nel corso di
questi anni,
sul sito dove fu inizialmente pubblicata, qui su EFP o privatamente,
hanno
letto e, soprattutto, recensito questa trilogia:
grazie, è stato bellissimo vivere assieme a
Voi questa esperienza, che ha arricchito e continua ad arricchire la
mia vita
di splendidi momenti.
Mi sarebbe tanto piaciuto che
l'esperienza di scrivere insieme a Mac potesse concludersi con questa
fanfic,
che chiude la trilogia di "SCRITTO NEL DESTINO", soprattutto perché
questa storia (o almeno l'idea di questa storia) l'avevamo pensata
assieme.
Purtroppo non è andata così. Per
questo
motivo questa fanfic è dedicata alla "mia socia": è un augurio perché
la
Vita possa
regalarle ancora le stesse emozioni che abbiamo vissuto entrambe
scrivendo
insieme.
Grazie,
MAC, per i bei momenti e
per tutto il divertimento! Spero che questo racconto, benché sappia che
è un pò
diverso da come lo avevamo immaginato, ti possa comunque piacere e tu
lo possa
considerare la degna conclusione della nostra avventura nella Storia.
Vorrei dedicare questa fanfic
anche Desi, la nostra revisionatrice: pur non avendo usufruito dei tuoi
servigi
per questo ultimo capitolo (e la tua mancanza, credimi, si è sentita
eccome!),
sei stata un valido aiuto per i due capitoli precedenti, oltre che una
grande
sostenitrice, fin dalla sua genesi, di tutto il progetto.
Infine
dedico questa fanfic anche a Cate e Laura, che mi hanno sempre
sostenuta, per anni, nel mio lato nascosto di "scrittrice", con tutte
le paranoie annesse e connesse con cui le ho stressate!
Alexandra
Disclaimers :
Il marchio JAG e tutti
i suoi personaggi appartengono alla
BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno
scopo
di lucro.
Qualunque
riferimento a fatti o persone, che non siano
avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.
I
contenuti del racconto sono tutelati ai sensi della legge
633/1941 (legge sul diritto d’autore). Tutti i diritti riservati.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2565502
|