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di rose_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Welcome To The Family ***
Capitolo 2: *** I - Just Another Pretty Face ***
Capitolo 3: *** I - Bat Country ***
Capitolo 4: *** I - Kill To Believe ***
Capitolo 5: *** I - Declaration ***
Capitolo 6: *** I - Tonight The World Dies ***
Capitolo 7: *** I - Unholy Confessions ***
Capitolo 8: *** I - Love In Slow Motion ***
Capitolo 9: *** I - Livin' On The Edge ***
Capitolo 10: *** I - Orange County Blonde And Blue ***
Capitolo 11: *** I - A Little Piece Of Heaven ***
Capitolo 12: *** I - Devil And Self Doubt ***
Capitolo 13: *** I - Acid Rain ***
Capitolo 14: *** I - Rise ***
Capitolo 15: *** I - My Heart Is Black ***
Capitolo 16: *** II - Second Heartbeat ***
Capitolo 17: *** II - Home Sweet Home ***
Capitolo 18: *** II - On Wings Of Lead ***
Capitolo 19: *** II - Move To The City ***
Capitolo 20: *** II - Doing Time ***
Capitolo 21: *** II - Thank You For Loving Me ***
Capitolo 22: *** II - Turns Cold To The Touch ***
Capitolo 23: *** II - Helter Skelter ***
Capitolo 24: *** II - This Means War ***
Capitolo 25: *** II - If You Want Blood (You've Got It) ***
Capitolo 26: *** II - The Truth ***
Capitolo 27: *** II - Animal In Me ***
Capitolo 28: *** II - Trashed And Scattered ***
Capitolo 29: *** II - This Is Love, This Is Murderous ***
Capitolo 30: *** II - Nightmare ***
Capitolo 31: *** III - Line In The Sand ***
Capitolo 32: *** III - Afterlife ***
Capitolo 33: *** III - Critical Acclaim ***
Capitolo 34: *** III - Rocket Queen ***
Capitolo 35: *** III - Don't Cry ***
Capitolo 36: *** III - Step Back In Line ***
Capitolo 37: *** III - Coming Home ***



Capitolo 1
*** I - Welcome To The Family ***


Disclaimers. Gli Avenged Sevenfold e i Bleeding Through non mi appartengono. Il mio scritto non corrisponde a realtà e non intende mettere in cattiva luce nessun personaggio citato. 


PARTE PRIMA

01.

WELCOME TO THE FAMILY

 

I try and help you with the things that can't be justified 
I need to warn you that there is no way to rationalize

 

12 Ottobre 2006

“Aspettami!”

Marta pensò per l'ennesima volta di aver fatto un enorme errore di calcolo, proponendo ad uno come Brandan di andare a correre insieme, e qualcosa le suggerì che, nonostante tutto, il suo migliore amico non avesse neppure ancora iniziato a fare sul serio.

Appoggiò le mani sulle ginocchia leggermente divaricate e lo osservò allontanarsi con lo stesso ritmo con il quale aveva cominciato a correre, dieci giri prima.

Asciugò alcune goccioline fastidiose dalla fronte e si accorse di stare ancora ansimando senza ritegno.

Amava correre fin da quando era una bambina e l'allenamento non le mancava di certo ma Brandan era senza dubbio più bravo di lei, oltre ad avere dalla sua una resistenza di fiato invidiabile.

“Sei lenta, lumaca!”, la apostrofò arrivandole alle spalle e Marta si domandò come avesse fatto a raggiungerla così velocemente, osservandolo con aria inquisitoria continuare a saltellare sul posto per non perdere il ritmo.

“Tu non sei normale, Brand!”

“Credevo fossimo venuti qui per correre!”, ribatté lui in tono ironico.

“Io si, tu non lo so... forse più per darti delle arie.”

Brandan la spintonò con leggerezza, invitandola a seguirlo e ricominciando a battere il percorso.

“Hai presente la nostra musica?”, le domandò in tono retorico una volta che lei gli si fu affiancata, “Se non mi allenassi perderei il fiato alla fine di ogni canzone. Il pubblico non ne sarebbe granché felice.”

Marta si lasciò sfuggire una piccola esclamazione di dolore e portò contemporaneamente entrambe le mani ai fianchi, stringendoli e massaggiandoli in cerca di un po' di pace.

“Puoi andare un po' più piano, almeno?”, ansimò rallentando il passo sotto la risata sguaiata dell'amico, decisa ad immagazzinare quanta più aria potessero sopportare i suoi polmoni.

Anche Brandan sembrò calmarsi un poco e le si accostò mantenendo la sua stessa velocità. “Respira a fondo, abbiamo ancora bisogno di una tastierista.”

“Mi sento morire”, ansimò guardando dritto di fronte a sé, “Non ti chiederò mai più di farmi compagnia, lo giuro.”

“Non essere la solita melodrammatica”, le passò una bottiglietta d'acqua e Marta gliela strappò letteralmente dalle mani, attaccandocisi come se non bevesse da settimane, “Hai solo bisogno di allenamento.”

“Ti ricordo che vado a correre tutte le mattine”, gli lanciò indietro la bottiglietta, colpendolo in pieno petto. Ora che lo sguardo le era caduto proprio sui suoi pettorali, Marta pensò che Brandan fosse sempre il solito gran bel ragazzo; se non fossero stati amici per la pelle da anni, così vicini alla simbiosi più acuta, forse le cose tra loro sarebbero andate diversamente.

“Che donna impegnata”, ironizzò Brandan.

Sbuffò, esausta, e si lasciò cadere a peso morto sulla soffice e verde erba, trovandola piacevolmente umida e fresca, particolari estremamente invitanti in un momento come quello.

“Ho bisogno di una doccia”, disse portandosi una mano sulla fronte per coprire gli occhi dall'attacco dei raggi solari, “E di bere qualcosa di fresco.”

“Io invece devo richiamare Luke: sembra debba aggiornarmi sulla data di arrivo dei ragazzi.”

Marta sollevò di scatto la testa, osservando l'amico con aria interrogativa. “Hanno di nuovo cambiato idea? Credevo avessero deciso di farsi vedere solo alla partenza per il tour... Noi siamo in vacanza!”

“Ancora per poco.”

“Pur sempre di vacanza si parla!”

“Per quanto mi riguarda possono arrivare anche oggi stesso, sono stufo di starmene a riposo forzato.”

Sollevò le spalle con aria disinteressata, decisa a cambiare argomento: non le importava un fico secco di quando sarebbero arrivati, l'unica cosa che le premeva, in quel momento, era trascorrere quell'ultima settimana di vacanza in santa pace.

Avevano iniziato il tour quattro mesi prima e questo aveva dato loro la possibilità di visitare, a grandi linee, un po' tutta l'America. L'euforia e l'entusiasmo iniziali però erano andati un po' a scemare negli ultimi tempi, quando la stanchezza e la nostalgia di casa avevano cominciato a farsi sentire.

Fortunatamente Luke, il manager della band, li conosceva bene e sapeva che non avrebbe ottenuto granché profitto portandoli alla stregua delle loro forze. Ecco perché la band aveva terminato il tour americano ed era tornata a casa per circa tre settimane prima di ripartire alla volta dell'Europa.

“Matt vuole lavorare insieme ad una canzone.”

Inspirò a fondo, felice di non essere più in balia della tachicardia di pochi minuti prima. “Davvero?”

“Già. Ma non so cosa aspettarmi: lo conosco da dieci anni e non siamo mai riusciti a concludere niente di buono, insieme.”

“Non è la prima volta che ci provate?”

La risatina di Brandan le fece intuire che no, non era la prima volta.

“Diciamo che abbiamo sempre mirato a due generi musicali diversi.”

“Beh”, fece perplessa, abbandonando il comodo prato e cominciando a camminare in direzione del parcheggio, “Non li conosco granché bene, ho soltanto sentito un paio di pezzi su youtube ma direi che generi diversi è riduttivo.”

“Sono cambiate molte cose dall'ultima volta che ne abbiamo parlato. La mia band ora ha un nome importante e credo di potermi permettere un paio di giri fuori dal seminato.”

“Certe volte riesci ad essere vanesio anche senza volerlo.”

“Sai di cosa sto parlando, Marta”, la rimbeccò lui con aria di finto disaccordo, “Loro stanno percorrendo la strada che abbiamo percorso noi anni fa e se posso dargli una mano lo faccio volentieri. Senza contare che, ogni tanto, farebbe bene anche a me qualche cambiamento.”

Gli mostrò la lingua e accelerò il passo. “Con l'età sei diventato profondamente noioso, Brand!”

 

*

 

La percezione dell'acqua calda a contatto con la pelle le fornì il sollievo di cui aveva bisogno, dopo quella mattinata di attività e sforzo fisico. Ad ogni gocciolina sentiva i muscoli distendersi e i nervi allentare un po' la presa; sarebbe volentieri rimasta in quel limbo di gradevoli sensazioni per tutto il resto della giornata, se non avesse dovuto presentarsi a casa di Ryan intorno alle cinque del pomeriggio.

Con riluttanza uscì dall'acqua e si avvolse in un morbido asciugamano azzurro, legando in un momentaneo e improvvisato chignon i lunghi capelli corvini.

Stropicciandosi gli occhi con entrambe le mani, ciabattò svogliatamente verso la camera da letto e si mise a sedere a gambe incrociate sulle lenzuola ancora sfatte, fissando il vuoto come in preda ad una trance improvvisa. Percepiva sulla pelle tutta la stanchezza e lo stress accumulati durante gli ultimi mesi e pensò di meritare un pò di tregua; tentò di mantenersi lucida, ripassando mentalmente alcune canzoni della propria band, ma ben presto cadde vittima del sonno e si accasciò lentamente sul materasso.

Quando riaprì gli occhi l'orologio segnava le sei e venti.

Immaginò la raffica di battute alle quali gli altri l'avrebbero sottoposta e sospirò sconsolata.

 

From: Brand; To: Marta;
Oct. 12, 2006 – 06.02 p.m.

Ti ha aggredita un lupo lungo la strada?
Qui ti stiamo aspettando da un'ora!

 

From: Marta; To: Brand;
Oct. 12, 2006 – 06.26 p.m.

Odio il mio comodo materasso!
Il tempo di darmi una sistemata e arrivo

 

Ridusse gli occhi a due fessure e cercò di visualizzare mentalmente l'intero elenco del materiale da portare da Ryan, sperando di non dimenticare nulla.

Scovò in un cassetto della cucina un vecchio forchettone da barbecue ed una spazzolina ancora avvolta nel cellophane che sembrava perfetta per pulire la griglia, poi ringraziò il cielo per aver inventato le verdure o probabilmente sarebbe stata una grigliata inutile, dal momento che tutti gli invitati erano vegetariani.

Strofinò gli occhi con entrambe le mani e, passando davanti alla grande specchiera dal bordo dorato, gettò un'occhiata perplessa alla propria immagine, spaventandosi di quel riflesso così pallido e scombussolato. Proprio in quel momento le prime note di 'Bad' di Michael Jackson, la suoneria che aveva scelto per il suo cellulare, attirarono la sua attenzione. Sollevò gli occhi al cielo, immaginando di esser prossima ad un sermone da parte di Brandan su quanto il termine ritardataria le calzasse a pennello e rispose alla chiamata.

“Non dire nulla, sto per uscire di casa”, disse tutto d'un fiato.

“Non dirmi che sei di nuovo in ritardo”, ridacchiò una voce femminile a lei fin troppo familiare; Marta sorrise impercettibilmente, sentendo un senso di calore irradiarle il petto.

“Ti faccio notare che hai un tempismo senza pari. Dì un po', ti diverti a chiamarmi solo quando sono di corsa?!”

“Può darsi”, rispose l'altra tradendo una nota di divertimento, “O forse ho soltanto una sorella difficile da intercettare.”

“Adesso non esagerare, lo sai che per sentire la mia Kiki rinuncerei a qualsiasi impegno.”

“Come no! Come la volta che ti ho aspettata due ore a casa di mamma, per poi venire a sapere da una tua email che eri volata in Australia”, ironizzò.

Marta adorava sua sorella: con lei qualsiasi discorso prendeva una piega divertente. Era l'unica persona di cui sentisse davvero la mancanza quando era in tour, per questo motivo alcune volte Marta rimandava gli impegni di un'ora e si concedeva una lunga telefonata liberatoria con la sua Kristine.

“Quella volta c'era un servizio fotografico che mi aspettava, lo sai”, riprese a preparare il necessario per la serata. “Senti, sto andando da Ryan per una grigliata, ti unisci alla ciurma?”

“Volentieri. In realtà ti ho chiamata per chiederti un favore”, rimase in silenzio per qualche secondo, “È una stupidaggine ma sei l'unica che può darmi una mano.”

“Sicuro”, acconsentì mentre afferrava il sacchetto con gli aggeggi che aveva trovato in cucina, per poi sistemarsi gli occhiali da sole sul naso e uscire di casa, “Di che si tratta?”

Kristine mugugnò. “È una cosa un po' lunga, vuoi che te ne parli mentre andiamo in là?”

“D'accordo. Due minuti e sono da te, sto salendo in auto.”

Come promesso, una manciata di minuti più tardi Marta fermò l'auto davanti a casa della sorella, tamburellando con le dita sul volante per ingannare l'attesa e gettando di tanto in tanto occhiate disinteressate attraverso lo specchietto retrovisore.

“Eccomi”, Kristine salì in macchina munita del suo solito buonumore e Marta si sporse leggermente di lato per stamparle un enorme bacio sulla guancia, poi ripartì.

Kristine sospirò. “Mi sembra una vita che non ci vediamo.”

“Eravamo a cena da mamma, la settimana scorsa!”

“Lo so ma non siamo più riuscite a scambiare due parole per conto nostro.”

Marta sorrise e svoltò a destra poi, presa un po' di velocità, tornò a rivolgere lo sguardo alla sorella; a differenza di quanto ci si potesse aspettare, non si somigliavano per niente. Marta non aveva mai smesso di invidiarle quei capelli elegantemente mossi e biondi, un colorito così vivo e roseo, il fisico snello e slanciato – decisamente un'altra musica rispetto alla sua chioma liscia e nera, alla carnagione quasi diafana e alla perenne tendenza ad ingrassare ad aspettarla al varco ogni qual volta decidesse di regalarsi un pezzetto di torta.

Quando erano bambine Kristine era stata la sua bambola preferita, crescendo era diventata uno dei suoi pochi punti di riferimento.

“Allora”, cominciò cercando di celare un po' della sua curiosità, “Di cosa volevi parlarmi?”

“Ah, giusto! Ho bisogno di un favore, una cavolata. Therese – te la ricordi, Therese, vero? – sta per sposarsi con un tizio scozzese, un uomo d'affari fissato con il destino e le fatalità.”

Annuì. “Dove l'ha scovato un tipo scozzese da queste parti?”

Kristine rise. “Non ne ho idea, credo in uno studio di avvocati.”

“Tutto torna: non si sarebbe mai accontentata del primo poveraccio trovato per strada.”

“E infatti ora che ha trovato questo Paperone si guarda bene dal lasciarselo scappare.”

“Ci andrà addirittura a nozze...”

“È proprio qui che sorge il problema: lei gli ha fatto credere di essere una donna in carriera tutta lavoro e jet-lag e lui ora si aspetta di vedere qualche foto dei suoi viaggi durante la proiezione del loro video di matrimonio.”

Colpita da un'improvviso accesso di riso, Marta per poco non tamponò l'auto davanti a loro. “Sul serio?

“Ma non è finita qui: ti ho già parlato della sua fissazione per il destino?”

Annuì di nuovo, in completo silenzio e pronta ad aspettarsi il peggio.

“Lui ha, come dire, un piccolo rito un po' particolare e non gli è sembrato vero quando quella scema gli ha confessato di fare la stessa identica cosa.”

“Inizio a sentire i brividi...”

“Per fartela breve: lui ha l'abitudine di scattare una foto delle città cui fa visita sistemando in bella vista un cartellino scritto a penna da lui con su il nome del posto e la data di visita.”

“Ma perché? Esiste un'opzione della macchina fotografica capace di farlo in automatico”, constatò perplessa, “Perlomeno per quanto riguarda la data.”

“Si, lo so. È la stessa cosa che ha detto Therese quando me ne ha parlato. Era disperata.”

“Beh, nessuno l'ha obbligata ad inventarsi quella stupidaggine.” Kristine le rifilò un'occhiata di ammonimento e lei subito allargò le braccia, tornando ad interessarsi alla strada. “Non guardarmi così, non puoi certo dire che la sua sia stata una grande idea!”

“Su questo siamo d'accordo ma non è davvero il momento di fare commenti: si sposano tra meno di tre mesi e lei non è mai nemmeno uscita da Orange County!”

“Suppongo sia qui che entro in scena io.”

“Già. So che sarai molto impegnata e non avrai tempo per queste cazzate ma Therese te ne sarebbe molto grata e lo sarebbero anche le mie orecchie, considerando che ultimamente trascorro più tempo a sentirla urlare che a fare qualsiasi altra cosa.”

“Va bene, lo farò”, parcheggiò l'auto e si voltò a guardare la sorella, scorgendo alle sue spalle la sagoma imbronciata di Brandan che gesticolava senza sosta nella loro direzione, “E poi è una leggenda quella che ci vuole sempre tutti indaffarati e pieni di lavoro: una volta terminato il concerto, il massimo dello sforzo che ci viene richiesto è di rimanercene tranquilli sul tour bus o in albergo, sai che trasgressione.”

Un rumore di nocche contro il vetro le fece smettere di ridere: Brandan sembrava un buttafuori alle prese con due ragazzine un po' troppo libertine, accigliato e chiuso nelle spalle, le braccia conserte. “Non vorrei disturbare, principesse, ma ci terrei a ricordare a Marta che sono quasi due ore che aspettiamo i suoi comodi.”

La tastierista scese dall'auto e lo raggiunse sul marciapiede. “Te l'ho scritto, mi sono addormentata!”

“In realtà ha fatto tardi per colpa mia”, Kristine prese le sue difese, abbracciando Brandan, “E tu diventi sempre più bello!”

Il sorriso gongolante di Brandan fece roteare gli occhi a Marta. “Non montarti la testa, ormai dovresti conoscerla abbastanza bene da sapere che è un'ottima bugiarda!”, gli rifilò una gomitata leggera sul petto e poi lo sorpassò per raggiungere il resto della band.

Il primo a andarle incontro fu Ryan, con indosso un grembiule blu e bianco che recava la scritta 'THE MISTER, THE CHEF, THE BOSS' impressa a caratteri cubitali, ben visibile anche da parecchi metri di distanza. In una mano teneva un coltello dall'aria particolarmente professionale, mentre con l'altra artigliava un peperone prossimo al sacrificio.

“Buonasera, Boss”, lo salutò sorridente, sollevando la borsa con gli attrezzi che aveva portato, “Qui dovrebbero esserci un paio di cosette interessanti.”

Ryan appoggiò il coltello vicino alla griglia e le strappò il sacchetto dalle mani, ma quasi subito il suo sorriso svanì. “Giusto un paio, Marta. Hai perso l'elenco?”, la ammonì vuotando la borsa sul tavolino da picnic, scuotendo la testa alla vista di un forchettone e di una misera spazzolina.

“È tutto quello che ho trovato in casa mia”, tentò di giustificarsi lei, mettendo su un'aria spiacente, “La prossima volta passerò in rassegna il negozietto di fai-da-te all'angolo della via, lo prometto.”

“No, la prossima volta non dovrai più portare il forchettone”, esordì Brian ridendo, arrivandole alle spalle e cogliendola di sorpresa, “O finiremo per mangiare nuovamente ad orari improponibili.”

“Le sette non mi sembrano un orario improponibile!”, protestò allora aggrottando la fronte, “Oppure devo pensare che per voi sia quasi ora di andare a dormire?”

“Ci ha di nuovo dato dei vecchiacci in pensione?”, scherzò Derek scattando una fugace foto al gruppetto. Marta lo incenerì con lo sguardo, desiderando con tutta se stessa di rubargli dalle mani quella piccola macchinetta infernale per poi farla sparire accidentalmente – e definitivamente – dietro ad un cespuglio.

“Beh ma stiamo pur sempre parlando con la regina delle serate mondane, ragazzi!”, ironizzò Brian scuotendo scioccamente le spalle e tutti risero, vittima compresa.

“A che punto siamo con le verdure?”, domandò allora Marta avvicinandosi alla griglia, colta da un'improvvisa acquolina in bocca, “Inizio ad avere fame.”

“Metto sulla griglia i peperoni e poi dovremmo esser pronti”, la informò Ryan, pulendo le proprie mani sul grembiule ormai sciupato e lercio.

La donna approfittò di quell'attimo di disattenzione dell'amico per guardarsi attorno con aria circospetta. “Manca qualcuno all'appello: dove l'avete abbandonato, questa volta?”

Derek prese a ridere. “Chi?”

“Non fare il finto tonto, Der, sai perfettamente di chi sto parlando!”, lo rimbeccò trattenendo a stento uno sbuffo divertito; come per un qualsiasi altro gruppo di amici, anche per loro era sempre valsa la legge del più forte e se, in un primo momento, Marta era stata la sola a venir considerata il punto debole della compagnia, l'arrivo di Scott all'interno della band aveva notevolmente alleggerito le spalle della tastierista dal peso degli scherzi altrui, dividendo le pene in una più equa metà.

L'ultima bravata a spese di Scott di cui Marta avesse memoria risaliva a qualche mese prima quando, dopo un concerto, l'unico membro della band a non aver mai abbracciato la filosofia di vita straight-edge aveva vuotato in solitario una bottiglia di Jack Daniel's, salvo poi ritrovarsi a girovagare per i corridoi dell'hotel in stato confusionale con soltanto un paio di calzini indosso, sotto lo sguardo del resto della band. Con tutta probabilità Derek aveva scattato qualche foto anche in quella occasione, prima che Luke riportasse Scott di peso nella sua stanza.

“Per chi ci hai preso?” Brian mise su uno dei suoi soliti sorrisi sghembi. “La sua bella lo ha richiamato all'ordine e, sinceramente, non lo biasimo per averci dato buca.”

“Già, l'avrei fatto anche io se avessi una come Isabelle nel mio letto”, annuì Ryan.

Marta li osservò con affetto: quei due erano da sempre le teste calde del gruppo, il duo di bulli dal cuore tenero, due tipi tosti ma con la testa sulle spalle; nonostante fossero amici da molti anni, non le era affatto facile trovare una parola per descriverli senza sentire il bisogno di accostarvi subito un aggettivo di senso opposto. Erano al contempo il diavolo e l'acqua santa e, probabilmente, questo avrebbe dovuto bastare a lasciar intendere che tipi di persone fuori dal comune fossero.

“Nessun problema”, disse Brandan, indicando il telefono appoggiato al suo orecchio quando tutti lo occhieggiarono interrogativi, “L'indirizzo l'hai segnato e io ti ho già detto tutto quello che ti serve sapere.”

“Chi è?”, bisbigliò Marta all'amico e lui fece cenno di attendere.

“Va bene”, serrò una mano sul fianco, “Ci si vede.”

Gli occhi di tutti i presenti lo inchiodarono al muro, curiosi e diffidenti, speranzosi di non dover guardare sfumare la loro piccola grigliata per via di un imprevisto dell'ultimo minuto.

“Mi auguro non fosse Luke con le sue solite interviste a bruciapelo.”

Marta adorava il proprio lavoro ma proprio non riusciva a mandar giù le interviste, soprattutto da quando aveva scoperto che il motivo dell'interesse mondiale nei suoi confronti non riguardava tanto la sua bravura quanto il suo essere una donna all'interno di un ambiente ostile come quello della musica metal: la solita vecchia solfa trita e ritrita a cui lei era stufa di dare corda.

“Niente affatto”, le sorrise Brandan, crogiolandosi in quell'attimo di totale attenzione generale, “Era Matt: lui e la sua band passeranno a farci un saluto, stasera.”

 

Credits: 'Welcome To The Family' by Avenged Sevenfold.

-

n.d.A: Buonasera a tutti! Questa è la prima long che pubblico sugli Avenged Sevenfold (di solito scrivo nella sezione dedicata ai Mötley Crüe) e spero che il risultato finale possa essere di vostro gradimento. Vi informo che non so ancora quanto sarà lunga questa storia... ma prevedo sarà molto lunga. Vedremo.
Spero comunque di riuscire a pubblicare a intervalli abbastanza regolari, mi piacerebbe mantenere l'appuntamento del lunedì - o qualcosa del genere...!
Per ora grazie davvero di cuore a chi ha letto e a chi deciderà di recensire o seguire!

rose_

PS_dal prossimo capitolo entreranno in gioco i nostri A7F, non disperate. La storia in sé ha tempi un tantino lunghi ma spero di non stiracchiarli più di quanto non sia necessario!

Note Varie:
- nel 2006 i Bleeding Through hanno dato il via ad un mini-tour europeo per promuovere l'album 'The Truth'. Gli Avenged Sevenfold, vuoi per amicizia tra le band o vuoi per motivi promozionali-economici, sono partiti insieme a loro come gruppo spalla;
- l'amicizia tra le due band è reale e documentata;
- Matt ha collaborato con Brandan (e con i BT) in una canzone dal titolo 'Saint, Savior, Salvation' anche se l'album in cui è compresa, 'Portrait Of The Goddess', risale al 2002... qui mi sono presa una licenza poetica bella e buona!

Grazie dell'attenzione,
That's all, folks!

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Capitolo 2
*** I - Just Another Pretty Face ***




PARTE PRIMA

02.

JUST ANOTHER PRETTY FACE

 

You stare so emotionless
but still I fall down

 

12 Ottobre 2006

“E come ovvierete al problema della diversità di calligrafia?”, domandò Brandan dopo aver ascoltato il racconto delle due sorelle Peterson riguardo alla richiesta un tantino fuori dal comune di Therese, “Voglio dire: tu fotograferai qualche posto in Europa ma agli altri posti chi penserà? I cartellini avranno tutti una scrittura differente...”

Marta appoggiò un gomito sul tavolo e sistemò il mento nella conca creata dalla mano, pensierosa. In effetti non aveva preso in considerazione questo piccolo particolare e, a giudicare dall'espressione sorpresa di Kristine, non doveva averlo fatto neanche lei.

Occhieggiò il resto della band in cerca di qualche suggerimento ma nessuno pareva riuscire a trovare un'idea convincente: alla donna sembrava di essere nel bel mezzo di un consiglio direttivo di chissà quale importanza, senza lo straccio di una soluzione al problema principale dell'incontro.

“Falli scrivere alla tua amica prima di partire, no? Le città che toccheremo con il tour sono già di pubblico dominio, basta che ci aggiunga una data qualsiasi ed è fatta.”

La tastierista sembrò risollevarsi del tutto dallo stato di sconforto in cui stava scivolando. “Si, è un'idea geniale! Non avrei avuto voglia di scrivere tutti quei cartellini...”

“E poi ricordati la cosa più importante, Marta: hai una grafia pessima!”, rise Brandan e lei lo incenerì con lo sguardo. Sapeva bene a cosa stesse alludendo e non lo avrebbe lasciato parlare oltre: tutti, da adolescenti, possono fare degli errori di calcolo, no? E lei non era mai stata esente da questa legge. Perciò un giorno, durante il secondo anno delle superiori, si era presentata davanti all'armadietto metallico di un ragazzo piuttosto carino e vi aveva fatto scivolare dentro una lettera scritta a mano in cui, pensandoci con più calma e a mente lucida, si metteva letteralmente in ridicolo nella speranza di fare colpo. Fortunatamente il ragazzo non riuscì a decifrare che qualche breve frase e lei si salvò da una delusione sentimentale certa, guadagnando però un massiccio periodo di prese in giro da parte del proprio migliore amico che, a quanto sembrava, ricordava allegramente quel suo fallimento ancora adesso.

“Corro a chiamarla”, annunciò Kristine abbandonando la panca su cui era seduta, “Così glielo propongo e sento cosa vuole fare.”

Marta seguì con lo sguardo l'esile silhouette della sorella scomparire dietro alla grande vetrata che dava sul salotto, poi infilzò una zucchina grigliata. “Sappiate che, comunque vada, uno di voi mi dovrà dare una mano”, deglutì il boccone e puntò la forchetta contro Derek, “Tu, ad esempio, dato che hai già tutta l'attrezzatura di sorta.”

Il batterista sollevò le spalle e annuì senza troppa convinzione e, nonostante lo scarso entusiasmo fosse palpabile, tanto bastò per farle pensare di aver appena trovato un valido compagno di avventura.

Qualcuno tentò di prendere le difese del povero Derek ma un rumore di passi sulla ghiaia attirò l'attenzione di tutti i presenti e la conversazione si chiuse automaticamente con quella tacita vittoria femminile.

A pochi passi da loro, un uomo dalle possenti spalle tatuate stava salutando Brandan con un esperto gioco di mani, muovendo le labbra al ritmo di una frase che nessuno, a parte i due diretti interessati, riuscì a captare.

Marta aveva conosciuto quel ragazzo ad una festa di diversi anni prima, quando nessuna delle due band poteva ancora considerarsi famosa, se non all'interno del panorama musicale locale; avevano pronunciato i loro nomi, scambiato qualche parola di circostanza e poi lui era sparito, dileguandosi tra la folla e stringendo la mano di una bionda dall'aria decisamente disponibile.

“Piacere, Matt”, annunciò ora quello stesso omaccione, cominciando il consueto giro di strette di mano. Quando si trovò di fronte a Marta sembrò esitare una manciata di secondi, poi sorrise e sfoderò un paio di fossette che a lei parvero assolutamente psichedeliche.

“Noi due ci siamo già conosciuti. Marta, giusto?”

La donna annuì sommessamente e cercò di non cadere nel tranello di seguire quel corpo atletico con lo sguardo, nel momento in cui le passò oltre per prendere posto su una delle panche.

Pochi istanti più tardi fecero la loro comparsa altri due ragazzi: il primo, ad un'occhiata superficiale il più carino e appariscente dei due, stava ridendo dell'espressione scontrosa che il secondo, pallido e stretto nelle spalle, non sembrava voler nascondere. Lo scarso tatto impiegato dal ragazzo numero uno lasciava sottintendere una buona complicità tra i due.

Marta puntò lo sguardo su quella pelle chiara nel tentativo di carpirne qualche segreto ma dovette abbandonare le proprie intenzioni quando si sentì addosso, di riflesso, il peso di quelle stesse iridi glaciali impegnate a difendere la propria privacy da sguardi sconosciuti e indiscreti.

“Ehi, mettimi giù ho detto!”, urlò un quarto ragazzo e tanto bastò per fare in modo che tutti i presenti catalizzassero la propria attenzione su un unico punto del giardino: un gigante dall'aria affabile e dal taglio di capelli leggermente squadrato teneva ripiegato su una spalla un ragazzetto di dimensioni minori, del tutto insensibile ai continui lamenti di quest'ultimo.

“Buonasera a tutti”, esordì il più alto, nascosto dietro ai grandi Ray-Ban. Un brusio generale ricambiò il saluto e l'uomo si concesse un'occhiata di ricognizione. “Se avessi saputo che ci sarebbe stata una bella ragazza, mi sarei messo in ghingheri!”

“Sei bellissimo al naturale, Rev”, ironizzò il bello del gruppo imitando scioccamente la voce di una donna, “Non sai quante mutandine devo cambiare, quando ti vedo!”

Mentre tutti si godevano una sana risata, Marta regalò al ragazzo in spalla al gigante un sorriso solidale: quante volte si era ritrovata in quella stessa situazione? Tante, troppe. Improvvisamente decise che quel ragazzetto dall'aria simpatica le sarebbe andato sicuramente a genio.

“Oh, ciao splendore”, biascicò qualcuno quando Kristine tornò al tavolo.

“Mi sono persa un bel po' di presentazioni, a quanto vedo!”, constatò la nuova arrivata prendendo posto accanto alla sorella, “Siete voi i fortunati che partiranno insieme a loro?”

“Esattamente”, confermò allora il bello, “E tu chi sei?”

“Kristine, sorella minore e sfigata della qui presente rockstar di fama mondiale.”

Il tono sarcastico non era riuscito a distogliere l'attenzione dei presenti dall'evidente diversità delle due sorelle.

“Siete sicure di avere gli stessi genitori?”

“Direi proprio di si”, sospirò Marta.

“E parti anche tu con noi?”

“Spiacente, penso proprio che mi toccherà rimanere qui.”

“Che peccato.”

“Ma verrai a trovarci almeno un paio di giorni”, insistette Brandan e Marta lo occhieggiò con sguardo interrogativo. Cosa aveva in mente di fare?

“Bene, così possiamo parlare di un'uscita tutti insieme”, aggiunse allora l'altro indicando prima se stesso e poi le due Peterson, “Con tutti insieme intendo noi tre, ovviamente.”

“Non ci siamo neppure ancora presentati e già cerchi di combinarti la serata?”, lo ammonì il ragazzetto, finalmente libero dalle grinfie del gigante, “Sono Johnny”, dichiarò stringendo la mano a Marta e procedendo in senso orario con tutti gli altri presenti, “E loro sono i ragazzacci che mi sono toccati in sorte”, e prese ad elencare i loro nomi.

 

*

 

“Così siete degli straight-edge”, considerò Matt ad alta voce, “Ho sentito parlare di questo stile di vita ma non ho mai approfondito l'argomento.”

“È tutta una questione di scelte: noi vogliamo essere indipendenti da qualsiasi cosa non sia una nostra stretta decisione”, spiegò Brandan aprendo l'ennesima bottiglietta di acqua tonica, “Non è da tutti comprendere una scelta di vita simile ma vi assicuro che è meno faticoso di quanto possa sembrare.”

“Ci sono cose che non potete fare?”, domandò quindi Synyster agguantando l'ultimo peperone rimasto in tavola, “Tipo parlare di certe cose o visitare determinati posti?”

Derek trattenne una risata. “Possiamo parlare di qualsiasi cosa e visitare qualsiasi posto, affermativo. Abbiamo qualche piccola regola personale ma si tratta di divieti auto-imposti. D'altronde sarebbe un controsenso parlare di libero arbitrio e farsi condizionare da leggi preimpostate, no?”

“Non beviamo alcolici, non fumiamo, non ci droghiamo, non mangiamo carne”, elencò Marta aiutandosi a contare ciascun punto con le dita di una mano.

“Non penso potrei mai riuscirci”, si arrese Jimmy, seguito a ruota da una scrollata di capo del resto dei componenti degli Avenged Sevenfold, “Tanto per cominciare adoro bere litri di alcool, perciò non credo di essere ad un buon punto di partenza.”

Johnny sembrava interessato alla discussione più di qualsiasi altro. “Quello che vorrei davvero sapere è come fate a seguire questo stile di vita fatto di privazione in un ambiente in cui esagerare è la parola d'ordine... dico sul serio!!!”

Ai loro occhi dovevano davvero apparire alla stregua di una popolazione indigena scoperta di fresco.

“Ci sono molti modi alternativi per passare il tempo”, spiegò Brian grattandosi la nuca con aria furba, “Semplicemente non utilizziamo sostanze capaci di alterare la nostra percezione delle cose, ma vi assicuro che Ryan ed io troviamo sempre qualche scemenza alla quale attaccarci.”

“Confermo: sono due bulli senza quartiere.”

Era strano trovarsi a dover spiegare il proprio stile di vita a dei perfetti sconosciuti eppure l'esperimento poteva tranquillamente considerarsi riuscito: gli Avenged Sevenfold sembravano persone affabili e disponibili al confronto. La serata si stava trasformando lentamente in un piacevole scambio di opinioni, dando la possibilità a ciascun individuo di mostrare la propria personalità, di farsi conoscere dagli altri senza indossare una maschera. Avrebbero dovuto trascorrere qualche mese a stretto contatto ed era importante che si sviluppasse un certo clima familiare tra loro o le cose avrebbero rischiato di prendere una piega spiacevole.

L'atmosfera era calda e di totale agio ma qualcosa o, per meglio dire, qualcuno sembrava stonare all'interno di quel quadretto idilliaco. Il ragazzo imbronciato, colui che era stato presentato loro con il nome di Zacky Vengeance, non sembrava intenzionato ad abbandonare il proprio stato di apatia. Se ne stava seduto in un angolo con lo sguardo perso nel vuoto, la fronte contratta in un'espressione pensierosa e la bocca serrata in un silenzio forzato. Da quando aveva messo piede in quel cortile non aveva pronunciato una sola parola.

Tra una domanda e l'altra, Marta aveva spesso gettato occhiate curiose nella sua direzione ma lui non sembrava essersene nemmeno accorto così, quando lo squadrò per l'ennesima volta, quasi saltò sulla panca alla vista di quegli stessi occhi fissi su di lei.

Una strana sensazione di disagio si impossessò del suo stomaco e subito la donna distolse lo sguardo, felice di tornare a posarlo su volti più rassicuranti.

“Perciò non pratichiamo sesso occasionale, è stata una scelta unanime.”

“Porca puttana e ce la fate a resistere?”, sbottò Synyster con occhi sbarrati, “Siete strani forte.”

“Scelta di vita discutibile ma devo dire che vi fa onore”, concesse Matt.

“Quindi non vi dispiacerà se le donne ce le terremo tutte per noi.”

“Sono tutte vostre, Rev.”

A quel punto la discussione aveva preso a spostarsi verso lidi meno personali, portandoli a scambiare opinioni ed esperienze riguardo ad un argomento capace di accomunarli tutti quanti: il tour.

Nonostante il grande successo riscosso in quegli ultimi anni, gli Avenged Sevenfold sembravano essersi improvvisamente trasformati in una band alle prime armi a cui era stato concessa una chiacchierata con i propri idoli e i Bleeding Through, da parte loro, non potevano che esserne oltremodo lusingati.

Tornando ad estraniarsi dal discorso, Marta prestò attenzione alla sorella, che fino a quel momento era rimasta seduta accanto a lei in silenzio, forse decisa a non perdersi nemmeno una virgola di quei botta e risposta dai risvolti esilaranti.

“Mi dispiace, ti starai annoiando...”

“Per niente! I ragazzi sono uno spasso, è divertente sentirli parlare.”

“Non lo dici solo per farmi felice?”

“Certo che no!”, le circondò le spalle con un braccio, “E poi non ho nulla di meglio da fare, stasera.”

“Ah, beh! Se la metti su questo piano, grazie della considerazione!”, ironizzò sollevando lo sguardo al cielo, “Cosa ha deciso di fare Therese?”

“Domani scriverà tutti i cartellini, così posso passare a portarteli prima che tu parta.”

“D'accordo, grazie. Assicurati anche che -”

“Vero Marta?”, il tono squillante di Brandan richiamò la sua attenzione, interrompendola nel bel mezzo della frase. La tastierista di sistemò meglio sulla panca e fece una smorfia spiacente. “Non stavo seguendo il discorso, prof.”

“Parlavo di Line In The Sand e di come è nata l'idea del testo.”

“Ah, si. Scott e le sue beghe sentimentali. Un enorme spunto per i nostri testi...”

Ricordava bene la storia che aveva ispirato quella canzone: un paio di anni prima Scott aveva preso a frequentare una ragazza. Nell'arco di poco tempo i due erano passati dall'essere un reciproco passatempo al diventare una vera e propria coppia, tanto da decidere di affrontare un passo importante come quello di andare insieme all'altare. Da quel momento era partito l'incubo: la donna pedinava Scott ovunque andasse, gli tendeva addirittura dei veri e propri agguati quando lui raggiungeva i ragazzi in studio di registrazione per lavorare al nuovo album. Scott non perse tempo e, senza pensarci due volte, tagliò tutti i ponti con lei. La donna non sembrò prenderla troppo bene: lo tempestò di lettere in cui domandava ossessivamente cosa avrebbe potuto fare per vincere il gioco contro di lui. Da lì era nata la frase Would you still leave?/Will you ever change?/And I still feel empty/Will I always lose this game?, così maledettamente drammatica da risultare perfetta per un testo profondo e diretto come quello.

“È una storia fuori di testa!”, rise Jimmy sistemando meglio gli occhiali sul naso, “L'unico sano di mente del gruppo, senza offesa per voi persone per bene, stava per sposare una pazza schizofrenica!”

“E non è tutto: nei mesi successivi lo ha tempestato di messaggi minatori. È persino arrivata ad appostarsi sotto casa di Isabelle, la nuova ragazza di Scott. Magari un giorno scriveremo una canzone anche su questo piccolo seguito infernale.”

“Quella è da rinchiudere!”, esclamò Johnny scuotendo la testa, “Robe da pazzi.”

La suoneria di un cellulare zittì tutti i presenti, costringendoli a occhieggiarsi gli uni con gli altri nel vano tentativo di capire da dove arrivasse il suono.

Quando Zacky abbandonò il proprio posto, allontanandosi dal gruppo di qualche decina di metri e portando all'orecchio un apparecchio luminoso, il quesito divenne un altro: quale diavolo di problema aveva quel ragazzo?

“Di solito è un tipo brillante”, spiegò Matt con aria spiacente, “Non ha aperto bocca nemmeno con noi, oggi. Credo proprio sia successo qualcosa...”

“Sicuramente qualcosa è successo”, convenne Synyster accendendo una sigaretta, “Ma è meglio lasciarlo stare. È testardo come un mulo, quando decide di non parlare.”

Le uniche parole vagamente udibili si potevano racchiudere in una serie di imprecazioni a denti stretti; era chiaro che stesse succedendo qualcosa di anomalo e che lui, suo malgrado, ci si fosse trovato dentro fino al midollo.

“Me ne vado”, ringhiò Zacky facendo ritorno verso la tavolata a grandi falcate, “Se non volete andarvene anche voi, ditelo subito. Io chiamo un taxi e me ne torno a casa.”

“Vee, cosa cazzo...”, tentò Synyster aggrottando la fronte e sputacchiando dalle labbra un po' di fumo.

“Non ora, Haner.”

Marta scambiò con Brandan un'occhiata stupita e fece appena in tempo a intravedere la figura di Zacky, ormai divenuta una sagoma nera priva di alcun particolare, allontanarsi in direzione dell'auto con le braccia lungo i fianchi.

“Andiamo bene. Siamo già alla fase lasciami stare o ti chiamo per cognome...”, ironizzò Syn spegnendo definitivamente la sigaretta, utilizzando un bicchiere di plastica riempito con un po' d'acqua come posacenere di fortuna.

“D'accordo, gente. Direi che la serata, per noi, è da considerarsi conclusa”, sospirò Matt abbandonando la panca, imitato immediatamente dagli altri membri della sua band.

“Grazie della chiacchierata illuminante”, sorrise Jimmy producendosi poi in un piccolo e buffo inchino diretto alle due sorelle, “È stato un piacere, ragazze.”

“Ci si vede tra una settimana”, si congedò Synyster portando due dita alla fronte in un gesto che avrebbe saputo far capitolare onde intere di fans adoranti senza il minimo sforzo.

Anche Johnny salutò tutti con un veloce cenno della mano e subito l'intera band degli Avenged Sevenfold sparì in strada.

“A questo punto non resta che sparecchiare”, Ryan sfregò le mani l'una contro l'altra, “E poi io e Brian ce ne andremo a fare un giro. Vi unite a noi, non è vero?”

 

*

 

Con occhi stanchi e a mezz'asta, Marta fece rientro a casa.

Non aveva avuto la forza di seguire Ryan, Brian e Brandan in giro per le strade di Orange County, troppo stanca addirittura per ripensare all'intera serata trascorsa senza incappare in uno sbadiglio.

Mettendo piede nella sua auto, Derek le aveva detto che la prospettiva di abbracciare il proprio materasso era l'unica che sentiva di poter prendere in considerazione e lei non riusciva a trovare affermazione più veritiera di quella.

Si sentiva stanca e tutto ciò che voleva era stendersi nel letto e abbandonarsi ad un profondo sonno ristoratore fino a che non fosse stata mattina inoltrata.

Kristine le aveva promesso di passare da lei per portarle i cartellini di Therese, l'indomani, e quello era l'unico pensiero a lungo termine al quale Marta aveva la forza di pensare in quel momento.

Sfilò maglia e jeans con gesti veloci, sganciò il reggiseno e rimase in slip, unico indumento con il quale era solita andare a dormire, poi si infilò sotto le coperte e fissò per per qualche secondo il soffitto, in attesa di lasciarsi trascinare in un viaggio tra le braccia di Morfeo.

 

Credits: 'Just Another Pretty Face' by Bleeding Through.

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n.d.A: Buonasera a tutti! Eccomi con il secondo capitolo.. spero sia stato di vostro gradimento!
A lunedì per il terzo! Buona serata e un grazie di cuore a chi ha letto: siete tanti!!! GRAZIE

rose_ 

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Capitolo 3
*** I - Bat Country ***




PARTE PRIMA

03.

BAT COUNTRY

 

Now take a trip with me but don't be surprised
when things aren't what they seem

 

20 Ottobre 2006

Sistemando il piccolo cuscino da viaggio dietro alla nuca, Marta si concesse un grande sbadiglio. Erano arrivati in aeroporto dopo dodici ore di viaggio ininterrotto ed erano ripartiti a bordo del loro tour bus ormai da un paio d'ore. Nessuno di loro sembrava aver molta voglia di tenere gli occhi aperti.

Ryan e Brian si erano impossessati della cuccetta di Scott, concedendosi un profondo sonno schiena contro schiena, come una coppia ben rodata negli anni.

Poco distante da loro, il padrone della cuccetta aveva appena terminato una conversazione telefonica piuttosto accesa con Isabelle, fidanzata alla quale aveva giust'appunto giurato una fedeltà alla quale nessuno, su quel tour bus, aveva creduto nemmeno per un secondo; Scott amava approfittare delle occasioni offerte dalla fama, fossero queste una bottiglia di whiskey con cui cominciare bene la giornata o un giro gratis tra le cosce di una groupie e a nessuno di loro sarebbe mai balenata in testa l'idea di spifferare queste sue libertà ai quattro venti, specie alla sua donna.

In ultimo, Derek brandiva come un'arma la sua vecchia macchina fotografica e sembrava interessato a immortalare qualsiasi soggetto gli si parasse davanti: un paio di insegne stradali bianche e blu; qualche distesa di campi di grano incrociata durante il viaggio; Brandan con gli occhi socchiusi e le cuffiette dell'i-Pod nelle orecchie.

“Non sei stanco?”, gli domandò Marta dopo averlo osservato scattare l'ennesima foto al foglio della loro scaletta di brani per la serata, “Siamo in viaggio da ieri, non hai chiuso occhio nemmeno in aereo e suoni lo strumento più sfiancante del mondo, Der.”

“La batteria non è sfiancante”, sorrise puntandole contro l'obiettivo, pronto ad immortalare il suo broncio sulla pellicola fotografica, “E poi ho passato gli ultimi due giorni di vacanza a poltrire, ora voglio godermi un po' di Europa.”

“Ma passeremo la maggior parte del tempo in autostrada!”, protestò lei, coprendosi il volto con un braccio per non farsi raggiungere dal flash, “Non vorrei rovinare il tuo entusiasmo ma penso che riusciremo a vedere ben poco dell'Europa.”

“Lo so ma voglio essere ottimista”, il batterista smise di prestarle attenzione e tornò a dedicarsi al paesaggio che continuava a scorrere veloce fuori dal finestrino.

“Cerca di riposarti, Marta”, le suggerì Brandan senza aprire gli occhi né muoversi di un solo centimetro, “Stasera sarà faticoso per tutti, anche per te.”

“Io sono Wonder Woman!”, ridacchiò lei chiudendo a sua volta gli occhi.

“Piacerebbe molto a tutti noi, se tu lo fossi”, sospirò lui prima di perdersi nuovamente in un dormiveglia caldo e rigenerante.

Un'ora più tardi il pullman frenò bruscamente e Marta per poco non rischiò di cadere dal proprio sedile. Fino a quel momento era stata la protagonista di un sogno meraviglioso, un viaggio fantastico che non avrebbe mai voluto abbandonare, e tornare alla realtà in modo così brusco fu per lei un duro colpo.

“Che succede?”, sbadigliò accigliata per il brutto risveglio, lanciando occhiate curiose a destra e a manca.

“Pare ci sia un po' di traffico”, fece Brandan in tono ironico e Marta si sporse appena per poter constatare la gravità della situazione con i propri occhi, poi fece una smorfia.

“Questa non ci voleva. Ce la faremo ad arrivare in tempo?”

“Mancano ancora cinque ore al concerto”, tentò Derek con il suo solito modo di fare rassicurante ma Marta non sembrò dargli credito, abbandonando il proprio posto e raggiungendo la fila di guida per riformulare la medesima domanda al conducente.

“Mai una volta che mi si dia ascolto”, borbottò il batterista chiudendosi nelle spalle. Brandan lo attirò a sé con un braccio tatuato e prese a strofinargli una mano sulla testa, quasi fosse un cucciolo di cane.

“Ti chiederei gentilmente di lasciami andare: la situazione si sta facendo un po' ambigua.”

“Vedrai, il prossimo passo sarà la sua mano sulla tua coscia”, sorrise Brian incrociando le braccia al petto, “E quello dopo ancora, chissà, magari la sua lingua nella tua gola!”

“Fai davvero schifo, Leppke”, fece una smorfia disgustata e osservò Marta ritornare al proprio posto, “Saputo niente?”

La donna annuì afflitta. “C'è stato un incidente lungo l'autostrada e i soccorsi hanno bloccato l'afflusso di mezzi da questa parte della carreggiata. Ci vorrà ancora un bel po', prima di ripartire.”

Il solito culo”, Ryan roteò gli occhi, “E quindi che si fa?”

“Non abbiamo molte alternative, si può solo rimanere qui in attesa che sblocchino la situazione.”

“Oppure”, cominciò Brian con occhi furbi, “Si può andare a vedere se i nostri compagni di avventure hanno qualche passatempo interessante da condividere!”

I due bulli si scambiarono un'occhiata complice, poi si alzarono di scatto e si catapultarono verso l'uscita del tour bus. Marta li osservò perplessa, domandandosi per quale motivo le loro idee riuscissero sempre a farle paura: era lei a prendere la vita con troppa serietà o erano loro ad essere irrimediabilmente fuori di testa?

“Dove se ne vanno quei due, in mezzo a questo traffico?”, domandò retorica, voltandosi verso il grande vetro posteriore del mezzo, “Il pullman degli altri non è neppure dietro al nostro!”

 

*

 

“Sei una vera schiappa, Ryan!”

“Parla per te, Gates”, ribatté l'altro guardandolo di sbieco, prima di riprendere in mano la felpa appallottolata e tornare a fissare il secchio che Jimmy aveva allacciato ad uno dei neon del loro tour bus, “E goditi lo spettacolo: sono in arrivo tre nuovi punti per la squadra del sottoscritto.”

“Anche se dovessi riuscire a fare canestro – e io ho la mia buona dose di dubbi a riguardo – non riuscireste ugualmente a scansarci dal primo posto del podio.”

Alla fine, Ryan e Brian avevano convinto gli Avenged Sevenfold a sfidarli ad un incontro di palla canestro improvvisato, invitandoli a disputare la partita sul loro tour bus per evitare gli spiacevoli inconvenienti che sarebbero potuti sorgere giocando per strada.

Dal suo sedile Marta riusciva ad avere una buona visuale di tutto il campo di gioco. L'avvicendarsi di colpi di scena di quella partita nata per caso l'avevano convinta addirittura ad abbandonare sul tavolino il libro che aveva da poco cominciato a leggere, incapace di staccare gli occhi di dosso a quei giocatori fuori dal comune.

“Bel colpo, amico!”, sentì commentare a gran voce da qualcuno della sua band, seguito da una serie di immancabili pacche sulle spalle.

“Oh-oh, questi Bleeding Through fanno sul serio, ragazzi. Se non facciamo qualcosa ci fanno neri per davvero!”

“Si, Sullivan, è esattamente quello che ci siamo prefissi di fare”, schioccò la lingua Brian, “A questo punto direi di alzare la posta in gioco e fare un patto: la band perdente dovrà ammettere la superiorità dell'altra davanti al pubblico di ogni data del tour. Ci state?”

“Il vostro ego è così abnorme?”, strabuzzò gli occhi Matt, dando una gomitata a Brandan per farlo smettere di ridere, “E va bene, se è questo che volete noi ci stiamo! Ma vi avverto che cominceremo a fare sul serio, a partire da ora.”

“Credevo steste già cercando di fare del vostro meglio”, ironizzò Scott rincarando la dose.

“Preoccupatevi di come giocate voi, che al resto pensiamo già noi”, ribatté Johnny rubando la palla dalle mani di Jimmy, pronto a lanciare, “Rev, preparati ad aggiornare il punteggio!”

Un boato si levò in tutto il tour bus non appena il bassista degli Avenged Sevenfold terminò il proprio turno: aveva fatto canestro e i suoi punti avevano decretato l'ennesimo sorpasso da parte della sua band ai danni dei Bleeding Through. Ormai sicura di dover assistere a quell'infinito saliscendi delle sorti del proprio gruppo ancora per molto tempo, Marta schiodò dal sedile e tornò a dirigersi verso l'inizio del pullman, decisa a scambiare due parole con l'autista e a sincerarsi di essere a buon punto con lo sblocco dell'immensa coda di traffico.

“Sembra che la situazione sia ancora bloccata”, sospirò però l'autista accantonando il cruciverba che gli aveva tenuto compagnia fino a quel momento, “Con un po' di fortuna, dovremmo essere in grado di ripartire nell'arco di mezz'ora o tre quarti d'ora al massimo.”

“Arriveremo in tempo?”, domandò nuovamente lei, in preda ad un'improvvisa ansia: non amava granché gli imprevisti e quell'incidente non era certo la sorpresa di cui aveva bisogno la band in un momento come quello, non dopo ore e ore di viaggio.

“Stia tranquilla, ce la faremo. Non possiamo volare, certo, ma siamo a circa un'ora da Manchester e il concerto non comincerà prima di tre ore abbondanti. Torni dagli altri, si terrà occupata finché la situazione non sarà migliorata.”

Marta gettò un'ultima occhiata alla strada davanti a sé per constatare di persona che il caos di automobili perfettamente incolonnate non si fosse in effetti mosso di una virgola, poi annuì. “Va bene, grazie Jason.”

“Si figuri, Miss Peterson.”

“Chiamami Marta, se ti fa piacere”, sorrise e gli strinse delicatamente una spalla in cenno amichevole, “Non mi piace la distanza che impone il lei.”

“D'accordo”, acconsentì l'uomo tradendo una certa soddisfazione, “Sono della sua... tua stessa idea.”

Dandogli un'ultima piccola pacca di consenso sulla spalla, Marta fece dietrofront e si preparò ad assistere al secondo tempo della partita di basket più lunga e litigiosa di tutti i tempi.

“Coraggio, non abbiamo tutto il giorno!”

Il tono sarcastico di Ryan attirò la sua attenzione su un punto preciso del tour bus: Derek se ne stava seduto in un angolo della propria cuccetta con le braccia conserte e il volto imbronciato, mentre il resto della band cercava di convincerlo a giocare il proprio turno. “Der, ti prego. Manchi solo tu, non fare la femminuccia!”

Il batterista sussurrò qualcosa di appena udibile e Scott si piegò maggiormente verso la cuccetta, chiedendogli di ripetere cosa avesse detto. Dal suo sedile Marta riuscì a malapena a riconoscere un non voglio farlo sibilato a denti stretti.

“Qualche problema?”, ironizzò Synyster, “Ansia da prestazione?”

I membri dei Bleeding Through si scambiarono un'occhiata complice, poi Brandan si voltò a guardare Matt e la sua band e accennò un sorriso beffardo: “Nessun problema e nessuna ansia. Preparatevi al nostro tiro finale.”

Derek scosse energicamente la testa e sgranò gli occhi, cercando di fare resistenza quando i due bulli lo afferrarono ognuno per un braccio per tirarlo in mezzo al campo. Marta provò un'enorme tenerezza nei suoi confronti, immaginando che il batterista avesse i propri buoni motivi per non voler prendere parte alla partita.

“Ecco qua”, Ryan rifilò a Derek la palla e gli indicò il secchio, “Mandala lì dentro, ok?”

“Avevo intuito da me di dover fare centro”, alzò gli occhi al cielo e, socchiudendo gli occhi, mirò il canestro per qualche secondo. Quando finalmente si decise a tirare, Marta si coprì stupidamente gli occhi con una mano in un gesto quasi scaramantico. L'urlo di Brian, Brandan e Ryan e l'applauso di Scott le lasciarono intendere che fosse andato tutto bene.

“Avete già deciso con che frase ci loderete in pubblico?”, scherzò Ryan gongolando ed elargendo sorrisetti vittoriosi a tutti i presenti, “Sarà meglio che sia una gran bella frase, vi abbiamo schiacciato come delle formichine!”

“In realtà siete avanti di pochi punti”, ribatté perplesso Johnny, “Se Derek non avesse dato il suo contributo, avremmo vinto noi!”

“Questi sono dettagli per gente che non ha nulla di meglio a cui pensare”, i due bassisti si scambiarono una stretta di mano un po' troppo sprezzante, “La prossima volta mi impegnerei un po' di più, fossi in voi.”

“Buono, Ryan, non tirare troppo la corda”, lo richiamò Brandan aprendosi una bottiglietta d'acqua.

Una risata unanime si riversò per tutto il tour bus ma venne interrotta dall'improvviso rombo del motore, segno che qualcosa si stava finalmente smuovendo.

Jason fece la sua comparsa nel piccolo corridoio tra i sedili, alzando le spalle con aria spiacente. “Ragazzi devo chiedervi di tornare al vostro pullman: stiamo per ripartire.”

Solo quando gli Avenged Sevenfold le passarono davanti per scendere rumorosamente i gradini del pullman, Marta si accorse che all'appello mancava qualcuno. Non che le importasse più di tanto, visto la serata all'insegna del mutismo tenuta una settimana prima, ma era evidente che Zacky Vengeance non stesse lasciando il loro tour bus, né che vi fosse mai salito. Con un sorriso sincero Marta salutò tutti e quattro i musicisti, poi si abbandonò al comfort del proprio sedile, fissando il proprio sguardo al di là del vetro.

La sequela di alberi e campi agricoli la stregò completamente, catturando la sua attenzione per tutto il resto del viaggio. Ormai non aveva occhi che per il paesaggio: quelle distese di immensi prati in cui non era consuetudine imbattersi ad Orange County l'avevano come rapita, mostrandole la semplicità della natura e gli splendidi colori dell'autunno.

“Sta' un po' ferma, Marta!”, sbuffò Brandan quando la sentì nuovamente fremere di eccitazione, sul sedile accanto al suo.

“Non posso! Guarda un po' dove siamo...”

Brandan lanciò un'occhiata al di là del vetro e sembrò illuminarsi. “Siamo arrivati! Sveglia, uomini! Si va a lavorare!”

“Lo preferivo quando dormiva”, borbottò Brian.

“Non c'è tempo per dormire: c'è uno show che ci attende!”

 

*

 

Con la capacità di contenere fino a diecimila persone alla volta e l'attrezzatura per garantire qualsiasi comfort ai propri ospiti, l'Apollo meritava a pieno titolo la nomea di parco più grande di Manchester.

Come sempre prima di un concerto, Marta era seduta a gambe incrociate sul pavimento e scuoteva lentamente la testa prima a destra e poi a sinistra affinché la tensione che avvertiva sulle spalle si placasse un po'. Da quella postazione strategica riusciva ad avere un'ampia panoramica del palco e di parte del pubblico, quel tanto che bastava a darle una lieve sensazione di vertigine che, nonostante anni di esperienza live, non sarebbe mai passata del tutto.

La musica degli Avenged Sevenfold raggiungeva in modo limpido ogni angolo del parco e tutti, compreso l'intero backstage, sembravano elettrizzati da quel ritmo così scanzonato, dalle chitarre magistralmente intrecciate, dalle perfette linee del basso e da quella voce roca e potente.

La stessa Marta spalancò gli occhi con stupore quando udì il boato soddisfatto del pubblico alle prime battute di una canzone particolarmente trascinante.

L'urlo di introduzione di Matt la colse di sorpresa e i colpi che Jimmy stava relegando alle pelli della sua batteria le martellarono fin dentro le ossa, trascinandola in un vortice di sensazioni piacevoli e vive. Tempo prima li aveva cercati su youtube e i pochi pezzi che aveva sentito l'avevano convinta solo per metà, lasciandole addosso il dubbio che il loro successo fosse dettato più da una moda di passaggio che da un reale talento, ma adesso doveva ricredersi: passione, energia, bravura e sintonia non erano affatto qualità semplici da dimostrare senza una solida base alle spalle.

 

Can't you help me as I'm startin' to burn?
Too many doses and I'm starting to get an attraction
My confidence is leaving me on my own
No one can save me and you know I don't want the attention

 

“La tua mascella sta toccando terra”, la risata di Brandan le riecheggiò in un orecchio, attirando la sua attenzione, “Non sono come te li aspettavi, lo so.”

“Sono tutt'altro da come me li aspettavo!”, incredula scosse la testa e tornò a focalizzare il proprio interesse sulle dita esperte di Synyster Gates, lanciate in un assolo elaborato e veloce. “Insomma, ammettilo: sono giovani e belli e questo sarebbe bastato a convincere buona parte delle ragazzine di tutto il mondo a renderli ricchi da fare schifo... ma qui c'è talento, tecnica, potenza!”, si voltò verso il proprio migliore amico e lo vide annuire soddisfatto. Era stato Brandan a proporre a Luke di assoldare quella band come gruppo spalla per il tour, sotto alla iniziale perplessità di tutto il resto dei Bleeding Through e, in particolar modo, dietro al totale scetticismo di Marta.

Grazie!”, urlò Matt dal centro del palco, per poi indicare il backstage con un braccio teso ed inarcare leggermente la testa di lato, “E ora vorremmo ringraziare la band che ha permesso tutto questo: i Bleeding Through! Vi stimiamo, ragazzi, siete fottutamente geniali e ci ha fatto piacere lasciarvi vincere la partita di oggi!”, una risatina sarcastica e un'occhiata di intesa con Zacky, unico musicista in linea d'aria con il retro del palco, “Ma sappiate che siamo dei tipi vendicativi e torneremo a prenderci la rivincita, quindi state all'erta! E ora un'altra canzone dal nostro ultimo album...”, la chitarra di Synyster attaccò a suonare una melodia sorprendentemente accattivante e il pubblico urlò come impazzito. “Beast and the harlot!”, ringhiò Matt salendo su uno degli amplificatori a forma di cubo e prendendo a incitare il pubblico con dei movimenti decisi del braccio.

Lasciarci vincere un cazzo! Se non ne hanno ancora abbastanza di perdere gli daremo questo fatidico calcio nel culo anche stasera!”, esordì sprezzante Brian, occhieggiando Ryan con sguardo complice.

“Non credo che ci sarà qualcuno disposto a disputare una partita dopo il concerto, Brian”, lo ammonì Brandan con tono paziente.

“Tu da che parte stai? Sei il nostro leader o no?”

“Mi sembra ovvio.”

“E allora non addolcirgli la pillola: ormai è guerra!”

Marta roteò gli occhi e tornò a guardare il palco; fissò la propria attenzione su Matt, quasi ammaliata da quella presenza importante e affascinante, poi spostò lo sguardo su Johnny, che da quel punto del backstage risultava essere ancora più basso di quanto già non apparisse.

Solo quando fece per interessarsi all'instancabile pestare di Jimmy sulla batteria, Marta concesse per la prima vera volta uno sguardo più attento alla figura di Zacky Vengeance.

Canottiera nera recante la scritta MISFITS a grande stampa, un trucco rosso acceso a bordargli pesantemente gli occhi, un colorito decisamente più vivo e roseo di quanto ricordasse dal loro primo incontro. La chitarra era bassa, quasi inguinale, e il manico era tenuto a destra, con impugnatura mancina. Non sembrava aver voglia di muoversi più di tanto, a parte qualche breve passeggiata verso il centro del palco per improvvisare un teatrino spalla a spalla con l'altro chitarrista, ma dava l'impressione di essere perfettamente a proprio agio di fronte a tutta quella gente. Marta portò un dito alla bocca e prese a mangiucchiarsi un'unghia, accorgendosi di essere ancora imbambolata a guardarlo solo quando lo vide chinare leggermente il capo da un lato per accennare un sorriso sghembo nella sua direzione.

“Credo che dovremmo proporre Sister Charlatan”, esclamò Scott attirando a sé l'attenzione della propria band, “Voglio dire: ormai è pronta, non ha senso lasciarla lì.”

“Non è neppure nell'album”, fece notare Brandan in tono serio.

“Appunto! Un motivo in più per suonarla! E poi immaginate la reazione entusiasta del pubblico!”

“Luke ci farà il culo a fette”, ironizzò Ryan e Marta gli lanciò un'occhiata nauseata.

“Scott ha ragione: proviamoci”, acconsentì Derek, annuendo sicuro, “Cosa potrà mai succedere?”

“Già! Senza contare che, finché saremo sul palco, Luke non potrà farci niente di male.”
“Spero non ci faccia del male neppure una volta finito il concerto, Brian”, sbuffò Marta, per poi lanciare uno sguardo interrogativo a Brandan in attesa di una risposta. Sarebbe dipeso tutto dalla sua decisione, era lui il leader della band e se non se la sentiva di cantare una determinata canzone nessuno avrebbe potuto obbligarlo a fare il contrario.

“E va bene”, concesse con poca convinzione, “Vediamo cosa ne pensa il pubblico.”

“Sicuramente si chiederanno tutti per quale motivo non l'abbiamo inclusa nell'album!”

“È molto diversa da tutte le altre nuove canzoni, ecco perché.”

“Secondo me non abbiamo motivo di stare a discuterne adesso”, si intromise Marta, “Andiamo là fuori e facciamo vedere cosa sappiamo fare e, porca miseria, chi se ne frega di cosa penseranno Luke e la gente!”

L'occhiata che Brandan le lanciò fu così colma di significato da riuscire a rendere inutile aggiungere altre parole.

“Dovremmo eleggere Marta a nostro nuovo leader”, ironizzò Brian.

Brandan la squadrò con un certo divertimento e poi si aprì in un sorriso traboccante di sfida. “Io voto a favore.”

 

*

 

Lo show era durato all'incirca un'ora e mezza e ormai tutti loro non desideravano altro che una doccia rigenerante e un letto su cui lasciarsi cadere. Avevano ringraziato più e più volte il pubblico, fieri del caloroso benvenuto ricevuto per quella nuova canzone così fuori dal coro.

Marta aveva radunato davanti a sé una discreta montagnola di magliette lanciate sul palco dal pubblico, tutte irrimediabilmente nere e sudaticce, e ora si stava chinando per l'ennesima volta in una leggera riverenza verso quella folla urlante e desiderosa di sentirli ancora suonare.

“Per questa sera abbiamo finito, gente!”, urlò Brandan al microfono, scaturendo uno scontento generale del quale sorrise debolmente, “Non abbiamo scelta, non è così?”, scherzò quindi e dal pubblico si levò un grande clamore, “E allora preparatevi perché questa che sta per arrivare è davvero l'ultima canzone della serata: The Pain Killer!”

Marta adorava quella canzone: era potente, oscura e psichedelica, una sorta di inno dalle sonorità trascinanti e dal testo incisivo. Come ogni volta da quando avevano cominciato il tour per l'album The Truth, suonarla le mise i brividi addosso.

“Siete fantastici!”, urlò Brandan una volta conclusa l'esibizione, ricevendo nuovamente in risposta un coro di dispiacere generale, “Vi aspettiamo tra due giorni a Newcastle! Buonanotte!”

Tra urla assordanti ed un calo di luci, l'intera band abbandonò il palco e mise piede nel backstage.

Marta si impossessò del piccolo divanetto messo a disposizione dal management e subito portò un braccio alla fronte per coprire gli occhi stanchi. “Sono esausta”, sbuffò all'aria, certa di racimolare taciti consensi in ciascuno dei suoi compagni di band. Non sapeva per quanto tempo sarebbe rimasta lì e non le importava saperlo: aveva terminato uno show, si sentiva debole e nessuno avrebbe avuto bisogno di lei fino al giorno successivo.

Un intenso aroma di the la raggiunse senza preavviso, facendola sorridere. “Se non ti conoscessi da una vita penserei che sei davvero un tipo strano, Brand.”

Nonostante i suoi occhi fossero ancora resi ciechi dal peso dell'esile braccio, Marta non ebbe dubbi sul fatto che Brandan stesse scuotendo nervosamente la testa. “Se dovessi mantenere in buono stato la voce lo berresti anche tu, dopo ogni concerto.”

“Col caldo che fa? No, grazie.”

“Come ti pare”, ribatté scompigliandole un poco i capelli, “Io vado a farmi una doccia. Immagino ti troverò ancora qui, quando avrò finito.”

Marta negò, poi sbadigliò rumorosamente.

Quando riaprì gli occhi, sorpresa di essersi assopita con così tanta facilità, notò che il braccio era scivolato via dal viso per fermarsi pesantemente sul seno, mentre una calda felpa nera si era come materializzata a coprirle il resto del busto, regalandole una piacevole sensazione di torpore.

Come improvvisamente rinsavita, Marta si levò a sedere con uno scatto veloce e afferrò la maglia con entrambe le mani, portandola al naso con non poca ostilità e annusando il tessuto a pieni polmoni: un profumo da uomo si impossessò delle sue narici, inebriandola con la sua fragranza pungente.

“Sono felice che ti piaccia la mia acqua di colonia”, ironizzò una voce maschile per nulla familiare, “Ma mi chiedevo se ora potresti ridarmi indietro la felpa.”

Colta sul fatto, Marta sollevò lo sguardo con aria spiacente. “Qualcuno deve avermela appoggiata sulle spalle”, ipotizzò con la voce ancora impastata dal sonno, mettendo finalmente a fuoco l'immagine del proprio interlocutore. “Non avevo idea che fosse tua.”

“Nessun problema”, concesse lui riappropriandosi della maglia, “Non mi sono ancora presentato. Sono Zacky.”

Marta osservò a lungo la mano che il ragazzo le stava tendendo, incapace di fare qualsiasi cosa.

“E tu sei la famosa Marta, quella per cui impazziscono tutti i giornali”, continuò atono ritirando la mano inviolata.

Zacky, andiamo! Non ho più voglia di aspettarti qui!”, si lamentò Synyster, sulla soglia della porta.

Entrambi lo occhieggiarono inespressivi, poi tornarono a rivolgere la propria attenzione l'uno all'altra. Marta si soffermò ad osservare quegli occhi splendidi e freddi e constatò come, nonostante ne fosse ormai colato una buona parte sul viso, il trucco rosso che li circondava riuscisse a renderli più brillanti e grandi di quanto già non fossero.

Quella per cui impazziscono tutti i giornali”, ripeté sarcastica, “Divertente.”

Vengeance! Giuro che conto fino a tre e poi me ne vado!”, urlò ancora il chitarrista.

“Beh, se può tirarti su il morale, non credo a tutto quello che dicono i giornalisti innamorati.”

“Forse sarebbe meglio dire ossessionati.”

“Comunque tu voglia chiamarlo, quelli hanno una cazzo di adorazione per te.”

Sogghignò e infilò la felpa con un gesto rapido, poi fece un ultimo cenno a Syn.

“E non vedo l'ora di capire perché.”


Credits: 'Bat Country' by Avenged Sevenfold

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Capitolo 4
*** I - Kill To Believe ***




PARTE PRIMA

04.

KILL TO BELIEVE

 

So what will you take from me?
I'm the man without a soul, a soul for you to seek

 

21 Ottobre 2006

Quella mattina Marta si svegliò con un certo buonumore.

Aveva dormito un sonno profondo e tranquillo, disturbato soltanto da piccoli e confusi frammenti di sogno. Si sentiva in splendida forma e non riusciva a togliersi quello sciocco sorriso ebete dalla faccia neppure mentre saltellava sul posto in perfetta tenuta sportiva.

“Stai uscendo?”, domandò Derek con voce stupita, attraversando a grandi passi il lungo corridoio per raggiungerla, “Non starai mica andando a correre?”

“La perspicacia è la tua miglior virtù, Der.”

“Ma oggi abbiamo quell'intervista per Kerrang!.

L'occhiataccia che Marta gli rifilò non sembrò bastare a farlo desistere dalla sua insistenza. “Non dirmi che non verrai.”

“Sai come la penso riguardo alle interviste.”

“Ma questa non è la tua intervista, qui ci va di mezzo tutta la band!”

Quando voleva, Derek sapeva diventare il più capriccioso di tutti, persino peggio dei due bulli nel pieno delle loro forze. Marta odiava le interviste più di quanto detestasse qualsiasi altra cosa e questo, Derek e gli altri, lo sapevano bene. Per lei si trattava di una scocciatura bella e buona, il prezzo da pagare per essersi immessi di prepotenza sulla strada della fama: sarebbe stato così imperdonabile se, di tanto in tanto, non si fosse presentata a quel pruriginoso appuntamento?

“Se non ricordo male è un'intervista doppia insieme agli Avenged Sevenfold e, con tutta quella gente, la mia assenza passerebbe del tutto inosservata.”

“Non credo proprio”, ribatté il batterista scuotendo energicamente la testa e cominciando a sbuffare come una vecchia pentola a pressione, “Sei una donna, profumi e non parli come una scaricatrice di porto: come pensi che potrebbe passare inosservata la tua assenza? Probabilmente sarai l'unica via di fuga che l'intervistatrice avrà a portata di mano.”

“Ah, dovrò vestire i panni della buona samaritana”, ironizzò, “Comunque va bene, tanto alla fine ci sarei venuta lo stesso.”

“Quando ti ci metti sei proprio...”

Una familiare voce femminile interruppe Derek a metà frase, lasciando entrambi a bocca aperta: Amber Dawson, modella texana dai tondi occhi neri e dal fisico mozzafiato, aveva appena lasciato cadere le proprie valigie a terra, avvicinando Marta con le braccia spalancate.

“Stella!”, urlò gettandole le braccia ingioiellate al collo, “Come stai?”

Amber”, mormorò la tastierista cercando di sputacchiarne via dalle labbra qualche capello un po' troppo invadente, “Non ti aspettavamo prima di un'altra settimana.”

“Ho pensato di farvi una sorpresa. So che siete partiti da pochi giorni ma, credetemi, ho iniziato a sentire la mancanza di Brandan non appena è uscito di casa. A proposito, sapete qual è la sua stanza?”

“Non ne ho davvero idea.”

Marta tentò di sembrare convincente, nonostante la risposta suonasse poco credibile persino alle sue orecchie, ma i suoi tentativi di diserzione fallirono miseramente pochi istanti più tardi, quando Derek prese a spiegare alla modella la via più semplice per raggiungere la camera di Brandan.

“Ti ringrazio davvero, Derek!”, cinguettò infatti la nuova arrivata e, dopo aver lasciato al suo salvatore un umido bacio sulla guancia destra, prese a camminare a passo svelto nella direzione appresa, trascinandosi dietro le valigie.

“Davvero non ne avevi idea?”, si sentì domandare Marta in tono retorico, “Quindi ieri sera, quando vi sentivo ridere come due ragazzini, non eravate rinchiusi nella sua stanza?”

“Se ben ricordi abbiamo invitato tutta la band a unirsi a noi e tutti, tu compreso, avete glissato dicendo di avere altro da fare! Non farla passare come la cosa losca che non è!”

“So quali sono i rapporti tra voi, Marta... E comunque non ho accettato soltanto perché la vostra proposta era quella di giocare alla PlayStation fino ad oggi pomeriggio e io, francamente, non mi reggevo più in piedi dal sonno.”

“Lo so, me lo ricordo”, sorrise puntando entrambe le mani sui fianchi, “Ma sappi che anche Brandan, dopo due o tre partite, si è perso nel mondo dei sogni. Sono tornata in camera mia intorno alle tre e mezza del mattino: la nostra maratona di sfide a Mortal Kombat è andata scemando abbastanza in fretta.”

Un silenzio imbarazzato calò tra loro e Marta decise di approfittare della compagnia di Derek per rinnovargli la richiesta di aiuto con le foto per Therese, ma lui la precedette e parlò per primo: “Davvero non capisco che problemi ti dia la presenza di Amber... Brandan sembra felice insieme a lei e tu dovresti essere contenta per lui, anziché cercare di ostacolarli.”

“Non cominciare con questa storia, Derek. Amber non sarà esattamente la mia migliore amica ma credo di comportarmi in modo normale, con lei.”

“Per questo fai finta di non sapere in che stanza dorme il suo ragazzo?”, la ammonì in tono sarcastico, “Dico solo che sarebbe bello se tu mostrassi un po' più di trasporto nei suoi confronti. Brandan tiene molto a ciò che pensi e non vorrei che l'idea che ti sei fatta di lei gli porti problemi.”

“Non sono certo io, il loro problema”, mormorò distogliendo lo sguardo e stringendosi le braccia al petto, “A che ora dobbiamo presentarci all'intervista?”

“Alle tre: dobbiamo farci trovare nella hall dell'albergo.”

“Perfetto, allora ci vediamo alle tre.”

Senza aggiungere altro, con indosso un grande senso di impotenza, Marta sorpassò la massiccia figura del batterista e continuò decisa fino all'uscita.

 

*

 

La hall non sembrava affatto la stessa stanza in cui avevano fatto il loro ingresso la sera precedente: in ogni angolo erano state ammassate le attrezzature necessarie per la registrazione video e audio dell'intervista, gruppi di addetti ai lavori sorseggiavano del caffè scambiando tra loro opinioni e trucchi del mestiere e i manager facevano la spola tra l'ingresso dell'hotel e quello degli ascensori, in attesa che i membri delle due band si facessero finalmente vedere.

Marta aveva deciso di scendere le scale insieme a Brian e Ryan, ben lontana da quella macchina infernale troppo piccola per accogliere tutti loro e, soprattutto, a distanza di sicurezza dallo spettacolo a luci rosse a cui Brandan e Amber avevano dato il via una volta saliti in ascensore, incuranti della presenza del resto dei musicisti che condivideva quel piccolo spazio claustrofobico con loro.

“Ehi, tutto bene? Ci sembri un po' pensierosa.”

“Si, ragazzi, è tutto a posto”, mentì.

“Davvero?”, Ryan le diede una leggera e amichevole pacca sulla spalla, “Allora ti unirai a noi, stasera?”

“Dipende da cosa si fa.”

“I Dream Theater sono in concerto qui a Manchester e noi siamo riusciti a prendere i biglietti. Ne abbiamo trovati a sufficienza per tutti quanti, Scott escluso.”

Una risata risalì la gola di Marta. “Perché Scott non può venire?”

“Perché non se lo merita”, chiarì Brian come se fosse la cosa più ovvia del mondo, “Ha detto che preferisce cercarsi una donna e rinchiudersi nella sua stanza e io dico: quale razza di musicista preferirebbe una donna ad un live dei Dream Theater? Voglio dire, siamo ad inizio tour e lui avrà già una media di due o tre scopate al giorno... per una sera avrebbe anche potuto lasciar perdere tutto e darci retta.”

“Non tutti hanno le giuste priorità nella vita”, incalzò Ryan con aria sconcertata.

“E va bene, mi avete convinta. ”

Una volta giunti nella hall, Marta venne investita da un'accesa risata esplosa a pochi metri da lei: Johnny era tornato ad essere ancora una volta il fulcro degli scherzi del resto degli Avenged Sevenfold vittima, questa volta, di una raffica di battute pungenti e divertenti da parte di un Matt particolarmente ispirato.

“Non farci caso: il Nano è il nostro giocattolo preferito”, disse Synyster comparendole alle spalle, aprendo una bottiglia di birra utilizzando uno dei tanti anelli che gli costellavano le dita, “In un certo senso è la vittima perfetta: piccolo, debole, facilmente trasportabile... tutte qualità da non sottovalutare.”

“Credo di saperne qualcosa, mi sono trovata al suo posto innumerevoli volte.”

“Ai tuoi compagni di band è andata meglio che a noi, però”, si aprì in un sorriso abbagliante e sistemò meglio il cappello nero che teneva in testa, “In ogni caso, quel giullare fa più scena di quanta ne sia necessaria.”

“Di che si parla, gente?”, si intromise Brandan.

“Stavo spiegando a Marta le gerarchie all'interno dei Sevenfold.”

“Uh, discorso interessante! Ora però ci tocca fare i seri.”

“La giornalista è arrivata?”

“Sembrerebbe di si. Vedo Luke avvicinarsi e credo di sapere di cosa voglia parlare.”

Synyster li occhieggiò interrogativo, quindi Marta si sentì in dovere di spiegargli il loro brutto rapporto con le interviste e con i giornalisti e l'apprensione del loro manager riguardo alla loro scarsa attitudine a tenere a freno la lingua. Il chitarrista annuì comprensivo e, facendo spallucce, li lasciò in balia dell'imminente ramanzina e raggiunse la propria band.

La sala riunioni dell'albergo sembrava molto diversa da come Marta se l'era immaginata: al posto di quei grandi tavoli in legno massiccio visti milioni di volte nei film c'erano divani e poltrone dall'aria confortevole e le doppie tende, uno strato più spesso in colore beige e uno più chiaro sulle sfumature del grigio scuro, non avevano nulla a che vedere con quelle asettiche e inamidate cui tutti loro erano stati abituati, nel corso delle interviste precedenti.

Su una poltrona color crema, ad aspettarli tesa come una corda di violino, si trovava una donna piuttosto robusta dall'espressione affabile e un po' intimidita. Marta la osservò salutare tutti i componenti delle due band con mano tremolante: era assurdo che una professionista potesse arrivare a sentirsi così poco a proprio agio di fronte a delle rockstars! Sperò che quella donna riuscisse a comprendere che loro erano prima di tutto degli esseri umani, con tutti i pregi e i difetti di sorta.

“Benvenuti e grazie per aver dato a Kerrang! l'esclusiva di questa doppia intervista”, cominciò a voce piuttosto bassa mentre alcuni tecnici lavoravano per sistemare un microfono al petto di ciascun musicista, “Il mio nome è Caroline Darling.”

“Piacere di conoscerti, Caroline”, disse Marta accennando un sorriso affabile e la giornalista sembrò distendersi un poco.

“Immagino siate già stati informati riguardo al fatto che questa sarà un'intervista videoregistrata; proprio per questo ci serve del tempo per sistemare l'attrezzatura, quindi vi chiedo di pazientare qualche minuto. Intanto qui ho l'elenco delle domande che vi porrò, se vi fa piacere possiamo leggerle insieme prima di iniziare, in modo da modificarne o cancellarne qualcuna.”

“Per me va bene qualsiasi cosa”, disse The Rev allacciando entrambe le mani dietro la nuca e mostrando i tatuaggi disseminati qua e là sul braccio. Anche Johnny, Syn e Matt sembrarono trovarsi d'accordo.

“Non mi vengono in mente argomenti su cui non mi vada di aprire bocca”, concordò Brandan occhieggiando i membri della propria band in attesa di un loro cenno di consenso o di una parola contraria e tutti, Marta compresa, sembrarono d'accordo con lui.

L'unico a non aver dato la propria opinione era Zacky Vengeance; la giornalista si preparò a mostrargli l'intero blocco di fogli e ad attendere un suo nullaosta a procedere, ma lui aprì la bocca e disse semplicemente: “Basta non si parli di donne o di questioni sentimentali.”

“C'era una sola domanda riguardo la famiglia e gli affetti ma posso cancellarla.”

Sarebbe magnifico”, rispose in tono asciutto posando velocemente lo sguardo su Marta, per poi lasciarsi cadere contro la spalliera del divano e incrociare le braccia al petto.

“Perfetto, a questo punto direi di procedere”, Caroline si ravviò i capelli e sistemò meglio la posizione del microfono sul bordo della maglietta, “David, puoi partire.”

“Tre, due, uno. Si registra!”

“Buonasera a tutti e benvenuti su Kerrang!TV. Come già anticipato sugli ultimi numeri del giornale e sul nostro sito internet, oggi mi trovo in compagnia di due tra le più importanti band del panorama metal odierno: diamo il benvenuto ai Bleeding Through e agli Avenged Sevenfold!”

La telecamera ruotò e fece una veloce panoramica degli undici musicisti appena presentati. Matt scoprì le fossette e disse: “Ehi, come va?”, mentre Brandan accennò un lieve inchino della testa e, guardando in camera, snocciolò un: “È un piacere essere qui.”

“Sappiamo che siete molto impegnati con il tour, quindi per noi è un onore avervi qui e poter scambiare quattro chiacchiere con voi!”

“Lo è anche per noi”, Brandan appoggiò un gomito sul bracciolo del divano e posò la testa sul palmo della mano. Marta pensò con un certo divertimento che quello fosse il suo modo di prepararsi al peggio.

“Come già saprete, la maggior parte delle domande che vi porrò sono state richieste dai vostri fans e dal nostro pubblico a casa. Non vi nego che la nostra casella di posta elettronica stesse letteralmente andando a fuoco! In moltissimi hanno preso parte a questa iniziativa e tutti avevano qualcosa da chiedervi. Per comodità e per questioni di tempo abbiamo sfoltito le richieste e abbiamo selezionato quelle più interessanti. Dopo questa premessa credo sia proprio arrivato il momento di cominciare l'intervista”, la giornalista inspirò e posò lo sguardo sui suoi fogli, “Innanzitutto: come è nata questa idea di andare in tour insieme?”

Matt occhieggiò Brandan, poi prese la parola. “Beh, sicuramente il motivo principale è stata la stima che vige tra tutti noi. Conoscevo Brandan da tempo, molto prima di diventare quello che siamo ora, perciò va da sé che l'idea iniziale era quella di divertirci e fare insieme quello che di solito facciamo separatamente.”

“Si, credo che inizialmente sia stato un qualcosa del tipo: 'Ehi, fermi un attimo: perché andare in tour con dei perfetti sconosciuti quando possiamo divertirci e fare casino con un vecchio amico e la sua band?'. Credo nelle potenzialità di Matt e non ho avuto dubbi riguardo al fatto che i membri della sua band potessero essere dei musicisti di talento, professionali e completi”, continuò Brandan, “Ora che le due band stanno imparando a conoscersi sto scoprendo che sono anche delle persone simpatiche, intelligenti e spassose.”

“Non farci arrossire”, scherzò Jimmy portando una mano alla bocca e sbattendo velocemente le palpebre.

“Tutto questo è molto bello e a questo punto è doveroso chiedervi come sta andando la convivenza tra le due band”, Caroline sembrava tranquillizzarsi e prendere padronanza della situazione ad ogni parola, “Soprattutto dal momento in cui, tra tanti omaccioni, spunta la figura di una deliziosa ragazza.”

Marta abbassò lo sguardo e ispirò a fondo, poi udì la voce di Matt e, in un certo senso, gli fu grata di averla tolta dall'impiccio di dover parlare per prima.

“Siamo due band molto diverse tra loro e non mi riferisco soltanto al lato musicale. Abbiamo stili di vita differenti, approcci ai problemi totalmente opposti e, sai che c'è?, va benissimo così. Ci si confronta, si parla molto gli uni con gli altri. È interessante vedere le cose sotto un'ottica differente, aiuta ad avere una panoramica più ampia e completa delle situazioni.”

“È vero. Siamo tutti persone adulte perciò non ci sono polemiche su chi rubi la scena a chi e ne sono sollevato. Credo che la cosa importante sia quella di cercare di non pestare i piedi agli altri. Possiamo ridere, parlare, confrontarci... non essere scorretti, non cercare di ostacolarci. Sarebbe controproducente, oltre che stupido. E con Marta è sempre stato tutto molto naturale. Lei è una donna solo in apparenza e ora spiegherò questa affermazione prima che mi rifili un calcio ben assestato nelle parti basse”, una risatina generale spezzò il silenzio che si era andato a creare intorno alle parole del leader dei Bleeding Through, “Il punto di forza di Marta è quello di essere sempre stata troppo testarda per permettere che qualcuno, uomo o donna che fosse, le mettesse i piedi in testa e questo lo dimostra pienamente sia sul palco che nella vita di tutti i giorni. Non ho mai pensato a lei come ad una donna da difendere, ma piuttosto come ad una grande amica da spalleggiare. Credo che questo lo abbiano recepito anche gli Avenged Sevenfold. Nei suoi confronti vige un grande rispetto da parte di tutti noi.”

“Ti ringrazio, Brand”, sorrise caldamente Marta, quasi ammaliata da quell'arringa che l'amico aveva appena tenuto in sua difesa, poi si voltò verso Caroline e respirò a fondo, cercando di scegliere con cura le parole da dire. “C'è sempre quest'idea che vede una donna troppo timida o impacciata per accettare di fare un mestiere come questo e di stare a così stretto contatto con degli uomini per tutto il giorno. Per mia fortuna amo il mio lavoro e i miei compagni di band sono come dei fratelli per me, farei qualsiasi cosa per loro. I Sevenfold sono persone molto alla mano e, per quanto ho potuto vedere, promettono di diventare dei perfetti compagni di avventura per tutti noi.”

“Questo è un bel messaggio e, a parer mio, molte tue colleghe dovrebbero prendervi spunto. A questo proposito, cosa ti sentiresti di consigliare alle nuove promesse musicali femminili che stanno lottando per emergere e farsi notare? Pensi che ci sia qualcosa che possa aiutare l'ascesa?”

“Penso che la cosa più importante per un musicista, donna o uomo che sia, sia quello di sentirsi libero di comporre la propria musica senza lasciarsi toccare da ciò che dicono gli altri. Non si potrà mai piacere a tutti, quindi la cosa più importante è non deludere se stessi.”

“Sono davvero delle splendide parole”, Caroline le fece l'occhiolino e Marta pensò di avere di fronte a sé l'unica giornalista che avesse mai davvero ascoltato una sua risposta, “Queste che seguono, invece, sono domande rivolte agli Avenged Sevenfold: il vostro ultimo album, City Of Evil, risale ormai a giugno del 2005, più di un anno fa... Come mai questa scelta di prendere parte ad un tour proprio ora? I fans dovranno aspettare ancora a lungo il prossimo album?”

Questa volta fu Synyster Gates a prendere la parola. “City Of Evil ha avuto un successo planetario, ne siamo rimasti sorpresi noi per primi... Secondo l'idea iniziale avremmo dovuto tornare in studio entro un annetto per dare il via alla produzione del successore ma così non è stato: quella di rimanere in tour è stata una scelta dettata dalle continue richieste del pubblico che voleva vederci live per qualche altra data, ma anche dalla nostra voglia di portare in giro le canzoni di questo album che per noi ha significato una vera e propria svolta. Saremo impegnati in questo tour fino all'inizio del 2007, dopodiché riuniremo le idee e decideremo che direzione dovrà intraprendere il nuovo album.”

“Quindi i vostri fans dovranno aspettare ancora un po'...”

“La voglia di lavorare al nuovo progetto è nelle nostre teste, nelle nostre vene... ma l'esperienza live dà una scarica di adrenalina pazzesca”, considerò Jimmy.

“Certamente. Questa è, per entrambe le band, la seconda parte di un tour cominciato in America; avete trovato qualche differenza tra le reazioni del pubblico americano e quelle del pubblico europeo? Se si, quali?”

Con estrema lentezza, Marta passò il proprio sguardo su ciascun membro delle due band, domandandosi chi avrebbe preso per primo la parola. Colta da un improvviso quanto improbabile senso del dovere, fu proprio lei ad aprire bocca sull'argomento: “Credo che siano due pubblici diversi e hanno due modi diversi di approcciarsi alla musica. Le tappe europee sono iniziate da poco, abbiamo una sola data all'attivo per ora, quindi è troppo presto per dare una preferenza. In generale, la soddisfazione che ci dà il pubblico è sempre molto alta.”

“Oh, certo. È stato un mio errore, ho letto male le date del tour, scusatemi.”

Caroline era ormai tutta sorrisi, occhiolini e sguardi complici nei confronti di Marta e la tastierista pensò di aver assistito ad una vera e propria metamorfosi della giornalista da ermetica crisalide a farfalla sicura di sé. Solo quando le sentì appoggiare timidamente una mano sul suo ginocchio, in un gesto dal retrogusto vagamente malizioso, la donna si accorse di essersi fatta un'idea sbagliata. Subito scostò quella mano così audace dalla sua gamba e voltò lo sguardo verso un punto imprecisato della stanza, deglutendo a vuoto. Non aveva nulla contro le persone omosessuali ma non era esattamente sulla loro stessa lunghezza d'onda.

Quasi immediatamente sentì sulla propria pelle l'attenzione divertita dello sguardo di Zacky, seduto di fronte a lei. Socchiuse leggermente gli occhi e gli fece cenno di smetterla.

Non c'era proprio niente da ridere: Caroline aveva capito male, fine della questione.

Intanto l'intervista continuava e così anche la registrazione, quindi Marta si augurò che il macchinista non avesse deciso di inquadrarla proprio in quel momento e si guardò intorno con aria disinteressata, avvampando quando si accorse che la telecamera la stava puntando con una certa insistenza.

Che tempismo del cazzo! Tirò un sorriso e annuì alle parole pronunciate da Johnny, nonostante ne avesse udite solo una parte e senza riuscire a comprendere appieno il significato della frase. Il macchinista la lasciò perdere e finalmente prese a filmare Scott, che aveva appena cominciato ad esporre la propria opinione sull'argomento a lei tuttora ignoto.

“Tutto bene?”, le sussurrò Brandan in un orecchio, senza smettere di tenere d'occhio gli spostamenti della telecamera.

“Credo di si.”

Credi?

La voce di Caroline arrivò squillante alle sue orecchie. “Puoi parlarcene tu, Marta?”

La tastierista sbuffò: c'era gente come Brian o Ryan o Derek che non aveva ancora avuto occasione di aprire bocca, per quale ragione doveva essere sempre lei il punto cardine dell'intervista? Non aveva la minima idea di cosa inventarsi.

“Non saprei”, abbozzò riproducendosi in un'espressione spiacente, “Ci sarebbero così tante cose da dire!”

Stava arrancando nel buio più totale e non aveva idea di cosa fare. La telecamera era puntata su di lei e così anche lo sguardo di ognuno dei presenti.

“Ognuno di noi, e mi riferisco ai Sevenfold, ha deciso di separare la vita privata da quella pubblica mettendo su una maschera”, si intromise Zacky lanciandole uno sguardo criptico, “Le critiche ci sono sempre state e sempre ci saranno, non ci si può lasciare abbattere o si rischia davvero di mandare tutto a puttane. Creando dei personaggi fittizi ci diamo la possibilità di differenziare anche le emozioni: se qualcosa fa del male a Zackary Baker di sicuro non arriva nemmeno lontanamente a scalfire Zacky Vengeance, e così via per tutti noi. Le critiche non hanno mai condizionato in peggio il nostro modo di lavorare, semmai possono averlo migliorato spronandoci ad aprire maggiormente i nostri orizzonti.”

“Grazie mille per questa risposta così sincera. Siamo giunti alla conclusione di questa intervista. Vi ringrazio davvero per il tempo che ci avete dedicato, è stato bello avere l'opportunità di parlare con voi.”

“Grazie a voi di Kerrang!”, risposero buona parte dei musicisti, mescolando disordinatamente le loro voci.

“Buon proseguimento di tour!”, salutò con un sorriso splendente, poi la telecamera si focalizzò sul suo viso, “Scriveteci qui sotto un commento all'intervista o delle nuove domande per la prossima intervista con le due band! E non dimenticate di...”

Marta smise di ascoltare la giornalista e rivolse l'attenzione a Brandan, sospirando con sollievo. “Abbiamo finito.”

“Salvata in extremis, Marta!”

“Avrei arrancato ancora un po' in cerca di qualche parola da biascicare, poi le avrei chiesto di cambiare argomento”, sollevò le spalle abbandonando insieme al cantante la sala riunioni, “Per fortuna non siamo a scuola e quello non era un esame!”

“Se non ricordo male, anche a scuola peccavi di deficit di attenzione...”

“Non eri nemmeno nella mia classe, che ne vuoi sapere tu?”, ridacchiò lasciandosi afferrare dalle possenti braccia dell'amico e accoccolandosi contro il suo petto, “Sei dei nostri, stasera?”

“Per fare cosa?”

“C'è il concerto dei Dream Theater, i bulli hanno preso i biglietti per tutti.”

“Non credo riuscirò a venire. Sai, con Amber qui in hotel...”

“Va bene, non giustificarti”, sospirò sciogliendo la stretta dell'abbraccio.

“Ehi, non vorrai mettermi il muso, spero.”

Sorrise. “Sta' tranquillo, ci vediamo domani sul tour bus. Sarò quella con un filo di voce e le borse sotto agli occhi!”

“Va bene, lo terrò a mente”, e la lasciò sola, diretto agli ascensori.

Ormai sola in compagnia dei suoi pensieri, Marta si guardò intorno e notò che gli Avenged Sevenfold si trovavano nel bel mezzo di una discussione.

“I ragazzi vanno al concerto dei Dream Theater”, considerò Johnny occhieggiando gli altri nella speranza di racimolare consensi.

“SUL SERIO?!?”, l'urlo di Jimmy sembrò non tradire le aspettative del bassista, che annuì con aria compiaciuta. “Chi ha i biglietti?”

“Non ne ho idea, immagino li abbiano dati a Marta...”

“Si, hai ragione. Di una donna ci si può sempre fidare, per queste cose.”

“Syn, risparmiaci il resoconto delle tue esperienze passate...”

“Non essere geloso, Zee, sai che prima o poi avrai l'occasione di fare esperienza anche tu”, ironizzò l'altro.

“Oh, eccola!”, la indicò Matt toccando la spalla di Jimmy.

“Ciao ragazzi”, li salutò allora con la mano, avvicinandosi. Lì, in mezzo a quegli omaccioni grandi e grossi, riusciva a sentirsi una vera nana da competizione.

“Devi assolutamente darmi un biglietto!”, continuava a ripetere Rev come in un loop infinito.

“Spiacente, non li ho io. Bisogna chiedere a Ryan o a Brian.”

“Perché li hanno loro?”

“Non saprei, li hanno comprati loro.”

“D'accordo. Sai dove sono andati?”, Jimmy sembrava sul punto di impazzire.

“Sono appena usciti, se siete fortunati li trovate ancora nei paraggi dell'hotel.”

Ciascuno dei presenti le rifilò una leggera pacca sulla spalla in segno di gratitudine, poi la sorpassarono e uscirono in strada. Solo Zacky rimase lì con lei.

“Portnoy è il batterista preferito di Jimmy”, spiegò senza un vero e proprio motivo e Marta annuì solenne.

“Grazie per aver preso la parola, prima.”

Scrollò le spalle. “Avevo qualcosa da dire.”

“Mi piace la vostra idea di mettere una maschera. Sembra funzionale.”

“Diciamo che lo è”, prese da una piccola scatola di latta una sigaretta girata a mano ed un accendino viola e nero, “Vai anche tu, al concerto?”

“I Dream Theater sono una di quelle band da vedere almeno una volta nella vita... E tu ci vieni?”

Esalò del fumo e accennò un sorriso che pareva ricolmo di una strana amarezza e di molte altre cose non dette. “Puoi giurarci.”

 

Credits: 'Kill To Believe' by Bleeding Through.

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Capitolo 5
*** I - Declaration ***


 

PARTE PRIMA
06.

DECLARATION


We are standing right here and we'll stand here forever
You can't destroy what you can not replace

23 Ottobre 2006

Nell'esatto istante in cui Marta si rigirò tra le lenzuola, il cellulare suonò. Colta di sorpresa lo afferrò e, cercando con grande fatica di tenere gli occhi aperti, lesse il messaggio.

 

From: Kiki; To: Marta;
Oct. 23, 2006 – 03.52 a.m.

Buongiorno, sorellona! Come stai?
Chissà come stanno andando le cose lì?

 

Per fortuna non si trattava di un'emergenza né di una brutta notizia. Il fuso orario doveva semplicemente aver sviato Kristine, facendole credere che fosse mattina inoltrata anche in Europa. La sua mano lasciò cadere il telefono sul tappeto, per poi ciondolare da un lato del materasso priva di un qualsiasi stimolo. Avevano terminato il concerto circa due ore prima, se si contavano anche tutti i bis che avevano voluto fare per accontentare le richieste del pubblico, e poi erano usciti insieme ai Sevenfold per mangiare qualcosa di buono prima di ritirarsi ognuno nella propria stanza. La data successiva era stata fissata per il giorno seguente perciò la cosa migliore da fare, dopo aver messo del cibo sotto i denti, era stata quella di andare a dormire.

In realtà, da quello che aveva potuto constatare prima di salutare tutti quanti e scomparire tra le coperte, parte degli Avenged Sevenfold aveva portato in camera con sé un diversivo per prolungare la piacevole serata di un altro paio di ore: Johnny aveva comprato una bottiglia di Jack Daniel's e si era allontanato dagli altri stringendola gelosamente; Jimmy e Matt si erano rintanati nella stanza del primo brandendo due joystick della PlayStation; Zacky e Syn avevano percorso il corridoio a velocità supersonica, tenendo per mano una donna ciascuno.

Marta si era imbattuta in quell'ultima scena mentre cercava di aprire la sua porta con la chiave sbagliata che le avevano dato dalla reception e aveva incrociato lo sguardo con quello di Zacky, accennando una lieve smorfia imbarazzata quando aveva notato la rossa allacciata avidamente al suo braccio tatuato. Sospirò e, scacciando dalla mente quel futile fotogramma, si voltò dall'altra parte e tornò a dormire. Un paio di ore più tardi il telefono tornò a squillare e Marta saltò di nuovo sul materasso per lo spavento.

 

From: Kiki; To: Marta;
Oct. 23, 2006 – 06.17 a.m.

Scusami, sono ancora io.
Therese chiede ININTERROTTAMENTE se hai già scattato qualcuna delle foto che ti ha chiesto...
Help me!!!

 

Le possibilità di tornare a dormire, a quel punto, si erano già più che dimezzate. Non che di solito avesse problemi ad addormentarsi ma due spaventi in una sola notte erano stati un'emozione un po' troppo forte per il suo cuore e l'adrenalina aveva fatto tutto il resto. Stropicciò gli occhi e schiacciò qualche tasto del BlackBerry con poca convinzione.

 

From: Marta; To: Kiki;
Oct. 23, 2006 – 06.25 a.m.

Non ancora ma oggi mi tirerò su le maniche e ne farò un paio.
Tu come stai?
PS: non so che ora sia lì ma qui è l'alba!

 

From: Kiki; To: Marta;
Oct. 23, 2006 – 06.26 a.m.

Dannato fuso orario! Scusa!!!
Qui tutto bene, a parte l'insostenibile Therese (che ieri sera ha deciso autonomamente di trasferirsi da me)
Credo sia in totale apprensione per il matrimonio.

 

From: Marta; To: Kiki;
Oct. 23, 2006 – 06.38 a.m.

Come biasimarla? Il giorno della verità si avvicina!
Faccio una doccia veloce e poi ti chiamo, così parliamo di persona.

 

“Scusami, sono una pessima sorella”, miagolò Kristine in prima battuta tramite il vivavoce del telefono, mentre Marta tamponava i capelli ancora bagnati con un asciugamano dell'hotel.

“Non dirlo neanche. E poi, meglio così o avrei poltrito a letto fino a che non fosse stata davvero ora di prendere armi e burattini e ripartire.”

“Allora dimmi un po': come procede con i concerti?”, domandò quindi la sorella con voce entusiasta. Marta la immaginò sdraiarsi sul letto e prendere a torturare un'unghia con i denti, come era solita fare fin da ragazzina.

“L'emozione di salire sul palco e guardare in faccia tutta quella gente che è venuta lì per te non ha prezzo, per copiare giusto un po' quella pubblicità di non ricordo cosa.”

“Io non so se ce la farei, probabilmente taglierei la corda molto prima di mettere piede là sopra.”

“Questo lo dici perché non hai accanto uno come Brand pronto ad inseguirti con aria minacciosa pur di farti portare a termine il tuo lavoro!”

“Beh, in fondo non ha tutti i torti.”

Tamponò qualche gocciolina scesa a rigarle il collo. “Sempre a dargli ragione, tu.”

“Se ha ragione, gli do ragione!”, ridacchiò l'altra, “E gli altri omaccioni come sono?”

“Sono dei tipi a posto.”

“Anche Mr. Sono-troppo-figo-per-abbassarmi-a-parlare-con-la-plebe?”

Scoppiò a ridere. “Ti sorprenderà ma si, è molto simpatico anche lui. Si chiama Zacky, comunque. E tu come stai? Mi fai sempre parlare di me e non mi dici mai nulla di te.”

“La tua vita è più interessante”, si difese Kristine.

“Ma smettila.”

“E va bene: Therese si è trasferita da me per qualche giorno. È arrivata l'altro ieri dicendomi che pretende che l'aiuti a sistemare le ultime cose per il matrimonio.”

“Addirittura?”, abbandonò l'asciugamano e riafferrò il telefono, zittendo finalmente il gracchiante vivavoce.

“Già. E ogni giorno mi chiede se ho notizie delle foto, come se tu ed io ci sentissimo in continuazione per aggiornarci sul progredire dei lavori!”

“A proposito, non l'ho dimenticato però non sono ancora riuscita a fare nulla... Ti prometto che tra oggi e domani comincerò a lavorarci, ok?”

“D'accordo, non sai che favore mi stai facendo. Le voglio bene ma mi sta davvero facendo impazzire.”

“Dille che ne ho già scattate un paio e che tutto procede a meraviglia. Eliminerò i cartellini delle tappe passate e mi concentrerò sugli scatti dei posti nuovi e vedrai che non si accorgerà di questo piccolo taglio. Falla svagare un po', forse sta pensando un po' troppo a questo benedetto matrimonio.”

“Ieri le ho detto la stessa cosa e lei mi ha risposto che non ho il diritto di parlare, perché non è più il mio momento di presentarmi all'altare.”

Carina...”, mormorò sprezzante, appoggiandosi allo schienale del letto e allungando i piedi davanti a sé.

Trovava che quello di Therese fosse stato davvero un gesto poco corretto, soprattutto dal momento in cui sapeva benissimo come erano andate le cose tra Kristine e Chad, anni prima. Essere abbandonata nel bel mezzo della cerimonia dal proprio promesso sposo era una punizione già abbastanza crudele senza che ci si mettesse anche un'amica priva di tatto a rincarare la dose.

“Non importa”, sospirò l'altra, “In fondo ha ragione, questo è il suo giorno.”

“Siamo d'accordo ma non può pretendere il tuo supporto e poi affogarti alla prima difficoltà.”

“Davvero, non fa niente. Per me è acqua passata, Marta.”

“Va bene”, socchiuse gli occhi e fece un respiro profondo, imponendo a se stessa di cambiare argomento, “Verrai a sentirci, una data di queste?”

“Dipende da come si mettono le cose con Therese.”

“Oh. Portatela dietro!”, ridacchiò.

“Ah-ah, credo che piuttosto che mettere piede su un aereo preferirebbe un attacco improvviso di mal di pancia il giorno prima del matrimonio.”

“Come sei esagerata, Kiki. Mai dire mai, magari ci stupirà.”

“Ne dubito ma glielo proporrò lo stesso, anche solo per il gusto di vedere la sua espressione smarrita prima di sapere che sto scherzando.”

“In questo caso, falle una foto e spediscimela via mms.”

“Contaci! Ora però devo lasciarti, è rientrata dal suo giro di shopping e mi sembra già sul piede di guerra... ci sentiamo presto, ok?”

“Cerca di non farti prendere dallo sconforto. A presto.”

Lasciandosi cadere su un fianco sul materasso e gettando il telefono tra le lenzuola, Marta sbirciò l'orologio. Pregò che fosse già ora di partire alla volta della nuova tappa ma lo schermo le palesò un ben poco rincuorante 07:24. Neppure le sette e mezza e già non ne poteva più di quella camera d'albergo. Cominciava a sentirsi davvero limitata, lì dentro, senza più voglia di dormire e senza nulla di meglio da fare se non fissare il soffitto. Sarebbero dovuti partire intorno alle nove e mezza del mattino così, alla fine, pensò di avere a disposizione almeno un'ora per fare una passeggiata e scattare la prima foto per Therese, prima di dover tornare in stanza a radunare i propri bagagli.

Uscì in corridoio facendo attenzione a non fare troppo rumore e camminò con passo felpato verso gli ascensori. Fissò con perplessità i sottili disegni che ricoprivano elegantemente le porte scorrevoli poi, quando un leggero suono la avvisò dell'apertura dell'ascensore, mantenne il sopracciglio alzato, incrociando le braccia al petto e malcelando un sorriso.

“Hanno dato una chiave sbagliata anche a te, ieri sera?”

“Uh?”, mugugnò Zacky stropicciandosi gli occhi con entrambe le mani, con tutta l'aria di chi era appena stato strappato da un pisolino in santa pace.

“Non dirmi che hai davvero dormito qui dentro!”, ridacchiò prendendo posto accanto al ragazzo.

“Di sicuro ne saresti stata felice”, accennò un sorriso assonnato, “Hai anche una macchina fotografica tra le mani. Niente di meglio che una prova del genere per prendermi per il culo per i prossimi due mesi e mezzo.”

“Per essere uno che si è appena svegliato mi sembri piuttosto attivo, cerebralmente parlando.”

“Non usare termini difficili, a quest'ora del mattino.”

“Cerebralmente, di testa. Lascia perdere”, scosse la testa, “Nottataccia?”

“Non direi proprio”, constatò lui fissando soddisfatto il pavimento.

“Ok, non sono sicura di voler sapere cosa hai fatto stanotte”, alzò le mani, “Dove sei diretto, ora?”

“Ho bisogno di caffeina.”

“Bene, siamo in due.”

“C'è un bar, qui in albergo?”

“Si. Apre alle otto.”

“Non posso aspettare.”

“Manca solo mezz'ora!”

“Non posso aspettare mezz'ora”, sorrise come se avesse appena spiegato ad un bambino per quale motivo non deve mangiare cibo caduto per terra, “Andiamo al bar in fondo alla strada.”

“Va bene”, concesse perplessa.

Non capiva tutta quella fretta ma due passi le avrebbero fatto certamente bene. E poi aveva con sé tutto il materiale per le foto e due mani in più le avrebbero fatto davvero comodo per terminare più in fretta il lavoro.

“Ma solo se poi mi accompagni in un paio di posti.”

“Ho sonno e non ho voglia di camminare.”

“Neanche se ti prometto che quei posti sono più vicini di quanto pensi?”

“Caffè e giornale, seduto comodamente al bar.”

“Oh, grazie mille”, sbuffò.

“Dai, muoviti, andiamo. Non sto più in piedi.”

“Ti accompagno solo perché l'alternativa è quella di restarmene da sola ad aspettare che il resto del mondo si accorga finalmente che è giorno”, borbottò Marta seguendolo verso l'uscita dell'albergo, poi sorrise di fronte alla risatina divertita dell'uomo.

“E perdere l'occasione di farti vedere in giro con Zacky Vengeance...?”

“Ti ricordo che sono famosa anche io, razza di modestia fatta ad uomo.”

“Certo.”

Marta gli rifilò una gomitata e lo sorpassò, lasciando qualche metro a dividerli.

“Mi sa che non sono l'unico, qui, ad avere bisogno di un caffè.”

“Poco ma sicuro. Non ho dormito molto, stanotte.”

“Neanche io”, la raggiunse e si aprì in un ghigno furbo.

“Te l'ho detto, non voglio sapere nulla.”

Marta lo vide afferrare il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni e osservò l'espressione ancora divertita del chitarrista mutare in una smorfia poco rassicurante.

Ma vaffanculo!

“Va tutto bene?”, tentò.

“No”, risposta secca, atonale, molto lontana dal tono complice adottato poco prima. Non sapendo cosa altro dire, sospettando di suonargli invadente ad ogni parola di più, Marta rimase in silenzio e camminò accanto a lui fino a che non si trovarono di fronte alla vetrina del bar di loro interesse.

“Puoi prendermi un caffè corretto con grappa mentre io faccio una telefonata?”

Il sopracciglio destro di Marta si sollevò impercettibilmente, lasciando trapelare tutta la perplessità che quella domanda le aveva creato. “Corretto?

“Si. Voglio sperare conoscano la grappa anche qui nel Regno Unito. In pratica prendi del caffè e ci mescoli insieme della...”

“So cos'è un caffè corretto, ma sono le otto del... e va bene, torno subito.”

Dal bancone, mentre aspettava che il barista le preparasse i due bicchieroni di cartone da portar via, Marta osservò la scena che si stava svolgendo al di là della vetrina, immaginando che la telefonata non dovesse essere delle più cordiali e nemmeno delle più tranquille. Rimase lì ad osservarlo in silenzio anche dopo aver pagato, con i due caffè fumanti stretti tra le piccole mani.

L'atmosfera tesa non lasciava intendere nulla di buono e il chitarrista sembrava davvero molto, molto arrabbiato.

Il tonfo del telefono scagliato contro al marciapiede la fece sobbalzare un poco, poi Zacky sbirciò attraverso il vetro e le fece cenno di raggiungerlo fuori.

“Di che posti parlavi, prima?”, domandò lui mentre passavano accanto ai cocci del telefono, “Andiamoci. Ho voglia di camminare.”

“D'accordo.”

“Che devi fare?”

“Sono solo delle foto per conto di un'amica, giuro che non ci vorrà molto.”

“Mettici tutto il tempo che ti pare, non ho voglia di tornare in albergo.”

“Se vuoi stare un po' da solo io...”

“No. Rimani. Solo, non fare domande.”

Marta fece per aprire bocca, poi sembrò ripensarci e bevette un po' del proprio caffè. “È bollente, dannazione”, imprecò a bassa voce e lui annuì con un mezzo sorriso, come se l'episodio di poco prima non avesse mai avuto luogo. “Siamo arrivati. Qui può andar bene.”

“Da qui si vede tutta la città.”

“Si, è davvero un bel posto.”

“La tua amica è una di quelle che non si accontenta di una cartolina, immagino...”

“In realtà è una cosa un po' più complicata di così”, spiegò mentre sistemava il cartellino con il nome e la data su un muretto, “Devo crearle una specie di memoria fotografica dei posti in cui è stata.”

“Non poteva farlo lei quando è stata qui?”

“Non c'è mai stata, è questo il problema.”

Lui accese una sigaretta e appoggiò gli avambracci contro il freddo piano di pietra e cemento, sollevando un sopracciglio con aria spaesata.

“Non credo di aver capito.”

“In pratica ha fatto credere al suo futuro marito di aver viaggiato in giro per il mondo ma la verità è che non è mai uscita da Orange County. Così mi ha chiesto di fare qualche foto per conto suo, sai... lo so, è una cosa folle. Non so nemmeno perché mi sono lasciata trascinare in questa storia.”

“Mi pare geniale la sua idea di chiedere a te. In fondo sei soltanto una rockstar di fama mondiale nel bel mezzo di un tour dall'altra parte del globo, hai un sacco di tempo libero...”, ironizzò.

“Non la vedrei in questi termini.”

“No, sul serio. Sembra divertente”, sospirò lui osservando nuovamente la città con sguardo serio, “Quasi esilarante.”

“Al di là di ogni battuta, a me pare una cosa abbastanza agghiacciante.”

Il chitarrista non era affatto bravo a celare il proprio divertimento ma Marta non poté biasimarlo. “Non ti facevo così acida.”

“Sii serio: tu la sposeresti una che per anni ti ha raccontato soltanto bugie? Che ha finto di essere una jet-lag dipendente mentre invece se ne stava comodamente sdraiata sul suo divano di casa a guardare la tv? Io penso a quel matrimonio e mi prende una gran tristezza.”

Il chitarrista la fissò con occhi glaciali. “Non puoi mai sapere cosa passa per la testa delle persone. Magari lui scoprirà tutto e lei gli dirà che lo ha fatto perché non voleva perderlo e via con tutte quelle belle stronzate che sparate a raffica voi donne quando vi sentite in trappola.”

Marta non ebbe la più pallida idea di come ribattere. La visione di Zacky non era così sbagliata o lontana dalla realtà e non c'era davvero nulla da aggiungere. La sua risposta, tuttavia, aveva lasciato intendere forse molto più di quanto lui stesso non volesse dare a vedere, e la donna immaginò ci fosse dietro dell'altro, magari qualcosa di strettamente personale.

“Hai finito?”, domandò brusco.

“Un ultimo scatto e possiamo andare.”

“Bene. Ho bisogno di comprare un telefono e una scheda nuovi.”

“Come farai a recuperare i contatti che avevi in rubrica?”

“Non li recupererò.”

“Sei sicuro?”, il tono e l'espressione di Marta erano in bilico tra la preoccupazione e lo stupore. Zacky prese a ridere di gusto e ricominciò a camminare lungo la strada per il centro, le mani infilate nelle tasche dei jeans neri.

 

*

 

La data di quella sera, la terza dall'inizio del tour, aveva registrato il tutto esaurito. Che i ragazzi lo ammettessero o no la tensione generale era molto forte.

Marta, come suo solito, se ne stava seduta sul pavimento e muoveva la testa di qua e di là sotto allo sguardo scettico di Brandan. “Mi chiedo come fai a startene lì seduta tutta tranquilla mentre di là c'è il delirio.”

“Se questa ti sembra tranquillità...”

“Credo tu sia l'unica musicista sulla faccia della Terra che riesca a non farsi contagiare dalla scarica di adrenalina pre-concerto.”

“Non è vero!”

“Sei tutta respiri e posizioni yoga.”

“Te la do io, la posizione yoga”, ironizzò continuando a muovere la testa.

“In ogni caso è meglio così... Tieni l'entusiasmo per la sorpresa di stasera.”

“Che sorpresa?”

“Sempre a fare domande”, si lamentò lui e Marta lo fulminò con lo sguardo.

“Se qualcuno evitasse di mettermi la pulce nell'orecchio tutte le volte, magari smetterei di fare domande, ti pare?”

“Ti conosco troppo bene, Marta Peterson.”

“Questa frase l'ho già sentita un po' troppe volte.”

“E la sentirai ancora.”

“Vale la stessa cosa per le mie domande.”

“Sei un caso perso.”

“Ti sei deciso ad aggiungere Sister Charlatan nella scaletta standard del tour? È questa la sorpresa?”

“Secondo te aggiungerei una canzone alla scaletta senza dirvi niente?”

“Ma che ne so, ho tirato ad indovinare.”

“Sei fuori strada”, alzò gli occhi al cielo e si spostò di qualche metro, “Lo scoprirai dopo il concerto. Ora basta domande: tra poco tocca a noi.”

 

Credits: 'Declaration' by Bleeding Through.

-


n.A.: ebbene si, ho modificato titolo e introduzione alla storia. Non ce l'ho fatta a resistere. A mia discolpa vi dico che: 1) ho notato, anche se tardivamente, che c'è già un'altra storia dal titolo 'The Sun Will Rise Bring Us Tomorrow' e quindi non mi sembrava carino né intelligente lasciare anche alla mia lo stesso nome; 2) trovo che 'Turn The Page' dei Metallica (seppur sia una cover) sia bellissima e oltremodo azzeccata per questa storia... Due piccioni con una fava, insomma!
Grazie dell'attenzione.
Ci si legge lunedì!
rose_

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Capitolo 6
*** I - Tonight The World Dies ***




PARTE PRIMA

05.

TONIGHT THE WORLD DIES


Find me on my better days
To lose it once again
 

21 Ottobre 2006

Urli, spintoni, cori in perfetto unisono. La folla gridava ossessivamente un unico nome, pregustando il momento in cui tutto avrebbe avuto inizio.

Il gruppo di apertura era stato davvero bravo ma aveva avuto l'infausto compito di precedere dei mostri sacri come i Dream Theater e il confronto, come era ovvio che fosse, li aveva schiacciati; ogni singola testa che si riusciva a scorgere, guardando indietro tra la folla, era lì in attesa di sentire la loro musica, di emozionarsi con i loro passaggi complessi e di lasciarsi trasportare in un lungo e confortevole viaggio dai loro ritmi psichedelici.

L'intro di Lifting Shadows Off A Dream, mandata in loop per scaldare la folla mentre i musicisti terminavano di prepararsi, riecheggiò in tutto il parco e un boato si levò tra il pubblico.

“Riuscite a crederci?”, disse Brian guardando prima Marta, alla sua sinistra, e poi Ryan, alla sua destra. “I Dream Theater!!”

Felice come una bambina, la tastierista si guardò intorno con aria sognante: che momento magico! Peccato che Brandan se lo stesse perdendo. Immaginò che Amber avesse trovato qualche argomento interessante per tenere alta l'attenzione del cantante e, seppur con un certo fastidio, sperò che la scelta di rimanere in albergo gli fosse stata quantomeno ripagata.

“Ehi, ragazza dai mille pensieri”, la richiamò alla realtà la voce squillante di Jimmy, in piedi proprio accanto a lei, “Un dollaro in cambio dei fatti tuoi.”

“Credimi, potresti spenderlo molto meglio.”

Il batterista le circondò le spalle con un braccio e le alitò in faccia un miscuglio di alcool e sigarette. “Può darsi ma si dà il caso che per ora io non abbia nulla di meglio da fare.”

“Ah, beh, se la metti così...”

Le sembrava di avere a che fare con la sfacciataggine di Kristine.

“No, sul serio, non posso credere che qualcuno possa avere brutti pensieri in una serata come questa!”

“Non vorrei neanche io...”

“Con una band come questa, cazzo!”, si aprì in un enorme sorriso, “Parlane con brother-Jimmy, dai. Hai ancora, mmh a occhio e croce direi... un paio di minuti!”

La tentazione di scoppiare a ridergli in faccia fu molto alta ma Marta decise di non cedere. “Non ti arrenderai fino a che non avrò vuotato il sacco, non è vero?”

Sollevò il dito indice e indicò il palco. “O almeno fino a che la band non avrà iniziato a suonare.”

“D'accordo”, si morse velocemente un labbro e poi si voltò verso di lui per regalargli la sua più completa attenzione, “Cosa faresti se fossi a conoscenza di una notizia che rischia di minare la felicità di una persona cara? Gliene parleresti o terresti la bocca chiusa?”

“Dipende. Quanto è cara, questa persona?”

“La più cara in assoluto.”

“Se i vostri ruoli fossero invertiti hai idea di come andrebbe?”

“Davvero non lo so.”

“Va bene”, Jimmy si grattò il mento con la mano libera, mentre con l'altra reggeva una bottiglia di Heineken piena per metà, “Credo che glielo direi o proverei almeno a farglielo capire. A patto che questo non vada in conflitto con qualcun altro a cui voglio molto bene, si intende. Non puoi essere più precisa?”

“Non riesco a parlarne con lui, figuriamoci se...”

“Lui chi?”

“Nessuno. Dimentica ciò che ho detto.”

“Non ci provare, ormai l'hai detto!”

“Dai, lasciamo perdere”, rise scuotendo freneticamente le mani davanti a sé, “Stanno per cominciare. Goditi il concerto, ho saputo che ci tieni molto a vederli.”

“Più di quanto immagini, nocciolina!”, urlò il batterista spostando la propria attenzione a quel minuscolo sprazzo di visuale davanti a loro.

Nocciolina? E da dove lo aveva tirato fuori, quel buffo soprannome?

Quando fu il momento di Metropolis pt.2, Marta sentì un fastidioso groppo in gola: per quale motivo quella canzone riusciva sempre a commuoverla? Le riportava alla mente ricordi antichi, emozioni passate... e le regalava una nuova voglia di sentirsi migliore. Improvvisamente decise che l'indomani glielo avrebbe detto. Glielo doveva e solo ora capiva quanto era stata stupida a non essersene accorta prima. Parlare con Jimmy le aveva aperto definitivamente gli occhi sulla questione e non c'era più motivo di rimandare quella chiacchierata.

Arrivati a The Mirror Marta prese a cantare ad occhi chiusi, muovendo la testa a tempo di musica e scuotendo le spalle con movimenti fluidi e rapiti, tanto immersa nella canzone da non accorgersi nemmeno dei flash che la macchina fotografica di Derek le scagliò contro senza alcuna pietà. Si decise ad aprire gli occhi solo quando qualcosa le colpì violentemente il braccio, facendole parecchio male. Si voltò, con tutta l'aria di chi era stata bruscamente risvegliata da un sogno meraviglioso, e notò che un gruppetto di ragazzi si stava spintonando senza un apparente motivo, proprio a due passi da lei. Fece per urlare loro qualcosa riguardo al fatto di spostarsi a litigare altrove, quando uno di loro schivò il colpo di un altro e un pugno le finì dritto in faccia, facendola cadere a terra priva di sensi.

Marta non avrebbe saputo raccontare cosa successe dopo, poiché una fitta nebbia nera sopraggiunse per trasportarla in un profondo sonno.

 

*

 

22 Ottobre 2006

“Non credo proprio che Simon sia ancora sveglio, a quest'ora.”

La prima voce che Marta sentì quando aprì gli occhi fu quella di Matt. Sbatté più e più volte le palpebre e tentò di capire dove si trovasse, senza ottenere grandi risultati. La testa le pulsava e un discreto pizzicore le copriva buona parte del lato destro del viso. “Che cosa...?”

“Marta!”, urlò l'inconfondibile voce di Ryan, “Come stai?”

La tastierista tentò di alzarsi in piedi ma Jimmy glielo impedì, intimandole di non avere fretta se non voleva rischiare di cadere di nuovo a terra.

“Cosa succede?”, domandò allora, “Mi fa male la faccia.”

“Hai un gran bel livido sullo zigomo”, rispose Zacky guardandola inespressivo. Marta lo osservò confusa e notò che anche lui non sembrava messo troppo bene, così controllò velocemente il viso di ciascuno dei ragazzi e si tranquillizzò un poco notando che nessun altro pareva aver ricevuto particolari percosse.

“Che cosa diavolo è successo?”

“Non ricordi nulla?”

“Ricordo soltanto che qualcuno mi ha spinta e...”

“Ti hanno dato un pugno, Marta”, tagliò corto Derek, interrompendola, “Proprio lì, sullo zigomo.”

“Hanno dato un pugno anche a Zacky?”, lo indicò occhieggiando Syn e quest'ultimo fece una smorfia divertita, dicendo: “Avrebbero voluto fargli di molto peggio ma gli è andata male.”

“Li abbiamo fatti neri”, si intromise Jimmy incrociando le braccia al petto.

“C'è stata una rissa?”

Derek annuì, furioso. “Non hanno pensato a cosa stavano facendo e ora siamo tutti chiusi qui dentro!”

Solo in quel momento Marta si rese davvero conto di dove si trovavano: i muri erano grigi e sporchi, le panche di un legno marcio e umidiccio, i pavimenti luridi e rigati.

“Siamo in una cella?”, domandò ma nessuno parve prestarle attenzione.

“Aspetta un momento”, riprese Matt, serio, mettendo avanti le mani come a volersi difendere, “Hanno dato un pugno a Marta e poi hanno continuato a darsele di santa ragione, fregandosene di aver rifilato una gomitata in fronte a Zacky e di aver preso in mezzo alle loro cazzate molta altra gente del pubblico... non ci siamo fatti avanti per divertirci, spero che questo sia chiaro.”

“Sulla carta avete fatto bene”, ammise Derek smorzando i toni, “Il problema è che sono già le cinque meno un quarto del mattino e alle otto dovremmo salire sul tour bus per partire alla volta di... qual è la prossima tappa?”

“Newcastle”, suggerì Johnny.

“Giusto. Non sappiamo quanto ancora resteremo qui né chi verrà a prenderci.”

“Simon potrebbe aiutarci.”

“Sempre che non abbia spento il cellulare.”

“Ottimismo, Zee, sempre e solo ottimismo!”, cantilenò Jimmy tentando di risollevare i morali. Marta si andò a sedere vicino a lui e sbadigliò.

“Facciamo un tentativo”, sentì ripetere a Syn mentre Jimmy le domandava se si sentisse ancora stordita dalla botta. Le dispiaceva che la serata si fosse conclusa in quel modo. Comprendeva il punto di vista di Derek, così preciso e serio e prevedibile, ma non poteva certo biasimare ciò che il resto dei ragazzi aveva fatto, soprattutto non dopo aver saputo che lo avevano fatto anche per lei.

“Se Simon non dovesse rispondere, potremmo provare a chiamare Luke”, ricordò.

“Ci farà a pezzetti e ci servirà come spezzatino per pranzo”, ironizzò Ryan, riuscendo a strappare un sorriso perfino a Derek.

“Al diavolo, non parlate di cibo proprio ora che ho una voragine nello stomaco!”

“Rev, come diavolo fai a pensare sempre a mangiare?”

“D'accordo, vado a chiamarlo io”, propose Zacky avvicinandosi alle sbarre e richiamando l'attenzione di una guardia. Nell'attesa, molti di loro chiusero gli occhi nel tentativo di allentare un po' di tensione sugli occhi.

Quando il chitarrista tornò da loro, dicendo che Simon sarebbe arrivato da lì a un'ora scarsa, tutti tirarono un sospiro di sollievo: non avrebbero avuto il tempo per concedersi una sana dormita, una volta arrivati, ma avrebbero avuto un'ora abbondante per godere del getto caldo e rigenerante della doccia, prima di ripartire alla volta della tappa successiva del tour, e questo sembrava bastargli.

Una sfuriata degna di una piéce di arte drammatica gli fece compagnia lungo tutto il viaggio di ritorno, in seguito al quale ciascuno di loro abbandonò il pullman in perfetto silenzio.

Marta camminò come un perfetto automa fino alla propria camera d'albergo.
 

*

 

Le otto arrivarono in un batter d'occhio e così anche il momento di partire. Mentre si trovavano in coda per salire sul tour bus, similmente a come avrebbe fatto una scolaresca al via di una gita fuori porta, Marta si sistemò gli occhiali da sole sul naso e pregò che fossero grandi e scuri a sufficienza da evitare che Brandan si sentisse libero di farle un terzo grado degno di un commissario di polizia.

Derek le fece cenno di passare avanti e lei fece un piccolo inchino di ringraziamento, prendendo posto tra i sedili delle prime file.

“Allora... queste borse sotto agli occhi di cui mi parlavi ieri?”, scherzò Brandan sedendosi accanto a lei mentre Amber si preoccupava di occupare un paio di posti un po' più in là.

“Dannata stanchezza!”, si sforzò di sorridere. Non le piaceva raccontargli bugie, Brandan era una di quelle poche persone a cui avrebbe sempre e solo voluto dire la verità, “E voi siete stati in albergo o hai portato Amber da qualche parte?”

“Siamo stati in camera per tutta la sera. Non starai mica cambiando discorso, uh?”, si avvicinò a qualche spanna dal suo viso e scrutò il suo sguardo attraverso le lenti scure, “Che mi sono perso, ieri sera?”

“Niente. Perché mi fai questa domanda?”

“Così”, sollevò le spalle e tornò ad una distanza di sicurezza, “Non sono riuscito ad unirmi a voi e speravo mi avresti raccontato qualcosa tu.”

“Ah.”

Ciò che Brandan aveva detto durante l'intervista del giorno precedente era vero solo in parte: la considerava alla pari, certo, e non pensava di doverla difendere da qualcuno in campo musicale. Nella vita di tutti i giorni, però, le cose erano un tantino differenti. Nessuno avrebbe potuto metterla in difficoltà o farle deliberatamente del male senza imbattersi nel suo brutto caratteraccio e questa era una cosa alla quale Marta aveva imparato a fare l'abitudine.

E se Brandan avesse saputo cosa le era successo la sera precedente...

“È stato un concerto molto bello. Molto bello.”

“Tutto qui?”, aggrottò la fronte e la donna sperò che cambiasse argomento.

“Hanno suonato un sacco di canzoni che avresti adorato, magari ti farò un cd con la scaletta di ieri sera.”

Annuì serio. “Sai, ho intravisto Zacky, prima, e mi è sembrato un po' ammaccato.”

“Davvero?”

“Sai cosa gli è successo, per caso?”

“No”, si irrigidì, “Qualsiasi cosa sia successa, non è avvenuta in mia presenza.”

Brandan la occhieggiò perplesso, incrociò le braccia al petto e ironizzò: “A giudicare dalla tua espressione si direbbe il contrario!”

“Per chi mi hai presa, scusa?”, schioccò la lingua contro il palato e scosse la testa, guardando fuori, “Si sarà fatto male da solo, in albergo.”

“Ehi, stavo solo...”

“E poi che vuoi che ne sappia io? Questa discussione è assurda!”

“Non ho detto che...”

Lanciargli contro frasi sconclusionate sortiva sempre il solito buon effetto di persuaderlo dal continuare l'interrogatorio. A mali estremi, estremi rimedi, no?

“Va bene, va bene, non ti agitare”, alzò le mani in segno di resa, poi le scompigliò i capelli, “Forse è meglio se torno da Amber, a quanto vedo ora non sei dell'umore giusto per parlare civilmente.”

“D'accordo”, sospirò continuando a guardare fuori dal finestrino, stanca per via delle poche ore di sonno.

Quando un timido raggio di sole la colpì indeciso sul naso, Marta socchiuse gli occhi e si accorse di aver dormito più di quanto avesse sperato. Il pullman era fermo ad una stazione di servizio e nessuno, a parte lei e l'autista, sembrava essere rimasto a bordo. “Dove siamo?”

“Ad un'oretta scarsa dalla meta. Sono andati tutti quanti a prendere qualcosa da bere, a lei non andrebbe...”

“A te”, lo corresse stropicciandosi gli occhi.

“Hai ragione, a te non andrebbe del caffè?”

“Si, decisamente.”

“Allora ti accompagno, così chiudo il pullman per un paio di minuti e mi sgranchisco le gambe.”

“Eri rimasto qui solo per me?”

“Un autista non lascia mai il suo pullman a meno che non sia completamente vuoto.”

Gli sorrise riconoscente e scese i gradini che la separavano all'asfalto. “Siamo stati fortunati a trovarti.”

“Grazie ma è soltanto il mio lavoro e ci tengo a farlo bene.”

“Sei un brav'uomo”, gli sorrise, poi accelerò il passo decisa a lasciargli fumare una sigaretta in santa pace e a raggiungere gli altri. Aveva scorto la figura di Jimmy, seduto ad un tavolino dello strano dehor della stazione di servizio, e aveva tutte le intenzioni di andare da lui.

“Ehi, nocciolina!”, si sentì infatti apostrofare, di nuovo!, quando si fu avvicinata abbastanza, “Come va la testa, oggi?”

Portò un dito alla bocca e si guardò intorno con aria furtiva. “Non urlare, Brandan non sa nulla.”

“E come diavolo ha fatto a non accorgersene?”

“Sono stata brava”, sbuffò divertita e prese posto accanto a lui, “Se lo scopre passiamo tutti quanti un pessimo quarto d'ora.”

“Addirittura?”

“Non ridere, sono seria!”, tentò di non lasciarsi contagiare dal buonumore del batterista, “Non hai idea di cosa gli venga in mente di fare, quando qualcuno prova anche solo a sfiorarmi. Una volta, da adolescenti, un ragazzo mi palpò il sedere mentre gli passavo davanti per raggiungere l'aula di scienze. Brand lo seguì, lo sbatté nell'unico bagno della parte più isolata della scuola e chiuse la porta a chiave... lo trovarono dopo un'ora, quel poveretto.”

“Non ha detto in diretta mondiale che sei un'amica da spalleggiare e non da difendere?”

“In campo musicale, solo in quello.”

“Suona come un po' di gelosia”, cantilenò.

“No, semplicemente tiene a me più di quanto la gente possa immaginare. Lo capisco, per me è lo stesso... ma alle volte cercare di non farlo preoccupare diventa un vero e proprio lavoro!”

“In effetti avrei un po' di timore a mettermi contro di lui”, terminò il proprio caffè corretto in un unico sorso e si appoggiò al tavolo con entrambi i gomiti, “Ho visto che oggi c'è una donna, con lui.”

“È Amber, la sua ragazza.”

“E riesci a convivere con questa gelosia?”

“Ancora con questa storia? Siamo solo amici, amici fraterni! Tu vorresti mai andare a letto con un tuo amico fraterno?”

L'altro fece una smorfia disgustata e chinò la testa di lato. “Non penso che vedere Syn nudo potrebbe mai diventare il mio desiderio più grande. E lo stesso vale per gli altri... ma se cambierò idea te lo farò sapere.”

“Per me e Brandan è lo stesso.”

“D'accordo, mi hai convinto”, annuì serafico, “Ora vieni con me sul nostro tour bus?”

“Non so se...”

“Non voglio farti niente”, le sorrise come per sbeffeggiarla, “Ma almeno continuiamo la chiacchierata senza sentirci osservati dalle spie russe.”

Era stato così che Marta, senza dire nulla a nessuno dei propri compagni di band, aveva seguito Jimmy sul tour bus degli Avenged Sevenfold. Mentre il pullman riprendeva il proprio viaggio, loro scambiavano informazioni su differenti e vasti argomenti: il primo approccio con la musica, la propria famiglia di origine, l'amicizia, l'amore. Era saltato fuori che Jimmy era impegnato da un paio di anni con una ragazza di nome Mandy, il cui sorriso pareva averlo completamente stregato. Poi il batterista aveva chiuso gli occhi e, appoggiando la testa contro il vetro, aveva preso da un momento all'altro a russare così forte da farla ridere come un'ossessa per almeno cinque minuti buoni.

“Nessuno ha ancora capito come fare a farlo smettere”, disse Zacky indicandolo con un cenno della testa. Marta smise di ridere e osservò i limpidi occhi del chitarrista cercare di penetrare i suoi spessi occhiali da sole, “Fa ancora male?”

“Che cosa?”

“Lo zigomo. Per il pugno.”

“Ah! No, va molto meglio”, notò che Zacky aveva le cuffiette nelle orecchie e gli domandò cosa stesse ascoltando. Lui, per tutta risposta, le fece cenno di andarsi a sedere accanto a lui e di scoprirlo da sé, così Marta afferrò un auricolare e si preparò al peggio, poi strabuzzò gli occhi con aria sorpresa: She's Gone, stava tuonando il proprio punto di vista sull'amore nelle loro orecchie.

“Stai ascoltando una nostra canzone!”

Conosci il tuo nemico, disse una volta qualcuno.”

“Nemico suona male.”

“Beh, neanche troppo”, mormorò lui portando l'attenzione al di là del finestrino, “Anche questa è stata ispirata dalle sventure di Scott?”

“Allora facevi soltanto finta di non ascoltare, quella sera.”

Un paio di occhi glaciali la guardarono di sbieco. “Ho ascoltato ogni singola parola.”

“Non sembrava neppure che fossi lì con noi, da quanto eri silenzioso.”

“Alle volte è meglio tacere, no?”

Marta seguì con lo sguardo il lieve movimento compiuto dai due piercing labiali, riconoscendo che fossero davvero molto intriganti, su un viso come il suo.

“Non capita soltanto a te”, concesse muovendo appena le dita a ritmo di musica, come a voler suonare una tastiera immaginaria.

“Mi piace questo passaggio, rende l'idea del disagio e dell'auto-negazione.”

“Mi fa piacere sentirlo dire da un altro musicista.”

“Suona decisamente familiare, alle mie orecchie.”

Sul serio?”, domandò allora, stupita. Se c'era una parola che le veniva in mente pensando a quel ragazzo, quella non era certo auto-negazione.

“È una lunga storia, lascia perdere”, si grattò la nuca e fissò nuovamente la propria attenzione sui grandi occhiali di Marta, “Ti fanno sembrare una diva anni '60.”

“Lo prendo per un complimento.”

“Sicuro. Hai presente le foto di Audrey Hepburn? Sono pressoché identici ai suoi.”

“Peccato che, a parte gli occhiali, le similitudini vadano a morire.”

“Magari è meglio così”, accennò una smorfia, “Te la immagini la Hepburn a suonare in una band metalcore?”

“Con quei suoi vestitini bon-ton?”

“Vogliamo parlare del pubblico che cerca di guardarle sotto la gonna?”

“Sarebbe inaccettabile, dai!”

Si aprì in un sorriso furbo. “Sarebbe una cosa da uomini.”

“Un'orrenda cosa da uomini, vorrai dire!”

“Punti di vista”, gettò un'occhiata fuori dal finestrino, “Siamo arrivati. Credo che Brandan ti stia cercando”, indicò un punto ben preciso della strada e Marta si sporse appena verso il vetro: l'amico aveva portato una mano a coprirsi gli occhi e stava passando in rassegna l'intero tour bus degli Avenged Sevenfold. “Non so cosa stia controllando, dal momento che i vetri sono oscurati.”

“Ssh, nessuno deve sapere che ha dei super poteri!”

“Manterrò il segreto di Superman, se è quello che vuoi.”

“Rischia di saltare una copertura decennale, sai...”

“Più che logico.”

“Forse è meglio se vado.”

Lo sentì ridacchiare mentre ripercorreva il corridoio verso l'uscita e non poté fare altro che sorridere di quella risata quasi infantile, senz'altro contagiosa.

Una volta a terra, Marta si imbatté nella figura atletica di Brandan e sperò di non dover rispondere a più domande del previsto.

“Luke deve parlarci, stiamo andando da lui.”

“Ti ha detto di che si tratta?”

“No, so solo che vuole vederci”, allargò le braccia a sottolineare la propria perplessità, “Ti ho cercata ovunque, che ci facevi sul pullman dei Sevenfold?”

“Stavo parlando con Zacky.”

“Non sapevo foste diventati grandi amici”, ironizzò dandole una leggera pacca sulla spalla, “Comunque ti sei persa l'intero racconto di Brian e Ryan: celle, risse... davvero una gran bella storia.”

Marta deglutì. “Come?”

“Più tardi mi piacerebbe controllare come sta il tuo zigomo, se ti deciderai mai a togliere quegli occhiali dal naso. Ti fa male?”

“No, non più.”

Sospirò. “Bene. Un po' di ghiaccio e tra qualche giorno ti rimarrà solo il lontano ricordo della botta.”

“Sei serio?”, scherzò osservandolo con attenzione.

“Si, perché? Cosa dovrei fare, secondo te?”

“Non lo so, la tua follia omicida riesce sempre a stupirmi!”, ridacchiò.

Brandan le lanciò uno sguardo serio. “Ci sono cose più importanti a cui pensare, non credi?”

“Certo ma... così mi spaventi”, accennò un sorriso tirato e sperò che le cose importanti non andassero a braccetto con le brutte notizie. “C'è qualcosa di cui vuoi parlarmi?”

“Non ora. Devo ancora fare mente locale su cosa dire.”

“Mi sto preoccupando...”

“Sta' tranquilla, non c'è nulla di cui preoccuparsi.”

“Facciamo finta che ti credo.”

“Dovrò ringraziare Matt e gli altri per aver preso le tue difese, ieri sera.”

“Le mie e quelle di altra gente che si è trovata in mezzo alla rissa!”

“Si, beh, mi dispiace per il resto del mondo ma a me interessa che non succeda nulla a te. E poi mi servirai intera.”

“Di che stai parlando?”

“Sarà meglio raggiungere gli altri.”

“Prima voglio sapere a cosa alludevi!”, urlò seguendolo verso l'albergo, “BRAND!”

“Avanti, lumaca, Luke ci sta aspettando!”

“Dimmelo!”, tentò di raggiungerlo.

“Ancora un ultimo sforzo e saremo arrivati.”

“Aah! Sei davvero impossibile!!”

Una volta arrivati da Luke, tutti perfettamente incolonnati fianco a fianco in una fila ordinata, ascoltarono le parole del manager con attenzione: era ormai tutto pronto per il lancio del nuovo singolo di traino dell'album The Truth e, arrivati a quel punto, mancava soltanto il videoclip di promozione per poter immettere sul mercato la canzone. Perciò da lì a un paio di giorni, spiegò Luke, avrebbero dovuto cominciare le riprese per il video di Love In Slow Motion.

Tutti annuirono in modo meccanico, poi andarono a prepararsi per lo show di quella sera.

 

Credits: 'Tonight The World Dies' by Avenged Sevenfold.

-


n.d.A.: Buonasera a tutti! Innanzitutto grazie mille come sempre a chiunque abbia speso un pò di tempo arrivando fin qui!
Volevo soltanto ripetermi (e, ahimé, annoiarvi) ricordandovi che questa è una long LONG, quindi portate pazienza se, soprattutto all'inizio, sembrerà che la storia decolli lentamente... vi prometto che questo è solo l'antipasto di ciò che arriverà dopo!
Buona serata a tutti!
rose_

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Capitolo 7
*** I - Unholy Confessions ***


 

PARTE PRIMA
07.

UNHOLY CONFESSIONS

 

Nothing tears the being more than deception,unmasked fear
I'll be here waiting, tested and secure

24 Ottobre 2006

Era da poco passata l'una di notte ed entrambi i gruppi stavano progettando di abbandonare finalmente la location del concerto e cercare un posto in cui cenare.

Affamati e stanchi, i ragazzi non si fecero ripetere due volte di salire sui loro tour bus alla volta di un ristorante in pieno centro città, l'unico ad aver acconsentito senza grossi problemi ad accoglierli e a sfamarli a quell'ora di notte.

Jimmy aveva insistito per salire sul tour bus dei Bleeding Through e ora continuava a ripetere a Marta che, se non fossero arrivati entro breve, avrebbe fatto fermare il mezzo e sarebbe scappato via alla ricerca furiosa di qualcosa da mettere sotto i denti, trasformandosi in una sorta di Tarzan del ventunesimo secolo, con il trucco sbavato e il giubbotto di pelle sulle spalle; Marta aveva riso a crepapelle lungo tutto il viaggio.

“Guarda là!”, urlò il batterista una volta messo piede sull'asfalto. Marta seguì con lo sguardo la direzione di quel dito tatuato ma un paio di braccia forti la sollevarono di peso, caricandola come un sacco di patate su un'ossuta spalla destra. “Ora possiamo andare.”

“Dai, mettimi giù!”, protestò tirandogli un pizzicotto su un fianco.

“Non ci sperare nemmeno: il mio punto debole non è quello.”

“E allora che...?”

“Mira più in basso, dolcezza”, suggerì Synyster Gates sorpassandoli con il suo solito passo spigliato.

“Comoda la vita, per voi ragazze”, sopraggiunse Brandan occhieggiandola con sguardo critico, “Sempre a farvi scarrozzare in giro.”

I due uomini risero di quella battuta e Marta notò solo allora un paio di gambe femminili accanto a quelle del proprio migliore amico. Sollevò lo sguardo e lo incrociò con quello di Amber, che la stava osservando con un sorriso raggiante. Le concesse uno stiracchiato movimento delle labbra, poi un'improvvisa ondata di calore la informò di essere sul ciglio della porta di ingresso del ristorante. Jimmy si decise a metterla giù e lei, ridendo, scappò a nascondersi dietro a Johnny e ai due bulli che, a quanto sembrava, avevano cominciato a fare comunella. “Sta' lontano da me, gigante!”

“Nascondersi dietro ai nani di corte non ti eviterà la punizione per essere stata così poco riconoscente con chi ti ha guidato fin qui.”

“Ah, far viaggiare una povera donna indifesa a sedere all'aria ti sembra un bel modo di adempiere ai tuoi compiti di autista?!”

Jimmy cominciò a ridere di gusto, attirando ben presto il buonumore di tutti i presenti. “Tornerai a chiedermi un passaggio, prima o poi.”

Come no!?”

L'ennesima risata generale venne interrotta dall'arrivo di un cameriere dall'aria vispa, incravattato e profumato quasi avesse appena cominciato il proprio turno di lavoro. “Siete i ragazzi che hanno prenotato il tavolo da undici per le ore due, dico bene?”

“Esattamente.”

“Allora seguitemi, vi porto in sala.”

In modo chiassoso e disordinato, gli undici musicisti fecero il loro ingresso in una sala completamente vuota. La maggior parte dei tavoli era già stata privata della tovaglia e alcune sedie erano già state impilate l'una sull'altra in un angolo.

“Non capitano spesso prenotazioni come questa, vero?”, domandò Derek al cameriere, senza riuscire a smettere di guardarsi intorno con aria curiosa.

“No, in effetti no. Ma siamo lieti di...”

“Si, certo”, tagliò corto Scott prendendo posto, “Noi siamo affamati e assonnati, portaci qualcosa da mettere sotto ai denti.”

“Scusalo!”, sorrise meccanicamente Marta, spintonando via il chitarrista, “Quando è stanco dimentica cos'è l'educazione.”

“Nessun problema, questi orari sarebbero alienanti per chiunque. Vi porto subito le liste.”

Quando il cameriere si fu allontanato verso le cucine e tutti ebbero preso posto, Brandan afferrò il braccio della tastierista e le fece cenno di avvicinarsi un po' di più. Puntando un gomito sulla tovaglia con il solo fine di garantirsi un appoggio più stabile, Marta si ritrovò a pochi centimetri dal naso dell'amico. Di fronte a lei lo sguardo di Amber, sempre attento ai suoi movimenti, si fece maggiormente recettivo.

“Voglio che tu lo sappia prima di chiunque altro, qui dentro.”

“Di che parli?”

“Del fatto che Amber ed io avremo un bambino!”

“Oh.”

Uno strano silenzio scese tra loro.

“Non hai niente altro da dire? Solo oh?”

Marta inspirò e sollevò gli occhi su Brandan per la prima vera volta dall'inizio di quella conversazione. Non era così che sarebbero dovute andare le cose: avrebbe dovuto essere sincera fin dall'inizio, parlargli di ciò che aveva visto e sperare che lui non la prendesse nel solito modo catastrofico con il quale reagiva alle brutte notizie. E ora, di fronte ad una confessione così bella eppure così pericolosa, Marta sentì una morsa stritolarle la bocca dello stomaco. “Brandan, forse è il caso che tu sappia una cosa. Avrei dovuto dirtelo molto tempo fa ma...”

“Se stai alludendo alla scappatella di Amber e Joel, il fonico, non dirmi nulla: so già tutto, me ne ha parlato lei stessa.”

Lo occhieggiò spaesata. “Tu sai già tutto?!”

“Lo so, è una cosa folle da immaginare. Uno impulsivo e orgoglioso come me messo ko da una donna mozzafiato e da un paio di corna. Ci ho pensato, non lo nego, volevo spaccare la faccia a quel coglione e mandare la storia a puttane. Poi mi sono chiesto se perdere Amber e finire in cella per tentato omicidio sarebbero state le scelte migliori da prendere e la risposta è questa: aspettiamo un bambino.”

“Wow, questo nuovo te mi spiazza un po'!”

“La amo, quindi metterò una pietra sopra a tutto e costruirò la mia famiglia con lei.”

“Sono felice per te... Oddio, diventerai padre! Non riesco a crederci!!”, sorrise timidamente, “Non hai idea di quanto è stato difficile tenertelo nascosto, avevo paura che questa cosa potesse ferirti più di quanto fossi in grado di sopportare.”

“Lo so, Marta. Non era compito tuo dirmi la verità. Hai fatto la cosa che ritenevi più giusta per me e te ne sono grato.”

Marta spostò lo sguardo sulla figura della modella davanti a lei, scoprendola in preda ad una totale apprensione. Scosse la testa, come a voler scacciare definitivamente dalle sue spalle tutto il peso di quel segreto mantenuto per mesi, poi esultò. “Oh, Dio... un bambino!!!”

“Grazie al cielo... Stavo cominciando a pensare che ti avessero rapita e rimpiazzata con uno di quei bambolotti che danno un piccolo cenno di vita solo se gli schiacci l'ombelico.”

“Che scemo. Sono davvero contenta per te, Brand! Per... voi.”

“Grazie.”

“Un attimo di silenzio!”

Jimmy, dall'altro capo del tavolo, ricevette l'attenzione di tutti i presenti, così cominciò con gongolante soddisfazione a ritirare le ordinazioni di ciascun musicista – e questo ricordò a Marta e a Brandan di non aver ancora avuto modo di sfogliare il menù.

Il cibo, per fortuna, venne servito con una velocità lodevole e nessuno abbandonò il tavolo senza avere la sensazione di aver mangiato una delle cene migliori della propria vita.

Verso la fine della serata, prima di lasciare le scomode sedie del ristorante per tornare in albergo, Brandan si alzò in piedi e richiamò l'attenzione di tutti. Aveva qualcosa di importante da dire e quella che considerava la sua famiglia era lì con le orecchie tese, pronta ad ascoltarlo.

“Potrei fare mille giri di parole ma sarebbe inutile data l'ora e la vostra scarsa attenzione... Ma iniziate a pensare a dei regali degni di questo appellativo, ragazzi, perché l'anno prossimo vi serviranno: questa meravigliosa donna accanto a me darà alla luce il primo erede della famiglia Schieppati”, tra il boato generale che ora riecheggiava tra le pareti vuote della sala, Brandan riprese posto. Poi, improvvisamente ricordo di qualcosa, si levò nuovamente dalla sedia. “Se tra i regali per il bimbo ci fosse anche una Mustang d'epoca, tanto meglio... io la butto lì, poi vedete voi.”

Tra innumerevoli fischi di approvazione, strette di mano e brindisi tra sei bicchieri di acqua e cinque bicchieri di birra, la lunga serata finalmente terminò.

 

*

 

La vista del corridoio che li avrebbe portati alle loro stanze, al secondo piano di uno degli hotel più in voga del centro città, finì col commuovere la maggioranza dei presenti. Buona parte dei musicisti si ritirò nella propria camera sbadigliando e minacciando stragi di massa se qualcuno si fosse azzardato a svegliarli prima delle tre del pomeriggio successivo. Zacky scomparve dal piano senza lasciare traccia della propria direzione. Syn e Scott furono gli unici ad abbandonare l'hotel, decisi a continuare la serata in giro per locali. Marta aderì alla proposta di Jimmy e Matt di concedersi un paio di sfide pre-dormita a qualche gioco alla Playstation e la scelta ricadde nuovamente su Mortal Kombat, ormai divenuto un classico incontrastato tra i passatempi del tour.

“Tranquilla, Marta, con te cercheremo di andarci piano.”

“Che pensiero carino, Matt. Spero solo che la solita vecchia fortuna della principiante non decida di venirmi in soccorso proprio stasera o potreste rischiare di perdere sul serio”, ironizzò.

“Perdere? Se non sono conosciuto come il campione mondiale di questo gioco è solo perché non ho mai avuto tempo per presentarmi ad uno di quei tornei per nerd senza speranza!”

“Ammetto di aver pensato fin da subito che fosse Syn, quello dall'ego ingombrante... del resto, tutti facciamo errori di valutazione.”

“Questa è bella, nocciolina”, Jimmy prese a ridere a crepapelle e spalancò la porta della propria stanza, lasciando entrare gli altri due con un piccolo cenno del capo. “Ma ora basta chiacchiere: si gioca per davvero.”

“Va bene, ragazzi, ma ricordatevi le vostre promesse di andarci piano con me.”

“Pianissimo. Non ti accorgerai nemmeno che è iniziato il tuo turno”, le fossette di Matt fecero la loro comparsa con innata spavalderia.

“E se mettessimo qualcosa in palio?”

Come sempre Jimmy aveva avuto l'idea geniale, quella che avrebbe svoltato l'intera serata rendendola più interessante e coinvolgente.

“Per me va bene.”

“Sei sicura?”, entrambi i ragazzi aggrottarono la fronte.

“Certo! Che sarà mai. Schiaccerò qualche tasto a casaccio e starò a vedere cosa succede. Non preoccupatevi per me, me la caverò”, mentì.

“Se questo è il tuo piano mi sa proprio che non arrivi alla fine della prima sfida.”

“Ormai è tardi, sono stanca e non ho abbastanza concentrazione per impegnarmi a capire come funziona. Sopravviverò, ragazzi, davvero.”

“Allora è deciso: l'ultimo a rimanere in piedi vince il diritto di trovare una cazzata da far fare agli altri due.”

“Qualsiasi cosa?”, domandò Marta sbattendo ingenuamente le ciglia, gli occhi spalancati e lucidi. I ragazzi scambiarono tra loro un'occhiata complice e traboccante di malizia, poi annuirono solennemente. “Qualsiasi cosa.”

Nell'arco di un paio di minuti l'intero arredamento della camera di Jimmy venne completamente stravolto: il grande letto matrimoniale, fino a quel momento posto al centro della stanza, venne spostato contro la porta-finestra che dava sul balconcino di pertinenza mentre il divano, fino a quel momento relegato in un angolo, guadagnò il diritto di avvicinarsi alla televisione addobbato, per l'occasione, con qualsiasi cosa potesse facilmente fare le veci di un cuscino.

“Ci siamo”, sentenziò Matt prendendo posto accanto a Marta.

“Ho soltanto due joystick. Gli altri li ha Johnny ma credo che ci si sia addormentato sopra pur di evitare che glieli rubassimo nella notte.”

“Due bastano e avanzano, tanto Marta non...”

Un paio di colpi alla porta zittirono Matt e fecero rizzare le orecchie ai tre musicisti. Il padrone della camera andò ad aprire con estrema lentezza e la sua espressione perplessa non cambiò neppure quando si ritrovò di fronte al nuovo arrivato.

“Zee, da dove cazzo te ne arrivi?”, lo apostrofò facendolo entrare.

Zacky osservò la stanza messa a soqquadro con aria sorpresa. “C'è qualcosa che devo sapere, ragazzi?”

“Stavamo per cominciare un torneo a Mortal Kombat.”

“Se vuoi unirti a noi sei ancora in tempo”, lo informò Marta.

No, grazie.”

“Non gli piacciono i videogiochi”, le spiegò Matt brandendo un joystick.

“C'è qualcosa che gli piace?”, mormorò allora all'orecchio del cantante.

“Non è il suo periodo. Ti assicuro che di solito è un coglione.”

“Ti ho sentito, Sanders.”

“Non stavo cercando di non farmi sentire.”

Zacky scosse la testa e aprì la lattina di birra ghiacciata che aveva appena trovato nel piccolo frigo-bar. “E poi il coglione sarei io.”

“Ehi! Giù le mani dalla mia bambina!”

Zacky squadrò Marta, scambiando con lei un'occhiata complice, poi prese posto accanto a loro sul divano, mettendosi comodo. Jimmy continuò a osservarlo con orrore, minacciando di cominciare a sbraitare da un momento all'altro.

“Che diavolo stai facendo?”

“Vi guardo giocare.”

“Quello era il mio posto!”

“La tua birra, il tuo posto... non ti sembra di esagerare un po'?”

“NO!”, urlò avventandoglisi sopra e cominciando a ridere.

“Oh, Dio, qua si fanno male.”

“Tranquilla, Rev sa cosa sta facendo.”

“E Zacky?”

“Lui le prende soltanto. Vedrai che tra poco sarà tutto a posto e cominceremo a giocare. Tu, piuttosto, se vuoi tirarti indietro sei ancora in tempo...”

“Ancora con questa storia?! Comincio a capire perché tu e Brandan siete amici.”

“Non sono sicuro che tu volessi farmi un complimento.”

Perspicace.”

Un tonfo sordo li informò che la piccola baruffa era terminata: Jimmy aveva riconquistato il proprio posto mentre Zacky si era dovuto accontentare dell'ultimo pezzo di divano rimasto ancora libero. “Giochiamo.”

“Bene, chi sceglie per primo?”

“Prima le signore.”

“Che galanteria.”

Come suo solito, Marta scelse come suo alter-ego sullo schermo la regina Sindel. Trovava che ci fosse un qualcosa di poetico in quel suo far roteare i lunghi capelli per usarli come lazo sbaraglia-nemico.

A tentare di contrastarla arrivò Reptile, manovrato da Jimmy.

Sullo schermo prese forma il video di presentazione di entrambi i combattenti, poi la consueta scritta Fight!. Marta prese a guidare una rabbiosa Sindel contro ad uno scettico Reptile. “La ragazza sa giocare!”

“Per parafrasare qualcuno: se non sono campionessa mondiale è solo perché non ho avuto tempo di presentarmi alle gare.”

Zacky scoppiò a ridere e si sistemò meglio sul divano, scansando Jimmy di qualche paio di centimetri. “Chi è stato il genio che ha detto una frase simile?”

“Non faccio la spia”, sentenziò Marta continuando a guardare lo schermo, “Ma sappi che ora ha su un'espressione confusa.”

“Bah, credo che qui tu sia l'unica a non essere confusa.”

Marta mise in pausa il gioco e fissò lo sguardo in quello del chitarrista. “Ascolta il mio piano: questi due hanno messo in palio un gran bel premio e io sono intenzionata a vincerlo. Posso chiedergli qualsiasi cosa e loro non possono tirarsi indietro.”

“Wow! Se avessi saputo che sarebbe bastato così poco per avere il permesso di torturarli, mi sarei obbligato a imparare a giocare a quella macchina infernale molto tempo fa”, i due piercing labiali si mossero appena, perfettamente sincronizzati con il sorriso che quelle labbra carnose e rosee si erano appena concesse, “Posso esserti utile?”

“Eh, no dai, così non vale! La sua vittoria non era nelle nostre previsioni e non lo era nemmeno l'ipotesi che proprio tu le dessi una mano a sfotterci per bene!”

“Cosa intendi con quel proprio tu, scusa?”, domandò il diretto interessato allungandosi in avanti per avere una visuale migliore sull'intero divano.

“Lascia stare, Jimmy. Non è detto che vinca davvero la vipera qui di fianco”, sentenziò Matt beccandosi in tutta risposta una bella gomitata assestata in pieno fianco dalla donna, “E se anche fosse, che ce ne importa? Il tour è ancora lungo e, si sa, la vendetta è un piatto che va servito freddo.”

“Vogliamo ricominciare a giocare?”, propose allora Marta, azzardando un occhiolino in direzione del proprio nuovo braccio destro, “Qui c'è qualcuno che brama il suo meritato premio.”

Nessuno dei giocatori poté dire di aver disputato la partita perfetta: l'alternarsi di glorie e sconfitte fu abbastanza equo per tutti e tre i musicisti e Marta, la vincitrice finale, si distaccò dalle vittorie degli altri due per pochi, pochissimi punti. Matt le diede una pacca sulla spalla e si congratulò con lei con quell'espressione furba tipica di quando si ammette la propria inferiorità solo per trarre in inganno il nemico, fargli abbassare la guardia e scansarlo dal podio alla prima occasione.

Quando furono rimasti in tre, Jimmy prese a fissare Marta con aria di sfida, indeciso tra la proposta di ricominciare la partita e il bisogno di andare a dormire ma dovette soccombere alla propria stanchezza e li salutò.

Zacky fu l'unico, tra i presenti, ad essere davvero entusiasta della vittoria della tastierista. Le circondò le spalle con un braccio, stringendola a sé in uno slancio quantomeno insolito, e le propose di andare da qualche parte: “Scegli tu dove, mi basta uscire da questo maledettissimo albergo.”

Marta, inspiegabilmente vispa nonostante fossero già le quattro del mattino, accettò con una strana sensazione alla bocca dello stomaco: la compagnia di Zacky le piaceva ma sembrava esserci qualcosa in lui che non andava, che a tratti lo rendeva profondamente irascibile e freddo. Era come se qualcosa lo bloccasse, tenendolo stretto fino a farlo soffocare.

 

*

 

“Perciò, sai come vanno a finire queste cose, no?, ho visto sfumare quell'occasione. Sarei potuta diventare una ginnasta con i fiocchi... non lo sapremo mai.”

Zacky portò alle labbra il boccale di birra ormai semi vuoto. “Non riesco ad immaginarti con una tutina fucsia, a dimenarti e contorcerti in una palestra.”

“Nemmeno io, se è per questo. E poi il fucsia è uno dei colori che più detesto.”

“Beh, la mia era solo un'idea. Non doveva per forza essere fucsia.”

“Non fa differenza, tanto sembrerei un salame con qualsiasi colore, dentro ad uno di quei cosi.”

Un guizzo divertito attraversò gli occhi azzurri del chitarrista. “Secondo me staresti una favola, là dentro.”

“Mah...”

“Scusate?”, una voce di ragazza si fece timidamente largo tra loro.

Ad una prima e rapida occhiata, la nuova arrivata non doveva avere più di sedici anni nonostante i capelli, audacemente tinti di un biondo ossigenato al limite della decenza, cercassero disperatamente di regalarle un'aria più vissuta di quanto fosse necessario; il trucco era scuro e marcato, curato fin nei minimi dettagli; la mano appoggiata sul tavolo metteva in mostra una piccola sigla tatuata in nero a pochi centimetri dal polso: A7F.

“Mi chiamo Leslie”, annunciò allungando la mano in direzione di Zacky. L'uomo scambiò con Marta un'occhiata perplessa, poi ricambiò la stretta di mano senza dire una sola parola. “Sono una vostra grandissima fan! Degli Avenged Sevenfold, intendo.”

Senza riuscire a distogliere lo sguardo da quella ragazzina dall'indubbio coraggio, Marta appoggiò entrambi i gomiti sul tavolo per poi adagiare il mento sul dorso delle mani, in attesa.

“Io ti adoro, Zacky! Non sai che fortuna è stato incontrarti qui!”, la ragazza si avvicinò maggiormente al tavolo, fino quasi a oscurare la visuale tra i due musicisti. “In realtà ho sperato che non fossi ancora partito, dopo la data di ieri... o dovrei dire di qualche ora fa?”, rise in preda ad un'improvvisa agitazione, “Così mi sono detta: al diavolo tutto e tutti, se c'è anche solo una possibilità di rivederlo me ne starò in giro fino a notte fonda! Che fortuna!”

La fronte di Zacky sembrò rilassarsi un poco e le labbra si incresparono in un lieve sorriso. “Ti ringrazio. Vuoi fare una foto insieme?”

“Sicuro! Ho qui la macchina fotografica.”

“Bene, allora chiediamo a qualcuno di scattarla.”

Nonostante Zacky non si stesse riferendo a nessuno in particolare, Leslie sembrò non avere dubbi su chi scegliere come fotografo così, quando Marta si ritrovò davanti al naso una usa e getta nera, riuscì a stento a trattenere una risata.

“Mettetevi in posa”, ordinò osservandoli attraverso l'obiettivo. La ragazza si strinse a Zacky e tentò di dargli un bacio sulla guancia ma lui la allontanò e le fece cenno di sorridere. La foto che ne era uscita era il perfetto ritratto dello smarrimento che la povera Leslie stava provando in quel momento, di fronte a quello che doveva esserle sembrato un rifiuto bello e buono da parte del proprio idolo numero uno. Così li aveva salutati e, in men che non si dica, si era dileguata in mezzo agli altri tavoli del pub, sparendo dalla loro vista con molta facilità.

“Audace, la ragazza.”

“Di solito fanno anche di peggio. Chiedi a Syn, lui ne sa qualcosa.”

“Oh, davvero? Non vedo l'ora di ascoltare i suoi racconti.”

Zacky sollevò una mano per attirare l'attenzione del cameriere, poi tornò con lo sguardo su Marta. “Non dirmi che a voi non è mai successo nulla del genere.”

“Di solito non succede.”

“Neanche a te? Non ci credo.”

“Dovresti, invece.”

 

*

 

Rimisero piede in albergo intorno alle sei e mezza del mattino, dopo aver chiacchierato e riso di gusto lungo tutto il cammino del ritorno.

I preconcetti di Marta nei confronti del chitarrista sembravano sgretolarsi ad ogni secondo trascorso insieme, lasciandole addosso solo una piacevole sensazione di calore.

Era stata così bene con lui che quasi le dispiaceva doversene allontanare per concedersi un po' di sonno. Quello stesso pomeriggio l'avrebbe attesa il set del videoclip di Love In Slow Motion e qualcuno avrebbe potuto avere qualcosa da obiettare, se lei si fosse presentata all'appuntamento accompagnata da un grazioso paio di borse sotto agli occhi.

Prima che potesse accorgersene, arrivarono davanti alla porta della sua camera e tra loro scese uno strano silenzio. Zacky appoggiò una mano contro il muro e fece per aprire bocca, poi cambiò idea. Un'atmosfera calda e surreale aveva riempito l'intero corridoio, investendo anche loro.

Senza che potesse fare qualcosa per fermarli, gli occhi di Marta caddero innumerevoli volte sulle labbra carnose del chitarrista, soffermandosi più del necessario su quei due piercing che ora sembravano ipnotizzarla e attirarla con inedita irruenza. Trattenne il fiato e osservò quelle due piccole palline di acciaio farsi sempre più vicine alle proprie labbra, legate sensualmente a quella bocca bramosa di una preda.

“Credo... sia ora di andare”, si costrinse a dire Marta, socchiudendo gli occhi.

Le labbra di Zacky si stiracchiarono un poco e l'uomo si allontanò di un passo, infilando le mani nelle tasche dei jeans e chiudendosi nelle spalle. “Certo.”

“Oggi pomeriggio ci sono le riprese del video e...”

non sono sicura valga la pena di mandare all'aria tutte le mie fissazioni con l'autocontrollo solo perché sei carino e la serata è andata bene, continuò nella sua testa.

Zacky le regalò un sorriso criptico e prese maggiori distanze da lei, “Buonanotte, Marta.”

“Buonanotte.”

Credits: 'Unholy Confessions' by Avenged Sevenfold.

-


n.A.: Buongiorno a tutti! Prima di tutto vorrei ringraziare la mia amica Sy per avermi suggerito il termine nocciolina, ossia il nomignolo che Jimmy ha rifilato a Marta. Eheh i crediti te li dovevo! Detto questo, come avete potuto leggere Zacky ha fatto un passo avanti... e so che, probabilmente, nessuno qui è d'accordo con la reazione di risposta di Marta. Tranquilli: la penso anche io allo stesso vostro modo, ma Marta ha pur sempre uno stile di vita da mantenere... o no?
Vi lascio, ci si legge lunedì!
rose_

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Capitolo 8
*** I - Love In Slow Motion ***




PARTE PRIMA

08.

LOVE IN SLOW MOTION

 

I wish she was my enemy
But I'm still waiting here for her to hold my hand

 

24 Ottobre 2006

Nonostante il risveglio fosse stato abbastanza traumatico, Marta fu l'unica ad arrivare in orario all'appuntamento che l'intera band si era data nella hall dell'albergo. Curioso che questa sua improvvisa puntualità fosse comparsa in concomitanza ad una sua auto-negazione: qualcuno lassù le stava forse facendo un regalo per premiare la sua innata forza di volontà? Sogghignò di quello stupido pensiero e si guardò intorno.

La grande hall, interamente dipinta di verde salvia e di grigio, stava cominciando ad incuterle un certo senso di oppressione, di costrizione. La poltroncina su cui aveva deciso di sedersi per riempire l'attesa era rivestita di un pungente velluto verdone dall'aria vagamente retrò, non proprio coordinato alla linea più moderna e asettica scelta per il resto dell'arredamento.

Lanciò l'ennesima occhiata all'orologio posto dietro al bancone di ingresso e sperò che i minuti cominciassero a scorrere più velocemente o, una volta arrivati gli altri, l'avrebbero trovata morta di noia.

Un rumore di passi la avvisò dell'avvicinarsi di qualcuno, così Marta porse la sua attenzione verso i possenti ascensori. Jimmy e Syn misero piede nella hall con passo spavaldo, certi di riuscire a riscuotere il consueto numero di consensi femminili anche a quell'ora del pomeriggio, in un albergo del genere.

“Nocciolina! Che ci fai qui?”

“Sto aspettando che gli altri si decidano a scendere, oggi dobbiamo registrare un videoclip.”

“Sei sicura che non sia stato rimandato?”

“Si, altrimenti mi avrebbero avvisata... C'è qualcosa che non va?”

Syn indicò le porte dell'ascensore con il pollice, riferendosi implicitamente al resto dei Bleeding Through. “Ryan e Brian sono con Johnny e poco fa ho visto Brandan uscire per mano con quella sventola della sua fidanzata.”

“Uscire? E per andare dove?”

“Non chiederlo nemmeno, io davvero non lo so.”

“Va bene, ora lo chiamo.”

I due ragazzi rimasero di fronte a lei, guardandola schiacciare qualche tasto sul cellulare nel tentativo di mettersi in contatto con il proprio migliore amico.

“Brand?”, esordì non appena la voce dell'uomo si palesò dall'altro capo del telefono, “Dove sei?”

“Sono in un ristorante in centro insieme ad Amber. Hai bisogno di qualcosa?”

Il tono allarmato di Brandan la inacidì un poco. “Si, di voi! Perché siete tutti in giro anziché essere nella hall? Vi sto aspettando da venti minuti buoni.”

“Beh, così capisci cosa significa per noi aspettarti ogni volta...”, ironizzò.

“Piantala di scherzare! Abbiamo un video da filmare, oggi!”

“Luke ha mandato un messaggio a tutti quanti dicendo che la scenografia non era ancora pronta e che le riprese erano rimandate, non lo hai letto?”

“Non mi è arrivato nulla.”

“Sei sicura? Controlla meglio.”

“Ricontrollerò ma non troverò di nuovo nulla. Cazzo.”

“Beh, cos'è quel tono depresso? Sii felice del pomeriggio libero che ti rimane, no?”

“No! Ho dormito poco e male e mi sono svegliata solo per questo benedetto video... e va bene. Ora me ne torno in camera. Non chiamatemi fino a che non sarà ora di ripartire, ok?”

“Va bene. Però calmati, mi sembri un tantino agitata.”

“Avevo davanti a me un'intera mattinata per dormire e invece mi sono svegliata ad un'ora indecente solo per beccarmi un gigantesco due di picche dal resto della band. Ero pure in orario...”

“Cosa hai detto? Ti sento male.”

Sbuffò rassegnata. “Niente. Scusa se ti ho disturbato durante il tuo pranzo romantico.”

“Non preoccuparti. Torna a dormire e ci vediamo più tardi.”

“A più tardi.”

Marta terminò la chiamata e fissò per qualche istante il vuoto davanti a sé. Perché diavolo non le era arrivato nessun sms? Maledetto telefono vecchio e lento! Forse avrebbe dovuto comprarne uno nuovo anche lei, come Zacky.

Jimmy e Syn la squadrarono con aria interrogativa.

“Allora?”

“Niente videoclip.”

I due musicisti scossero spiacenti la testa, mettendo su un'aria da cane bastonato con l'intento di strapparle un sorriso.

“Pare abbiano mandato un messaggio di disdetta a tutti ma a me non è arrivato nulla.”

“Ehi, siamo pur sempre in Europa... magari qualcosa è andato storto nell'invio del messaggio.”

“Grazie, Rev, ma credo questa si chiami sfiga. Avrei potuto dormire e invece eccomi qui.”

“Dormire? A che ora ti sei svegliata?”

“L'una e venti.”

Il fischio di Syn le trapanò un timpano. “Beh, le tue ore di sonno le hai fatte, ragazza.”

Rev si avvicinò ad una spanna dall'orecchio del chitarrista. “Ieri sera la signorina ha lasciato l'albergo in compagnia di qualcuno intorno alle quattro di notte e chissà quando è rientrata...”

“Qualcuno chi?”

“Nessuno. Non fare il pettegolo, Jimmy.”

Il batterista alzò le spalle. “Non ho detto nulla.”

“Ehi, fate capire qualcosa anche a me?!”

“Sono uscita a fare due passi e poi sono tornata in albergo, tutto qui.”

Senza un vero e proprio motivo, Marta non aveva la minima intenzione di sbandierare ai quattro venti di aver trascorso la serata con Zacky. Non c'era nulla da nascondere o, per meglio dire, non c'era niente da raccontare.

“E allora chi era quel qualcuno?”

La risata di Jimmy riempì la hall, attirando lo sguardo bieco e offeso del chitarrista. Marta li squadrò entrambi con affetto, poi sbadigliò.

“Scusate, ragazzi, ma credo proprio me ne tornerò a letto.”

“Ma chi cazzo era quel qualcuno??”

“Buona giornata”, sorrise e si avviò in solitario verso gli ascensori.

 

*

 

Un pesante rumore di nocche contro la porta della stanza la obbligò ad aprire gli occhi di colpo, facendola trasalire. L'orologio sul comodino la informò che si era addormentata da un'ora soltanto.

“Un secondo e arrivo”, disse con voce ancora impastata dal sonno mentre cercava qualche indumento da indossare sopra gli slip con cui era solita andare a dormire; ripiegò su una vecchia maglia extra-large degli Iron Maiden rubata anni prima dal cassetto dei pigiami di Kristine e si accertò che quel vestito improvvisato le coprisse almeno le cosce, poi andò ad aprire.

“Ce ne hai messo di tempo, nocciolina!”

“Stavo dormendo.”

“Bella maglia”, Rev si affacciò dalla porta e scrutò attentamente l'intera stanza, “Posso entrare?

“Stai cercando qualcosa?”, andò a sedersi sul letto sfatto, “Non fare caso al casino che c'è in giro: non sono esattamente il ritratto dell'ordine.”

“Lui non è stato qui, vero?”

“Chi?”

Rise e prese posto accanto a lei. “Zacky.”

“No, non c'è stato. Perché me lo chiedi?”

“L'ho intravisto stamattina e la sua espressione non era quella che mette su quando dorme in una stanza che non è la sua.”

“Non so cosa abbia fatto dopo che ci siamo salutati ma ovviamente non ha dormito qui.”

“È vero: dimentico sempre che sei una ragazza per bene.”

“Non prendermi in giro”, gli rifilò un pizzicotto e Jimmy cominciò a ridere.

“Il fatto è che non è il periodo giusto per lui di buttarsi in qualcosa che non sia la musica. E poi Vanessa lo tartassa con le sue...”

Vanessa?”, gli fece eco, interrompendolo con la fronte aggrottata.

“La sua ragazza.”

“Ah.”

Per il veloce arco di un istante, Marta sentì come una piccola e insensata nota di delusione catturarle il petto ma nell'immediato pensò che non ci fosse davvero nulla per cui sentirsi delusi: Zacky la attraeva, era innegabile, ma la faccenda per ora era da considerarsi chiusa lì.

“Non ti ha detto niente a riguardo?”

“Ehm, no...”

“Forse non aveva voglia di parlarne.”

Marta afferrò un cuscino e lo portò al petto. “È una storia seria?”

Annuì. “Stanno insieme da quando erano al liceo ma sembra che ultimamente le cose non vadano troppo bene tra loro. Credevo te lo avesse detto.”

“No”, ribadì in tono tranquillo, “Non sapevo nulla.”

“Lui è... tutti noi siamo impegnati con delle ragazze conosciute più o meno nel periodo del liceo. È così che stanno le cose.”

Marta sollevò un sopracciglio e e gli gettò un'occhiata critica. “Non che siano affari miei ma...”

“Vuoi sapere se loro lo sanno?”

“Si, insomma, vi portate a letto altre donne pur avendone una che vi aspetta a casa: non è una cosa che si digerisce di buon grado.”

“È la vita della rockstar. Mentre siamo in tour, a chilometri di distanza dalle nostre belle, i nostri bisogni fisiologici non mutano. Siamo uomini, abbiamo bisogno di certe cose. Loro sanno che fa parte del gioco e lo hanno accettato”, Rev si lasciò cadere a peso morto sul letto con le braccia dietro alla nuca, “Sanno che si tratta soltanto di sesso. Sono scelte.”

La parola scelta non era certo nuova a Marta eppure sentirla nominare in quel contesto la scosse un po': decidere deliberatamente di tradire la persona con cui si aveva deciso di condividere la propria vita non era un tipo di scelta che una ragazza come lei avrebbe mai potuto contemplare. D'altro canto, però, le abitudini di quei ragazzi somigliavano in tutto e per tutto a quelle di Scott e sarebbe stato incoerente, da parte sua, giudicarli dopo aver sempre difeso la libertà e le cattive abitudini del proprio compagno di band.

“Non sto puntando il dito contro di voi”, precisò sdraiandosi accanto al batterista e portando un braccio sugli occhi, come era solita fare quando voleva concedersi un momento di riflessione, “Dico solo che, per la mia visione delle cose, questa è una decisione un po' troppo fuori dalle righe.”

“Lo so. Se me ne avessero parlato qualche anno fa, anche io avrei pensato la stessa cosa. Ma le cose cambiano, Marta.”

“Può darsi che tu abbia ragione.”

“Senti, in realtà non sono passato per parlarti di Zacky, anche se finora non ho fatto altro. Ho bisogno del tuo aiuto per un paio di arrangiamenti che voglio proporre alla band per il nuovo album. Credi di potermi dare una mano?”

“Certo!”

“Bene”, si levò a sedere e la osservò traboccante di aspettative, “Ho sentito che a Londra c'è un grande studio di registrazione. Possiamo andarci insieme e spendere un po' di tempo a provare?”

“Sicuro, tanto tra due giorni c'è la data al Carling Academy Brixton e, soundcheck a parte, nessuno avrà bisogno di me fino all'ora del concerto.”

“È così che si parla, nocciolina!”

 

*

 

Brandan prese posto accanto a lei, guardandola con occhi divertiti.

“Luke non c'entra nulla”, cominciò trattenendo a stento una risatina, “Toccava a me avvisarti della cancellazione del video. Dai, non fare quella faccia, non ti dona l'aria truce.”

“E poi sarei io quella di cui non ci si può fidare...”

“Mai detto nulla di simile”, alzò le braccia in segno di resa, “Lo sai che le buone notizie mi mandano il cervello in pappa, cosa ti saresti aspettata dopo l'annuncio dell'arrivo di mio figlio?”

Marta lo guardò di sbieco e non poté fare altro se non ridere dell'espressione beata del proprio migliore amico. Un uomo così grande e grosso messo ko da un piccolo nanetto bisognoso di attenzioni: una favola! Brandan era assolutamente adorabile, in quella inedita veste di futuro papà.

“E va bene, paparino”, concesse tirandogli un lieve pizzicotto sull'avambraccio e tornando a guardare oltre il finestrino senza riuscire a scacciare lo stupido sorriso che le era spuntato sul viso, “Sei perdonato.”

Brandan appoggiò la nuca al sedile e socchiuse gli occhi, facendosi un po' più serio. “Amber ripartirà domani, dopo il concerto.”

“Come mai così presto?”

“L'hanno chiamata per un servizio di moda dell'ultimo minuto, deve sostituire una collega che ha avuto un brutto incidente e non vuole dire di no proprio adesso, considerando che tra qualche mese comincerà a vedersi la pancia e la lasceranno a casa per ferie forzate.”

“Ti mancherà?”

Una scrollata di spalle. “È bello svegliarsi con qualcuno accanto.”

“Lo so”, sospirò Marta, “Ma tornerà a trovarti non appena avrà finito il suo lavoro sul set.”

Lo spero proprio”, arricciò le labbra senza abbandonare l'aria seria, “E tu?”

“Io cosa?”

“Quel lo so biascicato non mi ha convinto.”

“Allucinazione uditiva.”

“Non penso proprio.”

“Cosa vuoi che ti dica?”, si voltò a guardarlo e prese a mangiucchiare un'unghia dallo smalto irregolare, “Mancano anche a me tutte quelle belle cose che si possono fare col proprio partner ma non ho avuto la tua stessa fortuna.”

Fortuna... La scelta è stata tua: Liam era pronto a..”

“Lo so”, lo interruppe bruscamente, “Avrebbe fatto qualsiasi cosa per me. Però non si è mai accorto di tenermi in gabbia.”

“Forse le cose sarebbero potute cambiare.”

“Con lui non ho mai avuto margine di crescita, lo sai, ne abbiamo parlato tante di quelle volte!”

“Si, ma...”

“Ehi, sempre a parlare fitto, voi due. Devo preoccuparmi?”, cinguettò Amber raggiungendo i loro sedili. Marta occhieggiò Brandan e gli fece un piccolo cenno di assenso, rispondendo implicitamente alla domanda inespressa di continuare il discorso più tardi.

“Ti prometto che da dopodomani sarà tutto tuo. Nei limiti del possibile, ovviamente.”

Ovviamente”, ripeté lei macinando un sorriso.

“Andiamo, amore mio. La tua cuccetta ci aspetta!”

Lasciandosi trascinare dalla mano inanellata della fidanzata, Brandan lanciò a Marta un'occhiata spiacente e mimò con le labbra un: “Noi due non abbiamo finito”, prima di scomparire dietro alla lunga tenda nera che oscurava il suo posto letto sul tour bus.

 

*

 

“Ehi, sorellona”, esordì la voce di Kristine dall'altro capo della cornetta, “Da dove chiami? Siete ancora in viaggio?”

“Siamo arrivati da poco a Wolverhampton, ho appena sistemato la mia valigia nella stanza. Tu come stai?”

“Tutto ok, solite cose. E lì com'è? Sta andando bene il tour?”

“Benissimo! Ogni sera c'è sold-out, si crea sempre una bella atmosfera. Gli altri sono davvero simpatici, ormai siamo una grande famiglia.”

“Oh, bene. Sono contenta di sentirtelo dire!”

“E poi Brandan ha una notizia col botto, credo ti chiamerà presto per parlartene.”

“Ah si?”, la voce di Kristine non sembrava particolarmente sorpresa ma Marta non diede molto peso alla faccenda: il tono della sorella era basso e stanco e la colpa, ne era certa, non poteva che essere di Therese, “Aspetterò la sua chiamata, allora.”

“Come procede con la sposa paranoica?”

“Una meraviglia, guarda. Ogni giorno ha una fissazione diversa. Ormai sono così dentro ai preparativi che rischio di presentarmi all'altare al posto suo.”

Quanto le mancava, la sua Kiki? Avrebbe voluto abbracciarla e trascorrere ore a parlare con lei, chiuse a chiave dentro alla loro stanzetta come quando erano due adolescenti.

L'urlo di Brandan che chiamava il suo nome la fece tornare alla realtà: era ora di cena e tutti stavano già pregustando la bontà dei piatti di un ristorante italiano scovato poco prima, lungo la strada per l'hotel.

Marta salutò frettolosamente la sorella, promettendole che l'avrebbe richiamata e tranquillizzandola di non aver dimenticato l'impegno preso per le foto di Therese, poi infilò velocemente un vestitino nero a balze e diede una sistemata ai capelli, ravviandoli un poco con della schiuma che regalasse loro un seppur minimo volume. Infine passò del mascara sulle lunghe ciglia, afferrò borsa e cappotto e uscì in corridoio.

“Fiu-fiu, sei uno schianto, Marta!”, fischiò Ryan prendendola a braccetto.

“Grazie.”

“Lascia che ti accompagni al tour bus”, sopraggiunse Brian afferrandole l'altro braccio.

La tastierista prese a ridere di gusto e si lasciò guidare dai due compagni di band anche quando, arrivata all'uscita dell'hotel, si ritrovò in mezzo agli altri ragazzi. Brandan scosse la testa esterrefatto e le lanciò un'occhiata di apprezzamento, così Marta fece un leggero inchino di ringraziamento col capo e prese posto sul pullman, seguita a ruota dai membri di tutte e due le band.

Il piatto italiano che preferiva era, neppure a dirlo, la lasagna. Amava quella sensazione di casa che riusciva a trasmettere quell'incrocio di pasta, ragù e besciamella anche se, questa davanti a lei, non era nemmeno lontanamente paragonabile alla perfezione delle lasagne mangiate a casa di Alice, amica di lunga data di origini italiane con cui aveva condiviso innumerevoli esperienze durante tutto il periodo delle scuole superiori; ora che ci pensava, erano anni che non la sentiva e sperava se la stesse passando bene.

Magari avrebbe provato a chiamarla, un giorno di quelli.

 

*

 

25 Ottobre 2006

Il ritorno in albergo fu costellato da una serie di proposte più o meno serie per continuare la serata ma il tutto si era presto ristretto a due possibilità: andare in giro per locali o tornare in stanza.

A parte Derek, un po' assonnato e appesantito dalla cena, sembravano tutti d'accordo a rimanere in giro ancora per un po'. Poi Amber mise su il broncio e, dopo ripetuti tentativi da parte di Brandan di capire cosa le fosse preso, snocciolò una serie di motivazioni per le quali preferisse tornarsene in albergo, piagnucolando qualcosa riguardo al suo ritorno a casa imminente e al poco tempo rimasto per stare insieme a lui, giusto per convincerlo del tutto e assicurarsi il gran finale.

“Ci si vede domani, ragazzi”, sospirò quindi Brandan, allontanandosi verso l'ingresso dell'hotel insieme alla propria donna e al batterista.

“Poveraccio”, commentò Jimmy osservandolo andar via, “Non è giusto che voi donne abbiate tutto questo ascendente su di noi.”

“È vero”, confermò Syn, “Ve la prendete con l'inganno, tutta questa importanza!”

“Andiamo, forse non aveva tutti i torti.”

O forse si, ma in quel momento sentiva di doverla difendere. Era incinta e, a partire dalla sera successiva, sarebbe stata da sola: in fondo la meritava un po' di attenzione, no?

“Non provarci neanche, nocciolina. A quella non va a genio che il suo uomo possa divertirsi senza di lei!”

“Forse è solo un po' nervosa per via della gravidanza, so che a molte donne capita e...”

“Oh Dio, non parliamo di parto, per favore!”, lamentò Scott.

“E va bene, cosa vi va di fare?”

Tutti i presenti si occhieggiarono in cerca di un'idea, poi Zacky prese la parola.

“C'è un pub verso il centro città.”

“E tu come lo sai?”

Il chitarrista sollevò a mezz'aria il proprio telefono e tutti, Marta compresa, scrutarono l'oggetto con attenzione: era nuovo di zecca, sicuramente l'ultimo modello immesso sul mercato, e lo schermo era ancora fisso sulla cartina che Google Maps forniva di Wolverhampton. Non male, per essere il successore di quello sfortunato cellulare mandato in frantumi sull'asfalto. Marta soffocò l'impulso di fare della facile ironia a riguardo, impedendosi di suggerirgli di non regalare anche a questo la stessa fine del predecessore.

“E allora facci strada.”

 

Credits: 'Love In Slow Motion' by Bleeding Through.

-


n.A.: Ma buonasera a tutti! Finalmente lunedì è arrivato ed ecco qui l'ottavo capitolo per voi. Come sempre, spero vi piaccia!
Grazie ancora una volta di cuore a chi legge/segue/ricorda/preferisce! Dal prossimo capitolo entriamo di un bel passone dentro alla storia, seppur sempre con tempi biblici... eheh lo so che in realtà mi odiate ma giuro che non sono sadica, solamente ci va un pò di tempo per me per descrivere alcune cose e per voi per entrare in confidenza con i vari personaggi!
A lunedì!
rose_

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Capitolo 9
*** I - Livin' On The Edge ***


 

PARTE PRIMA
09.

LIVIN' ON THE EDGE

 

We're seein' things in a different way
And God knows it ain't his
It sure ain't no surprise

 

Il pub era piccolo e semi deserto, se non si contava quella manciata di persone seduta qua e là sugli sgabelli intorno al bancone.

La prima impressione che Marta ebbe fu quella di essere stata catapultata in un'altra epoca, in una sorta di mondo parallelo in cui uomini e creature leggendarie potevano coesistere al di là di ogni ragionevole dubbio. Su ciascuna parete era stata affisso un telo raffigurante draghi, elfi e scene di guerre epiche sicuramente ispirate dal celebre libro Il Signore degli Anelli.

“Non male questo posto”, esordì Ryan guardandosi intorno.

Matt schioccò la lingua. “Mancano giusto gli elfi che portano da bere e poi siamo...”

Il cantante venne interrotto dalla pacca di richiamo che Syn gli sferrò sul petto, con l'intento di farlo tacere e di attirare la sua attenzione su qualcuno comparso davanti a loro; con evidente divertimento di tutti e nove i musicisti, il cameriere incaricato di servirli si era rivelato un ragazzo sulla trentina tremendamente basso, vestito con gli stessi identici vestiti indossati da Frodo nel primo capitolo della saga di Tolkien. Marta notò che anche gli altri camerieri corrispondevano a quella descrizione finendo per somigliare, loro malgrado, ad una sottospecie di colonia elfica dei giorni nostri.

“Ho un tavolo da dieci proprio laggiù, se volete seguirmi”, il piccoletto fece loro un cenno e li portò dalla parte opposta del pub.

“Se arriva pure Gollum, giuro che me ne vado”, ironizzò Syn procedendo nella direzione indicata. Marta rise e prese posto al capo del tavolo, seguita a ruota da Matt, sedutosi alla sua sinistra, e da Scott, accomodatosi alla sua destra. Le piaceva quella postazione centrale poiché da lì riusciva a vedere bene tutta la tavolata, nessuno escluso, senza precludere la visuale sul resto del pub.

“Vi lascio le liste.”

Quando il cameriere si fu dileguato Jimmy scoppiò a ridere in quel suo modo sguaiato e genuino che riusciva sempre a strappare un sorriso di riflesso a tutti. “Abbiamo scovato una colonia di tuoi simili, Nano! Non sei felice?”

Johnny lo guardò in tralice e tirò su il dito medio. “Fottiti.”

“Invece di sparar cazzate”, li riprese Matt schiarendosi la voce e scorrendo con occhi socchiusi l'intero menù. “Spremete le meningi e ditemi cosa diavolo è un Ring Cocktail, va.”

“Dove l'hai letto?”, si informò Zacky afferrando una lista dalla pila in centro al tavolo. Marta corrugò la fronte e si preparò alla risposta campata per aria che da lì a poco sarebbe sicuramente uscita dalla bocca di qualcuno dei presenti.

“Io dico che è un miscuglio di Vodka e qualche succo alla frutta”, tentò Scott.

“Nah, troppo scontato.”

“E allora sentiamo, Syn: tu cosa credi che sia?”

Il chitarrista sogghignò e scosse la testa. “Ah, non ne ho la più pallida idea.”

“Forse potremmo chiedere aiuto al nostro amico Frodo, che ne dite?”

Un buon quarto d'ora più tardi il cameriere tornò al tavolo con un vassoio carico di bicchieri: Marta, Ryan e Brian afferrarono a due mani i loro bicchieroni di Coca-Cola, mentre tutti gli altri osservavano con curiosità quei calici ricolmi di un liquido giallognolo (che si era rivelato essere nient'altro che un miscuglio ben riuscito di Rhum, Gin e succo di mela particolarmente in voga in quella zona dell'Inghilterra).

Cheers”, Zacky sollevò il proprio bicchiere, seguito a ruota da tutti gli altri.

Dopo averne bevuto un generoso sorso, Syn allontanò il bicchiere dalle labbra e fece una smorfia disgustata. “Questa roba fa davvero schifo.”

“Non è così male, dai.”

“Non so cosa sei abituato a bere tu, Scott, ma dev'essere davvero il peggio, se questa merda non ti sembra così male.”

“Abbiamo qui un intenditore”, assicurò Zacky in tono sarcastico, indicando Syn con il pollice. L'altro, per tutta risposta, svuotò un po' del proprio cocktail nel bicchiere ancora pieno dell'amico e tirò un sorriso furbo. “Tutto tuo.”

“Ordiniamo una birra?”, propose Jimmy in direzione del primo chitarrista.

“Basta che poi non ti riduci come l'ultima volta.”

“Ahahah! Il Nano ha ragione.”

“Come si è ridotto, l'ultima volta?”, si informò Marta e Matt prese a ridere più forte, trattenendo a stento le lacrime e attirando uno sguardo bieco da parte del diretto interessato.

“Non starli ad ascoltare, ho semplicemente bevuto un po' troppo ed è finita lì.”

“Questo lo dici tu! Ci sono dei video che provano tutt'altro!”

“Quali video?”

“Hai regalato all'intero hotel uno spettacolo niente male”, Zacky gli riversò un po' di liquido nel bicchiere e lo schernì: “Non avrei mai pensato che un uomo potesse cadere a terra e rialzarsi in un tempo così breve.”

Tutti i presenti risero dell'espressione sconcertata di Syn, poi il discorso si spostò su tematiche più serie e la serata si animò di nuovi punti di vista, vecchi aneddoti e risate.

Allo scoccare dell'una e mezza di notte la situazione era ormai allo sbaraglio: Jimmy e Ryan continuavano a cantare una canzone dei Bon Jovi, fingendo di suonare strumenti inesistenti al ritmo di una hit ormai quasi irriconoscibile; Syn, Brian e Scott non sembravano intenzionati a terminare tanto presto il loro discorso sui marchi preferiti in fatto di strumentazione musicale; Matt e Johnny spiegavano a Marta i loro progetti per un futuro alternativo, una sorta di piano B da intraprendere in caso il piano A non avesse dato i frutti sperati; infine, Zacky aveva terminato di bere il proprio cocktail e, dopo aver agguantato anche quello di Syn, aveva ordinato altre quattro birre che lo avevano messo ko. Ora se ne stava appoggiato al tavolo, le braccia incrociate e la testa nascosta dietro al cappuccio della felpa, completamente ubriaco.

“Secondo me è ora di cambiare canzone”, propose Johnny occhieggiando i due cantanti improvvisati con sguardo stanco, all'ennesima battuta di inizio di Always.

“Oh, al diavolo, Nano!”, fece Jimmy alzandosi dalla propria sedia, poi occhieggiò Ryan con espressione furba, “Vado a prendermi una birra e poi ricominciamo.”

Anche Syn si levò in piedi e seguì Jimmy al bancone del pub. Marta li osservò e notò che tutti e due i musicisti parevano un tantino brilli, nonostante questo non sembrasse minimamente farli desistere dal continuare a bere.

“Però lo reggono bene, l'alcool”, considerò ad alta voce. Matt sfoderò un sorriso dei suoi e scosse la testa come a darle indirettamente della novellina. Con tutta probabilità, nelle loro serate migliori, tutti loro riuscivano a fare anche di peggio.

Marta tornò ad osservare il bancone e fu così che intravide la prima scintilla dello scontro: un uomo si era parato di fronte a Syn e ora gli stava sibilando qualcosa a denti stretti, un'espressione tutt'altro che affabile in volto. Jimmy si era accostato immediatamente all'amico e aveva incrociato le braccia al petto, in attesa che lo straniero facesse un passo falso per saltargli alla gola.

“Ragazzi, guardate laggiù”, indicò Marta senza riuscire a staccare gli occhi dalla scena. In quell'esatto istante alle spalle dello sconosciuto comparvero altri quattro uomini e uno di loro si catapultò di fronte a Jimmy, spintonandolo via senza un vero e proprio motivo. Le uniche parole che Marta era riuscita a sentire, da quel punto del pub, erano state: “Non immischiarti”, riferito a Jimmy e: “Tu ed io abbiamo un grosso problema, ragazzino”, sputato in faccia a Syn.

La sedia di Matt si scostò bruscamente dal tavolo e, nel giro di pochi secondi, le spalle larghe del cantante coprirono completamente la visuale che Marta aveva sulla scena. Inutile domandarsi cosa sarebbe successo da lì a breve.

“Ehi! Che cazzo sta succedendo?”

“Sto spiegando al tuo amichetto che, se non si decide a togliersi da solo questo sorrisino da stronzo dalla faccia, glielo tolgo io con le mie mani.”

“Va bene, stiamo calmi”, propose Matt avvicinandosi al bancone con mani alzate. Marta lanciò un'occhiata interrogativa verso Johnny e il bassista le rispose con una smorfia divertita. “Sta' a vedere.”

Quando Matt fu abbastanza vicino ad uno degli uomini, tutto ebbe inizio. Jimmy rifilò una testata al malcapitato incaricato di allontanarlo, poi si affrettò a dare una mano a Matt con l'osso duro a cui il cantante aveva già provveduto a spaccare il naso. Syn aveva atterrato lo sconosciuto e aveva preso a riempirlo di calci. Marta spalancò la bocca e li osservò sconcertata.

“Cosa diavolo stanno facendo? Così si mettono nei guai!”

“Cos'è tutto questo casino?”, mormorò Zacky con voce impastata, stropicciandosi gli occhi con entrambe le mani. Nessuno parve dargli retta.

“È la legge del più forte”, spiegò Scott all'amica terminando senza indugio la propria birra, “Schiaccia o sarai schiacciato. Quelli volevano pestare Syn e sono stati ripagati con la stessa moneta.”

La donna ebbe giusto il tempo di un sospiro, poi Matt, Syn e Jimmy corsero verso il tavolo e intimarono a tutti di uscire alla svelta da quel locale: qualcuno aveva chiamato la polizia e la pattuglia non avrebbe tardato ad arrivare.

Così avevano lasciato al proprietario del pub una mancia più che generosa, in veste di risarcimento per tutti i danni causati da quella piccola disputa, ed erano usciti in strada. Una pioggerellina fine sopraggiunse, inumidendo capelli e vestiti, e Jimmy si lasciò andare ad una risata liberatoria che rimbombò nella piccola via che li stava accompagnando all'albergo.

“Non ci trovo nulla da ridere, a momenti vi arrestano di nuovo”, sbottò Marta chiudendosi nelle spalle, infreddolita.

Scott le appoggiò sulle spalle la propria giacca e lei sorrise riconoscente

“A nessuno piace prenderle”, disse Matt guardandola con aria spiacente, “E poi quelli erano in cinque: quando sei in minoranza devi essere il primo ad attaccare e l'ultimo a mollare il tiro.”

“Avete fatto a pugni?”, domandò Zacky con espressione livida ma non ottenne nessuna risposta.

“Almeno si è capito cosa voleva, quel tipo?”

Syn sbuffò e accese una sigaretta. “Pare che la sua bella avesse fatto qualche apprezzamento di troppo sul sottoscritto. Si è avvicinata, le ho dato retta, poi è arrivato lui. Io neanche sapevo fosse fidanzata. Abbiamo un problema, ragazzino, ha detto... Ragazzino!!!”

“Chi ti ha dato del ragazzino?”, domandò Zacky con un colorito sempre più cadaverico, ma Syn non lo sentì nemmeno. Marta gli si avvicinò e gli domandò se stesse bene e lui ripeté: “Chi gli ha dato del ragazzino?”

La tastierista fece allora per aprire bocca e spiegargli l'accaduto ma il ragazzo si voltò dall'altra parte e liberò l'alcool che aveva ingerito durante la serata contro il muro di una casa.

“Che schifo, Vee!”, lo rimbeccò Johnny facendo una smorfia e sorpassandolo.

La pioggia si fece più insistente e loro arrivarono all'hotel giusto in tempo per assistere all'asciutto all'isterico temporale che iniziò da lì a poco.

 

*

 

Matt li aveva abbandonati per primo, seguito a ruota da Jimmy, Johnny e dai due bulli. Scott e Syn, invece, avevano proposto di andare sul tetto dell'hotel, dove sapevano esserci una grande tettoia, da cui avrebbero guardato la pioggia schiantarsi a terra bevendo un'ultima birra in compagnia.

Né Marta né Zacky sembrava aver considerato l'idea di seguirli, troppo stanchi e infreddoliti per concedersi quell'ultima follia notturna.

“Come volete”, aveva salutato Syn sogghignando appena, “Ma vedete di fare i bravi, voi due.”

Scott le aveva lanciato un'occhiata perplessa e aveva seguito il primo chitarrista verso la porta che dava sul tetto.

“Cosa si aspettano che facciamo, poi?”, ironizzò Marta osservando i due musicisti abbandonare il corridoio.

Zacky alzò le spalle e strinse le labbra in una smorfia. “Beviamo qualcosa?”

La tastierista spalancò impercettibilmente gli occhi poi, senza darsi il tempo di pensare e completamente dimentica dell'incredibile sonno che l'aveva colpita durante il tragitto del ritorno, annuì in silenzio e lo seguì dentro alla sua stanza.

“Credo che qui dentro ci sia solo dell'acqua”, la informò Zacky, chinato dietro al piccolo sportello del mini-bar in dotazione alla stanza, “Per il resto vedo solo birra e qualche altro alcolico.”

“L'acqua va bene.”

“D'accordo”, le porse la bottiglietta di plastica e stappò una birra per sé.

“Sei sicuro di voler bere ancora?”

“Perché?”

“Hai... sei stato male, nemmeno un'ora fa.”

“Ah, si”, fece in tono piatto mentre si sedeva sul bordo del letto e distendeva le gambe, “Ma ora sto bene.”

Marta mosse un passo in direzione della poltroncina, poi cambiò idea e decise di raggiungere la finestra per sbirciare il mondo attraverso il vetro. Nonostante non potesse vederlo e averne la certezza, si sentì addosso gli occhi attenti del chitarrista.

“Dimmi la verità”, cominciò Zacky e lei mantenne lo sguardo oltre il vetro, “Non siamo esattamente quelli che ti saresti aspettata, vero?”

“A cosa ti riferisci?”

“Beviamo fino allo sfinimento, facciamo a pugni... Probabilmente non siamo quella che si definisce gente per bene.”

Marta sorrise. “E chi lo è, a questo mondo?”

“Tu lo sei.”

Una risata le risalì la gola e la costrinse a voltarsi. L'espressione perplessa del ragazzo l'aveva appena convinta che quella era davvero l'impressione che gli aveva dato, suo malgrado. Improvvisamente si sentì quasi irritata da questa nuova informazione; quel ruolo di donna perfetta dalle mille risorse stava iniziando a stufarla, nonostante non riuscisse a ricordare quando avesse smesso di andarle bene quell'immagine di sé.

“Ho detto qualcosa che non va?”

L'aveva guardata con occhi vuoti e aveva grattato distrattamente una guancia, attirando così l'attenzione di Marta su quel piccolo septum che spuntava strafottente tra una narice e l'altra. Lo aveva sempre avuto?

Marta distolse lo sguardo e lo puntò nuovamente verso il vetro lucido della finestra. “No. No, presumo tu abbia ragione.”

“Guarda che è una cosa bella.”

Ah-ah.

Marta andò a sedersi sul letto accanto a lui e lo guardò, in attesa di una qualsiasi risposta. L'uomo bevette un sorso di birra e si lasciò cadere sul copriletto, sbuffando amaramente. “Ho una ragazza.”

Marta annuì, inspiegabilmente incapace di dire qualsiasi cosa. Se ne stava lì, seduta con le mani in grembo e la schiena leggermente ricurva, con la mente impegnata da una serie di pensieri discordanti tra loro.

“Non so perché te lo stia dicendo ma si, ho una fottuta ragazza. Vanessa. Ti piacerebbe”, spostò lo sguardo contro il soffitto, “No, non è vero. Non piace più neanche a me.”

In silenzio, Marta si stese accanto a lui e prese a fissare la porta della stanza. Il cartellino Do Not Disturb aveva catalizzato la sua completa attenzione e sembrava non volerle lasciare spostare lo sguardo in nessun'altra direzione.

“Mi odia. Però i miei soldi li ama, eccome.”

Finalmente riuscì a costringersi a guardarlo: aveva le mani allacciate dietro alla testa e gli occhi socchiusi. La bottiglia di birra era stata appoggiata sul comodino ed era vuota per metà. Per l'arco di un istante, lo sguardo le cadde sulle labbra invitanti e serrate dell'uomo, per poi tornare a posarsi sull'immagine più rassicurante del cartellino agganciato alla porta.

Avrebbe voluto suggerirgli la possibilità di troncare la relazione ma si morse la lingua pur di evitare di suonargli invadente. “Mi dispiace.”

“Non è il caso. La conosco dai tempi del liceo ed ero troppo ottuso per capire cosa volessi davvero dalla vita”, Zacky si girò sul fianco, facendo muovere il materasso sotto di loro.

“E ora lo sai?”

Ci pensò su per una frazione di secondo, poi mormorò: “Diciamo che ho imparato a capire cosa voglio e assecondo i miei istinti senza pensare troppo a cosa verrà dopo.”

“Suona bene, forse dovrei imparare a farlo anche io.”

Rimasero in completo silenzio per qualche secondo, ancora stesi l'uno accanto all'altra su quel letto così confortevole, poi Marta avvertì la mano di Zacky appoggiarsi sul suo viso con leggera pressione e godette del lieve e breve scontro dei loro nasi, mentre una piacevole sensazione di calore cominciava ad irradiarsi sulla sua pelle, dandole un breve assaggio del contatto che da lì a poco li avrebbe coinvolti. Un brivido le corse lungo la spina dorsale e la bocca le si dischiuse appena, in completa autonomia, mentre un intenso profumo di birra arrivò a pungerle piacevolmente una narice. La sensazione delle labbra di Zacky sulle proprie accese istinti che Marta non provava da tempo e le loro lingue, intrecciate in un'avida ricerca, affamate e lussuriose, sembravano legate dallo stesso urgente bisogno. La mano di Zacky si stava ora insinuando tra i lunghi capelli della tastierista, afferrando saldamente la nuca corvina con il solo sfacciato intento di non lasciarla allontanare, mentre il vestito di Marta si sollevava appena, regalando maggiore spazio ai movimenti delle sue gambe nude.

Improvvisamente Zacky si allontanò dalle sue labbra e la guardò con occhi a mezz'asta, compiaciuto.

“Resta qui, stanotte”, mormorò quindi, soffiandole un po' del proprio respiro addosso.

Marta si morse un labbro e soffocò un gemito di frustrazione: quelle parole erano un esplicito invito a continuare il discorso, ovunque esso li portasse. Zacky le aveva appena chiesto di più – e lei che pensava di essersi già lasciata incantare a sufficienza da lui, per quella sera!

In un attimo le sue convinzioni sulla cultura straight-edge divennero trasparenti: come aveva fatto a scivolare nell'abitudine a non cedere ai propri istinti? Gli uomini erano animali e, in quanto tali, si cibavano di sensazioni e di emozioni... oppure no?

Portò una ciocca di capelli dietro all'orecchio e lentamente abbandonò il letto.

“Devo tornare nella mia stanza”, disse senza poca convinzione, combattendo contro alla vocina interiore che minacciava di mandarle in frantumi i nervi, con le sue urla e le sue imprecazioni.

“Puoi farlo domani mattina.”

La tastierista lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure, cercando di capire cosa fare. Le scelte erano soltanto due: rimanere e mandare all'aria tutto ciò su cui aveva basato gli ultimi cinque anni della sua vita, oppure andare via e addormentarsi con la testa annebbiata dai pensieri. Inspirò a fondo prima di decidersi a distogliere lo sguardo e rispondere.

Non posso farlo.”

“Se è quello che vuoi...”

Una serie interminabile di insulti si fece largo nella testa della tastierista ma lei si costrinse ad ignorarli. Quella stupida vocina chiamata istinto! No, non l'avrebbe avuta vinta, quella squinternata dal tono stridulo: lo avrebbe salutato e sarebbe tornata alla vita di sempre, così come avrebbe fatto anche lui, e il mondo non avrebbe certo smesso di girare soltanto perché aveva detto di no alla prospettiva di una notte di sesso. Aveva visto Zacky aggirarsi per i corridoi dell'albergo con una donna per mano così tante volte che davvero non riusciva a non pensare di essere l'ennesima bambolina con cui il chitarrista volesse divertirsi un po'... Sesso occasionale, lo chiamava la gente. L'antitesi perfetta della scelta di vita a cui lei aveva aderito, tutto ciò da cui aveva mantenuto le distanze fino a quel momento.

“Non posso farlo”, ripeté senza più un briciolo di convinzione, mentre sistemava il vestito ormai prossima ad andarsene, “Ti auguro una buona notte.”

Zacky la fissò con occhi incuriositi, poi la accompagnò alla porta. La frustrazione non aveva ancora dato cenni di cedimento ma Marta non desiderava altro che una doccia ghiacciata e una sana dormita, nella speranza di placarla una volta per tutte.

“Allora buonanotte.”

 

Credits: 'Livin' On The Edge' by Aerosmith.

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Capitolo 10
*** I - Orange County Blonde And Blue ***


 

PARTE PRIMA
10.

ORANGE COUNTY BLONDE AND BLUE

 

I've sacrificed enough for this life,
so get the fuck out of my way

 

25 Ottobre 2006

Il risveglio di Marta non fu dei migliori.

Intorno alle nove del mattino Amber si era presentata davanti alla sua porta supplicandola di accompagnarla in un breve giro per le vie del centro di Wolverhampton; a quanto sembrava, la modella doveva aver inspiegabilmente deciso di voler spendere un po' del proprio tempo insieme alla migliore amica del proprio fidanzato, prima di ripartire alla volta di Orange County.

Nonostante le occhiaie grige ben radicate sul suo viso pallido e i continui sbadigli, Marta proprio non se la sentì di rifiutare l'invito. Se non altro, lo doveva a Brandan.

Così si vestì con dei jeans blu e con una maglia nera a stampa bianca e lasciò che Amber decidesse dove andare: la tabella di marcia sembrava essere lunga e loro, grazie al cielo, non avevano molto tempo a disposizione. Brandan, impegnato per tutta la mattinata in un'intervista doppia insieme a Matt, sarebbe tornato intorno all'ora di pranzo e Amber era stata molto chiara riguardo al fatto di volersi far trovare nella loro camera d'albergo, quando lui vi avesse rimesso piede.

“Vuoi un caffè, tesoro?”, le domandò Amber con tono impaziente. Marta abbandonò i propri pensieri e scosse la testa, appoggiando un gomito al tavolo della caffetteria e lasciando cadere la testa sulla mano aperta.

“Un the?”

“Magari una spremuta di arancia.”

La cameriera ferma accanto al loro tavolo segnò le ordinazioni e si dileguò.

Vitamina C. Ottima scelta per riprendere un po' di colore. Mi sembri più pallida del solito, sei sicura di sentirti bene?”

“Si, ho solo qualche ora di sonno arretrato e...”

“Beh a partire da domani avrai tutto il tempo per farti una bella dormita. In fondo, stasera avrete un concerto impegnativo! Ah, non vedo l'ora che il mio bambino cresca abbastanza da poter vedere suo padre al lavoro.”

Marta sorrise all'idea di un piccoletto somigliante a Brandan fisso ad osservare il proprio padre con grandi occhioni spalancati.

“Sai, voglio essere sincera con te”, cominciò la modella quando furono arrivate le ordinazioni, afferrando a due mani la tazza di caffè fumante, “Ti ho sempre vista così vicina a Brandan da sentirmi gelosa. Ecco, l'ho detto: sono stata gelosa di te. Totalmente assurdo, non è vero?”

Marta recepì il sottile velo di malizia nascosto tra le righe di quella frase ma decise di fare finta di niente.

“Ma Brandan me lo ha detto così tante volte: sei soltanto un'amica per lui. Certo, una buona amica, ma non potrebbe mai pensare a te in un modo diverso da questo. Mai, capisci?”

Marta sollevò un sopracciglio. Era parso solo a lei o Amber stava cercando di convincerla che con Brandan sarebbe stata una partita persa in partenza? Se solo quella donna fosse stata un po' più attenta alle dinamiche tra loro, avrebbe saputo che nessuno dei due considerava l'altro un soggetto interessante, sotto quel punto di vista. Si volevano un gran bene ma la cosa finiva lì.

“E io lì a insistere sul fatto che, dopotutto, sei una bella ragazza e sei sempre in mezzo a tutti questi omaccioni tatuati e di sicuro ti ci senti a tuo agio... sai, nel mio mondo siamo tutte donne e la rivalità tocca picchi preoccupanti”, sorrise in modo tirato e Marta serrò le labbra in una smorfia.

“Insomma, stavo davvero rasentando il ridicolo con quella storia ma lui mi ha detto che non era davvero il caso. Ora sono più tranquilla, nonostante debba partire e lasciarlo tutto per te”, un altro sorso di caffè, “Spero di non esserti sembrata troppo acida, parlandoti di questa cosa.”

“Figurati”, esclamò Marta fingendo la pazienza che stava gradualmente perdendo, “Ti ha detto la sacrosanta verità: siamo solo amici.”

“Bene perché, detto tra noi”, si avvicinò di una spanna al centro del tavolo e le fece cenno di fare la stessa cosa, “Se venissi a scoprire che tra di voi è successo qualcosa, qualsiasi cosa, diventerei una vera iena.”

“Dovrei sentirmi minacciata?”

Amber rise di gusto e indietreggiò, tornando alla propria posizione composta e sbattendo freneticamente la palpebre in un'espressione scioccata. “Non scherzare nemmeno, tesoro! Come ti viene in mente?”

“Devo aver capito male, allora”, sospirò e rigirò tra le mani il bicchiere di spremuta ormai giunto alla fine, lanciandole un'occhiata di ammonimento, “Brand non sarebbe felice di sapere che la sua donna e la sua migliore amica non vanno d'accordo, non trovi?”

“No, certo, non gli piacerebbe per niente.”

Le due donne scambiarono un'occhiata in tralice, poi regalarono l'una all'altra un sorriso a trentadue denti e, dopo aver lasciato i soldi dell'ordinazione sul tavolo, uscirono alla volta del negozio successivo. La mattinata trascorse senza altri intoppi, soprattutto dal momento in cui le due decisero all'unanimità di non spendere più nemmeno mezza parola su Brandan. A Marta quella donna continuava a non piacere ma, considerando la gravidanza e tutto il resto, il minimo che potesse fare era cercare di mantenere con lei un rapporto di pacifica convivenza. Ad un certo punto Amber controllò l'orologio e prese ad agitarsi per via del ritardo, così tornarono in fretta e furia all'hotel. Per la modella sarebbe iniziato da lì a poco un pomeriggio di fuoco con il proprio uomo, mentre a Marta sarebbe toccato l'ennesimo giro per le vie della città in compagnia della macchina fotografica e di uno di quei terribili cartellini che conservava in fondo alla valigia.

 

*

 

“Esci?”, domandò Derek comparendole accanto e prendendola in contropiede.

Marta sollevò per aria la propria macchina fotografica, ben conscia di possederne una molto meno prestigiosa di quella dell'amico e il batterista annuì serafico. “Posso farti compagnia?”

“Certo che puoi.”

“Ho proprio bisogno di fare due passi.”

L'espressione di Derek era pensierosa, le spalle ricurve a mo' di guscio protettivo. Sebbene lo conoscesse da molti anni, Marta non lo aveva mai visto così spento e la cosa bastava a metterle addosso una certa apprensione quasi materna. “Ti senti bene?”, gli domandò quando superarono la grande porta a vetri della hall, mettendo piede in strada.

“Me la cavo”, rispose l'altro in tono evasivo, “Sei a buon punto?”

Entrambi osservarono la macchina fotografica con un pizzico di perplessità.

“Ho fatto poche foto e mia sorella non ne sarà contenta.”

“Si vede che hai avuto altro di meglio da fare...”

Puntò l'obiettivo contro l'amico e lo incitò a sorridere. Derek stiracchiò leggermente le labbra e accennò una smorfia spiacente, in seguito alla quale piagnucolò un: “Non vengo bene nelle foto.”

“Non è vero! Guarda qua”, gli passò la fotocamera e attese un commento all'immagine che vi era ora impressa, ottenendo in risposta un'energica scrollata di testa.

“Sono più a mio agio dall'altra parte dell'obiettivo.”

“Un giorno mi dovrai far vedere le tue fotografie.”

“Quando vuoi, lo sai.”

“Dal momento che ti vedo sempre con la macchina fotografica tra le mani, immagino che il tuo archivio sia un bel po' fornito. Quando torneremo dal tour e avrò il tempo che meritano le guarderò tutte!”

“Sempre che tu abbia ancora tempo per queste cose”, mormorò a denti stretti il batterista, ma Marta non sembrò sentirlo, troppo presa a fotografare lo sfondo meraviglioso che si stagliava dietro al cartellino.

“Non mi hai ancora detto nulla riguardo alla notizia di Brandan e Amber.”

“Cosa vuoi sapere, esattamente?”

“Voglio sapere cosa ne pensi, so che Amber non ti va così a genio.”

“È che nel tempo ho avuto modo di vedere lati di lei che non mi piacciono.”

“Un esempio...?”

“Nah, lascia stare. L'elenco è un po' lungo e non credo tu voglia davvero sorbirti le mie lagne a riguardo. Diciamo che non la ammiro ma la digerisco per il bene di Brand. E poi ora che avranno un bambino sarà tutto diverso.”

“Diverso sarà diverso, sicuramente. Un neonato non può che cambiare tutto.”

“Brand sembra completamente concentrato su ciò che diventerà la sua vita da qui a nove mesi. È pazzesco!”

Derek annuì pacatamente, grattando con estrema lentezza la barba lasciata incolta da qualche giorno. “So che non sono cose che mi riguardano ma credo che parlarne con te non mi manderà dritto all'inferno per diffamazione o cazzate del genere: l'altra sera li ho sentiti discutere animatamente e poi qualcuno, forse Brandan, è uscito dalla stanza sbattendo la porta. I muri degli alberghi non sono poi così spessi e io non avrei potuto evitare di ascoltare nemmeno se avessi voluto.”

“Quando ne ha parlato con me, e anche quando l'ha detto a tutti voi, mi è sembrato tranquillo.”

“Ho avuto la stessa impressione.”

“Allora forse hanno soltanto avuto una piccola discussione e poi hanno chiarito. Non ricordi cosa si sono detti, la sera che li hai sentiti litigare?”

“In realtà non sono riuscito a captare granché. Ero nel bel mezzo di... ero impegnato. Comunque mi sembra di aver sentito ripetere ad Amber 'te lo giuro' e a Brandan di 'andare a farsi fottere'. Solo questo.”

Marta lo scrutò attentamente con occhi indagatori, poi riprese con sé il cartellino e mosse alla volta di un chiosco di pizza e panini lungo la strada, improvvisamente affamata. Riusciva senza troppi problemi ad immaginare il vertice di quella discussione: con tutta probabilità Amber aveva detto a Brandan di essere incinta e poi gli aveva spiattellato tutto sul tradimento, o viceversa. Dunque Brand non era stato fin da subito disposto a perdonarla e a lasciar correre sulla questione! Non appena Amber se ne fosse andata, Marta avrebbe parlato al suo migliore amico e gli avrebbe chiesto le spiegazioni che non aveva avuto la prontezza di domandargli la sera precedente, subito dopo la grande rivelazione. Tuttavia Derek non avrebbe sentito una sola parola a riguardo, perlomeno non per bocca sua. Brandan poteva avere i suoi buoni motivi per non voler spiattellare a destra e a manca del tradimento subito e lei, seppur dalla privilegiata posizione di migliore amica, non aveva alcun diritto né desiderio di specularci sopra.

“Sono parole abbastanza frequenti, quando si litiga”, considerò salutando con un cenno della mano il negoziante, “Vorrei un trancio di pizza. Prendo quella con i peperoni. Tu, Der, vuoi mangiare qualcosa?”

“Sono a posto così.”

“D'accordo, allora prendo solo quello e una bottiglietta di acqua frizzante.”

“Le scaldo il trancio in un secondo.”

“Grazie, aspetto qui”, poi tornò a rivolgere l'attenzione al batterista, “A proposito di argomenti impertinenti...”

“Ho capito, vuoi sapere cosa stavo facendo mentre loro litigavano.”

“No, in realtà volevo sapere se avevi notizie di Isabelle e Scott, ma... perché avrei dovuto chiederti cosa stavi facendo?

Derek coprì la bocca con entrambe le mani e prese ad alitarci sopra, sfregandole tra loro di tanto in tanto. “Brr, comincia a fare freddo qui, non trovi?”

“Eccone un altro che cambia discorso. Siete tutti uguali, voi uomini.”

Cosa le stava nascondendo?

“Non cambio discorso! Però ammetti che fa un freddo polare.”

Il problema, con Derek, era sempre lo stesso: quando si trattava di cose che lo riguardavano da vicino, il batterista diventava particolarmente riservato. Difficilmente si riusciva a cavargli di bocca qualcosa di cui non volesse parlare e, anche riuscendoci, non si riceveva mai il resoconto completo ma solo qualche piccolo pezzo del puzzle, da utilizzare per ricavare da sé il resto della storia.

“Si, l'aria è un tantino gelida, in questo posto”, dovette ammettere, arrendendosi di fronte all'inutilità di continuare l'interrogatorio.

“In questi momenti rimpiango Orange County e le sue temperature estive.”

Il commerciante richiamò l'attenzione di Marta proprio quando la donna stava per aprire bocca e controbattere, porgendole un cartoccio fumante ed una bottiglietta dall'etichetta blu e gialla.

“E così Amber se ne torna in America, stasera.”

“Già. Stamattina mi ha praticamente buttata giù dal letto per portarmi in giro per la città. Ha detto di voler trascorrere del tempo insieme alla futura madrina di battesimo di suo figlio ma poi la conversazione è diventata un po' strana: credo che quella donna abbia paura che io cerchi di portarle via Brand.”

“Ma siete solo amici... no? O mi sono perso qualcosa?”

“Non ti sei perso assolutamente niente!”

“E poi mi è sembrato che tu fossi interessata a ben altra tipologia di uomo.”

“Ovvero?”

“Vuoi che ti faccia una descrizione dettagliata?”, ironizzò Derek, accomodandosi accanto a lei su una panchina di fortuna scelta per permetterle di mangiare in pace il proprio pranzo. Masticando con più foga del dovuto, Marta tornò con il pensiero alla notte precedente e alle sensazioni provocate da quell'incontro di lingue dal sapore galvanizzante. “Alto, occhi azzurri, passione smodata per piercing, tatuaggi e alcolici...”

“Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”, mugugnò con occhi lucidi di malizia, “E ora raccontami qualcosa che ancora non so.”

Derek le lanciò una lunga occhiata, poi sospirò arreso all'idea di aver trovato un osso duro quanto lui. “Eri al corrente dell'ultimatum che Isabelle ha dato a Scott prima di partire?”

 

*

 

Dietro le quinte, seduta a terra a guardare il palco, Marta si accorse per la prima volta di aver memorizzato buona parte del testo di M.I.A., la stessa canzone che ora gli Avenged Sevenfold stavano sparando a tutto volume contro ad una folla impazzita e che lei stava canticchiando tra un movimento e l'altro della testa, in perfetto sincrono con le parole cantate da Matt.

Johnny, che si era avvicinato al backstage per risolvere un piccolo problema legato ad un cavo difettoso, si era sorpreso nel vederla recitare a memoria uno dei loro testi e le aveva regalato un sorriso riconoscente prima di tornare sul palco.

La data di quella sera era stata l'unica a non aver raggiunto la soglia del sold out per la vendita dei biglietti e sia Luke che Simon avevano più volte espresso il loro scontento a riguardo, dimostrando ancora una volta di avere aspettative molto alte anche sul piano economico, oltre che dal punto di vista qualitativo.

Brandan e Matt, in quanto leader delle proprie band, si erano fatti carico di quella ramanzina e avevano deciso di tentare tutto il possibile per fare in modo che la gente desiderasse supportarli anche dal vivo, cominciando a promuovere massicciamente album e tour durante qualsiasi intervista li vedesse protagonisti.

Quando Marta fu pronta a salire sul palco, Zacky le si avvicinò. “Fagli il culo a stelle e strisce”, augurò asciugandosi alcune goccioline di sudore dalla fronte.

La tastierista lo occhieggiò divertita e raggiunse la propria postazione dalla parte opposta del palco, accompagnata da un boato generale che la gonfiò di orgoglio.

Poco dopo la band fu al completo e lo show poté cominciare.

Quando lo spettacolo fu terminato, Marta percorse con passo sicuro il backstage con l'asciugamano bianco ancora appoggiato sulle spalle con l'intento piuttosto ovvio di asciugarla dal sudore e proteggerla da qualche colpo d'aria. Non avrebbe saputo spiegare il perché ma sentiva il bisogno di muoversi, di fare qualcosa. L'adrenalina continuava a tenerla attiva e l'idea di doversene già andare a dormire la atterriva a morte.

Passò davanti ai visi provati e sudati della propria band, poi sfilò accanto alla troupe, incurante delle loro espressioni interrogative.

Aveva fame in una intensità tale da annebbiarle la vista, lo stomaco in preda a borbottii e crampi neanche fosse rimasto a digiuno per mesi, e sentiva il bisogno impellente di bere qualcosa di fresco, così da reintegrare i liquidi e i sali minerali persi durante lo show.

Uno dei tecnici le mise davanti una bottiglia di acqua da due litri e Marta ci si attaccò avidamente, deglutendo quanto più liquido riuscisse a mandar giù, prima di vuotare il resto del contenuto sulla propria testa e sulle spalle.

“Vuoi prenderti un accidenti?”, gridò Luke gettandole addosso una coperta a righe blu, rosse e bianche, “Che ti salta in mente?”

“Fa caldo.”

“Hai la minima idea di quanti cazzo di gradi ci sono, là fuori? Te lo dico io: ce ne sono tre! Tre gradi di merda!”

“Non urlare, Luke, non ho mica intenzione di uscire al freddo con i capelli e i vestiti bagnati!”

“E va bene”, accese un sigaro e le sbuffò un po' di fumo in piena faccia, provocandole qualche colpetto di tosse, “Ma ti avverto che se prendi la febbre te la fai passare, e in fretta.”

“Sta' tranquillo, non ho due anni!”

“Certe volte mi sembra di lavorare in una scuola elementare”, borbottò il manager allontanandosi verso l'uscita del backstage. Marta lo seguì con lo sguardo, scuotendo la testa con espressione piccata; Luke era agitato per la questione del mancato sold out certo, ma questo non giustificava quel suo cipiglio arrogante da uomo di successo che ha a che fare con delle mezze seghe.

Il suono di una risata la fece voltare. Zacky era a qualche metro da lei e parlava con qualcuno che, a giudicare dall'espressione divertita del chitarrista, doveva appena aver regalato al mondo la battuta meglio riuscita di sempre.

Lo scrutò attentamente, scostando una ciocca di capelli bagnati dietro all'orecchio, e sospirò: ci aveva pensato su ed era arrivata alla conclusione che impedirsi di andare a letto con Zacky non le avrebbe evitato di desiderare di andare a letto con Zacky.

Non era una cosa nelle sue corde ma, al diavolo, la vita era pur sempre una sola.

E poi non avrebbe infranto nessuna regola, sempre che di regole si potesse parlare: la cultura straight edge non imponeva nulla, anzi suggeriva di prendere le proprie decisioni per conto proprio, senza lasciarsi fuorviare da qualsiasi cosa potesse facilmente alterarne la percezione.

E, nella fattispecie, questa era una decisione presa per conto proprio.

Pensò per l'ennesima volta che l'uomo avesse una risata strana, quasi infantile e si ritrovò a sorridere di riflesso, senza avere un vero e proprio motivo per farlo. Il sorriso, però, le morì in gola quasi all'istante: Zacky abbracciò il proprio interlocutore, una donna dal seno prorompente e dai capelli rosa, e sussurrò qualcosa.

Da quel punto del backstage, Marta non riuscì a comprendere nemmeno una delle parole che la bocca del chitarrista aveva pronunciato ma, a giudicare dal bacio audace che la donna dai capelli rosa gli aveva dato in risposta prima di lasciarsi spingere verso la porta del camerino degli Avenged Sevenfold, immaginò dovesse trattarsi di una qualche proposta a continuare la serata in modo più produttivo. Un moto di frustrazione si fece largo nello stomaco della tastierista e la bottiglia vuota che ancora teneva tra le mani finì dritta contro il muro, precipitando a terra con un tonfo.

Non lo biasimava: era un ragazzo affascinante, famoso, giovane. Libero, anche se sicuramente Vanessa avrebbe avuto qualcosa da obiettare a riguardo.

Idiota”, imprecò a voce bassa contro se stessa, “Pensavi davvero di poter avere a che fare con uno come lui secondo le tue regole? Ti facevo più sveglia, Marta.

“Parli da sola, nocciolina?”

“In realtà c'è ben poco da dire.”

Le stava bene: l'aveva rifiutato e aveva perso la corsa. Fine della storia.

“Con chi ce l'hai?”

“Con la mia demenza.”

“E perché?”, la squadrò con un sopracciglio alzato, forse domandandosi il motivo di quei capelli bagnati e della coperta sulle spalle.

“Lasciamo stare.”

Il batterista si aprì in un sorriso amichevole. “Un dollaro per i tuoi pensieri.”

“Questa volta non funziona, Rev.”

No?

“No”, accennò un sorriso spiacente e strizzò i capelli in un'acconciatura a chignon improvvisato, poi mentì: “Sto morendo di sonno, credo me andrò dritta a letto.”

“Vengo insieme a te. Ho sonno anch'io.”

Camminarono in completo silenzio fino a che non videro i due grandi tour bus parcheggiati con le luci accese. Jimmy la salutò ricordandole l'appuntamento del giorno dopo per le prove in quello studio di registrazione di Londra e sparì con molta lentezza dietro alla porta del pullman della sua band. Ormai sola nel bel mezzo del parcheggio, Marta serrò le braccia conserte al petto e si chiuse nelle spalle, prendendo a camminare senza una vera e propria meta facendo lo slalom tra questa o quella automobile. Un leggero venticello le accarezzò il viso, regalandole un brivido di freddo e ricordandole di essere coperta soltanto da una canottiera e da una coperta ormai umidiccia, così dovette decidersi a tornare al proprio tour bus e restarsene lì tranquilla fino a che non fosse rientrato alla base anche il resto della band, pronti per ripartire.

Improvvisamente ripensò a Brandan e alla partenza di Amber. Se la memoria non la ingannava, la modella doveva trovarsi nel pieno del check in in aeroporto proprio adesso... forse non era nemmeno riuscita a godersi la fine del concerto.

“Certo che ci ho pensato bene! Non farmi prediche del cazzo...”

La voce di Brandan ruppe il silenzio come un fulmine a ciel sereno, attirando immediatamente l'attenzione di Marta, la quale cominciò a guardarsi intorno con aria interrogativa.

“Se avessi saputo che ci sarebbe stata una reazione simile, non avrei aperto bocca. Anzi, guarda, fa' come se non avessi mai chiamato.”

Marta non era ancora riuscita a capire da che parte del parcheggio arrivasse la voce di Brandan, ma cominciava ad esserle piuttosto chiaro che l'amico fosse nel bel mezzo di una conversazione telefonica privata di cui lei, senza volerlo, stava ascoltando ogni parola. Non lo aveva mai sentito così arrabbiato.

“E va bene, riparliamone pure quando saremo un po' più calmi, come dici tu. Ma sappi che fino a quel momento non voglio sentirti per niente, sono stato sufficientemente chiaro? Bene!

Ma che diavolo stava succedendo?

 

Credits: 'Orange County Blonde and Blue' by Bleeding Through.

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Capitolo 11
*** I - A Little Piece Of Heaven ***


 

PARTE PRIMA
11.

A LITTLE PIECE OF HEAVEN

 

We were more than friends before the story ends
And I will take what's mine

 

26 Ottobre 2006

Era la prima volta che metteva piede in uno studio di registrazione così singolare: le pareti – tinteggiate con mille colori, ricordavano una sorta di arcobaleno astratto – e le luci – soffuse ma numerose – conferivano all'ambiente un'aura quasi solenne.

“Non ho mai visto nulla di simile!”

L'entusiasmo che Jimmy non riusciva a nascondere aveva contagiato anche Marta, convincendola che da quell'incontro campato per aria sarebbe sicuramente nata la collaborazione perfetta.

Fuori continuava a piovere e il cielo aveva assunto un colore grigiastro ben poco promettente ma lì dentro, dentro a quello studio caleidoscopico, nulla di tutto ciò sembrava importare. Un uomo dall'aria pacata li condusse silenziosamente verso una porta, sulla parte opposta del corridoio da cui erano entrati.

La sala era molto piccola ma non per questo meno accogliente.

Marta individuò immediatamente il pianoforte a coda, nero e lucido, e ci si fiondò come se non ne avesse mai visto uno; Rev invece si concesse dapprima un giro di perlustrazione, strabuzzando gli occhi di fronte a strumenti musicali in cui non si era mai imbattuto prima, per poi avvicinare uno sgabello al pianoforte e osservare le dita di Marta scivolare ora su questo e ora su quel tasto.

“Davvero un bel posto, non trovi?”

La tastierista annuì, socchiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dalla melodia sconosciuta che aveva iniziato a prendere forma.

“Cosa stai suonando? È una vostra canzone?”

“No, per ora sono solo note a caso, tanto per riscaldarmi.”

“Mi piace. Prova ad andare un po' avanti.”

“D'accordo”, riaprì gli occhi e si sistemò meglio sul divanetto, “Proviamo.”

Ne uscì una sorta di marcia funebre che non convinse appieno nessuno dei due. I tentativi continuarono per un'ora buona durante la quale nessuna melodia sembrava soddisfare appieno Marta, nonostante Jimmy avesse più di una volta espresso il proprio entusiasmo riguardo a questo o a quel passaggio.

“Inizio a pensare che scrivere musica per qualcun altro sia dannatamente difficile!”

“L'essere autocritici è un'ottima cosa”, considerò il batterista grattandosi il mento, “Ma tu esageri. Hai suonato una miriade di cose geniali, in quest'ora, e non te ne è piaciuta nemmeno una, nocciolina.”

“So di poter fare meglio di così e credo meritate più di quanto ho fatto finora.”

“Di solito è Matt che pensa alle parti al pianoforte e ti assicuro che pagherebbe oro per avere le tue capacità.”

“Sei troppo buono.”

“Sono solo obiettivo.”

Marta sorrise dell'espressione seria di Jimmy e riprese a suonare. Quando componeva musica per i Bleeding Through era diverso: sapeva cosa serviva alla sua band e conosceva bene tutti i testi e ciò che vi si celava dietro. Ma per una band che non era la sua... tutto diventava più difficile, la sua sicurezza scivolava via e la lasciava sola con le sue paranoie di non essere all'altezza del compito. Chiuse gli occhi e immaginò che quella che stava suonando fosse una canzone per Brandan e gli altri.

“Questa è perfetta!”, urlò Jimmy dopo aver sentito solo qualche nota.

“Aspetta a dirlo, non è ancora finita.”

Carta e penna le comparvero velocemente davanti al naso. “Segna ogni fottuto passaggio: la voglio nel nuovo album!”

“Però...”

“Sempre che tu non voglia tenerlo per la tua band.”

“No”, riaprì gli occhi e lo osservò attenta, “Se davvero ti piace, questo sarà il mio regalo per voi.”

“Scherzi? Anche ai ragazzi piacerà un casino.”

“Basta solo che Matt non abbia problemi con questa cosa. Hai detto che di solito se ne occupa lui...”

Facendo cenno a Marta di pazientare un paio di secondi, Jimmy afferrò il proprio cellulare e lo portò con aria sbrigativa all'orecchio.

“C'è una cosa che devi sentire”, disse tutto d'un fiato quando sentì la voce di Matt dall'altro capo del telefono, “Marta è un genio, cazzo!”

Si udì quello che sembrò l'invito a continuare il discorso e Jimmy inspirò.

“Sai quella canzone a cui lavoriamo da tempo? Si, proprio quella. Marta ha appena suonato un pezzo con i contro cazzi ma ha paura che per te sia un problema... Si, d'accordo.”

Prendendola in totale contropiede, Jimmy le passò il telefono e la esortò a dire qualcosa. Marta schiarì la voce e avvicinò cauta il cellulare all'orecchio.

“Ciao Matt.”

“Cosa ti salta in mente di pensare ad una cazzata del genere?”

“Beh, credevo che...”

“Credevi male!”, riuscì chiaramente a immaginare le fossette che si erano appena andate a creare sul viso di Matt, “Sono mesi che stiamo su quella canzone senza riuscire a buttare giù nulla! Mi hai solo tolto un problema!”

“Spero che sia davvero quello che stavate cercando.”

“Se Jimmy è così entusiasta dev'esserci un motivo, no? Non è che hai tirato giù un pezzo che poi non riesco a suonare?”

“Guarda che non sono mica la Pianista sull'Oceano! E poi sono sicura che la suonerai mille volte meglio di me.”

“Certo, come no? Ti sento suonare tutti i giorni, ricordi?”

“Dovresti credere un po' di più nelle tue capacità, Matt!”

“Dì cosa vuoi ma appena avrai tempo pretendo delle lezioni di pianoforte da te.”

“Ma non ne hai bisogno!”

“Mi faccia sapere quando è libera, prof.”

Uno sbuffo. “E va bene, poi ne parliamo. Ci vediamo più tardi.”

Pigiò il tasto rosso e riconsegnò il telefono al proprietario.

“Cos'ha detto?”

“Ringrazia ma ha paura che io abbia riscritto un classico per pianoforte e vuole che gli dia delle lezioni.”

Jimmy rise. “Sarà terrorizzato all'idea di doverla imparare!”

“Ma è davvero bravo a suonare il pianoforte, non ha bisogno del mio aiuto.”

Una scrollata di spalle e si ritrovò di nuovo di fronte ad un block-notes sventolante. “Giuro che sarai la prima a sentire la canzone terminata.”

Promesso?”, sollevò gli occhi al cielo e afferrò la penna, pronta a prendere appunti.

“Promesso”, Jimmy annuì con aria solenne, “E ora dacci sotto con la seconda strofa!”

 

*

 

Il concerto era stato strepitoso.

Per un motivo o per un altro, l'intera band dei Bleeding Through sembrava avere numerosi pensieri a frullargli per la testa capaci di infondere in ciascun membro una grinta inaspettata da esibire sul palco: Marta non riusciva a smettere di pensare alla sera precedente senza provare frustrazione per la scena che le si era presentata davanti; Brandan appariva adirato oltre ogni logica e la tastierista immaginò che fosse per via della telefonata ben poco affabile avuta la sera precedente, chissà con chi; Derek pestava sulle pelli della batteria con aria impensierita; Scott pizzicava le corde della sua chitarra con fare incarognito e i due bulli parevano avere qualcosa su cui riflettere da quando Luke li aveva convocati per parlargli delle loro cazzate costate alla band palate di soldi in risarcimenti a destra e a manca.

Una volta scesi dal palco, Marta tentò di parlare con Brandan ma questi lamentò una certa stanchezza e si allontanò verso il tour bus. Forse non valeva la pena preoccuparsi per una telefonata un po' troppo sopra le righe, pensò la tastierista tamponandosi la fronte con un asciugamano. Magari aveva semplicemente avuto da ridire con Amber o con qualche suo amico. In fondo, Brandan era grande e vaccinato e, se avesse avuto davvero bisogno di parlare o sfogarsi, sarebbe andato da lei prima che da qualsiasi altro. Sospirò della propria apprensione e seguì l'afflusso di musicisti diretti al tour bus, impaziente di arrivare in albergo e fare una doccia.

Quando fu ora di uscire a cena, Marta infilò un paio di jeans a vita bassa, dei tacchi e un maglioncino grigio e rosso e si fece trovare davanti al bancone della hall. Ben presto scoprì che nessuno dei suoi compagni di band sembrava voler mettere del cibo sotto i denti, quella sera, e decise di accettare l'invito di Jimmy e degli altri a cenare insieme in un ristorante non molto distante dall'albergo.

A cena terminata Jimmy, Matt e Johnny si sfidarono all'ennesima partita alla PlayStation. Marta prese in considerazione la loro proposta di seguirli ma poi vide Syn e Zacky infilarsi le loro giacche di pelle e farle cenno di avvicinarsi e in un attimo la voglia di vincere contro quei tre giocatori incalliti si affievolì di colpo.

“Stiamo andando in un locale in centro, ti unisci a noi?”

“Volentieri. Come ci arriviamo?”

Syn mosse indice e medio nell'aria e simulò una camminata.

“D'accordo. In fondo non siamo poi così distanti dalla città, no?”

 

*

 

Camminavano ormai da una decina di minuti e Marta iniziava a non sentire più i piedi. Perché cavolo aveva deciso di mettersi quegli scomodissimi tacchi?

Una lieve pioggerellina sembrava volerli accompagnare fino a destinazione, inumidendo jeans e giacche. Molta gente per la strada sembrava averli riconosciuti e ora un gruppetto di ragazze cercava di farsi coraggio a vicenda, spingendosi l'un l'altra ad avvicinarsi a loro, mentre i rispettivi fidanzati lanciavano furtive occhiate interessate nella direzione della tastierista, ma nessuno dei tre musicisti sembrò farci troppo caso.

Da un paio di minuti la discussione si era incentrata su un racconto di Syn dai risvolti esilaranti ma Marta non riusciva a concentrarsi a sufficienza da poter cogliere la sfilza di battute e sottintesi imbastita dai due chitarristi. L'unica cosa che le era chiara era che una delle maggiori presentatrici d'America aveva contattato Syn per richiedergli un'intervista e lui l'aveva scambiata per qualcun altro, dando il via ad una serie di infiniti equivoci.

“Penso che se quella donna avesse saputo per quanto tempo ci ho riso su, non si sarebbe mai scomodata a chiamarmi!”

Marta si sentì afferrare la mano e abbassò lo sguardo, giusto in tempo per osservare le dita di Zacky intrecciarsi impavide alle sue. Per qualche strana ragione, il cuore prese ad accelerare la sua corsa, rimbombandole impaziente nella cassa toracica. Scrutando di sottecchi la tranquillità di Zacky, la donna quasi si vergognò di quella sensazione dal retrogusto adolescenziale che avvertiva nel petto; il chitarrista camminava e parlava e rideva senza però degnarla di uno sguardo, come se l'idea di prenderla per mano fosse la cosa più naturale del mondo. Eppure quelle dita la stringevano con decisione, quasi gelose.

Ma dai, e poi chi credevi che fosse?”

La risata di Syn la convinse a tornare alla realtà e subito la forte luce di un lampione la accecò, ingrigendole la vista per qualche secondo.

“Ma non lo so... Di sicuro non una cicciona con sessant'anni sulle spalle e un programma in prima serata!”

“Che figura di merda.”

“Giuro che ci ho messo davvero un po' a capirlo. Voglio dire: la voce era quella di una che sa cosa vuol dire fare il proprio dovere con un uomo... Scusa la bassezza del discorso, Marta.”

Una scrollata di spalle servì a rassicurarlo e bastò a incitarlo a continuare. Per quanto fosse divertente ascoltare quel genere di aneddoti della vita di Synyster Gates, non era quello il chitarrista fulcro delle sue attenzioni.

Più cercava ad evitare di guardare Zacky, più i suoi occhi finivano a fissarsi su di lui, in una specie di giochino sadico a cui non riusciva a smettere di dare corda.

Arrivarono al locale dopo un'ulteriore mezz'ora abbondante, accompagnati dalle esultanze di Syn che, neanche a dirlo, sentiva il bisogno di bere qualcosa dopo tutti quell'attività fisica e quei chilometri a piedi.

“Sono disidratato, cazzo!”

Una band parecchio casinista si stava esibendo su un palco di fortuna, a pochi metri da loro, proponendo una versione personale di Holiday dei Green Day.

“A quanto vedo il banco degli alcolici è laggiù”, suggerì Marta sciogliendo la morsa della mano di Zacky per indicare un punto indefinito della sala. Syn congiunse le mani e si riprodusse in un piccolo inchino di ringraziamento, prima di insinuarsi tra la folla e raggiungere una bottiglia di Jack Daniel's nuova di zecca.

L'alito caldo di Zacky si scontrò contro il suo collo. “Vuoi qualcosa da bere?”

Annuì. “Andiamo anche noi al...”

“Vado io. Tu dimmi solo cosa prendere.”

Sorprendimi.”

Nell'esatto istante in cui pronunciò quella parola, Marta aggrottò la fronte: come minimo Zacky le avrebbe portato un bicchiere di qualche schifezza alcolica e magari l'avrebbe anche convinta a berlo tutto quanto. Sorpresa!

L'uomo controllò distrattamente la folla, “Mi aspetti qui?”

Marta annuì di nuovo e lo osservò allontanarsi con occhi spalancati. Nonostante cercasse di guardare altrove, lo sguardo continuava imperterrita a seguire i movimenti del chitarrista: lo scambio di battute con il barman, le occhiate distratte lanciate alla band durante l'attesa, le ragazze che lo avevano tallonato prima di notare i due bicchieri tra le sue mani e dileguarsi con la coda tra le gambe.

“Ce ne andiamo da qui?”, propose con un cenno del capo quando le fu di nuovo di fronte, “C'è troppa gente, non si respira.”

Marta recuperò il proprio bicchiere e tentò di immaginare cosa fosse quel liquido quasi nero che lo riempiva fino all'orlo. “Dove vuoi andare?”

“Il barista ha detto che oltre quella porta laggiù c'è un'altra saletta.”

“Fammi strada.”

La mano di Zacky afferrò nuovamente la sua, guidandola in mezzo alla calca che affollava il locale. Mentre camminava tra la gente a piccoli passi, nella speranza di non inciampare con i tacchi su qualche bottiglia sparsa sul pavimento, alcuni ragazzi ammiccarono nella sua direzione ma Marta non fece nemmeno in tempo a notarli che subito il loro sguardo andò a posarsi sulla stretta possessiva che le dita di Zacky esercitavano intorno al suo esile polso e il loro sorriso scomparve.

“Manca solo che si mettano a sbavare, quegli stronzi”, mormorò Zacky quando arrivarono davanti alla porta della saletta, tenendola aperta per farla passare. Marta sollevò un sopracciglio e fece per domandargli a cosa si stesse riferendo ma in un attimo si ritrovò catapultata in una stanza decisamente diversa dalla precedente e lo sguardo prese a vagare ora a destra e ora a sinistra della sala. Pareti rosso fuoco, divanetti di pelle nera, grandi vetrate che affacciavano su un giardino privato un po' spoglio, in perfetta linea con l'autunno europeo.

“Wow”, esclamò prendendo posto su uno dei divani, occhieggiando stupita le poche altre persone presenti. Zacky prese posto accanto a lei e sollevò il bicchiere, facendolo scontrare con il suo. “Cheers.”

Diceva sempre cheers quando voleva brindare. Le piaceva sentirglielo dire, lo pronunciava con un tono basso e psichedelico che la ammaliava ogni volta. Ripetendo quella stessa parola, Marta incrociò il suo sguardo e si sentì vagamente intontita, nonostante avesse appena appurato che quella nel bicchiere fosse della semplice e analcolica Coca-Cola. Nell'aria si era profuso il profumo intenso e pungente dell'acqua di colonia di Zacky.

“Simon dice che dobbiamo cominciare le registrazioni del nuovo album.”

“Si, Jimmy mi ha accennato qualcosa. Ma quando?”

“Presto”, sospirò e posò il proprio bicchiere sul tavolino di vetro davanti a loro, per poi sistemarsi meglio sul divano, “Forse dovremo lasciare il tour.”

“Ma... potete farlo?”

La risposta fu uno sbuffo ricolmo di sarcasmo, correlato da un'occhiata divertita. Le dispiaceva pensare di non condividere più il proprio tempo con quelle persone.

“La gente ha già comprato i biglietti e il tour è appena cominciato!”

“Se Simon si mette in testa una cosa, non c'è Santo o clausola di contratto che tenga.”

“Ma non può farlo! Luke andrà su tutte le furie e così anche la casa discografica.”

“Certo che può. Sembra che siano stati loro a dargli l'idea”, Zacky appoggiò un gomito alla spalliera del divano e serrò un pugno che gli sorreggesse la testa, sorridendo. La guardava come si guarda una ragazzina a cui si deve insegnare tutto e questo le lasciava uno strano retrogusto di amaro in bocca. E poi, se gli Avenged Sevenfold avessero troncato il tour non li avrebbe più rivisti. Certo, c'erano le cene di famiglia che Brandan organizzava da sempre e a cui sicuramente, d'ora in poi, avrebbe invitato anche loro, e c'erano anche quelle schifosissime cerimonie di consegna dei premi alle quali ogni musicista si doveva presentarsi in abiti costosi ed eleganti in attesa di sentire pronunciare il proprio nome – ammesso che qualcuno si scomodasse a pronunciarlo.

“Mi sembra un'idea stupida. Le cose stanno andando bene, il tour va a gonfie vele e voi...”

“Lo so.”

Marta si costrinse a bere un generoso sorso della propria bibita, così da tenere a freno la lingua. Non era a lui che doveva presentare le proprie rimostranze. Al diavolo, non potevano farle questo! Dove cavolo erano finiti tutti quei bei proverbi in stile squadra che vince non si cambia se poi a metà dell'opera venivano prese queste decisioni? Sbatté le palpebre e si avvicinò cautamente al gomito del chitarrista, appoggiando la testa accanto alla sua e guardandolo di sbieco. La voglia di assaggiare il gusto delle sue labbra ora era alle stelle.

“Non giocare, Marta”, sussurrò lui posandole un piccolo bacio tra i capelli. Possibile che anche quel lieve contatto potesse procurarle brividi simili?

Lentamente la donna sollevò la testa e gli si portò a pochi centimetri dal naso.

“Non sto giocando.”

Un bacio veloce, una piccola traccia del passaggio sulla sua bocca.

“Per questo lanci il sasso e poi nascondi la mano?”, mormorò attirandola a sé e sorridendole sulle labbra. Marta si avvicinò maggiormente; ora che lo spazio tra loro era stato annullato del tutto, la mano di Zacky prese a percorrerle dolcemente la schiena e il corpo di Marta si irrigidì. Una piacevole sensazione di calore si espanse nel suo bassoventre e la voglia di passare la notte con lui sopraggiunse a oscurarle i pensieri. Desiderava Zacky come non aveva mai fatto con nessun altro uomo. Restarono a baciarsi per diverso tempo, accarezzandosi e cercandosi e intrecciando con nuova avidità le proprie lingue e le proprie mani. Nell'aria fluttuavano parole non dette, desideri, aspettative.

“Chiedo scusa”, li interruppe una voce sconosciuta e entrambi si voltarono a guardare spazientiti l'ospite inatteso: davanti a loro si ergeva la possente figura di un buttafuori dall'aria minacciosa, le braccia conserte.

Mentre Marta scostava una ciocca di capelli dietro all'orecchio in attesa di sentire cosa avesse da dire quell'energumeno, Zacky gonfiò leggermente il petto.

“Siete voi due... Zacky e Marta?”, domandò leggendo i loro nomi da un bigliettino.

“Perché?”

“Il vostro amico è qui fuori e vi sta aspettando.”

“Syn?”, domandò retoricamente Marta.

“Sui documenti c'era scritto Brian Elwin Haner Jr. Ho dovuto allontanarlo dal locale e devo chiedervi di fare lo stesso.”

“Cos'è successo?”

“C'è stata una rissa, di là, e qualcuno ha rischiato di farsi molto male.”

Syn?”, ripeté allora, questa volta in tono allarmato.

“Il vostro amico sta bene. L'altro ragazzo, però, se l'è vista brutta. Io non ho idea di chi voi siate ma la gente dice di avervi riconosciuto e io vi dico che spettacoli come questi non sono proprio un toccasana, per delle rockstars famose.”

“Guardi che...”

Non ho finito. Forse in America siete abituati a fare quello che volete ma qui in Europa le regole sono altre. E ora vogliate seguirmi fuori.”

L'uomo afferrò l'avambraccio di Marta e la strattonò.

“Toglile le mani di dosso”, saltò su Zacky sistemandosi tra loro, “Sappiamo andarcene da un locale anche senza che uno stronzo ci sbatta fuori a calci.”

“Come volete”, l'uomo scrollò le spalle e fece loro cenno di seguirlo, “E non si dica che sono stato scortese con una donzella.”

Zacky lo sorpassò a passo iroso e uscì dalla saletta, seguito a ruota da Marta e dal buttafuori, che faceva da chiudi fila. Al loro passaggio la gente prese a bisbigliare e non furono poche le parole di protesta scagliate contro alla decisione della guardia di fargli lasciare il locale. Diverse persone allungarono le loro mani per toccare ora il petto di Zacky e ora il braccio di Marta in segno di appoggio.

Una volta in strada Zacky raggiunse Syn, il quale si era seduto sul gradino del marciapiede in attesa del loro arrivo, e gli lanciò un'occhiata in tralice.

“Che cazzo hai combinato?”

“La gente è pazza! Quello mi è venuto contro e continuava a istigarmi!”

“Lascia stare”, espirò l'altro accendendosi una sigaretta e offrendone una all'amico, “Certe persone non sono a posto col cervello.”

“Dovevate vederlo!”, una nuvola di fumo salì in aria e li circondò, “Era ubriaco marcio e continuava a dirmi che se volesse potrebbe prendersi la mia fottuta vita e pulircisi il culo. Testuali parole: pulircisi il culo! Ce l'aveva con la mia band, con la mia musica. Ha pure insultato la mia donna.”

“Hai una donna?”, domandò Marta d'istinto con la fronte aggrottata e subito si pentì di quella domanda senza capo né coda. Chiese scusa a bassa voce e continuò la propria marcia verso l'albergo in silenzio.

“E poi quel buttafuori del cazzo è venuto da me e mi ha detto di andarmene. Pazzesco!”, inspirò altra nicotina e si rivolse a Marta, “Non ho una donna, per fortuna di quello stronzo, o l'avrei mandato dritto all'ospedale.”

“C'è pur sempre Mich”, ridacchiò Zacky.

“Michelle non è mai stata la mia ragazza. È stato Jimmy a convincere tutti del contrario.”

“Chi è Michelle?”

“La gemella di Val.”

“E chi è Val?”, domandò impaziente.

“Valary, la ragazza di Matt.”

Marta roteò gli occhi. “Oh, certo, come ho fatto a non arrivarci da sola?!”

“Comunque ho perso la scommessa con Jimmy e ho dovuto chiederle di uscire ma la cosa è finita lì, anche se lui si è divertito a ricamarci sopra.”

“Beh, Rev ha detto che siete tutti fidanzati”, mormorò Marta stringendosi nelle spalle. Zacky aspettò che lo raggiungesse e la circondò con un braccio.

“Non tutti, come vedi. Lui è libero”, ironizzò indicando Syn e lasciando che il fumo appena esalato le annebbiasse la visuale. Marta lo fulminò con lo sguardo e si districò dalla presa. Quindi lui non era affatto disposto a tornare libero. Si domandò che tipo di ragazza dovesse esser stata Vanessa, al tempo dei loro primi appuntamenti, e che genere di donna potesse essere diventata, così acida da dare al proprio uomo l'impressione di tenere più ai soldi che al sentimento eppure così furba da riuscire a non farselo scappare.

Il telefono di Zacky suonò e il ragazzo restò indietro di qualche passo.

“Ehi, tutto a posto?”, domandò Syn affiancandosi a Marta e gettando via il mozzicone della sigaretta ormai terminato.

“Si, sono solo stanca.”

“E lo sei diventata di colpo?”, ironizzò accennando un sorriso sghembo e infilando le mani nelle tasche della giacca di pelle, “Guarda che non tutto è come sembra.”

“E con questo cosa vorresti dire?”

“Che non sono così disattento come sembro. L'ho notato quando ti sei spenta.”

Aveva pronunciato quella frase in modo così compiaciuto e teatrale da farle pensare di essere di fronte ad un attore nel bel mezzo del suo prologo auto elogiativo. La verità, però, era che Syn non aveva tutti i torti.

“E...?”

“Gli piaci. Cazzo, gli piaci eccome. Ma è complicato.”

“Cosa è complicato?”, mugugnò sentendosi una bambina capricciosa.

“Tutto quanto. Fidati, lo conosco come le mie tasche.”

“Non capisco proprio cosa ci sia di complicato...”

Un'imprecazione li raggiunse, rompendo a metà il loro discorso; Zacky teneva il telefono davanti a sé e gli urlava contro, come se quella sottile scatoletta di plastica ed elettronica potesse davvero avergli fatto perdere ogni briciolo di pazienza che era in grado di possedere.

Quello è complicato”, fece una smorfia e si guardò intorno, “Mi è venuta fame. E a te?”

 

*

 

Quando Syn li salutò, a Zacky era già passata l'arrabbiatura da un bel pezzo. Avevano risalito la strada verso l'albergo in un tempo relativamente breve, chiacchierando di rado. Erano stanchi e pieni di pensieri.

Zacky le aveva nuovamente afferrato la mano lungo la strada del ritorno e solo ora Marta si era accorta di avere ancora le dita intrecciate alle sue.

Lo aveva portato davanti alla porta della propria stanza senza dire una parola e senza rendersi davvero conto di cosa stesse facendo. Si fermarono di fronte allo stipite e Zacky si chinò a darle un bacio, aggrappandosi ai suoi fianchi per attirarla a sé, ma lei lo allontanò appena e cercò in fretta e furia la chiave per la camera, eccitata.

“Entra.”

“Ti ho detto di non giocare...”

“E io ti ho detto che non sto giocando”, sorrise e lo tirò per un lembo della giacca di pelle. Zacky si lasciò attirare all'interno della stanza e richiuse la porta alle sue spalle con un rapido movimento del piede.

Marta non fece in tempo ad aprire bocca che subito il chitarrista la spinse contro il letto e la fece cadere a pancia in su sul materasso, per poi sovrastarla e zittirla con un bacio strafottente. La tastierista riusciva a sentire tutta l'eccitazione di Zacky tirargli i pantaloni, puntandole l'interno della coscia: quell'uomo la voleva. Il prima possibile.

Tentò di sollevarsi sui gomiti e ribaltare le loro posizioni ma lui le impedì di muoversi, schioccando le labbra con espressione di ammonimento. Da lì, stesa supina e con entrambe le braccia tenute ferme da una mano del chitarrista, Marta si sentì impotente e mugolò. Zacky si impossessò delle sue labbra e la costrinse nuovamente a tacere. La liberò dalla presa solo quando decise di armeggiare con la chiusura dei suoi jeans, strappandoglieli di dosso in men che non si dica. Gli occhi del chitarrista osservavano famelici il suo corpo nudo per metà, rimirando compiaciuto la sua pelle quasi diafana e Marta sentì un rinnovato calore diffondersi nella parte bassa del ventre, proprio dove ora le dita tatuate dell'uomo si stavano infilando senza pudore. Un gemito le sfuggì dalle labbra quando avvertì i suoi pollici aggrapparsi all'elastico degli slip con l'intento di sfilarli e gettarli a terra. Si sistemò meglio sul materasso e prese impercettibilmente a spingere con il bacino contro al dito medio che l'uomo aveva appena lasciato affondare con estenuante lentezza nella carne umida tra le sue cosce. Si stava forse prendendo gioco di lei e della sua lasciva sanità mentale? Se la risposta era si beh, stava facendo un ottimo lavoro. Un altro gemito, poi un sospiro e lui prese a muovere la mano a maggiore velocità, tornando a baciarle e a mordicchiarle le labbra e il collo. Nell'arco di pochi minuti, ormai al limite dell'eccitazione, Marta esplose in un orgasmo. Zacky la osservò tremare dagli spasmi, poi slacciò la cintura e liberò l'erezione dall'imbroglio dei pantaloni e dei boxer. Senza nemmeno lasciarle il tempo necessario per riprendersi del tutto, entrò in lei dolcemente, aumentando poi immediatamente la velocità e l'intensità dei colpi: ogni spinta equivaleva ad un sospiro, a un urlo soffocato, a un gemito liberatorio. Le loro bocche si cercavano, affamate. Quando fu prossimo all'orgasmo, Zacky le domandò se facesse uso di qualche anticoncezionale e lei disse di no perciò si riversò sul copriletto su cui avevano appena consumato l'amplesso e restò steso accanto a lei per qualche secondo, incapace di fare qualsiasi cosa.

Dopo un paio di minuti, sempre in completo silenzio, il chitarrista accese una sigaretta e si appoggiò con la schiena alla testiera del letto. Esalò del fumo e la guardò attraverso la lieve nebbiolina. “Ho bisogno di una doccia...”

E così lo fecero di nuovo, sotto lo scrosciare dell'acqua bollente.

Poi, sfiniti e appagati tornarono a letto, appallottolarono il copriletto impiastricciato in un angolo del pavimento e si addormentarono.

 

Credits: 'A Little Piece Of Heaven' by Avenged Sevenfold.

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Capitolo 12
*** I - Devil And Self Doubt ***


 

PARTE PRIMA
12.

DEVIL AND SELF DOUBT

 

How much more can you claim to care
About a lifestyle so unforgivable

 

27 Ottobre 2006

Per prima cosa, una volta che ebbe aperto gli occhi controllò l'orologio: era in ritardo, un'altra volta. Brandan le avrebbe fatto una bella ramanzina ma a lei, in quel momento, non poteva che importare un accidenti. E poi avrebbe sempre potuto spiegargli cosa aveva fatto quella notte e con chi, così forse la discussione si sarebbe spostata su nuove lamentele.

Si girò sul fianco opposto con l'intenzione di svegliare anche il ritardatario che dormiva accanto a lei ma tutto ciò che trovò fu il lenzuolo sfatto, sul materasso vuoto. Sospirò e camminò in punta di piedi fino al bagno, ritrovandosi a bussare contro il legno della porta chiusa. Un colpo, due, tre. Aprì la porta e scoprì che anche lì non c'era traccia del chitarrista. Se ne era andato senza dirle niente.

Il moto di sconforto che la assalì venne ben presto rimpiazzato da un'improvvisa e agguerrita rabbia. Zacky era abituato ad avere le donne che voleva e a fare ciò che più gli andava senza pensare alle conseguenze; erano state parole sue, no?

Beh, perlomeno si era tolta la soddisfazione di andarci a letto.

Combattiva fece una doccia, si cambiò e scese al bar dell'albergo nella speranza di riuscire a fare ancora in tempo a dedicarsi alla colazione. Seduto ad un tavolo un po' defilato c'era Brandan in compagnia della sua tazza di caffè.

“Ciao, fuggitivo.”

“Ciao, straniera.”

Imbattersi in una faccia amica la sollevò.

“Credo che noi due dovremmo parlare.”

“E di cosa?”

Arricciò le labbra e lo guardò di sbieco. “Del fatto che diventerai padre... o delle tue telefonate losche appena dopo che la madre di tuo figlio se ne è andata.”

“Cosa vuoi sapere di preciso?”

“Tutto quello che vuoi che io sappia.”

“Sono felice”, mormorò senza guardarla, scrollando le spalle.

“Ma quella lite...”

“Solo vecchie amicizie che non apprezzano le telefonate di cortesia. Nulla di cui preoccuparsi. Tu, piuttosto, dovresti imparare a non origliare...”

Marta abbassò lo sguardo, per nulla convinta: Brandan le stava nascondendo qualcosa ma forzarlo a parlare non sarebbe servito a nulla. E poi anche lei, dopo la notte appena trascorsa, custodiva un'informazione di cui non aveva molta volta di parlare. Già immaginava le parole dell'amico ad una confessione simile: le avrebbe detto che non era stata la decisione più saggia della sua vita e forse non avrebbe avuto nemmeno tutti i torti. Il pensiero di quelle mani sul suo corpo però bastavano a infonderle la certezza che ne fosse valsa la pena.

“Oggi è il gran giorno”, cambiò discorso.

“Direi che era anche ora, no?”

L'espressione di Brandan era tornata quella di sempre e Marta tirò un sospiro di sollievo. Se c'era una cosa che proprio non riusciva a mandare giù era vedere il proprio migliore amico afflitto da demoni interiori di varia natura.

“Si sa qualcosa riguardo alle riprese? Quando cominciamo?”

“Più che quando, la domanda da porsi è con chi.”

“Che tradotto per noi comuni mortali significa?”

“Che c'è una sorpresa per te.”

“Per me? Che...?”

“Beh, era una cosa per tutti noi ma sei rimasta l'unica a non saperlo.”

“Sapere cosa?”

Brandan sorrise sornione e prese a guardarsi intorno con aria innocente.

“Sapere COSA???”, ripeté alzando la voce.

“Allora è proprio vero che certe cose non cambiano mai”, ironizzò una voce femminile arrivandole alle spalle. Marta strabuzzò gli occhi e osservò il proprio migliore amico annuire e ridere, nemmeno avesse appena assistito alla riuscita di uno scherzo architettato per anni. Non riusciva a crederci: quel tono sagace e quel timbro particolare appartenevano davvero a chi immaginava? Si voltò cautamente, carica di aspettative: capelli biondi corti fino alle spalle, profumo rigorosamente maschile sulla pelle; indossava una camicetta bordeaux appena rigonfia sul davanti che ne accentuava le curve e una gonna nera a vita alta che le fasciava il busto snello e i fianchi ben proporzionati. Non c'era più alcun dubbio: quella di fronte a lei era proprio Alice in carne ed ossa. Marta la squadrò meglio e pensò che l'amica diventasse ogni giorno più bella.

Felice, le gettò affettuosamente le braccia intorno al collo. “Saranno passati secoli!”

“Eh, si. Qualcuno non ha più avuto un attimo libero...”

“Lo so, sono imperdonabile.”

Alice scoppiò a ridere in quel suo tipico modo genuino, caldo. “Stavo parlando di me!”

“Ma che ci fai qui?”, non riusciva a smettere di far scorrere lo sguardo ora sull'amica e ora su Brandan, “È pazzesco!”

“La signorina è diventata assistente personale di uno dei maggiori registi di videoclip dei giorni nostri: Maximilian Garner.”

“Non farla sembrare una cosa così seriosa, Brand. Max è un tipo davvero alla mano e io mi diverto come una bambina!”

“E quando mai non l'hai fatto?”

“Beh, solo in rari casi, effettivamente. Per certi versi questa donna è stata il mio angelo custode o chissà in che razza di guai mi sarei andata a cacciare.”

“Ma se ogni tre per due dovevo venire a raccattarvi in qualche postaccio...”

“Non è vero!”, sorrisero entrambe rifilandogli una leggera pacca dietro la nuca, come quando erano adolescenti e la loro unica preoccupazione era quella di non riuscire a raggiungere gli altri al molo di Orange County, storico luogo di incontro della compagnia. Quante ne avevano combinate insieme? All'appello mancava giusto Kristine, se non si contavano le saltuarie fidanzate dei ragazzi svanite nel nulla durante il corso degli anni, e la ciurma sarebbe stata di nuovo al gran completo.

“Ti ho pensata giusto qualche sera fa, sai?”

“Sul serio? Qualcosa mi dice che non c'è granché da fare, da queste parti.”

Neppure si fossero messe d'accordo, scoppiarono nuovamente a ridere.

“Siete ancora il caso perso che eravate da ragazzine, voi due.”

“Puoi ben dirlo! E ora che ti ho ritrovata non ti lascio più scappare, Tini!”

Tini: aveva dimenticato quel buffo soprannome che l'amica le aveva affibbiato ai tempi del liceo; aveva cominciato a chiamarla così per via della leggera somiglianza con una sua cugina rimasta in Italia da tutti conosciuta con quel nomignolo, e aveva continuato a identificarla in quel modo per molto tempo, o perlomeno fino al momento in cui si erano perse di vista.

“Prima che cominciate ad aggiornarvi sulle vostre malefatte degli ultimi anni, si può sapere quando cominceremo le riprese?”

“Presto, Brand. E comunque non pensare di sfuggirmi: voglio sapere anche delle tue malefatte. Di tutte quante.”

Il cantante sollevò le spalle e sbuffò. “Forse faresti meglio a raccontarmi le tue.”

“Ultimamente fa il misterioso anche con me.”

“Nascondi qualcosa, bell'imbusto?”

“Bell'imbusto?!?”

Sollevando le mani per aria in segno di resa, Alice sorrise spiacente. “Stavo solo scherzando!”

 

*

 

Una mezz'ora più tardi Marta era ancora insieme ad Alice, nel bel mezzo di un racconto entusiasmante legato ad un videoclip girato per i Trivium. Dio, quanto le erano mancate quelle chiacchierate e tutte quelle risate tra amiche! Viaggiare in giro per il mondo insieme alla propria band era sempre stata la massima aspirazione di Marta ma, per quanto considerasse ciascuno dei propri compagni come una parte irrinunciabile della propria famiglia, ritrovare una vecchia amica e trascorrere del tempo in balia di aneddoti e amenità da condividere l'una con l'altra riusciva a farla sentire davvero vicina alla felicità assoluta: in quel capannone adibito a set c'era tutto ciò di cui sentiva il bisogno in quel momento della sua vita: amici fraterni, risate vere, sentimenti leali.

“Si è capito quando cominciamo? Inizio ad annoiarmi”, mormorò Scott.

“Devo chiedere conferma a Max ma credo che inizieremo le riprese tra pochi minuti. Vado a chiedere e vi faccio sapere.”

E proprio mentre la donna si allontanava sui suoi tacchi alti, la porta di fronte a Marta e Brandan si spalancò e tutti i membri degli Avenged Sevenfold fecero il loro ingresso. Cosa ci facevano lì? Quello non era il set di un video per una collaborazione musicale tra le due band ed era abbastanza certa che nessuno li avesse invitati ad assistere alle riprese, dal momento che tutti loro detestavano sentirsi addosso gli occhi indiscreti dei non addetti ai lavori durante quel genere di impegni.

“Ehi, qual buon vento?”, domandò Brandan rivolgendosi a Matt. Il nuovo arrivato smise di guardarsi intorno e sfoderò le immancabili fossette, sfilando gli occhiali da sopra al naso.

“Ci annoiavamo e Simon ha detto che sarebbe stato meglio per noi osservare dei professionisti a lavoro piuttosto che starcene a zonzo per tutto il giorno.”

Fantastico”, mormorò Marta mentre con la coda dell'occhio notava lo sguardo di Zacky fisso su di lei, accompagnato da un lieve bruciore che cominciava ora ad irradiarsi nel suo stomaco.

“Sempre che per voi non sia un problema.”

Certo che lo era!

“Per niente! Laggiù trovate qualcosa da bere e delle poltroncine perciò mettetevi comodi e godetevi lo spettacolo.”

Che idea meravigliosa.

Tutti gli Avenged Sevenfold si dileguarono in direzione dei bicchierini di plastica impilati con minuzia sul tavolo e una serie di imprecazioni si fece largo nella mente di Marta. Accidenti a Brandan e alle sue idee del cavolo!

Osservò accigliata l'uomo con cui aveva trascorso la notte impossessarsi in completo silenzio e con sguardo perso nel vuoto di una poltroncina. Syn aveva detto che era complicato e lei avrebbe anche potuto accettare una cosa simile se solo qualcuno si fosse degnato di spiegarle qualcosina in più. Evidentemente non era stata che la storia di una notte quindi, da quella posizione, non avrebbe certo potuto avanzare pretese.

“Avanti, Tini. Stiamo aspettando solo te.”

Lo sbuffo divertito di Zacky all'udire quel soprannome non le sfuggì e l'ennesima fitta di fastidio le si irradiò nel petto. Forse stava esagerando ma quell'uomo l'aveva sedotta, aveva ottenuto ciò che voleva ben più di una sola volta e poi l'aveva abbandonata in una camera d'albergo senza nemmeno preoccuparsi di farle sapere che se ne stava andando.

“Terra chiama Marta!”, fece Scott accennandole di prendere posto dietro alla tastiera già posizionata ad arte sul set.

 

*

 

Fare finta di suonare le permetteva di far prendere largo ai pensieri. Non doveva per forza impegnarsi a pigiare i tasti giusti, bastava semplicemente che quando la telecamera la inquadrava lei ne stesse premendo qualcuno, anche a casaccio, giusto per dare l'impressione di essere completamente immersa nella melodia della canzone. Inoltre, durante le riprese si era accorta di sorridere spesso e volentieri all'obiettivo che il cameraman le puntava addosso o ai propri compagni di band.

Zacky sembrava come ipnotizzato dai suoi movimenti e lei, nonostante si fosse imposta di non darlo vedere, non poteva che crogiolarsi di quelle attenzioni. Il fatto era che lo sguardo che il chitarrista le aveva inchiodato addosso non somigliava certo allo sguardo di chi ha usato una donna per soddisfare i propri istinti e poi ha provato a liberarsene senza porsi troppi problemi, tutt'altro. In ogni caso Marta decise che avrebbe lasciato che fosse lui a fare una qualsiasi mossa, poiché lei si era già sbottonata abbastanza per fare andare le cose nella direzione giusta – sempre che si potesse definire direzione giusta la resa al desiderio e al piacere lussurioso nei confronti di un uomo potenzialmente dannoso e inaffidabile.

“NO! DITEMI CHE NON È VERO...!”, gridò d'un tratto Alice, passandosi una mano tra i capelli e scagliando un'occhiata ardente contro al cameraman che era inavvertitamente inciampato contro un cavo, tirandolo via dal gruppo elettrico e facendo spegnere l'intero blocco di luci. Il tecnico sbuffò delle scuse strascicate e strafottenti per nulla convincenti e Alice sollevò gli occhi al cielo, prendendo ad imprecare contro di lui a denti stretti.

Dal loro posto riservato gli Avenged Sevenfold scambiarono gli uni con gli altri occhiate colpite e Marta notò chiaramente uno sprazzo di ammirazione fare capolino sul volto fino a quel momento impassibile di Syn. Se solo Alice si fosse voltata in quel momento avrebbe visto uno dei musicisti più desiderati dell'ultimo decennio squadrarla con espressione interessata, quasi intimorita; chi avrebbe mai detto che un tipo spavaldo come lui potesse essere attratto da una donna di successo dalla forte personalità come Alice? Si sarebbe potuto obiettare che due teste calde non avrebbero portato a nulla di buono, insieme... e se, almeno per quella volta, non fosse stato così? Curioso osservare come e in quale misura le persone potessero ribaltare in un solo attimo un intero bagaglio di preconcetti altrui. Marta li immaginò insieme, belli e decisi com'erano, e un sorriso felice le spuntò in viso, neanche avesse avuto l'illuminazione del secolo.

Terminarono le riprese una quarantina di minuti più tardi e tutti scambiarono le proprie impressioni a caldo su questo o quell'altro passaggio del video, soffermandosi soprattutto sulla parte recitata abbastanza forte da inquietare un po' tutta la band. La ragazza che aveva recitato la parte della poveretta segregata nella casa degli orrori si era rivelata molto simpatica e alla mano e Scott le aveva subito chiesto di uscire. Era stato così che erano venuti a conoscenza del legame sentimentale che legava Carmen, così si chiamava, a Maximilian, il regista. Con la coda tra le gambe, allora, Scott aveva proposto ai compagni di band di uscire a fare due passi e Marta aveva accettato, nonostante avesse notato con la coda dell'occhio la mascella di Zacky serrarsi di più ad ogni gesto o parola di Scott.

“Possiamo parlare?”, la richiamò quando Marta fu sulla soglia.

“Di cosa vuoi parlare?”

Le mani erano infilate nelle tasche dei jeans e la camicia a quadretti era leggermente aperta sul petto, lasciando intravedere il DeathBat verdognolo tatuato appena sotto il collo.

“Indovina?”, ribatté sarcastico.

Marta inspirò e controllò la posizione di Scott, ormai arrivato a metà del piccolo parcheggio riservato del capannone.

“Andiamo a bere qualcosa?”

La tastierista rimase impassibile, senza dire una parola né muoversi di un centimetro.

“Senti, non so cosa ti aspettassi da ieri sera ma...”

Per la verità non era poi così arrabbiata. In fondo non stavano insieme e lei, seppur detestasse sentirsi usata come una bambola gonfiabile usa e getta, aveva fatto sesso con lui di sua spontanea volontà.

“Non mi aspettavo niente”, lo scansò appena e mosse un passo in avanti ma lui la fermò, “Lasciami andare, Scott mi sta aspettando.”

“Scott può aspettare ancora un po'. Voglio parlare con te.”

A ripensarci, un po' arrabbiata con lui lo era eccome anche se la sua parte razionale continuava a suggerirle che fosse stupido prendersela a quel modo.

“Ieri sera ci siamo divertiti ma oggi è un altro giorno... e io devo andare.”

“Non ti capisco.”

Sentirgli pronunciare quelle parole l'aveva un po' turbata; nemmeno lei riusciva a capirsi, da quando lo aveva conosciuto. Eppure quella faccenda le sembrava così elementare, adesso! Lei lo voleva... ma lui voleva lei? O era valso solo per la durata di una notte?

“No, infatti non hai capito proprio un bel niente.”

Lo lasciò lì senza nemmeno dargli l'occasione di controbattere; fu fuori nel parcheggio in una manciata di secondi e si strinse nelle spalle per proteggersi dal freddo pungente che l'aveva appena colpita.

Cosa le era saltato in mente? Non hai capito proprio un bel niente.

Perché diavolo non era rimasta in silenzio? Avrebbe potuto mordersi la lingua o il labbro, tenendosi così occupata e ben lontana dal dire cazzate.

 

*

 

“Ali, vieni qui un attimo. Voglio presentarti quegli scombinati che condividono il tour con noi”, disse Brandan facendo cenno a cinque ragazzi di avvicinarsi, “Lui è Matt, il cantante. Che rimanga tra noi ma è molto meglio il sottoscritto.”

Il diretto interessato roteò gli occhi e Alice sorrise.

“Poi abbiamo Johnny, la mascotte... e bassista.”

Johnny sbuffò divertito.

“Questo omaccione è Jimmy e non farti ingannare dalla sua aria minacciosa: lui è il perno di tutto questo. Se solo si lasciasse sfuggire quello che ciascuno di noi gli ha raccontato finora saremmo tutti rovinati.”

“Segreto professionale.”

Alice lo osservò affascinata, poi voltò lo sguardo verso la figura appartata del ragazzo che Brandan le stava giustappunto indicando.

“Zacky, chitarrista”, fece un cenno del capo nella sua direzione e si avvicinò al suo orecchio, abbassando la voce, “Marta sarà dirti più cose a riguardo...”

Alice annuì e si domandò cosa esattamente dovesse dirle l'amica. C'era stato qualcosa, tra lei e quel ragazzo? Le sembrava strano che Marta se ne fosse andata via insieme a Scott lasciando quell'uomo lì da solo a fissare con aria truce il pavimento. Forse non c'era stato nulla tra loro? Voleva e doveva saperne di più.

Brandan richiamò la sua attenzione e indicò un ragazzo che si stava ora avvicinando a loro con passo sicuro.

“E lui è Synyster Gates.”

Alice sollevò un sopracciglio e squadrò il nuovo arrivato con diffidenza, mentre Brandan arricciava le labbra e osservava la scena malcelando una certa curiosità. Per qualche secondo non volò una mosca, poi Alice corrugò appena la fronte.

“Cleopatra d'Egitto”, ribatté in tono sarcastico. Se il gioco era quello di presentarsi con nomi inventati di sana pianta, tanto valeva dare il proprio contributo.

Brandan scosse la testa ridendo e poi fu costretto ad allontanarsi dalla scena all'udire l'ennesimo richiamo da parte di Luke.

“Molto originale”, ironizzò lui afferrando il pacchetto di Marlboro dalla tasca del giubbotto di pelle, “Dalle tue parti è lecito fumare una sigaretta con un uomo appena conosciuto, Cleopatra?”

“Lo è se si è presentato.”

Syn infilò la sigaretta tra le labbra, lasciando che penzolasse appena a mezz'aria, e sembrò pensarci su un paio di secondi prima di accennare un sorriso sghembo dei suoi. “Touchè”, allungò la mano destra verso di lei, il muscolo dell'avambraccio teso, “Brian Elwin Haner Jr.”

Trattenendo una smorfia di divertimento, la donna strinse la mano tatuata. “Alice Ferri.”

“Piacere di conoscerti, Alice.”

“Piacere di conoscerti, Elwin.”

Scambiarono un'occhiata di intesa.

“Allora, questa dannata sigaretta?”

“E se io non fumassi?”

“Ma lo fai...”

Gli rifilò un'occhiata interrogativa e lui scrollò le spalle. “Ti osservo da un po'.”

La bocca di Alice si spalancò per lo stupore: come aveva fatto a non accorgersi che quell'uomo l'aveva osservata dimenarsi a destra e a manca urlando frasi sconclusionate in tono vagamente dittatoriale, sciupando tra le dita una sigaretta dopo l'altra? Avrebbe potuto mostrarsi al meglio delle sue forze e invece aveva finito per mostrare suo malgrado ogni suo più piccolo o grande difetto; il mondo sapeva essere davvero ingiusto, certe volte.

Touchè”, gli fece eco stiracchiando un sorriso e lisciando una ciocca di capelli biondi tra le dita, “Vado a prendere la mia giacca.”

Ripercorse il corridoio fino ai camerini con uno strano senso di euforia addosso.

 

*

 

L'orologio segnava le tre.

Marta si addormentò guardando la lancetta dei minuti muoversi appena ad ogni giro compiuto da quella dei secondi, più sottile e veloce.
Poi il telefono prese a vibrare.

 

From: Unknown; To: Marta;
Oct. 28, 2006 – 03.30 a.m.

Non mi piace che qualcuno con cui sto parlando
mi lasci lì come un coglione e se ne vada.

 

Dopo aver letto il messaggio un paio di volte, Marta salvò il numero in rubrica e tentò di riaddormentarsi.

 

From: Zacky; To: Marta;
Oct. 28, 2006 03.47 a.m.

E odio che si dia per scontato che
non abbia capito un cazzo.

 

From: Zacky; To: Marta;
Oct. 28, 2006 - 
04.38 a.m.

Semmai qui sei tu,
quella che non ha capito un cazzo.

 

 

Credits: 'Devil And Self Doubt' by Bleeding Through.

-

n.A.: Innanzitutto scusate davvero tanto per il ritardo ma sono nel bel mezzo del mio secondo trasloco in un anno e capirete che la mia testa è piena zeppa di scatole e mobili e tinte... AAAARGHHH!
Detto questo, come avrete probabilmente notato ho aggiunto alle info della storia il nome di Syn perché questa è si una storia inerente a Zacky ma Syn godrà di una buona fetta di notorietà perciò mi è sembrato giusto farlo presente... tra l'altro, Auguri ELWIN! :p
Da qui in poi, inoltre, al punto di vista (seppur in terza persona) di Marta si alternerà anche quello di Alice... spero gradirete!
Se vi va fatemi sapere qualcosa!
Grazie dell'attenzione e buona notte

rose_

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Capitolo 13
*** I - Acid Rain ***




PRIMA

13.

ACID RAIN

 

We stand on the edge now, we’ve come so far
Through all the dust it becomes clear
You will always be my heart

 

29 Ottobre 2006

“E così ti fai il chitarrista...”

Immersa nella tranquillità del grande parco, Marta strabuzzò gli occhi e osservò di sbieco l'amica che correva accanto a lei.

“Cosa? E chi te l'ha detto?”

“Si vede lontano un miglio, Tini! Lo sguardo intenso che ti ha lanciato stamattina è stato abbastanza eloquente.”

“Più che intenso direi omicida”, mormorò.

“Non ha l'aria da killer”, ridacchiò l'altra sistemando meglio l'auricolare dell'i-Pod; ne aveva messo solo uno e nell'orecchio più distante da lei così da riuscire ad interagire ma Marta riusciva benissimo a sentire le note di una famosa canzone dei Nickelback riecheggiare da quel piccolo aggeggio infernale, “A meno che tu non l'abbia fatto soffrire...”

Il sorriso radioso di Alice aveva da sempre il potere di dire molto più di quanto avrebbero saputo fare le parole.

“No, io non...”

“Allora avresti dovuto. Certe volte bisogna fargli capire che non pendiamo dalle loro labbra.”

“Oh, quello credo di averglielo lasciato intuire. Anzi, credo proprio di avergli lanciato il peggior messaggio che una donna possa mandare ad un uomo che le interessa.”

Improvvisamente Alice si fermò e Marta fu costretta a rallentare il passo fino a trovarsi nuovamente di fronte a lei.

“Ti decidi a raccontarmi qualcosa o vuoi che ti faccia un interrogatorio alla Jessica Fletcher?”

“La seconda?”, ironizzò lei sorridendo imbarazzata, “Che vuoi che ti dica? Mi piace. E questo non va per niente bene.”

“Perché?”

“Perché ha una ragazza, ad esempio. O perché è abituato a cambiarne una ogni sera e sono sempre tutte donne bellissime disposte a tutto pur di compiacerlo. E poi ovviamente c'è la questione straight-edge, ma lì è stata una mia scelta perciò è ancora un altro paio di maniche.”

A Marta non sfuggì il tipico roteare gli occhi che Alice sfoderava ogni qual volta si parlasse di quell'argomento.

“Lascia perdere quello stile di vita discutibile che avete scelto di seguire tutti quanti e concentrati solo sulle tue sensazioni. Si vive una volta sola, ok? Ci sei andata a letto, vero?”

“Come fai a...?”, sbuffò e annuì arresa, “L'altra sera.”

“E com'è stato?”, Alice fece una smorfia.

“Ali!!!”

“Ok, d'accordo, fa' come se non avessi parlato! Comunque sai che non sono un'amante delle relazioni clandestine ma credo che in questo caso lui abbia soltanto ceduto ai suoi istinti. E incredibilmente l'hai fatto anche tu.”

“Non è una relazione clandestina!”

“Comunque tu voglia chiamarla, il concetto rimane quello. Ma sinceramente meriti di più del secondo posto, Tini. Tu non sei la ruota di scorta di nessuno, ricordatelo sempre. E poi si può sapere perché sta ancora con quella ragazza se poi non ha avuto remore a venire a letto con te?”

“Non lo so. A me ha detto che non è più sicuro del loro rapporto e che ormai lei è interessata solo al suo conto in banca.”

“Ma continua a stare con lei”, mormorò Alice grattandosi il mento, “Dovresti parlargli. Insomma, considerando che non riesce a staccarti gli occhi di dosso credo avrete parecchio di cui parlare!”

Marta fece per aprire bocca ma Alice le puntò un indice contro, intimandole di farla finire.

“Quello ti vuole. Te lo dice una che l'ha visto giusto un paio di minuti e nemmeno bene... se me ne sono accorta anche così vuol dire che è proprio lampante!”

“Beh certo eri parecchio impegnata a lanciare occhiatine languide all'altro chitarrista per accorgerti di questo chitarrista”, ironizzò.

“Lascia perdere Brian, ora stiamo parlando del tuo Zaccaria.”

“Brian?!”

Zaccaria?! Marta dovette trattenere una risatina sul nascere. Se c'era una cosa che riusciva bene ad Alice era quella di storpiare i più disparati nomi internazionali in una traduzione molto maccheronica dal retrogusto italiano.

Ripresero a camminare, aumentando gradualmente la velocità.

“È quello che ha detto quando si è presentato... ha mentito?”

Marta sapeva bene che la capacità di Alice di tollerare le bugie altrui rasentava il nulla; proprio non accettava che qualcuno non fosse sincero con lei e, c'era da ammetterlo, come darle torto?

“Prima che le tue orecchie comincino a fumare: non ha mentito, si chiama davvero così – seguito da un altro nome assurdo che ora non ricordo”, ormai stavano correndo, “Solo che è strano sentirlo chiamare con il suo vero nome. Noi per comodità lo abbiamo sempre chiamato Syn, per non confonderlo con quella testa di sughero di Leppke.”

“Beh, ho visto la vostra intervista doppia qualche giorno fa e la faccenda dei soprannomi non è male.”

“Ma...?”

“Ma preferisco conoscere la persona che si cela dietro la maschera.”

Brian”, ripeté in tono pacato, quasi stesse rispondendo ad una domanda inespressa. Alice serrò le mani intorno ai fianchi e premette, rallentando il passo.

“Perché ci stiamo di nuovo fermando?”

“Vorrei sopravvivere almeno fino a stasera.”

Un sorriso malizioso le illuminò il viso. “Cosa succede stasera?”

“Niente”, riprese a camminare.

“No, non ci credo! Sei ancora ossessionata dalla scaramanzia! Guarda che parlare con un'amica non ti rovinerà le carte in tavola...”

“Tra 5 km c'è un punto ristoro!”, strillò l'altra ricominciando a correre. Marta prese a ridere e si costrinse a seguirla. Era certa che l'indomani avrebbe ottenuto il resoconto dettagliato dell'intera serata.

 

*

 

Nonostante la sicurezza ostentata il giorno precedente in presenza di Brian, a pochi minuti dal loro primo appuntamento Alice era un fascio di nervi.

Il fatto era che al momento delle dovute presentazioni lei già sapeva chi lui fosse: lo aveva visto in televisione, su qualche canale musicale tipo Mtv, e ne era rimasta affascinata, troppo colpita per riuscire ad impedirsi di alzare il volume del televisore al massimo per godere appieno della velocità del suo assolo, in quello che aveva tutta l'aria di essere un singolo promozionale scanzonato e provocatorio. Il titolo della canzone era Beast And The Harlot e Brian, in quel suo ruolo centrale, era a dir poco perfetto.

Quell'uomo si era mostrato intraprendente, sarcastico, sexy da perdere il fiato. E nonostante la sua fama di donnaiolo lo precedesse, l'impressione che Alice aveva avuto parlando con lui era stata quasi di esclusività, come se lui non avesse occhi che per lei, come se non aspettasse altro che chiederle di uscire a cena insieme. Adulatore.

Il bacio che aveva terminato il loro primo vero incontro era stato così intenso e passionale da lasciarle addosso il folle desiderio di riavere quelle labbra esperte il più presto possibile.

Il telefono vibrò appena sul legno della toeletta e Alice gli lanciò una rapida occhiata, il pennellino dell'eyeliner ancora tra le dita.

 

From: Elwin...!; To: Alice;
Oct. 29, 2006 – 08.12 p.m.
C'è una cosa che non riesco a togliermi dalla testa...

 

Sorrise e, riprendendo a disegnare la sottile e perfetta riga nera a ridosso della rima superiore delle ciglia, pensò che se il pensiero di Brian era anche solo vagamente simile al suo sarebbero stati entrambi da rinchiudere in una casa di cura per ninfomani.

 

From: Elwin...!; To: Alice;
Oct. 29, 2006 – 08.20 p.m.
Non vuoi sapere a cosa sto pensando?

 

Le scarpe col tacco nere laccate erano assolutamente il punto di forza dell'intero abbigliamento che aveva indossato. Non che il vestitino a tubino blu elettrico non le donasse, comunque. Nel complesso non si trovava elegante, perlomeno non nel senso stretto del termine.

 

From: Elwin...!; To: Alice;
Oct. 29, 2006 – 08.27 p.m.
Ultima chance per entrare nella mente di Synyster Gates, piccola

 

Chissà quante donne avrebbero voluto che lui le chiamasse così... E chissà quante avevano ottenuto ciò che volevano. Afferrò il telefono e pigiò qualche tasto.

 

From: Alice; To: Elwin...!;
Oct. 29, 2006 – 08.30 p.m.
Non sono ancora sicura di voler entrare là dentro...
Ho bisogno di un incentivo

 

Le piaceva mettere alla prova gli uomini che le interessavano. Si riteneva abbastanza furba e dispettosa da riuscire a fregare buona parte di loro con una sola frase, molte volte anche solo con una semplice parola.

 

From: Elwin...!; To: Alice;
Oct. 29, 2006 – 08.31 p.m.
Scendi.

 

Una parola autoritaria, vagamente erotica. Per quanto la riguardava l'aveva già convinta, nonostante non avesse la minima intenzione di lasciarglielo intuire e rendergli così le cose più facili.

Ormai, comunque, era ovvio che Brian non fosse come tutti gli altri uomini.

 

*

 

Doveva trovare Zacky e al più presto.

Kristine l'aveva appena salutata, nonostante la loro conversazione telefonica fosse stata alquanto scarna, e Marta aveva avuto l'impressione di non essere l'unica con qualcosa da nascondere. Non appena avesse avuto tempo l'avrebbe richiamata e le avrebbe chiesto di raccontarle tutto ma adesso, ore nove di una serata infrasettimanale fiacca e piovosa, l'unica cosa che le premeva era cercarlo e parlargli. Alice aveva ragione: era arrivata l'ora di mettere le cose in chiaro una volta per tutte.

“Ehi, nocciolina, dove te ne vai così di corsa?”, la salutò Jimmy mentre con una mano richiudeva a chiave la porta della propria camera d'albergo.

“Sai dov'è Zacky?”

L'espressione perplessa del batterista la convinse ad aggiungere dell'altro.

“Devo parlargli. È urgente.”

“Non so di che si tratta ma ho paura che dovrai aspettare ancora un po': è uscito.”

“E per andare dove?”

Allargò le braccia. “Non lo so. In giro.”

“In giro...”, ripeté afferrando il cellulare dalla tasca e portandolo all'orecchio, mentre si allontanava regalando a Jimmy un sorriso riconoscente.

Un primo beep la informò che il telefono stava suonando. Perlomeno non aveva avuto la brillante idea di spegnerlo e sparire così del tutto dalla circolazione.

Un altro beep le mise addosso una certa agitazione.

“Rispondi, maledizione!”

Quando la voce della segreteria telefonica si inserì, cominciando a recitare la solita vecchia storia del numero non raggiungibile a cui era possibile lasciare un messaggio nella speranza di essere richiamati, Marta riattaccò. Perfetto: non sapeva dove cercarlo e non aveva la minima intenzione di arrendersi tanto presto. Ormai sulla soglia del portone della hall, di fronte ad un acquazzone di portata torrenziale, sospirò e mosse un passo in direzione della strada.

 

*

 

L'insegna del ristorante in cui Brian aveva prenotato prometteva dell'ottimo cibo italiano, quattro stelle Michelin a sostenere la qualità del cibo e del locale.

Erano arrivati in quel luogo dopo circa quindici minuti di viaggio, lasso di tempo in cui l'uomo, dopo averla attirata a sé con mano ferma e famelica, l'aveva quasi portata all'orgasmo senza nemmeno sfiorarla, limitandosi a baciarla avidamente e ad ansimarle qualche frase di apprezzamento nell'orecchio. L'attrazione tra loro era alle stelle e Alice ebbe più volte l'impressione di essere in presenza di un uomo che conosceva da tempo, con cui non doveva preoccuparsi di nulla: quando rideva, lui rideva insieme a lei; quando lanciava qualcuna delle sue frasi provocatorie, ecco che lui riusciva a tenerle testa, ribattendo sfoderando quel suo mezzo sorriso sghembo che avrebbe fatto capitolare orde intere di ragazzine di tutto il mondo.

“Lo sai, vero, che sono italiana?”, lo punzecchiò una volta dentro al ristorante, seduta a gambe incrociate al loro tavolo. Portare una donna italiana a mangiare in un ristorante del genere poteva rivelarsi un'arma a doppio taglio.

“Perché credi che ti abbia portata qui, altrimenti?”

C'era da dire che già solo il fatto che un uomo del genere potesse aver avuto l'idea di portarla a cena in un posto simile, pur di farla sentire a casa, aveva del sovrannaturale – e bastava a renderlo ancora più attraente ai suoi occhi.

“Sono molto legata alle mie origini...”

“Quello l'avevo capito. Giuro che ho faticato parecchio a farmi entrare in testa che il tuo nome si legge Alice e non Elis.”

“Ah, era quello il pensiero che non riesci più a toglierti dalla testa?”, sorrise.

Non proprio.

“Comunque hai fatto fatica perché si legge all'italiana e non all'americana.”

“Si, ora mi è chiaro.”

Brian le versò del vino e Alice lo scrutò con occhi socchiusi: tatuaggi colorati spuntavano oltre il colletto di una maglia nera abbastanza aderente da permettere alla fantasia di galoppare verso lidi vietati ai minori, un piercing ad anello campeggiava sconsiderato sul naso fine, i capelli lunghi scendevano spettinati da sotto il cappello. Nel complesso era totalmente fuori linea con il resto dei clienti del locale e questo non poteva che aggiungere un senso di eccitazione alla percezione già abbastanza rapita che Alice aveva di lui.

“So che dovrei toglierlo...”

“Uh?”

“Il cappello.”

“Tienilo. Ti sta bene.”

“Cosa sentono le mie orecchie... un complimento da Alice Ferri.”

“Non ricominciamo con la storia dei nomi, Elwin.”

“Vedo che sai come ammazzare l'atmosfera”, ironizzò sollevando il bicchiere a mezz'aria, “Io odio il mio secondo nome.”

“Pensare che sul mio cellulare ti ho salvato così...”

Sorrise scuotendo la testa. “Dimmi cos'ha Synyster che non ti piace.”

Imitandolo Alice sollevò il proprio vetro e sorseggiò subito dopo un po' del liquido chiaro che esso conteneva, poi sollevò le spalle.

“Poco originale.”

La fronte del chitarrista si riempì di righe di perplessità.

“Non il nome in sé... ma, ammettilo, è abusato! Il mondo intero ti chiama così. Non mi piace avere l'impressione di condividere qualcosa con qualcuno che nemmeno conosco.”

“Condividere...”

Alice socchiuse gli occhi e sorrise, colta sul fatto. “Hai capito cosa intendo dire...”

“Mi piace questa storia del non voler condividere qualcosa.”

Ah, si?

Annuì pacatamente, senza toglierle gli occhi di dosso. “Se c'è una cosa che mi manda in bestia è quella di avere a che fare con cose di cui voglio l'esclusiva senza riuscire ad ottenerla. Quel che è mio è mio e basta.”

“Mi sembra giusto.”

Brian la osservò da sopra il bordo del bicchiere e si leccò appena le labbra.

“Ce ne andiamo?”

“Non hai più fame?”

“Non sai quanta.”

Il tintinnio dei tacchi risuonò all'interno del ristorante, veloce come l'urgenza del desiderio di chi li indossava. Alice non avrebbe saputo spiegare il perché ma aveva sempre più la sensazione di poter fare qualsiasi cosa per quell'uomo.

 

*

 

Dopo circa mezz'ora di camminata ininterrotta sotto alla pioggia, Marta si concesse qualche minuto di riposo e si sedette sul bordo di un marciapiede. Aveva provato a richiamare Zacky altre due volte e per entrambe il risultato era stato lo stesso ottenuto con il primo tentativo: zero assoluto. Sospirò.

 

From: Zacky; To: Marta;
Oct. 29, 2006 – 10.05 p.m.
Hai deciso di prenderti un accidenti?
Sei fradicia.

 

Istintivamente Marta prese a guardarsi intorno ma la pioggia le annebbiò leggermente la visuale. Dov'era? L'aveva vista, quello era certo.

 

From: Marta; To: Zacky;
Oct. 29, 2006 – 10.06 p.m.
Dove sei?

 

“Non sto scherzando, mettiti qualcosa sulle spalle.”

La voce era più vicina di quanto potesse sperare.

“Tutto quello che ho ce l'ho già addosso”, mormorò, “Hai visto le mie chiamate?”

“Si.”

“Non mi hai risposto.”

“No.”

Dal momento che Zacky non sembrava intenzionato a raggiungerla sul marciapiede, Marta si costrinse ad alzarsi e a raggiungerlo.

“Volevo parlarti.”

“Lo so.”

“So che forse non sono nella posizione per chiederti una cosa del genere ma...”

“Ho lasciato Vanessa.”

“Oh.”

“Già.”

“E quindi...”

L'aveva lasciata. Era sollievo quello che avvertiva sul petto?

“E quindi l'ho lasciata”, ripeté gettando via il mozzicone della sigaretta che teneva tra le dita, per poi lanciarle una lunga e intensa occhiata, “Era quello che volevi sentirti dire?”

“Non in questi termini.”

“Beh, stasera ho soltanto questi termini.”

“Scusa ma perché diavolo fai così, adesso?”

Le stava davvero sputando addosso tutto quel rancore senza senso?

“Ci ho pensato su tutta la notte.”

“E...?”

“Non me ne faccio un cazzo di una donna che non voglio.”

“Di chi stai parlando, adesso?”

Zacky le afferrò la testa tra le mani e la baciò con urgenza e in un attimo a Marta fu tutto clamorosamente chiaro.

 

*

 

Il muro del corridoio era freddo e schifosamente scivoloso ma ad Alice questo non importava per niente. Le mani di Brian le stavano percorrendo velocemente tutto il corpo, indugiando ora sul seno e ora sui glutei, fino a insinuarsi tra le sue cosce. Se qualcuno fosse passato di lì in quel momento, magari per raggiungere la propria stanza situata proprio su quel piano, li avrebbe colti in flagrante.

Nella foga, Alice era riuscita a slacciare i pantaloni di Brian e ora stava armeggiando con la sua erezione in attesa che quell'uomo così dannatamente sexy si decidesse ad afferrarla con forza per scoparla con violenza contro il muro, nel silenzio asettico di quel corridoio d'albergo.

“È troppo volerti solo per me?”, le sussurrò nell'orecchio affondando finalmente in lei. Alice gemette e gli morse il lobo di un orecchio, lasciando che quelle spinte veloci la portassero in breve tempo sulla via della perdizione.

“Mi conosci appena”, gli sorrise sensualmente sulla bocca.

“Non me ne frega un cazzo.”

Capiva perfettamente quel desiderio di bruciare le tappe: le sembrava di avere a che fare con lui da anni, senza però averne mai abbastanza. Per la prima vera volta avrebbe potuto dire di aver avuto il proprio incontro fortunato.

Un altro affondo, sempre più veloce e sempre più intenso. La sorreggeva con un braccio mentre con l'altro le teneva una mano bloccata contro il muro freddo, stringendo l'esile polso abbastanza forte da farle male ma abbastanza piano da lasciarle campo libero se avesse voluto liberarsi. Quel lieve dolore la stava facendo impazzire e le gambe le si cinsero maggiormente intorno al bacino dell'uomo, desiderose di sentirlo affondare ancora più in profondità.

“Quel che è tuo è tuo”, recitò ansimando, quasi al culmine.

L'ennesima spinta e Alice urlò, godendo di quell'orgasmo potente e inebriante, mentre Brian la stringeva a sé e continuava ad affondare in lei a velocità crescente, ormai anch'egli al limite.

 

 

Credits: 'Acid Rain' by Avenged Sevenfold.

-

n.A.: Scusate DI NUOVO per il ritardo! Spero sia l'ultima volta che succede ma mai dire mai perciò... chiedo scusa in anticipo se non ce la farò sempre a rispettare la scadenza del lunedì!
Detto questo: si, Syn e Alice sono molto diversi da Zacky e Marta... come avrete notato mentre i secondi ci hanno messo millemila capitoli a capire cosa volevano l'uno dall'altra, gli altri due sono stati molto più... ehm, veloci! Ma è una cosa voluta, perché sono personaggi molto diversi tra loro e volevo si notasse che anche le interazioni sono differenti.
Grazie come sempre dell'attenzione e buona notte!

rose_

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Capitolo 14
*** I - Rise ***




PARTE PRIMA

14.

RISE

 

A clean break that will never heal
is this the pain that was felt every day?

 

30 Ottobre 2006

Al momento in cui aprì gli occhi il suo corpo era ancora nudo, coperto solo dal braccio che Zacky aveva abbandonato a cingerle possessivamente la vita.

Avevano fatto sesso per tutta la notte – o almeno fino a che, sfiniti e sudati, non era diventato necessario arrendersi al sonno – e ora lui dormiva profondamente accanto a lei tra le lenzuola stropicciate di quel letto che trasudava appagamento.

Marta osservò di sottecchi il torace nudo di Zacky alzarsi e abbassarsi con regolarità e ancora una volta si perse a rimirare quei tatuaggi così colorati e psichedelici, mentre l'uomo si muoveva appena concedendosi un lungo sbadiglio.

“Buongiorno”, le disse con voce roca, ancora impastata dal sonno.

“Buongiorno”, ripeté lei trattenendo a stento un sorriso, “Dormito bene?”

“Non ho mai dormito così poco in vita mia.”

“Mi dispiace...”, mordicchiò la punta del pollice osservandolo con occhi da cerbiatto e lui serrò maggiormente la presa sul suo fianco, attirandola a sé.

“Il fatto che io abbia sonno non implica che non sia disposto a ricominciare tutto daccapo.”

Le baciò il collo e Marta avvertì una scia di brividi percorrerle la pelle. Poi improvvisamente si udì un tonfo provenire dal corridoio, così la donna si levò in piedi, afferrò la prima maglia che le capitò sotto tiro e si avvicinò perplessa alla porta mentre la testa di Zacky affondava nuovamente sul cuscino, arresa all'idea di dover rimandare tutto di qualche ora. Affacciandosi appena sul pianerottolo, prese a guardarsi intorno: non c'era nessuno se non si contava quella coppia di anziani completamente immobile di fronte all'ascensore, in attesa.

“Che cosa è successo?”

La voce di Alice la costrinse a voltarsi velocemente in direzione della stanza di Syn. “Che ci fai in quella camera?”, domandò retoricamente mentre un'espressione felice le illuminava il volto.

“La stessa cosa che fai tu là dentro”, le si avvicinò di qualche passo, socchiudendo appena la porta dietro di sé. Indossava una maglietta di diverse taglie in più della sua e qualcosa suggerì a Marta che, esattamente come per lei, anche l'amica non portasse assolutamente nulla sotto quel vestito improvvisato.

“Immagino non abbiate parlato molto, voi due.”

“Ieri sera, mentre tornavamo in albergo... e poi potrei dire la stessa cosa di voi.”

Alice annuì con occhi sognanti. “Tini, devi credermi: quell'uomo”, indicò la porta della camera di Syn alle sue spalle, “è una vera e propria macchina del sesso.”

Un tintinnio li avvisò dell'arrivo dell'ascensore sul piano ed entrambe si fermarono a guardare in completo silenzio i due anziani lanciare nella loro direzione uno sguardo di nauseata disapprovazione prima di sparire dietro alle porte scorrevoli.

“Li hai visti?! Ci hanno guardate come se fossimo delle poco di buono solo perché indossiamo delle magliette da uomo e abbiamo le gambe scoperte! Certa gente è davvero retrograda...”

Alice si schiarì la voce. “Credo non fosse quello il problema.”

“E allora cosa...?”

“Presumo abbiano visto di me qualcosa in più delle gambe, ieri sera.”

“In che senso?”, spalancò gli occhi. “No, non dirmi che...”

“Si, l'abbiamo fatto nel corridoio. Due volte.”

“La camera era solo un paio di metri più in là!”

“Non sarebbe stata la stessa cosa...”

“Siete due esibizionisti?”, la scrutò ad un palmo dal naso e con occhi socchiusi.

“Scherzi?”

“Dopo questa rivelazione direi proprio di no!”

“Non dirmi che, in un momento del genere, tu avresti avuto la forza di protestare riguardo alla scelta della location!”

“No, certo che no, però...”

“Se ci foste stati tu e coso avresti fatto lo stesso, ti conosco fin troppo bene!”

“Ah, adesso lo chiami coso?”, sbuffò scuotendo la testa e l'altra sorrise. Poi scambiarono un'occhiata complice carica di commenti a cui non servivano parole. Si, l'avrebbe fatto anche lei. E si, l'amica avrebbe tartassato Zacky tanto quanto aveva fatto con i precedenti ragazzi con cui era uscita.

“Perciò ne è valsa la pena?”

“Da metterci la firma. Credo di...”

I due anziani di poco prima spuntarono nuovamente da dietro alle porte scorrevoli, sibilando per suggerire di fare silenzio. Alice li osservò tirando un sorriso a metà tra il dispiaciuto e lo smettete di farvi i cazzi miei e abbassò la voce fino a sussurrare. “Credo di non aver mai avuto così tanti orgasmi multipli in una sola sera.”

Marta si preparò a ribattere ma il cigolio di una porta la precedette, attirando l'attenzione di entrambe. Synyster se ne stava fermo sulla porta, lo sguardo ancora assonnato e soltanto un paio di boxer indosso.

“Deduco che Zee s'è liberato della zavorra...”, mormorò.

Zavorra!”, ripeté in tono sarcastico Alice, scuotendo la testa.

“Lei sa di cosa sto parlando”, la ammonì pizzicandole un gluteo, facendola saltellare sul posto e ridere di riflesso, “Felice di darti il benvenuto in famiglia.”

“Oh. Grazie”, Marta sorrise impacciata. Un paio di cose su Syn le aveva capite, in fondo: non era uno troppo incline ai sentimentalismi ma, quando se ne presentava il momento, sapeva riconoscere alle persone la loro giusta importanza.

“E ora devo ricordare alla tua amica un paio di cosette basilari per andare d'accordo con il sottoscritto”, ironizzò afferrando Alice per il bordo della maglietta per poi tirarla verso la stanza, “Ci si vede stasera.”

 

*

 

La folla che si stagliava di fronte a lei era immensa, non riusciva a vederne la fine nemmeno alzandosi in punta di piedi. Se quella era la visuale dal backstage, chissà che immagine pazzesca doveva presentarsi da sopra il palco! Tutta quella gente in attesa di guardarli, di ascoltarli.

Ora che ci pensava bene, quello era il primo live a cui assisteva da tempo e questo non valeva solo per i concerti dei Bleeding Through; ascoltava ogni giorno decine e decine di canzoni e aveva a che fare con una band diversa ogni settimana ma si trattava sempre di singoli estratti da uno studio album e di incontri di lavoro piuttosto asciutti in vista delle riprese di un nuovo video, poca roba se paragonata ad un concerto e alle emozioni che questo riusciva a smuoverle nel profondo. Inoltre vedere le mani di Brian alle prese con la sua chitarra stava riportando i suoi pensieri indietro di qualche ora, quando al posto delle corde di acciaio pizzicate a dovere c'era il suo corpo nudo e pronto.

Si sentiva una ragazzina alle prese con la prima cotta ma la cosa, nonostante i suoi venticinque anni suonati, non la disturbava affatto.

“Quelle ragazzine stanno tentando di incenerirti con lo sguardo”, disse una voce maschile familiare, quella di Derek, vestita di un tono particolarmente divertito. Alice lo guardò storto e fece una smorfia. “Saranno invidiose del mio vestito”, ironizzò.

“Credo siano più gelose delle occhiate fameliche che Syn continua a lanciarti...”

“Ma figurati! Sta suonando, come fa a guardare per di qua?”

“Vuoi che te lo spieghi?”, la schernì Derek scuotendo la testa, “Tra lui e l'altro non ne fanno mezzo, oggi: guarda che occhiaie! Cosa gli avete fatto?”

“Perché credi sia colpa nostra?”

“Vi ho visti insieme, prima... e immagino non siano il genere di ragazzi che prende per mano una donna per sport.”

“Beh, lo spero per loro”, mormorò lanciando l'ennesima occhiata colpita nella direzione del diretto interessato, scovandolo nel bel mezzo di un assolo da capogiro.

“Lo spero anche io o è la volta buona che qualcuno ne canta quattro a quella gente.”

“Come, scusa?”

Di che stava parlando? E poi cos'era questo velo di novella tensione che si avvertiva ora nell'aria? Da come parlava sembrava che Derek avesse un conto aperto con loro... o era stata la stanchezza a giocarle un brutto scherzo?

“Niente. Parlavo tra me e me.”

“Va tutto bene?”

“Andateci con i piedi di piombo con loro, d'accordo?”

“Va bene ma...”

“Vado a prepararmi, ci vediamo dopo.”

“Il tuo bello non ti ha staccato gli occhi di dosso nemmeno un istante”, sorrise Marta colmando immediatamente il posto vuoto lasciato da Derek accanto a lei, “Scommetto che dopo lo accompagnerai a darsi una sistemata e ti perderai il nostro concerto.”

“Può darsi... ma prometto che domani vi guarderò dall'inizio alla fine!”

“E poi domani sarà una data importante, forse la più importante per me.”

“Lo so: è Halloween! A proposito, oggi ho saputo di una festa da queste parti e ho pensato di prendermi la briga di affittare un vestito anche per te.”

“Quando? Quando hai avuto il tempo per farlo?!”, rise.

“Diciamo che, nonostante fossi ad un passo dal segregarlo in camera d'albergo, non ho avuto il piacere di spendere l'intera giornata con Brian.”

“Ergo: emergenza soundcheck.”

Annuì. “Non ricordavo quanto potessero essere rompiballe i manager di una band in carriera; Simon è stato insopportabile.”

“Se è per questo lo è sempre, ecco perché va così d'accordo con Luke.”

Le due si scambiarono un'occhiata seria e poi scoppiarono a ridere, come era sempre stata loro consuetudine fare. Era più forte di loro: quando erano insieme non riuscivano ad impedirsi di ridere ogni cinque minuti.

“A proposito di gente strana: sai cos'ha Der?”

“L'hai visto ammaccato anche tu?”

“Ammaccato, disilluso, pedante più del solito... problemi con la band?”

“Assolutamente no!”

“Allora con una donna?”

“Non ne ho la più pallida idea. Non parla mai volentieri dei fatti suoi, lo sai. Nessuno di noi ha più saputo nulla della sua vita sentimentale da quell'ultima volta famosa.”

“Beh, quella volta i bulli ci erano andati pesanti.”

“Quelle orecchie, però...”

Di nuovo vennero assalite da un accesso di risate al ricordo di una ex fidanzata di Derek di qualche anno prima, Sophie, che oltre ad essere antipatica e fastidiosamente saccente aveva anche delle orecchie notevolmente grandi e a sventola. In seguito alla loro rottura, quando Derek aveva bisogno più che mai del supporto dei propri amici, Brandan l'aveva paragonata ad un'antenna parabolica strappando una sana risata anche al povero batterista.

“Spero non sia successo niente di grave.”

“Non lo so, è stato criptico anche con me. Sembrerebbe esserci qualcosa che lo irrita e lo preoccupa ma non saprei proprio di cosa potrebbe trattarsi.”

“Comunque a me ha detto di fare attenzione con i ragazzi. Con due in particolare.”

“Questa è bella: cosa pensa che potrebbe succederci?”

“Non lo so ma sono davvero curiosa di scoprire a cosa si riferisse.”

 

*

 

31 Ottobre 2006

“Si può, gente?”, domandò Brandan battendo le nocche contro la porta della camera d'albergo di Marta. La tastierista si sollevò appena dal divano, abbandonando così il comodo e caldo posticino che si era ritagliata tra le braccia di Zacky mentre guardavano un film in TV. Il concerto era terminato da una manciata di ore e la cena, trascorsa insieme a tutti gli altri in un ristorante un po' fuori città, aveva decretato la netta divisione tra chi si sentiva sazio e assonnato e chi, invece, aveva ancora voglia di rimanere sveglio e combinare qualcosa. Appena alzati da tavola Zacky aveva preso Marta per mano e l'aveva trascinata verso la sua camera con indosso la voglia assordante di sentirla godere sotto il suo tocco. Così avevano passato più di un'ora a rotolarsi tra le lenzuola, affamati l'uno dell'altra, per poi ricomporsi e cercare di abbandonarsi al sonno stravaccati beatamente sul divano, coperti unicamente da un paio di mutande e da una maglietta di fortuna, di fronte ad uno dei grandi capolavori di Hitchcock – nonché uno dei film preferiti di Marta – La finestra sul cortile.

“Entra!”

“Ditemi che non sto interrompendo niente...”

Marta sorrise dell'espressione assonnata di Zacky, pensando che quei continui sbadigli non erano unicamente frutto della costante e massacrante attività live.

“Mi dispiace per te ma siamo vestiti da un pezzo”, ironizzò il chitarrista allungandosi per afferrare il pacchetto di sigarette abbandonato sul tavolino.

“Speravo in una risposta come questa”, fece l'altro comparendo sulla porta con in mano un piccolo pacchetto colorato, “È ufficialmente il 31, quindi questo è per te.”

Appoggiando i piedi nudi contro il pavimento freddo, Marta gli corse incontro e lo abbracciò, tenendo ben saldo il pacco che l'amico le aveva appena consegnato.

“Che cos'è?”

“Sai come funziona: niente domande. E ricorda che non potrai aprirlo fino a domani.”

“Sei ingiusto perché, nonostante questa stupida regola che tu hai voluto mettere, mi porti sempre il regalo la notte prima!”

Zacky li osservò con un sopracciglio alzato. “Il regalo?”

“Sono nata il 31 di dicembre, quando per tutti è Capodanno e l'intera umanità festeggia un anno che se ne va... davvero poco originale. Così a dodici anni ho deciso che avrei festeggiato il mio compleanno il 31 di ottobre, perché Halloween è la mia festa preferita da sempre. Ricordo che passavo l'intero anno ad aspettare di potermi travestire...”

“Non so perché ma non faccio fatica a crederci”, esalò del fumo di sigaretta e la guardò dritto negli occhi, mantenendo fisse le iridi chiare nelle sue per parecchi secondi, fino a che non fu lei la prima ad arrendersi e a distogliere lo sguardo.

“So che Alice ha scovato un posto niente male per domani sera.”

“Si, mi ha accennato qualcosa.”

“Bene, ci si vede domani”, fece Zacky atono, senza smettere di tenere gli occhi fissi su di lei. Era chiaro che volesse che Brandan abbandonasse la stanza e Marta lo squadrò con perplessità: perché tutta quella diffidenza?

Improvvisamente il telefono di Brandan prese a squillare e il cantante fece loro cenno di attendere un attimo, prima di rispondere alla chiamata.

“Ciao. Si, certo che mi ricordo. Va bene, non agitarti. Va bene, ti richiamo dopo.”

Lanciandosi uno sguardo interrogativo, Marta e Zacky osservarono in silenzio il cellulare di Brandan tornare faticosamente nella tasca dei jeans.

“Ora devo proprio andare.”

Marta lo abbracciò nuovamente, sussurrandogli un “Grazie ancora” ricolmo di affetto mentre Zacky si limitò a dedicargli un lieve cenno del capo in segno di saluto. Quando il cantante ebbe richiuso la porta alle sue spalle, Zacky si avvicinò a Marta e le afferrò entrambi i glutei, stringendoli appena tra le grandi mani e attirandola così a sé.

“Cosa aspettavi a farmelo sapere?”

Non le lasciò nemmeno il tempo di rispondere che subito la pelle del suo fondo schiena coperto solo da un paio di mutandine di seta finì a contatto con la superficie fresca della cassettiera accanto alla porta. La lingua di Zacky si insinuò prepotentemente nella sua bocca, provocandole un certo brivido tra le cosce e ben presto i loro corpi si fusero tra loro in un vortice di rinnovato desiderio e bisogno reciproco. Quando Marta fu prossima a venire, Zacky avvicinò le labbra al suo orecchio e le sussurrò cosa avrebbe voluto farle, in una frase che lasciava ben poco spazio all'immaginazione, e subito una forte esplosione di piacere la scosse interamente, appagandola fin nel profondo.

Tanti auguri.

 

Credits: 'Rise' by Bleeding Through.

-

n.A.: Evviva! Per una volta riesco a pubblicare abbastanza per tempo, sono orgogliosa di me! *CLAP*
Cazzate a parte, questo è un capitolo di passaggio che mette le basi al prossimo, il n 15, che sarà anche l'ultimo della prima parte della storia. Spero vi sia piaciuto nonostante queste premesse!
Ora vi lascio, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate!
rose_

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Capitolo 15
*** I - My Heart Is Black ***


 

PARTE PRIMA
15.

MY HEART IS BLACK

 

Life is a bitch 
And so am I you see

 

31 Ottobre 2006

La giornata era trascorsa abbastanza velocemente tra il photo-shoot per l'imminente lancio del nuovo singolo e l'incontro tenuto da Luke per parlare del futuro prossimo della band: a quanto sembrava, una volta terminata la prima parte del tour avrebbero avuto diritto ad un breve periodo di pausa lungo all'incirca due o tre settimane – la cui variabilità poteva dipendere dall'esito positivo o negativo del nuovo singolo, delle vendite dell'album e delle richieste di interviste da parte di questo o quell'altro giornale musicale.

Marta non vedeva Zacky da quella stessa mattina, quando lo aveva lasciato dormire nel suo letto sgattaiolando via in punta di piedi per non fare rumore, e nemmeno Alice e gli altri le erano stati troppo intorno, tutti troppo presi dai propri impegni personali e professionali.

Ora, nel bel mezzo dell'ennesimo pomeriggio grigio e piovoso, Marta si concesse finalmente di sbirciare il regalo che Brandan le aveva portato. La carta era così colorata e ben tenuta che quasi le dispiacque doverla rompere in più punti ma il vero pezzo forte dell'intero pacco fu la scatolina Cartier che vi era avvolta. Uno strano groppo in gola la colse impreparata mentre apriva meticolosamente quel piccolo bauletto prezioso e continuò ad accompagnarla anche mentre allacciava al polso un braccialetto d'argento a cui era legato un piccolo ciondolo a forma di tasto di pianoforte. Un biglietto sul fondo della scatola le inumidì un poco gli occhi:

 

Perché senza di lui, e senza di te, esisterebbero solo melodie incomplete.
Auguri! Brand.

 

Passò qualche istante a contemplare il braccialetto senza osare muoversi di un millimetro e sospirò cercando di scacciare il bruciore che avvertiva in gola. I regali di Brandan, di solito e fino a quel momento, puntavano soprattutto sull'ironia. Questo invece si era rivelato un vero e proprio colpo basso.

 

From: Marta; To: Brand;
Oct. 31, 2006 – 04.15 p.m.
Così non vale... ma GRAZIE DI CUORE!

 

Improvvisamente ripensò all'ingresso asciutto che Brandan aveva fatto nella sua stanza la sera precedente, quando lei sonnecchiava tra le braccia di Zacky. Lo conosceva a sufficienza da prevedere ogni sua mossa prima ancora che avesse il tempo di farlo lui stesso eppure in quell'occasione, doveva proprio ammetterlo, era riuscito a stupirla. Si sarebbe aspettata di tutto: un interrogatorio degno dei migliori detective, una pappardella infinita sui motivi secondo i quali era stata una pessima idea concedersi a quell'uomo, una tirata di orecchie per non averglielo raccontato prima; tutto ma non l'indifferenza, quel far finta di niente a tutti i costi. Certo, non le era dispiaciuto evitare la ramanzina priva di ogni logica a cui l'amico l'avrebbe sottoposta ma sotto quel silenzio, ne era certa, c'era qualcosa di più di quello che si riusciva a scorgere.

Che Brandan fosse strano e pensieroso, ultimamente, non era una novità: da quando Amber gli aveva annunciato di essere incinta l'intero mondo pareva esserglisi capovolto addosso, in un modo o nell'altro. Non ne avevano ancora parlato e questo le metteva una certa agitazione addosso.

Possibile che Brand volesse escluderla da qualcosa di così importante? Forse si stava soltanto fasciando la testa prima di essersela rotta, come al solito.

Eppure si sentiva tremendamente in colpa per non avergli parlato molto tempo prima: che razza di migliore amica si era dimostrata, concentrandosi unicamente sulle proprie disavventure senza preoccuparsi dei problemi altrui?

 

*

 

La mano di Brian le percorse un'ultima volta la schiena, regalandole una nuova scossa all'intero corpo, e Simon lanciò l'ennesima occhiata in tralice nella loro direzione, battendo freneticamente un piede contro il pavimento in attesa di ottenere la completa attenzione del chitarrista. Alice aggrottò la fronte e pensò che il manager non la vedesse affatto di buon occhio.

“Vado a sentire cosa vuole quel rompicoglioni, faccio il soundcheck e torno da te”, le sussurrò in un orecchio e lei annuì come in preda ad una trance, osservandolo andare via. Avrebbe ingannato l'attesa costringendosi a riprendere in mano il video dei Bleeding Through per cominciarne la post-produzione; se Max avesse saputo quanto poco tempo aveva dedicato al lavoro, in quegli ultimi giorni, non sarebbe stato affatto felice. Inoltre, da lì ad una settimana avrebbe dovuto incontrare una nuova band londinese per discutere del loro video di debutto, perciò il tempo a sua disposizione stava decisamente andando esaurendosi.

Un paio di passi e la donna si accorse di non essere più da sola.

“Ehi, Alice nel paese delle meraviglie”, salutò Jimmy materializzandosi accanto a lei, “Che ci fai tutta sola in questo posto?”

“Per la verità stavo per andarmene ma... credo mi ci voglia prima un caffè.”

“C'è il bar dell'albergo, se vuoi ti ci accompagno.”

Camminarono fianco a fianco per qualche minuto, occhieggiandosi di tanto in tanto con aria curiosa. Brian le aveva parlato di Jimmy, durante le loro conversazioni brevi ma bramose di informazioni tra una scopata e l'altra, e lo aveva definito sempre il suo migliore amico. Parlava anche degli altri, certo, e lo faceva con lo stesso affetto con cui si può parlare della propria famiglia, dei propri fratelli... ma per Jimmy aveva un vero e proprio occhio di riguardo.

“Non mi piacciono i giri di parole, perciò...”, cominciò il batterista non appena ebbero preso posto ad uno dei tavolini più vicini alla finestra, “Ti ho vista con Brian.”

Alice annuì appoggiando i gomiti sul tavolo e abbandonando la testa sulle mani chiuse a pugno, sorridendo della sfacciataggine di quell'affermazione.

Per mano.”

“Colpevole.”

“Non è mai stato un tipo da cose serie.”

“Il mondo cambia continuamente...”

Jimmy sollevò gli occhi al cielo e ridacchiò. “Sarcasmo e sagacia, mi piace.”

“Ti ringrazio.”

“Non è mai stato un tipo da cose serie”, ripeté.

“Si, questo lo hai già detto...”

“Di donne da una botta e via ne ha avute a milioni, lo sanno tutti. Ma si è sempre tenuto lontano da qualsiasi cosa comportasse un po' più di impegno.”

“Amo quando un uomo si impegna.”

“È proprio questo il punto. Gli ho parlato e vi ho osservati e, cazzo, non è così concentrato nemmeno quando suona! Non esce da giorni, diserta gli incontri con i fans... sono colpito.”

Il ragionamento di Jimmy non faceva una piega.

“Non sono sicura di aver capito se per te è una cosa buona o no.”

“Dipende da te.”

“Da me?”

“Da quello che vuoi da lui. So che non è affar mio”, sollevò le mani per aria come a voler sottolineare la cosa, “Ma vi conoscete davvero da poco e preferirei evitare di vedere il mio migliore amico distruggersi per una storia andata male.”

Riusciva a capire il suo punto di vista esterno ma la realtà dei fatti, vivendo la storia in prima persona, era differente: se sulla carta non si conoscevano per niente, a pelle si sentivano due perfette metà della stessa medaglia... quindi perché cercare di rallentare a tutti i costi le cose tra loro?

“Il tempo è soltanto una convenzione a cui fare appello per tenere a freno gli istinti... e poi non è detto che debba finire per forza in tragedia.”

“Abbiamo tutti un passato fatto di innumerevoli storie tormentate, finite nel peggiore dei modi. Lui no. Non gliene è mai importato un cazzo di nessuna donna con cui è stato... ma ora ci sei tu.”

Alice dovette serrare a forza le labbra per evitare ad un sorriso impertinente di illuminarle il viso. Ora ci sei tu. Una frase così semplice eppure così forte, efficace. Poche parole, un grande significato. Avrebbe voluto suggerire a Jimmy di non spremersi troppo le meningi a riguardo perché, per quanto la riguardava, Brian era in una botte di ferro, ma si costrinse a tacere anche quella piccola verità.

“Chi non rischia mai vive solo per sentito dire.”

“Lo dice spesso anche lui.”

Alice sospirò. “Senti, non mi piace perdere tempo dietro a gente di cui non mi importa niente.”

“Concetto oltremodo interessante.”

“Lo è ancora di più se si è in due a condividerlo.”

Jimmy si lasciò andare ad una risata liberatoria e scosse convulsamente una mano davanti a lei. “Ti stupiresti di cosa è stato capace di dire e pensare da quando ti ha conosciuta... presumo lo scoprirai presto, comunque.”

“Non penserai mica di insinuare nella mia testa un dubbio del genere e cavartela?”

“Devo dare il mio contributo per il soundcheck!”, continuò a ridacchiare alzandosi dal proprio posto, “Tu continua a fare la brava, Alice.”

 

*

 

A concerto terminato, Marta venne raggiunta da Alice nel proprio camerino; dovevano prepararsi per la serata e lei, in seguito ad una lunga e rigenerante doccia, avrebbe avuto bisogno dell'aiuto dell'amica per sistemare il costume che era stato affittato apposta per lei.

Mentre Alice la aiutava a chiudere i bottoni sul retro del vestito da infermiera killer scelto per l'occasione, Marta si concesse il primo vero respiro profondo dopo giorni di apnea e vita frenetica. Rispetto a quando avevano cominciato il tour, tutto era profondamente cambiato per lei: stava imparando ad assecondare gli istinti, talvolta preferendoli ai rigidi schemi che si era sempre auto-imposta; aveva ritrovato una vecchia amica che non vedeva da tempo e di cui ora riscopriva l'importanza; aveva intrapreso un nuovo viaggio sentimentale, nonostante né lei né Zacky avessero ancora messo in chiaro le cose tra loro.

Per non parlare dei cambiamenti avvenuti nella vita del resto della band, Brandan su tutti.

“Ho parlato con Jimmy, oggi pomeriggio”, esordì Alice, come a voler continuare un discorso cominciato soltanto nella sua testa, “Sapevo che sarebbe venuto a cercarmi, prima o poi.”

“Cosa vi siete detti?”

“Abbiamo parlato di Brian”, socchiuse gli occhi e accennò un lieve sorriso, “Ovviamente.”

“So che sono molto amici, quei due.”

Migliori amici. Jimmy era preoccupato per la velocità con cui stanno procedendo le cose tra noi.”

“In effetti non ci state andando tanto per il sottile. Anzi, direi che state letteralmente bruciando le tappe.”

Alice sospirò e osservò Marta attraverso il riflesso dello specchio. “Lo so ma è tutto così... assurdamente perfetto. Chiamalo come ti pare ma ho capito che volevo quell'uomo dal momento in cui l'ho visto la prima volta.”

“Una sorta di colpo di fulmine?”

“All'incirca... È la cosa più irrazionale che mi sia mai capitata”, riprese ad abbottonare il retro del vestito di Marta e si fermò soltanto per gesticolare di tanto in tanto, “È come se lo avessi già incontrato prima, come se lo conoscessi da sempre... non mi è mai capitato nulla del genere, prima d'ora.”

“Wow!”

“Comunque credo che ora Jimmy abbia capito...”

“Beh, se gli hai detto le stesse cose che stai dicendo ora a me, penso proprio che fosse obbligato a capire.”

“Fatto!”, annunciò Alice dando una leggera pacca sulla fila di bottoni difficili con cui aveva litigato fino a quel momento, “Che ne pensi?”

“Mi piace, mi da un'aria abbastanza cattiva.”

“Vero. Invece io mi sono buttata su un classico, quest'anno.”

“Se Cappuccetto Rosso ti sembra un classico...”, roteò gli occhi e controllò per l'ultima volta che il trucco fosse a posto.

“Certo che lo è!”

“Su, non litigate: siete bellissime tutte e due!”

Con perfetta sincronia entrambe le ragazze si voltarono verso l'unica porta del camerino e strabuzzarono gli occhi. “E tu quando sei arrivata?!”

Kristine lasciò cadere a terra un borsone da viaggio bluette e si lasciò abbracciare dalla sorella e dall'amica, sputacchiando via dalle labbra qualche capello finitole inavvertitamente sul gloss rosa chiaro.

“Diciamo, ad occhio e croce, circa cinque minuti fa”, rispose quando si ricomposero, “E prima di qualsiasi altra cosa: auguri, sister!”

“Grazie”, gongolò l'altra, felice di avere accanto la sorella in un giorno come quello, “Come cavolo hai fatto a non farmi sospettare di nulla?”

“So mantenere un segreto”, sospirò l'altra abbracciando nuovamente Alice, “Da quanto tempo non ci vediamo, noi due?”

“Anche troppo.”

Tornare ad essere le solite, vecchie tre donne della compagnia sapeva mettere qualsiasi cosa nella giusta prospettiva: insieme ne avevano combinate tante, durante il corso degli anni, e ne erano sempre uscite più unite di prima.

“Per quanto tempo ti fermerai?”

“Domani mattina riparto. Non guardarmi con quella faccia: tornerò, lo sai!”

“Facciamo finta che ti credo”, ironizzò, “Gli altri sanno che sei qui?”

“Si. Luke è venuto a prendermi in aeroporto e, non appena arrivata qui, ho incontrato Brandan, Scott e Derek. I bulli erano già sotto la doccia, da quanto mi è stato detto, ma li saluterò più tardi.”

“Immagino tu debba ancora prepararti!”, esclamò Alice sventolando per aria la spazzola che aveva appena passato meticolosamente tra i capelli biondi, “Sappi che qui sei nel posto giusto!”

E proprio nel momento in cui Kristine veniva fatta accomodare sulla stessa seggiola reclinabile su cui era stata seduta Marta fino a quel momento, qualcuno bussò alla porta. Le tre ragazze urlarono all'unisono il permesso di entrare e, quando la porta si fu aperta del tutto, le mascelle di almeno due di loro minacciarono di scollegarsi dal resto della bocca: Zacky e Brian, fianco a fianco nel bel mezzo della soglia, le stavano guardando con occhi a mezz'asta, famelici. Mentre Marta osservava l'abbigliamento del primo con aria colpita, cercando di non dare a vedere quanto quel trucco da scheletro le stesse facendo venire in mente pensieri ben poco casti, Alice tentava di mantenere quel minimo di lucidità mentale necessaria ad impedirle di saltare al collo di quella sottospecie di copia perfetta di Brandon Lee nei panni de Il Corvo che la stava ora squadrando con sfacciata depravazione.

“Buonasera”, fece Kristine con occhi sbarrati, la voce ridotta ad un sibilo.

Buonasera”, ammiccarono i due, chiaramente divertiti dalla situazione.

“Siamo quasi pronte”, annunciò Marta senza riuscire a staccare gli occhi di dosso a Zacky.

“Bene, perché avrei bisogno di parlarti un attimo.”

Marta deglutì e occhieggiò la sorella e l'amica con aria spiacente: sarebbe stato tanto scorretto, da parte sua, andare via insieme a lui in un momento come quello? Non aveva idea di cosa avesse intenzione di fare Zacky, una volta messo piede fuori da quel camerino, ma si sentiva pronta a tutto.

“Tini ha appena finito di sistemarsi, ora tocca alla piccola di casa...”, chiocciò Alice, spingendola in direzione della porta, “Direi che possiamo vederci direttamente alla festa, che ne dite?”

“Pensate di metterci ancora molto?”, domandò Brian nel tono vagamente lamentoso di chi ha appena capito di dover aspettare ancora un po', prima di riuscire a ritagliare del tempo da trascorrere con la propria donna.

Una volta fuori dal camerino, la bocca di Zacky si posò con urgenza su quella di Marta. Era plausibile pensare che le fosse mancata così tanto? Forse stava perdendo anche l'ultimo briciolo di sanità mentale che le era rimasto...

“Questo è perché non ti ho vista per tutto il giorno”, le mormorò sulle labbra, mentre i respiri di entrambi si facevano sempre più veloci e irregolari. Poi le strinse una mano nella propria e la guidò verso la grande porta di uscita, facendola camminare velocemente fino al tour bus degli Avenged Sevenfold.

Mentre saliva i pochi gradini che li separavano da quella sottospecie di casa mobile, Marta avvertì le mani dell'uomo insinuarsi sotto il vestito, su per i fianchi, accompagnandone i movimenti e stringendoli appena.

La spinse contro la porta di uno degli armadietti da viaggio e salì ancora fino a serrarle entrambi i seni tra le mani, “E questo è perché sei la mia donna e voglio che sia il più bel compleanno della tua vita.”

Aveva detto sei la mia donna con una facilità così disarmante da suonare quasi surreale, un'eco lontana di desideri inespressi. Era la sua donna. Punto. Ogni incertezza era scomparsa di colpo, lasciando spazio ad un'improvvisa e rinnovata voglia di fare l'amore con lui. Le strinse un capezzolo tra le dita e lei gemette appena. Erano soli o c'era qualcun altro su quel tour bus? Zacky serrò maggiormente la presa e Marta urlò.

Poi si sentirono dei passi e un paio di risate riecheggiarono per la strada, sempre più vicine alla porta del pullman. Zacky interruppe quella magnifica tortura e la guardò con occhi seri, facendole segno di rimanere in silenzio. Quando fu finalmente chiaro a chi appartenessero le voci – Matt e Johnny – Zacky l'aveva già spinta verso la porticina del bagno, deciso a terminare ciò che aveva cominciato; così fecero sesso in quello spazio minuscolo, nemmeno troppo attenti a non fare rumore, mentre cantante e bassista continuavano i loro discorsi nella zona giorno del tour bus, ignari di tutto.

 

*

 

Tra tutti gli orgasmi che Brian le aveva procurato nel corso della loro breve ma intensa conoscenza, questo era stato senz'altro uno dei migliori.

Alla fine Kristine aveva capito da sé l'intera faccenda e aveva finto di essersi improvvisamente ricordata di un impegno irrinunciabile pur di lasciare campo libero a lei e al suo Brandon Lee di Halloween. E il divano del camerino di Marta, bisognava davvero dargliene atto, non era affatto così scomodo come appariva.

Mentre Brian si dava una sistemata davanti alla spiecchiera del bagno, Alice ripensò alle parole di Jimmy di quello stesso pomeriggio.

“Così non hai mai avuto una storia seria”, disse a voce alta.

La porta si spalancò di colpo e l'uomo la occhieggiò perplesso. “Cioè?

“Niente, era tanto per parlare.”

Un sospiro bastò a far capire ad Alice di aver parlato troppo presto.

“Senti, fa' come se non avessi detto nulla...”

“Vuoi sapere se c'è stata qualcuna di cui mi sia mai importato qualcosa?”, domandò retoricamente, appoggiando una spalla allo stipite della porta e accendendo una sigaretta, “La risposta è no. Mai.”

Mai”, ripeté lei, mormorando.

“Credo tu sappia già quello che c'è da sapere.”

“Su cosa?”

“Su me e te. Su noi.

“Ma supponiamo che io non lo sappia...”

Le si avvicinò ed esalò un po' di fumo dal naso e dalla bocca, gli occhi fissi su di lei. “Non farmi dire cose di cui poi potrei pentirmi.”

Se quella era una sfida, l'avrebbe accettata molto volentieri.

“Non mi piacciono gli uomini che non sono in grado di argomentare le proprie affermazioni...”

L'ennesimo sospiro e Brian si abbassò sulla punta dei piedi, sistemandosi di fronte a lei come un adulto di fronte ad un bambino.

“So dove vuoi arrivare, Alice Ferri”, mormorò lasciando spazio ad un sorriso sghembo, “E penso che sia davvero una cosa scorretta, da parte tua.”

“So che sai dove voglio arrivare, Elwin. E penso sia davvero una cosa da stronzi, da parte tua, opporre resistenza.”

Brian gettò via il mozzicone, le afferrò le ginocchia nude e le fece spalancare le gambe. “Mettiamola così: se tu fossi come tutte le altre non mi azzarderei nemmeno a fare ciò che sto per fare...”

 

*

 

“Posso rubartela un secondo?”, domandò Brandan comparendo accanto a lei mentre Zacky aggrottava la fronte e annuiva con poca convinzione. Erano arrivati alla festa da una manciata di minuti, nemmeno il tempo di guardarsi intorno alla ricerca di tutti gli altri, ed ecco sorgere il primo problema della serata: Brandan e Zacky non sembravano andare troppo d'accordo. Aveva sperato nell'esatto contrario ma lo sguardo freddo che si erano appena lanciati vicendevolmente non lasciava intendere proprio nulla di buono e solo un cieco avrebbe potuto non accorgersene. Con espressione spiacente seguì Brandan verso un punto un po' appartato del locale, sentendosi addosso le iridi attente del chitarrista.

“Ti è piaciuta la sorpresa della serata?”

“Parli di Kiki?”

Brandan si aprì in un sorriso orgoglioso. “Abbiamo fatto tutto di nascosto. Luke è andato a prenderla in aeroporto e l'ha portata qui senza che tu nemmeno te ne accorgessi: siamo stati bravi, eh?”

Il suo tono, nonostante l'apparenza allegra, tradiva una sottile vena di risentimento, come se quel suo non essersi accorta di tutto il loro darsi da fare fosse una cosa di cui pentirsi e chiedere scusa.

“Siete stati bravi”, concesse cercando la sorella tra la folla, “Ma Kristine ha la pessima abitudine di scomparire e ricomparire a suo piacimento e non ho la più pallida idea di dove si possa essere andata a cacciare.”

“Succede di perdersi qualche passaggio, quando si è impegnati”, mormorò a bocca semi chiusa, “È laggiù insieme a Johnny e Ryan, comunque.”

A Marta non era affatto passata inosservata quella frecciatina ben assestata.

“Ora che siamo soli devo chiedertelo: cosa c'è che non va?”

“In che senso?”

“Dimmelo tu. Ultimamente sei strano e tutto è partito da quando Amber ti ha detto...”

“Ti sbagli, va tutto a meraviglia”, la interruppe in tono aspro.

“Ti ricordo che siamo amici da una vita, so quando qualcosa ti preoccupa. Solo che questa volta non sono riuscita a capire di cosa si tratti.”

“Forse perché...”

“Se stai per dire che non ho avuto tempo o cazzate del genere, risparmia il fiato. Sai bene che non è così e se anche fosse da te mi aspetto più comprensione che da tutti gli altri.”

Comprendere non significa approvare.”

“Questo l'ho capito e verrà il momento in cui approfondiremo la questione ma ora stiamo parlando di te.”

Brandan sospirò e si lasciò cadere sul divanetto alle loro spalle. Gli occhi di Zacky continuavano a seguirla con attenzione dall'altra parte della sala e Marta si sentì quasi in colpa per averlo lasciato là da solo ad aspettarla.

“Certe volte non tutto è come sembra. Con Amber le cose non vanno affatto bene”, le iridi di Brandan si fissarono serie nelle sue, “Ho provato a recitare la parte dell'uomo a cui non frega un cazzo di portare le corna ma dentro di me avrei voluto soltanto andare a prendere quel pezzo di merda e spaccargli la faccia a suon di pugni.”

“Oh, Brand...”

“Ma lei è pur sempre incinta e io mi sono detto che il bambino non avrà certo bisogno di un padre accusato di tentato omicidio.”

“Mi dispiace.”

“Lo so, e ti ringrazio, ma purtroppo non basta a risolvere le cose. Poco fa ho chiesto ad Amber un periodo di pausa.”

Il tono arreso, le parole dure e rassegnate: Brandan era arrivato a quella conclusione in completa solitudine e questa era la cosa che più faceva male a Marta. Se c'era una cosa che avevano sempre ripetuto l'un l'altra era proprio questa: comunque fossero andate le cose nelle loro vite l'avrebbero affrontato insieme, avrebbero diviso qualsiasi peso a metà.

“Non ne avevo idea... sei sicuro che sia la cosa più giusta da fare, al momento?”

Amber era una donna incinta nella solitudine della Orange County di fine autunno: decisioni come quella non potevano esser prese a cuor leggero.

“Sai, ci ho pensato bene. Forse quello non è nemmeno mio figlio e io non sono sicuro di voler stare al fianco di una donna che non amo – e che non mi ama – a crescere un bambino che somiglia a qualcun altro.”

“Hai dubbi sulla tua paternità?”

“Molti. Da non dormirci la notte.”

Un moto di rabbia repressa le salì in gola. “Perché diavolo hai voluto tenere per te tutto questo peso?”, gridò.

“Perché tu avevi appena ricominciato a ridere e l'ultima cosa che voglio è saperti infelice a causa mia!”, urlò lui di rimando, tremando nervosamente.

D'istinto, Marta lo abbracciò, stringendolo più forte che poté.

 

*

 

“Bella festa”, dichiarò Alice controllando per l'ennesima volta il contenuto del proprio bicchiere. Brian e Jimmy, accanto a lei, annuirono.

“Peccato che la festeggiata si sia dileguata.”

“L'ho vista parlare con Brandan poco fa ma ora è scomparsa insieme a coso.”

“Chi è coso?”, domandò Jimmy malcelando una certa curiosità.

Brian roteò gli occhi, divertito. “Alice ha trovato questo modo alternativo per chiamare Zacky...”

“Bello, suona bene.”

“Prima o poi se ne convincerà anche Tini e allora si che diventerà il suo nome ufficiale. Altro che Vengeance...”

Risero tutti e tre e Brian capovolse il proprio bicchiere per aria, a sottolineare la sua vuotezza. “Credo andrò a prendere dell'altro alcool.”

“Vengo con te. Tu che fai, Ali?”

La donna scosse il capo e sorseggiò un po' della sua birra. “Non mi muovo da qui.”

Li osservò allontanarsi e tornò a guardarsi intorno con aria curiosa: quanta gente travestita a regola d'arte in un'unica stanza! Caricature di celebrità di vario genere in versione horror, vampiri, medici dal camice sanguinolento e dall'aria ben poco raccomandabile.

Marta prese posto accanto a lei, gli occhi spalancati e un'espressione nauseata ben stampata in volto.

“Ehi, chi non muore si rivede”, ironizzò squadrandola nella sua interezza.

“Qualcuno ha appena tentato di ficcarmi la lingua in bocca...”

Alice prese a ridere. “Chi, coso?!”

“Se fosse stato lui non avrei di certo questa faccia, ti pare?! E poi Zacky è uscito a fare una telefonata giusto poco fa.”

“Ho tirato ad indovinare”, sbuffò allora la bionda in preda ad un accesso di risatine, “E allora chi credi che fosse?”

“Non ne ho idea. Ma aveva una maschera sul viso e sapeva terribilmente di alcool.”

“Un po' generico, in un posto come questo...”

“Lo so ma questo tizio era strano, aveva qualcosa di familiare... non saprei dirti perché ma ho avuto l'impressione di non essere di fronte ad un estraneo.”

“A meno che tu non abbia amici anche qui in Europa, direi che il campo si restringe a quelle poche anime con cui condividi il tour.”

Marta la guardò storto e si chiuse nelle spalle. “Spero proprio di no.”

“Beh, dev'essere davvero un tipo temerario: non penso che Zacky sarebbe rimasto a guardare, se avesse visto qualcuno incollato alle labbra della sua bella.”

“Ah, poco ma sicuro.”

“Dici che è già andato via?”

“Gli ho rifilato un calcio su uno stinco e poi è sparito tra la folla. Forse ho preso un abbaglio: sarà stato un fan o al massimo qualcuno che, in preda ai fumi dell'alcool, ha pensato di aver appena trovato un nuovo passatempo.”

“Se lo dici tu...”

Marta accennò un timido sorriso e bevette un sorso dal proprio bicchiere. “Ma si, nulla di cui preoccuparsi... godiamoci la festa.”

 

Credits: 'My Heart Is Black' by Crucified Barbara.


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n.A.: Tan-tan-tan!
Fine prima parte. Dal capitolo 16 (ovviamente) comincerà la seconda - anche se non so ancora dire con certezza il numero dei capitoli che la comporranno. Infine seguiranno la terza e la quarta parte, forse anche una quinta ma vedremo man mano... l'ho già detto che questa è una LONG fic?? :)
A chi legge/segue/preferisce va, come al solito, il mio enorme GRAZIE!
Buona serata,
rose_

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Capitolo 16
*** II - Second Heartbeat ***


 

PARTE SECONDA
16.

SECOND HEARTBEAT

 

Wishing the clock would stand still, the world can wait
Wasting away once again, once lived as friends

 

31 Dicembre 2006

In un batter di ciglia arrivò il giorno del suo vero compleanno che, per ironia della sorte, corrispondeva alla fine della prima parte del tour – e, a quanto pareva, anche alla fine del viaggio intrapreso fianco a fianco con gli Avenged Sevenfold, dal momento in cui Simon continuava a ripetere a tutti quanti che con l'avvento del nuovo anno la band avrebbe dovuto cominciare le registrazioni del successore di City of Evil.

L'umore di Marta non era affatto dei migliori e, in stretta correlazione al suo, nemmeno quello di Zacky: dopo mesi di frequentazione giornaliera, la loro era diventata una relazione piuttosto forte, quasi simbiotica, e l'idea di doversi dividere non sembrava piacere a nessuno dei due. Inoltre, mentre Los Angeles si apprestava a diventare la nuova casa dei Sevenfold per tutto il periodo delle registrazioni, per i Bleeding Through la faccenda sarebbe stata meno facile: il tour europeo da terminare e quello asiatico da cominciare li avrebbero resi nomadi per altri tre o quattro mesi buoni, impedendo loro di tornare a casa se non prima di aprile o maggio.

“Certo che l'idea di terminare il tour è una vera merda”, sospirò Syn abbandonandosi stancamente sul divano accanto a lei e a Zacky. Marta annuì e socchiuse gli occhi, portando un braccio sulla fronte.

“Non ha proprio senso”, ringhiò Zacky stringendo la presa intorno al collo della bottiglia di birra, “Avremmo potuto fare la pausa, tornare a suonare e poi registrare. Anziché a settembre, avremmo fatto uscire l'album a dicembre o a gennaio... Cosa cazzo cambiava?”

Soldi.

“Sempre a lamentarvi, voi due”, scherzò Jimmy brandendo a due mani una copia di Kerrang!, “Ah! Tanti auguri, Marta. Me ne stavo dimenticando.”

“Grazie”, accennò una smorfia di riconoscenza, “Trovato qualcosa di interessante, là sopra?”

“Solite band, solite recensioni... a parte l'articolo che parla di voi due piccioncini”, portò mani e giornale al petto e sbatté ironicamente le palpebre con aria sognante, “C'è anche la foto mano nella mano: che carini!”

“Quanto sai essere idiota”, Zacky scosse arrendevolmente la testa e sul suo viso spuntò il primo sorriso della giornata. Marta lo osservò di sottecchi e pensò che iniziare le registrazioni di un nuovo album in stato di apatia totale, come quella in cui versava l'uomo da un paio di giorni a quella parte, non avrebbe portato da nessuna parte nemmeno il migliore dei musicisti.

“Perché siamo sul giornale?”, domandò allora, curiosa.

“Qui dice: Marta Peterson, tastierista dei Bleeding Through... descrizione della tua band... è stata avvistata per le strade di Dublino in compagnia di Zacky Vengeance, chitarrista degli Avenged Sevenfold... descrizione della nostra band... in atteggiamenti compromettenti che hanno rischiato di valere ad entrambi una nottata in cella con l'accusa di atti osceni in luogo pubblico”, Jimmy prese a ridere e li squadrò con le lacrime agli occhi, “Sul serio?!”

“Mah, non direi proprio...”, borbottò lei grattando distrattamente il collo nel tentativo di distogliere l'attenzione dal lieve rossore che le stava colorando le guance.

“Comunque qui continua: molti fans hanno raccontato di averli incontrati per le vie del centro città, mano nella mano... ma la loro serata pare essere cominciata qualche ora più tardi...”, il giornale venne ripiegato al contrario e gettato nella loro direzione, “In sostanza: articolo di cronaca rosa. Bella foto, comunque.”

Marta afferrò la copia di Kerrang! e sbirciò l'immagine in bianco e nero che vi era impressa. Ricordava bene quella sera: Zacky aveva indossato una cravatta ed una camicia bianca che pareva esser stata cucita apposta per lui e lei lo aveva guardato ad occhi spalancati per tutto l'arco della serata, ammaliata da quell'uomo che sapeva essere così bello anche senza il trucco e i vestiti di scena con cui si era fatto conoscere dal mondo intero. Nonostante il freddo quasi insopportabile che riempiva le strade cittadine, entrambi avevano giocato al risparmio per quanto riguardava il vestiario nascosto sotto i giacconi e quella foto, scattata all'interno del ristorante in cui avevano cenato, ne era la prova.

“Poi mi spieghi com'è che te ne stavi in canottiera senza battere ciglio”, le mormorò Syn in tono vagamente allusivo, sbirciando la foto con aria critica.

“Eravamo in un ristorante e faceva molto caldo...”

Certo”, sorrise, “È la stessa scusa che ho usato anche io quando sono finito sul giornale senza mutande, con una bottiglia di Heineken a coprirmi il...”

“Ok, abbiamo capito. Non andare oltre.”

Marta scoppiò a ridere e così fece anche Zacky.

“Rilassati, Zee: non ho intenzione di fare vedere quella foto alla tua bella.”

“Grazie tante...”, schioccò la lingua il diretto interessato.

“Perché poi potrebbe pensare: perché non ho scelto lui?! È che sei arrivata tardi, Marta! E io, si sa, sono un uomo fedele.”

“Sarà meglio per te che sia vero, Gates.”

“A proposito”, cominciò Jimmy tra le risate, “Ali verrà, stasera, vero? È l'ultimo show della stagione, non può mancare!”

La fronte di Syn si aggrottò un poco, perplessa. “L'ho chiamata stamattina, stava lavorando così abbiamo tagliato corto. Ha detto che mi avrebbe richiamato durante la pausa pranzo... ora la chiamo io.”

Tastierista, chitarrista e batterista osservarono l'uomo estrarre il telefono dalla tasca dei jeans e portarlo all'orecchio e attesero. Una voce femminile dall'altro lato della cornetta attirò l'attenzione di tutti i presenti. Syn sbuffò, chiuse la chiamata e digitò velocemente qualcosa sulla piccola tastiera.

“Allora?”

“Segreteria telefonica. Le ho scritto di farsi sentire appena può.”

“Starà ancora lavorando. Girare un video è una cosa impegnativa.”

 

*

 

“Dico solo che non è poi così male l'idea di non vedere quella gente per un po'”, ripeté Scott scuotendo la testa per dare maggiore enfasi alla frase, “Staccare da questa strana routine non può che fare bene a tutti quanti.”

“Secondo me girare il mondo e divertirsi non si può definire una strana routine...”

Erano ormai trascorsi diversi minuti da quando la conversazione aveva preso una piega inaspettata ma Marta continuava a non comprendere quale fosse il vero motivo per cui il chitarrista della sua band continuasse a dirsi felice di non avere gli Avenged Sevenfold tra i piedi per un po' e Derek, sebbene fosse stato il primo a mettere lei e Alice in guardia da quella gente tempo prima, pareva pensarla come lei.

“Non mi aspetto che comprendiate il mio punto di vista”, mormorò l'altro, distogliendo lo sguardo da loro e posandolo su una piastrella del pavimento.

“È difficile comprendere il tuo punto di vista senza saperne nulla a riguardo...”

Gli occhi di Scott la inchiodarono al muro, seri. “Forse perché non è davvero il caso di parlarne.”

Anche Marta gli rifilò un'occhiata criptica, che non lasciava spazio a nulla di buono, e Derek prese a ridere nervosamente. “Dai, lasciamo stare. Abbiamo solo bisogno di riposarci e staccare un po' la spina dal lavoro e da tutto il resto.”

“Non sono sicura che qui sia una questione di lavoro, Der.”

L'aroma intenso di una sigaretta appena accesa investì l'intera saletta e il batterista tossicchiò un po' prima di ribattere. “Stasera c'è l'ultima tappa del tour e dobbiamo dare il massimo. Quello che accadrà a partire da domani sarà qualcosa di cui preoccuparsi in seguito.”

“Il futuro non è cosa di cui voglio parlare, al momento.”

“Sinceramente faccio fatica a starti dietro, Scott. E non capisco tutto questo pessimismo estremo venuto fuori da un giorno all'altro, neanche ti avessimo fatto qualcosa.”

“Guarda che il mondo non gira intorno a te, Marta”, esclamò il chitarrista con tono pacato e ostile. Improvvisamente le guance le si dipinsero di un rosso acceso e gli occhi le si ridussero a due fessure. E questo cosa significava, adesso?

“Grazie dell'informazione...”, ironizzò trattenendosi dal suonare troppo acida. Non voleva litigare con i suoi compagni di band ma queste frecciatine gratuite proprio non le andavano giù. “Senti, se hai qualcosa da dire, dilla ora. Comincio ad essere un po' stufa di queste tue...”

“Non ho niente da dirti. Sappi solo che non sei l'unica, in questo tour, ad avere in ballo qualcosa di più della semplice musica.”

“E con questo cosa...?”

Scott abbandonò di colpo la stanza, tenendo ben allacciato davanti al collo il bavero della giacca per ripararsi dalla fredda temperatura esterna e Marta occhieggiò Derek con aria sconcertata.

“Cosa ho detto, adesso?”

“Credo che abbia qualche faccenda in sospeso...”

“Mi dispiace ma non so come aiutarlo, se non vuole nemmeno parlarne.”

“Non preoccuparti, gli passerà. Credo sia nervoso per via di Isabelle.”

“Credevo avessero rotto...”

Derek sospirò gravemente e stropicciò entrambi gli occhi con una mano.

“Lo credevo anche io ma poi Isabelle mi ha chiamato in lacrime, supplicandomi di passargli Scott. A quanto pare lui l'ha evitata per parecchio tempo senza darle una spiegazione.”

“Forse tutte le donne frivole che frequenta durante i tour gli hanno dato alla testa.”

“In effetti le storie cominciate lungo la strada non portano da nessuna parte...”

“Beh, non direi proprio”, scosse la testa domandandosi se Derek avesse pronunciato quella frase dubbia con l'intenzione di ferirla, in qualche modo. La sua, era ovvio, corrispondeva a tutti gli effetti ad una storia cominciata lungo la strada... lei e Zacky, dunque, non stavano andando da nessuna parte?

“Hai capito cosa intendo dire...”

Il tono di Derek sembrò addolcirsi leggermente e Marta decise di abbandonare la via della difensiva su cui stava viaggiando a tutta velocità: un litigio con Scott bastava e avanzava, per quella giornata.

“Comunque sia, penso dovrebbe riflettere un po' di più prima di dire qualcosa che rischi di ferire qualcuno.”

“Scott manca completamente di tatto.”

“Non solo lui...”, mormorò suo malgrado, ben attenta a non farsi sentire dall'amico. Il batterista, dal canto suo, la occhieggiò con leggera diffidenza e in un attimo sembrarono inutili altre parole.

Il tonfo di una porta sbattuta con foga li fece trasalire, mentre la figura arrabbiata di Syn faceva la sua comparsa nella stanza. “Dove cazzo è andata a finire Alice?”

Marta aggrottò la fronte. “Non lo so, credevo la stessi sentendo tu.”

“Ci ho provato. Una ventina di volte. Non ha risposto a nessuna delle chiamate e, ad un certo punto, ha direttamente spento il telefono!”

“Avete litigato o hai detto qualcosa che potesse infastidirla?”

“No! Cosa cazzo sta facendo?!”

Le mani del chitarrista erano serrate in un pugno, così strette da assumere un colorito biancastro. Ricordò il racconto che Alice le aveva fatto della conversazione con Jimmy e provò un moto di affetto per quell'uomo privo di esperienze sentimentali. In fondo lo capiva: era passato dall'avere intorno centinaia di ragazze disponibili di cui non gli importava nulla all'averne una tutta carriera ed impegni oltreoceano per cui avrebbe facilmente dato la vita... difficile non impazzire dietro ad un cambiamento così radicale.

“Magari ha avuto un imprevisto sul lavoro.”

“E non poteva sprecarsi nemmeno a digitare due cazzo di lettere sul telefono?”

“Le si sarà spento il cellulare...”

Un grugnito gli salì in gola, anticipando l'uscita di scena piuttosto nervosa e rumorosa del chitarrista. “Fammi sapere se si fa sentire almeno con te.”

 

*

 

L'idea di aver evitato per tutto il giorno le telefonate di Brian le diede l'ennesimo brivido di colpevole piacere. In fondo lei stava lavorando, no? O almeno era quello che gli aveva fatto credere la sera precedente, quando si era sperticata in racconti e descrizioni minuziose dei musicisti fittizi che avrebbe dovuto incontrare l'indomani. Aveva addirittura spento il cellulare, pur di non dover inventare altri particolari.

Detestava le bugie degli altri e, ancor di più, odiava dover mentire... ma questa era stata una bugia detta a fin di bene, no?

 

*

 

“Pronta per l'ultima sera?”

Nel momento in cui Brandan prese posto accanto a lei, sul pavimento freddo del backstage, Marta lo squadrò con aria incredula.

“Dimmi che almeno tu hai deciso di non prendertela con me se le cose non vanno come devono”, ironizzò scuotendo la testa con movimenti circolari.

“Perché dici questo?”

“In poche ore sono riuscita a litigare con Scott, beccarmi un'occhiataccia da Der e sorbirmi le lamentele di Syn.”

“Una cosa per volta: perché hai litigato con Scott?”

“Se riesci a scoprirlo fammelo sapere, per favore.”

“E la faccenda di Derek?”

“Gli ho fatto notare che è stato privo di tatto... come sempre. Mi sembra di essere in mezzo a gente che non sa minimamente cosa vuol dire essere felice per la sottoscritta.”

“Traduzione?”

“Non ho capito quale sia il suo problema con Zacky ma se c'è una cosa che mi ha fatto capire molto bene è che non gli va a genio per niente.”

“Ma va, ti sbagli”, sorrise e la spintonò scherzosamente con una spalla, “Al massimo sono io, quello a cui non va molto a genio il tuo ragazzo.”

“Questa poi me la spiegherai, un giorno.”

“Sono geloso”, si giustificò continuando a mantenere l'espressione divertita e, per la prima volta dopo tanto tempo, Marta ebbe la sensazione che quello dell'amico fosse un sorriso sincero, “Tu sei la mia Marta e lui DEVE trattarti con i guanti o giuro che divento una iena.”

“Mi tratta con i guanti”, lo assicurò trattenendo a stento una risata, “E io so cavarmela da sola, lo sai.”

“Lo spero per lui, per il resto faccio finta di non aver sentito. E di cosa si lamentava Syn?”

“Alice non risponde al telefono e lui è andato fuori di testa.”

“Beh, questa è l'ultima sera: si aspetterà di trovarla qui.”

“Se è per questo è anche l'ultimo giorno dell'anno... magari preferisce baciare lei, sotto al vischio, anziché uno di voi.”

Una smorfia nauseata e poi una risata trascinante, che contagiò subito anche lei.

“Credo che, dopo questa visione raccapricciante, non riuscirò a guardarlo mai più con gli stessi occhi...!”

 

*

 

“Il primo chitarrista è davvero un figo!”, continuavano a ripetere a intervalli regolari due ragazzine proprio davanti a lei, contribuendo a dipingerle in volto l'aria compiaciuta che aveva messo su da un paio di canzoni, “Me lo farei in tutte le posizioni, se solo sapessi come fare a presentarmi!”

Adorava le espressioni colorite utilizzate dalle adolescenti, le riportavano alla mente vecchi discorsi deliranti tra lei e Marta, quando passavano interi pomeriggi a vaneggiare su questo o quell'altro musicista famoso.

“Ho sentito dire che è fidanzato”, sospirò tristemente l'altra.

“Ma che ci importa? Lo sanno tutti che le rockstar non badano a queste cose...”

Nonostante la simpatia crescente nei confronti di quelle due adorabili frane, Alice non riuscì a trattenersi dall'abbandonarsi ad una sana risata. Entrambe le ragazze si voltarono a guardarla con sguardo interrogativo e lei fece loro cenno di non preoccuparsi e di tornare a godersi lo show, osservadole poi tornare a sbavare dietro alla figura di Synyster Gates nel bel mezzo di un assolo.

“E se stesse con quella della band successiva? La tastierista?”

“No, avevo sentito dire che quella sta con Zacky.”

“Peccato, lo marcherà a vista...”

Alice riprese a ridere e le due ragazze si voltarono nuovamente, perplesse.

“Ti senti bene?”

Benissimo.”

Con espressione sempre più divertita, Alice terminò di gustarsi l'ultimo concerto degli Avenged Sevenfold, certa di essere invisibile agli occhi sul palco. Nessuno, nemmeno Marta, sapeva che lei si sarebbe trovata lì in mezzo, quella sera.

Quando Matt salutò la folla con un urlo, seguito a ruota dagli inchini e dalle esultanze del resto della band, il suo cuore perse un battito. Niente più tour avrebbe significato più tempo per lei e Brian.

Una volta terminato anche il live dei Bleeding Through, Alice decise di farsi avanti e mostrarsi ai ragazzi. L'ingresso nel backstage fu costellato di incontri interessanti, primi su tutti la sua migliore amica e alcuni dei ragazzi della band a cui fece segno di non dire una parola fino a che non si fosse presentata davanti al suo ragazzo. Mosse un passo verso il camerino dei Sevenfold e sentì subito la voce di Brian.

“Vorrei davvero sapere cosa cazzo sta facendo adesso...”, mugugnò a denti stretti e Jimmy, che la intravide attraverso lo spiraglio della porta semi chiusa, sorrise.

“Ti ha detto con chi avrebbe dovuto lavorare oggi?”

“Una band emergente, ragazzi della nostra età.”

“Tutti uomini?”, domandò con finta preoccupazione. Alice si coprì la bocca con una mano per non rischiare di far sentire la propria risata.

“Credo di si. Cosa cazzo stai cercando di...?”

“Penso che dovresti andare là fuori e chiamarla, amico”, tentò di mantenersi serio, convincente, “Davvero. Fallo prima che sia troppo tardi.”

Arrabbiato e preoccupato, Brian non se lo fece ripetere due volte. Si sollevò di scatto, afferrò il cellulare e, non appena ebbe aperto la porta, si fermò ad un soffio da lei. La guardò per qualche secondo, stranito, poi gettò a terra il telefono e le si avventò contro, baciandola con trasporto. La sua pelle era umida e sapeva di un perfetto mix di sigarette, sudore ed eccitazione.

“Non hai idea di cosa cazzo sono andato a pensare”, le sussurrò in un orecchio.

“Ci tenevo a farti una sorpresa... e poi, se vuoi proprio saperlo, sei davvero sexy quando suoni con l'incazzatura addosso.”

“Vuoi scoprire com'è quando scopo con l'incazzatura addosso?”, le morse il collo e Jimmy comparve alle loro spalle, scuotendo la testa.

“Non voglio interrompere niente ma prima che facciate qualsiasi altra cosa... finalmente sei arrivata, Alice. Iniziavamo a non sopportarlo più.”

“Ciao, Jimmy.”

“Hai visto lo show o sei arrivata da poco?”

“Scherzi? Ho visto tutto quanto!”

“È stato di tuo gradimento?”, ironizzò Brian circondandole le spalle con un braccio e lei annuì.

“Ho perfino avuto la fortuna di ascoltare i discorsi di due ragazzine con la passione smodata per i chitarristi...”

“Sul serio?”, domandò sollevando un sopracciglio e Jimmy prese a ridere, borbottando un come se fosse la prima volta tra uno spasmo e l'altro.

“Credo che Marta ed io siamo entrate a pieno titolo nella top five delle donne più invidiate del mondo... non dovrò mica preoccuparmi, no?”, sorrise.

Brian la prese per mano e la condusse fino al palco, su cui alcuni tecnici avevano già cominciato a smontare gli amplificatori e i microfoni. Da quella postazione si riusciva ad avere una piena panoramica dell'intero parco e Alice notò ben presto i diversi gruppetti di persone ancora disseminati qua e là sull'enorme prato voltarsi a scrutare le loro figure con curiosità.

“Synyster Gates! Synyster Gates!”, cominciarono a cantilenare a gran voce alcune ragazzine non molto distanti dal palco, brandendo le macchine fotografiche e sparando flash continui nella loro direzione, “Synyster Gates!”

La mano di Brian strinse maggiormente la sua e la sua testa si piegò leggermente di lato, avvicinandosi pericolosamente alla sua. Le loro labbra ebbero giusto il tempo di sfiorarsi, poi l'uomo le cinse entrambi i fianchi con le mani e la attirò a sé, insinuando la lingua nella sua bocca con maggiore irruenza. Un paio di fischi, qualche lamento dispiaciuto, poi per Alice non esistette più nient'altro all'infuori di lui.

 

*

 

I Bleeding Through terminarono di suonare intorno a mezzanotte e mezza, così i bicchieri di champagne tintinnarono tra loro intorno all'una di notte. Per l'occasione bevvero un po' di quel nettare alcolico anche i membri straight-edge della compagnia, contenti di fare un piccolo strappo alla regola almeno l'ultimo dell'anno.

Gli auguri che ne seguirono suonarono alle orecchie di tutti come un vero e proprio addio, nonostante nessuno dei presenti intendesse accennare minimamente al dispiacere della fine del tour. Non quella sera, perlomeno.

Erano rimasti tutti insieme per il tempo di un brindisi, di un giro di auguri e di un paio di battute, poi ciascuno di loro aveva scelto come continuare i festeggiamenti.

Mentre Alice e Brian sparivano letteralmente nel nulla, senza lasciare alcuna traccia a parte una flebile promessa di rivedersi il mattino successivo in albergo, Marta e Zacky avevano deciso di trascorrere un po' del loro tempo contemplando il cielo notturno che si scorgeva dal tetto dell'hotel. Zacky l'aveva portata lì senza dire una parola, limitandosi a lanciarle di tanto in tanto occhiate felici.

Salendo gli ultimi gradini che portavano al tetto, Marta si sentì strana. “Mi gira la testa...”

“Non sei abituata a bere alcolici.”

“No, per niente. Ma non è stato così male, in fondo.”

“Beh, si dà il caso che abbia una bottiglia in camera mia...”

“Vuoi farmi ubriacare, Vengeance?”

“Può darsi...”

Marta si avvicinò a lui e si sollevò appena in punta di piedi, giusto il necessario ad arrivare di fronte a quella bocca carnosa ed invitante.

“Se pensi che così farò tutto ciò che vuoi, sei sulla cattiva strada”, alitò sulle sue labbra, prima di addentrarsi in un bacio più audace.

Il divertimento di entrambi era palpabile. “Ah, sul serio?”

“Si”, gli leccò le labbra e socchiuse gli occhi, “Non hai bisogno di farmi ubriacare.”

 

Credits: 'Second Heartbeat' by Avenged Sevenfold.


-

n.A.: Benvenuti nella seconda parte della storia. Dal prossimo capitolo entreremo maggiormente nel vivo, abbiate fede!
Intanto spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento e vi ringrazio come sempre.
Buona serata,
rose_

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Capitolo 17
*** II - Home Sweet Home ***




PARTE SECONDA

17.

HOME SWEET HOME

 

Just when things went right 
It doesn't mean they were always wrong

 

3 Gennaio 2007

Lungo la strada per l'aeroporto e per il ritorno a casa Marta ripensò all'intero tour. Rispetto al momento della loro partenza, ne era passata di acqua sotto i ponti! Lei aveva rimediato un ragazzo, qualche strigliata ed un paio di lividi sparsi qua e là su gambe e braccia, souvenirs di concerti un po' troppo coinvolgenti di cui ormai restava soltanto un leggero alone verde-giallastro prossimo a scomparire del tutto.

E gli altri? Lanciò un'occhiata alla figura addormentata di Zacky, steso accanto a lei nella cuccetta del tour bus degli Avenged Sevenfold, e si concesse un sospiro.

Agli altri non erano andate granché bene le cose: Brandan aveva rotto con Amber o perlomeno aveva smesso di rispondere alle sue telefonate; Scott aveva continuato ad essere strano ed irritabile e la sua espressione non sembrava voler mutare da quel miscuglio di insofferenza e ostilità che aveva assunto giorni prima; i due bulli sembravano essersi rassegnati alle continue ramanzine di Luke, a tratti perdendo un po' della loro vitale spontaneità; infine Derek, che dopo aver messo in guardia sia lei che Alice, aveva incoerentemente scattato alle due coppie una miriade di foto con la promessa di svilupparle al più presto.

Forse tornare a casa era la cosa migliore che potesse capitare a tutti loro.

 

From: Unknown; To: Marta;
Jan. 03, 2007 – 05.13 a.m.
Ok, ho DAVVERO bisogno di parlare con te.
Vediamoci quando sarai tornata... NON AZZARDARTI A DARMI BUCA

 

Rilesse l'sms un paio di volte senza riuscire ad associare un volto alle parole. L'intero messaggio suonava come una vera e propria richiesta di attenzione... ma da parte di chi?

 

From: Marta; To: Unknown;
Jan. 03, 2007 – 05.47 a.m.
Perdonami ma non ho davvero idea di chi sei...

 

Zacky si mosse appena, borbottando qualche parola incomprensibile nel sonno. Le risate di Alice e Jimmy riecheggiarono nel tour bus: quei due avevano preso a scherzare e a parlare fitto tra loro da una buona mezz'ora, mentre Syn scambiava idee per il nuovo album con Matt e Johnny.

 

From: Unknown; To: Marta;
Jan. 03, 2007 – 05.58 a.m.
Il nome Amber ti dice niente...?!

 

Amber? Per quale motivo quella donna aveva pensato di scrivere proprio a lei? Non era certo un mistero per nessuno il loro non andarsi a genio a vicenda... e allora perché? Forse pensava che lei potesse dirle qualcosa in più sulla decisione di Brandan di sparire dalla circolazione. O forse voleva semplicemente scaricarle addosso la colpa per la loro rottura, come da copione. Non avrebbe saputo spiegare bene il perché ma aveva una strana sensazione addosso...

“Ehi, Zee, piantala di poltrire!”, urlò Syn colpendolo in pieno capo con un cuscino, scaturendo battute e risate da parte di tutti i presenti, “Qui si parla di lavoro e lui che fa?! Dorme!”

Zacky aprì un occhio soltanto e lo puntò minaccioso contro l'amico, poi sollevò il dito medio e sospirò. “Goditi i tuoi momenti da primadonna.”

Primadonna?!”, ripeté Alice con le lacrime agli occhi e Johnny schioccò la lingua, annuendo con aria soddisfatta.

“Quando si tratta di comporre musica quei due diventano cane e gatto.”

“Dei teneri animaletti da compagnia...”

“Sta' zitto, Sanders!”

“Ti preferivo quando dormivi...”

“Anche io preferivo dormire, dato che sono le sei del mattino! Che cazzo ci fate tutti svegli e vispi a quest'ora?”

“Lavoriamo...”, roteò gli occhi Syn, lanciandogli un altro cuscino, “E faresti meglio ad alzare il culo e venire a fare altrettanto, se non vuoi finire di nuovo a lamentarti perché le tue parti sono meno incisive delle mie...”

“No, non ci provare! Quella volta ho detto che le tue parti sono davvero troppo ingombranti, non che le mie sono meno incisive!”

“È uguale...”, ironizzò l'altro e Zacky si decise finalmente ad abbandonare la cuccetta e ad avvicinarsi al resto della band. Marta tornò a guardare lo schermo del proprio BlackBerry con crescente perplessità quando il peso di una mano sulla sua spalla catturò nuovamente la sua attenzione.

“Stai provando a distruggerlo a suon di occhiatacce?”, domandò Alice indicando con un cenno del capo il piccolo apparecchio, prendendo posto accanto a lei.

“Non proprio...”, sorrise.

“E allora cosa c'è?”

Nonostante i molti impegni lavorativi, Alice aveva chiesto a Max qualche giorno di pausa in vista della fine del tour e del rientro a casa delle due band. Una bella fortuna per Syn, che senza di lei suonava insopportabilmente irascibile agli occhi e alle orecchie di tutti, ma anche per Marta, che adorava avere intorno le persone di cui si fidava ciecamente. “Ho ricevuto un messaggio da Amber.”

“Che sorpresa... cosa dice?”

“Vuole parlarmi. Mi sa tanto che dovrò prepararmi ad un rientro burrascoso.”

“Vorrà parlare di Brandan.”

“Non lo so, però continuo a ripensare alla volta in cui mi ha praticamente minacciata pur di farmi stare lontana da lui e il pensiero che la cosa possa ripetersi non mi piace affatto.”

“Beh ma ora tu stai con coso! Più lontana di così!”

L'ennesimo sbuffo divertito. “Vedrò di farglielo sapere...”

“E se invece volesse solo parlare di altro? Forse vuole diventare tua amica...”

“Un po' tardi, non trovi?”, mise via il telefono e si lasciò cadere contro lo schienale del divanetto, “Ma, in fondo, mai dire mai quando si parla di quella donna. Staremo a vedere.”

 

*

 

L'arrivo all'aeroporto di Los Angeles infuse un certo buonumore in tutti loro.

Tornare a casa era sempre un'emozione, nonostante fossero trascorsi ormai degli anni dalla prima volta in cui partirono per il primo tour oltre oceano.

Home Sweet Home suonavano i Mötley Crüe a metà degli anni '80 – quale canzone e quali parole migliori di quelle per rendere al massimo l'idea del ritorno?

Ad attenderli all'uscita dell'enorme struttura tutta vetri e acciaio c'era l'auto di Kristine, come promesso, e Marta accelerò subito il passo per essere la prima a salutarla e a caricare le proprie valigie. “Fatto un buon viaggio?”

“Si! All'andata mi era sembrato meno lungo, però.”

“Fortuna che c'era il sottoscritto a tenerla occupata”, sorrise Brandan comparendole alle spalle, “Se non mi fossi seduto accanto a lei, si sarebbe annoiata a morte!”

Avevano parlato tanto sull'aereo ma non aveva avuto cuore di accennargli del messaggio di Amber, perlomeno non prima di sapere cosa dire.

Kristine aggrottò la fronte con aria confusa. “Non eri seduta vicino a Zacky?”

“Simon non glielo ha permesso”, ribatté il cantante in tono affettato, battendo Marta sul tempo, “Sembra che le riunioni aeree siano l'ultima moda, in fatto di scelte manageriali.”

L'espressione della ragazza non mutò di una virgola.

“In pratica Simon ha voluto tutti i ragazzi della band intorno a lui per parlare dei progetti dei prossimi giorni. Pensa che non li ha ancora nemmeno fatti uscire dall'aeroporto...”

“Ah, ecco perché non vedo nessuno di loro”, fece Kristine guardandosi intorno, “Comunque oggi Therese è venuta con me: dice che dare un'occhiata ad un aeroporto da vicino non può che farle bene.”

“Però salire su un aereo è tutta un'altra cosa...”

“Un passo alla volta”, sorrise spiacente, “Tra l'altro ti chiederà com'è andata con le foto.”

“Direi che è andata bene ma non sono riuscita a fotografare proprio tutti i posti.”

“Se ne farà una ragione. Sei stata già parecchio disponibile, direi.”

“Se può esserle utile, prima di ripartire per il tour dovrò prender parte ad un paio di photo-shoot per alcuni giornali di musica, posso portarmi la macchina fotografica e fare qualche foto anche lì.”

“Ricordati che tra 20 giorni esatti si sposa.”

“E chi se lo scorda?”, ridacchiò e Therese fece la sua comparsa accanto a loro, prendendo a raccontare di quanta sicurezza le desse stare con i piedi sulla terraferma e di quanto nervosismo riuscisse a metterle addosso osservare anche solo il lento decollare di un aereo, nonostante lei non vi fosse seduta sopra.

“E chiaramente sei invitata anche tu, Marta!”, cinguettò quando riprese a parlare del matrimonio, per la gioia di Brandan che scosse la testa trasudando impazienza da tutti i pori.

“Ti ringrazio ma non conosco nessuno e...”

“Conosci me! Sono pur sempre la sposa, no?”, trillò in preda al panico e Marta ebbe la sensazione che una eventuale risposta negativa sarebbe stata in grado di gettarla definitivamente nell'oblio più totale.

“Allora accetto volentieri.”

“Kiki mi ha detto che hai un ragazzo... chiaramente è invitato anche lui.”

Brandan roteò gli occhi e poi osservò l'ignara Therese con sguardo scettico, mentre le due sorelle scambiavano tra loro un'occhiata di intesa.

“Ehi, ciao!”, salutò Zacky avvicinandosi a loro. Il viaggio non lo aveva segnato per niente: maglietta bianca a stampe nere della Vengeance University, la sua fortunata casa di abbigliamento, senza la benché minima piega; un giubbotto di jeans grigio-nero a ripararlo dalla frescura del gennaio losangelino, nonostante quelle basse temperature non fossero nulla rispetto al tempo polare affrontato in Europa; un paio di jeans neri con tutta l'aria di esser appena stati indossati.

Per l'ennesima volta, Marta lo osservò totalmente rapita.

“Ciao!”, gli sorrise caldamente Kristine e Therese si fece subito avanti, allungando una mano nella sua direzione e scansando la bionda di qualche spanna.

“Piacere di conoscerti: sono Therese, un'amica di Marta.”

I due piercing labiali di Zacky seguirono la curvatura della sua bocca, adornando un sorriso sghembo. “Si, mi ha parlato di te. Sono Zacky”, disse stringendole la mano. Marta, che alla parola amica aveva cominciato a storcere il naso, osservò con perplessità le gote di Therese farsi sempre più accese.

“Bene, direi che possiamo andare”, propose Kristine stringendo la sorella per un fianco, per poi rivolgere all'amica la propria attenzione, “Vuoi che ti accompagni a casa o preferisci...”

“Non ho fretta! Andiamo dove volete... magari un aperitivo o che so io.”

Gli occhi di Kristine occhieggiarono Marta in cerca di approvazione e la tastierista annuì. Sapeva bene dove voleva arrivare Therese: conoscere una rockstar come lei non era sufficiente, per una donna con la passione per le celebrità e la bella vita... e allora quale modo migliore per risollevare umore e immagine pubblica se non quello di farsi vedere in giro insieme ad un chitarrista famoso? E di invitarlo alle proprie nozze senza nemmeno conoscerlo, poi...

“Scusate ma io devo abbandonarvi: Simon ha deciso di renderci la vita impossibile e vuole che più tardi gli portiamo a leggere i nuovi testi.”

“In poche parole vuole vedere a che punto siete e modificare a suo piacimento le parti che non gli vanno a genio”, sentenziò Brandan facendo una smorfia, “Devo ammettere che Simon sta minando la leadership di Luke, in fatto di manager più stronzi e rompipalle degli ultimi tempi.”

“L'hai detto!”

Quei due avevano davvero scambiato qualche battuta senza lanciarsi l'un l'altro le solite occhiate truci? Forse qualcosa stava cambiando.

“Ci vediamo stasera, piccola”, mormorò nell'orecchio di Marta prima di regalarle un bacio veloce, “Ti chiamo più tardi.”

La tastierista annuì e lo osservò salutare i presenti, per poi allontanarsi in direzione di una BMW piuttosto grande alla cui guida c'era Syn – mentre gli altri tre membri della band terminavano di sistemarsi sul resto dei sedili.

Ma allora dov'era finita Alice? Ora che ci pensava, non la vedeva dal check in di quella mattina, quando era inspiegabilmente riuscita a convincere Simon che la sua presenza non avrebbe creato scompiglio né avrebbe compromesso l'attenzione del suo uomo. Era certa fosse uscita dall'aeroporto insieme a Syn... eppure lui ora stava partendo a bordo della sua auto in compagnia dei propri compagni di band e della sua amica non c'era assolutamente traccia.

“A questo punto direi di andare a casa”, sospirò Therese ma Marta le fece cenno di aspettare. Trovava assurdo che quella donna non provasse nemmeno a nascondere la propria vena opportunista! Si guardò intorno.

“Stiamo aspettando qualcun altro? Alice?

Marta annuì.

“So che doveva vedere il suo capo con parecchia urgenza, così è andata via insieme a Derek e agli altri”, spiegò Brandan con aria risoluta, sbirciando lo schermino del cellulare, “Quindi, se per voi va bene, direi di schiodare da qui.”

 

*

 

Lo studio principale di Maximilian, quello appena fuori dal centro di Los Angeles, era ormai una specie di seconda casa per il regista e per i membri stretti del suo staff. Era lì che veniva dato appuntamento ai clienti per discutere insieme i dettagli del nuovo videoclip ed era sempre lì che Alice tornava ogni volta per la consegna dell'ennesimo lavoro terminato o per il briefing concernente il progetto successivo. Zoya, il labrador beige di quattro anni che Max considerava come una figlia, era sdraiata accanto alla porta di ingresso con la testa bassa e gli occhi semi chiusi; quando vide Alice si levò a sedere e prese ad ansimare felice, sollevando per aria una zampa in segno di saluto come il padrone le aveva insegnato a fare quando entrava qualcuno di familiare.

“Ciao anche a te, bellissima!”, le disse stringendole la zampa e grattandole amichevolmente il collo, “Dov'è quel confusionario del tuo padrone?”

Confusionario?”, ribatté perplesso Max, appoggiandosi allo stipite della porta alle sue spalle e Alice gli lanciò un'occhiata furba, “Sei arrivata in fretta.”

“Ho approfittato del passaggio di alcuni amici.”

“Bene perché ho delle cose da dirti.”

 

“Allora parla”, sorrise impaziente e sfregò le mani tra loro per liberarle del pelo perso da Zoya.

“So che tecnicamente saresti ancora in ferie per un paio di giorni ma domani mattina mi tocca ripartire per questioni personali e volevo parlarti prima di salire sull'aereo e ritrovarmi dall'altro capo del mondo.”

Alice annuì meccanicamente, attenta.

“I Megadeth – non c'è bisogno che ti dica chi sono, giusto? – hanno deciso di affidarsi a noi per il prossimo video. Mustaine non è un tipo accondiscendente e non ha voluto sentire ragioni, quando gli ho detto che non avremmo potuto cominciare le riprese prima di due settimane”, Max fece una smorfia che lasciava intendere le innumerevoli telefonate e litigate che avevano preceduto il verdetto finale, “L'inizio delle riprese è fissato per il 6 di gennaio.”

“Come facciamo ad organizzare tutto in soli tre giorni?!”

“Lo so, me lo sono chiesto anche io. Ma la band è davvero importante, questa volta, e il leader è famoso per essere una vera testa di cazzo, lo sai...”

Certe celebrità non avevano la minima idea di cosa significasse la parola rispetto.

“L'unica nota positiva è la location: Las Vegas! Quel posto è un set a cielo aperto, potrai sbizzarrirti davvero con...”

“Un momento: mi lasci da sola?”

“Te l'ho detto, devo partire per sistemare alcune questioni personali. Ma avrò sempre il cellulare e il pc portatile a portata di mano, potrai chiamarmi o scrivermi email e ottenere risposta in tempo record.”

Ad Alice le sfide piacevano da sempre. Qui si parlava di: poco tempo, scarso aiuto, location difficile e clienti snob... non era forse una sfida anche questa? La regina delle sfide, per la precisione. Se fosse uscita vincitrice da un progetto del genere si sarebbe meritata un aumento considerevole del salario!

“Va bene. Su chi posso fare affidamento, dello staff?”

“Ti do carta bianca. Scegli tu i collaboratori, il materiale per le riprese... tutto.”

Doveva ammettere che la cosa la elettrizzava parecchio! Finalmente avrebbe potuto fare di testa sua e di certo non si sarebbe lasciata turbare dalle cattiverie che Mustaine, come era risaputo, si lasciava scappare spesso e volentieri nei confronti di tutti, specie delle donne.

“Andata! Preparo il necessario e parto alla volta di Las Vegas!”

Brian avrebbe messo il broncio o si sarebbe semplicemente dimostrato felice per questa possibilità di crescita lavorativa che le era appena piovuta dal cielo?

 

*

 

Alla fine aveva scritto un sms ad Amber in cui le comunicava di essere rientrata a casa. Lo scambio di messaggi, a quel punto, si era ridotto all'osso: la modella le aveva suggerito un locale ed un orario e Marta aveva semplicemente accettato.

Il locale era lo stesso in cui la compagnia trascorreva le proprie serate, nel periodo dell'adolescenza, e Marta trovò quella scelta un tantino curiosa, considerando che Amber aveva fatto la sua comparsa parecchi anni più tardi.

Mosse qualche passo tra i grandi tavolini blu e si accorse subito di lei. Da quanto tempo era lì? Le si avvicinò con passo felpato, guardandosi intorno.

“Ciao”, le disse prendendo posto di fronte a lei e l'altra non rispose né la guardò. La sensazione di essere ad un passo da una sfuriata senza capo né coda investì Marta, rendendola improvvisamente fiacca e scontenta.

“Vuoi qualcosa da bere?”, fece Amber con voce atonale.

“Sono a posto così.”

“Come vuoi.”

Per qualche secondo non si udì altro se non il lieve ronzare di un condizionatore ad aria calda acceso.

“Perché siamo qui?”, domandò Marta rompendo il silenzio.

Amber mostrò i denti bianchi perfettamente allineati e scoppiò in una risata. “Tempo fa abbiamo avuto una conversazione, tu ed io”, i suoi occhi erano furibondi nonostante l'espressione facciale continuasse a mantenersi divertita, “E tu mi hai assicurato che tra te e lui non c'era niente... NIENTE! Mi avevi quasi convinta ma poi, come un fulmine a ciel sereno, lui mi telefona e dice che non vuole più vedermi, che con me ha chiuso.”

Marta schiarì la voce. “Se non vuole vederti avrà i suoi buoni motivi.”

La mano dalle unghie laccate di rosso si strinse a pugno, sbattendo lievemente contro alla superficie ruvida del tavolo. “Sta' zitta! Sappiamo bene tutte e due che sei tu i suoi buoni motivi... e la cosa, posso giurartelo, mi manda più in bestia del necessario.”

“Sei fuori strada”, sbuffò scuotendo la testa, “Niente, nella vostra storia, è mai dipeso da me. Siete sempre e solo stati tu e lui, come era giusto che fosse, ma poi si è intromesso l'altro. Il mio nome non compare da nessuna parte, come vedi.”

“Oh, certo. Scommetto che sei stata tu a suggerirgli di chiamare Joel per obbligarlo a chiedere il test di paternità!”

Che cosa??

Brandan aveva richiesto un test di paternità? Non le aveva detto nulla. In un attimo le parve che il mondo le si accartocciasse addosso e per qualche secondo non riuscì a pensare ad altro se non ad abbandonare quella donna e quel locale e correre a chiedere spiegazioni al proprio migliore amico.

“Non dirmi che non ne sapevi nulla...”, ironizzò l'altra.

“Piantala con le cazzate, Amber.”

“Nessuna cazzata e lo sai.”

“Stai cominciando ad innervosirmi”, sputò fuori con una cattiveria che non le apparteneva, “Come ti ho già detto: se lui non vuole più avere niente a che fare con te non puoi certo biasimarlo. E di certo prendersela con me non risolverà le cose.”

“Avrebbe almeno potuto riconoscere il bambino, dopodiché me ne sarei occupata da sola o con Joel... e invece ha scelto te.”

“Ma ti senti quando parli?!”, urlò scostando bruscamente la sedia dal tavolo e levandosi in piedi. Non aveva intenzione di stare in compagnia di quella donna un secondo di più, “Ho sbagliato a venire qui. A mai più rivederti, Amber.”

Una volta fuori dal locale afferrò il proprio telefono cellulare e scorse velocemente i primi nomi della rubrica, attendendo con impazienza che cominciasse a suonare.

“Pronto? Che succede?”

La voce di Brandan era impastata, assonnata. Probabilmente lo aveva svegliato.

“Cosa cazzo aspettavi a dirmi del test?”

“Quale test, di che parli?”

“Amber ha detto...”, si costrinse a calmarsi e ad abbassare il tono della voce, “che hai obbligato Joel a fare il test di paternità.”

“Si... stavo aspettando il momento giusto per parlartene.”

“Il momento giusto per... cosa?

Una voce femminile mugolò appena dall'altro capo della cornetta e Marta aggrottò la fronte. Brandan era con qualcuno! Ma chi?

“Spero di non aver interrotto nulla.”

“No, sta' tranquilla...”

“Non... sapevo avessi ospiti.”

“È stata una sorpresa anche per me.”

L'immagine di Therese con le gote arrossate e lo sguardo innamorato le passò davanti agli occhi per la frazione di un secondo, facendola rabbrividire. E se fosse andato a letto con lei? La promessa sposa e la rockstar: decisamente una storia alla Therese.

“Non cacciarti in guai troppo grossi”, mormorò sperando che Brandan capisse.

“Non farlo neanche tu.”

E la conversazione terminò.

 

Credits: 'Home Sweet Home' by Mötley Crüe.


-

n.A.: Ci siamo! Questo capitolo ha messo le basi per parecchie cose che vedremo più avanti - alcune già il prossimo lunedì, non preoccupatevi!
Stessa cosa vale per i nostri Avenged Sevenfold (Zacky e Syn su tutti, chiaramente - dalla prossima volta torneranno ad avere il loro ruolo di rilievo) E niente, spero sia stato di vostro gradimento! Vi abbraccio tutti,
rose_

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Capitolo 18
*** II - On Wings Of Lead ***




PARTE SECONDA

18.

ON WINGS OF LEAD

 

Nothing was supposed to hurt like this
Missing you was always one more kiss

 

4 Gennaio 2007

L'idea di dover lavorare ad un progetto in completa autonomia la rendeva impaziente, facile preda di un'adrenalina altrimenti provata di rado.

La sua testa si era già lanciata in congetture irrazionali, portandola addirittura a pensare che forse Max aveva progettato la partenza per metterla alla prova, nascondendosi dietro alla solita vecchia scusa dei problemi personali urgenti. Folle, no? Ma nemmeno troppo improbabile, trattandosi di lui.

Alice sistemò i propri vestiti in una valigia pensando alla possibile reazione di Brian; erano appena tornati e lei già si preparava per ripartire. Precipitoso? Sconveniente? No: lavoro. Una settimana di progettazione, incontri e riprese per il nuovo video di una storica band sopra le righe: dov'era, se c'era, il problema?

 

From: Elwin...!; To: Alice;
Jan. 04, 2007 – 10.38 a.m.
Sala prove di prima mattina, mal di testa colossale, niente donna...
Siamo sicuri che sia questo quello che si intende con il termine rockstar?

 

Avrebbe dovuto cambiare il nome che gli aveva appioppato sulla sua rubrica telefonica e prima o poi si sarebbe decisa a farlo.

Ora, però, rispose senza pensarci.

 

From: Alice; To: Elwin...!;
Jan. 04, 2007 – 10.40 a.m.
Non so se sia questo ma a me non sembra tanto male: niente distrazioni sul lavoro!

 

From: Elwin...!; To: Alice;
Jan. 04, 2007 – 10.41 a.m.
Amo le distrazioni... Quando arrivi?

 

Sorridendo e scuotendo la testa, Alice lasciò scivolare il telefono all'interno della grande borsa e uscì di casa. La tabella di marcia di quella mattina era semplice: telefonata con il manager dei Megadeth per comunicare alla band gli ultimi particolari riguardo al loro incontro; colazione con Marta nella caffetteria accanto alla sala di registrazione; piccola visita ai ragazzi in studio, nella speranza di sentire o leggere qualcosa in anteprima; chiacchierata con Brian riguardo alla partenza e a tutto il resto. Bonus: cenetta per due a casa di Brian e successivo dopocena capace di bastare loro per un'intera settimana.

Marta arrivò al bar con una decina di minuti di ritardo, giusto il tempo necessario ad Alice per ripetere alla cornetta del telefono che no, Max non sarebbe stato presente durante nessuna fase della registrazione del video, salvo poi sorbirsi l'ennesima ramanzina da parte del manager della band che sperava proprio di avere a che fare con un professionista e non con una semplice assistente.

Pezzo di merda. Se solo avesse potuto lo avrebbe mandato a quel paese senza pensarci due volte, anziché inspirare nel tentativo di mantenere la calma e ricordargli l'appuntamento di due giorni dopo, come invece aveva fatto.

Posò il cellulare sul tavolino e squadrò l'amica con rinnovato buonumore. “Com'è tornare a casa?”

“Bello”, convenne l'altra prendendo a mangiucchiare l'unghia del pollice, “E potrebbe andare ancora meglio, se non dovessi già ripartire per quegli stupidi servizi fotografici.”

“Di già? E dove?”

“Uno a New York, insieme a Cristina Scabbia, e l'altro tutta sola a Las Vegas. Devo...”

Las Vegas?!

Marta annuì, occhieggiandola perplessa.

“Io devo andarci per girare il nuovo video dei Megadeth...”, sbuffò.

“Quanto entusiasmo”, ironizzò l'altra e Alice le lasciò intendere di avere molte cose da dire a riguardo. Più tardi le avrebbe raccontato tutto per filo e per segno ma ora era un'altra la sua priorità. Il viaggio di Marta e il suo avevano la stessa meta: quante possibilità c'erano che anche le date combaciassero tra loro?

“Sai già per quando è fissato il set di Las Vegas?”

“7 gennaio. Luke me lo ripete da stamattina.”

Bingo!

“Pensi di riuscire a partire insieme a me?”

“Per... Las Vegas?”

“No, per l'Alaska! Tini, che domande fai?!”, rise e l'altra roteò gli occhi.

“Quando devi partire?”

“Domani mattina, per essere lì domani sera. Che ne pensi?”

Marta sembrò pensarci su qualche secondo.

“Beh, Simon terrà i ragazzi rinchiusi in sala di registrazione per almeno due o tre settimane, non credo che Zacky avrà il tempo di sentire la mia mancanza...”, sorrise timidamente e Alice urlò di gioia.

“SI VA A LAS VEGAS!!!”

 

*

 

Lo studio era piuttosto piccolo e scuro, sulle tonalità del nero, del grigio e del bordeaux. Era la prima volta che Marta ci metteva piede e lo stesso valeva per Alice. Una volta dentro, Simon le aveva raggiunte con espressione truce, dicendo loro nemmeno troppo velatamente di andarsene ed era stato proprio in quel momento che Syn e Johnny avevano fatto la loro comparsa nel corridoio.

“Ehi!”, aveva urlato il primo in tono stupito, “Sono arrivate le distrazioni!”

Alice gli sorrise ed entrambe sorpassarono il manager, incuranti della sua espressione sempre meno rassicurante, e raggiunsero i ragazzi. I due piccioncini si scambiarono un bacio impegnato e Johnny sorrise a trentadue denti facendo cenno a Marta di lasciarli da soli e di seguirlo dentro la saletta, dove erano rimasti tutti gli altri. Il primo che scorse fu Matt con quel suo cappellino a visiera larga calato sul capo e gli occhiali da sole perennemente sul naso. Scambiò con lui un gesto amichevole della mano e subito intravide Jimmy con in mano un hot-dog grondante di senape e ketchup. Con una smorfia Marta accettò di stringergli l'unico dito rimasto pulito in cenno di saluto, senza riuscire ad impedire ai suoi occhi di guardarsi intorno. Mancava una sola persona all'appello.

“Ehi, stavo pensando che non abbiamo bisogno di...”, esclamò Zacky facendo il suo ingresso nella stanza con i pantaloni calati. La fronte di Marta si aggrottò leggermente e una risata generale spinse il chitarrista a tirare su i jeans, chiudendo per bene la cerniera, “Credevo arrivassi più tardi.”

“Se vuoi vado via”, scherzò andando a posargli un bacio sulle labbra e l'uomo la strinse in un abbraccio poco casto, intimandole di non spostarsi di un solo centimetro.

“A cos'è che pensavi, comunque?”, si informò Jimmy levando un po' di ketchup dall'angolo della bocca con un fazzoletto. Zacky gli fece segno di piantarla e tutti tornarono nuovamente a ridere.

“Ti ha accompagnata qui Derek?”

Derek?

“No. Sarei dovuta venire con lui?”

“Dimmelo tu. Brandan al telefono ha detto che Derek sarebbe dovuto passare da te, più tardi. Non è venuto?”

“Perché eri al telefono con Brand?”, domandò sollevando un sopracciglio e l'uomo scosse la testa con aria innocente.

“Non cambiare discorso, stavamo parlando di Derek...”

“No, non è passato nessuno”, sbuffò riducendo gli occhi a due fessure per esaminare con più attenzione l'espressione vaga del proprio ragazzo.

“Beh, passerà un altro giorno. O al massimo ti accompagno io da lui domani, appena finiamo in studio.”

“Dov'è che vuoi portarla domani, Coso?”, esordì Alice prendendo posto sul bracciolo della poltrona su cui si era appena seduto Syn.

“Lontana da te”, Zacky accese una sigaretta e la guardò con finto astio, sorridendo; fin dal loro primo incontro quei due erano stati come cane e gatto: prese in giro, battutacce... ma nessuno aveva mai pensato nemmeno per un secondo che stessero facendo sul serio: punzecchiarsi a vicenda divertiva moltissimo entrambi, era così palese!

“Mi sa che per qualche giorno ti toccherà lasciarla tutta per me...”, fece l'altra sollevando le spalle e scrutando le proprie unghie perfettamente smaltate di blu.

Marta morse istintivamente il labbro inferiore e occhieggiò spiacente Zacky.

“Tra un paio di giorni dovrò sorbirmi un servizio fotografico a Las Vegas. E dato che anche Ali sta andando là per...”

“Frena: stai andando a Las Vegas?”, la interruppe Syn rivolgendosi alla diretta interessata. Alice si strinse nelle spalle e annuì.

“L'ho saputo ieri.”

Anche Zacky aveva messo su un'espressione a dir poco sconcertata e la cosa di certo non sembrava migliorare con l'aumentare delle spiegazioni. Marta lo capiva: l'idea di vederlo partire senza di lei e di rimanere sola per una settimana intera avrebbe infastidito anche lei. Ma il lavoro era lavoro, no?

Simon, che aveva raggiunto il gruppo e aveva assistito all'intera conversazione stava ora annuendo con aria compiaciuta, sfregando le mani e ripetendo in continuazione che un po' di lontananza dalle donne avrebbe soltanto giovato alla band e alle registrazioni. Tutti i ragazzi, nessuno escluso, lo avevano incenerito con lo sguardo sperando che questo bastasse a fargli chiudere il becco.

“Una settimana, eh?”, ripeté Zacky serrando entrambe le mani sui fianchi.

Le due ragazze annuirono, pronte a lanciarsi in una mirabolante sviolinata su quanto sarebbero state attente e professionali e qualsiasi altro termine fosse anche solo minimamente in grado di togliere dal viso dei loro uomini quell'espressione arrabbiata.

“Sono sicuro che se la caveranno e...”

Syn alzò una mano e il manager si zittì. “A che ora si parte?”

Che cosa? Non penserete mica di andare con loro!”

A quel punto nessuno in quella stanza sembrava più capirci qualcosa: Jimmy, Matt e Johnny avevano cominciato a ridere a crepapelle; i nervi di Simon minacciavano di esplodere da un momento all'altro; le due donne continuavano a scambiare occhiate confuse tra loro e con i ragazzi. Nella sala era calato un silenzio strano, quasi imbarazzato.

“Cristo santo, non so se ve ne siete resi conto ma avete un album da registrare!!!”, tuonò improvvisamente il manager e i ragazzi presero a ridere più forte.

“Una settimana di vacanza farà bene a tutti”, minimizzò Syn afferrando la bottiglia di birra che Jimmy, seduto sulla poltroncina accanto alla sua, gli stava porgendo.

“Ma che vacanza e vacanza!”, urlò Simon, “A voi le donne fanno male, cazzo!”

“Ragazzi staremo via solo una settimana, non so se...”, tentò di farli ragionare Marta ma Syn scosse la testa, come a voler scacciare dalla mente la terribile ipotesi di lasciare Alice da sola per tutto quel tempo, mentre Zacky spense la sigaretta con un movimento aggressivo, definitivo: la decisione era stata presa e nulla avrebbe potuto far cambiare loro idea.

“D'accordo”, sospirò Alice facendo l'occhiolino a Marta, “Allora temo dovremo dire addio al bell'itinerario a cui avevamo pensato: casinò, locali di strip-tease...”

Jimmy sogghignò in segno di approvazione mentre Zacky si avvicinò all'orecchio di Marta e sussurrò con voce profonda: “Col cazzo che ti lascio andare in un posto del genere da sola con quella lì...”

Coso, guarda che ti ho sentito!”

“Meglio, così non dovrò ripeterlo un'altra volta”, le disse sprezzante e perfino Syn dovette combattere contro la risatina che gli stava risalendo la gola.

“Allora è deciso: si va tutti a Las Vegas!”

“Ma quale Las Vegas! Piantatela di fare i deficienti!”

Mentre Simon si stropicciava teatralmente il viso con entrambe le mani, Marta scambiò un'occhiata felice con la propria migliore amica: l'indomani sarebbero partiti tutti e quattro per un vero e proprio viaggio della speranza, lo stesso che in seguito avrebbero ricordato come il più bel viaggio della loro vita.

 

Credits: 'On Wings Of Lead' by Bleeding Through.

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Capitolo 19
*** II - Move To The City ***


 

PARTE SECONDA
19.

MOVE TO THE CITY

 

You pack your bags and you move to the city
There's something missin' here at home

 

5 Gennaio 2007

“Si, ma... là sopra?!”, ripeté Brandan strabuzzando gli occhi e Marta annuì di nuovo. Poco più in là, i ragazzi provvedevano a caricare sulla Mustang Cabriolet nera di Zacky l'esigua quantità di bagagli ricolmi di vestiti e effetti personali ai quali le due donne non potevano proprio rinunciare. Erano le dieci del mattino.

“Ma siamo a gennaio e quell'auto non ha la capote...”

“Si che ce l'ha”, intervenne Alice, che fino a quel momento aveva assistito alla scena in silenzio, “E se servirà la useremo. Ma nel Nevada ci sono almeno 20 gradi, in questo periodo dell'anno.”

La sera precedente, durante un'uscita a quattro strategica, gli uomini avevano avanzato la proposta di partire in auto. In fondo, non avrebbero fatto in tempo a prenotare i posti in aereo per il giorno successivo – senza contare che avere un'auto a disposizione era essenziale per girare la città in completo comfort.

“Guarda che 20 gradi non sono poi molti, soprattutto quando sei sparato a 100 km all'ora su un gioiellino come quello”, sospirò Brandan scuotendo la testa.

“Staremo bene, Brand”, lo rassicurò Marta facendosi spazio contro il suo petto per un abbraccio veloce, “Tu invece cosa farai?”

“Niente di che, solite cose.”

“Magari quella donna tornerà a farti visita...”, mormorò.

Brandan sollevò un sopracciglio e la allontanò, improvvisamente nervoso. “Di quale donna parli?”

“Quella dell'altra sera. Ricordi? Eravamo al telefono.”

“No. Quello è stato un errore. Non accadrà più.”

Allora aveva ragione: con tutta probabilità era davvero Therese, quella che mugolava dall'altro lato della cornetta! Gli diede una leggera pacca sulla spalla e sorrise. “Tutti commettiamo degli errori... e comunque lo sbaglio più grande l'ha fatto lei, considerando come stanno le cose.”

“Di che parli?”

“Beh, del matrimonio e...”

Brandan fece per aprire bocca, poi cambiò idea e posò lo sguardo privo di interesse sulla carrozzeria dell'auto d'epoca parcheggiata di fronte a loro. Anche Marta guardò in quella direzione: i ragazzi stavano chiudendo a fatica lo sportello del bagagliaio, sbuffando e imprecando.

“Vedrai che troverai la donna che fa per te, Brand.”

“Io credo di averla già trovata...”, sussurrò il cantante ma Marta non sentì neanche una parola.

Si salutarono tra mille raccomandazioni e battute di circostanza. A parte Brandan e Jimmy, comparso nel vialetto di casa di Marta un attimo prima che l'auto partisse, non si era presentato nessuno. Nemmeno Kristine era riuscita a farsi viva, comprensibilmente impegnata tra gli ultimi crucci di Therese e il nuovo lavoro al negozio di articoli sportivi aperto da poco in zona.

“Buon viaggio e trattatemele coi guanti”, salutò Brandan.

“Comportatevi da persone per bene, voi due”, fece Jimmy battendo le nocche contro il metallo freddo della portiera, “E voi divertitevi, dolcezze.”

 

*

 

“L'avevo detto io che avremmo dovuto prendere la mia auto!”, esclamò Brian all'ennesimo borbottare del motore. Erano in viaggio da circa un paio d'ore e quella Mustang del '72 stava già mostrando il meglio di sé.

“Taci, Gates. Come vedi stiamo continuando a viaggiare.”

“Tra un po' ci toccherà scendere a spingere, però...”, ironizzò, ammiccando al riflesso di Alice nello specchietto retrovisore.

“Un'auto d'epoca è come una donna: ha i suoi tempi ma, quando si decide, sa dare parecchie soddisfazioni.”

La risata di Alice esplose dal sedile posteriore, interrotta soltanto dalle piccole pacche che una Marta piuttosto divertita le stava rifilando a ripetizione sul braccio per farla smettere.

“Ci fermiamo a bere qualcosa?”, propose allora il conducente, sforzandosi di mantenere un contegno adeguato. Tutti, a bordo di quell'auto, sapevano quanto Zacky adorasse la sua auto... e, neppure a dirlo, Alice non vedeva l'ora di sganciare un altro paio di battutine sul suo orgoglio già abbastanza minato.

La Mustang si spostò in direzione del parcheggio di un Autogrill e tutti quanti tirarono un sospiro di sollievo: il bisogno di cibo, a quell'ora della giornata, stava davvero iniziando a farsi insistente.

Il piccolo ristorante presentava un arredamento piuttosto vecchio, di fine anni '50. Ad Alice aveva subito ricordato il set di Happy Days, quello di quando a Fonzie bastava battere un paio di pugni sul juke-box per far partire una hit e dare inizio alle danze. Guardandosi intorno cercò allora quella stessa scatoletta musicale ma dovette rinunciare abbastanza rapidamente.

“Cosa cerchi, pulce?”, mormorò Brian sfiorando appena la sua schiena con una mano, mentre l'odore della sua pelle le solleticava pensieri illeciti.

Pulce... mi piace.”

“Insidiosa ma fottutamente carina.”

“Oh, grazie tante."

Brian sogghignò e ripeté: “Quindi cosa cerchi?”

“Qualcosa con cui convincerti a muoverti”, sospirò, “Ma credo dovrò arrendermi.”

“Cosa vuoi che muova, esattamente?”

Divertita, Alice lo allontanò con un leggero spintone. “Quanto sei scemo.”

Raggiunsero Marta e Zacky al tavolo un po' defilato che i due avevano scelto e Alice si finse disgustata quando vide i due scambiarsi un bacio tutto lingue e ormoni.

“Un giorno mi dovrai spiegare perché questa ostilità nei suoi confronti...”

Sorridendo all'esclamazione esasperata del proprio uomo, Alice fece una smorfia. “Diciamo che Coso, per quanto odi ammetterlo, mi è più simpatico di tutti gli altri...”

“Gli altri chi?”, domandò allora il diretto interessato, scollando per qualche secondo le proprie labbra da quelle di Marta e Alice sbatté le palpebre con aria ingenua, stralunata.

“E va bene, che ne dite di ordinare?”

Le cameriere somigliavano spaventosamente a quelle disperate e un po' bruttine che spesso si vedevano nei film. L'America era il top, in fatto di stereotipi. La donna sulla cinquantina che prese le loro ordinazioni, ad esempio, aveva denti storti, capelli sfibrati di un grigio-biondo spento e una gamba leggermente più corta dell'altra che regalava alla sua camminata un lieve dondolio.

“Qual è la tabella di marcia?”, domandò Zacky quando gli venne servito il suo hamburger impiattato insieme a patatine, cetriolini e salse.

“Arrivo in hotel in serata, sveglia presto per me e per Brian”, cominciò Alice numerando ogni punto sulle dita di una mano, tentando di non dare retta alle lamentele dell'uomo seduto accanto a lei, “E incontro di lavoro che spero essere più breve del previsto. Poi siamo di nuovo tutti per voi... fino al mattino dopo.”

I due uomini si scambiarono un'occhiata perplessa e Zacky si schiarì la voce, borbottando all'amico un la fortuna ti assiste che gli valse un bel dito medio in risposta.

“Invece noi dopodomani dobbiamo andare in quello studio fotografico.”

“Noi?”

“Certo! Hai insistito per venire e ora non vorrai mica lasciarmi andare da sola!?”

Questa volta fu il momento di Brian di farsi beffe del compagno di band.

“E va bene”, i due piercing labiali seguirono l'incurvatura all'ingiù della bocca, “Andiamo a questo benedetto servizio fotografico.”

 

*

 

Arrivarono in hotel intorno alle nove di sera, considerando i parecchi chilometri di strada da percorrere e le soste che le ragazze avevano richiesto di frequente.

Le stanze, due matrimoniali prenotate con scarso anticipo in un albergo a cinque stelle, erano strutturate come delle vere e proprie suite da viaggio di nozze, magnificamente arredate e ricolme di comfort.

Nonostante la stanchezza dovuta al viaggio, nessuna delle due coppie riuscì ad addormentarsi con facilità, una volta chiusa la porta della propria camera.

“Sono esausta”, sbuffò Marta gettandosi sul letto a pancia in su, mentre Zacky le si avvicinava famelico, sbottonandole i pantaloni con dita impazienti. Le loro bocche avevano preso a cercarsi con trasporto sempre maggiore mentre le mani dell'uomo si agganciavano ai suoi pantaloni. Marta gemette appena alla percezione di quelle dita sulla cucitura delle mutandine, “Cosa vuoi fare?”

Zacky le diede un bacio audace e poi le sfilò velocemente gli slip di dosso, gettandoli a terra senza alcuna cura. “Ora lo vedrai.”

Quando furono ormai sazi l'uno dell'altra, pronti a lasciarsi rapire dal sonno ristoratore di cui avevano bisogno, udirono alcuni colpi contro la parete e presero entrambi a ridere. Nella stanza accanto, quella di Syn e Alice, doveva esserci parecchio fermento! Chissà se anche gli altri avevano sentito i loro ansimi e le urla e i gemiti? Marta arrossì appena a quell'idea.

Dopo circa un'ora, quando ormai tutto intorno a loro era addormentato e taciturno, il telefono di Marta squillò. Il disegno di una piccola busta comparve sullo schermino e la tastierista, il sonno ormai disturbato, aprì un occhio.

 

From: Unknown; To: Marta;
Jan. 06, 2006 – 03.40 a.m.
Saperti tra le sue braccia mi fa davvero incazzare

 

Senza riuscire ad impedirselo, e con un lungo e gelido brivido a ghiacciarle la schiena e il sangue, ripensò alla sera di Halloween, quando qualcuno l'aveva baciata e poi si era dileguato. Di chi diavolo poteva trattarsi? E soprattutto, cosa voleva quella persona da lei?

 

Credits: 'Move To The City' by Guns n' Roses.

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Capitolo 20
*** II - Doing Time ***


 

PARTE SECONDA
20.

DOING TIME

 

That’s just the price to play, so tell me what you’re like
Got a hand on the kerosene match tonight

 

6 Gennaio 2007

Il salone dell'hotel in cui venivano servite le colazioni era davvero molto grande. L'enorme vetrata che affacciava sul parco lasciava entrare la fioca luce del sole di inizio gennaio, scaldando l'ambiente con quella nuance dalle sfumature biancastre.

Marta fece il suo ingresso in sala mano nella mano con Zacky, cercando con lo sguardo un tavolo libero e un po' appartato. Aveva deciso di non dirgli nulla a proposito del messaggio ricevuto durante la notte, almeno per ora. Per quanto ne sapeva poteva essersi trattato di un malinteso o di uno scherzo e allarmarlo per nulla non le sembrava davvero una mossa intelligente.

Anzi, lei per prima avrebbe dovuto togliersi dalla testa quell'assurda storia!

“Cosa vuoi fare, oggi?”, le domandò Zacky occupando la sedia di fronte alla sua.

Marta sollevò le spalle. La Mustang era toccata di diritto ad Alice e Syn, in vista del primo giorno di registrazioni del video dei Megadeth.

Cosa si poteva fare a Las Vegas, a piedi?

Casinò?

La risatina dell'uomo le fece tornare un po' di buonumore. “Non ti facevo una giocatrice d'azzardo.”

“Mai sottovalutare una donna in visita a Las Vegas con un gruzzoletto nel portafoglio.”

“Mi devo preoccupare?”, sbuffò con un certo divertimento, facendo cenno al cameriere di avvicinarsi al loro tavolo, “Due caffè.”

“Ehi, non ho ancora deciso se prendere un caffè...”, protestò debolmente.

“E cosa ti va di bere?”, ribatté facendo cenno al cameriere di aspettare.

Marta lo osservò con un sopracciglio alzato, gli occhi socchiusi. Pensò che incontrare quell'uomo era stata una delle cose più belle che potessero capitarle. “Ok, vada per il caffè”, concesse con una smorfia.

Due”, ripeté allora lui, regalando al cameriere un sorriso spiacente, poi si rivolse nuovamente a lei: “Hai idea di come funzionano i casinò?”

“Francamente no.”

Appoggiò entrambi i gomiti sul tavolo, rimirandola con attenzione da sopra le mani congiunte. “Faccia di bronzo, nessuna emozione. Nessuno dev'essere in grado di anticipare le tue mosse.”

“Quindi bisogna saper fingere...”

“Beh, se ci pensi non è molto diverso dal mondo in cui sguazziamo di solito.”

In effetti non aveva tutti i torti: le rockstars dovevano saper fingere, se volevano avere una chance di rimanere a galla. Quante volte aveva dovuto fare buon viso a cattivo gioco durante un'intervista forzata? Per non parlare di tutti quei meet&greet piazzati da Luke alla fine dei concerti, quando tutti loro erano esausti ma dovevano ugualmente mostrarsi entusiasti di incontrare i propri fans, per non rischiare di deludere le loro aspettative.

Le tornò in mente quella prima intervista doppia rilasciata per Kerrang! agli inizi del tour europeo: le maschere, la vita pubblica ben divisa da quella privata. I soprannomi.

Zacky Vengeance”, esclamò come per rispondere ad una domanda inespressa. L'uomo annuì e si aprì in un sorriso caldo. “A proposito, è un po' che voglio chiedertelo... perché proprio Vendetta?”

Il cameriere spuntò all'improvviso con il vassoio in mano ed entrambi si fermarono ad osservarlo appoggiare silenziosamente le tazzine sul tavolo.

“Da ragazzino ero un anticonformista e a molti questo non piaceva. Mi vedevano diverso dalla massa e forse questo non gli dava sicurezza. Così i classici fighetti della scuola hanno cominciato a darmi fastidio: prese in giro, scherzi di cattivo gusto. E più reagivo, più loro calcavano la mano.”

Marta avvertì il forte desiderio di alzarsi, andare da lui e abbracciarlo ma subito si riscosse e sussurrò: “La gente sa essere crudele.”

“Stare a guardare le loro vite mediocri dal palco di un nostro show in giro per il mondo mi sembra una vendetta più che soddisfacente”, sorrise e bevette in un unico sorso il proprio caffè, “Ho risposto alla tua domanda?”

“Direi di si.”

“Allora andiamo al casinò?”

“Certo. Ma prima vorrei cambiarmi.”

“Se torniamo in camera adesso non ne usciamo prima di oggi pomeriggio...”, mormorò con un vago divertimento.

Gli sorrise con malizia. “Lo so.”

 

*

 

Si era documentata su internet e tutte le interviste che aveva letto riportavano la sua attenzione su un unico vero punto focale: Dave Mustaine era uno stronzo.

Certo, la sua musica era conosciuta in tutto il mondo e la sua band era considerata una delle maggiori influenze per i miliardi di gruppi musicali esordienti dell'intero globo, ma per Alice questo non bastava a giustificare il comportamento deplorevole che il cantante sembrava tenere con la maggior parte della gente con cui aveva a che fare.

Un cafone restava tale, a prescindere dal proprio grado di celebrità.

“Ho posizionato le luci nei punti in cui le volevi”, la informò Jordan comparendole accanto, “Carrie sta finendo di sistemare i teloni verdi sullo sfondo e Mark ha appena finito di collegare tutti i cavi agli strumenti della band.”

Alice annuì soddisfatta e segnò qualche X sul taccuino che teneva tra le mani, spuntando qualche voce dal lungo elenco. Prima di partire aveva seguito il consiglio di Max: aveva radunato i membri dello staff con più esperienza e aveva chiesto loro di imbarcarsi sul primo aereo e raggiungerla a Las Vegas con tutta la strumentazione necessaria alla causa.

Controllò velocemente il lavoro dei propri colleghi, poi cercò Brian con lo sguardo. Lo trovò seduto su una sedia da regista a qualche metro da lei, mentre osservava il set con aria colpita, i gomiti appoggiati ai braccioli di legno e le mani congiunte a triangolo all'altezza della bocca.

“La band dovrebbe già essere qui”, mugugnò irritata.

Jordan annuì. “Mustaine e soci non sono famosi per la loro puntualità.”

“Beh, sarà meglio che arrivino entro breve o...”

O cosa? Non avrebbe potuto fare nulla, aveva le mani legate. Che le piacesse o no, quella band era la più importante occasione di riscatto che le fosse mai capitata sotto mano e di certo, se ci teneva al proprio posto di lavoro e alla carriera, non l'avrebbe sprecata.

“Va bene”, inspirò e socchiuse gli occhi, come a volersi imporre un contegno, “Allora vedrò di sentire il loro manager. Tu assicurati che sia tutto a posto.”

“Ho già controllato tutto quanto.”

“Ricontrolla”, ribatté in tono leggermente brusco, “Per favore.”

Jordan le sorrise comprensivo. “D'accordo, capo.”

Il titolo del singolo era Never Walk Alone... A Call To Arms e l'idea era quella di una città in piena emergenza da guerra, spenta e in preda ai bombardamenti, in cui posizionare la band come una sorta di voce di speranza tra decadenza e terrore. Niente di particolarmente originale o entusiasmante, per la verità, ma il manager dei Megadeth era stato chiaro: niente video impegnativi. E qui, di impegnativo, c'era soltanto il tenere in mano uno strumento e fare finta di suonare mentre sullo sfondo passavano immagini dure di distruzione e morte.

“Dov'è il regista?”, esclamò una voce tanto gutturale quanto fastidiosa, “Voglio parlare con il regista!”

Con la fronte aggrottata, Alice si voltò verso il nuovo arrivato: capelli lunghi, rossi e ricci; camicia nera leggermente sbottonata sul petto; pantaloni neri così stretti da riuscire nella seppur difficile impresa di assottigliare ulteriormente quelle gambette già di per sé rachitiche; un sorrisetto compiaciuto sul volto.

“Ce l'ha davanti”, gli allungò una mano per presentarsi ma l'uomo non sembrò pensare nemmeno per un istante di stringerla, “Alice Ferri.”

“Si, zuccherino, ma io intendevo il vero regista.”

Lei annuì con espressione irritata. “Sono io, il vero regista.”

“Davvero?”, rise mostrando i denti, “Oh, al diavolo.”

“C'è qualche problema?”, riprese la donna con ira crescente.

“No”, smise di ridere l'altro, “Basta che ci sbrighiamo.”

“Guarda un po', è quello che vogliamo tutti quanti!”

Dave restò a osservarla di sbieco per qualche istante che le parve infinito e Brian abbandonò la seggiola, avvicinandosi a loro di qualche passo. Era una situazione oltremodo buffa: si sentiva una bambina dall'aria indifesa ferma di fronte ad un rottweiler con la fama di essere particolarmente vorace. Peccato che la parola indifesa non si avvicinasse nemmeno lontanamente all'aggettivo che avrebbe utilizzato per descrivere se stessa.

“Che caratterino...”, commentò il cantante d'improvviso, sorridendo. Poi le porse una mano e attese che lei gliela stringesse. “Dave Mustaine.”

“Sempre Alice Ferri”, ripeté lei, ancora un po' seccata.

“Ferri non è un cognome americano.”

“Sono italiana.”

“Abbiamo lavorato con una cantante italiana, per una traccia del nuovo album.”

Alice restò in silenzio per una manciata di secondi, poi gli fece cenno di prendere posto sul set. Il resto della band era arrivato in sordina e ancora adesso, nonostante lei stesse spiegando a tutti loro lo svolgimento delle riprese, nessuno aprì bocca.

“Esco a fare una telefonata”, Brian le alitò contro il collo, sfiorandole l'orecchio con il naso, “Torno subito.”

La donna annuì e tornò a prestare attenzione al set e alla band che pareva annoiata e scocciata come non mai. Sarebbe stata una lunga, lunghissima giornata.

 

*

 

Nuda come un verme strisciò i piedi sul freddo pavimento di marmo, percorrendo lentamente la strada che dal letto portava al bagno. Si erano addormentati e ormai si erano fatte le cinque e mezza del pomeriggio. Troppo presto per cenare ma troppo tardi per cominciare una qualsiasi attività.

Sciacquò il viso con acqua fredda e si osservò per qualche istante nel riflesso dello specchio. Nel complesso aveva un aspetto pessimo: un inizio di occhiaie; un paio di segni rossi sul collo – succhiotti – grandi quanto una moneta; labbra gonfie e leggermente screpolate. Una meraviglia.

“Hai paura che menta, quando ti dico che sei bella?”, ironizzò Zacky appoggiandosi con una spalla alla porta. Aveva indosso soltanto un paio di pantaloni di una taglia in più, le mani nelle tasche.

“Domani dovranno fare miracoli, con il trucco”, sorrise guardandolo attraverso lo specchio. Lui scrollò la testa con espressione di ammonimento e le si avvicinò, appoggiando il proprio busto alla sua schiena, il tessuto dei pantaloni premuto contro le natiche nude. Le baciò il collo e Marta socchiuse gli occhi.

Poi il telefono suonò con il solito jingle dei messaggi. Curiosa e agitata si liberò dalla presa del proprio uomo e si gettò alla ricerca del BlackBerry.

 

From: Unknown; To: Marta;
Jan. 07, 2006 – 05.37 p.m.
Siete a Las Vegas e non mettete il naso fuori da quella cazzo di stanza
Devo venire a prenderti là dentro?

 

Panico. Cosa intendeva con venire a prenderti là dentro? Fece per digitare con dita incerte un sms di risposta ma Zacky le tolse il telefono di mano, ridendo. Spalancando gli occhi e con un filo di voce Marta gli chiese di riaverlo indietro e lui smise improvvisamente di sorridere, passandole il telefono con una certa preoccupazione.

“Ehi, va tutto bene, piccola?”, domandò accarezzandole dolcemente i capelli e il viso, “Stavo solo scherzando.”

“Lo so”, sorrise e gli lasciò un piccolo bacio sulle labbra, “È che non sento mia sorella da giorni e credevo fosse un suo messaggio, ma invece era la solita stupida compagnia telefonica...”, mentì.

“D'accordo”, sembrò rasserenarsi un po', “Senti, devo comprare le sigarette. Se vuoi chiamarla e lamentarti del sottoscritto è il momento giusto per farlo.”

Il suo sorriso sincero e quelle labbra calde contro le sue le diedero un po' di pace. Doveva trattarsi di uno scherzo di pessimo gusto, senza ombra di dubbio.

“Vuoi che venga con te?”

Non era sicura di voler rimanere da sola in quella stanza d'albergo.

“No, tu sistemati con calma. Mentre vado in là, telefono a Brian e gli chiedo quando pensano di tornare per la cena, ok?”

“Va bene.”

Lo osservò vestirsi con gli stessi indumenti messi quella mattina e abbandonati sul pavimento nella foga e attese che la porta della camera si richiudesse alle sue spalle, poi strinse il telefono con più forza e, dopo aver evidenziato il numero che compariva sotto alla scritta Unknown, premette il tastino verde.

Il telefono sconosciuto suonò libero per un paio di bip, poi la linea cadde. Quando ritentò la fortuna, chiamando per la seconda e la terza volta, una voce la informò che quell'apparecchio era stato spento o non era raggiungibile.

Assurdo. Se anche qualcuno le avesse risposto cosa gli avrebbe potuto dire?

Decise che, se la faccenda degli sms si fosse ripetuta, ne avrebbe parlato con qualcuno, magari con Alice o Kristine.

Il jingle degli sms suonò di nuovo, spaventandola.

 

From: Ali; To: Marta;
Jan. 07, 2006 – 05.53 p.m.
Ehi, gente! Torneremo in albergo entro breve, giusto il tempo per Brian
di finire di litigare con le marce manuali di questo pezzo da museo!

 

Marta tirò un sospiro di sollievo e digitò una risposta veloce all'amica, poi estrasse dalla valigia un paio di jeans a sigaretta neri e una maglia bianca dalle stampe colorate della Vengeance University, regalo pre-viaggio di Zacky.

 

*

 

“Questo posto è pazzesco!”, urlò Alice non appena ebbero messo piede dentro ad uno dei casinò più grandi della città. Era la prima volta che ne vedeva uno così da vicino e la sua espressione entusiasta ne era la conferma.

Slot machines, tavoli da poker, biliardi: che strano posto delle meraviglie, e della perdizione, era quello?

Lanciò un'occhiata felice a Brian, accanto a lei, e sciolse l'incrocio delle loro mani per gettarsi a capofitto verso una macchinetta più illuminata e colorata delle altre. Marta, rimasta un po' più indietro, non sembrava particolarmente interessata a nessuna delle cose contenute dentro a quel gigantesco locale.

Brian le si materializzò accanto, mettendole in mano una scatola piena di gettoni color oro, essenziali per far prendere vita a qualsiasi slot.

“Divertiti, pulce”, disse scuotendo la bottiglia di birra che teneva nella mano destra e dedicandole un sorriso sghembo dei suoi, “Fammi vedere cosa sai fare.”

“Non ci provare. So come vanno queste cose!”

“E come vanno?”, stiracchiò maggiormente le labbra.

“Io tento la fortuna senza mai vincere. Poi arrivi tu e con un colpo sbaragli tutto.”

“Guarda che non sono così fortunato.”

“Non è fortuna, è statistica!”

Alice sentì Marta ridere qualche passo più indietro di loro, poi la vide avvicinarsi ad una slot differente da quella che aveva scelto lei, seguita a ruota da Zacky e dal suo evidente buon umore.

“Stanno bene, insieme”, commentò increspando le labbra in una smorfia.

“Se lo dici con quell'aria convinta...”

“No, dico sul serio”, sorrise, “Te l'ho detto che Coso è il più normale tra i ragazzi che ho visto vicino a lei.”

“Avevi detto simpatico, non normale.”

“Va beh, hai capito cosa intendo dire.”

“Testardo com'è non riusciva a togliersela dalla testa”, disse prendendo posto sullo sgabello della slot vicina e attirando Alice a sé.

“Avrebbe potuto lasciare quella ragazza un po' prima, allora.”

“Già”, serrò le labbra e le piegò all'ingiù, scrollando le spalle come a voler chiudere il discorso, “Dai, fammi vedere come domi la statistica.”

“Preferirei farti vedere come domo qualcos'altro...”, mormorò con un mezzo sorriso e Brian scoppiò a ridere fragorosamente, senza riuscire a smettere.

“Beh? Che hai da ridere?”

“Stai cominciando a parlare come me, pulce...”

“Naturale: sei quella che qualsiasi madre chiamerebbe una pessima compagnia, Elwin.”

Brian si allungò verso di lei e chinò la testa di lato, osservandola con labbra socchiuse e occhi attenti. “Per questo sei pazza di me.”

“Abbiamo qui con noi Mr. Modestia”, lo sbeffeggiò e lui la attirò a sé con un gesto fugace, sorridendole sulle labbra e baciandola con violenza.

 

Credits: 'Doing Time' by Avenged Sevenfold.

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Capitolo 21
*** II - Thank You For Loving Me ***




SECONDA

21.

THANK YOU FOR LOVING ME

 

I never knew I had a dream
Until that dream was you

 

7 Gennaio 2007

“Bene, ora appoggiati a quel pianoforte e fingi di essere sovrappensiero.”

Era trascorsa un'ora da quando avevano messo piede dentro allo studio fotografico e Marta già sentiva di non poterne più. Zacky l'aveva accompagnata come promesso e ora stava aspettando con impazienza che il servizio terminasse e che il fotografo scomparisse dalla sua visuale. Marta gli lanciò un'occhiata distratta e lo sorprese a guardarla di rimando con aria seria, attenta. Gli sorrise e lui ricambiò, addolcendo l'espressione e serrando maggiormente le braccia al petto, per poi sprofondare ancor di più tra i cuscini verdi e oro del divano su cui il fotografo lo aveva parcheggiato subito dopo le presentazioni.

“Fantastica! Sei davvero uno schianto, l'obiettivo ti ama!”

Era certa che Zacky si stesse annoiando, anche se chiaramente stava cercando di non darlo a vedere. Il cellulare dell'uomo vibrò.

“E ora me ne serve una con quell'ombrellino. Giocaci, fai finta di doverti riparare da una leggera pioggerellina.”

Meccanicamente afferrò l'ombrello e lo aprì a coprirle la testa, mentre con lo sguardo studiava l'espressione divertita di Zacky mentre leggeva il messaggio appena arrivato. Una fitta di insensata gelosia la colse di sorpresa, per poi sparire sotto al peso della ragione.

“Di qua, tesoro! Devi guardare di qua!”

Riluttante puntò gli occhi contro l'obiettivo e li serrò un poco, pronta a proteggersi dalla luce potente che il flash stava per scagliarle contro.

“Perfetta! Resta solo...”

“Possiamo fare una pausa?”, lo interruppe mentre, senza aspettare di ricevere il permesso, lasciava il set. Zacky la osservò avvicinarsi, ancora il cellulare in mano.

“Che succede, piccola?”

Marta gli si sedette accanto e sbuffò. “Ho bisogno di qualche secondo di break.”

“Senti, pensavo che stasera potremmo uscire a cena. Solo tu ed io.”

Marta sorrise e annuì, poi si avvicinò a dargli un bacio.

“Ho voglia di stare un po' con te senza avere qualcuno che ci ronza intorno.”

Si prospettava una serata magnifica!

“E gli altri sanno cavarsela anche senza di noi”, puntò le iridi azzurre nelle sue e si aprì in un sorriso sghembo, “Non siamo i loro tutori, no?”

“Perfettamente d'accordo.”

Gli si accoccolò contro e lui la strinse, sussurrando: “Ho una sorpresa per...”

“Signorina Peterson! Possiamo riprendere da dove ci eravamo fermati?”

L'impaziente urlo del fotografo fece saltare sul divano tutti e due. Marta socchiuse gli occhi e mormorò qualcosa a proposito dell'essere stufa di tutti quei flash annebbia-vista, dando così il via ad una risatina da parte del chitarrista, poi abbandonò con scarsa voglia quelle comode e rassicuranti braccia tatuate e tornò a prendere posto davanti all'obiettivo.

 

*

 

Il manager dei Megadeth aveva telefonato ad Alice quella stessa mattina per informarla dell'impegno improrogabile che avrebbe tenuto impegnata la band per tutto il giorno, rimandando le riprese all'indomani, e Zacky aveva appena chiamato Brian per renderli partecipi dei loro piani da piccioncini per la serata che, neppure a dirlo, non li riguardavano minimamente.

Quindi, dal momento che nessuno li stava aspettando in albergo o sul set del video, non avrebbero avuto granché da fare fino al giorno successivo. Perché non approfittarne? Entrarono in un bar per concedersi un paio di giri di aperitivo, poi camminarono per le vie di Las Vegas con passo lento e alticcio, tenendosi per mano con forza possessiva. Brian la attirò in un abbraccio e Alice lasciò che il profumo dell'uomo, da quell'angolino caldo e accogliente che si andava a creare sotto la stretta protettiva del braccio, la inebriasse e stregasse completamente. Non avevano la minima idea di dove fossero diretti e nemmeno sembrava importargli.

“Potrei stare qui per tutta la vita.”

“Credo che qualcuno potrebbe avere qualcosa da ridire, se tu non tornassi...”

“Sai che non me ne frega un cazzo di cosa qualcuno ha da ridire”, la guardò di sbieco e smise improvvisamente di camminare. “Ho voglia di fare l'amore.”

“Hai sempre voglia di fare l'amore”, sorrise lei alzando gli occhi al cielo.

Brian le accarezzò la schiena poi, senza il minimo preavviso, la sollevò da terra e mosse qualche passo in direzione di un'automobile parcheggiata verso la fine di una traversa cieca e appartata. Quando le sue spalle toccarono con un brivido il ferro freddo della carrozzeria, l'uomo sorrise soddisfatto. La baciò con irruenza, mentre una mano scendeva oltre l'orlo dei jeans, sempre più giù. Un dito oltrepassò abilmente la sottile stoffa delle mutandine e si insinuò con facilità in lei. Alice prese ad ansimare, spingendo il bacino contro quella mano impegnata a darle piacere. Non riusciva a smettere di gemere, eccitata dall'idea di essere insieme a lui in un momento del genere, così vicino al centro città. Stava perdendo il controllo e ben presto si accorse che più cercava di trattenersi, più si avvicinava all'orgasmo. Intanto Brian continuava a baciarla, ad accarezzarla e lei lo maledì e gli fu grata allo stesso tempo. Poi, quando era ormai giunta al limite, la porta a vetri di un edificio accanto a loro si aprì e un uomo e una donna uscirono in strada. Alice pregò che non li degnassero di uno sguardo e Brian le fece cenno di fare silenzio, senza però smettere di muovere la mano su e giù in quella danza sensuale. La coppia sistemò i vestiti e, accontentando le richieste di Alice, uscì in strada senza neppure accorgersi di loro. Fu proprio in quel momento che Alice venne, soffocando un urlo contro la spalla del proprio uomo.

“Tu sei pazzo...”, sussurrò con il fiato corto, più brilla di prima.

Brian sorrise compiaciuto e la prese per mano, reimmettendosi sulla via principale come se niente fosse. Camminarono per qualche metro senza dire una sola parola, mano nella mano.

Con quell'uomo la barriera tra lecito e illecito, tra legale e illegale, non esisteva.

Improvvisamente Alice lo fece fermare e gli indicò qualcosa dall'altro lato della strada, ottenendo in risposta uno sbuffo divertito.

“Ho sempre sognato di vederne una!”, fece lei mettendo un piede in strada.

Brian rimase a osservarla con aria esterrefatta, come se vedere una donna attraversare la strada fosse un qualcosa di raro o paranormale, poi la raggiunse.

 

*

 

“Va bene, lo farò. Stammi bene.”

Zacky interruppe la conversazione e lanciò il cellulare contro i sedili posteriori dell'auto. Non erano nemmeno ancora partiti e quell'aggeggio infernale aveva già preso a suonare. Marta non aveva fatto in tempo a leggere il nome che lampeggiava sullo schermino e non era riuscita a capire di chi si trattasse nemmeno dopo che la conversazione era cominciata.

“Perché il tuo telefono è spento?”, le domandò Zacky, guardando il riflesso delle automobili in corsa tramite lo specchietto retrovisore.

Marta si morse un labbro e inspirò. “Devo averlo dimenticato spento da ieri sera.”

Forse dimenticato non era la parola più giusta da usare. Lo aveva piuttosto lasciato deliberatamente spento per tutto il giorno per non rischiare di ricevere altri messaggi anonimi.

“Sembra che Luke abbia una notizia da darti.”

Luke?”, ripeté. L'uomo annuì senza espressione. “Era lui, al telefono?”

Annuì di nuovo. “Ha parlato di un'intervista che ti ha fissato per quando torni. Non è urgente ma vuole che lo richiami.”

“Perché non ha voluto parlarmi adesso?”

Zacky la guardò di sbieco, accennando un sorriso sghembo. “Gli ho detto che non c'eri.”

“Ma...”, sorrise di rimando.

“Questa sera siamo solo tu ed io, ricordi?”

Scosse la testa e occhieggiò la vita che trascorreva al di là del vetro del finestrino, senza riuscire a togliersi quel sorrisino ebete dalla faccia.

“Può chiamare domani. Stasera sei solo mia.”

Le piaceva da morire l'idea di essere solo sua. Lo guardò con desiderio crescente e gli domandò cosa avrebbero fatto per tutto il pomeriggio. L'uomo le rispose che aveva un paio di idee niente male per riempire le ore che li separavano dalla cena e Marta sentì un brivido percorrerle la schiena e il basso ventre.

“E per quando torniamo a Los Angeles ho una sorpresa per te.”

“Che sorpresa?”

“Non ti dico niente”, Zacky rise della sua espressione corrucciata, “Non insistere, piccola, o non lo saprai nemmeno quando torneremo.”

Marta gli rifilò un pugno sulla spalla, ottenendo in risposta soltanto una nuova ondata di risate. Arresa, serrò le braccia al petto.

“Avete sempre tutti questa pessima abitudine di dirmi le cose a metà.”

“Poi mi spieghi chi sono questi tutti...”

“Ti odio.”

Zacky fermò l'auto ad uno STOP e le si avvicinò, il naso contro il suo e le labbra bramose di attenzione.

“Non ci credi neanche tu.”

“No, invece! Giuro che ti odio.”

La baciò e Marta sciolse la stretta che bloccava le sue braccia, incapace di resistere alla tentazione di passare le dita tra i capelli neri dell'uomo.

“E va bene... forse non ti odio.”

Grazie.”

Soddisfatto, Zacky inserì la marcia e ripartì.

 

*

 

“Guarda questa!”, fece Alice soffocando una risatina ebbra con la mano.

Brian osservò la foto che la donna gli stava indicando e non poté trattenersi dall'aggrottare la fronte. Erano entrati in una tipica chiesa di Las Vegas, di quelle conosciute in tutto il mondo per la facilità e la stravaganza con cui venivano celebrati matrimoni legali tra parti spesso di dubbio gusto e, al momento, stavano percorrendo un lungo corridoio di moquette bordeaux su cui erano state affisse alcune tra le più strane fotografie di nozze mai scattate al mondo.

“Ma come si fa?!”, domandò ancora scuotendo la testa, passando accanto al ritratto di una coppia davvero fuori dal comune – una gigantesca biondona dalle enormi mani al fianco di uno scarno e basso ometto spaurito.

“La gente è strana”, convenne l'uomo proseguendo la visita al suo fianco con le mani ben serrate nelle tasche del giubbotto di pelle.

“E poi questi vestiti... ho sempre pensato che la televisione esagerasse le cose ma, a quanto vedo, la realtà supera di molto la fantasia!”

“Capita più spesso di quanto immagini, pulce.”

Terminata la galleria fotografica, arrivarono ben presto ad una sorta di bivio.

Alice lesse ad alta voce: Guardaroba, scritto sul cartello alla sua sinistra e Cappella, su quello alla sua destra e occhieggiò Brian con aria sognante.

“Vuoi andare a vedere i vestiti, non è vero?”, domandò lui sollevando gli occhi al cielo con espressione sempre più radiosa. Forse buona parte del merito era da riconoscere all'alcool ma si stavano divertendo entrambi come due bambini.

Senza il minimo accenno a volergli rispondere, Alice intraprese il corridoio che seguiva la prima scritta. Entrarono in una stanzetta piuttosto buia e vennero investiti da un nauseante odore di naftalina. D'improvviso un paio di faretti accecanti si accesero e una donna seduta dietro un banchetto accanto alla porta li squadrò, per poi indicare loro due file distinte di vestiti, una da donna e l'altra da uomo.

La maggior parte degli abiti presentavano paillettes e colori sgargianti, e si dividevano in taglie forti davvero molto abbondanti e vestitini di pelle così stretti da far sembrare un manico di scopa chiunque osasse indossarli. Altri vestiti, però, erano davvero carini. Alice ne aveva scovato uno sulla falsa riga di quello che Anastasia, erede al trono della famiglia Romanoff, indossava durante il cartone animato che raccontava le vicende degli zar di Russia, e per un secondo aveva immaginato di indossarlo e di presentarsi davanti a Brian compiendo un inchino da perfetta principessa.

Poi un vestito catturò la sua attenzione. Se la protagonista di Alice nel paese delle meraviglie si fosse sposata avrebbe certamente indossato quell'abito azzurro e bianco che lei teneva ora tra le mani, e che ricordava in modo sublime il vestitino turchese che la ragazzina aveva indosso per tutta la storia.

Alice cercò freneticamente la propria taglia, poi si avvicinò ai camerini.

Dopo averlo indossato, rimirò la propria immagine riflessa nello specchio e subito pensò a dove potesse essere finito Brian, se la stesse cercando.

Tirò la tenda e la luce di uno dei faretti che illuminavano a giorno la stanza la colpì dritta negli occhi, costringendola a chiuderli e a coprire la fronte con una mano, come durante una calda giornata di sole.

“Wow”, biascicò una voce fin troppo famigliare mentre la mano esperta correva sul suo fianco, spingendola indietro verso il posto da cui aveva appena fatto capolino. Lo stridere dei gancetti della tenda la convinse ad aprire finalmente gli occhi: era di nuovo al sicuro della luce soffusa del camerino e insieme a lei c'era quello strano concentrato di sesso e perfezione dall'aria compiaciuta che rispondeva platealmente al nome di Synyster Gates.

“Ciao, splendore”, le disse lasciandole un piccolo bacio sulle labbra.

“Sbaglio o quello che hai indosso è il cappello del Cappellaio Matto?”

Alice pensò con una strana sensazione di gioia nel petto al fatto di aver scelto due costumi legati alla stessa storia senza nemmeno prima consultarsi.

Brian sorrise appena, appoggiando la schiena contro la parete e osservandola con occhi socchiusi e divertiti.

“Non ti sfugge proprio niente.”

“Conosco quella favola a memoria.”

“Anche io”, ammise e ad Alice parve di scorgere una luce diversa nei suoi occhi.

“Non ti facevo uno da queste cose”, ironizzò facendo un piccolo inchino.

Brian rispose con un gesto del capo dal retrogusto vagamente elegante.

Si guardarono negli occhi per qualche istante, senza riuscire a distogliere lo sguardo l'uno dall'altra, poi lui schiarì la voce e inclinò la testa di lato, guardandola con quella sua solita espressione strafottente che la faceva letteralmente impazzire.

“A questo punto dovresti concedermi quello che mi spetta.”

Alice scosse la testa. “Se ti riferisci alla tua voglia di sesso di poco fa, temo dovrai aspettare di tornare in albergo... non possiamo rischiare di fare la figura dei depravati esibizionisti, di nuovo.”

Un sospiro divertito. “Non è quello a cui stavo pensando.”

“E allora che...?”

“Sposami.”

Una parola così semplice e diretta da lasciarla di stucco.

“Sei serio?”, domandò strabuzzando gli occhi.

Brian le puntò contro uno sguardo impassibile e restò in silenzio. Se c'era una cosa che Alice aveva imparato dalla sua famiglia italiana era proprio questa: il silenzio corrisponde sempre ad un consenso.

Gli sorrise raggiante e gli allacciò le braccia al collo. Era la decisione più strana e illogica e precipitosa che avesse mai preso ma non aveva il minimo dubbio. Forse era l'alcool a parlare per lei ma il pensiero di cambiare nome in Alice Haner la eccitava da morire.

“Certo che ti sposo.”

 

*

 

Prima che potesse raggiungere Zacky sotto la doccia, qualcuno bussò alla porta. Marta occhieggiò il legno bianco con perplessità ma non andò ad aprire.

Non ne aveva la minima intenzione di farlo, in effetti.

Un altro battito di nocche e dal bagno arrivò la voce di Zacky come un'eco lontana: “Chi cazzo è, a quest'ora?”

Sorridendo, Marta sollevò le spalle e lasciò cadere l'accappatoio a terra, per poi avvicinarsi con passo felino alla vasca dentro la quale lui la stava aspettando.

Infilò un piede nell'acqua calda e profumata e qualcuno bussò di nuovo.

“Ora mi hanno davvero rotto i coglioni”, disse Zacky accennando a voler abbandonare la vasca. Marta gli diede un bacio e lo spinse indietro, contro il bordo della Jacuzzi. Poi gli si stese contro, premendo i loro corpi nudi e bagnati.

“Dove credi di andare?”, gli sussurrò in un orecchio e Zacky la afferrò per i capelli, tirandola ancora più vicina a sé.

Chiunque stesse bussando con tanta insistenza sembrò placarsi, lasciandoli soli.

Tra un gemito e l'altro, Marta pensò che tutto ciò che le interessava avere intorno, quella sera, era lì con lei.

 

*

 

Avevano scovato un uomo travestito da Elvis proprio fuori dal guardaroba e Brian non lo aveva lasciato andar via fino a che non era riuscito a strappargli un si come risposta. Li avrebbe sposati. Immediatamente.

Certo, il matrimonio ideale di Alice, quello su cui aveva fantasticato fin da bambina, non aveva niente a che vedere con Las Vegas o con un prete dalle basette e dal vestito di dubbio gusto. Ma, al tempo, non sarebbe nemmeno riuscita ad immaginare di potersi un giorno innamorare così profondamente di un chitarrista dalla fama di donnaiolo inguaribile conosciuto si e no tre mesi prima, quindi non c'era storia che teneva: non vedeva l'ora di diventare la signora Haner, punto e basta.

“Vi occorrono dei testimoni”, li informò Elvis ciondolando la testa a destra e a sinistra con espressione annoiata, “E degli anelli.”

Alice scambiò un'occhiata perplessa con Brian: Marta e Zacky, loro unici compagni di viaggio, non si sarebbero visti fino all'indomani mattina e gli anelli che solitamente usavano portare entrambi erano rimasti tutti in albergo.

Elvis sospirò stancamente e indicò loro una vetrinetta ricolma di gadget.

“Là dentro troverete gli anelli. Non è grave essere arrivati fin qui senza averne portati con sé un paio, succede piuttosto di frequente.”

“Bene, siamo nella media”, mormorò con sarcasmo Brian, facendo sorridere Alice.

“Per quanto riguarda i testimoni, invece, è una questione prettamente burocratica. Un paio di firme saranno più che sufficienti. So che non è troppo romantico ma per un matrimonio lampo mi sembra una richiesta legittima.”

“Dovremmo prendere le prime persone che passano?”, domandò retoricamente Alice ed Elvis, contrariamente alle sue aspettative, annuì.

“Come vi ho già detto, basta la firma per la registrazione legale del matrimonio. Senza la firma dei testimoni il matrimonio non è valido.”

“D'accordo”, mugugnò Alice, “Allora andiamo a procurarci questi benedetti testimoni.”

 

*

 

“Puoi dirmi dove andremo a mangiare o è un'altra delle tue idee top-secret?”

Zacky le lanciò una maglietta, colpendola in pieno viso.

“Ho prenotato in uno dei più grandi ristoranti della città”, la informò allacciando l'ultimo bottone della camicia azzurra, “Ti basta?”

“Ho altre alternative?”

“No.”

“Allora mi basta.”

L'uomo sorrise e sparì per l'ultima volta dietro la porta del bagno, concedendosi l'ultima sistemata prima di abbandonare la stanza. Fu in quel momento che Marta notò la busta bianca appena oltre la soglia dell'ingresso.

Corse a recuperarla e, prima che Zacky potesse fare ritorno in camera, la gettò tra i vestiti abbandonati sulla poltrona. L'avrebbe letta più tardi, nonostante il profondo senso di angoscia che aveva già cominciato ad impossessarsi del suo corpo le ordinasse di non rimandare.

“Sei pronta?”, domandò Zacky lasciandole un piccolo bacio sulla spalla.

Annuì e afferrò la mano che le stava porgendo, per poi abbandonare la stanza.

 

*

 

La coppia di giapponesi che avevano convinto a far loro da testimoni sembrava piuttosto disponibile. Lang e Lucy – sempre che non fossero nomi inventati – arrivavano da un piccolo paesino di nome Tajimi e, a loro detta, non avevano mai sentito una storia più folle e romantica della loro. Brian aveva dato un pizzicotto ad Alice per farla tacere, quando Lucy le aveva chiesto altri particolari sul loro primo incontro. “Volevo essere gentile”, gli aveva sussurrato lei, guardandolo male. In realtà la divertiva davvero un mondo farlo arrabbiare.

“Sarai gentile più tardi, ora ho fretta di metterti un anello al dito.”

“Sei davvero prepotente.”

“Non sottovalutarmi.”

Alice gli rifilò una linguaccia e lui le pizzicò il sedere, facendola saltellare sul posto.

“Sbrigati.”

La cerimonia era durata all'incirca dieci minuti, con tanto di scambio degli anelli – due articoli di bigiotteria così ben confezionati da sembrare veri ori comprati dal gioielliere – e firme dei testimoni. Al tutto era seguita una fotografia ricordo che Elvis aveva insistito per incorporare al lungo corridoio di cornici posto all'ingresso. I due giapponesi avevano salutato e scattato foto e salutato di nuovo e Brian aveva sperato se ne andassero al più presto possibile.

“Buonasera, signora Haner”, aveva detto cingendole la vita, una volta rimasti soli.

“Buonasera, signor Haner.”

“Sai cosa facciamo adesso?”

Alice sembrò pensarci su qualche secondo, l'indice tra le labbra. “Preghiamo che Marta e Zacky non ci uccidano?”

Il sorriso di Brian la contagiò. “Prima di morire abbiamo qualche cosa da fare, pulce. Vieni.”

Tornarono al guardaroba e lì, dietro alle tende di quello stretto e scomodo camerino, consumarono il loro primo amplesso matrimoniale, incuranti del resto del mondo. Una volta appagati, sudati e soddisfatti, sistemarono in fretta e furia i propri indumenti abbandonati all'incirca un'ora prima.

Brian afferrò la mano di Alice e la condusse fuori dalla cappella, lasciandole giusto il tempo di arraffare con un paio di dita la borsa e la copia della fotografia ricordo del matrimonio.

“Dove mi stai portando?”, domandò Alice dopo qualche minuto di cammino.

“In albergo. Non credere che io abbia già finito con te, stasera.”

Prima che Alice potesse controbattere, Brian estrasse dalla tasca dei jeans il cellulare, poi attivò il vivavoce.

“C'è una cosa che devo fare”, le spiegò mentre il segnale suonava libero.

“Ehilà, uomo, come te la passi?”, esordì Jimmy in tono allegro.

“Ehi! Ho... abbiamo qualcosa da dirti.”

“Tu e chi?”

“Ciao Rev”, lo salutò Alice infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e stringendosi nelle spalle. Brian le sorrise e dall'altro capo del telefono si sentì un tonfo, come se il batterista avesse lasciato cadere qualcosa a terra.

“Ciao, dolcezza. Si sta comportando bene, il mio amico?”

“Se la cava”, scherzò occhieggiando divertita il proprio uomo.

“Ottimo. Di cosa volete parlarmi?”

“Abbiamo fatto una cosa...”

“Non sarete mica finiti dentro, vero?”

“No! No, niente cella.”

“Grazie a Dio. Allora avanti, spara.”

“Ci siamo sposati.”

Un altro tonfo ed entrambi si allontanarono istintivamente dal cellulare.

“Tutto bene?”

“Cazzo, ho rotto una bottiglia di birra vicino alla batteria!”

Brian si tirò uno schiaffo in faccia, soffocando una risata.

“COSA AVETE FATTO? Credo di aver capito male.”

“Ci siamo sposati”, ripeté Alice.

“Oh cazzo! Siete due pazzi!”, lo sentirono ridere e Alice lo immaginò intento a saltellare per tutta la stanza, “Sono davvero felice per voi!”

“Grazie.”

“Ehi, non sarà che Alice è incinta? Sei incinta, splendore?”

Questa volta fu Alice a scoppiare in una risata liberatoria. “Niente piccoli Haner in vista, sta' tranquillo.”

“Peccato. Mi sarebbe piaciuto diventare zio.”

“Magari un'altra volta.”

“Cazzo, siete sposati! Non vi si può lasciare soli due secondi.”

Tra le risate, Alice pensò a Marta e subito avvertì l'impulso di scriverle un sms per avvisarla di questa gigantesca novità, ma cambiò quasi subito idea. Avrebbero parlato di tutto quanto l'indomani mattina, quando entrambe sarebbero state sole e riposate. Non vedeva l'ora di parlare con la propria migliore amica ma, al tempo stesso, tutto ciò che Alice chiedeva alla vita in quel momento era di restarsene tra le braccia del proprio uomo per tutta la notte.

Al tutto il resto avrebbe pensato domani.

 

Credits: 'Thank You For Loving Me' by Bon Jovi.

-


n.A.: Ebbene sì, avete letto bene... Abbiamo ufficialmente una signora Haner! E poco importa che il matrimonio si sia svolto in una cappella di Las Vegas, con due turisti giapponesi come testimoni! :)
Chiedo scusa se troverete qualche errore qua e là ma oggi non sono esattamente al 100% e qualcosa (spero non troppe cose) potrebbe essermi sfuggita - o sfuggita di mano. Comunque sia, tornerò presto a sistemare e a limare le imperfezioni.
Dedico questo capitolo alla mia grande amica Silvia perché... beh, lei lo sa!!!
Grazie come sempre a chi legge/segue/preferisce!
Alla prossima,
rose_

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Capitolo 22
*** II - Turns Cold To The Touch ***


 

PARTE SECONDA
22.

TURNS COLD TO THE TOUCH

 

I'm sorry that you're a part of this,
but I can't be left alone tonight

 

8 Gennaio 2007

Avevano concluso la serata con una serie infinita di brindisi e baci e risate e Alice aveva chiuso gli occhi con uno fortissimo senso di ebbra euforia addosso.

Alice Haner. Sorrise e si rigirò tra le lenzuola, cercando con una mano il corpo del marito e mugolando di soddisfazione.

“Dormi, pulce”, mormorò lui in tono perentorio, guardandola con occhi a mezz'asta.

“Non ho più sonno.”

Brian la attirò a sé, facendola accoccolare contro il petto tatuato, e tornò a chiudere gli occhi. “Riposati ora, perché più tardi non ti lascerò il tempo nemmeno per pensare di essere stanca.”

“Suona come una minaccia”, stette al gioco.

“Mai detto che non lo fosse.”

E mentre Brian le lasciava un bacio tra i capelli, rilassando i muscoli e cedendo nuovamente al sonno, Alice gettò una rapida occhiata all'orologio accanto all'ingresso della stanza.

“Cazzo!”, urlò tirandosi velocemente a sedere sul letto, “Cazzo! Cazzo! Cazzo!”

“Ehi, vacci piano con...”

“Ma come diavolo ha fatto a non venirmi in mente?!”

“Di cosa stai parlando?”, sbadigliò Brian sorreggendosi sui gomiti.

“Sono le tre del pomeriggio! Avrei dovuto vedere la band circa cinque cazzo di ore fa!”

“Calmati. Può capitare di dimenticare un impegno.”

Alice afferrò il cellulare e scosse la testa, pigiando freneticamente alcuni tasti.

“Grazie al cielo”, esclamò improvvisamente in tono sollevato, lasciandosi cadere a peso morto all'indietro sul letto, “Il manager dei Megadeth ha scritto una email di scuse per via dell'ennesimo bidone della band datato 8 gennaio, cioè oggi.”

“Non male, no?”

“Direi la mia salvezza. Qualcuno lassù mi ama.”

“Grazie per la considerazione”, ironizzò l'uomo affondando nuovamente la testa sul cuscino. Alice gli rifilò una linguaccia.

“Non è professionale. Non mi è mai successo di dimenticare un impegno, prima d'ora.”

Brian sospirò. “Lo so, faccio questo effetto alle donne.”

“Farò finta di non aver sentito.”

Il divertimento era nell'aria e Brian approfittò di quel buonumore per ribaltare le loro posizioni e atterrare Alice contro il materasso, tenendola ferma con stretta decisa. “Dio quanto sei sexy, quando ti agiti e inizi a dire tutte quelle parolacce.”

“Ah, si?”, sussurrò lei con aria di sfida. Brian le morse il labbro inferiore, guardandola negli occhi. Si sarebbero mai stancati l'uno dell'altra? Sarebbe mai arrivato un tempo in cui i loro corpi avrebbero smesso di attrarli in modo così magnetico?

 

*

 

Verso le otto di sera Marta e Zacky abbandonarono la loro camera d'albergo per raggiungere i due amici nel grande salone per la cena. Tra un impegno e un imprevisto erano ormai quasi due giorni che non riuscivano ad incontrarsi tutti e quattro insieme, nonostante alloggiassero nello stesso hotel e condividessero la stessa auto. L'ultima interazione tra loro, a parte la telefonata che Zacky aveva fatto a Brian la sera precedente prima di portarla fuori a cena, era avvenuta durante lo scambio di chiavi della Mustang. Sei sedettero e cominciarono a parlare fitto tra loro, ordinando qualcosa da bere.

“Secondo me si sono dimenticati di dover scendere per cena, quei due”, lamentò Zacky dopo circa un quarto d'ora di conversazione con Marta, posando sul tavolo il bicchiere di birra, “A saperlo, avremmo potuto farci portare qualcosa in camera.”

Marta lo osservò con perplesso divertimento. “Sei insaziabile, lo sai?”

“Lo so”, scrollò le spalle e la fissò con malizia, mentre abbandonava la sedia e indicava con il pollice una porta alle loro spalle, “Torno subito, piccola.”

Marta approfittò dell'assenza del proprio uomo per cercare la busta bianca trovata davanti alla porta la sera precedente e lasciata scivolare dentro la borsa quella stessa mattina. Strinse la carta tra le mani e respirò a fondo prima di decidersi ad aprirla.

 

Hai spento il telefono e questa cosa mi ha mandato in pappa il cervello, così eccomi qui.
Se preferisci -

 

Una risata irrompette nella sala e Marta ripiegò istintivamente la lettera su se stessa, sollevando di scatto la testa. La prima che vide fu Alice, più raggiante che mai, seguita a ruota dal sorriso sempre più sornione di Syn. Mise via la lettera senza nemmeno darsi il tempo per riflettere; avrebbe finito di leggerla più tardi, quando nessuno le sarebbe stato intorno.

“Ehi, alla buonora!”, disse squadrando l'amica con strano interesse. C'era qualcosa di diverso in Alice ma non avrebbe saputo spiegare di cosa si trattasse. I vestiti rispecchiavano appieno lo stile dell'amica e i capelli e il trucco erano ben curati come al solito. Ma allora cosa...? Poi Alice ravviò dolcemente una ciocca di capelli mossi e a Marta fu subito tutto più chiaro. Occhieggiò anche la mano sinistra di Syn e ne trasse conferma.

“OH MIO DIO!”, strillò come in preda ad una crisi isterica, “No, non può essere: vi siete... sposati?!”

Alice le mostrò meglio l'anello posto all'anulare sinistro e Marta la abbracciò istintivamente, facendo l'occhiolino a Syn da sopra la spalla dell'amica.

“Voglio sapere tutto! Non avevo idea aveste già intenzioni così serie.”

Presero posto intorno al tavolo e presero a parlottare. Assurdo: quei due sposati! Li tempestò di domande e si complimentò più e più volte con loro, sorpresa e felice ancora come al momento della notizia, qualche minuto prima.

"Incredibile: ho trovato un tizio che mi ha riempito di chiacchiere, là dentro.”

“Là dentro dove?”, domandò Syn.

“Al cesso. E voi quando siete arrivati?”

Marta si strinse nelle spalle, rivolgendo al proprio uomo uno sguardo malizioso. “Questi due hanno qualcosa da dirci.”

“Mi devo sedere?”, scherzò Zacky e il suo sorriso si affievolì di fronte alla risposta affermativa della donna. Aggrottò la fronte. “Sono tutto orecchie.”

Syn schiarì la voce e mise su l'aria più seria che gli riuscisse, sperando di distogliere così l'attenzione dalla risatina che stava colpendo le due donne.

“Arriva un momento, nella vita di un uomo, in cui si devono tirare le somme...”

Zacky afferrò il bicchiere di birra pieno solo per metà e roteò l'altra mano per aria, facendogli cenno di continuare. “Questo tuo discorso filosofico mi sta già terrorizzando ma voglio vedere fin dove arrivi.”

“Sai cosa intendo, un attimo prima stavi bene da solo e un attimo dopo...”, una pausa teatrale, ad effetto. Zacky non stava più nella pelle, ormai era chiaro che pendesse dalle sue labbra. Si era addirittura avvicinato maggiormente al tavolo, quasi stessero avendo una conversazione privata a bassa voce.

Sospirò. “Vai al sodo.”

“Ci sto arrivando”, brontolò Syn e Alice coprì la bocca con una mano per non scoppiare a ridere in faccia a quei due omaccioni.

“Prima stavi bene da solo e poi... che cosa? Non dirmi che è quello che penso!”

“Dipende da cos'è che pensi.”

“Parla e basta, Haner”, disse scuotendo la testa e portando nuovamente il bicchiere alla bocca.

“L'hai voluto tu: ci siamo sposati.”

Zacky spalancò gli occhi e sputò l'intero sorso di birra appena trangugiato. “CHE COSA?!”

La mano di Alice gli si parò davanti al naso in men che non si dica, sbattendogli in faccia l'anello matrimoniale. “Sorpresa!”

“Voi due siete pazzi!”, sbottò l'altro. Marta gli rifilò un piccolo calcio sotto al tavolo, colpendolo dritto allo stinco e strappandogli un lamento a denti stretti.

“Non mi aspettavo palloncini e festoni ma questa tua reazione mi sembra un po' eccessiva, Baker”, dichiarò Syn sorridendogli con sarcasmo.

“Continuo a non capire cosa ci trovi in una come lei”, ironizzò Zacky sistemandosi meglio contro lo schienale della sedia e ignorando i divertiti insulti che Alice gli stava lanciando, “Ma sono contento che qualcuno ti abbia finalmente messo in riga.”

Syn lo osservò torvo e Zacky prese a ridere.

“Sto immaginando la faccia che farà Simon nel momento in cui glielo spiattellerete”, spiegò tra le lacrime, “Devo esserci.”

Tutti parvero pensarci su qualche secondo, poi una risata unanime si levò in tutta la tavolata, rimbombando all'interno della grande sala.

Marta seguì Zacky con lo sguardo mentre si alzava e aggirava il tavolo nel tentativo di avvicinarsi ad Alice, poi lo vide accostarsi all'orecchio dell'amica e sussurrarle qualcosa capace di scaturirne una risata. La tastierista scambiò un'occhiata interrogativa con Syn, mentre Alice abbracciava Zacky con espressione divertita, ringraziandolo degli auguri.

“Congratulazioni, amico mio”, disse poi a Syn stringendogli la mano e attirandolo in un abbraccio fraterno.

 

9 Gennaio 2007

Intorno a mezzogiorno, dopo una nottata impegnativa con il proprio compagno di stanza e un brusco risveglio causato dal suono infernale del cellulare di quest'ultimo, Marta si decise ad abbandonare le lenzuola e, dopo aver indossato i vestiti del giorno prima, si riappropriò della lettera.

Zacky se ne stava sdraiato sul letto con il telefono tra le mani, il vivavoce attivo e una conversazione con Matt in corso; discutevano di testi per il nuovo album, di convivenza con le proprie donne – Matt aveva raccontato a Zacky un aneddoto divertente sulle disavventure in cucina di Valary e lui aveva riso a crepapelle – e di notizie riguardanti la loro combriccola di amici (era subito parso chiaro che Matt non avesse la minima idea di cosa avessero combinato Alice e Brian, e Marta apprezzò la discrezione di Zacky nel tacere quell'informazione).

Nascondendo la lettera in una tasca dei jeans gli fece cenno di aver bisogno di un bagno caldo e l'uomo annuì silenziosamente, osservandola scomparire dietro la porta del bagno. Soltanto una volta dentro, Marta si concesse un lungo respiro.

 

Hai spento il telefono e questa cosa mi ha mandato in pappa il cervello, così eccomi qui.
Se preferisci la carta da lettere hai solo da dirlo, principessa. O vuoi che ti chiami anche io 'piccola'? Sentirglielo dire mi fa ogni volta prudere le mani.
So che vorresti sapere chi sono ma non è ancora arrivato il momento. Prima devi scoprire chi è l'uomo che ti porti a letto.
Ti do un piccolo indizio: BUGIARDO. Indovina chi gli ha inviato un sms divertente proprio oggi?

 

Marta aggrottò la fronte e ridusse gli occhi a due fessure. Di che cosa stava parlando? La lettera era arrivata due giorni prima e Zacky, soprattutto durante l'interminabile servizio fotografico, aveva ricevuto ben più di un sms.

 

Fa rima con 'dimessa'... so che hai già capito, ti conosco bene. Sei una delle persone più intelligenti che io conosca.
So che ti stai chiedendo il perché di tutti questi messaggi ma la verità è che ho capito che non voglio lasciarti andare e, soprattutto, non voglio lasciarti a lui.
Chiedigli come sta la sua amichetta, dovrebbe essere uscita dall'ospedale giusto qualche giorno fa.

 

Vanessa. Dimessa. Uscita dall'ospedale...? Zacky non le aveva detto neppure che ci era entrata e forse nemmeno lo sapeva. E perché mai avrebbe dovuto, in fondo? L'aveva lasciata mesi prima e di certo, da allora, non l'aveva più sentita.

Oppure era semplicemente stato così bravo da non farsi scoprire...

Scosse la testa, arrabbiata con se stessa: ma che diavolo stava andando a pensare? Questo sconosciuto doveva essere completamente fuori di senno, così disperato da inventare storielle del genere per attirare l'attenzione su di sé.

Istintivamente uscì dal bagno e afferrò la borsa e il cellulare, sotto lo sguardo confuso del proprio uomo. Cercò il numero dell'unica persona con cui avrebbe potuto parlare liberamente e fece finta di non sentire la voce di Zacky domandarle dove stesse andando. “Ali?”, esordì non appena l'altra rispose, la voce leggermente incrinata dall'ansia che pian piano le stava risalendo il petto, “Possiamo parlare? Soltanto tu ed io.”

Zacky si bloccò sulla soglia della porta e lei gli fece cenno di aspettare, producendosi in un chiaro ammonimento a non seguirla. “Grazie. A tra poco.”

 

*

 

“Perché non me ne hai parlato prima?”, domandò Alice ripiegando la lettera appena letta, mentre l'amica scrollava le spalle con aria spiacente, “Avremmo potuto dirlo ai ragazzi, fare qualcosa. Potrebbe trattarsi di un uomo pericoloso...”

Si erano incontrate nella hall e avevano deciso di comune accordo di cercare un tavolo libero al bar dell'hotel per poter parlare in tutta tranquillità.

“Non lo so, Ali... all'inizio ho pensato ad uno scherzo. Sono successe tante cose, negli ultimi tempi, e io non volevo rovinare tutto per una stupida paranoia personale. Poi è arrivata questa lettera...”

Alice sospirò e accese una sigaretta, facendo cenno all'amica di continuare.

“Chiunque sia, è qui a Las Vegas. Ci osserva, conosce i nostri spostamenti e persino il numero della nostra stanza d'albergo: se avesse voluto farmi del male, lo avrebbe già fatto.”

Il fumo le aveva avvolte come un velo sottile e grigiastro, nascondendole da sguardi indiscreti. Nella mente di Alice si susseguivano rabbia, frustrazione, desiderio di vendetta.

“In effetti quello che dici ha perfettamente senso”, concesse lasciando cadere un po' di cenere nel piccolo contenitore di ceramica nera, “Ma un uomo che non vuole lasciarti andare non promette nulla di buono, anche se non ha intenzioni belliche. Ce l'ha con Zacky e questo potrebbe spingerlo ad inventare di sana pianta problemi che tra voi non esistono, per il semplice gusto di vedervi litigare.”

Marta annuì lentamente. “Come questa cosa della lettera, riguardo a Vanessa.”

“Esatto.”

Alice spense definitivamente la sigaretta e guardò l'amica negli occhi. Cosa avrebbe fatto lei, al suo posto? Difficile anche solo pensarlo.

“Tu credi a ciò che ha scritto quel tipo? Pensi che Zacky senta ancora Vanessa?”

“No.”

“Anche la storia dell'ospedale è davvero strana.”

“Me lo avrebbe detto.”

“Lo penso anche io.”

“Sto iniziando a credere che questo tizio sia lo stesso che mi ha baciata ad Halloween.”

“Quella sera hai detto di aver provato una sensazione familiare...”, ricordò Alice.

“Lo so. Ed è la cosa che mi fa più paura: l'idea di conoscere questa persona, di averci avuto a che fare in un modo o nell'altro.”

“Forse è qualcuno che si è fatto un'idea sbagliata, che ha frainteso un rapporto di amicizia o di lavoro...”

“Può darsi”, esclamò Marta stringendosi nelle spalle e accennando un timido sorriso, “Se scopro che è qualcuno della mia band, giuro che lo pelo vivo!”

Anche Alice sorrise di quel tentativo di sdrammatizzare: Marta era un fascio di nervi ma cercava ugualmente di darsi una parvenza serena, come se la cosa non la toccasse poi così da vicino. Cercando di non suonarle inadeguata, le strinse una mano e sbuffò come se le avessero appena raccontato una storia divertente.

“Ho parlato con Brandan, stamattina. Si, so cosa stai pensando: mi sono sposata da due giorni soltanto e già trascuro mio marito”, ammiccò, “Ma Brian non c'è stato per tutta la mattina e io ho finito il mio lavoro con la band con largo anticipo sulla tabella di marcia.”

“Perché Brian non era con te?”

“Simon l'ha chiamato stamattina alle otto e mezza per parlargli di un progetto in collaborazione con l'azienda che produce le chitarre che suona lui... Lasciamo stare, è una lunga storia. Poi ti racconto.”

“Va bene, allora parlami di Brandan. Sta bene? Non sono più riuscita a sentirlo...”

“Sta molto bene. È innamorato... Tu ne sai nulla?”

“So che ha frequentato una donna, di recente, ma credo farebbe meglio a lasciar stare. Quella porta solo guai... e inoltre sta per sposarsi.”

“Ma di chi stai parlando?”

“Therese.”

“L'amica di tua sorella?!”

Marta annuì e Alice ricacciò indietro una grassa risata. Se solo avesse potuto riferirle quello che le aveva raccontato Brandan! Ma gli aveva promesso di rimanere muta come un pesce a questo proposito e non poteva certo sciogliere un patto del genere.

“Buon per lui”, mentì roteando gli occhi con espressione ironica.

Insomma...”

“Comunque Brandan ha detto che laggiù è un mortorio, ultimamente. L'unico della band ad esser rimasto a Orange County sembra essere proprio lui, naturale che si concentri su qualcosa di più produttivo del girarsi i pollici in solitudine.”

“Dove sono finiti gli altri?”

Scrollò le spalle. “Uno qua, uno là... Non si è sperticato in spiegazioni.”

Marta fissò il posacenere posto tra loro sul tavolo e fece una smorfia. “Pensa a cosa succederebbe se Brandan sapesse cosa sta accadendo quaggiù”, sollevò lo sguardo e lo posò inespressivo su di lei, “Il tuo matrimonio, i miei messaggi...”

“Non mi ci far pensare”, sorrise. Non gli aveva accennato nulla del proprio matrimonio esattamente per evitare raccomandazioni e commenti da perfetto fratello maggiore.

“Però prima o poi bisognerà raccontargli tutto”, convenne l'altra.

Alice annuì, sentendo la testa più pesante del solito. Gliene avrebbe parlato, certo, ma solo una volta tornati a casa; prima di quel momento non sarebbe stata minimamente intenzionata ad aprire bocca sull'argomento.

“Non so chi prenderebbe meglio la tua notizia, tra lui e Coso.”

“Nell'indecisione, almeno per ora, meglio non dire nulla a nessuno dei due.”

“Ne sei sicura? I ragazzi potrebbero...”

Aiutarti. Starti vicino. Proteggerti.

Ma la frase le morì in gola in seguito all'occhiata spaventata che Marta le rifilò.

“I ragazzi potrebbero cacciarsi nei guai ed è l'ultima cosa che voglio – e probabilmente è anche la prima cosa che vuole lo sconosciuto. Zacky è sempre insieme a me, non mi perde di vista neanche un attimo. Se dovessi avere davvero bisogno di aiuto, in futuro, allora gliene parlerò.”

“Hai ragione. Non oso nemmeno immaginare che tipo di reazione potrebbe avere se lo venisse a sapere.”

“Comincerebbe a cercarlo...”

“E Brian gli darebbe una mano”, si morse un labbro, pensierosa. Marta aveva ragione: la faccenda era ancora ad uno stadio embrionale e parlarne ai ragazzi non avrebbe portato a nulla di buono. In fondo non c'erano state minacce né accenni al volerla avvicinare per farle del male ma i ragazzi non l'avrebbero presa bene ugualmente. “Lo ridurrebbero male.”

“Per ora teniamo per noi l'intera faccenda, d'accordo?”

Alice agitò freneticamente la testa, stringendo con forza l'anello di nozze. “D'accordo.”

 

Credits: 'Turns Cold To The Touch' by Bleeding Through.

-


n.A.: Scusate immensamente per il ritardo di una settimana, spero che questo capitolo riesca in qualche modo a ripagare l'attesa!
Vi ringrazio come sempre!
Alla prossima,
rose_

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Capitolo 23
*** II - Helter Skelter ***


 

PARTE SECONDA
23.

HELTER SKELTER

 

Will you, won't you want me to make you
I'm coming down fast but don't let me break you

 

10 Gennaio 2007

Erano ormai trascorsi cinque giorni da quando erano partiti alla volta di Las Vegas e di cose ne erano successe parecchie: il matrimonio, i messaggi dello sconosciuto, il primo progetto importante che vedeva Alice camminare solo sulle proprie gambe, l'ennesimo photoshoot a cui Marta aveva preso parte con scarso entusiasmo. Lo sguardo felice di Syn. L'amore incondizionato di Zacky.

Marta trascinò l'ultima delle proprie valigie verso il parcheggio, contenta di non avere più nulla da caricare dentro quello stretto bagagliaio. Poco più in là, appoggiata alla portiera chiusa della Mustang, Alice fumava una sigaretta con espressione assorta.

“Ecco qua”, esclamò Zacky caricando anche l'ultimo borsone, “Che ne dite di levare le tende?”

Si stavano preparando a tornare a casa, a Los Angeles, e il cellulare di Marta non suonava da giorni, se non si contava il breve scambio di messaggi con Kristine.

“Sicuro”, convenne Syn avvicinandosi languidamente ad Alice per regalarle un bacio che non lasciava troppo spazio all'immaginazione, “Guido io?”

“Perché dovresti guidare tu?”, ribatté perplesso il proprietario dell'auto.

L'altro scrollò le spalle. “Era tanto per dire.”

“Beh, comunque no. Guido io.”

“Oppure”, s'intromise Marta scambiando un'occhiata complice con l'amica, “Potreste smettere di fare i testardi e lasciare guidare una di noi.”

I due ragazzi scoppiarono in una grassa risata.

“Anziché ridere come due babbuini, potreste farci contente almeno una volta”, fece Alice in tono piccato. Zacky e Syn si occhieggiarono e scossero la testa con aria divertita, poi presero posto l'uno al volante e l'altro sul sedile posteriore. Entrambi fecero cenno alla propria donna di accomodarsi accanto a loro.

Dopo un paio di ore di viaggio dovettero fermarsi ad una stazione di servizio; la lancetta del carburante era pericolosamente piegata verso la fascia rossa della riserva e Zacky annunciò loro che, se non avessero trovato quel benzinaio lungo la strada, avrebbero rischiato di rimanere a piedi.

Nonostante tutti e tre i suoi compagni di viaggio fossero scesi dall'auto, chi per sgranchirsi le gambe e chi per fare rifornimento, Marta continuò a mantenere gli occhi socchiusi, la nuca ancora abbandonata contro il poggiatesta e gli occhiali da sole di Zacky calati sul naso.

“Ehi, guardate laggiù!”, esclamò improvvisamente Alice, allegra.

“Che cosa?”

Il tono vagamente preoccupato di Syn fece sorridere Marta, convincendola ad aprire gli occhi per poi affacciarsi dal finestrino.

Helter skelter!”, cantilenò la donna gettando via il mozzicone terminato.

L'immagine di un parco giochi si materializzò davanti agli occhi di Marta. Scese dall'auto e schioccò la lingua, spalancando gli occhi con entusiasmo.

Helter skelter!”

*

 

Ce l'avevano fatta: li avevano convinti ed ora eccoli lì, tutti e quattro in fila indiana in attesa di poter salire sull'ottovolante di quel parco giochi di fortuna. Coso aveva chiesto loro se erano sicure di ciò che stavano per fare ad ogni passo compiuto e più loro tentavano di rassicurarlo, più lui continuava a punzecchiarle.

“Ammettete di avere almeno un po' di fifa e vi lascio in pace.”

“Non sarà che siete voi, quelli che hanno paura?”

Noi?”, sbuffò Zacky incrociando le braccia al petto, “Siete fuori strada.”

“Noi siamo drogate di ottovolante”, statuì Alice stringendo Marta per un fianco, “Da ragazzine dovevano venirci a prendere di peso, pur di farci stare lontane da quei maledetti sedili.”

“Ora capisco molte cose...”, ironizzò l'uomo e fu in quel momento che Alice si rese conto di non aver ancora sentito il marito parlare, da quando erano arrivati.

“Ehi, tutto bene?”, gli domandò con aria leggermente preoccupata. Brian sollevò lo sguardo vuoto e annuì.

“Ho solo bisogno di sapere che chi si siederà vicino a me non vorrà giocarmi il brutto scherzo di aprire lo stomaco nella mia direzione.”

Mentre Marta faceva una smorfia nauseata, Alice e Zacky si concessero una fragorosa risata e Brian sospirò. “Guardate che sono serio!”

“Lo so bene, Haner!”, rincarò la dose il suo amico, tra le lacrime, “Ricordiamo tutti benissimo quell'episodio: è una delle chicche del tuo repertorio!”

“Demente.”

“Quale episodio?”, si informò Alice tentando di darsi un contegno. La gente intorno a loro, quella che al loro arrivo aveva cominciato a bisbigliare e a sorridere entusiasta, ora li osservava perplessa.

“Non. Ci. Provare”, sibilò Brian a denti stretti. Zacky lo guardò con aria di sfida e si chinò leggermente verso Alice.

“A sedici anni non ci sono molti posti dove portare una ragazza e quest'uomo, si proprio quello che hai sposato, ha pensato bene di portare la sua fiamma del tempo...”

Fiamma”, ripeté l'altro, esasperato.

Trombamica va meglio?”, sorrise.

“Lasciamo perdere.”

“Va beh, comunque ha deciso di portare quella là ad un luna park. Dopo cena. Ora: credo che chiunque si sarebbe chiesto se fosse una scelta intelligente spingerla verso le montagne russe... ma non lui. Inutile dire che...”

“Smettila.”

“No, vai avanti!”, lo pregò Alice aggrappandosi con entrambe le mani al braccio possente del proprio marito, tirandoselo affettuosamente più vicino.

“Matt ed io eravamo allo stesso luna park e quando lo abbiamo incontrato se ne stava andando da solo, con la maglia che pareva un cielo stellato... ma non erano stelle, non so se mi spiego.”

“Ti sei spiegato benissimo, Vee”, roteò gli occhi il diretto interessato, “E ora che tutti quanti i presenti sono a conoscenza di questa orrenda esperienza direi di andare avanti con la fila. Tra poco tocca a noi.”

Alice gli si avvicinò maggiormente, fino ad arrivargli a qualche centimetro dall'orecchio, poi ridacchiò. Lui la afferrò per un fianco e la tenne stretta a sé.

“Falla finita o chiedo il divorzio.”

 

*

 

“Grandioso!”, disse Zacky una volta sceso dall'ottovolante. Marta gli aveva chiesto di fare un altro giro, solo loro due, mentre i due sposini si ritagliavano un po' di tempo per stare da soli – e per mangiare il leggendario zucchero filato azzurro.

“Lo rifacciamo?”, propose la tastierista, stretta nell'abbraccio dell'uomo.

“Ovvio! Ma prima...”

La prese per mano e la trascinò davanti ad una macchinetta per le fototessere. A ben pensarci, se non si contavano gli scatti fatti da Derek, non avevano foto insieme, quindi quale momento migliore di quello per rimpinguare il loro book fotografico personale?

Zacky prese posto sullo sgabello e la fece accomodare sulle sue ginocchia, infilando una monetina nell'apposita fessura e suggerendole di sorridere. Il secondo scatto decisero di dedicarlo alle migliori linguacce che gli riuscivano. All'arrivo del terzo scatto Zacky la stava già afferrando per il collo per avvicinarla alla sua bocca. Gli scatti successivi passarono letteralmente inosservati.

Rimasero chiusi là dentro per parecchio tempo, impegnati ad assaporarsi l'un l'altra con la foga tipica dei primi tempi.

“Li ho visti entrare là dentro!”, sentirono delle voci sconosciute, dal timbro adolescente. Stavano parlando di loro? O di Brian e Alice? D'improvviso l'idea che qualcuno li vedesse in quel momento, cogliendo Zacky con la mano nelle sue mutandine, non la preoccupò più di tanto. La sicurezza che provava quando era insieme a lui l'avrebbe spinta a fare qualsiasi cosa e ad accettarne le conseguenze.

“Qualcuno prima ha detto di aver visto anche uno dei ragazzi dei Bleeding Through!”, urlò una delle ragazzine destando l'attenzione di Marta.

Uno dei ragazzi dei Bleeding Through... ma chi? Chi poteva trovarsi lì, in quel luna park dimenticato da Dio? E quale coincidenza, poi.

“Che succede?”, Zacky aggrottò la fronte.

“È solo che...”, cominciò a dire, pentendosi ad ogni parola di ciò che stava per raccontargli. Zacky ritirò la mano e ridusse gli occhi a due fessure, scrutandola con attenzione, e in quel momento Marta ricordò il motivo per cui aveva scelto di non dirgli nulla. Il discorso con Alice le aveva aperto gli occhi su quelle che sarebbero potute essere le conseguenze di una rivelazione del genere.

“Allora? Qualcosa non va?”, il tono era impaziente, una leggerissima vena di preoccupazione.

“No. Va tutto a meraviglia”, mentì.

Zacky sospirò e la fece alzare dalle proprie ginocchia, serio. Uscirono dalla cabina e Marta cercò la sua mano, trovandola fredda e reticente a stringere la sua. Era... arrabbiato con lei?

“Ehi...”

“Lasciami perdere.”

Le riservò un'occhiata dura, poi addolcì lo sguardo di fronte all'espressione attonita che doveva sicuramente leggerlesi in volto.

“Ne parliamo più tardi, d'accordo?”, disse in tono meno sprezzante e lei sospirò.

“D'accordo.”

 

*

 

“Ti dico che ho sentito esattamente queste parole: dice di aver visto anche uno dei ragazzi dei Bleeding Through. Ma chi? Andiamo, chi diavolo poteva sapere dove ci troviamo?”

“Il tizio della lettera.”

“Si, ma chi cazzo è?!”

Alice strabuzzò gli occhi di fronte al tono esasperato dell'amica. “Non lo so.”

“E, come se non bastasse, ora Zacky ce l'ha con me per chissà quale motivo. Dio, che situazione di merda!”

“Magari vedendoti strana si è fatto un'idea sbagliata...”

Marta sbuffò appena, fissando un punto indefinito di fronte a loro.

“Se vuoi provo a parlarci io.”

“Lo faresti?”, domandò con aria spaesata.

“Certo che lo faccio. Vuoi che vada ora?”

“No”, allacciò la mano intorno al suo polso e scosse la testa, “Rimani con me. Tutto questo è assurdo: avere timore di un proprio compagno di band... di un amico di così vecchia data.”

Alice annuì in silenzio. I ragazzi si erano concessi una pausa tutta birra, sigarette e chiacchiere al piccolo bar del luna park, lasciandole sole su quella panchina su cui Alice aveva la sensazione di aver messo radici. Rimasero immobili per qualche secondo, incapaci di fare qualsiasi cosa, poi Marta si alzò in piedi.

“Voglio fare un tentativo. Qualcuno dovrà pur averlo riconosciuto, no? Devo sapere di chi si tratta, Ali, e devo saperlo ora.”

“Vuoi parlare con i giostrai?”

“E con i turisti. Qualcuno deve avere una risposta per me.”

“E se così non fosse? Se nessuno sapesse nulla?”

Non voleva scoraggiarla ma qualcuno doveva pur tenere i piedi per terra.

“Allora proverò altre strade”, incrociò le braccia al petto, stringendosi nelle spalle, “Così non può continuare. Sei con me?”

“Dimmi cosa devo fare.”

 

Credits: 'Helter Skelter' by Beatles.

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Capitolo 24
*** II - This Means War ***




PARTE SECONDA

24.

THIS MEANS WAR

 

I can't go on this way, not as I am today
The ugly side of me is strong

 

10 Gennaio 2007

Si erano concessi così tanti giri sulle giostre da non accorgersi dell'arrivo della sera, né della stanchezza che sembrava averli colpiti senza troppi complimenti una volta lasciato il luna park.

Brian e Zacky le avevano guardate con facce stravolte, scuotendo energicamente la testa mentre le informavano di non avere la minima intenzione di ripartire prima di metà mattina del giorno successivo e a ben poco erano servite le preghiere delle due donne di lasciare a loro il volante dell'auto, una buona volta.

“Come volete”, aveva detto Alice con tono stizzito, “Troviamo un posto dove dormire, perlomeno.”

“Dormire!”, aveva ripetuto Brian con un guizzo malizioso.

Dormire, Haner, hai capito bene.”

Così tra le risate avevano trovato uno squallido albergo ad ore lungo la statale da cui erano arrivati e avevano deciso tacitamente di trascorrere lì la nottata.

Alice pensò di dover fare una cosa importante prima di raggiungere il proprio marito nella loro stanza, perciò uscì in strada e si strinse nelle spalle per proteggersi dalla frescura notturna, cercando con lo sguardo la figura scura e immobile di Zacky, seduto sul bordo del marciapiede.

“Posso?”, domandò Alice stringendo tra le mani il pacchetto di sigarette quasi terminato. L'uomo annuì e tornò a rivolgere lo sguardo avanti, i gomiti appoggiati alle ginocchia flesse e le mani congiunte davanti a sé.

“Brian deve avermi fregato l'accendino. Di nuovo.”

L'uomo le porse il suo senza il minimo trasporto.

“Grazie”, mormorò Alice sputacchiando fuori dalle labbra un po' di fumo, mentre accavallava le gambe in cerca di una posizione un po' più comoda.

“Non senti freddo, qui fuori?”

“Non più di quanto ne senta tu.”

Alice socchiuse gli occhi, colta in fallo. “Questa te la concedo, Coso.”

Doveva andare dritta al punto o era meglio perdersi ancora un po' in preamboli? Avrebbe voluto afferrare l'uomo che le era accanto per il bavero della maglia per costringerlo a guardarla negli occhi, per essere sicura che le sue parole venissero ascoltate e comprese fino in fondo, ma si costrinse a ricacciare indietro i propri istinti e a far parlare la ragione, una buona volta.

“Senti, Zack, so che in questo momento sei incazzato ma...”

Il chitarrista le rivolse uno sguardo divertito. “Zack?

“Oh, al diavolo”, ribatté la donna con sarcasmo, “Non cambiare discorso.”

“Constatavo il mio avanzamento di livello.”

Tornarono entrambi a scrutare il grande tappeto di lampioni e automobili che si stendeva davanti a loro.

“Cosa pensa il tuo maritino di questa tua uscita notturna?”

Alice sollevò le spalle. “È andato a fare una doccia e io l'avrei anche seguito se...”

Se?

“Volevo parlarti.”

“E di cosa?”

“Lei ti ama.”

“Buon per lei.”

“Dico sul serio.”

“Anche io.”

La voglia di rifilargli uno scappellotto in testa le fece prudere le mani ma Alice decise ancora una volta di continuare a seguire la ragione, a discapito del caro vecchio istinto.

“Non farmi pentire di averti preso le parti.”

“Eh?”

“Voglio raccontarti una cosa”, sospirò, “Sono sicura non ci sia bisogno che ti dica che non sono una persona facile. Si, insomma, sai: dico sempre quello che penso, sono impulsiva, tiro fuori le unghie non appena mi sento presa per il culo... quelle cose lì.”

Ma va?

Alice gli rifilò un'occhiataccia e decise di passare deliberatamente sopra a quel tono sarcastico alquanto fastidioso.

“Marta è molto diversa da me, siamo come il giorno e la notte. È per questo che insieme funzioniamo bene: ci completiamo”, spiegò con affetto, “Da ragazzina avevo la tendenza a mettermi nei pasticci e – prima che tu me lo chieda – si, era sempre e solo lei quella pronta a prendere le mie difese anche quando tutti gli altri avevano già deciso di gettare la spugna con me. Non so dove sarei ora, se non l'avessi incontrata. Sei fortunato ad averla tutta per te, devi credermi.”

Zacky sollevò gli occhi al cielo, sorridendo appena.

“Ad ogni modo, anche io ero molto protettiva nei suoi confronti, soprattutto quando si parlava di ragazzi. Non dovrei dirlo ma Marta è cieca, sotto quel punto di vista, e se si innamora smette di vedere le cose in modo obiettivo. Perciò ho iniziato a mettere alla prova il ragazzo con cui usciva all'epoca e così è stato anche per quelli seguenti.”

“Quindi ci provavi con i ragazzi della tua migliore amica”, tirò le somme lui a metà tra il perplesso e l'inorridito.

“MA COME DIAVOLO TI SALTA IN MENTE UNA COSA DEL GENERE?”

“Hai detto tu che li mettevi alla prova.”

“Si ma con sarcasmo, prendendoli in giro!”

“Ah”, Zacky arricciò le labbra in una smorfia, “Quindi è per questo che non hai mai smesso di rifilarmi le tue battutacce acide, da quando ci siamo conosciuti?”

“All'incirca”, ammise.

Restarono in silenzio per qualche secondo, poi Zacky si schiarì la voce.

“Come reagivano, quei ragazzini?”

Aveva la sua attenzione.

“Male. Finivano sempre per rovinare tutto.”

“E tu riuscivi a dormire la notte?”, chiese con una punta di cattiveria nella voce.

“So a cosa stai pensando... ma io gettavo semplicemente un po' di benzina sulla loro montagnola di paglia e bugie, a darle fuoco ci pensavano da soli.”

“Lei lo sa?”

Alice annuì energicamente. “Con te mi ha chiesto di andarci piano.”

Zacky aggrottò la fronte e fece per aprire bocca ma la donna sollevò l'indice per aria per informarlo di non aver ancora finito con lui.

“Ma tu non hai mai avuto bisogno di sconti di pena: sei l'unico della sua lista che mi abbia mai tenuto testa. E, soprattutto, non hai mai cercato di allontanarla da me soltanto perché non mi sopporti. Credo tu sia il primo ragazzo di Marta che mi piace davvero...”

Zacky le lanciò un'espressione di stupore e Alice si levò in piedi.

“Non montarti la testa, adesso. Per quanto tu possa andarmi a genio – cosa che da domani tornerò pubblicamente a negare fino alla morte – non è a me che devi piacere.”

L'ennesimo sbuffo.

“Dico sul serio, Coso, non fare cazzate. Tornatene in quella cazzo di stanza e sistema le cose.”

“Non sono sicuro sia quello che vuole”, ribatté sprezzante.

“Penso dovresti smettere di fare l'orgoglioso.”

“Non faccio l'orgoglioso.”

“Apri gli occhi.”

“Torna da tuo marito, Ali.”

“E tu torna dalla tua donna.”

Camminarono in silenzio fino alle porte delle loro camere.

“Sappi che mi diverte punzecchiarti”, lo informò prima di aprire la porta della stanza in cui la stava aspettando il marito, “Perciò non abbassare la guardia.”

Zacky roteò gli occhi, poi accennò un sorriso.

“Buona notte.”

 

*

 

11 Gennaio 2007

Marta si svegliò di soprassalto, dopo un incubo alquanto intricato e spaventoso. Accanto a lei, Zacky dormiva profondamente, all'oscuro delle sue paure. La sera precedente lo aveva osservato rientrare in camera e avvicinarsi a lei senza dire una sola parola. Quello che era successo dopo, tutto quanto, era stato il loro modo di passare sopra alle ultime divergenze. Il più delle volte il sesso sa essere un ottimo paciere.

Ora lo osservò con occhi annebbiati dal sonno, sospirando. Sarebbero tornati a casa e, una volta lì, avrebbero dovuto affrontare l'intera questione. Perlomeno, lei avrebbe dovuto farlo. Ancora non riusciva a credere che qualcuno della sua band, uno dei suoi amici di sempre, potesse davvero averle giocato un tiro così mancino. Eppure le sue sensazioni la portavano in quella direzione: uno di loro si era divertito ad inviarle quegli sms e quel biglietto e forse lo aveva fatto per prenderla un po' in giro. Massì, in fondo non c'era nulla di cui preoccuparsi.

Marta si rese conto che, da quando era cominciato tutto quanto, aveva cambiato idea a riguardo un miliardo di volte e ancora non era arrivata ad una conclusione sensata. L'unico punto fermo, fino a quel momento, era stata la strana consapevolezza che si trattasse di uno dei ragazzi e di nessun altro al mondo.

Con un moto di profondo sconforto scese dal letto e si stiracchiò.

Sarebbe stato un lungo viaggio.

 

Dopo un susseguirsi infinito di Stati e paesini sperduti, ecco finalmente le palme californiane comparire ai bordi delle strade, accompagnandoli in quegli ultimi, pochi chilometri e dando loro il benvenuto.

Marta aveva rigirato tra le mani il proprio cellulare, occhieggiando di tanto in tanto l'uomo che guidava accanto a lei e cercando di non prestare troppa attenzione ai mugolii che arrivavano dal sedile posteriore, dove la coppia di neo-sposi stava chiaramente dando il meglio di sé, al limite della decenza. Il telefono le era suonato tra le mani un paio di volte, facendola sussultare anche più del dovuto. Kristine le chiedeva scusa ma proprio non sarebbe riuscita ad esserci, quella sera. Brandan sembrava piuttosto dispiaciuto di non essere in città fino al giorno successivo, quando – te lo prometto! – sarebbe passato a trovarla. Infine Scott la informava di essere appena tornato dal suo viaggetto in giro per gli USA, pronto ad abbracciarla personalmente quella stessa sera.

Nessun messaggio sospetto all'orizzonte.

Zacky le aveva parlato dell'idea di Matt di dare una specie di festicciola a casa sua per salutare la libertà prima di rinchiudersi definitivamente in sala prove e lei aveva ridacchiato scuotendo la testa e osservando il paesaggio che sfrecciava fuori dal finestrino.

“Here we are!”, cantilenò Zacky una volta che si furono fermati davanti agli studi di registrazione.

“Era ora, bello, non sentivo più le gambe!”

“Stai sempre a lamentarti!”

“Ho bisogno di una birra.”

I due ragazzi raggiunsero la porta a vetri con poche, grandi falcate e Marta li guardò scomparire all'interno dell'edificio in un batter di ciglia, prima di decidersi a seguirli. Intanto Alice tirò fuori il proprio cellulare e le fece segno di precederla mentre lei informava il proprio capo del suo ritorno.

Una volta dentro, Marta riconobbe le voci di tutti gli Avenged Sevenfold e sorrise di rimando a Jimmy quando lo vide illuminarsi e andarle incontro a braccia aperte. “Nocciolina!”

“Mi era quasi mancato, questo soprannome.”

Salutò con la mano anche tutti gli altri, ancora stretta in quell'abbraccio ricolmo di affetto, poi un paio di voci femminili catturarono la sua attenzione e Marta scrutò la stanza da sotto la spalla di Rev. Due donne identiche quasi in tutto e per tutto la stavano squadrando con aria stupita e Jimmy parve accorgersene.

“Nocciolina, ti presento Valary e Michelle Di Benedetto”, disse quindi l'uomo, indicando prima una e poi l'altra. Marta riconobbe in Valary la famosa ragazza di Matt ma non ricordò di aver sentito parlare di Michelle, se non in quell'unica occasione in cui Syn si era sbottonato raccontandole snocciolando qualcosa a proposito della loro prima ed unica uscita insieme. Sorrise ad entrambe e allungò una mano. “Marta Peterson.”

“La donna di Zacky”, spiegò Jimmy intromettendosi.

In quell'esatto istante Alice fece la sua comparsa in sala.

“Ciao Ali”, salutò Johnny notando il suo ingresso e Michelle si chinò leggermente verso l'orecchio della gemella per sussurrarle qualcosa con aria stizzita.

“Ecco Alice, la domatrice di playboy”, scherzò Matt circondando le spalle della propria fidanzata.

Jimmy prese a ridere sguaiatamente. “Val, Mich... vi presento Mrs. Haner”, recitò poi tra le lacrime, facendo un piccolo inchino.

Johnny e Matt aggrottarono la fronte, indecisi se ridere o piangere e fu in quel momento che Michelle serrò le braccia al petto e, con espressione alquanto irritata, fece un passo avanti. “Mrs. Haner?”, ripeté scettica dando vita, suo malgrado, ai pensieri di tutti i presenti.

Jimmy cominciò a ridere ancora più forte. “Questi due sono andati all'altare!”

“Allora è vero?!”, Matt strabuzzò gli occhi.

Syn annuì con disinvoltura e attirò la propria donna a sé, scuotendo per aria le dita della mano sinistra per mostrare l'anello. “Salutate mia moglie, gente!”

Johnny e Matt scambiarono un'occhiata tra loro, poi guardarono Zacky e Marta in attesa del cenno di consenso che non tardò ad arrivare. “Cazzo!”, andarono entrambi a congratularsi. Anche Valary si unì ai festeggiamenti, elargendo sorrisi sinceri prima all'uno e poi all'altra, e Marta pensò che, dopotutto, un amico inguaribilmente scapolo con un anello al dito fosse davvero un buon motivo per essere felici. L'unica a non prendere parte alle congratulazioni fu Michelle.

“Credo che qualcuno non l'abbia presa granché bene”, mormorò Marta rivolta a Jimmy. L'uomo fece spallucce e disse che avrebbe dovuto farsene una ragione, prima o poi.

“Quindi tu lo sapevi?!”, domandò Johnny.

Jimmy annuì, circondando le spalle di Syn con aria complice. “Ovviamente! Lo zio Jimmy sa sempre tutto!”

“Razza di bugiardo!”, Matt si unì alle risate generali, “Cazzo, qui bisogna festeggiare!”

 

*

 

La casa di Matt e Valary era davvero un incanto. Grande, accogliente, arredata con gusto. Alice non poté fare a meno di immaginare come sarebbe stata invece la loro casa, tenendo in considerazione l'idea di liberarsi dei loro vecchi appartamenti da single. Ne avevano già parlato un paio di volte, da quando si erano detti il fatidico in quella cappella di Las Vegas, ed entrambi si erano fin da subito trovati d'accordo sull'idea di trovare una casa in cui cominciare una vita da zero, insieme.

“Ho sentito parlare molto di te”, disse Valary a Marta, sorridendole caldamente.

I ragazzi avevano preso a discutere di questo o quell'arrangiamento, finendo come al solito a sparare più cazzate di quanto fosse opportuno fare, così le donne avevano colto la palla al balzo ed erano scomparse in salotto a sorseggiare un cocktail comodamente sedute sul gigantesco divano angolare, chiacchierando del più e del meno.

“Spero te ne abbiano parlato bene”, scherzò Marta bevendo un po' dell'acqua che Val le aveva portato. Alice le osservò entrambe e pensò a quanto le piacesse l'idea di instaurare un buon rapporto di amicizia con le donne degli altri ragazzi del gruppo.

“Molto bene!”, annuì, “E anche di te, Alice, ho sentito molto parlare. Non sai quanto mi tranquillizzi l'idea di sapere Brian felice. Ho sempre avuto la sensazione che preferisse restarsene da solo ma credo non avesse semplicemente ancora trovato la donna giusta per lui.”

“Grazie, Val. Credo sia stata una cosa reciproca per entrambi...”

“Ma che bella storia d'amore...”, ironizzò Michelle, che fino a quel momento era rimasta in completo silenzio. Batté le mani tra loro, “Proprio bella.”

Alice sollevò un sopracciglio e la osservò con sospetto. “Scusa?”

“Lascia stare, Mich. Non è davvero il caso.”

Valary sembrava davvero dispiaciuta dell'exploit della gemella.

“Ma certo!”, continuò invece l'altra alzandosi in piedi e afferrando ostentatamente il proprio bicchiere, chiaramente ubriaca, “Tu chiaramente ti schieri sempre dalla parte sbagliata!”

“Che cosa?!”, Valary era completamente esterrefatta.

“Senti, non ti conosco e non ho idea di quale sia il tuo problema ma...”, cominciò Alice mettendo le mani avanti, “Credo che questo comportamento non ti porti da nessuna parte né con Brian né con nessun altro.”

Michelle socchiuse gli occhi. “Oh, ma sta' zitta!”

Poi fu un attimo: svuotò il bicchiere contro il viso di Alice e andò via sulle gambe rese leggermente instabili dall'alcool. Valary si coprì la bocca con una mano.

 

*

 

Una volta arrivati a casa di Zacky, Marta si impossessò del lavandino del bagno, in pieni preparativi per la nottata che da lì a poco li avrebbe investiti.

“Avresti dovuto vedere la faccia che ha fatto Brian quando Mich ha dato di matto!”

“Mi è bastato vedere la faccia di Ali...”

“Nessuno si aspettava una cosa simile.”

“Valary era davvero dispiaciuta... Devo ammettere che è davvero simpatica.”

“Si, Val è un angelo.”

“Brian ha detto che parlerà con Michelle ma non so se essere più preoccupata per lui o per lei. Era davvero incazzato.”

La testa di Zacky comparve da dietro lo stipite. “Vedremo. Vieni a letto?”

Marta annuì, sorridente, e l'uomo scomparve dalla sua vista.

In quell'esatto istante il cellulare della donna prese a vibrare.

 

From: Unknown; To: Marta;
Jan. 12, 2006 – 04.38 a.m.
Non mi presento alla festa e tu torni a letto con quella testa di cazzo, DI NUOVO!!!
Cristo, non posso proprio più sopportarlo

Ah, bentornata a casa, principessa

 

Credits: 'This Means War' by Avenged Sevenfold.

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Capitolo 25
*** II - If You Want Blood (You've Got It) ***


 

PARTE SECONDA
25.

IF YOU WANT BLOOD (YOU'VE GOT IT)

 

You get nothin' for nothin',
and tell me who can you trust

 

13 Gennaio 2007

“Ora che siete di nuovo tutti qui”, cominciò a dire Simon passando velocemente in rassegna ciascuno dei ragazzi, “Possiamo finalmente cominciare a parlare di cose serie.”

Zacky si sistemò meglio sulla poltrona e appoggiò la testa sul palmo della mano con aria annoiata, Syn sbuffò sollevando gli occhi al cielo sotto l'ilarità generale.

“Sempre che alla regina stia bene”, ironizzò il manager lanciando a Marta uno sguardo irritato.

Come improvvisamente ricorda di essere in quella stanza insieme al proprio uomo e alla sua band, la tastierista aggrottò la fronte e corrucciò le labbra.

“Parli con me?”

Simon si schiaffeggiò il viso con una mano. “Vedi qualche altra donna, qui dentro?”

“Ehi”, lo richiamò Zacky, “Smetti di fare lo stronzo con lei.”

“Come ti pare”, l'altro alzò le mani in segno di resa, “Ma spero che le sorprese siano finite.”

“Scorte terminate”, rispose Marta con sarcasmo, “Per qualche tempo siete salvi.”

Tutti sorrisero poi, finalmente, cominciarono le prove. I ragazzi parlavano di testi e arrangiamenti come di qualcosa a cui lavorassero da molto tempo e Marta si stupì nel constatare come tutti loro – Matt e Jimmy per primi – avessero lavorato duramente alla loro parte. Syn presentò un assolo niente male, tirando giù qualche santo dal calendario per un paio di accordi piuttosto veloci che non sembravano volergli riuscire al primo colpo e Zacky tirò fuori un foglio. Un testo.

“E questo te l'ha ispirato quella donzella laggiù?”, domandò Matt con un sorriso dei suoi, facendo un cenno con la testa verso la parte della stanza in cui si era sistemata Marta, un libro tra le mani e un'espressione assorta in volto. La tastierista sollevò subito il capo e occhieggiò di rimando i cinque musicisti, domandandosi cosa volessero. “Posso esservi utile?”

“Forse potresti leggere...”, ridacchiò Rev avvicinandosi a lei con un foglio tra le mani, mentre Zacky lo tirava per un braccio per farlo desistere.

“Cosa...?”

“Assolutamente niente. Rev ha voglia di scherzare”, ringhiò Zacky dopo esser finalmente riuscito a strappare il foglio dalle mani dell'amico. Marta lo squadrò perplessa, poi scosse il capo e tornò a dedicarsi al suo libro.

“D'accordo, ragazzi, credo sia ora di strimpellare un po'”, propose Simon sfregando convulsamente le mani tra loro, “Perciò chiudetevi là dentro e tirate giù qualcosa. Sono a conoscenza delle vostre abitudini in fase di stesura di un nuovo album e so che non vi piace forzare il processo creativo ma, francamente, questa volta non me ne frega un cazzo. Siamo in ritardo e la casa discografica aspetta di sentire qualcosa già nei prossimi giorni, perciò spremete le meningi e fatevi venire delle buone idee o siamo tutti quanti nella merda.”

Marta sollevò di nuovo lo sguardo dal libro, posandolo sul manager; quella faccia paonazza non lasciava intendere nulla di buono. Possibile che una sola settimana di ritardo sulla tabella di marcia avesse causato tanti danni? Per lei e i Bleeding Through le cose andavano sempre alla perfezione: Brandan portava il suo quaderno gigante dei testi per confrontare il suo lavoro con le idee degli altri, Scott e Brian presentavano qualche riff o assolo, Derek proponeva qualche accorgimento a cui nessuno aveva pensato. Per un attimo le dispiacque per Zacky e i ragazzi, poi un improvviso senso di tristezza la investì come un treno in corsa, costringendola ad affrontare la realtà: avrebbe dovuto parlare con i propri compagni di band per chiarire una volta per tutte la situazione. Chiunque tra loro avesse scritto quei messaggi, sempre ammesso si trattasse proprio di uno della band, avrebbe dovuto darle delle spiegazioni. Si conoscevano da una vita, non potevano davvero pensare di evitare un discorso del genere. Sconsolata, Marta si avvicinò al mixer e, approfittando della breve scappatina alla toilette di Simon, infilò le cuffie con tutta l'intenzione di ascoltare in anteprima i progressi della band al di là del vetro.

“Non è stato un bel gesto.”

La voce di Matt le arrivò dritta nelle orecchie e Marta, sentendosi colpevole per essersi concessa quella invasione di privacy non autorizzata, sollevò di scatto la testa e passò in rassegna tutti e cinque i musicisti, rilassandosi nel constatare che nessuno la stava guardando. Non parlavano di lei.

“Val ci è rimasta davvero male.”

“Beh, se la mia gemella desse di matto ci rimarrei male anch'io”, constatò Johnny e tutti annuirono. Marta abbassò nuovamente lo sguardo senza la minima intenzione a togliere le cuffie dalle orecchie: origliare non era da lei ma stavano parlando dell'exploit di Michelle e la curiosità, a quel punto, era davvero tanta.

“Sei andato a parlare con lei?”, domandò Zacky dando forma ai pensieri di Marta.

Syn emise un suono gutturale e, sebbene non li stesse più guardando, la tastierista ebbe un sussulto. Doveva essere davvero arrabbiato. “Ci sono andato e quello che mi ha detto non mi è piaciuto per niente. Ma comunque credo che quella messa peggio fosse lei, al momento di andarmene.”

“Cristo, cosa le hai detto?”, domandò Matt con voce quasi preoccupata. Michelle era pur sempre la sorella gemella della sua Valary.

“La verità. Dopo la volta della scommessa non le ho più chiesto di uscire perché non me ne fregava un cazzo né di lei né di avere una storia. E lei giù a chiedere cosa fosse cambiato. Ho conosciuto la donna della mia vita, porca puttana, ecco cos'è cambiato.”

Sul viso di Marta spuntò un sorriso. Se solo Ali fosse stata lì ad origliare insieme a lei! Sperò che Syn avesse già provveduto a farle sapere tutto quanto in separata sede.

“Michelle ha preso a piangere, ha chiesto cosa avesse mia moglie più di lei. Credo di aver capito che certe volte le donne fanno delle domande retoriche...”

Marta immaginò Syn lanciarsi in un elenco dettagliato dei pregi di Alice e trattenne l'impulso di schiaffeggiarsi in pieno viso. Uomini.

“Come minimo l'hai mandata in depressione, razza di cavernicolo privo di tatto.”

“Taci, Rev, è tutta colpa tua. Se tu non avessi forzato le cose con quella cazzo di scommessa, Mich non si sarebbe mai innamorata così perdutamente delle grandi doti del sottoscritto.”

“Ti consiglio un'iniezione di autostima”, fece Zacky ironicamente, “Ti sento un po' giù di corda.”

A Marta sfuggì di nuovo un sorriso. Quei cinque erano davvero uno spasso.

“Beh, comunque ero davvero incazzato. Ha avuto una reazione allucinante, manco fosse la mia cazzo di ex!”

“Le sarebbe piaciuto”, il sorriso di Johnny era facilmente percepibile.

“Cazzi suoi.”

“Che uomo, ragazzi!”

“Piantala, Vee. Pensa se una tizia di cui non te ne frega niente avesse svuotato il bicchiere addosso a Marta solo perché pensava che tra voi potesse esserci qualcosa. Te ne saresti stato lì tranquillo a guardare?”

“Col cazzo.”

“Ce l'hai, amico.”

“Mi sarei incazzato parecchio.”

“Idem”, si aggiunse Matt. Anche Jimmy fece un mugugno di approvazione.

“Anche se vedere Marta con la maglietta bagnata è sempre parecchio arrapante...”, il respiro di Zacky si fece un po' più pesante e tutti quanti presero a ridere. Marta arrossì fino alla punta dei piedi, poi una porta si aprì e Simon ricomparve munito del suo solito cipiglio arrogante, intimandole di fargli spazio e prendendo ad urlare dentro al microfono di ricominciare a suonare. D'istinto la tastierista sfilò le cuffie e le posò al loro posto.

La concentrazione da dedicare alla lettura era ormai svanita. I pensieri di Marta avevano ripreso a vagare, pericolosi. D'un tratto abbandonò la sedia e, afferrati cellulare e giacca, uscì in corridoio.

 

*

 

Lo studio era deserto. Max era ancora impegnato in quel suo viaggio dell'ultimo minuto e buona parte dei ragazzi aveva preso un giorno libero per riposare e riprendersi dal lavoro svolto in trasferta a Las Vegas. In ufficio c'erano soltanto Alice, il suo caffè fumante e la sua voglia di terminare il più in fretta possibile la post-produzione del video dei Megadeth.

D'un tratto il cellulare suonò.

“Tini!”, salutò portando il telefono tra spalla e orecchio, per garantire la libertà dei propri movimenti, “Tutto bene? I ragazzi?”

“Sono in studio e... stanno venendo fuori delle cose interessanti”, sospirò e Alice immaginò stesse sorridendo, “Ma non ti ho chiamato per questo motivo.”

“Uh, devo preoccuparmi?”

“No. Non lo so.”

“Oddio, che succede?”

Ci fu un attimo di snervante silenzio, poi Marta si decise a continuare.

“Voglio parlare con gli altri. Brand, Der, Scott e i bulli.”

“Ne sei sicura?”

Devo farlo.”

Alice sembrò ponderare la notizia per una manciata di secondi, indecisa sul da farsi: da una parte pensava che l'amica avesse tutte le ragioni del mondo per voler parlare con loro, dall'altra temeva che un discorso del genere avrebbe minato la band in maniera irreversibile – soprattutto nel caso in cui nessuno di loro centrasse nulla con la faccenda.

Certe insinuazioni rischiavano di silurare rapporti di fiducia secolari.

“D'accordo”, sospirò riprendendo in mano il telefono e cominciando a passeggiare per l'ufficio, “Però pensa bene a cosa dire. Li conosci da una vita e...”

“Lo so, credimi, ci ho riflettuto a lungo. Ma non posso continuare così. Insomma: voglio sentirmi libera di condividere il tour bus con i miei compagni di band senza avere il timore di un attacco notturno.”

“Temi un attacco notturno?”, il tono era ora più leggero, quasi divertito. Bisognava pur saper sdrammatizzare un po', no?

“Era per dire”, rise Marta dall'altra parte del telefono, “Le cose non sono così tragiche, grazie al cielo! Però sto omettendo a Zacky un sacco di cose e chiunque scriva i messaggi non vede l'ora di vederci lontani... lo so, avrei bisogno di dormire.”

“No, no”, si sedette di nuovo, lasciandosi cadere contro lo schienale della sedia, “Mi sembra ragionevole. Ti chiedo solo di soppesare quello che dirai, quando deciderai di parlare con loro.”

“Lo farò. Credo che parlerò a Brand oggi stesso: mi sta nascondendo qualcosa e questo non è il momento giusto per raccontarmi bugie.”

Alice ridacchiò. Se Marta avesse saputo! “Ricordati che la sottoscritta sa già tutto.”

“Ah, già. Sadica.”

“No. Piuttosto amica fidata.

“Sadica”, ripeté ridendo, “D'accordo, ora torno di là. Ah sappi che tuo marito si è sperticato in racconti eroici, prima. Siete davvero carini.”

“In che senso, scusa?”

“Devo andare!”, continuò l'altra ridendo, “A più tardi, Ali!”

Alice restò a fissare il telefono per qualche secondo, perplessa. Racconti eroici? Carini? Beh, lui era uno schianto, questo era poco ma sicuro...

“Si può?”, domandò una voce maschile familiare sbucando oltre la soglia dell'ufficio. Alice smise di rimirare il proprio anello e prestò attenzione al nuovo arrivato, “Ciao, bambina.”

Un uomo di indubbio bell'aspetto si fece avanti nella stanza: capelli rasati sui lati, un filo di barba incolta, maglietta nera aderente ad accentuare le grandi spalle e i pettorali scolpiti. Camminata spavalda, sguardo a mezz'asta.

“Greg!”, spalancò gli occhi per la sorpresa, “Quando sei tornato?”

Greg Puciato. Erano stati insieme per diversi anni ed erano arrivati quasi al punto di sposarsi, ma poi la loro storia aveva preso una piega inaspettata e loro si erano lasciati senza rancore. Ancora adesso si reputavano grandi amici, per quanto fosse concesso a due persone che avessero condiviso dei sentimenti e un letto. Gli stampò un grande bacio sulla guancia e lo invitò ad accomodarsi su una delle sedie di fronte alla scrivania.

“La scorsa settimana. Sono passato qui qualche giorno fa ma mi è stato detto che eri impegnata a Las Vegas.”

Impegnata era un eufemismo. Viaggio a quattro, lavoro importante. MATRIMONIO. Probabilmente le si leggeva in faccia. Anzi, ne era sicura: ogni centimetro della pelle del suo volto stava certamente gridando di felicità.

Molto impegnata. Cosa ti riporta a Los Angeles?”

Greg la squadrò nella sua interezza, serio. “Ho bisogno di girare un video per la band. Sai, solite cose: mi fido solo di te, sei la migliore e bla bla bla.”

“Simpatico”, scherzò Alice aprendo la propria agenda. I Dillinger Escape Plan erano amici di vecchia data e, da che lei e Greg avevano cominciato ad uscire insieme, era sempre stata Alice ad occuparsi dei loro videoclip, “Se vuoi possiamo già fissare una data.”

“E quell'anello?”

“Te l'ho detto che a Las Vegas sono stata impegnata.”

La fronte di Greg si increspò di rughe. “Fai sul serio, bambina?”

Bambina. Greg aveva l'abitudine di rifilare soprannomi a tutti quanti e a lei era spettato quello. La chiamava così da una vita e non aveva smesso di farlo nemmeno quando la loro storia sentimentale era finita. Alice lo lasciava fare, sapendo che per lui era un appellativo come un altro e non significava niente.

Annuì raggiante. “Sposata”, confermò e gli mostrò la fede al dito.

“E chi sarebbe il fortunato?”

“Un meraviglioso chitarrista dai mille talenti.”

“Lo conosco?”

“E io come faccio a saperlo?”, sorrise e scosse la testa, “Si chiama Brian.”

“Cognome?”

“Mi stai facendo il terzo grado?”, rise e si sporse in avanti, “Se ci tieni tanto posso presentartelo, più tardi.”

“D'accordo”, scrollò le spalle e si accomodò meglio sulla sedia, “Chi è che teme un attacco notturno?”

Greg era sempre stato senza filtri e ad Alice questo aspetto del suo carattere piaceva molto. La sincerità alla base di tutto, sempre. Ora, però, stava quasi esagerando.

“Hai origliato la mia telefonata?”

“Non ho origliato”, ribatté con un sorriso furbo, “Ma qualcuno ha la pessima abitudine di lasciare le porte aperte e si dà il caso che io abbia un udito niente male.”

Alice sollevò gli occhi al cielo, sconcertata. “Certe cose non cambiano mai!”

“Allora... come mai bisogna soppesare le parole prima di parlare con loro?”

“Te l'hanno mai detto che bisogna farsi i fatti propri?”

“No.”

“Beh, c'è sempre una prima volta.”

Greg si concesse una risata. “Senti, piccola, non l'ho fatto apposta ma ho sentito la tua telefonata. Ormai è fatta. Dimmi di cosa stavi parlando e magari posso aiutarti. C'è qualcuno in difficoltà? Tu? Una tua amica?”

Alice scrollò energicamente la testa. Forse il parere di un uomo estraneo ai fatti avrebbe giovato all'intera faccenda. “Dimmi una cosa: se qualcuno inviasse dei messaggi alla tua ragazza e...”

“Non ho una ragazza.”

Uno sbuffo. “E va bene. Facciamo finta di stare ancora insieme: se qualcuno mi mandasse dei messaggi a tua insaputa, suggerendomi di lasciarti e parlandomi di cose che potrebbero allontanarmi da te, come ad esempio un ipotetico tradimento, tu cosa faresti?”

“Gli spaccherei la faccia.”

“D'accordo ma immagina di non sapere di chi si tratta.”

Greg ci pensò su un secondo. “Un mio amico fa l'investigatore privato. Non lo conosci. Chiederei a lui.”

“Investigatore privato... non è un po' esagerato?”

“Se tu fossi ancora la mia ragazza e qualcuno volesse portarti via, no. Non sarebbe esagerato per niente”, la scrutò con occhi attenti, “Il tuo uomo non lo farebbe?”

“Farebbe anche di peggio.”

“Hai trovato una testa calda, bambina?”

“Come se fosse la prima volta”, ironizzò.

“Ti eri trovata bene e ne hai cercato uno con le stesse qualità, è comprensibile.”

Alice respinse l'impulso di scoppiare a ridergli in faccia. Senza nulla togliere alla lunga e importante relazione che aveva avuto con lui ma quella con Brian era tutta un'altra cosa. Lo amava in modo viscerale, sentiva di poter appartenere solo a lui – e viceversa. “Non dirlo più.”

“Che cosa?”

“Non metterti a paragone con lui. Perdi ad occhi chiusi, Greg.”

“Il matrimonio ti ha addolcita”, sorrise beffardo, “O dovrei dire ammorbidita?”

“Ti stupiresti di sapere quanto. L'altra sera mi sono perfino trattenuta dal tirare i capelli ad una pazza che mi ha lanciato un cocktail in faccia perché pensa le abbia rubato l'uomo.”

“Nessuna reazione?”, sbatté una mano sulla coscia mentre con l'altra teneva serrata la pancia scossa dalle convulsioni della risata, “Come non detto: il matrimonio ti ha rammollita, piccola.”

La scrollata di spalle di Alice sarebbe bastata da sola a spiegare tutto quanto. “Prima di metterle le mani addosso ho pensato ad una cosa: io ce l'ho. Quell'uomo porta un anello al dito e gliel'ho messo io, è la nostra promessa. Di nessun altro. Questa mi sembra una risposta migliore di una qualsiasi rissa, non credi?”

Greg la osservò come si osserva un alieno. “Giuro che mi stai facendo paura.”

“Solo io posso svegliarmi con lui accanto. Nessun'altra donna al mondo potrà mai dire la stessa cosa. E io di certo non posso pensare di mettere le mani addosso a tutte quelle che vorrebbero portarselo a letto, ti pare? La vita non è abbastanza lunga e io ho di meglio da fare.”

“Una volta l'avresti pensata diversamente.”

“È vero. Ma ci siamo fatti una promessa ed è tutto quello che conta.”

“Dovrei sentirmi offeso”, scherzò, “Spero per lui che sappia meritarsi parole del genere, bambina.”

“Lo fa. Dovresti conoscerlo.”

“Va bene, fammi conoscere questo Dio sceso in terra, allora.”

“E smettila di fare il geloso”, ridacchiò, “Piuttosto, come mai nessuna ragazza?”

“Non provare a sposare l'attenzione su di me”, accese una sigaretta senza nemmeno scomodarsi a chiedere se fosse permesso fumare, “Vuoi che chiamo il mio amico?”

“L'investigatore?”

Greg annuì e lasciò uscire un po' di fumo dalla bocca. “Basta una tua parola e faccio immediatamente partire la chiamata.”

Alice ritagliò qualche secondo per pensare. Prima di prendere altre decisioni avrebbe dovuto parlarne a Marta e sentire cosa volesse fare. Sollevò lo sguardo su Greg e notò la vena che gli compariva sulla fronte quando era preoccupato o arrabbiato.

“Ti dispiace se prima faccio una telefonata?”

 

*

 

Era trascorsa un'ora dalla telefonata di Alice ma Marta non riusciva ancora a pensare ad altro. L'idea non era male e lei, seppur con qualche riserva, aveva accettato. Non conosceva questo Greg – la relazione tra lui e Alice apparteneva al periodo in cui loro due si erano perse di vista – ma si fidava della propria migliore amica e sapeva che non le avrebbe telefonato se non fosse stata una cosa importante o degna di attenzione.

“Non ci crederete ma in corridoio ho intravisto uno che somigliava a quel pezzo di merda che si diverte a parlar male di noi sui giornali”, esordì ora Matt facendo la sua comparsa in saletta. I ragazzi avevano sentito il bisogno di fare una pausa e, grazie al cielo, Simon gliel'aveva concessa senza troppe lamentele.

“Cosa diavolo ci fa qui?”, domandò Johnny con faccia perplessa.

“Non lo so ma se lo vedo lo disintegro”, esclamò Rev aprendo una bottiglia di birra, “Lui e le sue battutine del cazzo sui nostri soprannomi. Parlasse un po' di più della sua band e un po' meno della nostra, magari se lo filerebbe qualcuno.”

Marta non aveva la minima idea di chi stessero parlando ma li osservò annuire con foga e immaginò che la questione fosse aperta da un bel po' di tempo.

Alice fece la sua comparsa sulla soglia della porta, raggiante. “Eccomi! Mi sono persa qualcosa?”

“Ehi”, Syn andò ad abbracciarla, baciandola con trasporto, e tutti presero a fischiare e a suggerire loro di prendere una camera d'albergo, “Stavamo parlando di quel coglione che...”

E proprio in quel momento, mentre l'uomo si allontanava dalla moglie per terminare la frase, fece la sua comparsa quello che Marta immaginò essere Greg. Prima che potesse realizzare ciò che i suoi occhi stavano guardando, la tastierista vide Syn e Matt avvicinarsi al nuovo arrivato con aria pericolosa.

“Cosa cazzo ci fai qui dentro, stronzo?”, ringhiò il chitarrista.

Alice lo osservò confusa. “Vi conoscete?!”

“Questo pezzo di merda parla male di noi sui giornali”, spiegò Matt guardando Greg in cagnesco. L'altro si aprì in un finto sorriso, sfoderando una faccia da schiaffi davvero irritante.

“Bambina, non dirmi che è lui il Brian che hai sposato.”

Gli occhi di Alice si fecero sempre più grandi mentre Syn si avventava contro Greg, facendo sbattere la sua schiena contro il muro e tenendolo stretto per il bavero della maglia. “Come cazzo l'hai chiamata?”

“Bambina”, sillabò lentamente l'altro, rischiando grosso ad ogni lettera.

“Sei un uomo morto!”

Le preghiere a fermarsi di Alice non servirono a molto. Syn sferrò un pugno dritto al naso di Greg e un rigolo di sangue prese a scendergli da una narice.

“Quella è mia moglie, pezzo di merda!”

Prima che potesse tirargli un altro pugno, Matt e Rev comparvero alle spalle di Syn e lo bloccarono. Greg si sistemò meglio la giacca e guardò Alice con sguardo divertito. “Avevi ragione tu. È proprio una fottuta testa calda. Ti chiamo domani.”

E uscì dallo studio.

La tensione, a quel punto, si poteva tagliare con un coltello. Syn respirava affannosamente, ancora nervoso e su di giri per quell'uomo così sfacciato. Marta continuava a spostare lo sguardo da Alice a Syn a Zacky, perplessa.

Marta fece un cenno agli altri di lasciarli da soli e tutti, nessuno escluso, la seguirono fuori dallo studio. Era una cosa che dovevano chiarire tra di loro, in privato.

 

*

 

Alice sospirò e serrò le braccia al petto. “Cosa diavolo pensavi di fare?”

Il tono di voce pacato che stava usando non prometteva niente di buono e Syn la guardò scettico, forse domandandosi di cosa stesse parlando.

“Quello ti ha chiamata bambina.”

“Ti assicuro che lo fa con tutti”, sbuffò socchiudendo gli occhi, “È il suo modo di fare.”

“Lo può fare con chi cazzo gli pare, non con mia moglie.”

“Una parola sbagliata ti dà il diritto di spaccargli il naso?”

“Cazzo, si! E poi cos'è 'sta storia che vuole chiamarti domani?”

Alice inspirò a fondo. “Greg ed io siamo stati insieme, Brian. È stato tanto tempo fa ma siamo rimasti buoni amici. Io ho sempre girato i loro video e... è venuto da me in studio per lavorare a quello nuovo.”

CHE COSA?”, urlò Brian, “E cosa aspettavi a dirmelo?”

“È successo un'ora fa. Te lo sto dicendo adesso.”

“Così non può funzionare, Ali. Io impazzisco all'idea di quello che quel pezzo di merda può averti fatto, dei posti in cui ti ha portata, delle volte che ti ha toccata.”

Il cuore di Alice, combattivo per natura, perse un battito. “Cosa intendi dire?”

“Non voglio che tu lo veda mai più.”

“È solo lavoro, Brian. Devi fidarti di me.”

“Non voglio che tu lo veda mai più!”, ripeté sbattendo un pugno contro il muro e questa volta fu il suo sangue a macchiare la moquette. Alice osservò il pugno violaceo e seguì con lo sguardo le goccioline rosso acceso cadere a picco contro il pavimento.

“Ti fidi di me?”

“Non mi fido di lui.”

“Non hai risposto alla mia domanda.”

“Ci sei stata insieme.”

Poteva una nuova non-risposta fare ugualmente così male?

“È una cosa morta e sepolta, Brian! Tutti abbiamo un passato, che ti piaccia o no.”

“Beh, questo pezzo del tuo passato non mi piace per niente.”

Questo era troppo. Dove era finito il loro amore e il loro essere da soli contro tutto e tutti, adesso? Dove diavolo era finita la loro promessa di amarsi e rispettarsi sempre, se bastava così poco per portare Brian ad una crisi di nervi?

Alice lo guardò con occhi furenti, poi si avvicinò alla porta.

“Stammi bene, Brian.”

Credits: 'If You Want Blood (You've Got It)' by AC/DC.

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n.A.: Strano ma vero, pubblico di domenica pomeriggio! Domani sera non ce l'avrei proprio fatta, perciò eccovi il capitolo in anticipo di un giorno. Spero sia di vostro gradimento.
Grazie a tutti quanti come sempre, ci si legge presto!
rose_

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Capitolo 26
*** II - The Truth ***


 

PARTE SECONDA
26.

THE TRUTH

 

No way dividing
what's yours or mine when everything's shining

 

13 Gennaio 2007

“Assurdo, cazzo!”, ringhiò per l'ennesima volta Syn traballando sul freddo muretto senza trovare una posizione comoda, “È andata via! Stavamo parlando e lei è andata via!!!”

Dopo le battute finali della lite, sfociata in un'uscita di scena parecchio indispettita e plateale della donna, la band non era stata in grado di continuare le prove per via del cattivo umore del chitarrista. Alice aveva chiesto a Marta di darle un po' di tempo, assicurando di farsi sentire lei stessa quando sarebbe stata pronta a parlare dell'intera faccenda, poi era sparita oltre la porta a vetri, perdendosi tra le strade trafficate di Los Angeles.

Intanto tutti, compreso uno sconcertato Simon pronto ad esplodere in una sfuriata delle sue, avevano osservato Syn prendere a calci e pugni qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, senza riuscire a farsi venire in mente nulla di intelligente da dire o da fare. Solo Rev e Marta, migliori amici delle due rispettive parti, l'avevano convinto a spostarsi all'esterno dello studio per prendere una boccata d'aria, limitando i danni alla strumentazione – e allontanandolo dalle grinfie furenti di Simon.

“Ali non è il tipo di donna che si fa mettere i piedi in testa, lo sai”, disse Marta cercando di evitare la nuvoletta di fumo che usciva dalla sigaretta di Syn, “Se n'è andata perché l'hai messa in discussione. E non provare a dire il contrario!”

“Non mi pare di aver fatto nulla del genere...”, rispose stupito il chitarrista sollevando lo sguardo sul proprio migliore amico. Rev annuì con aria spiacente.

“La conosci, è testarda. Ma non è bugiarda, quello mai. Ti ha detto che per lei è una storia morta e sepolta, avresti dovuto darle almeno un po' di fiducia. È tua moglie, questo vorrà pur dire qualcosa.”

“Non è lei il problema. Lei ha tutta la mia fiducia, sul serio. Ma quello stronzo... non sapevo nemmeno fossero usciti insieme.”

“È stata una miriade di anni fa.”

Probabilmente, ora che ci pensava un po' più a fondo, erano addirittura circolati dei giornali con qualche loro foto, all'epoca della loro relazione. In fondo i paparazzi sembravano non aspettare altro che ricamare articoli su articoli riguardo alle rockstar e alle loro storie d'amore, come scampare ad un simile destino?

“Razionalmente so che è assurdo ma, andiamo, vi sembro un tipo razionale?”, sorrise nervosamente terminando la sigaretta con un'ultima, lunga tirata, “Lei è solo MIA. Pensare che quel pezzo di merda l'ha fatta ridere, l'ha fatta stare bene, mi fa davvero incazzare.”

“Lui è il suo cazzo di passato. Sei tu il suo presente e il suo futuro”, sospirò Jimmy. Marta gli sorrise, annuendo: era proprio quello il punto.

Ma forse Syn non riusciva a capirlo perché, nonostante tutte le donne con cui era andato a letto in tutti quegli anni, non aveva mai avuto un vero e proprio passato sentimentale. La sua inesperienza, in questo senso, la inteneriva.

“Riflettici un po' su, d'accordo? E va' a parlarle il prima possibile: questa storia fa male ad entrambi”, Marta gli poggiò una mano sulla spalla e strinse appena in cenno di saluto, “Ora devo proprio scappare. Se avete bisogno di qualsiasi cosa, chiamatemi, d'accordo?”

“Zacky viene con te?”, si informò Jimmy stampandole un bacio sulla guancia.

“No, stasera è tutto per voi. Ma non fatelo bere troppo: domani mi serve tutto intero.”

“Vedremo cosa si può fare.”

Li salutò di nuovo con la mano e, chiudendosi meglio nel cappotto, e sospirò. Chissà cosa sarebbe successo, adesso? Simon sarebbe andato su tutte le furie, producendosi in una sfuriata delle sue e rischiando di peggiorare la situazione? Oppure Syn avrebbe seguito il consiglio suo e di Rev e si sarebbe dato una mossa per cercare di sistemare le cose con Alice?

Si avviò a piedi verso l'appartamento losangelino di Brandan, a pochi isolati da lì. Era una vera fortuna che la villa di Orange County fosse nel bel mezzo dei lavori di ristrutturazione o Brandan non avrebbe mai ceduto a trasferirsi un po' più vicino alla civiltà.

Suonò e risuonò il campanello e quando Brandan andò ad aprire, a petto nudo e con qualche minuto di ritardo, la mascella della tastierista toccò terra. La luce negli occhi dell'amico era diversa, più accesa. Ora che l'aveva di fronte non c'era più alcun dubbio: Brandan era innamorato perso.

“Buonasera, straniero”, lo salutò sollevandosi sulle punte per abbracciarlo meglio, “Mi fai entrare?”

Brandan si scansò e chinò leggermente di lato la testa, facendo segno di entrare.

“Mi sembra una vita che non vengo qui dentro.”

“È una vita, in effetti. Da quando ho fatto costruire la villa, ho abbandonato a se stesso questo appartamento. Non ci si sta male, in realtà.”

“E poi mi sembra una vita che non vedo te.”

“Già”, scrollò le spalle e la precedette fino al salone, lasciandosi cadere su un divano, “Com'è andato il viaggio?”

Sorrise. “Quattro disperati e un rottame capriccioso. Direi che ci siamo divertiti.”

“Bene.”

“E qui com'è andata? Non ho più sentito nessuno...”

“Lo so. Scusa. Ho avuto qualcosa da fare.”

“Ah, si?”

“Si.”

“Tipo?”

Brandan scoppiò a ridere. “La schiettezza di Alice ti sta contagiando.”

“Può darsi”, mormorò aprendosi in un sorriso a trentadue denti, “So che vi siete sentiti...”

Almeno voi.

“Si, beh, volevo chiamare anche te ma...”

“Avevi qualcosa da fare”, ripeté precedendolo. Tutta quella farsa stava iniziando ad essere ingombrante e Marta desiderava soltanto poter parlare col proprio migliore amico liberamente.

“Allora... come si chiama? La conosco?”

“Ah! Dritta al punto...!”

“La conosco?”, ripeté sentendo la pelle del viso tirarsi in un sorriso.

“Il nome Peterson ti dice nulla?”

Marta aggrottò le sopracciglia. “Moi?”, scherzò con perfetta pronuncia francese.

Il cuore le batteva all'impazzata, felice. Non l'aveva mai confessato a nessuno ma, in un certo senso, aveva sempre sperato che le cose andassero in quella direzione. Brandan scoppiò in una risata e si allungò a prendere il telefono.

Scosse la testa, impossibilitata a tornare seria. “Adesso lei dov'è?”

“Dovrebbe essere qui a minuti.”

“Mi allontano un paio di giorni e tu metti all'angolo la mia sorellina...”

“In realtà è stata lei a mettermi all'angolo... ci riesce molto bene.”

“D'accordo, non sono sicura di voler sapere altro.”

“Non stavo per raccontarti nulla di particolareggiato”, le diede un colpetto sulla spalla con fare affettuoso, “Ma diciamo che amo la famiglia Peterson.”

“Chi potrebbe non amare la famiglia Peterson?”, sbatté ripetutamente le palpebre, “Voglio dire: siamo adorabili!”

Il campanello suonò e Marta sollevò un sopracciglio. “Non le hai dato le chiavi?”

“Certo che gliele ho date. Ma avremmo voluto dirtelo insieme perciò entrare di soppiatto in casa non era la scelta più furba. Ci rimarrà molto male quando scoprirà che ti ho già detto tutto.”

“Oh, Dio. Fingerò di non sapere nulla, se è quello che vuoi.”

Brandan rise di nuovo e lasciò il divano per avvicinarsi all'ingresso.

“Aspetta un momento: rimani comunque il mio migliore amico, vero?”

“Non se continui a farmi queste domande stupide.”

 

*

 

Alice sbatté nuovamente il cassetto della scrivania, annoiata e assente. In un solo giorno le era precipitato tutto addosso e ora tutto ciò che voleva era starsene da sola a pensare a niente in particolare, una bottiglia di vino bianco presa in prestito dalla collezione di Max ormai vuota per metà e un leggero senso di nausea a stringerle lo stomaco. Si sentiva un vero schifo e, cosa più raccapricciante, non desiderava sentirsi in nessun altro modo. Non se questo significava allontanarsi dal cuore del problema senza prima averlo risolto.

Ma la testardaggine e l'orgoglio erano da sempre i suoi punti deboli – anche se Marta li aveva spesso sottolineati ai suoi occhi come punti di forza – e impedivano ad Alice di muovere un passo in direzione del marito, di andargli incontro. Sentiva ancora addosso il peso delle parole insinuanti di Brian, la consapevolezza di non esser stata creduta, di non avere la sua completa fiducia.

Mandò giù un altro sorso di vino, poi spense il computer ed uscì in strada, brandendo il cellulare nell'intenzione di scrivere un sms alla propria migliore amica per comunicarle la decisione di lasciare Los Angeles per qualche giorno.

E in quel momento lo vide.

Brian se ne stava appoggiato al cofano della sua auto con lo sguardo fisso su di lei, serio. Aveva le braccia conserte e il modo in cui aveva sussultato nel vederla lasciava intendere che si trovasse lì da diverso tempo, in attesa. Per l'arco di un secondo Alice gli fu grata per non aver insistito forzando i suoi tempi ma poi l'eco delle parole che lui le aveva urlato tornò a farsi strada nella sua testa e le sue gambe decisero semplicemente di ricominciare a camminare lungo il marciapiede, aumentando la distanza tra loro e annullando completamente il loro contatto visivo.

 

From: Edwin...!; To: Alice;
Jan. 13, 2007 – 07.03 p.m.
Sono un coglione

 

From: Alice; To: Edwin...!;
Jan. 13, 2007 – 07.05 p.m.
Si lo sei

 

From: Edwin...!; To: Alice;
Jan. 13, 2007 – 07.06 p.m
Mi dispiace

 

From: Edwin...!; To: Alice;
Jan. 13, 2007 – 07.07 p.m
Smetti di camminare, cazzo

 

L'auto la seguiva come un'ombra, avanzando a passo d'uomo dietro di lei, e Alice fu sadicamente tentata di intraprendere una via pedonale per seminarlo.

 

From: Edwin...!; To: Alice;
Jan. 13, 2007 – 07.09 p.m.
Cristo, ti vuoi fermare? DEVO parlarti

 

Forse era un effetto collaterale del vino ingurgitato ma Alice sorrise appena, socchiudendo gli occhi e rallentando fino a quasi fermarsi. Ancora ad occhi chiusi sentì il tonfo di una portiera e un rumore di passi sempre più vicino.

“Ti ho cercato ovunque: da me, da te... Persino da Marta.”

“Sono sempre stata qui”, sollevò le spalle, irritata. Si stava forse pentendo di avergli dato l'opportunità di avvicinarsi e parlarle? “E prima che tu ricominci con le tue cazzate adolescenziali: sono stata sola per tutto il tempo.”

“Senti, non...”

“Anche se avrei dovuto lavorare al progetto della band di Greg”, lo fissò dritto negli occhi, “Ma non mi aspetto che tu creda ad una sola parola.”

“Certo che ti credo.”

“Ah, ora mi credi.”

“Ti ho già detto che non è di te che non mi fido.”

Alice sbuffò di sarcasmo, poi gli voltò le spalle e riprese a camminare.

“Puoi smetterla di scappare?”, disse l'uomo mantenendosi ad un paio di passi da lei. Da quella distanza Alice riusciva a percepirne il profumo psichedelico e per un secondo la sua testa sembrò girare.

“Ali, non stai facendo sul serio, vero?”

Nessuna risposta. Nessuna intenzione a fermarsi.

Brian le si parò davanti e la costrinse a smettere di camminare. “Stammi a sentire”, la afferrò per i polsi e la guardò dritto negli occhi, “Prima di incontrarti non avevo idea di cosa diavolo avesse in testa la gente intorno a me. Tutti sempre lì a lamentarsi dei problemi con le fidanzate, dello stress del matrimonio... credimi, l'unica certezza che avevo era quella di non voler finire così. Poi sei arrivata tu ed è cambiato tutto.”

“Perciò sarei un problema di cui lamentarti con gli amici”, mormorò sarcasticamente la donna, senza però suonare troppo acida. Brian allentò la presa sui suoi polsi e le regalò un sorriso sghembo dei suoi.

“Ci siamo messi insieme. Per me era una novità assoluta, non ho mai avuto una donna seria in tutta la mia vita. Ti ho sposata. Credo di essere quasi morto di felicità quando hai pronunciato quel meraviglioso, fottuto si.”

“Sembra te ne sia dimenticato, però.”

Brian aggrottò la fronte, allontanandosi un poco da lei per scrutare meglio l'espressione criptica che aveva messo su. “Cosa intendi dire?”

“Non ho detto di si perché quel giorno ero brilla e non sapevo cosa fare...”

“Lo so.”

“Non ho detto di si perché sapevo che, una volta tornati, mi sarei gettata tra le braccia di qualcun altro. Men che meno di un ex con cui è finita miliardi di anni fa.”

Un respiro profondo. “So anche questo.”

“E non ho detto di si perché speravo di essere messa in discussione dalla persona più importante della mia vita.”

Restarono in silenzio per qualche secondo, osservandosi l'un l'altra con occhi spalancati. L'aveva detto davvero? Alice portò l'unghia del pollice alla bocca, pizzicandolo delicatamente tra le labbra, e scrutò attentamente la reazione dell'uomo. Brian la tirò a sé senza riuscire a celare una certa eccitazione e le lasciò un bacio sulle labbra mentre le difese della donna cominciavano a vacillare, opponendo sempre meno resistenza.

“Potrei stare qui a sentirtelo ripetere per tutta la vita”, sussurrò sulle sue labbra.

“Forse non lo ripeterò mai più.”

“Non fare la guastafeste, adesso.”

“E tu non sviare il problema.”

Brian si allontanò, lasciandole un po' di spazio e guardandola con occhi socchiusi.

“Sono stato uno stronzo e ho detto cose che non avrei voluto dirti. Non le penso nemmeno, quelle cazzate. Io mi fido di te. Però...”

“Però... cosa?”

“Odio l'idea che qualcuno prima di me ti abbia avuta, capisci? So che è normale, che fa parte della vita di tutti quanti, e prima o poi me ne farò una ragione ma è un dato di fatto, sono fottutamente geloso. Tu sei solo mia, cazzo. Solo mia.”

Solo tua”, si sentì sussurrare senza avere la forza di bloccare la propria voce. Poi lo vide inginocchiarsi e qualcosa in lei prese letteralmente fuoco.

“So che lo abbiamo già fatto ma...”, le prese la mano e le sfilò delicatamente l'anello di bigiotteria acquistato a Las Vegas, tenendolo ben stretto nella mano sinistra, “Trovarti è stata la cosa migliore che mi sia mai capitata e non credo esistano parole che rendano l'idea. Perciò dovrai accontentarti”, sorrise appena e la guardò con aria emozionata mentre con la mano destra estraeva dalla giacca di pelle una piccola scatoletta di velluto blu dalla quale svettava un diamante piuttosto grande e lucente, “Avrei voluto aspettare qualche giorno per darti il tempo di abituarti alla vita insieme a me ma non posso farlo. Ti amo da impazzire, Alice Ferri. Vuoi farmi l'onore di diventare mia moglie, di nuovo?”

Le lacrime le salirono agli occhi ad una velocità impressionante mentre il cuore prendeva a batterle all'impazzata e le mani, anche quella a cui lui stava ora infilando l'anello, le tremavano senza sosta. Lo guardò in preda a mille emozioni e desiderò soltanto saltargli al collo per stringerlo in un forte abbraccio.

“Certo che lo voglio.”

 

*

 

La cena era stata un gran successo e Marta, nonostante la preoccupazione per il litigio tra Alice e Syn, non era riuscita a smettere di sorridere nemmeno per un secondo. Quei due erano davvero perfetti, insieme.

“Ti conviene chiudere quella bocca o ti verrà una paresi facciale”, scherzò Kristine scuotendo arrendevolmente la testa di fronte al suo ennesimo sorriso.

“È solo che siete davvero carini.”

“Merito dei due soggetti”, strizzò l'occhio Brandan abbandonando il tavolo per preparare il caffè. Entrambe le ragazze lo seguirono con lo sguardo fino a che non fu fuori dal loro campo visivo, poi tornarono a rivolgersi un'occhiata complice delle loro.

“Allora non vi siete fatti vivi per... questo?”

“Già”, annuì ripetutamente, “Ti conosci, no? Sganciare una bomba simile a chilometri e chilometri di distanza sarebbe stato un vero inferno.”

“Grazie della fiducia”, ironizzò.

“Ma non pensare sia stato semplice tenerti tutto nascosto. Non vedevamo l'ora che tu tornassi.”

“Chi altri lo sa?”

“All'incirca? Tutti.”

“Oh. Dovrei sentirmi offesa?”

Kristine scoppiò a ridere e le accarezzò una mano. “Guarda che è stato un caso. Scott ci ha visti e gli altri lo hanno saputo poco dopo.”

“Le voci corrono.”

“Scott non è esattamente il tipo di uomo che sa tenere la bocca chiusa.”

“Dovrò tirargli le orecchie per averlo detto a tutti tranne me.”

“Buona fortuna. A quanto ne so è sparito dalla circolazione una settimana o due fa. Ha detto a Brand che sarebbe tornato da Isabelle o qualcosa del genere.”

“Speriamo bene”, sospirò, “Quei due sono un continuo tira e molla.”

“Di che parlate?”

Brandan tornò da loro con un vassoio carico di tazzine fumanti e Marta scosse la testa come a voler allontanare l'ipotesi di riassumergli il loro discorso.

“Cose da donne”, tagliò corto Kristine.

La conversazione si spostò su lidi più personali e Brandan si informò sulla relazione con Zacky, sulla buona riuscita del matrimonio tra Ali e Syn – cosa riguardo alla quale Marta decise deliberatamente di non spiccicare parola – e sulla preparazione o meno al ritorno sulle scene fissato ad una decina scarsa di giorni a quella parte. Le parole le uscivano di bocca senza che lei dovesse fermarsi a pensarci su, la mente di nuovo impegnata ad immaginare chi si celasse dietro i messaggi anonimi ricevuti durante il viaggio.

“Ora devo proprio andare. Domani mi aspetta il photoshoot con Cristina Scabbia e di solito le occhiaie non sono viste di buon occhio dai fotografi.”

“D'accordo, sorellona, ti chiamo domani.”

Una volta in strada, Marta prese il telefono.

 

From: Marta; To: Alice;
Jan. 13, 2007 – 11.55 p.m.
So cosa avevi detto ma non posso lasciar perdere: quell'uomo ti ama da morire, Ali.
Non mandare tutto all'aria. Promettimi che ci penserai, d'accordo?
Se hai bisogno di parlare, io sono qui! Ti voglio bene.

 

Poi tornò alla sensazione sgradevole che aveva avvertito ripensando ai messaggi dal mittente sconosciuto e decise di tentare l'unica soluzione possibile: avrebbe dovuto parlare con tutti i ragazzi della band, al più presto. Digitò velocemente un sms e cercò nella rubrica i numeri di ciascuno di loro, poi inviò senza concedere tempo ai ripensamenti.

 

From: Marta; To: Brian; Derek; Ryan; Scott;
Jan. 13, 2007 – 11.59 p.m.
Ehi. Non so dove tu sia finito ma spero che le cose ti stiano andando bene...
Vorrei tanto riuscire a parlare con te. Chiamami appena sei nei paraggi.

Credits: 'The Truth' by Bleeding Through.

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n.A.: Grazie a tutti quanti! Ci si legge presto!!!
rose_

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Capitolo 27
*** II - Animal In Me ***




PARTE SECONDA

27.

ANIMAL IN ME

 

It's the darkest side of lust, it's the other side of us
It's the thing in you that feeds the animal in me

 

Brian sbadigliò emettendo un lieve suono gutturale e Alice, stesa accanto a lui a pancia in giù, sistemò meglio i gomiti puntati sul materasso e lo osservò curiosa.

Dopo la proposta erano tornati a casa – la casa di Brian, per la precisione – e l'avevano fatto su qualsiasi superficie visibile. Certo, le scuse che lui le aveva dedicato erano sfociate nientemeno che in una proposta di matrimonio ma Alice non era il genere di donna che si lascia schiaffeggiare per poi porgere l'altra guancia dopo un paio di moine. Lui l'aveva ferita e, in correlazione al danno subito, avrebbe dovuto pagare pegno. Anche tutta la notte, se fosse stato necessario.

Lo desiderava a tal punto da non riuscire a vedere altro all'infuori di lui, del suo corpo perfetto, di quei tatuaggi che aveva più volte ripercorso con la punta della lingua, sadica e calcolatrice. Ad ogni verso di apprezzamento, ad ogni gemito scaturito da una sua carezza, Alice lo aveva guardato col mento sollevato e gli occhi a mezz'asta e, sorridendo, aveva interrotto qualsiasi contatto – e la cosa avrebbe anche potuto funzionare se solo lui non avesse invertito i ruoli con facilità più che sorprendente, dedicandosi interamente alla ricerca del suo piacere e insinuandosi senza troppi complimenti tra le sue gambe, nella sua bocca, nel profondo della sua anima. Ad ogni spinta rabbiosa era seguito un ansimo profondo, le lunghe unghie smaltate di lei aggrappate con forza alla pelle bollente di lui. Si erano completati e curati un numero incalcolabile di volte, quella notte, e Alice sentiva di non averne ancora abbastanza.

“Devi ancora finire di farti perdonare e già sventoli bandiera bianca?”, ironizzò.

Brian portò una sigaretta alla bocca e, tenendola penzoloni tra le labbra, liberò un sorriso ricolmo di sarcasmo. “Ti sembro uno sul punto di mollare?”

L'orologio segnava le tre e quarantacinque del mattino. Alice si strinse nelle spalle e schioccò la lingua. “Sembri uno parecchio stanco.”

La sigaretta di Brian si illuminò appena. “Tu non hai idea...”

“Credo di avere idea soltanto di una cosa, adesso.”

Allungò una mano sotto le coperte e individuò immediatamente ciò che le interessava, compiacendosi nel trovarlo ancora duro e pronto.

“Ah si?”, sospirò lui quando la mano prese a muoversi, “Hai deciso di farmi impazzire?”

“Smetti di parlare o ti faccio tacere io stessa”, gli sussurrò in un orecchio prima di leccare avidamente l'intero lobo. Brian sembrò irrigidirsi appena, poi gettò via la sigaretta ancora integra per metà e la attirò sopra di sé con un braccio, scoprendo entrambi i corpi nudi e sudati. Prima che Alice potesse accorgersene si ritrovarono sul piano dell'isola della cucina. Brian le fece spazio gettando gli utensili a terra con un solo gesto, poi la fece voltare e spinse il suo busto in avanti fino a farle avvertire il freddo del granito sui seni.

“Non puoi dire certe cose e pensare di scamparla”, ansimò Brian prendendo a massaggiarle il clitoride. Alice sentì di perdere il controllo e cedette al bisogno del proprio corpo di esplodere contro quelle dita esperte. Poi lo sentì entrare in lei e per poco non si ritrovò di nuovo sull'orlo del baratro.

“Non ho intenzione di lasciarti andare a dormire, stanotte”, mormorò l'uomo tra una spinta e l'altra, “Domani, per quanto mi riguarda, possono andarsene tutti quanti a fanculo.”

 

*

 

14 Gennaio 2007

Il risveglio nel letto del proprio appartamento, di prima mattina e in completa solitudine, non era nemmeno lontanamente vicino all'idea su cui Marta aveva fantasticato durante i mesi di tour. Si era abituata a ben altri risvegli, in realtà.

Zacky accanto a lei, un'espressione felice stampata in volto ed una lunga notte di sesso impressa nella memoria... niente di più lontano da quello che riusciva a stringere ora tra le mani. Fissando il vuoto, seduta a gambe incrociate tra le lenzuola ancora calde, Marta ripensò alla propria situazione e subito un sentimento di frustrazione le si abbatté contro come un treno.

Si accorse di non aver ancora sentito Zacky dal pomeriggio precedente, quando aveva salutato tutti quanti per andare a casa di Brandan. Aveva trovato il tempo per scrivere ad Alice e poi ai ragazzi della band ma non a lui. Certo, nemmeno Zacky si era fatto sentire con lei. Qualcosa le stava sfuggendo dalle mani, ne era certa, e un senso di impotenza la assalì: durante il viaggio a Las Vegas le aveva sputato addosso tutto il suo disappunto riguardo a ciò che stava succedendo tra loro, facendo spesso riferimento alla totale insofferenza nei suoi confronti che sembrava colpirla ogni giorno di più. Anche se sapeva che ciò di cui lui l'aveva accusata non trovava il minimo riscontro in ciò che in realtà provava, Marta riusciva a capire molto bene la situazione. Era stata egoista e aveva pensato soltanto a se stessa. Aveva lasciato che le proprie paure si placassero a discapito della felicità di qualcun altro, una persona così importante da risultarle fatale il solo pensiero di perderla.

 

From: Marta; To: Zacky;
Jan. 14, 2007 – 08.00 a.m.
Buongiorno, amore mio. Scusa se sono sparita ma Brand e Kiki avevano qualcosa di sensazionale da dirmi e ho letteralmente dimenticato di avere un cellulare.
Mi sto preparando per il photoshoot della giornata. Spero di riuscire a passare in studio, stasera. Sto impazzendo dalla voglia di stare un po' con te... <3

 

Una volta arrivata in aeroporto spense il cellulare e salì sull'aereo che l'avrebbe portata a New York, imprecando per l'ennesima volta contro i fotografi e la loro stramaledetta mania di organizzare i loro servizi fotografici in giro per il mondo, sempre attenti a non rischiare di scegliere la stessa città in cui soggiornava il soggetto delle foto. Una volta atterrata e riacceso il telefono, Marta lesse un paio di sms spiritosi di Kiki, la conferma all'invito a bere qualcosa di Ryan e una decina di notifiche di altrettante chiamate da parte di Luke.

Di Zacky nemmeno l'ombra.

Cristina Scabbia non era affatto ciò che Marta aveva immaginato essere, sfogliando le pagine patinate di qualche rivista di gossip mascherata da grande testata di musica metal; con i piedi per terra, la cantante era una donna piuttosto disponibile, dalla battuta pronta e dal sorriso contagioso che ricordava vagamente quello genuino di Alice – con la quale condivideva anche le origini italiane e la passione per le rockstar belle e dannate.

“Giuro di aver provato a sentire qualcosa di vostro”, assicurò Cristina osservandola con aria spiacente attraverso il riflesso dello specchio, durante la fase make-up.

“Deduco che non ti siamo piaciuti.”

“No, no. Siete bravi... però non è un genere che fa per me.”

“Perfettamente comprensibile”, le sorrise caldamente, “È un genere difficile da assimilare: o lo si ama o lo si odia.”

“Al mio ragazzo piacete moltissimo”, sottolineò immediatamente e Marta ripensò alla foto di coppia che Cristina le aveva mostrato non molti minuti prima, “Io sono più per cori angelici e chitarre primordiali.”

“Non a caso la band in cui suoni...”

“Ti andiamo a genio?”, domandò voltandosi a guardarla con viva curiosità, ignorando le proteste della truccatrice che si ritrovò costretta a rimandare la stesura dell'eye-liner.

Marta corrucciò le labbra. “Adoro alcuni pezzi dei vostri primi album ma ammetto di non essere abbastanza informata su quelli più recenti.”

Una mano di Cristina le sfiorò il braccio in un gesto amichevole. “Te ne farò avere una copia, allora.”

Le due si sorrisero, poi cedettero alle preghiere delle truccatrici di restarsene immobili per una manciata di minuti per permettere loro di terminare il proprio lavoro. Infine vennero chiamate dal costumista e vennero presentati loro due vestiti di raso dalle tinte forti.

“Rosso per la passione italiana”, commentò l'uomo passando un abito striminzito davanti agli occhi perplessi di Cristina, “Ottanio per la freddezza americana.”

Cercando di sorvolare sulla battuta riguardante la freddezza americana, mordendosi la lingua per non controbattere con una qualche frase tagliente volta a sottolineare la propria appartenenza alla solare e sgargiante California, Marta afferrò il proprio abito e solo allora notò trattarsi di una via di mezzo tra un costume da bagno piuttosto succinto ed un completino intimo di stoffa pregiata.

Sollevò lo sguardo su Cristina e non poté fare a meno di unirsi alla risata cristallina alla quale la cantante si era lasciata andare prima di convincersi a togliere di dosso i propri vestiti per far spazio a quelli nuovi.

“Come minimo il mio uomo mi uccide”, ironizzò Marta indicando il costume.

“E tu ricordagli che sei una rockstar tanto quanto lui. Certe volte bisogna scendere a compromessi, i fans si aspettano anche questo. Prometto che terrò le mani a posto!”, sollevò le braccia al cielo e riprese a ridere e, nonostante la sua visione delle cose si discostasse parecchio da quella di Cristina, Marta accettò di infilare quello striminzito completo e si sforzò di pensare che, in fondo, la promessa di finire sulla prima pagina di un giornale musicale in qualità di donna più sexy del metal sarebbe valsa la piccola fatica.

 

*

 

Intorno alle due del pomeriggio, proprio quando ormai stremati erano caduti entrambi in un profondo sonno tra le lenzuola, il campanello prese a suonare.

Alice appuntò mentalmente di cambiarlo, pena la perdita della propria salute mentale, poi occhieggiò la figura addormentata del proprio marito e sbuffò, rigirandosi sul fianco opposto e tirandosi dietro il lenzuolo fino a coprirsi del tutto la testa – come se quel semplice gesto infantile potesse davvero proteggerla da qualsiasi interferenza esterna.

Il campanello continuò a suonare con impazienza, riproducendosi in un lungo e ininterrotto sibilo acuto e fastidioso.

A denti stretti per la rabbia, Alice abbandonò il letto e, infilata una lunga vestaglia azzurra sul corpo ancora nudo, marciò sul piede di guerra fino alla porta di ingresso. “Ma che diavolo...”

“Scansati”, Simon la spintonò appena, facendosi largo oltre la soglia, “Lui dov'è?”

“Senti...”

“No, stammi a sentire tu”, le puntò l'indice contro e la guardò in cagnesco, respirando affannosamente a pochi centimetri dal suo naso, “Ti avrà anche sposata ma non lascerò che tu riesca a rovinare tutto quanto.”

“Ma di che stai parlando?”, alzò a sua volta la voce, sempre più arrabbiata.

“Prima di incontrarti era il punto focale della band. Ora diserta le registrazioni e se ne sta a poltrire tutto il giorno!”

“Magari aveva semplicemente voglia di starsene a casa con me, ti pare?”

La distanza tra le loro facce, a questo punto, era davvero minima.

“Se voleva scopare poteva anche cercarsene una disponibile in qualche locale!”, urlò Simon e Alice gli rifilò un sonoro schiaffo in pieno viso, pronta a dargliene un altro se solo avesse osato aprire la bocca a sproposito un'altra volta.

“Ma come cazzo ti permetti, stronzo!”

Simon non rispose né le dedicò sguardo alcuno. La sua attenzione sembrava esser stata rapita da un unico punto focale.

“Pulce, torna su.”

Brian era fermo in cima alle scale e li osservava con occhi arrabbiati. Alice lo osservò scendere i gradini ad uno ad uno, senza scomporsi, poi lo vide serrare i pugni e lanciarsi contro Simon.

“Cosa cazzo sei venuto a fare, eh?”, sbraitò, poi fece nuovamente cenno ad Alice di allontanarsi da lì, di tornare in camera da letto, ma lei non si mosse di un solo passo.

“Non sei venuto in studio, oggi.”

“E pensi che insultare mia moglie mi ci farà tornare?”, ringhiò stringendo maggiormente la presa sul colletto della polo del manager, “Non osare mai più mancarle di rispetto o giuro che saranno le ultime parole che sarai in grado di pronunciare.”

Simon lo osservò con occhi sbarrati, cercando invano di divincolarsi dalla presa, poi annuì sommessamente. “Mi... mi dispiace, Alice.”

“E cos'altro?”, lo incalzò, arrabbiato.

“Smetterò di fare il bastardo con te, lo giuro. Solo, non allontanarlo dalla band...”

Alice scosse la testa, fissandolo dritto negli occhi con un'espressione che non ammetteva repliche. “È l'ultima cosa che farei. Se avessi impiegato a conoscermi anche solo un briciolo delle forze che hai speso per odiarmi, lo sapresti da te.”

Brian lo lasciò andare, facendogli sbattere la schiena contro la parete e strappandogli un lieve lamento. Poi gli aprì la porta e lo spinse oltre l'uscio.

“Tornerai in studio? Dovete continuare le registrazioni e...”

“Se ne avrò voglia.”

“Cristo! Perché le donne riescono sempre a rovinare qualsiasi cosa?”

“Va' via di qui prima che ti prenda a calci in culo, Simon.”

E il manager sparì con la stessa velocità con la quale aveva fatto irruzione in quella casa.

 

*

 

A photoshoot terminato non le restò che prepararsi per tornare a casa, forte delle promesse scambiate con Cristina di mantenersi in contatto.

Lungo il tragitto in taxi alla volta dell'aeroporto, Marta ripensò a Zacky. Possibile che non avesse trovato un attimo di tempo durante tutto il giorno per scriverle qualcosa? Portò il telefono all'orecchio, in attesa.

“Pronto”, rispose la voce dell'uomo, chiaramente impastata. Lo aveva svegliato?

“Ciao”, mormorò tentando di suonare il meno insinuante o delusa possibile, “Ti ho svegliato?”

“No”, sospirò, la voce ancora ridotta ad un suono basso e roco, “Stavo cercando di provare un paio di nuovi passaggi e ho alzato un po' troppo il gomito.”

“Sei ubriaco?”, sorrise suo malgrado.

“All'incirca”, percepì il sorriso che sicuramente gli aveva increspato le labbra.

“Oggi ho avuto quel servizio fotografico e sto tornando in aeroporto.”

“Lo so. Ho letto il messaggio.”

Una domanda riempì immediatamente la testa di Marta: per quale motivo, se lo aveva letto, non aveva risposto al suo sms per tutto il giorno?

“Sei sicuro di stare bene?”

“Si, piccola, ho solo bevuto qualche bicchiere di troppo. Oggi niente prove, sai... il maritino ha dato forfait”, lo immaginò sorridere di nuovo, “Ha fatto bene, eh.”

Improvvisamente ripensò ad Alice e sperò che il motivo dell'assenza di Syn in studio fosse da appuntare ad una loro ipotetica riappacificazione.

“Stanno di nuovo insieme”, confermò Zacky prima che lei potesse formulare la propria domanda, “Non che si fossero lasciati, comunque.”

“Grazie al cielo una bella notizia!”, si sentì estremamente sollevata e le fu subito più chiaro il motivo per il quale il messaggio inviato all'amica non aveva ricevuto risposta. Sospirò. “Credi di riuscire ad aspettarmi sveglio?”

“No”, mugugnò Zacky, spezzandole il cuore senza nemmeno accorgersene, “Sto crollando. Non posso prometterti niente.”

“D'accordo...”, la delusione nella sua voce, ne era certa, era captabile anche a chilometri di distanza ma Zacky sembrò non accorgersene – o forse fece semplicemente finta di essersi trasformato di punto in bianco in uno stronzo e insensibile alcolizzato.

“Ti chiamo domani, va bene?”

A quel punto della telefonata il morale di Marta rasentava il pavimento.

“Fa' come ti pare”, gli suggerì in tono scontroso. Se le cose dovevano andare in questo modo, tanto valeva fargli sapere il proprio punto di vista.

“Piccola”, sussurrò con voce calda, improvvisamente dolce, “Ho voglia di vederti anche io, lo sai... Ma sono stanco e ho bevuto e quando bevo divento un coglione fatto e finito... puoi capirlo?”

No, non poteva capire. Perlomeno non fino in fondo. Da una persona astemia non si poteva pretendere alcuna comprensione, quando si trattava di alcool. Soprattutto perché una vecchia credenza popolare sottolineava l'impossibilità di mentire sotto effetto di bevande alcoliche, nemiche dell'inibizione e dei segreti per antonomasia... Le stava forse nascondendo qualcosa?

“Ehi, ci sei ancora?”, biascicò.

“Sono arrivata. Devo spegnere il telefono”, mentì. Non aveva più voglia di starlo ad ascoltare, per quella sera aveva sentito abbastanza.

“D'accordo. Fai buon viaggio.”

In completo mutismo Marta riattaccò e pigiò con forza il tasto di spegnimento, restando a guardare lo schermo del cellulare dissolvere i colori in un pesante e definitivo nero. L'indomani avrebbe fatto in modo di parlare con lui per chiarire le cose ma, fino a quel momento, se ne sarebbe rimasta da sola a pensare.
 

Credits: 'Animal In Me' by Mötley Crüe.

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Capitolo 28
*** II - Trashed And Scattered ***


 

PARTE SECONDA
28.

TRASHED AND SCATTERED

 

I won't be the victim
But the first to cast a stone

 

15 Gennaio 2007

“E così si è inginocchiato e ha tirato fuori questo diamante pazzesco! Vedergli fare una cosa simile mi ha letteralmente spiazzata, ragazze!”, ansimò Alice mantenendo un'andatura spedita. Osservò Marta e Kristine, entrambe strette in una pazzesca tenuta sportiva assurdamente coordinata alla sua, sorridere felici per la bella notizia e sentì stringersi maggiormente il cuore.

“Ovviamente ci vorrà del tempo per organizzare tutto quanto... mi darete una mano, vero?”

“Conta su di me”, fece caldamente Marta. Anche Kristine annuì concorde.

“Grandioso!”, esclamò allora la promessa sposa in preda all'euforia, “E spero tu non faccia troppe storie per il vestito che ti sceglierò perché lo sai che su queste cose non transigo, Tini!”

“Il vestito... per me?

“La damigella d'onore dev'essere in pendant con la sposa, no?”, ridacchiò Kiki.

Fin da adolescenti avevano scherzato e fantasticato sull'idea di essere l'una per l'altra la damigella d'onore e così sarebbe stato. Solo perché il primo matrimonio, quello di Las Vegas, non aveva mantenuto la promessa – per ovvi motivi – non significava che Alice se ne fosse dimenticata o che l'accordo fosse caduto in prescrizione. Marta si sarebbe messa qualsiasi dannato vestito lei avesse scelto di farle indossare e le sarebbe stata accanto in ogni momento della cerimonia, prima notte di nozze esclusa.

“D'accordo ma tieni presente che detesto i colori pastello”, sbuffò malcelando una certa commozione, “E non ho intenzione di tenere lontano tuo marito dagli alcolici per tutta la giornata.”

Scoppiarono tutte e tre a ridere. “Non ha mica problemi di alcool!”

“Diciamo che sa il fatto suo.”

Kristine sollevò una mano per aria e il trio si fermò a riprendere fiato. “Offro ragazzo ben piazzato a scopo bodyguard.”

“Non oso immaginare la faccia di Brand...”

“Consideralo il nostro regalo di matrimonio.”

“Grazie tante.”

L'ennesima risata scoppiò in modo fragoroso e Alice sentì una piacevole sensazione di calore irradiarle il petto: quelle due erano davvero quanto di più adorabile e fastidioso potesse desiderare al suo fianco! Soffocò l'impulso di gettar loro le braccia al collo per stritolarle in un grande abbraccio.

“A proposito di Brand... come vi vanno le cose?”

Kristine arrossì appena. “Molto bene.”

“Siete stati da qualche parte insieme, di recente? Magari mentre noi eravamo a Las Vegas?”

“Ehm... no”, il rossore si fece più intenso, “Ce ne siamo stati a casa sua. Soprattutto in camera sua, se devo dirla tutta.”

“Ah, bravi!”, fece allegra, “Ho sempre pensato doveste mettervi insieme, voi due.”

“Sul serio?”

Alice annuì e diede a Marta una leggera pacca sul braccio. “Te l'ho sempre detto, vero Tini?”

“Oddio devo ancora realizzare del tutto la cosa!”, la tastierista saltellò sul posto in preda ad una improvvisa euforia. Quanto voleva bene a quella donna?

“Avevo un po' paura della tua reazione, sai...”

“Perché?”

“Perché sei tu. Si, insomma, quando sei legata a qualcuno diventi quasi soffocante, sorellona.”

Soffocante?!

“Un po', si”, concordò Alice spalleggiando la più giovane delle tre, “Ammettilo: un po' lo sei.”

“Non c'è niente di sbagliato nel voler proteggere le persone a cui si vuol bene”, incrociò le braccia al petto e Kristine sbuffò di divertimento poi, come sotto ad un tacito accordo, tutte e tre ripresero a camminare lungo il sentiero.

“Con tutto il bene che gli vuoi, mi sorprende che Coso sia ancora autorizzato a metter piede fuori di casa”, ironizzò Alice, ricevendo in risposta una linguaccia.

“Deve essere difficile pensare di ripartire per il tour, ora che c'è lui.”

“Lo è, infatti. Ma, ragazze, cosa vi devo dire? Sono una musicista e ho la fortuna di poter girare il mondo per dimostrare cosa so fare. Questa è la cosa più importante.”

Un discorso così razionale e distaccato non era da Marta, perlomeno non da quella innamorata e pronta a tutto per salvaguardare la propria relazione. Certo, da un punto di vista oggettivo la sua considerazione non faceva una piega ma ad Alice qualcosa non tornava. Valutò se e come porre una domanda a riguardo ma poi ripensò al periodo particolarmente delicato che stava vivendo l'amica e qualcosa le suggerì di non soffermarsi troppo su stupidaggini simili. Piuttosto, non appena Kristine si fosse allontanata per qualche minuto da loro – per andare in bagno o per rispondere al cellulare – le avrebbe chiesto aggiornamenti riguardo allo sconosciuto e le avrebbe promesso di contattare l'amico di Greg per sapere a che punto era con le sue indagini da investigatore privato.

“Tutta questa maturità mi mette paura, sorella.”

“Lo so ma, pensaci, è così che stanno le cose! Ognuno di noi ha delle faccende a cui pensare che vanno oltre la situazione sentimentale. Tu, ad esempio, non verrai in tour con noi ma vivrai lo stesso anche senza Brand sempre tra i piedi.”

“Veramente...”, Kristine sospirò appena e in quello stesso istante un telefono prese a suonare all'impazzata. Tutte e tre si occhieggiarono a vicenda, in attesa, poi Marta si colpì la fronte e con espressione instupidita rispose.

“Scusa se ci ho messo tanto ma ho cambiato suoneria e devo ancora abituarmici.”

Silenzio. Marta continuava ad annuire e mugugnare in segno di assenso.

“Vediamoci direttamente lì, allora.”

Che si trattasse di Coso? No, il tono era piuttosto amichevole, niente a che vedere con la voce civettuola che imbastiva quando era al telefono con lui.

“D'accordo, nel caso non fossi ancora arrivato ti aspetterò dentro al locale”, Marta sollevò gli occhi al cielo, “Tu però non fare tardi.”

Una risatina nervosa, un saluto, poi più niente. Alice fissò intensamente Marta, decisa ad estrapolare qualche informazione in più, e tutto ciò che ottenne fu un misero gesto della mano che prometteva una spiegazione dettagliata ma più tardi, quando non ci fosse più stata Kristine lì con loro. Così sollevò le spalle con aria noncurante e mimò con le labbra un semplice 'spero sia tutto a posto' che, per fortuna, racimolò un grande sorriso ed un cenno di consenso.

 

*

 

“Ciao.”

La camminata di Ryan era svelta, i passi corti e frenetici. Era in ritardo – come d'altronde le aveva già annunciato quella stessa mattina per telefono – e sul suo viso si leggevano dispiacere, perplessità e stanchezza.

“È tanto che sei qui?”, le domandò quando Marta si alzò dalla sedia per farsi baciare una guancia, “Scusa davvero ma avevo quegli impegni e...”

“Solo qualche minuto, non preoccuparti”, lo interruppe. Le interessava sapere cosa avesse da fare uno dei propri amici più cari, certo, ma non in quel momento. Quell'incontro si sarebbe concentrato esclusivamente su ciò che poteva collegare Ryan allo sconosciuto.

O a quello che lo poteva scagionare, così come Marta sperava e immaginava.

“Hai ordinato qualcosa anche per me?”

“In realtà no”, si voltò verso la sala del caffè e sollevò una mano per richiamare il cameriere, “Ma lo faccio adesso. Cosa ti va?”

“Una Coca-Cola andrà bene.”

“D'accordo”, il cameriere si avvicinò al loro tavolo e Marta gli si rivolse affabile, “Una Coca-Cola e un the caldo, grazie.”

Le mani di Ryan si appoggiarono sul tavolo, le dita incrociate tra loro.

“Allora”, cominciò mentre i suoi occhi azzurri si stringevano in una smorfia curiosa, “Non che mi dispiaccia starmene seduto in un bar con te ma... a cosa devo l'onore?”

“Volevo parlarti. È una cosa importante.”

“D'accordo. Spara.”

L'ordinazione arrivò puntuale al tavolo e la conversazione si congelò per qualche istante. Poi Marta inserì la bustina dentro la piccola teiera con attenzione quasi maniacale ed inspirò a fondo.

“Ho bisogno di sapere se la scorsa settimana eri a Las Vegas.”

La fronte di Ryan si raggrinzì in tanti piccoli solchi orizzontali. “Tu eri a Las Vegas.”

“Si, io si. Ma tu... anche tu eri lì?”

“No”, la osservò come se gli avesse appena svelato di aver parlato con un alieno, “C'è qualcosa che non va?”

Marta scosse la testa. “E hai sempre lo stesso telefono, vero? Non ne hai comprato un altro o che so io.”

“Marta di che diavolo stai parlando?”, la sua espressione era a metà tra il divertito e il sinceramente preoccupato, “È successo qualcosa?”

“Rispondi e basta, ti prego.”

“Mi stai seriamente spaventando.”

“Lo so. Dammi la risposta che aspetto e io ti darò la spiegazione che meriti.”

Un sorso di Coca-Cola, le iridi inchiodate nelle sue. “La scorsa settimana ero in Arkansas. Ho scovato un vecchio mercatino che vende prime stampe di vinili a prezzi convenienti e ho deciso di andarci. Sto mettendo su una specie di muro della storia in casa mia, sai.”

“E il telefono?”

“Senti, non so per quale motivo ti interessi saperlo ma continuo ad avere lo stesso telefono che avevo cinque anni fa. Se vuoi te lo mostro.”

La testa di Marta si mosse appena, accennando ad un no. Chiaramente un'anima buona come lui non avrebbe mai potuto architettare uno scherzetto del genere. Improvvisamente pensò di aver sospettato ingiustamente di almeno uno dei suoi compagni di band e se ne vergognò.

“Brian era con te?”, domandò in ultima battuta, con un filo di voce, mentre l'unica cosa che voleva era ritornare indietro nel tempo e mordersi la lingua prima di porre la sua prima, assurda domanda.

“Ovvio, baby! Lo sai che quello scemo non resisterebbe un solo giorno senza il sottoscritto. Se vuoi ti faccio vedere le foto, ne abbiamo fatte a fiumi.”

E prima che potesse dirgli che non era necessario, Ryan le mise davanti al naso il cellulare e iniziò a scorrere l'album fotografico più folle che le fosse mai capitato di sbirciare.

“Cazzo”, imprecò abbassando lo sguardo dentro alla tazza ancora vuota, “Sono stata davvero un'idiota. Scusami.”

“Falla finita e dimmi cosa è successo”, le sorrise con il suo solito cipiglio fanciullesco, “A chi devo spaccare la faccia?”

“Non è una situazione così tragica”, ridacchiò di rimando.

“Allora a chi non devo spaccare la faccia?”

Versò del the dentro la tazza e osservò la ceramica bianca tingersi di un intenso rosso scuro. “Sono solo paranoica.”

“Dimmi qualcosa che ancora non so”, scherzò.

“Sono ancora più paranoica del solito. Questo non lo sapevi.”

“Non so il perché.”

“È un po' lunga da spiegare. Sta' tranquillo, vederti mi ha chiarito le idee più di quanto sperassi.”

Ora, lasciato da parte Brandan com'era ovvio che fosse, Marta poteva depennare dalla lista anche Ryan e Brian. Un notevole passo avanti, in effetti, per essere una che si era ritrovata suo malgrado in mezzo a quello scherzo di pessimo gusto.

“Non è che stai indagando su qualcuno di noi?”, ridacchiò. Strano come uno come Ryan, col suo solito buonumore e gli scherzi e le cavolate, riuscisse sempre ad arrivare dritto al punto senza il bisogno di grandi indizi.

“Certo che si. Siamo in pieno Cluedo”, stette al gioco.

“Quindi non vuoi proprio dirmi niente? Me lo avevi quasi promesso.”

“Ti dirò tutto quanto, te lo giuro. Ma non ora.”

“Ci serve ancora una tastierista, Peterson.”

“Mica sto per morire!”

“Allora qualsiasi sia la tua turba, fattela passare. Ti vogliamo in forma.”

“Signorsì, capitano.”

Il cellulare suonò appena e Marta abbassò lo sguardo sullo schermo. Un moto di sconforto la colpì così pesantemente da farle girare la testa.

 

From: Zacky; To: Marta;
Jan. 15, 2007 – 06.45 p.m.
Hei. Dove cazzo sei finita? Pensavo saresti passata da me, oggi.
Comunque ora non sono a casa, impegno dell'ultimo minuto.
Dormiremo insieme domani, d'accordo?

 

Un sospiro le uscì incontrollato dalle labbra. Ryan si protese in avanti nel tentativo di scorgere almeno qualche parola del sms ma Marta mise prontamente via il cellulare. La situazione le stava scivolando sempre più dalle mani e prima o poi avrebbe dovuto sistemare anche quel casino. Zacky non poteva davvero comportarsi come un estraneo, con lei. Non era quella la natura del loro rapporto. L'unica cosa di cui era certa, comunque, era di non voler tornare a casa. Starsene da sola in un appartamento vuoto e triste era in quel momento l'ultimo dei suoi desideri, tanto più che le due donne della sua vita erano ora impegnate a fare chissà cosa in chissà quale posizione in giro per una stanza qualsiasi delle loro case – e lei di sicuro non le avrebbe disturbate per rattristarle con le sue seghe mentali. Rabbrividì appena alla sola idea.

“Hai qualcosa da fare, stasera?”

 

Credits: 'Trashed And Scattered' by Avenged Sevenfold.

-

n.A.: Innanzitutto chiedo umilmente perdono per averci messo così tanto a pubblicare! Poi vi dico che questo capitolo è un pò di passaggio, se così vogliamo chiamarlo, perché aggiunge particolari alla storia ma non è né particolarmente interessante né abbastanza lungo... spero comunque sia di vostro gradimento, pian piano ci stiamo avvicinando alla risoluzione del 'caso' e alla fine della storia - anche se per quest'ultima la questione è ancora un pò lunghina, in realtà.
Per ora grazie come sempre a tutti e buona lettura!
A presto,
rose_

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Capitolo 29
*** II - This Is Love, This Is Murderous ***


 

PARTE SECONDA
29.

THIS IS LOVE, THIS IS MURDEROUS

 

How many times can i trust in you, my beloved friend?
Because every time i trust, i lose

 

16 Gennaio 2007

“Ciao sorellona”, la salutò la voce allegra di Kristine quando rispose alla chiamata, “Sei in un brutto momento?”

Marta quasi trasalì a quella domanda così casuale e ingenua. Se solo avesse potuto raccontarle qualcosa riguardo al momentaccio che stava attraversando l'avrebbe fatto subito ma, come al solito, non voleva allarmare le persone che le stavano vicine senza aver almeno scoperto chi si celasse dietro a tutta quella storia.

“No, figurati. Dimmi tutto.”

“Brand ed io volevamo dare una piccola festa alla villa, stasera. Una cosa tra pochi intimi, in realtà. Credi che tu e Zacky riuscirete ad esserci?”

Zacky. Meglio conosciuto come l'altro bel casino del periodo. La sera precedente le aveva mandato un messaggio della buonanotte così dolce che per un attimo si era sentita davvero stupida per aver pensato che tra loro le cose non andassero bene – dopotutto gli alti e bassi esistevano per qualsiasi coppia, no? Aveva una voglia matta di vederlo e quello stesso pomeriggio sarebbe andata in studio di registrazione per chiarire le incomprensioni e metterci così una bella pietra sopra.

“Tu contaci. Tra un'oretta saprò dirti qualcosa di certo.”

“Fantastico. Allora vi aspettiamo verso le nove. Non fate tardi, piccioncini.”

Quanto le sarebbe piaciuto avere un buon motivo per ritardare, però. Uno di quei motivi che mescolano sudore e ansimi e carne – magari come ricompensa per l'aver fatto pace dopo giorni di totale smarrimento.

“Ci proveremo”, ironizzò poi, ridendo, riattaccò.

Ora l'unica cosa che le rimaneva da fare era sistemarsi a dovere prima di raggiungere Zacky in studio. Il piano era molto semplice: avrebbe tirato fuori dall'armadio il vestitino nero che sapeva farlo impazzire, si sarebbe fatta avanti con sguardo da gatta e animo pacifista, e lo avrebbe osservato tentare di concentrarsi sulle prove quando tutto il suo corpo sembrava non aspettare altro che lei. Ed eccolo servito, il motivo per presentarsi in ritardo alla festa.

 

*

 

“Ha detto così, ne sei proprio sicuro?”, ripeté Alice con rinnovato sgomento.

Greg, di fronte a lei, annuì impassibile.

Uno sbuffo. “E poi cos'altro gli serve, un annuncio scritto?”, ironizzò malevola.

“Rilassati, bambina, lo sai che non te lo avrei proposto se non mi fidassi di lui”, sospirò e buttò giù l'ennesima golata di birra, “Se dice che è vicino alla verità ma ha bisogno di un altro po' di tempo, sarà vero.”

“D'accordo ma la mia amica ha...”

“Lo so cos'ha la tua amica. Si sente alle strette, è diffidente e bla bla bla.”

Alice lo guardò di sbieco, sorseggiando un po' del suo drink. Di solito apprezzava la schiettezza di Greg ma quello non era un argomento come gli altri; lui non stava esprimendo il suo pensiero riguardo alla carta da parati, né la situazione richiedeva così scarso tatto.

“Complimenti, nessuno sarebbe riuscito a minimizzare meglio la situazione”, lo rimbeccò.

L'uomo sorrise con strafottenza e si guardò intorno senza troppa attenzione. Il bar era piuttosto deserto, a quell'ora del pomeriggio – troppo tardi per la pausa pranzo e troppo presto per l'aperitivo pre-cena. Si erano incontrati lì per parlare del progetto per il nuovo video della band ed era stato Brian a chiederle di organizzare l'incontro in un posto pubblico e non nel suo piccolo ufficio; ad Alice era sembrata una richiesta legittima per un uomo che stava appena imparando a dosare la propria gelosia.

“Punto primo: se la tua amica fosse stata davvero così spaventata non sarebbe uscita da sola con uno dei ragazzi di cui sospetta. O sbaglio?”

“E tu come lo sai?”

Si riferiva sicuramente all'incontro avvenuto con Ryan il giorno precedente. Marta gliene aveva parlato per telefono, quando le aveva scritto un sms in cui la informava che né lui né Brian centravano qualcosa con tutta quella storia.

“Il mio amico è investigatore, ricordi?”, accese una sigaretta, “E io ero in quel locale insieme a lui, mentre teneva d'occhio quel tale.”

“Ryan non c'entra niente”, scosse la testa.

“Lo so. E nemmeno quel suo amico strano.”

“Quale sarebbe il secondo punto?”

Un po' di fumo uscì dalle labbra di Greg, investendola completamente. “Punto secondo: siamo qui per parlare del video o era solo una scusa per vedermi?”

Alice scoppiò a ridere e aprì la cartellina del progetto, decisa a mostrare a quell'uomo carico di sarcasmo ciò a cui aveva lavorato in quei giorni. I disegni dei vari fotogrammi del video si sparpagliarono sul freddo acciaio del piano, curati e coloratissimi.

“Allora mi hai pensato almeno un po', nonostante l'euforia per la bella notizia.”

Di che bella notizia parlava? Il matrimonio, forse. Come faceva a saperlo, però, le rimaneva oscuro. “Non montarti la testa, Greg. Ho avuto il mio bel da fare ma il lavoro è lavoro.”

“Tuo marito ha proprio l'aria di chi preferirebbe saperti sul divano a far nulla anziché a lavorare ai miei progetti...”

“Se lo conoscessi capiresti molte cose.”

“Credo mi sia bastato il nostro piccolo incontro per capire che non siamo fatti l'uno per l'altra”, spense la sigaretta e la fissò dritto negli occhi, “Ma penso proprio che verrò al pranzo del dopo cerimonia per pretendere un ballo con la sposa.”

“Com'è possibile che...”

“Che sappia del matrimonio?!”, si strinse nelle spalle e si aprì in un sorriso furbo, “Ricordi quel mio amico investigatore?

 

*

 

Una risata femminile che le sue orecchie non riconobbero la travolse, mettendo ancora più impazienza alla sua voglia di arrivare. Escludendo Alice, Kristine e entrambe le gemelle Di Benedetto, non rimanevano molte donne a cui potesse appartenere quel timbro. Forse Simon aveva una ragazza, o una moglie, e l'aveva trascinata in studio prima di portarla a cena fuori. Marta fece una smorfia: sebbene quell'ipotesi fosse verosimile, l'idea di un uomo simile in dolce compagnia riusciva a rivoltarle lo stomaco come un calzino.

“Nocciolina!”, gridò Jimmy comparendole alle spalle, facendola sobbalzare per lo spavento. La risata femminile si interruppe e Marta smise automaticamente di domandarsi l'identità della donna, almeno per qualche secondo.

“Un giorno o l'altro mi farai prendere un colpo, Rev!”

“Eddai, non esagerare! Rientravo dai miei dieci minuti d'aria e ti ho vista.”

“E come resistere alla tentazione di farmi prendere un infarto, no?”, ironizzò lei mentre il batterista le cingeva una spalla con un braccio, indirizzandola verso una porta di cui non si era mai accorta prima.

“Non siete nel solito studio?”

“Oggi no. Genialata del grande capo.”

“Si è portato anche la moglie, oggi?”

Jimmy restò come pietrificato per una manciata di secondi, poi le dedicò un sorrisone. “Ti sei data all'alcool, finalmente?”

“Ma che dici!”, ridacchiò incapace di restare seria.

“Dico che deve ancora nascere la Santa donna che decide consenzientemente di prendersi in casa uno come quello lì.”

“Addirittura.”

“Se lo conoscessi mi daresti ragione.”

Risero nuovamente e finalmente Jimmy spalancò la porta davanti a loro. Matt e Brian sollevarono lo sguardo dal plico di fogli che il primo teneva tra le mani e regalarono a Marta un sorriso di benvenuto. Johnny, intento a strimpellare qualche nota sconclusionata con il suo basso le fece un lieve cenno della mano. Infine una donna – molto probabilmente quella donna – agitò la mano dalle dita affusolate e ben curate, mentre con l'altra afferrava il bicchiere di plastica che Zacky le porgeva. Era bellissima. L'uomo incrociò lo sguardo con Marta, in quella che a lei sembrò un'occhiata a metà tra la sorpresa e il senso di colpa, e lasciò andare il bicchiere. La donna si chinò a raccoglierlo, poi mise preoccupata una mano sul suo petto e mormorò qualcosa.

CHI. CAZZO. ERA. QUELLA. DONNA?!?

Come impietrita, Marta non riuscì a proferire parola. Le sembrava si fosse appena spezzato qualcosa, non aveva importanza che cosa. Inspirò a fondo mentre osservava Zacky farsi avanti per raggiungerla, poi allontanò il braccio di Jimmy dalle proprie spalle ed uscì dalla stanza. Una volta in corridoio ebbe la tentazione di mettersi a correre ma qualcosa glielo impedì. Non c'era nessuno lì con lei pronto a fermarla né le era tornata la voglia di restare. Una piccola lacrima scese a rigarle una guancia, senza alcun preavviso, e lei la asciugò con la manica della maglia. Infine uscì in strada e restò a fissare il cielo nuvoloso per un tempo indefinito, assorta in mille e più pensieri.

“Dicono che non pioverà”, la informò la voce di Zacky, bassa e roca.

Marta sbuffò appena. “Tornatene dentro da quella.”

“Eh?”

“Non prendermi per il culo, Zacky. Non sono né cieca né stupida.”

“Senti...”

“Certo. Siete solo amici, non è vero?”, lo guardò con la coda dell'occhio, decisa a non voltarsi di un solo altro centimetro, “Per questo non ti sei più fatto vedere.”

Zacky socchiuse gli occhi e strinse i pugni, improvvisamente nervoso. Lo stava ferendo? Beh, la cosa non la toccava minimamente.

“Io sempre lì a cercarti e tu...”

“Quella è Vanessa, cazzo!”, sbottò lui interrompendola. Marta lo fulminò con lo sguardo, poi ricominciò a parlare con lo stesso tono pacato usato poco prima.

“...e tu chissà dove insieme alla tua ex.”

“Falla finita. L'hai vista in studio, e allora?”, strinse i denti e socchiuse gli occhi, sempre più arrabbiato, “Credi che per questo abbia una storia con lei? Sul serio?”

“Io non credo niente. Mi baso su quello che vedo. E ho visto che lei era lì, nonostante tu avessi giurato di non sentirla da mesi.”

“La verità è che”, cominciò smorzando un po' il tono e abbassando maggiormente la voce, “Aveva bisogno di me, Marta, e io non potevo lasciarla sola. Capisci?”

“Quindi l'hai sentita per tutto questo tempo?”

“Ascoltami...”

“Rispondimi: vi siete sentiti oppure no?”

Un altro sospiro, questa volta da parte di Zacky. Dal cielo cominciarono a scendere alcune sporadiche goccioline di pioggia.

“Si.”

Maledizione. Mai avrebbe pensato che un semplice e banale 'si' potesse farle così male. Vanessa aveva bisogno di lui... Stronzate. Dov'era allora quando lei aveva bisogno di lui?

“Vaffanculo.”

“Non dirai sul serio...”, la voce era tornata alta e arrabbiata ma Marta avrebbe giurato di averci sentito una sfumatura di preoccupazione. Aveva paura che lei stesse per lasciarlo. “Cazzo, Marta, vuoi capirlo o no che tra me e lei non c'è più niente?”

Marta serrò le braccia al petto e fissò il marciapiede. La sua testa le chiedeva di andarsene ma i suoi piedi non sembravano volerla ascoltare.

“Ti amo, porca puttana, possibile che questo non ti basti?”

Le bastava? La pioggia si fece un po' più intensa.

“Mi hai mentito per tutto questo tempo.”

“Non volevo darle più importanza di quella che merita. Ha avuto dei problemi e...”

Ancora una volta le tornarono in mente i suoi, di problemi. Quelli di cui non aveva fatto parola con nessuno all'infuori di Alice, gli stessi per i quali le sarebbe semplicemente bastato avere il proprio uomo accanto. Sapere che lui aveva scelto di non vedere, di stare accanto ad un'altra donna, la faceva impazzire dalla rabbia. Marta sollevò stancamente una mano per fermarlo. “Non me ne frega un cazzo dei suoi problemi.”

“Cristo, sono stato un coglione.”

Ormai un vero e proprio temporale si stava abbattendo sulle loro teste. Le gambe di Marta si decisero finalmente a muoversi da lì.

“Buona continuazione, Zacky.”

 

*

 

La casa di Brandan era molto bella. La ristrutturazione era riuscita benissimo e ora l'intero ambiente aveva un aspetto fantastico. Anche i mobili erano splendidi e Alice attribuì il merito al buon gusto di Kristine.

“Non piove mai, quaggiù”, constatò la padrona di casa avvicinandosi a lei, “E oggi, puff!, un bel temporale. C'è mancato poco perché la festa saltasse.”

In effetti il giardino era parecchio ampio e sarebbe stato davvero un peccato non poterne usufruire, nonostante le fresche temperature di gennaio suggerissero di rintanarsi per la maggior parte del tempo in casa.

“Mia sorella è già arrivata?”

Alice scosse la testa, indecisa su cosa rispondere. Brian le aveva raccontato della lite tra Marta e Zacky. A quanto pareva, Coso ne aveva combinata una delle sue facendosi trovare insieme a Vanessa; Brian le aveva spiegato che Vanessa era passata di lì per salutarli e per chiedere al suo ex un aiuto con le proprie valigie – niente di più e niente di meno di questo. Evidentemente, però, Marta ci aveva visto qualcosa di più e aveva dato di matto. Avrebbe dovuto avere più dettagli per poter esprimere la propria opinione a riguardo ma era propensa a pensare che Coso avesse comunque torto marcio a prescindere.

“Vado in cucina a controllare i salatini”, annunciò allora Kiki e un attimo dopo Marta fece il suo ingresso su passo malfermo e innaturale. Aveva... bevuto?

“Ehi, ragazzaccia, cosa diavolo hai combinato?”, le domandò Alice correndole incontro. Non era ubriaca ma non sarebbe comunque stata in grado di guidare.

“Non lo farò mai più”, scosse la testa e fece una smorfia, “La vodka mi dà il voltastomaco.”

“Quanta ne hai bevuta?”, sorrise. L'altra misurò l'aria tra pollice e indice e tanto bastò per far capire ad Alice che, in realtà, doveva essersi appena bagnata le labbra. La accompagnò accanto al buffet e la aiutò ad accomodarsi sul divanetto, mentre Brian e Brandan le si avvicinavano con circospezione.

Dopo”, mimò loro con le labbra e i due annuirono, il primo divertito e il secondo preoccupato. Anche Kristine si avvicinò a loro e occhieggiò la sorella con fronte aggrottata. “Ma che cosa ha bevuto?”

“Un dito di vodka.”

“Bel lavoro, per essere un'astemia.”

Sorrisero entrambe, poi Marta indicò la porta con occhi spalancati e si coprì la bocca con entrambe le mani. Anche Alice guardò la porta e la faccia livida che vide non le piacque per niente. Brian, Brandan e i due bulli andarono incontro all'ultimo arrivato.

Ti senti bene, Scott?”

 

Credits: 'This Is Love, This Is Murderous' by Bleeding Through.

-

n.A.: Ed eccomi di ritorno dalle vacanze natalizie! Non mi ero dimenticata di questa storia, no no. Il prossimo capitolo dovrebbe essere l'ultimo della seconda parte, dopodiché partirà la terza parte che sarà anche quella conclusiva... abbiate fede! Per ora grazie come sempre a tutti quanti, siete davvero carini!
A presto, rose_

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Capitolo 30
*** II - Nightmare ***


 

PARTE SECONDA
30.

NIGHTMARE

 

No one to call, everybody to fear
Your tragic faith is looking so clear

 

16 Gennaio 2007

Lo zigomo destro era gonfio ed il colore solitamente roseo della pelle virava ora ad una preoccupante nuance rosso-viola. Il labbro superiore era spaccato.

“Che cosa è successo?”, domandò Kristine avvicinandosi a Scott con una mano davanti alla bocca.

Il chitarrista sbuffò appena, accennando un mezzo sorriso. “Niente di cui valga la pena parlare.”

Alice, che condivideva lo stesso sconcerto di tutto il resto dei presenti, si ritrovò a formulare ipotesi più o meno verosimili. Una caduta dalla moto; un appuntamento dall'esito disastroso con una donna un po' manesca; una rissa.

“Questa cosa non mi piace per niente”, sospirò Brian, appoggiandole una mano sulla schiena. La fronte della donna si corrugò.

“Scott ama mettersi nei guai...”, tentò di sdrammatizzare. C'era qualcosa nel tono usato dal proprio marito che la metteva in allarme, nonostante fosse ancora lontana dall'arrivare a scoprire il perché.

“Scusate il rita-”, la voce di Derek, ultimo ad aver messo piede in quella casa, sfumò con apprensione, “Ma che diavolo...?!”

“Non ti ci mettere pure tu, adesso”, sibilò allora il diretto interessato, allontanando ogni tentativo di avvicinamento da parte di chiunque dei presenti, “Nessuno ha mai avuto una giornata difficile, qui in mezzo?”

Jimmy, Matt e Johnny, rientrati in casa dopo una conversazione tenuta fino a poco prima a bordo piscina, si unirono alla sfilza di sguardi perplessi che avevano accerchiato Scott.

“Prendo il vostro silenzio come una risposta affermativa.”

“Senti, Scott...”, tentò il padrone di casa, indurendo leggermente lo sguardo.

“Non ne voglio parlare, Cristo Santo! È tanto difficile da capire?”, urlò l'altro.

“D'accordo”, sentenziò duramente Brandan, sollevando le mani a mezz'aria, “Lasciamo perdere. Godiamoci la festa.”

Era ora.

Ad Alice non sfuggirono gli sguardi ricolmi di significato che Brian aveva scambiato con i propri compagni di band. Sapeva bene che tra loro non c'era bisogno di tante parole – come tra lei e Marta, del resto – ma per un attimo ebbe l'impressione che ciascuno di loro fosse sul punto di dire o fare qualcosa.

Afferrò l'avambraccio tatuato del marito e, senza riuscire a fargli distogliere lo sguardo da quello degli amici, mormorò seccamente: “C'è qualcosa che dovrei sapere?”

“È tutto sotto controllo, pulce.”

“A me sembra proprio il contrario.”

Brian sospirò e socchiuse gli occhi. Quando li riaprì, per guardarla di sbieco, il suo sguardo era opaco. “Credo di sapere chi ha conciato Scott in quel modo.”

 

*

 

Malgrado lo sconcerto generale causato dall'ingresso di Scott e dei suoi lividi, la festa era ormai ricominciata a pieno ritmo. Marta stava rinnegando qualsiasi tipo di bevanda all'infuori dell'acqua e il cerchio alla testa la stava gradualmente abbandondo. Jimmy le si avvicinò al divano su cui era seduta, tentando di rifilarle un bicchiere di limonata che la donna rifiutò con educazione.

“Immagino che i tuoi problemi di alcolismo abbiano a che fare con un idiota di nostra conoscenza”, suppose il batterista rigirando tra le dita una bottiglia di birra. Marta inspirò quanta più aria i suoi polmoni riuscissero a sopportare.

“Dimmi una cosa, Rev: è così speciale, questa Vanessa?”

Jimmy sembrò pensarci su un po', la fronte aggrottata e il cervello impegnato ad elaborare una risposta semplice e sincera. “C'è stato un tempo in cui lo è stata. Per lui, intendo. Si sono conosciuti quando le cose non andavano bene a nessuno dei due e per anni sono stati l'uno la roccia dell'altra. So che adesso sei furiosa ma sappi che lui non avrebbe mai potuto lasciarla di nuovo cadere, né lo permetterà mai. E questo va al di là di quello che prova per te.”

“Grazie tante”, mormorò lei con sarcasmo.

“Non capire solo ciò che ti interessa, Nocciolina. Impara a leggere tra le righe: lui la sua scelta l'ha fatta parecchi mesi fa e non c'è bisogno che ti dica com'è andata.”

“D'accordo, ma per tutto questo tempo mi ha mentito: non una parola su di lei, non un accenno ai suoi problemi...”

“Perché avrebbe dovuto parlartene? Sono cose sue e tu nemmeno la conosci.”

Un sospiro. “Cambiamo discorso, ti va?”

“No”, e le fece l'occhiolino di fronte alla sua espressione truce, “Sei sicura che il problema sia solo questo? Che ti ha mentito?”

“Rev...”

“Sai, se c'è una cosa che ho imparato negli anni è questa: voi donne dite una cosa ma ne pensate tutta un'altra.”

“Che stereotipo rassicurante.”

“Sarà, ma tu non me la conti giusta, Nocciolina. E io posso assicurarti che non ha pensato nemmeno per un secondo di portarsela a letto di nuovo. Se l'ha lasciata dopo tutto questo tempo, ci dovrà pur essere un motivo.”

Jimmy sollevò la bottiglia ormai vuota e le sorrise. “Vado a prenderne un'altra.”

“Aspetta”, lo fermò Marta in preda a mille pensieri, “Ti ricordi del tuo debito?”

“Quale debito?”

“La sfida a Mortal Kombat.”

“Che...?”

“Inizio tour.”

“È stato secoli fa, Nocciolina!”

“Si, beh, tu hai perso e io ora vorrei riscuotere il mio premio.”

Jimmy inarcò un sopracciglio, divertito. “E Matt, allora? Giocava anche lui!”

“Quello che sto per chiederti ha a che fare anche con lui, non preoccuparti.”

“D'accordo”, il batterista abbandonò l'idea di procurarsi un'altra bottiglia di birra e si rimise a sedere accanto a lei, “Sono tutto orecchi.”

 

*

 

“Ti vuoi fermare?”, urlò Alice accelerando il passo, sicuro nonostante i tacchi alti.

Quando, mezz'ora prima, Brian l'aveva afferrata per un polso, costringendola a seguirlo in giardino, Alice aveva creduto di essere sul punto di fare finalmente pace ma ora, dopo una litigata di portata cosmica, pensò di aver sottovalutato il proprio marito. Erano arrivati al cancello che separava la splendida villa dal resto del mondo e Brian sembrava tutto fuorché un uomo in procinto di far pace con la moglie. “Lasciami perdere, Alice.”

“Ragiona: come avrei potuto dirtelo?”

Brian si fermò e si voltò a guardarla. I suoi occhi trasudavano preoccupanti intenzioni bellicose, nonostante si stesse davvero concentrando nello sforzo di non mandare tutto a puttane una volta per tutte.

“Scusa tanto, ha molto più senso dirlo al tuo ex, in effetti”, ribatté sarcasticamente furioso.

Alice lo fissò per qualche istante, indecisa sul da farsi. Se non gliene aveva parlato era stato perché aveva i suoi motivi, certo, ma come spiegarglielo ora? Vederlo così arrabbiato la terrorizzava perché, forse per la prima volta in assoluto, si era fatta strada in lei la paura di perderlo.

“Non avrei voluto che lo sapesse”, disse semplicemente, scegliendo la via della sincerità nuda e cruda, “Quando è passato da me in ufficio – te lo ricordi quel giorno, vero? – io ero al telefono con Marta e parlavamo di questa faccenda.”

Brian si appoggiò ad un muretto e accese una sigaretta, lo sguardo duro e fisso di fronte a sé. Non la guardava ma, perlomeno, le stava dando una possibilità di spiegarsi.

“Lui ha sentito tutto e ha proposto di parlarne ad un suo amico detective. Nel frattempo Marta ha deciso di fare di testa sua... Mi aveva chiesto di non dirti niente, capisci?”

Un po' di fumo uscì dal naso di Brian, mentre i suoi occhi si socchiudevano per qualche istante di troppo. A cosa stava pensando?

“Sapeva che se te ne avessi parlato sarebbe arrivato alle orecchie di Coso in men che non si dica – non negarlo, glielo avresti raccontato immediatamente.”

“Si chiama amicizia.”

Alice sbuffò adirata. “Credi che non conosca quella parola?”

“So solo che hai sempre detto di odiare la gente che mente... complimenti per la coerenza, Alice”, e le dedicò un breve ma sprezzante applauso.

“Tu avresti fatto la stessa cosa, se Jimmy ti avesse chiesto di mantenere un suo segreto.”

Un tiro di sigaretta. “Non centra niente.”

“Come no?!”, urlò Alice.

“In ogni caso avresti potuto dirmelo.”

“Così tu lo avresti detto a Zacky... o sbaglio?”

Secondo te?”, finalmente la guardò, anche se il suo sguardo continuava a non promettere nulla di buono.

“E credi che, una volta saputo, se ne sarebbe stato lì tranquillo in silenzio a guardare?”

“Lo avrebbe cercato e gli avrebbe messo le mani addosso. Gli avrebbe fatto parecchio male.”

“Lo so.”

“E io gli avrei dato una mano molto volentieri.”

“So anche questo”, sospirò e gli si avvicinò di un passo, “Sul momento ci sembrava una buona idea, quella di non dirvi niente. Non serviva a niente e a nessuno che voi due vi cacciaste nei guai per una cosa simile.”

Brian terminò la sigaretta e assunse un'espressione vagamente più rilassata. Forse il resoconto che Alice gli aveva fatto dell'intera situazione lo aveva convinto.

Alice allungò una mano verso di lui ma il marito la fissò senza emozione.

Che non lo avesse convinto per niente?

“E quella testa di cazzo, allora?”

“Greg è passato di lì per caso e, come al solito, non ha saputo farsi i cazzi suoi”, alzò un po' la voce, stufa di ripeterglielo, “Capisco l'incazzatura, credimi, ma non farla passare come l'azione premeditata che non è. Se avessi potuto parlartene, lo avrei fatto: sai che sei la prima persona a cui mi rivolgerei. Sempre.”

Considerato il silenzio di Brian, Alice decise di rientrare.

“Le cose stanno così come te le ho raccontate, punto e basta.”

Mosse un passo in direzione della villa ma le dita del marito le si aggrapparono alla gonna, strattonandola e obbligandola ad avvicinarsi.

“Odio quando non mi credi”, mugugnò guardandolo di sottecchi.

Brian la attirò maggiormente a sé, lo sguardo furente ancora fisso nel suo.

“Devi smettere di pensare che mi importi qualcosa di qualche uomo che non sia tu, dannazione.”

Il cavallo dei pantaloni di pelle era ormai pericolosamente vicino al suo inguine, riusciva a sentirne la durezza anche attraverso la stoffa.

“Come si fa a tradire una promessa fatta al proprio migliore amico?”

Le mani del marito percorsero le sue cosce nude, provocandole dei brividi lungo tutto il corpo. Alice socchiuse gli occhi e trattenne a stento un ansimo.

“Sei irrazionale e io non volevo che finissi nei casini per qualcosa che si sarebbe potuto risolvere senza troppi problemi.”

Le dita tatuate di Brian le sollevarono appena la gonna, sfiorando sfrontatamente la curva del suo fondoschiena. Alice sospirò pesantemente, la testa così leggera da prenderle quasi il volo. Le calde mani del marito le si chiusero avide intorno ai glutei, strizzandoli e costringendola ancora una volta ad avvicinarsi a lui, per quanto fosse ancora umanamente possibile. Sussultò e desiderò di sentire quelle mani sul proprio corpo per sempre.

“Perché cazzo indossi sempre le mutandine?”, la ammonì senza il minimo accenno di divertimento nella voce. Spiegargli l'utilizzo universale degli slip sarebbe stato inutile e fuori luogo, in quel momento. L'ennesimo sospiro e Alice gli fissò quella bocca psichedelica con bramosia.

“Ascoltami bene, Alice”, ordinarono invece quelle labbra.

Un dito scostò con lentezza snervante il lembo degli slip.

“Ho sentito anche troppe scuse, per stasera.”

Alice abbandonò il capo all'indietro mentre quel dito si dedicava a farla impazzire del tutto senza nemmeno aver ancora cominciato a fare sul serio. Eccolo qui, il bastardo e perverso Brian Haner che aveva sposato.

“Niente più se o ma.”

La donna fu seriamente tentata di aiutare quella mano indulgente ad arrivare alla meta, nonostante qualcosa le suggerisse che sarebbe stata ripagata dell'attesa molto presto.

“Devi fidarti di me, altrimenti perché porteresti un mio anello al dito?”

Finalmente lo sentì entrare e gemette senza ritegno. Diavolo, prima o poi sarebbe riuscita a resistere alla tentazione di sciogliersi completamente di fronte alla sensualità di quell'uomo? Sotto il suo tocco si sentiva senza difese.

“E voglio che tu lo dica, a quel coglione: la prossima volta che si mette in mezzo lo ammazzo di botte senza pensarci due volte.”

Istintivamente lo baciò. La lingua di Brian, così come le sue mani e quel dito completamente immerso in lei, era arrabbiata – e le faceva desiderare di averne di più. Così gli portò entrambe le mani in grembo e, ormai al limite, armeggiò con la patta dei pantaloni.

Poi il cellulare suonò.

 

*

 

“Brutti pensieri?”, le domandò Derek porgendole del succo di mela.

Ormai, a quanto sembrava, era diventata una routine della serata: chiunque andasse a parlare con lei le portava un bicchiere pieno di una bevanda qualunque che, ogni stramaledetta volta, lei finiva per rifiutare.

Era successo con Kristine – che si ostinava a continuare a prenderla in giro –, con Jimmy – prima della loro conversazione –, e persino con Brandan – che era andato a sincerarsi che la sua migliore amica, nonché cognata preferita, come aveva detto lui, stesse bene.

“Grazie”, Marta afferrò il bicchiere e, come da copione, lo posò immediatamente sul tavolino di fronte a lei, un po' nauseata dal profumo dolce che emanava.

“Non ti va di berlo?”

“No, è solo che ho un po' di nausea e...”

“Sei... incinta?” sembrava davvero stupito, quasi nervoso.

“Cosa?!”, sbottò ridendo, “No, no. Figuriamoci! Ho solo bevuto qualcosa che mi ha destabilizzata. Della vodka, in effetti...”

“Ah, però! Ti facevo una straight-edge irriducibile.”

“E lo sono. Ma, sai come si dice, certi dispiaceri vanno affogati nell'alcool, no?”

Derek assunse un'espressione preoccupata. “Qualcosa non va, Marta?”

Adorava il modo che aveva quell'uomo di prendersi cura di chi gli stava intorno ma la situazione era più difficile di quanto potesse sembrare.

“Sei mai stato a Las Vegas?”, domandò di colpo, piena di aspettativa.

“A Las Vegas?”, ripeté l'altro con una certa preoccupazione, “Perché ti interessa saperlo?”

“Adesso rispondi, le spiegazioni a più tardi.”

Derek trasalì. “Ci sono stato, si. Ne ho approfittato della pausa dal tour per...”

“Aspetta un attimo: eri a Las Vegas la scorsa settimana? Quando c'eravamo anche noi, quando ero lì anch'io?”

“Si”, ammise Derek a bassa voce e Marta si rese conto che il batterista non le aveva raccontato tutta la verità. “Ecco, vedi...”

Oh no, ti prego...”, mormorò lei in tono lamentoso. Non poteva essere vero.

“Non ti ho detto alcune cose, Marta. Forse perché non sapevo cosa dire. Andava tutto così bene... temevo non avresti capito, che la prendessi male...”

Marta afferrò un bicchiere a caso dal tavolino e ingollò senza pensare. Sperò di aver pescato qualcosa di forte, un alcolico qualunque in grado di stordirla all'istante. Non le importava un bel niente della nausea e della sensazione orribile che le era rimasta addosso dopo quella dannata vodka. Le sarebbe andata bene qualsiasi cosa, purché la allontanasse da quella conversazione.

Non Derek, dannazione! Il dolce, impacciato e disponibile Derek.

La sensazione sgradevole del liquido che le bruciava la gola la investì per la seconda volta in una sola giornata, mentre le lacrime le salivano agli occhi.

“Ti prego, lascia almeno che ti spieghi tutto quanto”, tentò Derek a testa bassa.

Ma Marta scrollò la testa, si alzò dal divano e camminò svelta e incerta verso la piscina. Prima Zacky, ora Derek... Per ora poteva bastare.

 

*

 

“Il tuo amico ne è proprio sicuro?”, ringhiò Brian al telefono e Greg confermò.

E mentre il marito approfittava dell'occasione per ribadire all'uomo dall'altra parte della cornetta, senza alcuna nota di comprensione nella voce, di lasciare in pace sua moglie o se la sarebbe vista davvero molto brutta, Alice, portando una mano alla bocca, cercò di elaborare la nuova, brutta notizia. “Oh, cazzo.”

 

*

 

“Tranquillo, non voglio sapere come ti sei fatto questi lividi”, esordì alzando le mani al cielo, mentre a passo spedito si avvicinava all'albero a cui era appoggiato Scott, “Ho solo bisogno di prendere una boccata d'aria.”

Il chitarrista scrollò le spalle. “Fa' pure.”

“Che giornata di merda”, commentò lei a bassa voce, parlando con nessuno in particolare e fissando il cielo privo di stelle.

“Non dirlo a me”, sorrise amaramente l'altro, “Ma almeno è stata una giornata ben spesa.”

“Se prendertele ti sembra un buon modo di spendere la giornata...”

“Le ho anche date”, sottolineò subito Scott, evidentemente punto sul vivo, “E comunque si. Ci sono cose, a volte, che bisogna affrontare anche se sono scomode.”

“Scomode come un amico che scopri non essere quello che credevi?”, sospirò parlando di nuovo al cielo. Davvero non riusciva a credere che Derek potesse aver fatto una cosa del genere.

“Nel mio caso, scomode come quando capisci che ce l'hai fatta, che il tuo diretto concorrente sta barcollando e con un calcio lo puoi mandare a gambe all'aria, anche se questo comporterà qualche piccolo livido anche per te.”

Marta aggrottò la fronte senza capire, incuriosita suo malgrado. “Problemi di donne? Isabelle?”

“No... tu.”

Il suo cuore sembrò giocarle un brutto scherzo, fermandosi così d'improvviso e provocandole così tanto dispiacere in una volta sola.

“Di che...”

“Di che parlo? Davvero non lo immagini?”

Un'altra fitta, sempre più dolorosa. Aveva dubitato di ciascuno di loro e ora se ne vergognava immensamente. Non si era trattato di Brandan, di Brian o di Ryan.

Lo sconosciuto non era nemmeno Derek, nonostante la conversazione di poco prima l'avesse portata a puntare il dito proprio su di lui.

Scott aveva macchinato tutto quanto, solo e soltanto lui.

“Perché?”, domandò con un filo di voce, un groppo in gola.

“Perché con me hai sempre avuto un rapporto diverso. Mi ronzavi sempre intorno, a scuola. Sei stata tu a chiedermi di entrare nella band, anche se c'era già un chitarrista che bastava ad alzare un muro sonoro con i controcazzi.”

“L'ho fatto solo perché eri un bravo musicista, Scott”, sembrò quasi piagnucolare.

“Tu e Brandan sembravate fratelli, di Ryan e Brian non mi preoccupavo e Derek mi è sempre sembrato poco interessato alle donne. Eri tutta per me.”

Marta sentì una goccia di sudore scendere a rigarle gelidamente la schiena.

“Ma sei sempre stata una ragazza troppo seria per uno come me. A quell'età pensavo solo a divertirmi e delle donne mi interessava soltanto una cosa, ma tu non avresti mai accettato.”

Avrebbe voluto urlargli contro tutta la propria rabbia ma dalla sua bocca non usciva più alcun suono. Anche il suo corpo si era irrigidito, costringendola a restarsene lì pietrificata ad ascoltare quella storia deprimente.

“Con Isabelle ci ho provato sul serio ma non sono mai riuscito a restarle fedele, non c'è bisogno che ti spieghi niente perché lo sai già da te. Poi arriva il tour e, porca troia, vedo quel coglione che inizia ad interessarsi a te.”

Avrebbe almeno voluto piangere, sfogare in qualche modo quel buco nero di sensazioni che l'avevano appena investita come un treno in corsa, ma dai suoi occhi aridi non riuscì ad uscire nemmeno una lacrima.

“La cosa che mi faceva incazzare era vederti abboccare all'amo. Davvero, credo di essere arrivato vicino a spaccargli la faccia una cosa come dieci o venti volte, durante quel tour. Spero ti sia piaciuto farti scopare da lui tutte le notti perché io, quando ho capito che vi eravate messi insieme, non sono riuscito più nemmeno a farmi una sega. Che diavolo, Isabelle la tradivo in continuazione e ora non riuscivo a pensare a nessun'altra a parte te.”

Il linguaggio scurrile e familiare di Scott, quello che solitamente le strappava un sorriso e uno sbuffo rassegnato, riuscì solo a deteriorare maggiormente la mole di risentimento che ora provava per lui.

“Al tuo compleanno, quando eravamo tutti mascherati e quell'idiota è andato via per rispondere alla telefonata della sua ex, ho avuto l'idea: dovevo baciarti. Ma la cosa è degenerata e, invece di allontanarvi, ti ha fatta attaccare ancora di più a quel coglione. Siete addirittura partiti per Las Vegas, cazzo! Ci mancava solo che al posto di Alice ti sposassi tu. Dovevo fare qualcosa, lo capisci?”, le si avvicinò di un passo e Marta indietreggiò istintivamente, “Così oggi sono andato da lui e gli ho detto che se ti ha vista strana, ultimamente, è stato per causa mia... perché ti stavi rendendo conto che non è lui l'uomo con cui vuoi stare.”

“Sei completamente pazzo”, sussurrò mentre sentiva un conato di vomito risalirle la gola.

“Sei l'unica donna di cui mi sia mai innamorato veramente, Marta, non potevo lasciarti a lui.”

In quell'esatto istante, Brandan gli si avventò contro e, tenendolo ben saldo a terra, gli sferrò un pugno in pieno naso, imprecandogli contro con rabbia cieca.

Marta li guardò senza tradire alcuna emozione, poi scorse, tra il gruppetto di spettatori improvvisati che si era creato in giardino, le figure esili e preoccupate di Kristine e Alice e chinò appena la testa mentre le labbra dell'amica sussurravano: “Non avrei più potuto tenerlo per me. Scusami.”

 

*

 

Nonostante la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta, Alice non riusciva a smettere di sentirsi in colpa; non solo aveva mentito al proprio marito, scaturendone così una profonda ira del tutto meritata, ma ora aveva anche tradito la promessa fatta alla propria migliore amica, preferendo spiattellare l'intera storia a Brandan nel tentativo di alleggerirle le spalle dal peso della verità che da lì a poco Scott le avrebbe gettato addosso.

Brian, appoggiato allo stipite della porta con le braccia conserte, la stava fissando con sguardo impietoso. Buffo come, fino a poco prima, quegli stessi occhi stessero letteralmente mangiando il suo corpo, mentre le sue mani e la bocca la esploravano con rabbia. La delusione per non essere stato il primo a cui la moglie si era rivolta per risolvere un problema gli sarebbe mai passata del tutto? Alice sperò ardentemente di si, decisa a dimostrargli che per lei non esisteva nessun altro all'infuori di lui di cui si fidasse così ciecamente, né mai sarebbe esistito.

“Piantala di fulminarmi in quel modo”, lo rimbeccò con fin troppo scarsa serietà, “O tra poco, al posto di una moglie bella e colta come me, ti ritroverai accanto un mucchietto di cenere. Lo dico per te, per i tuoi sensi di colpa.”

Ben lontano da ogni sua più rosea previsione, Brian scoppiò a ridere di gusto e, abbandonato lo scomodo ma stranamente sensuale stipite, le si avvicinò con la sua solita camminata spavalda.

“Ce ne torniamo a casa?”, propose tendendole una mano. Alice la scrutò per qualche istante, poi la strinse.

“Sai che lo vorrei più di qualsiasi altra cosa”, sorrise, “Ma prima di schiodare da qui voglio essere certa che Tini non abbia bisogno di me, capisci?”

Brian la attirò a sé e la strinse in un abbraccio caldo e profumato. “Eccola di nuovo qui, la donna della mia vita.”

 

*

 

Così nel giro di una triste e stupida giornata si era ritrovata, di colpo, senza un amico. E a niente importava, adesso, il fatto che la band dovesse ripartire nel giro di una settimana scarsa per la seconda parte del tour europeo. Un chitarrista era facile da rimpiazzare, tutt'altra storia era perdere un vero amico.

Distrutta ma ancora impossibilitata a piangere da un blocco emotivo che l'aveva resa quasi di ghiaccio, Marta ripensò agli avvenimenti delle ultime settimane.

C'era sempre stato Scott, dietro tutti quei messaggi. Si sentiva tradita oltre ogni limite di sopportazione.

“Si può?”, domandò in un sussurro Derek. Marta lo occhieggiò con dispiacere, rimproverandosi per il trattamento ben poco amichevole che gli aveva riservato nemmeno un'ora prima.

“Certo.”

Nonostante nessuno avesse più detto nessuna parola, dopo la richiesta di Marta di lasciarla riprendere dalla botta in autonomia, erano rimasti tutti accanto a lei.

“So che è un brutto momento. Non avrei voluto ascoltare ma non ce l'avrei fatta nemmeno tappandomi tutte e due le orecchie.”

Marta sorrise appena, più amareggiata che divertita. La verità era che Derek era forse l'unica persona con cui le andava di parlare, tra i presenti, perché era anche l'unico a cui doveva delle scuse sostanziali.

“Mi dispiace tanto”, la precedette l'uomo.

“Non potevi saperlo.”

“Invece avrei dovuto immaginarlo. Fare due più due. L'ho incontrato a Las Vegas per caso, che vagava in giro per la città in cerca di qualcuno. Di te, presumo. Siamo andati a pranzo insieme e mi ha raccontato di questa donna bellissima di cui si era davvero innamorato. Gli ho chiesto spiegazioni ma ha risposto soltanto che con un po' di pazienza avrei saputo tutto e sarei stato felice per lui.”

“Dio mio, ho i brividi.”

“Inutile dire che non sono affatto felice per lui.”

“Già.”

“Né per te.”

“È andata così.”

Restarono in silenzio per una manciata di minuti, poi Derek si schiarì la voce.

“Devo dirtelo, niente più segreti: ero a Las Vegas per incontrare una band. Erano alla ricerca di un nuovo batterista e io sono stato uno dei primi che hanno contattato. Ho imparato alcuni dei loro brani più famosi e sono andato alle prove con loro. Mi hanno preso.”

“Una bella notizia”, mormorò con voce incerta, “Quindi ci lasci anche tu?”

“NO! No, non ho mai pensato di lasciare la band. Siete la mia famiglia, i Bleeding Through sono tutto il mio mondo. Ma volevo dedicarmi anche a qualcosa di diverso, di conoscere nuove persone e di fare nuove esperienze. Non ne ho parlato a nessuno di voi per codardia: non sapevo cosa dire, pensavo l'avreste presa come l'abbandono che non è. Non me ne andrò, né ora né mai.”

“Giuro che se Rev e Matt non me l'avessero tolto dalle mani, sarebbe finita male, molto male.”

Brandan era un fascio di nervi. Accanto a lui, una Kristine piuttosto scossa. Poco più in là, Alice e Syn, immobili in una posizione piuttosto innaturale, la osservavano con la fronte corrugata.

Avrebbe voluto dire ad ognuno di loro che era tutto a posto ma le parole non le uscirono dalla bocca.

“Ti devo delle scuse”, riuscì a dire a Derek con un po' di vergogna, come se si fosse appena risvegliata da un lungo sonno e si fosse ritrovata davanti ad una serie infinita di fallimenti personali messi in fila l'uno dietro l'altro. Brandan scosse la testa e si massaggiò le tempie con l'indice e il pollice ben tesi. Derek invece schiarì la voce.

“Non preoccuparti. Immagino non sia stato un periodo dei migliori, per te. Forse anche io avrei reagito impulsivamente, se avessi avuto anche solo il più piccolo dubbio che potessi essere tu la persona che mi stava dando il tormento.”

La comprensione di Derek era come una benedizione. Ora che tutto si era risolto, nel bene o nel male, Marta si sentiva di nuovo leggera, come se si fosse tolta un peso. Certo, aveva perso un amico, un compagno di band, un membro della famiglia... ma doveva sforzarsi di pensare a quello che le era rimasto, a coloro che le volevano bene e che non l'avrebbero mai ferita o abbandonata per nessun motivo.

L'immagine di Zacky si fece improvvisamente avanti nella sua testa; quegli occhi preoccupati di perderla, il colore terreo, la mascella instabile: ora, a mente fredda, tutto le faceva pensare di aver commesso un grave errore. Derek aveva ragione quando diceva che quando ci si trova in difficoltà si agisce di impulso.

Jimmy era stato chiaro: Vanessa avrebbe sempre avuto bisogno del supporto di Zacky – era una cosa a cui avrebbe dovuto fare il callo una volta per tutte – ma non per questo sarebbe riuscita a tentarlo e a riportarlo dalla sua parte. Zacky, come aveva detto quel grande amico saggio che si era rivelato essere Rev, aveva fatto la sua scelta diversi mesi prima e non sembrava avere alcuna intenzione di tornare sui suoi passi.

E lei? Aveva preso una decisione definitiva, quel pomeriggio?

Estrasse il cellulare dalla tasca e fece ceno a Derek e agli altri di concederle un secondo, prima di continuare il discorso. C'erano ancora tante cose di cui voleva parlare con tutti loro, ma adesso l'unica vera necessità era quella di sentire la voce del suo ragazzo.

Voleva chiedergli di vedersi così da concedersi vicendevolmente l'opportunità di spiegare le proprie ragioni. Non desiderava nient'altro con la stessa intensità.

Uno squillo.

Ripensò a come si era sentita tradita di fronte alla piccola confessione dell'uomo e subito immaginò la faccia che doveva aver fatto lui quando Scott gli aveva raccontato quella marea di cazzate, poche ore prima... chissà a cosa aveva pensato – e a cosa stava tuttora pensando Zacky.

Un altro squillo.

Dovevano parlarne al più presto, chiarire ogni cosa. Rivoleva indietro la loro storia e questa volta sarebbe stata sincera fino in fondo.

Un terzo squillo.

“Che cosa vuoi, ancora?” domandò una voce che non assomigliava nemmeno lontanamente a quella di Zacky, all'altro capo del telefono.

Un tuffo al cuore la colse di sorpresa, dando il via alle lacrime che era riuscita a reprimere fino a quel momento. Vanessa sembrava sul punto di esplodere, eccitata e agguerrita come chi ha giocato la propria partita in completo silenzio, senza mai commentare nulla se non la propria vittoria a fine partita. Ma aveva davvero vinto lei?

“Non vuole più vederti, fattene una ragione.”

“Che me lo dica lui, allora. Tu chi cazzo sei, eh?!”, le ringhiò contro.

Poi, di colpo, il telefono suonò a vuoto il segnale di interruzione.

Vanessa aveva riattaccato. Fine della conversazione.

 

Credits: 'Nightmare' by Avenged Sevenfold.

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n.A.: Appena possibile posterò la terza parte! Grazie come sempre!
A presto, rose_

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Capitolo 31
*** III - Line In The Sand ***


 

PARTE TERZA
31.

LINE IN THE SAND

 

I'm still in love with everything about you
I live through the wreckage from everything you do

 

23 Gennaio 2007

La data fissata per il matrimonio di Therese era ormai giunta. La voglia di vivere di Marta rasentava il pavimento ma, in qualche modo, Kristine e Brandan erano riusciti a convincerla a partecipare alla cerimonia.

Durante i preparativi si era ritrovata più volte a pensare a Zacky e ogni volta, inesorabilmente, una rabbia incontrollata le era montata dentro, fino a portarla quasi alle lacrime. Era trascorsa una settimana esatta e già sentiva di esser diventata un'estranea, per lui.

Aveva provato a cercarlo un altro paio di volte, dopo la fatidica sera, ma lui non aveva mai risposto alle sue chiamate né ai suoi messaggi. Era finita e la cosa che le faceva più male era il pensiero di aver perso tutto per causa di un capriccio di Scott: lui l'aveva fatta allontanare dal suo uomo; sempre lui aveva raccontato menzogne riguardo ad un amore che non sarebbe potuto nascere, per quanto la riguardava, nemmeno se si fossero ritrovati su un'isola deserta in qualità di ultimi esemplari umani; ancora lui si era presentato sotto casa sua per implorare pietà notte dopo notte, costringendola ad un trasferimento lampo nella dependance della villa di Brandan. Ormai era tardi e le spiegazioni non sarebbero bastate a nessuno. Non a Zacky, che aveva dalla sua un bel muro di orgoglio ferito, e non a lei, che per quanto si sforzasse non riusciva a passare sopra alla telefonata che Vanessa le aveva chiuso in faccia.

Il pensiero più ricorrente era sempre lo stesso: Zacky aveva ascoltato le parole di Scott, lo aveva preso a pugni fin quando ne aveva sentito il bisogno e poi, anziché cercarla e sfogare la propria rabbia contro di lei, aveva portato Vanessa a casa sua e aveva chiuso la serata con una bella bottiglia di vino e, perché no, con una epica scopata in onore dei vecchi tempi. Difficile pensare di poter tornare sui propri passi, dopo pensieri simili.

“Sei pronta?”, urlò Brandan rimanendo educatamente oltre l'ingresso. La testa di Marta spuntò da dietro la porta del bagno e fece una smorfia.

“È casa tua e io sono la tua migliore amica da almeno una vita... direi che puoi anche addentrarti un po' di più, non credi?”

Eccola di nuovo: Kristine sottolineava di continuo questa sua nuova tendenza alle cattiverie gratuite e lei, nonostante il più delle volte ci rimanesse un po' male, non poteva che essere d'accordo. Da quando Zacky l'aveva lasciata – e da quando Scott era uscito dalla sua vita e dalla band – Marta si era letteralmente inacidita. Solo Alice aveva cercato di vederci del buono, sdrammatizzando con battutine a tono riguardo alla velocità impressionante con cui si era trasformata nella classica rockstar incazzata con il mondo.

“Devo ancora abituarmi a questo tuo nuovo caratteraccio”, Brandan scosse la testa con divertimento, raggiungendola in bagno.

Era bellissimo. Il completo color antracite che aveva indosso faceva risaltare i suoi occhi scuri, mentre il nuovo taglio di capelli – più folto sulla nuca e sfumato ai lati della testa – gli regalava un non so che di moderna eleganza.

“Metterai la cravatta?”, domandò guardandolo attraverso la grande specchiera.

“Avrei preferito di no ma tua sorella potrebbe seriamente attentare alla mia vita, perciò...”, sorrise e si sfregò le mani sudaticce con fare nervoso, “Tu come stai?”

Marta fece finta di non cogliere l'allusione agli ultimi avvenimenti, protendendosi invece in un lieve inchino. “Mah, trovo che questo vestito mi stia bene, tutto sommato. E anche il trucco...”

“Non vuoi parlarne, ho capito.”

“Non proprio, no.”

“Beh, sai già che ci sarò sempre per te, perciò...”, sbuffò e la sua bocca si incurvò in una smorfia, “Se hai voglia di parlare mi trovi dall'altra parte del giardino.”

“Grazie Brand.”

“E di che?”, la mano dell'uomo le accarezzò affettuosamente una guancia, “Ma ora sbrigati o sarà la giornata più lunga della nostra vita.”

Marta ridacchiò. “Lo so, Kiki era un po' agitata per questo giorno.”

“Agitata?”, strabuzzò gli occhi, “Direi assatanata. Nemmeno fossimo noi, gli sposi.”

“Se tu avessi una vaga idea di quanto Therese l'abbia tartassata, non parleresti in questi termini”, terminò di sistemare i capelli, lasciati sciolti sulle spalle, e diede un'ultima occhiata al make up che aveva indosso, “E comunque sarebbe un buon matrimonio, il vostro.”

“D'accordo”, Brandan sollevò le mani per aria e uscì a passo svelto dal bagno, “Non ho intenzione di parlare di questo argomento proprio adesso.”

“Perché no?”

“Primo, perché siamo in un fottuto bagno. Secondo, perché se ritardiamo ancora un po' potremmo giocarci la sposa – e non sto parlando di Therese.”

“Quindi ammetti che prima o poi le chiederai di sposarti?”

“Può darsi.”

“Lo so che in realtà non vedi l'ora di diventare un uomo onesto!”

Un uomo onesto!”, ripeté il cantante con sarcasmo chiudendo la porta della dependance alle loro spalle. “Da dove li tiri fuori, certi modi di dire?!”

 

*

 

“Sarà stato quello là”, borbottò Brian passandole il giornale. “Se non lui, chi?”

La notizia del loro matrimonio ufficiale era già approdata alle pagine rosa dei giornali scandalistici americani. Sposare una rockstar aveva i suoi pro, ma anche gli svantaggi erano pane quotidiano. Niente privacy, insomma, ma finché quei piranha dei giornalisti si limitavano a raccontare di preparativi e cerimonia matrimoniali la cosa le andava bene, purché non cominciassero a seguirli ovunque per ficcare il naso in cose più personali.

Quello là sarebbe...?”

“Il tuo cazzo di ex.”

“Ah.”

Brian la scrutò con attenzione. “Ah tipo: si, può darsi sia colpa sua?”

“No. Ah e basta”, gli sorrise e abbandonò il giornale sul tavolino, accoccolandosi meglio sul divano accanto al marito. “Non credo trarrebbe qualche interesse a spifferare notizie come queste ai giornalisti.”

“Quali notizie?”

Alice trasalì appena all'ingresso in salotto di Jimmy. La saletta relax dello studio di registrazione era abbastanza spaziosa, per fortuna, e in più di un'occasione li aveva ospitati tutti quanti. Lo osservò prendere posto vicino a loro e gli avvicinò un po' il giornale, indicando l'articolo con un cenno della testa.

Matrimonio a Bat Country”, lesse ad alta voce il batterista, “Voci di corridoio vedono Synyster Gates, primo chitarrista degli Avenged Sevenfold, e la sua bellissima fidanzata italiana ad un passo dall'altare. Se i rumor fossero veri, per la coppia si tratterebbe di un deja-vu, considerando il matrimonio lampo a Las Vegas di cui vi abbiamo parlato ormai un mese fa. Sembra che il chitarrista faccia sul serio, quindi le fans di tutto il mondo dovranno proprio mettersi l'anima in pace. Alice Ferri, questo il nome della fortunata regista, pare averlo totalmente stregato.

L'articolo continuava con una serie di foto di coppia rubate alla quotidianità e infarcite di annotazioni e accenni all'eventuale abito bianco, alla location e alle fedi. La risatina di Jimmy spezzò la lettura.

“Immagino suicidi di massa in tutto il globo, dopo uno scoop così interessante.”

“Non fare il furbo”, ironizzò Brian strappando il giornale dalle mani dell'amico. “Piuttosto pensa ad inventarti qualcosa prima che questa sorte spetti anche a te.”

“A me?”

“Al momento i giornali si divertono a ricamare su noi due, Matt e Val”, Brian contava le opzioni sulle dita tatuate. “E Vengeance... ma non durerà in eterno.”

“È quello che spero”, mugugnò Zacky facendo il suo ingresso. Alice lo guardò attentamente: trucco residuo della sera prima sbavato intorno agli occhi, profonde occhiaie e colorito pallido. I vestiti erano quelli che gli aveva visto indossare al pub la sera precedente, solo un po' più stropicciati. Si domandò se avesse dormito senza toglierli, poi le tornò in mente quella rossa con cui si era allontanato verso metà serata, già profondamente ubriaco, e con orrore immaginò che forse potesse averglieli tolti lei. Un'espressione nauseata le percorse il viso e il pensiero volò tristemente a Marta.

“Ehi, non sapevo fossi già arrivato”, lo salutò Rev e Zacky prese posto accanto a lui con una bottiglia di birra tra le mani.

“Tutto bene?”

“Si, maritino dell'anno, va tutto a meraviglia”, rispose l'altro fissando un punto a caso davanti a sé con sguardo vuoto. Il tono era scherzoso, nonostante sul suo viso non si leggesse altro che insofferenza. “Manca qualcuno o sbaglio?”

“Si, Matt e Johnny avevano quell'intervista, oggi. Arrivano tra un'ora.”

“D'accordo, allora comincio a sistemare la mia roba.”

“Se vuoi una mano possiamo...”, cominciò Brian, già pronto ad alzarsi dal divano.

Zacky lo interruppe con una scrollata di spalle. “Non ce n'è bisogno. Faccio da solo.”

“Come vuoi.”

Alice lanciò un'occhiata perplessa al chitarrista che stava per abbandonare la stanza, poi riacciuffò il giornale e prese a sfogliarlo senza granché interesse.

“Parlano dei cazzi miei anche là sopra?”

Zacky si era fermato sulla soglia della porta e stava osservando le pagine patinate con sguardo furente. Alice annuì appena e, temendo potesse prenderle fuoco tra le mani, richiuse il giornale.

“Cristo! Cosa hanno ancora da dire?”, domandò l'uomo a denti stretti, parlando a nessuno in particolare. Brian e Jimmy si scambiarono un'occhiata delle loro e Alice sospirò e si strinse nelle spalle. Non sapeva cosa dire: da quando era finita la loro storia, Marta rifiutava anche solo di toccare l'argomento e Zacky non era da meno. Qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe risultata banale o indiscreta.

“Ora che ci penso devo controllare lo stato delle mie bacchette. L'ultima volta ho pestato così tanto sulle pelli della batteria da averne spezzate un paio!”, disse Jimmy togliendola dall'impiccio, seguendo Zacky fuori dalla stanza.

Alice tirò un profondo respiro, poi occhieggiò il marito.

“E ora che si fa?”

 

*

 

La cerimonia era stata piuttosto lunga, accompagnata dai tanti canti della cultura ecclesiastica scozzese in onore dello sposo.

Marta era rimasta seduta accanto a Brandan per tutto il tempo, in attesa di veder finire quel supplizio per avviarsi verso il ristorante. Kristine, non molto lontana dagli sposi, era la damigella più bella di tutte, fasciata con quell'abito azzurro pallido lungo fino alle ginocchia.

“Lo sposo può baciare la sposa”, decretò il prete e, mentre i due protagonisti seguivano il consiglio, tra i presenti esplose un applauso che a Marta sembrò dettato più dal sollievo di veder terminare la cerimonia che da una vera e propria commozione alla scena.

“Grazie a Dio è finita”, mormorò Brandan nel suo orecchio, strappandole un sorriso. “Spero solo che tua sorella non se ne stia là ancora per molto: sento il bisogno di metterle le mani addosso e non...”

“Ti prego, non finire la frase.”

L'uomo scoppiò a ridere e attirò le occhiatacce di alcuni parenti dello sposo.

“Shh, non fare casino!”, lo rimbeccò Marta senza riuscire a trattenere una risata identica a quella dell'amico per volume e intensità. “Ci cacceranno dalla chiesa!”

“E chissenefrega”, scrollò le spalle l'altro. “Anzi, sai che facciamo? Ce ne andiamo per conto nostro.”

Così uscirono in strada e attesero l'avvento degli sposi con una certa impazienza. Lo stomaco di Marta brontolò per l'ennesima volta, reclamando un po' di attenzione: in effetti, se non si contavano le tazze di the accompagnate da qualche biscotto verso l'ora di pranzo, erano giorni che non toccava cibo.

“Grazie, sul serio.”

“Per cosa?”

“Per essere così scemo, perché mi fai ridere anche in questo periodo di merda, perché ti prendi cura di mia sorella con pazienza sovrumana.”

“Te l'ho detto: amo voi Peterson. Non ringraziarmi.”

Dopo la fatidica sera, Marta non aveva quasi spiccicato parola. Certo, Alice e Kiki le erano state accanto come al solito – e lo stesso avevano fatto Brandan e gli altri – ma parlare di quello che provava le era risultato difficile persino con loro e il suo continuo suggerire un cambio di argomento non aveva che peggiorato le cose. Ora, per la prima volta da quella sera, Marta si accorse di quante cose si fosse negata per colpa della ferita che Scott aveva aperto e che Zacky aveva squarciato e pensò di meritare qualcosa di meglio delle lacrime che inzuppavano il cuscino e dei soliti cliché da cuore infranto. Un po' di leggerezza e qualche risata le avrebbero fatto bene – e quale migliore occasione di un matrimonio tra invitati sconosciuti per raggiungere lo scopo?

“Arrivano”, la informò Brandan dandole un leggero colpetto sul fianco. Marta rizzò immediatamente la schiena e si obbligò a sorridere quando incrociò lo sguardo con la sposa.

“Andiamo a congratularci anche noi”, sospirò muovendo un passo nella loro direzione quando vide che la calca intorno a loro si stava via via diradando.

“D'accordo, ma Kiki...?”

“L'ho intravista un attimo fa. È stata pizzicata da un gruppo di invitati e temo la terranno occupata per un bel po' – alcuni di loro non mi sono nuovi, forse sono vecchi amici dei tempi del liceo.”

“Andavano a scuola insieme?”, domandò con stupore indicando la sposa.

“Si. Stessa classe. Non si parlavano granché, in realtà. Mia sorella usciva sempre con noi, te lo ricordi, e la sposa all'epoca pensava soltanto a studiare.”

“E come sono arrivate a questo?”

“A Kristine come damigella d'onore, intendi?”

“Già.”

“Per un periodo le nostre famiglie hanno abitato l'una di fronte all'altra. Negli ultimi anni di scuola, quando non c'eravamo più Ali ed io – voi ve ne eravate già andati – Therese ha iniziato ad avvicinarsi a Kiki: la accompagnava a scuola, le passava i compiti, quelle cose lì. Credo avesse una cotta platonica per mia sorella, che desiderasse essere come lei.”

“Beh, non c'è riuscita.”

Marta si strinse nelle spalle. “Sai com'è fatta Kiki: si preoccupa per gli altri, vuole aiutarli a tutti i costi... così quando Therese le ha parlato del matrimonio, lei ha offerto il suo aiuto e l'altra l'ha incastrata proponendole di farle da testimone.”

“Se non mi facesse un po' paura, direi che è stata geniale.”

“Su, andiamo adesso. Non c'è più molta gente intorno a loro e credo che prima ci togliamo dall'impiccio meglio è.”

“D'accordo. Tra i due sei sicuramente tu l'esperta di bon-ton.”

La prima persona a cui si avvicinarono fu la sposa, elegante e bellissima in quel suo vestito bianco dal corpetto a cuore ricamato finemente. Quando li vide regalò loro un sorriso raggiante e allungò una mano per esortarli a baciarla.

“Congratulazioni, Therese”, disse Marta mentre si protendeva per un abbraccio.

“Grazie per esser venuta”, rispose l'altra con voce rotta dall'emozione. “E grazie di nuovo anche per quella piccola faccenda delle fotografie... sei stata magnifica!”

“Lieta di essere stata utile, nel mio piccolo.”

“Hai fatto un ottimo lavoro!”, confermò l'altra, preparandosi ad abbracciare e a ringraziare anche Brandan, così che Marta poté spostare l'attenzione sullo sposo, a pochi metri da loro, intenzionata a congratularsi anche con lui.

L'uomo sembrava in preda allo shock, nonostante il sorriso ebete stampato in faccia, e la tastierista dovette ammettere che fosse piuttosto carino. Si presentarono – si chiamava Peter McGain – e scambiarono una breve serie di battute simpatiche sul vestito della sposa e sulla quantità stratosferica di riso che la folla le aveva gettato contro, poi Therese la afferrò per un gomito e la tirò verso di sé.

“Immagino che l'impegno del tuo ragazzo fosse davvero irrinunciabile”, mormorò in tono scortese. Doveva essersi accorta soltanto ora dell'assenza di Zacky. Che delusione terribile, per una sposa alla ricerca di invitati celebri di cui vantarsi con familiari e amici! Marta inspirò profondamente e deglutì un grosso rospo.

“Noi... non stiamo più insieme.”

Davvero?”

Annuì lentamente, desiderosa di cambiare argomento.

“Com'è successo?”

“Non credo sia il momento di...”

“Aspetta, aspetta. Non lo avrai tradito?”

“Io?! Guarda, non...”

“Perché uno come quello non si tradisce a cuor leggero!”

“No, senti...”

“In effetti, ora che ci penso, ho intravisto qualcosa su un giornale. Ieri, se non sbaglio. Nella foto era per mano ad una bionda e di certo non eri tu”, Therese ridacchiò come in seguito ad una battuta molto divertente. Marta sentì una collera cieca riempirle il petto per due motivi che le parvero più che buoni: il primo era la totale mancanza di tatto che la sposa stava dimostrando; il secondo era che Zacky l'aveva rimpiazzata senza troppa fatica, facendosi addirittura beccare dai paparazzi per mano con un'altra donna ad una settimana scarsa dalla loro rottura. Per un attimo ebbe la sensazione che una pugnalata nello stomaco le avrebbe fatto meno male. “E comunque, se posso, quella non aveva la metà del tuo charme. Insomma: se si cambia, tanto vale farlo in meglio, no? E poi i giornalisti! Nella didascalia li davano per coppia rodata, ti pare?! Dategli un po' di tempo, dico io. Sono davvero una razza senza vergogna né rispetto, quelle sanguisughe che scrivono sulle riviste di gossip.”

Era ormai chiaro che Therese sapesse molto più di ciò che aveva tentato di dare a vedere quando aveva chiesto a Marta spiegazioni sull'assenza di Zacky.

Ne aveva davvero abbastanza. “I giornalisti sono viscidi e senza pietà. E a quanto pare vale lo stesso anche per le spose stronze che parlano a sproposito.”

Alice sarebbe stata fiera di lei. Una volta tanto aveva preso il toro per le corna e lo aveva sfidato apertamente, sicura delle proprie possibilità. Quel che era troppo, era troppo.

“Guarda che non è il caso di fare così. Era tanto per parlare.”

“Perché non spendi parole per raccontare qualche aneddoto dei tuoi viaggi, anziché far prendere aria alla bocca con cose che non ti riguardano?”, ribatté sprezzante d'odio.

“Questa, poi...”

Marta spostò lo sguardo su Kristine e Brandan, poco dietro la sposa, e cercò di lanciare loro un semplice messaggio: non sarebbe rimasta lì un solo secondo di più. “Felicitazioni per la tua nuova vita accanto ad un uomo a cui hai raccontato solo cazzate!”

Therese fece per controbattere ma Marta si voltò e prese a camminare. Fece in tempo soltanto a sentire Kristine dare della stronza alla sposa, poi se la vide spuntare accanto, di nuovo insieme a Brandan. “Ce ne andiamo anche noi.”

“Ma sei la testimone!”, cercò di sorridere nonostante l'espressione stravolta dal pianto. Lo scambio di battute con Therese si era rivelato parecchio dannoso per il suo umore ma la cosa più deleteria era stata certamente la notizia legata a Zacky. Che la ragazza bionda della foto fosse Vanessa? Alice aveva provato a darle qualche notizia su di lui ma lei l'aveva sempre pregata di lasciar perdere.

Ma adesso era tutto diverso. Ora voleva sapere.

“Che vada a farsi fottere”, esclamò l'altra con convinzione. Brandan fischiò appena, riconoscendo nella propria ragazza una schiettezza del tutto eccitante. “Sono arcistufa di stare dietro alle sue cazzate! Nessuno tratta a pesci in faccia mia sorella e la passa liscia.”

“Grazie, Kiki.”

Brandan indicò la loro auto e sospirò. “Andiamocene a casa.”

 

*

 

Intorno alle cinque del pomeriggio, mentre i ragazzi erano barricati in studio di registrazione e lei era impegnata a tirar giù qualche idea per il video del nuovo singolo dei Trivium, il telefono di Alice squillò.

“Già di ritorno?”, rispose con allegria, sperando di ricevere un resoconto dettagliato di quello che, almeno sulla carta, era destinato a diventare il matrimonio meno felice della storia.

“Si. Ho mandato a quel paese la sposa.”

Che cosa hai fatto??”, gli occhi di Alice si spalancarono.

“Lasciamo stare, poi ti racconto. Ora vorrei sapere solo una cosa ed è importante che tu mi dica la verità, anche se pensi che potrebbe farmi male. D'accordo?”

“Tini... mi stai spaventando, che succede? C'entra qualcuno di nostra conoscenza?”

“Si. Lui. Ho bisogno di sapere se vede ancora Vanessa.”

“Sicura di volerlo sapere?”, sospirò e chiuse il blocco degli appunti, per poi abbandonare il divano e uscire in strada. Dall'altro capo del telefono arrivò una risposta affermativa. “Vanessa è in cura in un centro di disintossicazione. Pare fosse ricoverata là dentro da tempo ma è bastata una serata di libertà per mandarla dritta in ospedale per overdose. È stato Zacky a firmare le carte per le sue dimissioni.”

“Ora lei dov'è?”

“Da lui. È stata lì per tutta la settimana ma lui vuole riportarla al centro.”

C'è qualcosa tra loro?”

Sapeva che prima o poi glielo avrebbe chiesto – era solo questione di tempo. Se solo quei due avessero messo da parte l'orgoglio e la testardaggine e si fossero decisi a parlare civilmente! Avrebbero chiarito tutto quanto e tutto sarebbe tornato al posto giusto.

“No, figuriamoci! Ascolta, Tini, lui non sta affatto bene. È sempre scontroso, beve di continuo... credimi, non gli interessa trovare una donna, né tanto meno tornare con Vanessa.”

Sperò di averla tranquillizzata. Avrebbe voluto sbilanciarsi e dirle che lui non voleva iniziare nessun'altra storia perché nella sua testa e nel suo cuore c'era posto solo per lei, ma ci ripensò immediatamente. Non voleva mettersi in mezzo più del dovuto – e poi cosa poteva saperne lei, dei sentimenti di Zacky?

“E allora chi diavolo è la donna bionda di cui parlano i giornali?”

Come dire ad una ragazza come Marta che, da quando si erano lasciati, Zacky cambiava donna ogni sera? Per un attimo prese in considerazione l'ipotesi di non dirle nulla, ma ci ripensò immediatamente. Mentire non era da lei e la faccenda legata a Scott le aveva ricordato che le bugie, anche se a fin di bene, hanno sempre le gambe corte.

“Ali? Dì qualcosa!”

Inspirò a fondo e si preparò a parlare, consapevole che la risposta che le avrebbe dato da lì a breve non le sarebbe piaciuta per niente.


Credits: 'Line In The Sand' by Bleeding Through.


-


n.A.: Chi non muore si rivede! Eccomi qui con il primo capitolo della terza parte della storia... in ritardo di un mese ma in anticipo di un giorno, dato che è domenica.
Spero sia di vostro gradimento. Un abbraccio e grazie!
rose_

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Capitolo 32
*** III - Afterlife ***


 

PARTE TERZA
32.

AFTERLIFE

 

Give me a chance to be that person I wanna be
Oh Lord I'll try so hard but you gotta let go of me

 

10 Marzo 2007

Il calore del pubblico sapeva alleviare qualsiasi dolore, allontanandolo dalla testa dell'artista almeno lungo il corso dell'esibizione. La vista di quelle facce così accaldate e felici era per Marta la cura migliore ai propri mali. Una volta tanto era terapeutico avere a che fare con persone a cui non interessava nient'altro che la sua musica. A nessuno, lì in mezzo, importava sapere delle sue beghe personali: era un dare e ricevere senza pretese, quello con il pubblico, e senza false cortesie di sorta. Suonò le ultime note con rinnovata rabbia, poi la canzone terminò.

“Pronti per l'ultima canzone?”, sbraitò Brandan dentro al microfono e la folla esplose. “Fatemi di nuovo sentire un bel boato per il nostro cazzutissimo chitarrista Jona Weinhofen!”

Marta sollevò lo sguardo sulla platea urlante e sentì il petto gonfiarlesi di orgoglio. Quante altre band potevano contare sull'appoggio di fans simili?

“E adesso godetevi Revenge I Seek, stronzi!”

Lo sguardo fanciullesco di Jona si posò sulla tastierista proprio nell'attimo in cui Derek batté sulle pelli della batteria per decretare l'inizio della canzone. Nonostante potesse esser parso il contrario, a Marta piaceva molto il nuovo arrivato; lo trovava divertente, spensierato e folle quasi quanto i due bulli. L'unica pecca che gli si poteva rimproverare, suo malgrado, era quella di dover riempire l'imbarazzante vuoto lasciato da Scott. Per una questione di sicurezza, Marta aveva mantenuto le distanze da Jona fin dal primo momento – perché, ad esser sinceri, l'ultima cosa che desiderava adesso era rischiare di dare un'impressione sbagliata anche all'ultimo arrivato in famiglia, per quanto stupido questo potesse suonare ad un orecchio estraneo –, ma questo non aveva che alimentato la curiosità del chitarrista nei confronti di quella compagna di band così schiva e apatica. Mentre suonava il suo spartito con precisione maniacale, Marta gli concesse un sorriso tiepido, sperando che ciò bastasse a convincerlo a spostare l'attenzione verso un qualsiasi altro soggetto.

“Ti devo parlare”, mimarono invece le labbra dell'uomo. Marta annuì, poi riportò lo sguardo sulla folla. Non sapeva davvero cosa aspettarsi da una chiacchierata con quel ragazzo, ma sperò con tutta se stessa di non essere prossima a ricevere un'altra brutta notizia, non proprio adesso che il tour era ricominciato e che la sua storia con Zacky era definitivamente chiusa e lontana migliaia di chilometri da lei.

“Grazie! Ci si vede a Berlino!”, ansimò Brandan e la folla urlò e applaudì senza sosta. Eccolo lì davanti a loro, il calore per cui Marta aveva provato nostalgia.

Prima di abbandonare il palco, l'intera band si riprodusse in un inchino. Infine, quando stavano per mettere piede nel backstage, Jona le si affiancò e schiarì la voce. “Allora... hai un minuto per me?”

Marta fece una smorfia. “Certo.”

“Ci beviamo qualcosa insieme, ti va?”

“Dammi il tempo di sistemarmi, allora.”

“D'accordo. Credi possa bastarti un quarto d'ora?”

“Me lo farò bastare.”

Così un quarto d'ora dopo Marta era ancora nel backstage, con indosso vestiti asciutti e caldi e con i capelli raccolti in uno chignon piuttosto imperfetto. Il clima freddo del marzo tedesco le gelava le ossa e le faceva rimpiangere la California e il sole che la caratterizzava per buona parte dell'anno. Guardò Jona avvicinarsi con le mani nelle tasche dei jeans, stretto nelle spalle, e ringraziò quando le venne offerta la giacca di pelle che, stando a quanto le era stato detto, era stata portata fin lì appositamente per lei.

“Dove vuoi andare?”

“Non conosco nessun posto a Berlino, perciò...”

“D'accordo, allora cominciamo a camminare e vediamo fin dove ci portano i nostri passi.”

Jona era alto all'incirca come lei, aveva il corpo coperto di tatuaggi e piercing e i suoi capelli arancioni risaltavano i magnifici occhi azzurri, eppure Marta non riusciva a trovare nulla di così interessante in lui. Non che esistesse qualche specifica legge secondo la quale dovesse provare attrazione per ogni uomo con cui avesse a che fare, comunque. Il pensiero ripercorse la storia al contrario e tornò alla prima volta che il suo sguardo aveva incrociato quello di Zacky, e subito un brivido la costrinse a stringersi addosso con più forza la giacca.

“Di cosa volevi parlarmi?”, domandò a bruciapelo. Tanto valeva arrivare dritti al punto senza tirarla troppo per le lunghe, no?

Jona le indicò un'insegna a neon verde e bianca e attese la sua benedizione per entrare. Il pub in cui entrarono era piccolo, puzzolente e alquanto squallido, ma Marta pensò di poterselo far andare bene, a patto di non trascorrere là dentro tutta la serata.

“Ho notato che c'è qualcosa che non va”, disse lui mentre prendevano posto intorno ad un tavolo quadrato. “Con me.”

“Ti sbagli: la band è entusiasta di averti a bordo e...”

“Scusa, non mi sono spiegato bene. Parlavo di te. Mi tieni alla larga nemmeno fossi un cane randagio.”

Jona era un tipo schietto, a quanto pareva, dote che Marta apprezzava ora molto più di un tempo. “No, ti sbagli. Non ho niente contro di te.”

“Ma non hai niente nemmeno a favore, o sbaglio?”

“Non prenderla come una cosa personale”, suggerì docilmente. “Piaci anche a me, in realtà, ma prima di te...”

“Lo so. Prima di me c'è stato un idiota che ha mandato a puttane ogni cosa”, la interruppe gesticolando con le mani tatuate. Marta si guardò intorno, decisa a ordinare, ma nessuno sembrava essersi accorto della loro presenza. “E anche tu mi piaci, se è per questo. Perché credi che ti abbia chiesto di bere qualcosa insieme, altrimenti?”

La fronte di Marta si aggrottò e lo sguardo le si indurì un poco. Cosa aveva appena detto? Doveva senz'altro aver capito male.

“Che cosa hai detto?”, domandò infatti con un filo di voce.

“Che mi piaci, mi sei simpatica.”

La simpatia era un terreno neutrale, se non altro. Era simpatica ad un mucchio di gente e non per questo pensava di esser la protagonista delle fantasie perverse di ciascuna di quelle persone.

“Grazie, lo sei anche tu.”

“E sei anche carina, se è per questo.”

“Jona...”

“Ma questo non significa che ci proverò mai con te”, sbuffò l'uomo abbandonandosi contro lo schienale della sedia, squadrandola con un sopracciglio alzato. “Ho capito qual'è il tuo problema: credi che mi comporterò come quel bruciato del vostro ex chitarrista soltanto perché il mio modo di vivere alla giornata somiglia al suo, ma non potresti sbagliarti di più. Sono entrato nella band dopo varie prove, lo sai, e non intendo bruciarmi quest'occasione per una scopata – senza offesa.”

“Nessuna offesa. Anzi, sono felice di sentirtelo dire.”

“Non prenderla a male, ma non è detto che tutti i chitarristi del mondo vogliano stare con te. Voglio dire, sarebbe bello stare con te, ma non a tutti interessa farlo sul serio, mi sono spiegato?”

Marta sorrise divertita. “Perfettamente.”

“E poi la vuoi sapere una cosa?”, domandò retoricamente l'uomo mentre richiamava l'attenzione di un cameriere. “Sono più un tipo da bionde... la tua amica regista è proprio sicura di voler sposare quel tizio?”

“Mi sa di si”, prese a ridere, poi ordinarono.

“E tu? Dato che siamo in vena di confessioni, puoi anche darmi qualche particolare in più. È da quando sono arrivato che sento nominare un certo Zacky, anche se nessuno vuole parlarne.”

“È strano che tu ne abbia sentito parlare, in realtà... non c'è molto da dire.”

“Imparerai a conoscere la mia curiosità... va avanti da molto?”

“Tu non li leggi i giornali, Jona?”

“Dovrei leggerli?”

“Se li avessi letti avresti saputo che la cosa non va più avanti da un po'.”

Jona restò immobile per qualche secondo, gli occhi sgranati. Per un attimo Marta pensò di dirgli che era tutto uno scherzo, giusto per toglierlo dall'impiccio di aver posto la domanda sbagliata, ma poi ripensò che era tutto dannatamente vero e decise che la cosa più estrema che poteva fare per metterlo a proprio agio era quella di tirare un sorriso e controllare la situazione delle loro bibite.

“Sta' tranquillo, a me è passata”, disse cercando di risultare convincente e quando Jona sollevò le spalle, Marta immaginò di esserci anche riuscita. Ma poi lo sentì inspirare a fondo e percepì una mano calda sulla spalla.

“Se mai finirà questo periodo di negazione... ricorda che la mia cuccetta è quella adiacente alla tua.”

 

*

 

18 Marzo 2007

Il cellulare prese a suonare ad un volume incredibilmente alto e Alice saltò giù dal letto in preda al malumore. Brian, accanto a lei, continuava a dormire come un bambino e l'orologio segnava le sette e cinque.

“Porca misera, Max, che ti salta in mente?”, bisbigliò abbandonando la camera da letto con la vestaglia sistemata maldestramente sulle spalle. “Il sabato a quest'ora la gente sta dormendo!”

“Ma tu non sei la gente, Ali. Me l'hai insegnato tu a forza di piccole lezioni quotidiane, ricordi?”

Alice sbuffò appena e, ormai approdata in cucina, versò un bicchiere d'acqua. Il sonno, per quella mattina, era da considerarsi morto e sepolto. “Dimmi tutto.”

“Ho bisogno di parlarti.”

“E allora parla.”

“Preferirei farlo di persona. Pensi di riuscire a farti trovare in studio tra una ventina di minuti?”

La donna calcolò mentalmente il tempo necessario a darsi una sistemata, indossare qualcosa di presentabile e salire in auto. “Facciamo mezz'ora?”

“D'accordo. So che è una richiesta strana, la mia, ma non posso proprio rimandare questa chiacchierata. Le cose importanti vanno affrontate di petto.”

“Sicuro di non potermi anticipare niente?”

“Vieni in studio e saprai tutto quanto.”

Alice tornò in camera da letto e si vestì in fretta e furia con gli indumenti che trovò sul pavimento, gli stessi che Bian le aveva tolto la sera precedente.

“Ehi, pulce”, mormorò l'uomo senza sollevare la testa dal cuscino. “Che ci fai in piedi a quest'ora?”

“Shh, continua a dormire. Ho una cosa da sbrigare.”

“Vuoi che venga con te?”, domandò con uno sbuffo.

“No, voglio che chiudi gli occhi e ti riposi”, insistette stampandogli un bacio sulle labbra gonfie. Ci mancava solo che Simon le facesse l'ennesima piazzata per via delle occhiaie del suo chitarrista di punta, come aveva iniziato a chiamarlo il manager da qualche settimana a quella parte. “Probabilmente tornerò prima che suoni la tua sveglia.”

La mano di Brian strinse la sua con un po' più forza, facendo avvicinare Alice al letto, e le regalò un sorriso sghembo dei suoi. “Quando torni ti voglio in cucina senza mutandine.”

“E se arrivo mentre stai ancora dormendo?”, stette al gioco. Negli occhi del marito passò un lampo di malizia.

“Non capiterà.”

“Come fai ad esserne sicuro?”

“Ho sviluppato un sesto senso per i tuoi spostamenti. E mi hai messo addosso così tanta voglia di sbatterti sul tavolo della cucina da non esser nemmeno sicuro di riuscire ad addormentarmi di nuovo.”

“In tal caso, Mr. Haner...”, sorrise Alice levandosi in piedi, infilando una mano sotto la gonna per disfarsi senza troppe cerimonie degli slip rossi che indossava. Brian si tirò a sedere e afferrò quel piccolo pezzo di stoffa squadrando Alice con sguardo famelico. Sotto le coperte, tra le sue gambe, stava evidentemente avvenendo una rivoluzione.

“Ora che le hai tu, puoi stare tranquillo che non le indosserò in cucina.”

“Non penserai davvero di andartene, adesso.”

La tentazione a rimanere era così grande da impedire ad Alice di muovere anche un solo passo. Da quella posizione riusciva ad avere un'ottima visuale sul marito e l'idea di sapere cosa avesse da dirle Max, adesso, non sembrava più così entusiasmante. Forse avrebbe potuto chiamare il suo capo e dirgli che avrebbe tardato, nonostante non fosse da lei dimostrare così scarsa professionalità.

“Mi aspettano per parlare di una cosa importante...”, cominciò con voce vellutata, scrutando il leggero movimento che stava ora animando le coperte. Brian ansimò appena, dedicandole un'occhiata ipnotizzante, e d'un tratto ad Alice non importò più nulla della puntualità e dell'incontro con Max. Con gesto veloce aprì la zip e la gonna cadde a terra, mentre le coperte si scostavano e mostravano la carne nuda e dura del marito. Al diavolo la professionalità, Max avrebbe capito.

Intorno alle otto e quaranta, Alice abbandonò definitivamente le coperte. Questa volta si sarebbe vestita, avrebbe lavato i denti e la faccia e poi sarebbe uscita alla volta dello studio munita di telefono con cui chiamare Max e faccia tosta con cui spiegargli il motivo del ritardo. Beh, non proprio quel motivo. Era certa che 'mio marito aveva bisogno del mio supporto' sarebbe stato quanto di più convincente e sincero potesse dire senza rivelare particolari osceni che le sarebbero probabilmente costati la faccia e il posto di lavoro.

“Alla buonora, Ferri”, la accolse invece Max, completamente privo di comprensione, una volta che mise piede in studio. “Ti ho chiamata due ore fa.”

“Te l'ho detto: Brian aveva...”

“Lascia stare, non mi interessa sapere che genere di bisogno avesse tuo marito.”

“Non mi pare il caso di essere così scortese. Ti ho chiesto scusa!”

“Lo so, lo so...”, sbuffò l'altro e le fece cenno di sedersi. Alice aggrottò la fronte e fece come le era stato suggerito, accettando anche il bicchiere di succo di frutta che Max le mise davanti al naso. Anche Zoya andò a sedersi vicino a loro, mugolando in attesa di ricevere attenzioni.

“Di cosa volevi parlarmi?”

“Una cosa importantissima...”

Restarono in silenzio per qualche secondo e, quando Alice pensò di spronarlo a parlare, Maximilian decise di spiegarsi meglio.

“La mia famiglia ha bisogno di me... ricordi il viaggio di qualche mese fa? Quando ti ho lasciata da sola ad occuparti del progetto dei Megadeth?”, domandò retoricamente e Alice annuì in silenzio, perplessa dalla piega che stava prendendo la conversazione. “Beh, mio padre è stato poco bene e poco dopo anche mia madre si è ammalata. Insomma, la mia famiglia è tutto quello che ho. I miei genitori, Zoya...”

“Cosa stai cercando di dire...?”

“Lascio tutto. Mollo la casa, il lavoro... tutto. E mi trasferisco nella città dei miei genitori.”

Alice aprì la bocca per parlare ma subito la richiuse. Cosa dire? Maximilian non era uomo da fare colpi di testa o prendere decisioni poco ponderate, perciò la situazione doveva davvero essersi aggravata. “Mi dispiace”, mormorò.

“Non fa niente, Alice, è tutto ok. Prima o poi doveva succedere, l'importante per me è stargli vicino finché mi è possibile.”

“Certo, è la cosa migliore. Stargli vicino.”

Le tornarono in mente i suoi genitori: da quanto non li vedeva? Si sentivano per telefono, certo, ma il contatto umano era tutt'altra cosa. Decise che il giorno del matrimonio li avrebbe abbracciati stretti stretti a sé, ringraziandoli per averla cresciuta quale la tosta e cocciuta ragazza che era.

“Ma l'idea di chiudere lo studio mi fa male... l'ho aperto anni fa, contando soltanto sulle mie forze, e negli anni è diventato quello che è oggi: un punto di riferimento per artisti di tutto il mondo, una garanzia.”

Alice annuì con orgoglio.

“Per questo ho pensato di lasciare tutto a te.”

“A me?”

“Esatto. Sei sempre stata la migliore, qui dentro. I clienti chiedono sempre di parlare con te, in un certo senso sei riuscita a prevaricare sul tuo capo senza nemmeno accorgertene.”

Un ghigno divertito si aprì sul volto di Alice.

“Cosa ne pensi?”

“Penso che sei pazzo!”

“In senso buono?”

Gli gettò le braccia al collo e lo strinse in un abbraccio riconoscente. Ora che ci pensava, doveva a quell'uomo molte più cose di quante immaginasse.

“Allora?”

“Accetto! Lo farò: porterò avanti il tuo studio!”

“Ora è tuo.”

Maximilian sventolò davanti ai suoi occhi azzurri il plico di fogli che si rivelò essere il contratto per il passaggio di gestione dell'attività. Alice tirò un respiro profondo, poi prese la penna tra le dita sicure e firmò.



Credits: 'Afterlife' by Avenged Sevenfold.

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Capitolo 33
*** III - Critical Acclaim ***


 

PARTE TERZA
34.

CRITICAL ACCLAIM

 

Admitting mistakes can't hurt
I'm not the last but I sure ain't the first

 

12 Giugno 2007

La seconda parte del tour era terminata definitivamente e ciascuno di loro, in un modo o nell'altro, si era ritrovato catapultato a forza nella vita di tutti i giorni, quella fatta di corse mattutine e ritrovi in sala di registrazione per improvvisare qualcosa di nuovo. Luke aveva deciso che per i Bleeding Through era giunta l'ora di lavorare al successore di The Truth e nessuno aveva osato contraddirlo.

Quel pomeriggio le prove sembravano più promettenti del solito – così piene di riff e arrangiamenti e ritornelli improvvisati – e Marta si sentiva euforica e appagata come non le capitava da tempo; davanti a lei, Brandan sottolineava le parole appena scribacchiate e le ripeteva con enfasi mentre Brian socchiudeva gli occhi e canticchiava una melodia del tutto nuova, fermandosi soltanto per appuntare qualcosa sul suo quaderno. Derek e Ryan, intanto, improvvisavano una jam session ritmica sulla quale Jona, di tanto in tanto, strimpellava qualche nota, con l'intenzione di non perdere nemmeno la più piccola delle possibilità di entrare in contatto con la tablatura del secolo.

“Ehi, Peterson, pensi di dare un qualche apporto alle prove, oggi?”, ironizzò Brandan attirando le risatine di tutti gli altri. Marta gli mostrò la lingua e si avvicinò a lui sul divano, lasciandocisi cadere a peso morto.

“Fa' un po' vedere, va”, disse strappandogli dalle mani il block notes. I testi di Brandan erano sempre molto incisivi, nonostante nella maggior parte dei casi fosse necessario aprire la mente e leggere tra le righe. Le parole che oggi erano appuntate sul taccuino erano nuove, innamorate. “È un'ode a mia sorella, per caso?”

“Ormai non può fare a meno di scrivere qualcosa per lei”, ironizzò Brian facendole l'occhiolino. Brandan gli rifilò uno scappellotto dietro la nuca e si riappropriò del block notes.

“Pensa per te, Leppke.”

L'appuntamento di qualche mese prima – più precisamente l'uscita a quattro che aveva visto Brian e Ryan approcciarsi a due turiste conosciute in hotel – aveva sortito l'effetto sperato: Lucy ed Emily, venticinquenni inglesi dall'aria acqua e sapone, erano di fatto diventate le ragazze dei due bulli. Certo, al momento la distanza oceanica che li divideva si faceva sentire, ma le due ragazze avevano già annunciato di propendere per un trasferimento 'di prova' a Los Angeles, che sarebbe avvenuto da lì a qualche mese.

“Magari quando Em sarà qui mi sentirò più ispirato.”

“No, zuccone. Quando quella poveretta sarà arrivata, la segregherai in casa e Dio solo sa quando rivedremo anche solo uno di voi due.”

“Invidioso?”, sorrise il chitarrista.

“Io?! Ma se con Kiki non faccio altro che...”

“Frena, frena, frena! Quante volte ti ho detto di non nominare mia sorella nella stessa frase in cui accenni al sesso, in presenza della sottoscritta?”, lo interruppe Marta con una smorfia, scaturendo le risatine di tutti i compagni di band.

“Bene, vedo che lavorare vi rende allegri”, commentò Luke facendo il suo ingresso con un pacchetto tra le mani. Marta lo osservò fermarsi ad un paio di passi da lei, per poi sollevare un sopracciglio. “Questo è per te.”

“Cos'è?”

“E io che ne so?”, sollevò gli occhi al cielo e lasciò che il pacco scivolasse tra le sue mani. Una scatoletta di cartone grezzo, poco profonda e recante la scritta a pennarello Per Nocciolina le si materializzò tra le dita.

“Di chi è?”, sbirciò Brandan oltre la sua spalla e Marta nascose subito il pacchetto con aria furba, strappandogli un'alzata d'occhi.

“Uno spasimante?”, ipotizzò Jona con interesse.

“Ma che spasimante!”

“E allora chi...?”

“Der, ti ci metti pure tu, adesso?”, ridacchiò. “È di Jimmy, d'accordo? Siete degli impiccioni, non vi si può mai nascondere niente.”

“Jimmy The Rev?”

Marta annuì solennemente.

“Perché dovresti nasconderci qualcosa che ti ha mandato Jimmy?”

“Oh, Dio! Tornate a suonare, io torno tra un secondo”, disse lasciandoli a bocca asciutta di informazioni, scomparendo oltre la porta dello studio.

Una volta in corridoio, Marta si concesse il lusso di aprire il pacchetto. Come previsto trovò la custodia e il cd amatoriali che aveva atteso così a lungo. Jimmy era stato di parola: la sera della festa a casa di Brandan e Kristine, la stessa in cui Scott le aveva rivelato ciò che aveva fatto per ostacolare la sua storia con Zacky, Marta aveva chiesto a Rev di farle un favore; per via di quella scommessa fatta mesi prima, la tastierista aveva guadagnato il diritto di domandare ai due sconfitti qualsiasi cosa le passasse per la testa, e quella sera, la fatidica sera, aveva finalmente deciso di recuperare ciò che le spettava. La sua era stata una richiesta legittima, dopotutto: le cose con Zacky erano destinate a zoppicare per un altro po' di tempo prima di rimettersi a posto del tutto – o almeno così credeva prima di ricevere da Vanessa il colpo di grazia che l'aveva convinta a voltare pagina – e l'idea di ripartire per il tour e lasciare alle proprie spalle lui e tutti gli altri (nonostante il matrimonio della sua migliore amica con uno di loro le impedisse di allontanarsi da quelle persone in modo definitivo) non le piaceva nemmeno un po'. Aveva imparato a voler bene a ciascuno di loro, con tutti i pregi e i difetti di sorta. Augurava loro soltanto il meglio dalla vita ed era convinta che il nuovo album sarebbe stato tanto sconvolgente da arrivare ai vertici delle classifiche musicali di tutto il mondo. Ma ricordava di aver scritto per loro una melodia che Jimmy aveva adorato fin da subito e, nel suo piccolo, sperava di poterli aiutare ancora... e lì era nata l'idea. Scriveva musica da sempre, non riusciva nemmeno a ricordare quando aveva cominciato a farlo, e aveva da parte spartiti su spartiti inutilizzati; i Bleeding Through avevano un'identità precisa e non tutte le composizioni si adattavano correttamente al genere suonato. E allora cosa fare di tutti quegli appunti? Le venne in mente di darli a qualcuno di cui le importasse davvero, qualcuno per il quale avrebbe sempre preso le parti. Degli amici. Jimmy si era immediatamente detto d'accordo, accettando il suo aiuto senza troppe cerimonie e la questione aveva preso il volo.

La sua richiesta, di fatto, era stata quella di lasciare che li aiutasse, per quanto le fosse possibile.

Ora, a distanza di mesi da quell'ultima volta in cui aveva portato a Jimmy e a Matt il plico di vecchi spartiti collezionati nel corso degli anni, il frutto del duro lavoro di quegli amici a cui aveva regalato un pezzo di sé era tra le sue mani.

Doveva ascoltarlo e subito. Sicuramente Alice aveva già avuto modo di imparare a memoria ogni testo o riff, forte dell'esclusività che solo le compagne di un musicista possono avere nei confronti della musica del proprio uomo, ma adesso toccava a lei. Si diresse verso una saletta poco distante da quella in cui si trovavano i ragazzi e chiuse a chiave la porta. Poi inserì il cd nel lettore e socchiuse gli occhi, lasciandosi trasportare in un altro Universo da quelle nuove note magistralmente suonate. Il foglio all'interno della custodia sosteneva che il nome di quella prima traccia fosse Critical Acclaim e, per pura ironia, Marta nell'ascoltarla stava appunto fantasticando sul magico momento in cui la critica di tutto il mondo avrebbe deposto le armi, cominciando ad osannare quel gruppo meritevole. Neanche a dirlo, l'organo iniziale era stata una sua proposta... avevano preso alla lettera la sua richiesta, dunque! Il cuore aveva aumentato il ritmo dei battiti, stregato.

 

From: Marta; To: The Rev;
Jun. 12, 2007 – 04.24 p.m.
Ma cosa siete diventati?! Trabocco di ORGOGLIO

 

From: The Rev; To: Marta;
Jun. 12, 2007 – 04.30 p.m.
Felice che ti sia piaciuto, ma tieni le lacrime per il matrimonio!
Ti ricordo che hai una migliore amica fuori dalle righe che potrebbe
prendere a male l'aridità degli occhi della sua damigella d'onore

 

From: Marta; To: The Rev;
Jun. 12, 2007 – 04.32 p.m.
Alla faccia della sposa 'fuori dalle righe'...! Ah-ah!
Scherzi a parte: l'album è meraviglioso. Non ho parole

 

From: The Rev; To: Marta;
Jun. 12, 2007 – 04.36 p.m.
E non hai ancora visto il booklet ufficiale!
Tempo al tempo, Nocciolina!
Ci si vede all'altare (sarò quello bello, in piedi accanto allo sposo)

 

From: Marta; To: The Rev;
Jun. 12, 2007 – 04.37 p.m.
Grazie per la dritta!

 

Li adorava. Sapeva bene di dover tornare a lavoro sul nuovo album della sua band, ma lasciare quell'ascolto si stava rivelando piuttosto arduo. Restò immobile ancora per una manciata di secondi, poi si decise a raggiungere gli altri e a concentrarsi sul testo che Brandan le aveva fatto leggere poco prima.

Era tempo di rimboccarsi le maniche e tirare fuori le unghie per dimostrare al mondo, ancora una volta, cosa sapevano fare.

 

From: The Rev; To: Marta;
Jun. 12, 2007 – 04.40 p.m.
Ecco: so che sarà difficile, ma resta concentrata sul sottoscritto...
Altrimenti sono cazzi per tutti!!!!

 

Ridacchiò di quell'ultimo sms, nonostante fosse chiaro che il suggerimento di Jimmy fosse mirato a lei e a Zacky, e si sistemò dietro la tastiera con aria pensierosa. Il matrimonio tra Alice e Syn era alle porte – mancava meno di un mese, ormai – e Marta era decisa ad arrivarci preparata. Zacky era ormai solo un ricordo, no? Cosa sarebbe potuto succedere?



Credits: 'Critical Acclaim' by Avenged Sevenfold.


n.A.: Capitolo introduttivo, mi rendo conto che è un pò corto e nemmeno troppo interessante. Chiedo venia e vi rimando al prossimo capitolo che vedrà nientepopodimeno che lo svolgersi del matrimonio di Alice e Syn! A presto!
rose_

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Capitolo 34
*** III - Rocket Queen ***


 

PARTE TERZA
33.

ROCKET QUEEN

 

If you need a shoulder or if you need a friend
I’ll be here standing until the bitter end

 

27 Aprile 2007

“Tini!”, esordì Alice quando l'amica rispose al telefono. “Si può sapere dove sei?”

“Ancora nel backstage, purtroppo... tu sei già arrivata?”

Avevano deciso di incontrarsi davanti al tour bus dei Bleeding Through, in quel di Milano. Alice si trovava in Italia per esigenze lavorative, mentre Marta era lì per l'ennesima tappa del tour.

“Certo! Ho guardato tutto il concerto, cosa credi?!”, sorrise e scosse la testa, incredula. Non si vedevano da mesi, ormai, e la coincidenza di trovarsi in Italia proprio negli stessi giorni era troppo ghiotta per lasciarsela scappare. “Sbrigatevi!”

“Ci liberiamo di Luke e arriviamo!”

Come promesso, una manciata di minuti più tardi, la tastierista e la regista poterono abbracciarsi. Era la prima volta che si vedevano da quando era ricominciato il tour, nonostante si sentissero telefonicamente quasi ogni giorno.

“Hai fatto un buon viaggio?”

“Non direi. Avevo dimenticato quanto fosse snervante il jet-lag.”

“A chi lo dici!”, sorrise la musicista guardandosi intorno. “Gli altri dovrebbero essere qui a minuti.”

“Bene, perché non vedo l'ora di mettere qualcosa sotto i denti.”

“Non hai mangiato niente, oggi?”

“Prima di partire ho avuto da fare. Sai... Brian, lavatrice in funzione, vestiti a terra... certe cose non puoi proprio interromperle per mangiare un panino.”

“Direi proprio di no.”

“E quindi sono arrivata in aeroporto in ritardo, ho fatto il check-in in fretta e furia e sono venuta qui.”

“Beh sono contenta di sentire che le cose con tuo marito vanno a gonfie vele”, le sorrise caldamente. “Sai che...”

“Certo che come amica lasci un po' a desiderare, Marta”, esordì Jona parandosi davanti a loro con espressione sorniona, insofferente all'idea di aver interrotto un discorso a metà. “Arriva questo schianto di donna e tu nemmeno ci presenti!”

Marta fulminò con lo sguardo il compagno di band, per poi rivolgersi alla diretta interessata. “Questo strano individuo è Jona, il nostro nuovo chitarrista”, spiegò mentre rivolgeva lo sguardo al ragazzo. “E lei è Alice, la mia migliore amica. Ora che conosciamo tutti i nostri nomi, che ne dite di cercare un posto in cui fare cena? Gli altri dove si sono andati a cacciare?”

Alice... spagnola? Italiana?”

“La seconda.”

“Ah! Ho sempre amato le donne italiane.”

“E sei mai stato ricambiato?”, ironizzò Brandan strizzando l'occhio a Marta mentre lasciava un bacio tra i capelli biondi dell'amica. “Sei arrivata da tanto?”

“Abbastanza da appurare che siete sempre i soliti animali da palcoscenico! La gente era in visibilio!”

Io sono in visibilio”, puntualizzò Jona squadrandola con occhi sognanti. “In totale, fottuto visibilio.”

“Piantala, scemo, così la spaventi”, lo rimbeccò Derek salutando la nuova arrivata con un fugace abbraccio. “Il consorte come sta?”

Tutti sorrisero al suono di quella domanda dal gusto retrò, poi Alice spiegò che Syn era rimasto a Los Angeles per un photoshoot legato al nuovo album la cui uscita era ormai imminente e che lei, considerato il suo nuovo status di capo di uno studio importante come il suo, era dovuta volare fino in Italia per incontrare una band e discutere della registrazione di un dvd live. Non aveva aggiunto altro. La solita scaramantica.

“E il nome dei fortunati che stai seguendo sarebbe...?”, si informò Jona mentre il gruppo cominciava a camminare.

“Non posso dire nulla, non fino a che non avrò un contratto firmato tra le mani, ma vi anticipo che è una band che non ha nulla di cui spartire con voi. La vostra egemonia è al sicuro”, ironizzò la donna, attirando sbuffi divertiti da parte di tutti i presenti. “I due bulli non si fanno vedere, stasera?”

“Hanno detto di avere qualcosa da fare”, Derek scrollò le spalle.

“Questioni di cuore...”

Quattro paia di occhi sconcertati inchiodarono il nuovo chitarrista al muro. Era la prima volta che avevano a che fare con una notizia del genere, dal momento che Ryan e Brian non erano mai sembrati particolarmente affezionati al genere femminile, e Marta dovette mordersi la lingua per non saltare subito al collo di Jona come in preda ad improvvisa astinenza da informazioni.

“Questa mi è nuova...”, borbottò Brandan grattandosi distrattamente la nuca. “E poi: tutti e due? Non è che le loro questioni di cuore, come le chiama Jona, si risolvono tra di loro?”, ridacchiò.

“Ma figuriamoci! Hanno trovato due povere donzelle che girovagavano per l'hotel e le hanno invitate a cena.”

“Tenendo presente la loro routine tutta casa e bravate di coppia, direi che è già un passo avanti”, commentò Derek con un certo buonumore. “Saranno arrivati alla conclusione di aver patito la solitudine per troppo tempo.”

“Se non altro si sono decisi a frequentare due esemplari di genere femminile...”

“Grazie della considerazione, Brand.”

Marta scoppiò a ridere di fronte all'espressione di sufficienza che campeggiava ora sul viso della sua migliore amica.

“Nessuna di voi due è mai stata abbastanza fuori di testa da pensare di poter uscire con uno di loro. Ergo: per loro siete due buone amiche. Ergo: gli esemplari di genere femminile di cui parlavano non si limitano a pacche sulla spalla e a scherzi di cattivo gusto. Permalose che non siete altro.”

“I nostri scherzi non sono mai di cattivo gusto”, ribatté piccata la tastierista, sollevando nuovamente l'ilarità generale. “Credete sia meglio ricordar loro che domani abbiamo un altro concerto?”

“E perché?!”, s'insinuò Alice, una vena di sarcasmo a colorare il tono della voce. “Se c'è una cosa che voi straight-edge mi avete sempre insegnato è proprio che siete innocui... termineranno la serata con un baciamano e torneranno nelle loro stanze, vedrete.”

Marta roteò gli occhi con divertimento, mentre Jona alzava le mani con espressione birichina. “Io non lo sono.”

“Beh, dovresti esserlo, amico mio”, lo riprese Brandan circondandogli le spalle con il braccio e trascinandolo lontano dalle due donne. “Se vuoi un consiglio, lascia perdere: il marito è una testa calda e lei non è da meno”, mormorò poi.

“Quello l'avevo capito. Per questo mi eccita così tanto”, rispose di modo che la diretta interessata potesse sentirlo. Marta gli lanciò un pacchetto di fazzoletti ancora intatto, colpendolo su un orecchio, e Jona si lasciò sfuggire una risata.

“Piantala di fare il cascamorto e guarda dove metti i piedi”, gli suggerì il batterista parandoglisi accanto, mentre le due amiche, pochi metri davanti a loro, scoppiavano a ridere come due ragazzine.

 

*

 

Era stata una serata allegra, risanatrice. Il clima era tornato quello familiare che un tempo vigeva all'interno del loro gruppo di amici: avevano scherzato, discusso, brindato – acqua per tre di loro, birra per i restanti due – e il tempo era trascorso così velocemente da prenderli letteralmente in contropiede.

Durante il ritorno, Marta aveva contato mentalmente le ore che li separavano dalla sveglia, dalla conseguente intervista mattutina e dai preparativi per la tappa della sera successiva. L'idea di salutare Alice, però, la rattristava molto più del pensiero delle poche ore di sonno che la attendevano.

“Sei sicura di non dover tornare nel tuo hotel?”, domandò Marta estraendo dalla tasca dei jeans la card che avrebbe aperto la porta della sua camera.

“Certo. Sono il capo di me stessa, scelgo io dove passare la notte. Non ci vedremo per un altro po' di tempo e quindi ho deciso che stasera voglio addormentarmi tra le chiacchiere con la mia migliore amica, come facevamo quando eravamo ragazzine.”

Il tono di Alice era brillo, leggermente impastato dall'alcool.

“Non smettevamo un secondo di parlare”, ricordò Marta con un sorriso ricolmo di affetto. “E mia sorella ci combatteva lamentandosi a ripetizione, quando non poteva unirsi a noi.”

“Che razza di casiniste.”

Marta annuì e cambiò gli abiti con una t-shirt extra large di quelle che usava abitualmente per dormire. “Peccato che non possa essere qui con noi, adesso.”

“Il lavoro non perdona”, commentò Alice afferrando una maglietta simile dalla valigia dell'amica. “Ti spiace se metto questa?”

La scritta Vengeance University campeggiava sfacciata sulla stoffa bianca e Marta ebbe quasi un sussulto. Aveva dimenticato di averla portata con sé. Era l'ultima cosa che le rimaneva di Zacky e della loro breve seppur intensa parentesi.

“Oh, quella... È tutta tua.”

“Senti, Tini, so che è passato del tempo ormai, ma voglio dirti una cosa.”

“Credo di sapere di cosa vuoi parlare.”

“No, invece, non lo sai.”

Marta si sedette a gambe incrociate tra le lenzuola, seguita a ruota dall'amica. Gli occhi di Alice erano divenuti stranamente seri.

Lui sa cos'è successo con Scott. I ragazzi glielo hanno riportato, il giorno dopo la festa.”

“Beh, non si è nemmeno degnato di rispondere ai messaggi o alle chiamate, perciò immagino non gli importasse poi molto della verità. Anzi, con la ex tra i piedi avrà avuto il suo bel da fare.”

“Lascia perdere quella là. Ha dato di matto. Ha cominciato ad urlare e ha dato un pugno ad un cassonetto dell'immondizia”, Alice sorrise appena. “Per qualche giorno non ha quasi potuto usare quella mano.”

“Per la gioia di tuo marito...”, ironizzò l'altra.

“Ah, Brian non aspettava altro che quello per lanciargli le solite frecciatine.”

Che bullo.”

Restarono in silenzio per qualche secondo, sorridendo al pensiero di due rockstar come Synyster Gates e Zacky Vengeance impegnate in un eterno battibecco su quale dei due fosse il chitarrista più meritevole, poi Marta sospirò.

“Comunque ormai è tardi. Si vede che non era destino.”

“Oh, ma non volevo convincerti a tornare da lui.”

“Lo so, ma...”

“Sta' tranquilla, è l'ultima volta che ti parlo di lui. Volevo solo che tu lo sapessi.”

Improvvisamente gli occhi della tastierista si illuminarono. “Coso”, disse lasciandosi cadere all'indietro sul materasso. “Lo chiami ancora così?”

“Ovvio! È divertente.”

“Lo è”, sorrise fissando il soffitto. “Hai già preso l'abito da sposa?”

“Ne ho visto uno passabile, ma sai che ho gusti difficili. E qualcuno che aveva promesso di aiutarmi non è stato di parola.”

La tastierista cominciò a ridere, contagiando anche l'amica. Qualcuno dalla stanza accanto bussò al muro, intimando loro di fare silenzio, e la risata si fece più accesa, portandole alle lacrime. “Questo mi ricorda Las Vegas.”

“Lo ricorda... a te?!

“Tini, facevate un casino infernale, voi due.”

“Voi, piuttosto! Pareva ci fosse un tornado, in quella stanza.”

Alice fece l'occhiolino. “Ora capisci perché l'ho sposato.”

“Credevo fosse per il suo secondo nome...”

Un altro accesso di risate le investì come un fiume in piena, facendo impazzire di rabbia i vicini di camera che, evidentemente sul piede di guerra, cominciarono a sbattere qualcosa di particolarmente duro contro la parete.

“Un altro colpo e fai un buco, genio!”, urlò Alice in un italiano perfetto e il martellio cessò d'improvviso. Marta adorava i modi spicci dell'amica; erano sempre stati una sorta di marchio di fabbrica per lei e constatare che, nonostante il passare degli anni e il susseguirsi di nuove esperienze, la situazione non era affatto cambiata, la faceva sentire a casa, protetta.

Il cellulare di Alice suonò improvvisamente e lei, scusandosi per il baccano che quell'aggeggio infernale aveva prodotto facendole spaventare, abbandonò le coperte e si diresse in bagno con passo felpato. Dal tono di voce suadente che aveva adottato doveva trattarsi senza dubbio di Syn. Marta pensò potesse rivelarsi una telefonata piuttosto lunga, così si girò su un fianco e chiuse gli occhi. Se il sonno fosse sopraggiunto, perlomeno, l'avrebbe trovata pronta ad accoglierlo. Pensò al discorso di poco prima: Zacky aveva saputo di Scott, ma aveva preferito restarsene a casa insieme alla sua adorata ex – e permetterle di rispondere al telefono e elargire informazioni che non la riguardavano nemmeno – anziché scomodarsi a mettersi in contatto con lei. Sarebbe bastato un messaggio, qualcosa che le facesse capire che forse non tutto era perduto.

Basta. In fondo nemmeno lei aveva più mosso un passo nella sua direzione. Forse aveva ipotizzato il vero: forse non era destino che le cose tra loro andassero in quella direzione rosea che avevano intrapreso all'inizio della loro relazione.

E ora, per quanto la riguardava, quella era una storia chiusa, morta e sepolta.

 

*

 

28 Aprile 2007

“Allora in bocca al lupo per il contratto e fai buon viaggio”, le augurò Marta abbracciandola stretta stretta. Alice ricambiò e tra il gruppo si levò un mormorio generale di soddisfazione. Chissà su cosa stavano fantasticando, quei piccoli pervertiti. Brian, suo marito, come minimo avrebbe voluto i dettagli inerenti alla nottata, nemmeno il fatto di dormire insieme alla propria migliore amica significasse abbattere ogni barriera e lanciarsi in un'avventura saffica o cazzate simili. “Fammi sapere com'è andata.”

“Crepi il lupo. Ti chiamo a cosa fatta”, rispose lei con una smorfia. La sua scaramanzia non era andata a scemare, nel corso degli anni, e lei continuava a non amare parlare con anticipo dei propri progetti.

“E saluta Syn.”

“Così sembra che tu stia partendo per la guerra, Marta”, ironizzò Brandan.

“Zitto, tu. Non la vedrò per mesi, ho tutto il diritto di fare un elenco!”

“Ma non vi sentite tutti i giorni?”, s'informò Ryan, che questa volta si era fatto vivo insieme al suo degno compare per salutare l'amica che se ne stava andando, e Alice annuì allegra.

“Al diavolo, salutatela voi allora!”, finse di mettere il muso la tastierista, tra l'ilarità generale. Nonostante la metamorfosi intrapresa dopo la rottura con Zacky, i lati più materni del carattere di Marta erano rimasti intatti.

Certe cose non cambieranno mai.

“Credo di averti conosciuta nel momento sbagliato, dolcezza”, le disse Jona in un sussurro e Alice scosse la testa divertita. “Se solo non avessi un marito...”

“Sei perfetto per questa band, Jona”, lo abbracciò affettuosamente. “Ci vediamo al mio matrimonio.”

“Bang! Colpito e affondato”, ridacchiarono i due bulli.

“Va beh, io ci ho provato.”

“Te l'ho detto: lascia perdere. Tra lei e il marito non so chi sia più dissacrante.”

“Lo prendo come un complimento, Brand”, roteò gli occhi.

“Fa' buon viaggio.”

Terminarono i saluti, gli abbracci e le ultime battutine sciocche che erano soliti scambiarsi fin dall'adolescenza, poi Alice girò i tacchi e raggiunse il taxi che la attendeva fuori dall'hotel. Aveva ancora un'ora a disposizione prima di incontrare i nuovi possibili clienti, perciò pensò a cosa potesse fare. In America doveva essere notte, ormai, ma era certa che il marito non avrebbe fatto storie di fronte ad una sua telefonata.

“Buongiorno, Mr. Haner.”

“In Italia non esistono orologi?”, il tono tradiva un sorriso, nonostante fosse roco e assonnato. “Che succede?”

“Sto andando a chiudere l'accordo.”

Brian sembrò destarsi maggiormente, dall'altro lato della cornetta. “Cosa posso fare per lei, Mrs. Haner?”

Alice occhieggiò il tassista che la stava guardando con perplessità attraverso lo specchietto retrovisore e gli sorrise appena. “È una telefonata di lavoro, le dispiace...?”, gli disse in italiano e l'uomo annuì gravemente, per poi tornare a prestare attenzione alla strada. Alleluja.

“Convincimi che andrà tutto bene.”

“Non vedo come possa andare male, pulce.”

Alice restò in silenzio per una manciata di secondi. Si era sempre considerata alla stregua di un Katerpillar, di quelli che procedono sempre dritto e, se necessario, demoliscono gli impedimenti lungo la strada uno ad uno. Ma adesso che si ritrovava a chilometri dalla propria vita, sola e in procinto di buttarsi a capofitto in un progetto che poteva rivelarsi l'inizio di una lunga serie di grandi soddisfazioni, l'unica cosa di cui aveva sentito il bisogno era stata ascoltare la voce di Brian. Sicura, psichedelica, eccitante.

“Tu sei un fottuto treno in corsa, cazzo.”

Alice sentì un sorriso distenderle il viso. “Io sarei un treno?!”

“Un bellissimo e indistruttibile treno”, spiegò. “Non lasciare mai che qualcosa o qualcuno ti fermi.”

“Tu l'hai fatto. Ieri a momenti perdevo l'aereo.”

“Ma io non faccio testo. E poi non mi sembravi particolarmente reticente.”

“Amo le lavatrici”, ironizzò maliziosa.

“E io amo te nuda sulla lavatrice”, la voce ormai ridotta ad un sussurro erotico.

“Attento alla piega che fai prendere alla conversazione. Sono ancora sul taxi.”

“In effetti ti scoperei anche là sopra...”, mormorò con voce sempre più roca.

“Sul serio...”

“Ti sbatterei sul sedile posteriore e...”

“Brian...”, sembrò quasi gemere. “Conserva queste fantasie per quando sarò tornata in albergo.”

Il respiro del marito, profondo e veloce fino a quel momento, sembrò calmarsi appena. “Per che ora credi di tornare là dentro?”

“Un paio d'ore.”

“Cristo.”

“Sempre fine.”

“Sempre eccitante da morire.”

Alice socchiuse gli occhi e pregustò un piccolo anticipo di ciò che sarebbe successo un paio d'ore dopo, ringraziando tacitamente per l'ignoranza che il Bel Paese dimostrava nei confronti delle lingue straniere. Strinse maggiormente le gambe e sospirò. Il passo tra il sesso telefonico e la denuncia per atti osceni in luogo pubblico, in momenti come quello, era davvero molto breve.

“Sono arrivata.”

“Fagli vedere chi sei, pulce.”

“Ti chiamo più tardi.”

Alle labbra di Brian sfuggì un grugnito. “Non metterci troppo.”



Credits: 'Rocket Queen' by Bleeding Through.


n.A.: Ma buongiorno! So che di solito pubblico il lunedì ma questa volta ho un buon motivo per farlo di sabato: domani e dopodomani si festeggia! Perciò, dato che non so se e in che stato riuscirò a pubblicare, eccomi qui in anticipo. Buona Pasqua! Eheh.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, ci si rilegge di lunedì!
Un abbraccio

rose_

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Capitolo 35
*** III - Don't Cry ***


 

PARTE TERZA
35.

DON'T CRY

 

Don't you cry tonight
I still love you baby

 

La fine del tour era arrivata e così anche il matrimonio di Alice e Syn. Marta non perdeva occasione per ringraziare della settimana di dolce far nulla che Luke aveva concesso loro anche questa volta. Era dispiaciuta di non aver dato il giusto supporto alla propria migliore amica, in quei mesi di preparativi e folli spese, ma i concerti in Europa l'avevano tenuta ben lontana da tutto ciò che riguardava la sua vita quotidiana, affetti inclusi, e di certo le lunghe telefonate con la sposa non bastavano a rassicurarla come dovuto. Si sentiva un'amica terribile, nonostante Alice fosse brillante abbastanza da non farglielo pesare.

Adesso la chiesa era gremita di persone, in un'esplosione di colori, profumi e abiti costosi. Le tre navate, cariche di uomini e donne finemente addobbati con ogni sorta di accessori ricercati, traboccavano di aspettative: quello che stava per svolgersi era, senza ombra di dubbio, il matrimonio dell'anno.

All'esterno, unite dallo scopo di impedire le nozze del proprio idolo, un gruppo di fans munite di cartelloni e lacrime facili tentava di ripararsi dai raggi del sole e dalla calura estiva; Marta aveva sbirciato le loro figure attraverso il finestrino oscurato, mentre l'auto le superava diretta al parcheggio interno della chiesa, e aveva sollevato un sopracciglio. Ora, seduta in prima fila insieme ai parenti della sposa, tutte quelle urla le sembravano un ricordo lontano e confuso.

"Uffa, ma quando arrivano?!"

La sorella di Alice, adolescente esile e bellissima come da tradizione di famiglia, sembrava piuttosto impaziente e scalpitante. Marta chinò la testa verso di lei e sorrise con affetto.

"Una sposa come si deve si fa sempre attendere, Angie."

"È una regola? Dove sta scritto?" Angelica sembrava sul punto di impazzire.

Aveva già squadrato tutte le persone famose che i suoi occhi avevano avuto la fortuna di captare e ora, abbandonata contro lo schienale di legno, continuava a controllare l'ora sul telefono tanto per essere sicura che non si fosse ancora fatta notte. Agli occhi di Marta era sembrata un gattino affamato che attende l'ora della pappa.

"Basta, Angelica, sta' un po' zitta" la rimbeccò la madre, due posti dopo di loro. "Si sentono solo le tue lamentele!"

"Non c'è neanche una persona che conosco, tra quelli famosi! I giornali italiani non parlano mai di questa gente" si lamentò. Marta richiamò la sua attenzione con una leggera gomitata e le fece cenno di guardare tra le file posteriori dalla parte dello sposo. Il morale di Angelica sembrò subito risollevarsi e Marta ebbe conferma della fama che Good Charlotte e Blink 182 avevano in Italia.

"Ma quello è Travis!!!" sussultò. "E quello accanto è Benji Madden!!!"

Un forte 'shhh' uscì dalle labbra della madre della sposa che, nonostante l'emozione all'idea di vedere la primogenita andare all'altare, non smetteva di prestare attenzione alle sue stupidaggini adolescenziali.

"Mamma, non hai idea di chi siano, altrimenti non reagiresti così!!!"

La nonna di Alice si voltò a guardare interessata, strappando una risatina a Marta ed un sospiro arreso alla figlia.

"Sono un po' colorati, ma sembrano proprio dei bei ragazzoni" constatò l'anziana, annuendo.

"Mamma, non ti ci mettere anche tu..."

"Ma Clara, anche tuo genero è colorato, dalle foto che mi ha fatto vedere Angelica, eppure ha davvero un bel visino..."

"Non solo quello, nonna."

Angelica tirò un sorriso spiacente e Marta aggrottò la fronte: certe volte dimenticava l'effetto che le rockstar avevano sulle persone normali. Forse Angie era ancora troppo giovane per riuscire a vedere oltre la fama del cognato e Marta si domandò quale genere di rapporto avesse quell'adolescente con Greg, quando Alice faceva coppia fissa con lui. Lo vedeva come una rockstar o come il fidanzato della sorella?

"Sai se oggi ci sarà anche Greg?" le domandò Angelica, come ad averle letto nel pensiero. La sua voce era carica di aspettativa, ma priva dell'eccitazione che si potrebbe provare nei confronti di un personaggio famoso.

"Non credo... Tra lui e lo sposo non corre buon sangue."

"Lo so. Ho letto qualche dichiarazione di Greg sui giornali! Che storia!!!"

"Insomma... A momenti arrivano alle mani" mormorò Marta e Angelica cominciò a ridere a crepapelle.

"La vuoi smettere, tu?!"

"Rilassati, mamma! C'è di peggio che ridere in chiesa: Ali sta per sposare un nemico di Greg!"

"Beh, nemico non direi" borbottò la tastierista, grattando distrattamente la fronte. Aveva dimenticato quanto infantili potessero essere gli adolescenti.

"Oddio, vi immaginate una scena tipo film di Hollywood, con il prete che dice: 'se qualcuno ha qualcosa da dire, parli ora o taccia per sempre' e Greg che arriva sul cavallo nero – perchè bianco non gli si addice, è troppo fuori dalle righe, lui - e dice: 'non sposarlo, torna con me'!"

E poco opportuni.

"Angelica!"

"Che c'è, mamma, ora non si può nemmeno più fantasticare?"

Marta sgranò gli occhi. "Fantastichi su tua sorella che torna con Greg?"

"Non proprio..." ammise arrossendo come una prugna. "Fantastico sullo sposo che rimane da solo all'altare e, tanto per non sprecare la festa, sposa qualcun altro..."

"Qualcun altro? E chi dovrebbe sposare?"

"...me."
Un altro sorrisetto a metà tra l'imbarazzato e il furbetto. Marta sbuffò di divertimento e si guardò intorno, allegra.

Il suo sguardo trovò subito Jimmy, intento a sistemare i polsini della camicia dal bancone parallelo al suo, e gli regalò un cenno di saluto col capo.

"Angie, sei sempre la solita!!!" tuonò Clara, mentre la nonna cercava di tranquillizzarla dicendo che è normale, a quell'età, fantasticare sui bei ragazzi.

Era una situazione così assurda da non essere quasi reale.

Marta continuò a sorridere come un'ebete e a guardarsi intorno finché non incrociò con lo sguardo gli occhi limpidi di Zacky. Deglutì a vuoto e, con una rapida occhiata, tornò a passare in rassegna la folla, all'inspiegabile ricerca di qualche viso amico che le scrollasse di dosso la sensazione appiccicosa di volerlo guardare ancora. E ancora.

Scorse e salutò Matt e Val, seduti tra i primi banchi insieme a Johnny (di Zacky più nemmeno l'ombra) e, dalla parte della sposa, Brandan e Kiki, Jona, Ryan, Brian e Derek a chiudere la fila. Per un attimo sentì stringersi il cuore: erano tutti lì per loro, per sostenerli nel giorno più importante della loro vita.

Tirò su col naso e tornò a prestare attenzione al concentrato di ormoni che sedeva accanto a lei.

"E comunque le mie amiche impazziranno quando sapranno chi ho incontrato! Sono già tutte in fibrillazione all'idea che mia sorella sposi una rockstar, alcune hanno anche già adocchiato un paio dei suoi amici di band e...”

D'un tratto un organo cominciò a suonare e le parole sembrarono morirle in gola.

Marta gettò un'occhiata a Jimmy e, convinta dal movimento del capo piuttosto eloquente del batterista, abbandonò il primo banco dedicato ai familiari della sposa per raggiungere la propria seggiola accanto all'altare; avrebbero aspettato in piedi, come avrebbero fatto anche tutti i presenti, e poi si sarebbero goduti lo spettacolo da quel posto d'onore. Essere i testimoni degli sposi doveva pur avere i suoi vantaggi, no?

L'uomo che oltrepassò il portone della chiesa a braccetto con la madre avrebbe fatto spalancare bocca e occhi a chiunque. Marta dovette trattenersi dal fornire un fazzoletto di carta alla sorella della sposa, ormai prossima a liquefarsi del tutto, mentre ammetteva tra sé che Alice aveva preso la decisione giusta, accettando di sposare quel sex symbol per la seconda, definitiva volta.

Più lo sposo avanzava, affiancato da una bellissima signora di mezz'età, più aumentava il brusio tra la folla. Era splendido e quel vestito cucito apposta per lui copriva la sua pelle tatuata con eccelsa minuzia e non c'era una sola donna, lì in mezzo, che non avesse fatto un pensiero impudico su quel corpo fasciato dallo smoking, ma ormai era evidentemente troppo tardi per tutte.

Alice: uno; mondo: zero.

Ormai Angie era partita per la tangente e, quando Brian passò accanto al loro banco, allungò una mano nel tentativo di sfiorarlo, attirando l'ira funesta della madre e le risatine sommesse della nonna e di Marta.

"Hai fatto la scelta giusta, Brian. È una donna fantastica e sono sicura che riuscirà a metterti in riga una volta per tutte" fu il sussurro appena percettibile che la madre gli alitò in un orecchio.

Brian sorrise come chi sa perfettamente quello che deve fare e la osservò prender posto al primo banco, accanto al padre e al fratello, appena davanti ai suoi compagni di band.

"Sempre convinto?" lo punzecchiò Jimmy, ammiccando. "Là fuori c'è una folla delirante, verrai incriminato per aver indotto al suicidio tutte quelle povere adolescenti!"

"Preferivi fare da testimone a ciascuna di loro?"

Marta si beò di quel piccolo siparietto. Era certa che nessuno, a parte loro tre, potesse sentire quella conversazione.

"Se non altro, ora Ali sarebbe una donna libera..."

"Libera" ripeté atono.

"Libera di uscire con me!"

"Pff. L'ha detto davvero?" lo indicò con un pollice e la tastierista sbuffò arresa.

L'amicizia, quella vera, non si poteva simulare e quei due ne erano l'esempio vivente, un po' come lei e Alice.

"Chiudi quella fogna, Rev, e non farmi ridere davanti a tutta questa gente."

"Temi di perdere lustro? Oh, cielo, Synyster Gates ha tutti i denti!"

"C'erano dubbi a riguardo?"

"La gente dovrebbe sospettarlo, dato che non ridi mai."

Lo sposo aggrottò la fronte e squadrò l'amico e poi Marta, trovandola a tenersi la pancia con entrambe le mani mentre rideva di spalle alla folla.

"Avete dato un festino alcolico, voi due?"

"Sistemati il papillon."

Brian fece come gli era stato suggerito dal migliore amico e non smise di occhieggiarli incredulo. "E poi sono io quello che finisce sbronzo sui dvd."

"Solo perché cadi e ti rialzi in modo così assurdo, ne abbiamo già parlato."

Brian sorrise divertito, ma non rispose; man mano che si avvicinava il momento fatidico, cominciava a sentirsi un po' teso.

Quindici minuti d'orologio più tardi, l'organo suonò di nuovo e gli occhi dello sposo si fecero più grandi, attenti e fissi su un unico punto davanti a lui.

Un angelo fece il suo ingresso magistrale in chiesa.

Era bellissima, raggiante. Il vestito che aveva scelto sembrava accarezzare le sue curve con delicatezza, cadendo leggiadro ai suoi piedi e gli sguardi dei presenti ora erano tutti per lei e per quell'aura di perfezione che la circondava passo dopo passo. Al suo fianco c'era Luigi Ferri, padre burbero dal cuore d'oro che, anni addietro, aveva accolto Marta nella sua famiglia, trattandola come una figlia.

Quanti anni erano passati dall'ultima volta che lo aveva visto? E ora eccolo lì, di fronte a tutta quella gente, a tentare di cacciare indietro le lacrime d'orgoglio mentre accompagnava la primogenita all'altare, dall'uomo della sua vita.

L'espressione di Alice era sicura e serena; sembrava una presenza celeste scesa tra i comuni mortali per elargire un po' di pace e gioia.

Il sogghigno di Syn mentre la fissava con occhi attenti sembrava urlare: "guardatela e rosicate, gente, questa è mia moglie".‎

Un passo, poi un altro e finalmente Alice giunse davanti all'altare. Luigi la abbracciò per dei lunghi istanti, ripetendo all'infinito il bene immenso che le voleva, e poi la lasciò andare.‎
 

*
 

Finalmente era arrivato il momento. Lo aveva aspettato con così tanto entusiasmo da sentirsene quasi sollevata, adesso.

Aveva attraversato la navata centrale a braccetto con il padre, ben conscia di avergli causato un batticuore ed un groppo in gola degni della più grande storia d'amore. La sua famiglia... li amava tutti così tanto! Adorava persino Angelica, con le sue castronerie da adolescente in erba, nonostante fosse certa che, come all'incirca metà della popolazione mondiale, stesse già elaborando un piano per soffiarle il marito da sotto il naso. Doveva ricordarsi di ammanettarlo, più tardi.

Lui, bello da togliere il fiato, era già davanti all'altare ad attenderla; lo amava da impazzire, come non aveva mai amato nessuno, e l'idea di giurarglielo davanti a tutte quelle persone le dava un senso di potenza e orgoglio inedito.

Con la coda dell'occhio intravide gli amici di sempre, le famiglie, i testimoni. Li avrebbe abbracciati tutti, uno ad uno, ringraziandoli di esserle sempre accanto e di dimostrarle il loro affetto giorno dopo giorno. Ma lo avrebbe fatto dopo.

Fermò la sua marcia accanto a Brian e sorrise al suo sorriso.

“Siamo qui riuniti oggi...” il prete cominciò a recitare l'introduzione alla cerimonia, ma la mente di Alice correva veloce senza ascoltarlo. Nella sua testa era già arrivato il momento dello scambio delle promesse o il bacio che suggellava la loro unione o le foto e il pranzo e il taglio della torta nuziale.

Cedette all'impulso di squadrare il proprio marito, elegante e impettito accanto a lei, e sentì ogni difesa abbandonarla lentamente.

Lo scambio delle promesse arrivò in un batter di ciglia, anche prima di quanto avesse osato sperare. Con voce ferma, nonostante l'enorme emozione che le esplodeva nel petto, Alice giurò amore eterno a quell'uomo meraviglioso, mentre infilava delicatamente il nuovo, splendente anello all'anulare tatuato. Infine il prete fece cenno a Brian di parlare, ma per qualche secondo non vi fu altro che silenzio. Cosa stava succedendo? Cercò di scrutare in quegli occhi che la stavano fissando seri e sentì un brivido correrle lungo la schiena quando lo vide sorridere.

“Non ho mai conosciuto nessuno come questa donna” ammise quasi mormorando, tanto che il prete dovette avvicinarsi maggiormente a loro per sentirlo. Non erano le sue promesse, ne era certa, stava seguendo l'istinto e il cuore. “Per anni non ho sentito la necessità di fare felice nessuno all'infuori di me, troppo egoista e capriccioso per potermi dare a qualcuno che non fosse l'uomo che vedevo riflesso nello specchio. Ma questa donna” inspirò e sorrise emozionato. “Questa forza della natura è arrivata per sconvolgermi la vita. In un attimo tutti i miei pensieri sono diventati per lei. Tutto è per lei, è suo. Io sono completamente, perdutamente suo. Ti amo così tanto... E allora ti sposo di nuovo e questa volta faccio le cose per bene” le afferrò la mano e infilò l'anello con estrema lentezza. “Alice Ferri, prometto di amarti e rispettarti ogni giorno della mia vita. Sei la cosa più importante che ho e non mi stancherò mai di ripetertelo. Nella buona e nella cattiva sorte, come è sempre stato – e ne sai qualcosa. In salute e in malattia, in ricchezza e in povertà” sospirò e i suoi occhi si fecero un po' più lucidi. “Ti amo da impazzire, Alice Ferri, e voglio prendere te come mia sposa per il resto dei miei giorni. Finché morte non ci separi.”

Tra la folla scoppiò un applauso caloroso, mentre Brian attirava Alice in un bacio per nulla casto, incurante delle richieste del prete di prestare decoro in chiesa.

Quando uscirono dalla chiesa, una ressa di adolescenti pesantemente truccate di nero urlarono frasi d'amore al loro beniamino, mentre un gruppo di bodyguard controllavano che a nessuna di loro venisse in mente di oltrepassare le transenne poste a una ventina di metri da loro, con l'intento di saltare addosso a Brian – o di fare un occhio nero alla sposa.

Già al momento delle foto, Alice non indossava più le mutandine. Possibile che quell'uomo fosse insaziabile anche il giorno del proprio matrimonio? Il fotografo scattò loro una lunga serie di rullini e li tenne impegnati per quasi due ore.

Di rientro al ristorante, poi, la situazione si fece più difficile: Brian le concesse un giro veloce tra i tavoli, giusto per salutare e ringraziare i presenti, poi la condusse verso una stanza un po' appartata, ben deciso ad avere almeno un assaggio della prima notte di nozze, e la trattenne là dentro per oltre un'ora.

 

*


“Dove sono spariti, quei due?” domandò Kristine bevendo un po' di vino. Brandan, accanto a lei, cominciò a ridere a crepapelle.

“C'è proprio bisogno che te lo dica?” le fece il baciamano. “Dove ti porterei io, se ci fossimo appena sposati e...”

“Oh, voi due!” li rimbeccò Marta, abbandonando il tavolo con aria divertita. La sala era ricolma di gente e il chiacchiericcio aveva raggiunto un volume così alto da metterle addosso un forte mal di testa. Alice e Brian si stavano godendo il loro momento, com'era giusto che fosse, e la tastierista era certa che a nessuno sarebbe dispiaciuto se lei si fosse assentata qualche minuto, giusto il tempo di fare una telefonata.

L'aria calda che la investì quando uscì in giardino, in netto contrasto con il climatizzatore gelido posizionato all'interno del ristorante, le lasciò una strana sensazione sulla pelle. Marta si scosse un poco dentro al vestito lungo color ottanio e premette un tasto sul cellulare.

“Ehi”, fece una voce bassa, ridotta quasi ad un sussurro. Marta si voltò di scatto e aggrottò la fronte davanti all'uomo che la stava osservando oltre il fumo della sigaretta. Non aveva fatto caso al fatto che Zacky fosse uscito in giardino prima di lei. “Come stai?”

“Bene” rispose seccamente, mentre abbassava la mano che impugnava il telefono. Vestito con quel completo scuro era impeccabile, bellissimo. Alcuni tatuaggi facevano capolino oltre il colletto, mentre i piercing erano stati rimossi per l'occasione. Per la seconda volta in un giorno, Marta deglutì a fatica.

“Bene” ripeté lui, sollevato. “Speravo di vederti.”

“È il matrimonio della mia migliore amica, sai com'è...”

“Non parlo di oggi.”

“E allora quando speravi di vedermi?”

Zacky sospirò. “Senti, mi dispiace...”

“No, guarda, lascia perdere. Non è il caso di parlarne, non oggi.”

Lo sguardo dell'uomo si allargò quel tanto che bastava a lasciare intendere il suo stupore. Era la prima volta che la sentiva parlare così, che non percepiva ottimismo o bontà nella sua voce.

“Non sei venuta alla festa per il matrimonio.”

“No.”

In effetti la band era ancora impegnata con il tour e quella sera, la sera della festa che Alice e Brian avevano dato a casa loro in vista del matrimonio, lei e i ragazzi suonavano a Lisbona ad un festival di cui erano headliner.

“Senti, non so cosa credi che sia...”

Lo odiava perché stava cercando in tutti i modi di farla parlare di ciò che era successo, quando lei voleva soltanto lasciarsi tutto alle spalle e continuare per la propria strada. Era tanto difficile da capire? Lo guardò di sottecchi e sentì una fitta al cuore, quello stupido muscolo traditore.

“Basta così, Zacky.”

Seguirono alcuni istanti di completo silenzio durante i quali il chitarrista la fissò inespressivo, forse scegliendo con cura le parole da dire.

“Speravo potessimo parlare civilmente.”

Marta lo guardò rabbiosa. “E di cosa?!

“Di te e di me!” sembrò quasi urlare, come se fosse ovvio.

“Non c'è nessun te e me, Zacky!”

Stronzate.”

“E poi è un po' tardi per parlarne, non trovi?” gli fece notare, acida.

“Se mi avessi ascoltato, anziché sparire dalla circolazione come una...”

“Ah, ora è colpa mia?” si ritrovò quasi a gridare. Pazzesco, le stava dando la colpa per la fine della loro storia! Se era uno scherzo, non era divertente.

“Non sono io quello che ha scritto cose irripetibili in un fottuto messaggio!”

Marta ne aveva abbastanza. Gli aveva scritto un messaggio di insulti, era vero, ma lo aveva fatto per difesa. Per riacquistare un po' di quell'orgoglio che Vanessa aveva martoriato rispondendo a quella dannatissima telefonata. Trovava meschino che lui ricordasse soltanto quel particolare della loro rottura.

“Hai ragione, tu non l'avresti mai fatto. È molto meno impegnativo lasciare che sia qualcun altro a parlare al posto tuo.”

Zacky fece per ribattere, ma Marta non gli diede il tempo di parlare, si voltò duramente e lo lasciò solo. Nell'esatto istante in cui rientrava al ristorante stringendosi nelle spalle, quasi si scontrò con la figura perplessa di Jimmy, già pronto a concedersi la meritata sigaretta.

Credimi, non è il momento di risolvere le proprie cazzate, amico mio” fece in tempo a sentir mormorare al nuovo arrivato, poi richiuse dietro di sé la porta a vetri. Sarebbe mai arrivato il momento?


Credits: 'Don't Cry' by Guns 'n Roses.

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Capitolo 36
*** III - Step Back In Line ***


 

PARTE TERZA
36.

STEP BACK IN LINE

 

Test your belief
In what you claim to be committed
And all the while a bond you'll lose
So just admit it

 

 

Dopo più di un'ora di completa assenza dal palcoscenico del quale doveva essere assoluta protagonista – e dopo vari e ripetuti orgasmi ottenuti in mille ed una posizioni differenti – Alice riprese fiato, esausta e felice. Se quello era l'antipasto della prima notte di nozze, non vedeva l'ora di scoprire cosa la attendeva una volta calato il sipario e fatto rientro nella loro casa di Los Angeles.

Si ricompose, sistemando il vestito con cura, e ricambiò lo sguardo languido.

“Cristo, pulce, mandiamo a fanculo tutti e andiamocene a casa.”

Per quanto l'idea di andare via con lui la allettasse molto, la parte razionale del cervello di Alice sapeva che la cosa giusta da fare era tornare dagli invitati e, per quanto possibile, trascorrere almeno un paio d'ore lontani l'uno dal piacere dell'altro.

“Immagino che qualcuno dei quattrocento invitati non vedrebbe di buon occhio la nostra fuga, sai?” gli sorrise a fior di labbra, strappandogli un mugolio eccitato.

“Se è per i regali, che si fottano: possono riprenderseli anche tutti.”

Le loro bocche si incontrarono di nuovo, questa volta per un bacio carico di trasporto e passione. Poi, proprio quando Alice era pronta a cedere alle richieste del marito, qualcuno bussò alla porta. Dannazione, che tempismo!

“Non voglio fare il guastafeste” urlò da oltre la porta la voce inconfondibile di Johnny, piuttosto brilla nonostante l'ora. “Ma di qua c'è qualcuno che vorrebbe vedervi... tipo quattrocento persone o giù di lì.”

Brian la baciò sul collo, caldo e audace, poi salì verso l'orecchio e le strappò un brivido quando inspirò a fondo. “Andiamo a dare un po' di spettacolo, pulce?”

Per tutta risposta, Alice lo afferrò per il colletto della camicia sbottonata e lo attirò maggiormente a sé, mordicchiandogli il labbro e fissandolo dritto negli occhi. “Solo perché hanno portato tutti quei regali” ironizzò.

“Allora?” insistette il bassista, impaziente come un bambino.

Brian la prese per mano, poi aprì la porta e sollevò un sopracciglio di fronte alla figura alticcia di Johnny. “Andiamo.”

La sala era incantevole e Alice si rese conto solo ora di quanto fosse grande, nonostante la mole di invitati giunti a riempirla. C'erano fiori di ogni tipo e colore e dalle candele accese su ciascun tavolo saliva un profumo dolce di uva rossa e mirtilli. Gli occhi di tutti i presenti si incollarono immediatamente a loro. Ora che li stava osservando con più attenzione, notò che gli invitati erano impeccabili, fasciati in quei loro vestiti raffinati e ultra costosi.

“Un brindisi agli sposi!” urlò suo padre quando li vide. Per un attimo, Alice si sentì quasi in colpa per aver trascurato i suoi ospiti d'onore. Certo, quello era il loro giorno, suo e di Brian, ma essersi giurati amore eterno doveva pur voler dire qualcosa, no? Avrebbero avuto un'infinità di tempo per stare insieme, una vita intera... ma quante altre volte avrebbero festeggiato il loro matrimonio con i loro parenti e amici più cari? Guardò affettuosamente la propria famiglia, poi la sua migliore amica, e sentì l'impulso di abbracciarli tutti, dal primo all'ultimo.

Un bicchiere tintinnò e richiamò l'attenzione di tutti i presenti. “Un po' di attenzione, prego.”

Dal tavolo riservato alla band si levò in piedi Jimmy, testimone e migliore amico dello sposo.

“Vorrei dire qualche parola su questi due piccioncini. Mentirei se non dicessi che tutto questo ha dell'incredibile. E non perché si fatichi a credere che qualcuno voglia sposare una meraviglia come Alice, se capite cosa intendo” scherzò e tra gli invitati si sollevò una risatina generale. “Ma non sarei onesto neppure se dicessi che potrebbe ancora esistere l'uno senza l'altra. Guardateli: sprizzano bellezza e perfidia da tutti i pori, chi avrebbe mai il coraggio di dividerli?” un'altra risatina riempì la sala. “Quello che voglio dire è che prima avevo un migliore amico, un braccio destro, un fratello. E adesso ho anche una sorella, una grande amica su cui poter sempre contare. Siete bellissimi, ragazzi, la massima aspirazione per chiunque sia sano di mente. E vi auguro di vivere felici per sempre, se un per sempre esiste davvero” sollevò il calice verso di loro e brindò alla loro salute. “Ah, e ricordate che ci tengo che diate il mio nome ad uno dei futuri marmocchi.”

Tra le nuove risate generali, Jimmy tornò a sedersi e scolò l'intero bicchiere in un solo sorso, fomentato da un Johnny sempre più sbronzo. Mentre Brian le cingeva la vita con un braccio, lo sguardo di Alice si spostò sul resto del tavolo, trovando Matt intento a sussurrare qualcosa all'orecchio di Val e Coso abbandonato contro lo schienale della sedia con le braccia conserte e un'espressione assente e piccata in volto.

“Vorrei dire qualcosa anch'io” si levò in piedi Marta, cogliendola di sorpresa. Sapeva quanto le costasse mettersi al centro dell'attenzione, nonostante la sua professione; anni di tour mondiali non avevano cancellato la sua poca voglia di stare sotto i riflettori, perlomeno non quando non poteva lasciar parlare il proprio talento al posto suo. “Alice è sempre stata la migliore amica che si potesse avere, fin da quando eravamo ragazzine. Ne abbiamo combinate tante, insieme, forse anche più di quante se ne possano raccontare. Ci siamo anche perse di vista, ad un certo punto, perché la vita ha scelto per noi strade differenti e ci ha costrette a lavorare da sole, senza l'appoggio dell'altra. E ovviamente ci siamo ritrovate, più forti di prima. Alice Ferri è una donna con le palle, scusate il francesismo. È una roccia, leale e bellissima. E sinceramente credo non potesse trovare uomo migliore al mondo, nemmeno dopo un'intera vita spesa a cercarlo, perché la sua anima gemella è proprio lì accanto a lei e la sta stringendo come qualunque donna vorrebbe essere stretta. Quindi propongo un altro brindisi in onore di queste due forze della natura. Che la vita vi riservi tante cose per cui gioire o da cui rialzarvi più forti di prima. Vi voglio bene, ragazzi.”

Le dita di Brian premettero maggiormente contro la stoffa del suo abito nuziale e Alice deglutì in un miscuglio di stordimento e commozione. Prima di mettere qualcosa sotto i denti – gli invitati erano ormai giunti al secondo – sarebbero passati tra i tavoli per ringraziare e salutare tutti gli ospiti e lei non vedeva l'ora di raggiungere quello della propria migliore amica, per abbracciarla e ribadirle quanto bene le volesse.

 

*

 

Dopo il taglio della torta venne dato il via alle danze. Il primo ballo fu interamente dedicato ai due sposi, così belli e innamorati da sentirsi male; solo per loro le luci vennero abbassate, regalando alla loro canzone – Thank You For Loving Me dei Bon Jovi – un'atmosfera ancora più intima e suggestiva.

Quando la musica terminò, accompagnata dal grande applauso di tutti gli invitati, cominciarono le prime note di The Book Of Love di Peter Gabriel e Alice si concesse un ballo stretta stretta tra le braccia del padre, mentre Brian tentava di trascinare la propria madre sulla pista da ballo, tra un bicchiere di champagne ed una battuta con gli invitati lì intorno.

Cominciate le note meno solenni di She Loves You dei Beatles, la maggior parte dei presenti si spostò al centro della sala e cominciò a ballare. I genitori di Alice si buttarono a capofitto in un ballo degno di un concorso nazionale, mentre la figlia acconsentiva a saltellare qua e là tra il marito e gli amici di sempre. Dopo aver ingollato un bicchiere intero di acqua, Marta si levò in piedi e raggiunse la folla, coscia di avere addosso lo sguardo serio di Zacky.

“Era ora, nocciolina!” la accolse Jimmy, scrollando le spalle a ritmo di musica. La tastierista gli rivolse un sorriso sincero, poi abbracciò la sposa e con lei improvvisò un balletto piuttosto divertente; ben presto, tutta la cerchia di amici prese a ballare i passi inventati da loro, perfettamente sincronizzati gli uni con gli altri. Brandan e Kristine, poco più in là, si cristallizzarono in un bacio intimo e romantico e, quando la canzone terminò, scomparvero oltre la porta del bagno.

“Balliamo?” le domandò Angelica, quando She's The One di Robbie Williams cominciò a riempire la sala. Alice era tornata a ballare insieme a Brian, Jimmy aveva convinto la nonna della sposa a concedergli un giro di pista e Matt e Val si erano stretti l'uno all'altra come due calamite. A parte i compagni di band, tornati al tavolo per tuffarsi in un discorso dall'aria professionale, non c'erano molte alternative, né per lei né per Angie; Johnny aveva la testa appoggiata al bordo del tavolo e, a giudicare dalla sua espressione, doveva aver bevuto più del necessario. E Zacky... continuava a guardarla come se in quella sala non esistesse nessun'altra all'infuori di lei, stordendola e disorientandola completamente.

“Certo” sorrise stringendole una mano e facendola roteare su sé stessa.

 

*

 

Alice scoppiava di felicità.

Aveva un marito meraviglioso che la amava, una famiglia fantastica pronta a volare per mezzo globo pur di essere presente al suo giorno speciale e degli amici stupendi che non perdevano occasione per dimostrarle che le volevano bene. Cos'altro avrebbe potuto desiderare?

“Chiedo scusa” mormorò una voce inconfondibile, mentre una figura muscolosa ed elegante si frapponeva tra lei e Brian. Il cuore le si fermò. Dio, ti prego, fa' che questi due non ricomincino a menare le mani, non oggi.

“Greg?” sussurrò Alice stringendosi maggiormente al marito, come a volerlo tranquillizzare. Poi accadde qualcosa di inaspettato: Brian si chinò a posarle un bacio sulle labbra – niente di esagerato, ma sufficiente a rimarcare il territorio – e, dopo aver accennato un mezzo ghigno verso Greg, si allontanò da lei.

“Ma che diavolo...?” la fronte di Alice si aggrottò in tante piccole rughe, mentre le braccia possenti di Greg le cingevano la vita, rendendo meno profonda la distanza tra loro. Lo vide sorridere con quel suo solito modo scanzonato e capì di esserci cascata. “Ve l'eravate studiata, non è vero?”

“Diciamo che il tuo maritino ha dimostrato di essere un uomo maturo, finalmente” mosse un passo a tempo di musica e lo stesso dovette fare lei o avrebbe rischiato di cadere a terra. Sbirciando alle spalle del suo ex, Alice notò che Brian stava ballando insieme ad Angelica, seppur tenendoli d'occhio, di tanto in tanto.

“Puoi essere più chiaro?”

“Mi ha cercato lui. Ha detto che non era giusto nei tuoi riguardi non farmi fare almeno una comparsata. E quindi eccomi qui.”

“Lui ha... cosa?

“Già. Credo gli sia costato parecchio. Ma come vedi sono qui.”

Alice incrociò lo sguardo con quello di Brian e gli sorrise. Il marito rispose con un occhiolino ed una leccata di labbra che lasciava intendere mille promesse.

“Ci sono anche gli altri, laggiù. Volevamo farti gli auguri prima di partire per il tour.”

“Ah, partite di già?”

“Abbiamo finito l'album. Non vedo cosa ci trattenga qui, ormai.”

“Mi sembra giusto.”

La canzone terminò e così anche loro si fermarono. Tuttavia, Greg continuò a tenerla stretta e si avvicinò maggiormente al suo orecchio.

“Sto con una ballerina, adesso. Credo ti piacerebbe.”

“Presentamela e lo scopriremo.”

Greg sbuffò. “Se il tuo piccioncino non mi fa fuori prima che esca da questa sala...”

Alice lo abbracciò stretto. “Vedi di non sparire un'altra volta.”

“Non vado da nessuna parte” Greg ricambiò l'abbraccio, le posò un bacio tra i capelli. “Sei la sposa più sexy che abbia mai visto, bambina.”

“Sei in vena di sentimentalismi?” lo rimbeccò, sarcastica.

“Sei uno schianto, questa è la verità. Mi fai pentire di non averti portato all'altare.”

“Che scemo” ridacchiò. Greg le posò sulla guancia un bacio lungo e caldo, ricolmo di affetto. Poi, anche il resto della band si avvicinò a lei per salutarla.

 

*

 

Prima che potesse accorgersene, la musica era terminata e una nuova canzone aveva preso forma. L'ingresso in sala di Greg e della sua band non era certo passata inosservata, ma la cosa più sconcertante era stato il self control dimostrato da Brian quando aveva ceduto il passo all'ex di sua moglie, per un ballo tête-à-tête con lei. Angelica, neppure a dirlo, l'aveva piantata in asso in fretta e furia pur di accaparrarsi almeno un ballo stretta tra le braccia del cognato, così Marta si era ben presto ritrovata da sola. Così aveva fatto dietrofront per tornare al suo tavolo, ma qualcuno l'aveva trattenuta per un braccio. Le note di Without You dei Mötley Crüe risuonarono nell'aria senza un briciolo di vergogna, come se qualcuno le avesse scelte apposta per quel momento.

“Non così in fretta” aveva sussurrato Zacky, le mascelle contratte. Era trascorso un bel po' di tempo da quando gli si era trovata così vicina e il suo profumo la intontì. Tentò di divincolarsi, ma chiunque, lì in mezzo, avrebbe facilmente intuito che non fosse ciò che voleva davvero.

“Cosa vuoi?”

“Balla con me.”

“Sono stanca di ballare, Zacky. Stavo per tornare a sedermi.”

“E invece non ci vai.”

Lo guardò dritto negli occhi e per poco non rischiò di perdercisi dentro. La stretta sui suoi fianchi era ben salda, possessiva. Dio, quanto le era mancato il tocco di quelle mani sul suo corpo!

“Cosa vuoi?” ripeté allora, per convincersi a distogliere l'attenzione da quelle labbra carnose. I piercing avevano lasciato dei piccoli forellini sulla pelle che la stavano facendo impazzire. A cosa diavolo stava pensando?

“Dimmi perché dovrei lasciare che qualcuno parli al posto mio.”

Semplice, diretto, senza troppi giri di parole inutili.

“Non fare il finto tonto, Zacky. Non lo sei per niente.”

“Ti ringrazio per il complimento, ma non è quello che ti ho chiesto.”

Marta inspirò e dell'altro profumo le riempì le narici, dandole alla testa. Essere così vicina a lui le rendeva davvero difficile rimanere concentrata.

“Perché non lo chiedi a lei?!”

“Lei chi?” sembrava esasperato.

Gli occhi di Marta si spalancarono, scrutando l'uomo che aveva di fronte con infinita attenzione. Era così bello. E lei era così arrabbiata con lui, nonostante ogni fibra del suo corpo gridasse, al contrario, la forte attrazione che la legava a quell'uomo come una corda invisibile.

“Vanessa. La tua amichetta.”

“Di che cazzo stai parlando?”

Voleva baciarlo, dannazione. Ed era una cosa totalmente irrazionale. “Te l'ho detto: chiedilo a lei.”

“Voglio saperlo da te! Cristo, puoi fare uno sforzo e dirmelo?”

Socchiuse gli occhi e deglutì.

“Ti ho chiamato, quella sera, ricordi? Ma tu hai preferito far rispondere lei...”

“No, non l'ho fatto.”

“Si, invece!”

Per poco non rischiò di farsi sentire. Jimmy aveva ragione: non era né il momento, né il posto adatto per condurre quella conversazione.

“Che cosa ti ha detto?” adesso sembrava incazzato. Marta rimase in silenzio.

Un istante dopo la musica terminò di nuovo. Zacky la lasciò andare, poi abbandonando la stanza a grandi falcate.


Credits: 'Step Back In Line' by Bleeding Through.

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Capitolo 37
*** III - Coming Home ***


 

PARTE TERZA
37.

COMING HOME

 

My story ends
Not far from where it started

 

 

Quando Zacky tornò in sala, guardando dritto di fronte a sé nella sua direzione, un brivido accarezzò le spalle di Marta. Sembrava un divo anni '50 con il completo elegante, i capelli tenuti indietro da un po' di gel brillante e le scarpe lucide bianche e nere del tutto simili a quelle dei ballerini di tip-tap.

“Devo parlarti” disse mentre faceva allontanare Angelica da lei, per farsi posto. La sorella della sposa incrociò le braccia al petto e sbuffò come una bambina appena rimproverata per una colpa non sua. Doveva aver cambiato idea nei confronti dei personaggi famosi di cui fare vanto nei racconti alle amiche. O forse aveva solo capito che le sarebbe toccato tornare al tavolo e aspettare il prossimo compagno di ballo, fintanto che la migliore amica di sua sorella era occupata in una conversazione fitta fitta con il suo ex.

Marta inspirò a fondo. “Adesso?

“Adesso, dopo, domani... basta che mi ascolti.”

“E se non ne avessi voglia?”

Socchiuse gli occhi e lo scrutò con diffidenza, mentre emozioni e sentimenti repressi per mesi riaffioravano come fiori gettati in acqua.

“Senti, voglio solo che mi ascolti, d'accordo? Poi potrai trarre le tue conclusioni. Non pretendo che tu mi creda.”

Le prime note di un lento dei Guns n'Roses riecheggiarono nella sala. Marta distolse lo sguardo da quello di Zacky, incerta.

“È passato un po' troppo tempo, non ti è venuto in mente?” ripeté per la seconda volta. Forse, se avesse continuato a ripeterlo ad alta voce, se ne sarebbe convinta anche lei una volta per tutte. E invece quel traditore del suo cuore continuava a battere all'impazzata, chiedendole un'altra chance.

“Non ti ho chiesto di ascoltarmi adesso. Prenditi il tempo che ritieni necessario, ma prova almeno a sentire cosa ho da dirti. Sono successe cose che meritano delle spiegazioni, prima di gettare tutto all'aria per davvero.”

“Saggezza a profusione” ironizzò in pieno stile Alice Ferri. Se ne pentì immediatamente, ancora prima di provare la fitta di delusione che la investì quando le braccia forti di Zacky la lasciarono andare.

“Immagino sia un no.”

I loro occhi si incontrarono di nuovo, perdendosi gli uni in quelli dell'altro. Perché era così maledettamente difficile continuare a provare rancore verso quell'uomo, adesso che era lì in carne ed ossa di fronte a lei, con in mano la promessa di una nuova possibilità?

“Ci penserò su. Adesso godiamoci la festa dei nostri amici” e ritornò a passi sicuri verso Angelica, pronta a riprenderla con sé per scatenarsi al ritmo di una canzone dal sapore caraibico, mentre Zacky la osservava andare via dal suo posto d'onore in centro pista.

 

*

 

A fine serata Alice era letteralmente esausta, nemmeno le fosse toccato ripulire tutti i tavoli dalle vettovaglie sporche prima di venir via dal ristorante.

Dopo aver salutato e ringraziato tutti i presenti, si erano catapultati in auto diretti a casa. Il tragitto non era poi così lungo o travagliato, ma i loro visi stanchi suggerivano che quello che stavano compiendo fosse uno dei viaggi più lunghi che avessero mai dovuto affrontare.

Senza contare che non vedevano l'ora di mettere piede nella propria proprietà per occuparsi finalmente – e come si conveniva ad una coppia di neo-sposi – l'uno dell'altra. Chiusa la porta alle spalle, ci sarebbero stati solo lei e lui, e niente avrebbe potuto rovinare l'idilliaco quadretto, tanto più che l'indomani sarebbero partiti per il loro viaggio di nozze di tre settimane in Europa e non avrebbero visto le facce di amici e parenti fino al loro ritorno.

“È stata una lunga giornata” sospirò Brian lasciandosi cadere a peso morto sul soffice materasso King-Size che Alice lo aveva convinto a comprare. Con gesti lenti allentò i polsini della camicia ed il nodo della cravatta, senza togliere lo sguardo di dosso alla moglie che, dall'altro lato della stanza, liberava i piedi dagli alti tacchi. La osservò sganciare dal collo la collana di Swarovski e posare nella scatola dei gioielli gli orecchini pendenti coordinati. Poi la vide avvicinarsi con passo felino e poggiare un ginocchio sul materasso.

“Non dirmi che hai già voglia di dormire” disse Alice mentre si metteva cavalcioni sul marito. Brian le afferrò i fianchi ma la donna gli bloccò le mani e gliele spostò sul copriletto, bloccandole con le sue. Non le serviva impiegare molta forza, Brian non stava opponendo resistenza.

“Non l'ho mai detto” sussurrò lui sulle sue labbra. Si baciarono a lungo e intensamente, mentre l'erezione dell'uomo gli cresceva dentro i pantaloni pregiati. Alice desiderò che li togliesse una volta per tutte.

“Bene, perché devo ancora darti il mio regalo.”

Alice strisciò verso la cintura dei suoi pantaloni. A velocità impressionante lo liberò della cintura e, prima che potesse realizzare cosa stesse per accadere, gli abbassò i boxer e lo prese in bocca. Li aspettava una notte carica di eros, di quelle interrotte soltanto dal sonno al quale, sfiniti, non si poteva resistere.

“Congratulazioni per le nozze, Mr. Haner.”

 

*

 

Come ogni mattina da quando erano tornati dal tour, Marta aspettò che Brandan uscisse di casa in tenuta sportiva per accompagnarla a correre. Era migliorata – e parecchio – da quando avevano cominciato e adesso poteva vantare una maggiore resistenza respiratoria che le permetteva di non soccombere all'amico dopo soli pochi metri alle sue calcagna. Era riuscita addirittura a farsi fare dei complimenti dal futuro cognato cosa che, considerando il suo ego prominente, non era certo da sottovalutare.

“Non spomparmelo troppo, sorellona” la apostrofò Kiki, sulla soglia della porta, prima di posare un bacio sulle labbra del fidanzato. “Mi serve tutto intero.”

“Oh, cavolo, ancora con questa storia?” sorrise sollevando gli occhi al cielo, mentre scuoteva la testa. “Sono circondata da pervertiti!”

“Sei solo gelosa” la rimbeccò Brandan, avvicinandosi a lei. Marta lo guardò in cagnesco, ma non gli diede la soddisfazione di rispondergli a tono. Certo, il sesso le mancava, non poteva dire il contrario, ma al momento nei suoi pensieri c'era qualcosa di più importante.

“Può darsi” convenne salutando con un cenno della mano la sorella e prendendo a correre sul posto. “Ma sono certa che sopravviverò.”

Brandan cominciò a muoversi, riscaldando un po' i muscoli, poi la seguì lungo il marciapiede, sulla via per il parco. Erano stranamente silenziosi e, forse, non tutta la colpa era da attribuire alla stanchezza del post-matrimonio.

“C'è qualcosa che vuoi dirmi, Brand?”

Credeva che non avesse notato quel suo sguardo insistente?

“Forse sei tu che vuoi dirmi qualcosa.”

“Per niente” sorrise e accelerò il passo, facendo il suo ingresso al parco prima dell'amico. Brandan, neppure a dirlo, la raggiunse in un batter di ciglia.

“Non ci provare. Ti ho vista, ieri. Tutti noi ti abbiamo vista.”

“Se ti riferisci al mio modo pessimo di ballare, io...”

“Marta...”

“Dai, Brand, lascia perdere.”

“No, sul serio. Va tutto bene? Avete parlato?”

“Si, abbiamo parlato. E non so se va tutto bene, ma ho deciso di lasciare che le cose vadano come devono andare, che seguano il loro naturale corso.”

Continuavano a correre l'uno accanto all'altra, accelerando o decelerando il passo a seconda degli impedimenti che si paravano loro davanti. Marta riusciva ad avvertire tutto lo stupore che in quel momento attraversava il proprio migliore amico: proprio lei, Marta Peterson meglio nota come Miss-maniaca-del-controllo, stava declamando ad alta voce la propria intenzione a lasciare che le cose le sfuggissero di mano, prendendo le pieghe che più desideravano. Lo capiva, questo suo nuovo modo di vedere le cose sbalordiva anche lei. Ma da quando Scott aveva lasciato la band e la sua storia con Zacky era naufragata non c'era più stato nulla di uguale a prima.

“Cosa sentono le mie orecchie” ironizzò Brandan con un sorriso malizioso. “Siamo passati da un no categorico ad un forse o sbaglio?”

Forse” gli fece la linguaccia.

“Dai, cosa ti ha detto? Sono curioso di sapere come ha fatto a farti cambiare idea.”

“Non mi ha fatto cambiare idea. Non ha fatto niente, in realtà.”

“D'accordo, allora è stata la sua presenza? Vederlo con vestiti decenti ti ha resa vulnerabile?” continuò a prenderla in giro. Marta accettava questo genere di frecciatine solo dai suoi due migliori amici e dalla sua sorellina. Si fermò e, ansimando per lo sforzo, guardò Brandan dritto negli occhi.

“Diciamo che rivederlo mi ha fatto capire alcune cose.”

Tipo?”

“Non lo so, Brand. So solo che non voglio che le cose restino così. Pretendo delle risposte e lui è disposto a darmele.”

Brandan ricominciò a correre, pensieroso, e Marta gli lasciò un po' di vantaggio. I mesi successivi alla rottura con Zacky erano stati pesanti per tutti, non solo per lei; a nessuno piace avere un amico in difficoltà e sapere di non poterlo aiutare. Di nuovo il cantante rallentò il passo e le permise di raggiungerlo.

“Non mi piace l'idea che ritorni tutto a qualche mese fa.”

“Non voglio gettarmi a capofitto tra le sue braccia, se è quello che pensi.”

L'uomo sospirò e accennò un sorriso dei suoi. Era contenta di constatare che Brandan non avesse opposto resistenza, come invece avrebbe fatto almeno una manciata di mesi prima. Era una sua decisione, per la sua vita. Per quanto potesse interessarle il parere di Brandan o di Alice, non spettava a loro l'ultima parola a riguardo. Ripresero a camminare, accelerando lentamente il passo.

“Credo che gli scriverò” informò Marta dopo qualche minuto di corsa silenziosa.

“Mm.”

Apprezzava il riguardo che Brandan stava avendo per lei e per quella faccenda; sapeva che secondo lui non era quella la scelta giusta, ma le piaceva il modo pacato con il quale stava dimostrando di affrontare la cosa. Di nuovo era la sua vita, la sua decisione. E se lei avesse voluto darsi una nuova chance con Zacky, l'avrebbe fatto. La domanda adesso era: era davvero pronta a ricominciare?

“Anzi, lo faccio adesso. Perché rimandare?”

Tirò fuori il cellulare dal marsupio che aveva allacciato al petto a mo' di tracolla e, con dita quasi tremanti, scorse la rubrica alla ricerca del numero giusto.

“Dico solo questo: non starai velocizzando un po' troppo le cose?” mugugnò Brandan, incrociando le braccia al petto.

“No. Anzi, direi che i mesi appena trascorsi sono stati piuttosto lunghi.”

“Lo so. E so che ne abbiamo già parlato, in tour, e che vuoi fare il tuo percorso senza che qualcuno ti dica cosa fare o come farlo... solo, pensaci bene.”

“Non è un mostro cattivo, Brand! È un essere umano che ha fatto uno sbaglio!”

“Fa' come credi... spero solo per lui che questa volta non ci sia da raccogliere nessun coccio o non credo che riuscirò a trattenermi.”

Marta socchiuse gli occhi. Dov'era finito il silenzioso riguardo che Brandan aveva dimostrato fino a poco prima? Perché riusciva a sentirsi soltanto come la sorellina da difendere a tutti i costi e non come la donna forte che era lentamente diventata? Posò il telefono e riprese a correre.

“Hai cambiato idea?”

“No. Per niente.”

“E allora...?”

“Gli scriverò più tardi.”

“O non gli scriverai mai.”

“Da quando stai con mia sorella sei diventato più dispettoso del solito” lo spintonò amichevolmente, conscia di non poterlo biasimare del tutto.

“Se vuoi un consiglio spassionato: lascia che muova il culo e che si faccia vivo lui.”

Spassionato, eh?”

“Alice avrebbe detto la stessa cosa, se non fosse già partita per la luna di miele.”

“Ali non fa testo! Lo detesta, dai!!!”

“Non lo detesta e lo sai. Non tergiversare.”

“Gli ho chiesto del tempo. E, se lo conosco almeno un po', me lo concederà.”

“Che gentiluomo.”

Sorrisero entrambi, quasi fossero i due protagonisti di una candid camera.

“Mi piacevi di più quando eri chiuso nel tuo silenzio stampa.”

“D'accordo, se è quello che vuoi me ne starò in silenzio a guardare. Contenta?”

“Molto. Grazie, paparino.”

Dopo una decina di minuti trascorsi a correre e a parlare di tutt'altri argomenti, i due migliori amici vennero interrotti dallo squillo di un cellulare. Dollhouse di Melanie Martinez, la nuova suoneria del telefono di Marta, prese a suonare a tutto volume mentre la proprietaria osservava con sgomento lo schermo illuminato.

“Beh? Non rispondi?”

La tastierista deglutì a vuoto. Non leggeva la scritta Unknown da quando Scott non aveva messo in scena tutto il suo spettacolino. Istintivamente mostrò il telefono all'amico e lasciò che se ne impossessasse con un gesto repentino.

“Pronto” disse Brandan con voce sicura. “Chi sei?”

Chi è?” ripeté Marta a bassa voce, il cuore che le rimbalzava forte nel petto.

“Un attimo.”

Brandan passò il telefono alla proprietaria e la scrutò con attenzione mentre quest'ultima rispondeva reticente.

“Ho bisogno di parlarti” disse una voce femminile. Marta la riconobbe immediatamente e, per la frazione di un secondo, il suo stomaco si accartocciò come aveva fatto qualche mese prima. “Dove possiamo vederci? Scegli tu, non ho grandi pretese.”

“Facciamo dal bar accanto al centro commerciale tra non meno di un'ora. Sai dov'è?”

Uno schiocco di lingua. “Certo che so dov'è. Ci vediamo tra un'ora.”

Il segnale di comunicazione interrotta, almeno questa volta, liberò Marta da un grosso peso.

Pronti o no, la verità era sempre più vicina.


Credits: 'Coming Home' by Avenged Sevenfold.

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n.A.: Ma buongiorno! Non mi sono dimenticata di questa storia, don't worry! E so che la pubblicazione sta andando a rilento, ma a mia discolpa vi dico che: 1 sto scrivendo un'altra storia (originale) che spero possa portare a qualcosa di buono; 2 siamo agli sgoccioli di questa fanfiction, perciò vorrei prendermi del tempo per non mandare tutto in malora proprio ora e per salutare come si deve i miei personaggi (soffro di sindrome da distacco, che vi devo dire?!)
Ah, so che 'Dollhouse' è del 2015 e, dunque, non poteva essere la suoneria di Marta già nel 2007, ma tant'è... LICENZA POETICA!!!! :)
Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento, a presto con il capitolo 38! E ora vado; la luna di miele di Ali e Brian e il momento-verità di Marta non si scrivono da soli!
A presto e grazie a tutti come sempre,
rose_

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