Margherite pronte a rifiorire

di Annrose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Cammino nei corridoi della scuola, a testa bassa come sempre, alla ricerca della mia nuova classe. Mi sono trasferita qui la settimana scorsa, e non conosco nessuno. Non sono nervosa, solo impaurita. Ho sempre temuto le novità e i cambiamenti. A certe cose non ti ci abitui mai. 

È la terza volta che cambio scuola, in quattro anni. Non sopporto l'idea di conoscere - di nuovo - persone nuove. Non sono brava ad ambientarmi, tra un anno sicuramente sarò da un'altra parte. Da una parte spero che sia così.

Sono davanti alla porta dell'aula: bisbigli e piccole fragili risate provengono da lì. La mia mano trema come non mai e si posa sulla maniglia. Apro senza neanche bussare. 

Rimango ferma davanti a quelle decine di occhi che, dai libri e dai cellulari nascosti sotto i banchi, si spostano su di me. L'ansia mi percorre la schiena e mi stringe la gola, le dita tremano e mi sento male. "Fai un respiro profondo. Tranquilla." penso cercando di tranquillizzarmi. Respiro.

Faccio un timido sorriso finto e mi siedo in fondo, sulla destra, l'unico posto libero: vicino ad un ragazzo. Lo saluto con la mano e mi siedo, sistemando lo zaino e tirando fuori alcuni libri a caso per sembrare impegnata. Lui si limita a guardarmi e a balbettare. È carino.

Dopo un'ora di presentazioni, i nomi dei miei futuri compagni di classe mi volano nella mente, non appartengono ancora a nessuno. È l'ora della ricreazione. Qualche ragazzina viene da me, incuriosita, chiedendomi un sacco di cose. Il mio compagno di banco si chiama Matthew e, a quanto pare, ha dormito poco stanotte. Sta con la testa appoggiata al banco, con le braccia piegate. Chissà, magari anche lui era impaurito stamattina, e si è fermato davanti a quella porta per tranquillizzarsi. Forse è morto. No, respira.

"Come hai detto di chiamarti?" domanda una biondina, Savannah. Ha uno strano accento, inglese o giù di lì.

"Amanda" rispondo insicura. Mi chiamo davvero così? Boh. Tutto sembra girare.

"E da dove vieni?"

"Ohio".

Annuisce, sorride e se ne va, mandandomi un bacio con la mano. Che gente strana.

"Ehi" chiedo a Matthew "va tutto bene?"

Annuisce, la testa fra i gomiti. Appoggio la fronte come lui e gli parlo sottovoce: forse così si deciderà a tirarsi su.

Gli ripeto la domanda e finalmente mi guarda negli occhi, grigi come il cielo di questa mattina.

"Sì, va tutto bene". Il suo sorriso mente, ma decido di lasciar perdere. Dopotutto chi parlerebbe mai dei suoi problemi con una sconosciuta?

"Piacere, Amanda".

"Matthew" risponde arrossendo leggermente.

La mattinata è passata in fretta, nonostante tutto. Abito in una casa a Detroit. La condivido con due coinquilini, Trevis e Emma. Hanno sedici anni, come me, e vengono dal Canada. Sono amici da molto tempo e hanno deciso di allontanarsi da Ottawa per studiare insieme. 

Adesso non c'è nessuno in casa: probabilmente sono ancora a scuola quei due. Ed eccomi qui, sola. Come al solito.

Scaldo qualcosa di pronto nel microonde e accendo la televisione. Mi addormento sul divano, con una forchetta di plastica in mano.

Dopo circa due ore passate a russare con un pacchetto di pasta sulle ginocchia, Trevis arriva a casa e mi sveglia. Dietro di lui c'è Emma, che si tuffa nel divano con la testa premuta contro un cuscino.

"Lavorano meno gli ingenieri della NASA" esclama tirandosi su e prendendo il telecomando.

Rido e continuo a guardare lo schermo. Ma la mia testa è altrove. Continuo a pensare a Matthew. Mi ha colpito, non so spiegare come. Sembriamo così simili.

Tra due settimane c'è una festa a casa di Savannah e, per la prima volta, sono stata invitata. Domani andrò a comprarmi un vestito. Anche se odio i vestiti. Non voglio essere giudicata male, mi adatterò. Sono agitata. L'ansia è sempre stata parte di me.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


È mattina e non ho dormito molto. Penso troppo ai ricordi, al passato. Vabbè, passerà. 
Entro in classe e vedo Matthew, che mi saluta timidamente con un "ciao". Sorrido e mi siedo accanto a lui. Iniziamo a parlarci per conoscerci meglio, e scopro che ha avuto dei problemi in famiglia - non so quali - quest'estate e non si è ancora ripreso. Lo capisco.
Gli racconto dei bulli e delle minacce, delle litigate con i miei genitori e del viaggio fino a Detroit. Ha capito. Ma forse ho parlato troppo.
"Savannah ti ha invitato alla festa?" chiedo, cercando di cambiare discorso.
Scuote leggermente la testa, e Savannah, sentendo il suo nome, si intromette nella nostra conversazione.
"Mi spiace Am, gli sfigati non sono ammessi alla mia festa nel locale più popolare di questa città" chiude la frase con una risatina irritante, seguita da altre risate.
"Non vengo, grazie". Determinata, irraggiungibile. O almeno credo. La fisso per qualche secondo, aspettando la sua reazione.
Mi guarda stupita e inizia a ridere. Il suo pubblico la imita. 
Appoggio la testa sul banco: Matthew ha ragione. Così si sta meglio. 
Sono in corridoio, le lezioni sono terminate e sto andando alla mensa. Mi siedo in un tavolo isolato, non voglio stare con nessuno. 
Il cibo sa di plastica, incolore e puzza da morire. Tutti sono tranquilli, mangiano e chiacchierano con allegria. Ma improvvisamente qualcosa cambia.
Si sentono dei lamenti e urla, una folla di ragazzi si è sistemata davanti alla porta. C'è una rissa. Tra Matthew e Austin, il fidanzato "popolare" di Savannah.
Il mio amico è lì, sul pavimento, che si contorce per liberarsi dalla presa del nemico. 
"Quanto sei frocio" lo insulta Austin schiaffeggiandolo.
Mi faccio spazio tra la folla e mi metto in mezzo. Dico loro di fermarsi, ma vengo spinta e cado per terra. Mi rialzo e lancio un vassoio, trovato in un tavolo vicino, addosso ad Austin. Il patè gli colora i capelli di un biondo strano. Si ferma. E inizia a picchiarmi.
Qui a quanto pare non esiste la "legge" del non picchiare le ragazze. Matthew interviene e gli tira un pugno sul labbro, facendolo sanguinare. Poi, fortunatamente, la preside Doors ci separa e ci porta in infermeria.
Austin viene punito con una sospensione per due settimane e io con due ore di punizione ogni giorno, per una settimana.
Rimango seduta per un po' sul lettino dell'infermeria, con una borsa del ghiaccio su una guancia e vari cerotti in faccia. Matthew è sparito.
Da quel giorno, la squadra di football (il ragazzo di Savannah è il quarterback) mi tormenta: scherzi, prese in giro, tutto è tornato come prima. Peggio di prima. 
Ho raccontato tutto ad Emma e a Trevis, dopo tutte le loro domande non potevo stare zitta. Hanno visto i cerotti, il labbro spaccato. Non hanno parlato, ma Trevis continuava a mordersi il labbro.
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È venerdì e sto per entrare nell'aula punizioni. Arriva Matt (ieri non è venuto a scuola) e mi dice che ha disegnato un teschio sulla porta dell'ufficio della preside con una bomboletta spray e si è preso due ore di punizione. 
"Perchè lo hai fatto?" chiedo, incredula.
"Voglio aiutarti. Mi hai protetto e..." le guance iniziano a colorarsi di viola. Ha un tramonto in viso. "E volevo proteggerti".
Sono rimasta a guardarlo. Non so cosa dire. Nessuno lo aveva mai fatto prima. L'ho abbracciato forte, come se potessimo diventare un'unica persona. Mi sono staccata, imbarazzata, ma le sue braccia sono comodissime.. Starei così per sempre.
È stato divertente. Abbiamo chiacchierato, riso, siamo stati bene. Mi sento felice. È da tanto che non mi sento così.
Sono passate due ore e purtroppo dobbiamo separarci, ma scopro che Matt abita vicino alla scuola, quindi lo accompagno e lo saluto. Mi lascia un bigliettino con il suo numero di telefono e sorrido di nuovo. Mi verrà una paralisi facciale se continuo a sorridere così.
Gli ho scritto la sera stessa, poi mi ha dato la buonanotte. Ho ricambiato e mi sono addormentata.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


È sabato. Mi sveglio presto per preparare i pancakes e inizio a scrivere a Matthew:
Buongiorno :)
Mi risponde dopo qualche minuto:
'giorno :) ti va di uscire oggi pomeriggio?
Accetto impulsivamente, felice.
Vengo sotto casa tua alle 4:00, va bene?
Mi chiede.
Certo!
Sono nervosa, ho paura di fare brutta figura. E ho paura di affezionarmi a lui o di innamorarmi di lui. Ma questa volta non voglio avere rimpianti, sarà la mia occasione.
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Arriva in anticipo, suona al campanello e io non sono ancora pronta. Prendo un paio di jeans a caso, mi pettino velocemente e apro la porta. Mi sorride e mi saluta timidamente, e io rimango a guardarlo sorpresa. Indossa una maglietta a righe, jeans e scarpe bianche. Mi sento così inferiore a lui, così abbasso lo sguardo ma non smetto di sorridere.
Camminiamo per Detroit ridendo, le nostre mani si sfiorano ma non si stringono mai. La gente che ci circonda ora ci sorride, ora si sente a disagio sentendo le nostre risate.
"Non ci posso credere" esclamo con le lacrime agli occhi per aver riso troppo.
"È così invece" dice lui "ho buttato il gatto di mia zia giù dalla finestra per vedere se volava, quando avevo sette anni. E il povero animale si è spiaccicato sul marciapiede, si è alzato, ha iniziato a girare in tondo e a miagolare. Adesso mi odia" un sorriso gli illumina il volto.
Iniziamo a parlare della nostra infanzia, tralasciando il mio passato e i problemi che ho avuto qualche anno prima. Scopro che Matthew ha un fratello, più grande di lui, che vive a Boston, assieme alla sua fidanzata. Ha circa 23 anni, studia psicologia.
Il tempo, purtroppo, passa in fretta e devo ritornare a casa (mi sono appena ricordata di avere una verifica di storia domani mattina) e lui insiste per accompagnarmi. 
È stata una giornata meravigliosa, era tanto che non mi sentivo così.
Ci incamminiamo prendendo una scorciatoia. 
Siamo lì, davanti alla porta di casa, le luci dei lampioni sono accese e ci guardiamo. Mi abbraccia, tirandomi su. Appoggio la testa sulla sua spalla e chiudo gli occhi. Sono a casa.
"Vorrei avere sempre giornate così" sussurra a se stesso, ma riesco a sentirlo.
"Anche io" dico sottovoce.
Ci stacchiamo controvoglia e lo saluto timidamente. Le guance mi bruciano, devo smetterla di arrossire.
Apro la porta ed entro.
Inizio a danzare per la stanza, mi butto sul divano e sospiro.
"Avanti, chi è lui?" mi domanda Emma con un sorrisino.
"Siamo solo amici" rispondo distrattamente mentre guardo il soffitto, che adesso sembra più bello di prima. È quasi color crema, e mi rendo conto di amare il color crema. Voglio qualcosa color crema. O un gelato alla crema. 
Ridacchia e continua a leggere il suo libro, un manuale di ricette piuttosto vecchio, probabilmente trovato in casa in qualche credenza.
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Sono le 3:37. Non dormo.
Penso a lui così spesso, non so perchè. O forse sì: mi sono innamorata.
L'ultima volta in cui ho provato sentimenti positivi per qualcuno è stata quando Oscar, il playboy della quarta elementare, è stato spostato dalla maestra nel banco accanto al mio. Capelli neri, occhi verdi, pelle color vaniglia e labbra carnose. Ora è in un carcere minorile, per aver spacciato droga in ben cinque scuole medie. 
E adesso c'è Matthew. Capelli neri, occhi grigi, pelle rosa chiaro e una piccola cicatrice sul lato destro della fronte. Non so cosa sia, un giorno glielo chiederò. 
Le voci interrompono i miei pensieri. "Non adesso" penso, supplicando ai miei scheletri di tornare nell'armadio.
"Sei inutile! Torna qui e ti ammazzo!"
I ricordi iniziano a tormentarmi e neanche il rumore dei miei singhiozzi li fa andare via. Le mani finiscono sulle mie cicatrici, le mie sconfitte, e mi addormento un'ora dopo, con gli occhi rossi e un cuore distrutto. Sono così debole.
Mi sveglio singhiozzando. Trevis entra nella mia camera e si siede vicino a me. Mi abbraccia senza dire niente, e mi riaddormento, posando la testa su una sua spalla, come quando ero piccola e, dopo un incubo, mi svegliavo piangendo e mio padre mi stringeva a sè, raccontandomi una storia.
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La mattina seguente sono sola. Trevis è sparito. E io non sto bene. Tutto gira intorno a me, ho i brividi. 
Prendo un termometro nel cassetto del mio armadio. 38,4. Fantastico, ho la febbre.
Buongiorno, tutto bene?
Lo schermo del mio cellulare si illumina e un messaggio di Matt appare tra le notifiche.
Insomma...a parte la febbre sì, va tutto bene. Tu invece come stai?Nessuna risposta.
Un'ora dopo, qualcuno bussa alla porta. Mi alzo dal letto e scendo le scale, poi mi accorgo di essere in pigiama. Alzo le spalle e apro la porta, arrossendo per la vergogna.
È Matthew, con un mazzo di margherite in mano e un sorriso stampato sulle labbra. Appena vede il pigiama scoppia a ridere, poi si ferma.
"Sei bellissima" dice e mi porge i fiori.
"Immagino, avrò dei capelli orribili" rispondo prendendo le margherite. "Sono bellissime" 
"Tu sei bellissima" ripete e mi abbraccia.
"Guarisci presto" dice e mi dà un bacio sulla fronte.
Neanche il tempo di ringraziarlo e di abbracciarlo che se n'è guà andato via.
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È tutto così strano. Non mi abituerò mai all'idea di essere amata. Forse non mi ama. Forse vuole uccidermi e quei fiori sono per il mio funerale. Forse sto impazzendo. Sì, sto impazzendo. 
Il suono di un messaggio interrompe le mie riflessioni. È di Matthew. Mi chiede se stasera sono libera, vorrebbe portarmi in un posto speciale. 
È un negozio di pigiami? 
Vedrai.
La sua risposta è vaga, ma decido di non indagare.
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Non so cosa indossare. Sono troppo nervosa. Niente di troppo elegante e niente di troppo semplice. E niente pigiama. Scelgo il mio maglione preferito e un paio di jeggins. Faccio una doccia e inizio a vestirmi.
Ecco il suono del campanello. L'ansia mi divora. Sono pronta. 
"Respira Amanda" penso.
Matthew è davanti a me, che mi fissa stupito. Indossa una camicia a quadri e jeans, ed è stupendo. Ed io mi sento così...piccola. Inferiore. Piccola e inferiore. 
"Andiamo?" chiedo sorridendo.
"Certo".
Mette il suo braccio sotto il mio e mi accompagna fino alla sua macchina.
"Hai la patente, wow non lo sapevo" esclamo ingenuamente. Non gliel'ho mai chiesto, colpa mia.
Ride e mi apre la portiera della macchina. Destinazione...ignota.
Ci fermiamo su una collina. Il cielo è trapuntato di stelle, la brezza ci accarezza e per un attimo sento che potremmo spiccare il volo.
Il panorama è una meraviglia: le luci delle case, i bambini in lontananza che corrono sui marciapiedi, i clacson dei taxi in coda, il profumo dei fiori che ci circondano. Sembra di essere in un quadro, anzi, siamo noi il quadro.
Ci guardiamo per un po', incerti sul da farsi. Due secondi dopo le sue mani sono sul mio viso, che mi accarezzano le guance troppo fredde e la pelle troppo bianca. Altri due secondi e le sue labbra si posano sulle mie.
Un bacio imbarazzato a stampo, colmo di emozione, che ti riempe il cuore e ti riscalda anche nella notte più fredda di sempre. Ricambio e rimaniamo così per un po', fino a rimanere senza fiato. 
"Qui è dove mia nonno ha portato mia nonna al primo appuntamento, e dove mio padre ha chiesto a mia madre di sposarlo. Amanda, io mi sono innamorato di te. Non è stato un colpo di fulmine, ma direttamente una tempesta, che ha permesso di nuovo al mio cuore di battere. Sei il mio...defibrillatore. Voglio stare con te. Abbracciarti e sentire il profumo dei tuoi capelli, guardare le tue fossette e ammirarti. Mi rendi felice. Sei l'alba che dura per sempre e il tramonto e non tramonta mai, ti guarderei fino a perdere la vista, basta che non perdo te. E sì, mi sono innamorato di te".
"Sei la mia persona".
L'ho detto. Non ci posso credere. Potrei morire per overdose di felicità. Ho detto troppo poco. Dovevo fare un discorso sui suoi occhi grigi come la luna, ma non ce l'ho fatta.
Ci stiamo guardando. Ho gli occhi lucidi, il cuore a mille e le nostre mani sono intrecciate. 
"Forse corriamo troppo" dico.
"Non ci sono limiti di velocità nell'amore. Quando ami qualcuno, scatta qualcosa. Scatta subito, nessuno può decidere quando".
"Tra noi è scattato" penso, incredula. 
Stiamo camminando lungo la collina, mano nella mano. Tutto sembra essersi fermato: le lucciole ci fanno strada, anche se noi brilliamo più di tutte loro messe insieme.
E ridiamo. Siamo felici. Non l'ho mai visto sorridere così tanto. 
Saliamo in macchina e percorriamo tutta Detroit con le braccia fuori dai finestrini e la musica a volume troppo alto.
Ridiamo fino a perdere la voce, cantiamo fino a perdere il respiro.
Mi accompagna a casa e si ferma davanti alla mia porta, mi guarda e aspetta. Lo abbraccio così forte che a momenti sviene per mancanza di ossigeno. Gli salto al collo, mi prende in braccio e mi fa girare, come quando ero una bambina. Ci stacchiamo controvoglia e chiudo la porta, con la gioia di chi potrebbe vivere per sempre. Sempre sempre sempre. La mia parola preferita.
Sprofondo sul mio letto e mi addormento profondamente, con il sapore delle sue labbra sulle mie e il suo profumo addosso.

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