Caris dei desideri

di EsterElle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Caris dei Desideri



 
Capitolo 1


 
No, sono sicuro, non ho mai sentito tanto freddo in vita mia.
E allora che diavolo ci faccio qui, nel cuore della notte, al centro esatto dei venti che spazzano queste colline?
Spero arrivi presto.
Mi troverà gelato, completamente.
Che non debbano subire lo stesso mio destino i colori e i pennelli, per favore.
La taverna a Galway, il fuoco nella sala comune, la folla, la stanza del sottotetto; non mi sono mai sembrati tanto desiderabili.
Caris Doherty, tutto questo per te!
Lei troverà il modo di portare un po’ di caldo, Will, tranquillizzati. Ci riuscirà per forza.
Spero non la veda nessuno, al villaggio: sarebbe la fine di tutto.
Quando arriverà, credo le farò un ritratto, l’ennesimo; chissà quando tornerò da queste parti.
Non prima dell’estate, questo è certo.
Mi mancherà.
Ma ora la odio; dove si sarà cacciata?
Giuro, non mi sento più le mani; non la perdonerò se perdo l’uso delle mani.
Ho anche fame, maledizione.
Che notte.
Il cielo è coperto, non riesco a scorgere nemmeno il profilo delle querce. Il villaggio, ovviamente, non l’ho mai visto. Non voglio avvicinarmi, non da quando ho scoperto il suo segreto, anni fa.
Quanto era piccola, a quel tempo, la mia Caris!
Non è mai stata puntuale, questo è certo.
Andiamo, ti vuoi muovere?
E se l’avessero davvero scoperta ad attraversare il confine? Magari la stanno interrogando proprio ora!
Dovrei andarmene.
Ma come, la lascio sola ad affrontare i suoi genitori, il Capo villaggio, la condanna sociale?
Ti prego, fa che vada tutto bene, fa che possa essere presto qui al mio fianco.
Perché vedere un’amica deve essere tanto difficile?
Perché lei è speciale come nessun’altra, Will, idiota.
Non è stato semplice abituarsi a tutto questo, lo ammetto. Non è stato semplice crederle; a dirla tutta, sono fuggito via dopo la sua confessione. Non mi vergogno e me ne pento quanto basta. In fondo, sono tornato, ancora e ancora. In fondo, sono qui, oggi.
A differenza sua invece, che continua a tardare!
Già, dovremmo trovare un modo più semplice di comunicare.
Ho controllato, poco fa, per ingannare l’attesa: il cofanetto è proprio al suo posto, al limitare del bosco, vuoto. Il locandiere non ha fatto domande nemmeno questa volta, per fortuna; ogni mia lettera  che giunge  alla taverna va seppellita qui, nella cassetta, lui lo sa bene. E sa anche a che indirizzo inviare la lettera che ogni settimana il cofanetto contiene. È geniale, lo so; eppure io e Caris non ci siamo mai capiti molto in quanto ad orari.
Fa freddo, sto gelando per davvero; ma sono troppo contento di rivederla!
Quanto è passato dall’ultima volta?
Vediamo, ricordo la tela, si. I colori dell’autunno alle spalle, le querce tinte d’arancio e rosso e lei, il suo viso rosato e i capelli color del fuoco, improbabile come sempre mentre pasticciava con certe strane erbe. Era davvero un bel lavoro, quello; facile da vendere, è andato via al primo paesotto in cui mi sono fermato.
Chissà, una di queste volte dipingerò qualcosa solo per me.
Un ricordo di lei, dell’Irlanda, del villaggio.
Del suo segreto.
No, ho giurato di custodirlo come fosse mio e lo farò.
Che ore si saranno fatte?
La notte è buia, le luci del tramonto e dell’alba sembrano lontane.
Caris devo preoccuparmi davvero?
Caris-parla-a-vanvera dove sei?
Parlo da solo, nella mia testa, come un’idiota; sarà il freddo a generare questi pensieri incoerenti?
No, forse è solo l’ansia, la paura.
Ogni volta è un rischio, per noi; un solo passo falso e non ci sarebbe più nulla da dipingere, non ci sarebbe un’amica da ritrovare ogni volta, non ci sarebbero scherzi e giochi e pensieri da condividere.
Caris, speciale tra chi è speciale, ti prego, non metterci tanto. Ti prego, non farti aspettare ancora.
Un momento!
Forse vedo qualcosa e mi tappo la bocca con le mani per non gridare.
Lontano, in mezzo a tutto questo buio, posso scorgere una luce.
È un puntino, in verità, piccolo e chiaro, ma sembra correre veloce, correre verso di me.
Eccola, è lei!
Non mi ero accorto di trattenere il respiro, di avere le gambe in tensione, le spalle ritte.
Sta bene, sta arrivando.
La luce corre veloce su per il boschetto di querce e, più si avvicina, più illumina piccoli dettagli di lei.
Posso vedere il suo sorriso, mentre ancora non ci azzardiamo a pronunciar parola per il timore di essere scoperti. Le sue ciglia creano un’ombra sulle guance rotonde, il naso sulle labbra: ha gli occhi che ridono, questo lo vedo bene.
Faccio qualche passo nella sua direzione e spalanco le braccia. Lei ci si butta, e mi stringe forte, fiduciosa come sempre.
“Finalmente” bisbiglio al suo orecchio.
“Sono così contenta che tu sia tornato” risponde lei, tutto d’un fiato.
Qualcosa di caldo, bollente, preme sulla mia schiena.
“Che roba è?”
“Credevo saresti morto di freddo ad aspettarmi. Ho raccolto una pietra e l’ho riscaldata per te” dice quasi ridendo, forse per la mia espressione infuriata.
“Grazie al cielo!”
Stringo tra le mani quello strano dono, lasciandola libera dal mio abbraccio.
Tutta la luce del momento sparisce nella mia presa, luce incandescente, di fuoco. Il buio incombe di nuovo ed io non riesco più a vederla.
“Brilla” sento che lei sussurra.
Ecco, ora va meglio; stringe in mano un ramo di felce, raccolto nel bosco, sicuramente. È luminoso, brilla nella notte.
“Mi sorprende ogni volta, questa cosa qui” porto la mano alla testa come un’idiota.
“Sarebbe ora che ti abituassi!” ridacchia lei, afferrando la cartella ai miei piedi con naturalezza.
Scuoto la testa e mi carico in spalla lo zaino.
“Andiamo?” dice ancora Caris, già avanti, un braccio teso dietro di lei, la luce delle felce protesa verso l’oscurità del paesaggio.
Andiamo al mare, non c’è bisogno di chiedere.
Ho conosciuto Caris in uno dei miei viaggi; capitavo in Irlanda per la prima volta, avevo gli occhi pieni della meraviglia di Galway, di questo paesaggio, di questa vita. Niente avrebbe potuto affascinarmi di più, pensavo.
Mi sbagliavo, ovviamente.
Al tempo, Caris era una piccola di appena tredici anni; io, i miei primi dipinti in spalla, diciotto anni da buttare, una vita da riscrivere. Avevo da poco lasciato una casa accogliente e ricca, tutti i miei studi, mia madre, mia sorella, il dolore della perdita. Scappavo da Londra, dalla guerra, dalla morte di mio padre, dalla sua uniforme zuppa, dal suo sorriso storto. Vivevo di niente, dormivo sotto le stelle. Inseguivo il mio sogno da solo.
Bisogna perdersi per ritrovarsi.
Lei era piccola e buffa, la gonna arancio, la camicetta verde, i capelli rossi dai mille riccioli, sciolti: era persa tra queste colline, persa in tutt’altra maniera, vagava alla ricerca del suo gatto, alla ricerca del mare d’estate. Solo in seguito venni a sapere che quella era la prima volta anche per lei; la prima volta che lasciava il villaggio, la prima volta che conosceva l’Irlanda.
“Da dove vieni, questa volta, mio caro Will?” lei mi aspetta e proseguiamo spalla a spalla.
“Parigi, la Francia”.
“E com’è laggiù?”
I suoi occhi sono pieni di desiderio.
“Fantastico, Caris. Dovresti vederlo!”
“Un giorno, chissà”.
Camminiamo in silenzio per un po’: lei indossa un mantello scuro, ha i capelli coperti e la felce illumina il suo braccio e l’erba umida sotto di noi. Il sole sorge pian piano, in questo nuovo giorno speciale.
Un dubbio resta in testa, però.
“Come mai tanto ritardo, oggi? È successo qualcosa al villaggio?”
“È stato strano, in realtà. I Guardiani alla porta erano nervosi, come se percepissero qualcosa di insolito; erano tanto vigili, nessuno si è mai allontanato per lunghi minuti. Non chiedermi perché, non ne ho davvero idea. Ho dovuto fare più attenzione del solito e sono rimasta nascosta per un’infinità di tempo”.
Vedo la preoccupazione sul suo viso, forse la paura, un flash di pochi minuti.
“Tutto questo diventa sempre più pericoloso” penso ad alta voce.
Ecco, ora sorride di nuovo; lunatica, impossibile Caris!
“Ma io sono Caris Doherty, ricordi? Nessuno può fermarmi!”
Scherza e ride, finalmente libera di alzare la voce senza paura di essere scoperta.
Sei Caris Doherty, è vero; ma sei tanto piccola e tanto assurdamente fiduciosa! È impossibile non preoccuparsi per te.
“Will, facciamo una corsa? Sento il sangue che si gela nella vene”.
Le prendo una mano tra le mie e si, è davvero fredda.
“Ma non una gara. Non potresti vincere mai!”
“Ma davvero?”
“Hai le gambe corte, ricordi?” adoro provocarla.
Lei mi guarda decisa, gli occhi scuri spalancati, il viso molto al disotto della mia spalla.
“Dammi il tuo zaino, avanti” dice, perentoria.
Rido mentre assecondo la sua mente folle. Lei afferra il fardello e la cartella dei dipinti e poi mormora qualcosa di indistinto; di fatto, quelli spariscono all’istante.
“Ehi! C’è tutta la mia vita lì dentro!”
Ride forte, lei “Tranquillo, ci aspettano sulla scogliera”.
“Pronto?”
“Altrochè!”
E corriamo come matti, giù per le colline morbide e verdi dell’Irlanda, ridendo del gioco; della vita dura di tutti i giorni, della fame, della povertà non mi ricordo mai quando sono con Caris. Ritorno un po’ bambino, quel bambino che non sono mai stato.
E lei lancia un grido acuto e bello, mentre le guance le si tingono di rosso e il cappuccio scivola via dalla sua testa, liberando la chioma rossa e riccia che danza col vento, che danza intorno al suo viso.
È diventata proprio carina, la mia Caris!
Carina, ma lenta.
La supero in fretta, mi prendo anche il tempo di farle una boccaccia.
Vedo il mio zaino, in lontananza; siamo quasi arrivati!
Poi, all’improvviso i miei piedi si rifiutano di muovere un passo.
“Ma cosa…?”
Si, giuro, restano incollati al terreno, ed io cado in avanti, completamente sbilanciato.
Lei ride di un’allegria contagiosa.
“Ops” mi prende in giro, il fiatone, la mano su un fianco, quando mi raggiunge.
“Questo è barare!” mi lamento.
“Avrò pure le gambe corte, ma la magia è dalla mia parte! Non dovresti dimenticarlo tanto spesso!”
“Sei una piccola strega del male, niente di più!”.
Si lascia cadere al mio fianco con un sospiro, i capelli paurosamente spettinati, le guance rosse.
“Che fai, non arrivi al traguardo?”
“Sono troppo stanca, Will!”
Sorride con gli occhi, le labbra incantate. Come si fa a non volerle bene?
“Andiamo, ragazzina, porta qui le mie cose, allora”.
Il mare è ancora scuro davanti ai nostri occhi, l’odore di salsedine è pungente.
Quando ho conosciuto Caris per la prima volta, quando pensavo fosse una persona normale, persa come tante altre, siamo venuti qui, al mare.
Lei ama questo posto.
I nostri respiri pesanti riempiono l’aria, i visi congestionati.
“Su, da brava, asciugati amica erba” mormora lei.
Sotto di noi, la brina della notte scompare, i nostri vestiti tornano asciutti.
Guardiamo il sole sorgere pian piano, tingere di rosso e arancio le onde del mare poco distante. I colori sono fantastici, colori che non sarò mai in grado di dipingere; non senza un piccolo aiuto.
Frugo nello zaino e lei se ne accorge.
“Oh, Will, di nuovo?”
“È troppo bello, troppo. Devo assolutamente averlo” rispondo, porgendole un barattolo vuoto.
Lei lo tiene tra le mani, osservando il cielo davanti a noi.
Vedo le sue labbra muoversi, guidate dalla magia del momento; è un sussurro che non riesco a sentire.
“Ecco fatto” dice e mi porge il barattolo pieno del colore del cielo.
Fantastico!
Lei butta indietro la testa e si sdraia sull’erba; le braccia piegate in alto, il mare di fuoco dei suoi capelli contro il verde dell’erba, la luce viola e arancio dell’alba.
“Caris, non ti muovere” mi ritrovo a sussurrare.
“Sissignore!” scherza lei.
Sa cosa sta per succedere; tela e pennelli, monto il cavalletto, inizio a pasticciare coi colori.
“Sai una cosa, Will?” chiede, gli occhi chiusi.
“Mmm?”
“Non ti ho mai visto dipingere il paesaggio qui intorno”.
“Già” ho le mani macchiate d’inchiostro, ma non mi interessa.
“Nel senso, ci sono sempre io in mezzo ai tuoi dipinti. Non ti da fastidio, vero?”.
“Per niente”.
Lei è la magia dei miei lavori migliori.
“Ti secca  se parlo un po’? Posso anche dormire se vuoi”.
Ci impiego qualche minuto di troppo a rispondere, me ne rendo conto.
“No, affatto. Raccontami come vanno le cose giù al villaggio”.
“Non male, in realtà. Ormai sembra che i miei genitori abbiano del tutto superato il trauma di avere una figlia come me”.
Sbuffo, mentre tratteggio i contorni sfumati di ciò che mi circonda.
“Non sto scherzando, davvero! È stato un colpo per loro avere la certezza che non sarei mai diventata Guardiana. Per di più, mio fratello sembra essere la rivelazione dell’anno; nessuno è bravo, bello e giusto come lui. Un Guardiano nato, insomma!”.
I Guardiani, che idiozia.
Il villaggio, Skin Deep, è una spaventosa macchina sociale, stando a quello che Caris racconta.
“Quindi, sono finita alle costole del vecchio Gerald” conclude lei, aprendo un solo occhio per guardarmi.
La matita scivola via dalla mia presa.
Il vecchio Gerald?
“Caris, intendi il pazzo del villaggio?”
“Esattamente”.
Vedo che sta trattenendo una risata; ma come le viene in mente?
“Andiamo, non puoi dire sul serio. Qualche mese fa eri terrorizzata da lui!”
“Adesso non più; è l’unico come me, ha molto da insegnarmi. E poi, non è vero che è pazzo”.
Spalanco gli occhi, estremamente scettico.
“Si, è così! Ha avuto una vita difficile, abbiamo un fardello pesante da portare noi Maghi dei Desideri”.
“Se lo dici tu. Ti trovi bene, quindi?”
“Mi piace perdermi tra i suoi diari, nelle sue memorie. È un grande insegnamento, per me”.
“Caris, mi servirebbe un po’ d’acqua”.
Frugo nello zaino alla ricerca della ciotola giusta; quando gliela porgo, però, lei ha un sorriso esasperato sul viso.
“Will, quante volte dovrò ripetertelo ancora?” ridacchia.
“Cosa? Sei tu quella che fa magie, no?”
“Va bene, ma non sono un’Autrice”.
“Quindi non puoi creare, giusto?” provo, titubante.
“Si, Will! Non posso generare dal nulla, non è quello il mio potere, e lo sai!”
Si, è vero, avrei dovuto ricordarmelo, me l’ha spiegato un’infinità di volte.
A Skin Deep, il villaggio più magico del mondo, esistono solo tre categorie per ingabbiare tutta la meraviglia che esiste: gli Autori, i Falsari e i Guardiani.
Caris, manco a dirlo, è stata tagliata fuori da tutte e tre; tagliata fuori dalla nascita, dal suo potere raro, che non ha cercato, non ha richiesto.
Gli Autori creano dal nulla, immaginano ciò che non c’è per poi stringerlo tra le mani, nuova creatura, nuova materia nel mondo; i Falsari sentono l’energia degli elementi tra le dita, possono leggere nella realtà e manipolarla, trasformare il ghiaccio in pioggia, un seme in fiore, il vento in bufera.
Entrambi sono struttura portante del villaggio, ne permettono il sostentamento e il benessere; la mia amica non può contribuire per davvero a questa macchina infallibile.
E come mai avrebbe fatto a possedere il potere di distruggere, di cancellare? Far svanire le cose nel nulla, separarle, lasciarle morire. No, Caris non possiede nemmeno un goccio dell’oscuro potere dei Guardiani. Guardiani del villaggio, degli uomini che lo popolano, della magia.
Caris è chiacchierona, bugiarda, confusa; è una Maga dei Desideri.
“Forse, però, posso fare qualcosa per te” mi dice, mentre si mette seduta, di punto in bianco, sistemandosi la gonna sulle ginocchia.
Vedo che strizza gli occhi, corruga la fronte, per concentrasi.
“Ti va bene l’acqua del mare?”
Annuisco, stupito; il mare è così lontano, in fondo, giù per la scogliera!
“Allora avanti, una bella manciata d’acqua salata in questa ciotola!” ordina.
La sua voce è quella della magia, ormai ho imparato a riconoscerla.
Stringe i pugni, lei, mentre attendiamo qualcosa, un qualche prodigio.
E qualcosa accade davvero; una sfera di liquida luce trasparente risale dal dirupo, lenta, viene verso di noi. Quando s’infrange nella mia ciotola, però, non è che una goccia, piccola e sporca.
“Dai, non ridere! Io ci ho provato!” si lamenta con un mezzo sorriso, buttandosi di nuovo per terra.
“Se non sai fare di meglio, me la farò bastare” dico, mentre intingo la punta del pennello, le lacrime agli occhi, le labbra ricurve.
L’acqua diventa verde, all’istante, il verde più intenso, mischiato ad un tocco di rosso.
L’unica magia di Caris sono le sue parole, mi sembra chiaro.
Lei lascia il suo segno nel mondo con un solo sussurro, con un grido di gioia, parlando e cambiando ciò che è intorno a lei. Non crea, non controlla gli elementi, non distrugge; lei avvera desideri, semplicemente.
Ci sono cose che non è in grado di fare, ci sono magie che solo lei può rendere tali.
È un dono raro, anche a Skin Deep.
“Come procede?”
“Ancora è solo un abbozzo, sii paziente!”
“Guarda, è sorto il sole, finalmente”
Tutto è fantastico qui, lontano dal mondo, lontano dagli uomini, dalle città che diventano sempre più grandi. Osservo Caris stesa sull’erba, la sua gonna celeste aperta come la corolla di un fiore, il maglione spesso, del verde più scuro, i capelli sparsi; che libertà sentire la terra sotto le dita, annusare il profumo dell’alba. È tutto fantastico qui, ed io vorrei potermi fermare, una volta per tutte.
“Will”
“Si?”
“Quando avrai finito mi porti con te?”
“Eh?”
La mia voce è spaventosamente stridula; ma che sta dicendo?          
“Intendevo in città”.
È la prima volta che me lo chiede. In questi anni lei è sempre stata felice delle nostre escursioni sulle colline fuori dal suo villaggio, non ha mai chiesto di più.
“Perché proprio ora?”
“Ormai ho quindici anni, Will!”
“Si, lo vedo bene!”
Lei fa una piccola smorfia nella mia direzione.
“Ho quindici anni e non conosco nulla del mondo. Non so niente, al di fuori di quello che ci insegnano al villaggio. Non ho mai fatto spese al mercato, non ho mai indossato un vestito che non fosse cucito da mia nonna o da me. Non ho mai studiato nulla se non la mia magia, di ogni mia amica conosco i nonni e i parenti fino alla terza generazione. Tutta la mia vita ruota intorno ad un villaggio minuscolo! Se non fosse per te non avrei mai mangiato cioccolata, mai visto il tramonto tra queste colline, mai visto il mare. La mia è una vita ristretta, rinchiusa; ora, voglio vedere e conoscere più cose che posso! Ora che ne ho la possibilità”
“Va bene, va bene, rallenta!”
Mi vien quasi da ridere, ma non c’è niente di spiritoso nelle parole della mia più cara amica.
“Scusa” mormora lei, chinando leggermente la testa.
“È che, per la prima volta, ho paura. Paura di rimanere incastrata, paura di vivere tutta la mia vita al villaggio, come mia madre, mia nonna e tutta la mia famiglia”.
“Non sarà così, per te, vedrai” provo a rassicurarla.
In realtà, non sono poi così ottimista.
“Tu hai già trasgredito alle regole una volta, ed oggi sei qui. Caris, sei libera di scegliere, tutti noi siamo liberi di scegliere la vita che preferiamo”.
“A quale prezzo, Will?”
Alto, amica mia, molto alto.
Credo che lei possa leggere la risposta nei miei occhi; le ho raccontato la mia storia, una volta.
Sono anni che non vedo mia madre e ancora non posso dimenticare i suoi occhi, sgranati e sofferenti, mentre mi allontanavo dalla porta di casa, su per il grande viale alberato. È rimasta alla finestra finché io sono riuscito a vederla; una volta sparita dalla mia vista, è sparita anche dalla mia vita.
Qualche mese fa le ho scritto una lettera. Lei non può rispondermi; non mi fermo mai più di qualche giorno nello stesso posto.
“E va bene, Caris, se davvero ci tieni, ti accompagnerò in città” mormoro.
La scelta deve essere sua; le ferite mie, dei suoi genitori, degli uomini del villaggio non possono essere tutto il suo futuro.
Il suo sorriso è bello e prova ad illuminare gli occhi tristi.
“Sei il migliore, Will!”
“Ora basta con le smancerie, va bene? Resta ferma un momento”.
Il suo viso è piacevolmente colorito, adesso; le guance sono rosate, gli occhi brillano più del normale. Voglio catturare tutto questo, la felicità del momento, la gioia che può dare una semplice promessa.
Non sono un genio, non diventerò l’artista migliore del mio tempo, questo lo so. Eppure non c’è altro modo in cui vorrei trascorrere la mia vita; fuori da ogni gabbia sociale, nell’anonimato più completo.
Una volta ero William Stoker, giovane rampollo di una famiglia di abili giuristi; ora sono solo Will, che viaggia e cammina senza meta, inseguendo quella bellezza che ancora esiste da qualche parte.
In quest’angolo d’Irlanda la bellezza è lei, la mia amica Caris; morbida come le colline dolci, caparbia come la terra dura e nera, magica e luminosa come i tramonti sul mare.
Se non fossi andato via non avrei mai scoperto la magia dell’universo.
“Ti voglio bene, piccola Caris”.






Note
Mi prendo un piccolo spazio per salutare chiunque si arrivato qui, alla fine di questo primo capitolo! Grazie per aver letto!! :)
Questo è l'inizio di una storia breve, nata un po' per caso ma alla quale, pian piano, mi sono affezionata! Dovrebbe contare solo quattro capitoli (sto iniziando a scrivere in questi giorni l'ultimo!!) che spero possano piacere!
Se qualcuno ha voglia di farmi sapere cosa ne pensa, lo aspetto felice nelle recensioni!!
A presto,
EsterElle




 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2



Le strade del villaggio le conosco a memoria.
È buio e non si vede nulla, ma i piedi mi guidano con precisione infallibile; ecco la vecchia panetteria del signor Connor, la Piazza del Mercato, la filanda di Jenny la Zoppa . Per quindici anni ho percorso queste vie; qui ho giocato coi miei amici, qui ho partecipato alla Festa del Falò, alle cerimonie del Fondatore, qui ho preso parte alle nascite e alle morti del villaggio. Eppure, non ho mai, mai, percorso queste stesse strade con il cuore tanto pesante, le mente tanto offuscata, una moltitudine di residui di lacrime secche sulle guance.
È tutta colpa mia.
Ho sbagliato ogni cosa.
È colpa mia se, alle prime luci dell’alba, uccideranno Will.
Non posso neanche pensarci.
Ecco, questo è Vicolo dei Walsh, la mia meta, l’unica possibilità. È facile scorgere una luce, il tremolio delle candele e il fiato caldo che crea condensa sulle finestre della grande casa che si affaccia sulla via.
Mi accuccio un momento, giusto il tempo di gettare uno sguardo all’interno: sono tutti lì, i potenti di questo villaggio. Sin da questa mattina confabulano chiusi nella casa del Capo, cercano di prendere una decisione, di stabilire quale destino spetta al mio amico Will.
Se solo non fossi stata così idiota da voler andare in città!
C’è anche mio padre, là dentro.
Ha gli occhi cerchiati e le labbra tese; che delusione sono stata, per lui!
Un brivido di freddo scende giù, lungo la schiena.
Nell’angolo, seminascosto dalle grandi spalle di Michael Murphy, capo costruttore, c’è anche Gerald. Il vecchio Gerald, il mio maestro. Se solo potessi parlargli un minuto, se solo potessi spiegare!
È vero, ho rivelato il nostro segreto ad un ragazzo senza magia, ad un ragazzo come tanti altri.
Ma lui è mio amico e so che non potrebbe mai tradirci!
Loro non mi capiscono, non riescono a fidarsi di me.
Perché deve essere Will a pagare per questo mio errore?
So che lui è qui, qui vicino. Lo tengono chiuso in una stanza sotto la casa, scavata nella terra nera dei nostri avi. Resterà lì, solo, fino a quando non avranno deciso il da farsi. Non otterrà mai la possibilità di difendersi; tutti, qui, temono gli uomini senza magia.
Temono le loro armi, il loro amore per le guerre, la loro tecnologia. Temono la loro fobia per chi è diverso, per chi è speciale, la loro morbosa, distruttrice, curiosità. Temono le grandi città che hanno coperto la terra, ucciso foreste, bruciato campi; quelle città che minacciano di privarci della fonte stessa del nostro potere.
Ma Will non c’entra, lui non è come loro!
Vorrei urlare, farmi sentire.
Non possono essere tutti cattivi, io non l’ho mai creduto. Per questo motivo mi sono avventurata al di là del bosco, qualche anno fa, per questo motivo ho trasgredito a leggi vecchie di millenni.
Non posso vivere tutta la mia vita chiusa in questo villaggio!
Impazzirò.
Se Will muore non ci sarà più speranza, non ci sarà più un domani diverso, per me.
Will è mio amico, il mio unico vero amico.
Will è tutto ciò che vorrei essere.
Tutto ciò che vorrei, e basta.
So cosa devo fare.
Prendo il coraggio a due mani e busso alla porta.
Gli attimi che seguono sono i più penosi della mia vita; il cuore batte troppo forte e troppo veloci sono i respiri che prendo, troppa l’aria che agogno.
No, non posso farcela!
Una lama di luce cade ai miei piedi quando qualcuno apre la porta di un poco.
“Chi va la?” dice la voce preoccupata.
Con mani tremanti abbasso il cappuccio e lascio che il mio viso venga illuminato dalla luce della lanterna.
“Caris” dice la voce, il tono è sommesso, quasi deluso, esasperato.
È Tom che ha aperto la porta. È un giovane Guardiano, uno dei migliori amici di mio fratello.
“Voglio vederlo”.
Le parole escono strozzate dalla mia gola, quasi incomprensibili.
Non c’è premeditazione, non ho nessun piano; devo solo andare là sotto e fare la mia magia.
“Andiamo, piccola, torna a casa. Sai che non è possibile”.
Mantengo lo sguardo fisso su di lui, sul viso barbuto e scuro, e cerco di non spaventarmi troppo.
“No, non posso” ripete allora, senza che io gli abbia chiesto niente.
“Voglio vederlo e lo farò, con o senza la tua autorizzazione”.
“Non è permesso. Nessuno può avvicinarsi” ribatte più duro, ora.
“Tom, ti prego, non farò nulla di male. Sarà spaventato, laggiù, ed io voglio solo portargli un po’ di conforto” supplico.
“È solo uno schifosissimo ragazzo senza magia, Caris! Non merita la tua pietà” si lascia sfuggire, perdendo l’impassibilità del suo mestiere.
“Non è vero! Lui è mio amico”.
“Io sono tuo amico, ragazzina. Tutti noi qui al villaggio siamo tuoi amici”.
“Allora lasciami passare e non dire nulla agli uomini li dentro!”
“Sono tuo amico al punto da riaccompagnarti a casa personalmente” sbotta, afferrandomi un braccio.
Non mi ha nemmeno ascoltato!
“Lasciami, Tom!”
Non mi sente, non mi da retta.
Per tutti, qui, non sono altro che una povera bambina confusa e imbrogliata.
“Lasciami ho detto!”
Quando è la mia magia a parlare per me, nessuno, di certo non Tom, può opporsi.
Eccolo che ritira la mano, la scuote come fosse ustionata.
È uno sguardo risentito quello che leggo nei suoi occhi?
Non mi farà paura, non lui, il suo potere terribile, la sua posizione.
“Puoi colpirmi, se vuoi. Ma non mi impedirai di scendere di sotto”.
Il silenzio è duro, leggo l’offesa nel suo sguardo. Per un Guardiano l’orgoglio viene prima di tutto, la forza va dimostrata in ogni occasione, le offese non possono restare impunite: è questo quello che la mia famiglia mi ha insegnato, questo tutto quello che so.
“No, Caris, non alzerò un dito contro di te. Non sono io quello tanto pazzo da far comunella con gli uomini senza poteri ed affezionarmi a loro al punto da ferire un fratello” mormora, infuriato.
“Vieni dentro e non fiatare”.
Non è stato difficile, in fondo.
Va bene, stupida Caris, togliti quel sorrisino soddisfatto dalle labbra.
Il bello arriva proprio ora.
Non è stato difficile perché qui tutti mi vogliono bene. Sono io quella da proteggere, nei ragionamenti contorti di amici e fratelli, di uomini e donne che mi hanno vista nascere e crescere qui.
La povera Caris, ecco chi sono per loro; imbrogliata e corrotta da un ragazzo qualunque.
È così assurdo!
La luce è forte nella grande stanza della casa del Capo Walsh; ho bisogno di un momento per mettere a fuoco le sedie e le poltrone, i tavoli bassi, il gruppo di uomini e donne dalle facce scure che guardano me.
“Caris, bambina!” esclama Ana O’Sullivan, la donna più anziana del villaggio.
Viene verso di me e mette un braccio intorno alle mie spalle, come a volermi rassicurare.
“Va tutto bene” mormora, infatti.
“Caris Doherty, sei la benvenuta” mi accoglie il signor Walsh.
“Siedi con noi” aggiunge.
Non ho ancora avuto il coraggio di guardare verso mio padre e lui resta muto, non muove un dito, non da segni di avermi riconosciuto. Tom, invece, prende posto al suo fianco; sono entrambi Guardiani, dopotutto.
“ Il nostro mondo è in pericolo, non c’è dubbio, ne abbiamo lungamente discusso. Ma commetteremmo un grosso errore dimenticandoci delle sofferenze di chi è stato coinvolto in prima persona in questo orrido complotto” sento dire il Capo Walsh, mentre Ana mi fa spazio accanto a sé.
Complotto?
“Andiamo, Caris, raccontaci come sono andate le cose”
“Come ha fatto quel ragazzo ad attirarti fuori dal villaggio?”
“Ti ha drogata in qualche strano modo? Ti ha fatto bere una loro pozione?”
 “Abbiamo letto quella lettera, in un cofanetto sepolto al limitare del bosco. Un trucco davvero molto subdolo, arguto, non c’è che dire”.
“Ti ha fatto del male?”
“Viscido verme, essere immondo, vergogna dell’umanità!”
“Ci siamo rammolliti, le nostre difese si sono rammollite!”
“Non osare dare la colpa di tutto questo ai Guardiani, Michael!” si erge mio padre, dal suo posto nell’angolo.
Ha lo sguardo duro, le labbra tese in un’unica linea.
“Se solo avessi tenuto a bada tua figlia non sarebbe successo proprio nulla” è la risposta del carpentiere, da quel burbero omaccione che è.
Mai sfidare un Guardiano, mai sfidare il loro capo: Tom fiancheggia mio padre in un secondo e un taglio netto si apre sulla giubba di cuoio dell’uomo.
 “Basta, adesso, state spaventando la piccola!” dice Ana, carezzandomi la testa.
Sono spaventata è vero, ma non per mio padre, non per la magia distruttrice dei Guardiani. Sono preoccupata perché ancora non so come porterò avanti il mio piano, come salverò Will.
La mia mente è vuota e la disperazione monta in me come mai prima in vita mia.
Che devo fare?
Angosciata, torturo le maniche del mio maglione verde.
“Ana dice il giusto” interviene Walsh. “Non permettiamo a questo spiacevole episodio di creare rotture all’interno della nostra comunità” continua, lanciando uno sguardo severo al capo costruttore.
“Perché non lasciamo la parola alla ragazzina?” una voce, vicino alla finestra, sembra giungere in mio aiuto.
È Kathleen, capo della comunità dei Falsari.
“Giusto!” concorda la vecchia Ana, al mio fianco.
“Cosa volevi dirci, bambina?” mi chiede poi, sfiorandomi la guancia con la mano sottile, ricoperta di rughe.
Ecco, da questo momento dipende tutta la mia vita.
La vita di Will, la mia felicità.
Cosa diavolo dico?
È quasi per sbaglio che intercetto lo sguardo di Tom, dall’altra parte della stanza; lui sa, eppure non parla.
Sa perché sono qui, sa che ho bisogno di vedere Will. Potrebbe raccontare della nostra discussione, del fatto che io per prima l’ho colpito; allora, nessuno crederebbe più alle mie parole.
È una possibilità quella che vuole concedermi?
Se voglio andare da Will, devo assecondarli, assecondare la pazzia di tutti loro; il silenzio di Tom mi ha aperto gli occhi, il silenzio di Tom è la mia occasione.
 “Io… sono qui perché…” la voce mi muore in gola, le mani tremano.
Un bel respiro.
Forza, Caris, puoi farcela!
“Va bene. Io non avrei mai voluto arrivare a tutto questo” dico a precipizio, senza guardare in faccia nessuno.
Non potrei mentire abbastanza bene con i loro occhi nei miei.
“Non avevo capito quanto la mia avventura potesse essere dannosa per il nostro villaggio. Io.. sono stata talmente stupida! Mi pento e mi vergogno moltissimo per quello che è successo; ma ora ho imparato la lezione” le parole faticano a trovare la via della bocca.
Le menzogne pesano sul mio cuore e ancora non posso darmi per vinta.
“Ho imparato quanto gli uomini senza magia possano essere pericolosi. Tutti loro, senza esclusioni. E quanto sono stata ingenua a lasciarmi affascinare da uno di loro”.
Dove la trovo un’espressione sufficientemente contrita da ingannare tutti quanti, ora?
“Bambina cara, non devi affliggerti in questo modo. Tu non hai colpe; sono loro ad averti ingannata senza pietà” cerca di consolarmi Ana.
Mi mordo le labbra a sangue.
“Ana ha ragione. Sono certo che mai, di tua spontanea …” inizia a dire il Capo Walsh.
Ma mio padre lo interrompe.
“Caris ha commesso un terribile sbaglio, uno sbaglio che disonora tutta la sua famiglia” sono le sue parole, dure.
Non posso fare a meno di guardarlo, ora che finalmente lui mi degna della sua attenzione. Sento il sapore del mio sangue in bocca, gli occhi asciutti bruciano di lacrime prigioniere.
“Papà io …”
“Suvvia, Liam, non dovresti essere tanto rigido. Caris è ancora una bambina”.
“Una bambina a cui è stato fatto dono della migliore educazione, di una famiglia amorevole, di un potere unico al mondo. Merita la giusta punizione per la sua ingratitudine, per aver trasgredito alle nostre leggi e violato il segreto” continua lui, imperterrito.
Il silenzio cala sul gruppo.
Il mio cuore diviso batte violento, e violento sento il sangue salirmi alle guance.
Voglio bene a mio padre e voglio bene a Will; che fare, a questo punto?
“Caris, ammetti le tue colpe?” la sua voce, come una mannaia.
“Si” devo bisbigliare con un filo di voce. “E chiedo perdono” aggiungo.
I giochi sono fatti, il destino segnato, le scelte compiute in pochi secondi.
È doloroso vedere il volto di mio padre distendersi dopo questa ennesima menzogna. Con che animo potrò ancora chiamarmi sua figlia dopo questo?
“Ti è concesso, piccola Caris” sorride il Capo.
“A nome del clan dei Doherty ti ringrazio, Walsh. Ringrazio tutti voi per la benevolenza dimostrata nei confronti di mia figlia” china il capo mio padre.
So quanto è dura per lui.
“Mi assicurerò personalmente che la ragazza adempia alla punizione che questa assemblea sceglierà per lei” aggiunge. “E personalmente mi batterò affinché la peggiore delle pene si abbatta sul ragazzo prigioniero. Le ambizioni di quest’uomo comune hanno trovato terreno fertile nell’ingenuità e nell’avventatezza di mia figlia; Caris ha le sue colpe ma di molto maggiori sono quelle di colui che si è approfittato di lei”.
Con questo, con la vendetta negli occhi, si siede e Tom con lui.
“Il Guardiano Liam ha pienamente ragione” tuona Michael il costruttore, la discussione di poco prima già dimenticata.
“Dobbiamo assicurarci che taccia per sempre!” rincara la dose Darragh, Responsabile degli Approvvigionamenti.
“La magia nasce e muore con gli abitanti di Skin Deep. È inaccettabile che qualcun’altro ne sia a conoscenza” approva Ana, che ancora stringe la mia mano nelle sue.
La sua parole è quasi legge, al villaggio: sono rare le volte che il Capo non prende in considerazioni la volontà della vecchia.
Adesso. Questo è il mio momento.
“Capo Walsh, permettimi un’ultima parola, ti prego” cerco di farmi sentire tra tutto quel brusio.
Come calamite gli sguardi di tutti tornano per l’ennesima volta su di me, incerti.
“Parla pure, Caris”.
“Lascia che sia io a portare la notizia al ragazzo”.
Le reazioni sono immediate; no, non sono ancora dalla mia parte.
“La ragazza è troppo fragile, troppo provata, Walsh” urla sopra tutti Michael Murphy.
“Non può scendere laggiù da sola!”
“Aspettate, aspettate un momento!” cerco di catalizzare di nuovo l’attenzione.
Maledizione, devono sentirmi, devono ascoltarmi!
“Come potrei continuare a vivere al villaggio sapendo di aver provocato la crisi più grossa dopo la fuga di Eoin il Folle, quasi cinquant’anni fa? Dovete lasciarmi andare, dovete darmi la possibilità di un riscatto. Vi supplico!” dico, alzandomi in piedi.
Il silenzio torna pian piano.
Bene.
“Non devo andare da sola, ovviamente. Ma ho davvero bisogno di guardare negli occhi chi mi ha ingannato e usato, ho bisogno di una rivalsa” cerco di convincerli.
Spero possa bastare.
Lo sguardo di Tom brucia sul mio viso ed allora sto bene attenta a non incrociarlo. Perché non interviene? Una sola sua parola e il mio patetico trucco sarebbe smascherato.
Non capisco.
Poi, qualcuno parla, ed il mio castello in aria crolla.
È solo quando prende la parola che mi ricordo di Gerald, della sua presenza silenziosa nella stanza.
Non è mai stato un uomo di molte parole, ha imparato bene a gestire il potere che ha, a differenza mia.
“Non è saggio mandare Caris laggiù” mormora con la sua voce bassa e baritonale.
Non sono in molti ad averlo sentito, però.
“Non è una cattiva idea, Capo! La ragazzina ha una reputazione da difendere” si accalora Darragh.
Sono in molti a pensarla come lui e questo è un bene.
Il pensiero di Gerald mi tormenta; come ho potuto dimenticarmi di lui? Lui che mi conosce tanto bene, che conosce il mio potere e i miei pensieri, con cui mi sono confidata in questi mesi.
No, lui non si lascerà ingannare.
Potrebbe essere la mia rovina; nessuno deve appoggiarlo, devo agire in fretta.
“Io sono pronta, non lascerò che si prenda gioco di me una volta ancora” ribatto con baldanza nella voce.
Mio padre sembra piuttosto fiero di questo; la vergogna mi scalda le guance.
“Ben detto!”
“La degna figlia di Liam Pugnodiferro!”
“Bene, bambina; chi vuoi con te?”
Non credo alla mia fortuna! La vecchia Ana non sa, ma mi ha spianato la strada.
“Tom” dico subito, allungando una mano verso di lui.
Meglio tenerlo vicino, sotto controllo.
“E Kathleen” aggiungo, sorridendo nella sua direzione.
Una Falsaria non potrà darmi troppi problemi nelle profondità della terra, in quelle segrete fredde ed umide; riuscirò a cavarmela contro di lei.
“Capo Walsh, mi offro volontario anch’io per accompagnare la mia allieva” afferma Gerald, ben udibile, ora.
Oh, no.
No, no, no!
Gerald manderà tutto all’aria.
“Non ti infliggerò una pena così grande, caro amico; alla tua età, le segrete sono un posto troppo malsano e troppo ripida è la strada per arrivarci” afferma il Capo, deciso.
Ancora una volta, la sorte mi sorride. Una buona stella brilla per me, oggi.
“Tom e Kathleen saranno sufficienti come protezione” continua.
Gerald si siede, la sua attenzione catalizzata da un filo di lana sfuggito al suo cardigan. Lui non si oppone, lui non si ripete mai, non offre una seconda volta il suo aiuto, questo lo so. La vita di sempre la routine del villaggio, i suoi scandali e i suoi problemi, non sono niente, per lui.
Will ha ancora una possibilità.
Io sono la sua possibilità.
Indosso il mantello; se il mio piano funziona, mi servirà.
“Quel ragazzo si pentirà di essersi messo contro di noi!” ride sguaiato Michael, seguito da alcuni degli altri.
Vedo mio padre bisbigliare qualcosa all’orecchio di Tom prima di lasciarlo venire verso di me.
Sono curiosa, ma non posso distrarmi.
“Sei molto coraggiosa, Caris” mi sta dicendo Kathleen, posando una mano sulla mia spalla.
Si, lo sono, ma non per i motivi che credi tu, amica mia.
“Bene. Saremo di ritorno tra pochi minuti, Capo Walsh” decreta Tom, investito del nuovo ruolo. “Mi assicurerò personalmente che il prigioniero riceva il messaggio in maniera adeguata” aggiunge.
E, allora, andiamo.
La scala e buia e stretta, man mano che scendiamo lacrime di umidità macchiano i muri grezzi. Nessuno parla, nessuno fiata; Tom, però, non allenta la presa sul mio braccio.
Un tremito mi scuote tutta.
Si, ho paura, paura di non farcela.
Kathleen se ne accorge “Tranquilla, Caris, non potrà farti nulla. La magia di Gerald lo obbliga  a stare confinato nella sua stanza. In caso di pericolo ti tireremo subito fuori di lì”.
Questa è una buona notizia.
“Grazie, Kat” le stringo una mano.
“Deve essere davvero orribile, per te. Mi dispiace così tanto!”
La sua gentilezza è come cartavetrata sulla mia pelle.
“Lasciate andare avanti me” dice Tom, rompendo il suo mutismo.
Siamo davanti ad una grossa porta, massiccia alla vista; prima di ruotare la chiave nella serratura Tom mi guarda a lungo, dritto negli occhi.
- Non mi inganni – è come se dicesse. – So che non sei pentita come sembra, so che vuoi solo stargli accanto -.
È terribile il sentimento di impotenza che mi assale. Terribile il senso di colpa quando comprendo che Tom ha deciso di darmi questa possibilità. Forse perché pensa che Will sarà morto tra poche ore e quindi non è veramente importante vietarmi la possibilità di parlare con lui.
Tom si sbaglia.
Annuisco, come per rassicurarlo, come per ringraziarlo.
La porta si apre con un cigolio tremendo; l’interno è buio, senza finestre.
Una sola sedia è addossata alla parete di destra e Will è lì, seduto, il capo chino. Indossa gli stessi vestiti di ieri notte, la sciarpa al suo collo penzola oltre i gomiti poggiati sulle ginocchia.
Alza la testa di scatto, alla luce del lume che reggo. È spettinato, il suo viso è macchiato di terra, un rivolo di sangue secco gli macchia il mento; ma i suoi occhi, quegli occhi così incredibilmente azzurri e belli, si sollevano accesi, vivi di sfrontatezza, senza paura.
Lo vedo portare una mano davanti al volto, infastidito dal chiarore improvviso, e annaspo, quasi, alla ricerca di un po’ d’aria nuova.
È qui, è davanti a me, sta bene.
Stupidamente, sorriso.
Lui non mi ha ancora visto, credo, accecato dalla luce.
“Chi sei?” chiede, la sua voce terribilmente roca.
Questo suono mi risveglia, mi scuote nel profondo. Che diavolo sto facendo? Voglio mandare tutto all’aria?
“Will!” lo chiamo.
“Caris? Che cosa …?”
Non posso aspettare che capisca, il tempo stringe.
È facile allontanarsi dalla stretta allentata di Tom, correre verso Will, travolgendolo, quasi.
Mi piazzo davanti a lui e spalanco le braccia, come a proteggerlo, da Tom, da Kat, da un mondo che non capirà mai quanto è speciale, quanto è importante per me.
Lui sfiora l’orlo della mia gonna con le dita, lo sento.
È come un saluto.
Sorrido perché ce l'ho fatta, sorrido perché da ora non ci separeranno più.
I giochi son fatti, che la magia adesso si compia!









Note
Ed ecco il capitolo due ed un nuovo punto di vista... spero possa piacere!!
Un grande grazie a chi legge e segue,
a presto!
EsterElle

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***




Capitolo 3





 
In questo buio, in questa mia improvvisa cecità, non posso che pensare.
Ed i pensieri sono pesanti e cupi, sono pensieri che sfiancano la mente, corrodono l’anima, esasperano i sentimenti. Forse è proprio questo lo scopo di questa stanza, di questa punizione.
Non ho più voglia di piangere o urlare.
Mi chiedo se ne vale la pena, e questo pensiero fa male.
C’erano in serbo, per me, lunghi anni e lunghi mesi per girare il mondo, dipingere tutte le tele nella mia mente e trovare me stesso. Di sicuro non pensavo a questa cella, né a queste ore.
Nessuna stella, lassù, veglia per me?
Ci sono tante cose che non so, tante cose che vorrei fare.
Io, che avrei voluto capire e riempirmi di tutta la bellezza del mondo, mi ritrovo ad osservare il nero più  profondo. Io, che amavo i colori di questa terra, del giorno, della notte, delle stelle sul mare. Proprio io, che credevo nell’incanto infinito della vita, mi ritrovo agli sgoccioli di un’esistenza appena accennata.
Tutto questo, perché?
Tutto questo, per chi?
Fanno troppo male, questi pensieri, sono troppo bui in questa cella scura.
Una manciata di mesi prima di oggi, alcuni anni lontano da questo momento, ho conosciuto una bambina che vagava da sola per le colline d’Irlanda. Quella bambina non mi è più uscita dal cuore; ho vagato tanto, ma sono sempre tornato da lei.
Ed ora, son qui: è sua la colpa?
Probabilmente si.
È mia, la colpa? Sicuramente.
Mia perché mi sono lasciato coinvolgere troppo, mia perché non ho saputo andare via. Mia, perché ho permesso a me stesso di conoscerla, di vivere con lei nella mente, di imparare a volerle bene.
Sua, perché non può fare a meno di essere unica al mondo.
No, il suo potere non c’entra.
Esiste un motivo per cui la magia è tenuta nascosta al resto del mondo, ora lo so. C’è motivo di averne paura, ne sono convinto. Lei, Caris, ed i suoi simili sono i primi ad esserne schiavi; prigionieri di ciò che sono, vivono all’ombra di qualcosa di più grande di loro, di un destino che li segna e non li lascia più andare.
Devono nascondersi per non farsi sopraffare dal mondo, devono darsi delle regole per non dare possibilità a questo potere di prendersi gioco di loro.
No, la magia è un freno per Caris, una fragilità; il suo vero potere è tutt’altro.
Il suo vero potere è nei suoi occhi svelti, scuri e leggermente all’insù, intelligenti, che nascondo un mondo. La vera magia è nel modo in cui muove le mani quando è felice, quei gesti lievi che partono dal cuore e si allungano verso di me. Il sortilegio più grande è il modo in cui solleva le sopracciglia quando è rapita dai miei racconti, quando sogna ad occhi chiusi di posti e persone mai viste.
È unica al mondo, si.
Come nessuno sa incantare chi la circonda; è per lei che, oggi, sono qui.
Ne vale la pena?
Si.
Ciò che ho visto e che ho fatto mi basterà; imparerò a non desiderare più nulla se questo vuol dire avere la certezza che lei sarà salva, dopo di me. Che importa delle bellezze d’oriente, della natura del nord, del silenzio sconfinato del deserto e delle dune di sabbia, del sole di notte? Sono cose che non conosco e mai le vedrò.
Incanterò io, per una volta, tutti quei desideri; non che questo sia giusto, ma che altro resta da fare?
Per quale assurdo motivo, ora, il cuore accelera i battiti? Perché il respiro si fa corto e le guance così calde?
Mi passo le mani sul viso, le sento, piacevolmente fresche, ma non posso vederle.
È così buio, qui.
Non c’è Caris che illumina la notte, non questa volta.
Come è semplice, qui rinchiuso, capire quanto sia importante per me; com’è difficile accettare il fatto che non la vedrò mai più.
Il cigolio della porta mi coglie alla sprovvista, perso in pensieri dolci e amari al tempo stesso.
C’è qualcuno che regge un lume, una striscia di luce colora il pavimento polveroso. Sono così stanco dell’odio immotivato di questa gente che non ho voglia di alzare la testa, di guardare l’ennesimo burbero carceriere. Non mi importa di loro.
Non ho paura di loro.
Sto imparando a cristallizzare ciò che resta dei miei desideri.
La luce, però, si infiltra con insistenza fin sotto i miei piedi, giunge alla mia sedia solitaria, ed il respiro affannoso alla porta trova il modo di entrarmi dentro.
Gli occhi fanno male, dopo tutta questa oscurità; è stato un lungo giorno, solitario e sconsolato, e non so se sarò in grado di fissare apertamente quel bagliore di speranza.
Con una mano, provo a proteggermi un po’, a creare una barriera tra me e le illusioni.
Qualcuno trattiene il respiro rumorosamente.
Ma cosa … ?
“Chi sei?” provo a dire, e la mia voce suona roca alle mie stesse orecchie.
“Will!”
E’ lei, lo so. Lo sapevo sin dall’inizio!
Non pensavo esistesse una gioia tanto profonda, tanto dolorosa nel petto e nello stomaco.
Non trovo le parole, i pensieri si fermano a metà.
Caris qui? Ma com’è possibile?
“Caris? Che cosa … ?”
Ora la vedo, la vedo distintamente.
Si staglia alla luce del lume che tiene in mano, identica a come l’ho lasciata questa mattina all’alba, sulla strada per Galway. Stessa gonna azzurra, stesso maglione verde scuro, stessi capelli rossi, ora raccolti in una coda scombinata; è più pallida, però, ed i suoi occhi scuri brillano di una strana luce.
È quasi per caso che mi accorgo della presenza di altre due persone intorno a lei; me ne accorgo solo quando Caris si libera della stretta del ragazzo alla sua destra e corre verso di me.
Quanto sarà pericoloso tutto questo, per lei?
Il pensiero sfreccia nella mia mente sovraffollata e si deposita lontano.
Lei è così vicino che posso sfiorarla; mi da le spalle ed un lieve profumo di verbena si diffonde tutto intorno.
Le sfioro la gonna; vorrei abbracciarla stretta e fuggire via.
Lei, in piedi, è alta quasi  quanto me, seduto. Mi vien da sorridere quando la vedo piantata qui, le braccia allargate, come se, così piccola, potesse difendermi dal resto del mondo.
Magari è davvero così.
Cosa farà, ora?
Il ragazzo che era con lei, il Guardiano vestito di nero, sembra innervosito, ma non sorpreso quanto la donna. È lei che muove un passo incerto, subito interrotto dalle parole che scivolano via dalla bocca di Caris, parole intrise di magia.
“Da questo momento, il suo destino è il mio destino. Se lo ucciderete, morirò anch’io della sua stessa morte, se lo torturerete soffrirò le sue stesse torture …”.
Tutto è molto veloce adesso.
Non ho davvero il tempo per realizzare quello che Caris sta facendo per me; il ragazzo sta venendo verso di noi a passo di marcia, odio nello sguardo, le mani protese.
No, non le farà del male.
Non ho bisogno di pensare per alzarmi in piedi ed afferrarla dalle piccole spalle, ancora tremanti; la spingo dietro di me con un gesto secco e mi preparo a fronteggiare la furia di un Guardiano.
Un taglio si apre alla base del collo, brucia: è stato lui, lo so.
Ma lei sorprende tutti ancora una volta; la sento, il respiro veloce, un grido di sorpresa, di dolore. E poi, la fine della magia.
“Solo quando sarà libero, oltre il boschetto di querce, giù per la strada di Galway, solo allora questo incantesimo si romperà ed io stessa tornerò al villaggio”.
È una scossa di corrente, il silenzio di quando scende la neve; adesso il ragazzo è fermo, con gli occhi sgranati, che digrigna i denti.
“Caris come hai potuto?” chiede, furioso.
“Gerald!” esclama la donna, ancora ferma all’ingresso.
Un uomo anziano è appena arrivato, io l’ho già visto; è lui che mi ha chiuso qui sotto.
“Adesso basta” dice, e la sua voce sembra vibrare per tutta la stanza.
È carica, è potente, di una magia anni luce distante da quella di Caris.
“Neanche tu puoi disfare un incantesimo lanciato, maestro. Non puoi cancellare ciò che io ho reso reale” lo affronta lei, raggiungendo il mio fianco.
Mi resta vicina e mi rendo conto pian piano di quanto sia enorme ciò che ha fatto per me.
Vedo il segno rosso, identico al mio, sul suo collo: credo di doverle la vita.
“Non credere di poter far fesso anche me, ragazzina. Non confondermi con questi due sciocchi”.
La donna è risentita, glielo leggo nello sguardo.
Il ragazzo, ancora troppo vicino, sembra davvero sconvolto.
“Che farai, ora, Gerald?”
“Non lascerò che questo assurdo gioco prosegua ancora: nessuna delle tue magie andrà oltre le mura di questa stanza, da ora in poi, Caris Doherty” dice il vecchio.
Con la coda dell’occhio riesco a vedere la mia amica chinare leggermente le spalle sotto il peso di questa maledizione.
“E sia” sussurra.
Restano a guardarsi negli occhi per un lungo momento, ma io non riesco ad immaginare il flusso di emozioni e pensieri che ora scorre tra loro.
“Io non volevo ferirti, tradirti, maestro; non volevo fare del male a nessuno di voi” sento che trema, lei, alla mia destra.
Quanto è alto il prezzo che siamo disposti a pagare per le nostre scelte, per vivere la vita che ci spetta?
Alto, ora anche Caris lo sa.
In un certo senso, mi sento terribilmente in colpa. Lei ama questo posto, ama questa gente.
“Sono stato un pessimo maestro, per te; solo ora ti vedo” sta dicendo il vecchio, ammorbidito. “Solo ora riesco a immaginare la donna che avresti potuto essere; ma non andrò contro la vita di questo villaggio. Skin Deep è tutto e niente, per persone come noi. Io ho imparto dai miei errori, spero lo possa farlo anche tu”.
Con queste parole se ne va, il suo cardigan sfilacciato, i suoi capelli brizzolati sparati in tutte le direzione, il passo strisciante; quasi mi sembra di sentirlo canticchiare su per le scale.
“Vieni, Tom, abbiamo molto di cui discutere, ora” dice la donna prima di voltare le spalle e lasciare la stanza.
Tom, il Guardiano vestito di nero, indugia ancora un momento, gli occhi fissi su Caris.
“Tom, ti prego … “ inizia lei.
Ma lui indietreggia, sputa per terra, davanti ai suoi piedi.
Poi, letale e furioso, sparisce nel buio.
La porta sbatte ed io non sono più solo, il buio è rischiarato dalla luce del lume, un sottile singhiozzo echeggia alla mia destra.
“Caris” la chiamo.
E lei mi si getta contro, lasciandosi stringere una volta ancora, disperatamente.
Piange strane lacrime, di gioia e dolore insieme.
“Mio padre, lassù … mi odierà, lo so” dice contro il mio petto.
Mi vergogno a guardarla negli occhi, pozzi scuri di sentimenti a contrasto.
“No, no Will!” interviene subito lei, le mani ad asciugare le guance. “Lo farei mille volte ancora se servisse a salvare te”.
Tira su col naso e sembra una bambina, di quelle piccole.
“Vieni, sediamoci qui”.
Siamo sul pavimento, ora, spalla contro spalla, schiena al muro, e la stanza non è più buia; questa scena è talmente tanto familiare da stringermi il cuore.
Con un lembo della sciarpa le asciugo i rivoletti rossi che dalla ferita corrono giù, sotto il maglione.
Lei mi rivolge un sorriso umido, strano.
Quanto è tutto meglio con lei vicino?
E quanto può essere sbagliato avere questi pensieri?
“Caris, non dovevi” inizio con forza, scuoto la testa, finalmente un po’ più lucido.
“Io ti devo tutto, non potevo lasciarti quaggiù”.
Sento ancora le sue lacrime sciogliersi lungo le guance.
“Ora che faremo?”
“Aspettiamo. Ci aiuteremo a vicenda, vedrai”.
Il silenzio non fa paura, la paura è un’altra cosa. La paura è quel brivido che percorre le nostre mani, che si annida negli sguardi, che tiene serrato il labbro inferiore tra i denti.
Il silenzio va e viene, in questa irrealtà.
“Cosa voleva dire il vecchio Gerald?”
“Niente”.
“Caris, ti prego”.
È per me che sei qui, per me che tutti, lassù, potrebbero non perdonarti mai.
Ti prego, si sincera con me.
“Ha limitato la mia magia, le mie parole. Non posso aprire quella porta, né far arrivare un qualsiasi aiuto dall’esterno. È come se fossi una formica e lui mi avesse intrappolata sotto un bicchiere” spiega infine, stringendosi nelle spalle.
“A lui non interessa molto del Capo o dei Guardiani, delle regole. Ma Skin Deep è casa sua, è il suo porto sicuro, tutta la sua vita: farà qualsiasi cosa per proteggere il villaggio”.
“È questo non ci aiuterà di certo”.
“No. Ma non avrei potuto fare nulla comunque, in realtà. Lui ti ha imprigionato qui e solo lui può emettere l’ordine di liberarti. Funzionano così, i Desideri”.
“Caris”.
“Si?”
“Grazie di questa follia”.
“Se solo fossi più forte, più grande, non sarebbe una pazzia. Se solo sapessi gestire meglio il mio potere, ti avrei portato fuori di qui; avrei sfondato quel muro, aperto il terreno, manipolato la volontà del Capo tanto da fargli emettere un ordine di scarcerazione. Ma sono solo un’apprendista ed il mio potere è qualcosa di prezioso tra le mani di un’incapace. Purtroppo, sono tutto quello che hai, Will”.
Adesso si è inginocchiata a guardarmi ed è senso di colpa quello che leggo nei suoi occhi, sulle sue guance umide, le labbra contratte.
Della ragazza stesa nell’erba di questa mattina non c’è più traccia, non c’è più quel sorriso, quel rosso e quel verde; ora vedo solo nero e grigio, bianco, rosso cupo.
Colori bui e sgargianti, feriscono gli occhi, feriscono me.
“Zitta, per favore” provo a rassicurarla, afferrandole entrambe le mani. “Va tutto bene. Sei stata molto coraggiosa, piccola”.
“Speriamo serva davvero a qualcosa”.
“Serve a non farmi sentire solo”.
Quel buio è solo un ricordo, il tarlo del dubbio, il ticchettio dei pensieri, lontano. Ora c’è Caris con me e tutto sembra aver conquistato la giusta prospettiva, una volta per tutte.
“Hai paura, Will?”
“Si”
Ovvio che ce l’ho.
Ho tanta paura di morire.
Ho paura di soffrire, di perdermi il meglio della vita, delle ore che ci attendono. Ho paura perché anche tu ne hai, Caris, e perché hai legato insieme i nostri destini in maniera indissolubile. Ho paura che soffra anche tu.
“Di cosa?”
“Di sprecare questo giorno, questi attimi. Di buttare via la speranza che il tuo arrivo qui ha saputo regalarmi”.
“No, non devi. Sperare è giusto; non vorranno farmi del male, quelli lassù, mi vogliono troppo bene. Non ne faranno a te, quindi: vedi, non tutto è perduto” cerca quasi di sorridere.
Questi alti e bassi, questo umore che va e viene, sa di lei; folle, lunatica Caris!
È un infondesi coraggio a vicenda che ha della stupidità, il nostro. Ma sono le parole che abbiamo bisogno di sentire e noi ce le regaliamo senza vergogna.
La sua mano è fredda quando sfiora la mia guancia, come a voler pulire le tracce di questa notte, di questo sporco.
“Senti, facciamo una cosa” dice, dopo uno sguardo infinito.
Non riesco quasi mai a capire cosa le frulla in quella testa; adesso è in piedi e slaccia il mantello scuro che ancora indossava. Lo stende davanti ai suoi piedi e con un gesto secco del polso, lo strappa sul fondo.
“Ma che fai?”
“Non ci vediamo da così tanti mesi, noi due. Ed io voglio farti un regalo, oggi, che porterai sempre con te” è concentrata mentre stende per bene la stoffa martoriata.
“Sempre che usciremo vivi di qui” la contraddico.
“In questo momento facciamo finta di crederci, Will”.
Sembra che mi legga dentro, con quegli occhi profondi, scuri, ad ogni sguardo che lancia verso di me; è una cosa che scuote nel profondo, questa cosa qui.
“Diventa bianco, per favore”.
“Adesso vieni, stenditi, e chiudi gli occhi” mi invita.
Lei ha messo a rischio la sua vita per me, posso non accontentarla?
Vado vicino a lei, e mi riempio di quel sottilissimo profumo di verbena che emana dal suo vecchio maglione, dalla sua pelle; mi stendo sulle sue ginocchia, testa in su, e chiudo gli occhi.
È di nuovo buio, in realtà, ma un buio tranquillo.
Una sua mano scorre tra i miei capelli.
La sua voce mi culla.
“Adesso raccontami, Will. Raccontami della bellezza che hai visto”.
Si, mi piace questo gioco.
Riempiamo la paura di meraviglia, piccola Caris!
Ed allora sono parole, parole, parole.
Le più vere che riesco a trovare, le più belle a cui lei riesce a pensare.
È magia.
È come galleggiare, nuotare in un mare di nulla, un mare di flash, di serenità.
Parole che scorrono strane, veloci ma lente, dal cuore e non dal cervello.
Le racconto delle vene che sporgevano dalle mani di mia nonna, delle fossette che si disegnavano sulle sue guance quando sorrideva a me, porgendomi un dolce.
“Come fiumi in montagna, come volo di rondini”
Le racconto del profumo di polvere della biblioteca di papà e lacrime scendono sul pavimento.
“Non ti scordar di me”
 Le racconto del rumore di passi sui sentieri al tramonto, del battito solitario del mio cuore nel nulla.
“Il pulsare del sole di giorno”.
Le racconto del mio primo rifugio, di quella vecchia zia di campagna da cui sono corso, sconvolto; le racconto delle sue tovaglie di panno, del suo te speziato, dei ricordi di viaggi, di terre straniere.
“Un po’ d’ombra fresca tra alberi alti”.
Le racconto di viola, di gialli, di blu, di città incantate, di nidi di uccelli tra i tetti, di sorrisi e gonne e automobili in corsa. Di vita.
“Un ragazzo tra l’erba, il suo zaino arcobaleno. Case lontane, fiori viola e girasoli”.
Le racconto dei segreti bisbigliati, delle leggende piene di magia, dei misteri ascoltati al mercato di Galway su un luogo segreto nel cuore del verde d’Irlanda.
Lei ride.
“Querce vecchie e maestose, il vento che bisbiglia tra le fronde. Felci”.
Le racconto degli schizzi d’acqua salata sulle guance, dei colori slavati nell’acqua del mare.
“Nuvole che corrono nel cielo, scie di rosso e d’arancio”.
Le racconto della magia, dei riccioli rossi sparsi d’ovunque, degli occhi che guardano l’anima, della voce più melodiosa al mondo.
“Granelli di polvere nell’aria, luminosi alla luce del sole: una ragazza rossa in faccia e in testa, proprio vicino”.
Le racconto del cuore che batte e gli occhi che ridono, di un’amica speciale che s’incastra alla perfezione con la vita che scorre, che scorre bella.
Le racconto che non ci sono pensieri violenti, non ci sono guerre e odi, con lei vicino, non esistono per me; non ci sono morti e abbandoni, non ci sono tradimenti.
Le racconto di come è stata sempre con me, nei miei pensieri, negli ultimi tempi, in giro nel mondo.
Le racconto del sorriso che nasce spontaneo quando so di aspettare lei.
Le racconto di come quella magia e quella ragazza siano diventati casa mia.
Un porto sicuro.
Lei pian piano diventa stranamente silenziosa ma non me ne rendo conto subito. Le mie parole non sono più accompagnate delle sue, cariche di magia, non c’è più ritornello ai miei racconti.
Apro gli occhi, lentamente.
Il suo volto è lì, soffuso di rosso, intenso, bello: i riccioli le cadono sulle spalle e sulla fronte, ribelli al nastro con cui li aveva legati. Mi guarda ma resta in silenzio.
La guardo e vorrei tacere anch’io.
“Come finisce, Caris? Come finisce il mio racconto?” le chiedo, invece.
Lo voglio davvero sapere, sapere adesso, in questa bolla di finzione che abbiamo costruito, in questo ritaglio di bellezza al centro del caos.
Adesso che le nostre vite sono appese ad un filo, adesso che c’è spazio per la sincerità, adesso che possiamo lasciare da parte maschere e ruoli, doveri e segreti, per una volta.
Vorrei sapere ciò che cela il mio cuore, ciò che nasconde il tuo.
Dimmelo, ti prego.
Lo devo sapere.
“Un bacio” sussurra lei.
E poi, si china leggermente, dolcemente, su di me.
 
...
 
 
La notte è finita e un altro sole sta tramontando.
“Adesso vattene William Stoker. Mai ritroverai la strada del villaggio, mai riconoscerai questi luoghi; oltrepassata la soglia del bosco non ricorderai nulla di questa magia. Vattene per non tornare mai più”.
Biascica il vecchio Gerald, alle mie spalle.
Insieme a lui, mi seguono un gruppo di strani uomini, le facce scure, gli occhi vigili, le spalle tese.
Mi hanno accompagnato qua fuori, carico del mio zaino, delle cartella ormai vuota dopo che tutti i disegni sono stati bruciati.
Ricomincio da zero, ricomincio da capo; forse tornerò a trovare mia madre, chissà.
Ma c’è qualcosa che preme sul petto, ed un respiro caldo al mio fianco.
Caris mi stringe la mano con tutta la forza che ha.
La guardo e vedo il suo volto stanco, gli occhi cerchiati, i capelli sparsi sulla schiena alla luce del nostro ultimo giorno. Piegato sul cuore ho il regalo che ha scelto per me l’altra notte.
Ha messo tra le mie mani il dipinto prima di andare, in quella cella; quel pezzo di stoffa del suo mantello, riportato a nuova vita da lei, l’abbiamo firmato insieme, pronunciando ad alta voce i nostri nomi, guidati dalla sua magia.
“Caris e Will – gennaio 1950”, porta scritto.
Questo lo posso tenere, hanno detto.
È tutta la mia vita, tutta la nostra storia; per una volta l’artista è stata lei, senza pennelli, senza colori. Ha dipinto i ricordi, le parole della notte, qualcosa di unico al mondo.
Vorrei poterlo ricordare, almeno questo, almeno lei.
Non piange, Caris, mentre mi stringe una mano, sulle soglie del bosco.
In fondo, ce l’abbiamo fatta, siamo salvi entrambi.
Ma quale prezzo, Will? Mi vien da pensare.
Alto, vecchio mio, è l’unica risposta che c’è.
La sua gente ha giudicato così, alla luce del giorno: me libero e senza memoria, tenuto lontano dalla magia dei desideri di Gerald. Lei che ritorna alla sua vita di sempre, controllata a vista da quel suo vecchio maestro. Di tutta la magia del mondo non avrò memoria tra qualche minuto.
Mi dispiace.
Mi dispiace perdere ogni cosa, perdere lei.
“Addio, allora” mi volto per salutarla.
Lei mi guarda, uno sguardo sicuro, asciutto, duro.
La disapprovazione degli altri preme sulle nostre spalle.
“Ciao Will”.
“Vorrei dire che non mi dimenticherò mai di te, ma non è così”.
Della bambina di allora, della ragazza di oggi che ha saputo farmi battere il cuore, non resterà che fumo sbiadito nella mia mente.
Mi vien da sorridere.
“Ricorderò io per te”.
Mi allaccia le braccia al collo e, incurante della folla dietro di noi, sfiora le mie labbra con le sue.
“Noi ci rivedremo, un giorno, Will. Ci incontreremo di nuovo e sarà come se niente fosse mai cambiato. Lo giuro” mi bisbiglia all’orecchio.
“Vivremo una vita scelta da noi e non da altri, promesso”.
Ed io stringo più forte la sua vita tra le braccia; ha scritto una promessa sulle nostre vite, ha segnato il nostro futuro di una magia più forte di lei. Ha parlato con la sua voce magica, le sue sono parole che cambiano il corso del mondo, del tempo: lei ci crede davvero.
“Ora lo so”.
“La magia che ci separa, oggi, ci farà ritrovare”.
Si, Caris Doherty, speriamo così.
E mentre affondo il viso tra i suoi mille riccioli rossi mi sento felice, a casa.
Magari questa magia non si avvererà per davvero, lei non è abbastanza brava, abbastanza forte, per sviare così il nostro futuro. Non importa, non lo ricorderò.
Importa che è qui e che il suo cuore batta contro il mio e che lei ne sia davvero convinta.
Importa dell’ora, dell’oggi, di questo ultimo istante.
Importa di me, di lei, della storia che abbiamo scritto, delle tele che abbiamo dipinto.
Importa dell’uomo diverso che sono.
Insieme, quasi per caso, abbiamo scoperto la magia più bella di tutte.
“Addio” mormoro infine e, con un passo, lascio i ricordi alle spalle.
 
 
 



 
 
Note
Avrei tanto voluto riuscire a postare i pochi capitoli di questa storia con regolarità, ma, purtroppo, sono un vero disastro in questo senso! Mi scuso per il ritardo e do tutta la colpa ad una davvero poco gentile influenza! :)
Sono un po’ preoccupata da questo capitolo, a dirla tutta… è quello che mi convince meno di tutti, forse perché il più denso, il vero centro della storia. Insomma, spero sia all’altezza delle aspettative nate nei due precedenti, spero che le vicende non risultino narrate con superficialità e i personaggi forzati nella loro evoluzione! Se vi va, raccolgo tutti i tipi di pareri con piacere e ringrazio già chi mi farà notare qualche svista, qualche errore, che potrebbe essermi scappato nel testo! :)
A presto, per l’ultimo capitolo!
Ester






 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


 


Lo specchio mi restituisce uno sguardo opaco, la pelle candida, gli occhi tristi. Una ragazza, una donna, mi guarda, ed io non riesco ancora a capire dove siano finiti gli anni trascorsi.
Sono un’adulta, ormai.
Sto per sposarmi.
Alle mie spalle, un abito lilla, pieno di veli e bellissimo, aspetta solo me, aspetta solo di essere provato.
Mia madre è impaziente, mio padre orgoglioso.
Io, non lo so.
Io non sono felice, non penso.
A ventiquattro anni sono poche le ragazze ancora nubili, al Villaggio, ed io, ancora una volta, sono l’eccezione. È un affare semplice, il matrimonio, quaggiù: i ragazzi non abbondano e la scelta è piuttosto ristretta e i genitori contano molto. Per me, è stato scelto Cillian: non male, in realtà, un bravo ragazzo. È il miglior artigiano del legno di tutto il Villaggio, un promettente Autore.
Dovrei essere felice.
Mi spettano una casetta coi fiori alle finestre, un paio di bei bimbi dai capelli rossi, il lavoro come assistente del consigliere Gerald, con la certezza che, alla sua morte, prenderò il suo posto. Molti vengono dai noi in cerca di consigli, con richieste e preghiere, desideri da avverare nel limite delle nostre possibilità: ma noi Maghi dei Desideri siamo in primo luogo al servizio della comunità intera e, quindi, del Capo Walsh.
Ecco perché io, al buon Cillian, non piaccio molto.
Quale uomo vorrebbe una moglie più importante, più potente di lui? La mia posizione, i miei talenti, lo sminuirebbero agli acchi della comunità. Quale uomo vorrebbe una moglie con la mia reputazione? Tutti sanno della mia avventura al di là del bosco e per tutti sono strana, un po’ fuori di testa. Caris l’ingannatrice, ecco come mi chiamano quando pensano che io non possa sentirli.
I miei genitori ripongono tante speranze in questo matrimonio: un nuovo prestigio sociale, per me, il cuore in pace, per loro.
Eppure, io, il mio posto nel mondo ancora non l’ho trovato.
Una cosa so: non è qui, non nel Villaggio, moglie di Cillian, consigliere del Capo.
Fuori dove è vietato andare, lì dovrei cercare.
È la speranza, quella che manca, in realtà: la vita scorre così e così deve andare. Nove anni fa avevo trovato una via per conoscere  il mondo e trovare me stessa e quella via mi è stata sbarrata. Con tutta la magia, tutta la fiducia che avevo, ho lanciato un incanto per ritrovarci, ritrovare lui, ma mai, in questi anni, quel desiderio si è avverato. Non ero abbastanza forte, ecco la verità. Non lo sono ora, non lo sarò mai: incrociare due vite, cambiare il destino è qualcosa di troppo grande persino per Gerald, il mio maestro.
Quindi, sposerò Cillian.
Mamma e papà saranno fieri di me, una volta almeno.
A che prezzo, mi chiedo? Saranno i miei desideri, i miei sogni, ad essere infranti.
Alto, cara mia, rispondo.
Bene, non c’è più tempo.
Passo le mani sul viso, sopra le lentiggini appena accennate delle guance e poi su, tra i capelli, per scacciare la malinconia. Con un nastro viola raccolgo i riccioli ribelli e mordicchio il labbro inferiore, per colorirlo un po’. Cerco di rendermi almeno presentabile per quando mia madre verrà a cercarmi.
"Caris, tesoro!” eccola, già sulla porta, con quel sorriso smagliante e dolce che è solo suo.
“Dimmi mamma” rispondo guardandola dallo specchio, senza voltarmi.
“Hai già provato il vestito?”
“Si” mento.
È un po’ delusa, adesso. Che volesse essere presente anche lei?
“Cosa ne pensi?”
“E’ molto bello, grazie” mi giro e la guardo negli occhi.
L’ha fatto lei, e la nonna, le Autrici di casa.
“Sono così contenta, tesoro!” esclama. “Non vedo l’ora di vederti mentre lo indossi”.
“Adesso no, però. Dobbiamo andare in città, ricordi?” è importante per me.
Raggiunti i vent’anni a tutti gli abitanti del Villaggio è concesso ottenere un permesso per il mondo al di là delle mura. Ed io sono fuori più spesso che posso, anche se non mi è consentito andarci da sola.
“Carsi, cara, posso creartelo io il velo da sposa che desideri, lo sai” la mamma è scettica, non ama la città e ancor meno il mercato.
“Ma io lo voglio vero”.
“Sarebbe vero, Caris, non essere cocciuta!”
“Lo so che hai capito: voglio qualcosa, il giorno del mio matrimonio, che venga da fuori”.
La vedo scuotere leggermente la testa, vedo che non si capacita di questa mia fissazione.
“Ti prego, mamma, fammi questo regalo” le chiedo ancora, avvicinandomi un po’ e prendendo le sue mani tra le mie.
“E va bene. Vestiti, ti aspetto di sotto” cede, infine.
Mi vuole così bene ed è così preoccupata per me. In tutti questi anni mi è stata vicina come pochi, severa al punto giusto, dolce quando il mio cuore soffriva troppo.
“Grazie” e la bacio sulla guancia che incomincia ad avvizzire.
Lei si chiude la porta alle spalle ed io resto sola nella mia stanza; c’è un tale disordine! Non troverò mai gli abiti giusti senza un piccolo aiuto.
“Libri, sullo scaffale, da bravi! E voi, tazze sporche, scendete in cucina, nel lavello! Sciarpa lilla, cosa ci fai sotto il letto? Fila nell’armadio! Tu, cesto delle erbe, arrampicati fin sopra il tavolo, così!” ed il mondo intorno a me prende a vorticare e a girare, guidato dalla mia voce.
Non è male mettere a posto se hai la magia dalla tua parte!
Infine, sul pavimento resta solo un mucchietto di gonne tra le quali scelgo la più bella, quella dorata con i ricami verdi, da abbinare alla mia camicetta lilla. Infilo in gran fretta i sandali aperti e scivolo giù per le scale, impaziente.
“Caris, che combina guai che sei! Potevi avvisare delle tazze in arrivo; sono andate a sbattere contro l’anta aperta della credenza ed ora sono tutte in frantumi!” mi rimprovera mia madre appena mi vede, china sul pavimento, con in mano i cocci di ceramica.
“Oh, tra quelle c’era la mia preferita”.
“Ci penso io, come sempre” borbotta, seccata.
Con un gesto lieve della mano, ecco, una nuova tazza identica alla mia preferita.
“Raccogli i resti, per favore” mi dice, mentre sistema in credenza la sua nuova creazione.
“Nella spazzatura, voi!” intimo ai cocci e quelli ubbidiscono senza fiatare.
“Sei pronta?” chiede la mamma.
“Certo” e c’è quasi entusiasmo nella mia voce.
Insieme camminiamo per le strade del Villaggio, salutando qui e là uomini e donne che conosco da sempre, all’opera nelle loro botteghe, seduti a godersi il sole di maggio, a guardare i bambini rincorrersi e ridere. La vita scorre bella, pacata e semplice, quaggiù, nascosta, ormai lo so.
Arrivate alle mura è mia madre a chiedere il permesso per me e per lei al Guardiano in carica e quello glielo concede senza fare domande; c’è qualche vantaggio, dopotutto, ad essere la moglie del Capo Guardiano.
Camminiamo svelte ed in silenzio lungo il sentiero. Mamma sa che questo posto è pieno di ricordi belli e dolorosi, per me, un po’ sbiaditi, ormai, ma sempre presenti. Vedo la sua disapprovazione, le sua labbra chiuse in un’unica linea. Lasciamo l’ombra amica delle querce e siamo allo  scoperto, sotto il cielo azzurro chiazzato di bianco, mentre l’erba morbida delle colline accarezza i miei piedi attraverso le cinghie dei sandali. Amo questa sensazione, amo questo mondo aperto, senza confini, pieno di gente. Amo guardare la sconfinata grandezza dei monti ad est e vorrei tornare sulle scogliere a vedere il mare, una volta ogni tanto. L’ultimo ricordo che ho dell’Oceano è un’alba, con Will al mio fianco ed una me sciocca di quindici anni; è passato così tanto tempo, ormai!
Camminare per quei sentieri con la mamma non è la stessa cosa; sento il suo disagio, la sua paura, il suo malessere. A lei non piace allontanarsi dalla protezione del Villaggio e so che teme in ogni momento di essere scoperta e catturata dagli uomini senza poteri; vedo la sua magia zampillarle dalla dite, pronta a difenderci.
Mentre io, io mi sento a casa, serena.
È in questi posti che ho vissuto i miei momenti più felici.
“Mi raccomando, tesoro, una volta in città tieni un profilo basso e non attirare l’attenzione su di noi per nessun motivo al mondo” si raccomanda mia madre alle soglie di Galway.
Io annuisco.
“Devono  scambiarci per persone come loro, non devono percepire nulla di strano” continua.
Vorrei gridare, scuoterla forte.
Ma noi siamo persone come loro, perché non lo capisce?
È vero, abbiamo un potere in più, una dote particolare, ma siamo persone e possiamo essere onesti e malvagi, egoisti, felici, corretti o sleali proprio come loro. Chi mai ha stabilito che noi siamo i buoni e loro i cattivi? Will era buono e gentile, con me, ed è stato il miglior amico che io abbia mai avuto.
Ma non perdo tempo a dare voce a questi pensieri.
Finalmente arriviamo ed il mercato si apre davanti a noi: è ciò che di più bello esiste in questa città, l’ho sempre pensato!
C’è disordine e grida e chiacchiere e talmente tante persone messe insieme da stordirmi! Abituata alla piccola popolazione del Villaggio, questo modo pieno di colori, di odori, questo mondo di sconosciuti, è qualcosa di fantastico, per me. E’ vita, vita piena, vita che ama e che rischia.
La mamma mi sta vicina, stringe forte il mio braccio, mentre ci aggiriamo per le strade: ed io, io vorrei fermarmi ad ogni singola bancarella, vorrei fermarmi a parlare con chi mi ispira simpatia. Raccolgo la palla di un bambino moccicoso e gliela rendo con un sorriso: lui ringrazia e scappa via, ridacchiando senza un perché. Mia madre mi ammonisce con lo sguardo, severo e spaventato insieme.
La città è cambiata, dicono gli anziani del Villaggio, non è più quella di un tempo, quella di prima della Seconda Grande Guerra degli Uomini Senza Poteri. Oramai siamo nel 1959 e la comunità magica ha paura delle case che si vedono in  lontananza, dei palazzi un po’ più alti, delle donne che indossano i pantaloni, le gonne corte, che sembrano così ardite e indipendenti. Della luce elettrica che fa brillare ogni angolo di Galway la sera, che la rende viva e visibile a distanza! Io amo questo posto proprio per questo: è ritmo, è pulsazione, è trasformazione, un mondo vivo, così diverso dal nostro Villaggio sempre uguale nel corso dei secoli!
Tutto questo mi fa battere il cuore più veloce e mi ricorda Will.
“Laggiù, Caris, c’è una bancarella di stoffe che può fare al caso nostro” mi indica mia madre, bisbigliando al mio orecchio.
 Giusto, siamo qui per il mio velo da sposa, per rendermi bella il giorno in cui sarò la moglie di Cillian. Non devo lasciarmi trasportare così, non devo fantasticare e far correre i pensieri a briglia sciolta.
Fa male, poi, tornare alla realtà.
“Andiamo, allora” acconsento.
La mamma non scambia neanche un cenno con il commerciante e inizia a tastare le stoffe, guadagnandosi un po’ di spazio tra quella calca. Cerca il tulle o l’organza, ma non le piace quello che vede, lo capisco: niente, per lei, è bello come ciò che crea con la sua magia.
“Caris, che te ne pare di questa?” mi chiede in un sussurro, senza neanche guardarmi.
“No, non è il colore giusto”.
Mi madre annuisce.
Non mi interessa affatto del mio velo da sposa, non mi interessa del colore, della consistenza, di quanto sarò bella.
Forse perché non voglio sposarmi affatto.
Così, lentamente, inizio a muovere piccoli passi intorno alla bancarella dove mia madre è intenta a scegliere ciò che più le piace; ecco un banchetto col pungente odore del pesce fresco, un uomo su un vecchio sgabello sgangherato che suona il suo violino, e laggiù, in fondo, intravedo dei fiori, bellissimi. Sento due donne chiacchierare su uno strano posto stregato poco lontano dal mare, a sud della città, e sorrido tra me e me; le leggende sul nostro Villaggio circolano da secoli, questo lo so. A destra, invece, ecco una bancarella con piccoli quadretti, ad olio e a matita, che non riscuote grande successo. Pian piano, i miei passi diventano più arditi e mi allontano sempre più dalle stoffe e da mia madre, che non se ne accorge. Ovviamente, mi avvicino al banco d’arte.
A controllare la mercanzia c’è, stranamente, solo un bambino. È il bambino al quale ho restituito la palla, ora lo riconosco: è piccolo, non più di sei anni, credo, e biondo, col colletto della camicia tutto stropicciato e le guance rosse e paffute.
“Ciao” mi azzardo a salutare, sicura che mia madre non possa sentire.
In fondo, è solo un bambino.
“Ciao” risponde lui, fiducioso. “Vuoi un quadro?”
“Non ho soldi con me, mi dispiace” gli dico.
“Ma tu non sembri povera” aguzza lo sguardo, lui. “Anche se sei vestita in modo strano”.
Un bimbetto sveglio: ha già capito che c’è qualcosa che non quadra in me.
“Infatti" gli do ragione. “Tu come ti chiami?”.
“Finbar, ma puoi chiamarmi Fin. E tu, signora?”
“Io sono Caris, felice di conoscerti” allungo la mano, per stringere la sua piccola e sporca.
“È tuo questo banco ?” gli chiedo, curiosa.
I quadri sono belli, a dir la verità, belli e stranamente familiari: in uno posso riconoscere la torre alta e di ferro che Will, una volta, mi aveva raccontato essere a Parigi. In un altro, un vecchio signore con la sua scimmietta al ciglio di una strada sporca e umida, come quelle di Londra.
“No” ride il mio nuovo amico.
“Ti divertono le mie domande?” sorrido a mia volta.
“Si, sei simpatica, signora Caris”.
Ecco fatto, ho raggiunto l’approvazione di un bimbetto senza magia! Alla mia età, resto un vero disastro.
“I quadri sono del mio papà” risponde, gonfiando il petto, orgoglioso.
“Sono molto belli”.
“Si, ma non provare a prenderne uno senza pagare” mi ammonisce, cercando di essere minaccioso nonostante le sue guance paffute e la piccola statura.
“Sissignore” scherzo.
“Vuoi sapere qual è il mio preferito?” mi chiede, con fare buffamente cospiratorio.
“Assolutamente, Fin”.
“È uno di quelli che papà non vende mai, non so perché. È così bello che di sicuro qualcuno lo comprerebbe ed io potrei avere, finalmente, una palla nuova; sai, è persino più bello del ritratto della mamma” parla veloce, mentre solleva una cartella quasi più grande di lui.
“Vuoi vedere la mamma?” mi chiede poi, all’improvviso.
“Mi piacerebbe molto”.
Allora Fin  pesca qualcosa da sotto la camicia, una specie di medaglione; all’interno vedo un pezzo di carta ripiegato più e più volte. Il bambino lo apre lentamente, lo accarezza e lo sfiora con le labbra: poi, me lo porge.
“Bella, vero?”
Si, è davvero bella, la mamma di Fin.
Tra le mani ho il ritratto di una donna bionda, dal sorriso dolce e gli occhi chiari, buoni. Non è una di quelle fotografie che riportano fedelmente l’immagine che catturano, come quelle che mi mostrava Will i primi tempi della nostra amicia. Eppure è bellissimo, pieno di tenerezza. I colori sono sfumati, le linee non sono nette, come a voler dare solo un’impressione dei contorni, come a voler lasciare all’immaginazione il punto esatto in cui finisce il rosa dell’incarnato e comincia il biondo dei capelli, il verde degli occhi e il marrone delle ciglia. È un modo di dipingere che, ancora una volta, mi sembra di conoscere, mi fa sorridere e volare indietro nel tempo.
Ma no, Caris, non può essere.
Devo dare un taglio a queste fantasticherie, per il mio bene.
“È davvero bellissima” sorrido, mentre gli restituisco il ritratto. “Ma dov’è adesso? Non sarai mica da solo, vero?” solo ora mi rendo conto che non è normale, per un bambino ancora piccolo, restare solo tanto a lungo.
Lui sistema il foglio nel medaglione “La mamma è morta quando sono nato e papà è andato a portare uno dei quadri grossi a casa del signore che l’ha comprato. Torna tra poco e nel frattempo io faccio la guardia” dice, senza peli sulla lingua.
“Mi dispiace per la tua mamma”.
“Io vorrei parlare con lei, ogni tanto, ma fa niente: tanto c’è papà”.
“Sei proprio un bravo bambino, lo sai?” dico, scombinandogli i capelli, già arruffati per conto loro.
“Adesso ti mostro il mio dipinto preferitissimo, però” dice, risoluto, aprendo la cartella sul banco.
Fruga tra molte carte, alcuni semplici schizzi a matita, altri veri e proprie opere finite.
Io do uno sguardo fugace a mia madre e la trovo ancora intenta al banco delle stoffe, mentre confronta due rotoli di tulle ricamato. Ha lo sguardo concentrato, lo sguardo che ha quando crea, ed io so che non distoglierà l’attenzione dal suo compito tanto facilmente.
“Eccolo!” esulta Fin, facendo scivolare dal fondo una tela piuttosto grande.
“Chiudi gli occhi, signora Caris” dice, ridacchiando.
“Va bene, ma non fare scherzi!”
Lo sento armeggiare sul banco per stendere il disegno e soffiarci sopra, come a volerlo ripulire dalla polvere.
“Fatto. Guarda pure: non è fantastico?”
Allora sollevo le palpebre, lentamente, e guardo la tela.
E poi, il mondo si ferma, d'un colpo.
Non è possibile.
Il respiro mi muore in gola ed sono costretta ad aggrapparmi al bordo del banco con entrambe le mani. Sento gli occhi umidi, e la testa gira, e il cuore vuole scoppiarmi in petto per quanto batte furioso.
Com’è possibile?
Lì, sul banco, c’è il nostro dipinto.
“Fin” cerco di parlare, ancora con il fiato corto.
“Tutto bene, signora Caris?” mi chiede lui, gli occhi sgranati.
“Si, piccolo, tranquillo” dico, raddrizzandomi un momento e prendendo aria.
Piano, niente potrebbe essere come sembra.
“Dove ha preso, il tuo papà, questo dipinto?” chiedo.
Il tuo papà!
È troppo, per me, davvero.
“Te l’ho detto, l’ha dipinto lui!”
“Quando?”
“Boh, io l’ho sempre visto qui. Ma, quindi, ti piace?”
Non puoi capire quanto, piccolo Fin.
“Si”.
 Lui fa un sorriso grande, che gli occupa metà della faccia.
“Ascolta una cosa, bambino” tento, cercando di fermare il tremolio delle mani. “Puoi, per cortesia, girare questa tela?” chiedo.
Lui mi guarda “Perché?”
Adesso non so bene come spiegare la mia richiesta al bambino, non vorrei davvero usare la mia magia su di lui.
“Vorrei solo vedere la data in cui è stato dipinto. Sembra piuttosto vecchio” decido, infine, per la sincerità.
“Va bene signora”
Fin solleva la tela a fatica sulle sue braccia paffute. Non è semplice per me, lasciar correre questi secondi, questi attimi che sembrano così importanti, così brevi e così lunghi. Sono qui, davanti ad un bimbo biondo senza mamma, davanti a quel dipinto, e mi dimentico di ogni altra cosa. Non sono più Caris dei Desideri, non esiste la mia magia, il Villaggio, il matrimonio, i miei genitori. Ho quindici anni e sono sdraiata su un prato verde, all’alba di un giorno che profuma di sale e di mare.
Il mio cuore batte folle come faceva allora, come raramente ha fatto negli ultimi dieci anni.
E così, quasi d’improvviso, in quell’attesa infinita, in quell’attimo fuori dal tempo, il mondo smette di girare ancora una volta.
Perché lui è qui, di fronte a me.
Will.
“Fin, cosa fai?” dice.
È lui, non ho dubbi.
Ci sono voluti nove anni, ed eccoci qui.
Il tempo non hanno scalfito il mio ricordo, né ha mutato lui tanto profondamente. Certo, la sua voce è più profonda, i suoi occhi più cupi, le mani più segnate e qulche segno sulla fronte.
Chissà dove è stato, chissà cosa ha fatto, in tutto questo tempo!
Vorrei mi raccontasse tutto, proprio come un tempo.
“Niente papà!”
Fin ha la voce colpevole, registro distrattamente.
“Buongiorno, signorina” mi saluta Will, alzando brevemente lo sguardo.
I nostri occhi si incontrano. Se potessi, cesserei di respirare.
Ma lui, lui non fa una piega.
“Mi spiace se mio figlio le ha dato noia; è un bambino vivace” dice, posando una mano sulla spalla di Fin.
Io scuoto la testa, gli occhi sgranati, senza riuscire a trovare la via per le parole, e questo dice tutto.
Non mi ha riconosciuta.
Che sia colpa del tempo, degli anni trascorsi, o della vecchia magia di Gerald? Era talmente forte, talmente incorruttibile, da non smuovere una virgola in lui alla mia vista? Il mio incanto non ha potuto niente al confronto.
E' un mondo di speranze che sta crollando.
Le speranze per una vita diversa, per una fuga impossibile, per un sogno d’amore che muore ancora una volta.
“Quante volte devo dirti di non prendere la cartella dei miei lavori?”
Ora Will sta rimproverando il bambino, lo sguardo fermo la voce dura.
“Ma io volevo far vedere alla signora il mio dipinto preferito. Io lo dico sempre che dovresti metterlo sul banco insieme agli altri” ribatte Fin, la voce lacrimosa.
“Chiedi scusa alla signorina per averle fatto perdere tutto questo tempo, da bravo”.
“Mi dispiace, signorina Caris” mormora, quindi.
Deglutisco a vuoto.
Fin mi guarda, speranzoso. È vero, mi sento vuota e rotta e provo una tristezza mai provata prima, ma posso donare un po’ di gioia a questo bambino.
Suo figlio, in realtà. Suo figlio!
“È stato un piacere chiacchierare con te, Fin. Non si preoccupi, signore” trovo modo di bisbigliare.
Fin ora sorride e ammicca verso di me. Fatico a rispondere alla sua gioia.
Chino la testa e accenno un sorriso, in segno di saluto, prima di andar via e lasciare gli ultimi quindici anni della mia vita ai piedi di quel banco, per sempre.
Dove sarà la mamma, adesso?
Non deve accorgersi di nulla, mi raccomando; devo essere la Caris di prima, come se nulla fosse cambiato.
Perché nulla cambierà mai: chi è diverso riuscirà mai ad accettarsi, mai una ragazza sciocca e sognatrice come me potrà cambiare questa verità, non conta quanto forte sia la sua magia.
Qualcuno, però, inaspettatamente, mi afferra il polso e c'è qualcosa, dentro, che mi dice che è speciale.
Perché è Will, lo so, lo sento.
Mi giro lentamente ed è così strano essere così vicini dopo tutto questo tempo.
Quegli occhi azzurri che hanno perseguitato i miei sogni per mesi ora mi guardano con una consapevolezza nuova.
Adesso mi vedi, vorrei dire, e le lacrime iniziano a rigarmi silenziosamente le guance.
“Caris” mormora semplicemente lui, afferrando una rossa ciocca ribelle.
Ha lo sguardo di un folle e le mani tremanti, proprio come me. Mi guarda e io non so resistere: chino lo sguardo, e lascio cadere le lacrime raccolte nei miei occhi.
“Si, sono io Will. Ti ricordi di me?”
Lui ha lo sguardo basito, allucinato, di chi ha appena ricevuto una sorpresa inaspettata.
“Ricordo tutto. Ogni momento, ogni pensiero, ogni magia”.
È un mondo intero quello che ha appena recuperato.
Allora esiste davvero qualcosa di così potente da farci ritrovare, penso per un istante, in quel tumulto di emozioni che si agita in me senza sosta.
E no, non sono sicura si tratti della mia magia.
Mi viene da piangere, ancora e ancora: eppure sono così felice!
“Una magia ci ha diviso, una ci fa ritrovare: è stato il suono della tua voce e cambiare ogni cosa. Avevi ragione tu” dice, carezzandomi una guancia.
Poi non ho più pensieri.
Perché lui mi stringe forte in un abbraccio senza fine.
Io ero smarrita e lui mi ha mostrato una via nuova; lui mi aveva perso ed io l’ho ritrovato.
Vaghiamo sempre alla ricerca, noi due, ma spero tanto che, questa volta, mi sia data la possibilità di fermarmi e vivere a pieno.
“Vieni con me” mormora al mio orecchio.
Ed io, io non so cosa succederà da questo momento in poi.
Non siamo più ragazzi, niente può tornare come un tempo, me ne rendo conto. Lui ha Fin, adesso, e questa è una parte di lui di cui io non so nulla. Io ho un futuro certo, al Villaggio, e delle persone che mi amano. Il nostro, di amore, invece, non è scontato, non è certo, non è facile dopo tutto questo tempo. Conoscevo Will, il ragazzo di strada dal passato difficile, ma non so nulla di Will l’adulto, di Will di quasi trent'anni con un figlio e una donna bionda morta nel suo passato.
Eppure so cosa voglio.
Ho deciso per me, perché, in fondo, ho sempre saputo che il Villaggio non sarebbe mai stato abbastanza. Ho deciso nonostante tutto e qualunque cosa il futuro abbiain serbo per noi.
Ho deciso di vivere la vita che ho scelto e non mi importa quanto alto sia il prezzo da pagare: ho abbastanza coraggio, sono abbastanza forte e abbastanza decisa per affrontarlo.
Cerco la sua mano e la stringo forte.
“Ovunque tu voglia” rispondo.
Perché non ho più paura, non ho più freni, sono pronta ad iniziare questa avventura: la vita.
 
 
...
 
 
All’alba di una giornata fredda del gennaio del 1968, una donna ancora giovane cammina per una strada nuova, che taglia per le colline verdi di un angolo ben noto dell’Irlanda occidentale.
È Caris Doherty, la Maga dei Desideri.
È tutto questo e molto di più.
È Caris Stoker, moglie di Will, madre di Finbar, il ragazzo che cammina al suo fianco, e di Brianna, la bimba che tiene per mano, quattro anni e riccioli rossi al vento.
Caris vive a Galway da un paio d’anni.
Prima è stata in Inghilterra e poi in Francia, seguendo quel ragazzo, quell’uomo, che ha cambiato la sua vita. Poi, quando Will ha ottenuto una cattedra come insegnante d’arte, è tornata alla sua terra d’origine insieme alla sua famiglia, a pochi passi dalla sua vera casa.
Caris ha trentatré anni, ormai, eppure non ha mai smesso di esaudire desideri.
In punta di piedi, bisbigliando di nascosto in un mondo scettico e sempre più desolato e scoraggiato, Caris ha provato a portare un po’ di speranza. Ed ecco, la sua vera vocazione.
C’è voluto del tempo, tanta sofferenza e molte scelte difficili, ma ora Carsi è contenta di non aver tenuto la sua magia solo per sé e per i suoi simili. Ha regalato il suo dono al mondo e, finalmente, si sente appagata.
In ogni posto, in ogni città in cui è stata, era per gli altri, per chi aveva bisogno; negli orfanotrofi, ai cigli delle strade, nell’ospedale dove, infine, esercita la professione di infermiera.
Eppure qualcosa manca: a lei, ai suoi figli.
Così Caris sta andando a prendersela.
La strada per il Villaggio la ricorda benissimo e sorride allo stupore della piccola Brianna per tutto ciò che la circonda. Anche lei ha un dono, una magia dentro di sé, che ancora deve esprimere tutto il suo potenziale. Fin, d’altra parte, sa tutto del passato suo e del padre, ed è impaziente di vedere con i suoi occhi.
Caris vuole riabbracciare sua madre: averla abbandonata al mercato, quel giorno lontano, è stata la prova più dura. Si sono scritte, dopo qualche mese, ed è amore quello che trabocca dalle loro lettere.
È stata lei ad invitarla quel giorno, insieme ai bambini.
“Forza Brianna, non possiamo fare tardi, i nonni ci aspettano!” chiama la bimba.
“Fin aiutami tu! Sono stanca di camminare”.
“Che peste che sei, sorellina” sbuffa lui, prendendola sulle spalle.
La piccola ride, vittoriosa, e gli altri due con lei.
Si, va tutto bene e tutto andrà meglio.
Sembra così strano, ma Caris c’è l’ha fatta; Fin sarà la prima persona senza magia autorizzato ad entrare nel Villaggio dalla sua fondazione. Lei è così felice che potrebbe piangere e ridere insieme.
La prime di molte altre, spera.
Che lei e Will e i loro figli siano un esempio; vivere insieme è possibile!
Che il suo messaggio arrivi ovunque: la diversità è bellezza, è ricchezza!









Note
Finisce così, quindi, questa storia!! Spero che chi ha avuto la pazienza di leggere e aspettare sia rimasto soddisfatto… Sta di fatto che è stato un capitolo duro da scrivere, quest’ultimo! Ho come la sensazione che ci sia ancora un mondo da dire, sentimenti e storie non dette da raccontare, e non escludo di farlo, prima o poi!
Grazie a chi è arrivato fin qui … se vi fa piacere fatemi sapere cosa ne pensate nelle recensioni!!!
Ester

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