Maledetto gossip di MAMMAESME (/viewuser.php?uid=187306)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lei non piange ***
Capitolo 2: *** Non qui, non ora ***
Capitolo 3: *** Ciak, si gira ***
Capitolo 4: *** L'ultima notte ***
Capitolo 5: *** Sii felice ... ***
Capitolo 1 *** Lei non piange ***
Ero
seduto sulla mia sedia da regista e stavo discutendo una
scena con Kat quando
vidi Nina arrivare,
puntuale come sempre
Non
avrebbe dovuto girare quel
giorno, ma a lei piaceva stare sul set, guardare girare tutte le scene
e godere
della compagnia dei suoi amici.
Vedendola capii subito che
qualcosa non
andava.
Con
la testa bassa si diresse direttamente al suo camerino:
i capelli le scivolavano lungo le guance, nascondendole il volto. Non
un cenno
di saluto, non un sorriso alla crew.
Strano:
di solito quando arrivava
salutava tutti, con la sua energia e il suo buon umore.
Anche
Kat la seguì con gli occhi,
notando quel comportamento insolito; le rivolsi uno sguardo indagatore
al quale
rispose con un’alzata di spalle e un sorriso strano.
Eravamo
appena rientrati dalle
vacanze di Natale, Nina era tornata dalla Nuova Zelanda ed era felice,
o almeno
lo era fino a ieri, quando tutti insieme avevamo letto il copione e
avevamo
discusso il calendario delle scene da girare.
Era
allegra.
Era.
Non
riuscivo ad immaginare cosa
potesse averla scossa, come mai il suo sorriso non era arrivato ad
illuminarmi
la giornata.
Un
senso di vuoto mi attanagliò lo
stomaco.
-Kat
… che
cosa le prende? – chiesi, questa volta ad
alta voce.
-Non
saprei Ian … tu cosa ne
pensi? –
Colsi
chiaramente l’ironia nella
sua risposta.
Non
riuscii a formulare una
risposta: la voce di Michael mi giunse inaspettata alle spalle.
-Allora,
buddy, devo farti le
congratulazioni o le condoglianze? – sbraitò.
Mi
arrivò una delle sue pacca
sulla schiena e con il braccio mi agganciò il collo,
facendomi piegare sotto la
sua spinta.
-Fidanzato?
Wow! – continuò. – Era
ora, fratello … il mio piccolo ha bisogno di un cuginetto
con cui giocare: tu
e Nikki vedete di non aspettare troppo. –
Mi
liberai dalla sua presa e lo
guardai crucciato.
Fu
come se un fulmine mi avesse
colpito in pieno petto.
L’annuncio
del mio matrimonio era
stato pubblicato la sera precedente. Era ancora solo un’idea,
qualcosa che io e
Nikki stavamo ipotizzando e, chissà come, era giunta a
orecchie indiscrete.
Avevo
intenzione di parlarne con
Nina e con gli amici prima di rendere ufficiale il fidanzamento, ma non
ero
riuscito a bloccare la notizia.
Maledetto
gossip.
Kat
mi guardò, sconcertata dalla
mia sorpresa.
-Come
pensavi l’avrebbe presa? –
la domanda era retorica.
Raccolsi
un po’ di orgoglio prima
di risponderle, prima di correre da Nina per vedere come stesse.
-Non
dovrebbe prenderla in nessun
modo particolare: non stiamo insieme e lei non ha intenzione di
sposarsi … di sposarmi.
Quindi … -
-Povero
illuso, - proseguì. –Non
starete più insieme, ma a lei importa eccome … e
importa anche a te. Come
reagiresti se lei annunciasse le sue nozze tramite un sito di gossip?
–
Semplicemente
spaccherei tutto,
frantumerei ogni cosa, sarei furioso … ma non lo ammisi
né con Kat né con me
stesso.
-Le
farei le congratulazioni. –
dissi invece.
-Sì,
come se non ti conoscessi.
Come se non vedessi il modo in cui la guardi. – mi
rimproverò.
Michael
assisteva alla scena con
un sorrisetto divertito.
-Cazzo,
peccato essere arrivato
troppo tardi: mi devo essere perso una gran bella storia … i
Nian … Kat, mi
devi raccontare ogni particolare. –
-Fottiti,
“Enzo” … sei stronzo
come il tuo personaggio. Non c’e nulla da raccontare, non
c’e nulla da rivivere.
È finita. Siamo solo buoni amici. Mi dispiace che la notizia
le dia fastidio ma
io devo andare avanti con la mia vita e se questo prevede un
matrimonio, lei lo
deve accettare e capire. Fine. Punto. –
-Se
ci credi tu … - insinuò la
“strega”
che avevo di fronte. – Beh, io farei una pausa. Michael, se
mi offri un caffè,
ti racconto come … -
-Kat
… - le urlai, ma lei mi
voltò le spalle e prese sottobraccio quel mostro di
Malarkey.
I
tecnici che avevano assistito
alla scena si fingevano affaccendati: chi controllava la camera, chi
riguardava
la storyboard … qualsiasi scusa pur di non guardare me.
-Ok
– annunciai. – Mezz’ora di
pausa e poi si ricomincia. –
Andai
verso il bancone del rinfresco
e preparai una tazza di caffè con un goccio di latte e una
punta di zucchero,
come piace a Nina, poi m’incamminai verso il suo camerino.
Davanti
alla sua porta mi fermai
un momento per prendere respiro.
Speravo
fosse sola. Volevo
parlarle, chiarire, spiegare … vederla.
Origliai
per sentire se
dall’interno provenissero delle voci, ma colsi solo le note
di una canzone che
suonava a basso volume. Non una canzone qualsiasi: “quella"
canzone.
Non
bussai. Afferrai la maniglia,
l’abbassai e lentamente aprii la porta.
-Nina?
Ci sei? –
Entrai
senza aspettare una
risposta.
Nina
era seduta davanti allo
specchio del trucco; guardò la mia immagine riflessa senza
voltarsi, con uno
sguardo di rimprovero.
Chiusi
la porta e d’istinto girai
la chiave nella serratura. Non volevo sorprese inopportune: avevo
bisogno di rimanere
solo con lei.
Mi
avvicinai e appoggiai il caffè
sul ripiano pieno di trucchi e pennelli, guardando il volto di quella
splendida
donna attraverso specchio.
Gli
occhi rossi e le labbra
gonfie mi svelarono più di ogni parola, di ogni confessione.
Aveva
pianto.
La
cosa mi sconvolse più di
quanto mi aspettassi: Nina non piange spesso e se lo fa è
perché sta soffrendo
più di quanto non possa sopportare.
No,
lei non piange. E non per
orgoglio, non per vergogna.
“Non ho tempo da sprecare in lacrime inutili: il
dolore passerà comunque
ed io non avrò sprecato ore preziose a piangermi
addosso”, era la sua
filosofia, il suo mantra quando qualcuno o qualcosa la feriva.
Nina
non piangeva. Davanti ad
un’offesa alzava il mento e sfidava il nemico con un sorriso,
il destino con un
passo di danza.
Il
dolore doveva sfiancarla per
farla cedere: doveva colpirla dritta al cuore o al centro
dell’anima.
Nina
aveva pianto quella notte,
quella mattina, forse solo qualche minuto fa … per colpa mia.
Feci
girare la sedia in modo da
porla di fronte a me e, mettendo un dito sotto al suo mento, la
costrinsi a
guardarmi in faccia.
-Nina
… - il suo nome mi uscì
dalla gola insieme ad un sospiro di angoscia.
Lei
non emise un suono. I suoi
occhi, pur seganti dal pianto, erano duri dentro i miei, le labbra
serrate in
una linea rigida e sottile.
-Ascolta:
non dovevi venire a
saperlo così … avrei voluto parlartene.
È solo un progetto … -
Lei
mi zittì mettendomi la mano
sulla bocca e scuotendo la testa.
Non
voleva ascoltarmi. Non voleva
parole.
Le
parole non le erano bastate
mai.
Quegli
occhi rossi, quelle
lacrime trattenute mi ricordarono altre lacrime,
gli stessi occhi disperati che mi guardavano
con angoscia, in un altro frangente, in un’altra vita.
Mi
tornò alla mente la sera in
cui mi presentai in albergo con un anello, la sera che le chiesi di
essere mia
per sempre.
Era
come se avessi bisogno di
riaccendere quel dolore, di scucire una ferita non rimarginata,
precipitare
ancora e più a fondo in quella sofferenza, in quella miriade
di domande che
avevano una sola, inequivocabile risposta: non mi amava abbastanza. Non
abbastanza da rinunciare alla sua spensieratezza, alla sua voglia di
gioventù,
alla sua libertà … ed io l’amai
talmente tanto che la lasciai andare, libera, giovane
e stupenda.
Era
quasi mezzanotte quando
uscimmo dal ristorante.
Rientrati
in camera Elena si era
tolta quell’ingombrante vestito bianco e nero che indossava
per il party di
Elton John e si era fatta la doccia, mentre io telefonavo al servizio
in camera
per farmi portare altro champagne.
Ne
avevamo bevuto parecchio
durante la cena. Lei sentiva freddo con quel vestito scollato sulle
spalle e la
mia giacca non le era bastata per riscaldarsi.
Si
era accucciata sulla sedia, le
mie braccia attorno alle sue spalle per evitare che i brividi la
scuotessero.
Il vino accese la sua allegra: le guance arrossate e gli occhi
luccicanti la
rendevano maliziosa ed irresistibile.
Per
questo motivo lasciammo la
serata prima degli altri.
Per
questo e perché le avevo
preparato una sorpresa.
Non
volevo chiederle di sposarmi
in un ristorante, in mezzo alla gente che ci avrebbe guardati e
fotografati.
La
nostra vita, la nostra storia,
era già fin troppo sotto i riflettori.
Volevo
che ci fossimo solo noi
due, una rosa, un anello e due flute di bollicine.
Volevo
che fosse libera di
esprimere i suoi sentimenti.
La
volevo solo per me.
Uscì
dal bagno solo con un
asciugamano bianco avvolto attorno al seno, che la copriva appena. I
capelli
umidi sconvolti e il viso pulito.
Sexy
da togliere il fiato. Bella
da cancellare i pensieri.
Io
mi ero slacciato il papillon,
lasciandolo penzolare ai lati del colletto della camicia appena
sbottonato.
Avevo
messo una rosa rossa al
centro delle lenzuola bianche e tenevo tra le mani i bicchieri riempiti
a metà,
l’anello nascosto sotto il mio cuscino.
Nina
mi guardò e il suo sguardo
era così acceso, vitale, eccitato che quasi dimenticai cosa
stavo per dirle.
Le
porsi il vino mentre si accoccolava
sul cuscino: l’asciugamano si aprì quel tanto che
bastò ad appannarmi la vista.
-Altro
champagne? - mi sorrise
alzando il bicchiere. –Cosa festeggiamo?-
-Noi
insieme adesso … domani …
per sempre. – sussurrai, fissandola negli occhi e svelando la
scatolina di
velluto amaranto.
Il
bicchiere rimase sospeso a
mezz’aria.
-Ian
… quello che cos’è? –
mormorò con la voce spezzata, quasi tossendo, quando le misi
tra le mani il mio
piccolo tesoro.
-Una
promessa. La mia promessa. Aprilo.
– la esortai.
Posò
il bicchiere ancora pieno
sul comodino dietro di lei e guardò il mio dono, titubante.
A
mia volta appoggiai il vino per
non farle notare il tremore alle mani.
Lo
stomaco mi si era chiuso e il
respiro aveva perso il suo ritmo regolare.
La
guardai spingere il minuscolo
tasto che fece scattare il coperchio del portagioie.
I
suoi occhi si fissarono sull’anello
che conteneva: un piccolo diamante solitario incastonato in una fede
d’oro
bianco, semplice e prezioso, come lei.
Per
un lunghissimo istante non si
mosse.
Ruppi
il silenzio: le parole
uscirono in un soffio, la bocca secca per l’emozione.
-Voi
sposarmi, Nina? Vuoi essere
mia moglie, la mia amante, la mia migliore amica da adesso fino a
quando non
smetterai di amarmi? –
La
risposta si fece attendere un
attimo di troppo.
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Capitolo 2 *** Non qui, non ora ***
Capitolo
2
Non
qui, non ora.
Tornai
al presente, ai suoi occhi che mi guardavano freddi come il ghiaccio.
La
sua mano era ancora sulle mie labbra per fermare le parole.
Lentamente
afferrai il suo polso e mi liberai la bocca, non tanto per poter
parlare, quanto
per scacciare la tentazione di assaporare la sua pelle.
Posandole
la mano in grembo, avvolsi il suo volto tra le mie dita.
-Perché,
Nina? – sussurrai a stento, asciugandole le guance con i
pollici.
Non
potendo abbassare lo sguardo, chiuse gli occhi, deglutendo quello che
mi sembrò
un groviglio di lacrime e grida.
Strinsi
un po’ più forte la mia presa.
-Parlami
Nina … - la supplicai.
Avevo
pronte mille spiegazioni, recriminazioni; avrei voluto litigare,
sbraitare, dirle
che non ero più affar suo, ma il suo mutismo rese vano ogni
discorso.
Quando
Nina si chiudeva in uno dei suoi silenzi, diventava impenetrabile.
D’istinto
appoggiai la mia fronte alla sua, quasi a cercare una connessione
telepatica,
un modo per abbattere quel muro e trovare i suoi pensieri.
-Senti
… capisco che, probabilmente, sono l’ultima
persona al mondo con cui verresti
parlare … e forse hai ragione, forse le parole sono
superflue … ma vorrei tanto
capire perché: perché hai pianto,
perché sei furiosa con me … perché,
Nina? –
Odiavo
il gioco dei perché, lo detestavo perché con lei
ne uscivo sempre perdente: più
chiedevo, meno parlava. La mia naturale logorrea diventava un fiume che
s’infrangeva
contro la diga del suo silenzio.
Come
accadde quella mattina … la mattina dopo … il
punto di non ritorno.
-o-o-o-o-
Alla
vista del mio anello esitò.
L’attimo
rimase sospeso, il mio respiro fermo come le sue labbra mute, fino a
quando i
suoi occhi, lentamente, incontrarono i miei.
Fu
questione di un istante.
La
scatolina cadde sul letto, accanto alla rosa, mentre lei si buttava tra
le mie
braccia. Immediatamente mi sentii avvolgere dalla sua pelle fresca,
lasciata
nuda dall’asciugamano che era volato sul tappeto.
Il
suo abbraccio sciolse l’ansia che aveva attanagliato il mio
stomaco.
Nelle
vene il sangue cominciò a scorrere più veloce,
accelerato dal suo impeto: era
una sensazione esaltante, travolgente … una folata di vento
tropicale, caldo e
umido, che penetra nei pori e si infila sotto la pelle, infuocandola.
Lasciai
che le sue mani scorressero sui bottoni della mia camicia, slacciandoli
uno
alla volta, anche se avrei preferito che me la strappasse. Ad ogni
asola
sconfitta, i suoi polpastrelli accarezzavano centimetri della mia
pelle, con
una foga che mi lasciò senza fiato.
Quando
anche l’ultimo bottone fu liberato, mi fece scivolare la
camicia lungo le
spalle, lasciandomi le braccia imprigionate nelle maniche. I suoi palmi
iniziarono a scorrere sui miei muscoli tesi, mentre con la bocca vorace
cercava
le mie labbra, la mia pelle.
La
sua passione era feroce e la mia si adeguò, crescendo con la
sua.
Le
sue unghie trovarono la mia schiena, mentre cercavo di liberarmi dagli
ultimi
vestiti che m’impedivano di essere un tutt’uno con
lei; i miei gemiti si
unirono ai suoi.
L’urgenza
di averla era così potente che la presi e la scaraventai
sotto di me senza fare
attenzione.
Un
lamento di dolore mi fece interrompere il contatto con la sua bocca.
Si
morse le labbra per frenare un grido. L’avevo appoggiata
sulla rosa, e le spine
avevano fatto il loro doloroso lavoro.
La
feci voltare e vidi due piccoli graffi sulla sua pelle candida.
Ci
scappò una risata.
-Ti
fa male? – le chiesi, buttando la rosa sul tappeto.
Lei
non rispose, limitandosi a distendere le braccia sotto ai cuscini,
mostrandomi
così la schiena in tutta la sua bellezza.
Mi
abbassai lentamente e passai la lingua sui qui piccoli segni rossi.
-Ian
… - sospirò.
-Dimmi
di sì … - la implorai mentre le mie labbra
saggiavano ogni piccola porzione
della sua pelle profumata.
Le
mie mani s’infilarono sotto il suo corpo, per stringerla e
incollarla al mio
petto.
Lei
rispose muovendo i fianchi: l’impulso di darmi a lei fu
incontenibile.
Se
potevo averla, non mi servivano altre risposte.
Affondai
il naso tra i suoi capelli e premetti i polpastrelli sulla sua pancia
morbida.
Lei
si plasmò al mio tocco, si adeguò al mio peso su
di lei, alla forma del mio
corpo, al desiderio che mi annullava.
E
fu come morire della morte più dolce, bruciare nel fuoco
più ardente, rinascere
dalle ceneri e volare nei cieli più alti, sferzati da venti
impetuosi e
lacerati da lampi folgoranti.
E
fu, come sempre, perdersi e ritrovarsi in un groviglio di gambe e
pelle,
lenzuola e baci.
Dopo
… molto dopo … mi addormentai sul suo ventre: una
mano sui suoi fianchi e
l’altra stretta attorno al portagioie.
-o-o-o-o-
-Ok
Nina … quando vorrai parlarne mi troverai fuori, da qualche
parte … forse. – iniziavo
a sentirmi esasperato.
La
chiave scattò nella serratura.
Un
sospiro, un respiro più profondo, mi fece fermare ancora un
attimo.
Quando
parlò, la sua voce mi gelò il sangue nelle vene.
-Lo
so. So già tutto quello che c’è da
sapere. Conosco tutte le spiegazioni, le
ragioni, i motivi. Razionalmente so che hai ragione, che non
c’è nulla che io
possa recriminare, nulla che possa pretendere da te. Ma dentro, il mio
respiro
si ferma e brucia nella gola quando lo libero, il mio stomaco mi manda
fitte
dolorose se solo ti immagino sposato, legato ad un’altra per
tutta la vita …
perché io ti conosco: se decidi è per tutta la
vita! … e fa male … non
dovrebbe, ma fa male. –
Le
sue parole mi presero come in laccio intorno al collo: mi sentivo
soffocare, incapace
di rispondere, di emettere un qualsiasi suono.
Stinsi
la maniglia con una forza tale che mi divennero bianche le nocche.
-
Guardami! - mi richiamò Nina. –
Guardami bene: questi non sono i miei occhi. Guarda questa donna allo
specchio:
la riconosci? Io no, non mi riconosco. Mi chiamo e non rispondo. Cosa
mi hai
fatto, bastardo! Guarda come mi hai ridotta! – la sua voce
stridula era
irriconoscibile.
Strinsi
i denti per frenare la
rabbia che stava per traboccare.
-Io?
– riuscii a malapena a
mormorare.
-Tu,
l’idea che ho di te, il
marchio che hai lasciato sulla mia pelle. So che, per quanto io ti ami,
non
siamo fatti per stare insieme. So che le nostre differenze sono
inconciliabili:
tu vorresti salvare il mondo, io vorrei solo addentarlo come una mela
matura,
spremere la vita fino all’ultima goccia. Sarà
l’età? Forse. Sarà il mio modo di
essere? Anche. Ma io voglio vivere la mia vita sulle montagne russe. Il
colmo è
che tu me lo hai insegnato, tu mi hai dato le ali per poi volermele
tarpare. So
tutte queste cose, so quanto ci castreremmo insieme eppure …
eppure fa male …
eppure ti voglio ancora. Sono in conflitto con me stessa, con la parte
di me
che ti vorrebbe e quella che ti allontana: la testa dice che
è tutto ok, ma
l’istinto dice no; la ragione urla di lasciarti andare, ma il
cuore protesta. I
pensieri mi dicono di scappare lontano, le gambe non si muovono di un
passo. Tu
mi hai dato tutto e tutto mi hai tolto volendo andare oltre, troppo
presto …
troppo in fetta! –
L’ascoltavo
e sentivo l’eco delle
mie stessa sensazione, dei miei stessi conflitti.
L’ascoltavo
e altre immagini si
sovrapponevano al presente, mescolandosi con le lacrime trattenute a
stento,
con la rabbia che scemava in fitte pungenti dritte al cuore.
-o-o-o-o-
Svegliandomi,
dopo la notte più
intensa della mia vita, non la trovai accanto a me.
Il
sonno, che appannava la mia
mente, rendeva tutto ovattato. Pigramente mi misi a sedere sul letto
per capire
dove potesse essere Nina.
Sentii
l’acqua della doccia
scorrere. Un sorriso mi si stampò sulla faccia ancora
assonnata.
Mi
alzai e decisi di raggiungerla
in bagno. Una doccia di coppia era proprio quello che ci voleva per
affrontare
la prima di un’infinita serie di giorni insieme. Avremmo
dovuto fare programmi,
dirlo ai suoi, ai miei, al mondo intero … decidere una data.
Ma
quando aprii la porta del
bagno ogni traccia di felicità venne cancellata dalla scena
che mi ritrovai
davanti.
Nina
era seduta sul piatto della
doccia, l’acqua che le scorreva sui capelli già
fradici, il viso nascosto sulle
ginocchia strettamente serrate al suo petto, chiuse nella morsa delle
sue
braccia.
Convinto
che stesse male, infilai
la mano sotto l’acqua e raggiunsi il miscelatore per
spegnerla. Afferrai il
primo asciugamano che mi capitò tra le mani e glielo buttai
sulle spalle.
Mi
chinai per aiutarla ad alzarsi
ancora prima di chiederle cosa avesse: il suo corpo era rigido e
sembrava
incollato alle piastrelle.
In
preda al panico l’afferrai per
le spalle e la scossi leggermente per farla reagire.
-Nina
… - la chiamai.
Lei
non fece alcun movimento, non
emise un suono.
Rassegnato
al suo mutismo, entrai
nella doccia e mi sedetti di fronte a lei, le mie gambe attorno al suo
corpo
immobile.
-Parlami,
Nina, dimmi cosa
succede. Stai male? –
-
Vattene, Ian … - la voce roca
filtrava attraverso le cosce serrate.
Andarmene.
Dove? Perché?
-Cosa
stai dicendo? Perché dovrei
andarmene? –
Lentamente
alzò la testa e fissò
il suo sguardo sul mio volto: era sfatta, distrutta.
La
sorpresa mi lasciò stordito.
Che
cosa era accaduto per ridurla
in quello stato?
Allungai
le mani per afferrarle
il volto, per convincerla a confidarsi, ma lei bloccò i miei
movimenti,
scuotendo la testa ostinatamente e fissandomi con
un’espressione che non
ammetteva dubbi: non voleva che la toccassi.
…
e dopo la notte trascorsa in
uno stato di perfetta estasi, tutto ciò non aveva alcun
senso.
Mi
fermai. Le mani incominciarono
a tremarmi per lo sforzo di non urlare, di non cavarle le parole
direttamente
dalla gola.
-Cazzo,
Nina … ancora non so
leggere nel pensiero e, se non mi dici subito cosa ti sta accadendo,
diventerò
pazzo!-
In
risposta alla mia imprecazione
le lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi come un fiume in piena
ed io,
impotente, le guardai fluire, non sapendo come fermarle, non
conoscendone
l’origine, il motivo scatenante.
Una
telefonata? Qualcuno che
stava male ... o peggio?
Non
l’avevo mai vista tanto
straziata, mai vista piangere così disperatamente.
Nina
non piange …
L’umido
della doccia stava
penetrando nella mia pelle e, insieme all’ansia, incominciava
a procurarmi
brividi intensi, ma non mi mossi per prendere un accappatoio. Non
volevo allontanarmi
da lei senza capire il motivo di tanta angoscia.
All’improvviso
le parole uscirono
dalla sua bocca come un’esplosione.
-Perché
hai dovuto rovinare
tutto? Perché non pensi prima di agire … prima di
parlare? Sei il solito
vulcano in eruzione: hai un’idea e la devi realizzare, senza
pensare che la tua
energia potrebbe essere devastante. –
M’irrigidii
sentendo il tono di
rimprovero della sua voce: era arrabbiata, ferita.
Di
cosa mi stava incolpando?
Gocce
di sudore freddo bagnarono
i miei palmi stretti a contenere uno stupore incredulo.
-Ma
… - riuscii a balbettare.
-Tu
arrivi con tuo bell’anello e
sconvolgi la mia vita perfetta, senza pensare che forse sono troppo
giovane …
che forse vorrei fare altro prima di ritirarmi in campagna a sfornare
tanti
bambini con gli occhi azzurri. Ho una carriera appena iniziata, amiche
con cui
divertirmi, un mondo da sbranare e tu mi chiedi di sposarti?
Perché, Ian …? –
Già
… perché?
-Forse
perché ti amo e voglio
passare la mia vita con te? Realizzare i miei sogni con te? Costruirmi
un
futuro con te? –
-I
tuoi sogni … e i miei? Il tuo
futuro … e il mio? Il mio presente? Un paio
d’anni, Ian … solo un paio di
fottuti anni e forse avrei potuto pensare, valutare … -
La
sua voce spezzata echeggiava
nelle pareti della doccia, ormai gelida come il mio umore.
Ero
completamente spiazzato dal
suo discorso; non sapendo cosa ribattere, rimasi immobile in un marasma
di
emozioni, sconforto, incredulità: il freddo penetrava sempre
più nella mia
pelle, nelle mie vene, nella mia anima … nel profondo.
-Non
ti ho detto che dobbiamo
sposarci domani … - abbozzai.
-Ian,
ti amo da impazzire,
desidero stare con te, ho bisogno di te ...
ma non voglio sposarti! Non oggi … non domani
… -
-Né
mai. – conclusi per lei.
Il
silenzio che seguì ghiacciò il
mio cuore e una crepa lo attraversò.
Qualcosa
si era spezzato: io.
-o-o-o-o-
Rivivere
gli stessi istanti, la
stessa dolorosa sensazione di precipitare in una voragine, in un orrido
senza
fondo, mi fece cadere negli stessi conflitti, nella stessa lacerante
agonia.
Andare
o restare? Amarla o
odiarla? Vivere o languire nel ricordo?
Io
non so stare fermo, non so
odiare e voglio vivere: questo è quello che sono
… ma in quel momento,
ascoltando il suo sfogo, sentendo la sua rabbia fondersi con la mia, la
sua
angoscia con la mia frustrazione, avrei voluto solo restare, amarla
… languire
tra le sue braccia e chiudere la vita fuori dalla porta di
quell’angusto
camerino.
Richiamando
a me la calma,
richiusi la porta e tornai da lei.
-Nina
… vorrei poterti dire che
c’è una soluzione, vorrei veramente che ci fosse,
ma non c’è. Noi non siamo
questi, non siamo così: tristi, rancorosi, arrabbiati. Non
siamo Damon ed
Elena. Non possiamo vivere per sempre, aspettarci per sempre. Non
abbiamo
l’eternità. Io ho i miei progetti e sai con quanta
passione voglio realizzarli
… tu hai i tuoi e hai tutto il diritto di percorrere la tua
strada, diversa
dalla mia. Le nostre vite hanno direzioni parallele e ci sono solo
attimi,
stazioni in cui possiamo salutarci attraverso i finestrini di treni che
continueranno la loro corsa l’uno accanto all’altro
per alcuni tratti, ma mai
vicini abbastanza, perché il rischio di collisione
è altissimo. Siamo solo in
attesa che un bivio ci porti definitivamente in direzioni opposte,
lontane, mai
più secanti. Un’altra serie di The vampire
diaries, un altro anno e poi … –
Le
parole mi morirono in gola:
già … e poi? Non l’avrei più
rivista, non avrei più avuto il mio alter ego per
stringerla tra le braccia, baciarla o semplicemente averla accanto.
-E
poi …? - mi fece eco Nina,
lasciandosi sfuggire un singulto.
Avrei
dovuto rassicurarla,
allontanarla, renderla forte e consapevole, ma a quel pensiero,
l’unica cosa
che desiderai fu stringerla fino a soffocarla, fino a soffocare quel
dolore
sordo che mi aveva preso come in pugno alla bocca dello stomaco.
Presi
un respiro profondo, le
afferrai le mani e le baciai il palmo.
-Hic
et nunc, Nina. Quando sarà,
lo affronteremo … non qui, non ora. Adesso cerca solo di
ricomporti, di stare bene,
di capire che se io sposerò Nikki è
perché dobbiamo andare avanti: io devo … tu
devi, come hai fatto ieri, l’altro ieri … e tutti
i giorni che non sei stata
mia. Io, per un lungo periodo dopo che abbiamo rotto, mi sono limitato
a
sopravvivere, ma adesso non mi basta più. Io per te ci
sarò sempre, ma non mi
chiedere di rinunciare ai miei sogni, come io non ti ho chiesto di
rinunciare
ai tuoi. Io sono qui fuori, qui dentro, dove vuoi, se mi vuoi, se avrai
bisogno
di me …
ma, altrove, io continuerò ad andare
avanti e tu farai lo stesso. –
Le
labbra salirono dai palmi ai
polsi, raggiunsero le sue guance umide e vi posarono un bacio colmo di
tutto il
calore, di tutto l’amore che, nonostante tutto, nonostante le
distanze
inconciliabili, provavo per lei.
Lei
abbassò gli occhi e si sforzò
di sorridere.
-Vivere
… prima o poi mi
spiegherai il segreto celato dietro questa parola … -
-Quando
lo scoprirò, ti manderò
un tweet – risposi, posandole una carezza sui capelli
arruffati. – Ricomponiti
… ti aspetto fuori: non rimanere qui da sola, non
servirà. –
-Mi
dovrei accontentare delle
briciole? – ironizzò.
-
L’ho fatto per mesi … mi sono
saziato delle tue briciole, eppure sono ancora qui. –
-
Dammi cinque minuti e ti
raggiungo. –
-Ti
aspetto … -
L’avrei
aspettata sempre.
(continua)
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Capitolo 3 *** Ciak, si gira ***
CAPITOLO
3
Ciak,
si gira.
Paul
e Candice stavano veramente
dando il meglio. Le loro scene erano intense, i loro sguardi
comunicativi
esattamente come avevo chiesto. Le luci soffuse rendevano
l’ambientazione dark
al punto giusto. Candice era una fantastica bad girl, sexy e cattiva,
razionale
fino all’estremo, bionda quanto basta.
Kat
era intenta a provare la
scena in cui avrebbe dovuto torturarmi con la mia controfigura, mentre
il
cameraman stava posizionando la telecamera esattamente alle spalle di
Candice per
ottenere un’inquadratura controluce che avrebbe esaltato il
lato oscuro del
personaggio di Caroline.
Seduto
sulla mia sedia da
regista, guardavo l’effetto d’insieme sul monitor,
quando Nina mi si avvicinò.
Il volto si era ricomposto, anche se gli occhi erano ancora un
po’ gonfi e le
guance arrossate. Non si era truccata e i capelli erano raccolti in un
groviglio fissato con una matita.
-Cosa
ne dici? Ti piace questo
contrasto di luci su Candice? Non pensi che sia un po’ troppo
d’effetto? Non
vorrei esagerare … - le chiesi per metterla a suo agio e non
farle ricordare la
discussione di poco prima.
-A
me piace. L’immagine è calda
e, nel contempo, raggelante. Le fiamme dell’inferno che
incorniciano un nuovo
demone … -
-Esattamente
quello che volevo
trasmettere.-
-Kat
si sta divertendo a vedere Jamie
contorcersi alle sue finte torture … - aggiunse.
-Mmmm
… -
Ero
davvero concentrato sulla
regia, intensamente concentrato sul mio lavoro, disperatamente
consapevole
della sua vicinanza.
Per
avvicinarsi meglio al video,
Nina si era avvicinata alla mia spalla e lì aveva lasciato
la testa.
I
suoi capelli spettinati mi solleticavano
il collo, mentre il calore delle sue guance trapassava la maglietta che
indossavo e m’intiepidiva la pelle.
Forse
un po’ troppo.
Staccai
lo sguardo dal video per
posare le labbra sulla fronte di Nina: era calda, febbricitante.
-Nina
… come ti senti? – le
chiesi, prendendo la sua mano.
-Un
po’ debole, stanca. – mormorò
contro il mio collo.
-Tu
non stai bene: hai la febbre!
–
-No
… non credo … sarà perché
ho
pianto. – protestò con un filo di voce.
Feci
un cenno all’assistente di
studio perche si avvicinasse.
-C’e
un termometro in infermeria?
– le chiesi gentilmente.
-Ian
… non è necessario. Adesso mi
riposo qualche minuto e passerà tutto. –
insistette Nina.
Con
un gesto della mano esortai
la ragazza a lasciar perdere.
Presi
il volto di Nina tra le mani.
-Ascolta:
adesso chiamo la
macchina e dico a George di portarti a casa. Vuoi che chiami qualcuno?
Una tua
amica? Magari Kat potrebbe accompagnarti … -
-No
… - rispose, ribellandosi
alle mie mani per riappoggiare la testa sulla mia spalla.
-Testona.
Adesso ti faccio
portare qualcosa di caldo e un’aspirina poi vai a casa e ti
metti a letto. Io
ne ho ancora per un paio d’ore … poi
passerò a vedere come stai.-
-Le
chiavi le hai ancora? –
Sì
… le tenevo nel cassetto del
mio camerino.
Dopo
due anni non avevo ancora
avuto il coraggio di restituirgliele. Avevo preferito fingere di
dimenticarle
in quel cassetto.
Chris
apparve all’improvviso alle
mie spalle.
-Bella
questa inquadratura! –
esclamò indicando il fermo immagine sul mio schermo.
-Grazie
… - era l’ultima persona
che avrei voluto vedere in quel momento.
Chris
mi piaceva, era un bravo
ragazzo, ma le insinuazioni su lui e Nina insieme mi rodevano.
-Ho
visto il nostro girato: devo
dire che insieme buchiamo la scena. – affermò
entusiasta.
-Sì
… - ero troppo preoccupato per
Nina per ascoltarlo.
Inghiottendo
un rospo grosso come
una balena, mi voltai verso di lui.
-Chris,
mi faresti il favore? Mi
porteresti una tazza di tè e un’aspirina? Nina non
sta bene … -
La
sua attenzione si focalizzò
sulla ragazza che avevo tra le braccia.
-Cosa
ti senti, Nina? Hai una
faccia … -
-Forse
è solo un po’ di
raffreddore, stanchezza … niente che una bella dormita non
possa risolvere.- Colsi
un velo d’ironia in quella risposta, ma finsi di non farci
caso.
-Ho
fatto chiamare la macchina della
produzione, – dissi con il fiele sulla lingua. – La
accompagneresti tu …? –
-Se
per oggi ho finito e non hai
più bisogno di me, certamente. – notai un certo
compiacimento.
-Oggi
vorrei finire alcune scene
con Candice e Paul e provare una volta con Kat. Se
l’accompagni tu mi sentirei
più tranquillo. – Sì, tranquillo come
la mamma che manda Cappuccetto Rosso nel
bosco.
-Ok.
Allora accompagno io Nina. –
-Grazie.
– gli risposi a
malincuore.
Nina,
alzandosi, mi strinse la
mano.
-Hai
promesso che saresti
passato, – mi sussurrò all’orecchio,
mentre Chris si dirigeva verso il
distributore di bevande calde.
-Ti
chiamo quando parto,- la
rassicurai, toccandole ancora una volta la fronte con le labbra.
-Non
ce n’è bisogno. Vieni pure
non appena finisci: conosci la strada … hai le chiavi
… –
-E
se tu fossi in compagnia …? –
-Non
fare lo stronzo. Se ti va
passa, altrimenti fottiti. –
Le
gambe le cedettero mentre
tentava di alzarsi e, nello sbilanciarsi, si sedette sulle mie gambe.
-Guarda
come ti sei ridotta!
Mangia qualcosa mentre vai a casa. Io arrivo … arrivo.
– Sentii una fitta allo
stomaco. La voglia di mollare tutto e andare con lei subito era
insostenibile.
Non
avrei potuto lasciarla sola …
non avrei voluto lasciarla sola con lui.
Aveva
bisogno di me ed io sarei
stato con lei, a casa sua o all’inferno.
Ma
la lasciai andare: avevo
bisogno di prendere le distanze, prima di riaddentrarmi in quel
territorio
minato da tentazioni che era la sua vicinanza.
Nelle
due ore successive la
concentrazione non fu al massimo. Fissavo il monitor senza veramente
vederlo.
Notando
la mia distrazione, Paul
mi si avvicinò.
-Vai
da lei, fratello … qui hai
finito. Io e Candice riproveremo i dialoghi prima di chiudere e poi ce
ne
andremo anche noi. Qui non hai più nulla da fare e fissare
quello schermo non
ti farà stare meglio. Vai da lei e vedi come sta
… e chiama Nikki per
riagganciarti alla realtà. –
Riagganciarmi
alla realtà.
Per
tre quarti del mio tempo
vivevo una vita al di fuori della realtà, fatta di finzione,
colma di creature
sovrannaturali, dove l’impossibile diventava il quotidiano,
dove certi amori
erano epici, indelebili e altri sfociavano in tenere amicizie o con le
ossa del
collo spezzate. Giovani per sempre senza soluzione di
continuità, senza
possibilità di figli o famiglia, tutto si consumava in un
eterno presente e in
un infinito che era fragile come un foglio di carta velina.
Nella
realtà, nella mia realtà,
il tempo passava, in fretta, troppo in fretta … e io volevo
tutto: carriera,
famiglia, figli, impegno sociale … tutto e, soprattutto, non
volevo aspettare,
non più.
La
mia realtà era Nikki, il mio
presente … il mio futuro prossimo.
Nina
era il mio sempre e il mio
mai, il mio attimo fuggente, il sogno irrealizzabile, un freno ai miei
desideri.
Non
potevo aspettarla, non
volevo.
Il
problema però, non era la
ragione, non erano le motivazioni, ma il mio istinto,
l’insieme di emozioni che
lei smuoveva e alle quali non riuscivo a resistere.
Senza
rispondere a Paul, afferrai
il giubbotto appoggiato alla mia sedia e mi diressi verso il
parcheggio, dove
avevo lasciato la mia Audi.
Il
cielo si era fatto buio e le
nuvole non permettevano alla luna di rischiarare il crepuscolo.
Guidavo
con lo sguardo fisso
all’asfalto e il piede incollato all’acceleratore,
con i pensieri che mi
rimbombavano nel cervello come una pallina da ping pong che rimbalzava
tra le
pareti del cranio. Avevo
spento anche la
radio e le orecchie mi ronzavano come se avessi uno sciame di vespe nel
canale
uditivo.
Volevo
correre da lei, scappare
lontano, raggiungerla, allontanarla.
Senza
pensarci troppo, premetti
il pulsante del vivavoce che mi avrebbe messo in contatto con Nikki:
avevo
bisogno di un appiglio, un’ancora che mi tenesse con i piedi
per terra, che non
mi permettesse di fluttuare nel vuoto.
La
sua voce riempì l’abitacolo,
amplificata dagli altoparlanti.
-Ian,
amore … come stai? Il
lavoro? Tutto come previsto? – la sua voce dolce
ammorbidì la tensione delle
mie braccia, ancorate al volante.
-Nikki
… mi manchi. – non
mentivo. Davvero mi mancava.
-Qualcosa
ti turba? –
Uno
dei miei peggiori difetti:
non riuscire a nascondere le emozioni, i turbamenti.
-Stanchezza
… gira anche un po’
d’influenza. –
-Ti
senti la febbre? –
-No
… io no. – la voce si fece
roca.
-Tu
no … chi allora? – il tono si
fece più dirò e la domanda era evidentemente
retorica.
-Nina
… credo che abbia preso un
brutto raffreddore: ho dovuto mandarla a casa. -
-E
tu stai andando da lei. – le
sue parole erano pregne di frustrata rassegnazione.
-Chris
l’ha accompagnata, io volevo
solo … - non mi lasciò finire.
-Perché
me lo stai dicendo? – la
domanda non era così ovvia. –Non dirmi per
onestà: mi sembra piuttosto un
lavarsi la coscienza … -
-Nikki,
avevo bisogno di
sentirti, di sapere che ci sei … di sapere che capisci, che
… -
-Ian,
io ci sono, sono qui …
capire è difficile: non stiamo parlando di Kat, non stiamo
parlando di Candice.
Sai bene che effetto ti fa Nina, che effetto fa a me sapere che siete
vicini. –
-Devo
vedere se sta bene … -
-Lo
so … -
-Ti
amo … -
-Lo
so … -
-Tu
chiamo più tardi. –
-Stai
attento a non uscire da
quella casa a pezzi: non li raccoglierò un’altra
volta. – La sua severità mi
scivolò addosso senza lasciare traccia.
-Buonanotte.
–
Interruppi
la comunicazione con
più dubbi che certezze.
Perché
avevo parlato di Nina a
Nikki? Quale stronzo lo farebbe senza volerne pagare le conseguenze?
Cosa
mi aspettavo, la sua
benedizione … “Vai, bruciati, e io ti
curerò le ferite …” ?
Per
mia fortuna il parcheggio
davanti all’appartamento di Nina era libero. Mi fermai e mi
guardai attorno:
l’auto di Chris non era nei dintorni e la luce alla finestra
della camera era
soffusa. Nina era a letto con l’abatjour acceso.
Non
scesi subito. Appoggiai le
braccia al volante e vi posai la fronte.
Che
cosa stavo facendo?
Una
cosa era vederla sul set, con
tutta la troupe intorno, dove le tentazioni erano frenate dalla
presenza di
altre persone e sublimate da un bacio di scena o da un abbraccio da
copione.
Salire
da lei, nella sua camera,
vicino al suo letto era come chiedere alla paglia di non incendiarsi
vicino al
fuoco.
Le
avrei telefonato, le avrei
lasciato un messaggio, le avrei detto che un impegno mi impediva di
salire da
lei.
Afferrai
il telefono e lo fissai
con le mani che tremavano. Infine, con stizza, lo infilai in tasca,
sfilai le
chiavi dal cruscotto e scesi dall’auto, sbattendo lo
sportello contro la mia
coglionaggine.
Cercai
le chiavi per entrare nel
mio personale girone infernale, quando mi resi conto che le avevo
dimenticate
in camerino.
Forse
era un segnale, il monito a
non proseguire in quella che, certamente, si sarebbe rivelata una gran
cazzata.
Rimasi
a guardare il citofono per
un tempo che mi parve infinito.
Odiai
quel tasto che mi avrebbe
portato la voce di Nina, che avrebbe fatto scattare la serratura
chiusa, che mi
avrebbe condotto da lei.
Lo
guardai come se fosse il mio
patibolo, la mia oasi ... la perdizione e
la salvezza. Come potevo sentirmi tanto in contraddizione? Come poteva
farmi
sentire così inguaribilmente folle?
Lo
guardai … la mia mano si mosse
… e il tasto affondò sotto il mio polpastrello.
Passarono
secondi che sembrarono
secoli, attimi in cui una porta chiusa non era altro che un cancello
ancora
aperto, una via di fuga.
Passarono
secondi pesanti come
macigni in una clessidra troppo piccola … e miei piedi
rimasero immobili.
-Ian?
… -
-Sono
qui. –
(Continua)
|
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Capitolo 4 *** L'ultima notte ***
L’ultima
notte
Lo
scatto
della serratura cancellò ogni tentennamento.
Salii
le scale
due gradini alla volta, troppo impaziente per aspettare
l’ascensore.
Non
ebbi
bisogno di bussare: Nina l’aveva lasciato la porta socchiusa.
Entrai,
chiudendo
il mondo fuori. Un giro di chiave mi avrebbe relegato dentro
un’isola in cui gli
unici naufraghi saremmo stati io e Nina.
Mi
guardai intorno:
una luce ovattata proveniva dalla sua camera. Lanciai il giubbotto sul
divano
senza riflettere e mi lasciai guidare da quel fuoco, come una falena
anela al
calore della candela, incurante del fatto che le brucerà le
ali.
Nina
era
sepolta sotto le coperte, il volto appena visibile sul cuscino.
Mi
accucciai
davanti ai suoi occhi chiusi e le sfiorai la fronte. Era più
fresca,
leggermente sudata.
-Come
stai? –
le chiesi.
-Dove
hai
lasciato le chiavi? Stavo sonnecchiando e mi hai svegliata - mi
rimproverò.
-Se
vuoi me ne
vado.-
-Ormai
sei qui
… -
-Hai
preso
qualcosa? –
-Del
paracetamolo per la febbre. Mi sento sfiancata … -
-Vuoi
del
succo d’arancia dolce? Del tè freddo? –
Mi
alzai per
dirigermi in cucina ma Nina mi fermò.
-Voglio
solo
che ti sdrai un po’ con me: sono a letto, non posso svenire
se sono sdraiata. -
Si
spostò un
po’ di più in quella che era solita essere la sua
parte del letto.
Lei
aveva
sempre dormito alla mia sinistra, voltandomi le spalle
affinché potessi abbracciarla
e tenerla incollata a me tutta la notte.
Girai
attorno
al letto e, senza nemmeno togliermi le scarpe, mi sdraiai sopra le
lenzuola, in
modo da avere una barriera che mi tenesse separato dal suo corpo.
Feci
passare
il braccio tra il cuscino e il suo collo e la strinsi al mio petto,
coperte
comprese.
Chiusi
gli
occhi mentre lei si accoccolava contro il mio corpo, le labbra
appoggiate al
mio avambraccio.
Il
silenzio
riempì la stanza, amplificando il suono del suo respiro
affannoso.
Ogni
tensione
si sciolse e la quiete ci avvolse.
Le
spostai i
capelli dal collo e cominciai a sfiorarla col dorso delle dita per
farla
rilassare.
La
rabbia e la
frustrazione di poco prima lasciarono il posto ad un senso di pace,
alla
consapevolezza di essere al posto giusto, esattamente dove volevo
essere.
L’ultima
volta
che l’avevo tenuta tanto vicina, seminuda e morbida, era
stato durante le
riprese della puntata che aveva visto Damon ed Elena riavvicinarsi
… fare
l’amore per l’ennesima prima volta.
Eravamo
nell’enorme letto di Damon, nudi dalla vita in su. La scena
prevedeva che lei mi
guardasse dormire, appagata da quell’amore che riaffiorava
sulla pelle ancora
calda dopo una notte di passione, da
quello
stesso sentimento rilegato nell’oblio di un’amnesia
crudele.
Nina
non si
era limitata a guardarmi, non si era fermata alla contemplazione: si
era spinta
oltre e si era avvicinata, portando il mio braccio attorno alle sue
spalle, posando
il suo volto e le sue mani sul mio petto nudo, indifferente allo
sguardo dei
tecnici e del regista i quali continuarono a girare, consapevoli che la
scena
avrebbe acquistato quel tocco di dolce passione tanto amato dai fan
Delena.
Rimanemmo
in
quella posizione qualche secondo, in attesa dello stop di Pascal.
Qualche
secondo di troppo.
Nonostante
il
silenzio tra di noi, nonostante la sua freddezza prima e durante le
riprese,
quella vicinanza inaspettata mi rivelò quanto ancora i
nostri corpi si
cercassero.
Nina
era
apparentemente immobile sotto le lenzuola di scena, ma io percepivo
ogni lieve
fremito della sua pelle, ogni minimo cambiamento nel suo respiro
trattenuto.
La
conoscevo
Conoscevo
il
suo corpo e il suo corpo mi parlava, mi raccontava le sue sensazioni,
le sue
emozioni: un muscolo contratto, un brivido improvviso, le labbra
strette a
trattenere un sospiro, mi rivelavano molto più di mille
parole.
Nella
vita
Nina non era mai uguale, mai la stessa: imprevedibile e volubile, mi
lasciava
sempre senza fiato.
Ma,
tra le mi
braccia, non aveva segreti, non poteva nascondermi nulla: avevo
imparato a
leggere ogni reazione, ogni minimo cambio di battito, il tono del
respiro,
l’intensità del suo piacere.
Nel
tempo
della nostra storia, nelle notti che avevamo condiviso, tutti quei
segnali non
riuscivano mai ad arrivare al mio cervello. Il mio corpo giocava
d’anticipo,
fornendo tutte le risposte alle sue tacite ma eloquenti richieste: una
carezza
… un bacio … tutta la mia bruciante passione.
Avvolto
dalla
seta rossa, sentivo il suo desiderio, la sua lotta per nasconderlo; mi
sforzai
affinché non mi contagiasse, non invadesse i miei lombi e mi
facesse alzare da
quel letto con un evidente … imbarazzo.
Qualcosa
comunque si smosse dentro di me e quella porta, chiusa su un sentimento
sepolto
ancora vivo, si aprì in uno spiraglio di disperata speranza.
Provava
ancora
qualcosa per me?
Forse
lei no,
ma il suo corpo sì.
Sentendo
il
calore del suo volto contro il mio petto, il tocco della sua mano, le
sue gambe
stringersi per controllare il crescente languore, capii che nulla era
cambiato:
vicini innescavamo una reazione chimica incontrollabile, che accendeva
Nina e
spegneva ogni mia razionalità.
E
anche in
quel letto, come sempre accadeva, mi persi in lei.
Come
quando
era ancora mia.
Ogni
volta che
la guardavo mi smarrivo nei suoi occhi, rimanendo stupito di quanto
amore
potessi provare.
Era
l’unica ad
essere riuscita spostare il mio epicentro da me a lei, a togliermi dal
centro
dell’universo per porvisi come regina incontrastata della mia
esistenza, la
sola che era riuscita ad annullare le mie brame per diventare il mio
unico
desiderio.
Fu
solo il
vociare della troupe, le luci di scena, il tossicchiare divertito di
Paul a
fermarmi dal possederla lì, tra quelle lenzuola rosse come
la mia passione,
stropicciate come la mia anima.
Contro
ogni
previsione, stavo ancora condividendo un letto con lei.
Cullavo
il suo
sonno agitato dalla febbre e da chissà quali sogni, mentre
mi crogiolavo nella
vischiosità di quel momento.
Sentivo
riaffiorare i miei sentimenti, me li sentivo incollati sulla pelle, mi
ci
rotolavo, incapace di scrollarmi di dosso quella sensazione
appiccicosa: più
tentavo di spazzarla via, più si spalmava sulla mia pelle
come miele.
Nina
si voltò
per cambiare posizione e la sua bocca si trovò a pochi
centimetri dalla mia,
gli occhi semiaperti, lucidi di febbre e di passione.
Inevitabilmente
posai le mie labbra sulle sue, socchiuse, pronte ad accogliermi.
L’effetto
fu
sconvolgente.
Baciarla
era
come essere sommersi da ondate di calore che mi scioglievano il sangue
e
incenerivano le mie barriere.
Cercai
di
mantenere il controllo, ma separare le mie labbra dalle sue era
difficile.
Mi
concessi
qualche secondo.
Infilai
le dita
tra i suoi capelli e la avvicinai ancora di più a me. Nina
si aggrappò alle mie
spalle per trattenermi, per farsi più vicina. Le onde si
fecero più impetuose e
mi travolsero. Feci scivolare una mano lungo la sua schiena: era
così fragile
sotto le mie dita.
La
strinsi al
petto e la sentii rabbrividire.
Era
come
naufragare ed io avrei voluto abbandonarmi alla marea.
Volevo
sentire
la sua pelle contro la mia, il suo corpo aderire al mio.
Com'era
possibile “sentire” così intensamente?
La
punta della
sua lingua tracciò il contorno delle mie labbra.
…
e il naufragar m'è dolce in questo mare …
Dovevo
fermarmi o non ne avrei più avuto la forza: non potevo
naufragare. Questa volta
sarei affogato.
Allontanai
il
suo viso e sciolsi l’abbraccio.
La
guardai
severo.
I
suoi occhi
riflettevano il mio stesso desiderio, la mia stessa frustrazione.
-
Nina
… -
sospirai, arrendendomi a lei.
Sarei
dovuto
essere dispiaciuto del suo incosciente trasporto, invece non mi
dispiaceva.
Anzi, me ne compiacevo e non andava bene.
I
pensieri si
confondevano con la passione che fluttuava nell’aria,
incontrastata padrona
della mia volontà.
Le
coperte tra
di noi non erano una barriera sufficiente ad ostacolare le vibrazioni
che i
nostri corpi si comunicavano, chiamandosi disperati.
Inutile
negarlo: separati eravamo incompleti, malati terminali staccati dalla
macchina
che ci teneva in vita.
Eppure
dovevamo sopravvivere come gemelli siamesi separati.
Uniti
ci
alienavamo, incapaci di rinunciare a ciò che volevamo per
ciò che provavamo. Ci
avevamo provato. Avevamo fallito.
Tempi
sbagliati, età sbagliate, momento sbagliato …
tutto, tranne il nostro amore,
era sbagliato. Anche adesso che tutti gli elementi avrebbero potuto
trovare il
proprio posto, era proprio il nostro amore a non trovare una
collocazione, come
acqua in un vaso ormai rotto.
-Perché
è così
difficile? Amarsi non dovrebbe essere difficile –
sussurrò sul mio collo, dove
aveva nascosto il suo viso.
-Amarsi
non è
difficile. Lo è stare insieme, conciliare
l’inconciliabile, rinunciare,
scegliere. –
-A
volte mi
domando se il nostro è amore o pura passione, se siamo come
Damon ed Elena o
come Damon e Katherine.-
-Noi
siamo
Nina e Ian: unici e inconciliabili.-
-Non
mi hai
risposto: amore o passione? –
Per
quanto la
passione, la carnalità del nostro rapporto fosse intensa e
devastante, io
sapevo che lei era un marchio sul mio cuore, una parte della mia anima
e, sesso
o no, era parte di me, lo sarebbe stata per sempre, uniti o divisi che
fossimo.
Noi
eravamo
amore e passione, un connubio perfetto, un perfetto equilibrio tra
pelle e
sentimento, sangue e cuore. L’unica esclusa era la ragione.
Con Nina non
riuscivo a ragionare, non ero in grado di intendere e volere. Mi
annullavo in
lei, perché lei mi dava una vita nuova … o me la
toglieva. Aveva un potere
immenso sulle mie emozioni e, il giorno che mi aveva lasciato
definitivamente,
avevo capito quanto di me si era perso in lei, quanta parte della mia
esistenza
dipendeva da lei, come la vita dall’acqua.
Nina
era
pericolosa, lo era per me, per il mio equilibrio, per la mia vita, per
come
l’avevo sognata.
Ecco
perché
dovevo mantenere il controllo, staccarmi da lei, aggrapparmi alla
realtà, a
Nikki, al futuro.
Una
voce, la mia
voce, mi riscosse da queste inutili riflessioni.
Sentii
l’aria
trapassare le corde vocali, emettere un suono che divenne parola.
-Ti
amo, Nina
… lo sai che ti amo. -
Lo
stavo
dicendo davvero. Le parole mi erano uscite dalla bocca senza passare
dal
cervello, sorgere direttamente dal cuore dove le avevo sepolte.
La
verità mi
era esplosa in faccia come una granata tenuta tra le mani talmente a
lungo che
la presa sulla sicura si era allentata, provocando la deflagrazione.
La
verità,
però, non sarebbe servita rimetterci insieme e quella
granata disintegrata in
mille schegge non era che il mio cure, stretto in un pugno come nella
copertina
di “America idiot” dei Green Day.
Un
idiota … la
definizione mi calzava a pennello.
E
il suo
silenzio me lo stava confermando.
Aveva
fatto
una domanda, aveva preteso una risposta, ma non aveva concesso nulla in
cambio.
Mi
scostai da
lei e la fissai in cerca di un segno sul suo viso, di un accenno
d’amore nei
suoi occhi.
-Era
questo
che volevi sentirti dire? – esclamai esasperato, alzandomi
dal letto. – Volevi
farmi ammettere la mia debolezza per sentirti potente. Non cambia
nulla, Nina.
Io sposerò Nikki. Io la sposerò, farò
dei figli con lei, realizzerò i miei sogni
con lei. Con lei, non con te. -
I
pezzi del
mio cuore scricchiolarono sotto i miei piedi.
Nina
si mise a
sedere, appoggiandola schiena ai cuscini e accartocciando le lenzuola
contro il
petto.
Mi
fissava. In
silenzio. Intensa.
Io chiusi gli occhi.
“Just gonna stand
there and watch me burn
But that's alright, because I like the way it hurts
Just gonna stand there and hear me cry
But that's alright, because I love the way you lie”
Era esattamente
così che mi sentivo.
Era esattamente così che
non avrei voluto sentirmi mai più.
Lei mi scrutava, mi scavava dentro e,
come un chirurgo, sezionava
col bisturi del suo sguardo ogni brandello di orgoglio.
Stavo male ed ero felice di star
male perché era lei a farmi star male.
Sentivo il suo potere, la sua
forza che mi legava, la sua fragilità che mi calamitava al
suo fianco.
E poi c’era il suo odore, le
sue
mani, il suo respiro … ed io non potevo far altro che essere
lì, restare lì.
-Ti ho appena detto che ti amo
…
- rantolai.
Aprii gli occhi. I suoi erano bassi,
sulle sue dita nervose.
Da regina a bambina in un batter di
ciglia.
-Ian
… io vorrei tanto sentirmi libera.
Libera
di amarti, libera dal tuo amore. Libera di vivere la mia vita, ma di
ritrovarti
lì, dove ti vorrei.
Vorrei
essere con te, senza parole, senza promesse, senza bugie, senza
verità. Non
m’importa di un amore che chiede pegni in cambio.
Vorrei
poterti amare liberamente, vorrei che mi amassi senza aspettative.
Non
sono frivola, e tu lo sai, ma in questo momento, in questa fase della
mia vita
non voglio legarmi, avere obblighi, farmi carico dei tuoi sogni o
abbandonare i
miei.
Non
voglio essere il tuo piedistallo, la luce che ti illumina alla ribalta.
Non
so cosa sono disposta a darti. Non ancora.
E
non voglio sentirmi in colpa per questo.
Non
voglio sentirmi intrappolata in un gioco di dare e avere solo
perché ti amo,
perché mi ami, e quindi non posso chiederti di aspettarmi,
non più.
Io
andrò avanti. Sarò felice. So che sarò
felice anche senza di te, nonostante te.
Quindi,
va bene.
Sposala.
Riproduciti.
Amala
e fatti esaltare.
Ma
non questa notte. Questa notte sei qui con me, libero di essere libero.
Domani
sarete tu e lei.
Qui,
questa notte, saremo tu ed io.
E
potremo fare sesso o no, stare abbracciati o separati, nello stesso
letto o ai
poli opposti della stanza, ma saremo tu ed io, senza ieri e senza
domani. –
Da bambina a donna in una frazione di
respiro.
Destabilizzante.
Con Nikki c’era protezione,
affetto, discrezione. Lei si
muoveva in punta di piedi nel mio spazio, lo illuminava, spargeva
petali ai
miei piedi. C’era rispetto, c’era venerazione,
bisogno.
Nikki non si avventurava nelle mie
zone buie, non cercava di
strabiliarmi o di cambiarmi. Lei c’era, mi amava, mi
sosteneva. E questo le bastava.
Mi bastava.
Nina no.
Nina scavava e lasciava crateri. Non
aveva nessun imbarazzo
nel guardarmi dentro, denudandomi, permettendomi di essere il meglio e
il
peggio, il buio e la luce, quello forte e quello debole. Tutto in uno.
Un essere libero, intero, completo tra
le sue braccia e
sotto le lenzuola.
Quell’intero,
però, si sgretolava alla luce del sole
artificiale di riflettori che s’infiltravano nel nostro mondo
imperfettamente
perfetto, della realtà che spaccava i sogni e li divideva
... i suoi … i miei,
non più nostri, non più uniti.
Tutto era perfetto tra le quattro mura
di una camera.
Tutto era fattibile nello spazio di
una notte.
Tutto si sarebbe disfatto
all’alba, oltre la soglia, fuori
da lei.
Rischiare tutto per una manciata ore?
Rischiare l’anima per un
ultimo ricordo?
Lo ammetto: avevo paura.
Ma la vertigine mi richiamava nel
baratro invece di farmi
fuggire.
La guardai e la mia volontà
si spense.
La guardai e mi sentii un drogato che
cede.
Un’ultima dose.
Un’ultima sigaretta.
Un ultimo bicchiere.
L’ultima notte.
(Continua? Forse … non so
ancora. Vedremo.)
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Capitolo 5 *** Sii felice ... ***
CAPITOLO 5
Sii
felice …
Non
avrei mai saputo se quella
notte non feci l’amore con Nina per non soffrire a causa
dell’ennesimo distacco
… o perché non avevo voluto approfittare di un
suo momento di debolezza causato
dalla febbre, dalla rabbia e dalla Tachipirina.
Dopo
la nostra discussione la
strinsi tra le braccia e mi lasciai travolgere dalla sua dolcezza.
Le
nostre labbra si cercarono
trovandosi mille volte, le mani vagarono sulla pelle fino ad
incontrarsi per
intrecciarsi.
Avevo
spostato le coperte, le
avevo alzato la maglia e mi ero immerso nella morbidezza del suo seno
per
ascoltare più da vicino il sussultare del suo respiro, i
suoni della sua
passione.
Nina
non si ribellò alle mie
carezze: si allungò sotto di me e si abbandonò a
al piacere che le mie dita
sapevano regalarle.
Infilai
le mie braccia sotto la
sua schiena e mi aggrappai a lei, unico appiglio per non cadere in un
baratro
senza fine. Lei era roccia che mi graffiava le mani, era la salvezza e
la
caduta stessa. Nel ritmo dei nostri battiti impazziti potevo sentire le
urla di
ogni paura, di ogni desiderio inespresso e irrealizzabile.
Mi
stavo perdendo.
Ancora.
Alzai
lo sguardo.
Sentendo
la carezza dei miei
occhi, Nina aprì i suoi e mi fissò con
l’intensità della prima volta. Esiste un
preciso istante in cui fra due persone si accendono sentimenti senza
che
abbiano fatto nulla perché ciò accadesse.
Eppure,
in una specie di magia -
incantesimo o una maledizione - i fili che guidano due destini si
annodano, s’intrecciano,
legando due vite in modo indissolubile.
Nina
non avrebbe voluto cedere ai
miei primi approcci, non avrebbe voluto abbandonarsi alle innegabili
sensazioni
che s’innescavano appena ci sfioravamo.
Ma,
per quanto combattessimo, per
quanto avevamo tentato di resistere, ci eravamo avvicinati,
avvinghiati, fusi …
fino a mescolarci il sangue e i pensieri.
Quale
scherzo di un destino sadico,
farmi incontrare l’amore che avevo sempre desiderato, la
storia che avrei
voluto scrivere, per poi renderla invivibile?
Eppure
miei occhi continuavano a
scavare nei suoi in cerca di una speranza, di una
possibilità che non finisse
tutto in cenere. Nel lago scuro delle sue pupille dilatate trovai
tutto: tutto
l’amore, tutto l’ardore, tutto il dolore.
Incapace
di sostenere quella
valanga di emozioni, mi abbandonai di nuovo sul suo petto, rassegnato e
disperato.
Lei
intrecciò le mani nei miei
capelli, consapevole del dilemma che mi dilaniava, e
cominciò ad accarezzarmi
lieve. Il suo respiro si calmò, rallentò
… fino a diventare profondo e
tranquillo: si era addormentata, sotto e dentro di me.
Rimasi
in uno stato di
dormiveglia per qualche sprazzo d’ora. L’irreale si
mescolava alla realtà in un
acquarello che colava colore su una tela grigia. Gocce di rosso
scivolavano
sull’azzurro di un cielo senza confine e macchie di nero
celavano parte
dell’immagine sfuocata, un’immagine che non
riuscivo a mettere a fuoco.
Una
moto che sfrecciava nella
notte mi fece svegliare di colpo, con la sensazione che fosse
già il domani che
non avrei voluto
arrivasse mai.
Controllai
l’ora sul display del
mio smartphone e scoprii che era da poco passata mezzanotte.
Lo
schermo era pieno di messaggi
di Nikki, parole che non avevo alcuna intenzione di leggere, non in
quel
momento, perlomeno.
Il
sonno di Nina era ancora profondo,
per nulla infastidito dai miei movimenti sopra di lei. Le mani, sciolte
dalla
presa sui miei capelli, si erano posate sopra la sua testa, rendendola
ancora
più seducente.
Mi
mossi lentamente e a fatica mi
scostai, posando un bacio lieve in mezzo al petto ancora scoperto.
Lasciai
scorrere il dorso della
mano sulle sue curve morbide prima di alzarmi per andare in cucina a
prendere
qualcosa da bere. Cercai qualcosa di forte, ma cambiai idea. Aprii il
frigorifero e presi dell’acqua.
Non
volevo sprecare quegli
istanti con un’ubriacatura che mi avrebbe lasciato solo vaghe
immagini della
nostra ultima notte insieme e io ne volevo ricordare ogni istante, ogni
respiro, ogni secondo.
Mi
ero nascosto in
quell’appartamento come un ladro, mi ero celato dietro la
scusa di un’influenza
per rubare del tempo con Nina, per percorrere la sua pelle con gli
occhi
appannati dalla pasione e il calore del mio respiro, consapevole che
non avrei
mai più potuto rifarlo.
Tornai
in camera e mi fermai ai
piedi del letto, estasiandomi alla visione del suo corpo scomposto: la
maglietta sollevata, le lenzuola scostate e il suo viso appena
arrossato dalla
febbre e dall’attacco delle mie guance ispide di barba.
Rimasi
immobile fino a quando le
gambe reclamarono una pausa, poi mi sdraiai di nuovo accanto a lei,
lasciandola
scoperta per ammirarla, ancora e ancora.
Mi
bastava.
Mi
saziava più del sesso, più dei
baci, più di tutto.
Combattei
una facile battaglia
contro il sonno e assaporai ogni istante.
Tentai
di imprimermi nella
memoria ogni espressione buffa e intensa del suo volto, ogni diversa
sfumatura
del suo profumo, ogni curva del suo corpo morbido e caldo.
Mi
rimaneva poco più di un anno e
poi l’avrei persa, forse per sempre, ne ero consapevole, come
ero consapevole
non sarei mai potuto appartenere a nessun’altra come ero
appartenuto a lei.
In
quel momento perfetto non
volevo guardare oltre il successivo ticchettio dell’orologio,
non volevo
pensare al domani. Sarei potuto morire lì, tra le sue
braccia, soddisfatto e
appagato per l’immenso dono che la vita mi aveva fatto, nella
convinzione che
non sarei mai stato mai più tanto felice e tanto disperato.
La
stanchezza mi vinse mentre
fuori albeggiava.
Mi
svegliai dolorante per la sua
assenza.
Il
rumore della doccia echeggiò
nei miei lombi acuendo un’eccitazione che non si era mai
attenuata, rendendo
più evidente il mio desiderio.
Mi
ancorai al letto per non
seguirla sotto l’acqua che sapevo essere fin troppo calda.
Il
letto aveva l’odore della sua
mancanza e il vuoto che sentivo allo stomaco non era fame.
Mi
alzai a fatica sentendo il
bruciore di quegli ultimi minuti che gocciolavano nella mia testa.
Mi
accostai alla porta del bagno.
-Nina
…? Tutto bene …? –
-Ian,
visto che sei sveglio,
prepareresti il caffè? Ne ho un bisogno disperato.
–
-Ti
senti meglio? –
-Caffè
…! –
Girai
per la stanza e raccolsi
gli ultimi stracci di una storia che non sarebbe finita mai.
Il
telefono vibrava sul comodino
dove l’avevo lasciato la sera prima, ma non mi preoccupai di
vedere chi mi
stesse chiamando: non mi importava.
Entrai
in cucina e preparai il
caffè con la moka italiana, esattamente come piaceva a Nina:
non troppo lungo,
non troppo forte, senza zucchero, con una goccia di latte.
Cercai
tra gli scaffali della
dispensa quelle schifosissime merendine che le piacevano tanto e gliene
scartai
una. Posai tutto su un vassoio e mi diressi verso il bagno.
Ovviamente
la porta non era
chiusa a chiave, Nina non lo faceva mai: non era pudica e non le
importava che
io entrassi in bagno mentre c’era lei, qualsiasi cosa stesse
facendo.
La
trovai seduta sul bordo della
vasca, avvolta nell’accappatoio e con un asciugamano attorno
ai capelli,
sfuocata in una nuvola di vapore.
Sollevò
lo sguardo per guardare
avidamente la tazza di caffè che le stavo porgendo.
-Quanto
ti manca per le finire le
riprese? – mi chiese a bruciapelo, come se fosse una normale
mattina della
nostra vita insieme, come se il fatto che avessi dormito con lei,
nonostante ci
fossimo lasciati, nonostante io stessi per sposare un’altra,
fosse un fatto
ovvio.
-Credo
di riuscire a finire oggi
e poi passerò a visionare il materiale per il montaggio.
Perché? Se vuoi una
giornata di riposo, prendila pure. Con te ho finito … -
-Lo
so, Ian … con me hai finito …
ed è per questo che ho deciso. –
-Nina
… - la Terra smise di
girare.
-Ho
appena chiamato Julie. Ho una
riunione con lei questo pomeriggio. –
-Nina
… - mi mancava l’aria.
-Non
rinnovo, Ian. –
-Nina
… - mi mancava il respiro.
-
Non è per causa tua …
Come
ti dicevo ieri, ho bisogno
di vivere la mia vita: non voglio aspettare un altro anno galleggiando in un limbo sbiadito e
vincolante.
Julie
aveva bisogno di sapere la
mia decisione al più presto, prima di cominciare a girare le
prossime puntate,
per decidere un finale: non potevo tergiversare oltre.
Non
potevo procrastinare ancora,
tentennare.
Noi
saremo sempre noi Ian, ma non
possiamo rimanere bloccati nell’impossibile.
E’
ora che tagli quel cordone
ombelicale che mi tiene legata a te, al mio personaggio, al mondo di un
telefilm che mi ha dato tanto e che mi ha preparata per questo
passaggio.
Ora
sono pronta. Pronta per nuove
esperienze, pronta per nuove sfide.
Voglio
cambiare forma, plasmarmi
su altri personaggi, cedere a nuove pulsioni, rinunciare al consenso
degli
altri per ascoltare solo il mio istinto.
Mi
hai fatto nascere, Ian … ora
lasciami crescere.
Siamo
stati fortunati a vivere
una storia che molti faticano solo ad immaginare, siamo stati fortunati
ad
appartenerci.
Non
è finita, non lo sarà mai, ma
non possiamo trascinare oltre ciò che si è
fermato tempo fa davanti ad un
bivio.
Io
non posso continuare a
guardare quelle due strade di fronte a me e aspettare un segno.
Il
momento è arrivato.
Tu
hai imboccato la strada che
hai sempre desiderato percorrere.
Io
m’incamminerò sull’altro
sentiero, verso l’ignoto, verso una vita tutta da scoprire.
Ti
ho avuto … e so non ti perderò
mai.
Ti
ho avuto ... e per questo
potrò vivere altri amori senza rimpianti o nostalgie.
Ti
ho avuto … e ora ti lascio
andare.
Mi
permetto di andare avanti, mi
concedo di vivere.
Sii
felice, Ian, perché io lo
sarò. -
Barcollai
e mi appoggiai al
lavandino alle mie spalle per non cadere.
Non
mi sarebbe bastato un anno,
figuriamoci poche settimane.
Non
mi sarebbe bastata un’altra
stagione, figuriamoci poche puntate.
Non
avrei mai saputo perché
quella notte non feci l’amore con Nina …
…
ma so benissimo perché, dopo
quella pugnalata, quelle parole corrosive, quella notizia sconvolgente,
presi
Nina e la scaraventai sul pavimento del bagno per prenderla e farla
mia, più e
più volte, con malinconica passione, con orgasmi che
dolevano, piantando i
denti nella sua pelle e le unghie dentro il suo essere.
Avrei
voluto fagocitarla.
Avrei
voluto fondermi con lei,
morire su quel pavimento umido di vapore e lacrime.
Lei
si lasciò prendere, mi lasciò
fare come mai prima.
Fu
mia cento volte, e non fu
abbastanza.
È
stata mia mille volte e non
sarà mai sufficiente.
Svuotato
nel corpo e nell’anima,
mi accasciai su di lei e sussurrai il suo nome fino ad arrochire la
voce, fino
a sentirmi svanire.
Non
ricordo come mi ritrovai
sulla mia auto, a picchiare la testa contro il volante, con il respiro
spezzato
dai miei inutili “Perché?”.
Poi
il telefono vibrò per
l’ennesima volta.
Nikki.
“Sii felice, perché io lo
sarò”
Ti amo Nina … sempre e per sempre
… ma ho bisogno di essere felice
anch’io.
Attivai
la comunicazione e la
voce di Nikki riempì l’abitacolo.
-Ian
… -
-Non
parlare … non fare domande,
per favore. Aprile … finirò le riprese
… ci sposiamo ad aprile. Ci sposiamo
Nikki. –
“Sii felice, Nina, perché io
lo sarò.”
The end
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