Maledetto gossip

di MAMMAESME
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lei non piange ***
Capitolo 2: *** Non qui, non ora ***
Capitolo 3: *** Ciak, si gira ***
Capitolo 4: *** L'ultima notte ***
Capitolo 5: *** Sii felice ... ***



Capitolo 1
*** Lei non piange ***


Ero seduto sulla mia sedia da regista e stavo discutendo una scena con Kat  quando vidi Nina arrivare, puntuale come sempre

Non avrebbe dovuto girare quel giorno, ma a lei piaceva stare sul set, guardare girare tutte le scene e godere della compagnia dei suoi amici.

 Vedendola capii subito che qualcosa non andava.

Con la testa bassa si diresse direttamente al suo camerino: i capelli le scivolavano lungo le guance, nascondendole il volto. Non un cenno di saluto, non un sorriso alla crew.

Strano: di solito quando arrivava salutava tutti, con la sua energia e il suo buon umore.

Anche Kat la seguì con gli occhi, notando quel comportamento insolito; le rivolsi uno sguardo indagatore al quale rispose con un’alzata di spalle e un sorriso strano.

Eravamo appena rientrati dalle vacanze di Natale, Nina era tornata dalla Nuova Zelanda ed era felice, o almeno lo era fino a ieri, quando tutti insieme avevamo letto il copione e avevamo discusso il calendario delle scene da girare.

Era allegra.

Era.

Non riuscivo ad immaginare cosa potesse averla scossa, come mai il suo sorriso non era arrivato ad illuminarmi la giornata.

Un senso di vuoto mi attanagliò lo stomaco.

-Kat …  che cosa le prende? – chiesi, questa volta ad alta voce.

-Non saprei Ian … tu cosa ne pensi? –

Colsi chiaramente l’ironia nella sua risposta.

Non riuscii a formulare una risposta: la voce di Michael mi giunse inaspettata alle spalle.

-Allora, buddy, devo farti le congratulazioni o le condoglianze? – sbraitò.

Mi arrivò una delle sue pacca sulla schiena e con il braccio mi agganciò il collo, facendomi piegare sotto la sua spinta.

-Fidanzato? Wow! – continuò. – Era ora, fratello … il mio piccolo ha bisogno di un cuginetto con cui giocare:  tu e Nikki vedete di non aspettare troppo. –

Mi liberai dalla sua presa e lo guardai crucciato.

Fu come se un fulmine mi avesse colpito in pieno petto.

L’annuncio del mio matrimonio era stato pubblicato la sera precedente. Era ancora solo un’idea, qualcosa che io e Nikki stavamo ipotizzando e, chissà come, era giunta a orecchie indiscrete.

Avevo intenzione di parlarne con Nina e con gli amici prima di rendere ufficiale il fidanzamento, ma non ero riuscito a bloccare la notizia.

Maledetto gossip.

Kat mi guardò, sconcertata dalla mia sorpresa.

-Come pensavi l’avrebbe presa? – la domanda era retorica.

Raccolsi un po’ di orgoglio prima di risponderle, prima di correre da Nina per vedere come stesse.

-Non dovrebbe prenderla in nessun modo particolare: non stiamo insieme e lei non ha intenzione di sposarsi … di sposarmi. Quindi … -

-Povero illuso, - proseguì. –Non starete più insieme, ma a lei importa eccome … e importa anche a te. Come reagiresti se lei annunciasse le sue nozze tramite un sito di gossip? –

Semplicemente spaccherei tutto, frantumerei ogni cosa, sarei furioso … ma non lo ammisi né con Kat né con me stesso.

-Le farei le congratulazioni. – dissi invece.

-Sì, come se non ti conoscessi. Come se non vedessi il modo in cui la guardi. – mi rimproverò.

Michael assisteva alla scena con un sorrisetto divertito.

-Cazzo, peccato essere arrivato troppo tardi: mi devo essere perso una gran bella storia … i Nian … Kat, mi devi raccontare ogni particolare. –

-Fottiti, “Enzo” … sei stronzo come il tuo personaggio. Non c’e nulla da raccontare, non c’e nulla da rivivere. È finita. Siamo solo buoni amici. Mi dispiace che la notizia le dia fastidio ma io devo andare avanti con la mia vita e se questo prevede un matrimonio, lei lo deve accettare e capire. Fine. Punto. –

-Se ci credi tu … - insinuò la “strega” che avevo di fronte. – Beh, io farei una pausa. Michael, se mi offri un caffè, ti racconto come … -

-Kat … - le urlai, ma lei mi voltò le spalle e prese sottobraccio quel mostro di Malarkey.

I tecnici che avevano assistito alla scena si fingevano affaccendati: chi controllava la camera, chi riguardava la storyboard … qualsiasi scusa pur di non guardare me.

-Ok – annunciai. – Mezz’ora di pausa e poi si ricomincia. –

Andai verso il bancone del rinfresco e preparai una tazza di caffè con un goccio di latte e una punta di zucchero, come piace a Nina, poi m’incamminai verso il suo camerino.

Davanti alla sua porta mi fermai un momento per prendere respiro.

Speravo fosse sola. Volevo parlarle, chiarire, spiegare … vederla.

Origliai per sentire se dall’interno provenissero delle voci, ma colsi solo le note di una canzone che suonava a basso volume. Non una canzone qualsiasi: “quella" canzone.

Non bussai. Afferrai la maniglia, l’abbassai e lentamente aprii la porta.

-Nina? Ci sei? –

Entrai senza aspettare una risposta.

Nina era seduta davanti allo specchio del trucco; guardò la mia immagine riflessa senza voltarsi, con uno sguardo di rimprovero.

Chiusi la porta e d’istinto girai la chiave nella serratura. Non volevo sorprese inopportune: avevo bisogno di rimanere solo con lei.

Mi avvicinai e appoggiai il caffè sul ripiano pieno di trucchi e pennelli, guardando il volto di quella splendida donna attraverso specchio.

Gli occhi rossi e le labbra gonfie mi svelarono più di ogni parola, di ogni confessione.

Aveva pianto.

La cosa mi sconvolse più di quanto mi aspettassi: Nina non piange spesso e se lo fa è perché sta soffrendo più di quanto non possa sopportare.

No, lei non piange. E non per orgoglio, non per vergogna.

Non ho tempo da sprecare in lacrime inutili: il dolore passerà comunque ed io non avrò sprecato ore preziose a piangermi addosso”, era la sua filosofia, il suo mantra quando qualcuno o qualcosa la feriva.

Nina non piangeva. Davanti ad un’offesa alzava il mento e sfidava il nemico con un sorriso, il destino con un passo di danza.

Il dolore doveva sfiancarla per farla cedere: doveva colpirla dritta al cuore o al centro dell’anima.

Nina aveva pianto quella notte, quella mattina, forse solo qualche minuto fa … per colpa mia.

Feci girare la sedia in modo da porla di fronte a me e, mettendo un dito sotto al suo mento, la costrinsi a guardarmi in faccia.

-Nina … - il suo nome mi uscì dalla gola insieme ad un sospiro di angoscia.

Lei non emise un suono. I suoi occhi, pur seganti dal pianto, erano duri dentro i miei, le labbra serrate in una linea rigida e sottile.

-Ascolta: non dovevi venire a saperlo così … avrei voluto parlartene. È solo un progetto … -

Lei mi zittì mettendomi la mano sulla bocca e scuotendo la testa.

Non voleva ascoltarmi. Non voleva parole.

Le parole non le erano bastate mai.

Quegli occhi rossi, quelle lacrime trattenute mi ricordarono altre lacrime,  gli stessi occhi disperati che mi guardavano con angoscia, in un altro frangente, in un’altra vita.

Mi tornò alla mente la sera in cui mi presentai in albergo con un anello, la sera che le chiesi di essere mia per sempre.

Era come se avessi bisogno di riaccendere quel dolore, di scucire una ferita non rimarginata, precipitare ancora e più a fondo in quella sofferenza, in quella miriade di domande che avevano una sola, inequivocabile risposta: non mi amava abbastanza. Non abbastanza da rinunciare alla sua spensieratezza, alla sua voglia di gioventù, alla sua libertà … ed io l’amai talmente tanto che la lasciai andare, libera, giovane e stupenda.

 

 

Era quasi mezzanotte quando uscimmo dal ristorante.

Rientrati in camera Elena si era tolta quell’ingombrante vestito bianco e nero che indossava per il party di Elton John e si era fatta la doccia, mentre io telefonavo al servizio in camera per farmi portare altro champagne.

Ne avevamo bevuto parecchio durante la cena. Lei sentiva freddo con quel vestito scollato sulle spalle e la mia giacca non le era bastata per riscaldarsi.

Si era accucciata sulla sedia, le mie braccia attorno alle sue spalle per evitare che i brividi la scuotessero. Il vino accese la sua allegra: le guance arrossate e gli occhi luccicanti la rendevano maliziosa ed irresistibile.

Per questo motivo lasciammo la serata prima degli altri.

Per questo e perché le avevo preparato una sorpresa.

Non volevo chiederle di sposarmi in un ristorante, in mezzo alla gente che ci avrebbe guardati e fotografati.

La nostra vita, la nostra storia, era già fin troppo sotto i riflettori.

Volevo che ci fossimo solo noi due, una rosa, un anello e due flute di bollicine.

Volevo che fosse libera di esprimere i suoi sentimenti.

La volevo solo per me.

Uscì dal bagno solo con un asciugamano bianco avvolto attorno al seno, che la copriva appena. I capelli umidi sconvolti e il viso pulito.

Sexy da togliere il fiato. Bella da cancellare i pensieri.

Io mi ero slacciato il papillon, lasciandolo penzolare ai lati del colletto della camicia appena sbottonato.

Avevo messo una rosa rossa al centro delle lenzuola bianche e tenevo tra le mani i bicchieri riempiti a metà, l’anello nascosto sotto il mio cuscino.

Nina mi guardò e il suo sguardo era così acceso, vitale, eccitato che quasi dimenticai cosa stavo per dirle.

Le porsi il vino mentre si accoccolava sul cuscino: l’asciugamano si aprì quel tanto che bastò ad appannarmi la vista.

-Altro champagne? - mi sorrise alzando il bicchiere. –Cosa festeggiamo?-

-Noi insieme adesso … domani … per sempre. – sussurrai, fissandola negli occhi e svelando la scatolina di velluto amaranto.

Il bicchiere rimase sospeso a mezz’aria.

-Ian … quello che cos’è? – mormorò con la voce spezzata, quasi tossendo, quando le misi tra le mani il mio piccolo tesoro.

-Una promessa. La mia promessa. Aprilo. – la esortai.

Posò il bicchiere ancora pieno sul comodino dietro di lei e guardò il mio dono, titubante.

A mia volta appoggiai il vino per non farle notare il tremore alle mani.

Lo stomaco mi si era chiuso e il respiro aveva perso il suo ritmo regolare.

La guardai spingere il minuscolo tasto che fece scattare il coperchio del portagioie.

I suoi occhi si fissarono sull’anello che conteneva: un piccolo diamante solitario incastonato in una fede d’oro bianco, semplice e prezioso, come lei.

Per un lunghissimo istante non si mosse.

Ruppi il silenzio: le parole uscirono in un soffio, la bocca secca per l’emozione.

-Voi sposarmi, Nina? Vuoi essere mia moglie, la mia amante, la mia migliore amica da adesso fino a quando non smetterai di amarmi? –

La risposta si fece attendere un attimo di troppo.

 

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Capitolo 2
*** Non qui, non ora ***


Capitolo 2

Non qui, non ora.

 

Tornai al presente, ai suoi occhi che mi guardavano freddi come il ghiaccio.

La sua mano era ancora sulle mie labbra per fermare le parole.

Lentamente afferrai il suo polso e mi liberai la bocca, non tanto per poter parlare, quanto per scacciare la tentazione di assaporare la sua pelle.

Posandole la mano in grembo, avvolsi il suo volto tra le mie dita.

-Perché, Nina? – sussurrai a stento, asciugandole le guance con i pollici.

Non potendo abbassare lo sguardo, chiuse gli occhi, deglutendo quello che mi sembrò un groviglio di lacrime e grida.

Strinsi un po’ più forte la mia presa.

-Parlami Nina … - la supplicai.

Avevo pronte mille spiegazioni, recriminazioni; avrei voluto litigare, sbraitare, dirle che non ero più affar suo, ma il suo mutismo rese vano ogni discorso.

Quando Nina si chiudeva in uno dei suoi silenzi, diventava impenetrabile.

D’istinto appoggiai la mia fronte alla sua, quasi a cercare una connessione telepatica, un modo per abbattere quel muro e trovare i suoi pensieri.

-Senti … capisco che, probabilmente, sono l’ultima persona al mondo con cui verresti parlare … e forse hai ragione, forse le parole sono superflue … ma vorrei tanto capire perché: perché hai pianto, perché sei furiosa con me … perché, Nina? –

Odiavo il gioco dei perché, lo detestavo perché con lei ne uscivo sempre perdente: più chiedevo, meno parlava. La mia naturale logorrea diventava un fiume che s’infrangeva contro la diga del suo silenzio.

Come accadde quella mattina … la mattina dopo … il punto di non ritorno.

-o-o-o-o-

Alla vista del mio anello esitò.

L’attimo rimase sospeso, il mio respiro fermo come le sue labbra mute, fino a quando i suoi occhi, lentamente, incontrarono i miei.

Fu questione di un istante.

La scatolina cadde sul letto, accanto alla rosa, mentre lei si buttava tra le mie braccia. Immediatamente mi sentii avvolgere dalla sua pelle fresca, lasciata nuda dall’asciugamano che era volato sul tappeto.

Il suo abbraccio sciolse l’ansia che aveva attanagliato il mio stomaco.

Nelle vene il sangue cominciò a scorrere più veloce, accelerato dal suo impeto: era una sensazione esaltante, travolgente … una folata di vento tropicale, caldo e umido, che penetra nei pori e si infila sotto la pelle, infuocandola.

Lasciai che le sue mani scorressero sui bottoni della mia camicia, slacciandoli uno alla volta, anche se avrei preferito che me la strappasse. Ad ogni asola sconfitta, i suoi polpastrelli accarezzavano centimetri della mia pelle, con una foga che mi lasciò senza fiato.

Quando anche l’ultimo bottone fu liberato, mi fece scivolare la camicia lungo le spalle, lasciandomi le braccia imprigionate nelle maniche. I suoi palmi iniziarono a scorrere sui miei muscoli tesi, mentre con la bocca vorace cercava le mie labbra, la mia pelle.

La sua passione era feroce e la mia si adeguò, crescendo con la sua.

Le sue unghie trovarono la mia schiena, mentre cercavo di liberarmi dagli ultimi vestiti che m’impedivano di essere un tutt’uno con lei; i miei gemiti si unirono ai suoi.

L’urgenza di averla era così potente che la presi e la scaraventai sotto di me senza fare attenzione.

Un lamento di dolore mi fece interrompere il contatto con la sua bocca.

Si morse le labbra per frenare un grido. L’avevo appoggiata sulla rosa, e le spine avevano fatto il loro doloroso lavoro.

La feci voltare e vidi due piccoli graffi sulla sua pelle candida.

Ci scappò una risata.

-Ti fa male? – le chiesi, buttando la rosa sul tappeto.

Lei non rispose, limitandosi a distendere le braccia sotto ai cuscini, mostrandomi così la schiena in tutta la sua bellezza.

Mi abbassai lentamente e passai la lingua sui qui piccoli segni rossi.

-Ian … - sospirò.

-Dimmi di sì … - la implorai mentre le mie labbra saggiavano ogni piccola porzione della sua pelle profumata.

Le mie mani s’infilarono sotto il suo corpo, per stringerla e incollarla al mio petto.

Lei rispose muovendo i fianchi: l’impulso di darmi a lei fu incontenibile.

Se potevo averla, non mi servivano altre risposte.

Affondai il naso tra i suoi capelli e premetti i polpastrelli sulla sua pancia morbida.

Lei si plasmò al mio tocco, si adeguò al mio peso su di lei, alla forma del mio corpo, al desiderio che mi annullava.

E fu come morire della morte più dolce, bruciare nel fuoco più ardente, rinascere dalle ceneri e volare nei cieli più alti, sferzati da venti impetuosi e lacerati da lampi folgoranti.

E fu, come sempre, perdersi e ritrovarsi in un groviglio di gambe e pelle, lenzuola e baci.

Dopo … molto dopo … mi addormentai sul suo ventre: una mano sui suoi fianchi e l’altra stretta attorno al portagioie.

-o-o-o-o-

 

-Ok Nina … quando vorrai parlarne mi troverai fuori, da qualche parte … forse. – iniziavo a sentirmi esasperato.

La chiave scattò nella serratura.

Un sospiro, un respiro più profondo, mi fece fermare ancora un attimo.

Quando parlò, la sua voce mi gelò il sangue nelle vene.

-Lo so. So già tutto quello che c’è da sapere. Conosco tutte le spiegazioni, le ragioni, i motivi. Razionalmente so che hai ragione, che non c’è nulla che io possa recriminare, nulla che possa pretendere da te. Ma dentro, il mio respiro si ferma e brucia nella gola quando lo libero, il mio stomaco mi manda fitte dolorose se solo ti immagino sposato, legato ad un’altra per tutta la vita … perché io ti conosco: se decidi è per tutta la vita! … e fa male … non dovrebbe, ma fa male. –

Le sue parole mi presero come in laccio intorno al collo: mi sentivo soffocare, incapace di rispondere, di emettere un qualsiasi suono.

Stinsi la maniglia con una forza tale che mi divennero bianche le nocche.

 

- Guardami! - mi richiamò Nina. – Guardami bene: questi non sono i miei occhi. Guarda questa donna allo specchio: la riconosci? Io no, non mi riconosco. Mi chiamo e non rispondo. Cosa mi hai fatto, bastardo! Guarda come mi hai ridotta! – la sua voce stridula era irriconoscibile.

Strinsi i denti per frenare la rabbia che stava per traboccare.

-Io? – riuscii a malapena a mormorare.

-Tu, l’idea che ho di te, il marchio che hai lasciato sulla mia pelle. So che, per quanto io ti ami, non siamo fatti per stare insieme. So che le nostre differenze sono inconciliabili: tu vorresti salvare il mondo, io vorrei solo addentarlo come una mela matura, spremere la vita fino all’ultima goccia. Sarà l’età? Forse. Sarà il mio modo di essere? Anche. Ma io voglio vivere la mia vita sulle montagne russe. Il colmo è che tu me lo hai insegnato, tu mi hai dato le ali per poi volermele tarpare. So tutte queste cose, so quanto ci castreremmo insieme eppure … eppure fa male … eppure ti voglio ancora. Sono in conflitto con me stessa, con la parte di me che ti vorrebbe e quella che ti allontana: la testa dice che è tutto ok, ma l’istinto dice no; la ragione urla di lasciarti andare, ma il cuore protesta. I pensieri mi dicono di scappare lontano, le gambe non si muovono di un passo. Tu mi hai dato tutto e tutto mi hai tolto volendo andare oltre, troppo presto … troppo in fetta! –

L’ascoltavo e sentivo l’eco delle mie stessa sensazione, dei miei stessi conflitti.

L’ascoltavo e altre immagini si sovrapponevano al presente, mescolandosi con le lacrime trattenute a stento, con la rabbia che scemava in fitte pungenti dritte al cuore.

-o-o-o-o-

Svegliandomi, dopo la notte più intensa della mia vita, non la trovai accanto a me.

Il sonno, che appannava la mia mente, rendeva tutto ovattato. Pigramente mi misi a sedere sul letto per capire dove potesse essere Nina.

Sentii l’acqua della doccia scorrere. Un sorriso mi si stampò sulla faccia ancora assonnata.

Mi alzai e decisi di raggiungerla in bagno. Una doccia di coppia era proprio quello che ci voleva per affrontare la prima di un’infinita serie di giorni insieme. Avremmo dovuto fare programmi, dirlo ai suoi, ai miei, al mondo intero … decidere una data.

Ma quando aprii la porta del bagno ogni traccia di felicità venne cancellata dalla scena che mi ritrovai davanti.

Nina era seduta sul piatto della doccia, l’acqua che le scorreva sui capelli già fradici, il viso nascosto sulle ginocchia strettamente serrate al suo petto, chiuse nella morsa delle sue braccia.

Convinto che stesse male, infilai la mano sotto l’acqua e raggiunsi il miscelatore per spegnerla. Afferrai il primo asciugamano che mi capitò tra le mani e glielo buttai sulle spalle.

Mi chinai per aiutarla ad alzarsi ancora prima di chiederle cosa avesse: il suo corpo era rigido e sembrava incollato alle piastrelle.

In preda al panico l’afferrai per le spalle e la scossi leggermente per farla reagire.

-Nina … - la chiamai.

Lei non fece alcun movimento, non emise un suono.

Rassegnato al suo mutismo, entrai nella doccia e mi sedetti di fronte a lei, le mie gambe attorno al suo corpo immobile.

-Parlami, Nina, dimmi cosa succede. Stai male? –

- Vattene, Ian … - la voce roca filtrava attraverso le cosce serrate.

Andarmene. Dove? Perché?

-Cosa stai dicendo? Perché dovrei andarmene? –

Lentamente alzò la testa e fissò il suo sguardo sul mio volto: era sfatta, distrutta.

La sorpresa mi lasciò stordito.

Che cosa era accaduto per ridurla in quello stato?

Allungai le mani per afferrarle il volto, per convincerla a confidarsi, ma lei bloccò i miei movimenti, scuotendo la testa ostinatamente e fissandomi con un’espressione che non ammetteva dubbi: non voleva che la toccassi.

… e dopo la notte trascorsa in uno stato di perfetta estasi, tutto ciò non aveva alcun senso.

Mi fermai. Le mani incominciarono a tremarmi per lo sforzo di non urlare, di non cavarle le parole direttamente dalla gola.

-Cazzo, Nina … ancora non so leggere nel pensiero e, se non mi dici subito cosa ti sta accadendo, diventerò pazzo!-

In risposta alla mia imprecazione le lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi come un fiume in piena ed io, impotente, le guardai fluire, non sapendo come fermarle, non conoscendone l’origine, il motivo scatenante.

Una telefonata? Qualcuno che stava male ... o peggio?

Non l’avevo mai vista tanto straziata, mai vista piangere così disperatamente.

Nina non piange …

L’umido della doccia stava penetrando nella mia pelle e, insieme all’ansia, incominciava a procurarmi brividi intensi, ma non mi mossi per prendere un accappatoio. Non volevo allontanarmi da lei senza capire il motivo di tanta angoscia.

All’improvviso le parole uscirono dalla sua bocca come un’esplosione.

-Perché hai dovuto rovinare tutto? Perché non pensi prima di agire … prima di parlare? Sei il solito vulcano in eruzione: hai un’idea e la devi realizzare, senza pensare che la tua energia potrebbe essere devastante. –

M’irrigidii sentendo il tono di rimprovero della sua voce: era arrabbiata, ferita.

Di cosa mi stava incolpando?

Gocce di sudore freddo bagnarono i miei palmi stretti a contenere uno stupore incredulo.

-Ma … - riuscii a balbettare.

-Tu arrivi con tuo bell’anello e sconvolgi la mia vita perfetta, senza pensare che forse sono troppo giovane … che forse vorrei fare altro prima di ritirarmi in campagna a sfornare tanti bambini con gli occhi azzurri. Ho una carriera appena iniziata, amiche con cui divertirmi, un mondo da sbranare e tu mi chiedi di sposarti? Perché, Ian …? –

Già … perché?

-Forse perché ti amo e voglio passare la mia vita con te? Realizzare i miei sogni con te? Costruirmi un futuro con te? –

-I tuoi sogni … e i miei? Il tuo futuro … e il mio? Il mio presente? Un paio d’anni, Ian … solo un paio di fottuti anni e forse avrei potuto pensare, valutare … -

La sua voce spezzata echeggiava nelle pareti della doccia, ormai gelida come il mio umore.

Ero completamente spiazzato dal suo discorso; non sapendo cosa ribattere, rimasi immobile in un marasma di emozioni, sconforto, incredulità: il freddo penetrava sempre più nella mia pelle, nelle mie vene, nella mia anima … nel profondo.

-Non ti ho detto che dobbiamo sposarci domani … - abbozzai.

-Ian, ti amo da impazzire, desidero stare con te, ho bisogno di te ...  ma non voglio sposarti! Non oggi … non domani … -

-Né mai. – conclusi per lei.

Il silenzio che seguì ghiacciò il mio cuore e una crepa lo attraversò.

Qualcosa si era spezzato: io.

 

-o-o-o-o-

 

Rivivere gli stessi istanti, la stessa dolorosa sensazione di precipitare in una voragine, in un orrido senza fondo, mi fece cadere negli stessi conflitti, nella stessa lacerante agonia.

Andare o restare? Amarla o odiarla? Vivere o languire nel ricordo?

Io non so stare fermo, non so odiare e voglio vivere: questo è quello che sono … ma in quel momento, ascoltando il suo sfogo, sentendo la sua rabbia fondersi con la mia, la sua angoscia con la mia frustrazione, avrei voluto solo restare, amarla … languire tra le sue braccia e chiudere la vita fuori dalla porta di quell’angusto camerino.

Richiamando a me la calma, richiusi la porta e tornai da lei.

-Nina … vorrei poterti dire che c’è una soluzione, vorrei veramente che ci fosse, ma non c’è. Noi non siamo questi, non siamo così: tristi, rancorosi, arrabbiati. Non siamo Damon ed Elena. Non possiamo vivere per sempre, aspettarci per sempre. Non abbiamo l’eternità. Io ho i miei progetti e sai con quanta passione voglio realizzarli … tu hai i tuoi e hai tutto il diritto di percorrere la tua strada, diversa dalla mia. Le nostre vite hanno direzioni parallele e ci sono solo attimi, stazioni in cui possiamo salutarci attraverso i finestrini di treni che continueranno la loro corsa l’uno accanto all’altro per alcuni tratti, ma mai vicini abbastanza, perché il rischio di collisione è altissimo. Siamo solo in attesa che un bivio ci porti definitivamente in direzioni opposte, lontane, mai più secanti. Un’altra serie di The vampire diaries, un altro anno e poi …  

Le parole mi morirono in gola: già … e poi? Non l’avrei più rivista, non avrei più avuto il mio alter ego per stringerla tra le braccia, baciarla o semplicemente averla accanto.

-E poi …? - mi fece eco Nina, lasciandosi sfuggire un singulto.

Avrei dovuto rassicurarla, allontanarla, renderla forte e consapevole, ma a quel pensiero, l’unica cosa che desiderai fu stringerla fino a soffocarla, fino a soffocare quel dolore sordo che mi aveva preso come in pugno alla bocca dello stomaco.

Presi un respiro profondo, le afferrai le mani e le baciai il palmo.

-Hic et nunc, Nina. Quando sarà, lo affronteremo … non qui, non ora. Adesso cerca solo di ricomporti, di stare bene, di capire che se io sposerò Nikki è perché dobbiamo andare avanti: io devo … tu devi, come hai fatto ieri, l’altro ieri … e tutti i giorni che non sei stata mia. Io, per un lungo periodo dopo che abbiamo rotto, mi sono limitato a sopravvivere, ma adesso non mi basta più. Io per te ci sarò sempre, ma non mi chiedere di rinunciare ai miei sogni, come io non ti ho chiesto di rinunciare ai tuoi. Io sono qui fuori, qui dentro, dove vuoi, se mi vuoi, se avrai bisogno di  me … ma, altrove, io continuerò ad andare avanti e tu farai lo stesso. –

Le labbra salirono dai palmi ai polsi, raggiunsero le sue guance umide e vi posarono un bacio colmo di tutto il calore, di tutto l’amore che, nonostante tutto, nonostante le distanze inconciliabili, provavo per lei.

Lei abbassò gli occhi e si sforzò di sorridere.

-Vivere … prima o poi mi spiegherai il segreto celato dietro questa parola … -

-Quando lo scoprirò, ti manderò un tweet – risposi, posandole una carezza sui capelli arruffati. – Ricomponiti … ti aspetto fuori: non rimanere qui da sola, non servirà. –

-Mi dovrei accontentare delle briciole? – ironizzò.

- L’ho fatto per mesi … mi sono saziato delle tue briciole, eppure sono ancora qui. –

- Dammi cinque minuti e ti raggiungo. –

-Ti aspetto … -

L’avrei aspettata sempre.

 

(continua)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Ciak, si gira ***


CAPITOLO 3

Ciak, si gira.

Paul e Candice stavano veramente dando il meglio. Le loro scene erano intense, i loro sguardi comunicativi esattamente come avevo chiesto. Le luci soffuse rendevano l’ambientazione dark al punto giusto. Candice era una fantastica bad girl, sexy e cattiva, razionale fino all’estremo, bionda quanto basta.

Kat era intenta a provare la scena in cui avrebbe dovuto torturarmi con la mia controfigura, mentre il cameraman stava posizionando la telecamera esattamente alle spalle di Candice per ottenere un’inquadratura controluce che avrebbe esaltato il lato oscuro del personaggio di Caroline.

Seduto sulla mia sedia da regista, guardavo l’effetto d’insieme sul monitor, quando Nina mi si avvicinò. Il volto si era ricomposto, anche se gli occhi erano ancora un po’ gonfi e le guance arrossate. Non si era truccata e i capelli erano raccolti in un groviglio fissato con una matita.

-Cosa ne dici? Ti piace questo contrasto di luci su Candice? Non pensi che sia un po’ troppo d’effetto? Non vorrei esagerare … - le chiesi per metterla a suo agio e non farle ricordare la discussione di poco prima.

-A me piace. L’immagine è calda e, nel contempo, raggelante. Le fiamme dell’inferno che incorniciano un nuovo demone … -

-Esattamente quello che volevo trasmettere.-

-Kat si sta divertendo a vedere Jamie contorcersi alle sue finte torture … - aggiunse.

-Mmmm … -

Ero davvero concentrato sulla regia, intensamente concentrato sul mio lavoro, disperatamente consapevole della sua vicinanza.

Per avvicinarsi meglio al video, Nina si era avvicinata alla mia spalla e lì aveva lasciato la testa.

I suoi capelli spettinati mi solleticavano il collo, mentre il calore delle sue guance trapassava la maglietta che indossavo e m’intiepidiva la pelle.

Forse un po’ troppo.

Staccai lo sguardo dal video per posare le labbra sulla fronte di Nina: era calda, febbricitante.

-Nina … come ti senti? – le chiesi, prendendo la sua mano.

-Un po’ debole, stanca. – mormorò contro il mio collo.

-Tu non stai bene: hai la febbre! –

-No … non credo … sarà perché ho pianto. – protestò con un filo di voce.

Feci un cenno all’assistente di studio perche si avvicinasse.

-C’e un termometro in infermeria? – le chiesi gentilmente.

-Ian … non è necessario. Adesso mi riposo qualche minuto e passerà tutto. – insistette Nina.

Con un gesto della mano esortai la ragazza a lasciar perdere.

Presi il volto di Nina tra le mani.

-Ascolta: adesso chiamo la macchina e dico a George di portarti a casa. Vuoi che chiami qualcuno? Una tua amica? Magari Kat potrebbe accompagnarti … -

-No … - rispose, ribellandosi alle mie mani per riappoggiare la testa sulla mia spalla.

-Testona. Adesso ti faccio portare qualcosa di caldo e un’aspirina poi vai a casa e ti metti a letto. Io ne ho ancora per un paio d’ore … poi passerò a vedere come stai.-

-Le chiavi le hai ancora? –

Sì … le tenevo nel cassetto del mio camerino.

Dopo due anni non avevo ancora avuto il coraggio di restituirgliele. Avevo preferito fingere di dimenticarle in quel cassetto.

Chris apparve all’improvviso alle mie spalle.

-Bella questa inquadratura! – esclamò indicando il fermo immagine sul mio schermo.

-Grazie … - era l’ultima persona che avrei voluto vedere in quel momento.

Chris mi piaceva, era un bravo ragazzo, ma le insinuazioni su lui e Nina insieme mi rodevano.

-Ho visto il nostro girato: devo dire che insieme buchiamo la scena. – affermò entusiasta.

-Sì … - ero troppo preoccupato per Nina per ascoltarlo.

Inghiottendo un rospo grosso come una balena, mi voltai verso di lui.

-Chris, mi faresti il favore? Mi porteresti una tazza di tè e un’aspirina? Nina non sta bene … -

La sua attenzione si focalizzò sulla ragazza che avevo tra le braccia.

-Cosa ti senti, Nina? Hai una faccia … -

-Forse è solo un po’ di raffreddore, stanchezza … niente che una bella dormita non possa risolvere.- Colsi un velo d’ironia in quella risposta, ma finsi di non farci caso.

-Ho fatto chiamare la macchina della produzione, – dissi con il fiele sulla lingua. – La accompagneresti tu …? –

-Se per oggi ho finito e non hai più bisogno di me, certamente. – notai un certo compiacimento.

-Oggi vorrei finire alcune scene con Candice e Paul e provare una volta con Kat. Se l’accompagni tu mi sentirei più tranquillo. – Sì, tranquillo come la mamma che manda Cappuccetto Rosso nel bosco.

-Ok. Allora accompagno io Nina. –

-Grazie. – gli risposi a malincuore.

Nina, alzandosi, mi strinse la mano.

-Hai promesso che saresti passato, – mi sussurrò all’orecchio, mentre Chris si dirigeva verso il distributore di bevande calde.

-Ti chiamo quando parto,- la rassicurai, toccandole ancora una volta la fronte con le labbra.

-Non ce n’è bisogno. Vieni pure non appena finisci: conosci la strada … hai le chiavi … –

-E se tu fossi in compagnia …? –

-Non fare lo stronzo. Se ti va passa, altrimenti fottiti. –

Le gambe le cedettero mentre tentava di alzarsi e, nello sbilanciarsi, si sedette sulle mie gambe.

-Guarda come ti sei ridotta! Mangia qualcosa mentre vai a casa. Io arrivo … arrivo. – Sentii una fitta allo stomaco. La voglia di mollare tutto e andare con lei subito era insostenibile.

Non avrei potuto lasciarla sola … non avrei voluto lasciarla sola con lui.

Aveva bisogno di me ed io sarei stato con lei, a casa sua o all’inferno.

Ma la lasciai andare: avevo bisogno di prendere le distanze, prima di riaddentrarmi in quel territorio minato da tentazioni che era la sua vicinanza.

Nelle due ore successive la concentrazione non fu al massimo. Fissavo il monitor senza veramente vederlo.

Notando la mia distrazione, Paul mi si avvicinò.

-Vai da lei, fratello … qui hai finito. Io e Candice riproveremo i dialoghi prima di chiudere e poi ce ne andremo anche noi. Qui non hai più nulla da fare e fissare quello schermo non ti farà stare meglio. Vai da lei e vedi come sta … e chiama Nikki per riagganciarti alla realtà. –

Riagganciarmi alla realtà.

Per tre quarti del mio tempo vivevo una vita al di fuori della realtà, fatta di finzione, colma di creature sovrannaturali, dove l’impossibile diventava il quotidiano, dove certi amori erano epici, indelebili e altri sfociavano in tenere amicizie o con le ossa del collo spezzate. Giovani per sempre senza soluzione di continuità, senza possibilità di figli o famiglia, tutto si consumava in un eterno presente e in un infinito che era fragile come un foglio di carta velina.

Nella realtà, nella mia realtà, il tempo passava, in fretta, troppo in fretta … e io volevo tutto: carriera, famiglia, figli, impegno sociale … tutto e, soprattutto, non volevo aspettare, non più.

La mia realtà era Nikki, il mio presente … il mio futuro prossimo.

Nina era il mio sempre e il mio mai, il mio attimo fuggente, il sogno irrealizzabile, un freno ai miei desideri.

Non potevo aspettarla, non volevo.

Il problema però, non era la ragione, non erano le motivazioni, ma il mio istinto, l’insieme di emozioni che lei smuoveva e alle quali non riuscivo a resistere.

Senza rispondere a Paul, afferrai il giubbotto appoggiato alla mia sedia e mi diressi verso il parcheggio, dove avevo lasciato la mia Audi.

Il cielo si era fatto buio e le nuvole non permettevano alla luna di rischiarare il crepuscolo.

Guidavo con lo sguardo fisso all’asfalto e il piede incollato all’acceleratore, con i pensieri che mi rimbombavano nel cervello come una pallina da ping pong che rimbalzava tra le pareti del cranio.  Avevo spento anche la radio e le orecchie mi ronzavano come se avessi uno sciame di vespe nel canale uditivo.

Volevo correre da lei, scappare lontano, raggiungerla, allontanarla.

Senza pensarci troppo, premetti il pulsante del vivavoce che mi avrebbe messo in contatto con Nikki: avevo bisogno di un appiglio, un’ancora che mi tenesse con i piedi per terra, che non mi permettesse di fluttuare nel vuoto.

La sua voce riempì l’abitacolo, amplificata dagli altoparlanti.

-Ian, amore … come stai? Il lavoro? Tutto come previsto? – la sua voce dolce ammorbidì la tensione delle mie braccia, ancorate al volante.

-Nikki … mi manchi. – non mentivo. Davvero mi mancava.

-Qualcosa ti turba? –

Uno dei miei peggiori difetti: non riuscire a nascondere le emozioni, i turbamenti.

-Stanchezza … gira anche un po’ d’influenza. –

-Ti senti la febbre? –

-No … io no. – la voce si fece roca.

-Tu no … chi allora? – il tono si fece più dirò e la domanda era evidentemente retorica.

-Nina … credo che abbia preso un brutto raffreddore: ho dovuto mandarla a casa. -

-E tu stai andando da lei. – le sue parole erano pregne di frustrata rassegnazione.

-Chris l’ha accompagnata, io volevo solo … - non mi lasciò finire.

-Perché me lo stai dicendo? – la domanda non era così ovvia. –Non dirmi per onestà: mi sembra piuttosto un lavarsi la coscienza … -

-Nikki, avevo bisogno di sentirti, di sapere che ci sei … di sapere che capisci, che … -

-Ian, io ci sono, sono qui … capire è difficile: non stiamo parlando di Kat, non stiamo parlando di Candice. Sai bene che effetto ti fa Nina, che effetto fa a me sapere che siete vicini. –

-Devo vedere se sta bene … -

-Lo so … -

-Ti amo … -

-Lo so … -

-Tu chiamo più tardi. –

-Stai attento a non uscire da quella casa a pezzi: non li raccoglierò un’altra volta. – La sua severità mi scivolò addosso senza lasciare traccia.

-Buonanotte. –

Interruppi la comunicazione con più dubbi che certezze.

Perché avevo parlato di Nina a Nikki? Quale stronzo lo farebbe senza volerne pagare le conseguenze?

Cosa mi aspettavo, la sua benedizione … “Vai, bruciati, e io ti curerò le ferite …” ?

Per mia fortuna il parcheggio davanti all’appartamento di Nina era libero. Mi fermai e mi guardai attorno: l’auto di Chris non era nei dintorni e la luce alla finestra della camera era soffusa. Nina era a letto con l’abatjour acceso.

Non scesi subito. Appoggiai le braccia al volante e vi posai la fronte.

Che cosa stavo facendo?

Una cosa era vederla sul set, con tutta la troupe intorno, dove le tentazioni erano frenate dalla presenza di altre persone e sublimate da un bacio di scena o da un abbraccio da copione.

Salire da lei, nella sua camera, vicino al suo letto era come chiedere alla paglia di non incendiarsi vicino al fuoco.

Le avrei telefonato, le avrei lasciato un messaggio, le avrei detto che un impegno mi impediva di salire da lei.

Afferrai il telefono e lo fissai con le mani che tremavano. Infine, con stizza, lo infilai in tasca, sfilai le chiavi dal cruscotto e scesi dall’auto, sbattendo lo sportello contro la mia coglionaggine.

Cercai le chiavi per entrare nel mio personale girone infernale, quando mi resi conto che le avevo dimenticate in camerino.

Forse era un segnale, il monito a non proseguire in quella che, certamente, si sarebbe rivelata una gran cazzata.

Rimasi a guardare il citofono per un tempo che mi parve infinito.

Odiai quel tasto che mi avrebbe portato la voce di Nina, che avrebbe fatto scattare la serratura chiusa, che mi avrebbe condotto da lei.

Lo guardai come se fosse il  mio patibolo, la mia oasi ... la perdizione e la salvezza. Come potevo sentirmi tanto in contraddizione? Come poteva farmi sentire così inguaribilmente folle?

Lo guardai … la mia mano si mosse … e il tasto affondò sotto il mio polpastrello.

Passarono secondi che sembrarono secoli, attimi in cui una porta chiusa non era altro che un cancello ancora aperto, una via di fuga.

Passarono secondi pesanti come macigni in una clessidra troppo piccola … e miei piedi rimasero immobili.

-Ian? … -

-Sono qui. –

 

(Continua)

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** L'ultima notte ***


L’ultima notte

Lo scatto della serratura cancellò ogni tentennamento.

Salii le scale due gradini alla volta, troppo impaziente per aspettare l’ascensore.

Non ebbi bisogno di bussare: Nina l’aveva lasciato la porta socchiusa.

Entrai, chiudendo il mondo fuori. Un giro di chiave mi avrebbe relegato dentro un’isola in cui gli unici naufraghi saremmo stati io e Nina.

Mi guardai intorno: una luce ovattata proveniva dalla sua camera. Lanciai il giubbotto sul divano senza riflettere e mi lasciai guidare da quel fuoco, come una falena anela al calore della candela, incurante del fatto che le brucerà le ali.

Nina era sepolta sotto le coperte, il volto appena visibile sul cuscino.

Mi accucciai davanti ai suoi occhi chiusi e le sfiorai la fronte. Era più fresca, leggermente sudata.

-Come stai? – le chiesi.

-Dove hai lasciato le chiavi? Stavo sonnecchiando e mi hai svegliata - mi rimproverò.

-Se vuoi me ne vado.-

-Ormai sei qui … -

-Hai preso qualcosa? –

-Del paracetamolo per la febbre. Mi sento sfiancata … -

-Vuoi del succo d’arancia dolce? Del tè freddo? –

Mi alzai per dirigermi in cucina ma Nina mi fermò.

-Voglio solo che ti sdrai un po’ con me: sono a letto, non posso svenire se sono sdraiata. -

Si spostò un po’ di più in quella che era solita essere la sua parte del letto.

Lei aveva sempre dormito alla mia sinistra, voltandomi le spalle affinché potessi abbracciarla e tenerla incollata a me tutta la notte.

Girai attorno al letto e, senza nemmeno togliermi le scarpe, mi sdraiai sopra le lenzuola, in modo da avere una barriera che mi tenesse separato dal suo corpo.

Feci passare il braccio tra il cuscino e il suo collo e la strinsi al mio petto, coperte comprese.

Chiusi gli occhi mentre lei si accoccolava contro il mio corpo, le labbra appoggiate al mio avambraccio.

Il silenzio riempì la stanza, amplificando il suono del suo respiro affannoso.

Ogni tensione si sciolse e la quiete ci avvolse.

Le spostai i capelli dal collo e cominciai a sfiorarla col dorso delle dita per farla rilassare.

La rabbia e la frustrazione di poco prima lasciarono il posto ad un senso di pace, alla consapevolezza di essere al posto giusto, esattamente dove volevo essere.

L’ultima volta che l’avevo tenuta tanto vicina, seminuda e morbida, era stato durante le riprese della puntata che aveva visto Damon ed Elena riavvicinarsi … fare l’amore per l’ennesima prima volta.

 

Eravamo nell’enorme letto di Damon, nudi dalla vita in su. La scena prevedeva che lei mi guardasse dormire, appagata da quell’amore che riaffiorava sulla pelle ancora calda dopo una notte di passione,  da quello stesso sentimento rilegato nell’oblio di un’amnesia crudele.

Nina non si era limitata a guardarmi, non si era fermata alla contemplazione: si era spinta oltre e si era avvicinata, portando il mio braccio attorno alle sue spalle, posando il suo volto e le sue mani sul mio petto nudo, indifferente allo sguardo dei tecnici e del regista i quali continuarono a girare, consapevoli che la scena avrebbe acquistato quel tocco di dolce passione tanto amato dai fan Delena.

Rimanemmo in quella posizione qualche secondo, in attesa dello stop di Pascal.

Qualche secondo di troppo.

Nonostante il silenzio tra di noi, nonostante la sua freddezza prima e durante le riprese, quella vicinanza inaspettata mi rivelò quanto ancora i nostri corpi si cercassero.

Nina era apparentemente immobile sotto le lenzuola di scena, ma io percepivo ogni lieve fremito della sua pelle, ogni minimo cambiamento nel suo respiro trattenuto.

La conoscevo

Conoscevo il suo corpo e il suo corpo mi parlava, mi raccontava le sue sensazioni, le sue emozioni: un muscolo contratto, un brivido improvviso, le labbra strette a trattenere un sospiro, mi rivelavano molto più di mille parole.

Nella vita Nina non era mai uguale, mai la stessa: imprevedibile e volubile, mi lasciava sempre senza fiato.

Ma, tra le mi braccia, non aveva segreti, non poteva nascondermi nulla: avevo imparato a leggere ogni reazione, ogni minimo cambio di battito, il tono del respiro, l’intensità del suo piacere.

Nel tempo della nostra storia, nelle notti che avevamo condiviso, tutti quei segnali non riuscivano mai ad arrivare al mio cervello. Il mio corpo giocava d’anticipo, fornendo tutte le risposte alle sue tacite ma eloquenti richieste: una carezza … un bacio … tutta la mia bruciante passione.

Avvolto dalla seta rossa, sentivo il suo desiderio, la sua lotta per nasconderlo; mi sforzai affinché non mi contagiasse, non invadesse i miei lombi e mi facesse alzare da quel letto con un evidente … imbarazzo.

Qualcosa comunque si smosse dentro di me e quella porta, chiusa su un sentimento sepolto ancora vivo, si aprì in uno spiraglio di disperata speranza.

Provava ancora qualcosa per me?

Forse lei no, ma il suo corpo sì.

Sentendo il calore del suo volto contro il mio petto, il tocco della sua mano, le sue gambe stringersi per controllare il crescente languore, capii che nulla era cambiato: vicini innescavamo una reazione chimica incontrollabile, che accendeva Nina e spegneva ogni mia razionalità.

E anche in quel letto, come sempre accadeva, mi persi in lei.

Come quando era ancora mia.

Ogni volta che la guardavo mi smarrivo nei suoi occhi, rimanendo stupito di quanto amore potessi provare.

Era l’unica ad essere riuscita spostare il mio epicentro da me a lei, a togliermi dal centro dell’universo per porvisi come regina incontrastata della mia esistenza, la sola che era riuscita ad annullare le mie brame per diventare il mio unico desiderio.

Fu solo il vociare della troupe, le luci di scena, il tossicchiare divertito di Paul a fermarmi dal possederla lì, tra quelle lenzuola rosse come la mia passione, stropicciate come la mia anima.

 

Contro ogni previsione, stavo ancora condividendo un letto con lei.

Cullavo il suo sonno agitato dalla febbre e da chissà quali sogni, mentre mi crogiolavo nella vischiosità di quel momento.

Sentivo riaffiorare i miei sentimenti, me li sentivo incollati sulla pelle, mi ci rotolavo, incapace di scrollarmi di dosso quella sensazione appiccicosa: più tentavo di spazzarla via, più si spalmava sulla mia pelle come miele.

Nina si voltò per cambiare posizione e la sua bocca si trovò a pochi centimetri dalla mia, gli occhi semiaperti, lucidi di febbre e di passione.

Inevitabilmente posai le mie labbra sulle sue, socchiuse, pronte ad accogliermi.

L’effetto fu sconvolgente.

Baciarla era come essere sommersi da ondate di calore che mi scioglievano il sangue e incenerivano le mie barriere.

Cercai di mantenere il controllo, ma separare le mie labbra dalle sue era difficile.

Mi concessi qualche secondo.

Infilai le dita tra i suoi capelli e la avvicinai ancora di più a me. Nina si aggrappò alle mie spalle per trattenermi, per farsi più vicina. Le onde si fecero più impetuose e mi travolsero. Feci scivolare una mano lungo la sua schiena: era così fragile sotto le mie dita.

La strinsi al petto e la sentii rabbrividire.

Era come naufragare ed io avrei voluto abbandonarmi alla marea.

Volevo sentire la sua pelle contro la mia, il suo corpo aderire al mio.

Com'era possibile “sentire” così intensamente?

La punta della sua lingua tracciò il contorno delle mie labbra.

 

… e il naufragar m'è dolce in questo mare …

 

Dovevo fermarmi o non ne avrei più avuto la forza: non potevo naufragare. Questa volta sarei affogato.

Allontanai il suo viso e sciolsi l’abbraccio.

La guardai severo.

I suoi occhi riflettevano il mio stesso desiderio, la mia stessa frustrazione.

-          Nina … - sospirai, arrendendomi a lei.

Sarei dovuto essere dispiaciuto del suo incosciente trasporto, invece non mi dispiaceva. Anzi, me ne compiacevo e non andava bene.

I pensieri si confondevano con la passione che fluttuava nell’aria, incontrastata padrona della mia volontà.

Le coperte tra di noi non erano una barriera sufficiente ad ostacolare le vibrazioni che i nostri corpi si comunicavano, chiamandosi disperati.

Inutile negarlo: separati eravamo incompleti, malati terminali staccati dalla macchina che ci teneva in vita.

Eppure dovevamo sopravvivere come gemelli siamesi separati.

Uniti ci alienavamo, incapaci di rinunciare a ciò che volevamo per ciò che provavamo. Ci avevamo provato. Avevamo fallito.

Tempi sbagliati, età sbagliate, momento sbagliato … tutto, tranne il nostro amore, era sbagliato. Anche adesso che tutti gli elementi avrebbero potuto trovare il proprio posto, era proprio il nostro amore a non trovare una collocazione, come acqua in un vaso ormai rotto.

-Perché è così difficile? Amarsi non dovrebbe essere difficile – sussurrò sul mio collo, dove aveva nascosto il suo viso.

-Amarsi non è difficile. Lo è stare insieme, conciliare l’inconciliabile, rinunciare, scegliere. –

-A volte mi domando se il nostro è amore o pura passione, se siamo come Damon ed Elena o come Damon e Katherine.-

-Noi siamo Nina e Ian: unici e inconciliabili.-

-Non mi hai risposto: amore o passione? –

Per quanto la passione, la carnalità del nostro rapporto fosse intensa e devastante, io sapevo che lei era un marchio sul mio cuore, una parte della mia anima e, sesso o no, era parte di me, lo sarebbe stata per sempre, uniti o divisi che fossimo.

Noi eravamo amore e passione, un connubio perfetto, un perfetto equilibrio tra pelle e sentimento, sangue e cuore. L’unica esclusa era la ragione. Con Nina non riuscivo a ragionare, non ero in grado di intendere e volere. Mi annullavo in lei, perché lei mi dava una vita nuova … o me la toglieva. Aveva un potere immenso sulle mie emozioni e, il giorno che mi aveva lasciato definitivamente, avevo capito quanto di me si era perso in lei, quanta parte della mia esistenza dipendeva da lei, come la vita dall’acqua.

Nina era pericolosa, lo era per me, per il mio equilibrio, per la mia vita, per come l’avevo sognata.

Ecco perché dovevo mantenere il controllo, staccarmi da lei, aggrapparmi alla realtà, a Nikki, al futuro.

Una voce, la mia voce, mi riscosse da queste inutili riflessioni.

Sentii l’aria trapassare le corde vocali, emettere un suono che divenne parola.

-Ti amo, Nina … lo sai che ti amo. -

Lo stavo dicendo davvero. Le parole mi erano uscite dalla bocca senza passare dal cervello, sorgere direttamente dal cuore dove le avevo sepolte.

La verità mi era esplosa in faccia come una granata tenuta tra le mani talmente a lungo che la presa sulla sicura si era allentata, provocando la deflagrazione.

La verità, però, non sarebbe servita rimetterci insieme e quella granata disintegrata in mille schegge non era che il mio cure, stretto in un pugno come nella copertina di “America idiot” dei Green Day.

Un idiota … la definizione mi calzava a pennello.

E il suo silenzio me lo stava confermando.

Aveva fatto una domanda, aveva preteso una risposta, ma non aveva concesso nulla in cambio.

Mi scostai da lei e la fissai in cerca di un segno sul suo viso, di un accenno d’amore nei suoi occhi.

-Era questo che volevi sentirti dire? – esclamai esasperato, alzandomi dal letto. – Volevi farmi ammettere la mia debolezza per sentirti potente. Non cambia nulla, Nina. Io sposerò Nikki. Io la sposerò, farò dei figli con lei, realizzerò i miei sogni con lei. Con lei, non con te. -

I pezzi del mio cuore scricchiolarono sotto i miei piedi.

Nina si mise a sedere, appoggiandola schiena ai cuscini e accartocciando le lenzuola contro il petto.

Mi fissava. In silenzio. Intensa.

Io chiusi gli occhi.

Just gonna stand there and watch me burn
But that's alright, because I like the way it hurts
Just gonna stand there and hear me cry
But that's alright, because I love the way you lie

 


Era esattamente così che mi sentivo.

Era esattamente così che non avrei voluto sentirmi mai più.

Lei mi scrutava, mi scavava dentro e, come un chirurgo, sezionava col bisturi del suo sguardo ogni brandello di orgoglio.

Stavo male ed ero felice di star male perché era lei a farmi star male.

Sentivo il suo potere, la sua forza che mi legava, la sua fragilità che mi calamitava al suo fianco.

E poi c’era il suo odore, le sue mani, il suo respiro … ed io non potevo far altro che essere lì, restare lì.

-Ti ho appena detto che ti amo … - rantolai.

Aprii gli occhi. I suoi erano bassi, sulle sue dita nervose.

Da regina a bambina in un batter di ciglia.

-Ian … io vorrei tanto sentirmi libera.

Libera di amarti, libera dal tuo amore. Libera di vivere la mia vita, ma di ritrovarti lì, dove ti vorrei.

Vorrei essere con te, senza parole, senza promesse, senza bugie, senza verità. Non m’importa di un amore che chiede pegni in cambio.

Vorrei poterti amare liberamente, vorrei che mi amassi senza aspettative.

Non sono frivola, e tu lo sai, ma in questo momento, in questa fase della mia vita non voglio legarmi, avere obblighi, farmi carico dei tuoi sogni o abbandonare i miei.

Non voglio essere il tuo piedistallo, la luce che ti illumina alla ribalta.

Non so cosa sono disposta a darti. Non ancora.

E non voglio sentirmi in colpa per questo.

Non voglio sentirmi intrappolata in un gioco di dare e avere solo perché ti amo, perché mi ami, e quindi non posso chiederti di aspettarmi, non più.

Io andrò avanti. Sarò felice. So che sarò felice anche senza di te, nonostante te.

Quindi, va bene.

Sposala.

Riproduciti.

Amala e fatti esaltare.

Ma non questa notte. Questa notte sei qui con me, libero di essere libero.

Domani sarete tu e lei.

Qui, questa notte, saremo tu ed io.

E potremo fare sesso o no, stare abbracciati o separati, nello stesso letto o ai poli opposti della stanza, ma saremo tu ed io, senza ieri e senza domani. –

 

Da bambina a donna in una frazione di respiro.

Destabilizzante.

Con Nikki c’era protezione, affetto, discrezione. Lei si muoveva in punta di piedi nel mio spazio, lo illuminava, spargeva petali ai miei piedi. C’era rispetto, c’era venerazione, bisogno.

Nikki non si avventurava nelle mie zone buie, non cercava di strabiliarmi o di cambiarmi. Lei c’era, mi amava, mi sosteneva. E questo le bastava. Mi bastava.

Nina no.

Nina scavava e lasciava crateri. Non aveva nessun imbarazzo nel guardarmi dentro, denudandomi, permettendomi di essere il meglio e il peggio, il buio e la luce, quello forte e quello debole. Tutto in uno.

Un essere libero, intero, completo tra le sue braccia e sotto le lenzuola.

Quell’intero, però, si sgretolava alla luce del sole artificiale di riflettori che s’infiltravano nel nostro mondo imperfettamente perfetto, della realtà che spaccava i sogni e li divideva ... i suoi … i miei, non più nostri, non più uniti.

Tutto era perfetto tra le quattro mura di una camera.

Tutto era fattibile nello spazio di una notte.

Tutto si sarebbe disfatto all’alba, oltre la soglia, fuori da lei.

Rischiare tutto per una manciata ore?

Rischiare l’anima per un ultimo ricordo?

Lo ammetto: avevo paura.

Ma la vertigine mi richiamava nel baratro invece di farmi fuggire.

La guardai e la mia volontà si spense.

La guardai e mi sentii un drogato che cede.

Un’ultima dose.

Un’ultima sigaretta.

Un ultimo bicchiere.

L’ultima notte.

 

(Continua? Forse … non so ancora. Vedremo.)

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Capitolo 5
*** Sii felice ... ***


CAPITOLO 5

Sii felice …

Non avrei mai saputo se quella notte non feci l’amore con Nina per non soffrire a causa dell’ennesimo distacco … o perché non avevo voluto approfittare di un suo momento di debolezza causato dalla febbre, dalla rabbia e dalla Tachipirina.

Dopo la nostra discussione la strinsi tra le braccia e mi lasciai travolgere dalla sua dolcezza.

Le nostre labbra si cercarono trovandosi mille volte, le mani vagarono sulla pelle fino ad incontrarsi per intrecciarsi.

Avevo spostato le coperte, le avevo alzato la maglia e mi ero immerso nella morbidezza del suo seno per ascoltare più da vicino il sussultare del suo respiro, i suoni della sua passione.

Nina non si ribellò alle mie carezze: si allungò sotto di me e si abbandonò a al piacere che le mie dita sapevano regalarle.

Infilai le mie braccia sotto la sua schiena e mi aggrappai a lei, unico appiglio per non cadere in un baratro senza fine. Lei era roccia che mi graffiava le mani, era la salvezza e la caduta stessa. Nel ritmo dei nostri battiti impazziti potevo sentire le urla di ogni paura, di ogni desiderio inespresso e irrealizzabile.

Mi stavo perdendo.

Ancora.

Alzai lo sguardo.

Sentendo la carezza dei miei occhi, Nina aprì i suoi e mi fissò con l’intensità della prima volta. Esiste un preciso istante in cui fra due persone si accendono sentimenti senza che abbiano fatto nulla perché ciò accadesse.

Eppure, in una specie di magia - incantesimo o una maledizione - i fili che guidano due destini si annodano, s’intrecciano, legando due vite in modo indissolubile.

Nina non avrebbe voluto cedere ai miei primi approcci, non avrebbe voluto abbandonarsi alle innegabili sensazioni che s’innescavano appena ci sfioravamo.

Ma, per quanto combattessimo, per quanto avevamo tentato di resistere, ci eravamo avvicinati, avvinghiati, fusi … fino a mescolarci il sangue e i pensieri.

Quale scherzo di un destino sadico, farmi incontrare l’amore che avevo sempre desiderato, la storia che avrei voluto scrivere, per poi renderla invivibile?

Eppure miei occhi continuavano a scavare nei suoi in cerca di una speranza, di una possibilità che non finisse tutto in cenere. Nel lago scuro delle sue pupille dilatate trovai tutto: tutto l’amore, tutto l’ardore, tutto il dolore.

Incapace di sostenere quella valanga di emozioni, mi abbandonai di nuovo sul suo petto, rassegnato e disperato.

Lei intrecciò le mani nei miei capelli, consapevole del dilemma che mi dilaniava, e cominciò ad accarezzarmi lieve. Il suo respiro si calmò, rallentò … fino a diventare profondo e tranquillo: si era addormentata, sotto e dentro di me.

Rimasi in uno stato di dormiveglia per qualche sprazzo d’ora. L’irreale si mescolava alla realtà in un acquarello che colava colore su una tela grigia. Gocce di rosso scivolavano sull’azzurro di un cielo senza confine e macchie di nero celavano parte dell’immagine sfuocata, un’immagine che non riuscivo a mettere a fuoco.

Una moto che sfrecciava nella notte mi fece svegliare di colpo, con la sensazione che fosse già il domani che  non avrei voluto arrivasse mai.

Controllai l’ora sul display del mio smartphone e scoprii che era da poco passata mezzanotte.

Lo schermo era pieno di messaggi di Nikki, parole che non avevo alcuna intenzione di leggere, non in quel momento, perlomeno.

Il sonno di Nina era ancora profondo, per nulla infastidito dai miei movimenti sopra di lei. Le mani, sciolte dalla presa sui miei capelli, si erano posate sopra la sua testa, rendendola ancora più seducente.

Mi mossi lentamente e a fatica mi scostai, posando un bacio lieve in mezzo al petto ancora scoperto.

Lasciai scorrere il dorso della mano sulle sue curve morbide prima di alzarmi per andare in cucina a prendere qualcosa da bere. Cercai qualcosa di forte, ma cambiai idea. Aprii il frigorifero e presi dell’acqua.

Non volevo sprecare quegli istanti con un’ubriacatura che mi avrebbe lasciato solo vaghe immagini della nostra ultima notte insieme e io ne volevo ricordare ogni istante, ogni respiro, ogni secondo.

Mi ero nascosto in quell’appartamento come un ladro, mi ero celato dietro la scusa di un’influenza per rubare del tempo con Nina, per percorrere la sua pelle con gli occhi appannati dalla pasione e il calore del mio respiro, consapevole che non avrei mai più potuto rifarlo.

Tornai in camera e mi fermai ai piedi del letto, estasiandomi alla visione del suo corpo scomposto: la maglietta sollevata, le lenzuola scostate e il suo viso appena arrossato dalla febbre e dall’attacco delle mie guance ispide di barba.

Rimasi immobile fino a quando le gambe reclamarono una pausa, poi mi sdraiai di nuovo accanto a lei, lasciandola scoperta per ammirarla, ancora e ancora.

Mi bastava.

Mi saziava più del sesso, più dei baci, più di tutto.

Combattei una facile battaglia contro il sonno e assaporai ogni istante.

Tentai di imprimermi nella memoria ogni espressione buffa e intensa del suo volto, ogni diversa sfumatura del suo profumo, ogni curva del suo corpo morbido e caldo.

Mi rimaneva poco più di un anno e poi l’avrei persa, forse per sempre, ne ero consapevole, come ero consapevole non sarei mai potuto appartenere a nessun’altra come ero appartenuto a lei.

In quel momento perfetto non volevo guardare oltre il successivo ticchettio dell’orologio, non volevo pensare al domani. Sarei potuto morire lì, tra le sue braccia, soddisfatto e appagato per l’immenso dono che la vita mi aveva fatto, nella convinzione che non sarei mai stato mai più tanto felice e tanto disperato.

La stanchezza mi vinse mentre fuori albeggiava.

 

Mi svegliai dolorante per la sua assenza.

Il rumore della doccia echeggiò nei miei lombi acuendo un’eccitazione che non si era mai attenuata, rendendo più evidente il mio desiderio.

Mi ancorai al letto per non seguirla sotto l’acqua che sapevo essere fin troppo calda.

Il letto aveva l’odore della sua mancanza e il vuoto che sentivo allo stomaco non era fame.

Mi alzai a fatica sentendo il bruciore di quegli ultimi minuti che gocciolavano nella mia testa.

Mi accostai alla porta del bagno.

-Nina …? Tutto bene …? –

-Ian, visto che sei sveglio, prepareresti il caffè? Ne ho un bisogno disperato. –

-Ti senti meglio? –

-Caffè …! –

Girai per la stanza e raccolsi gli ultimi stracci di una storia che non sarebbe finita mai.

Il telefono vibrava sul comodino dove l’avevo lasciato la sera prima, ma non mi preoccupai di vedere chi mi stesse chiamando: non mi importava.

Entrai in cucina e preparai il caffè con la moka italiana, esattamente come piaceva a Nina: non troppo lungo, non troppo forte, senza zucchero, con una goccia di latte.

Cercai tra gli scaffali della dispensa quelle schifosissime merendine che le piacevano tanto e gliene scartai una. Posai tutto su un vassoio e mi diressi verso il bagno.

Ovviamente la porta non era chiusa a chiave, Nina non lo faceva mai: non era pudica e non le importava che io entrassi in bagno mentre c’era lei, qualsiasi cosa stesse facendo.

La trovai seduta sul bordo della vasca, avvolta nell’accappatoio e con un asciugamano attorno ai capelli, sfuocata in una nuvola di vapore.

Sollevò lo sguardo per guardare avidamente la tazza di caffè che le stavo porgendo.

-Quanto ti manca per le finire le riprese? – mi chiese a bruciapelo, come se fosse una normale mattina della nostra vita insieme, come se il fatto che avessi dormito con lei, nonostante ci fossimo lasciati, nonostante io stessi per sposare un’altra, fosse un fatto ovvio.

-Credo di riuscire a finire oggi e poi passerò a visionare il materiale per il montaggio. Perché? Se vuoi una giornata di riposo, prendila pure. Con te ho finito … -

-Lo so, Ian … con me hai finito … ed è per questo che ho deciso. –

-Nina … - la Terra smise di girare.

-Ho appena chiamato Julie. Ho una riunione con lei questo pomeriggio. –

-Nina … - mi mancava l’aria.

-Non rinnovo, Ian. –

-Nina … - mi mancava il respiro.

- Non è per causa tua …  

Come ti dicevo ieri, ho bisogno di vivere la mia vita: non voglio aspettare un altro anno galleggiando  in un limbo sbiadito e vincolante.

Julie aveva bisogno di sapere la mia decisione al più presto, prima di cominciare a girare le prossime puntate, per decidere un finale: non potevo tergiversare oltre.

Non potevo procrastinare ancora, tentennare.  

Noi saremo sempre noi Ian, ma non possiamo rimanere bloccati nell’impossibile.

E’ ora che tagli quel cordone ombelicale che mi tiene legata a te, al mio personaggio, al mondo di un telefilm che mi ha dato tanto e che mi ha preparata per questo passaggio.

Ora sono pronta. Pronta per nuove esperienze, pronta per nuove sfide.

Voglio cambiare forma, plasmarmi su altri personaggi, cedere a nuove pulsioni, rinunciare al consenso degli altri per ascoltare solo il mio istinto.

Mi hai fatto nascere, Ian … ora lasciami crescere.

Siamo stati fortunati a vivere una storia che molti faticano solo ad immaginare, siamo stati fortunati ad appartenerci.

Non è finita, non lo sarà mai, ma non possiamo trascinare oltre ciò che si è fermato tempo fa davanti ad un bivio.

Io non posso continuare a guardare quelle due strade di fronte a me e aspettare un segno.

Il momento è arrivato.

Tu hai imboccato la strada che hai sempre desiderato percorrere.

Io m’incamminerò sull’altro sentiero, verso l’ignoto, verso una vita tutta da scoprire.

Ti ho avuto … e so non ti perderò mai.

Ti ho avuto ... e per questo potrò vivere altri amori senza rimpianti o nostalgie.

Ti ho avuto … e ora ti lascio andare.

Mi permetto di andare avanti, mi concedo di vivere.

Sii felice, Ian, perché io lo sarò. -

Barcollai e mi appoggiai al lavandino alle mie spalle per non cadere.

Non mi sarebbe bastato un anno, figuriamoci poche settimane.

Non mi sarebbe bastata un’altra stagione, figuriamoci poche puntate.

 

Non avrei mai saputo perché quella notte non feci l’amore con Nina …

… ma so benissimo perché, dopo quella pugnalata, quelle parole corrosive, quella notizia sconvolgente, presi Nina e la scaraventai sul pavimento del bagno per prenderla e farla mia, più e più volte, con malinconica passione, con orgasmi che dolevano, piantando i denti nella sua pelle e le unghie dentro il suo essere.

Avrei voluto fagocitarla.

Avrei voluto fondermi con lei, morire su quel pavimento umido di vapore e lacrime.

Lei si lasciò prendere, mi lasciò fare come mai prima.

Fu mia cento volte, e non fu abbastanza.

È stata mia mille volte e non sarà mai sufficiente.

Svuotato nel corpo e nell’anima, mi accasciai su di lei e sussurrai il suo nome fino ad arrochire la voce, fino a sentirmi svanire.

Non ricordo come mi ritrovai sulla mia auto, a picchiare la testa contro il volante, con il respiro spezzato dai miei inutili “Perché?”.

Poi il telefono vibrò per l’ennesima volta.

Nikki.

“Sii felice, perché io lo sarò”

Ti amo Nina … sempre e per sempre … ma ho bisogno di essere felice anch’io.

Attivai la comunicazione e la voce di Nikki riempì l’abitacolo.

-Ian … -

-Non parlare … non fare domande, per favore. Aprile … finirò le riprese … ci sposiamo ad aprile. Ci sposiamo Nikki. –

“Sii felice, Nina, perché io lo sarò.”

 

The end

 

 

 

 

 

 

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