Scarlet Eyes

di HeartRain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Promessa ***
Capitolo 2: *** Chiave ***
Capitolo 3: *** Allo scoperto ***
Capitolo 4: *** Il passato di Ib ***
Capitolo 5: *** L'addio ***
Capitolo 6: *** Incubo ***
Capitolo 7: *** Una scelta improvvisa ***
Capitolo 8: *** Ritorno al mondo esterno ***



Capitolo 1
*** Promessa ***


(Fanarts by  ニノツキ and Eli-san)


 
Scarlet Eyes



Capitolo 1
Promessa










 
l nostro passo rimbombava nello stretto e poco illuminato corridoio che eravamo costrette ad attraversare. Senza sapere cosa ci aspettasse alla fine di quel percorso, io e Mary avanzavamo a passi piccoli e insicuri; un insolito fischio risuonava nelle mie orecchie. Il cuore premeva forte contro il mio petto. Quel posto mi sembrava così vuoto… ai miei occhi si era svuotato dal momento in cui avevo varcato la soglia della porta che mi aveva separato da Garry. Tutto si era annebbiato quando quelle rampicanti di pietra ci avevano divisi, e quando comprendemmo che non avremmo più potuto tornare indietro il buio aveva completamente oscurato lo spazio attorno a me.
In quel momento avevo voglia di gridare il nome di Garry, come se tutto quello che avevamo intorno non esistesse più. Se lui avesse potuto sentirmi attraverso le spessissime pareti avrebbe trovato la sovrannaturale forza di oltrepassare quella pianta di marmo e sarebbe venuto in mio soccorso. Sì… lui c’era sempre. Ma quella volta sarebbe stato impossibile, per lui, sentire la mia voce. Nulla sarebbe successo. Lui non avrebbe frantumato con le proprie mani quelle rampicanti, non avrebbe forzato la porta per sconfiggere il manichino che la teneva chiusa, non mi avrebbe teso la mano per salvarmi e portarmi via.
Ero rimasta a vagare con Mary, ma l’assenza di Garry non era una cosa così semplice da digerire. Pareva che fosse il contrario per Mary - non sembrava preoccupata, né tantomeno si sarebbe detto che avesse vissuto qualcosa di ciò ch’era successo. Ma non potevo leggere i suoi pensieri… forse, con la sua allegria, cercava solo di nascondere la sua paura. E se avesse notato quanto il mio morale fosse a terra e stesse solamente cercato di ripararlo?
Non sembrava affatto sentire la sua mancanza, però. Era per questo che non riuscivo proprio a capire quali fossero le sue intenzioni… Era come se tutto il tempo durante il quale Garry era stato con noi lui fosse stato solo un peso in più da sopportare – di cui, adesso che eravamo da sole, ci eravamo liberate. Non aveva mai dato prova di provare simpatia nei suoi confronti, forse era impaurita da lui, che fino a poco tempo prima reputava uno sconosciuto. Io non le sembravo una minaccia, per la mia giovane età, era per questo che era così sollevata di essere solamente con me? Eppure Garry l’aveva accolta così gentilmente… Mi pareva davvero strano che ignorasse la sua assenza anche in quel caso. Si comportava come se non avesse ancora realizzato che stavamo lasciando indietro il nostro compagno per proseguire senza alcuna certezza sulla nostra meta, potendo solamente sperare di trovare una via d’uscita e ritrovare soprattutto lui sano e salvo.
Mary… lei era davvero stravagante, si poteva dire che fosse lo spirito spensierato del gruppo – ma non mi era indispensabile come Garry lo era diventato per me. Lei era il vero labirinto, il vero enigma – decifrare i suoi pensieri era più complesso che trovare il passaggio per tornare al mondo reale.
«Ehi Ib...» mi chiamò Mary, interrompendo bruscamente i miei pensieri. «Posso farti una domanda?»
Alzai lo sguardo e annuii.
«Garry è... tuo padre?»
Colta alla sprovvista da quell’insolita domanda, risposi solo dopo una breve pausa: «No».
«Mm, quindi tuo padre è qualcun altro...» borbottò, «Capisco».
Ripresi a camminare normalmente, un po’ distratta dai mormorii incomprensibili di Mary.
«Sai perché hai gli occhi scarlatti, Ib?», mi sorprese di nuovo, all’improvviso, la sua voce.
Sarebbe potuto sembrare strano ma, sentire il mio nome pronunciato così, sempre con lo stesso tono stridulo ─ quasi come se si trattasse dell’audio di un disco che ripeteva infinite volte lo stesso punto - mi infastidiva.
«Be’» esordii, per prendere tempo. In primo luogo, non riuscii a trovare una risposta da darle – né a capire che tipo di risposta si aspettasse di sentire. «È perché la mia mamma ce li ha così» affermai.
«Oh, io ce li ho azzurri. Strano, non è così?» Scossi la testa, in evidente disaccordo, e Mary si poggiò un dito sulle labbra. «Vuoi rivedere i tuoi genitori presto, vero? Anch’io voglio uscire presto... Be’, cerchiamo di uscire insieme, ok? Te lo prometto!»
Mi aveva appena promesso che saremmo uscite assieme, senza che io facessi nulla. Avrei tanto voluto dirle che anche Garry sarebbe stato con noi, ma le parole mi si bloccarono in gola; aveva fatto tutto così in fretta, che probabilmente avrei distrutto il suo entusiasmo se le avessi detto ciò. In ogni caso, la sicurezza che avremmo ritrovato il nostro amico e che saremmo riusciti a tornare alla galleria d’arte bastava a me – non sarebbe cambiato nulla se l’avessi precisato a voce alta.
Ci fu silenzio nei successivi minuti; arrivammo al termine di quel corridoio e davanti a noi si presentò una porta scura e malconcia. Mi guardai attorno, quasi come per cercare delle vie alternative: oltrepassare quella porta solitaria, lì, al centro della strettissima parete con la carta da parati quasi totalmente scollata non mi sembrava una buona idea. Ma non c’erano altri sbocchi, se volevamo procedere dovevamo entrare lì.
Mary poggiò sicura la mano sulla maniglia, ma prima di girarla il suo sguardo si spostò su di me. Mi guardò dritto negli occhi. «Staremo insieme? Promesso?» disse, come per cercare una conferma di ciò che mi aveva detto poco prima.
Tese l’altra mano e l’avvicinò alla mia.
«Certo che sì, Mary…»
Lei allora afferrò la mia mano destra, per poi girare la maniglia e spingere la porta. Sembrava che potesse cadere a pezzi da un momento all’altro mentre Mary la spalancava. Per nostra fortuna, resistette, ma questo non bastò a rassicurarci: il cigolio che l’accompagnò non ci convinse per niente.
Arrivammo in una camera notevolmente piccola, ma non avemmo abbastanza tempo per guardarci intorno e capire dove fossimo che le luci del corridoio appena attraversato si spensero una alla volta, dalla più lontana alla più vicina.
«Che... su-succe-e-de?» chiesi; si poteva facilmente avvertire una marcata nota di terrore nel mio tono di voce.
Mary non rispose. Alla fine, non rimase neanche una delle pallide luci giallastre del corridoio. E quelle, che illuminavano anche la camera in cui eravamo appena entrate attraverso la porta, ci avevano lasciato sprofondare nel buio totale.
«Mary?!» chiamai disperata, non sentendo più la sua gelida mano sulla mia.
Niente.
Udii dei passi. In quel momento di confusione, non riuscii a capire se si stessero avvicinando o allontanando, così come non ero sicura fossero i passi di Mary. Erano più pesanti e rumorosi.
Pochi secondi e... Tic! La luce tornò grazie a una lampada cremisi che giaceva su un comodino per metà distrutto. Non avevo la minima idea di come avesse fatto, ma Mary aveva trovato il pulsante per accenderla – tirai un sospiro di sollievo. L’unica cosa ancora completamente intatta in quella stanza era forse la lampadina, che luccicava come se fosse nuova di zecca; e invece, guardandomi intorno, dovetti ricredermi: la stanza dalle pareti blu notte era tappezzata di quadri. Erano, in realtà, tante copie dello stesso quadro; “La Donna in Rosso”... con la quale avevamo già avuto in precedenza spiacevoli incontri.
In quel momento sembrava che gli occhi dipinti di ognuna di queste stessero fissando insistentemente me. Pareva potessero fuori dalle loro cornici da un momento all’altro, pronte ad attaccare.
Al centro della stanza c’era un grande tappeto di un bianco sporco con dei disegni astratti ricamati di colore azzurro. Era impolverato, e dall’aspetto sembrava anche piuttosto vecchio. Lo osservai a lungo, ma non riuscii a comprendere i soggetti dei disegni azzurri. Molto probabilmente anche quello era un’opera di Guertena: non ero mai riuscita a comprendere la sua arte. “Ogni pennellata ha un suo significato”, mi aveva detto la mamma prima di arrivare alla galleria d’arte, quella mattina. All’inizio non avevo ben capito cosa intendesse, ma in quel momento mi era sembrato tutto molto più chiaro.
«Cos’è successo? Perché le luci si sono spente?» disse Mary, tornando al mio fianco.
Scossi la testa: «Non lo so, ho paura». Sospirai, «Almeno abbiamo trovato quella lampada».
Mary sorrise e si guardò attorno; io sentii uno scricchiolio, e istintivamente mi voltai. Il mio cuore batteva forte contro il petto, ero terrorizzata: la porta dietro di noi era chiusa, e la maniglia era caduta a pezzi. Mary non l’aveva ancora notato, e decisi che per il momento non gliel’avrei comunicato: chissà come avrebbe potuto reagire.
La bionda mi poggiò una mano sulla spalla per poi tirarmi bruscamente indietro, e subito pensai che avesse scoperto da sé il nostro attuale stato di prigionia. Ma prima che potessi dire qualsiasi cosa, lei lesse ad alta voce una targhetta: «Guarda! C’è scritto “Non calpestare il tappeto”».
«Oh...»
Ci trovavamo in un vicolo cieco?  Non c’erano vie d’uscita. Cosa avremmo dovuto fare? Ben presto la mia domanda ebbe risposta, quasi come se quella stanza avesse ascoltato i miei pensieri e avesse deciso di aiutarmi.
In quel momento, proprio davanti ai nostri piedi, comparve una scritta in pittura bianca: “Volete uscire? Allenate bene l’occhio, vi servirà. Passare tutta la vita in questa stanza in cerca della soluzione potrebbe essere divertente... Potreste non far caso al tempo che passa.
Qual è davvero?
…Se si poteva definire aiuto, questo. Era solo l’ennesimo enigma. Come se quelli precedenti non fossero bastati a fare incrementare la mia paura di non riuscire a trovare una soluzione, di rimanere rinchiusa qui, senza più alcuna traccia di speranza.
«Qual è davveroAllenare l’occhioNon far caso al tempo che passa… C’entrano qualcosa tutti questi quadri, secondo me...» pensai a voce alta.
«Cosa significa? Oh, ho capito! Ho capito!» gridò Mary, eccitata. Al contrario di me, non sembrava poi così tesa dopo aver letto quel messaggio. Non sarei mai riuscita a capire come facesse a restare tanto raggiante. «Dobbiamo trovare il dipinto originale in questa stanza, quello reale».
Pensai l’impresa fosse impossibile, ma cambiai il mio pensiero quando la ragazzina pronunciò la parola ‘reale’. Certo, se intendeva letteralmente ‘reale’, allora l’avremmo riconosciuta subito: bastava solo che si staccasse dal muro, da brava “Donna in Rosso”, e ci rincorresse per aggredirci! Facile, no?
Forse la mia paura era troppo grande... Non ce l’avrei fatta ad indagare tranquillamente sui quadri senza provare una profonda angoscia.
E, forse, Mary era troppo tranquilla. Troppo allegra per essere una bambina perduta ritrovatasi chissà come in quest’inquietante luogo senza essere sicura di trovare una via d’uscita.
“Sei troppo paranoica, Ib” mi rimproverai. In quel momento la ragazzina mi rivolse nuovamente la parola, risvegliandomi dai miei pensieri: «E tu che fai, non cerchi? Vieni, dai! Se siamo in due a cercare faremo più presto».
Accennai un “sì” insicuro. Inutile dire che non ero per niente convinta di trovare realmente una soluzione; quella scritta lasciava intendere che si trattasse solamente di un trabocchetto, un trucco per renderci prigioniere di quel posto per l’eternità, una trappola. Avrei dato qualsiasi cosa per avere almeno Garry con noi... qualsiasi.
Cominciai a girovagare per la stanza, osservando uno a uno i ritratti presenti sulle pareti. Inizialmente lo facevo con attenzione, grazie anche a quel pizzico di perseveranza che Mary mi aveva trasmesso con le sue parole di incoraggiamento. Però finii pian piano per perdere il mio ritmo: ormai saltavo più di due o tre dipinti alla volta, e il controllo sugli altri era più che superficiale. Ero sfinita, e allo stesso tempo sorpresa del fatto che non fossi ancora impazzita a furia di cercare qualcosa per poter controllare i quadri posti più in alto: la stanza era piccola, sì, ma il soffitto era altissimo. E i ritratti della “Donna in Rosso” erano ovunque sulle pareti.
Così attraversai a ritroso la montagnetta di oggetti che avevo raccolto in quella stanza e che avevo assemblato in modo da usare come una scaletta. Mi sedetti per terra, con la schiena appoggiata alla porta bloccata; appena le mie mani entrarono a contatto con il pavimento, rabbrividii. Era gelido e... bagnato.
La mia mano era appena affondata in una macchia di vernice trasparente, dai riflessi azzurrini, che si vedeva appena sopra al di sopra del pavimento blu. Al tatto sembrava acqua, ma quando realizzai cosa fosse ritirai subito la mano e mi alzai in piedi, allarmata.
La vernice non si limitava a una goccia, ma si era formata una vera e propria scia. Osservai il palmo della mia mano: la pittura stava scomparendo a vista d’occhio. «Cosa...?»
La scia portava fino alla parete opposta e ci si arrampicava fino ad arrivare sopra a uno dei dipinti. Mi avvicinai per vedere meglio: la vernice proveniva dagli occhi del soggetto. Il quadro stava... piangendo?
Dagli occhi di una “Donna in Rosso”, di quella “Donna in Rosso”, stavano grondando gocce di vernice. Non avanzai di un altro millimetro. Il mio cuore aveva preso a battere due volte più in fretta del normale, ma mi ci ero quasi abituata.
Quel suono, quel gioioso suono di una serratura che viene girata, di un lucchetto che si apre... era tornato. Non era mai piaciuto alle mie orecchie, quel rumore - ma in quel posto, qualsiasi cosa fosse, avevo imparato ad adorarlo.
Esso preannunciò il movimento dell’elaborata cornice dorata del quadro, che si staccò dalla parete e si aprì a mo’ di porta.
«Cos’è stato?» sentii la voce di Mary dalla parte opposta della stanza, che si era voltata appena sentito il suono. Non ci volle neanche un secondo perché lei notasse il quadro e corresse nella mia direzione, con un sorriso largo fino alle orecchie: «Ib, è geniale! Come hai fatto?»
Be’ , bella domanda! Era successo e basta. Forse era stato sotto ai nostri occhi per tutto il tempo e non ce n’eravamo accorte. «Non lo so...»
«Prendiamo quella roba e saliamo!» disse Mary, indicando le cose che avevo utilizzato per arrivare ai quadri più in alto. Annuii e l’aiutai a trasportarle su quella parete; salii in cima alla pila e tesi la mano a Mary per aiutarla a raggiungermi più in fretta. Avevamo dovuto stringerci il più possibile per oltrepassare la cornice del quadro, che però ci portò a un corridoio illuminato e decisamente più spazioso rispetto agli altri. Avevamo sentito che tutti gli altri quadri si erano schiodati dalle pareti, si stavano avvicinando, si trascinavano verso di noi con le loro enormi mani; questo ci aveva motivate a fare in fretta e chiudere la cornice dietro di noi per bloccare quell’orda di ritratti che voleva raggiungerci.
Ci eravamo quindi ritrovate ad attraversare quel percorso di cui non si vedeva la fine ─ senza neanche la sicurezza che ce ne fosse una. Ai miei occhi era solo una delle tante scorciatoie tra una stanza e l’altra di questo posto; non c’era ancora neanche un accenno alla risposta ad una semplice domanda: e adesso, dove sono? Ma, tutto sommato, ero un po’ più felice per essermi finalmente lasciata alle spalle quella minuscola stanza blu notte.
Mary afferrò il mio polso e l’agitò per richiamare la mia attenzione, poi indicò dritto davanti a me: «Guarda Ib, scale!». Sembrava tutto così bello, se solo ci fosse stato Garry ad esultare con noi… Forse quelle scale portavano a lui?
Ma erano più lontane di quanto pensassi, probabilmente a causa della mia stanchezza non avevo calcolato per niente bene le distanze quando Mary mi aveva mostrato quegli scalini. Erano minuti che camminavamo, camminavamo, camminavamo, senza distogliere lo sguardo dalla scala che avevamo proprio davanti a noi.

 
***

Mary si spazientì prima di me, aveva uno sguardo accigliato e aveva cominciato a camminare più rapidamente. «Dài, dài…» borbottava nervosamente tra sé e sé. Poi, aveva preso a correre: «Quand’è che finisce questa strada?!» si lamentò, ma era più che giustificata.
Non avevo “sbagliato a calcolare le distanze”: quel corridoio non aveva fine!
 
***

Un grido. Una voce maschile ma acuta, spaventata. E poi silenzio totale.
Anche Mary, che fino a qualche secondo prima stava borbottando altre lamentele, si zittì completamente. Mi voltai e poi guardai il soffitto: la voce proveniva da qualche piano più alto di quello in cui ci trovavamo io e Mary; mi misi in ascolto, ma il silenzio non sembrava volesse interrompersi.
Garry…
Tornai a guardare la strada davanti a me e, d’impulso, cominciai a correre verso quelle scale. Stavo facendo una follia, prima o poi mi sarei stancata, perché in fondo sapevo che non avrei potuto raggiungerle… Ma forse, se la voce era la sua, Garry aveva davvero bisogno di noi in quel momento. Non potevo non rischiare.
«Ma che fai?» Udii la voce di Mary alle mie spalle, e poi il rumore dei suoi passi cominciò a confondersi coi miei. Quando mi raggiunse, io mi ero già fermata e avevo appoggiato le mani sulle gambe per reggermi e riprendere fiato. «Sto fallendo, non è così? E se fosse stato Garry a gridare? Probabilmente Garry ha bisogno di noi, di me… e io sto fallendo… Perché queste stupide scale non vogliono farci passare?!»
«Ci siamo» affermò Mary, con una voce talmente ferma che per un momento parve non appartenere a lei.
Alzai lo sguardo talmente in fretta che per un po’ sentii dolore al collo, ma non me ne curai molto. Sollevai il piede destro per poi poggiarlo sul primo gradino, che ora sembrava vicinissimo a me… Ci riuscii. Fu mica il mio sforzo a permetterci di raggiungere il nostro scopo?
Vidi un foglio affisso alla parete vicino alle scale, ma non gli diedi importanza, l’avrei letto dopo; stavo per dire qualcosa a Mary, anche un semplice “ce l’abbiamo fatta”, ma cambiai idea quando vidi un sorriso quasi maligno disegnarsi sul suo candido volto.

Un essere umano non mi aveva mai inquietato così.
 














Angolo dell’autrice
Ciao a tutti!
~
Come ben saprete Ib è un RPG, per di più è lhorror che mi è piaciuto di più, quindi si può modificarne lo sviluppo come meglio si crede. Io ci ho provato con questa FanFiction, la prima long che pubblico qui su EFP, e anche se non sono molto sicura del risultato spero che possa piacere a qualcuno come è piaciuta a me, ne sarei felicissima!
Perciò ringrazio in anticipo chi leggerà o recensirà questo capitolo, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate e/o ricevere consigli: grazie a voi potrei migliorare. :3
In settimana pubblicherò il secondo capitolo ~ 

~HeartRain



 
─ EDIT 
[17/09/2016]
 capitolo riscritto e corretto + grafica migliorata 

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Capitolo 2
*** Chiave ***


Capitolo 2
Chiave


 
Bastarono pochi passi per poter leggere quel biglietto: “Le scale lasceranno passare solo in assenza di umani; nel caso un umano entri nel Mondo Fabbricato, il passaggio sarà libero dopo la sua cattura.”
Cattura… Poteva significare molte cose, ma decisamente io non ero stata ‘catturata’. Ero lì a girare per la galleria, e non me lo stavo mica immaginando di esser riuscita a salire almeno sugli scalini. Lasciai perdere, convincendomi che forse si era trattato solo di uno sbaglio.
Salii gli scalini uno ad uno, noncurante degli scricchiolii che si udivano ogni volta che il mio piede ci poggiava sopra.
Udii delle risatine. Le stesse risatine. La stessa voce.
Quando le scale terminarono, mi ritrovai – assieme a Mary che mi raggiunse qualche secondo dopo – in una lunga area dalle pareti e i pavimenti di un colore violaceo alquanto sbiadito. Mi guardai intorno, ma non riuscivo ad orientarmi – aspettavo che la voce tornasse per seguirla.
Detto, fatto. «…Vero?» Più mi avvicinavo, più la voce mi era familiare. Con chi starà parlando?
«Oh, certo. A volte, sì sì.» Diceva ridacchiando tra una parola e l'altra. Mi appoggiai alla parete da cui proveniva il suono, «Ma cosa stai-» mi stava per chiedere Mary, prima che io la zittissi con un brusco «Shhh!».
«Non si vede tutti i giorni, vero?» Più mi avvicinavo e più quella mi pareva la voce di Garry!
«Sono scappato, capisci...».
Almeno sapevo che stava bene; beh, più o meno. Non avrei dovuto esserne tanto convinta finché non l’avrei visto.
«Oh, l'adoro, ma ci vuole un po' di tempo. Ah, anche tu? Io e te andiamo d'accordo, non è così?» Stavo per fiondarmi verso la porta della camera, ma Mary mi fermò. «Che cosa fai?» le domandai, stranita.
«Arriva qualcuno!» rispose lei, allungando il collo verso l’altra parete.
Non ci voleva proprio.
Una donna alta, snella e con un elegante abito rosso stava arrivando da chissà dove e, ridendo fra sé e sé, si avvicinava alla porta.
Dovevo la salvezza della mia rosa – e quindi la mia salvezza a Mary, per avermi avvertito. Non avrei dovuto abbassare la guardia neanche per qualche millisecondo.
Prima che ella, con la sua camminata elegante quasi in punta di piedi su quei tacchi scarlatti, potesse arrivare a toccare la porta Mary si fiondò verso di lei, senza che io potessi fare o dire nulla. Mi sarebbe tanto piaciuto sapere cosa aveva intenzione di fare! Ma la donna non dava segni di aggressività verso la ragazzina, perciò – anche, soprattutto per paura, non avanzai di un passo rimanendo nascosta dietro la parete.
«Cosa stai facendo?», sentii la voce di Mary parlare con sciolta naturalezza e mi voltai per sbirciare. Sembrava così piccola in confronto a lei, ma magari erano solo i centimetri dei tacchi a fare la differenza.
«Non ti riguarda» rispose freddamente l’adulta, «Vattene, mi stai solo intralciando».
«Mi riguarda eccome! Non rovinare tutto così!» si spazientì la bionda, «Senti, se tu vuoi stravolgere tutti i tuoi – i nostri piani, a questo punto fallo e basta! Ma io non lo farò!».
Avrei potuto andare a prepararmi un po’ di popcorn per godermi la scena, ma, ahimè, dovevo cercare di capirci qualcosa anche senza.
«Vuoi uscire oppure no? Se ci tieni davvero a uscire da qui, ora devi lasciarmi fare». Mary restò in silenzio. «Hai capito?».
«Lo voglio. Avrei detto ‘più di ogni altra cosa’… Ma a differenza tua ho capito che esistono altre persone e perciò c’è qualcosa che vale ancora di più» rispose, «Io voglio uscire, è l’unico desiderio che ho sempre avuto, ma ora… In questo preciso istante… Voglio solo che tu ti fermi».
A qualsiasi cosa si riferisse, il discorso di Mary era convincente. Non importava se fino ad allora mi aveva mostrato solamente il suo lato più ‘stravagante’, se la stava cavando bene lì fuori. La donna però non sembrava pensarla allo stesso modo: quasi non stava più ascoltando Mary, «Vai via».
La congedò freddamente e Mary, rivolgendole uno sguardo pieno di disprezzo, si allontanò senza replicare nulla. Silenzio assoluto. Rimbombavano solamente i passi – non più energici e allegri come prima – di Mary.
Quando mi raggiunse, le chiesi cosa ci fosse che non andava. Lei non rispose. Le chiesi spiegazioni; lei non rispose, ancora e ancora.
Certo, poteva essere un po’ fastidiosa quando mi assillava con le sue innumerevoli, invadenti domande, ma ora che era in silenzio era ancora peggio.
Camminava per non-si-sa-dove, e io la seguivo; spiaccicò parola dopo parecchi minuti, che a me parvero secoli, con un: «Hai sentito qualcosa, prima?».
«No…» mentii, «Avrei dovuto?».
Mary scosse delicatamente la testa, e piccoli ciuffetti di capelli dorati si scontrarono contro le sue guance. Ora sembrava un po’ meno ‘assente’ rispetto a prima, così decisi di provare a esporle i miei dubbi; «Dove stiamo andando?».
«Non lo so».
«Non è meglio se torniamo indietro?» domandai, confusa e disorientata. «Non voglio perdermi».
«Fidati di me».
Annuii, «Mi fido».

***
 
Per un secondo ebbi paura, quando sentii qualcosa di spesso e duro sotto i miei piedi, così indietreggiai e mi chinai per vedere cosa avessi pestato. «Ho pestato un album».
Mary si voltò nella mia direzione, e aggrottò la fronte prima di avvicinarsi e chinarsi a sua volta per raccogliere l’oggetto; passò una mano sulla copertina per scacciare via la polvere, dopodiché disse: «Ib, è il mio album dei disegni, questo! L’hai stropicciato tutto!».
«Uhm… Scusami, non volevo. Come mai è qui per terra?».
«Io… Io l’avevo portato con me quando sono venuta alla mostra. Poi… Beh, poi l’ho perso quando sono arrivata qui» rispose indecisa, esitante. «Ho ancora con me i pastelli a cera, magari qualche volta ci disegno ancora» aggiunse, dando qualche colpetto alle tasche della sua gonna.
«Oh… Ok, d’accordo».

***
 
Quando Mary decise di prendere le redini della nostra conversazione, che dopo il ritrovamento del suo album si era interrotta bruscamente, eravamo già sulle scale che portavano da Garry.
«Aspetta, Ib».
«Sì?»
«Forse è meglio se ci fermiamo qui e aspettiamo. Quella donna potrebbe essere ancora lì».
Io annuii e mi sedetti per terra, con le spalle contro il muro scuro e freddo: evidentemente lei ne sapeva molto più di me di questo posto. «Mary, a proposito di quella donna… chi è?».
La bionda evitava il mio sguardo. Evitava di parlare. Evitava di rispondere, ma aveva ceduto: «Lei è la Donna in Rosso».
«E com’è che la conosci?»
«N-non la conosco! Stavo solo… Ecco… Ho letto in quegli strani libri delle cose su di lei...» mentii lei. Io feci finta di niente, sapevo che ciò che stava dicendo non era vero: la donna non avrebbe saputo il nome di Mary se davvero non l’avesse conosciuta. Anche se nella mia mente erano già sorte molte domande, ero certa che Mary fosse un’umana; l’avrà incontrata prima di vedere me e Garry!  Era l’unica spiegazione logica; se facesse parte di questa galleria mi avrebbe già fatto del male da tanto... no?
«Vai avanti» le dissi.
«Beh, ho letto che lei… È lei che comanda sugli altri, qui; e se incontra degli umani, li intrappola»
«Ma con te non l’ha fatto»
«Beh… Lei… Ha detto che lo farà se non usciamo da sole»
«L’ha detto?».
Un’altra bugia. Mary annuì e io continuai a fingermi ignara di tutto, prima che lei mi sorprendesse con un’altra frase: «Ho letto anche che in questo posto c’è una camera che contiene tanti oggetti, tutti utili per scopi differenti: se trovassimo la chiave potremmo trovare cose interessanti»
«Immagino di sì, ma dove dovremmo cercare? Non sappiamo neanche dove sia quella stanza»
Mary poggiò il suo dito indice sulle labbra, e cominciò a pensare. Ma appena cominciò a parlare, delle scritte apparirono sulla parete dietro di noi: le lettere erano di pittura fresca, e gocciolavano fin sul pavimento.
Sussultammo e ci avvicinammo per leggere: “NON RIUSCIRETE NEL VOSTRO INTENTO”.

Okay. Incoraggiante.










Angolo autrice
Ciao a tutti! :3
È passato un po' di tempo dalla pubblicazione di questo secondo capitolo, quindi scusatemi, avevo scritto che l'avrei pubblicato in settimana e non l'ho fatto. ç_ç
Spero che il capitolo vi sia piaciuto in ogni caso! c:
Grazie a chi leggerà o recensirà!
A presto! :3

~HeartRain

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Capitolo 3
*** Allo scoperto ***


Capitolo 3
Allo scoperto


 
Cosa stava succedendo alla mia vita? Beh, non lo sapevo neanche io.
Avevamo deciso che forse la via era libera, che Keiko aveva lasciato quel piano e quindi potevamo passare. Gli scalini su cui passare pe arrivarci non erano poi molti, ma Mary li fece sembrare infiniti con le sue innumerevoli paranoie: «E se fosse ancora lì? E se ci vedesse? Oh, saremmo fritte. E se non trovassimo la chiave?! E se ce l’avesse davvero Keiko? SAREMMO FRITTE!».
Secondo me, l’ipotesi più ovvia era proprio l’ultima: se era la Donna in Rosso il ‘capo’ di questo posto, allora chi altro avrebbe potuto avere la chiave? Non avrebbe avuto molto senso che fosse stata lasciata in giro la chiave di una stanza così importante. Forse essa era stata nascosta – il messaggio che avevamo letto non ci lasciava molte speranze –, ma di certo non perduta.
Non esposi i miei pensieri a Mary: era già abbastanza preoccupata, non volevo mica darle la certezza che saremmo presto diventate frittatine per quadri affamati.
Arrivammo al piano superiore – era vuoto. Keiko era andata via. Appena Mary me lo disse, io corsi verso la camera dove in precedenza avevamo sentito la voce di Garry.
Quella era la sua voce, sì, ma non era lui. Il Garry che conoscevo era diverso.
Alzai le mani per arrivare alla maniglia, e intanto la mia amica mi raggiunse; la girai più e più volte, ma non dava segni di movimento. Eppure, prima di vedere la Donna in Rosso ero sicura che fosse socchiusa; che lei l’avesse sigillata?
«È bloccata. E ora?» intervenne Mary.
«E se la chiave per quella stanza fosse lì dentro?» risposi io, «Dobbiamo entrare, Mary – per Garry» affermai, lasciando che la mia mano scivolasse lungo la superficie della porta.
«Questa è la stanza delle bambole, Ib… È pericolosa…»
«Garry è lì dentro. Non importa quanto rischiamo per aiutarlo: non si abbandonano così gli amici»
«Ma Ib, anche se riuscissimo ad entrare rimarremo intrappolate!»
«Mary, lui ha aiutato anche te. Gli devi la vita», Mary abbassò lo sguardo. «Non dobbiamo aiutarlo ora, non possiamo. Dobbiamo trovare la soluzione, e tutto ciò che ci serve è nelle mani di Keiko. A quel punto torneremo qui e salveremo Garry, ma non lo abbandoneremo. Vedrai che ce la faremo se restiamo insieme. Ce l’abbiamo sempre fatta».
«Ma ora come facciamo? Non possiamo avvicinarci a lei»
«Quando la vedremo ci inventeremo qualcosa...»
Sembravo così sicura. Però, se Mary avesse saputo quanti dubbi e paura avevo in realtà, non mi avrebbe proprio ascoltata.
Intanto decidemmo di esplorare il piano, visto che non ne avevamo avuto l’occasione prima. Magari avremmo potuto ricavare qualche informazione utile; non sapevo neanche di che tipo, però… forse… forse qualcosa di non completamente inutile c’era.
Arrivammo in una stanza piena di librerie; questo mi ricordava i pomeriggi interi passati a leggere i miei libri preferiti, per poi immaginare cosa sarebbe cambiato se ci fossi stata anch’io nella vicenda. In quel momento ero proprio come una di quelle eroine audaci e ostinate a ‘risolvere tutti i problemi’ che si presentavano durante la loro avventura – solo che io ero molto più vulnerabile lì, senza Garry e con lo sguardo di centinaia di quadri puntato addosso.
La camera era divisa in due parti: per riuscire ad analizzare di più, proposi a Mary che lei controllasse gli scaffali a sinistra e io quelli a destra. Mary voleva che andassimo entrambe a sinistra, ma io affermai che c’era bisogno di leggere il più possibile.
Mi incamminai verso le librerie a destra, e sentii dall’altro lato le lamentele di Mary. Diceva che non le andava di restare in quella stanza, che voleva uscire, ma io le rispondevo sempre che avremmo potuto trovare qualcosa di interessante.
Osservai il quadro sopra i libri, di dimensioni ridotte e rappresentante un soggetto insolito: “Orecchio sforzato”. Che strano! Certo, non che tutti gli altri quadri fossero meno inquietanti.
Cominciai a leggere ciò che mi attirava di più – gli scritti restanti erano solo libri di testo. La prima cosa che mi saltò all’occhio fu “Teorie su questo mondo”: “Con un commercio di esistenze, l’immaginario può essere reso realtà”.
Non ci capii molto, non riuscivo a comprendere appieno il significato di alcune parole e della frase stessa, così passai avanti. Sugli altri scaffali non c’era nulla di utile, tranne su uno a destra del quadro, dove trovai un libriccino intitolato “Opere di Guertena collezionate”: conteneva i titoli e una didascalia per ogni quadro, in ordine alfabetico. Non partiva dalla A, perciò era un ‘seguito’ per il libro che avevo letto in precedenza assieme a Mary, al piano di sopra. Lessi le descrizioni alcuni quadri senza un ordine preciso, “Spirito del Serpente”, “L’Uomo Appeso” e caso volle che finissi sulle pagine della lettera M.
“Mary” era il titolo del quadro di cui si parlava.
Il mio cuore si fermò per un secondo. Gli occhi sbarrati. Oh, ma dai, non c’era bisogno di allarmarsi così tanto. Ovviamente si trattava di una coincidenza! Mary era un nome comune dopotutto… Allora perché continuavo a sentirmi dannatamente confusa?
Deglutii e lessi la didascalia, con le mani che mi tremavano: “L'ultima opera in assoluto di Guertena. Sebbene la ragazza sembri quasi vivente, naturalmente non è basata su una persona vera”. Non sapevo se sarei riuscita a girare pagina e restare indifferente a ciò che avrei visto.
Dall’altro lato, Mary mi chiese cosa stessi leggendo, così concentrata e silenziosa. Non ricevendo risposta, si avvicinò di corsa: «Ib!». Voleva togliermi via ciò che stavo leggendo dalle mani, ma ormai era troppo tardi.
Avevo già voltato pagina. Avevo già visto l’illustrazione del suo quadro: una bambina allegra e sorridente, con un abito verde mirto ornato con un colletto bianco ricamato e un fazzoletto azzurro, dai capelli dorati e gli occhi azzurri, circondata da un roseto di fiori gialli.
Il libro scivolò per terra, provocando un tonfo… E poi il silenzio. Mary aveva lo sguardo a terra, e numerose ciocche di capelli a coprirle la faccia. Non l’aveva letto, tutto quello che sapeva sulla Donna in Rosso. Non l’aveva letto, tutto quello che sapeva sulla camera che cercavamo.
Voleva che andassimo a sinistra perché sapeva che su queste pagine c’era tutta la verità, tutto ciò che lei mi aveva nascosto.
Eppure non mi aveva mai fatto del male. Anzi, sembrava si fosse affezionata a me, mi aveva promesso che saremmo uscite insieme da questo posto! Ci eravamo promesse che saremmo uscite assieme da tutto questo, che saremmo rimaste amiche.
Quando alzò lo sguardo, i suoi occhi erano socchiusi e le sue guance rigate dalle lacrime. Coprì il suo viso con le sue mani pallide: «Ib… Non mi abbandonare, Ib... Sei l’unica amica che ho… L’unica persona… che mi abbia mai fatto ca-capire cosa significa non essere sola…»
Si fermò un momento e prese un lungo respiro: «La Donna in Rosso ha voluto che tu entrassi qui, e io… io ne ero felicissima perché aveva detto che saremmo uscite assieme, io e te… e che saresti stata come mia sorella… Ma lei… lei mentiva!». Cominciò a singhiozzare.
«Lei voleva che tu restassi qui… per sempre… con lei… Ma io non voglio che tu sia infelice! Voglio che tu esca… con me… e con Garry… Non voglio andare via e lasciarti qui a marcire come me…»
Non l’avevo mai vista così disperata. Si stava liberando di tutti i pesi che portava sulle spalle, dalla sua bocca stava uscendo tutta la verità, tutto ciò che aveva nascosto per non rischiare di soffrire ulteriormente.
Feci un passo verso di lei. Un passo indeciso, tremante.

Avrei detto che non mi sarei mai fidata di un quadro, ma non volevo abbandonare un’amica.






Angolo autrice
Ciao! :3
Sì, lo so, ho aggiornato in ritardo çwç Spero che questo terzo capitolo vi piaccia in ogni caso (anche se è corto ;w;)!
Ci tenevo a ringraziarvi, perché negli ultimi giorni la storia sta ricevendo moltissime visite! Davvero, grazie, grazie mille! ~
Volevo ringraziare specialmente Cacciatrice di Risate per aver recensito, Hillarity, Cacciatrice di Risateuomi_himeLilith_of the nightZedd, Becky313 e FullMoonEris per aver inserito la FF tra le seguite, infine Andre1911 e Shoun12 per aver inserito la FanFic tra le preferite! 
Ancora grazie di cuore
Come sempre, segnalatemi gli errori e, se vi va, datemi un vostro parere sul capitolo. c: Grazie ancora (quanto sto ringraziand-) a chi leggerà o recensirà! 
Un abbraccio, a prestoh!

~HeartRain

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Capitolo 4
*** Il passato di Ib ***


Capitolo 4 - Il passato di Ib

Mi strinse ancora più forte.
«Non avere paura di me, Ib, sei l'unica amica che ho...» 
«Non ho cattive intenzioni... voglio solo che tu continui ad essere davvero mia amica.» Concluse e mi guardò; aveva il viso rigato dalle lacrime.
«Siamo amiche, noi due. E gli amici non si abbandonano mai.» La rassicurai.
«Ib, tu ti fidi ancora di me?»
«Sì, Mary... mi fido di te.»
Essere così legati con un quadro è strano ma, per me, Mary è come una bambina vera.
Per questo non sono fuggita da lei, perché se fosse pericolosa, non sarebbe mai voluta essere mia amica.
Lei vuole uscire, ed io l'aiuterò, gliel'ho promesso: usciremo!
E troveremo il modo per tornare nel mondo reale in tre, io, Mary e Garry, insieme.

In fondo, Mary era stata, in quel poco tempo, un'amica migliore di quelle che avevo a scuola.
Le porsi il mio fazzoletto, per farle asciugare le lacrime, ma lei lo respinse.
«Non ce n'è bisogno! Non sprecare il fazzoletto per questo, conservalo!»
«D'accordo...» E lo riposi. «Vorrei continuare a sfogliare questo libro, chissà, magari potrò trovare qualcosa di interessante.» Conclusi.
Alla sezione I, c'era "Il pescatore", ma non c'era nessuna informazione utile.
Nella sezione O, c'era "Occhi Scarlatti", con la seguente descrizione: "Si dice che Guertena abbia dipinto questo quadro cercando di ritrarlo ad immagine e somiglianza della Donna In Rosso, ma ad un'età molto diversa."
Spalancai gli occhi, avevo paura di girare la pagina, dove avrei trovato la fotografia stampata del quadro.
Difatti, all'altra pagina si presentò ciò che non speravo di vedere, che mai avrei immaginato, ma non ebbi tempo di realizzare quello che avevo osservato che Mary mi trascinò via.
Io riuscii a prendere il libro, tenendolo con me: più avanti avrei voluto rivedere quella pagina.
«Andiamo via di qui, non siamo al sicuro a questo piano...per favore, andiamocene!»
Disse Mary, dopo avermi fatta bruscamente uscire da quella stanza.
Sembrava tesa, quella camera non le piaceva proprio...
Forse non vuole che io scopra... ancora di più?
No, devo smetterla, io mi fido di lei.

Quanto era strana quella situazione.
Eppure non avrei neanche immaginato che sarei arrivata a diventare amica di un quadro, a scappare da ritratti e sculture, insomma... pensavo di assistere ad una normale mostra d'arte, invece mi ritrovo qui, in questo mondo che pensavo fosse solamente della pittura su tela.
D'improvviso, proprio quando stavamo uscendo da lì, una bambola blu dagli occhi rossi1 si avvicinò a noi ─ tirò debolmente il vestito di Mary, per attirare la sua attenzione.
«Co-cosa c'è?!» Mary si girò, sotto il mio sguardo curioso.
«Volevo solo avvisarti che Ib ci ha ordinato di rinchiudere un umano. L'abbiamo fatto, ed ora starà lì per sempre
Ora sul viso della ragazza c'era un'espressione di confusione.
«Perché me lo dici?»
«Perché quell'umano l'ho riconosciuto. È il tuo amico!»
La bionda, per istinto, si girò verso di me, dopo avermi sentita esprimere la mia paura: «Garry... Garry sarà in trappola... per sempre... sempre...»
Era tutto ciò che non avrei voluto sentire.
«Sono uscito prima che Lei sigillasse la porta, ma non so come tornare dentro!» Affermò la bambola.
«Non è un problema, questo. Piuttosto, fa' che Ib non mi trovi...» 
E, senza spiegare nulla alla bambola, io e Mary ci allontanammo.
«Ib... non ti devi preoccupare, sta bene.» Cercò di rassicurarmi lei, ma senza successo.
Annuii, per farle capire che stavo bene, anche se in realtà non era così.
Di certo avevo legato di più con Garry, tanto da considerarlo ormai un fratello: mi ha subito aiutata, sempre confortata, mai abbandonta... e ora, però, rimpiango di averlo lasciato andare ad esplorare le altre stanze da solo, quando per colpa delle rampicanti di quel quadro2 abbiamo dovuto separarci.
Dimenticai di avere con me quel libro e di aver a disposizione spazio e tempo per ritrovare e leggere quella pagina, nonostante lo stessi costantemente portando con me ovunque.
«M-Mary, perché andiamo via anche ora che sappiamo di Garry?» Chiesi.
«Uff! È da tantissimo tempo che facciamo avanti e indietro!»  Sembrò non volermi dare ascolto.
Così cambiai io direzione, anche a costo di farlo da sola, io sarei tornata lì e avrei salvato Garry.
Feci per uscire, quando, come mi aspettavo, Mary mi raggiunse senza dire nulla.
Uscimmo insieme, ed arrivate davanti a quella porta, io e Mary non sapevamo che fare.
Provammo a rompere il lucchetto, a bussare, a sfondare la porta - ovviamente, era palese che non avremmo mai potuto sfondare una porta, poiché, per la nostra età, non riuscivamo neanche a spostare un manichino - , ma nulla funzionò.
«La stanza delle utilità non l'abbiamo trovata, per questo, Ib, non possiamo sapere come aprire la porta!»
Perché non l'aveva detto subito? 
Con tutto ciò che era successo, avevo completamente dimenticato di dover cercare la chiave di quella camera.
Stavamo per allontanarci, quando si udirono dei passi ─ erano già troppo vicini, quei passi, per potergli sfuggire.
***
Il buio.
Il buio dominava quella camera ignota in cui mi trovavo.
Aprii gli occhi, trovandomi seduta per terra in un posto a me sconosciuto.
Senza il minimo accenno di luce, non potevo distinguere nulla, nè potevo sapere se in quella stanza, oltre a me, ci fosse qualcuno.
Non mi muovevo, pensavo solamente che, ancora una volta, era successo tutto troppo in fretta.
«Mary? Sei qui?» La chiamai, ma senza ricevere risposta.
«Mary, non è il momento di scherzare, questo.»
Lei non c'è.
«Garry...?»
Neanche lui.
«Bentornata.» Non fui io a parlare.
Un brivido mi attraversò, a quanto pareva non ero affatto sola.
La stanza s'illuminò all'istante.
«T-tornata?» Domandai, vedendo una figura avvicinarsi.
«Mary non te ne ha parlato?»
Davanti a me c'era una donna alta, con un abito rosso, la riconobbi: era La Donna in Rosso.
E vedendo la mia espressione confusa, lei mi spiegò tutto, dopo essersi comodamente seduta.
«Ti spiegherò tutto con calma.
Nove anni fa, in questo posto arrivasti tu.
Il tuo quadro si presentava immacolato e tu, il soggetto, raffiguravi me da bambina, per questo eri come mia figlia.» Ella si aspettò una mia reazione, che però non arrivò, così continuò a spiegare.
«Già, lo eri e lo sei ancora. Su quel libro che porti con te, c'è sempre stato scritto tutto.»
Così lo aprii alla pagina di cui avevo interrotto la lettura precedentemente, e trovai la fotografia del mio quadro.

Era vero, quella donna non mentiva.

Il quadro raffigurava proprio me, attorno ad un immenso cespuglio di rose rosse.
Avevo una gonna rossa sotto ad una camicetta bianca e setosa; legato al colletto di essa, indossavo un fazzoletto rosso, ero proprio uguale alla foto del quadro.
Avevo tra i capelli una rosa scarlatta come i miei occhi, talmente bella da sembrare irreale.

Guardai la persona che avevo davanti e mi venne spontaneo dirle: «Io ho già una mamma...nel mondo reale, tu non puoi esserlo.»
«Hai detto bene, hai una madre. Una madre ch'è anch'ella un quadro, ricordi? L'avrai pur dovuto vedere, il suo ritratto.3» Spiegò.
Ma come?! Vuol dire che sono un quadro e ho vissuto con altri ritratti tutto il tempo?
«E lei riuscì ad uscire, portò te con lei, senza dire nulla a nessuno... proprio il giorno in cui te ne andasti, arrivò Mary, l'ultimo ritratto in assoluto di Guertena.
Tua "madre" non prevedeva che ti avrei fatta tornare e restare qui, per sempre.» Continuò.
«Cosa? No, io non voglio! Voglio uscire di qui con Garry e Mary!» Esclamai spaventata.
«Non è possibile.» Disse sghignazzando. 
«Dal mondo reale sono entrate qui due persone, tu e un altro tipo dai capelli viola, due persone, quindi possono uscire solamente due persone... una di quelle non sarai tu.
Quasi dimenticavo, è questa la stanza delle utilità.»

Rimasi basita.
Non m'importava di aver raggiunto quella camera.
In quel momento volevo solo riabbracciare Garry e Mary, nulla di più.
In quel momento avrei voluto fuggire insieme a loro, tornare e non venire qui mai più.
Scappare, liberandoci di tutto questo.


-


Note:
1. Di solito, nel gioco, Ib non vede le bambole blu come sono davvero, ma sottoforma di coniglietto; qui, però, Ib li vede nella loro forma per... un motivo che scoprirete più avanti: non voglio fare spoiler!
2. Ad un certo punto, nel gioco, quando Mary, Ib e Garry sono insieme, si può vedere un quadro intitolato "Fiori di gelosia", dal quale, poi, compariranno delle rampicanti di pietra che divideranno il trio.
3. In una stanza del gioco, Ib e Garry vedono un quadro raffigurante proprio i genitori della bambina. Qui ho voluto cambiare un po', rendendo solamente la madre di Ib un quadro e non anche suo padre, anche questo per un fatto che si evolverà più avanti nella storia.


-

Angolo autrice
Ciao a tutti! ^^
Stavolta ci ho messo ancora più tempo ad aggiornare, quindi vi chiedo nuovamente scusa! ç_ç
Come avrete probabilmente notato, ho cambiato la grafica di tutti i capitoli, così la lettura può essere più facile - poiché ho ingrandito i caratteri - e... adoro il carattere georgia, non c'è altro da dire. *^*
In ogni caso spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate. :)
Grazie mille a chi segue la storia, a chi l'ha recensita e a chi l'ha semplicemente letta in silenzio, spero di poter pubblicare un nuovo capitolo in poco tempo.
Baci ♥

~HeartRain

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Capitolo 5
*** L'addio ***


Capitolo 5 - L'addio
 

Mia "madre" mi aveva tenuto nascosta la verità, in tutti quegli anni... perché?
Intanto quella stanza buia s'era illuminata, quindi si poteva vedere che era totalmente vuota.
Le decorazioni erano pressochè inesistenti, e la fonte di luce che illuminava tutto era ignota; c'erano solamente lo sgabello su cui siedeva La Donna in Rosso, la poltroncina su cui, invece, io mi ero accomodata e una porta con una chiave rossa inserita nella serratura, quella che io e Mary cercavamo.
Avrei potuto aprirla facilmente, ma c'era La Donna in Rosso a controllarmi.
Sul viso di ella c'era un'espressione indecifrabile, ma di certo non molto gentile.

Cominciava a fare freddo, un freddo fastidioso, così mi venne in mente il camino di casa mia.
D'inverno stavo sempre accucciolata di fronte a quel camino, solo per il piacevole calore che emanava.
Improvvisamente nella camera apparve la copia esatta del camino a cui stavo pensando.

Cosa?!
Sì, forse avevo compreso la funzione della camera delle utilità: ciò di cui abbiamo bisogno compare quando abbiamo bisogno, lì.
L'aria s'era fatta decisamente più piacevole.
La Donna in Rosso, avendo notato ciò che era appena apparso, si girò verso di me chiedendomi: «Hai freddo?»
«Ora sto bene... non devi preoccuparti Ib.» Le risposi chiamandola per nome, ma senza guardarla in viso.
«Puoi chiamarmi mamma
Ho sentito male?
Non sapevo cosa risponderle, così annuii: non volevo dire stupidaggini, nè volevo dirle qualcosa che avrebbe potuto darle la convinzione che io non avrei tentato di scappare da lei.
Io non capivo, non capivo se diceva la verità, se lei era davvero mia madre.
Ma, in fondo, tutto combaciava con il racconto di Mary.
D'improvviso sentimmo un forte tonfo proveniente dall'esterno e la Donna in Rosso scattò in piedi.
Ella si diresse verso la porta, chiedendo chi ci fosse al di là della porta, ma senza ricevere risposta, per poi girare la chiave aprendo la serratura e spalancando la porta.
Si ritrovò davanti due donne che io riconobbi immediatamente: quella che avevo sempre riconosciuto come mia madre e Mary.
Entrambe avevano le mani legate letteralmente, trattenute da quattro manichini senza testa, a quanto pare 'servi' della Donna in Rosso.
Mary si dimenava lamentandosi, pretendendo da quelle guardie che le restituissero la spatola.
Io, intanto, mi ero fiondata al fianco di Mary e mia 'madre' per liberarle.
Quel comportamento aveva infastidito La Donna in Rosso, che ordinò a due di quei manichini di tenere a bada me.
Così loro le obbedirono, senza poter obbiettare, legando le mie mani e portandomi lontano, fuori da quella camera.
Mi portarono in un'altra camera, che poi cominciarono a sorvegliare dall'esterno.
Io, ancora legata, ero in piedi al centro di questa camera in cui regnava indisturbato il silenzio.
Ero nella camera delle bambole, ormai era sicuro, poiché ero circondata solamente da bambole blu dagli occhi rossi di tutte le taglie.
D'improvviso il silenzio fu rotto da una voce che riconobbi: quella di Garry!
Era seduto nell'angolo più remoto della camera, con gli occhi chiusi.
Mi avvicinai subito a lui, potendo notare che la sua rosa aveva solo due petali.
«Ib... sei tu?» Disse quasi sussurrando, alzando un po' lo sguardo.
«Garry! Ma cosa ti è successo?»
«Non riuscivo ad uscire da qui... avevo trovato la chiave, ma una donna me l'ha rubata... e ha chiuso a chiave la camera.» Spiegò, con tutte le forze che gli rimanevano.
Lui stranamente non era legato, così, con il suo aiuto, riuscii a liberarmi da quelle corde che legavano le mie mani.
Poi Garry mi spiegò anche che in quella camera non c'era alcun vaso con dell'acqua, per cui la sua rosa non poteva che rimanere così com'era.
Intanto, per passare il tempo in qualche modo in quell'inquietante posto, cominciammo a chiacchierare e io gli spiegai tutto quello che era capitato.
«Quindi tu sei... »
«Sì, sono un quadro come Mary.»
«Questo non è possibile, cioè... Ib... tu... »
Proprio in quel momento le guardie aprirono la porta, interrompendo la nostra conversazione.
Queste fecero entrare nella camera una Mary furiosa, poi tornarono a sorvegliare la zona.
«Mary! Cosa è successo?» Le chiesi vedendola arrivare, andando verso di lei.
«Mi hanno preso la spatola, me l'hanno rubata!» Esclamò arrabbiata.
«Intendevo... perché sei qui? E mia madre?» Riformulai la domanda.
«Oh, beh... si sono messe a discutere, parlavano di te, Ib, e di un certo portale, poi hanno mandato via me mentre continuavano a litigare.» 
«E tu non hai sentito cosa dicevano?» Intervenne Garry.
«Certo che no! Io ero impegnata a farmi restituire la spatola, ma quei testardi proprio non volevano ridarmela!»
Garry cominciò a ridere, mentre io mi avvicinavo alla porta, sentendo dei passi e delle voci.
«Il passaggio non resterà aperto a lungo, la bambina deve restare qui, mentre Mary e quel tizio devono andarsene. Capisci?» Riconobbi la voce della Donna in Rosso.
«Ma se escono in due il passaggio resterà aperto, cosa credi di fare?» E quella di mia 'madre'.
«Anche tu uscirai, è scontato, ma dopo di loro.»
«Cosa?! Mi vuoi far tornare lì senza mia figlia?»
«Volevi dire mia figlia. Non ricordi quella notte in cui la portasti via? La notte in cui mia sorella fuggì con la mia bambina?»
Sorella...?
Quindi lei era la sorella della Donna in Rosso?
«Ora basta, stiamo portando via Mary e quell'altro tipo, poi tu uscirai di soppiatto, intesi?
Ora va', lei non deve sapere di tutto questo.»
Sentendo dei passi sempre più vicini, mi allontanai dalla porta e tornai al fianco di Garry.
Le guardie, ignorando completamente me, fecero alzare Mary e Garry, legarono quest'ultimo e li fecero uscire bruscamente dalla stanza.
«Ehi! Cosa fate?! Lasciatemi andare!» Garry si lamentava, dimenandosi come Mary.
La Donna in Rosso si avvicinò a me entrando nella stanza e mi mise una mano sulla spalla, facendomi alzare.
Lei camminava seguendo le guardie che trattenevano Garry e Mary, io seguivo lei.
Non volevo provare a liberarli, perché sapevo che li avrebbero portati all'uscita.
Esatto, loro sarebbero usciti dal Mondo Fabbricato, come mi aveva detto in precedenza la mia vera madre.
Io non li liberavo perché Garry sarebbe potuto tornare a fare ciò che aveva sempre fatto e Mary avrebbe realizzato il suo sogno, dopo aver sofferto tanto: sarebbero stati felici.
Io? Io non avevo bisogno di coronare la mia felicità, perché se loro erano allegri, lo ero anch'io.
Scendemmo molti scalini prima di raggiungere un posto che era la copia esatta della galleria d'arte nel mondo reale.
Arrivammo davanti al quadro del Mondo Fabbricato, quello da cui era cominciato tutto e da cui stava per finire.
Mi allontanai dalla Donna in Rosso e corsi verso Garry e Mary, abbracciandoli entrambi.
«Vi stanno portando via, nel mondo reale.» Dissi.
«Solo voi due, io no. Finalmente potrai vedere tutti i colori del mondo vero, Mary, e conoscere tantissimi bambini come te.» Conclusi, mentre una lacrima cadeva lungo le mie guance rosee.
«Addio, amici... » Li salutai per l'ultima volta, allontanandomi.
Garry era perplesso, non si aspettava che tutto succedesse così.
Mary riprese la sua spatola, trionfante, poi si girò verso di me.
«Io non voglio andare senza di te, Ib!» 
«Devi, Mary, ti prego... non posso venire con voi, quindi dovete andare da soli.»
Nessuno dei due faceva alcun passo avanti verso il quadro.
Così, con un gesto impulsivo, spingendoli riuscii a farli entrare nel quadro.
E, vedendoli scomparire pian piano nel dipinto, pronunciai tra me e me queste parole:

Non dimenticatemi.

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Capitolo 6
*** Incubo ***



Breve nota iniziale: Se tornate a vedere il primo capitolo troverete una piccola sorpresa che spero vi piaccia! :3 Buona lettura!
 
Capitolo 6 - Incubo

Era passato del tempo da quando Mary e Garry erano tornati nel mondo reale.
Ancora non avevo scordato la conversazione tra la donna che chiamavo 'madre' e La Donna in Rosso, in cui quest'ultima le diceva che, dopo Mary e Garry, sarebbe dovuta tornare lei all'esterno.
Dopo quel giorno cominciai ad isolarmi completamente da tutti; non mi sentivo ancora pronta ad affrontare quel mondo così diverso da quello in cui avevo sempre vissuto, però era la mia vera casa, quindi prima o poi avrei dovuto abituarmici.
Lì non avevo bisogno di dormire, nè di mangiare, perché in quel mondo ero riconosciuta come quello che ero, cioè un quadro, ed un quadro non può fare tutto ciò.
Però mi mancava la scuola, i pochi ma buoni amici che avevo all'esterno, ma soprattutto mi mancavano Garry e Mary; senza di loro quel posto mi sembrava troppo solitario, nonostante ci fossero altri quadri oltre a me.
A proposito degli altri quadri, non ne ho conosciuto neanche uno, perché restavo sempre chiusa nella mia stanza, cioè quella in cui c'era il mio ritratto.
La Donna in Rosso, invece, cominciai a chiamarla mamma, soprattutto perché fu lei a convincermi, insistente com'era.
***
Un giorno, ripensando al momento in cui Mary e Garry uscirono dal Mondo Fabbricato, ebbi una strana idea che non sarebbe mai passata neanche per la testa ad una persona come me.
Io ero sempre stata responsabile, obbediente e controllata, non facevo mai nulla di nascosto.
Però quell'idea continuava a tartassarmi tutto il tempo, così decisi di provarci.
L'idea consisteva nel tornare davanti al quadro del Mondo Fabbricato, solamente per controllare se la cornice era tornata o meno.
Se fossi andata lì e avessi trovato il quadro fornito di cornice significava che la persona che tempo fa chiamavo 'mamma' era uscita, chiudendo il passaggio.
Se, al contrario, avessi trovato il quadro sprovvisto di cornice significava che la donna in questione non era ancora uscita e, quindi, che un'altra persona avrebbe potuto tranquillamente attraversare il passaggio.
Così, stando molto attenta a non farmi vedere, riuscii a raggiungere il quadro.
Come ben ricordavo, quel dipinto era molto grande, decisamente più grande di me.
E, appena arrivai, fui costretta a chiudere gli occhi per qualche secondo per un improvviso bagliore proveniente dal quadro.
Quando li riaprii davanti a me c'era la stessa cosa, ma la cornice mancava.
Non era uscita?
Questo voleva dire che qualcun altro poteva attraversare il portale...
Così, d'istinto, allungai le mie braccia verso il dipinto, senza controllarle.
Però, nel momento esatto in cui le mie mani toccarono la superficie di esso, 'riaprii gli occhi' e mi allontanai.
Cosa sto facendo? Il mio posto è qui... non posso... non devo neanche sfiorare l'idea di tornare nel mondo reale.
Ero andata lì solo per controllare la cornice, quindi non dovevo fare altro.
Tornai, sempre di nascosto, nella mia stanza, ma ad un certo punto una bambola blu mi tagliò la strada.
«Ib! Vuoi giocare con me?!» chiese.
Io mi guardai intorno. No, non c'era nessuno oltre a me, lì, quindi stava parlando con me.
«Dai, ci divertiremo un mondo!»
«Ehm... i-io... non...» borbottai.
«Vieni a giocare!»
«Non... »
«Ti divertirai!»
«In realtà io dovre-»
«Ho tanti amici e te li presenterò tutti!»
«No!»
Ma, nonostante avessi ricominciato a camminare verso la camera, quella bambola continuava a seguirmi assillandomi con la sua richiesta.
Disturbante.
Disturbante era l'unico aggettivo adatto per descriverla.
Continuava a seguirmi, dove andavo io c'era lei, ovunque, in ogni posto.
Alla fine arrivai -ancora seguita dalla bambola- davanti alla porta della mia camera, situata in un angolino del corridoio appena attraversato.
La bambola stava per chiedermi un'altra volta di giocare, quando venne chiamata da altre bambole e, correndo, tornò da loro.
Io sospirai, sollevata, e spalancai la porta.
Davanti a me si presentava una zona vasta, ma pressoché vuota.
Al centro della parete di fronte a me c'era affisso il mio quadro, di cui avevo imparato tutti i particolari, anche quelli piccoli e nascosti.
Nel punto centrale della camera c'era un tavolo da lavoro in legno, sul quale io disegnavo, scrivevo... insomma, lì potevo fare tutto quello che mi andava.
Poi, al fianco del tavolo, c'erano i miei disegni e dipinti, assieme alla pittura, le matite, i pastelli e i pennarelli colorati. Infine dei libri ancora da leggere e dei quaderni contenenti solo delle pagine bianche.
Tutte queste cose costituivano la mia camera personale, ed erano gli unici oggetti di cui avevo bisogno per passare le giornate.
***
Io e La Donna in Rosso c'eravamo ritrovate a chiacchierare; quella volta lei voleva parlarmi del fatto che io non avevo ancora stretto amicizia con gli altri quadri.
Ci sarebbe rimasta male se le avessi detto che non ero abituata ad avere come amiche delle inquietanti bambole blu, delle teste di manichino e dei manichini senza testa, quindi usai come scusa il generico: "Ho bisogno di tempo per ambientarmi".
Terminato il discorso, il mio sguardo si perse nell'osservazione di un quadro intitolato "Incontro"; un quadro astratto, raffigurante tanti schizzi di pittura gialla e blu incontrarsi in un vortice.
Blu...
...Giallo...

«C'è qualcosa che non va?» La Donna in Rosso si girò verso di me, poggiandomi una mano sulla spalla.
«È solo che mi mancano i miei amici, vorrei rivederli...», risposi sinceramente. «almeno un'altra volta, una sola.» aggiunsi.
Lei poggiò entrambe le sue mani sulle mie spalle, si abbassò alla mia altezza e, guardandomi dritto negli occhi, mi disse: «Loro sono tornati a casa, sono felici, se tornassero qui sarebbero scontenti, sono sicura che tu non vuoi questo per i tuoi amici, mi sbaglio, Ib?»
«No... beh... cambiando discorso, tu...» Deglutii e continuai la frase dopo una breve pausa: «come ti sentiresti se non potessi più rivedermi? Se qualcosa ci dividesse di nuovo?»
E lei mi sorprese abbracciandomi. «Come mi sono sentita questi lunghissimi nove anni.»
A quel punto sentimmo dei passi battere insistentemente e velocemente che si avvicinavano, così ci girammo e vedemmo, dietro di noi, due manichini senza testa.
«Signora, c'è nuovamente bisogno del suo aiuto nella stessa stanza di poco fa, stavolta urgentemente!» avvisò uno di quelli.
«Scusa l'intromissione, ma dopo una simile corsa come fai a non avere un minimo di fiatone?» domandai io.
«Sul serio non hai notato che non ho una testa?»
«E allora come riesci a parlare?!»
«...»
E, appena concluso il discorso, quel manichino e il suo compagno si allontanarono con passo sincronizzato.
«Hai sentito anche tu, Ib, devo proprio andare. Tu torna in camera se non ti va di andare in giro da sola.» disse per poi seguire i manichini.
Io rimasi ancora un po' lì, ad osservare quel quadro che chissà quali significati possedeva.
***
Caro diario,
ricordo che Mary, tempo fa, mi raccontò di avere un diario dove scriveva tutto ciò che pensava, che faceva o che le era successo in un giorno; secondo lei farlo aiutava a sollevare almeno un po' il morale e a riflettere, così ho deciso di provare anch'io scrivendo su un quadernino che prima d'ora non avevo mai usato.
Terrò sempre con me questo diario, perché non voglio che qualcuno lo legga, nemmeno mia madre ─ ma di lei non devo preoccuparmi tanto, è  sempre occupata, non troverebbe mai il tempo di andare a frugare tra le mie cose.

Non ho amici, nessuno con cui giocare, passare il tempo, confidarmi. O, almeno, non più.
Non più da quando ho scoperto di essere un quadro e di non far parte del mondo reale, ma di un altro  brutale mondo, dedicato alle opere di un misterioso artista di nome Guertena: il Mondo Fabbricato.
E gli unici amici che avevo più cari  sono fuori, all'esterno, un luogo ormai irragiungibile per me.
Ogni volta che vedo un quadro affisso alla parete mi viene in mente uno di loro... mi mancano tanto. Questo non è un posto in cui ci sono bambini, suoni, giochi... no.
Qui non c'è nulla di ciò che può rendere felice una persona.
E dimmi, diario, secondo te, io che sono abituata alla cioccolata calda per colazione, alle vacanze d'estate, all'aria aperta, alla neve, faccio sul serio parte di questo mondo?
Poco fa mi sono detta che il mio posto è questo, ma in realtà non ne posso più.
Lo so, lo sento, il mio posto non è questo, non può esserlo!
O forse è un sogno? Tutto questo è solo un brutto sogno?
Sì, probabilmente sto dormendo davvero... e quando mi sveglierò sarò tra le calde coperte del mio letto.






Angolo autrice
Ciao a tutti!
Spero che questo capitolo vi piaccia, come al solito se trovate errori non esitate a segnalarmeli ^^
Ringrazio di cuore chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate e chi ha recensito, ma anche chi legge in 'silenzio'.
Non smetterei mai di dirvi grazie! ♥
Vi auguro di passare una buona estate, a presto! :)

~HeartRain


 

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Capitolo 7
*** Una scelta improvvisa ***


Capitolo 7 - Una scelta improvvisa

Ero seduta per terra di fronte al mio quadro, osservandolo senza tutta quella curiosità che, invece, era sempre presente le prime volte che passavo del tempo cercando di 'scoprirlo'.
Con le gambe strette al petto e le mie mani che le circondavano sostenendole, notai che a terra, proprio davanti a me, c'era il mio diario.
Lo sollevai; la sua copertina rossa con qualche sfumatura lo rendeva affascinante ai miei occhi, soprattutto per la sua semplicità: non aveva che il disegno di una rosa scarlatta, oltre ad una piccola etichetta con su scritto 'Il diario di Ib'.
Cominciai a sfogliarlo, realizzando che erano ancora molte le pagine vuote di quelle già piene di scritte e disegni di ogni tipo.
Era un bene, dopotutto, perché scrivere su quel diario per me significava 'aprirmi', 'trascrivere i miei sentimenti e i miei pensieri'... però da quando mi trovavo in quel posto nulla mi accadeva di allegro.
Quanto avrei voluto poter scrivere almeno una pagina di questo diario che contenga parole di gioia, che racconti un episodio felice, pensavo spesso.
L'ultimo argomento trattato lì riguardava la mamma, ma non erano buone notizie su di lei.
Stava perdendo potere, la Donna in Blu stava 'combattendo' duramente per annullare tutti i diritti di mia madre per prenderne possesso. Questo la stava facendo letteralmente impazzire: passava tutto il suo tempo lontano, faceva sempre avanti e indietro nella sua camera, tutti sentivano lei e la sua rivale litigare ad alta voce e in più, quando cercavo di parlarle, si arrabbiava subito e mi mandava via. Era già possessiva verso i suoi poteri e la sua carica di capo, ma lo era diventato ancora di più con quella situazione.

 
Quindi a me non rimaneva nessuno.
 
Nessuno con cui chiacchierare, nessuno con cui socializzare, nessuno con cui passare il tempo,  nessuno che sia in grado di farmi sorridere o farmi sentire meglio.
Chissà quante volte l'avrò ripetuto e quante altre volte continuerò a farlo.
Credevo di sapere a cosa andassi incontro, ma invece no, non potevo capirlo.
Avrei dovuto ascoltare Mary, ma ho preferito agire secondo i piani della mamma, restando qui e facendo tornare nel mondo reale i miei due amici e la mia finta 'mamma'.
Quando provavo a spiegare a mia madre ciò che provavo la risposta era sempre e solo una: “Accetta la realtà Ib, tu sei un quadro; dovresti andarne fiera, perché ogni quadro è perfetto nella sua originalità”.
Ma non è vero: i quadri saranno pur perfetti d'aspetto, ma poi s'impara a vederne certi difetti che non sono solamente errori di colorazione.

Scossi la testa interrompendo i miei pensieri; quel diario mi aveva fatto venire in mente troppe cose.
Mi alzai e con sorpresa trovai dietro di me una testa di manichino. Quelle non mi trasmettevano alcuna emozione oltre alla paura. I loro occhi cavi e scuri e il loro naso costituito semplicemente da segni rossi, la loro bocca... esattamente come quella di uno scheletro, incutevano solo terrore.
«Co-cosa ci fai tu qui?!» domandai -era nella mia camera senza il mio permesso, insomma!-.
Ben presto comparve una scritta proprio sul pavimento: il modo di comunicare di certe opere era proprio quello. “La Donna in Rosso vuole vederti”, recitava la scritta.
«Lei non potrebbe venire qui, semplicemente?»
Sanno tutti com'è. Vai tu da lei
«E dov'è...?»
...Seguimi, faremo prima!” disse -o meglio, scrisse- prima di cominciare a rotolare fuori dalla stanza. Non riuscii a trattenere una risata per quel suo buffo modo di spostarsi; una volta arrivati dalla mamma, scoprii di trovarmi sotterranei del luogo.
Bussai alla doppia e imponente porta verniciata di marrone che avevo davanti. Bussai nuovamente, ma nessuno arrivò.
Nel frattempo quella testa di manichino se n'era andata; dopo aver bussato un altro paio di volte, finalmente qualcuno aprì. Un manichino senza testa, ovviamente: sembravano i servi di mia madre, erano sempre sull'attenti, pronti a ricevere e ad eseguire ogni suo ordine.
Entrai, mentre quel manichino era girato nella mia direzione e sembrava mi stesse insistentemente fissando -nonostante fosse sprovvisto di una testa-, causando la mia ansia.
Uno sgabello apparentemente di legno ospitava la Donna in Rosso. Quest'ultima aveva uno sguardo impercettibile, anche se non si sarebbe mai detto che stesse passando un periodaccio, dato che i suoi capelli erano sempre brillanti, i suoi occhi avevano conservato quel solito aspetto vispo e furbo, i suoi abiti erano lisci e puliti, senza neanche una perla fuoriposto.
«Mi hai fatto chiamare... perché?» chiesi con voce flebile, perché in quel momento tutto quello che NON volevo accadesse fosse di trovarmi al centro di una camera immersa nel silenzio con gli occhi di tutti i presenti -in quel caso solo la mamma e il manichino- addosso, aspettando che qualcuno, oltre a me, parlasse.
«Con tutto ciò che sta succedendo, con ciò quello che MI sta succedendo, nonostante avessi continuato a dirmi di trovarti bene qui... tu sei andata nei sotterranei più bui, davanti al quadro del Mondo Fabbricato, senza il mio permesso, per cercare un collegamento con il mondo esterno!» mi rinfacciò.
O-oh. Mi sa che l'è venuto a sapere... 
Si alzò, puntandomi un dito contro: «Ma tu... tu sapevi del mio piano! Sapevi che quella che si era finta tua madre sarebbe dovuta uscire impedendo a te di farlo. Sono stata io a decidere di farti restare invece di lasciarti fuggire con quei tuoi 'amici', e tu lo sapevi. Sei stata al mio gioco per tutto il tempo, ma poi hai cercato di scappare all'improvviso! E non so neanche cosa dirti. Sapevi e sai che cosa sta succedendo con la Donna in Blu, che vuole soffiarmi la carica, ma ciò nonostante tu desideravi andartene lasciando me qui senza spiegazioni! Rimango senza parole solamente a pensarci». Non aveva preso fiato, e anche io mi accorsi di averlo trattenuto per tutto il tempo.
In quel momento non trovavo le parole giuste per risponderle, perché non mi aspettavo di essere stata chiamata per quello, per quel discorso tanto lungo quanto angosciante.
«Io... mamma, io... ho ceduto. È vero, è tutto vero. Ho sempre saputo di tutto... ho sognato, da quando sono qui, di tornare nell'altro mondo, quello vero; tentare di uscire in quel momento, davanti al quadro del Mondo Fabbricato, non era mia intenzione» confessai.
«Io non sono una buona madre, è mia la colpa. Se hai sempre avuto tanta voglia di uscire, avresti potuto farlo anche quel giorno. Ormai è inutile che resti qui: sto perdendo la mia carica, non ho tempo per te, qui non vuoi fare amicizia con nessuno, per te questo posto è troppo stretto. Io voglio che tu sia felice e che stia con me, però se restassi saresti infelice».
«Cosa vuoi dire, mamma?»
«Dico che, se decidessi di andartene, non te lo impedirei».
Un sorriso si dipinse sul mio viso, quindi abbracciai mia madre: «So che non è facile...».

Ero appena uscita da quella stanza. Mi appoggiai alla parete, sospirando. Avevo perso il fiato, dopo tutto ciò che era appena successo con la mamma.
Potevo uscire? Volevo gridare tutta la mia felicità, nulla avrebbe potuto fermarmi.
Tranne... il pensiero di lasciare mia madre sola, di nuovo; ma visto che lei mi aveva incoraggiato, non sarebbe stata tanto male.
Ero io che stavo lì farmi tanti problemi, mentre forse La Donna in Rosso già l'aveva deciso da tanto tempo ed era pronta a lasciarmi andare.


Caro diario,
oggi è stata una giornata pesante, davvero, davvero pesante. È inutile star qui a raccontare tutto virgola per virgola; allora, mia madre mi ha 'convocato' per parlare faccia a faccia... e ha scoperto di quando decisi di andare nei sotterranei per controllare il quadro del Mondo Fabbricato. S'è arrabbiata, oh, se s'è arrabbiata! Dopo un lungo discorso, si è detta di non essere una buona madre e... mi ha praticamente dato il permesso di uscire, di tornare nel mondo esterno!
Io quasi non ci credevo, era... era stato così improvviso, non me l'aspettavo, quindi l'eccitazione era doppia... tripla, se possibile!
Però non è così facile. Non voglio che lei sia triste, è pur sempre mia madre, e lo sarebbe se me ne andassi. Io voglio uscire, lo voglio, perché l'ho desiderato dall'inizio, però non vorrei lasciarmi dietro la mamma in quello stato.
Che devo fare, diario? Devo cogliere l'occasione prima che cambi idea, ma voglio anche che si sistemi tutto con la Donna in Rosso, ma forse non c'è un modo.
Devo decidere.
...Dopotutto non posso abbandonare il mio desiderio, mi farei solo del male.


Mi girai. Bussai, e fui accolta nuovamente dallo stesso manichino di poco prima.
«Mamma... io... vado di sotto», decisi. Lo stavo facendo con troppa fretta, ma sarebbe stato sciocco aspettare deprimendosi, avrei rischiato che la mamma cambiasse idea restando intrappolata di nuovo in quel mondo. Si deve, o no, cogliere un'occasione quando si presenta?
«Ti accompagno».
Mia madre mi prese dolcemente la mano, stringendola alla sua, che era, come al solito, fredda, «Non scordare che ti voglio bene, te ne ho sempre voluto... è stato difficile per me realizzarlo, ma questo non è davvero il posto per te».
Scendemmo delle scale, mentre il mio cuore aveva cominciato a fare capriole.
Ero talmente eccitata che realizzai tutto ciò che stava realmente succedendo solo quando mi ritrovai a un metro di distanza dal quadro del Mondo Fabbricato.
«Sei proprio sicura, mamma?» chiesi, voltandomi a guardarla.
Lei annuì: «Ho scelto ciò che è meglio per te». Cominciò a piangere, così mi avvicinai e, alzandomi in punta di piedi, l'abbracciai, per poi regalarle il mio fazzoletto.
«Mamma... addio».  Mi allontanai e, con chissà quanta velocità, saltai nel quadro ormai sprovvisto di cornice.
Il buio e un freddo glaciale mi avvolsero fin da subito e, quando riaprii gli occhi, attorno a me c'erano solo pareti bianche, con ampie finestre affacciate su un cielo grigio e coperto di nuvole, ma che pian piano si stavano allontanando per fare spazio ad un luminoso velo azzurro.
Non ricordo cosa stavo facendo...



Angolo autrice
TA-DAAA! Sono tornata! Questo è un messaggio nascosto.
Ok, facciamo con calma. Se lo stai leggendo, beh... boh.
Di sicuro -o forse no...?- vi starete chiedendo che fine abbia fatto. Ebbene, è stato un periodo incasinatissimo per me! Per di più ho aspettato per circa una settimana che arrivasse un tecnico ad attivare la mia linea, dopodiché ho dovuto aspettare circa due ore fino a poter godere di nuovo di internet. Vi va della pizza?
Se avessi potuto avrei pubblicato il capitolo poco più di una settimana fa, perché allora il capitolo era già pronto, ma non avevo nè il tempo, nè il modo di farlo; per questo vi chiedo scusa, non ho mai aggiornato così tardi! E vi va della Nutella?
Tornando alla storia... ci stiamo avvicinando all'ultimo capitolo! *^* Spero che fino ad ora la storia vi sia piaciuta! ♥
Come sempre, segnalatemi gli errori, provvederò a correggerli, quindi... alla prossima -che non è molto lontana...-! Nessuno può rifiutare! *Mangia pizza e Nutella*
Un abbraccione fortissimo! ♥ Sto dicendo cose senza senso nei messaggi nascosti? Direi di sì.

~HeartRain Ho caldo çwç



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Capitolo 8
*** Ritorno al mondo esterno ***


Capitolo 8 - Ritorno al mondo esterno

Cosa stavo facendo? Non lo ricordavo, la mia mente era vuota in quel momento.
Era come se fossi appena riemersa da un tuffo in acque gelide, senza però venire bagnata.
“Mondo Fabbricato”, era il titolo del quadro dietro di me; sembrava un miscuglio di oggetti a caso, ma invece aveva senso, tutto quello. Non sapevo bene il perché, però secondo me quell'opera aveva un senso logico, rappresentava qualcosa che avrebbe potuto essere... reale.
Avanzai in quella che ricordai essere una galleria d'arte, nel giorno della mostra di un artista di nome Guertena. Le sue opere avevano un non so che di strano e misterioso.
Cominciai ad osservare alcune di quelle; la prima che notai fu “Posto riservato”, la scultura di un divano a due posti, di un bianco candido. Questo era, in parte, attraversato da rami forti e di colore chiaro, da cui fiorivano stupendi fiori scarlatti.
«Che strano divano... non c'è niente di strano, certo. Vorrei sedermici, ma credo di non potere» commentò una persona, guardando verso la scultura.
Avrei tanto voluto risponderle “È una scultura, non un divano vero”, ma era meglio rimanere in silenzio.
Più avanti c'erano tre sculture raffiguranti dei manichini senza testa, con indosso degli abiti rossi, blu e gialli, “Morte dell'individuo”.
«Secondo me, quello che Guertena dice qui è che 'l'individuo' sia nell'espressione di uno.», spiegò un ragazzo che si trovava proprio accanto a me, «Ecco perché queste figure non hanno teste, vedi?»
«...Penso solo che faccia paura» risposi io, alquanto confusa dal suo discorso.
«Ah, beh... infatti. Ma pensa che più che perdere le loro teste, hanno perso la loro personalità». Mi allontanai, lasciandolo a blaterare discorsi incomprensibili sulla profondità del significato delle opere di Guertena.
Arrivai, dopo un po', al piano sottostante, dove passai davanti alla scultura di una rosa scarlatta, la quale petali erano davvero voluminosi.
Per osservarla meglio, dovetti farmi spazio tra tantissima gente, che chissà perché era riunità lì davanti. Scoprii ben presto il motivo di tutta quella folla: una scolaresca di  bambini, guidata da un'insegnante, che stava osservando una per una tutte le opere, si era fermata proprio lì. Solo due persone non facevano evidentemente parte di quel gruppo: un ragazzo dai capelli lilla con una strana giacca tutta rovinata e una bambina dai capelli biondi con indosso un vestito verde mirto. Passando urtai proprio loro due, che però non si accorsero della mia presenza.
“Cuore fabbricato”, era il titolo dell'opera che appena appena ero riuscita a vedere per intero, prima di venire strattonata da due bambini e cadere.
«Ehi! Fate attenzione!» li rimproverai, una volta in piedi.
Girai l'angolo, irritata, quando qualcuno mi chiamò: «Ib?! È proprio lei...?» sentii, «Ib!».
Quella voce mi era stranamente familiare, così, d'istinto, mi voltai.  Davanti a me c'era quel ragazzo dai capelli e la giacca insoliti che mi porgeva un quaderno dalle dimensioni di un comune diario di scuola. “Diario di Ib”, recitava una targhetta. Beh, doveva  essere  proprio mio, a quel punto.
Lo presi, ringraziando quel ragazzo, quando...
«Aspetta, come fai a conoscere il mio nome?», chiesi.
«Come potrei confonderti, se sono venuto qui con Mary ad aspettare te? ... Non ricordi, Ib? Il Mondo Fabbricato, la Donna in Rosso, le bambole blu...?» rispose lui.
«...C-come?» balbettai, confusa. A quel punto, forse per una coincidenz,a, una caramella gialla cadde dalla mia tasca destra. «Questa è... una caramella al limone? ...Garry...». In quel momento, centinaia e centinaia di ricordi raffiorarono nella mia mente, ricordavo tutto, dal tuffo nell'affresco fino a quello nel quadro del Mondo Fabbricato. Come avrei potuto dimenticarlo?
«Ricordo! Ricordo tutto! Garry...! Mary...!» esclamai sorridendo.
«Non ci speravamo più ormai!». Mary, raggiante, corse ad abbracciarmi e Garry, dopo essersi chinato per arrivare alla nostra altezza, fece lo stesso.
Mary emise qualche gridolino, forse non si aspettava davvero più di rivedermi.
Solo una cosa, una sola, ancora non ricordavo: La Donna in Rosso.
A quel punto, mio padre arrivò,  vedendoci stretti in quell'abbraccio.
«Ehi, cosa fate lì? Venite, prendiamo dei macaron per fare merenda. Vieni anche tu, Garry!» disse.
«Papà!» esclamammo io e Mary all'unisono.
«I macaron... adoro i macaron! E l'acqua, la pizza, le torte, i biscotti, i colori, i bambini, il sole!» commentò Mary, «Vieni sorellina! Vieni Garry! Andiamo a prendere dei macaron tutti insieme, evviva!» esultò.
Tenevo stretta la mano di Garry e Mary, sentendomi felice. Poi, quando andammo verso l'uscita della galleria, avvistai un quadro, dove prima avrei giurato ci fosse il quadro dell'Uomo appeso.
Questo quadro rappresentava una donna dai capelli bruni e lisci, gli occhi e gli abiti scarlatti, che piangeva. Lo sfondo era fatto di sfumature del colore nero e gli angoli da rose rosse quasi senza petali, mentre i suoi occhi brillanti erano la parte più curata di tutto il ritratto, “La Donna in Rosso”.
Poi ci allontanammo, uscendo, per andare al bar più vicino, e dovetti smettere di ammirare quello splendido quadro.

«Dimmi un po', Ib,» Garry, appoggiato al bancone del bar, teneva in mano un macaron al mirtillo mezzo intero. «com'è andata a finire con la Donna in Rosso?»
«Chi? Non ho visto nessuna Donna in Rosso lì dentro...»
«Cosa dici, Garry?» intervenne Mary, «Ib non ci ha mai parlato di una Donna in Rosso!».
«Ah, allora ricordo male...».

Mary mi raccontò, durante il 'viaggio' tra il bar e casa, di tutto quello che aveva fatto e scoperto («Sapevi della matematica? Affascinaaante, vero?), invece Garry di quello che era successo mentre io non c'ero.
Non li avevo mai visti così allegri, e forse nemmeno io lo ero mai stato tanto.




Angolo autrice
Macciao!
Come state passando quest'estate? Spero che vi stiate divertendo!
Mi scuso se il capitolo è più corto di quelli precedenti, ma senza questo la storia non potrebbe continuare; spero che sia comunque di vostro gradimento! :)
Come sempre segnalatemi gli errori e, se vi va, fatemi sapere il vostro parere con una recensione.
Ora c'è stato il tanto atteso incontro tra i protagonisti, ma non significa che la storia sia finita! ;) Vi anticipo già il titolo del prossimo capitolo: Cinque anni dopo. Ehehehe...
A presto, quindi (comunque sì, ho cambiato l'introduzione °^°)! Un abbraccione,

~HeartRain

 

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