Luciano Perozzi

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ma quello non è il figliolo del Perozzi? ***
Capitolo 2: *** La partita silenziosa ***
Capitolo 3: *** La casa del Perozzi (epilogo) ***



Capitolo 1
*** Ma quello non è il figliolo del Perozzi? ***


Erano passati quasi cinque anni dalla morte del Perozzi, quando il Sassaroli annunciò ai suoi amici un periodo di permanenza a Firenze piuttosto lungo, causa una conferenza su un nuovo tipo di operazione ai reni.
Prese un treno che partiva nel tardo pomeriggio e arrivava a Firenze la sera, altrettanto tardi e i tre amici lo aspettarono pazienti al binario, per poi cenare tutti insieme in uno dei ristoranti della stazione. Il bar del Necchi era chiuso perché nella palazzina vicina c’era stata una pericolosa fuga di gas e quindi si doveva cambiare completamente l’impianto. I lavori non andavano a rilento, ma il Necchi e la moglie avevano deciso di chiudere per almeno una settimana (con grande gioia del Necchi stesso).
I quattro stavano lì a parlare dei vecchi tempi quando notarono che effettivamente quel giorno era proprio quello in cui il Perozzi era morto, dopo un’ultima divertente zingarata e una confessione-supercazzola. L’ultima performance di un grande artista.
“Venti Novembre, come cinque anni fa… Ancora non ci credo.” Disse il Necchi.
“Visto che s’è tutti riuniti, perché non andiamo a fargli una visita e portargli dei fiori?” suggerì il Melandri.
“Ottima idea.” Disse il Sassaroli. “Io finirò la conferenza prima di pranzo. Si può mangiare tutti insieme e poi andare.”
“Non pranzi con i colleghi?” chiese il Necchi.
“No, per carità, già sopportarli alla conferenza sarà difficile. Che n’è stato della moglie del Perozzi?”
“Non si è fatta più vedere. Ed è meglio così.” Disse il Melandri  senza nascondere la sua rabbia“Quella troia, neanche più al cimitero va, per portare i fiori.”
“A proposito, ma quello al binario non è il figliolo del Perozzi?” chiese all’improvviso il Mascetti, silenzioso fino a quel momento.
Il gruppo osservò un uomo occhialuto che indossava un lungo cappotto nero e che se ne stava fermo sul binario uno dove un treno era in partenza.
“Sì, è proprio lui! Starà partendo, come al solito.” Disse il Necchi, con una punta di sufficienza nel tono.
“Ma che dici, dovrebbe essere già salito sul treno.” Disse il Melandri, che dalla sua posizione vedeva chiaramente che tutti erano ormai a bordo e si sporgevano dalle finestre per salutare parenti e accompagnatori.
Il gruppo rimase in silenzio per qualche minuto, di tanto in tanto lanciandosi occhiate per cercare di decidere il da farsi. Dovevano andare a salutare il ragazzo, che era stato comunque figlio di un loro grande amico, o lasciar perdere? E soprattutto cosa diavolo stava facendo lì, impettito, al binario?
“Che mi venga un colpo…” esclamò all’improvviso il Sassaroli “Ma non vorrà mica…?”
Uno dei ferrovieri fischiò. Il treno iniziò a muoversi. Il figlio del Perozzi si tolse i grossi occhiali e iniziò a percorrere la banchina in senso inverso rispetto alla marcia del treno, facendo finta di nulla, poi all’improvviso alzò la testa e disse a uno dei passeggieri: “Faccia buon viaggio signore!” per poi mollargli uno schiaffo.
Il treno aumentò di velocità e così al ragazzo bastò alzare la mano di tanto in tanto per beccare in pieno uno o due passeggeri alla volta.
Ad ogni schiaffo seguivano un urlo e poi un’imprecazione, ciascuna di differenti dialetti, addirittura si sentirono chiaramente parolacce straniere.
I quattro uomini, ancora seduti, osservarono la scena impietriti dallo stupore. Poi sentirono un fischio violento seguito da: “Fermo maledetto!”
Quasi aspettandosi questo richiamo, il figlio del Perozzi abbandonò la banchina correndo a perdifiato verso il sottopassaggio, mentre un vigile, che sbucava da una tabaccheria, gli correva appresso. Ora, la tabaccheria si trovava proprio diversi metri più avanti il ristorante scelto dai quattro uomini per cenare. Il Mascetti, seduto all’esterno, non ci pensò due volte: allungò la gamba e fece fare al povero vigile un bel capitombolo.
Questo si alzò a fatica bestemmiando, ma invece di continuare il suo inseguimento si girò rabbioso verso il Mascetti.
“Lei mi ha fatto lo sgambetto!”
“Tiopioco, che sgambetto, la superazzola scampellata a destra Aretina mai a gamba di legno.”
“Cosa?”
“Insomma, come si permette lei di accusare me, il Conte Mascetti, di fare lo sgambetto alle persone!?” Il Mascetti si alzò e si mise di fronte al vigile con le braccia consorte “Secondo lei io perdo tempo a fare gli sgambetti alle persone? Non ho diritto anch’io ad avere una gamba un po’ indolenzita ed essere costretto ad allungarla di tanto in tanto?”
“Bhè io…”
“Senta, chi stava inseguendo con tanta fretta?”
“Un disgraziato che ogni venti novembre viene in stazione a schiaffeggiare i passeggeri. Cose da pazzi.”
“Ma come, ogni venti novembre viene qui?”
“Da quattro anni. Solo che il primo anno non vi abbiamo fatto caso, il secondo già aveva qualche sospetto, il terzo abbiamo cercato di prenderlo, ma niente. E quest’anno ce l’avrei anche fatta se…”
“Capisco capisco. Ma non ne faccia un dramma. Vedrà che tornerà l’anno prossimo.”
Intanto il figliolo del Perozzi aveva percorso tutto il sottopassaggio ed era uscito dalla parte opposta, continuando la sua fuga nelle strade di Firenze.


(Cari lettori e lettrici, buonasera. Sono tornata dopo ben tre mesi di assenza dovuti a un ricovero ospedaliero di un familiare. Non posso dirvi altro salvo che il periodo della degenza non è stato facile, anche se non ero io quella coinvolta direttamente. Da gennaio a fine marzo non ho avuto la forza di fare niente. Esattamente come era successo - alcuni lo ricordano- quasi un anno fa. Quando la realtà chiama, e io non posso mancare, tendo a scrivere principalmente o pagine di diario o cose personali, non mi dedico alle fanfiction. In questo periodo particolarmente duro ho avuto alcune persone, personalmente conosciute e reali non virtuali, che mi hanno aiutato e supportato. E anche sopportato. A ciascuna di queste persone ho deciso di dedicare una storia breve (da uno a tre capitoli) e questa è la prima. La dedico a chi, una notte che ero particolarmente triste, mi ha inviato vari film comici più o meno "vecchi" tra cui amici miei che mi ha colpito per il suo finale "tragico", pur essendo considerato in tutto e per tutto un film comico. Forse molti puristi della serie non apprezzeranno i cambiamenti di carattere di Luciano, il figliolo del Perozzi, ma li invito ad attendere il finale della storia per capire meglio la situazione. Tornerò anche con Neve Fredda e La clinica senza dottori. Ora le cose sono migliorate e posso riprendere a dedicare del tempo anche alle pubblicazioni online. Felice dunque di essere di nuovo qui e Alla prossima!)

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Capitolo 2
*** La partita silenziosa ***


Il bar era chiuso, ma la saletta a biliardo poteva essere utilizzata tranquillamente. Bastava sollevare la saracinesca quel po’ che serviva per lasciar entrare tutti gli amici, accendere la luce e preparare il tavolo.
Mentre la moglie del Necchi preparava il caffè nella cucina della loro abitazione, i quattro amici giocavano la partita più silenziosa della loro vita.
Nessuno di loro sapeva esattamente che dire, tutti ancora troppo scioccati per quello che avevano visto.
Luciano Perozzi, quello che era secchione e pedante già da bambino, che sembrava aver preso dal Perozzi solo parte del suo aspetto fisico (quella peggiore) e che viveva con lui solo perché lo stipendio da insegnante non gli permetteva di avere una casa tutta sua a Firenze.
“Secondo me ci siamo sbagliati.” Esordì finalmente il Necchi “Era uno che gli somigliava molto. Sai quanta gente porta gli occhiali al giorno d’oggi.”
“E comunque il nostro scherzo è stato molto imitato. Mi fa piacere perché è come se il Perozzi continuasse a vivere.” Disse il Sassaroli.
“No no. Quello era Luciano Perozzi, il figliolo del Perozzi.” Sbottò lapidario il Mascetti, colpendo la pallina con l’asta “Me lo ricordo bene io. Uno che in un attimo ti distrugge il morale con una semplice pagina di diario, non si scorda mai.”
“A proposito Mascetti, è vero che in questo periodo la Titti non c’è?”
“No. È andata a fare tipo un corso di tedesco in Germania. Questo mi da il tempo per dedicarmi alla famiglia e a Ingrid.”
“Ingrid?”
“Una tedesca che è qui per studiare italiano.” Disse il Mascetti facendo l’occhiolino.
“AH!” esclamò il Necchi compiaciuto “Allora si può proprio parlare di scambio culturale!”
Ci fu una risata generale a cui partecipò anche il Melandri, che però era rimasto in silenzio per tutta la durata del dialogo.
Sembrava proprio pensieroso.
“L’anno scorso siamo andati a trovare il Perozzi, vero?” chiese improvvisamente.
“Sì.”
“Bhè ricordate che c’era un mazzo secco di girasoli, oltre ai fiori che avevamo messo noi?”
“Sì è vero. Credi sia stato Luciano?”
“Tutto può essere. Il Perozzi comunque stimava suo figlio. Casomai era il figlio, ingrato, che non capiva e non stimava il padre.” E colpì anche lui la pallina.
“E tu Melandri?” si intromise il Sassaroli “A donne come va?”
“Nessuna donna angelica che ti abbia rapito il cuore?” chiese il Mascetti segnando un altro punto.
“No.” Rispose il Melandri. E dal tono gli amici capirono che non voleva parlarne. Forse c’era stato un altro caso di colpo di fulmine mancato, ossia quelle occasioni in cui il Melandri si cuoceva per qualcuna salvo capire nell’immediato che non aveva alcun tipo di speranza, in quanto donna sposata, fidanzata o (era capitato già in passato) suora novizia.
“Comunque… penso che in fondo voleva bene al suo babbo.”
“Chi Melandri?”
“Il figliolo del Perozzi.”
“Ancora con questa storia!” sbottò il Mascetti seccato “Basta parlare di quello…” ma non riuscì a concludere la frase. Scoprì, con suo grande stupore, che non riusciva più a dare dello “stronzo” a quel ragazzo.
 “Stavo solo pensando che è stato lui ad aiutare il Perozzi quando si è sentito male. Ad avvisare tutti noi e a chiamare il dottore e il prete. Ha anche convinto quella troia a fargli visita al suo capezzale.” Continuò il Melandri.
Gli amici non poterono contrapporre nulla. Si ricordavano bene il giorno della morte del Perozzi. E anche del fatto che il figlio aveva partecipato al funerale, al contrario della moglie. Non aveva versato neanche una lacrima, ma poteva averlo benissimo fatto in un momento di intimità, quando loro non erano presenti.
 “Bisogna anche pensare” proseguì il Melandri “che non deve aver mai avuto una vita facile. Figlio di uno come il Perozzi e di una come quella, vederli litigare e dividersi… Forse aveva quel caratterino proprio per compensare tutte le mancanze che quei due gli hanno dato.”
“Che, ora fai anche lo psicologo?” chiese ironico il Necchi.
“No, certo che no. Dico solo che c’è una possibilità che abbia fatto quello che ha fatto proprio per ricordare suo padre, a cui in fondo, probabilmente, voleva bene. Dopotutto c’è anche la coincidenza del giorno, e sono cinque anni che il Perozzi non c’è più.”
Il caffè arrivò e gli amici si sedettero a gustarlo in silenzio.
“Il Perozzi sarebbe stato contento.” Esclamò il Necchi, sorridendo.
Anche gli altri sorrisero.
“Dopo la visita alla tomba del Perozzi, dovremmo andare a trovare anche Luciano. So che non ha mai venduto la casa.” Propose il Melandri.
“Mi piace come idea, ma credete che ci accoglierà?”
“Non so, potrebbe anche essere già ripartito. Ma sapete come si dice: bussate e vi sarà aperto.”
“Il Melandri ha ragione, tentar non nuoce.”
Così prima di dividersi, gli amici si accordarono per incontrarsi al cimitero e da lì andare dritti alla casa del Perozzi.


(chiedo scusa a tutti i puristi della serie per la "profonda serietà" di alcune parti di questo discorso ma a mia difesa sottolineo due cose: primo che del gruppo il Melandri è quello più portato alla serietà, secondo che il fatto che gli amici nel film non facciano discorsi seri non indica che non li abbiano mai fatti in tutta la loro vita. Aggiungo inoltre che in alcune parti piuttosto drammatiche di ogni film c'erano dei momenti in cui i dialoghi assumevano tinte e atteggiamenti seri, salvo piccole uscite per sdrammatizzare la situazione. Spero di essere stata comunque abbastanza fedele a ogni personaggio e che il capitolo risulti comunque gradevole. Il terzo e ultimo capitolo sarà pubblicato presto. Alla prossima!)

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Capitolo 3
*** La casa del Perozzi (epilogo) ***


Le cose non andarono esattamente come i tre amici avevano sperato. Il Sassaroli riuscì a liberarsi solo per un’ora, il Mascetti si vide costretto a tornare subito al suo seminterrato perché aveva un appuntamento importante che gli avrebbe permesso di racimolare qualche soldo e infine il Necchi si vide chiamato al bar dagli operai per smontare il suo forno a gas. I quattro amici fecero dunque una toccata e fuga al cimitero e si diedero appuntamento per le sei a casa del Perozzi.
Ma il Melandri, l’unico rimasto tra gli amici che non aveva impegni per quel pomeriggio, decise di anadare in anticipo, così, per tastare il terreno.
Al vecchio palazzo non era cambiato niente. C’era perfino la targa con il nome “Perozzi” sul portone.
Melandri bussò alla porta. Poi suonò il campanello.
Niente.
“Oh è partito, o non è tornato. Pazienza.” Pensò.
“Scusi?”
Una voce timida e femminile alle sue spalle lo fece quasi sobbalzare. Era una donna minuta che teneva in mano una scopa.
“Lei chi è signora?”
“Io sono la portiera, e lei è qui per il professore?”
“Sì.”
“È l’architetto per caso?”
Melandri fu quasi sul punto di rinunciare a mentire, ma dopotutto non era una bugia.
“Sì signora, io sono un architetto.”
“Ah! Menomale, che il professore parte domani, prego, la faccio entrare.”
La portiera aprì la porta con le chiavi di riserva.
Il salone della casa del Perozzi era stato sgomberato, tutti i mobili stavano ammucchiati, assieme a degli scatoloni, su un lato della stanza.
Le altre pareti presentavano crepe e segni di infiltrazioni di umidità.
“Come può vedere si porta ancora i segni della piena dell’Arno anche dopo tutti questi anni. Eh, povero professore, lo ha scoperto quando si è ritrovato ad aprire un libro e trovarlo pieno di muffa. Pensi che ha dovuto buttare via parecchie cose. E quelle crepe lì ci sono da tanto, ma credo che il professor Perozzi voglia sbarazzarsi anche di quelle. A proposito, pensa che i lavori disturberanno i condomini?”
Il Melandri stava osservando con occhio critico tutti i danni. “Ho paura che ci sarà parecchio da fare.” La sua osservazione non era uno scherzo. Era sincera.
“Ho capito, immagino che voglia prendersi un po’ di tempo per valutare la situazione. La lascio solo, tanto il professore tornerà tra poco, ma se deve andare via prima mi passi a chiamare. D’accordo?”
“Sì, signora. Grazie per avermi aperto.”
La donna lo lasciò dunque solo nella casa.
Melandri iniziò a girare di stanza in stanza. Solo il salotto risultava danneggiato e svuotato. Melandri notò che tutte le porte avevano un vetro diverso, tranne quella della camera di Giorgio Perozzi, stanza in cui era morto circondato dai suoi cari amici. Melandri provò un brivido ripassando davanti a quella porta. Aveva paura di aprirla, ma alla fine lo fece.
Si aspettava che quell’ingrato del figliolo avesse svuotato tutto. Invece, e la cosa per poco non gli fece venire un infarto, la camera era rimasta uguale a quel giorno.
Sul letto c’erano ancora le stesse coperte, stirate e ben ordinate, ma erano quelle. La lampada sul comodino, lo scrittoio disordinato… c’era tutto.
“Non è possibile.”
Il Melandri si ricordò di quando, durante una burla, il Perozzi si era dimenticato la trombetta con cui dovevano imitare un clacson e aveva mandato il Melandri a prenderla (poiché Luciano Perozzi si era rifiutato categoricamente di portarla). Tutti gli ingredienti per le burle si trovavano nell’armadio dirimpetto al letto, ancora presente. Lo andò ad aprire e iniziò a frugare nei cassetti.
Anche lì non era stato buttato niente.  C’era tutto, proprio tutto. Come un archeologo che scopre un tesoro antico e dimenticato, il Melandri osservò e catalogò mentalmente tutti gli oggetti presenti. C’erano le polverine coloranti, gli stronzi di cartapesta, trombette e richiami per uccelli; i soldi finti, la pistola rumorosa, la peretta per spruzzare il sangue finto e perfino la benda nera indossata dal Sassaroli (tutto materiale usato nella beffa del Righi); e ancora, i contenitori di liquidi maleodoranti da spruzzare sui passanti, la ricetta per creare una finta cacca di uccello (dentifricio, farina e un po’ di colorante nero), le siringhe giganti, il piano di costruzione dell’autostrada con svincolo.
Il Melandri sentì rivivere ogni scherzo, sia riuscito che fallito, nella sua testa. Quante ne avevano combinate loro e il Perozzi.
Senza pensarci due volte, andò a chiamare al telefono tutti gli amici, pregandoli di arrivare il prima possibile. E così fu, arrivarono quasi tutti contemporaneamente appena finirono i loro impegni, facendo attenzione a non farsi vedere dalla portiera.
La sorpresa di scoprire che tutti gli strumenti per i loro scherzi erano stati conservati da Luciano fu ancora più grande di quella che avevano provato quando lo avevano visto alla stazione a schiaffeggiare i passeggeri del treno.
“Vi ricordate del Righi?”
“E chi se lo scorda quello!”
“Ma si è fatto più rivedere?”
“Macchè, sparito.”
“Ci crederà ancora?”
“Probabilmente.”
“Che cosa ci fate voi in casa mia!?”
I quattro amici si voltarono e videro un uomo, magro e occhialuto, che li osservava con le braccia conserte, fermo impettito sulla soglia della camera.
Luciano Perozzi, il figliolo del Perozzi.
Gli amici e l’uomo rimasero a fissarsi per qualche minuto. In silenzio. L’espressione di Luciano era sempre quella: seria, imbronciata, quasi priva di umanità. Ma gli occhi brillavano di una luce rabbiosa e evidentemente oltraggiata.
Il primo a parlare fu il Mascetti, senza riuscire a non sfoderare un sorriso di sfottò.
“Bene Lucianino, vedo che sei cresciuto. Complimenti, stai tenendo proprio bene la casa del tuo babbo.”
“Cosa ci fate voi in casa mia?”
“A proposito” si introdusse il Melandri “per quelle macchie di umidità e quelle crepe posso mandarti qualcuno che già aveva riparato dei danni post alluvione che si erano rivelati dopo tanto tempo.”
“Ve lo chiederò una terza e ultima volta in maniera educata: cosa ci fate voi quattro in casa mia?”
“Beh, si passava di qua e siccome non ci vediamo da molto pensavamo che un saluto.” Disse il Necchi calmo, sorridendo anche lui.
“Vi devo chiedere di uscire.” Disse Luciano dopo un sospiro sconsolato.
“Seratia tapioco scampando alla supercazzola chiusa nell’armadio, se la prematuriamo a destra mica esce sai?”
“Mascetti, la supercazzola con me no!” sbottò Luciano cambiando improvvisamente tono. Era furioso.
“Ah, vedo che non ci caschi più! Sei proprio un uomo ormai.”
Dopo la figuraccia che Luciano aveva fatto a casa del Mascetti, quest’ultimo insieme al Perozzi si era preso di tanto in tanto la libertà di allenarsi con lui con la supercazzola, scoprendo così che il punto debole di quel bimbetto era proprio una certa ingenuità. Il piccolo Luciano sapeva, capiva e scriveva tutto, ma fino alle medie la supercazzola lo mise sempre in difficoltà. Poi sia il Mascetti che il Perozzi smisero di fargli quello scherzetto, ma non erano mai stati sicuri che lui avesse smesso di cascarci.
“Certo che sono un uomo! E lo sono da molto più tempo di voi nonostante la vostra veneranda età!”
“Oeh, giovanotto!” esclamò il Sassaroli avvicinandosi severo “Mi stai forse dando del vecchio?”
“Vecchi forse no, ma infantili sì! Vedo che non avete perso il gusto di fare gli imbecilli! A volte credo che se papà non vi avesse mai frequentato, forse sarebbe stato un uomo serio!”
“Oh certo, serio come lo sei tu magari.”
“Sì, appunto.”
Il Melandri fece la sua risata tipica.
“Che ride lei!?”
“Che ci facevi ieri alla stazione, caro signor serio?”
Il volto di Luciano cambiò con una velocità impressionante. Impallidì e i suoi occhi furiosi si tramutarono in occhi terrorizzati.
“Ah!” esclamò il Melandri “Beccato!”
“Qualunque cosa abbiate visto, vi state sbagliando!”
“Non credo proprio caro mio.” Disse il Sassaroli “Io che sono dottore poi leggo le facce meglio di chiunque altro. Anzi, eravamo proprio qui per questo. Per dirti che tuo padre sarebbe fiero di te…”
“Non provi mai più a parlare così di mio padre di fronte a me!” Luciano gli puntò contro un dito tornando arrabbiato “E ADESSO FUORI!”
“Va bene, se il signorino Perozzi lo vuole…” e il Necchi guidò il gruppo fuori dalla stanza “Non disturbarti conosciamo la strada.”
Luciano perozzi non gli rispose nemmeno, si limitò a sbattere la porta. Ma l’impatto fu così forte che il vetro di infranse in mille pezzi.
I quattro amici videro la faccia di Luciano che osservava sbigottito i pezzi di vetro sul pavimento.
E non resistettero più.
Scoppiarono a ridere a crepapelle. Quell’uomo, sempre così serio, con quella faccia spaurita, era proprio buffo da vedere.
“BASTA!!!”
L’urlo li interruppe bruscamente.
Si era portato le mani alle orecchie e strizzava gli occhi con una smorfia di dolore.
Poi lentamente parve calmarsi, ritornò nella sua posa dritta di sempre ma aveva lo sguardo vuoto.
Come se gli amici se ne fossero andati, scavalcò il buco della porta e se ne andò nella sua stanza, ma senza chiudere.
Dopo qualche esitazione i quattro amici lo andarono a vedere.
Lo trovarono seduto sul suo ordinatissimo scrittoio che teneva in mano una vecchia foto in bianco e nero. Sullo sfondo della campagna Toscana c’erano lui, poco più che bambino, in braccio a sua madre, sorridente come non lo era mai stata e il Perozzi, visibilmente più giovane.
I quattro amici si riunirono attorno a lui, videro che aveva gli occhi umidi, quasi stava per piangere.
Non lo avevano mai visto in quello stato. Nessuno se la sentì di fare battute.
“Questa” disse Luciano all’improvviso “sei stato tu a scattarla, vero Melandri?”
“Sì… Accidenti, avevo quasi dimenticato quella foto! Fu la peggiore delle nostre riunioni.”
“Peggiore perché erano presenti le mogli.” Precisò il Necchi “Dopo quella, ci siamo guardati bene dal rifarlo.”
“Ricordo che io e la mia eravamo appena tornati dal viaggio di nozze. Lei era incinta e avevo appena dato via l’orso.” Disse il Mascetti, anche lui quasi commosso dal ricordo.
“E io ancora non vi avevo conosciuto.” Concluse il Sassaroli.
Luciano rimise la foto apposto, ma continuava a fissarla.
“Quindi voi non avete un bel ricordo di quel giorno.”
“No.” Dissero in coro il Mascetti, il Necchi e il Melandri.
“Peccato” continuò Luciano “io invece me lo ricordo bene. E ricordo che ero felice. Chissà, forse è per questo che io e mio padre…”
Si interruppe.
Nessuno disse una sola parola.
“Luciano” disse infine il Necchi “se vuoi ora noi andiamo via…”
“Sì, sarebbe il caso.”
“Però lasciami dire questo, a nome di tutti: il nostro stupore era positivo quando ti abbiamo visto in stazione. Capiamo perché lo fai. E siamo sicuri che anche tuo padre ne sarebbe stato contento.”
“Era un brav’uomo. Ha fatto tanti errori con te, ma ti voleva bene.” Disse il Melandri dandogli gentilmente una pacca sulla spalla.
“Se vuoi fare altre cose per ricordarlo, puoi contare su di noi, sempre.” Disse il Mascetti.
“E sta attento quando vai in stazione l’anno prossimo, che c’è un vigile che ti da la caccia.” Concluse il Sassaroli.
Poi si avviarono nel corridoio e infine uscirono dalla porta di casa.
La portinaia li vide sulle scale.
“Architetto” disse stupita “e questa gente?”
“Tapioca supercazzola non c’è un vicesindaco?”
“Vicesindaco? Perché c’è bisogno dell’autorizzazione del comune?”
“Sì, con scappella mento a sinistra.”
“Ma non ci sono adesso i Demoscristiani?”
“Stia tranquilla signora, è tutto a posto.” Tagliò corto il Melandri mollando una gomitata al Mascetti.
“Certo comunque, che un po’ stronzo Luciano è rimasto.” Disse il Necchi.
“Già” assentì il Sassaroli “certe cose non cambiano.”
“Ci vediamo l’anno prossimo allora!?”
I quattro si voltarono e videro Luciano affacciato alla finestra.
“Il venti novembre alle dieci di sera, binario due, non mancate!” e chiuse la finestra.
I quattro si sorrisero. Si sentivano stranamente sereni, quasi felici di quello strano e inaspettato evento.
Canticchiando le note della loro opera preferita, raggiunsero piazza del duomo, e da lì si divisero per tornare alla loro normalità.
 
FINE

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