La distanza di un amore

di With H
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Seguire il cuore ***
Capitolo 2: *** Notte insieme ***
Capitolo 3: *** Belgrado ***
Capitolo 4: *** Molto romantico ***
Capitolo 5: *** Gioco di sguardi ***
Capitolo 6: *** 1504 chilometri ***



Capitolo 1
*** Seguire il cuore ***


Era una fresca serata di inizio aprile, la primavera sembrava non voler proprio arrivare e quel clima si adattava all’inverno che lei percepiva dentro di sé.
Le lacrime formavano delle linee ondulate che attraversavano il suo viso fino a perdersi tra i capelli e il colletto della brutta felpa che indossava per stare calda in casa.
Era stata una brutta settimana, anzi, un orribile inizio di quel mese così in contrasto rispetto al mese precedente che avrebbe potuto - senza problemi - considerare il più bello della sua vita. Si sentiva come risucchiata da un buco nero, senza nessun motivo per sorridere o essere contenta, eppure avrebbe dovuto: appena due settimane prima si era laureata e quasi un mese prima era andata da lui.
Osservò la fotografia in formato polaroid che era attaccata al lume sulla sua scrivania con una calamita che la bloccava e lesse la didascalia scritta nella sua scrittura abbastanza ordinata, tendente verso sinistra: “I will always love you”. Lei gliel’aveva dedicata quella canzone, appena conosciuto, come se una parte di sé avesse capito sin da quel momento che sarebbe stato così, che lei l’avrebbe amato per sempre.
Tirò un altro fazzoletto dalla scatola accanto al computer già circondata di fazzoletti usati ed appallottolati, sia per il brutto raffreddore che le era venuto, sia per le lacrime che ormai continuavano a scorrere incessantemente senza che lei riuscisse a fermarle. Non aveva comunque senso. Non poteva fingere di stare bene.
Poi aggiornò la sua homepage di Facebook il cui ultimo stato risaliva a tre giorni prima alle quattro e dodici minuti del mattino: “Elle but une gorgée d’eau et se tourna vers la muraille. [...] Elle n’existait plus.”, erano due frasi tratte dal penultimo capitolo di Madame Bovary di Gustave Flaubert - libro che lei aveva odiato, in effetti - e che in quel momento rispettavano assolutamente il suo stato d’animo. Ricordava perfettamente la spiegazione del suo professore di francese al liceo riguardo quel capitolo: il gesto di girarsi verso il muro rappresentava per la protagonista la rinuncia alla vita sebbene il veleno non l’avesse ancora uccisa, girandosi verso il muro dava volontariamente le spalle al mondo, poi solo dopo un ancora lungo supplizio a causa dell’avvelenamento da arsenico dettagliatamente descritto dall’autore, sarebbe morta. Emma non esisteva più.
Certo, lei non aveva assunto arsenico, ma poteva presupporre che i dolori che provava si avvicinavano molto a quelli descritti nel romanzo francese e, girandosi verso il muro stesa sul suo letto ormai da ore, aveva in qualche modo deciso di rinunciare metaforicamente alla vita. 
Non si era ancora ripresa, ma almeno aveva smesso di restare a letto e aveva finto di riprendere a vivere, ma sembrava la caricatura di se stessa.
Ripensò alla frase che aveva scritto come didascalia ad una foto di fuochi d’artificio che mesi prima aveva pubblicato su Instagram, in seguito alla più bella estate della sua vita.
I respiri o il numero di battiti cardiaci durante la vita di una persona sono irrilevanti. Il nostro petto si gonfia miliardi di volte senza che ce ne rendiamo conto, i nostri polmoni richiedono sempre più aria e il nostro cuore continua a pompare sangue ed altro sangue ancora. È così per tutti gli esseri viventi, non si può cambiare.
Ciò che però rende diversa ogni vita dall’altra, sono i momenti. Quei momenti che il respiro te lo bloccano e ti inchiodano il cuore al petto.
È per momenti del genere che noi siamo vivi, non per il numero di battiti del nostro cuore o dei nostri respiri, quelli ci permettono di sopravvivere. E credo ci sia una bella differenza.
Sorrise mentre un dolore acuto partiva dal petto irradiandosi per tutto il corpo. Dopo l’estate precedente pensava che non avrebbe più vissuto momenti del genere, perché non avrebbe mai potuto sopportare la distanza enorme che la divideva da lui, ma si sbagliava. Per quasi quattro giorni a metà marzo - i più belli di sempre -, le erano stati concessi altri momenti indimenticabili.
La sveglia era suonata troppo presto e l’aveva spenta insofferente, quella notte aveva dormito poco e il giorno prima aveva passato quasi tutto il tempo per strada a cercare le ultime cose da comprare per il viaggio.
Si alzò di malavoglia mentre dalla stanza accanto alla sua percepiva il russare leggero della sua nuova coinquilina. Appena sei giorni prima aveva discusso la sua tesi di laurea e a fine mese sarebbe stata proclamata Dottoressa, non era mai stata così orgogliosa di se stessa.
Ma lo stomaco serrato per l’ansia le fece dimenticare velocemente quanto fosse felice. Entrò in bagno a farsi doccia e shampo ed asciugò i capelli con minuzia, poi controllò per l’ennesima volta di essersi fatta una ceretta accurata e di essere impeccabile nei vestiti che aveva scelto. Fece colazione con un po’ di tè caldo alla vaniglia ed alcuni biscotti prima che il suo stomaco si chiudesse del tutto rifiutando altro cibo. Fuori era ancora buio e le aspettava una giornata molto lunga.
Controllò un’ultima volta che avesse tutto quello che le serviva, indossò mal volentieri il suo parka grigio che aveva abbandonato già da un paio di settimane lì a Bologna ma che le serviva in quei giorni in cui avrebbe affrontato temperature sicuramente più rigide, poi uscì di casa.
Aveva prenotato l’aereo e il treno per arrivare a Milano solo quattro giorni prima, poi era stato indetto uno sciopero generale dei mezzi di trasporto. La sua solita fortuna.
Mentre prendeva l’autobus per arrivare in stazione, sperò con tutta sé stessa di non avere intoppi. E fu abbastanza fortunata: i treni Italo partivano, al contrario di quelli di TrenItalia e, una volta arrivata alla stazione di Porta Garibaldi, trovò l’unico Trenord della mattina che sarebbe partito per Malpensa, da lì poi prese il bus per raggiungere il Terminal Due dove pranzò velocemente e poi si avviò all’imbarco anche se mancava più di un’ora all’apertura del gate.
Quando però si avvicinò alla barriera per il controllo passaporti, il suo cuore perse un battito. Si era documentata bene ed aveva letto sia sul sito di ViaggiareSicuri sia sulla guida turistica che aveva comprato che dal 2010 i cittadini dell’Unione Europea non avevano bisogno di passaporto per entrare in Serbia, ma solo della carta d’identità valida per l’espatrio.
Mostrò il suo biglietto e la sua carta d’identità trattenendo il fiato ed incrociando le dita e, quando la fecero passare, quasi si sentì svenire.
Era sveglia dalle sei del mattino, aveva preso quattro mezzi di trasporto differenti per arrivare fin lì rischiando di non poter partire per lo sciopero e in quel momento finalmente sentiva la felicità e anche l’ansia della partenza. Stava sul serio per partire.
Mentre aspettava l’apertura del gate, una dolcissima bambina serba l’aveva presa in simpatia e, anche se nessuna delle due riusciva a capire l’altra dato che la piccola non parlava in inglese, si ritrovò a giocare con lei e il suo orsacchiotto di peluche e a ricevere un bacio sulla guancia. Non aveva idea del perché i bambini l’adorassero tanto, eppure era sempre stato così, anche quando aveva fatto l’animatrice e si era quasi ritrovata a detestare tutti quegli stressanti bambini del Mini Club.
Purtroppo perse di vista la bambina e sua madre quando salì sull’aereo, ma i suoi pensieri erano già altrove, quella era stata la decisione più folle, avventata, impulsiva e probabilmente meravigliosa della sua vita e, nonostante i suoi non fossero stati molto d’accordo e lei avesse più paura di quanta ne mostrasse, non riusciva a pentirsi di quella scelta.
Da dopo l’estate avevano preso progressivamente a risentirsi soprattutto da Natale, poi poco prima del suo penultimo esame, lui le aveva detto scherzando che poteva andare lì a rilassarsi un po’ e alla fine da quello scherzo avevano iniziato a metterci entrambi il pensiero sperando di potersi rivedere. E, dopo aver fatto la discussione della tesi, aveva deciso di prenotare e fregarsene di tutto il resto. Tra l’altro marzo era l’ultimo mese utile per poter percorrere quella tratta con la Easyjet perché da aprile sarebbe stata eliminata.
Non sapeva bene per quale motivo visto che il volo era totalmente pieno, ma in quel momento non se ne preoccupò troppo perché impegnata a non farsi schiacciare dalla signora sovrappeso e dal figlio alto quasi due metri che erano seduti accanto a lei.
Quando l’aereo decollò, avvertì l’ansia aumentare.
Non aveva idea di come sarebbero stati quei giorni, non si vedevano da sette mesi e forse era cambiato tutto, magari a lei poteva non piacere più - aveva visto alcune sue foto recenti e constatato che fosse un po’ ingrassato -, oppure lui poteva non essere più attratto da lei. Ad ogni modo non aveva mai smesso di pensarlo, duecentouno giorni e lui era sempre stato il protagonista dei suoi pensieri, anche involontariamente.
Non prendeva l’aereo esattamente da quando aveva lasciato lui, duecentouno giorni prima e, in quell’occasione, ricordava solo di aver passato tutto il viaggio ad osservare la brutta tappezzeria del sedile davanti mentre le lacrime le rigavano il viso e il dolore l’avvolgeva come un opprimente mantello. In quel momento, a confronto, la sua felicità invece avrebbe potuto fungere da energia alternativa per far volare l’aereo perché quello era un sogno che si realizzava; l’aveva desiderato così tanto e immaginato troppe volte che quasi non le sembrava vero, ma in poco più di un’ora avrebbe riabbracciato di nuovo il bellissimo animatore serbo che l’aveva fatta innamorare.
Poi la stanchezza ebbe il sopravvento e in qualche punto impreciso tra l’Italia e i Balcani, si addormentò mentre la sua mente elaborava infinite possibilità di come avrebbero potuto svolgersi quei giorni.
Si svegliò a venti minuti dall’arrivo, oppressa dal caldo e dai due compagni di viaggio che le erano accanto e alla fine si trovò a fare conversazione spiegando evasiva perché si stava recando in quella città, la donna le rivolse un sorriso complice dicendole che le sarebbe piaciuta molto, il ragazzo invece sembrava un po’ deluso.
Quando l’aereo atterrò all’Aeroporto di Belgrado, respirava a fatica e maledisse la sua ansia. Passò di nuovo il controllo documenti e poi decise di andare in bagno prima di incontrarlo. 
Si guardò allo specchio mentre si lavava le mani ed aveva l’espressione tirata dalla tensione; rivolse al suo riflesso uno sguardo d’ammonizione come se trovasse assurdo che fosse agitata e si ripeté mentalmente che sarebbe andato tutto bene, poi uscì dal gate.
I suoi occhi impiegarono una manciata di secondi per trovare quelli meravigliosi di Miloš tra le varie persone e, quando lui le sorrise, Helis ebbe la sensazione che il suo cuore avesse ripreso a battere dopo mesi in cui era stato inquietantemente fermo nel suo petto, in attesa.
Gli si avvicinò velocemente e, con più slancio di quanto si aspettasse da se stessa, gli avvolse un braccio al collo mentre lui le dava un veloce bacio sulla guancia e sorrideva in quel modo dolcissimo in cui aveva sempre sorriso quando lei lo abbracciava.
Avrebbe voluto restare ad abbracciarlo ancora per molto, ma lui con molta galanteria le prese la valigia di mano e le fece strada verso l’uscita dell’aeroporto consigliandole di mettere il parka.
— Com’è andato il viaggio? 
Helis era avida di guardarlo, di ogni minimo particolare che non aveva potuto vedere in quei lunghi mesi e, nonostante tutto, lui le sembrava sempre incredibilmente bello. 
— Bene. 
— Sei arrivata da Milano... Pensavo venissi da Roma. — mormorò mentre apriva la portiera di una Fiat Punto verde acqua che si intonava perfettamente al colore dei suoi occhi.
— Emh... Roma è distante da Bologna. Aspetta, non posare la valigia, dovrei darti una cosa...
Aggrottò la fronte rivolgendole uno sguardo dolce che le bloccò il respiro — Puoi darmela dopo a casa, se vuoi...
Annuì indecisa — Forse sarò troppo imbarazzata dopo.
— Imbarazzata per cosa? — le chiese perplesso mentre sistemava la sua valigia nel portabagagli — Non devi... Puoi darmela quando saremo da soli nella mia stanza oppure ora, come preferisci.
— Dopo, va bene. — sussurrò sentendo la sua voce particolarmente stridula e si detestò per la sua timidezza.
Una vocina maligna nella sua testa le ricordò che quello era stato il ragazzo della sua prima volta e doveva davvero smetterla di essere così in imbarazzo, ma questo contribuì solo a farla arrossire ulteriormente.
Si trovava nell’auto di un ragazzo semisconosciuto, in un paese lontano dal suo e, inaspettatamente, si sentiva esattamente dove doveva essere.
Con lui.
Parlarono del più e del meno per evitare silenzi imbarazzanti e lui le annunciò che sarebbero andati un po’ a Belgrado prima di andare a prendere la sorella a lavoro e poi tornare a casa dove li aspettava il tipico pranzo domenicale serbo. Helis pensava di non aver capito bene, dato che erano quasi le quattro del pomeriggio e che probabilmente non sarebbero arrivati a casa sua prima di un’ora e per lei a quell’ora al massimo avrebbe preso tè con i biscotti, ma non disse nulla, si era ripromessa che si sarebbe adattata alle loro tradizioni senza fare storie.
Miloš parcheggiò vicino lo Zoo, a Kalemegdan, la fortezza romana e bizantina situata su una collinetta di Belgrado. Era una brava guida turistica e le spiegava ogni cosa attento affinché lei capisse i termini in inglese che adoperava, poi si ritrovarono al punto più panoramico del posto ed Helis, che era impegnata a guardarsi intorno e a guardare lui che parlava, restò letteralmente senza fiato.
La vista era spettacolare, si vedeva gran parte di Belgrado e il Sava e il Danubio - i due fiumi che attraversavano la città - che si incrociavano sotto il suo sguardo illuminati da un sole che lentamente scendeva verso l’orizzonte creando un gioco di luci e colori incredibile.
— Wow... 
Miloś sorrise e salì in piedi su un muretto, le porse la mano per aiutarla a fare lo stesso ma lei si mise prima seduta e poi salì perché non era agile come lui. Generalmente soffriva di vertigini, ma in quel momento con Miloš che le stava accanto e ancora la teneva per mano, non ebbe paura, pensò solo che quel panorama era bellissimo e che il contatto tra di loro le provocava i brividi. Una parte di lei avrebbe voluto urlare al mondo intero quanto le era mancato.
Scese con un salto e poi aiutò lei, le rivolse uno sguardo dolce prima di lasciarle la mano, dopodiché tornarono all’auto. Helis si rilassò sul sedile beandosi del caldo dell’abitacolo; Belgrado non era fredda, ma il vento faceva percepire una temperatura più bassa.
Lungo la strada si fermarono a prendere la sorella di Miloš che Helis aveva già visto in foto ed immaginava che avesse più o meno la sua stessa età. Si presentarono, ma poi lei iniziò a parlare in serbo con il fratello, probabilmente perché non conosceva bene l’inglese come lui.
Circa in mezz’ora arrivarono a Pančevo, Miloš per quasi tutto il tragitto le aveva fatto mostrato varie cose, ma lei iniziava a sentirsi a disagio perché si avvicinava il momento in cui avrebbe conosciuto i suoi genitori e, per un assurdo motivo, voleva davvero fare una buona impressione su di loro.
Parcheggiò e, quando uscirono dalla macchina, Helis si trovò l’uomo che presumibilmente doveva essere suo padre che teneva a guinzaglio un bellissimo Husky siberiano.
Tese la mano al padre di Miloš che le rivolse uno sguardo sorridente e forse anche un po’ sorpreso, poi fece per accovacciarsi ad accarezzare il cane, ma Miloš la tirò dolcemente verso di sé affinché non lo toccasse, gli rivolse un’occhiataccia.
— Perché? Non ho paura dei cani... — protestò a bassa voce. 
Lui trattenne appena un sorriso divertito — Meglio di no, a volte è pazzo. Andiamo dentro...
Il padre di Miloš aveva già preso la valigia e portata in casa e lei si sentì molto in imbarazzo per questo, salì i cinque scalini di pietra ed entrò in casa dove, prima dell’ingresso vero e proprio, c’era una sorta di disimpegno dove Miloš e sua sorella Ivanka le dissero di levarsi i suoi stivaletti e le diedero delle pantofole morbide e troppo grandi per lei per accedere in casa.
La mamma di Miloš, una simpatica signora un po’ in sovrappeso, si presentò con calore anche se le rivolse uno sguardo indagatore che la rendeva molto affine alle mamme del Sud Italia gelose dei propri figli maschi; poi scambiò un veloce sguardo con il figlio e tornò a guardare lei con più dolcezza ed Helis si domandò cosa le avessero suggerito gli occhi di Miloš che era alle sue spalle.
— Vieni, andiamo di sopra nella mia stanza. — le sussurrò lui facendola arrossire e sperò vivamente che la sua famiglia non se ne accorgesse.
Lo seguì per due piani, al secondo c’era il bagno, la stanza dei genitori e quella della sorella e il terzo era occupato quasi totalmente dalla sua camera mansardata e da un piccolo salottino o qualcosa del genere che Helis immaginò usasse solo lui.
La stanza di Miloš era spaziosa, con due letti poco più grandi delle dimensioni del singolo in Italia affiancati a due pareti opposte, quello per gli ospiti era sistemato impeccabilmente ed era circondato da un armadio a ponte molto grande, sulla parete accanto al letto di Miloš invece era attaccata una bacheca in sughero piena di fotografie ed altre cose varie, poi c’era un divanetto ed in fondo alla stanza, al lato opposto della porta, c’era un’ampia finestra che dava sul piccolo cortile dove c’era il loro cane.
— Questo è il tuo letto... — mormorò poggiando la sua valigia accanto al letto ed Helis improvvisamente si sentì arrossire di nuovo, l’idea di dormire nella stessa stanza con Miloš la agitava — Vuoi farti una doccia o preferisci aspettare dopo pranzo? — annuì confermando la seconda ipotesi, lui la scrutò per qualche secondo e poi si mise seduto sul suo letto — Allora? Cosa volevi darmi?
Aveva l’espressione di un bambino in attesa, il suo meraviglioso bambino serbo di ventotto anni. Prese un lungo respiro mentre accovacciata recuperava il pacchetto con il regalo per lui, pentendosi della scelta che aveva fatto e convinta che ne avrebbe potuto trovare uno migliore, anche se non sapeva cosa. Si avvicinò a Miloš che alzò i suoi occhi su di lei e la invitò a sedersi sul letto accanto a lui, lo accontentò e gli porse ansiosa il pacchetto. All’interno c’era un souvenir delle Due Torri di Bologna e poi una scatola di una gioielleria dove gli aveva preso un bracciale.
— Qui è dove abito io. — mormorò avvertendo di nuovo la voce diventarle stridula — Se prosegui dritto con le Due Torri alle tue spalle, si arriva a casa mia. — Miloš sorrise e poi aprì il pacchetto dicendole che non doveva spendere soldi per lui, ma in realtà sembrava curioso come un bambino ed Helis non poté fare a meno di sorridere mentre un amore fortissimo le si irradiava dal petto, aprì la scatolina ed accennò ad un sorriso, poi la guardò — In Italia si usa regalare bracciali?
Arrossì — No... Semplicemente l’ho visto ed ho pensato di regalartelo.
Sorrise ancora estraendolo dal suo pacchetto — Mi piace. — ribadì provando a metterlo, ma da solo non ci riusciva così glielo porse avvicinandole il braccio affinché glielo mettesse lei.
— Non devi metterlo per forza...
— Voglio.
Helis provò ad allacciarglielo al braccio ma il contatto del braccio di Miloš sulle sue gambe e il suo sguardo su di sé la mettevano in agitazione e si rese conto di tremare un po’.
— Ehi, rilassati... — le sussurrò divertito con il solo risultato di agitarla di più; quando finalmente riuscì a chiuderlo, Miloš si rese conto che il bracciale gli stava largo e, notando l’espressione delusa di Helis che quasi rischiava di essere sull’orlo delle lacrime, le sorrise dolcemente — Mi piace...
Helis non era certa che dicesse sul serio, non riusciva a riconoscere la bugia ma non le sembrava nemmeno propriamente la verità — Ti sta largo...
— Non importa... Grazie. — disse dandole un bacio sulla guancia e lei, istintivamente, gli avvolse un braccio al collo stringendolo a sé.
Avvertì il suo respiro caldo sul collo e mentre cercava di avvicinarsi di più a lui e colmare qualsiasi distanza tra di loro, sentì la voce della madre che dal piano terra diceva qualcosa.
Miloš si allontanò piano da lei — Andiamo, è pronto il pranzo.

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Capitolo 2
*** Notte insieme ***


Si fermarono al secondo piano affinché potessero lavarsi le mani, lui la lasciò entrare per prima ma non chiuse la porta e restò a guardarla attraverso lo specchio, Helis ricambiò lo sguardo rischiando quasi di ustionarsi le mani perché aveva involontariamente aperto l’acqua calda. 
Si domandò cosa lui stesse pensando e, nel momento in cui si sfiorarono perché le passò l’asciugamano per poi prendere il suo posto al lavello, lei avvertì altri brividi. Pensò che fosse assurdo che una persona sola potesse scombussolarla così tanto.
Scesero a pranzo - anche se per lei quella era una cena, dato che erano quasi le sei del pomeriggio - e i genitori erano sul divano a guardare la TV, mentre avrebbero mangiato solo loro ed Ivanka. Le dissero che se non le piaceva qualcosa poteva tranquillamente lasciarla e, se finiva prima, poteva alzarsi da tavola senza aspettare gli altri. Per Helis era un po’ strano, non si sarebbe mai alzata da tavola senza aspettare che gli altri avessero finito, soprattutto senza Miloš.
Quando aveva prenotato finalmente i biglietti aereo, Miloš le aveva detto di prepararsi a mangiare tanto perché nella sua famiglia si cucinava e si mangiava molto e lei gli aveva promesso che avrebbe mangiato tutto anche se generalmente non amava mangiare eccessivamente. Quando però si trovò una zuppa di pollo con all’interno dei sottili ed anemici spaghetti di soia, pensò che se fosse sopravvissuta a quel pranzo/cena senza star male e far capire che non le piaceva nemmeno un po’, avrebbe benissimo potuto vincere un Oscar. Si cacciò a forza la zuppa in bocca mentre Ivanka e Miloš la osservavano di tanto in tanto, dalla sua aveva anche la lentezza nel mangiare che generalmente tutti le facevano notare prendendola in giro per cui, quando loro erano già al secondo - delle cotolette e del purè che mischiarono con il ketchup -, lei stava ancora finendo di mangiare la prima zuppa della sua vita e sperò che fosse anche l’ultima. Il resto del pasto fu molto migliore, le cotolette erano ottime e anche il purè, anche se lei non l’avrebbe mai mischiato con il ketchup; loro mangiarono anche delle barbabietole tagliate a fettine, ma Helis riuscì ad evitarle, poi assaggiò solo un pezzetto di un dolce tipico dei Balcani ma di influenza turca prima di dire che era davvero piena, ed effettivamente lo era davvero. Aspettò che Miloš finisse di mangiare e poi lui prese i loro piatti e li portò nel lavello, dopodiché le disse che potevano tornare su.
— Sei stanca? — le domandò chiudendo la porta.
Helis ci pensò un po’, era sveglia dalle sei del mattino, aveva cambiato quattro città nel giro di poche ore e preso cinque mezzi di trasporto, sei se considerava anche l’auto per raggiungere la casa di Miloš e probabilmente in un giorno qualunque sarebbe crollata, ma in quel momento non si sentiva affatto stanca, anzi aveva inspiegabilmente abbastanza energie come se si trovasse di nuovo al villaggio, perciò scosse la testa — Potremmo fare un giro per la mia città, se ti va. E magari dopo guardare un film se ancora non sarai stanca...
— Non sarò stanca. — ribadì sorridendo divertita, anche se la frase poteva essere un po’ equivoca — Adesso però avrei bisogno di una doccia...
— D’accordo, ti prendo le asciugamani.
— Emh, le ho. — mormorò.
La guardò tra il contrariato e il divertito e scosse la testa inarcando un sopracciglio — Vedo, hai persino i saponi. — ridacchiò — Pensavi che non te li avrei dati?
Helis sorrise provando a mascherare l’imbarazzo per uno sguardo provocatorio — Forse.
L’accompagnò al bagno sebbene non ce ne fosse bisogno, Helis era lenta a scendere le scale in legno perché con quelle pantofole troppo grandi era quasi certa che sarebbe scivolata e voleva evitare ulteriori figuracce con lui. 
— Nessuno cade su queste scale. — mormorò quando lei lo raggiunse, quasi intuendo i suoi pensieri o forse semplicemente notando che lei si reggeva come se stesse scalando una montagna — Puoi poggiare la tua asciugamano qui, quando hai finito, io ti aspetto sopra, fa’ con calma. E chiudi la porta a chiave.
In quell’ultima frase ci lesse un po’ di quella leggera gelosia che di tanto in tanto le aveva manifestato ad Eretria e questo la fece sorridere, annuì aspettando che lui si chiudesse la porta alle spalle e poi ascoltò il suo consiglio. Mentre il getto caldo della doccia le levava via di dosso lo stress del viaggio si chiese cosa provasse Miloš in quel momento, dopo sette mesi che non si vedevano. Non c’erano stati momenti in cui aveva percepito la stessa attrazione e desiderio dell’estate precedente e l’idea che non li provasse più le provocò una fitta dolorosa al petto dato che per lei invece non era cambiato nulla.
Quando tornò nella sua stanza, il profumo di bagnoschiuma sulla sua pelle formava una scia attorno a lei, Miloš era seduto sul suo letto piegato in avanti verso il piccolo tavolino in legno su cui era poggiato il suo portatile ed alzò gli occhi verso di lei. Per un attimo riconobbe quello sguardo carico di desiderio che le rivolgeva al villaggio: la maglia che aveva indossato era un dolcevita blu con la parte sul petto fatta solo di pizzo semitrasparente che sembrava quindi una scollatura anche abbastanza profonda, inoltre era abbastanza aderente e metteva in risalto le curve del suo corpo. 
— Sei pronta così? 
— Perché, non ti piace? — lo provocò.
Miloš sorrise alzandosi dal letto e chiudendo il computer — Sì, mi piace. — ammise senza distogliere lo sguardo da lei — Andiamo! — concluse nel suo italiano divertente che lei adorava.
Scesero al piano di sotto dove il padre di Miloš rivolse ad entrambi un’occhiata bonaria, sebbene prima avesse provato inutilmente a fare conversazione con lei parlando in serbo con il figlio che faceva da interprete, Helis lo trovava simpatico. La mamma invece li guardò con una certa malizia che involontariamente la fece allontanare da lui: sebbene non si fossero nemmeno sfiorati, il modo in cui erano vicini e leggermente rivolti l’uno verso l’altro, sembrava effettivamente intimo ed Helis non voleva sembrare la sua ragazza. Non davanti ai suoi genitori che nemmeno la conoscevano.
Quando uscirono nel piccolo disimpegno tra la porta della cucina e la porta d’ingresso, Helis fu felice di indossare di nuovo i suo stivaletti mentre lui seduto rimetteva le scarpe da ginnastica, poi le prese il parka dall’appendiabiti un po’ troppo alto per lei e l’aiutò ad infilarlo. Il solito galante.
La portò prima nell’area in cui lavorava, una sorta di grande piazza rettangolare contornata da vari negozi, bar ed un Mc Donald’s, c’era anche il negozio di H&M che occupava uno dei due lati più corti, nella zona centrale invece c’era il parcheggio e due piccoli stand che vendevano rispettivamente popcorn e waffel e poi c’era un piccolo Cinema 5D. Fu lì che Miloš la portò dopo averle fatto cambiare gli Euro in Dinari; la ragazza che era alla cassa del cinema lo salutò calorosamente e poi, dopo che lui le disse qualcosa in cui Helis capì solo “italijanski” rendendosi conto che fosse riferito a lei, le porse la mano presentandosi e poi lasciò loro un po’ di tempo per decidere quale percorso in 5D volevano vedere.
— Qualcosa di spaventoso? — scherzò lui guardandola con dolcezza.
Helis aggrottò la fronte — No, meglio di no... Tu quale mi consigli? 
Li aveva visti tutti lui, perciò dopo averci riflettuto un po’ optò per il percorso della neve, la ragazza consegnò loro due paia di occhiali 3D e poi loro entrarono nella sala accanto dove c’erano nove poltroncine sistemate a file di tre; Miloš le fece posare tutte le sue cose su una sedia lontana dalle poltroncine e poi salirono gli scalini per andare nell’ultima fila, la fece mettere sulla poltrona centrale e lui si mise accanto a lei suggerendole di mantenersi. Sembrava di stare su uno slittino da neve fuori controllo e le poltrone si muovevano sballottolandoli a destra e a sinistra mentre vento e neve finti soffiavano su di loro. Quando un quarto d’ora dopo finì, Helis aveva la testa che le girava un po’ e lui, con cavalleria, la prese per mano aiutandola a scendere le scale — Ti è piaciuto? 
— Sì, è stato divertente. 
Sorrise — Vieni, ti faccio vedere dove lavoro...
Restituirono gli occhiali alla ragazza e poi, fianco a fianco, si diressero verso un parcogiochi al chiuso dove lui lavorava e dove Helis notò con una certa stizza le persone che lavoravano con lui erano tutte ragazze e lo accolsero tutte con calorosi abbracci e baci sulle guance. Helis si ripeté mentalmente di non essere gelosa perché non ne aveva nessun diritto.
— Ti piace qui? — le chiese mentre facevano un giro veloce all’interno.
— Oh sì, vorrei essere con i bambini a giocare nella piscina con le palline! 
Lui ridacchiò — Levati le scarpe e vai!
Helis lo spinse per gioco e gli rivolse uno sguardo involontariamente dolce, uscirono da lì e tornarono nella sua auto che parcheggiò poco più avanti per mostrarle Pančevo.
— Ti piace lavorare con i bambini? 
— Sì, adoro i bambini...
— Vorresti averne?
— Certo, se avessi un lavoro migliore, li vorrei anche subito. Tu no? 
Lo guardò nella penombra dell’auto e sospirò — Miloš, ho ventidue anni. Un giorno sì, ma non ora e comunque non vorrei sposarmi.
— Per quello che è successo a tua madre?
Parlare del divorzio dei suoi genitori non le faceva mai piacere, ma con lui ne aveva già parlato durante un caldo pomeriggio al villaggio mentre entrambi erano seduti su un lettino in piscina — Sì, anche... 
— A te potrebbe andare in modo diverso.
— Lo so, ma penso comunque di non aver bisogno di un pezzo di carta per dimostrare che amo qualcuno.
— Beh, per me non è solo il “pezzo di carta”, ma proprio per un fatto religioso...
Erano in questo molto diversi e lei avvertì una stretta opprimente al petto, non aveva proprio idea di come fossero finiti a parlare di quell’argomento, non sapeva se essere del tutto sincera con lui o meno — Io non credo... — sussurrò.
Sentì i suoi occhioni su di sé, allarmati — In Dio?
— Emh, sì. 
Annuì pensieroso ma non disse nulla, probabilmente avendo la Serbia una forte influenza russa, capiva l’ateismo dato che era molto diffuso nell’Unione Sovietica, quindi non la prese male come avrebbe potuto fare un bigotto ragazzo italiano. Sospirò rassicurata che quell’argomento fosse finito, ma la sua mente rievocò l’immagine della bellissima bambina con i capelli neri e ricci e gli occhi acquamarina che aveva più volte sognato nelle due settimane dopo aver lasciato la Grecia preoccupata di essere incinta ed una sensazione di calore la invase mentre la consapevolezza che per la prima volta avrebbe sul serio voluto una famiglia, con lui, quasi rischiò di bloccarle il respiro.
Quando uscirono dall’auto per visitare il centro di Pančevo e la zona adiacente al fiume Tamiš, iniziarono a parlare tanto, in realtà era soprattutto lui a parlare, ma Helis amava ascoltare il suono della sua voce e le spiegazioni da perfetta guida turistica. Per fortuna però non toccarono più l’argomento “famiglia” e lei cercò di allontanare quella strana sensazione. 
Non aveva idea di che ore fossero quando iniziò a sentire decisamente troppo freddo, avendo mangiato tra le sei e le sette non riusciva a calcolare l’ora, ma fu contenta quando lui decise che era meglio tornare a casa perché la temperatura si era abbassata troppo.
A casa i genitori erano già andati a letto, per cui salirono silenziosamente le scale, la lasciò al bagno e poi lei lo raggiunse di sopra.
— Vuoi cambiarti? 
Arrossì — Sì, prendo la mia roba e torno in bagno...
— No, resta qui se hai finito in bagno... — gli rivolse un’occhiata perplessa — Vado io fuori. — la tranquillizzò con un mezzo sorriso sornione che le fece venir voglia di tirargli una sberla.
La lasciò sola e lei si spogliò velocemente per indossare il pigiama prima che lui tornasse, d’accordo che era stato il primo ed unico ragazzo a vederla nuda e l’unico con cui avesse fatto l’amore, ma era comunque in imbarazzo. Riuscì anche a struccarsi con una salvietta e poi lui entrò.
I suoi occhi acquamarina si posarono su di lei ripercorrendo tutto il corpo e le fecero seccare la gola; il pigiama che aveva indossato era grigio, molto aderente e, senza reggiseno sotto, lasciava intravedere le forme del suo corpo.
— Cosa stai guardando? — gli chiese arrossendo e si portò le mani sul petto per coprirsi. 
Miloš non rispose, ma le rivolse il suo sorriso timido che le aveva già mostrato al villaggio quando erano soli e lei riuscì a stento a contenersi dall’avvolgergli le braccia al collo e baciarlo. Si mise seduta sul suo letto mentre lui le sistemava con cura due coperte addosso affinché non sentisse freddo e lei trattenne il respiro per la vicinanza.
— Non ho freddo... — mormorò.
— Ma potresti averlo dopo, la mia stanza non è calda come il resto della casa. — rispose accendendo il computer, poi si avvicinò al divanetto e, mentre ancora stava parlando con lei, si sbottonò i jeans e li levò per indossare i pantaloni del pigiama, Helis si girò subito sentendo di essere diventata terribilmente rossa, lo sentì ridacchiare e provò l’impulso di lanciargli un cuscino, ma si decise a guardarlo solo quando lui fu totalmente vestito del pigiama e si mise sul letto accanto a lei — Perché ti sei girata?
— Sono imbarazzata.
— Di me? 
Alzò gli occhi al cielo mentre il suo viso era ancora caldo e probabilmente rosso, lui nascose a stento un sorriso divertito e poi si mise a cercare nella cartella sul suo computer qualche film che potessero vedere. Ce n’erano davvero tanti e lui le svelò che in Serbia non era illegale scaricare film, le fece vedere la parte di Into The Woods - che in Italia non era ancora uscito nei cinema - in cui c’era Johnny Depp e poi decisero di guardare Gran Budapest Hotel, in inglese con i sottotitoli in italiano per lei dato che lui non aveva problemi con la lingua straniera.
Le luci spente nella stanza, il suo letto e la vicinanza con lui mentre guardavano il film, le fecero capire ben poco delle immagini che scorrevano sul display, la carica elettrica tra loro era fortissima ed era impossibile che la sentisse solo lei. Decise di azzardare una mossa poggiando con delicatezza la testa sulla spalla di Miloš, lui si irrigidì per qualche secondo e allora si alzò guardandolo — Puoi stare... — sussurrò con dolcezza e allora tornò a poggiarsi su quella spalla forte che ricordava bene, così come l’odore del suo corpo o il ritmo del suo respiro. In duecentouno giorni non aveva mai dimenticato Miloš, tutto di lui era impresso dolorosamente nella sua mente. 
Ad un certo punto del film le loro mani si cercarono e si intrecciarono ma nessuno dei due spostò la propria attenzione dallo schermo; Helis provava una felicità quasi devastante, come quando in un villaggio in Grecia quel bellissimo animatore serbo aveva fatto partire una delle canzoni napoletane più famose per ballare un lento con lei, sul palco davanti a tutti, in pieno giorno di attività di animazione. Miloš girò piano la testa verso di lei che fece lo stesso e per alcuni secondi che a lei sembrarono eterni, restarono così a guardarsi con la fronte e il naso uniti e i loro respiri accelerati, poi tornarono a guardare il film che ormai stava per finire.
— Hai sonno? — le domandò alla fine, lei scosse la testa incantata dai suoi occhi il cui colore si percepiva anche con la poca luce dello schermo del computer — Cosa vuoi fare? — fece spallucce, incapace di parlare perché era certa che la sua voce tremante avrebbe smascherato i suoi sentimenti già abbastanza palesi.
Miloš si avvicinò piano a lei senza staccare gli occhi dai suoi, le sfiorò le labbra con le sue come a chiederle il permesso e lei, per risposta, gli accarezzò i capelli attirandolo a sé e baciandolo con dolcezza.
Si abbandonarono entrambi al bacio, stringendosi l’uno all’altra, era un bacio quasi disperato che valeva più di qualsiasi parola. Si erano conosciuti in un villaggio turistico, lui era un animatore e lei una villeggiante che sarebbe rimasta lì solo per due settimane, vivevano troppo lontani e per sette mesi non si erano visti, non avevano bisogno di parole in quel momento, ma solo di colmare la distanza. Il dolore sordo che aveva provato per tutto quel tempo, che era sempre stato nascosto in lei, per la prima volta dopo tanto tempo smise di farle male. Era con Miloš, non le importava altro.
La stese piano sul letto continuando a baciarla e coprì entrambi con le coperte affinché lei non sentisse freddo, poi le loro mani iniziarono ad esplorare il corpo dell’altro.
Alla fine si guardarono complici e lei tornò verso di lui abbracciandolo — Posso dormire con te stanotte?
— Sì. — rispose baciandole la fronte con dolcezza, ancora con il respiro corto sebbene non si fossero spinti oltre i preliminari.
Mise qualche video musicale su Youtube continuando a tenerla abbracciata, Helis si sentiva esplodere dalla felicità. Gli accarezzava il petto mentre lui con una mano fuori dal letto cambiava i video, poi si alzò piano cercando di portare un po’ più dalla sua parte uno dei due cuscini, alzò gli occhi al cielo divertito — Tipico delle donne. Ti sei rubata il mio cuscino, il mio letto e tutto il resto... 
Helis ridacchiò schiacciandosi di più verso il muro e lasciandogli uno dei due cuscini — Posso andare sull’altro letto...
— No. — protestò aggrottando la fronte come un bambino.
— Un’altra prima volta... — mormorò lei divertita.
— Quale?
— Non ho mai dormito con un uomo prima. 
Le rivolse uno sguardo malizioso — Hai dormito con delle ragazze? — lei annuì perplessa — Voglio vedere i video!
Rise — Stupido. — sussurrò girandosi a baciarlo. 
Poi dopo circa un’ora, sentì la stanchezza avvolgerla — Ora sarei un po’ stanca, forse dovrei dormire... — mormorò tirandosi su per baciarlo, lui la lasciò fare guardandola malizioso e quando lei si girò di spalle, l’abbracciò da dietro premendo il corpo contro il suo.
— Non credo che sia possibile dormire così... Posizione pericolosa. — le sussurrò all’orecchio provocandole i brividi, il suo bacino spingeva in avanti verso Helis e la sua mani iniziò ad accarezzarle piano i fianchi fino ad arrivare al bordo della maglia e passare sotto di essa. Il contatto con la pelle nuda le fece mancare il respiro e passare definitivamente il sonno, i suoi baci sul collo non contribuivano a calmarla.
Ridacchiò — Ho sonno! — protestò maliziosa anche se ormai non era più vero e si girò verso di lui che la sorprese con un bacio appassionato spostandosi su di lei — Miloš...
— Che c’è? Vuoi dormire?
Gli accarezzò il viso baciandolo di nuovo — Non sono... pronta. 
— Per cosa, dormire? 
Avrebbe voluto dargli un appellativo poco gentile, ma si lasciò baciare il collo ridendo — Stupido. Non è più successo dopo quest’estate e... dovremmo usare il preservativo.
— Li ho... — sussurrò spogliandola lentamente ed Helis si rese conto che le sue mani erano già corse a levargli la maglia del pigiama.
Si stese di nuovo su di lei mentre i loro baci diventavano bollenti e i loro respiri accelerati, poi si tolse i pantaloni restando completamente nudo sotto gli occhi di Helis che non era più imbarazzata e, nonostante il desiderio, guardò quel bellissimo uomo con amore. Miloš invece sorrise timido, quel sorriso che lei adorava tanto e che mostrava solo di rado, probabilmente stava cercando di capire cosa lei pensasse mentre le sfilava piano i pantaloni — Vuoi? 
— Sì. — la voce le tremava, forse sia per il desiderio che per la paura, la sua prima volta era stata incredibilmente dolorosa.
Lui si sporse verso la cassettiera a recuperare un preservativo, fece partire un po’ di musica al computer e la guardò — Pensi che perderai ancora sangue? — fece spallucce, sperava di no ma non poteva esserne certa, lui annuì e poi si stese su di lei. 
Lo abbracciò accarezzandogli la schiena nuda e cercò i suoi occhi — Ti amo. — sussurrò con dolcezza e fu sorpresa di quanto fossero potenti quelle due brevi parole che pronunciava a qualcuno per la prima volta.
Non avrebbe saputo dire per quanto tempo avessero fatto l’amore, forse un’eternità ma era comunque troppo poco; sentiva le gambe che le tremavano per la tensione ed ogni centimetro del suo corpo era dolorante, ma non era mai stata più felice. Dopo un po’ Miloš le passò il pigiama, poi tornò a stringerla a sé una volta che furono entrambi rivestiti.
— Qual era il tuo piano?
Helis gli accarezzò il petto largo che fino a poco prima era nudo sotto al suo sguardo — Non avevo un piano.
— Non capisco... Spesso leggo ciò che scrivi su Facebook e penso che sia per me, persino Duško l’ha pensato e mi ha chiesto se ci fosse qualcosa...
— Quello che scrivo è per te.
— Ma non avevi un piano... — Helis scosse la testa — E allora perché sei venuta qui? 
Sospirò — Perché volevo rivederti. 
— Perché? 
— Perché... provo qualcosa per te, qualcosa di molto forte. E dovevo rivederti. Non avevo nessun piano, non sapevo cosa sarebbe successo qui, non ho fatto progetti, avevo solo bisogno di rivederti.
— Non sono troppo grande per te? Hai ventidue anni, sei del Novantatré e io ne ho ventotto...
Helis lo guardò contrariata — Io sono troppo piccola, forse? — lui scosse la testa, dolcemente — E allora lascia decidere a me chi è troppo grande per me!
Alzò la testa verso di lei — Sei arrabbiata?
— No, ma non dire di essere troppo grande per me. Sei perfetto.
Miloš sorrise triste — Cosa possiamo fare? — le chiese quasi disperato — Tu vivi in Italia, io qui... Potremmo provarci... Anche se forse siamo molto diversi, insomma a entrambi piace la musica o viaggiare, ma poi non so cosa abbiamo in comune... Tu non vuoi sposarti e io vorrei, certo non ora, dovremmo entrambi avere un lavoro, però guardo i tuoi occhi, i tuoi capelli ed immagino come potrebbero essere un giorno i nostri figli... — lo guardò un po’ preoccupata — Un mio amico che fa l’astrologo mi ha sempre detto che io dovrei vivere in Italia... 
— E verresti? — una speranza minuscola si accese in lei che lo strinse a sé come se non volesse più lasciarlo andare.
— Non lo so. Non so cosa mi porterà il futuro, o dove...
Si sentì senza forze, non aveva idea di come avrebbero potuto fare. Non poteva chiedergli di andare in Italia perché lì non c’era futuro quasi per nessuno e lei non poteva andare in Serbia perché la situazione era anche peggiore — Così è quasi impossibile... Non so come potremmo fare...
Restarono in silenzio per parecchio tempo, stretti nelle braccia dell’altro a cercare una soluzione che forse non c’era. Soprattutto perché lui era quasi certo di non voler tornare a fare l’animatore nei villaggi e lavorare insieme quell’estate era l’unica possibilità che Helis vedeva per loro.
Poi entrambi furono colti dal sonno e si addormentarono abbracciati.

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Capitolo 3
*** Belgrado ***


Avvertì il suo cellulare vibrare sul letto dove avrebbe dovuto dormire e allora si svegliò. Sapeva che i suoi genitori erano preoccupati dato che quello era il suo primo viaggio da sola ed era a casa di perfetti sconosciuti, suo padre inoltre non sapeva nemmeno che lei fosse andata da un ragazzo; ma provare ad alzarsi dal letto senza svegliare Miloš era impossibile, così sperò che non insistessero troppo e che non si preoccupassero. Anche se non aveva idea di che ore fossero, il sole sembrava già alto nel cielo e lei si sentiva decisamente riposata, ma non sapeva né a che ora si fosse addormentata e né quanto tempo avesse dormito. Sapeva solo che dormire tra le braccia del ragazzo che amava era stato il sonno migliore della sua vita.
Si girò piano, era imprigionata tra il muro e Miloš che la teneva bloccata sotto le coperte e dormiva beato, Helis si prese un po’ di tempo per osservarlo. Dormiva con un braccio sotto al cucino e l’altro poggiato su di lei come se avesse paura che potesse scappare; aveva la fronte aggrottata come se anche nel sonno avesse troppi pensieri e lei pensò che forse erano gli stessi che in quel momento assalivano lei: come avrebbero fatto una volta che lei avrebbe lasciato la Serbia?
Si costrinse a non pensarci perché sentiva gli occhi bruciarle e non voleva che lui si svegliasse e la trovasse a piangere, si concentrò invece a rievocare le immagini della notte precedente, quando si erano baciati e poi, dopo, quando avevano fatto l’amore.
L’estate precedente si era sorpresa di come essere nuda tra le braccia di Miloš fosse stato per lei incredibilmente naturale, nonostante fosse sempre stata incredibilmente timida e poco a suo agio con il suo corpo; ogni cosa con lui, dal più casto dei baci al sesso, invece era sempre risultata facile come se non avesse fatto altro nella sua vita. Come se Miloš fosse la sua anima gemella.
Miloš sospirò muovendosi, pensò che forse si stava per svegliare, ma i suoi occhi restarono chiusi mentre si spostava e poggiava la testa sulla pancia di Helis assumendo un’altra posizione quasi protettiva nei suoi confronti ed un’espressione più rilassata e dolce e lei si sentì praticamente sciogliere per l’amore.
Gli accarezzò piano i capelli coccolando quel meraviglioso uomo ed entrò in un dolce dormiveglia che si interruppe solo quando lui si spostò di nuovo e lei avvertì la necessità di fare la pipì, ma spostarselo di dosso sarebbe stata un’impresa. Provò a muoversi lentamente e allora il respiro di Miloš si fece meno profondo e lentamente i suoi occhi si aprirono e la guardarono quasi severi e ancora assonnati.
— Buongiorno. — biascicò con la voce impastata dal sonno e le rivolse un mezzo sorriso che provocò un moto di amore ancora più forte.
— Ehi... 
— Da quanto tempo sei sveglia? — continuò allontanandosi un po’ da lei per darle spazio.
— Da un po’... Hai dormito bene?
— Non molto...
— Per colpa mia?
Sorrise — No, ho dormito bene con te, solo che avevo molti pensieri per la testa.
Il telefono vibrò di nuovo e lui si girò prima a guardarlo perplesso e poi tornò a guardare lei interrogativo.
— Credo che i miei genitori mi abbiano data per dispersa.
Le fece spazio affinché lei potesse scendere dal letto e recuperare il cellulare sul quale trovò svariate telefonate e messaggi dei suoi genitori.
Quando Miloš andò in bagno, chiamò velocemente sua madre informandola che si era appena svegliata, che stava bene e mentì alla domanda riguardo loro due e poi inviò un messaggio a suo padre per tranquillizzarlo; poi lui rientrò e la guardò ancora un po’ assonnato — Tutto ok? — le chiese sedendosi accanto a lei che annuì — Cos’ha detto tua madre?
— Voleva solo sapere se ero sveglia e che facevo... 
— E se stavi bene... — continuò con un sorriso un po’ amaro, era chiaro che fosse dispiaciuto che sua madre fosse preoccupata e non vedesse di buon occhio il suo viaggio da lui.
— Sì. 
— E stai bene?
— Mai stata meglio.
Si addolcì — Andiamo a fare colazione, ci sono i burek. Hai fame? 
Annuì poco convinta — Posso avere un bacio?
Lui fece schioccare le labbra guardandola divertito e lei inarcò un sopracciglio — Questo non è un bacio.
— Non hai specificato come...
Helis fece per avvicinarsi, ma lui si allontanò ridendo — Non posso baciarti? 
Ridacchiò ancora e la baciò con dolcezza — Ora andiamo a fare colazione, altrimenti tua madre mi ammazzerà se dovesse pensare che non ti faccio mangiare.
Scesero piano, la casa era in silenzio. Helis andò prima in bagno e poi lo raggiunse di sotto dove lui aveva già apparecchiato e messo nel piatto di entrambi una specie di rustico fatto in pasta sfoglia abbastanza unta con all’interno prosciutto, formaggio e funghi. Helis l’avrebbe apprezzato molto di più se non l’avesse mangiato per colazione quando riusciva a tollerare a stento il caffellatte e i cereali; non riuscì a mangiarlo tutto e diede il resto a Miloš che aveva già finito il suo e le rivolse uno sguardo contrariato.
— Le mie coinquiline dicono che mangio come un uccellino...
Sorrise — È quello che ha detto ieri sera anche mio padre. Stasera mamma farà la pizza, ne assaggerai una buona come quella italiana!
— Mh... non vedo l’ora... — ribadì prendendolo per mano.
Si lavarono a turno e poi andarono a piedi verso la fermata dell’autobus che dovevano prendere per andare a Belgrado dato che quel giorno la macchina serviva ai suoi genitori.
Quando arrivarono alla fermata, Miloš ricevette una telefonata, guardò il cellulare prima di rispondere e, quando accostò l’iPhone all’orecchio, rivolse ad Helis un’occhiata maliziosa che lei non riuscì ad interpretare; poi dopo un po’ che parlava in serbo, le passò il cellulare con uno sguardo che lei avrebbe giudicato illegale in pubblico.
Aggrottò la fronte interrogativa e lui le disse di parlare in inglese perché era qualcuno che conosceva.
— Emh, pronto...
— Ehi, pronto... Chi sei? — chiuse gli occhi mentre sentiva il viso avvampare, sebbene fossero passati mesi, aveva riconosciuto la voce, la prima voce sentita al villaggio.
— Duško, sono Helis.
Heliuska! — rispose con una voce carica di malizia appellandole un vezzeggiativo , lei rivolse un’occhiataccia a Miloš che nel frattempo aveva preso a ridere sotto i baffi — Sei a Pančevo, da Miloš! Brava... 
Diede a Miloš uno schiaffo giocoso sul braccio e lui rise di più — Sì... e tu come stai? 
— Io bene, vi state divertendo? — continuò lui sempre più spudorato mentre Miloš sembrava spassarsela troppo a vederla così in imbarazzo.
Una parte di lei era certa che l’avesse fatto per “marcare il territorio”, in fondo al villaggio Duško era stato il suo unico vero rivale, soprattutto perché Helis all’inizio non aveva occhi che per lui e spesso erano stati anche molto in sintonia. 
— Sì... Stiamo per andare a Belgrado. Mi ha fatto piacere sentirti. 
— Anche a me, Heliuska. Ciao! 
Ripassò il cellulare a Miloš che appena tornò a parlare, rise divertito e poi salutò il suo amico ed attaccò guardandola come un bambino che sa di aver fatto una marachella. Helis lo spinse per gioco e lui sorrise avvicinandola a sé — Perché?
— Perché tanto lui lo sa. — rispose tranquillo — Quando due settimane fa sono stato da lui, gli avevo detto che forse saresti venuta da me... È un problema?
Poggiò le mani sopra i suoi fianchi e si avvicinò abbastanza da sentire il calore del suo respiro su di sé, avrebbe voluto baciarlo ma non sapeva come lui avrebbe reagito in pubblico — No, Miloš, non è un problema. Sono con te, non è un segreto.
Sull’autobus non trovarono subito dei posti, così aspettarono per un po’ in piedi nel corridoio e lei gli chiese di lasciarle pagare i biglietti, Miloš annuì un po’ seccato e poi a qualche fermata dopo, la portò verso il fondo dell’autobus dove si erano liberati due posti nell’ultima fila, lì incontrò un suo amico e si misero a parlare.
Helis si prese qualche minuto per ripensare a quanto fosse stata bella la notte precedente, sorpresa di aver dormito così bene con lui, quando di solito faceva fatica ad addormentarsi persino da sola. Miloš poggiò distrattamente una mano sulle sue gambe continuando a parlare con l’amico, era un modo per farle capire che non si era dimenticato di lei; poi dopo un po’ si liberarono due posti singoli un po’ più avanti, così salutò il ragazzo e la condusse lì lasciandole il posto vicino al finestrino.
— Tutto ok? 
Poggiò la testa sulla sua spalla, fregandosene che a lui potesse dare fastidio ed annuì mormorando un flebile “sì”, lui le fece il verso e, per risposta, lei gli diede uno schiaffo leggero sulla coscia.
L’autobus fermò nei pressi della Chiesa di San Marco e lui iniziò a farle da guida turistica, Helis era sorpresa di quante cose sapeva, le piaceva il modo in cui cercava di farle apprezzare ogni cosa del suo paese ed ascoltava le sue domande. Camminarono molto, vedendo ogni posto che Miloš pensava fosse degno di nota, quindi praticamente tutta la città e ne fu felice, Belgrado era bella molto oltre le aspettative; ad un certo punto del pomeriggio - Helis continuava a perdere la concezione del tempo essendosi svegliati abbastanza tardi e quindi fatto colazione in un orario che per lei sarebbe stato quasi un pranzo -, si trovarono in un’affascinante strada bohémien, Skadarlija, con vari ristorantini caratteristici ai lati, era chiaro che costassero parecchio, ma una parte troppo sognatrice di lei immaginava un futuro neanche troppo lontano in cui Miloš la portava in uno di quei locali che si chiamava Tre Cappelli per una cena romantica per festeggiare magari un anniversario di fidanzamento. Si impose di smetterla di pensare a cose del genere e invece gli chiese una fotografia insieme, lui prese la sua macchina fotografica girando l’obbiettivo verso di loro e, proprio davanti a quel ristorante, scattò una foto molto dolce. Ne avrebbe volute molte di più con lui, ma le aveva detto che non gli piaceva come veniva in foto, fece per dirgli che era bellissimo e lui le mostrò quel sorriso timido che lei tanto adorava, ma sembrava piuttosto scettico al riguardo.
Poi la portò a Trg Republike, la piazza centrale di Belgrado ed andarono in una focacceria che aveva alcuni tavolini all’esterno.
— Vuoi solo il pancake? — le chiese, Helis annuì — Qui fanno un’ottima pizza.
— Io non ho molta fame...
Miloš alzò gli occhi al cielo divertito — Aspetta qui...
Detestava che lui le offrisse tutto e restò a guardarlo mentre le dava le spalle ed ordinava il loro spuntino dato che erano circa le quattro del pomeriggio. Tornò con due pancake con cioccolato e pezzetti di banana ed un trancio di pizza che sembrava morbido ed abbastanza doppio, gliela porse chiedendole di assaggiare e lei, sorridendo dolcemente, lo accontentò e diede un morso all’angolo della pizza constatando che effettivamente era buona, molto buona, molto di più rispetto alla maggior parte delle pizze mangiate nel Nord Italia. 
Lo guardò spalancando gli occhi e lui sorrise — È buona, davvero!
— Lo so, te l’avevo detto... La vuoi anche tu? 
Scosse piano la testa — No, va bene il pancake. — se la pizza era buona, il pancake era anche meglio e lui la guardava con dolcezza mentre lei consumava con appetito il primo pasto da quando era arrivata lì, le disse di darle il cellulare e le scattò una foto mentre mangiava.
— Mandala a tua madre, così sa che ti sto facendo mangiare.
Aggrottò la fronte — Non sono una bambina.
— Fai così tanti capricci per mangiare che un po’ lo sei... — scherzò attivando la funzione Hotspot del suo iPhone affinché lei potesse collegarsi a Internet e mandare la seconda foto della giornata a sua madre che cercava con scarsi risultati di mascherare la preoccupazione che provava — Cosa ha detto tua madre? 
— Di noi? Che io sono venuta qui? 
— Sì, di tutto...
— Non era molto contenta... 
— Sì, l’avevo capito...
Helis gli accarezzò il viso e lui chiuse per un attimo gli occhi — È il mio primo viaggio da sola...
— Non sei più una bambina. — quella constatazione la fece ridacchiare dato che proprio qualche minuto prima aveva sostenuto il contrario.
— Per lei lo sono sempre... ma pensa se fosse tua figlia... 
Continuarono a camminare e, sulla strada che dalla piazza portava a Kalemegdan in cui c’erano varie bancarelle di souvenirs, Miloš le rivolse uno sguardo malizioso — Non hai visto niente di Belgrado, continui a guardare solo me. 
Lo disse scherzando, ma c’era qualcosa di vero nella sua voce che le arrivò come uno schiaffo — Non è vero, sono stata attenta a tutto quello che abbiamo visto! — protestò offesa.
— Non proprio... — sbottò ridendo, Helis incrociò le braccia al petto mettendo il broncio ma in realtà se l’era presa molto più di quanto volesse dare a vedere e cercò di concentrare la sua attenzione sulle bancarelle, ma ogni tanto lo cercava sottocchio. Miloš ridacchiò e lei gli tirò uno schiaffo sul bicipite — Vedi? Non riesci a non guardarmi...
— Sì, ti guardo... Perché stiamo insieme, a chi dovrei guardare? — ribadì arrabbiata — Ma ho guardato anche tutto il resto e tu sei uno stupido.
— Non sono stupido. — mormorò divertito. 
— Gne!
Gne? Che significa?
— Una parola senza significato che dicono i bambini quando fanno i dispetti. 
Sorrise dolcemente — E tu sei una bambina, giusto... 
Alzò gli occhi al cielo — Ti odio! — lui ridacchiò.
Gli rivolse uno sguardo imbronciato e poi continuò a camminare ancora un po’ offesa, non le piaceva che lui pensasse che non avesse guardato niente di quella bellissima città che invece le era piaciuta molto.
Quando arrivarono a Kalemegdan e stavano parlando della discussione che lui aveva avuto con Valerio dell’agenzia di animazione, gli squillò il cellulare ed era proprio lui che lo cercava perché era ad Eretria e non trovava alcune cose nella stanza dell’animazione.
Si guardarono entrambi sorpresi, anche il pomeriggio precedente, dopo che lei gli aveva dato il regalo, Clara gli aveva mandato un messaggio e lui aveva chiesto ad Helis se qualcuno sapesse che lei era lì in Serbia, ma a parte i suoi genitori e le sue coinquiline, nessuno ne era al corrente, così sembrava una strana coincidenza che nel giro di due giorni lo avessero cercato due persone che erano state “spettatori inconsapevoli” della loro storia d’amore estiva, tre se si considerava Duško quella mattina.
Una parte di lei a cui cercò di non dare troppa importanza, sperò che fosse un “segno” affinché quell’estate lavorassero insieme. 
Nel tardo pomeriggio decisero di ritornare verso la fermata dell’autobus, il vento si era alzato parecchio ed ormai era stanca di un’intera giornata a camminare in cui aveva mangiato solo un po’ di burek prima di lasciare la casa e poi un pancake. Poggiò la testa contro il petto di Miloš e notò che lui rimase un po’ sorpreso per quel gesto, evidentemente gli slavi non erano molto abituati alle effusioni in pubblico ma a lei non interessava e alla fine lui le diede un timido bacio sulla testa che le provocò i brividi, poi la spinse dolcemente verso l’autobus che era appena arrivato e all’interno trovarono due posti vicini ma separati dal corridoio. Dopo un po’ lui si sporse verso di lei per farle vedere un gioco che aveva scaricato sul cellulare abbastanza stupido ma era chiaro che volesse solo scherzare un po’ con lei mentre le persone ai posti vicini li guardavano, qualcuno sorridendo bonariamente come se fosse chiaro che stessero insieme; poi gli altoparlanti che diffondevano musica soffusa, trasmisero un’altra canzone in sottofondo, “Everything I Do” di Bryan Adams.
— Ascolta questa canzone... — sussurrò poggiata allo schienale mentre lui era verso di lei con il cellulare.
Aggrottò la fronte perché non la sentiva bene, poi la riconobbe — La conosco...
— Ascolta le parole... — Miloš sorrise dolcemente e le rivolse uno sguardo che la sciolse, non c’era bisogno di dirgli che gliela dedicava, era abbastanza chiaro.
Arrivarono a casa ed ebbero giusto il tempo di fare la pipì e lavarsi le mani prima di andare a mangiare la pizza cucinata da sua madre che Helis trovò, con sua sorpresa, molto buona e si congratulò con lei che le sorrise soddisfatta. 
— Ho bisogno di una doccia... — mormorò quando salirono in camera — E di lavarmi i denti... — lui annuì mentre Helis prendeva la sua roba e scendeva in bagno sempre lentamente per paura di cadere.
Quando ritornò in camera lui la guardò, aveva già indossato il pigiama come lei e l’aspettava sul letto, mise un po’ di musica in sottofondo mentre gli si stendeva accanto e poi stese il braccio affinché Helis poggiasse la testa sulla sua spalla e lui potesse abbracciarla.
Quello era il posto più bello al mondo.
Miloš si addormentò, non poteva negare di essere un po’ delusa, ma lui dormiva come un angelo e in effetti anche lei era stanca, così si lasciò cullare dalla canzone che ormai stava terminando e dal calore del corpo del suo uomo e alla fine cedette al sonno anche lei.
Non sapeva quanto tempo fosse passato quando avvertì un dolore alla spalla e si svegliò per girarsi, incrociò i suoi occhi chiari e gli sorrise ancora nel dormiveglia, cambiò posizione dandogli la schiena e lui si girò verso di lei abbracciandola da dietro, prese a darle dei baci sulle spalle e spinse il bacino verso il suo, Helis sorrise ed aveva l’impressione che stesse sorridendo anche lui.
Protestò facendo un versetto assonnato mentre la mano di Miloš le toccava la pancia da sotto la maglietta facendole il solletico, poi salì lentamente e lei si rese conto di avere il respiro accelerato — Cosa stai facendo, Miloš? — gli chiese ormai sveglia mentre lui le toccava il seno.
— Sto giocando... — sussurrò con aria innocente.
Helis si girò lentamente e lo guardò negli occhi, quegli incredibili occhi verde acqua in cui avrebbe potuto perdersi, c’era desiderio e dolcezza, forse amore e questo la fece sorridere, poi trattenne il respiro quando la sua mano si posò sul suo fondoschiena spingendole di nuovo il bacino contro il suo — Stavo dormendo...
— Ah sì? — sbottò come se non se ne fosse accorto.
— E anche tu!
— No, non è vero. — mentì ridendo.
Ridacchiò portandogli una mano sul viso — Bugiardo...
— Mi chiami bugiardo? — le domandò spalancando i suoi occhioni ma lei non gli lasciò dire altro perché prese a baciarlo.
La tirò su di sé e lei lo guardò accarezzandogli i capelli — Sei sexy... — sussurrò sollevando un po’ la testa per riprendere a baciarla mentre le sfilava la maglia del pigiama.
Aveva il respiro corto come se avesse corso, lui le rivolse uno sguardo soddisfatto mentre si alzava dal letto e lei non era imbarazzata nel vederlo completamente nudo, provava solo un amore immenso di cui non pensava poter essere capace.
— Dove vai?
Annodò il preservativo — A buttare questo e poi al bagno.
— Così?
— Non ti piace? — la provocò.
Helis alzò gli occhi al cielo — Mi piace molto, ma...
— Dormono tutti ora. — rispose divertito recuperando i suoi vestiti da terra. 
Quando tornò Helis si era già rivestita perché aveva freddo dato che lui era rimasto un po’ in bagno, si stese accanto a lei e con un braccio la strinse a sé mentre con la mano libera lesse un messaggio sul suo cellulare, il modo in cui le accarezzava distrattamente la schiena come se fosse sua le provocò un fastidioso bruciore agli occhi e, prima che potesse controllarsi, scoppiò in lacrime.
La guardò atterrito — Perché piangi? 
Helis scosse la testa nascondendo il viso contro il suo petto mentre lui la stringeva a sé perché sapeva benissimo il motivo per cui stesse piangendo, avevano solo un giorno e poi si sarebbero lasciati ed, esattamente come ad Eretria, quello avrebbe potuto essere un addio. Non voleva perderlo, due giorni trascorsi solo con lui erano bastati per farle capire che amava persino i suoi difetti e che lo voleva nella sua vita.
— Scusa... — mormorò quando si calmò, Miloš fece spallucce triste e lei si accorse che un suo amico - un ex animatore che aveva lavorato con lui al villaggio l’estate precedente a quella in cui si erano conosciuti - gli aveva chiesto di entrare su Skype che voleva parlargli — Dovresti parlare con lui... — mormorò mettendosi seduta, lui fece lo stesso e la guardò serio negli occhi.
— Sicura? — lei annuì — Stai bene? — ripeté il gesto e lui provò a sorridere, il suo sorriso da animatore per far ridere gli altri — Non ti spaventare, lui è l’uomo nero!
Helis sorrise — Io mi sposto sull’altro letto... — ribatté baciandolo con dolcezza.
— Posso dirgli che sei qui con me?
— Sa chi sono? — domandò sorpresa e lui fece un’espressione un po’ colpevole, non poté fare altro che sorridere ancora pensando che a volte era proprio un bambino — È un tuo amico, puoi dirgli che sono qui...
Durante tutta la conversazione Miloš non le staccò gli occhi di dosso ed alternava sguardi preoccupati ad altri più maliziosi, poi mentre parlava con il suo amico, mise alcune canzoni che ricordavano loro le stagioni d’animazione passate e, quando mise “Napul’è” e poi alzò lo sguardo verso di lei, il suo cuore perse un battito. Non aveva mai dimenticato il loro lento su quella canzone, non avrebbe potuto in ogni caso e il fatto che lui l’avesse messa in quel momento significava molto per lei, in qualche modo entrambi erano ancora lì su quel palco a ballare insieme incuranti di tutti i villeggianti che li guardavano.
— Ah, finalmente un po’ di spazio sul mio letto! — scherzò stiracchiandosi dopo aver staccato la conversazione.
— Se vuoi posso dormire su questo letto...
— No, vieni qui! — disse perentorio, lei sorrise e si accucciolò tra le sue braccia mettendosi non dalla parte del muro ma all’esterno.
Mise qualche video e quasi le impose di guardare lo schermo e non girarsi verso di lui nonostante la sua mano scorresse sul suo corpo che era sempre più attaccato a quello di Miloš, poi ormai a notte inoltrata, si addormentarono.

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Capitolo 4
*** Molto romantico ***


Se non fosse stato per il braccio di Miloš avvolto attorno ai suoi fianchi come se fosse il suo peluche preferito, avrebbe sicuramente rischiato di cadere rovinosamente sul tavolino dove c’era il computer; l’idea di dormire all’esterno e non vicino al muro, che la sera prima le era sembrata geniale, si era rivelata pessima perché si era svegliata più volte rischiando di cadere mentre Miloš si impossessava praticamente di tutto il letto. Si alzò a fatica facendo attenzione a non svegliarlo e scese al piano di sotto per andare in bagno; ancora una volta non aveva idea di che ore fossero, sentiva qualcuno muoversi al piano terra, ma tutto il resto della casa era avvolto ancora nel silenzio interrotto solo dal respiro profondo di qualcuno.
Ritornò in camera dove ormai Miloš aveva conquistato tutta la superficie del letto, prese il suo cellulare per informare i suoi genitori che era sveglia ma “la sua amica” dormiva ancora, non sapeva se suo padre si fosse bevuto quella scusa, ma lui non fece domande e lei non aveva intenzione di dire la verità. Poi tornò sul letto accanto a Miloš che, appena la sentì, le lasciò qualche centimetro di spazio prima di stendersi quasi su di lei. Lo lasciò fare nonostante fosse certa che la sua spalla si sarebbe intorpidita presto, inoltre il braccio di Miloš premeva sul suo stomaco quasi facendole mancare l’aria; poggiò la mano su quella di Miloš posata pesantemente sulla sua pancia e gliel’accarezzò piano coccolando quel bellissimo uomo serbo che dormiva beato.
Fece un versetto di protesta svegliandosi, la osservò divertito e le sorrise con dolcezza, lei guardò i suoi occhi sorprendendosi ancora di quel colore incredibile che andava dal verde all’azzurro con riflessi grigi, avrebbe potuto guardarli per sempre, avrebbe voluto. Poi gli si avvicinò piano e gli posò un delicato bacio sulle labbra, di risposta lui inarcò un sopracciglio sorridendo interessato — Buongiorno! — disse in italiano facendola ridacchiare, adorava il suo accento strano quando pronunciava qualche parola nella sua lingua.
Quel giorno per colazione mangiarono würstel che la madre di Miloš aveva preparato appena loro erano scesi giù in cucina, Helis non avrebbe voluto che lei e il marito la vedessero in pigiama, ancora con le tracce della notte appena trascorsa, temeva che le si leggesse in faccia che avesse dormito nel letto con il loro bellissimo figlio e che prima ci avesse fatto l’amore. Restarono un po’ seduti sul divano mentre aspettavano che la colazione fosse pronta e lui fece zapping alla TV trovando addirittura un canale che trasmetteva una fiction italiana di cui lei aveva sentito parlare ma non aveva mai visto.
A tavola lui le tagliò i würstel perché lei li stava per mangiare con tutto l’involucro di plastica che non aveva notato, Miloš le rivolse uno sguardo divertito facendola sentire una bambina e lei, in quanto tale, gli fece la linguaccia appena la mamma distolse l’attenzione da loro, lui invece ridacchiò scuotendo la testa e poi iniziò a farle domande sull’Italia, sulla politica o la mafia, Helis parlò tranquillamente, non era un segreto che in Italia mafia e politica fossero spesso correlate, ma parlò anche delle cose belle che offriva il suo paese, quasi come se volesse convincerlo che non era poi un posto tanto brutto. In realtà, dopo essersi laureata, aveva più volte preso in considerazione di andare all’estero, ma la verità era che lei amava il suo paese e non avrebbe voluto lasciarlo, nonostante fosse ben consapevole di quante cose non andassero.
Circa un’ora più tardi, presero l’auto ed tornarono al posto in cui lui lavorava perché doveva prendere dei soldi, le sue colleghe che non lo avevano visto in quei giorni perché era con lei, lo salutarono di nuovo calorosamente ed Helis dovette ricordarsi che erano solo colleghe e che lei non aveva il diritto di comportarsi da fidanzatina partenopea gelosa. Le presentò una ragazza bassina con un caschetto nero legato in due codini, non molto carina ma dall’aria simpatica che si chiamava Natalija e che era senza scarpe nella zona dove c’era la bocca dello scivolo a tubo che finiva nella piscina di palline.
— Aspettami qui. — le sussurrò all’orecchio — Lei è italiana. — disse poi a Natalija con uno sguardo che lei non riuscì ad interpretare.
La ragazza le sorrise dolcemente e le fece qualche domanda anche se non parlava molto bene in inglese, però cercava di essere cordiale ed Helis la trovò molto dolce. 
Parlarono per un po’ nonostante le difficoltà, poi notarono che una bimba che stava saltando su uno dei tappeti elastici che erano accanto a loro, ad altezza delle loro spalle e separati da una rete, si era avvicinata a loro per chiedere qualcosa a Natalija, la quale le rispose in serbo e poi entrambe guardarono Helis.
— Le ho detto che sei italiana... — spiegò tornando poi a parlare con la bimba e lei intuì che le aveva chiesto se sapesse parlare in italiano o in inglese.
— Nessuno parla l’italiano. — ribadì sorridendo — Non è una lingua molto importante.
— Però è molto bella. — replicò accarezzando il viso della bambina che non aveva tolto gli occhi di dosso ad Helis, le sorrise dolcemente e lei disse qualcosa, riconobbe la parola “lepa” prima ancora che Natalija le traducesse la frase — Dice che sei molto bella.
Sorrise ancora ed avvertì dietro di sé la presenza di Miloš — Hvala. — rispose sorprendendo sia Natalija che la bimba — Anche tu sei molto bella.
Natalija tradusse e poi guardò Miloš con un’espressione un po’ sorpresa e un po’ maliziosa — Le hai insegnato il serbo? 
— Ancora no. — rispose Helis guardandolo quando lui poggiò una mano sulla sua spalla — Ma spero lo faccia.
Lui sorrise e poi disse qualcosa alla sua amica, Helis nel frattempo salutò la bambina dicendole “ciao” che aveva scoperto si usasse anche lì ed infilò le dita nella rete per toccare la sua manina, poi seguì Miloš fuori che la portò a fare shopping in uno dei negozi della zona.
— Mi spiace che tu ieri abbia pensato che io non fossi interessata a ciò che vedevo, lo ero davvero tanto. Belgrado mi è piaciuta molto...
— Non ho detto che non lo eri, solo che non lo sembravi.
Lo guardò — Beh, non è così. Ho visto tutto e mi è piaciuto tutto. — Miloš annuì dolcemente, poi prese a guardarsi le scarpe colpevole — E non volevo piangere stanotte.
Sospirò triste — Lo so... — e le diede un bacio sulla spalla — Guarda se c’è qualcosa che ti piace... Qualcosa che potresti indossare per i tuoi futuri colloqui in una radio... 
Sorrise pensando a quanto fosse dolce quella prospettiva — Non so cosa prendere... — mormorò imbarazzata.
— Fa’ come se io non fossi qui, mi faccio un giro nel reparto maschile...
Girò un po’ per gli stand senza mai perdere d’occhio Miloš che si muoveva sicuro per il negozio ed ogni tanto la guardava, riusciva a sentire il suo sguardo su di sé anche se era girata; prese una maglia color avion tutta ricamata ed aspettò lui per andare nei camerini e provarla, lui approvò e l’aiutò a pagare, dopodiché le chiese se le andava di andare di nuovo al cinema 5D.
— Quale vuoi vedere? 
— Non lo so, quale mi consigli? 
— Frankenstein.
— Ma fa paura... — protestò Helis aggrottando la fronte e lui le sorrise divertito guardandola come se volesse mangiarla — Guarda che se mi spavento è un tuo problema, dato che dormo con te. — sussurrò con aria di sfida.
Ridacchiò — Fino a stasera l’avrai anche dimenticato e poi con me non hai incubi. — rispose senza preoccuparsi che la ragazza alla cassa avesse sentito. Si fece dare gli occhiali ed entrarono nell’altra saletta, posarono come due sere prima le loro cose su una sedia e poi salirono le scale per raggiungere i tre posti in ultima fila — Reggiti. — sussurrò avvicinando la mano a quella di Helis finché i loro mignoli non si incrociarono. Il percorso alla fine si era dimostrato divertente, venivano inseguiti da Frankenstein nelle gallerie del laboratorio, ma rispetto al percorso della neve, i sedili si muovevano molto di più.
— Ti è piaciuto? — le chiese alla fine.
— Sì, è stato divertente, non faceva paura...
Lui aprì la macchina sorridendo — Te l’avevo detto... 
Quando si mise seduta in auto però avvertì un po’ di dolore e non riuscì a trattenere un leggero gemito che attirò l’attenzione di Miloš il quale le chiese cosa avesse — Quel movimento nel cinema 5D mi ha fatto un po’ male... — rispose sentendo di essere arrossita.
Miloš aggrottò la fronte perplesso — Dove?
— Emh, Miloš... — il viso le stava andando in fiamme.
Lui spalancò gli occhi capendo — Quel movimento ti ha fatto male ? — Helis annuì senza guardarlo negli occhi, troppo imbarazzata per riuscirci — Com’è possibile? 
Gli rivolse uno sguardo a metà tra il divertito e il perplesso, per un attimo fu tentata di ricordargli cosa era successo tra loro nelle ultime due notti, ma evidentemente la sua occhiata fu abbastanza eloquente e comunque non voleva parlarne perché a lei non era affatto dispiaciuto — Lascia perdere... — mormorò sorridendo.
Andarono al Giardino Nazionale, un bel parco enorme vicino al Tamiš e girarono un po’ all’interno. Helis fu colpita dal fatto che ci fosse un’area con vari attrezzi ginnici usufruibili da chiunque gratuitamente come le giostre per bambini poco più avanti, si misero a provare alcuni attrezzi facendo gli scemi insieme, lui le scattò alcune foto e poi continuarono a camminare. Al centro del parco c’era una specie di gazebo in ferro battuto e la fantasia di Helis riprese a galoppare troppo velocemente mentre immaginava lui che la portava lì e la baciava, ma c’erano delle ragazze che conosceva e poco più avanti un suo compagno del liceo che aveva un’iguana - ignorò la sua parte animalista che conveniva che non fosse legale avere un’iguana come animale da compagnia -, per cui dovette accantonare il suo eccessivo romanticismo e presentarsi al ragazzo che, sebbene avesse iniziato a parlare con Miloš, non le levava gli occhi di dosso. Ed era inquietante. Aveva visto quello stesso sguardo su Duško e Dražen al villaggio, oltre che ovviamente su Miloš ogni volta che la guardava dalla prima volta in cui aveva posato i suoi occhi acquamarina su di lei quella sera del tredici agosto di sette mesi prima, ma in Serbia erano in effetti molti i ragazzi che la guardavano in quel modo e, constatò con sarcasmo che con gli italiani riscuoteva molto meno successo.
Camminarono fino al primo pomeriggio nel parco, parlando tanto mentre di tanto in tanto le loro mani si sfioravano, ma lei era troppo timida e preoccupata di infastidirlo per prendergli la mano e probabilmente lui troppo freddo per farlo, per cui si accontentarono di quei brevi contatti e degli sguardi che si scambiavano. 
Passeggiarono poi lungo il Tamiš e poi lui la portò su un piccolo pontile dove aspettarono una barchetta, l’aiutò a salire prendendola per mano mentre il signore che era al timone lì guardò con il sorriso di chi la sapeva lunga; Helis non aveva idea di dove la stessa portando mentre si chiedeva se fosse davvero così palese quello che c’era tra di loro, nonostante al di fuori della stanza di Miloš non facessero nulla.
— Dammi il tuo cellulare, ti faccio una foto, così la mandi a tua madre... — glielo porse ancora sorpresa di come permettesse tutto a lui, dal guardare nella sua borsa e nel suo portafogli per aiutarla a pagare, al cellulare che raramente dava in mano a qualcun altro — Foto prima di annegare... — ironizzò prendendo in giro l’eccessiva apprensione di sua madre, Helis rise di gusto lanciandogli però un’occhiataccia scherzosa.
Pochi minuti dopo erano dall’altro lato della riva, lui l’aiutò a salire sul pontile in legno prendendola di nuovo per mano, sebbene lei fosse nata in una città di mare e si trovasse abbastanza a suo agio sulle barche e poi entrarono in un ristorantino proprio sulla riva che d’estate aveva anche i tavoli all’esterno. Era molto intimo con i tavoli e le sedie in legno con sopra dei piccoli abat-jour rossi che diffondevano una tenue luce soffusa, si misero ad un tavolo accanto alla finestra che dava sul fiume, alle loro spalle c’era un camino spento e il bancone. 
— Mi piace questo posto. — sussurrò dopo che lui aveva ordinato.
La guardò con dolcezza e cercò la sua mano sul tavolo, restarono così anche quando il cameriere portò il vin brulé per lei e del succo di frutta per lui; Helis non aveva capito che voleva farle assaggiare il vino caldo, ma constatò che era migliore di quello che aveva provato in Italia, per cui riuscì a berlo tutto. Miloš le rivelò che dopo essersi ubriacato con il vino quando era più giovane, aveva smesso di berlo e lei cercò di immaginare un giovane Miloš liceale che faceva nuoto a livello agonistico e si ubriacava con il vino durante una festa con i suoi compagni.
Avrebbe voluto che il tempo si fermasse e restare per sempre lì con lui. Ma quando finirono le loro bevande, lui pagò e poi tornarono prima alla barchetta che li riportò all’altra riva del Tamiš e poi all’auto, ritornando nel posto in cui lavorava. 
— Ti va un waffel? — le chiese quando passarono davanti allo stand. Helis si sorprese di come in quei giorni la sua fame fosse minima, ma lui aveva un’espressione apprensiva che le fece capire che era meglio non rifiutare — Non hai mangiato nulla oggi, a parte la colazione. — sentenziò.
In realtà neanche lui aveva mangiato, ma forse solo per non farla sentire a disagio — Ok, ma lo dividiamo e lo pago io! 
Alzò gli occhi al cielo, ma non sembrava tanto dispiaciuto dell’idea di doverlo dividere con lei; gli lasciò scegliere cosa far mettere sopra mentre lei prendeva i soldi dal portafogli e glieli passava affinché lui potesse contare la quantità giusta, poi il ragazzo nello stand gli porse un piattino di plastica con all’interno un waffel sorretto da una stecchetta di legno come quella dei gelati che permetteva di mangiarlo senza sporcarsi troppo. Presero a mangiarlo dando un morso per ciascuno, incuranti delle persone che li guardavano, almeno non erano più al villaggio e dovevano nascondere ciò che c’era tra loro. Probabilmente dovevano assomigliare a Lilli E Il Vagabondo nella scena degli spaghetti e questo la fece sorridere mentre entrambi si avvicinavano al lato opposto del waffel, lui diede un morso senza staccare gli occhi dai suoi, con uno sguardo malizioso che, se non fosse stata così tanto impegnata a non sporcarsi, l’avrebbe fatta avvampare.
— Smettila di guardarmi così! — sibilò leccandosi il labbro superiore che si era un po’ sporcato di cioccolato, ma questo contribuì solo a farle ricevere un’altra occhiata come la precedente.
— Andiamo in macchina... — le sussurrò all’orecchio.
Probabilmente l’espressione che aveva assunto lei doveva essere piuttosto maliziosa ed equivoca, perché Miloš sorrise sornione con quello sguardo che di solito aveva la sera quando le levava i vestiti e lei, mentre pensava serafica a cosa avrebbe potuto fargli in macchina se fossero stati in un posto più isolato, non riuscì a non ricambiare lo sguardo di poco prima. Lui inarcò un sopracciglio continuando quel gioco di sguardi, ma fu interrotto da una telefonata.
— Problemi? — gli chiese senza riuscire a trattenersi.
— Oggi è il compleanno di una delle mie più care amiche, ci ha inviato a prendere una fetta di torta a casa sua, ti va di andare? — non gli avrebbe mai detto di no, anche se non le piaceva l’idea di andare a casa di estranei — Ha da poco avuto un bambino, vorrei comprare qualcosa per il piccolo... — continuò sorridendo e portandola in un negozio di giocattoli lì vicino. Girarono per un po’ insieme tra gli stand cercando un giochino adatto ad un neonato e poi andarono a pagare, la cassiera rivolse loro uno sguardo che Helis non riuscì a decifrare. Sembrava al contempo dolce, come se pensasse che fossero una bella coppia, ma anche contrariato come se Helis fosse troppo giovane per avere già un figlio. Non poté darle torto, ma contemporaneamente ripensò alla bambina dagli occhi acquamarina che aveva abitato i suoi sogni alla fine di agosto ed una parte sconosciuta di lei sperò che un giorno quella scena si sarebbe potuta ripetere.
Arrivarono in una zona di Pančevo che sembrava molto più povera rispetto al resto della città, Miloš posò una mano attorno ai suoi fianchi mentre entravano in casa e la madre della sua amica porgeva loro delle pantofole per accedere all’interno. Il bimbo appena nato dormiva in una culla nel piccolo salottino all’ingresso, Miloš lo guardò con dolcezza e poi presentò Helis alla coppia di suoi amici, i quali dissero di spostarsi al piano di sopra per poter fumare e non dare fastidio al piccolo e, prima di salire, la ragazza chiese loro se volevano un po’ di torta.
— Emh...
Miloš si spostò dietro di lei portando le mani ai suoi fianchi e fece una leggera pressione — Sì, la prendiamo entrambi. — rivolse ad Helis un’occhiata dolce che però mascherava un “fa’ la brava e mangia un po’ di torta” e lei fu indecisa se protestare o meno, optò per lasciar perdere e salì piano le scale constatando che quelle pantofole erano decisamente scomode per case del genere e minavano il suo equilibrio già abbastanza precario.
Si mise seduta su una poltrona accanto a quella dov’era Miloš che, sebbene parlasse in serbo con i suoi amici, si sporgeva verso di lei in modo protettivo per farle capire che non l’aveva dimenticata e, quando gli altri tre presero a fumare e a lei venne da tossire, la guardò apprensivo e chiese loro se potevano aprire un po’ la finestra. Restarono al massimo mezz’ora durante la quale Helis si sentì parecchio osservata dalla ragazza, essendo una cara amica di Miloš aveva tutte le ragioni a rivolgerle quello sguardo un po’ diffidente e un po’ interrogativo, Helis si chiese come lui l’avesse presentata alle varie persone che avevano incontrato in quei giorni dato che lei capiva solo l’aggettivo “italiana”, ma non aveva idea di cosa fosse per lui davanti agli altri. Una vocina maligna nella sua testa ipotizzò che era solo la ragazza di turno che si portava a letto, ma lei cercò di scacciarla via infastidita obiettando che c’erano numerose ragazze serbe che avrebbe potuto portarsi a letto senza andarsene a cercare una a millecinquecentoquattro chilometri di distanza. Questo pensiero, per qualche assurdo motivo, le provocò un calore in tutto il corpo. Miloš non voleva solo portarla a letto, voleva rivederla esattamente come lei voleva rivedere lui.
Salutarono i suoi amici e poi tornarono verso casa sua dove c’erano i loro vicini che parlavano con i suoi genitori seduti in salone. Miloš presentò Helis mentre i suoi la guardavano dolcemente - una parte un po’ civettuola di lei pensò che erano contenti che il figlio avesse portato una ragazza come lei a casa da mostrare ai vicini -, mentre gli ospiti passarono lo sguardo su entrambi, un po’ sorpresi ed un po’ maliziosi.
Quando Miloš svelò che era italiana, la donna disse “buonasera” e poi le rivelò di essere francese ed ebbero una breve conversazione nella sua lingua che Helis aveva studiato al liceo, lasciando un po’ tutti sorpresi.
Poi, mentre gli adulti continuavano a parlare, loro si misero a tavola per la cena - o il pranzo, Helis non ne era molto sicura - e mangiarono la sarma, degli involtini di cavolo acido con all’interno carne macinata che lei, contro ogni aspettativa, apprezzò molto. Dopodiché si congedarono e tornarono in camera prima di uscire di nuovo con Natalija e Mara - un’altra collega di Miloš che avevano incontrato passando con l’auto verso la zona dove lui lavorava -; era sorpresa che lui la presentasse a tutti i suoi amici più importanti e non riusciva a levarsi dal viso un sorriso sciocco.

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Capitolo 5
*** Gioco di sguardi ***


— A che ora dobbiamo uscire? — gli chiese quando lui si chiuse la porta della sua camera alle spalle.
Miloš controllò l’orario sul cellulare — Abbiamo ancora un po’ di tempo, poi la invitò a sedersi sul suo letto — Cosa ne pensi della mia città, Pančevo?
Incrociò le gambe sul letto e si girò a guardarlo — Mi piace.
— Certo, non è Napoli... — lasciò incompleta la frase consapevole che gli italiani e, i napoletani in particolare, fossero particolarmente legati alla propria città.
Helis ridacchiò — Io sono scappata da Napoli. — ammise.
— Scappata? Perché, non è bella?
— Trovo Napoli molto bella, una delle città più belle d’Italia, ma è troppo caotica e rumorosa. E le persone spesso credono di essere i padroni del mondo quando invece non sono proprio nessuno, più che in altre città di Italia.
Parve riflettere sulle sue parole — Voi italiani siete molto patriottici, ma in modo strano. — constatò — Vi credete spesso i migliori... Intendo, non tutti, ma in generale.
Helis sorrise — A volte siamo un po’ stupidi.
— In realtà patriottici non è il termine giusto, perché i napoletani ad esempio non si sentono “italiani” ma “napoletani”, c’è sempre questo conflitto tra Nord e Sud perché al settentrione c’è più lavoro e ricchezza, credo... — Helis annuì guardandolo riflettere sugli italiani, non poteva dargli torto, effettivamente il suo popolo aveva molte contraddizioni che, paradossalmente, non si ritrovavano in Serbia dove, nonostante una povertà molto più accentuata, le persone erano molto migliori, più semplici e cordiali — Jerry, ad esempio, a volte era una persona fantastica e altre volte avrei voluto ucciderlo per la sua presunzione.
— Questo è tipico dei napoletani.
— E non ti piace molto... — constatò guardandola con un mezzo sorriso, si stese sul letto mentre lei continuava a stare seduta e guardarlo.
— Non condivido questo modo di fare dei napoletani... A volte non mi sono molto simpatici, anche se io stessa sono napoletana.
— I ragazzi del villaggio, come Luigi, erano divertenti, anche se a volte sembravano un po’ stupidi.
Helis arricciò il naso ricordando il gruppo di napoletani che per quasi dieci giorni dei quattordici trascorsi al villaggio lei aveva cercato di evitare e che non avevano fatto altro che sparlare di lei come se fosse il loro argomento di gossip preferito — Emh... No, Luigi è proprio quel tipo di napoletano che cerco di evitare...
— Tu sei una napoletana strana. — ammise ridacchiando, il suono della sua risata era dolce e coinvolgente ed Helis non poté fare a meno di sporgersi verso di lui poggiando le mani sul materasso ai lati delle sue spalle larghe, lo guardò intensamente prima di posargli un leggero bacio sulle labbra.
Miloš le rivolse uno sguardo attento in attesa della prossima mossa, poi alzò leggermente la testa per incontrare di nuovo le sue labbra e allora si abbandonarono ad un bacio appassionato, Helis salì a cavalcioni su di lui che prese ad accarezzarle il corpo mentre i loro respiri acceleravano.
Facendo forza sugli addominali si mise seduto mentre lei era ancora a cavalcioni sul suo bacino e la guardò interessato, con le pupille leggermente dilatate — Ti piace il sesso?
Una domanda del genere in un altro momento l’avrebbe fatta diventare rossa come un papavero, ma d’altronde con lui non poteva vergognarsi, inoltre era una domanda lecita dato che Miloš che era stato il suo primo ed unico ragazzo — Sì... Con te. — ma le ultime due parole erano poco più di un sussurro e si persero in un altro bacio durante il quale lui le morse piano il labbro inferiore facendola sorridere, poi la girò piano sul letto ed iniziò a spogliarla coprendola con il lenzuolo per non farle sentire freddo. Le posò dei baci sul collo, sul petto fino a scendere sempre più in basso con uno sguardo così malizioso che lei quasi non riuscì a sostenere. Trattenne appena un gemito ed avvertì che lui stava sorridendo.

 

Rimase stesa sulla pancia per qualche secondo incapace di muoversi, lui ridacchiò posandole un bacio tra le scapole che le provocò i brividi e poi si stese accanto a lei.
Quando ad un certo punto le aveva detto di cambiare posizione e l’aveva fatta mettere carponi sistemandosi dietro di lei, Helis un po’ si era imbarazzata, ma le era piaciuto così tanto che ancora non riusciva a respirare regolarmente e, Miloš che ridacchiava tranquillo accanto a lei, era quasi snervante.
Si girò su un fianco e lo abbracciò guardandolo innamorata — Stai bene?
— Sono con te, Miloš... — mormorò accarezzandogli il petto — Sto bene e sono felice.
— Anche io... — ammise passando delicatamente la mano sulla schiena di Helis.
Ma dopo un po’ si rese conto che lui era altrove, la sua fronte aggrottata faceva intuire che stesse pensando ad altro e, questo, la offese un po’. Probabilmente gli rivolse un’occhiataccia quando lui cercò i vestiti, perché la sua espressione si fece perplessa.
— Che c’è?
— Dobbiamo uscire?
— Non ancora...
Se fino a pochi minuti prima si sentiva la persona più felice del mondo, in quel momento avrebbe quasi gridato dalla rabbia, o pianto — Quindi perché ti stai rivestendo? 
— Perché. — rispose con un mezzo sorriso sghembo che in un’altra situazione le avrebbe fatto avvertire un piacevole vuoto allo stomaco, ma non in quel momento.
— Perché non è una risposta. — sbottò guardandolo negli occhi.
Lui sospirò — Non mi sento a mio agio. — confessò — Lo so che le donne vogliono essere coccolate dopo aver fatto l’amore e che tu ora lo vorresti, ma io non ci riesco, ho bisogno di fare altro. Non so perché. E non è una cosa che riguarda te, è così sempre... 
— Così però sembra davvero una cosa che riguarda me. — ammise amareggiata.
Miloš si inginocchiò davanti a lei sul materasso ed Helis si mise seduta cercando di coprirsi con il lenzuolo detestando di essere ancora nuda al contrario di lui — Non è affatto contro di te. — disse serio, guardandola negli occhi così intensamente che lei trattenne il respiro — Non potrebbe mai esserlo. — ed il suo tono era così grave che lei non poté fare a meno di credergli. Miloš le accarezzò il viso con la stessa espressione dolce che riservava solo a lei, la stessa di quando quella notte di agosto nella sala conferenze gli aveva confessato di essere ancora vergine, o di quando l’aveva presa a ballare con sé l’ultima notte o quando, nella Animation Room, si erano abbracciati per dirsi addio — Sei la prima ragazza con cui ho fatto l’amore dopo che la mia ex mi ha lasciato. 
Questa dichiarazione la lasciò completamente senza parole, per cui impiegò qualche secondo a replicare — Perché?
— Perché non mi piace, fare sesso senza sentimenti. 
— Perché io?
La guardò timido, sembrando molto più un ragazzino piuttosto che un ventottenne. Probabilmente non le avrebbe mai detto “ti amo”, non aveva senso dopo che Helis era stata così disfattista riguardo l’ipotesi di un futuro insieme anche se lo desiderava con tutta se stessa, ma quello sguardo parlava. Era così diverso da quelli melensi nei film romantici che l’attore belloccio di turno rivolgeva alla protagonista per farle capire i propri sentimenti; era uno sguardo carico di inquietudine, tristezza, incertezza ed era incredibilmente vero e forte e, prima che riuscisse a controllarsi, avvertì gli occhi diventarle lucidi e si detestò perché non avrebbe voluto piangere di nuovo davanti a lui. Miloš se ne accorse e sfoderò il suo sorriso da animatore un po’ malizioso, come quando le aveva detto che la cioccolata era afrodisiaca — Perché. — rispose infine riuscendo a farla sorridere.
— Ti odio... — sibilò dolcemente abbassando lo sguardo e mai un “ti odio” nella storia era sembrato così tanto un “ti amo”.
— Lo so. — ridacchiò baciandola velocemente — Ora dovremmo andare... — Helis aggrottò la fronte e lui le rivolse un’occhiata allarmata — Che c’è?
— Emh... avrei bisogno di ricompormi un attimo. — ammise facendolo ridere.
— Vado giù a bere, fa’ con calma.
Helis sorrise — E vorrei anche un altro bacio. — brontolò con la voce da bambina.
Alzò gli occhi al cielo divertito e poi, dopo aver posato le mani a coppa sul suo viso, la baciò. Lo osservò mentre usciva dalla stanza, sentiva ancora il sapore del suo bacio mentre il suo cuore decelerava i battiti dopo quella muta dichiarazione di poco prima.
Si vestì velocemente indossando una maglia nera con le maniche e la parte sul petto velata, poi andò in bagno a darsi una sciacquata, si aggiustò i capelli che in quelle condizioni non lasciavano dubbi su quello che era successo e diede un ritocco al trucco che si era un po’ sciolto, mettendo anche il rossetto rosso. Quando scese al piano di sotto, sempre lentamente perché con quelle pantofole rischiava di cadere come al solito, l’attenzione di Miloš e dei suoi genitori fu catturata dal suo arrivo. E, mentre si faceva mille problemi riguardo a come si fosse vestita o truccata, le si avvicinò sorridendo e guardandola intensamente.
— Sei pronta? — Helis annuì mentre i suoi occhi indugiavano sulla parte velata della maglia e i suoi genitori li osservavano con un mezzo sorriso.
Rivolse un’occhiata imbarazzata a loro, prima di concentrarsi su quel paio di occhi acquamarina che la fissavano — Smettila di guardarmi in questo modo...
Sorrise ricordando che gli aveva detto la stessa frase l’estate prima — Quale modo?
— Come se fossi la tua torta preferita. — ribadì ancora esattamente come in quell’agosto precedente, poi salutarono i suoi genitori ed uscirono nel disimpegno per mettere le scarpe e il cappotto che, come al solito, lui l’aiutò ad infilare.
Passarono a prendere Mara e Natalija appena uscirono da lavoro e poi andarono in una sala da gioco. Helis aveva giocato pochissime volte a biliardo, più per divertimento che in modo serio, per cui per il primo turno Miloš disse alle sue amiche che avrebbe giocato in coppia con Helis per spiegarle le regole.
I primi tiri le andarono molto bene, infatti Natalija le chiese se davvero quella era la prima volta che giocava, Miloš invece la guardò interessato.
— Ok, devi colpire la palla gialla. — sussurrò avvicinandosi a lei per il suo turno — Attenta a non colpire quella rigata che è vicino.
— Così?
— Devi piegarti di più verso il tavolo. — suggerì.
Helis inarcò un sopracciglio — Non è una bella posizione questa.
— Perché?
Questa volta fu Mara a guardarlo tra il perplesso e il divertito e con lo sguardo indicò il resto della sala da gioco in cui vi erano solo uomini a parte loro tre e la maggior parte di loro aveva già guardato più volte Helis con interesse — Perché è una ragazza.
Si scambiarono uno sguardo complice — Eppure prima non mi è sembrato ti fosse dispiaciuta... — sussurrò al suo orecchio così piano che persino Helis lo sentì a stento, arrossì e finse di dargli un colpo con la stecca da biliardo, lui scoppiò a ridere e si mise dall’altra parte del tavolo esortandola a giocare — Un po’ più a destra... — si mosse — Non così tanto, un po’ più a sinistra... Ancora un po’...
— Miloš. — sbottò guardandolo intensamente e facendo ridacchiare Mara e Natalija che stavano assistendo al loro piccolo show divertite, come a volte capitava con alcuni villeggianti per i quali avevano inscenato involontariamente dei brevi cabaret. Tirò e, contro ogni aspettativa, riuscì a imbucare anche quella pallina.
— Brava... — mormorò avvicinandosi a lei di nuovo e prendendole la stecca di mano.
— Cosa fai nella vita, Helis? — le chiese Natalija approfittando del turno di Mara — Lavori?
— No, studio... 
Miloš stava mettendo del gesso sulla punta della stecca — Si è appena laureata. — disse quasi contemporaneamente ad Helis.
Natalija e Mara la guardavano sorprese — Ma quanti anni hai?
— Ventidue...
— Sei molto giovane... — ammise Mara rivolgendo poi uno sguardo a Miloš ed Helis avrebbe preferito che non lo facesse, non aveva bisogno di una sua amica che gli mettesse altre paranoie riguardo la loro differenza di età.
— E ti sei divertita durante questi giorni in Serbia? — intervenne Natalija andandole in aiuto, Helis le fu segretamente riconoscente e rispose di sì — Grazie alla Serbia o grazie a Miloš? — anche se lui stava facendo il suo tiro, tese quasi impercettibilmente le spalle e lei capì che era in ascolto, constatò anche di essere arrossita e probabilmente era una chiara risposta alla domanda appena ricevuta.
— Ad entrambi. — rispose cercando di mantenere una voce neutra — La Serbia è molto bella e Miloš è...
Se lui non si fosse girato proprio in quel momento a guardarla, probabilmente avrebbe trovato un aggettivo non compromettente, ma restò in silenzio a rispondere al suo sguardo mentre Natalija interveniva di nuovo in suo soccorso dicendo che lui era fantastico e tutti a lavoro lo adoravano.
Lei e Miloš vinsero la prima partita e allora lui decise di cambiare le coppie giocando con Mara così Natalija che sembrava così interessata ad Helis, poteva farle altre domande. Verso la fine della seconda partita, le due ragazze si distrassero per un po’ mentre era il turno di Helis e si allontanarono per leggere, ridacchiando, un messaggio che era arrivato ad una delle due, lei sbagliò il tiro mandando in buca la pallina bianca, Miloš la recuperò prima che cadesse dentro e, dopo un veloce sguardo intorno, la rimise esattamente dov’era — Prova di nuovo...
Gli sorrise e tirò ancora anche se non riuscì ad imbucare la pallina che aveva scelto e alla fine, con il tiro successivo, lui vinse.
— Perché non giochiamo a freccette? — propose Mara.
Miloš ed Helis si guardarono complici e scoppiarono a ridere mentre condividevano un ricordo dell’estate precedente.
— Emh.. meglio di no, non sono molto brava. — ribadì divertita.
— Neanche io, che importa?
Miloš aveva ancora un sorrisone stampato in faccia — Lei è pericolosa. L’estate scorsa ha ucciso almeno cinque persone giocando a freccette. — lei rise scuotendo la testa e si rese vagamente conto che lo stava guardando così intensamente da non lasciar dubbi riguardo ai suoi sentimenti per lui.
— A proposito, come vi siete conosciuti? 
— In Grecia. — rispose — Nel villaggio dove lui faceva l’animatore ed io ero... una villeggiante.
— La villeggiante più pericolosa quando giocava a freccette. — ironizzò optando poi per giocare a biliardino. 
Mentre Helis si avvicinava al biliardino sentì Mara dire sottovoce una frase contenente la parola “lepa” e Miloš rispondere di sì, quando incrociò il suo sguardo capì che era riferito a lei e gli sorrise anche se in realtà non aveva capito tutta la frase.
Mentre inseriva il gettone, Natalija tornò a farle domande — Helis, sei fidanzata?
Si girarono tutte e tre a guardare perplesse Miloš che aveva tirato troppo forte la leva per rilasciare le palline, rispose al loro sguardo con una scrollata di spalle ed Helis pensò divertita che in quel modo non faceva altro che attirare di più le attenzioni su di loro, esattamente come al villaggio — No, non lo sono. — rispose guardando lui negli occhi e dimenticandosi di avere gli sguardi delle altre due su di sé.
Infatti entrambe guardarono prima Miloš e poi tornarono a rivolgere le proprie attenzioni ad Helis — Peccato, se così bella...
Mara sorrideva apprensiva e le rivolse uno sguardo dolce al quale Helis rispose con un sorriso, poi iniziarono a giocare e fecero alcune partite dove vinsero sempre lei e Miloš. Infine si spostarono a giocare ad air hockey, prima Natalija contro Helis che riuscì a batterla due volte, poi al posto della collega si mise Miloš che le tirò il disco in buca tre volte nel giro di un minuto.
Ela! — esclamò in greco provocandola — Prima sei stata così brava! 
— Gne! — ribatté con voce da bambina.
Natalija faceva il tifo per Helis e continuava ad incitarla — Miloš sei poco cavalleresco, fai l’uomo!
Rivolse uno sguardo divertito all’amica prima di lasciare che Helis segnasse un paio di volte mentre lui se la rideva — Smettila, gioca! 
— Come vuoi... — ridacchiò segnando gli ultimi due punti a suo favore affinché vincesse — Mi spiace... 
Gli si avvicinò e lo spinse per gioco facendogli poi la linguaccia — Stupido...
— Non sono stupido, ho vinto!
Poggiò la testa contro il suo petto e lo sentì respirare più profondamente, poi le posò un bacio veloce sulla testa e lei si allontanò pensando di averlo infastidito, ma Miloš sorrideva tranquillo e le sue amiche sembravano interessate a leggere un altro messaggio.
Dopo si spostarono nei pressi di un piccolo localino la cui specialità era la plijeskiavica, un altro piatto tipicamente serbo che somigliava vagamente all’hamburger, in un panino con salsette a scelta o insalata; Helis si offrì di pagare dato che alla sala giochi avevano sempre pagato loro e Miloš, sebbene contrariato, la lasciò fare.
— Perché solo con l’insalata? — le chiese aggrottando la fronte — Quello vero si mangia con una salsetta!
— Lo preferisco così.
Sospirò e poi prese i panini quando il cuoco glieli porse dopo aver finito di prepararli, passò i rispettivi a Mara e Natalija e poi un altro ad Helis che constatò quanto fosse buona quella carne; dopodiché uscirono da quel posto angusto dove si prendeva solo da mangiare ma non si poteva restare all’interno e, lentamente si avviarono verso l’auto.
— È buonissimo! — disse a voce bassa nonostante le ragazze fossero più avanti rispetto a loro di svariati metri.
Miloš sorrise e le porse il suo panino — Assaggia questo. — quelle salsette non la ispiravano per niente, ma lo accontentò ugualmente e quando si rese conto che effettivamente era ancora più buono del suo, non poté fare altro che rivolgergli uno sguardo un po’ colpevole che lo fece sorridere — Non mi ascolti mai, a volte sei insopportabile. — ribadì ironico.
— Non lo sono! — protestò aggrottando la fronte.
— Sì, invece ed è adorabile. 
— Ti odio... — mormorò con aria di sfida.
E, ancora una volta, anziché prendersela, lui si mise a ridere — Certo, come no... — e le passò il braccio libero attorno alla vita fregandosene che le sue colleghe potessero vederli.
Dopo aver finito di mangiare, riaccompagnò le ragazza verso il luogo dove lavoravano e loro salutarono con affetto Helis dicendole che era molto simpatica e che erano dispiaciute che avessero potuto trascorrere così poco tempo con lei, augurandosi poi di rivederla.
— Sono molto carine... — disse rilassandosi contro lo schienale e guardandolo.
— Sì, esco spesso con loro, sono delle buone amiche. 
Quando tornarono a casa, i suoi genitori erano già a letto, andò per prima in bagno e quando tornò lui le lesse un messaggio di Mara la quale diceva che Helis era molto carina e simpatica e le era dispiaciuto non saper parlare bene in inglese perché avrebbe voluto parlare molto di più con lei e sperava di rivederla, augurando poi ad entrambi una buona notte. 
— Oh... 
Sorrise — Sei simpatica a tutti. 
— Tranne a te... 
— Esatto! — scherzò — Helis gli fece la linguaccia e poi prese il pigiama intenta a tornare in bagno per cambiarsi, ma lui la fermò — Cambiati qui...
— Non voglio fare uno strip-tese.
— Non guarderò... — Helis alzò gli occhi al cielo divertita e gli diede le spalle, ben consapevole che lui la stesse guardando attento; si levò prima la maglia con calma e poi portò le mani dietro la schiena per sbottonare il reggiseno, dopodiché con lentezza si sfilò i jeans — Carino! — non rispose, aspettò di aver indossato il pigiama prima di girarsi e rivolgergli un’occhiata a metà tra il contrariato e il malizioso, lui però si era alzato dal letto ed era a pochi passi da lei — Non diventare rossa, ti conosco meglio di chiunque altro nuda. — la baciò e lei fece per avvolgergli le braccia al collo e stringerlo a sé, ma lui rise e l’allontanò con dolcezza, spense la luce e poi la tirò piano sul letto — Sei stanca? — scosse la testa e provò a baciarlo ancora, ma lui si stese e la guardò divertito.
— Miloš...
— Cosa?
Sospirò mettendosi a carponi ed avvicinando il viso al suo per baciarlo e finalmente lui ricambiò, era molto stanca ma le sue mani si muovevano autonome sul corpo di quel meraviglioso uomo serbo fino ad arrivare al bordo della sua maglia — Vorresti aiutarmi?
Le rivolse uno sguardo di sfida — No.
— Devo fare tutto da sola? — ridacchiò tirandogli su la maglia.
— Sì. Sono sempre io a fare tutto.
— Ok... — rispose provocatoria e gliela sfilò guardando il suo petto nudo, vi passò una mano sopra e con sua sorpresa gli provocò i brividi, così si abbassò di nuovo verso di lui che aspettava un altro bacio, ma anziché accontentarlo, prese a baciargli il collo scendendo poi lentamente, sfidandolo con lo sguardo. A quel gioco potevano giocare in due. 
Quasi non riusciva a vederlo perché la luce era spenta e lo schermo del computer era andato in stand by e lei aveva bisogno di vederlo — Non riesco a vedere nulla...
— Dici sempre che non vuoi che ti guardi in quel modo. — sogghignò.
— Voglio vederti! 
Allora riattivò il computer e lei constatò con soddisfazione che aveva le pupille dilatate, così riprese. Poi si rese conto che era molto più bravo di lei a non cedere a quel gioco, così si fermò e lui finalmente aprì gli occhi e le rivolse uno sguardo interrogativo — Cosa c’è?
— Ti voglio. — e la sua sembrava quasi una supplica.
— Ti voglio anche io, Helis. Ti voglio su di me...
Era un’altra novità per lei, ma si rese conto di volere lo stesso. All’iniziò sentì un leggero dolore che cercò di dissimulare allo sguardo attento di Miloš, poi si abituò e lui le portò le mani sul suo petto; dopo un po’ Helis decise di levarsi la maglia del pigiama — Ho caldo... — disse sorridendo e sul viso del suo partner comparve un’espressione estasiata che la fece sentire bellissima.
— Finalmente hai caldo! — scherzò e lei si abbassò su di lui a baciarlo.
Sorrise chinandosi a baciargli il collo — Ti amo. — sussurrò in italiano e lui la strinse a sé.
Si addormentò poco dopo essersi rivestita, con Miloš che le accarezzava dolcemente la schiena ancora sveglio, non seppe dire quanto tempo fosse passato quando lo sentì chiudere il computer ed abbracciarla da dietro, ma era in un momento tra il dormiveglia ed il sonno profondo, per cui se ne accorse appena.

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Capitolo 6
*** 1504 chilometri ***


Che avessero dormito tutta la notte abbracciati, lo dimostrava la sua spalla indolenzita, il braccio di Miloš invece era avvolto attorno alla sua vita e la teneva dolcemente stretta contro il suo corpo, Helis era sorpresa che anche lui non si fosse proprio mosso durante la notte nonostante le due precedenti avesse cambiato spesso posizione.
Non avrebbe voluto muoversi, avrebbe voluto restare tra le sue braccia per sempre e fermare il tempo dato che ormai mancavano poche ore alla sua partenza, ma la spalla le faceva male ed aveva bisogno di andare al bagno. Così si girò piano e lui sospirò imbronciato stringendola di più a sé, poi aprì lentamente gli occhi — Ciao...
Era così bello appena sveglio, con gli occhi ancora semichiusi e i capelli neri spettinati — Vado al bagno, continua a dormire... 
Aggrottò la fronte — No... — rispose come un bambino.
Si mosse facendo in modo di trovarsi stesa su un fianco esattamente davanti a lui e gli accarezzò il viso, lui chiuse gli occhi a quel contatto e poi, dopo averli riaperti, sporse le labbra chiedendole silenziosamente un bacio che lei fu contenta di dargli.
Quando uscì dal bagno, Miloš l’aspettava fuori per poi scendere insieme a fare colazione. Era assente, con un’espressione pensierosa che la spinse a domandarsi se anche lui avvertisse quell’orribile peso sul petto che non la faceva respirare, come se una volta lasciata quella casa non avrebbe più potuto respirare dell’ossigeno puro.
Mangiarono quasi in silenzio delle sfoglie a forma di piccoli quadrati accompagnate con del formaggio e prosciutto e poi tornarono nella sua stanza sotto lo sguardo comprensivo della mamma. Helis ricordò che al villaggio sua madre l’ultimo giorno le lanciava degli sguardi preoccupati, come se da un momento all’altro potesse crollare e lei ne fosse consapevole; in quel momento si sentiva esattamente allo stesso modo, ma ogni volta che gli occhi le si facevano lucidi, cercava di pensare ad altro e fu grata a Miloš che le fece vedere un gioco a cui si era appassionato ispirato all’Impero Romano, le fece vedere come si conquistavano i villaggi e le chiese se alcuni personaggi o città fossero esistiti davvero, fu contenta di rispolverare la sua letteratura latina e rispondere correttamente a tutte le sue domande. Poi dopo circa un quarto d’ora, smise di giocare sbuffando, come se il suo modo per smettere di pensare fosse miseramente fallito, non poté dargli torto.
— Hai qualcosa da fare prima di uscire di casa?
Erano appena le dieci e il suo volo sarebbe partito verso le quattro e venti del pomeriggio, quindi sarebbe dovuta arrivare in aeroporto un paio d’ore prima, per cui avevano ancora un po’ di tempo a disposizione, anche se non tanto quanto lei avrebbe voluto — A parte la doccia, no...
L’espressione cupa fu coperta da uno sguardo malizioso che gli fece brillare gli occhi, quindi si stese quasi buttandosi a peso morto — Ok, allora dormo. — e finse di russare, ma era chiaro che stesse scherzando, infatti dopo un paio di secondi riaprì gli occhi e la guardò divertito.
— Se vuoi dormire... — lasciò incompleta la frase senza poter fare a meno di sorridere, era incredibile come lui riuscisse a strapparle sempre un sorriso, anche quando dentro avrebbe voluto morire.
— Tu hai detto che non devi fare altro...
Sorrise poggiando una mano accanto alla sua spalla ed inginocchiandosi — D’accordo, allora dormi... — mormorò chinandosi a baciarlo, ma lui non ricambiò il bacio e la guardò con aria di sfida, Helis lo baciò ancora un paio di volte prima di rivolgergli uno sguardo stizzito — Perché non mi baci?
— Perché.
Alzò gli occhi al cielo — Ti...
Ma Miloš le impedì di continuare la frase perché l’attirò a sé e la baciò con passione facendo in modo che si stendesse accanto a lui, poi le sue mani cercarono con calma il corpo di Helis sapendo quali punti toccare perché in quei tre giorni aveva imparato a conoscerlo abbastanza bene. Lei lo guardava perdendosi nei suoi occhi, quegli occhi acquamarina che dal primo istante in cui li aveva incrociati, le avevano fatto venire delle strane vertigini, come se per sbaglio avesse saltato uno scalino scendendo le scale. Era profondamente innamorata, era sua. Provò a toccarlo a sua volta, ma lui con un’espressione maliziosa, glielo impedì.
— Perché non posso toccarti? — sibilò.
Miloš la baciò e non c’era nulla di erotico in quel bacio, c’era solo tanta dolcezza — Perché non è il mio turno. Goditi il tuo...
Era chiaro che non avesse intenzione di fare l’amore con lei dato che parlava di “turni”, all’inizio la prese male ma poi una parte di sé, quella remota che era ancora capace di pensare mentre tutto il resto del suo corpo e della sua mente era altrove, in posti mai raggiunti prima, si rese conto che fare l’amore in quel momento sarebbe stato una specie di punto, un modo per dirsi addio, l’ultima volta. Fermare tutto ai preliminari, sebbene appaganti come quelli che lei stava ricevendo, le sembrava più un punto e virgola, una sospensione, un modo positivo di pensare che forse li avrebbero potuti concludere in un futuro, che avrebbero avuto altri momenti per fare l’amore, che quella non era la fine. Allora si lasciò andare, chiuse la mente e le sembrò di essere in paradiso, lui dovette persino dire di abbassare la voce, ma era divertito e soddisfatto mentre Helis respirava a fatica sorpresa per quello che era successo al suo corpo.
— Stai bene? — le chiese mentre cercava di calmarsi.
— Sì... — mormorò fallendo due volte il tentativo di mettersi in ginocchio, era palesemente sconvolta e lui le rivolse uno sguardo quasi preoccupato, lei sorrise — Molto più che bene! — ammise baciandolo e lo sentì ridere di gusto.
— Mi fa piacere. — disse al terzo tentativo di Helis di inginocchiarsi — Riprenditi, non c’è fretta...
Effettivamente le tremavano le gambe e stare in ginocchio era un po’ precario per lei in quel momento, inoltre ancora non riusciva a respirare regolarmente e provava altre lievi scosse di piacere, ma sorrise spostandosi i capelli dal viso con una mano — È ok, sto bene. — e ricambiò con passione.
— Tutto ok? — le chiese quando lei tornò a stendersi poggiando la testa sulla sua spalla e stringendo la sua maglia in un pugno, Helis annuì leggermente aggrottando la fronte e cercando di pensare ad altro perché gli occhi le bruciavano — Non è vero...
Sospirò — Non proprio. Ma non importa...
— Andiamo a fare un giro... — propose alzandosi e guardandola atterrito — Magari fai ancora un po’ di shopping.
Si alzò sforzandosi di sorridere e si stiracchiò verso di lui abbracciandolo, sentiva il suo respiro sul viso ed il suo sguardo attento su di sé, si alzò sulle punte e lo baciò e, nonostante volesse dargli un bacio veloce e casto, si trasformò in tutt’altro. Miloš si staccò piano da lei e le sue pupille erano tornate leggermente dilatate, mentre entrambi riprendevano fiato — Che c’è? — lo provocò, lui ridacchiò alzando gli occhi al cielo — Voglio un bacio. — richiese come una bambina.
Gliene concesse un altro veloce, poi le diede una pacca sul sedere facendola sobbalzare — Ora doccia!
Gli fece la linguaccia e poi si chinò verso la sua valigia a prendere i vestiti. Nella doccia dovette impiegare tutta la sua concentrazione per non scoppiare a piangere. Quando poi scesero le scale per salutare i genitori di Miloš mentre lui le portava la valigia, riuscì a stento a fingere un sorriso; sua madre l’abbracciò calorosamente mentre Helis la ringraziava con affetto dell’ospitalità.
Hvala!
Sorrise abbracciandola ancora — Ma grazie a te! Ti aspettiamo di nuovo qui a casa nostra e spero che la prossima volta tu possa restare per più tempo.
Helis guardò di sottecchi Miloš che le stava traducendo ciò che diceva sua madre — Lo spero anche io, grazie mille di tutto.
— È stato un piacere! Come si dice “buon viaggio” in italiano?
Miloš la guardò aggrottando la fronte, cercando di ricordare — Buono...?
Helis gli rivolse uno sguardo carico d’amore, lo stesso che gli rivolgeva ogni volta che provava a dire qualcosa in italiano o quando durante quelle tre notti l’aveva visto dormire con la maglia dell’Italia che indossava fiero — Buon viaggio... — mormorò — Grazie ancora...
Poi uscì di casa, il padre stava lavorando in garage, per cui quando Miloš lo chiamò, uscì con le mani e la maglia sporche di grasso, ma le rivolse il solito sorriso caloroso e bonario ed anche lui le disse che gli avrebbe fatto piacere rivederla. 
Anche a lei, avrebbe fatto piacere.
Poi entrarono in auto ed andarono ancora un po’ al centro di Pančevo per cambiare i Dinari che le erano rimasti in Euro e fare un ultimo giro, dopodiché si avviarono verso l’aeroporto di Belgrado imbottigliandosi in un traffico scorrevole. La tensione nell’abitacolo dell’auto era quasi tangibile, Helis sentiva gli occhi gonfiarsi di lacrime più volte e lui fissava la strada irrigidito, allora portò la mano su quella di Miloš poggiata al cambio e questo lo fece sorridere, poi iniziò a comportarsi come un animatore, esattamente come l’ultima mattina al villaggio prima che lei andasse via, quando durante il risveglio muscolare cercava in tutti i modi di attirare la sua attenzione e farla sorridere.
— Ti aspetto in Italia... — mormorò mentre Miloš faceva lo scemo.
Spalancò i suoi occhioni — In quale città? 
Helis fece spallucce — In qualunque tu voglia. 
— Tu sarai a Milano... 
— Credo di sì, ma possiamo andare a Roma se vuoi, sono una brava guida...
— Mi piacerebbe. 
In aeroporto l’accompagnò a fare il check in, ma mancava ancora un’ora all’imbarco, così si misero seduti a parlare per un po’, tenendosi per mano, poi il suo volo fu annunciato e lei sentì piombare su di sé un peso che non credeva sarebbe riuscita mai a scacciare.
Miloš le strinse dolcemente le spalle e la baciò con delicatezza — Buon viaggio, Helis. — mormorò triste.
Deglutì a fatica — Grazie Miloš, di tutto. Sono stati tre giorni bellissimi, indimenticabili... — la voce le si spezzò e lo strinse a sé baciandolo ancora e, mentre le loro labbra entravano in contatto, Helis scoppiò a piangere senza riuscire più a trattenersi, la guardò atterrito.
— Stai piangendo... — mormorò provando ad ironizzare, ma i suoi occhi erano lucidi e le sue spalle erano ricurve come a farsi da scudo da qualcosa di invisibile. 
Singhiozzò stringendosi a lui e baciandolo ancora, disperata — Miloš...
— Cosa? Mi odi? — scherzò ripetendo ciò che lei gli aveva detto spesso in quei giorni posandole dei delicati baci sulle labbra.
Helis sorrise, nonostante tutto, gli accarezzò il viso mentre le lacrime scorrevano oscurandole la vista e scosse la testa — No, non ti odio, io...
La baciò ancora — Lo so, anche io.
Il cuore di Helis sembrò fermarsi, lo ringraziò ancora e poi si avvicinò al controllo passaporti e fece vedere il documento prima di andare a fare il security check. Si girò un’ultima volta a guardare Miloš che era rimasto lì fermo, con le spalle ricurve che non gli conferivano il solito atteggiamento sicuro e, sebbene avesse la vista oscurata dalle lacrime, Helis ebbe la sensazione che lui si fosse passato la mano sotto un’occhio come a volersi asciugare una lacrima.
Volim te. — sussurrò e probabilmente Miloš riuscì a leggere il labiale perché sorrise, poi lei girò l’angolo perdendolo di vista.
Passò più di un quarto d’ora prima di salire sull’aereo e, durante il metal detector e poi l’imbarco, non smise mai di piangere mentre le persone, agenti in particolare, le rivolgevano sguardi perplessi, quasi come se volessero fare qualcosa per lei ma non potevano. Nessuno poteva fare niente. Nessuno poteva alleviare quel dolore così forte che sembrava quasi una presenza fisica che l’avvolgeva, sopprimendola perché stava dicendo addio al ragazzo che amava. Al primo ragazzo per cui aveva davvero perso irrimediabilmente la testa, a cui aveva dato la sua verginità e per cui aveva preso quella folle, impulsiva e meravigliosa decisione di raggiungerlo nel suo paese; quel ragazzo che dal primo istante in cui i loro occhi si erano incontrati - quelli stupendi acquamarina nei suoi castani -, le avevano fermato il cuore per un istante e che aveva amato con tutta sé stessa per sette mesi senza mai smettere di pensarlo. Quel ragazzo che era il suo più grande amore e dal quale era separata da una distanza insormontabile, millecinquecentoquattro chilometri.
Per la seconda volta, trascorse il viaggio senza nemmeno rendersene conto, fissando la brutta tappezzeria del sedile davanti al suo e ricordando i momenti meravigliosi di quei tre giorni e mezzo vissuti con Miloš, mentre le lacrime continuavano a rigarle il viso incessanti.
Helis ricordava ben poco del viaggio di ritorno a Bologna e dei giorni successivi, le sembrava come se un clone privo di sentimenti avesse preso il suo posto e fatto ogni cosa meccanicamente mentre il vuoto avvolgeva la vera lei. Tornò in sé solo per un giorno, durante la proclamazione della sua laurea in cui fu davvero felice ed emozionata e, per la prima volta dopo nove giorni, le lacrime che rigavano il suo viso non erano di dolore puro, ma di gioia perché aveva finalmente realizzato quello che per anni era stato il suo sogno e che al momento era diventato realtà ma allo stesso tempo era stato in parte sostituito da un altro sogno, Miloš.
Non c’era giorno in cui non le mancasse e, sebbene avesse imparato a convivere con il dolore, non riusciva comunque a smettere di pensarlo e di cercarlo, ma lui rispondeva freddo e, quando dopo quasi un mese da quando aveva lasciato la Serbia, gli disse che le mancava, Miloš rispose che non doveva, che doveva uscire e cercare qualcun altro, che doveva dimenticarlo perché così non faceva altro che fare del male ad entrambi, soprattutto perché lei aveva detto che una loro possibile relazione sarebbe stata pressoché impossibile.
Aveva pianto tutta la sera e tutta la notte, rifiutando di mangiare e restando a letto senza fare nient’altro e il vuoto era tornato a riprendersela prepotente e, proprio come Emma Bovary, Helis non esisteva più. Per svariati giorni era tornata la Helis-clone che dispensava sorrisi meccanici al mondo intero celando il dolore che la vera Helis stava provando e che nulla avrebbe potuto far passare.
Poi, durante gli ultimi giorni a Bologna, mentre era presa dal trasloco e dalla ricerca di una nuova inquilina che prendesse il suo posto in quella casa, Helis decise di fare l’ultima follia per Miloš, inviargli una lettera in cui gli dichiarava apertamente il suo amore e gli chiedeva di trovare una soluzione, come ad esempio lavorare insieme quell’estate. Il messaggio di risposta di Miloš arrivò dopo circa una settimana, scrivendole che aveva ricevuto la lettera ma che aveva bisogno di tempo per aggiustare delle cose e poi risponderle.
Ogni giorno controllava nella casella della posta in attesa di una lettera, ogni mattina si svegliava con un forte peso sul petto che le impediva di respirare temendo che la risposta sarebbe stata negativa ed ogni notte tirava un sospiro di sollievo perché il peggio non era ancora arrivato. Era un’eterna lotta tra il Giacomo Leopardi e il Walt Disney che erano in lei, pensava al peggio cantando però “I Sogni Son Desideri”.
L’attesa era snervante, ma lei avrebbe aspettato quella risposta a lungo, sperando ogni giorno, esprimendo sempre lo stesso desiderio delle 11.11. Helis avrebbe sempre aspettato Miloš perché non poteva fare altrimenti; perché per quanto fosse quasi impossibile, il pensiero di loro due insieme per quattro mesi era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi per poter dormire e per allontanare il dolore sordo; perché lo amava. Perché.





Ја ипак волим те, Милан.

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