Gehemnia

di Steelberry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Benvenuti a Gehemnia ***
Capitolo 2: *** Contromisure ***
Capitolo 3: *** Vittoria pirrica ***



Capitolo 1
*** Prologo - Benvenuti a Gehemnia ***


Un tonfo sordo si diffonde tra le pareti del vicolo. Il mio impatto con il terreno non è stato dei più aggraziati. Ma la cosa è abbastanza normale, quando i responsabili dell’impatto sono due energumeni tutt’altro che raccomandabili. Con relativi montanti ben assestati. Non ho capito esattamente perché abbiano scelto me come ultimo malcapitato da pestare della serata, ma non sono sicuro di volere dei chiarimenti.
Alzo una gamba, faccio per rimettermi in ginocchio, ma un calcio in pieno petto mi svuota di tutta l’aria che ho in corpo.
Crollo di nuovo a terra. Il misto di sabbia, terra battuta e residui di lastricato che ricopre il marciapiede non aiuta certo ad attenuare il colpo.
La polvere si impasta con il sudore, creando una cortina densa che brucia occhi e gola.
Ho qualche secondo di tregua, quanto basta per accorgermi che anche solo respirare mi provoca un dolore fottuto all’altezza dello sterno. E che i miei due nuovi amici emanano un terrificante odore di alcol e altra roba non meglio identificata.
Provo a rialzarmi, puntellandomi sui gomiti malfermi, ma gli assalitori non sembrano gradire la mia iniziativa. Faccio giusto in tempo a vedere il pugno chiuso di uno di loro prima che si abbatta sul mio zigomo.
Lo schianto mi sbatte di nuovo per terra. Vedo volare in giro qualche macchia rossastra e spero intensamente che non sia il mio sangue, ma so benissimo chi fra le tre persone nel vicolo sia l’unica in condizione di sanguinare.
Un altro colpo mi raggiunge prima ancora che possa rendermene conto.
Con un gemito rimbalzo sul terreno, come una bambola di pezza. Non capisco se è per via della polvere, ma la vista mi si offusca leggermente, e i suoni prendono a giungere come ovattati alle mie orecchie. Ansimo.
Il calcio che segue lo sento rimbombare direttamente nel cervello. Non ho idea di dove mi abbiano colpito, ormai ho perso la sensibilità di tutti quei muscoli che non siano ancora contratti all’inverosimile per resistere al dolore.
Nel groviglio di rumori smorzati mi sembra di sentire delle risate. Si stanno divertendo. Spero con tutta la forza che mi resta in corpo che trovino al più presto un altro passatempo, che magari non preveda di fracassarmi il cranio o altre amenità del genere.
Le risate cessano di colpo.
Tiro un respiro profondo, con il solo risultato di gemere dal dolore al primo movimento. Mentre chiudo gli occhi e stringendo i denti mi preparo alla prossima razione di botte, percepisco in modo abbastanza distinto dei passi. Ci siamo, penso fra me, si ricomincia…
Attanagliato in posizione fetale, mi accorgo di tremare leggermente.
Serro i denti con ancora più forza.
E aspetto.
Ma non succede niente.
Riapro lentamente gli occhi, titubante. Intorno a me non c’è più nessuno.
O almeno così mi pare, ma di certo sarebbe più facile stabilirlo se le pareti del vicolo avessero dei contorni precisi e smettessero di girare vorticosamente. L’unica cosa che riesco a vedere più o meno nitidamente è un piccolo frammento di lastricato, parzialmente sepolto a circa dieci centimetri dai miei occhi. E imbrattato di quello che pare essere il mio sangue.
Tossicchio nel modo più lieve possibile, ma subito mi pento di averlo fatto. Sento l’inferno bruciare in ogni singolo nervo.
Risolvo per restare disteso supino. Il che mi riesce abbastanza bene, dato che ormai ho perso il controllo di quasi ogni parte del corpo.
Ansimando, respiro l’aria fresca della sera.
Tutto sommato poteva andarmi peggio.
Mentre mi abbandono a quel poco di sollievo appena trovato, mi rendo conto di qualcosa. Un suono, in lontananza, penetra nella massa ovattata che mi circonda. Una raffica di spari. Di arma semiautomatica.
Ricognitori.
Cerco di non farmi prendere dal panico, ma naturalmente fallisco e mi ritrovo ancora a urlare per il dolore.
Ecco perché quei due se ne sono andati! L’orario di coprifuoco deve essere passato da un pezzo, e per quanto fossero ubriachi non penso avessero in programma di concludere la serata con un proiettile in mezzo agli occhi. E così hanno pensato bene di rinunciare a divertirsi con me prima che la ronda si divertisse con loro.
Encomiabili, ma ora tocca a me levare le tende il più in fretta possibile. Sarebbe difficile spiegare perché mi trovi in giro a quest’ora, e specialmente spiegarlo a un cervello elettronico infilato sotto uno spesso strato di metallo, armato fino ai denti e con l’ordine di sparare a vista.
Rinuncio a qualsiasi intento diplomatico e concentro le ultime forze nel tentativo di trascinarmi in un angolo meno visibile. Sento di impazzire per il dolore, ma riesco a guadagnare un paio di spanne verso un cassone dei rifiuti in fondo al vicolo. Devo raggiungerlo a tutti i costi.
Faccio per alzarmi in piedi, ma come tento di muovere un passo stramazzo a terra.
Niente da fare, è troppo lontano.
Mentre giaccio per terra a fissare la polvere, riesco a concentrarmi abbastanza da distinguere altri spari. Qualcuno sta rispondendo al fuoco dei Ricognitori. Saranno ancora i Ribelli, penso, oppure un attacco della Milizia. A me basta solo che tengano occupate tutte le pattuglie della zona quel poco di tempo necessario perché possa mettermi in salvo.
Respiro lentamente.
Senza il minimo preavviso, un esplosione in lontananza scuote il terreno.
Non appena il rombo si dissolve nell’aria, sento che la sparatoria comincia a infuriare.
Mi giro su un fianco, a osservare il cielo notturno sopra di me. Nonostante il fragore generato dalle scariche di piombo, i capogiri si stanno placando e riesco a scorgere i Cancelli, le imponenti barriere che delimitano la parte più interna della città.
E, appena più in basso, il bagliore di un incendio.
Benvenuti a Gehemnia.

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Capitolo 2
*** Contromisure ***


QG della Milizia
Località ignota
19 Set 526 E. N.
Ore zero-otto-zero-zero
 
  – Certamente sarete già a conoscenza dei fatti della scorsa notte – esordì Lt Preacher. – Per chi non fosse informato, vi basti sapere che i Ribelli hanno assaltato nuovamente i Cancelli di Gehemnia. Niente di nuovo sotto il sole, già. Naturalmente hanno fallito, ma l’aspetto positivo è che hanno tenuto impegnate quasi una dozzina di pattuglie di Ricognitori per diverse ore e, considerate le perdite da entrambe le parti, è probabile che ci voglia parecchio tempo prima che si riorganizzino e tornino perfettamente operative. Ovviamente, il Comando provvederà a sguinzagliare altre squadre di Ricognitori ausiliari per mantenere la sorveglianza attiva, ma si tratterà presumibilmente di unità di tipo A ed F. Nulla di troppo pericoloso.
Fece una pausa, trattenendo a stento un sorriso di compiacimento.
Il discorso sembrava sortire l’effetto sperato, e i Miliziani che fino a quel momento avevano assistito in silenzio nella sala briefing si presero la libertà di scambiarsi qualche commento sollevato. Tanto più la situazione della capitale fosse stata instabile, tanto più facile sarebbe stato per loro intervenire e volgere a proprio favore le sorti della rivolta. Il fatto poi che le squadre di Ricognitori fossero state pressoché decimate non avrebbe che semplificato il loro compito. Quei droni erano sufficienti per sedare le improvvisate insurrezioni popolari, ma poco potevano contro gli uomini ben armati della Milizia.
Preacher si schiarì la voce, in modo da avere di nuovo l’attenzione della sala. Il che gli riuscì con estrema facilità, considerando l’enorme carisma che esercitava su ogni presente. La sua stessa figura sembrava pensata per ispirare un fascino innato, dai tratti somatici ben marcati senza essere troppo duri, agli occhi color pece, ai capelli leggermente brizzolati nonostante l’età decisamente giovane per un ufficiale. Persino il timbro vocale era perfettamente modulato per instillare in qualsiasi interlocutore un grande senso di sicurezza. Tutti tornarono in silenzio.
  – Come potete osservare da questa ricostruzione, – continuò, mentre i microproiettori del tavolo posto fra lui e i soldati si misero in funzione generando in pochi attimi una proiezione olografica tridimensionale del centro di Gehemnia – l’attacco si è concentrato sulla zona Nord dei Cancelli. Da questo possiamo desumere che obiettivo delle forze ribelli doveva essere prendere il controllo di uno degli stabilimenti di produzione dei Ricognitori situati in zona. Pur non assicurando loro un effettivo vantaggio in termini di risorse, la posizione avanzata li avrebbe resi una seria minaccia per il Comando. Ma ovviamente non possiamo dirlo con certezza, visto che quegli inetti sono stati respinti ancora prima di avvicinarsi.
Qualche Miliziano si lasciò sfuggire un sogghigno. Anche se combattevano per la stessa causa, i Ribelli non erano tenuti in grande considerazione. Erano più visti come un branco di anarchici e sbandati, buoni a far casino ma del tutto irrilevanti per le sorti della rivoluzione.
Il tenente indicò dunque un punto nella luminosa costruzione olografica, uno spazio di circa due isolati in cui il reticolo azzurro degli edifici era reso con una luminescenza più scura.
  – Malgrado il fallimento – aggiunse – pare che siano comunque riusciti ad aprire una breccia nei Cancelli. Toccherà a noi portare a compimento la loro bella idea, e le condizioni del corpo Ricognitori giocherà a nostro favore. Una volta preso lo stabilimento saremo noi a dettare le regole. Per ora, questo è tutto. Riceverete ordini precisi in seguito, ma se non altro adesso avete un’idea più o meno vaga di cosa vi sarà richiesto. Tempo stimato dalla missione: tre o quattro giorni, non di più. Durata dell’azione: ancora indefinita. Ci sono domande?
Non ce n’erano. I soldati si alzarono dai proprio posti e cominciarono a defluire fuori dalla sala briefing. Le cose si stavano mettendo bene. Se l’operazione fosse andata a buon fine l’esito degli scontri si sarebbe deciso davvero in fretta.
La sala si svuotò, ingombrata da quel vociare che sempre accompagna l’uscita di gruppi di persone da una stanza. Preacher si abbandonò sullo schienale della poltrona. Anche questa era fatta.
Ispezionò le tasche della consunta giacca da aviatore alla ricerca di un mezzo pacchetto di sigarette Cromford ormai dato per disperso, finché la realtà non lo certificò come perso per sempre. Se non altro doveva averne ancora nel proprio scompartimento.
Chiuse gli occhi e tirò un profondo respiro.
Fece per alzarsi, ma notò solo in quel momento un interessante paio di gambe comparso accanto alla poltrona. E, poco sopra, il resto di Leena Dephàge, intenta ad accendersi una Cromford casualmente trovata dentro un certo mezzo pacchetto gloriosamente riapparso.
  – Salve Nathan – sorrise, la testa reclinata in avanti a lottare con un accendino che non voleva saperne di assolvere il proprio compito. Dopo una breve colluttazione alzo la testa e scostò i capelli corvini dagli occhi, sfumacchiando con aria soddisfatta. Aveva vinto lei.
  – Meno confidenza. Ricorda che sono pur sempre un tuo superiore. E poi non potresti fumare qui.
Lei si limitò a ignorarlo e andò a sedersi fra due microproiettori sul bordo del tavolo, accavallando le gambe. Venne subito al sodo.
  – Cosa hai intenzione di fare? La truppa muore dalla voglia di entrare in azione. Faresti meglio a cogliere l’occasione.
  – Da qui a quattro giorni saranno accontentati. Mi sembra di averlo già detto prima.
  – A me sembra anche che tu abbia parlato di sfruttare la carenza di difese della città, cosa che non durerà in eterno. Forse nemmeno i tuoi quattro giorni.
  – Cosa vuoi che faccia? – ribatté Preacher – Spedire tutta la Milizia al gran completo nell’occhio del ciclone sulla base di qualche supposizione? Le belle ipotesi sono perfette finché servono a convincere i tuoi uomini che tutto va bene e hai ogni cosa sotto controllo, ma se guardi nel concreto valgono meno di niente. Potremmo anche avere tutte le buone probabilità di questo mondo, se la posta in gioco è la vita dei nostri soldati non ti aspettare che mi muova senza dati certi.
Una smorfia si disegnò sul volto di Leena. Anche se non condivideva fino in fondo, doveva ammettere la ragione di Preacher. Non potevano permettersi di rischiare vite e risorse umane in azioni avventate.
L’ufficiale ruppe di nuovo il silenzio: – Si tratta solo qualche giorno. Giusto il tempo di mettere insieme i dati di tutti gli informatori ed elaborare un piano efficace.
Lei non rispose. Fissava un punto imprecisato sul pavimento, rimuginando qualcosa.
  – Certo, – riprese – sempre chi i Ribelli non trovino il modo di complicarci la vita… Non vorrei finissimo per ostacolarci a vicenda, ma le loro mosse restano sempre un’incognita.
D’un tratto Leena parve illuminarsi.
  – Vado io.
  – Cosa?
  – Dai Ribelli. Per scoprire qualcosa sui loro piani. Vado io – rispose, enfatizzando il tutto con una lunga boccata di fumo.
Preacher restò interdetto. Gli ci volle qualche secondo per venire a capo di quell’uscita così campata per aria, e qualche altro secondo per preparare un rifiuto in grande stile. Ma fu preceduto.
  – Sai che non posso starmene con le mani in mano mentre là fuori si compie ciò per cui stiamo lottando – continuò Leena, intuendo i pensieri del tenente – E sai anche che è proprio per questo genere di missioni che sono qui.
Sì, lo sapeva. Lo sapevano tutti. Leena era una specialista. O, per lo meno, così era catalogata nelle forze regolari di Gehemnia prima che come gli altri disertasse per dar vita alla Milizia. Il suo compito non era tanto di partecipare agli scontri nudi e crudi, quanto piuttosto di guidare plotoni di agenti in missioni particolarmente delicate o rischiose. Era quello che sapeva fare, ciò per cui era stata addestrata. E oltretutto la esentava dall’indossare la terrificante divisa d’ordinanza woodland grigia che tutti i Miliziani erano ordinariamente tenuti a portare.
Preacher sospirò. L’evidenza dei fatti era tutta contro di lui.
Rivolse a Leena uno sguardo misto di fastidio e rassegnazione per essere passato così velocemente dalla parte del torto.
  – Ti rendi conto che di questo passo attenterai gravemente alla mia pazienza, vero?
Mentre la specialista gli rivolgeva in risposta il più beffardo sorriso che avesse da offrire, Preacher si agganciò al tasto dell’interfono e scambiò qualche parola con i tecnici dell’hangar. Quindi tornò a rivolgersi a Leena: – A quanto pare abbiamo un paio di veicoli Cougar al momento disponibili per inserire te e la tua squadra nel…
  – Niente squadra – lo interruppe – Vado da sola.
La capacità di sopportazione di Preacher stava raggiungendo nuovi limiti.
  – Senti, – le rispose sforzandosi di mantenere la calma – cerca di essere ragionevole…
Ma, per tutta risposta, Leena aveva molto ragionevolmente lasciato la stanza.
D’istinto il tenente si mosse per raggiungerla e impedirle di partire, ma a un secondo avviso si rese conto che non avrebbe potuto convincerla in alcun modo. Era impossibile vincere una discussione con quella donna.
Pronunciò a denti stretti qualcosa di ben poco consono a un ufficiale e si lasciò cadere di nuovo sulla poltrona, osservando la sala vuota e il tavolo di fronte a sé, ancora occupato dalla riproduzione olografica del centro di Gehemnia. Il covo dei Ribelli si trovava da qualche parte nei sotterranei della città. Chissà se Leena sarebbe effettivamente riuscita a scoprire a qualcosa. Probabilmente nemmeno lei aveva idea di come agire, se tentare un incontro diplomatico o introdursi di nascosto nella base e recuperare quante più informazioni senza farsi individuare.
Distolse lo sguardo dai reticoli azzurri della ricostruzione e lo spostò sul posacenere dietro uno dei microproiettori. Accanto al mozzicone lasciato da Leena troneggiava il mezzo pacchetto di Cromford.
Si allungò per prenderlo. Se non altro, almeno una cosa positiva era riuscito a trovarla. E in quel momento aveva un disperato bisogno di riprendere la calma con una sigaretta. Lo aprì.
Era vuoto.
Un elenco di imprecazioni fu udito provenire dalla sala briefing mentre, nell’hangar, l’agente scelto Leena Dephàge assicurava l’equipaggiamento per la missione dietro la sella del suo hovering.

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Capitolo 3
*** Vittoria pirrica ***


Centro di Comando
Gehemnia
19 Set 526 E. N.
Ore zero-nove-due-cinque

Il luogo era una sorta di magazzino di stoccaggio, un enorme capannone nella cui semioscurità si erigevano interminabili pareti di container. La poca luce filtrava attraverso una serie di sporchi lucernari allineati al centro dell’arco del soffitto, e si spartiva in fasci attraverso l’aria densa di polvere. Vistose travi metalliche sorreggevano lo scheletro dell’edificio, appena distinguibili dietro le casse stipate a creare dei corridoi in mezzo alla merce stoccata.
Non si sapeva cosa ci fosse dentro quelle casse, né perché si trovassero abbandonate in un magazzino.
L’unica cosa certa era che il luogo pullulava di x-ray, e andava ripulito.
X-ray era il termine con cui si indicava ogni possibile minaccia. Potevano essere Ribelli, Miliziani o Ricombinati, come venivano definiti i Ricognitori catturati e riprogrammati dai Ribelli, non aveva importanza. Qualunque cosa i soldati si fossero trovati davanti, quel qualcosa avrebbe dovuto cessare di esistere nell’immediato futuro.
Menalca alzò silenziosamente il braccio sinistro, richiamando l’attenzione del resto della squadra dietro di sé. Con un ampio gesto della mano fece cenno agli altri di attivare la maschera tattica. La quantità di polveri rendeva l’aria irrespirabile, e da lì a poco sarebbe certamente volata qualche flashbang e granate ADS, quindi meglio offrire quanti meno centimetri di pelle scoperta.
Una leggera pressione sul lato dell’elmetto, e dal bordo inferiore del cappuccio della tuta da battaglia si generò una protezione facciale che andava a unirsi con il visore, creando una sacca d’aria a tenuta stagna davanti a naso e bocca.
Si voltò a controllare la squadra. Tutti avevano attivato l’equipaggiamento ed erano tornati a impugnare le armi. I cinque soldati tennero la posizione, nervi tesi al massimo e fucili d’assalto VK7 Mockingbird puntati.
Nei corridoi formati dalle torri di container gli spazi erano veramente angusti per l’azione di un’arma da fuoco. Data la distanza più che ravvicinata, i fucili a concentrazione di energia sarebbero risultati troppo ingombranti e la cadenza di fuoco troppo bassa. Tra l’altro, il loro vantaggio principale, cioè assenza di caricatore e disponibilità di colpi pressoché illimitata, non sarebbe stato minimamente d’aiuto. Non era necessario sviluppare grandi volumi di fuoco in spazi tanto ristretti. Alla luce di questo, il Mockingbird era ragionevolmente l’arma più adatta, essendo incredibilmente leggero ed efficace a corto raggio.
La pattuglia cominciò ad avanzare nella penombra.
Menalca era il point-man dell’operazione, ovvero il soldato in posizione più avanzata. A distanza di qualche metro, dietro di lui, Nosh, Gaz e Carter gli avrebbero fornito copertura mentre, ancora più arretrata, Alya fungeva da retroguardia.
La maschera antigas era una vera cripta. Sentiva il suo stesso respiro rimbombare, assordante, nelle orecchie. Si sforzò di mantenere la concentrazione. Camminava lentamente, la schiena leggermente inarcata, il calcio del Mockingbird premuto contro la spalla. Senza produrre il benché minimo rumore si guardava intorno, scrutava, ispezionava con lo sguardo ogni singolo anfratto o angolo oscuro. Gli x-ray potevano essere ovunque. Scacciò dalla mente ogni altro pensiero. Ma non era facile.
– Manifestata incapacità – aveva commentato il generale Harigs, dopo la scadente azione della notte precedente – Ecco come potrei riassumere. Manifestata incapacità. E sappi che ho sollevato dal servizio per molto meno.
Menalca non aveva neppure osato replicare. Non c’era molto da dire. Si era limitato a restare sull’attenti con l’aria più marziale che potesse mostrare di fronte a un superiore.
– Ci siamo coperti di vergogna. È stata un’umiliazione per l’intero corpo di guardia di Gehemnia. Voi dovreste essere il Reparto d’Élite, il fiore all’occhiello della nostra difesa, i soldati più micidiali che abbiano mai messo piede in città. E invece? Invece siete riusciti a stento a impedire che un branco di sbandati facesse irruzione nei Cancelli! E tutto questo mandando a farsi fottere mezza guarnigione di Ricognitori!
Fece una pausa per riprendere fiato.
– Guarda qua! – aveva ripreso, alzandosi di scatto dietro la scrivania e afferrando un foglio che vi giaceva sopra in mezzo a una montagna di carte – Sai cos’è questa? Eh? Dimmi, sai cos’è?
– No, signore.
– È un’ufficiale lettera di biasimo, ecco cosa! E indovina un po’ di chi è la firma in fondo? Oh, pensa, del Presidente! L’avresti mai detto? Il Presidente in persona vuole complimentarsi per la vostra brillante azione! Ne sarete orgogliosi, spero.
– L’importante è che i Ribelli siano stati respinti – aveva osato rispondere Menalca. Per poi pentirsene immediatamente.
Harigs si era bloccato di colpo.
– Stammi bene a sentire – aveva sibilato a denti stretti, appoggiandosi con le nocche sulla scrivania. Sembrava sul punto di esplodere, e il fatto che si stesse sforzando di mantenere un tono quasi calmo non era per nulla rassicurante – Credo che tu sappia a chi spetta decidere cosa è importante e cosa no. Ti do un indizio. Si trova in questa stanza. E non risponde al nome di capitano Menalca. Fossi in te cercherei di tenerlo a mente.
– Certo, signore.
– E ora sparisci.
– Grazie, signore.
Harigs aveva pienamente ragione, questo Menalca lo riconosceva. Anche se erano riusciti a evitare perdite umane, i danni alle squadre di Ricognitori costituivano un serio pericolo. Con i plotoni di tipo B e C quasi del tutto distrutti, i Ricognitori base tipo-A e i droni di sorveglianza tipo-F erano l’unica difesa nell’immediato futuro. Ma se Ribelli e Miliziani avessero sferrato un attacco, anche quell’ultimo baluardo sarebbe stato spazzato via, e tutta Gehemnia avrebbe fatto affidamento sui soli uomini delle Squadre d’Attacco. La situazione era critica…
– Menalca! – la voce di Nosh lo strappò dai suoi pensieri, mentre alla sua destra il puntamento laser di un Ricombinato saettava nell’aria densa di fumo. Istintivamente si gettò contro la parete del container più vicino, e aprì il fuoco sfruttando la copertura che le casse riuscivano a offrirgli.
L’assordante rimbombo di una raffica, una violentissima scarica di proiettili, e il Ricombinato si accasciò per terra, la struttura metallica completamente crivellata.
Respirando affannosamente in quella fornace di maschera tattica, Menalca portò una mano al cinturone tattico, afferrò un caricatore e lo serrò nell’incavo sotto la canna. Non poteva più permettersi distrazioni.
Fece un cenno al resto del gruppo. Bisognava andare avanti, e in fretta. Avevano fatto abbastanza rumore da attirare tutti gli x-ray di Gehemnia e dintorni, quindi tanto valeva combattere a viso aperto.
Raggiunta la posizione di Menalca, si appiattirono tutti contro il container. Un vociare allarmato proveniente dall’altro lato della cassa rivelava presenze ostili a pochi metri di distanza.
Gaz impugnò una ADS. Una rapida occhiata agli altri, e Menalca annuì con un cenno del capo.
Le granate ADS sfruttavano una tecnologia di neurostimolazione già da tempo adottata in altre armi, come il cosiddetto raggio del dolore o il Silent Guardian. In sostanza, quando le scariche emesse dalla granata raggiungevano gli strati superficiali della pelle di un soggetto nelle vicinanze, il sistema nervoso di quest’ultimo veniva sottoposto a una serie di intense stimolazioni, come quelle di una forte scossa elettrica. La sensazione era quella di andare a fuoco, di bruciare in ogni parte del corpo, benché in realtà non si verificasse alcun danno fisico. Semplicemente si restava del tutto paralizzati, e l’effetto svaniva gradualmente dopo le prime scariche. Un po’ come essere colpiti da un taser molto potente. Unica pecca, questa tecnologia non aveva alcun effetto sulle unità robotiche. Ovviamente.
Gaz si staccò dal container e, senza perderne il contatto visivo, se ne allontanò di un paio di passi. Un clic di spoletta levata, e la ADS disegnò una parabola in aria mentre volava dietro il container. Un breve urlo di allarme, poi niente più.
– Prendeteli vivi! – fece Menalca. Si gettarono allo scoperto, dietro l’angolo dove gli x-ray erano paralizzati in preda agli spasmi. Quattro nemici, nessun Ricombinato. Ottimo. In una frazione di secondo, penetrarono nell’aria densa e si buttarono sui bersagli. Nosh scattò in avanti, abbatté il calcio del Mockingbird sulla nuca dell’x-ray più vicino, e questi cadde senza alcuna resistenza. In pochi istanti tutti i Ribelli erano immobilizzati a terra, ancora in balia delle convulsioni da ADS. Nessun altro bersaglio in zona. Area ripulita.
L’intera azione non era durata più di dieci secondi.
Il plotone si riassemblò. Restava da controllare ancora buona parte della struttura.
– Proseguiamo come prima. Alya, retroguardia. Nosh, Gaz e Carter, voi dietro di me a fornire copertura. Io sarò il point-man.
Si avviarono di nuovo nel corridoio di container, quando un sottile fascio laser saettò alle loro spalle accompagnato da un rumore metallico. Alya si voltò di istinto, ma era già troppo tardi.
Dietro di loro, un Ricombinato tipo-A aprì il fuoco.
Il magazzino vibrò violentemente, si piego su se stesso, per poi invilupparsi come risucchiato nell’occhio del simulatore olografico sul soffitto della Sala Addestramento.
I cinque rimasero lì, senza ancora essersi resi del tutto conto di cosa fosse successo, mentre a mezz’aria erano proiettate a caratteri grandi e incoraggianti le parole “MISSIONE FALLITA”.
– Complimenti davvero, Reparto d’Élite.
Harigs apparve in quel momento, accompagnando le sue parole con l’applauso più sarcastico che si potesse fare. Non era chiaro come facesse un applauso a suonare sarcastico, ma ci riusciva benissimo.
– Immagino che il vostro beneamato capitano Menalca vi abbia già riferito cosa pensa il Presidente delle vostre ultime imprese, dico bene? Si nota dal grande impegno che ci state mettendo per rimediare…
Dietro di loro, l’enorme “MISSIONE FALLITA” non aiutava certo a smentire.
– Ora, se non vi dispiace, ero qui per informarvi tutti delle ultime disposizioni della Società Internazionale, sempre che non siate troppo impegnati a fallire miseramente contro qualche ologramma. Hanno accolto la nostra richiesta di supporto in unità ed equipaggiamento per far fronte alla rivolta. Ma non è tutto. Ascoltate bene, perché qui arriva la parte interessante…

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