Paris

di Stella cadente
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo zingaro dagli occhi verdi ***
Capitolo 2: *** La voce e il ramingo ***
Capitolo 3: *** La Festa dei Folli ***
Capitolo 4: *** Il giudice ***
Capitolo 5: *** Ossessione ***
Capitolo 6: *** Missioni e dubbi ***
Capitolo 7: *** Di racconti, riflessioni notturne e rivelazioni ***
Capitolo 8: *** Segreti e sospetti ***
Capitolo 9: *** Eymeric ***
Capitolo 10: *** La fuga ***
Capitolo 11: *** Fuoco d'Inferno ***
Capitolo 12: *** Iudex ergo cum sedebit, nihil inultum remanebit – parte I ***
Capitolo 13: *** Iudex ergo cum sedebit, nihil inultum remanebit – parte II ***
Capitolo 14: *** Durante la notte ***
Capitolo 15: *** Amor, ch’a nullo amato amar perdona ... ***
Capitolo 16: *** Fredda come la notte, fredda come la morte ***
Capitolo 17: *** La sirena ***
Capitolo 18: *** Imputata ***
Capitolo 19: *** Ricatto ***
Capitolo 20: *** All'alba ***
Capitolo 21: *** La Corte dei Miracoli ***
Capitolo 22: *** A Parigi ***
Capitolo 23: *** Quando la situazione precipita ***
Capitolo 24: *** Il racconto di Claudie Frollo ***
Capitolo 25: *** Verso lo scontro ***
Capitolo 26: *** Insurrezione ***
Capitolo 27: *** La lettera ***
Capitolo 28: *** Caduta libera ***
Capitolo 29: *** Fatalità ***
Capitolo 30: *** Acqua, archè ***
Capitolo 31: *** Giustizia ***
Capitolo 32: *** Dopo la battaglia ***
Capitolo 33: *** Il Re ***
Capitolo 34: *** La Riunione ***
Capitolo 35: *** Pericolo ***
Capitolo 36: *** Il falò ***
Capitolo 37: *** Infuria la rivolta ***
Capitolo 38: *** Imprigionati ***
Capitolo 39: *** Hic et nunc ***
Capitolo 40: *** Di odio e d'amore ***
Capitolo 41: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Lo zingaro dagli occhi verdi ***


Prefazione
 
Ebbene sono anche qui, con la mia prima FanFic su Notre-Dame. Di recente mi è capitato di rivedere il film della Disney su Sky e me ne sono letteralmente innamorata – e ovviamente poi ho comprato anche il romanzo. Lo so, è una pazzia pubblicare una storia quando ne ho un’altra in corso, ma il fatto è che mi è presa veramente male e... e quindi eccomi qui, a postare il primo capitolo di questa FF e a provare a vedere come andrà a finire.
Dunque, vi scrivo subito all’inizio solo per fare qualche nota relativa al testo e ai futuri sviluppi della storia, poi mi dileguo ;)
Questa storia, come avrete visto anche nelle note della FanFiction, è una Gender Bender: ciò significa che tutti i personaggi maschili (Frollo, Quasimodo, Febo) sono femminili, mentre Esmeralda è un ragazzo.
Volevo soffermarmi un momento su Claudie (il corrispettivo femminile di Claude Frollo). Ora, lo so che era impossibile al tempo che una donna divenisse giudice, ma tenete presente che la vicenda, come ogni romanzo è molto – appunto –  “romanzata”, e che perciò si discosta un pochino dalle situazioni che potevano crearsi al tempo. Inoltre Claudie, ovviamente, pur essendo cinica e fredda come la sua controparte maschile, è molto più posata, “femminile” ecco. È anche un pochino più umana: diciamo che Claudie è il risultato di una mediazione tra il Frollo del film e quello del romanzo – più umano e compassionevole. Ma non preoccupatevi, ho cercato di rendere i personaggi molto IC, per cui non ritroverete i nostri protagonisti completamente diversi da quelli che conoscete.
Olympe invece (Febo al femminile) è una sorta di vice giudice, la seconda in comando di Claudie, nonché sua dama di compagnia. Insomma, mi sembrava un po’ fuori luogo farle fare il capitano di un esercito. Un conto è un giudice donna – per quanto sia strano nel Medioevo, volendo ci può stare –  ma un capitano donna... magari no, ecco.
Nina, invece, non è esattamente il corrispettivo di Quasimodo. O meglio, sì ma no. Sì perché è confinata nella cattedrale da Claudie, no perché non è il fatto che è deforme il motivo che spinge il nostro giudice a relegarla là dentro. Anzi, Nina è una fanciulla bellissima, ma nasconde un segreto che stravolgerebbe tutto, se venisse scoperto. Segreto che ovviamente non vi dirò ora, perché se no non c’è gusto :P
Ultima cosa: l’età dei personaggi. Nel Medioevo l'aspettativa di vita media si aggira attorno ai cinquant'anni, ma nel film della Disney sembra che Frollo abbia sessant’anni e passa. Ora, io non credo che a cinquant' anni uno avesse i capelli bianchi, ma comunque era considerato vecchissimo.. per questo ho stravolto un po’ l’età dei personaggi. Claudie ad esempio ha trentacinque anni: giovane per uno dei giorni nostri e giovane anche d’aspetto, ma una donna in tutto e per tutto, ormai formata, per un uomo medievale (infatti nel modo in cui l’ho immaginata è sempre una bella donna ma – come il suo personaggio – suscita più timore che fascino). Ho semplicemente voluto dare l'idea di un giudice nel pieno della sua carriera, tutto qui.
Olympe invece ha diciannove anni, Nina quindici ed Eymeric (Esmeralda al maschile) ventitré.
Vi anticipo anche che ci saranno citazioni e scambi di battute prese direttamente dal film, ma ciò non significa che la storia sarà uguale a quella originale. Anzi... no. Inoltre vi saranno i punti di vista dei vari personaggi, così che abbiate una visione più ampia di quello che succede e al tempo stesso vi immedesimiate più facilmente.
Detto questo, vi lascio perché ho parlato fin troppo, e vi auguro buona lettura :)
Con affetto,
Stella cadente



























 

 


 Paris
 

 
 
 





Parte prima







I.
Lo zingaro dagli occhi verdi

 
 
 
Claudie
 
 
           
Il cielo era pallido, quella sera. La luna già alta, bianca e cristallina, osservava tutto il popolo di Parigi. Mi guardavo intorno, compiaciuta;  le strade erano così meravigliosamente deserte. Nessun mendicante nei dintorni.
Storsi il naso al solo pensiero. Da tempo Parigi era vessata dalla presenza degli zingari: una massa di straccioni che si mescolavano ai parigini, interrompendo la quiete con le loro astuzie e i loro inganni. Sembravano non estinguersi mai e continuare a brulicare, come insetti fastidiosi e infimi. Erano…
Disgustosi.
Non c’era altro termine per descriverli.
«Torniamo indietro, signora?»
La voce di Olympe de Chateaupers mi riscosse da quei pensieri.
«Perché mai?» replicai io.
L’ora dei Vespri era suonata da poco, ed eravamo in perlustrazione con dei soldati al seguito. Un piccolo gruppo di zingari era sfuggito alla mia precedente recluta. Era stata un pochino deludente, per dir la verità.
Oh, ma ora nei sotterranei capirà quanto.
La signorina de Chateaupers era arrivata a Parigi da poco, ma già si era trovata un posto al mio fianco: aveva circa una ventina d’anni, era giovane e brillante. Ed eseguiva i miei ordini.
«È solo che» tentò. Notai con piacere che esitava. «Gli zingari sembrano essere scomparsi. Non li troveremo mai.»
«Baggianate» la zittii io. «Si nascondono da qualche parte… sono come topi. Si nascondono nel buio, ma prima o poi vengono fuori.»
Silenzio.
«Proseguiamo» conclusi, incitando il mio cavallo ad andare avanti.
 
 
Il cielo si era scurito, e la luna brillava un po’ di più.
«Signora… Mi avete richiamata dai Pirenei per catturare indovini e chiromanti? E poi non è meglio se continuiamo le ricerche domani?»
«Silenzio» sibilai.
Lei si ammutolì.
Poi un rumore lontano arrivò alle mie orecchie. Fu come una sferzata.
Musica.
Musica esotica, prodotta da tamburelli baschi e tamburi, più bassi. Pochi strumenti che tuttavia davano vita ad una melodia elaborata, allegra, straniera. Mi bastò un veloce ascolto per capire: gli zingari erano vicini.
«Da questa parte» ordinai, e mandai il mio cavallo avanti, facendolo camminare piano.  Non volevo destare sospetti.
«Dobbiamo essere silenziosi» mi raccomandai, rivolgendomi anche agli uomini. «Altrimenti quella lurida feccia fuggirà di nuovo.»
Sorrisi, soddisfatta: mi sentivo la vittoria in pugno ad ogni passo. La musica aumentava di volume: erano vicini.
Dopo poco sentii anche una risata. Gli insetti stavano per essere schiacciati.
Mi appostai nelle strade buie: erano in mezzo ad una piccola piazza malandata lì vicino, con un falò acceso. Erano in cinque. Riconobbi subito il burattinaio che dava sempre spettacolo di fronte a Notre-Dame, altri due uomini alti e nerboruti, una ragazza dai riccioli scuri e un ragazzo. Il burattinaio batteva le mani a tempo, i due uomini grossi percuotevano i tamburi, la ragazza cantava e il giovane suonava il tamburello basco, ballando danze gitane. Intorno a lui saltellava anche una capretta dal pelo bianco e le corna dorate. Una bestia infernale.
Stregoneria.
Lo straniero volteggiava e faceva acrobazie in aria come se non fosse neanche umano.
«Catturateli al mio segnale» dissi, con voce gelida.
Li osservai meglio, studiando da quale direzione avremmo dato loro meno possibilità di scappare.
Poi l’occhio mi cadde di nuovo su di lui. Il fuoco gli illuminò i lineamenti, e mi soffermai a guardarlo con interesse.
Aveva una bellezza ipnotizzante. Gli occhi erano verdi, talmente verdi da sembrare scintillanti come due pietre preziose. La logora camicia bianca gli lasciava scoperto il petto olivastro, e ai polsi aveva bracciali e amuleti egiziani che tintinnavano ad ogni suo movimento.
La vista di quelle braccia muscolose mi provocò un brivido lungo tutto il corpo.
Mi riscossi.
«Prendeteli, ora» ordinai.
In men che non si dica i soldati erano usciti allo scoperto e la musica era cessata.
«Bene, bene, bene» sogghignai, mentre avanzavo. «Cosa abbiamo qui?»
Indugiai un attimo sul giovane zingaro con il tamburello. In sottofondo si sentiva solo il crepitare del fuoco.
«Signora, non stavamo facendo nulla di male» disse la ragazza.
I gitani erano impietriti. Anche il burattinaio, adesso, non sembrava più così gioviale come quando faceva gli spettacoli per i bambini.
«Oh, certo. A parte il fatto che avete gravemente violato gli orari che siete tenuti a rispettare» la zittii, indurendo il tono della voce. «La vostra presenza non è richiesta durante la notte. Dovevate tornare al vostro lurido covo ore fa, ed invece siete ancora qui
Poi mi rivolsi agli uomini.
«Arrestateli» dissi solo.
«Signora» lo zingaro giovane si fece avanti.
Assottigliai gli occhi.
«Volevo sapere se…»
Silenzio.
«Parla, miserabile» lo incitai duramente.
Lui sembrò indugiare un po’, come se temesse di rivolgermi parola. Lo osservai bene: era così… insolito.
Poi disse, con un ghigno beffardo e uno sguardo di sfida:
«Volevo sapere se siete in grado di inseguire uno di noi.»
Cosa?
«Fuggite!» urlò agli altri.
E si mise a correre.
Una vampata di rabbia esplose come fuoco.
«Inseguiteli!» urlai agli uomini e a Olympe.
Poi decisi che del giovane gitano col tamburello mi sarei occupata personalmente.
 
 
****
 
 
Gli stavo alle calcagna da un tempo interminabile; quel maledetto zingaro si infilava in ogni vicolo e correva più veloce di qualunque altra creatura esistente. Mi augurai che il mio esercito avesse preso gli altri;  quegli straccioni avrebbero dovuto passare un bel po’ di tempo al Palazzo di Giustizia, prima di essere liberati.
«Non state avendo molto successo, Giudice!»
La voce del gitano mi colpì come uno schiaffo.
«Fermati, maledetto!» ringhiai. Spronai il mio cavallo ad andare più veloce. Sembrava che lo stessi raggiungendo, ma era come se lui fosse sempre tre passi avanti a me. Per un attimo fui tentata di ucciderlo direttamente sotto gli zoccoli dello stallone nero, ma sarebbe stato troppo rapido.
Lo zingaro continuò a correre, facendo le sue acrobazie di tanto in tanto. Le campanelle del tamburello basco tintinnavano come voci canzonatorie. Mi stava palesemente sbeffeggiando, cercava di farmi sentire ridicola. Sentii le mani formicolare per la rabbia.
Continuai a stargli dietro e accelerai quando vidi che si stava recando verso una strada da cui non c’era uscita.
Adesso i giochi si sarebbero fatti più facili.
Pregustai già la vittoria e la piccola vendetta che mi sarei presa su di lui più tardi, nelle segrete del Palazzo di Giustizia.
Quando si trovò davanti al vicolo cieco, risi, divertita.
«Credo» dissi poi, con voce sostenuta «che tu abbia sbagliato a fare i conti, zingaro. Mi sembra di vedere che non puoi più scappare, adesso.»
Lui ormai era in trappola, ma aveva ancora quel luccichio provocatorio negli occhi.
«Già» assentì. «In fin dei conti, voi siete anche armata, e avete i soldati, ed io sono solo un miserabile straccione che non ha nemmeno una dimora fissa…»
Sfilò dalla tasca dei pantaloni quello che sembrava un fazzoletto, e fece per asciugarsi una lacrima con espressione melodrammatica.
Poi scoppiò a ridere, gettò il fazzoletto a terra e sparì, in una nuvola di fumo blu che si disperse nell’aria.
 
 
Eccomi di nuovo, a rompervi le scatole :D
Ma non preoccupatevi, non scriverò un papiro (lol).
Va bene, siamo arrivati in fondo al primo capitolo. Come avrete capito dalla prefazione, è una sorta di esperimento: anche se le idee sono molte, non so ancora come andrà a finire questa storia. Semplicemente in questo periodo sto vedendo e rivedendo fino allo sfinimento il film della Disney e quindi sono qui a pubblicare.
Dunque, io la butto lì. Chi vuole recensisca, e niente. Ovviamente ogni commento mi farebbe piacere, perciò scrivetemi più che potete, è la mia prima storia nel Fandom e voglio sapere che ne pensate. Non credo che gli aggiornamenti saranno regolari, ma la cosa certa è che mi occuperò molto di questa storia, perciò non penso neanche che starete per mesi senza leggere un nuovo capitolo.
Bene, detto questo evaporo.
Alla prossima,
Stella cadente

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Capitolo 2
*** La voce e il ramingo ***


II.
La voce e il ramingo


 
Olympe 

 
Erano le cinque del mattino, e camminavo di malavoglia lungo le strade di Parigi. Avrei tanto voluto tornarmene a letto, ma Claudie Frollo non tollerava il ritardo, e anche se avevo dormito solo poche ore dovevo essere al Palazzo di Giustizia esattamente alle sei.
La notte precedente era stata impegnativa. Per di più dovevo comunicare che il capitano de Germont non se l’era cavata bene nel catturare gli zingari; erano scappati tutti. Qualcosa mi diceva che non l’avrebbe passata liscia, quando Frollo lo avrebbe saputo.
Sospirai. Ogni giornata, al suo fianco, era terribilmente stressante. Dovevo affiancarla nel compito di liberare la città dagli zingari e di assicurarmi che ogni verbale fosse a posto. Insomma, lavoro leggero, no? Ma almeno guadagnavo discretamente ed ero nelle grazie di uno dei personaggi più importanti di tutta Parigi.
Già, gli zingari…
Erano il suo chiodo fisso. Quando ero stata chiamata dai Pirenei, dove avevo contribuito a reprimere l’avanzata di banditi che volevano distruggere i villaggi, non credevo che mi sarei dovuta occupare di mendicanti.
“La vera guerra è quella che vedete là fuori, signorina de Chateaupers” mi aveva detto il primo giorno. Ma gli stranieri che conoscevo io erano briganti armati, non cantastorie che intrattenevano i bambini di fronte a Notre-Dame. Quei gitani non avevano nulla di pericoloso.
Ero completamente all’oscuro del perché ce l’avesse così con quel popolo; dovevo ammettere che ero curiosissima di saperlo, ma se glielo avessi chiesto mi avrebbe probabilmente ritenuta inopportuna, nel migliore dei casi. Nel peggiore, mi avrebbe rinchiusa nelle segrete del Palazzo di Giustizia.
Quindi, meglio evitare.
Eppure la notte precedente era stata particolare. Non mi era sfuggito il modo in cui, per un istante, aveva guardato il gitano giovane, quello con il tamburello. Certo, era bellissimo, ci avevo fatto caso anche io. Ma Claudie Frollo non aveva diciannove anni e non era me. E allora perché?
La vera domanda è, Olympe: perché stai pensando a queste cose?mi dissi.
Deve essere la stanchezza.
Distogliendomi da quei pensieri, mi accorsi che ormai ero arrivata nella piazza grande, al centro della quale si ergeva la maestosa cattedrale di Notre-Dame. Il sole era un po’ più alto e la luce cominciava ad illuminare i tetti delle case, mentre le campane della chiesa annunciavano un nuovo giorno con il loro canto stentoreo e riecheggiante.
Inspirai il freddo di quel sei gennaio del 1482 e ammirai un po’ la cattedrale. Mi stupiva ogni volta, con la sua grandezza.
Mi venne in mente che quello era un giorno di festa. Frollo mi aveva accennato qualcosa, ma non avevo ben capito di cosa si trattasse.
Feci per imboccare la strada per il Palazzo di Giustizia, quando notai che non ero sola.
C’era qualcun altro, lì con me. Era poco lontano, come me contemplava la cattedrale e sembrava cercare qualcosa, in alto.
In effetti, c’era un dolce suono, come il canto di un usignolo, che abitava l’aria e svolazzava leggiadro. Era una ragazza che cantava; la voce era giovane, limpida, quasi da bambina. Ma non capivo da dove venisse, e probabilmente nemmeno lo sconosciuto lo capiva, perché guardava in aria senza notare niente se non le bellissime vetrate della cattedrale.
La voce della fanciulla continuava a volteggiare leggera nell’aria, mentre il ragazzo sconosciuto ne sembrava rapito.
Almeno ho la certezza che non è una mia allucinazione.
Lo osservai meglio; non si era ancora accorto di me, quindi potevo benissimo avvicinarmi un altro pochino per guardarlo.
Alto, pelle scura, capelli neri, postura fiera.
Aveva un non so che di familiare, effettivamente. Lo avevo già visto, da qualche parte, me lo sentivo. Ma dove?
D’un tratto mi riscossi.
Ci sono! Sei quello del tamburello!
Non potevo crederci; il gitano era riuscito a sfuggire dalle grinfie di Frollo. Come aveva fatto?
Sobbalzò e si voltò verso di me con un’espressione perplessa in volto.
«Cosa?» chiese, con tono incredulo.
Per un attimo rimasi spiazzata, prima di accorgermi che avevo pensato ad alta voce.
Caspiterina.
«Io, ehm… stavo pensando ad alta voce. Lo faccio spesso» mi giustificai.
«Ah» disse lui. «E come mai ero nei vostri pensieri, signorina?» domandò sfacciatamente, rivolgendomi un sorriso furbo che mi fece avvampare.
Poi, nell’arco di un secondo, i suoi lineamenti si indurirono. Mi aveva riconosciuta.
«Voi siete la seconda in comando di Claudie Frollo» sibilò infatti tra i denti, diventando improvvisamente ostile.
«Sì, ma non intendo arrestarti» dissi, mettendo le mani avanti. «Io non ho questo incarico.»
Non era vero, ma non volevo costruire un’aura minacciosa intorno a me più di quanto già non avessi fatto. Anche perché ormai avevo capito che avevo di fronte il giovane gitano della notte precedente e, come dire... volevo farci due chiacchiere, ecco.
Lui continuò ad indietreggiare, anche se avevo visto, di sfuggita, che aveva messo mano ad un pugnale. Non intendeva colpirmi perché ero una donna, era chiaro, ma sarebbe stato disposto a difendersi con le unghie e con i denti, se le circostanze lo avessero richiesto.
«Oh, davvero?» chiese ancora, sarcastico. «Non sembrava, ieri.»
Sollevò il pugnale – okay, mi ero sbagliata, non gliene importava niente che fossi una donna – e io, simultaneamente, sguainai la spada. Ci ritrovammo a guardarci attraverso le lame, seri.
«Non mi sono mai piaciute le reclute di Frollo» sibilò.
«L’ho notato» replicai io.
«Sei sempre così spiritosa o te l’ha detto lei di fare così con me?»
Aspetta. Era una frecciatina?
«No, sono così di natura, mi dispiace. E comunque» rimisi la spada al suo posto. «Ribadisco che non posso arrestarti.»
Lui cambiò di nuovo espressione.
«No?»
«No, sul serio» confermai. «Come ti chiami?»
«Cos’è, un interrogatorio?»
«Si chiama presentazione» ribattei, gentilmente. «Mi accontento semplicemente di sapere il tuo nome.»
«Tu invece? Qual è il tuo nome?» chiese, rigirando abilmente il discorso.
Sospirai.
«Olympe.»
Il ramingo abbassò la guardia e mi scrutò con quei suoi occhi verdi, come a voler carpire un qualche possibile segnale di minaccia. Segnale che però non vide, perché si sciolse quasi subito in un sorriso e rispose dolcemente:
«Eymeric.»
«Bellissimo» replicai, affascinata. « Beh… è molto meglio di Olympe.»
Lui sorrise.
«Ci sarai alla festa dei Folli, oggi pomeriggio?» chiese.
Perbacco, siamo già così in confidenza?
«Festa dei Folli?»
Avete mai assistito ad una Festa popolare, signorina? Qui è usanza la Festa dei Folli. Sarà altamente istruttiva per voi, ma sappiate che Parigi, quel giorno, sarà piena di ladri e tagliaborse, tutti mescolati in un lieve torpore da ubriacatura.
Ecco qual era la festa di cui mi aveva parlato Frollo!
«Se non ne hai mai sentito parlare, devi assolutamente venire. È divertente» fece, continuando a sorridere.
Aveva davvero una bellissima voce, calda e leggermente roca...
«Adesso devo andare» aggiunse sbrigativo. «Ci vediamo dopo, se verrai» mi urlò, mentre si allontanava.
E corse via, sparendo in un attimo, mentre la misteriosa voce che proveniva dalla cattedrale continuava a risuonare, chiara e delicata.
  


 
 Salve, e bentornati :)
Dunque, primo capitolo dal punto di vista di Olympe: che ve ne sembra? 
Come la sua controparte maschile Febo, notiamo che è una ragazza molto intelligente, ironica e spiritosa... e anche attratta dal nostro carissimo amico gitano, che fa qui la sua prima comparsa invitandola alla Festa dei Folli. Secondo voi cosa succederà?
Vorrei poter dire di più, ma non siamo ancora entrati nel vivo della storia e non intendo fare spoiler, perciò adesso mi limito a scusarmi per la brevità dei capitoli - ma, come ho già detto, non siamo ancora entrati nel vivo, quindi per ora sono così - e a comunicarvi una cosa molto importante: siccome mi sono già portata abbastanza avanti, credo che aggiormerò ad intervalli di sette-dieci giorni. Quindi potrei quasi azzardarmi a dire che gli aggiornamenti saranno regolari.
Detto questo, spero ancora una volta che questa sia stata una buona lettura e vi saluto :)
Alla prossima,
Stella cadente

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Capitolo 3
*** La Festa dei Folli ***


III.
La Festa dei Folli

 
Claudie

 
Sentivo il chiasso provocato dai preparativi della Festa dei Folli dalla finestra della mia stanza.
Intollerabile.
Un rullo di tamburi scandiva ogni minuto, facendolo assomigliare più ad una condanna.
Per di più non avevo smesso, nemmeno per un secondo, di pensare al giovane gitano della notte precedente. Come aveva fatto a sparire così? Cos’era stata quella diavoleria?
Maleficio.
Era uno stregone, senza ombra di dubbio. Mi aveva perseguitata anche in sogno; correva, io lo inseguivo, ma non lo raggiungevo mai. E lui rideva, rideva di una selvaggia e insopportabile risata di scherno, guardandomi con i suoi malefici occhi verdi.
Quegli occhi…
Che mi avesse fatto un incantesimo?
Sospirai, forzandomi a scacciare quel pensiero orribile dalla mia mente.
Devo preparami. È giunta l’ora di assistere a questa insulsa festa, mi dissi.
Non pensare, Claudie.
Non pensarci, almeno per un momento.
Di quel gitano infernale ti occuperai dopo.
 
 
 
****
 
 
 
Quel sei di gennaio faceva freddo.
Me ne stavo seduta sul mio seggio, con il mento appoggiato elegantemente su una mano. Il lungo e pesante abito scuro da giudice con lo strascico non riusciva a riscaldarmi abbastanza: tremavo.
Sospirai infastidita. Stavo morendo assiderata, per quale causa? Assistere ad una festa popolana. Eppure dovevo andarci, in quanto Ministro della Giustizia di Parigi. Il compito di mantenere l’ordine spettava a me, per cui dovevo starmene lì, mentre ladri, tagliaborse e briganti si davano alla pazza gioia.
Era passato un po’ di tempo da quando era iniziata e sentivo che, fino ad allora, non avevo tolto dal mio viso un’espressione disgustata: non avrei mai compreso il senso di una tale iniziativa.
Assistere a questo genere di eventi era l’unica cosa che non mi piaceva del mio incarico, conclusi sovrappensiero.
Guardai Olympe – che invece sembrava entusiasta di quello squallido teatrino zingaresco – poi riportai lo sguardo, annoiata, sulla banda di giocolieri che stava dilettando il pubblico.
«C’è qualcosa che non va, signora?» mi chiese discretamente la recluta, riscuotendomi dai miei pensieri.
«No, Olympe» dissi solo.
Mi sembrava un po’ tesa, ma non riuscivo a capire perché.
«Parliamo di voi, piuttosto. La Festa è di vostro gradimento?» chiesi, senza girarci tanto intorno.
«N... no signora» balbettò.
A vederti non sembra, ragazza.
«Ed ecco a voi, Eymeric!» esclamò una zingara con entusiasmo, interrompendo il discorso. Schioccò le dita e, in una nuvola di fumo blu, apparve una figura che, per un momento, mi fece mancare un battito.
Che mi venga un colpo.
Il gitano con gli occhi verdi aveva un sorrisetto beffardo, come se sapesse già in anticipo che avrebbe conquistato tutti. Era agghindato con vestiti dorati, e ciocche intere dei suoi capelli scuri erano state schiarite; in mano aveva sempre il suo tamburello basco.
Avrei voluto aggiungere qualcos’altro da dire ad Olympe, ma quella visione mi fece bloccare temporaneamente e dimenticare all’istante tutto ciò che volevo dire. I miei occhi, esattamente come la notte prima, non facevano che seguire il giovane che ballava accompagnato dalla musica, in maniera talmente sinuosa che sembrava che lui stesso facesse parte di quella melodia.
Il cuore sembrò affondarmi dentro il corpo. Il mio stomaco si contrasse in maniera violenta. Un misto di rabbia e qualcos’altro che non sapevo codificare esplose dentro di me.
Sbattei gli occhi in un gesto nervoso.
Che cosa mi stava succedendo?
«Guardate che esibizione rivoltante» dissi ad Olympe, accentuando bene la nota di disprezzo nella mia voce.
«Sì, signora» assentì lei. Ma il suo tono era strano, diverso. Come se fosse estasiata dalla performance del ragazzo.
Distolsi lo sguardo e lo riportai distrattamente su di lui, che si esibiva in quei movimenti che avevo già visto, facendo tintinnare i suoi amuleti. Alla luce del sole potei vederlo meglio, e notai che aveva anche uno strano simbolo tatuato sul petto scoperto.
Mi guardò e mi fece un occhiolino sfacciatamente, lanciandomi un sorrisetto seducente.
Trattenni un ringhio nel ricordare che non potevo arrestarlo, non quel giorno.
Oh, ma sta sicuro che succederà, maledetto demonio. Fosse l’ultima cosa che faccio.
Poi si voltò e rivolse un sorriso al pubblico, facendo riverenze alle donne che gli lanciavano baci, fiori e monete.
Quando la musica ripartì, prese una ragazza per mano con una risata divertita e la portò con sé sul palco.
La guardai: capelli fulvi, carnagione chiara, occhi blu come il più profondo di tutti i mari, ora si muoveva contenta insieme a lui, seguendolo con impressionante maestria, come se non avesse fatto altro che quello per tutta la vita.
Eppure...
Quando la riconobbi, spalancai gli occhi.
 
 
 
«Buongiorno Nina» dissi educatamente, raggiungendo la stanza della ragazzina attraverso le scale di pietra.
Nina era lì che mi aspettava. Era appoggiata al balcone della cattedrale e contemplava la piazza con il suo brulicare di cittadini indaffarati.
Era una ragazzina solare; mi era riconoscente, ma sapevo quanto desiderasse la vita all’aria aperta – una cosa che non avrebbe mai potuto permettersi.
«Buongiorno signora» mi salutò, facendo un inchino appena accennato. «Come state?»
«Molto bene, grazie» risposi con un sorriso.
Le avevo insegnato bene le buone maniere.
«Vogliamo ripassare il tuo alfabeto, prima di pranzare?» chiesi ancora. Tenevo molto alla sua istruzione, come del resto avevo tenuto – e tuttora tenevo – alla mia, anche se dubitavo che lei riuscisse ad arrivare fin dove ero arrivata io. Ma comunque era una ragazza abbastanza sveglia, e avevo potuto insegnarle molte delle cose che sapevo. Darle lezioni di latino, di greco antico e medicina si era rivelato un passatempo gradevole e appassionante.
«Certamente, signora. Mi piacerebbe molto» fece lei educatamente.
«Molto bene» dissi, sedendomi di fronte a lei «A» cominciai.
«Abominazione.»
«B.»
«Blasfemia.»
«C.»
«Contrizione.»
« D. »
«Dannazione.»
«E.»
«Eterna dannazione.»
«Brava» mi congratulai, con un sorriso cortese e appena accennato «F.»
«Festa.»
Mi incupii e fra noi si creò un silenzio innaturale. Quando alzai lo sguardo su di lei, gli occhi blu di Nina si spalancarono appena; potevo quasi sentire la sua tensione vibrare nell’aria.
Aggrottai le sopracciglia.
«Come, prego?»
«Ehm... intendevo dire “falsità”» balbettò la ragazzina.
«Hai detto “festa”» la gelai.
Ormai avevo capito. Nina voleva andare alla Festa dei Folli, glielo si leggeva negli occhi. Era così ingenua e trasparente.
«Hai intenzione di andare alla festa?» chiesi, austera. Era una domanda retorica, ovviamente: sapevo già quale sarebbe stata la risposta.
«Io…»
«Non puoi andarci, Nina» la interruppi, troncando ogni suo tentativo di protesta «lo sai.»
«Ma voi ci andate sempre e...»
«Questo non c’entra, in alcun modo. Io sono un funzionario pubblico, è mio dovere andarci. Ma non mi diverto neanche per un istante. Sai che se tu venissi scoperta Parigi impazzirebbe, vero? Sai che, se scoprissero il tuo segreto, ti chiamerebbero tutti “mostro”, vero?» rincarai.
Gli occhi di Nina assunsero un’espressione sconfitta.
«Sì, signora.»
«Molto bene. Vedo che cominci a capire» conclusi, altezzosa.
 
 
 
Non poteva essere davvero lei. Non poteva davvero essere la ragazzina che, quindici anni prima, avevo accolto e cresciuto come fosse mia figlia.
Io le avevo detto di non uscire mai dalla cattedrale. Glielo avevo sempre detto.
Ebbene, è questo il tuo riconoscimento?
Non credevo alle mie fosche pupille: mi aveva disobbedito. E adesso se ne stava lì, a ballare con il gitano come se nulla fosse.
Ragazzina insolente.
Per un attimo i suoi occhi, grandi e ingenui, incontrarono i miei, severi e glaciali, e impallidì non appena mi riconobbe.
Scese dal palco in tutta fretta, provocando uno stupore generale. Inciampò, cadde e finì per urtare un grosso secchio d’acqua, che le si riversò addosso. Spaventata, corse via, mentre lo sguardo del gitano la seguiva e la folla urlava proteste.
Questo era troppo. Non riuscivo più a tollerare quella situazione.
Mi alzai con veemenza, colta da un improvviso moto di rabbia, e rivolta ad Olympe ordinai, fredda:
«Voglio che la festa si fermi. Adesso.»

 


Bentornati a "Paris" :D
Dunque, non so voi ma io prevedo guai adesso. Secondo voi, cosa succederà?
Secondo capitolo dal punto di vista di Claudie Frollo, in cui la nostra protagonista assiste  annoiata alla Festa dei Folli che odia tanto - oltre a farsi venire gli occhi a cuoricino per il gitano *coff coff* - e poi nota che Nina le ha disobbedito pesantemente. Mi  scuso nuovamente per i capitoli brevi, ma ripeto, non siamo ancora entrati nel vivo - per ora - e... la verità è che non sono capace di farli lunghi.  Chiedo venia.
Spero comunque di aver reso bene i pensieri  di Claudie e il suo modo di fare. Su Nina per ora sappiamo molto poco, ma prossimamente scoprirete che c'è un motivo se tengo così all'oscuro il suo personaggio ;)
Detto questo, spero che vi sia piaciuto :)
Alla prossima,
Stella cadente

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Capitolo 4
*** Il giudice ***


IV.
Il giudice


 
Eymeric
 
 
 
La fanciulla, così come era apparsa, scappò, sussurrando a malapena uno “scusami” nella mia direzione. Era da quando era stata vista dal giudice Frollo che era andata in panico. Ma perché? Che fosse una ragazza nuova ai suoi servizi?
Non l’avevo mai vista in città, quindi le mie supposizioni potevano benissimo essere vere. Eppure mi era sembrata... diversa. Non sapevo dire bene il perché, ma era così… ingenua. Dolce. Ed era scappata non appena il giudice le aveva scoccato un’occhiata austera.
Non mi aveva nemmeno detto il suo nome.
Una cosa la sapevo: quella donna non mi piaceva. La osservai meglio, con quell’aria perennemente disgustata disegnata sulla faccia pallida e quell’espressione severa negli occhi azzurri e freddi come il ghiaccio. Di rimando, feci la stessa espressione: era incredibile, mi suscitava timore e repulsione solo a guardarla – se possibile, molto più di quanto me ne aveva suscitato la notte scorsa.
«Voglio che la festa si fermi. Adesso.» la sentii ordinare con voce imperiosa alla sua assistente.
«No» sussurrai.
«Cosa c’è, Eymeric?» mi chiese Antea.
Djali – la mia inseparabile capretta – belò come per farmi la stessa domanda. Le feci una carezza sulla testa e la presi in braccio, poi mi rivolsi a mia sorella:
«Frollo» mi limitai a dire, facendo un cenno appena percettibile verso quella donna che tanto odiavo. «Vuole annullare la festa.»
Per un momento mia sorella non seppe cosa dire; un’espressione scioccata aveva preso forma sul suo bel volto olivastro.
«Hai fatto male a prenderti gioco di lei, ieri notte» mi rimproverò, tutto d’un tratto.
«Non è il momento, Antea» la zittii io. Non avevo voglia di sentire i suoi discorsi da sorella maggiore.
«Parliamoci chiaro: eravamo a tanto così dall’essere imprigionati. Oggi non può arrestarci, ma domani sì. Per cui è meglio che ce la svigniamo già stanotte e che tu non combini guai adesso» replicò lei.
Silenzio.
«Eymeric» disse, prendendomi per le spalle. «Sai che non puoi fare niente per cambiare la sua decisione, vero? Stiamo parlando di Claudie Frollo. Non ti conviene metterti contro di lei.» 
«Non mi importa» la fermai io. «Mi ha stancato. Non ha diritto a voler fermare tutto. Non oggi. È la Festa dei Folli, l’unico giorno in cui noi non siamo sottoposti al suo volere e alle sue rigide regole. Ha sempre maltrattato il nostro popolo. È ora di attuare una rivolta, e se nessuno le darà il via, beh sarò io a farlo.»
«Eymeric, ti prego!» mia sorella alzò un poco la voce «non farlo. Ti farai condannare. Dammi retta.»
«Almeno sarà per una giusta causa» dissi, ignorandola. Sapevo che mia sorella esagerava sempre, quando si trattava di queste cose. Ovviamente non mettevo in discussione i poteri – e soprattutto, la cattiveria – del giudice, ma non credevo nemmeno che arrivasse a tanto per una cosa così futile.
«Obiezione, vostro onore!» gridai, dirigendomi a passo deciso verso il seggio di Frollo. Vidi Antea sbiancare e sulla folla calò il silenzio. Tutti erano spaventati.
Ma non io.
Gli occhi rapaci di Claudie Frollo saettarono su di me, trafiggendomi con quelle iridi ghiacciate. In quello sguardo c’era tutto l’odio del mondo: sapevo di meritarmelo, dal momento che mi ero preso gioco di lei, ma in quel momento mi sentii sotto Inquisizione.
La donna alzò un po’ il mento, in un gesto di rigida superiorità.
«Come hai detto, zingaro?» chiese, con una voce che, per un attimo, mi fece raggelare. Ma non avevo alcuna intenzione di lasciare che mi spaventasse.
«Voi non potete fermare questa festa» dissi, con decisione. «E quella ragazza. Chi era? Perché l’avete cacciata così?» 
Lei si accigliò ancora di più.
«Non sono affari tuoi, gitano» replicò, dura, sputando la parola “gitano” come se le avesse provocato un cattivo sapore in bocca.
«Giusto» dissi, fingendomi sconfitto. «Voi avete ragione.»
Frollo non toglieva quell’aria di superiorità mista a rabbia e disgusto dal suo viso inverosimilmente pallido. C’erano tante emozioni su quel volto spigoloso, tutte negative.
«Sono affari dell’intero popolo!» ribattei, con aria di sfida.
Nessuno riusciva a tener testa a quella donna? Avrei rimediato io a questo.
«Avete sempre maltrattato me e la mia gente incutendo loro timore come avete fatto con quella povera ragazza!» esclamai, sotto gli occhi di tutti.
Notai, con la coda dell’occhio, che Antea sussurrava qualcosa a Clopin in modo concitato, mentre le mani le tremavano.
Frollo, intanto, mi guardava senza espressione, come se stesse meditando su quale decisione prendere per me. Immaginavo già che pensieri ci fossero nella sua testa: tortura o morte? Uhm, che decisione difficile...
Ma non mi importava. Tutti dovevano fare qualcosa per far sì che tutto questo terminasse.
«E voi questa la chiamate giustizia?» esplosi, mentre ormai c’era così tanto silenzio che la mia voce rimbombava nella piazza. L’atmosfera giocosa e ricca di entusiasmo che c’era fino a poco tempo prima, durante la Festa, sembrava essere scomparsa chissà dove, sostituita da un clima di tensione e paura. Potevo quasi sentire lo sguardo preoccupato di mia sorella bruciarmi addosso, insieme a quello di Frollo, che mi trapassava come un chiodo freddo.
Ci fu un secondo in cui il silenzio si fece tombale e in cui tutti sembrarono perfettamente immobili.
Poi il giudice, senza smettere di guardarmi con quegli occhi cattivi, parlò, la voce gelida e piatta:
«Arrestatelo.»
 
 


Schizzavo per le strade di tutta Parigi, correndo a perdifiato.
Avevo seminato da un bel po’ le guardie del giudice, e mi ero infilato con abilità in ogni stradina e in ogni angolo che potesse darmi qualche minuto in più di fuga. Intanto mia sorella aveva radunato tutti i gitani ed era sparita nel nulla sotto gli occhi increduli di Frollo, che aveva mandato altre guardie a cercarla.
Accidenti, pensai. Non si meritava di essere coinvolta in questa faccenda. Anche se, alla fine, tutti noi ormai lo eravamo.
Continuai a farmi strada, finché non sentii gridare e finii addosso a qualcuno.
«Ehi!»
La voce era familiare.
Alzai gli occhi.
La ragazza che fino a poco prima ballava con me spalancò i grandi occhi blu, quasi nello stesso istante in cui anche io allargai un po’ i miei dallo stupore, e mi guardò perplessa.
Ci fu un attimo di silenzio, poi disse con una vocina dolcissima:
«Sei tu.»
«Già» assentii io. Mi guardai ancora indietro, per sicurezza, con il fiato corto.
«Qualcosa non va?» mi chiese.
«Frollo» ammisi, facendo un cenno con la testa alle mie spalle. «Mi sta dando la caccia.»
Il suo viso delicato si incupì per un attimo talmente sfuggente che mi parve di essermelo immaginato, poi si illuminò d’improvviso. E mi aspettavo di tutto, meno quello che mi disse:
«Posso nasconderti io. Vieni, so dove andare.»
Rimasi interdetto: non sapevo dire bene il perché, ma da lei non me lo sarei mai aspettato.
«Davvero?» chiesi.
«Sì. Davvero. Fidati di me.»
Esitai un pochino, guardandola scettico. Ma quando guardai bene i suoi occhi, limpidi e trasparenti, privi di un qualunque segno di interesse o secondi fini, avvertii una strana sensazione di calore allo stomaco e mi rilassai. Poi la seguii, senza pensare alle conseguenze.
Ero quasi sicuro che, di lei, potessi fidarmi.
                                                  
 
 
****
 
 
 
La ragazza mi aveva portato nella cattedrale di Notre-Dame. Quando mi aveva condotto verso la piazza era scattato come un allarme nella mia testa, sebbene non mi sembrasse una con cattive intenzioni. Eppure poteva benissimo essere una seguace di Frollo, per quel che ne sapevo. Era questo che mi dava fastidio di lei: il fatto che non riuscissi a capire che tipo di persona fosse, a leggerla. E leggere le persone mi era sempre riuscito benissimo.
Mi aveva condotto attraverso un passaggio nascosto, facendomi passare perfettamente inosservato, e ora mi trovavo nel silenzio della cattedrale, a camminare accanto a lei.
Mi ero perso a guardare l’interno della chiesa: non la immaginavo così, a dire la verità. Non ci ero mai entrato; me l’ero sempre figurata grande, ma adesso che c’ero veramente notavo che era semplicemente... immensa.
E magnifica.
«Bella, vero?» ruppe il silenzio la ragazza. «Qui hai il diritto di asilo. Nessuno può toccarti.»
«E’ molto bella. Grazie» sussurrai, ancora con il naso all’insù ad ammirare le coloratissime vetrate.
Lei sembrò in imbarazzo.
«Sono Nina, comunque» si presentò timidamente, accennando un sorriso.
«Finalmente so il tuo nome, Nina» dissi scherzoso, facendole un occhiolino.
La ragazza arrossì e abbassò lo sguardo.
«Vieni, seguimi» disse, dirigendosi verso una scalinata in pietra. Imboccò le scale e sparì in una piccola torre che racchiudeva una scala a chiocciola.
Dove mi stava portando?
Sembrava che conoscesse molto bene la cattedrale, come se avesse fatto parte della sua vita da sempre. Ma perché?
Decisi che, per il momento, mi sarei limitato a seguirla.
Faticavo a tenere il suo passo leggero, veloce e ritmato – causa la corsa che avevo appena fatto – ma riuscii comunque a starle dietro discretamente.
«Qui è dove vivo io» la sentii dire, prima di sbucare in una stanza. «C’è una porta segreta in questa stanza, di cui solo io so l’esistenza. La finestra dà sul chiostro. Potresti nasconderti là, almeno per ora. Saresti al sicuro. Nessuno saprebbe che ti trovi qui.»
Mi guardai intorno. La stanza non era grandissima, ma era luminosa. In giro era pieno di libri, miniature e oggetti colorati in vetro. Tutto ricordava un’ epoca lontana di dolcezza e di spensieratezza: in quel momento ebbi la netta sensazione che Nina fosse una ragazza sensibile e sognatrice.
«Wow» mormorai, estasiato da quella vista. «Tutti questi oggetti… li hai fatti tu?»
«Beh, sì… almeno, molti di questi sì» rispose lei, con un filo di voce.
«Sei davvero brava» dissi, con tono ammirato.
«Ti ringrazio» fece Nina, sorridendo appena. Sembrava imbarazzata, ma al tempo stesso felice del fatto che fossi lì.
Che strano.
«E poi hai tutto questo spazio per te?» chiesi ancora. Non la smettevo di farle domande, ma era più forte di me: quella ragazza era una persona più interessante di quel che pensassi. Ero estasiato.
«Sì… »
La sua voce aveva assunto una nota malinconica o me l’ero solo immaginato?
«Che fortuna» dissi con un sorriso.
«Non per me» replicò lei sottovoce.
«Che vuoi dire? »
Nina sospirò.
«Vorrei solo poter uscire da qui, di tanto in tanto.»
«E perché non lo fai?» chiesi semplicemente.
«Perché non posso» rispose, guardando nostalgica il popolo di Parigi dall’alto della grande finestra di quella magnifica stanza.
«Come sarebbe a dire che non puoi?»
Nina stette per un pochino in silenzio. Incrociai le braccia e assunsi un tono di rimprovero. «Non puoi sempre stare relegata qui» dissi «c’è tutto un mondo da scoprire, là fuori, che aspetta solo te.»
«Ma non posso. Io... mi chiamerebbero tutti mostro. La mia padrona me lo dice sempre. Non sono normale» disse, spostando lo sguardo su di me e guardandomi negli occhi.
Mostro?
Padrona?
«Mostro?» feci, scettico. Chi mai avrebbe chiamato “mostro” quella ragazza così bella?
Mi soffermai a guardarla. I capelli fulvi, lisci e lunghi le ricadevano armoniosamente lungo le spalle, e incorniciavano un viso tondo, pallido, fanciullesco, sul quale spiccavano due grandi occhi blu, profondi come acquemarine e trasparenti come il più puro dei cristalli.
Dove stava l’inganno? Non poteva esserci.
Chi pensava queste cose di lei?
«Chi è la tua padrona?» aggiunsi nel vedere che non rispondeva.
Ci fu un secondo di esitazione da parte di Nina, poi disse, quasi con timore:
«Claudie Frollo.»
Quando pronunciò quel nome, improvvisamente mi fu tutto chiaro e ricollegai insieme tutti i pezzi: lo sguardo del giudice, la fuga di lei, la sua contentezza durante la festa, il suo continuo inciampare ovunque…
Che cosa nascondi, Nina?
«Quindi è per lei che sei scappata?»
Cercai di non far trapelare il mio astio verso di lei, ma il mio tono di voce mi tradì.
«Io... » tentennò «beh... sì.»
Sembrava così indifesa…
«E perché ti dice che sei un mostro? Come può pensare una cosa simile?» insistei, sentendo il sangue ribollirmi nelle vene e l’odio verso il giudice aumentare a dismisura.
«Senti» sembrò leggermente allarmata «io non credo che sia il caso di...»
Poi si zittì di colpo.
«Cosa c’è?» chiesi.
«Shh.»
Da lontano, appena percepibili, c’erano dei passi sulla scala di pietra della cattedrale. Passi decisi.
Non sarà...
«Arriva qualcuno» disse Nina, impaurita.  L’ansia si dipinse, in breve tempo, sul suo viso candido. «Nasconditi! Presto!» aggiunse, terrorizzata, spintonandomi verso un enorme drappo rosso scuro.
Senza far rumore lo scostai e sgattaiolai all’interno della stanza segreta, facendo scivolare la porta perfettamente mimetizzata con il muro.
Poi rimasi in ascolto. Non mi sarei fatto problemi ad intervenire se le cose si fossero messe male, lo sapevo già.
La voce che sentii pochi secondi dopo mi fece provare l’impulso di uscire allo scoperto e affrontare la sua proprietaria per fargliela pagare:
«Nina, voglio che tu mi raggiunga immediatamente nel mio studio. Dobbiamo parlare di quello che è successo oggi.»
Una voce austera, incolore, fredda come la pietra.
Ed invece dovetti restare confinato in quella stanzetta, mentre sentivo la voce flebile e innocente di Nina che, docile, diceva:
«Certo, signora. Arrivo subito.»
E la rassegnazione che abitava quella frase mi fece stringere il cuore.

 
 
 Buongiorno :)
Ecco che, con questo capitolo, cominciamo ad entrare nel vivo della storia (infatti sono riuscita a farlo un po' più lungo, yay!): Eymeric, coraggioso come la sua controparte femminile Esmeralda - nonostante le raccomandazioni della sorella (che non c'è nel film originale, ma mi piaceva l'idea) - si mette contro il giudice Frollo, che ovviamente non gradisce affatto, e si mette sulle sue tracce.
Mentre lo scaltro gitano scappa, ecco però la ragazza della Festa, Nina, che lo conduce nella cattedrale.
Finalmente introduciamo questo personaggio :) spero di non avervi delusi. Esattamente come Quasimodo, Nina è dolce, gentile, desiderosa di libertà.
Ma alla fine del capitolo, Frollo la convoca nel suo studio. Come andrà a finire?
Spero davvero che sia di vostro gradimento e sono curiosissima di sapere cosa ne pensate :)
Alla prossima, e grazie a tutti, 
Stella cadente

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Capitolo 5
*** Ossessione ***


V.
Ossessione
 
 
Hellfire, dark fire,
Now gypsy it’s your turn,
Choose me or your pyre,
Be mine or you will burn!
 
 
Claudie
 
 

 

«Dunque, Nina» esordii, non appena la ragazza entrò nel mio studio. «Cosa ti avevo detto, oggi?» chiesi, severa.
Silenzio. La ragazzina guardava in basso.
«Se non erro, ti avevo espressamente ordinato di non uscire» continuai, seria, mentre lei, ora, mi guardava abbassando gli occhi subito dopo.
«Io...» provò a dire.
«Non ci sono giustificazioni» la interruppi. «Tu non hai la minima idea di quello che hai rischiato oggi. Sono costretta a porre delle guardie presso la cattedrale» conclusi con voce incolore. «Non ho altro modo.»
«Ma signora...» protestò lei.
«Non ho altro modo» ripetei, come per dire che per me la discussione era conclusa.
Ne avevo abbastanza di quella ragazzina spericolata.
Era in ballo la mia reputazione e la sua vita, nonché il benessere di tutta Parigi, perciò se non lo capiva con le buone glielo avrei fatto capire con le cattive.
«Sì, signora» disse Nina, docile.
«Bene. Adesso torna alle tue attività. Puoi andare» la congedai.
Quando sentii la porta chiudersi, tirai un sospiro di stanchezza e guardai verso la finestra del mio studio, pensierosa.
Chissà dove si trovava il gitano, adesso.
 
 
****
 
 
«Vostro Onore» mi chiamò Olympe, quando scesi dal seggio mentre le campane della cattedrale segnavano le sei di sera.
«Ditemi, Olympe» sospirai, stanca.
Il processo al Capitano de Germont e ai suoi soldati era stato stancante. Si erano messi a protestare come ragazzine, senza sapere che alla loro manchevolezza non c’era giustificazione.
Era stata una giornata spossante, anche perché mentre decretavo sentenze non avevo smesso nemmeno per un secondo di pensare al gitano che mi era clamorosamente sfuggito tra le mani. Non era possibile che non fossi riuscita ad acciuffarlo. Ma non era solo questo che pensavo di lui... c’era anche altro – quello che avevo sentito alla Festa – ma non riuscivo a capire cosa. E ciò mi dava ai nervi.
Avevo radunato un esercito per cercare il ragazzo, ovunque fosse, ma l’impazienza mi divorava. Attendevo e temevo al tempo stesso il momento in cui mi sarei trovata faccia a faccia con quello zingaro.
In un flash mi riapparve l’immagine di lui che ballava, con le ciocche chiare in mezzo ad un’infinità di capelli neri come l’inchiostro.
«Signora? Mi state ascoltando?» ripeté la ragazza.
«Mh?» mugolai stancamente, massaggiandomi la fronte da cui stava partendo una dolorosa emicrania. «Uhm, sì, ditemi.»
Lei sembrò spiazzata, poi disse:
«Dicevo che ho ordinato al capitano di Montespan – quello nuovo, sapete – di piazzare le sue guardie davanti alla cattedrale come avete chiesto, e mi ha comunicato che sono disponibili circa trenta uomini. Mi chiedevo semplicemente se vi andasse bene.»
«Sì» dissi distrattamente. «Sì, perfetto.»
«Davvero?» sembrò sorpresa.
Annuii.
Silenzio.
«State bene, Vostro Onore? » chiese poi Olympe.
«In nome di Dio, Olympe» risposi, seccata. «Sì, sto bene. Sono soltanto... spossata.»
«Capisco, signora» disse solo la recluta. «C’è altro?» domandò ancora.
«No, no» dissi, liquidandola con un gesto della mano.
«Ottimo, signora.»
E si congedò.
Tirai un impercettibile sospiro di sollievo. Volevo solo andare a casa a riposare, lontana da Nina, dai miei doveri e dal resto di Parigi, sperando di riuscire a non pensare allo zingaro.
Aspetta.
Certo che c’è altro.
«Olympe» la richiamai. Percepivo nella mia voce una nota risoluta: non mi sarei fermata davanti a nulla, già lo sapevo.
«Sì, signora?» rispose lei, all’istante.
«Mi ero dimenticata di una cosa di fondamentale importanza. Sapete, il mal di testa» dissi «gioca brutti scherzi alla memoria, purtroppo.»
 «Ditemi» fece la ragazza.
Mi schiarii la voce, poi dissi, con tono fermo:
«Voglio che troviate lo zingaro.»
«Ma avete già radunato delle truppe per questo.»
«Trovate lo zingaro, ho detto. Badate, lo voglio vivo.»
«Come desiderate, signora» si rassegnò lei. «Quando deve cominciare l’operazione di ricerca?» chiese poi, con tono professionale.
«Domani mattina, dall’alba al tramonto. Sarò io stessa a guidarla.»

 
 ****
 
 


Guardavo distrattamente le fiamme che volteggiavano nel camino in pesante pietra grigia, persa nei miei pensieri.
Quel giorno mi era sembrato di vedere il volto del gitano ovunque, in ogni imputato, in ogni condannato, in ogni ministro, perfino in ogni estraneo che vedevo con la coda dell’occhio lungo le strade di Parigi. C’era qualcosa di più che semplice avversione: ma cosa?
Com’era possibile che il suo pensiero non mi desse tregua in quel modo?
Ciò che sapevo con certezza era che lo trovavo indubbiamente molto attraente; con quei capelli neri, la carnagione deliziosamente scura e quegli occhi di smeraldo, era oggettivamente bellissimo, dovevo ammetterlo.
Mi persi con lo sguardo nella danza calda del fuoco: avrei voluto così tanto stringerlo forte a me, stare per ore a perdermi in quegli occhi smeraldini, baciarlo
Baciarlo?
Dio onnipotente.
Che cosa stavo pensando?
Pensieri sacrileghi, ecco cosa c’era nella mia testa. Dovevo scacciarli, dovevo eliminare per sempre quell’immagine. Quell’immagine in cui le mie labbra si muovevano in perfetta sincronia con le sue, mentre lui mi stringeva forte come a non voler farmi andare più via…
Che cosa mi stai facendo, zingaro?
Fissavo il fuoco che continuava la sua danza: tra le fiamme, la figura del gitano prese lentamente forma e mi osservò con i suoi occhi irresistibili. Fece una piroetta e poi tornò a guardarmi giocoso, facendomi un occhiolino e sorridendo malizioso, come alla Festa.
Forse è da lì che è cominciato tutto.
Sbattei gli occhi più volte, incredula. Non era possibile.
Era uno spirito tentatore, senza dubbio. Solo una creatura di quel calibro avrebbe potuto fare le sue apparizioni nel fuoco.
Ormai aveva visto in me il bersaglio perfetto; in qualche modo aveva capito che ero fragile al suo incantesimo. Voleva sviarmi, ecco cosa voleva.
Ma non ci sarebbe riuscito.
«Non mi avrai mai!» gridai, furiosa.
Gli occhi dello zingaro continuavano ad osservarmi in mezzo alle fiamme scoppiettanti, come a dire che non sarei mai riuscita a resistergli. Ardevano di furbizia, come quella notte in cui si era preso gioco di me.
Sembravano sprigionare una forza tanto potente quanto oscura, che li teneva incatenati ai miei pensieri.
Dovevo respingerlo. Dovevo ucciderlo.
«Non è colpa mia … »
Un peso di cui non conoscevo l’origine mi stava schiacciando. Intorno a me sembrava tutto indefinito, tranne quella figura che continuava a danzare e a tentarmi imperterrita con i suoi sguardi di fuoco. Era come se sentissi che quelle stesse fiamme che la formavano mi avvolgevano, bruciando di un calore che era croce e delizia al tempo stesso, una tortura di cui non potevo fare a meno.
Rimanevo lì, basita e immobile, senza essere in grado di reagire in qualche modo.
Lui intanto, da quel suo fuoco infernale, il demone dagli occhi di smeraldo, continuava a fissarmi. Vediamo cosa sai fare, sembrava dire.
«Vuoi sfidarmi, gitano?»
I suoi occhi, simili a gemme, erano sempre lì, fermi. I suoi capelli di fiamma crepitavano, invitanti.
Lo odiavo.
«E sia. Vedremo chi è più forte. Vedremo chi vincerà, quando ti troverò.»
Sarebbe stato mio; lo avrei cercato, e non mi sarei fermata fino a che non lo avessi scovato.
«Non potrai nasconderti per sempre. Prima o poi ci incontreremo di nuovo.»
Le fiamme sembrarono agitarsi, come se l’anima bollente racchiusa in esse avesse percepito la mia determinazione e tremasse nell’avvertirla così vicina.
«Io ti troverò» dissi, risoluta.
Poi uscii dalla stanza e mi ritirai al piano di sopra.
Avrei dovuto svegliarmi presto, la mattina dopo.
Avevo una missione da portare a termine.
 

 
****
 
 
Durante il tragitto verso Notre-Dame stavo praticamente dormendo nella carrozza.
Non avevo chiuso occhio tutta la notte; ero stata a rigirarmi nel letto per ore fino a che non avevo visto il cielo rischiararsi.
«Signora Frollo» mi avvisò il conducente. «Siamo quasi arrivati.»
Mi rassettai meticolosamente la toga da giudice e sistemai meglio il copricapo, sperando con tutto il cuore di non avere un aspetto trasandato. Poi mi schiarii la voce e dissi, ricomponendomi:
«Vi ringrazio, Jean Pierre.»
Poco dopo l’uomo fermò i cavalli. Attraverso uno spiraglio di finestrino lasciato dal tendaggio color porpora adocchiai Olympe, che mi aspettava affiancata dal capitano Montespan.
Mi alzai con un grugnito di stanchezza e uscii dalla carrozza, mentre sentivo una fastidiosa emicrania partire dal naso e diramarsi nella fronte e nelle tempie.
«Buongiorno signora» mi salutò Olympe, formale.
«Mhm» mugugnai io per tutta risposta.
«Non vi sentite bene?» 
«Ho avuto... » sospirai, passandomi stancamente una mano sulla fronte. L’immagine del gitano avvolto dalle fiamme mi balenò di nuovo in testa. «Ho avuto problemi con il caminetto.»
«Capisco» si limitò a dire lei, come il giorno prima. Ma aveva abbassato lo sguardo.
Ha compreso già tutto?
È così facile notare  quest’ossessione per lo zingaro?
È davvero così evidente?
Mi rivolsi alla squadra che la recluta aveva radunato, spingendo quelle domande in un angolo remoto della mia mente.
«Dividiamoci e setacciamo la città. Non dovrebbe essere lontano» dissi, senza specificare di chi stessi parlando.  Non ce n’era bisogno, alla fine.
«E anche se fosse, non potrà nascondersi in eterno. Prima o poi dovrà uscire allo scoperto.»
Mentre parlavo sentivo un sorriso di trionfo disegnarsi già sul mio volto. «E dopo lo cattureremo.»
Poi puntai un dito verso Olympe.
«Voi, venite con me.»
Lei sembrò spaesata, ma poi si avvicinò a me con il suo cavallo bianco e montò abilmente in sella.
Io salii a mia volta su César, il mio purosangue nero.
Gettai uno sguardo risoluto sui soldati e proseguii:
«Troviamoci qui al tramonto. Non voglio che nessuno si fermi anche solo per un momento, prima di allora.»
Silenzio. Gli uomini sembravano impauriti. Forse era vero quello che pensavo – e che probabilmente pensavano tutti loro: forse quel diavolo tentatore era diventato davvero la mia ossessione.
«Bene» conclusi. «Cominciamo.»
 




Eccoci! *si esalta*
Dunque, vi dico sin da subito che questo capitolo è uno dei miei preferiti, quindi ci tengo tantissimo a sapere se vi sia piaciuto o meno. Io amo, letteralmente amo il personaggio di Frollo, perciò mi è piaciuto un sacco scrivere questo capitolo e adesso non vedo l’ora di leggere i vostri commenti.
Siamo arrivati – come quando Frollo si innamora di Esmeralda nel film – ad un punto cruciale della storia: Claudie scopre di essersi infatuata di Eymeric e di conseguenza le ricerche si fanno ancora più accanite. Esattamente come la sua controparte maschile nel film, Claudie è molto innamorata, ma soprattutto ossessionata dal gitano che sembra continuare a tormentarla. Voi cosa ne pensate?
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento :)
Alla prossima,
Stella cadente
PS Sì, la frase all’inizio è tratta da Hellfire, la canzone di Frollo. Ci stava benissimo, ammettiamolo :D
PPS E' con questo capitolo che mi accingo a festeggiare la fine della scuola! Probabilmente, dal momento che con questa storia mi sono già avvantaggiata molto, adesso aggiornerò più frequentemente. Non è sicuro, ma non lo escluderei, ecco :)

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Capitolo 6
*** Missioni e dubbi ***


VI.
Missioni e dubbi


 
 
 
Olympe
 
 

Il giudice Frollo si lanciò in una folle corsa al galoppo, diretta nei sobborghi della città. Io la seguii a ruota senza fiatare, ma il suo atteggiamento mi preoccupava. Sembrava furiosa. Mi chiedevo molto spesso che cosa passasse nella testa a quella donna, ultimamente.
«Dove siamo dirette, signora?» chiesi, voltando la testa verso di lei.
Frollo non ricambiò.
«Dove potrebbero esserci zingari» disse, continuando a guardare davanti a sé. «Dove potrebbe essersi nascosto lui. E se non c’è, costringeremo gli altri a dirci dove si trova. Se pur di scovarlo dovremmo dare alle fiamme tutta Parigi, così sia.»
Quell’aria determinata non mi piaceva. Voleva dire che avrebbe anche ucciso, pur di ottenere quel che voleva.
Non si sarebbe fermata davanti a nulla.
E la cosa non mi piaceva.
 
****
 
 
Alla fine della giornata di Eymeric non c’era traccia. Claudie Frollo aveva fatto rinchiudere almeno cinquanta zingari, ma lui sembrava introvabile. Non sapevo se a preoccuparmi era più il fatto che il giudice avesse catturato decine di innocenti o l’ipotetica fine che avrebbe potuto fare Eymeric se Frollo lo avesse trovato.
«Trovato qualcosa?»
La voce della donna, diretta al capitano Montespan, mi riscosse dai miei pensieri.
«No, signora. Lo zingaro sembra essere scomparso.»
«Non può essere scomparso!» esclamò lei. «Dovremmo solo cercare meglio!»
Il capitano mi lanciò un fugace sguardo preoccupato nel vedere che il giudice aveva perso la sua abituale calma fredda. Sguardo che io ricambiai.
«Sì, signora» disse poi.
«Ricominciamo le ricerche domani. Non ci fermeremo finché non avremmo trovato lo zingaro Eymeric» disse lei, con un tono che non ammetteva repliche.
E congedò i soldati, allontanandosi sul suo cavallo nero.
 
 
 
«Olympe, ho deciso di assegnarvi un compito che non assegnerei mai a nessuno» mi disse Frollo quella sera, nel suo studio al Palazzo di Giustizia. Da ore ormai stavamo studiando su una mappa – che la donna aveva evidenziato più e più volte con inchiostro rosso – quali potessero essere i possibili spostamenti di Eymeric.
Rabbrividii: temevo per lui e temevo anche per me, perché sapevo che non sarei stata sicura di arrestarlo, qualora lo avessi incontrato.
E se Frollo lo avesse saputo sarebbero stati guai. Guai seri.
Deglutii impercettibilmente al pensiero e mi forzai a dire, con quanta più naturalezza possibile:
«Ditemi, signora.»
Nei suoi occhi azzurri apparve, per un attimo, un bagliore di vittoria.
«Ecco» cominciò «vedete, dal momento che siete una persona» fece una pausa, come se volesse cercare l’aggettivo giusto per descrivermi «efficiente, volevo affidarvi un incarico molto particolare.»
Un’altra pausa.
«Possiamo chiamarla una missione segreta, supplementare, se preferite. Mi spiego?»
Annuii.
«Bene. Come sapete, io credo che il gitano possa essere ovunque. Stiamo parlando di uno zingaro, di uno stregone, in poche parole.»
Aveva pronunciato la parola “stregone” come se con essa avesse potuto uccidere Eymeric. «Appartiene a gente che usa pratiche occulte per compiere magie e rendersi persino invisibile. Ma qui sta il fatto. Vedete... non credo che durerà a lungo, se cercheremo accuratamente.»
E così dicendo, spostò lo sguardo sulla finestra aperta dello studio, verso la cattedrale di Notre-Dame.
«Non crederete che…»
«Certo che sì» mi interruppe lei, con un sorriso astuto.
Aveva capito.
«Come abbiamo appena detto, potrebbe essere ovunque» proseguì.
Rimasi in silenzio.
«Abbiamo appena detto che potrebbe essere ovunque o no?» chiese, con quella sua voce fredda e altezzosa. «E la cattedrale non è forse il luogo dove un delinquente si andrebbe a rifugiare?»
«Certo» risposi, cercando disperatamente di scacciare le immagini orribili che avevano preso forma nella mia mente. «Ma se ho ben capito, lì avrebbe il diritto di asilo.»
Frollo sogghignò.
«Il problema si può tranquillamente risolvere trascinandolo fuori» disse, asciutta. «C’è qualcosa che non vi è chiaro, per caso?» domandò poi, marcando ancora di più il suo tono di voce sostenuto.
«No, signora. Tutto chiaro» mi limitai a dire.
«Molto bene. Allora potete cominciare anche stasera, signorina de Chateaupers.  Vi autorizzo ad effettuare le ricerche anche di notte, all’interno della cattedrale di Notre-Dame. Senza farvi notare, naturalmente» proseguì in tono solenne. «Non deludetemi» concluse poi, con una nota vagamente minacciosa nella voce.
«Non lo farò, signora» dissi, cercando di apparire determinata.
Ma dentro di me, mi sentivo già in pericolo.
In che razza di situazione mi stavo cacciando?
 
 
 
Quella donna è ammattita, pensai, quando alle dieci uscii dal Palazzo di Giustizia e mi recai verso Notre-Dame. Claudie Frollo non mi avrebbe mai chiesto una cosa del genere.
Era ufficiale: aveva perso completamente il lume della ragione.
Notre-Dame era una Chiesa, la cattedrale della città. Come le era saltato in mente di farmi entrare là per cercare uno zingaro?
Ma poi, per quale motivo un gitano avrebbe dovuto nascondersi in Chiesa? Era risaputo, alla fine, che quello era un popolo che si spostava di continuo, senza limiti o vincoli; era poco probabile che uno di loro andasse a rifugiarsi nella cattedrale e vivesse circondato da mura di pietra, totalmente privo della libertà che aveva prima. Certo, se Eymeric fosse andato a nascondersi a Notre-Dame avrebbe avuto il diritto di asilo, ma per quanto ne sapevo poteva essere già fuori Parigi. Non si trovava da nessuna parte. Non poteva essere andato lì.
Eppure avevo un brutto presentimento.
Sospirai; sapevo che in ogni caso non potevo fare altrimenti. Per quanto la prospettiva non mi esaltasse, avrei dovuto eseguire gli ordini del giudice e rispettare l’accordo.
«Andiamo Achille» incitai il mio cavallo, distogliendolo da un piccolo pezzetto di erba cresciuto in mezzo al lastrico della strada.
L’animale lasciò perdere l’erba, scrollò un po’ la criniera come a trasmettermi il suo disappunto e poi tornò a camminare placidamente.
Chissà perché la signora Frollo inseguiva così tenacemente Eymeric. Doveva aver preso sul personale il modo in cui il ragazzo l’aveva sfidata, specialmente alla Festa dei Folli, non c’era altra spiegazione. Eppure c’era qualcosa di malato, di anormale nel modo in cui lo ricercava in modo così... forsennato.
Ecco qual era l’aggettivo giusto per la sua ricerca: forsennata. Ma non riuscivo in alcun modo a capire perché: doveva esserci qualcosa sotto, a parte ciò che era successo alla Festa… ma cosa?
Forse si è infatuata dello zingaro.
Ripensai a come l’aveva guardato la prima volta che lo avevamo visto, a come il ragazzo influenzasse il suo umore, a come gli stava dando la caccia. Ma Claudie Frollo innamorata? La sola idea mi sembrava tanto reale quanto il fatto che io non mi chiamassi Olympe. Era impossibile.
O almeno, doveva esserlo.
 
 
 
****
 
 


Le ricerche erano snervanti. Avevo passato una buona manciata di minuti in preda allo smarrimento, chiedendomi da dove cominciare; e più il tempo passava, più notavo che non volevo davvero arrestare Eymeric per poi consegnarlo a Frollo.
Che cosa gli sarebbe successo?
E se non avessi rispettato gli ordini del giudice, cosa sarebbe successo a me?
Al momento preferivo non pensarci. Anche perché non ne avevo il motivo, visto che dello zingaro non c’era traccia.
Ma la cattedrale è grande, e non credo che Frollo si fermerà finché non l’avrò trovato.
Sospirai, ripensando a quando mi ero recata a Parigi piena di aspettative. Non avevo idea del lavoro che mi sarebbe spettato.
Già.
Non ne avevo proprio idea.
 
 
Avevo trovato, dopo un tempo che mi era sembrato interminabile, una scala a chiocciola, ben nascosta dietro al coro della cattedrale.
Mentre salivo i piccoli gradini, non potei fare a meno di sentire il senso di colpa farsi strada dentro di me, serpeggiando fastidioso. Pregai mentalmente che Eymeric non si trovasse lì e che se ne fosse andato da qualche parte, fuori Parigi.
Ventisette, ventotto, ventinove, trenta.
Mi sentivo affaticata come se avessi l’influenza. Trenta gradini di notte, dopo un’estenuante giornata, non erano il massimo.
Mi guardai intorno; la stanza in cui mi trovavo era buia, illuminata soltanto dalla poca luce lunare che filtrava da una finestra bifora abbastanza ampia. Afferrai una torcia e cominciai a studiare l’ambiente circostante.
Intorno a me c’era una quantità inimmaginabile di oggetti: miniature, oggetti colorati in vetro, in carta e in legno, e tanti, tanti libri.
Che strano posto, pensai. Quale funzione avrebbe avuto, esattamente, quella camera? Non sembrava uno studio o qualcosa del genere, sembrava semplicemente una… stanza da letto.
Qualcuno abita qui, forse. Magari un clandestino.
Ma perché una persona dovrebbe abitare a Notre-Dame?
Ero confusa.
All’improvviso una voce interruppe il silenzio. La riconobbi immediatamente: era la voce dell’altra volta, la voce della cattedrale, che canticchiava un motivo dolce e lento. Ma non capivo da dove venisse.
«Chi è là?» feci, prima di ricordarmi che cosa aveva detto Frollo.
Vi autorizzo ad effettuare le ricerche anche di notte, all’interno della cattedrale di Notre-Dame. Senza farvi notare, naturalmente.
Mi coprii stupidamente la bocca con una mano, imprecando sottovoce.
Grande, Olympe. Le missioni segrete sono proprio il tuo forte.
Il silenzio era calato nella stanza. Ce n’era anche troppo, per i miei gusti. Avevo l’impressione che sarebbe successo qualcosa da un momento all’altro, ma sapevo che non avrei dovuto muovere un passo, almeno per ora. Altrimenti la missione sarebbe andata a monte, e Dio solo sapeva come avrebbe reagito Frollo se ciò fosse successo.
Deglutii e mossi qualche passo nella stanza, titubante.
Poi accadde tutto in un arco temporale che, a mio parere, non sarà stato nemmeno un decimo di secondo: una ragazzina mi si materializzò davanti – da dove era comparsa? – e mi fece sobbalzare, gettando un urlo di spavento. Per poco non finivo su un tavolo lì vicino, dove era esposta una bellissima miniatura di Notre-Dame.
«Che cosa volete?» fece, con una vocina dai toni quasi infantili.
«E voi chi siete?» domandai, con ancora il respiro ansante per la paura.
«Lo sapete che non si risponde ad una domanda con un’altra domanda?»
Bene, mi ci mancava solo la ragazzina fastidiosa.
«Mi chiamo Olympe de Chateaupers» rettificai.
Silenzio. Lei non parlava.
Oh, al diavolo le formalità.
«Tu chi saresti?» aggiunsi, piuttosto infastidita dal fatto che non mi avesse risposto.
«Mi chiamo Nina» mi imitò, con un tono quasi di sfida.
Sospirai.
«D’accordo ragazzina, so che sono un’intrusa venuta qui di notte e non è esattamente il massimo come situazione, ma potresti cortesemente dirmi il perché tu ce l’abbia con me già in partenza?»
«Vi ho vista alla Festa dei Folli. Siete al servizio della mia padrona, vero?»
Aspetta un attimo. “La mia padrona?”
Chi diavolo era quella ragazza?
«Sarebbe?» chiesi ingenuamente.
«Claudie Frollo.»
Accidenti.
Capii che dovevo passare subito al sodo:
«Sono la nuova recluta. Senti, mi ha mandata a cercare un certo zingaro. L’hai visto?»
Nina sgranò gli occhi.
«Cosa?»
Mi trattenni dallo sbuffare: ma aveva problemi di comprendonio?
«Sto cercando lo zingaro Eymeric» dissi indurendo il tono della voce, cercando di imitare quella seria e autoritaria di Frollo – senza riuscirci, tra l’altro.
«E perché siete qui?» la ragazzina aveva un’aria perplessa. «Voglio dire, perché proprio a Notre-Dame?»
Ma doveva sempre fare domande così fastidiose?
«Mi ha mandata il giudice» sottolineai. «Mi ha chiesto espressamente di venire qui.»
Sapevo di star fornendo informazioni troppo preziose, ma alla fine Nina non aveva nulla di offensivo. Non avrebbe rappresentato un rischio. Almeno credevo.
«Capisco. Ad ogni modo non so di chi stiate parlando, Olympe» disse, tranquilla.
Studiai il suo viso tondo, da bambina: tutto in lei rimandava all’innocenza più pura. Mi faceva venire in mente una colomba, bianca e immacolata. Aveva l’aria di chi è totalmente al di fuori dalla faccenda in questione; probabilmente davvero non sapeva nemmeno di chi stessi parlando.
Ma era alla Festa dei Folli quel giorno, potrei giurarlo...
«Ma tu eri alla Festa dei Folli; forse sai dove sia andato» riprovai, dando voce ai miei pensieri. Per qualche motivo mi sembrava che non me la raccontasse giusta, anche se non c’era niente che me lo potesse far pensare.
«Non credo proprio. Se ben ricordate, non appena mi sono accorta della presenza della mia padrona sono fuggita via. Non so che cosa sia successo dopo quel momento.»
«Quindi non ne sai niente» mi assicurai.
«Oh, temo di no» fece lei candidamente. «Mi dispiace.»
Annuii. Forse la signora Frollo si era fatta prendere un po’ la mano. Avevo ragione, alla fine; cercare uno zingaro in una cattedrale e sperare di trovarlo era un’utopia. Avrei dovuto prevederlo.
«Bene. Ti ringrazio, e scusa per il disturbo» mi congedai. «Buonanotte» dissi poi, impacciata, prima di andarmene.
Ma mentre scendevo le scale e uscivo dalla cattedrale, il presentimento che avevo in precedenza ritornò.
E non mi lasciò fino a che non mi addormentai.

 
 
Eccomi di nuovo qui, con il sesto capitolo di "Paris" :)
Dunque, abbiamo una Claudie Frollo ossessionata da Eymeric, e una povera Olympe che viene incaricata di affiancarla nella sua furiosa ricerca dello zingaro. Le viene inoltre assegnata una missione supplementare: andare in perlustrazione nella cattedrale di Notre-Dame - e da questo si vede che Claudie è davvero impazzita: insomma, mandare una recluta in un luogo sacro come Notre Dame per cercare uno zingaro? 
E qui entra in scena Nina, che dice di non saperne niente. In realtà, come sappiamo, Eymeric è nascosto proprio lì, ma Olympe è molto ingenua e le crede facilmente. Anche se un dubbio le vortica continuamente in testa...
Per ora vi piace questo personaggio/ pensate che io sia riuscita bene a rappresetare un Febo al femminile?
Spero tanto di sì :)
Sono curiosa di vedere che cosa vi aspettate da questa storia e come vi sembra che stia procedendo :)
Come ho detto, è una specie di esperimento, perciò ci tengo che tutto vada nel migliore dei modi.
E niente, ovviamente vi ringrazio tutti, come sempre.
Alla prossima,
Stella cadente

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Capitolo 7
*** Di racconti, riflessioni notturne e rivelazioni ***


VII.
Di racconti, riflessioni notturne e rivelazioni
 

Eymeric
 
 «E quindi la capra è paragonabile a… Dio?» chiesi confuso, lanciando un’occhiata a Djali – mi aveva seguito, non sapevo come, anche nella cattedrale. «Davvero?»
Nina annuì e riportò lo sguardo sul libro che stavamo leggendo:
«La capra è assimilata a Cristo per la vita ch’egli condusse sulla terra: quando Gesù predicava,  “parlava nobilmente e lo udivano gli uomini onesti che agivano secondo rettitudine”» citò «così le persone rette ed oneste sono alte come monti. Nel Fisiologo latino, “gli altissimi monti” sono i profeti, gli apostoli ed i patriarchi, e le “convalli”, dove la capra – Gesù – ama pascolare e brucare, sono le chiese, edificate in ogni luogo nel mondo. Infine, come la capra riconosce da lontano gli inganni dei cacciatori, così anche il Signore previde e seppe in anticipo che Giuda lo avrebbe tradito e gli disse: “con un bacio tu tradisci il figlio dell’uomo”» concluse, guardandomi poi raggiante.
«Ma in realtà è più spesso associata al Demonio» aggiunse, dopo una pausa «perché si pensa che il diavolo appaia sempre come un caprone con delle grandi corna. Almeno, questo è quello che mi ha detto Frollo.»
Quella ragazza mi aveva insegnato un sacco di cose, sebbene non avessi passato molto tempo alla cattedrale. Dopo pochi minuti avevo già sentito, sin dal primo giorno, come se le pareti di pietra della Chiesa mi si stringessero attorno ... ma d’altra parte, dovevo riconoscere anche che non sarebbe stato molto saggio uscire. Almeno per adesso.
La cosa positiva era che con Nina non avevo tempo per soffermarmi sulle mie sensazioni di oppressione. Mi aveva insegnato a leggere e a scrivere; diceva spesso che tutto quello che aveva imparato lo doveva alla signora Frollo – senza badare, ingenua com’era, al fatto che mi innervosivo solo a sentire il nome di quella donna –, che era stata la tutrice ad insegnarle tutto e che andava fiera di essere una ragazza istruita, come diceva lei.
In effetti Nina era molto intelligente. Mio malgrado, dovevo riconoscere che la signora Frollo era un pozzo di scienza, ed era palese il fatto che avesse fatto un ottimo lavoro con Nina; quella ragazzina non avrebbe potuto essere più colta, nonostante i suoi quindici anni.
Grazie a lei avevo imparato molte cose interessanti; quel giorno ci stavamo concentrando su un bestiario dalle pagine un po’ ingiallite, recuperato di nascosto dallo studio di Frollo all’interno della cattedrale.
Era incredibile quanto ci fosse da sapere. E di quante cose fossi rimasto all’oscuro fino a quel momento.
«Un giorno dovrai venire con me alla Corte dei Miracoli» affermai, entusiasta, alzando il viso dal libro e guardando Nina con un sorriso «per forza. Non vedo l’ora di presentarti tutti i miei amici. C’è mia sorella Antea, e poi c’è Clopin e… »
«Non credo di potere, Eymeric» si limitò a dire, interrompendomi.
Mi accigliai.
«Ancora con questa storia?»
«È questo il mio posto» disse solo, senza rispondere veramente alla mia domanda «Frollo ha ragione. Devo rimanere qui.»
Decisi di lasciar perdere, perché avevo visto che la ragazza aveva assunto un’aria malinconica. Inutile dire quanto fossi terribilmente curioso sul perché il giudice la teneva rinchiusa nella cattedrale, ma non volevo essere invadente: me lo avrebbe detto lei stessa, a tempo debito.
In fin dei conti, ora potevamo considerarci amici. Prima o poi la verità sarebbe salita a galla.
C’era qualcosa che ci legava e ci accomunava: il fatto di essere due reclusi, privi di una libertà desiderata disperatamente ma mai raggiungibile.
«Comunque ho temuto molto per te, ieri sera» la sua vocina interruppe i miei pensieri.
Mi allarmai subito.
«Cioè? Che vorresti dire?»
«Non preoccuparti, non è successo niente. Nessuno sa che sei qui» mi rassicurò. «Ma Frollo evidentemente lo pensa. E non ha neanche tutti i torti.»
Silenzio.
«Se non altro la sua recluta non è del suo stesso parere. Almeno per ora» continuò, con la voce venata di un’impercettibile nota di disprezzo.
La osservai con un sorriso divertito:
«Perché non mi racconti che è successo?» la incoraggiai, incrociando braccia e gambe «sono curioso.»
«Beh... » Nina sembrò indugiare un attimo. «La nuova recluta di Frollo è venuta a cercarti in piena notte. Probabilmente non te ne sei accorto.»
«No, infatti» annuii, attendendo che proseguisse.
Ci fu un momento in cui tra noi si frappose il silenzio, poi Nina continuò.
«Ha chiesto espressamente di te, e mi ha detto che era stata proprio il giudice a mandarla.»
«Aspetta» la interruppi «te l’ha detto lei?»
La ragazza annuì.
«Sì» disse poi «sono riuscita a sviarla, perché sembrava piuttosto ingenua. Ma di certo non è stupida, perciò credo che sospetti qualcosa, anche se non le ho dato ragione per farlo.»
«Come si chiamava?»
Non sapevo perché glielo avessi chiesto. Ero quasi sicuro di sapere già la risposta.
Nina mi guardò come a cercare di carpire qualcosa da quel mio strano interesse, poi disse:
«Olympe de Chateaupers.»
 
 
****
 
 
Era notte, e fino a quel momento non avevo fatto altro che pensare a quello che mi aveva detto Nina.
La nuova recluta di Frollo è venuta a cercarti in piena notte. Probabilmente non te ne sei accorto.
Si chiamava Olympe de Chateaupers.
L’avevo incontrata per la prima volta poco prima della Festa dei Folli e mi era subito piaciuta, non appena mi aveva detto che non poteva arrestarmi.
Era diversa dalle altre reclute al servizio di Frollo. Ed era carina, con quei capelli biondi e lunghi, gli occhi color cielo e quel suo atteggiamento ironico e spiritoso.
Voleva semplicemente sapere il mio nome e parlare con me.
Quella era l’ultima immagine che conservavo di lei; dopo non l’avevo più vista.
E ora sapevo che era venuta alla cattedrale, di notte, a cercarmi per consegnarmi a Frollo.
Forse non era così innocua come credevo. O forse sì, solo che non aveva il coraggio di mettersi contro di lei e lasciare i suoi doveri per iniziare a fare ciò che era giusto.
In entrambi i casi non sembrava che potessi fidarmi di quella ragazza.
Stava dalla parte di Frollo, era ovvio. E poteva essere ingenua quanto voleva, ma prima o poi mi avrebbe scoperto, se non fossi stato attento. Avrei dovuto scappare, andarmene dalla cattedrale? Non sarebbe stata una scelta astuta, ne ero perfettamente consapevole. E poi non me la sentivo di lasciare Nina.
In fin dei conti, quella ragazza mi aveva aiutato. Era stata così gentile ad ospitarmi.
Volevo portarla via da quel posto. Si ostinava a dire che stava bene così, ma vedevo che in realtà era tutt’altro. Ed io volevo farla cominciare a vivere senza limiti.
Volevo portarla alla Corte dei Miracoli, volevo farla sentire libera, come ero sempre stato io.
Mi ero affezionato terribilmente a lei, e vederla guardare Parigi con nostalgia, come un uccellino in gabbia, mi faceva male – più male di quanto mi aspettassi.
Aprii la porticina della mia stanza e scivolai fuori, facendo attenzione a non svegliare Nina che dormiva.

 
 
 
«Sai, forse dovremmo fuggire insieme, un giorno, io e te».
Nina mi guardò come se avessi detto chissà che cosa.
«Fuggire? Perché?» chiese.
«Per essere finalmente liberi. Per andarcene dove vogliamo. Io e te e basta. Fosse per me partirei anche subito. Senza vincoli, senza pregiudizi. Sarebbe bellissimo» risposi.
La mia voce aveva assunto un tono sognante. Sebbene fosse solo il mio secondo giorno nella cattedrale, desideravo con tutto me stesso la libertà che avevo perso. Anche se sapevo che era una cosa temporanea, temevo che sarebbe durato per sempre. Non sapevo per quanto ancora avrei dovuto trattenermi a Notre-Dame, e avevo paura di scoprirlo.
«Già, sarebbe fantastico» disse lei.
Ma non riuscivo a capire se lo pensasse davvero.
 
 
Avevo provato in tutti modi a chiederle che cos’era a farle così paura.
Era forse Frollo? Il mondo esterno?
In fin dei conti, era sempre stato un qualcosa di estraneo ai suoi occhi. Ma allora come si spiegava la sua contentezza alla Festa dei Folli?
Non ne avevamo più parlato; tutte le volte che cercavo di riportare alla superficie quel giorno, lei cambiava prontamente argomento.
 
«Mi racconti di qualche viaggio che hai fatto?» chiese Nina, guardandomi con quei suoi occhioni blu.
Era la sera del mio terzo giorno a Notre-Dame, e il vociare dei parigini sotto di noi ci faceva compagnia. Eravamo appoggiati al balcone in pietra in cima alla cattedrale, e guardavamo la città indaffarata, distratti, un po’ sovrappensiero.
Il sole stava tramontando, tingendo il cielo di un bell’arancione e lanciando bagliori scintillanti sulla Senna. Tutte le volte mi incantavo a guardare quel paesaggio mozzafiato: era bellissimo condividerlo con Nina.
«Beh, di recente siamo partiti da Gentilly. Un paio di anni fa ci eravamo stabiliti direttamente in un piccolo villaggio sui Pirenei di cui ora non ricordo il nome, ma pensavamo che venire a Parigi volesse dire trovare più gente, quindi più lavoro, quindi più cibo» spiegai «perciò siamo scesi a Gentilly, dove ci siamo fermati per qualche giorno, e poi siamo venuti qui.»
La ragazza mi guardava meravigliata.
«Deve essere bellissimo viaggiare» disse, con un sorriso.
«Lo è. Certo» convenni «essere gitani non è tutto rose e fiori. Devi adattarti, prendere la vita come capita, adeguarti agli imprevisti. Ma viaggiare è... assolutamente fantastico» terminai. «A pensarci, è bello cambiare, è bello incontrare nuovi popoli, vedere sempre nuove città.»
Nina non toglieva quel sorriso dalla sua faccia. Sembrava immaginarsi tutto, come se con la mente fosse in quei posti lontani di cui parlavo io. 
Poi sospirò e tornò a guardare il tramonto.
 
 
 
Avevamo parlato di tante cose, io e lei. Della vita all’aperto, di cultura, di Frollo. Aveva una visione un po’ strana del giudice di Parigi, che decisamente non corrispondeva alla mia.
Quella donna era malvagia, fredda, insensibile. O almeno, con me e con il mio popolo lo era sempre stata. Perciò non avevo ragione di “vedere anche i suoi lati buoni” come diceva Nina. A pensarci, per me neanche ce li aveva, dei lati buoni.
Come poteva Nina vedere del bello in lei?
 
 
«Non è così male» disse, guardandomi. «Almeno, se la conosci bene.»
Feci una smorfia: da quando Nina difendeva la sua severa e perfida tutrice?
«Da quand’è che la difendi?» diedi voce ai miei pensieri, leggermente indispettito.
Nina fece spallucce.
«Beh, mi ha salvato la vita.»
Rimasi stupito.
«Come può una donna così crudele aver cresciuto una ragazza come te?»
Mi sembrò di vederla arrossire, ma si ricompose subito.
«In qualche modo lo ha fatto» disse solo. «Però è strano» proseguì, sovrappensiero.
«Cosa?»
«Tu non sei come gli altri zingari» disse. «Loro sono… malvagi.»
«Chi ti ha detto questo?»
«La mia tutrice.»
Ottimo, pensai. 
«Io ti sembro malvagio?» feci un po’ stizzito, indicandomi.
«Oh, no! Non parlavo di te. Tu sei simpatico, buono e... gentile» si difese la ragazza, facendomi uno dei suoi sorrisi dolci. «Solo che…»
«Forse Frollo si sbaglia riguardo a noi due» la interruppi, riservandole poi uno sguardo affettuoso.
Sguardo che lei ricambiò.
 
 
 
«Eymeric?» mi sentii chiamare.
Mi voltai.
«Sì, sono io» dissi «non riesco a dormire» aggiunsi, vedendo la figura di Nina avvicinarsi sempre di più, coperta dalla sua camicia da notte bianca.
«Perché?» chiese, curiosa.
Preferii non dirle che era per quello che mi aveva detto lei; si sarebbe preoccupata troppo.
«Non lo so.»
La ragazza stette per un po’ vicino a me, a guardare la luna in silenzio. Ognuno di noi due era perso nei propri pensieri. Nina aveva un’aria un po’ tesa: forse neanche lei aveva dormito molto, fino a quel momento.
Guardai Parigi: mi mancava danzare lungo le strade, andarmene dove volevo quando volevo, prendermi gioco delle guardie e far divertire i bambini con i miei numeri di magia. Mi mancava essere un gitano, vivere senza confini.
In quel momento avvertii un desiderio irrefrenabile di calarmi giù, anche se era troppo alto, anche se era impossibile. Tutto, pur di evadere.
«Eymeric» la voce di Nina mi riscosse.
Mi voltai verso di lei.
«Sì?»
«Ecco… c’è una cosa che devo dirti.»
Aggrottai le sopracciglia; la ragazza sembrava terribilmente in ansia.
Silenzio. Aspettavo che continuasse, ma non arrivò nulla.
Mi fissò con un’espressione strana, poi disse:
«Vieni, seguimi.»
Non feci domande.
Capii sin da subito che stava per farmi una rivelazione importante.
 
 
 
 
Nina mi aveva condotto nel chiostro sul lato sud della cattedrale, al centro del quale c’era un grande e curatissimo prato. Sembrava più una specie di enorme giardino, in realtà: le piante dai fiori multicolori splendevano alla luce lunare, che si rifletteva anche sull’acqua scura di un lago artificiale – che a detta di Nina era stato commissionato dal Re in persona.
«Perché siamo qui?» chiesi.
Lei mi rivolse uno sguardo nervoso:
«Lo vedrai.»
«È bellissimo» feci avvicinandomi, giusto per allentare la tensione che si era creata. «Soprattutto questo» dissi, toccando appena il pelo dell’acqua di quell’immenso lago.
Lei mi rivolse un sorriso debole.
«Ti ho detto che non posso mai uscire dalla cattedrale, giusto?» mi chiese, a bruciapelo.
Annuii.
«Adesso vedrai perché» aggiunse.
E prima che io potessi aggiungere qualcos’altro, si era tuffata nel lago, riemergendone poco dopo.
Confuso, la fissai, chiedendole il significato di quel gesto con lo sguardo.
E mentre mantenevo gli occhi su di lei, vidi le sue gambe trasformarsi in una grossa, scagliosa coda di pesce di un argento abbagliante.
 




Sono quasi le due di notte e io, siccome non so cosa fare, sono qui ad aggiornare la storia.
Yeah.
Scherzi a parte, come avrete senz'altro capito, questo è un momento di svolta nella storia. Abbiamo finalmente svelato il segreto di Nina!
So che forse potrebbe sembrare presto, ma fidatevi... non lo è. Almeno, per tutte le idee che ho in mente per questa storia, non lo è.
Dunque, soffermiamoci sulla nostra Nina. Vi avevo già detto che non era esattamente uguale a Quasimodo, infatti ho voluto dare un risvolto vagamente fantasy alla storia - anche se poi non ci sarà nessun viaggio nel tempo, nessuno scontro tra entità marine o quant'altro, quindi credo che io abbia optato più per la semplice introduzione di una figura mitologica nelle vicende.
Per questo ho messo Crossover, tra gli avvertimenti: perché la figura di Nina si ispira a quella delle sirene della serie H2o - Just Add Water, anche se successivamente vedrete che sarà rielaborata.
A parte questo, comunque, per gran parte del capitolo vediamo anche nel particolare il suo rapporto con Eymeric, molto affiatato a mio parere, ed è tutto molto dolce - almeno, l'intento era quello.
Riguardo a questo capitolo in particolare sono curiosa di leggere le vostre recensioni, perché qui la storia prende una piega un po' diversa. Insomma, il fatto della sirena è un po' un azzardo, me ne rendo conto, perciò vorrei davvero sapere che ne pensate.
Come sempre vi ringrazio tutti, uno per uno. Vi voglio bene ragazzi, davvero. Grazie per continuare a spronarmi sempre.
Con affetto,
Stella cadente

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Capitolo 8
*** Segreti e sospetti ***


VIII.
Segreti e sospetti
 

Nina
 
Eymeric aveva un’aria meravigliata. Mi guardava con quei bellissimi occhi verdi spalancati, senza dire una parola.
Io ero un fascio di nervi; sentivo il cuore battere a mille. Me lo ricordavo: gli avevo fatto vedere il mito della sirena in una copia del Liber Monstrorum di Frollo, e gli avevo detto tutto ciò che sapevo in proposito, dalle prime leggende risalenti all’antica Grecia fino ai giorni nostri.
Sirena.
Era questo che ero. In poche parole, un mostro, qualcosa che avrebbe dovuto rimanere nei libri di mitologia al posto che esistere realmente.
«Sì» annuii. «Capisci adesso perché non posso mai uscire? Se gli altri mi vedessero sarebbe la fine.»
Lui continuava a guardarmi senza dire niente.
«Non andartene, Eymeric» lo supplicai «non ti farò del male. Ti prego» continuai «non mi lasciare.»
Il ragazzo si rilassò un pochino, poi sorrise e disse, riacquistando il suo solito tono scherzoso:
«E chi ha parlato di lasciarti?»
Sorrisi.
«Quindi tu… » fece, ricomponendosi. «Sei una… sirena
Gettai uno sguardo alla mia coda, che riluceva alla luce della luna.
«Ehm... sì» dissi.
Lui ridacchiò.
«Perciò mi stai dicendo che la mia amica è una creatura mitologica?» chiese, rivolgendomi uno dei suoi irresistibili sorrisi.
Risi anche io, vedendo che non era scappato via di corsa. Sentivo che un enorme peso era volato via dal mio stomaco. Non mi ero mai sentita così leggera e spontanea con qualcuno.
Era bellissimo.
«Esattamente» assentii io, improvvisamente tranquilla.
Silenzio.
«Nina» mi chiamò Eymeric.
«Sì?» feci timidamente.
«Posso raggiungerti in acqua?» chiese, allegro.
Mi lasciai andare ad un sorriso liberatorio, mentre sentivo i miei occhi brillare.
«Certo» dissi, senza pensarci due volte.
 
 
****
 
Eymeric mi nuotava accanto, con i capelli neri mossi dall’acqua che andavano in ogni direzione. La luce della luna si riverberava sulla superficie del lago e negli occhi verdi del ragazzo, facendoli scintillare.
Io sprizzavo felicità da tutti i pori. Nuotavo facendo ondeggiare la coda e invitando il mio amico a seguirmi. Accelerai e lo lasciai indietro, lanciandogli un sorriso giocoso.
Lui fece una faccia imbronciata, ma poi mi raggiunse abilmente.
E mi prese per mano, come per stringere un patto indissolubile.
Finalmente ero libera. Libera di essere me stessa, libera di non avere segreti, di non fare sotterfugi, di non nascondermi. Con Eymeric non ce ne era bisogno.
Non più, ormai.
 
Agitai una mano facendola volteggiare, e un piccolo fiotto d’acqua scaturì dal mio palmo, zampillando come una fontana in miniatura.
«Tu sai fare anche questo?» fece Eymeric, con gli occhi spalancati.
Sorrisi.
«Ebbene, sì» dissi, giocosa.
E condussi l’acqua a pochi centimetri dal suo viso, prima di spruzzargliela in faccia e ridere della sua espressione sorpresa.
 
 
«Quindi è per questo che Frollo non ti lascia uscire?» mi chiese Eymeric la mattina dopo, nella nostra stanza della cattedrale. Sul far del giorno avevamo iniziato ad avviarci verso le stanze della Chiesa, in modo che non mi vedesse nessuno.
La mia tutrice si raccomandava sempre: in effetti, dovevo riconoscere il fatto che avesse ragione. Non capitava tutti i giorni di vedere una ragazza tramutarsi in pesce; gli altri non mi avrebbero mai accettata per quella che ero.
Ero fuori dal comune, e Frollo mi aveva sempre detto quanta avversione avesse la gente per il diverso: mi avrebbero bruciata su un rogo e lei stessa avrebbe dovuto pronunciare la condanna, dal momento che era l’Inquisitore Supremo della Corte di Giustizia.
Se qualcuno avesse scoperto il mio segreto, lei non mi avrebbe difesa.
«Allora?» fece il ragazzo.
«Mh?»
«È per questo che Frollo non ti lascia uscire?»
Annuii.
«Mi dice sempre che il mondo esterno è rischioso.»
Lui sembrò pensarci su.
«Potrebbe anche apprezzarti però.»
Mi voltai verso di lui, stupita da ciò che aveva appena detto.
«Che stai dicendo?»
«Che potresti anche meravigliare tutti. In senso positivo, ovviamente.»
«Io non credo» ribattei.
«Beh, a me piaci» disse il ragazzo, con una convinzione che mi fece arrossire. «E solo perché Frollo ti dice che sei un mostro, non significa che sia vero.»
Eymeric mi aveva fatto domande sulla mia natura per tutta la mattina e ora eravamo di nuovo a guardare la Senna dall’alto, mentre il sole di mezzogiorno splendeva sfolgorante nel cielo terso.
Mi ero sorpresa a raccontargli tutto, ma proprio tutto della mia storia; non credevo che sarebbe esistito qualcun altro, a parte la mia tutrice, in grado di accettarmi. Sapevo che Eymeric era attratto dal diverso, ma non immaginavo che lo fosse a tal punto.
«Ti ringrazio» mi limitai a dire.
Lui mi sorrise, come spesso faceva.
«E di che cosa?»
 
 
«Buongiorno Nina» mi salutò Frollo quel pomeriggio, come sempre, non appena entrò nella mia stanza.
«Salve, signora» ricambiai, sforzandomi di non sembrare tesa.
Lo ero, effettivamente. Ma non potevo far sì che lei se ne accorgesse in qualche modo. Si sarebbe scatenato il putiferio.
«Dormito bene?»
Deglutii appena. Perché mi aveva fatto quella domanda?
Decisi di non pensare troppo e di rispondere subito, per far sì che non si insospettisse.
«Sì signora, vi ringrazio. Perché?»
«Hai un’aria un po’provata, ragazza. Le occhiaie non sono difficili da notare» disse solo, guardandomi storto.
Osservando bene la mia tutrice in viso, constatai che anche su di lei – soprattutto su di lei – erano ben visibili i segni della stanchezza: sotto gli occhi arrossati aveva due segni bluastri, e la pelle bianca era talmente tesa da sembrare fatta di carta.
Ma per quale motivo Claudie Frollo avrebbe dovuto essere stanca?
Decisi di non chiederglielo: temevo che sarebbe andata su tutte le furie.
«Beh» mi affrettai a dire «in effetti ho dormito, ma non benissimo. Mi sono svegliata numerose volte» aggiunsi, cercando di essere credibile, o quantomeno di sembrarlo.
La donna storse impercettibilmente le labbra fini e mi guardò come a voler cercare qualcosa di cui neanche lei aveva la certezza. Conoscevo quell’espressione: significava che qualcosa non le tornava.
«Davvero?»
Il suo tono adesso era cambiato d’un botto. Si era fatto più cupo, come se stesse insinuando qualcosa.
«E... come mai?» aggiunse.
«Non lo so» feci candidamente, sperando che mi credesse.
Lei sembrò essersi tranquillizzata per un attimo, ma poi mi trafisse con lo sguardo e chiese, senza troppi giri di parole:
«Perché ho la netta sensazione che tu mi nasconda qualcosa?»
«N... non saprei signora» balbettai.
Silenzio.
«Avrai senz’altro notato, Nina» cominciò «che sono molto stanca a causa del mio lavoro. Sai qual è la faccenda, ragazza? Un certo zingaro mi è sfuggito da sotto il naso, esattamente dopo la Festa dei Folli. E non solo» aggiunse.
Silenzio. Quelle pause che faceva cominciavano ad inquietarmi.
«Tu, se non sbaglio» proseguì «sei sparita proprio in quel momento.»
Io la fissavo, ancorata al pavimento da quegli occhi freddi e penetranti.
«Ne sai qualcosa?»
Formulò la domanda lentamente, quasi volesse imprimermela bene in testa, di modo che io non potessi sfuggirle cercando di aggirarla.
In quel momento lo sguardo della mia tutrice mi sembrò acquistare un bagliore folle, schizzato, improvvisamente interessato in maniera quasi morbosa a quella che avrebbe potuto essere la mia risposta.
E la cosa mi turbò profondamente.
Pregai Dio mentalmente che me la mandasse buona, almeno per quella volta, e che lei non capisse che stavo mentendo.
«No, signora. Perché dovrei?»
Frollo restò a guardarmi per qualche istante che mi parve immenso, sempre con quell’espressione ossessiva sul volto bianco, ma in un attimo si rilassò e ritornò al suo solito atteggiamento freddo e composto.
La calma prima della tempesta, pensai.
Invece dalla sua bocca uscì solo un neutro:
«Molto bene. Devi scusarmi, questa storia mi sta dando alla testa» concluse. «Pranziamo.»
 
 
 
«Tutto bene?»
Eymeric mi guardava con aria apprensiva, quella sera.
«Sì… sono solo un po’ preoccupata» risposi, sovrappensiero.
«E perché mai?» chiese lui, con quella sua aria curiosa e gentile.
«Mi sento in pericolo per via di Frollo. Non so cosa succederebbe se scoprisse che ti nascondo qui.»
Eravamo di nuovo nel chiostro di Notre-Dame, sdraiati sul prato del giardino a guardare le stelle che brillavano in cielo come piccoli diamanti. Cercavo di rilassarmi, ma non ci riuscivo. Ero troppo in pensiero per quello che sarebbe potuto accadere; per qualche motivo sentivo che non avrei potuto nascondere il mio amico ancora a lungo.
Per un po’ Eymeric non seppe cosa dire. Se ne stava a guardare il cielo, le braccia brune incrociate sul petto muscoloso.
«Dovrò andarmene tra qualche giorno.»
Mi arresi a quella frase, che però mi colpì come un pugno nello stomaco.
Non volevo che se ne andasse; era diventato quasi indispensabile per me. Era così bello stare in sua compagnia, a ridere, scherzare e parlare come se ogni volta non bastasse mai.
Non volevo tornare alla solitudine della cattedrale. Ma dovevo pensare prima di tutto a ciò che era meglio per lui.
Lo guardai: i suoi occhi verdi scrutavano il cielo come a volerci trovare dentro una risposta, qualunque essa fosse. Aveva un’aria leggermente imbronciata, che mi fece sorridere appena.
«Forse hai ragione» mi imposi di dire, nonostante volessi l’esatto contrario.
«È un peccato però» fece lui, senza distogliere lo sguardo dalla distesa scura del cielo.
«Perché?» chiesi.
Si girò verso di me, e quell’istante in cui suoi occhi si scontrarono con i miei mi provocò un brivido.
«Io non voglio andarmene, Nina.»
«Devi, invece.»
Non sapevo dove avevo trovato il coraggio – o forse l’idiozia – di dire quelle parole.
D’improvviso Eymeric riacquistò la sua solita aria spensierata.
«Verrò a trovarti» fece, con determinazione.
«Ma Frollo ti sta cercando, non voglio che tu metta a rischio la tua vita per me, e poi...» 
«Allora verrò dopo il tramonto» mi interruppe lui.
«Ma io... io...»
Non feci in tempo a finire la frase che il ragazzo mi avvolse in un affettuoso abbraccio e mi stampò un dolce bacio sulla tempia.
Mi sentii arrossire visibilmente.
«Ehm... d’accordo» balbettai.
Restammo così abbracciati per non so quanto tempo, a goderci l’una la presenza dell’altro, un po’ persi nei nostri pensieri, un po’ persi nel contatto ravvicinato che stavamo avendo.
Era un momento perfetto. Mi sentivo protetta, al sicuro.
Finché non udii una voce dire in modo sarcastico:
«Signori, scusate il disturbo, ma ho una denuncia da fare.»
E vidi il viso furbo e ironico della recluta della mia tutrice.
  


Salve!
Primo capitolo dal punto di vista di Nina :) finalmente cominciamo ad inquadrare meglio questo personaggio che, udite udite, ha anche poteri magici sull'acqua.
Per gran parte del capitolo vediamo di nuovo come procedono le cose tra lei ed Eymeric, ma c'è anche una visita pericolosa da parte di Frollo, che comincia ovviamente a sospettare.
E poi... il finale.
Ebbene sì. Olympe li ha beccati.  Cosa credete che succederà, adesso?
Spero, come sempre, che vi sia piaciuto.
Alla prossima,
Stella cadente
PS Piccola nota al testo: il Liber Monstrorum, per chi non lo sapesse,  era una specie di bestiario medievale sulle creature fantastiche risalente all'ottavo secolo. In questo libro le sirene vengono descritte per la prima volta come creature con il busto di donna e la coda di pesce (al contrario delle sirene greche, che avevano la testa da donna e il corpo da rapace).

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Capitolo 9
*** Eymeric ***


IX.
Eymeric
 
Olympe
 
 
 Eccoli lì, finalmente. Lo sapevo, pensai. Mi sentivo potente, in quel momento in cui li avevo colti in flagrante. Sapevo che i miei sospetti erano fondati, alla fine. Ma quell’insicurezza strisciava ancora nel mio cervello.
È davvero quello che vuoi, Olympe?
«Salve» disse lo zingaro, mettendosi davanti a Nina con un sorriso furbo.
Lo osservai. Dannazione, era ancora più bello di quel che ricordavo.
Il cuore prese a battermi a mille.
«Che abbiamo intenzione di fare?» fece, alzando un sopracciglio.
«Ho ricevuto l’ordine di arrestarti, Eymeric» replicai, con il tono più duro che sarei riuscita a fare.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia scure e mi incenerì con lo sguardo.
«Mi hai ingannato» ringhiò, senza smettere di fissarmi. «Avevi detto che non avevi questo incarico.»
«Ho mentito» ribattei, sorridendo furba.
«Aspetta!» Nina si mise davanti a lui con fare protettivo. «Tu lo conosci?» chiese poi, squadrandomi.
Accidenti.
Mi ero fatta sfuggire il suo nome inavvertitamente.
«Ehm... »  tentennai «beh, l’ho incontrato prima della Festa dei Folli» ammisi.
«Come puoi pensare di arrestare un tuo amico?» insistette Nina.
Sospirai lievemente: aveva toccato un punto debole.
«Non è proprio mio amico, io... »
Lei mi fissava ancora con sguardo inquisitorio, senza staccare quei suoi occhi blu dai miei.
Mi spazientii.
«Cosa dovrei fare, ragazzina?» esplosi. «Non arrestarlo e perdere il lavoro?»
Eymeric sogghignò.
«Non sembri affatto come gli altri servi di Frollo» disse, con aria quasi soddisfatta.
«E questo cosa vorrebbe dire?» sbottai, lanciando la spada a terra.
Presi un respiro profondo, poi snocciolai:
«Senti, in tutta onestà non voglio arrestarti. Ma c’è in ballo il mio lavoro. Non so che cosa fare. E non so nemmeno perché te lo sto dicendo. È solo che... »
«Cosa?» chiese Nina, che ancora mi scrutava con diffidenza.
Stavo parlando con lui, in realtà.
La ignorai.
«Non lo trovo giusto, ecco» ammisi, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
Eymeric mi guardò.
«Non hai già comunicato a Frollo che mi hai trovato, giusto?» chiese.
Scossi la testa.
«Beh, allora, se è così... »
Anche lui non toglieva quella nota sospettosa dal suo tono di voce, ma nonostante ciò sembrava fidarsi.
«Potresti semplicemente non dirglielo» concluse, facendosi comparire un sorriso astuto sul viso.
«Ma... »
«Non lo saprà mai, giusto?»
Per un attimo i miei occhi si incatenarono ai suoi. E, non so come, ma ci capimmo all’istante. Era come se tutto il mondo si fosse fermato e, solo per quel momento, esistessimo solo noi due.
Mi sciolsi subito in un sorriso, uno di quelli che solo lui sapeva farmi fare.
«Giusto» assentii, decisa.
E mai fino a quel momento mi ero sentita più tranquilla.
Anche se sapevo che dovevo aver perso del tutto il senno.
 
 
 
«Quindi è qui che è stato nascosto in questi giorni» riflettei ad alta voce, quando Nina mi mostrò la stanzetta nel muro in cui – a detta sua – aveva relegato Eymeric per il periodo in cui Frollo era sulle sue tracce.
«Esattamente. Era lì anche quando sei venuta a cercarlo» fece la ragazza, che ora si era un po’ ammorbidita nei miei confronti.
«Wow... » mormorai, ammirando la stanza di Nina con calma. E la vista, la vista che c’era da lassù. Fantastica.
Eymeric era andato a prendere qualcosa da mangiare, e ora mi trovavo faccia a faccia con quella ragazzina. Mi sentivo vagamente a disagio, ma cercai di non darlo a vedere.
«Secondo te adesso cosa succederà?» chiesi. «Voglio dire, come farò a tenere nascosto tutto questo a Frollo? E se mi scoprisse? Non potrei mai permettermi questa mancanza e… »
Nina sorrise.
«So quanto sia difficile avere a che fare con lei. Ma dei sistemi ci sono» disse, con una leggerezza che non compresi.
«E quali?»
«Calma, Olympe» rispose solo, ermetica. «Soltanto molta calma.»
Non capivo esattamente cosa volesse dire.
Ma restammo comunque entrambe in silenzio, respirando quell’alba invernale in cui il cielo assumeva tinte fredde e delicate.
 
 
****
 
 
«Come proseguono le ricerche, Olympe?»
Quel pomeriggio mi trovavo di nuovo nello studio di Frollo, mentre il suo sguardo inquisitore mi bruciava addosso.
«Non bene, signora» dissi con sincerità, facendo del mio meglio perché non capisse ciò che stava in realtà succedendo alla cattedrale. «Ancora nulla.»
Lei storse le labbra. E avrei giurato di aver visto i suoi occhi assumere un bagliore folle.
Brutto segno, pensai.
Poi riprese quella sua perenne espressione altezzosa.
«Vorrà dire che dovrete cercare meglio. Avete perlustrato tutta la cattedrale?»
«Sì, signora. Cioè» mi corressi, schiarendomi la voce per far sì che non fosse troppo evidente il mio improvviso cambio di idea «mi mancano le stanze superiori. E i sotterranei. Sapete, Notre-Dame è grande e io sono solo una. Ma effettuerò queste ultime ricerche al più presto, signora. Troverò quello zingaro.»
Dovevo essere stata parecchio credibile, perché Frollo mi guardò con un’espressione soddisfatta.
«Ottimo, Olympe. Sapevo che potevo fidarmi di voi» accennò ad un sorriso che forse voleva essere rassicurante, ma che a me sembrò solo il suo solito ghigno astuto che aveva ultimamente; si vedeva che aveva in mente qualcosa.
«Potete andare» disse poi, sfoderando la mano inanellata, fine e bianchissima, in un elegante cenno verso la porta.
 
 
****
 
 
 
«Cosa pensi che dovrei fare? Mi trovo in difficoltà serie» dissi ad Eymeric.
Facevo molto spesso visite alla Chiesa, di notte, anche per vedere quelli che ormai stavano diventando i miei amici. Nina era scesa un attimo a controllare il giardino del chiostro, e noi stavamo sul balcone della cattedrale, a guardare Parigi sovrappensiero mentre parlavamo.
«In effetti è una situazione abbastanza rischiosa» convenne lui «ma non preoccuparti, Olympe: a breve troverò il modo per fuggire. Te lo prometto» disse, con aria determinata.
Avvertii un tuffo al cuore. Non volevo che se ne andasse. Non volevo che fuggisse e che sparisse fra i tanti cittadini che camminavano per le strade di Parigi.
«Ma io non voglio che tu te ne vada» mi sfuggì di bocca.
Lui si voltò verso di me.
«Perché?»
Era incredibile, riusciva a spiazzarmi e a togliermi la parola in un attimo. Lo guardai meglio, con occhi nuovi rispetto a prima: era così... bello.
La pelle bruna era illuminata da alcuni pallidi  raggi lunari, ma sembrava comunque splendere di un bagliore ramato, esotico, perfetto. Gli occhi erano due smeraldi, e quella luce naturale li faceva scintillare più che mai. Un’espressione dubbiosa si era formata su quel volto bellissimo, che mi guardava come se mi vedesse per la prima volta.
Mi sentii avvampare.
Dirglielo o non dirglielo?
In quei pochi giorni – una settimana circa – che passavo ripetutamente dalla cattedrale mi ero accorta sempre più che provavo una certa attrazione per quel ragazzo.
Ma sarebbe stato giusto farglielo sapere?
 
 
«Ti piace Eymeric?» chiese Nina, alzando un sopracciglio.
Non capivo se il suo atteggiamento ostentasse rivalità o semplice interesse.
«Ehm... credo di sì» ammisi, un po’ tentennante. «Perché?»
Nina si strinse nelle spalle.
«Così.»
Era notte fonda e, sul ciglio della grande porta della cattedrale, stavo per tornarmene a casa.
Feci un cenno di assenso e mi allontanai di qualche passo.
Poi mi voltai.
«Ah, Nina?» la chiamai.
La ragazzina mi guardò.
«Sì?»
«Di’ ad Eymeric che è molto fortunato.»
Lei aggrottò le sopracciglia.
«Perché?»
Sorrisi, sincera.
«Ha un’amica come te» dissi, prima di montare in groppa ad Achille e sparire nella notte.
 
 
Guardai Eymeric come se lui stesso fosse la risposta.
Il viso sembrava essersi fatto bollente.
 
 
«Forse posso fidarmi di te» disse lui sovrappensiero. «Credo.»
«Già, forse » assentii, lasciando vagare lo sguardo lungo la cattedrale.
Lui mi guardò intensamente, così tanto che mi sentii tremolare le gambe.
Poi distolse lo sguardo.
 
 
«Perché io a te ci tengo» sussurrai, senza guardarlo. «Insomma, ecco, mi piaci.»
Capacità espressiva degna di un Gargoyle, Olympe. Ma va bene così.
Lui sorrise. Sembrava divertito dal mio imbarazzo, ma non mi stava prendendo in giro. Sembrava più... intenerito, forse.
Poi mi fece una carezza sulla guancia, lieve, appena accennata, che mi fece andare il viso completamente a fuoco. Mi attirò a sé, e prima che io potessi dire o fare qualcosa, mi baciò dolcemente, abbracciandomi con affetto.
Mi rilassai tra le sue braccia, stringendolo a mia volta, aspettandomi di sentire le farfalle nello stomaco, il cuore a mille e tutte quelle sensazioni  di cui parlavano molte mie amiche.
Ma non sentii niente di tutto ciò.
Mi staccai subito, guardandolo con aria smarrita.
«Eymeric» chiesi, confusa e imbarazzata. «Che cosa sta succedendo?»

 


Attenzione attenzione, Olympe ha trasgredito le regole... e ha baciato Eymeric. Ma la situazione sembra confusa: un altro punto interrogativo di questa storia.
Scrivere questo capitolo è stato divertente, ma sono anche rimasta soddisfatta dal fatto che comunque Olympe stia cominciando a pensare con la sua testa e cominci ad apprezzare Nina. Le cose stanno un po’ cambiando nel trio Nina-Eymeric-Olympe, mentre Frollo è ancora all’oscuro di tutto questo..anche se sospetta sempre di più ogni secondo che passa.
Come al solito, vi ringrazio tutti (siete sempre gentilissimi, vi adoro) e sono curiosissima di leggere le vostre recensioni.
A presto,
Stella cadente

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Capitolo 10
*** La fuga ***


X.
La fuga
 
 
Eymeric
 
  
Restai a guardare la ragazza per un po’, senza riuscire a dare un perché a quell’insicurezza e quella confusione sul suo viso roseo – senza riuscire a dare un perché nemmeno al senso di vuoto che sentivo io.
Olympe aveva ragione: che diavolo stava succedendo?
«Non lo so» riuscii solo a dire. «Scusami. Non avrei dovuto. Mi dispiace, Olympe.»
«Oh, no, non è quello, è solo che… »
«Non preoccuparti» sorrisi appena. «Ho capito.»
Avevo capito cosa voleva dirmi: stava accadendo tutto troppo in fretta. E aveva ragione.
«Amici come prima?»
Lei sorrise, disegnando sul suo volto quell’irresistibile linea ironica che mi piaceva tanto.
«Ci sto» disse, contenta.
Suonava come una specie di giuramento. Sorrisi, felice: non c’era stato nessun malinteso e nessun rancore come avevo temuto.
«Eymeric! Olympe!» sentimmo urlare dalle scale della torre della cattedrale.
Io e lei ci voltammo contemporaneamente.
Fu un richiamo che, lo percepii subito, era carico di allarme e significava solo una cosa: pericolo.
Che cosa succede?
Era Nina.
Arrivò tutta trafelata, guardandomi con i suoi occhioni blu, con il respiro affannato e una faccia sconvolta.
«Eymeric» fece, con la voce intrisa di panico «Frollo. Ha messo una guardia ad ogni porta. Sa che sei qui… ci ha scoperti.»
«Che cosa?»
Per qualche istante il silenzio calò su tutti e tre: nessuno di noi aveva metabolizzato la notizia.
Fu Nina a romperlo e a renderci davvero consapevoli della cosa.
«Devi scappare» disse. «Subito.»
E capii che avrei dovuto fare appello a tutta la mia astuzia per sfuggire a quella donna.
Anche se sapevo già in partenza che, in un modo o nell’altro, ce l’avrei fatta.
 
 
 
«Attraversa il sotterraneo, dove ti ho portato l’altra volta» stava dicendo Nina, concitata. «In questo modo non ti vedrà nessuno.»
Stavamo scendendo le scale della torre velocemente: sapevamo che il tempo era nostro nemico. Cercai di fare mente locale, di ripercorrere con la memoria la strada del sotterraneo, ma c’era il vuoto.
Nel frattempo eravamo arrivati all’interno della cattedrale, e Nina stava correndo, seguita da me e da Olympe.
«Il passaggio è nella cappella di Sant’Eligio, ricordi?» mi disse, di sfuggita.
«Veramente no» risposi.
Si voltò di nuovo e, veloce, arrivò ad una bassa recinzione in ferro. Dietro di essa, su un muro, stava una grande statua di Gesù in croce. Sembrava guardarci con i suoi occhi fissi, che in quel momento erano come vivi.
«Eccoci» Nina si fermò di un botto. Scavalcò la recinzione e si chinò.
Fu allora che mi venne in mente.
Certo! C’era una botola, qui!
La ragazza, infatti, sollevò un coperchio incastrato nel pavimento, e mi indicò il passaggio.
«Passa da qui. Fa’ attenzione.»
Mi sentii colmare da un senso di gratitudine.
«Ti ringrazio, Nina» dissi solo, guardandola intensamente.
Lei mi fissò con affetto.
«Non ti dimenticherò mai, Eymeric» sussurrò, in un modo che mi fece venir voglia di abbracciarla.
Le sorrisi, poi mi rivolsi ad Olympe.
«Signorina de Chateaupers » dissi. «Spero di vederti di nuovo, in futuro. Anche se sei la recluta di Frollo più pazza che io abbia mai incontrato» aggiunsi, ridacchiando.
«È stato un piacere anche per me, zingaro» ricambiò lei, calcando ironicamente sulla parola “zingaro”. «Ma io non dovrei unirmi a te?»
Arrossì: forse si era accorta del doppio senso che aveva fatto.
«No» la fermò Nina, «non puoi. Frollo non deve sapere che sei qui. Ammesso che non lo sappia già» disse cupamente. «Comunque è meglio non correre rischi.»
Olympe sembrò delusa, ma alla fine si fece da parte.
«Bene, ehm… allora, buona fortuna» mi disse.
«Grazie.»
Poi mi rivolsi anche a Nina:
«Spero di ritrovarvi, un giorno.»
E cominciai a scendere lungo le ripide scale a chiocciola della botola, mentre sentivo Nina dire «Mi dispiace» e Olympe rispondere con uno stizzito «No, non è vero.»
 
 
Non mi ricordavo i sotterranei così bui.
Illuminati appena dalla luce delle fiaccole, i corridoi sembravano tutti uguali. L’ambiente era anche abbastanza inquietante, in più faceva un freddo cane.
I sotterranei di Notre-Dame non mi erano sembrati così labirintici, quando era stata Nina a condurmi attraverso di essi per portarmi nella Chiesa senza che nessuno mi vedesse.
Non credevo che mi sarei perso, ma probabilmente ci avrei messo il doppio del tempo per uscirne. In fin dei conti, Nina conosceva la cattedrale come le sue tasche: era perfettamente normale che sapesse dove andare.
Sospirai: non ero ancora in salvo, comunque. Frollo poteva aver piazzato benissimo dei soldati anche nei sotterranei, per quel che ne sapevo, quindi non avevo tutto il tempo del mondo.
Meglio essere prudenti.
Continuai a camminare, sperando di trovare un’uscita al più presto.
 
 
 
Avevo fatto ricorso alla mia memoria per ricordare il più in fretta possibile quale fosse la strada per arrivare all’uscita, e adesso sentivo l’odore di aria aperta. Fresco, invitante.
Era ancora abbastanza lontano, ma almeno si sentiva un pochino, sopra quello stantio del buio e dello spazio chiuso in cui mi trovavo. Feci una smorfia quando prestai maggiore attenzione all’odore opprimente della pietra: mi ricordai che quando l’avevo sentito la prima volta mi aveva dato la nausea. Come si poteva anche solo camminare in un posto del genere?
Sembrava di stare in una gigantesca bara.
Mentre ero perso in questi pensieri, un rumore pesante mi colpì l’udito, come di... una botola che si chiudeva.
Qualcuno è entrato nel sotterraneo.
Tesi le orecchie, ma non sentii più nulla. Non un respiro, non un rumore di passi.
Forse me lo sono soltanto immaginato.
Ma come potevo immaginarmi che qualcuno fosse entrato?
Eppure adesso non c’era nulla. Non si sentiva volare una mosca.
Aumentai il passo: dovevo uscire il prima possibile da quel posto.
 
 
Finalmente avevo trovato le scale. Si ergevano davanti a me come una salvezza.
Libertà, pensavo. Liberà, libertà, libertà.
Mi sentii prendere da una specie di frenesia che non riuscivo a contenere. Non mi sembrava vero che, da lì a poco, sarei stato di nuovo un gitano, di nuovo me stesso, di nuovo Eymeric, il ragazzo che balla in strada e che fa divertire la gente. Sarei tornato da Clopin, da Antea, da tutti gli altri miei amici alla Corte dei Miracoli.
Non mi sembrava vero.
La luce lugubre del sotterraneo d’un tratto mi sembrò rassicurante, la promessa della libertà che avevo sempre desiderato disperatamente in quei giorni di reclusione. Quella libertà che mi sembrava impossibile, eppure era lì. A pochi passi da me e senza che nessuno la notasse, per giunta.
Ancora non ci credevo: per ora, ero salvo.
«Credevi di avermi messa nel sacco, vero? Oh, ma io sono una donna paziente, zingaro, dovresti saperlo.»
Quella voce risuonò dietro di me come una reclusione nuova, raggelante.
Per un attimo mi immobilizzai; poi capii che dovevo affrontarla. Non avevo niente da perdere. E in fin dei conti, ero l’unico in grado di tenerle testa.
Ecco chi era, prima.
La faccia pallida di Claudie Frollo era illuminata dalle fiaccole, che lanciavano bagliori inquietanti sulla sua immagine spettrale. Stava avanzando piano verso di me, con un sorrisetto che non preannunciava nulla di buono. Aveva l’aria di chi ha già la vittoria in tasca, ma non gliel’avrei data vinta, già lo sapevo. Avrei lottato con tutto me stesso, pur di non darle soddisfazione.
«Eravate voi, prima» sibilai io con rabbia.
«Certo che ero io, mio caro» replicò lei, calmissima. «A dir la verità» continuò «credo di aver saputo già da un po’ che eri nascosto qui. O meglio, avevo dei sospetti, che» sorrise, sollevando un angolo della bocca «ovviamente erano fondati. Me lo sentivo che né Nina né Olympe mi dicevano la pura verità, come invece avrebbero dovuto fare.»
Le ultime parole della frase erano intrise di una rabbia così cupa e profonda che mi fece rabbrividire. Qualcosa mi disse che anche le mie amiche erano in grave pericolo insieme a me.
«Ad ogni modo, finalmente eccoci qui» quella che traspariva dalla sua voce era una gioia fredda, strana. «A pensarci bene, ragazzo, non avresti potuto nasconderti per sempre. Prima o poi ti avrei scovato, non credi?»
Si avvicinò a me e mi trafisse con quei suoi occhi di ghiaccio: non li avevo mai visti così da vicino e non mi ero mai reso conto di quanto... di quanto fossero potenti. E tormentati. Tormentati da un qualcosa di oscuro e invisibile, qualcosa che, lo sentivo, mai il giudice avrebbe pronunciato ad alta voce.
Follia.
Follia allo stato puro.
«Perché siete così ossessionata da me?» sputai, con rabbia.
Frollo aggrottò le sopracciglia fini e mi scrutò.
«Perché sei il primo ad essermi sfuggito clamorosamente tra le mani dopo aver commesso insubordinazioni nei miei confronti – per più di una volta, oltretutto. Ed io non posso accettarlo» disse, seria e glaciale.
Poi il suo sguardo gelido si posò sul mio collo.
Cosa sta pensando?
«Sarebbe... affascinante, una corda attorno a questo bellissimo collo, non trovi?» chiese, accarezzando le parole una ad una con la voce e sfiorandomi appena il collo con le dita lunghe e bianche come l’alabastro. «Ma sarebbe anche un tale spreco...»
La guardai meglio. Era vicinissima stavolta, come mai lo era stata nei miei confronti. In pochissimo tempo aveva cambiato espressione: da morbosa pazzia era passata ad una rabbia profonda. Mi uccideva con lo sguardo, il volto affilato a pochi centimetri dal mio. I capelli scuri come le penne di un corvo erano raccolti in una stretta acconciatura da signora d’alto rango sotto il copricapo da giudice, e la pelle diafana faceva da sfondo ad un’espressione fin troppo austera, che non lasciava trasparire nemmeno un briciolo di umanità. Sembrava che non riuscisse a smettere di guardarmi.
D’un tratto mi sembrò di capire.
C’era qualcosa che la legava a me, anche se non sapevo cosa.
Così scelsi l’arma più letale, l’unica che avevo a disposizione in quel momento. L’avrei disorientata sicuramente.
La baciai all’angolo della bocca, di getto, sicuro che così avrei avuto il tempo di scappare.
Ma quando, a quel contatto, sentii qualcosa agitarsi nello stomaco, rimasi impietrito.
 
 
 
Bene Eymeric, hai fatto la tua. Ma come ti è saltato in mente?
...okay, ora torno a parlare con voi. Scusatemi, pensate pure che sono malata mentalmente, ma questa storia mi ha risucchiata. È come se fossi lì con loro.
Eccoci! Come vi avevo detto, un altro colpo di scena irrompe a “Paris”. Ve lo immaginavate? Io no, ma per qualche oscuro motivo è andata così.
Non mi stupirei se adesso vi steste chiedendo “ma che diavolo succede qui?” Eh già, adesso la situazione comincia a diventare un po’ complicata. Sono ipercuriosa di vedere le vostre recensioni.
Come sempre, nonostante tutto, spero vi sia piaciuto :)
Alla prossima,
Stella cadente

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Capitolo 11
*** Fuoco d'Inferno ***


XI.
Fuoco d’Inferno


 

Claudie

 


Il calore che avvertivo diramarsi nelle mie guance era violento. Bollente. 
Bruciante.
Era un fuoco che ormai mi aveva presa e mi teneva succube dello zingaro, del demonio, senza che io potessi dire o fare niente.
Ero completamente inerme. Totalmente, assurdamente sotto il suo volere.
E non dovevo esserlo.
«Come hai osato?» sbottai, allontanandomi.
Mi infuriai quando sentii la mia voce uscire molto più debole e incerta di quel che avrei voluto.
Lo zingaro mi guardava spaesato, come se non sapesse nemmeno lui perché avesse fatto quel gesto. Restammo immobili per qualche secondo, a guardarci l’un l’altra, senza che nessuno dei due dicesse qualcosa; di sottofondo si sentiva solo il crepitare del fuoco delle fiaccole che illuminavano quegli angusti sotterranei.
Avevo cercato di incanalare quell’assurdo desiderio nei suoi confronti in rabbia, vendetta per ciò che mi aveva fatto. Ma adesso sembrava non essere rimasto niente di tutto ciò; ero tanto attratta da lui quanto lo sarebbe stata una falena dalla luce, e non potevo far niente per negarlo.
Lui sembrava ammutolito, ma il suo sguardo scorreva piano su di me. Non capivo se i suoi occhi esprimessero disgusto o semplicemente sconvolgimento.
Lo osservai bene: era lì davanti a me, ed era ancora più bello di quel che mi ricordavo.
La tentazione era immensa. La tentazione di abbracciarlo e di ricambiare il bacio ancora una volta, con passione, con voglia e desiderio...
Il miscuglio di emozioni che mi si agitavano in petto era indefinibile. Inghiottii il nodo che mi si era stretto in gola con tenacia e mi ricomposi, chiudendomi di nuovo nel mio involucro di pietra fredda.
«Tu, zingaro» quella parola era così impregnata di disgusto che risuonò cupa anche alle mie orecchie «pagherai per questa insolenza» sibilai, a pochi centimetri dal suo viso.
«Guardie!» gridai poi, come a voler dare un ordine.
In un attimo, gli uomini del capitano di Montespan erano entrati nel sotterraneo ed avevano afferrato lo zingaro.
«Portatelo nei miei appartamenti al Palazzo di Giustizia. Devo fare una… chiacchieratina con lui, prima di decidere il da farsi» ordinai, sogghignando, mentre il gitano si dibatteva tra le forti braccia di un uomo grande e grosso appartenente all’esercito del capitano.
«A dopo, mio caro amico» sussurrai trionfante in direzione del ragazzo, che mi guardava con occhi di fuoco.
Uscii per prima dal sotterraneo e salii sulla mia carrozza, incitando Jean Pierre a recarsi al Palazzo di Giustizia il più in fretta possibile.
E, riparata dal pesante tendaggio, mi concessi un sospiro di preoccupazione.
 
 
Il Palazzo di Giustizia si ergeva davanti a me come una costruzione imponente, che mi guardava dall’alto coi suoi occhi austeri. Non mi aveva mai dato quell’impressione: per me era sempre stato sinonimo di casa. Invece adesso mi metteva una certa ansia addosso, come se già sapessi che, con lo zingaro, non sarei riuscita a mantenere il controllo una seconda volta.
Deglutii, intimorita: sentivo le mie sopracciglia aggrottarsi, disegnando sul mio volto un’evidente espressione di paura.
Era impossibile. Avevo già ucciso zingari, condannato streghe, stregoni ed eretici, imprigionato cittadini che avevano commesso reati… e ora, ora che avevo in pugno lui, quello zingaro, il giovane del tamburello?
Ora, ora che sentivo di non aver più la volontà per ucciderlo, che cosa avrei fatto?
Avevo atteso quel momento a lungo per eliminarlo del tutto; ma dove avrei trovato la forza per mettere un cappio intorno al collo di quella bellissima creatura, di quel diavolo tentatore che infestava ormai da tempo i miei pensieri?
Con che coraggio sarei andata avanti, dopo essermi privata di quell’essere così odiato eppure così necessario?
Che cosa faccio adesso?
«Ministro Frollo» mi riscosse la voce del capitano Montespan.
Voltai la testa in un gesto di innaturale calma, facendo del mio meglio per non dare a vedere tutti i miei tormenti.
«Sì?»
«Lo zingaro è stato condotto nei vostri appartamenti, signora. Lo abbiamo lasciato nella stanza dei ricevimenti» mi informò.
Accennai un sorriso.
«Ottimo» dissi, assumendo un’aria soddisfatta. «Vi ringrazio, capitano.»
Dentro di me, però, tremavo.
 

****
 

 
Mi avvicinavo alla stanza in modo quasi maniacale, silenziosa, come una pantera che sta per balzare su un’ignara gazzella.
Ero determinata a non lasciar intendere al gitano gli effetti che aveva su di me; ma più mi avvicinavo alla sala dei ricevimenti e più il mio cuore sembrava palpitare impazzito.
Feci un breve sospiro, come per darmi coraggio. Poi entrai, con un gesto teatrale ed elegante.
«Ebbene, eccoci di nuovo qui» esordii, con lo stesso tono leggermente ironico che avevo usato poco tempo prima. «Faccia a faccia. Dopo che tu hai osato... toccarmi.»
Non volevo dire quella parola. 
Baciarmi.
Il mio compito di giudice sarebbe andato a monte, e non potevo permetterlo.
«Dimmi, zingaro» feci, avvicinandomi. «Perché lo hai fatto?»
Lo zingaro Eymeric era di spalle di fronte al grande camino bianco della sontuosa sala, senza guardarmi negli occhi. Fissava il fuoco.
Il fuoco…
Mi sembrava di vedere quelle fiamme intorno a lui, a racchiuderlo come una culla infernale.
Non cedere.
Quando si voltò sentii il cuore tremarmi in modo violento.
I suoi occhi sembravano scavarmi fin dentro l’anima; quegli occhi ultraterreni che mi avevano già da troppo tempo stregata, quelle gemme verdi che infestavano i miei sogni tutte le notti.
«Ditemi una cosa.»
Che voce bellissima…
Anche se era impregnata di un coraggio decisamente sfacciato la trovai comunque rilassante, carezzevole, la voce di un angelo.
«Volete ancora arrestarmi?»
In un primo momento non capii il senso di quella domanda; poi una vampata di calore mi infiammò le vene. Stava insinuando che avessi apprezzato ciò che era successo nel sotterraneo?
«Che cosa vorresti insinuare?» diedi voce ai miei pensieri, sibilando furiosa.
«Rispondetemi» disse lui, sfacciato.
Sentii il cuore andarmi a battere furiosamente in gola.
«Perché mi avete portato qui e non direttamente nelle segrete? Avanti, rispondete» fece con rabbia.
«Perché voglio offrirti la possibilità di evitarle, mio caro amico» sottolineai le ultime parole con sarcasmo «ma se preferisci… » ghignai, inarcando un sopracciglio.
«Dove sta l’inganno?» replicò il ragazzo.
Sorrisi.
«Attraverserai comunque un periodo di reclusione, gitano. Solo che, anziché nelle segrete, che sono molto meno… accoglienti» dissi, noncurante. «Sconterai la tua pena qui. Accetterai di pentirti per avermi mancato di rispetto e di ammettere le tue colpe. A meno che, naturalmente, tu non preferisca una cella.»
Lui sembrò in difficoltà per un attimo talmente breve che mi convinsi di essermelo immaginato, perché quasi subito acquistò un’aria decisa che mi fece capire già cos’avrebbe detto.
“Piuttosto che passare del tempo con voi, preferisco le segrete, preferirei anche la morte!” mi sembrava già di udire.
Invece, dalla sua bocca uscì un semplice:
«Accetto.»
E da quel momento, capii che, tra noi, il condannato non era lui: ero io.

 



Ed ecco che, dopo cinque capitoli in cui l’abbiamo lasciata indietro, ritroviamo Claudie!
Dunque, sono convinta che anche questo capitolo vi abbia lasciati un pochino, come dire... smarriti. Ancora di più rispetto al precedente. Sbaglio?
Insomma, credo che in effetti la sensazione che dà sia proprio questa: vediamo che Frollo è sempre più rapita e che stenta a comportarsi come se disprezzasse il nostro Eymeric, mentre lo zingaro l’ha baciata – o almeno, ci ha provato, lol – e ora accetta di attraversare un periodo di reclusione nella sua residenza, ma continua comunque ad esserle ostile. Tutto ciò fa in modo che non si abbia un’idea precisa di ciò che sta succedendo, non trovate?
Perciò adesso vi chiedo: cosa pensate che succederà prossimamente? Secondo voi Eymeric ha in mente qualcosa?
Vi ringrazio come sempre per aver letto e mi auguro che questa sia stata per voi una buona lettura :D
Alla prossima,
Stella cadente

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Capitolo 12
*** Iudex ergo cum sedebit, nihil inultum remanebit – parte I ***


XII.
Iudex ergo cum sedebit, nihil inultum remanebit – parte I
 
Eymeric
 

«Per un giorno alloggerai qui. Verrò a prenderti domani all’alba per cominciare il tuo percorso di pentimento. Intanto credo» sorrise «che una notte di meditazione non possa nuocerti, amico mio.»
Frollo mi aveva condotto nelle profonde cantine del suo appartamento, e adesso mi trovavo in una grande stanza vuota in pietra, con appena una finestrella che lanciava tristemente i restanti bagliori del giorno sul pavimento.
Non c’era molta differenza con una prigione. Mi sentivo come murato.
«Ci vediamo domani» concluse, senza attendere una mia risposta.
E se ne andò.
 
 
 
 
Le cantine di Frollo potevano quasi far concorrenza ai sotterranei di Notre-Dame in quanto a luminosità. Riuscivo appena a distinguere dove mi trovavo.
Ma d’altronde, non potevo sperare in un alloggio diverso. Per lei ero una sorta di esperimento; già il fatto che non mi avesse spedito nelle prigioni e che non mi avesse condannato alla forca doveva significare molto.
Sospirai. Attendevo la visita del giudice con una certa impazienza.
Mi chiedevo spesso perché mi avesse risparmiato, se ci fosse qualcos’altro oltre al fatto che volesse palesemente umiliarmi.
Del resto Claudie Frollo era famosa proprio per il suo essere fredda, spietata, sadica. Era abbastanza anomalo il fatto che si fosse limitata a rinchiudermi nelle cantine del suo appartamento.
E poi, quello che era successo nel sotterraneo…
Cosa mi era passato per la mente?
Dovevo essere temporaneamente impazzito, in quel momento.
I miei pensieri vennero interrotti dal cigolare della porta della cantina.
«Buongiorno, Eymeric» fece Frollo, chiudendosi la porta alle spalle.
Era già passato un giorno? Avevo finito col perdere la cognizione del tempo.
Sollevai gli occhi verso di lei. Mi aveva dato il buongiorno con una certa ironia, ma come sempre si conservava assurdamente elegante. Fin troppo. Avanzava verso di me con quella sua andatura lenta, paziente, da regina più che da giudice.
«Come andiamo?» chiese, sempre con quel tono che mi dava tanto ai nervi.
Non risposi; sapevo che mi stava solo provocando e non intendevo darle soddisfazione.
La donna per un attimo sembrò delusa, ma subito dopo riprese quella sua espressione altezzosa che da sempre la caratterizzava e disse solo, glaciale:
«Seguimi. Ci sono delle cose riguardo alle quali devi essere assolutamente informato.»
 


 
****
 

«Gradirei che tu prestassi attenzione a ciò che dico, zingaro» sentii dire dalla voce gelida del giudice.
Mi aveva portato nel suo studio, in una torre del Palazzo di Giustizia. Tutt’intorno c’erano libri e arazzi; quella stanza metteva soggezione.
Un po’ come lei.
Avvertii un brivido – non seppi dire se di paura o altro. Frollo mi fissava con quegli occhi ghiacciati, che scorrevano su di me in un’espressione di snervante superiorità. Eravamo soli, ad affrontarci testa a testa.
«Oh, sì» dissi, mio malgrado.
«E gradirei anche delle scuse» aggiunse, con un sorrisetto lugubre appena accennato.
Mi accigliai; mi stava prendendo in giro?
«Sto attendendo» disse ancora, inarcando un sopracciglio.
Sibilai uno “scusate” tra i denti e lei ghignò, soddisfatta.
«Ottimo; così va meglio» disse, vittoriosa. «Detto ciò, sei deciso a pentirti dell’imperdonabile atto lussurioso che hai commesso?» mi chiese, assottigliando minacciosamente gli occhi chiari.
Atto lussurioso?
Ma cosa diavolo stava dicendo?
La guardai con fare interrogativo; non capivo un’acca di quello che voleva comunicarmi.
Il giudice cominciò a passeggiare lungo la stanza, dandomi le spalle.
«Non so se possiedi una qualche… reminiscenza di ciò che è accaduto» si schiarì la voce «nel sotterraneo.»
Si voltò e mi guardò, senza però vedermi davvero.  La sua carnagione pallida aveva preso leggermente più colore.
Annuii impercettibilmente.
«Molto bene» asserì lei. «Allora sarai cosciente del fatto che io, come già ti ho accennato ieri, dovrei averti spedito direttamente alla forca per una tale insubordinazione. Ti sei fatto beffe di me, zingaro, ed io non posso far sì che tutto ciò rimanga impunito, capisci? Ciononostante, ho deciso di essere più indulgente con te.»
Silenzio.
«Vedi, recentemente ho avuto qualche… problemino con uno dei miei servitori, perciò adesso è, come dire... fuggito.»
Rabbrividii di nuovo: preferivo non sapere che cosa fosse successo in realtà a quel disgraziato. Il sorrisetto sadico sulla faccia diafana di Frollo la diceva già abbastanza lunga.
«Avrai pertanto il suo incarico fino a nuovo ordine» sentenziò. «Inoltre ti inizierò personalmente al sapere religioso, in modo che tu venga a conoscenza di quanto sarà minorata la tua anima, se continui con queste pratiche oscene.»
Cosa?
Il modo in cui parlava mi disorientava: non conoscevo il significato preciso delle parole che usava, ma l’impressione che mi davano non era buona. Anzi, avevano un che di minaccioso.
«Se c’è qualche domanda che vorresti pormi, sono qui per ascoltarla» concluse, sempre scrutandomi con quegli occhi strani e tormentati.
«Voglio sapere perché siete stata così clemente con me» insistei, esattamente come il giorno prima. Non mi aveva ancora chiarito ciò che era successo e non intendevo demordere. Non che preferissi la prigione, ma non mi spiegavo la reazione che il giudice aveva avuto e quello strano slancio di – se così si poteva chiamare – gentilezza nei miei confronti.
«A quanto vedo, preferisci davvero la prigione. Se è così, non posso che accontentarti…» disse, beffarda, inarcando le scure e fini sopracciglia in quell’espressione di ironia cattiva che spesso aveva.
«No» mi affrettai a precisare. «Ma ho diritto a sapere il perché di questo trattamento, non trovate?»
Se un qualunque cittadino di Parigi mi avesse visto rivolgermi ancora in quel modo al giudice sarebbe inorridito; nessuno osava parlare così a Claudie Frollo, al temutissimo Inquisitore Supremo di Parigi. Ma non mi importava; dovevo andare in fondo a quella storia, a tutti i costi.
I lineamenti del viso della donna si irrigidirono ancora di più. Mi aspettai che esplodesse da un momento all’altro, invece disse, con voce tagliente:
«Dovremmo cominciare all’istante. Il lavoro da fare è infinitamente vasto.»
 


Salve, amici di Parigi (e scusate per il mio deplorevole ritardo...)!
Capitolo molto simile al precedente, questo, ma narrato dal punto di vista di Eymeric. Ho voluto fare in modo che si capisse anche come si sente lui al riguardo, e spero di esserci riuscita. Come possiamo notare, qualcosa non torna: abbiamo una Claudie Frollo estremamente evasiva, e giustamente il nostro carissimo gitano si fa qualche domanda. Eppure continua a “stare al gioco”... come andrà a finire?
Spero, come sempre, che vi sia piaciuto.
Alla prossima,
Stella cadente
PS Il titolo del capitolo è preso direttamente dal testo della canzone Sanctuary (che fa parte della colonna sonora del film), e significa – in traduzione libera: “Quando il giudice prenderà il suo seggio, niente rimarrà impunito”

 

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Capitolo 13
*** Iudex ergo cum sedebit, nihil inultum remanebit – parte II ***


XIII.
Iudex ergo cum sedebit, nihil inultum remanebit – parte II
 

Nina
 
 
Avevo atteso notizie di Eymeric durante tutta la notte. Olympe si era offerta di andare in perlustrazione presso la residenza di Frollo, vicino al Palazzo di Giustizia, ma ancora non faceva ritorno e questo mi preoccupava.
Avevo visto Parigi cambiare: l’avevo vista al buio – quello stesso buio in cui era impossibile vedere qualunque cosa – e poi rischiararsi, fino a che il cielo non aveva assunto un celeste delicato e appena accennato, con il cuore in tumulto.
Poi la vidi. La vidi all’alba, quando il sole faceva appena capolino sopra i tetti di ardesia delle case parigine, attraversare il Sagrato di corsa, come in preda al panico.
E mi precipitai subito giù, senza indugiare solo un altro secondo.
 
 
«Olympe! » la chiamai. «Olympe! Che cosa è successo?»
La ragazza aveva un’espressione mortificata. Sembrava che non riuscisse nemmeno a parlare; i suoi occhi azzurro cielo erano persi nel vuoto. Gli occhi di una persona impaurita.
Entrambe restammo in silenzio per un tempo che mi sembrò interminabile, poi la mia amica ruppe la tensione che si era venuta a creare. La sua voce era appena percettibile, il sussurro di chi ha le forze totalmente prosciugate.
«Nina» disse. «L’ha preso.»
«Cosa?» feci, inorridita.
Olympe deglutì, poi mi fissò con uno sguardo intriso di quello che sembrava panico.
«Non ce l’ha fatta a scappare. L’ha preso.»
Il mio cuore perse un battito.
«Frollo ha preso Eymeric. E ora sta venendo qui.»
La fissai, smarrita.
«Qui?»
«Sì. Ci sta cercando. Vuole anche me e te.»
«Devi nasconderti. Subito» mi affrettai a dire. «Ma non andare nei sotterranei: potrebbe aver messo delle guardie lì.»
Olympe annuì, poi iniziò a guardarsi intorno.
«Là» feci, indicandole la porta dell’alloggio segreto in cui avevo nascosto Eymeric.
Lei mi fece un cenno di ringraziamento e smosse la porta dalle mura.
«Nina» mi chiamò.
«Sì?»
«Buona fortuna.»
Feci un sorriso un po’ tirato: «Grazie» dissi, prima di vederla sparire dietro la pietra.
Poi mi recai alla finestra della mia stanza.
E attraverso le vetrate, vidi Claudie Frollo sotto la cattedrale. Da sola.
Per un attimo credetti che sarebbe salita e che avremmo parlato faccia a faccia, nel modo peggiore. Invece mi fissò, e dopo poco, mi fece cenno di scendere.
 
 
 
****
 
 
Mi ero preparata in tutta fretta, e dopo essermi accertata di aver relegato a dovere Olympe nella celletta di Eymeric, ero scesa lungo le scale della cattedrale con le gambe molli e le mani che tremavano. Solo con uno sguardo della mia tutrice avevo capito quale sarebbe stato il tenore della conversazione, ed avevo paura.
Quando uscii fuori, già a pochi metri di distanza la vidi osservarmi con la sua faccia più tetra. Mi sentivo piccola sotto quegli occhi di ghiaccio, che alla strana luce di quell’alba parigina sembravano quasi grigi, come il cielo vagamente nuvoloso che sovrastava le nostre teste. Arrivai davanti a lei con la testa china, senza il coraggio di guardarla in viso.
«Che giornata singolare, non trovi, Nina? Sole e nubi: una strana combinazione, non ti pare?» esordì Frollo, guardandomi dall’alto in basso con un sorrisetto che non mi piaceva per niente. Sembrava accecata dalla rabbia, una rabbia malcelata, trattenuta e a breve destinata ad esplodere.
Sebbene la conoscessi benissimo, non l’avevo mai vista così. E mi inquietava.
«S... sì, signora» assentii, sotto il suo sguardo inquisitore. «Davvero molto strana.»
Silenzio.
«Come mai siete qui a quest’ora? » chiesi, con un filo di voce.
«Oh» fece lei «ho sempre del tempo per passare un momento con te, mia cara. Ma stavolta ho da porti una domanda molto importante.»
Rabbrividii.
«Quale?»
Alzai lo sguardo, timorosa.
Frollo mi fissava come a volermi trafiggere, un sopracciglio arcuato, l’altro aggrottato, formando un’espressione arcigna e sospettosa al tempo stesso, come se avesse già capito tutto ma volesse comunque una conferma.
«Più che una domanda, è una constatazione, in realtà. Credo... che mi nascondi qualcosa.»
Ebbi un flash.
 
«Perché ho la netta sensazione che tu mi nasconda qualcosa?»
«N... non saprei signora» balbettai.
 
«N... no signora».
«Stai tremando, ragazza».
«E'... è il freddo» mi giustificai. «Sapete, siamo in gennaio.»
Lei rimase per un secondo in silenzio, poi disse, con voce tagliente:
«So che hai nascosto lo zingaro, Nina.»
Sussultai.
«E finora io ho distrutto mezza Parigi per colpa tua, mentre tu lo hai aiutato a scappare
Non sapevo se la voce della mia tutrice fosse più temibile fredda e tranquilla, come era prima, o alta e violenta, come era adesso.
Mi allontanai di qualche passo, inorridita.
«Ma... ma lui è stato gentile con me» tentai di dire.
«Sei un’idiota! Non era gentilezza, era furbizia, è uno zingaro! Gli zingari non sono capaci di vero amore!»
Adesso ero paralizzata dal terrore, inchiodata sul lastricato della piazza di fronte a Notre-Dame, che torreggiava grande e severa su di me, esattamente come Frollo.
Guardai la mia tutrice: aveva gli occhi fuori dalle orbite, la bocca serrata in una smorfia di follia pura e i capelli neri – di solito così ben acconciati e curati – con varie ciocche fuori posto.
Non sapevo come comportarmi; quella donna riusciva sempre a mettermi in soggezione. Sebbene non mi toccasse mai neanche con un dito, riusciva ad esercitare un certo timore su di me. Non ricevevo mai percosse, né punizioni particolarmente gravi, perché con solo una parola Frollo era in grado di farmi confessare tutto e subito, neanche fossi sotto tortura all’Inquisizione.
«E sei anche andata alla Festa dei Folli con lui, quando io ti avevo avvertito – io ti avevo avvertito! – di non uscire mai e poi mai dalla cattedrale! Non solo mi hai disobbedito, ma sei anche stata con la feccia della feccia dell’umanità! Dovrei mandarti direttamente alla forca per questo!» esplose, con gli occhi che mandavano lampi.
Una lacrima sfuggì al mio controllo, ma la mia tutrice sembrò non curarsene.
Si schiarì invece la voce e, così come era esplosa, tornò la Claudie Frollo di sempre, calma e glaciale.
«Ovviamente saprai che non potrò passare sopra a tutto ciò senza un provvedimento» disse, seria.
«Sì, signora.»
«Molto bene. Torna al campanile, adesso. E restaci» concluse, con voce grave.
Annuii e le voltai le spalle.
«Non ho finito.»
Mi girai di nuovo verso di lei.
Frollo mi fissò per un istante che mi parve immenso, poi decretò:
«Niente cibo per tre giorni. C’è una lezione da imparare, qui.»
«Mi sembra giusto, signora» mi limitai a dire. «Con permesso» mi congedai.
Ma mentre ero sul sagrato, mi venne in mente che...
Dov’è Eymeric?
Mi voltai, dicendo:
«Signora, che ne avete fatto dello zingaro Eymeric?»
Ma di Frollo restava solo la carrozza, che si muoveva lenta in lontananza.
 

 


Salve, plebei *Claudie Time*
Dunque, eccoci con la seconda parte di “Iudex ergo cum sedebit, nihil inultum remanebit” :D solo a me Frollo sembra alquanto terrificante, qui?
Non lo so, mi inquieta il modo in cui si comporta con Nina. C’è anche da dire che ho voluto, in un certo senso, ricalcare una delle scene del film (quando Frollo rimprovera Quasimodo per aver aiutato Esmeralda a scappare), ma boh, mi sentivo in soggezione io al posto di Nina.
Va beh, paranoie mie – ossia di una scrittrice fuori di testa ahah.
Dunque! Siamo arrivati ad un punto della storia in cui Claudie fa leggermente macello (quando mai non lo fa? Ma questi sono dettagli); ha scoperto che finora le sue ricerche sono state vane, e ovviamente  è alquanto furiosa (ma giusto un pochino eh...). Nina è sempre più sulle spine, ed ora che la tutrice ha scoperto tutto, quel poco di libertà che aveva assaporato appena le è stato privato bruscamente. Povera ragazza :(
Olympe invece per ora se ne sta nascosta e non sappiamo come sono le cose dal suo punto di vista, ma non temete, il prossimo capitolo sarà proprio su di lei.
Detto questo, spero come al solito che vi sia piaciuto :)
Alla prossima,
Stella cadente
 

 

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Capitolo 14
*** Durante la notte ***


XIV.
Durante la notte
 
Olympe
 
 
 
«Che cosa facciamo ora?» esplosi quel mattino, al ritorno di Nina.
La ragazza parlò con un tono a metà tra l’arrabbiato e il rassegnato:
«Assolutamente niente, Olympe. Frollo mi ha reclusa qua dentro, e per quanto riguarda te non credo ti convenga uscire. Come minimo ti ucciderà se ti trova».
«Ma cosa ti ha detto?»
«Cosa dovrebbe avermi detto? Mi ha costretta qui per tre giorni, senza poter mangiare. Non passerà mai a portarmi qualcosa».
Spalancai gli occhi, colta da un’idea improvvisa.
«Ma è perfetto!» esclamai, afferrando la mia amica per le spalle e scuotendola leggermente.
Nina mi fissò con fare interrogativo.
«Frollo non verrà mai qui a Notre-Dame, no?»
Lei alzò un sopracciglio.
«Presumo di no, ma non ne sono sicura. Voglio dire, mi priverà di un qualunque contatto con il mondo esterno. Perciò … no. Non credo proprio».
«E allora sì, è perfetto» ripetei, mentre sentivo che un sorriso si formava sul mio volto.
«Che cosa è perfetto?» chiese Nina, un po’ spazientita.
«Le circostanze! Tutto quello che sta succedendo … me e te qui dentro, Eymeric che non ne sa niente, e, quel che più conta, Frollo che non ne sa niente …» riflettei ad alta voce.
La ragazza sbuffò, infastidita:
«Puoi esprimerti come un essere umano, per favore?»
«Mh?» mi riscossi, riportando lo sguardo sulla mia amica, che mi fissava con le braccia incrociate.
«Che cos’hai in mente?»
«Fuggire, Nina. Nessuno se ne accorgerà. Dobbiamo andare a liberare Eymeric» affermai, decisa.
Lei spalancò i suoi occhioni blu.
«Cosa?» strillò. «Tu sei pazza, Olympe! Fuggire di qui? Non se ne parla! E se ci scoprono?»
«Dobbiamo salvare Eymeric! Non so se lo sai, ma adesso con ogni probabilità si trova nelle segrete del Palazzo di Giustizia!» sbottai, alzando anche io la voce.
«Frollo è la mia tutrice, non posso disobbedirle di nuovo» disse lei, stringendosi nelle braccia.
Silenzio.
«Beh io non me ne starò qui ferma sapendo che quella donna tortura il mio amico in Dio solo sa quanti modi» replicai, decisa.
«Non puoi andartene, Olympe. Ne va della tua stessa vita» mi avvertì Nina.
«E comunque» insistei, ignorando ciò che aveva appena detto «Eymeric ha preso le tue difese, alla Festa dei Folli. Hai uno strano modo di mostrare la gratitudine».
Quella frase sembrò colpirla, perché per un attimo sul suo viso bellissimo e fanciullesco prese forma un’espressione smarrita.
Lasciò cadere le braccia pallide lungo il corpo, poi disse in un sospiro:
«Non lo so, Olympe».
«Oh sì che lo sai. Hai solo paura» la provocai io.
Lo sguardo di Nina vagò per tutta la stanza, poi si posò su di me.
«Ma cosa faremo, una volta arrivate al Palazzo di Giustizia? Non abbiamo armi, non abbiamo niente che ci possa aiutare eventualmente a combattere» tentò la ragazza.
Mi esasperai. E giocai una carta che forse non avrei dovuto giocarmi.
«Sei una sirena, Nina! E per di più con poteri magici sull’acqua!»
Lei sembrò spaesata. E terrorizzata.
Indietreggiò di qualche passo, guardandomi sconvolta.
«C … come fai a saperlo?» quasi urlò.
Provai ad avvicinarmi.
«Scusa, io non …»
«Come fai a saperlo?» insistette.
«Me lo ha detto Eymeric durante i giorni che ho passato a Notre-Dame» rivelai. «Sapeva che poteva fidarsi di me. Io non ... non direi neanche una parola a nessuno».
Nina si era come ammutolita.
«Non hai paura di me?» chiese, con un filo di voce.
«Certo che no» sorrisi. «Sei mia amica».
Fece un lungo sospiro, come se si fosse liberata di un peso enorme.
«Bene» concluse «allora andiamo. Partiamo stanotte, quando nessuno potrà vederci» disse, guardandomi negli occhi.
E vai! esultai, dentro di me.
 
 
 
****
 
 
La notte era calata come un manto nero sopra tutta Parigi, avvolgendo la città con la sua oscurità puntellata appena da stelle.
«È ora» dissi, determinata, in direzione di Nina.
La mia amica annuì e si calò il cappuccio della mantella scura sopra la testa, quasi in sincrono con me.
Poi scendemmo le scale della torre, mentre le campane di Notre-Dame suonavano i loro ultimi, lugubri rintocchi.
 
                                                                   
Procedevamo a piedi, molto lentamente, nel buio di quella notte fredda di gennaio inoltrato. Un leggero nevischio si era sollevato e ci solleticava il viso, mentre ci stringevamo nei lunghi mantelli.
«Non vedo niente» sussurrò Nina, che si impegnava il più possibile per tenere la testa bassa e non farsi vedere. «Dove siamo?»
«Siamo quasi arrivate» risposi io «intravedo il Palazzo di Giustizia».
Nina rabbrividì, non capii se di freddo o di paura.
«Olympe» mi chiamò.
«Sì?»
«Sei sicura che sia la cosa giusta?»
«Cosa dovremmo fare, lasciarlo lì?»
Lei non disse nulla.
 
 
Il Palazzo di Giustizia non mi era mai sembrato così ... tetro.
Di notte era un qualcosa di impressionante. Era sempre stato un edificio imponente e cupo, esattamente come la persona che ci lavorava – e viveva – ma mai mi era apparso così oscuro come di notte.
Era semplicemente da brividi.
«Vorrei tanto sapere esattamente che cos’hai in testa» disse Nina, con una faccia imbronciata.             
«Shh» risposi, facendole segno di stare in silenzio «parla più piano. Ascolta: io conosco bene il Palazzo di Giustizia. Ti mostrerò un’entrata segreta attraverso cui possiamo passare».
«E quale sarebbe la mia utilità in tutto questo?» chiese la mia amica, un po’ scettica.
«Semplice. Con i tuoi poteri metti KO le guardie» dissi, facendole un occhiolino.
«Non mi piace l’idea di fare del male a qualcuno» replicò lei.
«Non lo farai infatti. Dovrai solo metterli al tappeto temporaneamente, se sarà necessario» la rassicurai.
Nina annuì e sospirò.
«Bene» disse «andiamo, dunque».
Ridacchiai.
«Il modo per passare lo trovi esattamente sotto i tuoi piedi» feci, sorridendo beffarda.
Lei aggrottò le sopracciglia e abbassò lo sguardo, confusa; non sapeva cosa volessi dire.
Risi di nuovo e mi chinai, spostando, non senza fatica, una grande e tonda botola incastrata nel lastricato.
«Lo so, non si vede» dissi, dopo essermi rialzata, sbuffando per lo sforzo «è perfettamente mimetizzata con la pietra. Ma te l’ho detto, conosco il Palazzo come me stessa» aggiunsi, senza preoccuparmi di essere modesta.
«Dovremmo calarci qui dentro?» chiese Nina, intimorita.
In effetti non invogliava molto all’esplorazione: tutto quello che si vedeva era soltanto un buco nero.
«Esattamente».
Silenzio.                                                                                
«Dopo di te» dissi, con un sorrisetto sulle labbra.
«Ecco, non so se io …»
Non fece in tempo a finire che l’avevo spinta nella botola e la sua frase si interruppe in un grido di sorpresa, seguito da un tonfo e dal rumore dell’acqua.
Aspetta. Ma l’acqua ...
Ops.
«Nina? Sei viva?» la chiamai, facendo attenzione a non urlare troppo.
«Più o meno» mi sentii rispondere.
«Scendo subito» dissi «sto arrivando».
 
 
I grandi sotterranei del Palazzo di Giustizia erano illuminati a malapena da qualche torcia. L’ambiente era molto più buio di tutte le volte in cui mi ero trovata ad attraversare quei corridoi umidi; in quel momento mi resi conto che non ero mai passata da lì durante la notte.
Quando mi calai, usando magistralmente una corda che avevo recuperato in precedenza alla cattedrale, vidi Nina immersa nel tratto d’acqua che scorreva accanto a me, con la coda argentata che brillava alla luce della luna proveniente dalla botola aperta e una faccia alquanto infuriata.
«Solo una domanda» disse, con quella sua voce cristallina «perché lo hai fatto?»
«Mi dispiace. Me ne ero, ehm ... dimenticata» mi giustificai.
Lei continuava a guardarmi con quell’espressione di rabbia trattenuta a stento.
Le tesi la mano e accennai un sorriso.
«Vieni, ti aiuto ad uscire».
«Ti ringrazio» fece acida, afferrandomi la mano «ma ti avverto: sono molto pesante».
«Ho notato» sbuffai, mentre sentivo il sudore imperlarmi la fronte.
Quando finalmente riuscii a tirarla fuori dall’acqua, Nina tese una mano su di sé e con un solo gesto creò del calore. Avvertivo il vapore che proveniva dalla sua coda soffiarmi caldo sulla faccia, facendomi sudare ancora di più.
È straordinario ...
«Mi sembra di essere alle terme» dissi ironicamente.
«Così impari» sorrise lei, sarcastica «manigolda che non sei altro» aggiunse, sottovoce.
«Ehi! Vacci piano con gli insulti!» sbottai.
Ma lei rise, riempiendo per un istante i sotterranei della sua risata dolce e limpida.
 
 
Stavamo camminando ormai già da un po’ di tempo lungo i corridoi dei cupi sotterranei del Palazzo di Giustizia, pieni di catene e di inferriate – dietro alle quali, a volte, potevamo scorgere qualche frammento di ossa. Le fiaccole erano aumentate di numero e l’ambiente appariva molto meno … abbandonato, ma il tutto rimaneva comunque non molto accogliente.
«Bel posto, non ti pare?» feci ironicamente. «Ti fa venire voglia di uscire più spesso, eh, Nina?»
«Non a me» replicò lei «voglio solo trovare Eymeric e poi ritornarmene alla cattedrale senza correre altri rischi».
Wow Nina, il senso dell’umorismo è proprio il tuo forte.
«È così strano» disse.
«Cosa?»
«Tutto questo silenzio. Mi avevi detto che ci sarebbero state delle guardie, giusto?»
Avvertii un brivido insinuarsi nel mio corpo fin dentro le ossa – non seppi bene il perché.
«In teoria» sussurrai, mentre sentivo che, all’improvviso, una fitta di inquietudine mi attanagliava.
Sembrò che anche Nina provasse le mie stesse sensazioni, perché si circondò il corpo con le braccia come a volersi proteggere.
Poi si arrestò di botto, con i grandi occhi blu che saettavano furiosi in ogni angolo del sotterraneo.
Si fermarono su una porta in legno poco distante. Chiusa.
«Olympe» disse piano «credo che ci sia qualcuno».
Mi fermai anche io.
«Cos.. »
«Shh» fece lei, scuotendomi per un braccio «ascolta. Sento un respiro».
Aspettai, ma non sentii niente. Probabilmente la cosa era dovuta al suo udito soprannaturale di creatura mitologica: non era da escludere che fosse dotata di sensi super sviluppati e che fosse in grado di sentire suoni che l’orecchio umano non riusciva a catturare.
«Nina ... » provai a dire.
Ma poi fu tutto confuso.
Mi sentii afferrare da due braccia possenti.
Sentii la voce della mia amica che mi chiamava, che provava a difendersi.
E poi, in lontananza, colpi, urla, un tonfo e il rumore di un tuffo.
Poi mi sentii colpire sulla testa, caddi e fu il nulla.

 
 
Ciao a tutti, e bentornati a Paris :)
Dunque, questo capitolo è molto dinamico, e abbiamo - come qualcuno aveva già supposto - un'eroica missione di Nina e Olympe, che purtroppo però non è andata come previsto. Cosa pensate che succederà adesso?
Devo confessarvi che mi è piaciuto particolarmente scrivere questo capitolo, per la sua componente d'azione, ma anche per le scene dei dialoghi tra Nina e Olympe, che proprio come Quasimodo e Febo - nonostante la diversità - stanno diventando molto amiche.
E niente, spero che vi sia piaciuto :)
Grazie a tutti, alla prossima,
Stella cadente

 

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Capitolo 15
*** Amor, ch’a nullo amato amar perdona ... ***


XV.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona...
 
 
Say so long to innocence
From underneath the evidence
You taste like Heaven, but God knows you're built for sin
You're built for sin
 
 
Una settimana dopo – Claudie
 
 
 
 
Quel giorno nevicava leggermente, e assistevo annoiata alla Festa popolana in piazza. Come al solito. Il cielo era stranamente terso e in alto splendeva il sole, mentre attorno tutti sembravano contenti di quell’avvenimento tanto amato – non da me, comunque.
Era l’unico giorno in cui l’ordine non era d’obbligo. In cui tutti facevano quello che volevano, anche se sotto il mio sguardo vigile. L’unico giorno in cui c’era il disordine, la disorganizzazione, la sciatteria. Ed io vedevo passarmi davanti zingari, delinquenti, barboni, ma non potevo prendere in qualche modo provvedimenti.
Senza che me ne fossi resa conto stavo digrignando i denti dal fastidio.
E poi, una musica mi distrasse.
Era un flauto, probabilmente, che suonava una melodia egiziana, suadente e limpida. Armoniosa.
Perfetta.      
E su quella musica, come generato da quelle stesse note ammaliatrici, apparve lui.
Lui, che si muoveva facendo ondeggiare il suo corpo bronzeo e sinuoso come se fosse un nastro, che incantava le donne con i suoi occhi innaturalmente verdi e impressionava gli uomini con le sue acrobazie complesse e articolate, impossibili.
«Ecco a voi, Eymeric!»
La frase completa arrivò sorda alle mie orecchie.
Capii soltanto il suo nome. Quel nome bellissimo, musicale, seducente come lui.
Eymeric.
 
 
Mi svegliai di soprassalto, con la fronte madida di sudore e le mani che formicolavano, mentre il petto si alzava e si abbassava convulsamente in sospiri nervosi; l’aria stessa sembrava bruciare nei miei polmoni. Nella mente avevo solo i suoi capelli corvini, nei quali si riverberava il riflesso luminoso del sole, che dava loro una sfumatura ramata – quasi scarlatta.
Deglutii: quel ragazzo mi stava portando lentamente alla pazzia.
L’Inferno. Lui è l’Inferno.
Cercai di calmarmi respirando lentamente e di placare il tremito alle mani.
Da giorni avevo il sonno difficile, ma da quando lo zingaro Eymeric si trovava dentro casa mia, dormire mi era praticamente impossibile.
Dovevo fermarlo, in qualche modo; il suo sortilegio si stava diffondendo sempre di più, e non potevo permettere una cosa del genere. Ma come avrei potuto fare?
Sospirai pesantemente: mi sentivo oppressa. Costantemente in ansia e in soggezione a causa della sua presenza. Anche se, in realtà, la figura autorevole ero io.
Dovevo essere io.
Non era normale. Non c’era niente di normale, nel modo in cui mi sentivo.
Desideravo qualcosa di impossibile, qualcosa che mai mi sarebbe stato raggiungibile. Qualcosa che non avrei mai avuto. Lui.
Stavo perdendo il senno, e il fatto che me lo ritrovassi davanti tutti i giorni rendeva la situazione insostenibile. Avevo continuamente la bocca secca. Non dormivo. Lo spiavo durante la notte. In sua presenza mi sentivo tremare le gambe anche se stavo a sedere.
Tutto ciò doveva avere una fine.
Dovevo liberarmi di lui; l’avrei eliminato, e con lui la sua maledizione.
Sarei stata bene. Sì.
Mi alzai lentamente e aprii un cassetto della mia credenza, estraendone una misericordia piccola, ma affilata. La lama lanciava bagliori nella luce della notte, e sentii un barlume strano animarmi gli occhi.
Sarei diventata una criminale, un’assassina; i ruoli si sarebbero ribaltati; qualcun altro avrebbe giudicato me al mio posto.
Ma non mi importava.
Dovevo ucciderlo, o sarebbe stato lui ad uccidere me. Non lo avrei mai avuto; potevo tenerlo prigioniero finché volevo, ma non mi avrebbe mai liberata da tutta quella sofferenza. Non avrebbe mai scelto me.
Mi odiava.
Ed io avrei continuato a perdermi nei suoi occhi di sfuggita, senza mai poterci annegare veramente.
Non potevo continuare a torturarmi così.
L’unica soluzione era uccidere il gitano, lo stregone, eliminarlo, di modo che non potesse tormentarmi più.
Sospirai come per farmi coraggio e uscii dalla mia stanza, muovendo qualche passo nel corridoio. Il suono dei miei piedi contro il pavimento sembrava rimbombare come un gong nelle mie orecchie e sentivo la testa pulsarmi.
Indugiai un attimo nel buio.
Poi mi avviai all’imboccatura delle scale e mi recai al piano di sotto, lasciando la ragione a quello di sopra.
 
 
Avevo appena offerto ad Eymeric la camera degli ospiti, un piano sotto rispetto alla mia, perché stava accettando di pentirsi per ciò che aveva detto alla Festa
O forse dovresti pentirti della tua esistenza perché mi stai facendo impazzire
e stava svolgendo bene i compiti che gli assegnavo ogni giorno.
Era molto strano, a pensarci, che avesse accettato con così tanta… docilità. Non mi sarei mai aspettata una reazione di tal genere da lui, a meno che non avesse qualcosa in mente. Sembrava fin troppo innocuo perché non ci fosse alcun tranello sotto.
Mi avvicinai alla camera dello zingaro, attenta a non fare rumore.
La porta di legno era socchiusa e si poteva vedere un piccolo e fine spicchio della stanza; Eymeric era avvolto tra le lenzuola bianche del letto che gli avevo da poco concesso, mentre le lievi fiamme del caminetto diffondevano un piacevole tepore e gettavano bagliori color ambra sulla sua pelle scura, facendolo quasi sembrare un angelo.
Entrai nella camera, chiudendomi la porta alle spalle, e mi avvicinai piano.
I suoi occhi incantevoli erano chiusi in un sonno profondo, mentre i capelli ricadevano un po’ sul cuscino, un po’ sulla sua fronte.
Restai per un pochino ad ammirarlo; era perfetto, bello come il più luminoso dei serafini. Ma era anche oscuro, lo sapevo. Un angelo nero che contemplava la mia lenta distruzione e il rogo della mia anima.
E io dovevo spegnere quel fuoco.
Presa da una forza che mai aveva fatto parte di me – una forza rabbiosa, disperata – sollevai il pugnale sopra il collo di Eymeric, come per tagliarlo di netto, senza pietà.
Il cuore mi batteva come se avesse voluto schizzarmi fuori dal petto e le mani mi tremavano.
Esitai.
Che mi sta succedendo?
Una lacrima – una delle poche che avessi mai versato – mi rotolò calda sulla guancia.
Non ce la faccio.
Il pugnale mi cadde dalle mani e andò a schiantarsi con un fragore metallico sul pavimento, ai piedi del letto in cui dormiva il ragazzo, che si svegliò bruscamente.
In un istante mi trovai davanti quelle gemme verdi che mi fissavano come a volermi chiedere una spiegazione, quegli occhi sconvolti e terrorizzati.
Mi lasciai cadere a terra e mi coprii miseramente il viso con le mani, il gesto più spontaneo che mi venisse di fare.
«Cosa stavate facendo?»
La sua voce mi scosse; era così piena di paura che io stessa fui attraversata da un brivido.
Mi sentii un mostro.
Sono un mostro.
Scoprii il volto e lo vidi inorridire; non mi aveva mai vista così.
Così fragile.
Così vulnerabile.
Così… umana.
«Che cosa mi stai facendo, zingaro?» dissi in un sussurro. La mia voce era venuta fuori tremante, debole.
Ero senza più forze.
Altre lacrime mi scivolarono via dagli occhi.
«Mi stai portando alla pazzia; ho persino pensato di ucciderti, perché devo in qualche modo liberarmi di te. Non vedi che effetto hai su di me? Devo eliminarti, così non mi tormenterai più. Ma come posso farlo sapendo già che sentirò la tua mancanza, sentendo già il cuore dolere ancor prima di vibrare il colpo?»
Lui se ne stava muto, con le sopracciglia aggrottate, immobilizzato sul suo letto, a guardarmi con un’espressione che non sapevo come definire. Era... impressionato, forse, ma non riuscivo a cogliere in quale modo lo fosse.
«So che sarò dannata per l’eternità… ma io ti amo!»
Sgranai gli occhi.
Che cosa ho detto?
Portai lo sguardo, quasi meccanicamente, su Eymeric, che mi restituì un’occhiata allibita.
Restammo per pochi attimi a guardarci, che a me sembrarono immensi.
Non sapevo che espressione avessi, ma sicuramente era straziata, folle, l’espressione di una dannata. Lui invece era sempre bellissimo, con quegli occhi di smeraldo che erano così vivi, veri e spavaldi, unici e ammalianti anche in quel momento, in cui erano spalancati e intimoriti.
«Cosa?»
Per la prima volta sentivo la sua voce prendere una tonalità realmente impaurita, come se tutta la sua forza e il suo coraggio si fossero incrinati di colpo.
«Voi… mi amate?»
Non riusciva a raccapezzarsi di quello che gli avevo appena rivelato; ogni fibra del suo corpo esprimeva sorpresa. Una sorpresa violenta e disarmante, che investiva anche me con la sua prepotenza.
«Io…»
Presi un impercettibile respiro e mi forzai ad alzarmi ostentando decisione, come a voler coprire in qualche modo quel fuggente attimo di debolezza.
Riacquistai la mia solita espressione sprezzante, e dopo essermi schiarita la voce, dissi, gelida:
«Non importa. Non lascerò che tu mi distrugga in questo modo.»
Feci una pausa, poi aggiunsi:
«La libertà ti sarà concessa a breve, zingaro. Tra qualche giorno potrai andartene.»
E fuggii dalla camera, camminando velocemente.
«Aspettate!» fece lui, correndomi dietro.
Ero già sulle scale quando mi afferrò un braccio. Mi ritirai con uno scatto; la sua mano era incandescente sulla mia pelle.
«Sentite…» tentennò.
Lo guardai furiosa, sentendo gli occhi mandare fiamme.
Le fiamme che TU hai portato in me.
«Credo di amarvi anche io.»
Gli lanciai un’ ultima occhiata carica di rabbia e disprezzo, formando quell’espressione che da sempre mi caratterizzava quando avevo a che fare con degli zingari.
Che assurdità.
E corsi lungo i gradini delle scale in pietra, sparendo del tutto alla sua vista.

 
 
Penso che questo sia il capitolo più denso di emozioni, finora. È ben visibile – almeno spero – il tormento di Claudie, il suo struggimento e al tempo stesso la sua oscura passione per Eymeric.
Che le dice di amarla.
 … Molto strano.
Lei, ovviamente, dal momento che il gitano l’ha sempre disprezzata e odiata – come, giustamente, farebbe un qualunque perseguitato nei confronti del suo persecutore – non ci crede. E se ne va. Ma del resto, nemmeno Eymeric sembra capacitarsi di questa situazione.
Ho amato scrivere questo passaggio della storia (a mio avviso davvero importante), perché per quanto riguarda Claudie è molto introspettivo. Ho voluto far sì che il nostro giudice assomigliasse un po’ anche al Frollo del libro, specialmente in questo capitolo – vi immaginate quello Disney  a fare una dichiarazione spassionata ad Esmeralda? Giammai! – e che i suoi sentimenti apparissero veri, intensi.
Spero che vi sia piaciuto. Al prossimo capitolo ragazzi :)
Stella cadente
PS Nota storica al testo: la misericordia era un piccolo pugnale, usato durante le esecuzioni di decapitazione per tagliare i tendini ed evitare così ulteriori sofferenze al condannato (da qui il nome misericordia, appunto).

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Capitolo 16
*** Fredda come la notte, fredda come la morte ***


XVI.
Fredda come la notte, fredda come la morte
 
 
Eymeric
 
Quando Frollo scomparve nel buio di quell’immenso Palazzo, per un attimo restai imbambolato, incapace anche solo di formulare un pensiero compiuto. Non riuscivo a raccapezzarmi di ciò che era appena successo.  Anche perché aveva tentato di uccidermi.
Quella donna è folle.
Me lo ero ripetuto spesso.
Eppure la sensazione che provavo, ora, dopo aver sentito quelle parole,  era molto simile a quella di quando l’avevo baciata nel sotterraneo… ma come se fosse triplicata di intensità.
Era così forte che mi stordiva, e il risultato era che non capivo più niente.
Era Claudie Frollo, che diamine.
Ma le parole che mi aveva detto poco prima mi avevano in qualche modo colpito. In altre circostanze, probabilmente mi avrebbero disgustato, mi avrebbero lasciato pieno di orrore. Avrei voluto fuggire, in circostanze normali.
Perché non lo avevo fatto?
Ero rimasto semplicemente lì, con gli occhi sbarrati dalla sorpresa, a lasciarmi incantare dal suo modo di parlare intenso e passionale, così diverso rispetto a quello che usava di solito.
Lei stessa mi era sembrata diversa, in quei brevi attimi in cui aveva esposto i suoi veri sentimenti, come se si fosse completamente scarnificata di fronte a me. 
Come se fosse diventata un’altra persona.
Avrei dovuto correrle dietro, chiederle spiegazioni, ma qualcosa mi teneva lì, ancorato al pavimento di quella residenza che non era mia – che era di un funzionario pubblico, con cui in teoria avrebbe dovuto esserci un rapporto freddo, distante e pressoché assente.
Il fatto che provasse un sentimento per me era così… sbagliato. Quella donna aveva ucciso delle persone. Aveva condannato cittadini in nome della Giustizia, costringendoli in realtà al suo potere che cresceva sempre di più.
Lei uccideva, condannava, imprigionava.
Solo una persona senza cuore sarebbe stata in grado di fare cose simili.
Ma, in quel momento, avrei detto tutto di Claudie Frollo, tranne che fosse senza cuore. Il suo cuore sembrava invece il luogo più caldo e oscuro al tempo stesso che avessi mai visto. L’immagine del suo volto pallido solcato da lacrime, quegli occhi chiari che esprimevano solo la disperazione e la frustrazione più totale, quelle parole che raccontavano emozioni troppo a lungo represse, mi avevano in qualche modo fatto sentire come se Claudie Frollo fosse letteralmente entrata in collisione con me.
Tutto ciò era semplicemente assurdo, privo di una qualunque spiegazione logica.
E dovevo scappare.
L’impulso che mi attraversò in quel momento fu quello di fuggire.
Dopo solo qualche attimo, tornai nella mia stanza, aprii la finestra e uscii nel buio di Parigi.
 
****
 
 
Avevo fatto attenzione, mentre letteralmente scalavo con agilità le pareti del Palazzo di Giustizia, e adesso mi ritrovavo a terra, con il cuore a mille e uno strano senso di colpa che mi strisciava nello stomaco. Quell’edificio imponente non era diventato casa mia, non aveva nulla di caldo o di familiare… ma allora perché mi sentivo terribilmente vuoto?
Mi voltai una volta indietro – distrattamente, quasi senza accorgermene –  ma fu un errore.
«Sapevo che lo avresti fatto.»
Frollo era sul ciglio dell’enorme portone del Palazzo.
Come è riuscita a capirlo?
Il giudice mi fissava, con piccole ombre di lacrime che stonavano sul suo viso.
Ebbi un flash della prima volta che l’avevo vista da vicino, quando mi aveva inseguito, e l’immagine che mi trovavo davanti mi sembrò allucinante al confronto.
Un volto pallido, di solito contratto in un’espressione arrogante, che adesso era triste, ferito, arrabbiato, sofferente, disperato.
Non ero abituato a vederle addosso così tanta umanità.
«Voglio solo sapere una cosa» disse, interrompendo il silenzio.
La fissai di rimando.
«Ditemi.»
«Perché hai detto una menzogna?»
Aggrottai le sopracciglia.
«Hai detto che credi di amarmi.»
Aveva riacquistato il suo solito tono freddo. Anche se quella nota così odiosa non c’era più, adesso sembrava comunque che mi stesse facendo un interrogatorio all’Inquisizione.
Inghiottii un groppo che mi si era formato in gola.
«Sì» la mia voce uscì fuori in una specie di rantolo.
È così sbagliato.
Incrociò le braccia con un gesto aristocratico e calmo, come se non avesse nessuna fretta.
«Ebbene, perché lo hai detto, se ciò non corrisponde a verità?»
«Non lo so.»
Per un attimo sembrò ferita, ma si ricompose subito e mi guardò dall’alto in basso.
«Bene» si limitò a dire. «Ora sparisci, stregone
La guardai per un istante in cui mi sentii come bloccato da qualcosa, la stessa forza invisibile che poco prima mi teneva piantato al pavimento.
Ma poi corsi nel buio, lasciandomi alle spalle lei e il Palazzo di Giustizia, senza più indugiare, senza più voltarmi indietro.
Dovevo andare alla Corte dei Miracoli e fuggire via da Parigi.
E in fretta, anche.
 

 
Non odiatemi per i capitoli brevi, vi prego, ma Hugo mi ha contagiato con la sua variabilità nella lunghezza dei capitoli – che alla fine non sono quasi mai davvero lunghi – non ci posso fare niente. Scusatemi :’(
Detto ciò, credo che a questo punto sarete un po’..disorientati (almeno, io lo sarei)? Le cose stanno cambiando ancora, ma in maniera un po’ strana. Insomma, non so se sono l’unica a vederlo, ma il rapporto che c’è tra questi due non è molto normale, in effetti. Anzi, per niente, oserei dire.
Come penso abbiate già notato, capitolo breve, ma abbastanza intenso – almeno, mi auguro per voi ...
Spero che vi sia piaciuto :)
Alla prossima,
Stella cadente

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Capitolo 17
*** La sirena ***


Parte seconda





XVII.
La sirena

 
 
Nina
 
 

Mi sentivo una codarda.
Ero emersa dal tratto di Senna che dava sul Terrain, vicino a Notre-Dame, e mi ero rifugiata nella cattedrale per timore che qualcuno mi avesse visto. Per sette giorni ero rimasta lì, impaurita indecisa sul da farsi.
Ora guardavo le acque della Senna scorrermi davanti, in preda ai sensi di colpa.
La cosa più naturale che mi era venuta di fare era stato darmi alla fuga, ma non era decisamente il piano migliore, dal momento che invece Olympe si trovava ancora tra le mani di quegli aguzzini.
Sei una sirena, Nina!
Le parole che mi aveva detto alla cattedrale mi rimbombavano nella testa come un ritornello. Già, perché ero scappata? Ero dotata di poteri sull’acqua. Olympe aveva ragione: non avevo nulla da temere. Eppure fino a quel momento avevo usato i miei poteri esclusivamente per giocare e per divertirmi; non mi era mai passato nella mente di usarli contro qualcuno per difendermi.
Ma dovevo liberare la mia amica.
E ora era di nuovo notte: probabilmente non ci sarebbe stata nessuna guardia nel sotterraneo.
È il momento opportuno.
Mi inabissai nella Senna e nuotai con decisione, diretta verso i sotterranei del Palazzo di Giustizia.
Sapevo come raggiungerli, attraverso l’acqua.
 
 
 
****
 
 
L’acqua del fiume era molto più scura, e da ciò capii che ero arrivata.  Era straordinario nuotare così liberamente; per quindici anni non avevo fatto che restare a Notre-Dame, senza mai poter esplorare altro se non il lago del chiostro. Ma sapevo dove andare; era come se l’acqua fosse un richiamo, per me. Come se fosse lei a guidarmi.
Ed era… sorprendente.
Guardai in alto: adesso distinguevo anche le fiaccole con la loro luce arancione, tremolante sul pelo dell’acqua.
Rimasi in ascolto, per individuare, eventualmente, un sospiro o un rumore di passi.
Niente. Dentro alle mie orecchie sentivo solo il rumore sordo di quella vaga corrente che agitava impercettibilmente la Senna. Non c’erano guardie in giro, lo sentivo.
Nuotai ancora un po’ più avanti, giusto per essere sicura di trovare Olympe senza intoppi. Non sapevo niente del Palazzo di Giustizia, e trovare le celle si stava rivelando un’impresa titanica.
Ad un tratto mi fermai.
Passi.
C’era un rumore di passi, che proveniva proprio dall’inferriata a semicerchio lì vicino. Passi ritmici, un po’ nervosi, ma delicati.
Il cuore prese a battermi talmente forte che me lo sentii andare a palpitare in gola; continuavo a stare immersa nel fiume, lasciando che l’involucro freddo dell’acqua mi tenesse nel suo abbraccio sicuro ancora un po’. Sentivo i miei occhi leggermente sbarrati dalla paura che saettavano continuamente sull’inferriata, nella speranza di poter scorgere qualcosa senza farmi notare.
Ma così non riuscivo a vedere niente.
Forza, Nina.
Presi coraggio e, piano, feci uscire la testa dall’acqua, attenta a non produrre nemmeno il minimo rumore. Guardai fra le sbarre con la paura che mi attanagliava le viscere, ma non sentii più nulla.
Che strano.                         
Il silenzio che abitava quella cella era fin troppo innaturale.
«Era ora» disse una voce che ben conoscevo, prima che una testa bionda sbucasse dal nulla, facendomi sobbalzare trattenendo un urlo di spavento.
«Sei completamente impazzita?» sussurrai, furiosa. «Mi hai fatto prendere un colpo!»
Probabilmente fino a quel momento era stata con le spalle contro il muro adiacente all’inferriata; perciò non l’avevo vista.
Olympe mi fissava con aria leggermente corrucciata, ma dopo poco sorrise gentilmente.
«Scusami se sono stata scortese» disse. «Pensavo che non saresti più venuta.»
Sorrisi anche io.
«Non ti abbandonerei mai, Olympe.»
«Già» replicò lei «non lo faresti. Ma dimmi» continuò «qual è il tuo piano?»
«Non ho nessun piano. Sono venuta per farti uscire, in un modo o nell’altro.»
La ragazza incrociò le braccia.
«E credi di riuscirci, se non hai prima pensato a come potremmo fare?»
«Abbassa la voce» la interruppi io bruscamente «ti sentiranno. Ed è fondamentale che non capiscano che io sono qui» dissi con tono fermo.
«Allora, cosa pensi di fare?» sussurrò lei, guardandomi.
«Non lo so. Un’ idea ce l’avrei, ma…»
«Spara.»
Feci un cenno ad Olympe invitandola ad avvicinarsi.
«Cerca di distrarre in qualche modo la guardia.» le bisbigliai all’orecchio. «Al resto ci penso io.»
La mia amica inarcò un sopracciglio.
«Ne sei sicura?»
Annuii.
«Fidati di me.»
Olympe si avvicinò alla porta della cella, attenta a non fare troppo rumore. Allungò il collo e accostò la bocca all’orecchio della guardia semiaddormentata.
«Aiuto!» gridò, facendo sobbalzare l’uomo. «Aiuto! Signore! C’è un fantasma! C’è un fantasma nella mia cella!»
E si mise a fare un gran chiasso. Urlava come un’invasata, mentre la guardia cercava di farla star zitta per non svegliare gli altri uomini di vedetta.
«Che cosa succede qui?» tuonò una voce maschile.
Un uomo alto e massiccio si avvicinò, comparendo dal buio del corridoio delle segrete, camminando con andatura imponente.
«Capitano Roland» disse il soldato «questa prigioniera è impazzita.»
Olympe intanto continuava ad accusare la presenza di un’entità inesistente, facendo spaventare sempre di più gli aguzzini.
«È posseduta, temo» disse il capitano. «Uomini!» chiamò. «Tirate fuori questa ragazza. Ma tenetela bene: potrebbe sfoderare una forza sovrumana. Ci sono entità malefiche dentro di lei.»
I soldati, con una faccia spaurita, aprirono la cella e presero Olympe, che continuava a dibattersi come se fosse sul serio presa da un qualche spirito demoniaco.
Recita bene, la ragazza.                                                             
«Bene. Adesso facciamo la prova del grano. C’è rischio che sia una strega» decretò il capitano.
Olympe agitò la testa, ma nel farlo mi lanciò un fugace sguardo come per implorare aiuto.
Io annuii.
Non sapevo quanto fosse attendibile la mia idea, o quanto potesse avere successo; ma poi ripensai ad Eymeric, a quando lo avevo visto per la prima volta senza che lui avesse visto me, a come era rimasto a guardare fissamente il vuoto, in alto, sperando di scorgermi..
Funzionerà. 
Mi schiarii la voce e cantai.
Cominciai piano, lasciando aleggiare nell’aria poche, prolungate note, che solcarono il silenzio e riecheggiarono nella cella come un dolce e inquietante eco.
Gli uomini si girarono subito, cercando la provenienza di quel canto, mentre io me ne stavo nascosta dietro l’inferriata. Avevano lasciato immediatamente la presa su Olympe, e il capitano Roland non aveva per niente l’aria di voler ancora fare la prova del grano sulla mia amica per scoprire se fosse una strega.
Sembravano tutti catturati dalla mia voce che, evanescente, continuava a diffondersi nella cella.
«Cos’è questo suono?» chiese un soldato. Era già in stato di trance: lo vedevo dai suoi occhi fissi e vuoti.
«È meraviglioso…» mormorò il capitano, scioccato.
Continuai a cantare, passando man mano ad una melodia sempre più elaborata, andando con la voce ora in alto, ora più in basso.
Funzionava. I soldati erano sotto il mio incantesimo, e nulla più sembrava importare loro se non della misteriosa voce che proveniva dalla cella.
Feci un cenno ad Olympe come a dire di liberarsi dalle braccia degli uomini e di aspettarmi vicino al tratto di Senna che scorreva lì vicino; lei obbedì senza fiatare, sconvolta.
Cominciai a nuotare per raggiungerla, mentre gli aguzzini seguivano il mio richiamo e si avvicinavano all’acqua, senza però prestare la minima attenzione alla mia amica.
Mi feci vedere e mi immersi nel mio canto angelico. L’acqua intorno a me si illuminò di bagliori argentati, dando al fiume un che di magico e ultraterreno, mentre i capelli mi si arricciavano intorno come manipolati da una forza invisibile, diventando da fulvi a color fiamma.
Non sapevo come stessi facendo: sapevo solo che dovevo riuscire ad essere il più ammaliante possibile per riuscire a trattenere le guardie e a liberare Olympe.
Con un gesto della mano feci scaturire dal fiume un sottile tentacolo d’acqua, trasparente e schiumeggiante, che andò a legare gli uomini mantenendosi rigido come una corda, senza che questi reagissero in alcun modo.
Poi, di colpo, mi zittii. Restai un momento a contemplarli così legati, completamente inermi di fronte a me, mentre mi guardavano stupiti.
Ma, d’un botto, la corda d’acqua si disintegrò.
«Corri» sussurrai ad Olympe, che si gettò subito in acqua con me.
«Oh Signore!» gridò Roland. «È una strega! È una strega! Uomini! Chiamate qualcuno! Quella ragazza deve essere messa al rogo! Prendetela!»
Cacciai Olympe sott’acqua e creai una bolla d’aria a coprirle la bocca e il naso.
Poi la presi per mano e sfrecciai a tutta velocità nelle acque scure della Senna, seminando in poco tempo le guardie di Frollo.
Anche se avessero detto qualcosa, nessuno avrebbe creduto loro, comunque.
Dovevo soltanto sperare che non lo dicessero alla mia tutrice.
 
 
****
 
 
«Spiegami come accidenti hai fatto» disse Olympe, fissandomi ad occhi sbarrati.
Eravamo in cima alla cattedrale, e stavamo guardando l’alba sorgere su Parigi.  L’aria era fredda, ma tutto sommato stavamo bene. Il silenzio che c’era dava un senso di pace e serenità, e mi perdevo ad osservare la piazza con i primi parigini che montavano il mercato e sistemavano carrette trainate da buoi.
«Nina.»
«Non lo so» dissi, con lo sguardo fisso su un mendicante seduto in un angolo. «Mi è... venuto naturale, suppongo» mi limitai a dire, scrollando le spalle.
«Ti è venuto naturale? E tu quella cosa la chiami naturale?» fece lei, alzando la voce.
Silenzio.
«Non fraintendermi, è stato fantastico, ma… buon Dio. Non credevo tu potessi arrivare fino a questo punto.»
Silenzio.
«Eri bellissima, comunque. Mi hai lasciata a bocca aperta» esclamò con entusiasmo. «I  tuoi capelli sembravano proprio le fiamme di una fiaccola. E l’acqua… accidenti, era magica. E poi la tua voce… Ma certo: eri tu! Ti avevo sentita prima della Festa dei Folli, proprio quando ho incontrato Eymeric…»
Il cuore mi balzò nel petto.
Eymeric.
«Eymeric!» urlai. «Come lo liberiamo, adesso?»
«Nina…»
«Lo abbiamo lasciato là, e gli uomini di Frollo adesso mi danno la caccia! Cosa possiamo fare, Olympe?»
«Nina, Eymeric non era nelle segrete» disse la ragazza alzando la voce.
«Come?»
«Lui non era là. Quando le guardie mi hanno presa, mi hanno portata nella cella in fondo al corridoio, perciò sono passata davanti a tutte le altre ed Eymeric non era in nessuna di quelle. Dovevo immaginarmelo, comunque. Lo conosciamo, Nina, pensaci. Con ogni probabilità sarà tre passi avanti a Frollo e ben lontano dal pericolo. Non ha bisogno di noi, adesso.»
«Ne sei sicura?» chiesi.
«Sicurissima» disse lei «non te lo direi, altrimenti.»
Silenzio.
«Direi anche» continuò la mia amica, mettendomi una mano sulla spalla «che adesso dobbiamo preoccuparci di far sì che quei gaglioffi non vadano a spifferare ciò che è successo nei sotterranei direttamente a Frollo.»
Annuii distrattamente.
«Altrimenti, amica mia» concluse «sarà un problema. Un grosso problema.»
 

 




Buondì, lettori  :)  come state? Spero bene.
Devo confessarvi che ho voluto che questo capitolo avesse un che di fantasy, e spero di esserci riuscita.
È stato, come dire … suggestivo scriverlo.
Lo dedico a Stella, qui nota come StellaandEleonora, perché è uguale a Nina, ha la sua stessa timidezza e la stessa natura gentile.
Dedico questa storia anche ad una persona speciale (boh a caso, ho voglia di fare dediche). Non c’è un motivo specifico, anche perché non la leggerà mai, semplicemente oggi è il suo compleanno ed è il mio Eymeric reale, per cui mi sento di dedicargliela.
Adesso ci possiamo aspettare di tutto, e sono curiosissima di vedere che ne pensate voi.
 
Grazie per aver letto, e alla prossima,
Stella cadente
 
Nota storica al testo: la prova del grano era uno dei tanti modi per riconoscere una strega, e consisteva nel tirare addosso alla presunta sospettata tre chicchi di grano. Se quest’ultima avvertiva il bisogno di urinare, era ritenuta colpevole di stregoneria.

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Capitolo 18
*** Imputata ***


XVIII.
Imputata
 
 
Olympe
 

Avevo rincasato qualche ora dopo. Normalmente avrei dovuto prepararmi per andare al Palazzo di Giustizia, ma date le circostanze era meglio evitare.
Quello che aveva fatto Nina nelle segrete era stato incredibile, eppure la situazione che si era venuta a creare non mi piaceva. Avrei voluto mantenere la calma, ma temevo il peggio; in fondo, sapevo che ci si poteva aspettare di tutto dal giudice Frollo ed era scontato che Roland sarebbe andato a riferirle l’accaduto. Ma mi sorgeva spontanea una domanda: per quale motivo la donna non si era opposta al fatto che mi avessero rinchiusa nelle segrete?
Sospirai. Probabilmente era perché avevo spalleggiato Nina. Ero stata etichettata come traditrice, e ora non avrei potuto fare più nulla per recuperare il mio lavoro e riparare in qualche modo. Non potevo più fare ritorno, né ora né mai.
Per una frazione di secondo presi in considerazione l’idea di fuggire, di andare in un’altra città. Ma lasciare Nina da sola? Ed Eymeric?
Senza un motivo preciso, sentii delle lacrime calde rotolarmi lungo le guance e mi lasciai cadere sul pavimento in legno della mia abitazione, scivolando lentamente lungo la porta.
Non potevo permettermi una tale debolezza, lo sapevo, ma fu più forte di me. Mi ritrovai a piangere con la testa tra le ginocchia, come una ragazzina. Un profondo sconforto si era impossessato di me: mi avrebbero ricercata, mi avrebbero condannata a morte? E se fossi riuscita a fuggire, avrei perso la mia migliore amica? Stavo per perdere lui, il ragazzo che amavo?
Non volevo lasciare Parigi. Non volevo lasciare la città che, per una volta, sentivo mia.
Mi alzai e mi asciugai le lacrime in un gesto brusco.
E fu allora che la notai.
Una busta di pergamena un po’ ingiallita, con un sigillo di ceralacca rossa che conoscevo bene.
Avvertii un brivido di terrore arrivarmi fino al cervello.
Era una missiva proveniente dal Palazzo di Giustizia. E pensavo di sapere già che cosa significasse.
Con mani tremanti, la aprii ed estrassi la lettera che essa conteneva, piuttosto breve rispetto a ciò che mi aspettavo.
Riconobbi subito la grafia di Frollo, fine ed elegante.
 
 
Signorina Olympe de Chateaupers,
 
è mio dovere informarVi che i soldati capitanati da Jean Roland, incaricati della sorveglianza dei prigionieri, mi hanno riferito dettagliate vicende sul Vostro conto, avvenute presumibilmente nell’arco di tempo tra ieri notte e questa stessa notte.
Basandomi sui fatti riportati dai suddetti uomini, sono venuta a conoscenza del fatto che Voi avreste tentato di inserirVi nei sotterranei del Palazzo di Giustizia, completamente priva della mia autorizzazione e per un motivo di cui non conosco le origini. Pertanto Vi chiedo ufficialmente di presentarVi oggi stesso a mezzodì, nel mio studio al Palazzo, dove potremmo discutere dell’accaduto in privata sede. Se avete agito correttamente non avrete nulla da temere.
Claudie Gervaise Frollo,
Inquisitore Supremo della Corte di Giustizia al servizio della Corona
 
 
 
«Cècile!» chiamai, allarmata.
La mia serva comparve subito. Era una donna anziana, con un viso pallido e occhi verde chiaro, luminosi e vispi. In quel momento aveva un’aria preoccupata, come se percepisse la mia stessa ansia.
«Ditemi, Signorina Olympe.»
«Questa missiva» cominciai «quando l’hanno portata?»
«Oh» disse lei «circa un’oretta prima del vostro ritorno.» concluse, lanciando una fugace occhiata all’orologio appeso alla parete.
«Grazie.» sussurrai impercettibilmente.
«Con permesso.» fece lei, piegandosi in un inchino appena accennato.
Poi si congedò.
Riportai lo sguardo sulla lettera. Un colloquio con Claudie Frollo.
Se avete agito correttamente non avrete nulla da temere.
Che cosa intendeva dire con quella frase?
Tutta la questione non mi piaceva. Mi sentivo come una mosca che si reca di sua spontanea volontà nella tela del ragno.
Posai la lettera sulla credenza e cercai di calmarmi, mentre l’orologio segnava le undici e mezza.
 
 
 
«Salve, Olympe.»
La voce di Frollo mi accolse rigida e fredda, come al solito, ma sebbene non ci fossero segnali di cambiamento il mio cuore batteva impazzito.
«Salve, signora.» ricambiai cordialmente.
Avevo camminato lungo il tragitto per il Palazzo di Giustizia – quel tragitto che ormai mi era così familiare, ma che in quel momento mi sembrava il tragitto per andare alla forca – arrovellandomi su come sarebbero potute andare le cose. Il panico mi stringeva in una morsa: mi avrebbe condannata davvero o era soltanto un’ipotesi dettata dalla paura?
Sentivo la mia vita scivolare via ed un brivido mi aveva attraversato la schiena. Ma quando ero arrivata avevo raddrizzato le spalle. Dovevo essere coraggiosa. Anche se ad attendermi ci fosse stata la morte, non potevo farmi vedere debole.
Ora ero lì, seduta con portamento fiero sulla sedia di fronte a Frollo, che mi guardava fissa con i suoi occhi azzurro ghiaccio.
«Dunque» esordì il giudice «ho trascritto il verbale di ciò che il capitano Roland mi ha comunicato, esattamente questa mattina.»
Mi allungò dei fogli di pergamena scritti con la sua grafia fitta e precisa.
«Roland sostiene che voi abbiate tentato di inserirvi in maniera intrusiva nel sotterraneo per accedere alle prigioni senza consenso, che siate una strega posseduta dal demonio e che nel fossato del sotterraneo vi siano le sirene. Ora» si alzò, girando lentamente intorno all’antica scrivania come uno squalo che gira intorno alla preda «voi sapreste dirmi che diavolo è successo
Sull’ultima frase la sua voce si inasprì notevolmente. Mi allarmai subito.
«Sì.» assentii io. «Non ho fatto nulla di tutto ciò, signora.» mentii, facendo del mio meglio perché la voce non mi tremasse. «Mi sono semplicemente recata nel sotterraneo per verificare che avvenisse tutto secondo ordine. I carcerieri hanno la fama di essere abili torturatori nei confronti dei carcerati, e so che tale procedura è illegale.» conclusi, con tono professionale, senza distogliere lo sguardo.
«Un’ottima considerazione, signorina Olympe, non c’è che dire» convenne lei «c’è solo un piccolo, insignificante particolare: perché le sirene?»
Ora mi guardava con quell’espressione sospettosa, un sopracciglio arcuato e gli occhi inquisitori.
«Non saprei, signora. Io le ho detto la verità.» ebbi il coraggio di dire.
Ma lei mantenne quell’aria seria. Non mi credeva, era chiaro.
«Nessuno, prima d’ora» riprese a girare intorno alla scrivania «mi aveva mai raccontato una storia talmente ben costruita e … realistica, seppur nel suo essere così priva di fondi veritieri. Pertanto, le conclusioni da considerare sono due: o i miei uomini sono impazziti, oppure» si avvicinò ancora di più, assumendo un’aria minacciosa «voi non mi state dicendo il vero.»
Mi ostinai al silenzio e lei sembrò fulminarmi con lo sguardo.
«Come mai» riprese «Roland ha menzionato le sirene?»
Silenzio.
«Ci sono: voi vi siete fatta accompagnare da Nina!» decretò, puntandomi il dito contro.
Rabbrividii; era inutile, mi aveva già scoperta. Ma potevo ancora tentare.
«Io non ho …»
«Voi avete il diritto di rimanere in silenzio.» mi interruppe lei, la voce secca e decisa. «E anche se non siete una strega, è doveroso comunque indire un processo a vostro nome.» sentenziò, impassibile.
Silenzio.
«La condanna per insubordinazione è la morte» aggiunse, serafica. «Peccato: avete buttato una promettente carriera.»
Chinai la testa in segno di rispetto, capendo che non potevo fare altro.
«Consideratelo il mio più grande onore, signora.»
Lei non rispose.
«Dovrete presentarvi al tribunale dell’Inquisizione» disse, seria «i miei uomini verranno a prendervi tra un’ora.»
Quindi era già tutto premeditato …
Mi alzai e chinai di nuovo la testa.
«Adesso andate.» ordinò Frollo, indicandomi la porta con un cenno.
E mi congedai.
Una volta fuori dal Palazzo, qualunque passante avrebbe visto una ragazza che camminava fiera, orgogliosa. Forse aveva ricevuto un encomio, forse aveva ottenuto un posto privilegiato nella società parigina.
Ma in realtà, quella ragazza era una recluta accusata di tradimento, sulle cui spalle gravava il terribile peso della morte.
 
 
****
 
 
 
Quando mi presentai all’Inquisizione, sorvegliata dagli uomini di Frollo, gonfiai il petto come per infondermi coraggio. La porta dell’aula era socchiusa e anche da fuori potevo sentire il mormorio della Corte di Giustizia. Non sapevo come scagionarmi, ma in qualche modo dovevo salvarmi da sola. Adesso Nina non avrebbe potuto niente contro i Giudici.
Spinsi la porta in legno ed entrai, con le mani che tremavano e parevano aver perso la sensibilità.
L’aula del Tribunale non era eccessivamente grande, ma era larga, con alti soffitti a volta, riempita con solo i seggi dei Giudici e uno scrittoio, posizionato di fronte a Frollo. Le grandi finestre ad ogiva davano sulla piazza adiacente al Palazzo di Giustizia, e fuori si potevano scorgere i cittadini affaccendati e il sole che cominciava già a brillare.
Sospirai: avrei più rivisto tutto ciò? Non ne ero così sicura, adesso.
«Buonasera, Olympe.» la voce di Frollo riecheggiò in tutta l’aula, fredda e spietata, la voce dell’Inquisitore Supremo.
Il suo seggio era più alto degli altri, perfettamente levigato e intagliato nel legno, regale e imponente come un trono. Intorno a lei, i Giudici della Corte di Giustizia sedevano disposti a semicerchio, le facce serie e inespressive. Li conoscevo di vista, sapevo i loro nomi. C’erano tutti: Jeannette Lacroix, Inés Delacour, Marguerite e Régine Rousseau, Benjamin Dumais, Alphonse Marchand, Emile Lefevre, Jean Pascal Chevalier, Virgile Grenonat. E Frollo, al centro, che ora si era alzata scrutandomi con quegli occhi duri e crudeli. Sembrava non aver più nessuna compassione di me; ero diventata al pari di un qualunque cittadino che veniva portato in Tribunale, giudicato da lei inetto, infimo, indegno di calpestare il suolo di Parigi.
«Olympe de Chateaupers» la sua voce risuonò, ancora una volta, secca e dolorosa alle mie orecchie, come una sentenza di morte «coordinatrice dell’esercito di Parigi, al servizio della sottoscritta Claudie Frollo Ministro della Giustizia, è stata accusata di alto tradimento, in quanto l’imputata si è recata nei sotterranei del Palazzo di Giustizia senza il consenso della suddetta autorità. Viene inoltre indicata dal qui presente» fece un cenno verso Roland «testimone Jean Roland, Capitano delle Guardie del Carcere presso il Palazzo di Giustizia, come strega» calcò sulla parola «in quanto ha portato con sé una creatura denominata sirena
Tra i Giudici del Tribunale si diffuse un mormorio sommesso.
Frollo posò la pergamena del verbale e chiese, con voce solenne:
«Quanti sono a favore di una condanna per Alto Tradimento?»
Cinque Giudici, lei compresa, alzarono la mano. Iniziai a sudare freddo.
«Quanti a favore di una condanna per Stregoneria?» proseguì, con voce incolore.
Tre Giudici, che riconobbi come Marchand, Lefevre e Grenonat, alzarono la mano con decisione.
«Quanti a favore di una condanna per Alto Tradimento e Stregoneria?»
Marguerite e Régine Rousseau alzarono la mano.
Frollo si schiarì la voce e i suoi occhi fiammeggiarono.
«Voi, Olympe de Chateupers, siete stata condannata per Alto Tradimento, pertanto alla confisca dei vostri beni e alla perdita della cittadinanza. Avete qualcosa da dire a vostra discolpa?»
Confisca di beni? Perdita della cittadinanza?
C’era qualcosa che non mi tornava.
La condanna per insubordinazione è la morte. Peccato: avete buttato una promettente carriera.
Non mi aveva condannata a morte. Che cosa stava combinando?
Decisi di restare zitta: quello era un terreno pericoloso per me, al momento. E poi, ero felice di aver scampato la forca.
«È una strega, c’era una sirena lì!» sbraitò Roland, indignato. «A morte! A morte!»
«Silenzio!» urlò Frollo, e la sua voce era limpida e feroce.
«Obiezione, Inquisitore.» disse Grenonat, alzandosi a sua volta in piedi. «Dovremmo ascoltare il testimone, Giudice Frollo» aggiunse educatamente. Poi fece un cenno verso Roland «prego.»
Frollo lo incenerì con lo sguardo, ma lo lasciò fare.
«Questa strega ha iniziato ad urlare e a contorcersi» fece Roland, concitato «ci sono spiriti malevoli dentro di lei. Ha evocato una sirena – sì, una sirena! – e poi è scappata via! È un maleficio! Al rogo! Al rogo!»
Mi faceva paura; sembrava come impazzito. Il pensiero di una pira, accatastata per me al centro di Place de Grève, mi colpì come un pugno e mi fece rabbrividire incontrollatamente.
«Ministro» disse Grenonat, rivolgendosi a Frollo «credo che dovremmo ascoltare le testimonianze e non sorvolarle.»
Notai che il Giudice lanciava uno sguardo strano all’Inquisitore Supremo: qualcosa mi diceva che correva un rapporto particolare tra loro, anche se non sapevo di che tipo fosse e perché avessi questa sensazione.
«Insisto per una condanna per Stregoneria.» ingiunse Grenonat, alzando la voce. «Con una condanna per Alto Tradimento, il demonio resterà tra noi, e tornerà a tormentarci. E non possiamo permettere che ciò accada.»
Aveva una voce fine, subdola come quella di un serpente a sonagli.
«Pertanto» concluse «chiedo di riflettere sulle testimonianze del Capitano, e di effettuare un’altra seduta una volta che saremmo maggiormente ragionevoli.»
Silenzio.
«Quanti a favore?»
Lentamente, tutte le mani dei Giudici, tranne quella di Frollo, si alzarono in segno di assenso.
Grenonat sorrise compiaciuto.
Frollo si schiarì la voce con fare leggermente infastidito, poi sentenziò:
«La seduta è momentaneamente sospesa.»

 
 
 
Bonjour, mes amis!
Scusatemi se mi sono fatta attendere un po', ma ... ero a Parigi.
Ebbene sì, ero a camminare lungo le strade della città in cui si svolgono le vicende di Eymeric, Nina, Claudie e Olympe *le vengono gli occhi a cuoricino*
Ancora non ci credo. E ora mi sto struggendo, perché vorrei tornarci ...
Ma veniamo a noi.
Questo capitolo è molto ricco di tensione, secondo me: Olympe si trova ad essere sul filo del rasoio, e abbiamo una specie di dibattito tra due Giudici. Che idea vi siete fatti, a proposito, di Frollo e Grenonat? Sono veramente curiosa di scoprirlo.
Vi ho anche lasciati un po’ sulle spine verso il finale, perché non vi dico cosa succede dopo, ma tanto ormai lo sapete che sono cattiva ahahah
Beh, come sempre vi ringrazio per aver letto e per continuare a seguirmi. Nuovi lettori si stanno facendo sentire, e mi fate capire che questa storia vi sta piacendo davvero; siete sempre più numerosi! Vi adoro, non smetterò mai di ripeterlo.
Alla prossima,
Stella cadente
 
 

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Capitolo 19
*** Ricatto ***


XIX.
Ricatto
 
Claudie
 
 
 
Mi recai nella Sala delle Riunioni con il verbale stretto con foga tra le mani: cosa credeva di fare Virgile? Perché compromettere le procedure? Nessuno sapeva dell’esistenza di Nina, nessuno.
Nessuno a parte Olympe.
Ma dovevo omettere questo dettaglio, altrimenti sarei andata in rovina.
Roland, per mia fortuna, era un folle; nessuno si era mai fidato di lui. Le sue testimonianze potevano anche non essere ritenute attendibili. Lo sapevano tutti, in città, che era un ubriacone.
«La penso come voi, Claudie» Inés mi si era avvicinata, e ora mi guardava con quei suoi occhi azzurri e intelligenti «non credo che quella ragazza meriti di essere condannata al rogo.»
«Non è quello» dissi, portandomi una mano alla fronte e massaggiandola distrattamente. «È che non ritengo attendibili le testimonianze di Roland» aggiunsi, dando voce ai miei pensieri «semplicemente perché egli stesso non è attendibile. Con ogni probabilità era appena tornato dalla taverna quando ha visto questa presunta sirena» sputai, con disprezzo.
Lei mi fissava e assentiva, pensierosa.
Mentivo, ma sapevo per certo che nessuno avrebbe mai sospettato di me. E ad ogni modo, di Olympe mi sarei occupata io stessa.
«Non abbiamo le prove, capisci?» continuai. «Per un processo per Stregoneria servono prove. E noi non ne abbiamo, in proposito. Nessuno di noi ha mai visto la sirena, nessuno di noi ha le prove che la signorina de Chateaupers sia una strega. E poi era al mio servizio da un mese, di certo me ne sarei accorta se così fosse stato» conclusi, con un tono che non ammetteva repliche.
«Qualcosa non va?»
Virgile si era inserito nella discussione, scavandomi con quegli occhi verdi.
«Non condivido la vostra opinione, Virgile» dissi, decisa. «Affatto. Non abbiamo abbastanza prove per incriminare la ragazza e additarla come strega.»
Lui alzò le sopracciglia.
«Il racconto di Roland non vi è bastato?»
«Oh, per l’amor di Dio!» sbottai, roteando gli occhi. «Sappiamo tutti che Roland è un gaglioffo e che le sue parole sono altamente fuorvianti. Era ubriaco, ci giurerei.»
Virgile sembrò ammutolirsi, poi un bagliore attraversò i suoi occhi chiari.
«Certo. Ma vedete, Claudie, anche i suoi soldati hanno confermato ciò che diceva. Credete che anche loro siano stati ubriachi?»
Mi conficcai le unghie nei palmi delle mani per la frustrazione, facendomi male. Mi stava incastrando, quello spudorato.
«No. Credo solo che dovremmo verificare noi stessi, prima. Con la prova del grano, ad esempio.»
Virgile mi afferrò un braccio, gentile eppure deciso.
«Possiamo discuterne privatamente? Giusto prima di dare inizio alla Riunione.»
Assentii col capo.
«Certo» replicai, sicura.
Sul viso allungato di Virgile prese forma un sorriso che non mi piacque per niente.
«Andate, Inés» disse all’altro Ministro, facendole un cenno verso il lungo tavolo dei giudici. «Prendete posto. La Riunione comincerà a breve; io e il Ministro Frollo dobbiamo discutere in privata sede di una questione molto importante.»
Inés si congedò e si allontanò da noi, mentre Virgile mi condusse fuori dalla stanza e mi guidò fino al suo studio. Ci ero stata abbastanza da ricordarlo nitidamente, ma ogni volta che entravo in quella stanza la trovavo magnifica. Grande, con i soffitti alti e arredata con gusto, piena di libri e pergamene.
Ma ovviamente non eravamo lì per discutere di quanto fosse bello il suo studio, lo sapevo. E in qualche modo, sentivo che la questione non riguardava soltanto il processo di Olympe de Chateaupers.
«Per quale motivo mi avete portata qui?» domandai, con tono duro.
«Oh, per un motivo molto semplice, Claudie. Voglio proporvi un accordo.»
«In questo istante?» chiesi di nuovo, con aria perplessa.
«Sì. Obbligatoriamente.»
Sollevai un po’ il mento.
«Avanti, parlate.»
Lui ghignò, sollevando appena un angolo della bocca.
«Vedete, in realtà non so proprio da dove cominciare» si alzò dalla sua scrivania e si recò presso la finestra, guardando Parigi che continuava la sua vita. «È alquanto complicato.»
Rimasi in silenzio, attendendo che andasse avanti.
«Il fatto è che voglio chiedervi di unirvi a me in matrimonio.»
Aggrottai le sopracciglia: perché stava effettuando una richiesta del genere in quelle circostanze?
«Ma c’è di più» aggiunse, voltandosi verso di me. «Sapete, vi ho vista cambiata ultimamente, ma non riuscivo a capire che cosa ci fosse di … diverso, in voi.»
Non mi sorpresi: Virgile era sempre stato un uomo acuto e intelligente. Ma per qualche strana ragione mi allarmai; quella conversazione cominciava ad apparirmi sospetta.
«Poi, vi vidi una sera.»
Silenzio.
«Una sera in cui … in cui un gitano era uscito dal Palazzo di Giustizia.»
Non mi resi conto subito di quello che stava dicendo, ma quando realizzai sentii il cuore andarmi a pulsare in gola.
Oh, Dio.
«Già, proprio così» proseguì con noncuranza. «E non solo era completamente illeso, ma voi gli chiedevate anche perché avesse detto di amarvi, se ciò non corrispondeva a verità. Sembrava che, come dire … voi ci teneste parecchio, a quello zingaro infesto. Al che, tenendo conto della vostra missione, che prevede l’eliminazione di quei parassiti dalla Città, mi chiedevo: per quale motivo adesso vi siete avvicinata a quella … feccia
Mi pongo la stessa domanda ogni secondo, avrei voluto dire.
Ma rimasi zitta, completamente pietrificata dal fatto che qualcuno avesse visto.
Virgile Grenonat aveva visto me con Eymeric.
Mi schiarii la voce e cercai di ricompormi, contenendo il tremito alle mani che si era impossessato di me.
«E perché mai tutto ciò dovrebbe essere legato all’accordo che mi avete presentato?» chiesi, senza scompormi.
Sebbene tentassi di mantenere un atteggiamento tranquillo, nell’aria si era venuta a creare una certa elettricità che mi faceva rabbrividire.
«Beh» continuò Virgile. «Diciamo che … mi attraete, Claudie. Lo avete sempre saputo, d’altronde.»
Attesi che proseguisse.
«E anche perché, se non acconsentirete» la sua voce aveva assunto un tono minaccioso «dirò in Tribunale che voi» mi puntò il dito contro «vi siete infatuata di uno zingaro.»
Vi siete infatuata ...
… di uno zingaro.
Quelle parole sembrarono ripetersi nella mia testa come un eco inquietante.
Sentii i lineamenti del viso irrigidirsi.
«Non tollero un atto del genere» dissi, con fredda formalità. «Ministro Grenonat, io ritengo che non sia consono unire questioni individuali a questioni professionali. Pertanto vi ordino di non dire alcunché.»
Non avrei provato a smentire; mi aveva vista quella sera, aveva tra le mani una prova incontrovertibile. E poi non avrebbe avuto senso tentare di negare tutto; avrei solo peggiorato ulteriormente la situazione.
«Peccato, perché i patti sono questi» dichiarò lui, con un sorriso furbo.
«Sono un vostro superiore» sbottai «e voi non avete il diritto di mancarmi di rispetto in questo modo.»
L’uomo rise.                                                           
«Andiamo, Claudie» disse. «Ci conosciamo bene, noi due. Smettila di comportarti come se io fossi un qualunque membro della Corte.»
Lo incenerii con lo sguardo. Adesso mi dava anche del tu?
«Fino a prova contraria» ribadii «io sono l’Inquisitore Supremo. E voi siete un membro della Corte di Giustizia.»
«Per questo» mi interruppe «credo che in Tribunale sarà molto interessante la vicenda di Claudie Frollo, l’Inquisitore Supremo che ha preso una cotta per un gitano» disse con cattiveria, ironizzando sulle parole “Inquisitore Supremo”.
Socchiusi gli occhi per la rabbia.
«Non mi abbasserò a tali livelli» sibilai «ed è contro ogni sano principio mettere in atto una congiura contro di me
«Signori» Jeannette Lacroix si affacciò alla porta dello studio di Grenonat. «La Riunione sta per cominciare. Ministro Frollo» mi salutò, chinando il capo in segno di rispetto.
«Certamente. Andiamo» dissi, prima che Grenonat potesse in qualche modo parlare.
Ma, mentre uscivo dal suo studio e mi recavo nella Sala delle Riunioni, sentii un moto d’angoscia montarmi in petto.
 
 
****


 
«Dunque, l’imputata Olympe de Chateaupers» disse Marguerite Rousseau, leggendo da un rotolo di pergamena «è stata incriminata da Claudie Gervaise Frollo di Alto Tradimento, e da Virgile Grenonat di Stregoneria.»
Fece una pausa, mentre Olympe, seduta di nuovo al centro dell’aula, con il boia al suo fianco per un eventuale uso della tortura, stava in silenzio con i muscoli tesi.
«Tutti gli altri membri della Corte di Giustizia» proclamò Rousseau «si sono astenuti da un giudizio definitivo. Questo è quanto è avvenuto in Riunione.»
Deglutii. Mai, in quindici anni in cui esercitavo la professione di Ministro della Giustizia, si era verificata una situazione del genere.
Olympe mi guardava con insistenza come a voler chiedere una spiegazione, ma la ignorai. Vedevo che un piccolo velo di sudore freddo le imperlava la fronte.
La seduta in aula era ripresa da poco, ma mi sentivo stranamente in soggezione sotto lo sguardo di Grenonat. Non mi era piaciuta per niente quella discussione che avevamo avuto nel suo studio. Il Ministro era a conoscenza di informazioni preziose, che avrebbero dovuto rimanere nell’ombra; sentivo, in qualche modo, che la mia carriera era appesa ad un filo.
Diciamo che… mi attraete, Claudie. Lo avete sempre saputo, d’altronde.
Se non acconsentirete, dirò in Tribunale che vi siete infatuata di uno zingaro.
Mi alzai, riscuotendomi dai miei pensieri.
«Procediamo con le analisi delle prove incriminanti» dissi, atona. «Convocate il testimone» aggiunsi, facendo un gesto verso i soldati alla porta.
Poco dopo, il Capitano Roland fece il suo ingresso in aula, stavolta seguito da tutti i suoi soldati.
«L’interrogatorio può cominciare» decretai, con voce solenne.
Sotto il mio sguardo altezzoso, Grenonat prese a fare domande a Roland.
«Voi, Jean Roland, Capitano delle Guardie del carcere del Palazzo di Giustizia, giurate di aver visto la qui presente imputata Olympe de Chateaupers aver effettuato un maleficio?»
Il Capitano annuì vigorosamente.
«Prego, descrivete l’atto di Stregoneria.»
«Dunque… si era messa ad urlare come una bestia» iniziò Roland «urla da far accapponare la pelle. E poi… poi è comparsa una sirena!»
«Suvvia» risi malignamente «le sirene non esistono!»
«Mi ha legato con una corda d’acqua, Ministro Frollo!»
Lo guardai con un ghigno di scherno.
«Frollo» mi chiamò Grenonat. «Noi non siamo sicuri del fatto che queste creature non esistano. Se gli antichi ne parlano nei loro libri, e cito il Liber Monstrorum o l’Odissea in proposito» continuò con tono deciso «non possiamo esser certi che siano solo miti. Voi dovete vedere la realtà dei fatti che vi si presentano davanti.»
Cosa?
«La realtà dei fatti è che questo uomo era ubriaco, e che non esiste alcuna sirena!» esplosi, alzando minacciosamente il volume della voce. «Io esigo di occuparmi di processi veri e propri, non di fanfaluche come queste!»
«Le prove ci sono tutte» insisté lui, con quel tono insopportabilmente calmo. «Siete voi che non...»
«Dove? Io non vedo neanche l’ombra di una prova concreta nelle storie campate per aria che costui ci presenta in Tribunale come vere!»
Tutti si zittirono. Sapevano che non era saggio mettersi contro di me.
«La seduta è conclusa» sentenziai. «L’imputata Olympe de Chateaupers è assolta dall’accusa di Stregoneria e accusata di Alto Tradimento» feci una pausa. «Verrà prevista pertanto la confisca dei beni e l’abolizione della sua attuale carica, con conseguente perdita della cittadinanza.»
Silenzio.
«Rinchiudetela» conclusi, facendo un cenno con la mano alle guardie.
«Ho un annuncio da fare» sentii dire da una voce che suonò odiosa alle mie orecchie.
Virgile Grenonat si era alzato dal suo seggio, e guardava tutti i testimoni in aula, lanciandomi di tanto in tanto uno sguardo che non preannunciava niente di buono.
Lo fissai come per incenerirlo.
Osa, Virgile. Osa solo farlo.
Osa andare contro di me e perderai il lavoro.
Non avevo la minima idea di quello che avrebbe detto da lì a poco, davanti a tutti.
«Ci tengo a dire» cominciò, con assoluta tranquillità «che il Ministro Frollo ha tradito la sua stessa carica e i suoi stessi doveri!»
Nella sua voce, adesso, c’era rabbia e determinazione. In aula si diffuse un chiacchiericcio perplesso, mentre gli occhi di tutti, già puntati su di me, assumevano un’espressione interrogativa.
«Ebbene sì» urlò, indignato. «Claudie Gervaise Frollo, Inquisitore Supremo, Ministro della Giustizia, donna di sani principi, si era prefissata di eliminare gli zingari infesti dalla sacra città di Parigi, e ha tradito se stessa, innamorandosi di uno di loro!»
Mi sentii mancare la terra sotto i piedi.

 
 

Scusatemi, scusatemi, scusatemi per il ritardo, ma sono stata molto occupata a causa di un esame di integrazione che ho dovuto sostenere, e non ho avuto tempo per pensare a Paris. Comunque, sono contenta di essere di nuovo qui a postare questa storia, davvero.
Questo capitolo è un completo shock per Claudie. Sto male per lei, vi giuro.
Dunque, dunque, dunque ... che ve ne sembra? Probabilmente non ve lo aspettavate: non capita tutti i giorni di vedere che qualcuno è riuscito ad incastrare il Ministro Frollo, no?
Spero che si sia percepita la tensione, perché è questo lo stato d’animo che prevale nel capitolo.
Come sempre vi ringrazio per leggere e per recensire, siete una gioia.
Au revoir :)
Stella cadente

 

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Capitolo 20
*** All'alba ***


XX.
All’alba
 

Eymeric
 
 
 

Clopin mi guardava con una faccia stralunata.
«Come sarebbe a dire che eri nella residenza di Claudie Frollo?»
«Ebbene, è così» dissi io. «E non mi ha torto un capello.»
Ero arrivato alla Corte dei Miracoli la notte precedente, e non ne ero più uscito per tutto il giorno, per paura di vedere lei camminare lungo le strade di Parigi con quella sua andatura lenta e regale.
Che cosa ho fatto?
Adesso era notte fonda, e il Re dei gitani aveva fatto irruzione nella mia tenda chiedendo spiegazioni.
«Non ti avrà fatto il lavaggio del cervello, spero» fece, alzando un sopracciglio.
«No» mi affrettai a dire «solo che …»
«Cosa?»
«Dobbiamo andarcene da Parigi.»
L’uomo incrociò le braccia.
«Non se prima non mi spieghi cos’è successo. Ti ha ricattato? Ti ha minacciato?»
«No, niente del genere.»
Sbuffai e mi accasciai sul pavimento della tenda variopinta.
Clopin si sedette accanto a me e mi diede una pacca affettuosa sulla spalla.
«Dimmi ciò che ti turba, fratellino.»
«Io…»
Dirglielo o non dirglielo?
«So che c’è qualcosa» aggiunse. «Non hai fatto avvicinare nessuno, finora. E tutto questo non è da te.»
Mi aveva messo alle strette. Non avevo scelta, adesso.
«Clopin, io non so come fare.»
La mia voce doveva essere uscita fuori molto disperata, perché il Re mi guardò con una compassione che prima non aveva. Sentivo le mie sopracciglia aggrottarsi in un’espressione di puro sconforto. Dovevo avere un aspetto molto sciupato.
«Dimmi tutto.»
«Io… è successo qualcosa, tra me e...» mi faceva strano dirlo. «… e Frollo.»
«Cosa?!»
Aveva urlato talmente forte che ero sicuro che avessero sentito anche dal di fuori.
«Chiedo scusa» Antea, infatti, fece capolino nella tenda. «Tutto bene qua dentro?»
Clopin cercò, con scarsi risultati, di ricomporsi.
«Certo» disse. «Tutto per il meglio. Ora vorresti lasciarci da soli un momento?»
Mia sorella fece un cenno d’assenso col capo, poi si congedò.
«Ascoltami bene, Eymeric» fece il Re, avvicinandosi con aria seria. «Premesso che spero che tu non faccia sul serio, ti avverto: stai giocando con il fuoco. E lo sai. Sai benissimo com’è quella donna, cosa ha fatto negli anni alla nostra gente. Oramai per colpa sua siamo costretti a nasconderci come topi di fogna.»
«Lo so» replicai io, atono.
«Dimmi che è uno scherzo, che ti stai prendendo gioco di me.»
Ma doveva aver capito benissimo, guardando i miei occhi, che non era affatto così.
«Mi piacerebbe tanto poterti dire di sì, ma non è così. Dobbiamo andarcene» replicai. «Così eviteremo tutta questa storia.»
Clopin si allontanò un po’ da me. Sembrava guardarmi con occhi diversi, ed io non lo sopportavo.
«Credo che non serva» fece, dopo aver tirato in su col naso.
«Che vuoi dire?»
Ci fu una pausa, poi il Re disse:
«Frollo è stata scortata nelle prigioni del Palazzo di Giustizia ieri, verso il tardo pomeriggio. L’hanno accusata di stregoneria.»
Spalancai gli occhi.
«Che significa?» chiesi, sconvolto.
Il Re fece un sospiro e mi guardò di nuovo con quello sguardo compassionevole.
«All’alba la bruceranno su un rogo.»
 
 
****


 
Non sapevo cos’era stato a farmi correre e uscire dalla Corte, ma mentre correvo non pensavo.
Non pensavo a nulla, se non che Frollo sarebbe stata bruciata su un rogo quella stessa mattina. Avevo creduto che Clopin scherzasse, ma così non era.
Ora vedevo il Palazzo di Giustizia stagliarsi lontano, con le sue torri imponenti, scuro in quella notte fredda.
Frollo si trovava lì. Ancora stentavo a crederci.
Ma la cosa più strana, e più terribile, era che avrei dovuto essere contento del fatto che la persecutrice del mio popolo fosse stata arrestata – seppur ingiustamente – e condannata a morte.
Invece mi sentivo male.
 
 
****


 
Le celle sembravano tutte uguali. Ero riuscito ad intrufolarmi nell’enorme edificio in breve tempo, e ora mi ritrovavo a camminare lungo quei corridoi bui e umidi.
Il vago eco prodotto dai miei piedi sulla pietra era quasi inquietante. La mia vista cominciava ad abituarsi un po’ di più all’oscurità, e mi sembrò di vedere qualche topo scorrazzare negli angoli.
Passavo davanti ad ogni inferriata, controllando chi ci fosse all’interno. Vedevo uomini e donne con il corpo rovinato dalla fame, dalle malattie e dalle torture subite. Quelle stesse torture che, prima, lei infliggeva ai cittadini.
Passai quelle che mi sembrarono ore a cercarla. Fu quando arrivai ad una delle ultime celle – una di quelle in isolamento rispetto alle altre – che la vidi. O perlomeno, vidi una che le assomigliava.
Una donna era rannicchiata nell’angolo della prigione, voltata di spalle. La carnagione era pallida come la sua, i capelli scuri come i suoi.
«Ministro Frollo... ?» sussurrai.
La donna si voltò. Lo fece lentamente, come se quella semplice azione le costasse una fatica enorme.
E, quando la sua faccia venne illuminata dalla luce della luna, riuscii a riconoscerla vagamente.
Era lei, ma era cambiata. Era diversa.
Il viso era scavato, gli occhi talmente infossati da sembrare enormi e sproporzionati rispetto al resto del corpo. Le braccia erano sottili e scheletriche; notai anche che alla gamba sinistra aveva un rigonfiamento che andava dal ginocchio in giù, dove la gamba era livida e martoriata. I capelli neri – che adesso sembravano sorprendentemente lunghi – le ricadevano sciolti e arruffati lungo le spalle ossute. Sembrava che avesse sofferto la fame per anni.
Ma la cosa che mi colpì subito, fu la sua espressione. Non era quella che la caratterizzava, sprezzante e altezzosa. Era disperata, umiliata e rassegnata insieme.
L’espressione di una condannata a morte che sente avvicinarsi la sua ora.
Mi incenerì con lo sguardo, poi si attaccò debolmente alle sbarre.
«Che cosa ci fai tu qui, maledetto diavolo sobillatore?»
La sua voce uscì stanca, quasi strascicata, nulla a che vedere con quel timbro limpido, cupo e deciso che aveva di solito. Era debole, ma carica di una rabbia potente, velenosa come le sue sentenze.
Quel tono mi fece provare il vecchio terrore che un tempo avevo nei suoi confronti.
«Ho saputo ciò che è successo» mi limitai a dire.
Lei mi lanciò uno sguardo che mi fece arretrare leggermente.
«Tra poche ore brucerò su un rogo come una strega, ed è solo colpa tua. Sei venuto ad assistere alla mia morte? Oh, ma certo. È sempre stato il tuo scopo, non è vero?»
«Deve esserci un modo per tirarvi fuori di qui.»
Mi fermai.
Cosa sto dicendo? La sto… salvando?
«Che Dio ti maledica, zingaro infesto!» esplose improvvisamente, e la sua voce mi colpì come un pugno.
Silenzio.
«Avrei dovuto saperlo che mi avresti portata alla rovina. Ed invece no, ho voluto fare di testa mia, come sempre. Avrei dovuto ricordare quello che mi diceva mio padre su voi zingari. Siete tutti uguali. Tutti. E col tempo ho imparato che aveva ragione.»
«Ministro, io…» tentai ancora una volta.
«Non dire baggianate, Eymeric!»
Il cuore mi mancò un battito.
Era la prima volta che pronunciava il mio nome.
«Non fingere che ti importi qualcosa di quello che sarà il mio destino! Non mentire a te stesso! Tu saresti contento se io morissi!»
Pronunciò quelle parole con così tanta rabbia che mi fece rabbrividire. Volevo dire qualcosa, ma la lingua sembrava immobilizzata dalla forza di quella frase.
Tu saresti contento se io morissi!
«Hai architettato tutto sin dall’inizio» continuò. «Non avrei dovuto fidarmi di te» ripeté, con un’amarezza che mi fece inaspettatamente stringere il cuore. «E ad ogni modo, da una parte è un bene che io sia stata condannata, così non sarò più vittima del tuo malvagio incantesimo.»
«Sentite» dissi, deciso «vi tirerò fuori di qui, costi quel che costi.»
Lei rise.
Una risata che mi fece accapponare la pelle.
«E come pensi di fare?» fece, la voce come la lama affilata di un coltello.
«Io non voglio la vostra morte» dissi d’un tratto.
Silenzio.
«Ero sincero, quella sera.»
Lei si ammutolì, una sorpresa malcelata negli occhi color ghiaccio.
Premesso che spero che tu non faccia sul serio, ti avverto: stai giocando con il fuoco.
«Io credo veramente di essere legato a voi, signora.»
E lo sai.
«È impossibile» replicò.
Sai benissimo com’è quella donna, cosa ha fatto negli anni alla nostra gente.
«Lo pensavo anche io, sapete?»
Oramai per colpa sua siamo costretti a nasconderci come topi di fogna.
Frollo mi squadrò con occhi diversi; sembrava che mi vedesse veramente per la prima volta. Adesso non era più il Ministro della Giustizia di Parigi che aveva indetto personalmente una persecuzione contro gli zingari, ed io non ero uno di loro, quello da lei più odiato; era semplicemente una donna, ed io semplicemente un uomo.
«Non so come, non chiedetemelo… non so cosa ci sia di così diverso, rispetto a prima. Ma qualcosa c’è. Qualcosa è cambiato.»
Silenzio. Lei mi fissava con un’espressione indecifrabile, ma che in qualche modo mi fece sentire inerme di fronte a quella situazione.
Trascorsero secondi che mi sembrarono interminabili, poi la lama mi ferì di nuovo.
«Vattene» disse, inespressiva.
Obbedii subito, senza protestare.
Ma mentre mi allontanavo, mi sembrò di sentirla piangere.
 
 
                                                                                                               
****
 
 
Il rullo dei tamburi per le esecuzioni scandiva i secondi di quell’alba di inizio febbraio. Un’alba fredda, gelida.
Ero in mezzo alla folla accalcata vicino ad una pira accatastata nella piazza, formata perlopiù dal popolo e da gitani urlanti di gioia.
«Strega! A morte!» gridavano. E ogni parola mi feriva come mille coltelli.
Che cosa macabra, pensai, essere felici della morte di qualcun altro.
«Ecco la strega!» gridò  Alexandre, un ragazzo della Corte di circa sedici anni. Il mio cuore iniziò a battere così forte che lo sentii anche nelle tempie, e mi voltai di scatto.
Claudie Frollo, con il corpo orribilmente smagrito, avanzava barcollando tra la gente del popolo che la guardava con disprezzo.
«È proprio lei!» continuò Alexandre. «Ha ucciso migliaia di persone condannandole per stregoneria, quando invece era lei la strega!»
Guardai Frollo. Aveva arricciato il naso. Manteneva la sua solita espressione disgustata e guardava Grenonat – che la scortava al centro di Place de Grève – con aria di sfida, come per dire che fino all’ultimo non si sarebbe mai mostrata debole.
Fino all’ultimo secondo di vita sarebbe sempre stata il Giudice Frollo, temibile Ministro della Giustizia.
Continuai a fissarla, con gli occhi sbarrati e il cuore che impazziva, mentre veniva legata alla pira. Vestita con un semplice abito di stoffa bianco e con i capelli sciolti sembrava molto più giovane, indifesa e vulnerabile.
Sentii le gambe molli – non seppi il perché.
Grenonat prese la torcia dalle mani del boia e si avvicinò a lei, che continuava a guardarlo con disprezzo, poi si voltò verso il popolo.
«La qui presente Claudie Frollo, strega e profanatrice del suo titolo di Ministro, ha rifiutato l’esilio. Con ciò» guardò Frollo con occhi fiammeggianti di rabbia «mi accingo, adesso, ad eliminare una volta per tutte questa traditrice dalla nostra città!» disse, con la sua voce di serpente.
Abbassò la torcia e il fuoco divampò, dando vita ad una danza che anneriva la legna e che avrebbe annerito anche il suo corpo.
Per la prima volta, guardandola bene, notai il terrore sulla faccia di Claudie Frollo nel vedere che le fiamme si avvicinavano sempre di più a lei.
Non volevo assistere a quell’orrendo spettacolo. Non potevo starmene lì con le mani in mano. Sarei andato contro il mio popolo, ma dovevo fare qualcosa.
Saresti pronto a farti nemica persino la tua gente, Eymeric?
Non ci pensai un attimo. Non appena vidi che lei cominciava a tossire e perdere conoscenza, mi lanciai verso la pira, sgomitando tra la folla, scansando donne, uomini, ragazzi, non mi importava chi. Quando fui abbastanza vicino spiccai un salto fino ad arrivare sulla pedana, e sotto gli occhi stralunati di Grenonat attraversai le fiamme, slegai Frollo e la presi in braccio, semisvenuta.
Sentii la voce del Ministro urlare: «Guardie! Prendetelo! È lo zingaro con cui la strega ha complottato!» e cominciai a correre più veloce che potevo, finché non fui certo di averli seminati. Era tutto confuso; il calore del fuoco che mi aveva toccato poco prima mi aveva disorientato, ma guardandomi alle spalle mi sembrò di vedere Clopin che aveva attirato l’attenzione dei soldati, guidando i gitani in una rivolta contro Grenonat. Forse era vero, forse no, ma al momento sapevo solo che dovevo correre.
Era come se i miei muscoli si muovessero da soli, non riuscivo nemmeno a sentire la stanchezza.
L’unica cosa che sapevo, mentre mi sembrava di sentire ancora il fuoco catturarmi le gambe come una trappola, era che dovevo portare Frollo alla Corte dei Miracoli, dove sarebbe stata più al sicuro.
Al resto avrei pensato dopo.

 
 
Eccoci qui, al capitolo 20 :D
È stato un parto scriverlo, ma alla fine ce l’ho fatta. Come vedete la situazione sta sfociando sempre più nel drammatico,e  di complicazioni ce ne sono a bizzeffe; non crederete mica che Eymeric la passerà liscia, giusto?
Il capitolo aveva lo scopo di essere ricco di pathos e di scene evocative.  Non so se sono riuscita ad ottenere questo effetto, anche perché l’ho riletto talmente tante volte che ora come ora non saprei proprio dirlo. In compenso però, dal punto di vista del contenuto mi è piaciuto scriverlo: raccontare la scena del dialogo tra Claudie e il nostro amato zingaro mi ha emozionata un sacco.
Detto ciò, aspetto i vostri giudizi; specialmente a questo capitolo tengo davvero tanto. Quindi fatevi sentire, miei prodi!
Alla prossima,
Stella cadente

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Capitolo 21
*** La Corte dei Miracoli ***


XXI.
La Corte dei Miracoli
 
Claudie
 

Tutto sembrava sfumato. Vedevo la realtà circostante come un’indefinita giostra di colori in cui sentivo voci ovattate e grida lontane. Stava succedendo qualcosa, lo percepivo – qualcosa che aveva suscitato un grande clamore a Parigi, ma non sapevo cosa.
Avevo la vaga sensazione che qualcuno mi stesse trasportando. Ero forse già morta? Ero forse nelle mani di Dio?
Provai a dire qualcosa, ma non riuscivo a trovare le labbra. La voce non usciva.
Mi rassegnai e mi lasciai avvolgere dalle tenebre, sperando di vedere la luce.
L’ultima cosa che sentii fu il battito di un cuore grande e pulsante, che accompagnava quel mio torpido sonno.
 
 
****
 
 
«Signora… Signora, siete sveglia?»
Una voce bellissima, calda e vagamente roca mi svegliò poco a poco. Sentivo un chiacchiericcio fitto intorno a me, persone che parlavano. Sembravano agitate, da quel che mi era concesso capire.
Volevo chiedere dove mi trovassi, ma dalla mia gola uscì solo un verso appena udibile.
«State bene?»
Di chi era quella voce? Era così bella, così cullante…
Strizzai gli occhi, poi li aprii lentamente e misi a fuoco il volto di…
«Eymeric?» la voce mi uscì debole e scheggiata.
Lo zingaro mi guardò con un’ombra di ansietà negli occhi.
«Come vi sentite?»
Ero in una stanza – una specie di tenda, forse – molto colorata, su un letto di cuscini variopinti che non mi erano affatto familiari.
Di sicuro non ero nella mia stanza al Palazzo di Giustizia.
«Io… bene, suppongo» dissi solo. «Dove mi trovo?»
Lui si schiarì la voce:
«Alla Corte dei Miracoli, signora.»
«Uhm» mugugnai distrattamente.
La Corte dei Miracoli, sì.
Poi realizzai.
«Hai detto la Corte dei Miracoli? Ho sentito bene?»
Avevo passato tutta la mia carriera a cercare ossessivamente la Corte dei Miracoli, il covo della feccia della feccia dell’umanità. Ladri, tagliaborse, zingari… erano tutti lì, intorno a me.
Ecco chi era che parlava.
Al suono della mia voce li sentii tutti immergersi in un religioso silenzio.
«Sì, signora. Siete alla Corte dei Miracoli» lo sentii dire.
Spalancai di colpo gli occhi, e vidi una decina di gitani – come minimo – sussultare violentemente. Molti di loro lanciarono sguardi perplessi e sospettosi ad Eymeric. Non mi stupii: per quindici anni avevo perseguitato il loro popolo, uccidendoli come fossero bestie.
«Cosa
«Sentite» cominciò «vi ho portata qui perché…»
«Che ne è stato del rogo? Come ho fatto a giungere fin quaggiù?»
«Se mi ascoltaste, forse sapreste» ribatté lui, con una punta di acidità nella voce «che sono stato io a salvarvi dal rogo e a portarvi qui, mentre voi eravate svenuta.»
«Eccellente, zingaro. Ti ringrazio. Adesso dovrò vivere da fuggiasca, da infima esule!»
Avevo provato ad urlare, ma la mia voce era ancora troppo indebolita dal fumo che avevo respirato.
«Avrei preferito la morte!» rantolai, portandomi faticosamente un braccio sugli occhi.
Il brusio riprese. Mi sembrava di avere uno sciame d’api tutt’intorno, che ronzava senza sosta.
Eymeric non disse nulla. Quando spostai il braccio, lo vidi fissarmi con un’espressione accigliata sul suo volto perfetto.
«Io vi ho strappata via alle fiamme, perdio! Non mi ringraziate nemmeno e mi trattate anche così?»
Silenzio.
Come osi!stavo per dire.
Vidi i suoi occhi verdi assumere un bagliore che non mi piaceva. Intanto i gitani continuavano a fissarmi come fossi un abominio, calati di nuovo in quel silenzio sepolcrale.
«Vorrei delle scuse» disse poi, inarcando un sopracciglio. La piccola folla intorno a lui lo guardò con tanto d’occhi, tremando. Sentii qualcuno emettere un singhiozzo di paura.
«Sto aspettando» continuò.
Mi stai imitando, gitano?
«Che cosa stai facendo?» sibilai, incenerendolo con lo sguardo.
«Io? Niente, signora» disse, fingendo innocenza. «Assolutamente niente.»
Alzai le sopracciglia, guardandolo scettica.
Silenzio.
«Allora?» insistette.
Mi guardai intorno. Decine di occhi mi guardavano impauriti. Decine di zingari mi circondavano. Ed io non avevo più alcun potere.
Sono in un territorio nemico. Meglio fare buon viso a cattivo gioco.
Mio malgrado mi schiarii la voce, poi dissi, formale:
«Ti ringrazio» poi, a denti stretti «e… scusami.»
Ci mancò poco che i gitani non svenissero seduta stante. Già immaginavo i pensieri che scorrevano nelle loro teste: “il Giudice Frollo ha porto le sue scuse ad uno di noi…”
«Bene» fece lui con un sorriso vittorioso. Adesso siamo pari, sembrava dire. «Ora vi lascio riposare… ne avete bisogno.»
Non dissi nulla. Ad occhi chiusi, avvertii gli altri zingari allontanarsi e ronzare ancora – api, mi venne di nuovo da pensare.
«Anzi» aggiunse il ragazzo. Con gli occhi semiaperti lo vidi far capolino dall’entrata della tenda, con un sorrisetto impertinente. «È meglio se ti riposi.»
Come osi darmi del tu, stregone della malora…
«Comunque non ci rivedremo tra molto, Claudie.»
Mi sembrò di essere tornata alla Festa dei Folli, quando lui mi aveva sbeffeggiata pubblicamente, e mi sentii ribollire il sangue nelle vene.
Sospirai, irritata, girandomi lentamente su un fianco – il mio corpo sembrava esser diventato improvvisamente di pietra.
Va’ al diavolo, maledetto zingaro.
 
 
Mi svegliai nel silenzio. Mi sentivo il corpo intorpidito, anche se mentalmente ero più lucida.
Provai a mettermi a sedere e, con mia grande sorpresa, mi sentii infinitamente leggera.
Sospirai. Ero alla Corte dei Miracoli. Ancora non ci credevo… e, con quello che era successo, non sapevo se considerarlo un bene o un male.
Mi guardai intorno. Adesso riuscivo a vedere ciò che mi circondava più nitidamente: mi trovavo in una tenda – avevo visto bene, prima – molto colorata, alta e spaziosa, su un letto formato quasi interamente da cuscini di diverse e variopinte stoffe cucite insieme alla bell’e meglio. Tutt’intorno vi erano oggetti strani: scatoline colorate, acchiappasogni e tazze da cui usciva uno strano fumo blu. Dovunque era disegnato un inusuale simbolo – lo stesso che Eymeric aveva tatuato sul petto.
Vidi anche alcuni gioielli (sicuramente rubati), sparsi malamente in un angolo. L’aria era pervasa da un vago odore di incenso.
Ero alla Corte dei Miracoli.
Il loro covo. La tana di quegli individui abominevoli a cui per tanti anni avevo dato la caccia.
Chissà chi c’era stato, prima di me, su quella specie di letto…
Arricciai il naso, disgustata. Non volevo pensarci.
Ad un tratto un moto d’ansia mi pervase: che ne era stato di Grenonat? Cosa era successo a Parigi? Doveva esserci stata una rivolta…
Non osavo pensare a cosa il mio salvataggio – da parte di uno zingaro, poi! – avesse provocato in città. Avevo acceso una scintilla che ora avrebbe fatto fuoco e fiamme. Non sarei mai più tornata in carica. E adesso mi trovavo in un accampamento gitano, più morta che viva.
Mi venne da piangere per la frustrazione. Che cosa avrei fatto, ora che mi trovavo senza incarico e per di più etichettata dal popolo come strega?
«Ah… Vi siete svegliata?»
Alzai lo sguardo al suono di quella voce.
Eymeric se ne stava sul ciglio della tenda, come se avesse paura di disturbarmi.
«Sì» feci, senza troppi complimenti. «E ora esigo che tu mi racconti esattamente che cos’è successo.»
Il mio tono di voce era molto autoritario, ma non sembrò spaventarlo. Ciò mi dette ai nervi.
«Beh… non c’è molto da dire» ancora quell’espressione indispettita. «Voi stavate per morire, io vi ho salvata e vi ho portata fino a qui – l’avevo detto, d’altra parte, che non volevo la vostra morte. Non mi sembra difficile da capire» disse con impertinenza.
«Ti proibisco di rivolgerti a me in questo modo, maledetto zingaro infes …»
«Dal momento che il giaciglio su cui siete sdraiata è il mio, non mi sbilancerei troppo fossi in voi, giudice Frollo» mi interruppe, canzonandomi spudoratamente.
Mi ammutolii. Quello era il suo letto?
Oh, Dio, aiutami.
Mi sforzai di non dare a vedere l’imbarazzo e dissi, semplicemente:
«Per quanto tempo dovrò restare qui?»
Eymeric sembrò turbato da quella domanda.
«Non lo so» aggrottò le sopracciglia scure e folte, che davano al suo sguardo una profondità spettacolare. «Finché non ti sarai rimessa completamente, credo.»
Sentii i lineamenti indurirsi. Da chi aveva ottenuto il consenso, tutto d’un tratto, di darmi del tu, come se fossi una sua pari?
Allora lo fai di proposito, razza di demonio.
Cercai di nascondere la stizza e di concentrarmi su quello che aveva da dire.
Buon viso a cattivo gioco, Claudie.
Buon viso a cattivo gioco.
«Ma c’è di più. Clopin mi ha dato il permesso di portarti qui. Per ora sei al sicuro; nessuno sa dove ti trovi… ma a Parigi le cose non vanno per niente bene.»
Attesi che proseguisse; il silenzio tra noi era diventato quasi elettrico.
«Sta infuriando quella che si può definire una battaglia. Gli altri gitani non volevano che ti tenessi alla Corte… ho dovuto insistere parecchio.»
E come dar loro torto? Per quel che ne sapevo, di recente avevo ucciso gran parte dei loro cari.  
«Ma per me» proseguì «era inaccettabile lasciarti lì.»
Non ero preparata a quella frase.
Sentii come se il cuore mi si stesse sciogliendo, ma mi ricomposi velocemente.
«E dunque?» incalzai. «Che sta succedendo?»
Il ragazzo assunse un’espressione grave.
«Grenonat è impazzito. Sta mettendo Parigi a ferro e fuoco, pur di trovarti. Ha incrementato la persecuzione contro di noi, e quasi un centinaio di gitani sono già stati deportati al Palazzo di Giustizia tra questa notte e l’alba – è diventato molto simile a te, a pensarci.»
L’ultima frase venne pronunciata con un odio antico, ormai cicatrizzato.
Mi stranì sentirlo parlare in quel modo.
«Clopin sta conducendo qualche rivolta su mia richiesta, ma non so quanto potrebbe durare. E soprattutto» concluse, dopo un sospiro  «quanto possa servire a fermare tutto questo.»
Un moto di intensa preoccupazione mi assalì. La sensazione mi ricordò molto quella che provai mentre pensavo ad Eymeric davanti al caminetto, dopo la Festa dei Folli.
Mi sembrava che da quella sera, risalente in realtà a poco più di un mese prima, fossero trascorsi secoli.
«Che significa tutto ciò?» chiesi, allarmata.
Eymeric mi guardò intensamente, come se fosse consapevole del fatto che le sue parole avrebbero potuto ferirmi in qualche modo.
«Grenonat ha assunto il controllo dell’intera Corte di Giustizia. Al suo servizio ha tutte le guardie e i soldati disponibili ed ha avviato una missione di ricerca il cui obbiettivo sei tu.»
Non mi starai dicendo che…
La situazione mi sembrava fin troppo familiare.
«Adesso è lui l’Inquisitore Supremo» concluse. «Siete stata spodestata, signora.»

 

SBAM. Claudie Frollo, temutissimo Inquisitore Supremo, è stata spodestata. Bel colpo, non trovate?
Per il momento il nostro Giudice si trova alla Corte dei Miracoli *mentre Stella cadente scrive, si sente Claudie fare un verso schifato*, e sta bene – più o meno. Ma prossimamente? Come credete che reagirà?
Non so perché, ma scrivere questo capitolo mi è molto piaciuto. Spero di non avervi annoiato :)
Alla prossima,
Stella cadente
PS Mi sono piaciute troppo le scene in cui Eymeric punzecchia Claudie. Sono troppo belli quei due, aiuto *_*

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Capitolo 22
*** A Parigi ***


XXII.
A Parigi

 
Olympe
 
 
 
«Siete la signorina de Chateaupers, vero?»
Guardai l’uomo che mi stava davanti con diffidenza, poi feci un segno di assenso.
Virgile Grenonat, a quanto ne sapevo, era anche più vecchio di Claudie Frollo, ma si conservava insolitamente bene per avere più di quarant’anni.
«Benissimo. Sono spiacente per il processo, credo che il precedente Inquisitore sia stato un po’ … intransigente, per tutti questi lunghi anni. Dico bene?»
Lo guardai. Non sapevo cosa rispondere.
A che gioco state giocando?
Mi schiarii la voce: dovevo pur dire qualcosa, in fondo.
«Sì» feci. «Presumo di sì».
Grenonat sorrise – un sorriso che mi sembrò stranamente accomodante.
«Signorina de Chateaupers» esordì. «Non sentitevi in soggezione, quando parlate con me. Frollo è stata spodestata ormai, non c’è ragione di avere questo atteggiamento.  Ma badate bene» mi avvertì «non vi sto dicendo che voi possiate comportarvi in maniera informale, nei miei confronti.»
«Sì, signore. Lo so».
Grenonat sorrise di nuovo.
«Sono certo che andremo molto d’accordo, signorina de Chateaupers. Eppure devo chiedervi» continuò «perché tutto quel trambusto, al processo».
Silenzio.
«Ho saputo che siete stata sottoposta alla prova del grano, che si è rivelata negativa».
Quella frase riportò alla mia memoria tutti i soldati che mi accerchiavano, il capitano di Montespan che gridava minacce di morte, gli uomini che ridevano, che mi picchiavano e mi additavano. Era stato umiliante.
Ero stata liberata da poco, sotto l’ordine di Grenonat, e ora mi trovavo nel suo studio – nello studio che prima era quello di Frollo. Mi guardai le braccia: ero ricoperta di lividi.
«Sì» ebbi la forza di dire, dopo aver preso un sospiro. «È così.»
Grenonat assottigliò gli occhi, come se stesse temendo che dicessi il falso.
«Sapete, signorina de Chateaupers» disse poi «per quel che ne so, voi eravate quanto più vicino fosse a Claudie Frollo, all’interno della Corte di Giustizia.»
Ecco dove voleva arrivare, il farabutto.
«Pertanto» continuò «devo chiedervi di affiancare me adesso, così come avete affiancato lei, in qualità di Viceministro della Giustizia.»
Pausa.
Viceministro? Cosa?
Non avevo ancora realizzato quello che mi aveva appena detto.
«Se non siete disposta a farlo, vorrà dire che potrei pensare che … anche voi tramiate qualcosa» aggiunse, con l’ombra del sospetto nella voce da serpente.
«Sono disposta, signore.» dissi solo. Sentivo un rivolo di sudore freddo scivolarmi lungo la tempia. «Volevo semplicemente vedere se avevate da aggiungere altro.» conclusi.
«Benissimo» si rallegrò l’uomo. «Allora devo spiegarvi delle cose, signorina de Chateaupers. Potrei chiamarvi Olympe?» chiese poi.
«Come volete, signore» dissi io in tono piatto.
«D’accordo. Olympe» cominciò. «Il piano che ho in mente, e che sto per spiegarvi, deve essere molto preciso e mirato. Come sapete, Frollo aveva già pensato allo sterminio degli zingari, alla loro eliminazione dalla nostra sacra Città» disse. «Tuttavia, abbiamo appena scoperto che non si è dimostrata all’altezza del suo compito; non solo non lo ha mantenuto, ma ha profanato il suo stesso nome e la sua stessa carica.» la voce gli si intrise di quello che sembrava disgusto.
Non fiatai.
«E dunque» concluse «chiedo a voi di occuparvi di questa missione.»
Come, prego?
«Accanto a me diventerete molto grande, Olympe» aggiunse. «Voglio fare in modo che abbiate prestigio, qua dentro. Anche se» convenne «non credo ci si possa più fidare di nessuno, oramai.»
Quello che diceva non mi tornava. Mi era già sembrata abbastanza rivoltante l’idea di dover cacciare, imprigionare e uccidere gli zingari, ma ora mi chiedevo: qual era il vero obiettivo di Grenonat? Che cosa avrebbe fatto quell’uomo, mentre io avrei macchiato le mie mani di sangue innocente?
Ero combattuta. Chiederlo, oppure no?
Ora che ero Viceministro accanto ad un’altra persona, non sapevo come funzionassero le cose, e sebbene la mia carica fosse prestigiosa avvertivo un brutto presentimento.
«Voi che cosa farete, signore?» mi sbilanciai alla fine.
Sul volto di Virgile Grenonat apparve un sorriso che non mi piacque per niente.
«Speravo che me lo avreste chiesto, Olympe» disse, raggiante. «Io ovviamente mi occuperò della Corte.»
Aggrottai le sopracciglia. Subito dopo, Grenonat assunse un’aria determinata.
«Se Frollo ha tradito la sua professione di Giudice, allora potrebbe averlo fatto chiunque.» spiegò.
La cosa cominciava a non piacermi.
«Che significa?»
Il giudice piantò i suoi occhi verdi nei miei.
«Significa che tutti i membri della Corte di Giustizia subiranno un interrogatorio. E poi» disse «dovrò radunare un esercito per cercare Claudie Frollo.»
Ero impietrita, come se avessi messo le radici nel pavimento.
«Perché?»
Era la domanda più stupida che potessi fare – difatti, il giudice mi guardò torvo – ma al momento non me ne venivano in mente altre.
«Non penserete che quella traditrice possa scappare così?» chiese, retorico. «In tal caso, vi invito a rinnovare la vostra idea, Olympe. Acciufferò quella criminale e la vedrò bruciare con i miei occhi. Lei e quello sporco zingaro a cui si è unita.»
Deglutii.
Le cose cominciavano a mettersi male.
 
****
 
 
Parigi era in fiamme. La guardavo in tutta la sua magnificenza, dall’alto della torre che mi era stata già riservata da Grenonat al Palazzo di Giustizia; sembrava un quadro dell’Apocalisse, con tutte quelle colonne di fumo che si levavano dalle case e dagli edifici. Notre-Dame era accerchiata da volute scure e i falò erano così numerosi da aver tinteggiato il cielo di un cupo rosso rame.
Sospirai; non potevo fare niente per fermare tutto ciò.
Ormai da ore ero chiusa in quella stanza, schematizzando di malavoglia i posti per le pattuglie che il giudice mi aveva affidato per la caccia agli zingari.
Qui la questione si faceva seria. Fin troppo. Ma avevo le mani legate: non avrei mai potuto oppormi a Grenonat, se non volevo fare la stessa fine di tutti quei disgraziati rinchiusi nelle segrete del Palazzo.
Guardai l’orologio: a breve avrei dovuto cominciare. Sentivo il cuore battermi forte in gola. Io non volevo farlo.
Sospirai e uscii dal mio studio, cercando di non mettermi a piangere mentre mi recavo a radunare i soldati.
 
 
Cavalcai con finta calma nei sobborghi di Parigi; dietro di me, un’ordinata fila di uomini.
«Grenonat mi ha dato l’ordine di condurre una spedizione contro gli zingari. Voi siete abituati a questo, no?» chiesi, mentre i soldati mi fissavano – alcuni con troppa insistenza.
Silenzio.
«Bene» dissi, con tono risoluto. «Cercatene più che potete, e portateli al Palazzo di Giustizia. Mi occuperò io di loro».
Gli uomini si dileguarono, mentre io mi addentravo nelle strade con una piccola squadra a seguito, al galoppo su Achille che mi guardava contrariato.
 
 
Dopo circa un quarto d’ora vidi una ragazza.
Una zingara.
Mi salì un groppo alla gola, sapendo quello che dovevo fare – sapendo cosa avrei fatto.
Un soldato mi guardò, come per ricevere un segnale. Feci un cenno di assenso.
«Prendetela» dissi poi, diretta agli uomini, che si lanciarono subito su di lei.
Sarebbe scappata più veloce del vento, se solo avesse avuto il tempo necessario per farlo. Sarà stata sui venticinque anni; era alta, con lunghi ricci neri e un’aria sbarazzina. Sul suo volto, tuttavia, era poggiata un’espressione smarrita, preoccupata quasi. Ma non era per il fatto di essere stata avvistata e circondata, si vedeva. Era per qualcos’altro, perché riservava ai soldati uno sguardo di puro e sfacciato coraggio.
Assomigliava a qualcuno …
Spalancai gli occhi, mentre lei si dibatteva con tutte le sue forze per sfuggire – inutilmente – agli uomini che la accerchiavano.
È la sorella di Eymeric.
L’avevo vista alla Festa dei Folli, me la ricordavo benissimo.
Quando finirà tutta questa crudeltà?
«Portatela nelle segrete.» feci, impassibile.
Fu in quel momento che lei mi guardò. E mi riconobbe, perché aggrottò le sopracciglia e i suoi occhi verdi – così simili a quelli del fratello – si riempirono di quella che sembrava paura mista a delusione.
«Voi …» sussurrò.
Feci un cenno ad uno degli uomini che le stavano più vicino e quello la immobilizzò mettendole delle manette.
«Adesso vedrai come ti diverti, carina …» le sussurrò. La zingara – mi sembrava si chiamasse Antea – fece una smorfia di disgusto.
«Non osate trattarmi come fossi una …» cominciò lei.
«Silenzio» ordinai, voltandomi. «Non voglio che nessuno dica neanche una parola fino a che non saremmo arrivati. Chiaro?»
Antea si limitò a chinare il capo, mentre il soldato si zittì.
 
 
****
 
 
Era calata la notte, e non riuscivo a dormire.
La vergogna che avevo di me stessa era troppa. Le atrocità a cui dovevo assistere erano troppe.
Grenonat si era divertito molto con Antea; la povera ragazza, una volta che il giudice aveva scoperto che era la sorella di Eymeric, era stata sottoposta alla tortura dello stivaletto, e poi messa alla gogna, sotto gli occhi di tutti che la additavano e la deridevano, la guardavano e la esaminavano, come fosse uno strano animale, per quattro giorni. Sapevo, in un certo senso, cosa si provasse, ed era orribile.
Avevo sentito le sue urla, mentre le spaccavano le ossa con quell’arnese. Avevo sentito gli insulti che rivolgeva al suo aguzzino, il modo in cui coraggiosamente non aveva mai supplicato, ma in cui il dolore l’aveva piegata, attimo dopo attimo.
E poi l’umiliazione, in piazza, di fronte a Notre-Dame, afflosciata su se stessa, con le gambe che le dolevano ad ogni passo e le ossa che premevano contro la pelle per uscire.
Le lacrime onnipresenti, seccate in quegli occhi ormai spenti e vuoti.
Uno spettacolo straziante.
Mi veniva spontaneo chiedermi se anche Frollo usasse quei metodi, con gli zingari. Io ne ero sempre stata all’oscuro, e preferivo che rimanesse così.
Da quando Grenonat aveva cominciato la sua caccia, Parigi non era più la stessa – in confronto, anche quando al comando c’era Frollo sembrava un luogo più pacifico. Gli zingari venivano perseguitati, ma con loro anche i comuni cittadini. Ogni giorno gli interrogatori si susseguivano in una giostra incessante. Grenonat diventava più paranoico col passare dei minuti ed io non riuscivo a vedere un’uscita in tutto questo.
L’unica cosa che potevo fare, era sperare.
Un mese prima non l’avrei mai detto, ma speravo che, in qualche modo, Claudie Frollo riuscisse a tornare in carica.
Fissai il soffitto, tentando con tutte le mie forze di respingere le immagini del viso scarno di Antea che non mi permettevano di dormire.
Ormai risiedevo stabilmente nell’ala principale del Palazzo di Giustizia. Grenonat aveva molto apprezzato la mia efficienza, e mi aveva rivelato che probabilmente avrebbe avuto per me un incarico da Giudice.
Era un sogno che si coronava per me, ma in quel contesto sembrava più un enorme incubo da cui speravo di svegliarmi il prima possibile.
Eymeric lo avrà già saputo che sua sorella è stata deportata …
Chissà come si sente.
Mi odierà.
Eymeric mi odierà.
Che cosa ho fatto …?
Strizzai gli occhi e feci come per rigirarmi dall’altra parte, ma dei rumori provenienti da fuori attirarono la mia attenzione.
Era un vociare, che io sentivo ovattato per via dell’altezza della torre, ma dal tono non sembrava affatto una discussione amichevole, e questo mi allarmò.
Soprattutto quando distinsi chiaramente la voce fine e temibile di Virgile Grenonat.
Mi alzai, con gambe tremanti, e mi avviai verso la grande finestra che dava su tutta Parigi, rabbrividendo di continuo per quello che probabilmente avrei visto. Mi affidai alla luce della luna: non mi portai una torcia, perché non volevo attirare l’attenzione.
E, quando vidi cosa stava succedendo, ebbi la conferma che sì, sarebbe stato meglio così.
L’ Inquisitore stava ordinando a cinque uomini del suo esercito di portare nelle segrete del Palazzo una donna, che cercava di spiegare – cosa? Che stava succedendo?
Ma fu quando mi resi conto di chi fosse l’imputata che provai una fitta orribile e improvvisa di paura, che mi arrivò fino al cervello – e, al tempo stesso, capii perché Grenonat mi avesse promesso un incarico più elevato.
Riconobbi subito la sagoma magra e slanciata, i capelli biondi, la carnagione pallida. E una toga da Giudice.
Quella era Marguerite Rousseau.
Una della Corte di Giustizia.

 
 
 
 
  
Questo capitolo è stato un po’ un minestrone di eventi, ma spero che sia comunque risultato sufficientemente chiaro.
Olympe si trova in una posizione di svantaggio: non sa come fare, mentre sotto il controllo di Grenonat Parigi sta andando a scatafascio, arrivando persino a vedere nelle segrete del Palazzo di Giustizia gli stessi Giudici. Claudie Frollo sembra essersi volatilizzata e – ahimè, da questo potrete ben capire quanto sia grave la situazione – la nostra protagonista rimpiange il periodo in cui a dettare le regole era il nostro Inquisitore Supremo, ora spodestato.
Antea, la sorella di Eymeric, viene catturata e torturata. E adesso potrete ben capire come reagirà il nostro coraggioso (e decisamente impulsivo) zingaro, una volta appresa la notizia …
In poche parole: un bel casino.
Spero, come sempre, che comunque vi sia piaciuto :)
Alla prossima,
Stella cadente

PS Vorrei ringraziare  tantissimo Helen_TheDarkLady per essersi offerta di fare un collage e per aver fatto la meraviglia qua sotto. Quando ho visto questa immagine ho capito che è solo grazie a voi se questa storia è quello che è. Mi sembra ieri che ho postato il primo capitolo, con la convinzione che pochi avrebbero recensito. Sono quasi cinque mesi che la scrivo, e in questi cinque mesi Paris è diventata grande grazie a voi lettori, che mi spronate ad andare avanti.
Siete meravigliosi.
GRAZIE MILLE.






 

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Capitolo 23
*** Quando la situazione precipita ***


XXIII.
Quando la situazione precipita
 
Nina
 
 
Odiavo sentirmi così impotente. Nascosta nel campanile, vedevo Parigi volgere alla distruzione man mano che il tempo passava. Ogni giorno una nuova colonna di fuoco si sollevava nel cielo, in un tripudio di scintille scarlatte.
Dov’era Eymeric? E Olympe? Era Frollo che stava facendo tutto questo?
Che cosa le era preso?
Non ne sapevo niente, ma qualcosa mi diceva che avrei dovuto rimanere nella cattedrale, al sicuro, finché non avessi avuto notizie di uno dei miei due amici.
Eppure il tempo passava ed io ero sempre più ansiosa.
Claudie Frollo non era più venuta, e ciò mi inquietava. Che cosa stava combinando?
Guardai distrattamente il cielo oscurato da nubi, con gli occhi di chi non può fare niente per cambiare le cose e ne è perfettamente consapevole. Avrei dovuto tentare la fuga, andarmene in un’altra città?
Forse Eymeric e Olympe erano già morti, sopraffatti dalla furia di Frollo …
Scossi la testa, come a volermi liberare da quel pensiero. No. Non poteva essere.
Un colpo risuonò improvvisamente alle mie spalle e sobbalzai. Presi subito a tremare: forse era la mia tutrice, che era giunta fino a lì per condannare anche me, insieme ad Eymeric e Olympe.
Mi preparai al peggio. La paura mi rese immobile come una statua e le mani presero a tremarmi. Presto avrei ricevuto la mia punizione, e non avrei potuto fare nulla per evitarla.
La porta della stanza in cui mi aveva relegata Frollo era blindata con ferri e ganci, ma qualcuno la stava sfondando.
Un brivido mi scosse la schiena: chi c’era, dall’altra parte?
Forse era il boia, uno dei suoi uomini, che prima di finirmi mi avrebbe torturata fino a farmi implorare pietà …
«Nina!» sentii risuonare una voce familiare. «Sono io.»
Olympe.
Il cuore prese a battermi forte. Corsi subito ad aprire la porta.
Non era possibile.
«Olympe!» esclamai.
Non appena mi trovai davanti la mia amica, stentai a riconoscerla. Aveva un’espressione tetra su quel viso su cui avevo sempre visto un sorrisetto ironico, gli occhi cupi.
«Che cosa ti è successo?» le chiesi, inorridita.
«Dobbiamo parlare» disse, con voce grave. «Ci sono delle cose che devi sapere.»
 
 
 
Eravamo in cima alla cattedrale, dove ci trovavamo sino a soltanto qualche giorno prima.
Solo che adesso la mia amica era diversa.
Olympe guardava quel cielo color rubino come se fosse assorta, come se pensasse che era solo colpa sua se Parigi stava bruciando.
Ma io sapevo che non lo era. Non poteva esserlo.
«La situazione sta precipitando» prese parola poi, dopo un sospiro stanco. «Parigi non è più la stessa, oramai.»
«Cioè?» chiesi. Vedere Olympe in quello stato mi distruggeva.
«Nina … le atrocità a cui ho dovuto assistere … io …»
Aveva le lacrime agli occhi. Che cos’era ad averla ridotta così?
In quel momento, era come se il suo dolore fosse diventato il mio. Sentii gli occhi inumidirsi improvvisamente.
«Sediamoci» dissi, invitandola a sedersi per terra.
Olympe si lasciò cadere sulla pietra, con lo sguardo lontano.
Poi prese un respiro, e disse:
«Adesso sono Giudice, Nina.»
Cosa?
Mi sentii tradita, per qualche strano motivo. Olympe Giudice? Che storia era mai questa?
Attesi che proseguisse. Qualcosa mi diceva che la mia amica aveva bisogno di parlare, senza che nessuno la interrompesse.
«Lo so, sembra il sogno di tutta una vita. Era quello che volevo, occupare un posto importante nella società parigina. Ma, quello che è successo perché lo diventassi…»
La voce le si ruppe improvvisamente.
«Non lo sono diventata in maniera onesta, capisci?»
La guardai. Stava piangendo.
Olympe stava piangendo.
«Grenonat ha informato il Re che la città è piena di traditori» pronunciò al parola ‘traditori’ come se fosse dolorosa «e si è fatto nominare Inquisitore Supremo dal Papa. Adesso ha anche l’autorizzazione a nominare nuovi Giudici, e così … eccomi qui. Giudice per la morte di un altro.»
Le sue parole ebbero su di me lo stesso effetto che avrebbero avuto mille paletti conficcati nella pelle. Non dissi nulla.
Olympe si passò una mano tra i capelli biondi.
«Marguerite Rousseau – un Giudice della Corte di Giustizia – è stata impiccata stamattina in Piazza di Grève. Io … io ero lì quando Grenonat l’ha uccisa.»
Mi portai una mano alla bocca, inorridita.
«Ho fatto uccidere una persona, Nina» continuò lei, con voce assente. «Ho deportato zingari, li ho fatti torturare e mettere alla gogna. C’era lei … Antea …»
Antea?
Quel nome non mi era nuovo, ma non riuscivo a ricordare dove l’avessi sentito.
«Era la sorella di Eymeric» disse poi, soffocando un singhiozzo. «E io l’ho presa e lui l’ha torturata …»
La racchiusi in un abbraccio. Sembrava fuori di sé.
«Troveremo una soluzione, Olympe» la rassicurai.
«No» fece lei «non c’è. Non posso fare nulla, perché adesso sono al servizio di Grenonat e mi ha dato un compito ben preciso da svolgere.»
«Che cosa è successo, esattamente?» chiesi.
Silenzio.
«Se ti va di raccontarmelo.»
Olympe mi guardò in modo strano. Sembrava che avesse paura di urtare la mia sensibilità, rivelandomi ciò che stava accadendo alla Corte di Giustizia.
Infatti, poco dopo, una domanda di cui non ero sicura di voler sapere la risposta si fece strada nella mia mente.
«Aspetta un attimo. Che ne è stato di Frollo?»
Grenonat ha informato il Re che la città è piena di traditori.
Grenonat …
Chi è Grenonat?
Fino a quel momento avevo pensato a come avrei potuto consolare la mia amica e farla stare meglio, senza prendere seriamente in considerazione quello che mi stava dicendo.
Ma ora che ci riflettevo …
Che cosa era successo alla mia tutrice?
«Frollo è stata spodestata, Nina.»
«Cosa?»
Ero incredula.
«C’è stato un processo. Ci hanno scoperte, a me e a te. Io sono stata accusata di stregoneria, perché Roland è andato a dire quello che era successo nelle segrete a Frollo. Frollo ha indetto un processo, ma, anche se non ho ben capito perché, sembrava che ti stesse coprendo. Ma dopo poco, l’attenzione si è spostata tutta su di lei. Grenonat – un Giudice della Corte – l’ha accusata di Alto Tradimento e Stregoneria.»
«Un Giudice può muovere accusa contro un altro Giudice?»
«È questo il punto.» aveva ancora gli occhi arrossati dal pianto, ma la sua voce aveva acquistato di nuovo una parvenza del suo tono deciso e determinato. «Non lo so. Secondo me c’è qualcosa di più sotto a tutto questo.»
Silenzio.
«Ma non è tutto. E tieniti forte, Nina, perché la cosa potrebbe lasciarti scioccata. Come del resto ha fatto con tutti.» aggiunse cupamente.
Aggrottai le sopracciglia e sentii il cuore andare a martellarmi nello stomaco.
«Frollo è stata condannata perché …» indugiò, come se nemmeno lei riuscisse a credere a quello che stava per dire. «Perché hanno scoperto che si è innamorata di Eymeric
Mi ammutolii.
Restai per una manciata di secondi senza dire nulla, poi dissi, con un filo di voce:
«È uno scherzo, vero?»
«Ti sembra che io stia scherzando?» ribatté Olympe, con tono leggermente irritato. 
«Ma non può essere …»
«Grenonat ha detto – testuale –  che ha visto Eymeric uscire dal Palazzo di Giustizia completamente illeso, una notte. E che Frollo gli stava chiedendo perché le aveva detto di amarla, se ciò non corrispondeva a verità.» disse lei, per tutta risposta.
Pausa.
«Capisci? Adesso torna tutto. La sua ossessione per lui, il modo in cui lo cercava … e soprattutto: Eymeric non c’era nelle segrete del Palazzo di Giustizia. Per tutto il tempo in cui lo abbiamo creduto prigioniero, era nella residenza di Frollo.»
Silenzio. Non riuscivo a mettere ordine nei miei stessi pensieri, figuriamoci a dire qualcosa.
«Ne sono certa, Nina» continuò Olympe. «Quando Grenonat mi ha nominata Giudice, mi ha detto che l’esecuzione non è andata come previsto. Egli ha scortato Frollo in Piazza di Grève per bruciarla su un rogo, e poco dopo aver appiccato il fuoco, in mezzo ai popolani si è fatto largo uno zingaro con gli occhi verdi, che l’ha slegata dalla pira e l’ha portata via.»
«Eymeric» sussurrai.
«Proprio così.» fece la mia amica. «Adesso Grenonat ha dato a me l’incarico di deportare gli zingari al Palazzo di Giustizia, mentre lui cerca furiosamente Frollo per ucciderla insieme ad Eymeric. È stato lui ad aver fatto tutto questo a Parigi.» concluse.
«Diventa più paranoico ogni minuto che passa» aggiunse. «Come Frollo, ha incrementato la caccia agli zingari, ma non solo: adesso teme che tutti i parigini si siano uniti ai gitani come ha fatto lei, e sta interrogando anche ogni Ministro, Viceministro, Deputato o Cavaliere che sia, spesso usando la tortura.»
«Oh mio Dio» riuscii solo a dire.
Silenzio.
«Dovrò andare tra poco.» ruppe il silenzio Olympe, dopo pochi secondi. «C’è un’udienza alle sette, e sono convocata urgentemente.»
«Di chi si tratta stavolta?»
«Di Règine Rousseau. La sorella di Marguerite. Pensano che sia una strega.» disse, con voce incolore.
Fece per andarsene, ma la fermai.
«Aspetta!»
Olympe mi squadrò.
«Che cosa intendi fare?» le dissi. «Perché sei venuta qui? Mi dici cosa sta succedendo e poi te ne vai?»
«Che vorresti dire?»
Indurii i lineamenti del viso, esattamente come avevo fatto quando volevo proteggere Eymeric da lei.
«Questa non è la mia amica» dissi, determinata. «Non quella che conosco.»
«Cosa?»
«Sei Giudice, Olympe!» esclamai di un botto. «Hai molto potere, adesso. Pensi di non riuscire a fare nulla per sistemare le cose?»
«Tu non sai com’è essere lì, Nina. Ho dei doveri, e non posso violarli.»
«Sai dove possa essere andato Eymeric?»
«Grenonat sospetta alla Corte dei Miracoli.»
«Ci sarà anche Frollo con lui, no?»
«Presumo di sì.»
Non avrei mai pensato di trovarmi a dire una cosa del genere. Ma Parigi non poteva più andare avanti così; era l’unica strada da prendere.
«Allora dobbiamo fare in modo che torni in carica.»
«Stai scherzando» fece lei.
«Affatto.»
«In che modo? È stata etichettata come strega persino dal popolo. Ormai, con Grenonat al comando, possiamo anche considerarla morta!» esclamò. «E poi la situazione non sarà poi così diversa, con lei come Inquisitore Supremo. Devo ricordarti cosa faceva agli zingari, a questo proposito?»
«Parigi sta andando a scatafascio, senza di lei! So che è strano detto da me, ma …»
«Sì, molto» mi interruppe Olympe.
«Ascoltami! È l’unica speranza che le cose possano tornare alla normalità. Magari dopo tutto questo, sarà una persona migliore …»
«Ah, piantala di dire fesserie, Nina! Claudie Frollo non è mai stata una donna giusta, e tu dovresti saperlo meglio di me!» sbottò.
«È l’unico piano che abbiamo.» insistei, determinata.
Olympe mi guardò, impressionata. Il tono che avevo usato non ammetteva repliche.
«Vuoi continuare a vedere delle persone morire ogni giorno, per caso? Perché io non lo vorrei, al posto tuo.» rincarai.
Silenzio.
Poi la mia amica sospirò.
«D’accordo. Proverò a cercare  qualche alleato al Palazzo di Giustizia. Nel caso, ti faccio mandare un messaggio in incognito. Vedrò che posso fare.» si arrese, alla fine.
«Questa è la Olympe che conosco.» dissi, felice.
Lei fece un sorriso sincero – un sorriso che, probabilmente, non faceva da tanto tempo – che illuminò per un istante il suo viso roseo.
Poi se ne andò, e di lei udii soltanto i passi lungo la scala a chiocciola in pietra della torre di Notre-Dame.

 


Sono un po' in ritardo; aiuto, perdonatemi.
 Allora … c’è una bella svolta, adesso. Capitolo abbastanza di passaggio, questo – non ci sono scene d’azione, colpi di scena o quant’altro – ma molto importante per i futuri sviluppi della storia.
Nina viene a sapere da Olympe quello che sta succedendo a Parigi e, attenzione … vuole far tornare Frollo in carica. Stranissimo da parte sua, non trovate?
Non so perché, ma mi ha emozionata questo capitolo. Forse per via della scena di Olympe che piange e Nina che la consola … non so.
Ad ogni modo, da adesso cominciano le ricerche di alleati da parte del nostro neo-Giudice, al Palazzo. Ce la farà?
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto; specialmente per Olympe è stato molto ‘emotivo’, e spero che questa cosa si veda :)
Come sempre, vi ringrazio tutti e ci vediamo al prossimo capitolo ;)
Alla prossima,
Stella cadente

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Capitolo 24
*** Il racconto di Claudie Frollo ***


XXIV.
Il racconto di Claudie Frollo
 
 
 
Due settimane dopo – Eymeric
 
 
Avevo visto il viso della signora Frollo incupirsi, quando le avevo parlato della presa del suo posto da parte di Grenonat. Ma da una parte era ovvio: doveva aspettarselo. Avevo omesso il fatto che ora tutto il popolo era in fermento e che nessuno sarebbe mai stato dalla sua parte; sapevo che avrei rischiato, se così avessi fatto.
In compenso, dopo solo due settimane passate alla Corte, era diventata più gentile.
«Zingaro!»
Beh, quasi. Ma almeno non ce l’aveva più a morte con me.
«Sì?»
Lei roteò gli occhi.
«Perché hai sempre il vizio di distrarti quando parlo? Stavo dicendo che non accetto che tutto vada così… a catafascio. Non possiamo starcene qui con le mani in mano» disse, seccata.
Era calata la notte, e adesso, dopo essere andato in perlustrazione, mi trovavo nella sua tenda (che in realtà era la mia, ma purtroppo ero stato sfrattato) a discutere – per l’ennesima volta – di cosa avremmo potuto fare noi. Ovverosia niente, ma immaginai che lei non riuscisse ad accettare di non avere più un ruolo importante nella società parigina.
Sospirai.
«Sentite, signora» dissi – ancora non tollerava che la chiamassi per nome, nonostante tutto – «Parigi è… è un disastro. Non potete intervenire adesso. Ora come ora persino io non ne vedo uscita» conclusi, passandomi una mano tra i capelli.
Mi sentivo frustrato quanto lei; la consapevolezza di non poter fare nulla mi dava ai nervi.
Frollo – quasi come se fossimo stati coordinati – si passò una mano sulla fronte, con espressione abbattuta, e si lasciò cadere a terra – a terra!
È brutto non avere più alcun potere su nessuno, eh? È brutto quando a comandare su di te è un’altra persona, giusto?
Non sai quanto ti capisco. Chissà come mai.
Evitai saggiamente di dirglielo.
«Solo una cosa» esordii, mentre mi mettevo a gambe incrociate di fronte a lei. La guardai negli occhi: faceva strano avercela davanti, così a poca distanza, senza quel sorrisetto beffardo stampato in faccia e con un semplice vestito bianco al posto della toga da giudice.
Avvertii di nuovo la scossa che avevo sentito quella sera al Palazzo di Giustizia, quando lei si trovava nelle segrete. «Voi… voi avete idea del perché Grenonat abbia fatto così?»
Frollo mi guardò come se stessi dicendo un’idiozia.
«Ossia? Che intendi dire?»
«Intendo dire… c’era qualcosa dietro? Un complotto? Perché, ecco… è tutto troppo strano per essere avvenuto così, all’improvviso.»
Lei, inaspettatamente, sorrise, sollevando appena un angolo della bocca.
«Suona alquanto insolito detto da me, ma…» sollevò un sopracciglio. «Non saresti pessimo in politica, gitano» concluse.
Chinai leggermente il capo in segno di rispetto.
«Vi ringrazio, signora» dissi, a metà tra il gentile e lo scherzoso.
Lei mi guardò per un attimo in un modo che non seppi definire, e tra noi calò il silenzio. Ma era un silenzio denso; non imbarazzante, e nemmeno accusatorio. Solo intenso. Come se stesse per accadere qualcosa che ci avrebbe sorpresi entrambi.
Ancora non riesco a capire che cosa ci sia, tra noi due.
Poi si schiarì la voce, si alzò, mosse qualche passo lontano da me dandomi le spalle, e riacquistò il suo solito atteggiamento freddo.
«Dunque» riprese, spezzando il silenzio «sì. Devo convenire che qualcosa ci sia. Solo che» e qui la sua voce si inasprì «io sono stata troppo poco attenta per darci il giusto peso.»
«Claudie» la chiamai.
Aspetta. L’ho davvero chiamata per nome?
Fui subito tentato di coprirmi la bocca, ma ormai il danno era fatto.
Quando alzai gli occhi, vidi che si era voltata; mi guardava, come se fosse sorpresa. Ci fu un momento di silenzio, poi disse:
«Sì?»
Rimasi stupefatto.
«Ehm» cercai di riprendermi. «Vi dispiacerebbe raccontarmi quello che è successo? Così, vedo di capirci qualcosa… per quanto possa servire il mio aiuto.»
Si schiarì nuovamente la voce.
«Certamente» disse, formale.
Fece una pausa, poi sedette su una sedia lì vicino, e iniziò:
«Vedi» sembrava tesa, come se stesse per raccontarmi un qualcosa di profondamente personale «cominciai la mia carriera da giudice quando avevo circa la tua età. Vent’anni, precisamente. Ero molto giovane» aggiunse. «Ebbene, Grenonat, non appena ricevetti l’incarico, mi aiutò nel portare a termine un… un compito che mi ero posta personalmente. Non ce la feci comunque, ma ad ogni modo, egli mi aiutò fornendomi degli uomini.»
I suoi occhi si erano persi nel vuoto; capii che forse stava davvero raccontando qualcosa di personale.
«Qual era questo compito che vi eravate prefissata?»
Frollo spostò lentamente il suo sguardo su di me.
«Una sciocchezza» minimizzò. Ma la sua voce era triste, malinconica, come se stesse riportando in superficie vecchie ferite. «E ad ogni modo, ciò non è inerente a quello che mi hai chiesto, zingaro
Dalla sua voce aspra, così simile a come l’avevo sempre sentita, capii che senza volerlo avevo toccato un tasto dolente.
Silenzio. Attesi che proseguisse, ma non potei fare a meno di chiedermi cos’era che faceva stare così male Claudie Frollo.
«Dunque» riprese. «Da allora, io e Grenonat fummo sempre in ottimi rapporti. Mi aveva aiutata, ed io gli dovevo molto. Poco tempo dopo, cominciò la mia caccia agli zingari. Virgile mi appoggiò, in ogni caso. Per l’appunto, il Re riteneva che i gitani fossero troppi a Parigi e questo non gli era affatto gradito, quindi era il momento perfetto per…» sembrò che stesse per dire qualcos’altro, ma si riprese subito. «Per cominciare l’operazione.»
Pausa.
«Inizialmente Virgile mi aiutava, ma era sempre impegnato a svolgere mansioni più importanti, quindi non parlavamo chissà quanto, impegnati com’eravamo. Fino a che il Re non mi notò e mi fece nominare Inquisitore Supremo dal Papa. E da lì cominciò tutto quello che ha portato a questa situazione.»
Aggrottai le sopracciglia.
«Ovvero?» incalzai.
Si schiarì di nuovo la voce e si ravviò un po’ i capelli scuri.
«Virgile cominciò ad essere freddo, distante. Sempre di più. Per me, fino a quel momento  era quasi… un amico.»
Sentirle pronunciare quella parola mi destabilizzò. Claudie Frollo aveva avuto amici?
«Ma» riprese «ben presto divenne tutt’altro. Dapprima il nostro rapporto si fece strano. Cominciò a diventare oppressivo, e ad andare contro i principi morali che noi giudici eravamo tenuti a seguire.»
«Per esempio?» chiesi. Il suo modo di raccontare mi aveva letteralmente catturato.
«Voleva avere rapporti che andassero… oltre il campo professionale. Mi capisci?» chiese, inarcando un sopracciglio.
«Oh… sì. Capisco» mi limitai a dire io.
«Mi chiese diverse volte la mano; io rifiutai ogni volta.»
«Ma voi lo amavate?» le domandai, a  bruciapelo.
«Cosa?» replicò lei, tagliente.
«Lo amavate?»
«Che razza di domanda è?» continuò, stizzita.
«Rispondete» la stuzzicai.
Sospirò.
«Probabilmente era solo gratitudine, la mia. Ma non amore. Eppure mi illudevo che lo fosse» snocciolò infine. «Comunque» riprese, evitando abilmente la piega che aveva preso il racconto «da allora il legame tra di noi iniziò a spezzarsi giorno dopo giorno. Fino a quando non mi confessò che, al mio arrivo, doveva essere lui a venire nominato Inquisitore Supremo. Geloso, invidioso di me, che ero la fanciulla con meno esperienza che gli aveva rubato la carica, iniziò a fare di tutto pur di mettermi in cattiva luce. Credimi, Eymeric» il mio nome, pronunciato con quel tono di voce, mi fece un effetto strano. «La Corte di Giustizia è come la fossa dei serpenti. Se diventi importante, è la fine.»
Sgranai gli occhi. Quei discorsi non le si addicevano; eppure era lì, e non era un sogno.
«Detto ciò» concluse «questo è quanto. Adesso presumo che dovremmo ottenere delle prove contro di lui. Anche se dubito che riusciremo a farlo, data la natura dell’accusa che mi ha rivolto al processo» aggiunse, cupa.
In effetti…
«Quindi che cosa avete intenzione di fare, signora?» le chiesi.
Lei sembrò ponderare bene la risposta che stava per dare, perché ci rifletté un po’.
«Non lo so» ammise infine, con un tono di voce che mai mi sarei aspettato di sentire da parte sua. Sembrava smarrita, come se effettivamente non sapesse cosa fare.
Per un momento mi assalì la voglia irrefrenabile di abbracciarla, ma mi trattenni. Era ancora un pochino insolito, per me, parlare – più o meno – da pari a pari. Non avrei mai immaginato che la situazione potesse prendere quella piega.
«Temo che l’unica cosa che mi è rimasta sia sperare» aggiunse.
E, guardandola, capii che forse era vero.
Ma avrei fatto di tutto pur di fare in modo che Parigi tornasse all’ordine. Non mi importava se poi il nostro rapporto sarebbe tornato come prima.
Fu quello a stupirmi: il fatto che al momento mi importasse solo del fatto che lei stesse bene. Non mi interessava se dopo avrebbe continuato la sua vita da Giudice e se sarebbe tornata ad odiarmi.
Avrei fatto sì che, in una maniera o nell’altra, tornasse in carica, così come due settimane prima l’avevo salvata dalla morte.
 
 
SCUSATEMI PER IL MIO RITARDO OSCENO

Ehm, comunque...
Salve, zingari *Claudie Time parte 2*
In questo capitolo Claudie mi sembra fragile… non so perché.
Vi ha incuriositi la sua storia? Come avete visto, ci sono cose che il nostro Giudice (o “Giudicia”, citando Frenz) ha omesso, fatti del suo passato che non vuole riportare in superficie. L’avreste mai detto che anche il temibile Giudice Frollo avesse dei fantasmi? ;)
In questo capitolo mi piace molto Eymeric. Come Esmeralda, è molto coraggioso e determinato; è dolce il fatto che sia così deciso a far tornare Claudie in carica, ed è ancora più bello il rapporto che stanno instaurando, appena accennato quasi, ma molto intenso.
E dunque, come sempre, spero che anche a voi sia piaciuto ;)
Alla prossima,
Stella cadente

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Capitolo 25
*** Verso lo scontro ***


XXV.
Verso lo scontro
 
 
 
E quel mio cuore di Inverno è un fiore di Primavera,
che brucia dentro l’Inferno,
come se fosse di cera.
 
 
 
 
Claudie
 
 
Ero alla Corte dei Miracoli da due settimane; più passavano i giorni e più mi sentivo inerme e fuori posto. Stavo realizzando solo adesso che ero stata spodestata, ed era orribile.
Era come se una parte di me fosse stata portata via. Ma stranamente, Eymeric riusciva ad alleviare un po’ quel dolore. Continuavo ad ostentare odio nei suoi confronti, ma tutto quello che volevo era far sì che tutti quei sentimenti repressi si liberassero.
E quando mi aveva guardata in quel modo, poi…
Solo allora me ne resi conto; solo allora capii che quel gitano, ultimamente, si era fatto in quattro per me. Per che cosa, alla fine? Non gli avevo mai dato alcun motivo per un tale comportamento nei miei confronti. Era proprio questo che mi stupiva.
Lo guardai, e mi persi per l’ennesima volta in quegli occhi che, adesso, sembravano giade brillanti.
Mi fissavano con intensità.
«Che cosa c’è?» ruppi il silenzio. Ma ormai lo avevo capito: ero di nuovo succube di quello strano incantesimo che Eymeric mi aveva fatto già da molto tempo.
«Niente, è solo che… Voglio aiutarvi» disse, con una voce così sincera che mi fece paura.
«Ti ringrazio» risposi solo.
Lui sembrò inquieto, per un motivo a me sconosciuto. Sospirò, e sentii che stava lottando contro se stesso per un motivo che mi sfuggiva.
L’aria si caricò subito di elettricità. Elettricità che mi invase quando mi abbracciò con trasporto.
«Vorrei solo che voi stiate bene» disse, quando si fu staccato. «E questo non è il vostro posto.»
«Direi di no» feci. «Ma mi hai strappata via alle fiamme, e… in un certo senso, te ne sono grata.»
Quella frase era stata detta con un tono che non gli avevo mai rivolto. Gli avevo sempre parlato con accento freddo, di disprezzo, poi formale, arrabbiato, disperato, umiliato… E adesso?
Eymeric sorrise, e nel vederlo mi incantai. Poteva esistere una creatura più bella?
«Alla fine ce l’avete fatta, Ministro» scherzò, dolcemente ironico.
Una sensazione di pericolo si fece largo dentro di me.
Perché si sta comportando così?
Perché mi ha salvata?
Erano domande che mi ero posta più volte, nell’ultimo periodo. Che vantaggio gli avrebbe portato impedire che mi uccidessero? Nessuno – anzi. Eppure lo aveva comunque fatto.
Non so cosa ci sia di così diverso, rispetto a prima. Ma qualcosa c’è. Qualcosa è cambiato.
Lo aveva detto, due settimane prima, nelle prigioni. E, man mano che il tempo passava, mi rendevo conto che era vero.
Qualcosa stava cambiando, tra noi.
Lui stava cambiando.
Cercai di ricordarmi quanto fosse in realtà pericoloso, ma mi sentivo come se la mia testa fosse vuota.
Non ebbi il tempo per dire alcunché; Eymeric mi catturò subito in un bacio. Un bacio che portò via tutto. Mi strinse a sé quasi con prepotenza, facendo aderire i nostri corpi alla perfezione.
Io ero completamente annientata; mi venne spontaneo allontanarmi, ma non ci riuscii. Ero tra le sue mani, e non potevo far nulla per distogliermi.
Avvertii di nuovo quel fuoco divorarmi, lo stesso fuoco che aveva tenuto i miei occhi fissi sulla sua sagoma alla Festa dei Folli. Ad occhi chiusi, riuscii ad ascoltare tutte le sensazioni che mi stava regalando solo con un bacio: il mio corpo sembrava aver perso consistenza e ardevo nel sentire le sue braccia strette intorno a me. Fui quasi sicura di essere anche arrossita, perché sentii le mie guance bollire, come se avessi la febbre.
Non potevo più nascondermi, e lui, forse, lo sapeva.
«Vediamo se mi odierete ancora» sussurrò, beffardo.
«Cosa?»
Mi aspettavo di ricevere una risposta, ma non fu così. Eymeric si limitò a rivolgermi un altro sorriso, astuto, malizioso, come se avesse in mente qualcosa.
Si staccò dalle mie labbra e scese verso il collo, lasciando baci lenti, sensuali. Spargeva fuoco su di me, sempre di più.
Lui era il fuoco. Ed io rabbrividivo, inerme. Continuavo a chiedermi che cosa mai mi avesse fatto per indurmi a tutto ciò, ma non riuscivo a liberarmi. Non potevo. Non volevo.
Ero praticamente in apnea.
Eymeric mi dette un lieve morso sul collo, poi mi guardò e rise.
Rise.
Rise di quella risata che aveva fatto la prima volta che l’avevo incontrato, quando era sparito sotto ai miei occhi – una risata divertita, una risata snervante.
Una vampata di rabbia mi invase, arrivandomi fino al cervello.
«Mi chiedo che cosa ci sia da ridere, lurido tagliaborse» sputai con disprezzo.
«Oh, a quanto pare è davvero così: l’odio verso i gitani è infinito, per voi» mi stuzzicò lui. «Beh, in questo caso, credo che dovrei andarmene…»
Fece come per uscire dalla tenda, ma con una forza che stupì anche me lo trattenni per un braccio.
«No» dissi solo, autoritaria.
Lui mi guardò stupito. Non c’era da meravigliarsi che lo fosse, comunque: avevo sempre avuto un aspetto magro e diafano. Gli sarei sempre apparsa fragile, se non fosse stato per la voce imperiosa e la toga da Giudice.
Il cuore mi batteva a mille. Sembrava volermi fracassare le costole.
Tutto ad un tratto, lo tirai con un gesto secco verso di me e ripresi a baciarlo con passione. Mi aspettai di sentirmi sporca, peccaminosa, colpevole, e mi stupii quando mi resi conto che ero soltanto elettrizzata – e molto, anche.
Eymeric sorrise come per cantare vittoria. Allora capii: lo aveva fatto apposta.
Siamo astuti, gitano.
«Vedete che non mi odiate?» fece, con quel ghigno sbarazzino.
«Silenzio, zingaro» replicai, e nel sentirlo ridacchiare il mio cuore sembrò schizzarmi fuori dal petto.
Mi condusse verso il suo giaciglio e sentii gambe e braccia prendere a formicolare.
Ma non mi opposi.
In realtà, capii in quel momento, non avevo aspettato altro.
 
 
****
 
 
Non mi sembrava neanche vero. Era come se tutto ciò non fosse neanche reale. Me ne stavo nella mia bolla di beatitudine, accanto a lui, e riuscivo solo a percepire un vocio ovattato che proveniva da fuori della tenda.
Aprii gli occhi piano e guardai Eymeric, ma mi fermai un attimo prima di svegliarlo. Vidi in un flash l’immagine di lui che dormiva al Palazzo di Giustizia: quella volta lo avevo ammirato a lungo e mi era sembrato di una bellezza unica, con i capelli illuminati dai bagliori del fuoco. Ma adesso… adesso era la cosa più perfetta che fosse mai esistita.
Sul suo viso color caffellatte era dipinta un’espressione di serenità pura, quasi celestiale; i capelli ribelli come al solito andavano in tutte le direzioni. Ammirai la mascella pronunciata e le labbra un po’ socchiuse, piene e rosee, che spiccavano in modo delicato sulla sua carnagione ramata.
Poi mi riscossi.
Che cosa ho fatto?
Qualcosa sembrò attanagliarmi lo stomaco.
Come ho potuto cadere così in basso?
Avevo ridotto la mia vita ad una mera, materiale esistenza per lui.
Per Eymeric.
Quel gitano aveva tenuto piantati i suoi artigli nella mia anima troppo a lungo, e solo ora me ne rendevo davvero conto.
Dovevo tornare al potere e basta. Non potevo perdere tempo.
Come ho potuto?
Il vocio che sentivo fuori mi sembrava il mormorare di persone che dicevano quanto ero riprovevole.
Quando sentii “Virgile Grenonat” mi allarmai ancora di più.
Spostai lo sguardo sullo zingaro.
«Eymeric» lo chiamai. «Eymeric!»
Pian piano, quegli smeraldi ipnotici si aprirono.
Non devo guardarlo.
«Cosa c’è?»
«Sta succedendo qualcosa» dissi, senza mezzi termini.
Si tirò su immediatamente.
«Evidentemente è passata l’alba. Clopin sarà arrivato portando notizie con sé.»
La sua voce era determinata, come se sapesse perfettamente cosa fare. «Devo andare a vedere» affermò. «Voi aspettate qui.»
Si vestì velocemente e fece per uscire, ma lo richiamai.
«Ehm… senti, Eymeric.»
Lui si voltò.
«Sì?»  
Mi schiarii la voce per prendere tempo. Non era semplice dire quello che volevo fargli sapere.
Forza. Devi farlo, Claudie.
«Puoi darmi del tu, se vuoi. E chiamarmi per nome – anche se l’hai già fatto più di una volta. Non mi infastidisce più» snocciolai, fingendo disinvoltura.
Il ragazzo sfoderò un altro dei suoi bellissimi sorrisi, poi disse:
«D’accordo.»
 
 
 
«Signor… ehm, Claudie» mi sentii chiamare da una voce ben conosciuta.
«Dimmi.»
Eymeric era rientrato nella tenda e aveva uno sguardo preoccupato. Anzi, allarmato.
«C’è un problema. Grenonat ha incarcerato anche i Giudici» disse, tutto d’un fiato.
«Che cosa?»
L’inquietudine cadde su di noi. Un brivido mi attraversò la schiena: la situazione era anche peggio di quel che pensassi.
«Ha nominato Olympe de Chateaupers Giudice. È venuto a sapere che sei qui.»
Tutte quelle informazioni mi frastornarono. Olympe giudice? Grenonat che sapeva che io mi trovavo alla Corte dei Miracoli?
Che diavolo stava succedendo in città?
«Scusa, e come l’ha saputo?»
Guardai il volto di Eymeric con più attenzione. Solo allora mi accorsi che aveva un’aria distrutta. I suoi occhi erano rossi e stanchi. Era come se… come se avesse appena pianto.
«Ha preso mia sorella. L’ha torturata fino a che non gli ha detto tutto.»
Si passò una mano sul viso lasciando un sospiro che sapeva di lacrime.
Silenzio.
«Devo andare a prenderla» disse subito.
«No» lo fermai. «Devi restare qui.»
«E lasciare che mia sorella muoia
Quelle parole furono come una stilettata al cuore, ma decisi di non cedere.
«È quello che lui vuole, Eymeric. Non farlo.»
«Mi stai chiedendo l’impossibile!» esplose.
«E tu stai dimenticando che io ero un Giudice, e so come potrebbe pensarla Grenonat.»
Si zittì.
Poi mi guardò come se volesse incenerirmi, in un’espressione molto familiare a quella che mi rivolgeva tempo prima.
Uscì dalla tenda senza dire niente, e per tutto il giorno non lo rividi più.
 
 
 
****


Avevo lasciato in pace Eymeric nei giorni seguenti, ma saperlo triste mi straziava. Non lo avevo mai visto così, in più i sensi di colpa non facevano che attorcigliarsi dentro di me.
Adesso avevo capito che dovevo prendere la situazione in mano. Da troppo tempo me ne stavo a trastullarmi, e da troppo tempo a Parigi regnava il caos. Qualcuno doveva riportare l’ordine, ed ero perfettamente consapevole del fatto che quel qualcuno fossi io.
«Dunque, sappiamo che Grenonat ha incrementato le ricerche e le condanne verso gli zingari, dico bene? Ma se non erro, ha coinvolto anche i parigini. Sicuramente li ritiene tutti peccaminosi, una massa damnationis… altrimenti non mi spiego un simile comportamento» riflettei ad alta voce.
«Sai, ora capisco perché andavate così d’accordo» disse Eymeric, inarcando un sopracciglio.
«Silenzio! Non è il momento di scherzare, adesso.»
Lui si ammutolì.
«Dobbiamo fare qualcosa in fretta, Eymeric. Lo sai anche tu» dissi, decisa.
«Sì, ma non so come» fece lui, sospirando.
«Io sì. E non mi importa quanto sarà complicato. Riuscirò a riportare Parigi a com’era prima» ribattei.
«Dovresti parlare con Clopin. Io non posso fare nulla» disse, asciutto.
Quella rivelazione fu inaspettata.
«Cosa? Io devo parlarci?»
«Beh, sei tu quella che prende le decisioni importanti, dico bene Ministro?» replicò, quasi con dolcezza.
Sospirai.
«Molto bene. Dove si trova?»
 
 
Quando entrai nella tenda di Clopin Trouillefou mi aspettavo di vedere una stanza sciatta e disordinata; invece mi trovai in un ambiente colorato, ma in cui stranamente ogni cosa pareva avere una posizione precisa e meditata. Il Re dei gitani mi accolse con uno sguardo freddo, che io ricambiai. Non avevo paura di lui, né lui aveva paura di me: c’era soltanto diffidenza tra noi.
«Salve» esordii. «Sono qui per un colloquio con voi» dissi il più formalmente possibile, pronunciando di malavoglia il “voi”.
L’ultima cosa che mi sarei immaginata di fare nella vita era chiedere aiuto ad uno zingaro, ma la situazione mi aveva messa alle strette.
«Sì» fece lui, con l’ombra del sospetto ben marcata nella voce beffarda – da tagliaborse, mi venne da pensare. I suoi occhi scuri mi scrutavano attentamente, come a volermi leggere nel pensiero per vedere quale fosse il mio reale obbiettivo. Non si fidava di me, era chiaro.
«Che cosa volete?» aggiunse, inarcando un sopracciglio.
«Ho bisogno dell’attenzione del vostro popolo. Credo di sapere come riuscire a far sì che cessi questa follia» mi limitai a dire.
Ci fu un attimo di silenzio in cui Clopin continuò a guardarmi, poi disse:
«E chi mi garantisce che non ci userete solo per i vostri meschini scopi? Chi mi garantisce che, una volta tornata al potere, non ci perseguiterete come prima, se non peggio? Eymeric si fida di voi. Ma chi mi dice che anche tutti noi possiamo fidarci di voi, Giudice Frollo
Mi venne da ridere malignamente, ma mi trattenni e scelsi un approccio più diplomatico.
«Nessuno, Clopin Trouillefou» iniziai. «Ma non avete altra scelta. Siete perfettamente consapevoli che non basterete a fermare tutto ciò.»
«E voi invece sì?» ribatté prontamente lui, con l’astuzia tipica degli zingari. «Dimenticate forse che siete stata spodestata da Virgile Grenonat?» alzò un sopracciglio con aria canzonatoria, sorridendo sarcastico.
Venni assalita da un’improvvisa voglia di costringerlo ad ascoltarmi usando metodi ben diversi, ma mantenni il controllo ancora una volta.
«So benissimo quello che è successo» ammisi. «Tuttavia, adesso non ho alcun potere, e devo poter contare sul vostro aiuto. Ho un piano.»
L’espressione dello zingaro, in quel momento, cambiò.
«Che genere di piano?»
«Intendo dichiarare scontro aperto a Grenonat. Prima o poi il Re dovrà accorgersi che c’è qualcosa che non va in ciò che sta facendo. Finché si concentrava sugli zingari la situazione era normale» mi guadagnai un’occhiataccia, ma la ignorai «ma adesso il bersaglio della follia di Virgile è anche la stessa Corte di Giustizia. È questo che io vorrei, secondo voi?»
Silenzio.
«E secondo voi avrei il coraggio di tornare a massacrarvi, dopo che mi avete aiutata?»
Nel sentire quella frase il volto del Re dei gitani prese un’espressione stupita.
«Non posso fidarmi della nostra persecutrice» disse. Ma sapevo che le sue difese stavano crollando una per una. Glielo leggevo negli occhi.
«Dovete» ripetei con determinazione. «A meno che non vogliate lasciare la situazione così com’è.»
Silenzio.
«Ho saputo che Antea, la sorella di Eymeric, è stata deportata e torturata.»
Clopin digrignò i denti.
«Tutto ciò non vi riguarda, maledetta!» esplose.
«Vi ripeto: io posso far sì che tutto questo cessi» dissi, asciutta.
«E come?»
Adesso era solo disperato.
Feci un sorrisetto astuto.
«Beh… diciamo che ho delle conoscenze importanti, e grazie ad un piccolo aiuto potrei far sì che Parigi torni all’ordine.»
Ancora silenzio. Stava valutando quello che stavo dicendo, perché nei suoi occhi c’era curiosità. Voleva vedere dove sarei andata a parare.
«Allora? Qual è la vostra decisione?» chiesi, con un tono a metà tra il formale e l’ironico.
Sapevo di averlo in pugno.
Il Re dei gitani sospirò.
«D’accordo. Fate ciò che dovete. Ma solo un passo falso e vi uccideremo noi prima che vi uccida Grenonat. Rispettate le condizioni di quello che vi sto proponendo, o le conseguenze saranno queste.»
«Sarà fatto» risposi, senza esitare. «Siete stato sufficientemente chiaro.»
Sul viso di Clopin comparve un ghigno.
«Bene. E adesso sbrigatevi. Voglio vedere in cosa consiste il vostro piano.»
 
 
«Ascoltatemi tutti quanti!» dissi ad alta voce, davanti ad una folla di zingari che mi guardavano con tanto d’occhi. Stavo in piedi sulla loro pedana per le esecuzioni – l’unico punto da cui avrei potuto vederli tutti – con la schiena dritta e la determinazione che mi scorreva nelle vene.
Mi sembrava di esser tornata indietro nel tempo, e la sensazione del potere era inebriante.
«Ho ricevuto l’autorizzazione del vostro Re per parlarvi. Come tutti ormai sapranno, è stato detto al giudice Grenonat che io mi trovo qui. Presto o tardi egli arriverà per uccidermi, e con me anche tutti voi.»
Vidi qualcuno che rabbrividiva, ma proseguii.
«Io posso garantirvi che riporterò Parigi all’ordine, ma solo se voi siete con me. So perfettamente che questa alleanza sia innaturale per tutti. Sinceramente» aggiunsi, dando voce ai miei pensieri «non avrei mai immaginato che mi sarei trovata a collaborare con voi, ma dobbiamo farlo se vogliamo porre un rimedio.»
«E chi ci dice che voi non tornerete a perseguitarci, una volta ripreso il potere?» chiese un gitano.
Feci un sorriso divertito.
«Sapevo che qualcuno me lo avrebbe chiesto» replicai. «Ebbene, questa è la stessa domanda che mi ha posto il vostro sovrano, ed egli ha dimostrato di fidarsi di me. Abbiamo raggiunto un accordo. Mi aiuterete a riprendere la mia carica, ma io non vi darò più la caccia in seguito. Qualora le condizioni dell’accordo non venissero da me rispettate» feci una pausa «voi mi ucciderete.»
Gli zingari iniziarono a mormorare, poi ripresi parola e il silenzio calò di nuovo sulla folla.
«Conosco chi potrebbe incastrare Grenonat, ma sarà difficile arrivarci da sola, senza che l’esito sia negativo. Pertanto ho bisogno che qualcuno consegni questo messaggio» mostrai un rotolo di pergamena «ad Olympe de Chateaupers, attualmente un personaggio molto importante della Corte di Giustizia.»
Silenzio.
«Chi si offre volontario?» chiesi, riacquistando il tono inquisitore che avevo durante i processi.
«Io.»
Riconobbi subito quella voce. Repressi un sorriso spontaneo, ma sentii gli occhi accendersi di gratitudine prima che potessi accorgermene.
Mi irrigidii.
Eymeric era spuntato in mezzo alla folla, e sembrava non vedere l’ora di avviare lo scontro.
«Molto bene» mi limitai a dire. Lanciai, in un gesto elegante, la pergamena tra le sue mani. «Puoi andare» aggiunsi, con tono solenne.
Lui accennò un sorriso come per salutarmi, poi sparì.
 
 
 
 
****


 
Le ore seguenti mi sembrarono immense.
Arrivò portando sulle spalle una ragazza, che riconobbi come sua sorella Antea.
La fanciulla era messa davvero male: singhiozzava continuamente, e il suo corpo era talmente gracile che sembrava potersi frantumare ad ogni movimento.
«Ho consegnato il messaggio ad Olympe, come mi hai chiesto» disse, una volta che ebbe messo a letto Antea affidandola ad una guaritrice. «Adesso cosa succederà?»
«Se tutto va bene, recluterà uomini in nostro favore. Poi ci sarà scontro aperto con Grenonat e i suoi soldati» risposi in tono pratico.
«Come sarebbe a dire “se tutto va bene?” E se non fa quello che le hai chiesto?»
Indurii un po’ la voce.
«Lo avrai capito da come ti ha parlato, no? Lo farà. Sono pur sempre stata l’autorità a cui obbediva, fino a poco tempo fa. Le sarà del tutto impossibile rimanere indifferente ad una mia richiesta. E poi non credo proprio che preferisca la sua situazione attuale.»
Eymeric aveva un’aria pensierosa, ma annuì comunque.
«Mi fido» disse solo.
E in quel momento capii.
La battaglia stava cominciando.
Presto sarei tornata a Parigi.

 
 

Sono riuscita, finalmente, ad aggiornare in maniera puntuale.
Olé.
Allora, prima di cominciare, faccio un  avviso importantissimo: ho revisionato Paris. 
La storia doveva finire tra pochi capitoli, ma mi sono resa conto che non può farlo. Paris ha molto altro da dire, e senza dubbio mi impegnerà parecchio, pertanto se trovate qualcosa che non vi torna è per quello. In caso, se vi va, potete rileggerla dall'inizio - anche perché il primo capitolo l'ho proprio riscritto.
Bene, questo è quanto.

Venendo a noi, direi che, siccome il capitolo è abbastanza lungo, è meglio andare per punti.
La prima parte del capitolo è dedicata a Nami_san, che – se non erro –  voleva una scena d’amore tra Claudie ed Eymeric. Non voleva esserci una parte del genere, ma poi ho pensato che altrimenti la storia appariva troppo fredda, e così l’ho inserita. Spero ti sia piaciuta, Nami :)

Nella seconda parte, vediamo una Claudie tutta inebetita dalla notte passata con il suo zingaro  (è quasi dolce, dai), ma subito dopo l’atmosfera cambia. Qualcosa, in lei, non va.  Ma è comunque determinata a tornare al potere per ristabilire l'ordine, ed è questo l'importante. 

Nella terza parte – quella che è forse la mia preferita – la nostra “Giudicia” (cito di nuovo Frenz) prende in mano la situazione e, udite udite, convince gli zingari a stare dalla sua parte. Mi è piaciuto tantissimo scrivere la scena del colloquio con Clopin (e a proposito di questo, spero che il Re dei gitani rispecchi in qualche modo quello del film – anche se, inutile dirlo, per il suo personaggio ho attinto anche da quello del romanzo), e anche quella in cui parla pubblicamente a tutti i gitani. Mi sembrava di vederla, è stato incredibile.

La quarta parte – breve, ma che serviva a dare una conclusione al capitolo – è dedicata alle riflessioni di Claudie, e alla cura di Antea, che Eymeric è riuscito a liberare (prossimamente vedremo come).
 
Per i prossimi capitoli preparatevi: la battaglia sta cominciando, e questo è solo il preludio di quello che avverrà dopo. Se devo essere sincera non credevo che la storia avrebbe preso questa piega, ma sorprendentemente ho amato calarmi in questa atmosfera. Ho architettato un incastro assurdo per i prossimi avvenimenti, ma spero che comunque sarà di vostro gradimento :)
Grazie mille a tutti, alla prossima,
Stella cadente


 

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Capitolo 26
*** Insurrezione ***


XXVI.
Insurrezione
 
Olympe
 
 
 
Il processo a Régine Rousseau era stato spietato. Grenonat cominciava a seminare terrore sempre di più alla Corte di Giustizia; agli occhi di tutti era un folle, lo percepivo benissimo, ma nessuno diceva mai niente.
La situazione sembrava irrecuperabile. La cosa che più mi stupiva era che Re Luigi XI non si fosse ancora accorto di nulla. O forse si era accorto di cosa il Giudice stesse facendo a Parigi, ma non interveniva – il che sarebbe stato ancora più inquietante.
Le accuse che Grenonat aveva puntato contro il Giudice Rousseau erano completamente infondate, ma nessuno avrebbe avuto il diritto di contraddire; non potevamo fare altro che obbedire ai suoi ordini. Tra i giudici regnava un clima di caos e preoccupazione: chi si sentiva deluso da Frollo, chi non riusciva a raccapezzarsi di quanto era accaduto al mio processo e nei giorni seguenti, chi voleva che, nonostante tutto, l’Inquisitore spodestato tornasse in carica. Io stessa vedevo che, in confronto a Grenonat, Frollo non era paragonabile: la sua mi era sembrata follia pura quando mi aveva ordinato di seguirla nel dare la caccia ad Eymeric – quanto mi sembrava lontano, adesso, quel giorno… – e mi ero chiesta quale strana diavoleria l’avesse resa così ossessionata da quel gitano. Mi ero detta che solo una persona squilibrata avrebbe fatto una cosa del genere, ma solo adesso mi rendevo conto che Grenonat era decisamente peggio. Quale sano di mente avrebbe preso di mira non solo zingari e proletari, ma soprattutto i cittadini più altolocati di Parigi?
Frollo non avrebbe mai distrutto la Corte di Giustizia, né tantomeno avrebbe preso come bersaglio la nobiltà. Era assurdo, privo di senso.
«Olympe» mi sentii chiamare da una voce fine, che ormai conoscevo bene.
Mi voltai, cercando di mettere su una faccia inespressiva.
«Signore» dissi, come per salutare. «C’è qualcosa che dovrei fare?» chiesi poi, dal momento che su di noi era calato il silenzio.
«Oh, no» mi rassicurò lui. «Mia cara ragazza, volevo solo complimentarmi con voi per il lavoro che state facendo.»
Lo guardai bene. Era alto e affascinante; i capelli castani lo facevano sembrare più giovane, e al tempo stesso di una bellezza austera e adulta; il viso sembrava scolpito nel marmo e gli occhi erano dello stesso colore di un prato in estate. Più che un Giudice sembrava un gentiluomo; aveva un che di galante che Claudie Frollo non aveva mai avuto. Certo, bastava guardarla per capire che era una donna colta e sofisticata, ma era più quel tipo di persona che ti mette in soggezione, con quella voce perentoria e l’aria da Giudice. Bastava solo quella parola per descriverla: Giudice. A pensarci, non riuscivo ad immaginarmi Claudie Frollo se non come Inquisitore Supremo della Corte di Gisutizia.
Grenonat invece avrebbe potuto benissimo accompagnare una fanciulla ad un ballo. Mi ricordava un po’ Hugo, l’istruttore che avevo avuto da bambina: quell’uomo – ingaggiato da mio padre – aveva un’aria gentile, ma era severo… troppo.
E Grenonat era uguale, bello nell’aspetto, ma terribile nell’anima. Ancora per me era un mistero come potesse nascondersi tanta cattiveria dietro un viso simile.
«Ah…» mi limitai a dire. «Beh, vi ringrazio» balbettai.
L’uomo sorrise appena.
«Sono solo sincero, mademoiselle
Silenzio.
«Avete preparato l’esercito per stanotte?» chiese poi, con la sua voce fredda. «Dobbiamo far sì che tutto vada nel migliore dei modi.»
Annuii.
«Certo, signore. Marceremo verso mezzanotte e saremmo diretti alla Corte dei Miracoli.»
«Vedo che apprendete in fretta» si congratulò nuovamente, in maniera cortese. «Il Re sarà entusiasta. Sapete» continuò «il Ministro Frollo è sempre stato d’intralcio, per me.»
Quando mi voltò le spalle e si allontanò di qualche passo, tesi le orecchie. Involontariamente, mi stava servendo su un vassoio d’argento l’occasione per capire meglio come stavano le cose e di conseguenza di sapere meglio cosa fare per aiutare Eymeric.
Per tutto il tempo, alla Corte, avevo pensato e ripensato a quello che mi aveva detto la notte prima.
 
«Devi aiutarci, Olympe. Sai benissimo anche tu com’è la situazione. Ti prego, fa’ in modo che lei torni in carica.»
 
Non mi era sembrato più lo stesso. Mi era sembrato… diverso. Dopo essersi assicurato che stessi bene aveva spiegato, in parole povere e con tono concitato, quello che era successo alla Corte dei Miracoli, quello che aveva intenzione di fare e il piano di Frollo. Poi mi aveva dato un foglio di pergamena – su cui avevo subito riconosciuto la grafia del Giudice – che recava un messaggio su cosa avrei dovuto fare. Mi aveva supplicata di seguire le istruzioni che mi aveva dato, dicendo che ne andava del bene di tutti. Era come se tenesse al Giudice, e ciò mi spaventava.
Allora è vero. Lei è innamorata di lui, e a quanto pare lui lo è di lei.
Ero rimasta meravigliata.
Ma la cosa che mi aveva stupita ancora di più, era che la fitta di gelosia che aspettavo non era arrivata.
 
Ad un tratto il silenzio diventò pesante. Capii che Grenonat attendeva che dicessi qualcosa.
«E cioè?»
L’uomo lasciò vagare i suoi bellissimi occhi sull’ambiente circostante. In quel momento mi assalì una domanda: che ci fosse qualcosa di più che rancore dal punto di vista professionale?
«Il Re ha sempre preferito lei a me. Questo è semplicemente un dato di fatto. Eppure io avevo così tanti progetti per Parigi… ma alla fine» si voltò, e sul suo viso statuario era apparso un ghigno cattivo «mi sono riscattato, in qualche modo. Alla fine abbiamo visto tutti chi è realmente Claudie Frollo. Un’impostora.»
Pronunciò la parola “impostora” sputando un disprezzo così accentuato che fu come un grumo d’inchiostro nero che mi si appiccicava addosso e andava a scorrermi nelle vene.
«Un’impostora e un’approfittatrice» aggiunse. «Io l’avevo sempre aiutata. Sempre. All’inizio era una fanciulla ambiziosa, desiderosa di imparare, dall’intelligenza acuta. Era…umile.»
Mi venne da ridergli in faccia, ma mi trattenni; non mi sembrava il caso.
Claudie Frollo era stata umile? Una fanciulla ambiziosa?
Non ci avrei creduto nemmeno se l’avessi vista con i miei occhi. E l’aggettivo “fanciulla” non le sarebbe stato bene nemmeno se qualcuno glielo avesse cucito addosso.
«Imparò tutto da me e per un po’ collaborammo, ma, misteriosamente» la voce assunse il tono di un tagliente sarcasmo «è stata lei a spiccare subito. È sempre stata lei la più brava; da lì a poco, nelle corti si parlava solo del severo, ferrato e organizzatissimo Ministro Frollo, che avrebbe liberato la Città dagli invasori. A lei spettò di condurre i processi, a lei è stato attribuito il merito della caccia agli zingari – un progetto che io avevo in mente di attuare da anni. Ma Claudie, astuta, prese l’occasione al volo per brillare di fronte a tutta Parigi.»
Cercai di non far vedere che stavo macchinando qualcosa, ma a quelle parole il mio cervello aveva cominciato a frullare; che Frollo avesse soffiato il posto ad un altro Giudice pur di ottenere il comando e sottomettere Parigi alle sue regole era più che plausibile, ma in qualche modo quello non sembrava essere l’unico motivo per cui Grenonat ce l’aveva così con lei. C’era di più, glielo vedevo negli occhi.
«Scommetto che è stata lei a liberare quella lurida zingarella, l’altra notte» aggiunse. «Oramai ha perso completamente il lume della ragione. Bisogna essere affetti da gravi turbe per unirsi a quei… cani
Silenzio. Deglutii piano, cercando di non fare troppo rumore. Si riferiva ad Antea; ero stata io a liberarla. Adesso non ero più la ragazza fidata del Giudice Grenonat, ed era fondamentale che nessuno lo sapesse – men che meno quell’uomo.
«Ma che importa» minimizzò alla fine. «Tanto stanotte perquisiremo la Corte dei Miracoli. Frollo non sospetta niente, e noi la coglieremo alla sprovvista. Non avrà scampo, e con lei nemmeno tutti i suoi amici zingari» concluse. «Ancora non riesco a credere che abbia scelto di stare con una simile plebaglia. Lei, poi!» esclamò, con una risata nervosa.
Silenzio. Sentivo i nervi tendersi sotto la mia pelle; quando ero con Grenonat ero sempre nervosa, ma adesso ero diventata rigida come un tronco.
«Voi che ne pensate, Olympe?»
Era questo il problema di Grenonat: era decisamente più diplomatico e meno autoritario rispetto a Frollo, ma inspiegabilmente riusciva a manipolare tutti con una maestria che aveva dell’incredibile.
Un’insidia ambulante.
«Beh» tentennai. «Penso che ciò che è avvenuto al processo sia stato indubbiamente un certo shock per tutti. Per Parigi, tanto per cominciare.»
«Proprio quello che penso anche io. Ma diciamocelo: da un po’ di tempo a questa parte, Frollo non svolgeva più il suo lavoro come un tempo.»
Interessante…
L’ultima cosa che volevo era farmi gli affari del Giudice Frollo, ma il racconto di Grenonat aveva preso una piega che mi incuriosiva parecchio.
«Cosa intendete dire?»
Silenzio.
«Se mi è concesso saperlo.»
Il Giudice fece un sorriso accomodante.
«Certamente, Olympe. Vedete… Frollo si distraeva, durante i processi. Alle volte sembrava proprio che avesse la testa da tutt’altra parte. Per questo mi è entrata la pulce nell’orecchio, mi capite?»
«Certo, signore» assentii.
«Sembrava sempre stanca; si presentava in Tribunale con certe occhiaie scure… Diceva che non riusciva a prendere sonno» continuò Grenonat, assumendo un tono a metà tra il perplesso e il sospettoso.
Wow, Ministro, l’abbiamo presa pesante la cotta.
Provai invano ad immaginarmi Frollo con la testa tra le nuvole nel bel mezzo di un processo all’Inquisizione. Mi scervellai, ma mi resi conto che, anche se le ero stata molto vicina, non sapevo niente di lei. Eppure di qualcosa mi ero accorta… come avevo fatto a non capire?
«Così mi misi a seguirla e cominciai a fare più attenzione a quello che faceva. Non mi tornava che si fosse così impuntata su quello zingaro, Eymeric. Certo, considerando la sua avversione verso quel popolo di accattoni era probabile una simile reazione, ma stava sfiorando l’ossessione, la follia… E non era da lei. Ah, ma io avevo già visto che qualcosa non andava. Già da quando era tornata dalla Festa dei Folli.»
«Voi avevate un rapporto molto stretto con lei?»
Avevo ormai capito che Grenonat voleva solo sfogarsi; sapeva, del resto, che non aveva nulla da perdere, dal momento che ora c’era lui al posto di Frollo. Quindi avevo pensato di porgli una domanda astuta, che mi avrebbe fornito un quadro più chiaro della situazione.
Ed infatti, lo ottenni.
«Direi di sì. Ero quello che meglio la conosceva, alla Corte.»
Si percepiva un lieve imbarazzo nella sua voce. Sembrava che stesse per dire qualcosa che sarebbe dovuto rimanere nascosto.
«Le chiesi anche la mano, tra l’altro.»
Oh. Interessante. Molto interessante.
«Ma fu solo per scopi politici, niente di più. Non era amore, il mio. Claudie invece…»
Mi trattenni dall’incitarlo a proseguire.
«Forse era innamorata di me. Ma fu per breve tempo, e comunque non bastò perché mi desse il consenso. Volevo spingerla a collaborare con me alla Corte, ma lei…» rise, di una risata di scherno. «Lei ha sempre preferito fare di testa sua. E da lì, tra noi è cambiato tutto.»
Quindi ha architettato tutto questo solo per il potere?
Rabbrividii per la freddezza calcolatrice di cui era capace quell’uomo.
«Cosa è successo dopo?»
«Dopo?» Grenonat aveva un ghigno sarcastico sul volto. «Beh, dopo lei ha cominciato a sorpassarmi, in tutto. Da Giudice Semplice è diventata Inquisitore Maggiore, e da Inquisitore Maggiore Inquisitore Supremo. Io non ho fatto altro che cercare di far vedere a tutti quanto fosse ingannevole quella donna, in diversi modi. Nessuno mi credette mai.»
Io non ho fatto altro che cercare di far vedere a tutti quanto fosse ingannevole quella donna, in diversi modi.
Che accidenti ha fatto quest’uomo? Ha truccato i verbali?
Capii che, più che chiedermi cosa fosse successo, avrei dovuto chiedermi che cosa non fosse successo, lì alla Corte. Sembrava che le vicende di cui stavo venendo a conoscenza fossero uscite direttamente da uno spettacolo di teatro.
«Sta di fatto» riprese. «Che quello zingaro le ha dato di volta al cervello. Quando la seguivo la vedevo inquieta. Non mangiava. Evidentemente non pensava ad altro. E quando sono venuto a sapere che, proprio nel periodo in cui sembrava più a pezzi, aveva catturato quel poveraccio e l’aveva rinchiuso nei suoi appartamenti, mi sembrò che tutto fosse fin troppo chiaro. Avevo la prova schiacciante, incontrovertibile, capite, Olympe? Era la mia occasione. Così mi misi a stare di guardia durante la notte, e quella notte vidi… Vidi che quei due erano vicinissimi, l’uno dall’altra, e sentii chiaramente che Claudie diceva “Hai detto di amarmi. E dunque, perché lo hai detto, se ciò non corrisponde a verità?”»
Oh mio Dio.
Un brivido mi percorse la spina dorsale.
«E successivamente… Beh, il resto lo sapete» si limitò a dire poi, concludendo il discorso.
A quel punto non ero neanche sicura di quello che avevo appena sentito.
Le sue frasi continuavano a rimbombarmi nel cervello.
Io non ho fatto altro che cercare di far vedere a tutti quanto fosse ingannevole quella donna, in diversi modi.
Era la mia occasione.
Fu solo per scopi politici, niente di più. Non era amore, il mio.
«Suppongo che voi dobbiate andare, comunque.» Il Giudice si voltò a guardare l’orologio. «Avrete bisogno di riposo per la missione di stanotte. Non possiamo fallire.»
Capii che mi aveva congedata.
«Certo, signore. Allora ci ritroveremo tra qualche ora.»
«Arrivederci, Olympe.»
Mi avviai verso la porta del suo studio in legno massiccio e la aprii.
Quando me la richiusi alle spalle, sapevo già perfettamente cosa fare.
 
 
****
 
 
Sigillai la busta e la infilai nella tasca della toga, assicurandomi che non si vedesse. Fuori il tramonto illuminava di rosso il cielo e inondava di luce la stanza.
Sospirai, perdendomi per un attimo ad osservare quello spettacolo. Dipendeva tutto da me, adesso.
Uscii e raggiunsi gli appartamenti delle guardie.
Avevo un compito da eseguire; era essenziale che tutto andasse nel migliore dei modi.
 
 
«Buonasera» dissi ad una guardia, asciutta. «Sto cercando il Capitano.»
«È nella sua stanza, Giudice de Chateaupers.» L’uomo era palesemente a disagio. Ricordavo bene il suo viso, la sua risata mentre mi chiamava strega, sgualdrina, squallida donna.
Adesso hai paura, eh? Stupido energumeno.
Mi morsi la lingua per non dirlo davvero.
«Bene, vi ringrazio.»
E lo sorpassai, senza aspettare risposta.
 
 
«Capitano» chiamai, attraverso la porta. «Sono il Giudice de Chateaupers. Sono qui per proporvi un accordo.»
Quasi subito sentii una voce, soffocata dal legno della porta.
«Che genere di accordo?»
Mi spazientii.
«Se mi fate entrare, ve lo dico» ribattei, un po’ stizzita. «Riguarda la missione di stanotte. Ordini di Grenonat» aggiunsi, per spingere maggiormente il Capitano ad ascoltarmi – infatti, la porta si aprì e la faccia seria di Montespan apparve.
«Vi dispiacerebbe? Vi rubo soltanto un minuto» dissi, con l’aria più innocente del mondo.
«Prego» fece lui, facendomi cenno di entrare.
Sorrisi.
Il piano stava per essere messo in atto.
 
 
 
 
«Ditemi» disse Montespan, accogliendomi nella stanza.
Una volta che la porta si fu richiusa, mi posizionai davanti a lui, di modo che potesse guardarmi bene negli occhi.
«Voglio che voi vi schieriate con me a favore di Claudie Frollo e che raduniate un esercito per questo scopo. Siete in grado di farlo?»
L’uomo mi guardò attonito.
«Che cosa andate dicendo?»
Non mi scoraggiai: mi ero aspettata una reazione simile.
«Avete capito benissimo.»
Silenzio.
«Avete visto in che condizioni si trova Parigi? Vogliamo fingere che la colpa non sia di quell’uomo? Cercate di capirmi: sto approfittando del fatto che ora sono quella ad egli più vicina per cambiare le cose. So cosa sta tramando, e fidatevi: non è bello» aggiunsi.
Montespan mi guardò per un attimo, con le sopracciglia aggrottate.
Poi si schiarì la voce e disse:
«Noi dobbiamo schierarci contro Frollo, non con lei; è un’adulatrice, come ha detto Grenonat. E questa cosa dello zingaro…»
Ma mi ha ascoltata o ha fatto finta?
«Voi non potete andare contro all’Inquisitore Supremo, Ministro de Chateaupers» protestò, risoluto.
Hai deciso di tenermi testa, eh?
Bene.
«Senti, manigoldo che non sei altro» sbottai, in tono improvvisamente brusco. «Raduna un esercito clandestino a favore di Claudie Frollo per me, o vado a dire a Grenonat che ti sei rifiutato di fare la spedizione e ti faccio rinchiudere nelle celle del Palazzo per il resto dei tuoi giorni. Credo che lui sarebbe molto contento di occuparsi di un altro traditore, sai?»
L’uomo deglutì; il suo viso aveva cambiato completamente espressione.
«Perciò fai in modo di soddisfare la mia richiesta, o temo proprio che ti pentirai di non avermi dato retta.»
Lui annuì febbrilmente.
«Questo è quanto» conclusi, avviandomi verso la porta. «Ah, e» dissi ancora. «Se stai pensando di farlo, non credo ti convenga andare a dire direttamente all’Inquisitore che ti ho ricattato, dal momento che è scontato che crederà maggiormente alla mia versione dei fatti.»
Montespan incrociò le braccia sul petto.
«Come volete» si rassegnò. «C’è altro?»
È stato più facile di quel che pensavo.
«Oh, sì» saltai su io. Tirai fuori la lettera e gliela porsi.
«È un messaggio segreto. Deve essere recapitato all’arcidiacono di Notre-Dame. All’arcidiacono, mi avete capita?»
Sapevo che tra Nina e l’arcidiacono vi era uno stretto contatto: l’uomo avrebbe compreso subito.
«Certo.»
«Contattate il messaggero, e fate in modo che quella missiva arrivi a Notre-Dame. Stanotte io condurrò le pattuglie che ho preparato personalmente. Voi vi uniformerete all’inizio, poi vi separerete dalla spedizione prima che cominci la marcia – e quindi prima che arrivi Grenonat – e raggiungerete per altre vie la Corte dei Miracoli. C’è qualcosa che non vi è chiaro?»
Montespan scosse la testa.
«No, Ministro. È tutto chiaro.»
«Bene. Vi ringrazio» dissi, prima di andarmene.
Ero in subbuglio. Brividi di tensione mi formicolavano in tutto il corpo. Sapevo che stavo andando incontro ad una missione pericolosa, ma Nina aveva ragione: non potevo continuare così. E non era da me eseguire gli ordini di qualcuno se questi si rivelavano ingiusti.
Imboccai le scale per gli appartamenti superiori, soddisfatta di quello che avevo appena organizzato.
E da stasera comincia la festa, pensai ironicamente.

 

Sto amando tantissimo Olympe. Ho tifato per lei dall’inizio alla fine di questo capitolo – e penso si veda, lol -, un capitolo in cui la nostra protagonista, pur sempre mantenendo la sua irresistibile ironia, dimostra grandissima forza e coraggio da vendere, oltre ad un talento da stratega non indifferente. Come vi ho spesso detto è un personaggio importantissimo nella storia, anche se all’inizio può non sembrarlo – e in questo ho ricalcato molto il Febo del film, lo ammetto. Mi piace il fatto che, nonostante la carica più “seria” che sta ricoprendo, sia rimasta la ragazza irriverente dell’inizio della storia, ecco.
E poi… Grenonat? Pensavate, eh, che avesse chiesto la mano a Claudie per amore? Ed invece no. Come vedete, anche se le apparenze potevano suggerirlo, ha poco a che fare con il Claude Frollo del film, che diventa folle per amore di Esmeralda.  In Virgile Grenonat invece non c’è amore, non c’è passione, non c’è niente di tutto questo. C’è solo sete di potere e basta, tutto qui. È subdolo, calcolatore e insensibile. Niente di più. 
Sapete, ho sempre pensato che se solo Frollo fosse stato corrisposto da Esmeralda, forse la sua prospettiva sarebbe cambiata – lentamente, ma sarebbe cambiata. Anche se non sembra – anche se fino a prova contraria è l’antagonista del film – , è un personaggio ricco di emozioni, represse, sì, ma pur sempre emozioni. Di Grenonat invece ho voluto risaltare proprio questo: la sua freddezza radicale. Il modo in cui aggira chiunque senza tenerne di conto. Il suo essere privo di emozioni. Per lui ciò che conta è screditare Frollo e prendere il potere; solo questo è il suo interesse.
Adesso, come mio solito, vi ho lasciati sulle spine: cosa ne pensate del piano architettato da Olympe?
Un’ultima cosa, prima di lasciarvi: vi avviso che da qui in avanti  molti capitoli saranno un po’ lunghi, quindi potrei ritardare un po’ negli aggiornamenti – qualche giorno, comunque, niente di che.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto :)
Alla prossima,
Stella cadente

PS Avete fatto caso a come ho chiamato l'istruttore di Olympe? Chissà come mai... ;)

 

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Capitolo 27
*** La lettera ***


XXVII.
La lettera
 
Nina
 
 
 
«Voi che cosa ne pensate di Grenonat, don Grégoire?»
L’anziano arcidiacono mi sorrise, mentre puliva i portacandele della cattedrale accuratamente.
«Figliola» disse, con una risata bonaria. «In realtà sarebbe più corretto dire cosa non penso di costui.»
Avevo sempre avuto un bel rapporto di cortesia con don Grégoire. Era un uomo saggio, gentile e sempre disponibile per i bisognosi. In un certo senso, lo ammiravo. Ammiravo la sua misericordia e il suo spirito anticonformista. Forse ero esagerata, ma quell’uomo mi sembrava la giustizia in persona, di una bontà quasi soprannaturale.
«Mi sembra tutto, meno che giusto. Soprattutto verso quei poveri mendicanti» aggiunse, con una nota perentoria nella voce profonda. «Ma del resto, non ho mai avuto molta stima verso quelli della Corte di Giustizia. A mio parere sono ben lungi dal capire quali siano i veri valori della fede. Ma del resto» concluse, riacquistando la sua solita aria mite «chi è che può essere davvero in grado di saperli conoscere?»
Continuò a pulire i portacandele, ed io feci per aiutarlo.
«Posso?» chiesi umilmente.
«Certo, figliola, certo» sorrise lui, facendomi un gesto come per invitarmi.
Sorrisi di rimando e mi avvicinai, iniziando a togliere la cera colata dal ferro un po’ arrugginito.
Per un po’ intercorse il silenzio tra noi, poi azzardai:
«E sentite… Di Frollo che ne pensate? Insomma… riguardo a quello che sta succedendo là fuori, intendo.»
Avevo sempre saputo che tra lui e Frollo non correvano buoni rapporti; non volevo affondare il coltello nella piaga, ma mi sentivo in dovere di saperne di più. Adesso mi ero resa conto che non conoscevo affatto Frollo, anche se era stata la mia tutrice per quindici anni.
L’espressione dell’arcidiacono si incupì.
«Non ho mai avuto una buona opinione di lei. Abbiamo sempre avuto divergenze, sin dall’inizio. Anche quando ti trovò. Soprattutto quella volta, direi.»
Cosa?
«Che volete dire?»
L’uomo mi sorrise mestamente.
«Non credo che sia un buon argomento da affrontare in questo momento, Nina.»
Lo sapevo benissimo, ma mi ripetei che dovevo farmi coraggio.
«Ditemi.»
Don Grégoire tirò un sospiro.
«È stato da allora che il mio giudizio si è inasprito. Il Giudice Claudie Frollo ti strappò via a tua madre. Fui io a dirle di tenerti.»
Di colpo, mi sembrò che il cuore avesse smesso di funzionare.
Fui io a dirle di tenerti.
Ti strappò via a tua madre.
«Come sarebbe a dire? La signora Frollo mi ha sempre detto che mia madre… mia madre era morta e… e allora mi prese in custodia perché nessun altro mi voleva.»
Le mie mani iniziarono a ricoprirsi di sudore appiccicaticcio.
«Certo. Ma, cara ragazza, ella ha mentito. O meglio, ti ha detto la verità solo in parte. Ha sempre avuto in antipatia gli zingari, ma credo che tu questo lo sappia molto bene. Impazzì letteralmente non appena divenne Giudice – all’epoca non ero ancora arrivato ai cinquant’anni – e avviò una missione contro di loro; contro una di loro in particolare, in realtà. Non ne capii il perché. Nessuno lo capì mai, in realtà. Comunque sia, da quel momento ha sempre perseguitato con ferocia ogni singolo membro del popolo dei gitani. Non si fermava nemmeno di fronte ai bambini.»
La sua voce era diventata cupa, grave.
Il silenzio era opprimente. Tutte quelle informazioni sembravano schiacciarmi; più don Grégoire parlava, più ero consapevole del fatto che Frollo avesse fin troppi segreti e conti in sospeso.
Volevo chiedergli se secondo lui il Giudice sarebbe tornato al potere; ma dubitavo che mi avrebbe aiutata nel mio intento. Dubitai anche di me stessa; non ero sicura di voler favorire una persona che mi aveva mentito spudoratamente per tutta una vita, ma non avevo altra scelta. L’alternativa era assistere al declino di Parigi sotto Grenonat, e non era decisamente una buona idea.
Stavo per chiedere se sapesse di più su Claudie Frollo, quando al Portale Centrale della cattedrale risuonarono tre colpi decisi.
«Chi potrà essere a quest’ora?» fece l’arcidiacono, forse più a se stesso che a me.
Si recò poi al Portale e lo aprì, con un po’ di fatica.
Lo sentii dire delle frasi di benvenuto, con la sua solita voce gentile, e lo vidi fare un cenno di invito alla figura che stava sulla soglia.
Era un ragazzetto forse, esile e alto. Sembrava un mendicante; era vestito di stracci.
Quando il Portale si richiuse alle sue spalle, egli si liberò dal suo travestimento in un secondo.
Non era un mendicante.
Portava un’ uniforme; lo sentii dire a don Grégoire: «devo consegnare questa lettera a voi. Sapete cosa farne.»
L’arcidiacono fece un cenno di assenso. Il ragazzetto infilò una mano nella tasca della sua uniforme e ne tirò fuori una lettera, che dette a don Grégoire velocemente, come se temesse che qualcuno lo potesse vedere.
Mi avvicinai un po’ senza farmi notare; non volevo origliare come una bambinetta, ma la curiosità aveva avuto la meglio.
Finsi di essere impegnata con l’ultimo portacandele da pulire e aguzzai l’udito.
«È da parte di Olympe de Chateaupers, ma dovrete giurarmi che non lo saprà nessuno. Posso fidarmi?»
L’uomo annuì.
«State tranquillo, messere» disse solo. «La lettera è in buone mani.»
«Oh, non è che non mi fidi di voi, signor arcidiacono» fece il ragazzo, spalancando un po’ gli occhi. «Era solo per sicurezza. Sapete come si dice… anche i muri hanno le orecchie. Ma adesso devo andarmene… meglio che non mi si veda troppo nei dintorni. Ordini del Giudice de Chateaupers, ma non posso dirvi altro» concluse, sbrigativo.
Salutò don Grégoire e, ancor prima che me ne fossi accorta, era uscito dalla cattedrale.
Quando l’arcidiacono mi raggiunse, sul suo viso aleggiava un sottile sorriso divertito.
«Hai sentito tutto, eh?»
«Io…» balbettai. «Sono spiacente, non volevo…»
L’uomo mi diede la lettera.
«Non c’è problema, Nina. Questa lettera è per te.»
Lì per lì rimasi attonita; poi ripensai a quello che aveva detto il messaggero.
È da parte di Olympe de Chateaupers, ma dovrete giurarmi che non lo saprà nessuno. Posso fidarmi?
Adesso devo andarmene… meglio che non mi si veda troppo nei dintorni. Ordini del Giudice de Chateaupers, ma non posso dirvi altro.
Qualcosa scattò nel mio cervello.
Proverò a cercare  qualche alleato al Palazzo di Giustizia. Nel caso, ti faccio mandare un messaggio in incognito. Vedrò che posso fare.
Ma certo! Il messaggio!
Sorrisi, spontanea: sapevo che Olympe ce l’avrebbe fatta.
Ma aspetta…
«Come facevate a sapere che questo messaggio era per me?» diedi voce ai miei pensieri, riportando lo sguardo su don Grégoire.
«Carissima Nina» disse solo. «Lo so e basta. E ora leggilo. Penso proprio che sia qualcosa di davvero importante» concluse, con un’espressione enigmatica.
Poi si allontanò, lasciandomi sola.
E fu in quel momento che pensai che, forse, l’arcidiacono aveva davvero qualcosa di soprannaturale.
 
 
 
Mi decisi soltanto minuti dopo a rompere il sigillo di ceralacca rossa e ad aprire, con mani tremanti, il foglio di pergamena racchiuso in esso.
Quando vidi quella grafia, pensai che era proprio come Olympe: chiara, calcata. Decisa.
Non poteva che essere sua.
Iniziai a leggere, facendo saettare gli occhi da un lato all’altro del foglio.
 
 
Carissima Nina,
come hai visto, eccomi qui. Ce l’ho fatta. Sono riuscita, in una qualche maniera, a radunare un esercito clandestino a favore di Claudie Frollo. Ho architettato un piano approfittando della mia prestigiosa posizione, ma è fondamentale che tutto vada nel migliore dei modi perché abbia successo.
L’esercito partirà un quarto d’ora prima della mezzanotte, in modo che Grenonat non noti la differenza. Ha dato a me l’incarico di occuparmi della spedizione, perciò è impossibile che sospetti qualcosa. Ha fiducia in me. I clandestini saranno guidati dal Capitano di Montespan, e prenderanno un’altra strada per raggiungere la Corte dei Miracoli, per poi schierarsi con gli zingari e combattere con loro. Quando la battaglia comincerà, anche io combatterò per Frollo.
 
Non potevo crederci: aveva deciso di mettere in atto il mio consiglio. E ci stava riuscendo anche molto bene; il piano era degno di un vero stratega.
Provai una fitta di ammirazione per la mia amica, che stava dimostrando coraggio e sangue freddo.
Poi continuai a leggere.
 
Quanto a te, Nina, dovrai svolgere un ruolo molto importante. C’è un motivo se ti ho fatto recapitare questa lettera: solo tu puoi fare quello che sto per chiederti.
 
Ebbi un tuffo al cuore, ma mi sforzai di proseguire.
 
Eymeric, quando ci siamo incontrati e l’ho aiutato a liberare sua sorella, mi ha detto che alla Corte dei Miracoli ci sono ancora anziani e bambini. Nessuno si muove, nessuno ha possibilità di fuggire senza che ci sia il rischio che venga avvistato da Grenonat e quelli al suo seguito. Tutti sono immersi nella paura. Ma non possono restare lì; non alla vigilia di uno scontro di questa portata.
Ti chiedo, perciò, di recarti alla Corte dei Miracoli questa stessa sera. Devono essere condotti a Notre-Dame: solo là saranno al sicuro, poiché avranno il diritto di asilo.
Qui sotto, come puoi vedere, hai una mappa per arrivare alla tua destinazione: ti servirà per arrivare alla Corte, e da lì per ritornare a Notre-Dame, ma non posso dirti come l’ho ottenuta, almeno per ora.
Appena sei tornata alla cattedrale, brucia questa lettera. Non si sa mai chi potrebbe leggerla.
Tua,
 
Olympe
 
PS Ah, e non preoccuparti per me. Farò in modo di tornare.
 
Quando sollevai lo sguardo dalla lettera, ero perfettamente cosciente del fatto che mi servisse una buona dose di coraggio per fare quello che Olympe mi aveva chiesto. Ma d’altronde, era stata una mia idea: se volevo che Frollo tornasse al comando, dovevo seguire le istruzioni della mia amica.
D’accordo, dissi a me stessa. Facciamolo.
 
 
****
 
 
Avevo atteso l’ora dei Vespri con ansia; poco dopo, avrei dovuto compiere la mia missione. Non mangiai nemmeno. Rimasi dentro la mia stanza per tutto il tempo, aspettando di sentire sulle scale i passi dell’arcidiacono che andava a dormire.
Quando non sentii più nulla, uscii. Feci attenzione a non fare rumore, e controllai che non ci fosse più nessuno.
Notre-Dame era deserta.
È il momento.
Mi avviai al Portale Centrale della cattedrale, lo aprii e sgusciai fuori, silenziosa come un’ombra.
 
 
Camminavo a passo svelto lungo le vie di Parigi, con una torcia in mano. Sobbalzavo ad ogni minimo rumore; mi sentivo costantemente seguita, e non era piacevole. E poi non si poteva mai sapere che cosa poteva spuntare da una strada buia.
Mi incoraggiai comunque a continuare a camminare, dando di tanto in tanto un’occhiata alla mappa che Olympe mi aveva riportato nel messaggio. Era una pianta della città, e in inchiostro rosso era tracciato un pallino, che doveva starmi ad indicare la Corte dei Miracoli.
Non doveva essere lontana; ero nella periferia di Parigi, vicino al cimitero.
Passai davanti al cancello, con gli occhi fissi sulla mappa.
Poi tornai indietro.
Il pallino rosso corrispondeva a quel punto esatto della città.
Devo entrare qui?
Il cancello era aperto.
La cosa non mi piaceva; quel posto era macabro. Faceva venire i brividi. Il buio ingoiava ogni cosa, facendomi apparire le sagome più semplici come dei mostri orrendi. Per un momento provai la paura irrazionale che i morti potessero uscire dalle loro tombe per farmi del male.
Sospirai, come per farmi coraggio, ed entrai, cercando di non fare caso alla pelle d’oca che sentivo sulle braccia. Il cancello cigolò quando lo urtai inavvertitamente.
Riportai gli occhi sulla mappa per la terza volta, sentendomi a disagio nel camminare in mezzo alle lapidi.
Poi la notai – quasi subito, in realtà.
Un’enorme lapide. Sembrava più un sepolcro; l’architettura dava un’idea di magnificenza.  Ma non fu quello ad attirare la mia attenzione.
Sopra c’era ricalcato un simbolo che era disegnato anche sulla pianta in corrispondenza del puntino, una specie di grande croce, come se fosse il simbolo di uno stemma.
Mi ci avvicinai subito e lo illuminai con la fiaccola; era proprio quello. C’era anche un’iscrizione, ma le lettere appartenevano ad una lingua sconosciuta.
Mi ci vorrà un po’ per tradurla…
Poi abbassai gli occhi sul coperchio del sepolcro.
Oppure…
Mi guardai intorno per assicurarmi di non essere vista; l’ora era tarda e non c’era nessuno, inoltre ero lontana dalle abitazioni. Ma era meglio essere prudenti.
Quando vidi che davvero c’ero solo io, mi concentrai.
Sentii l’energia dell’acqua provenire dalle mie mani, e subito dopo un’improvvisa marea colpì il sepolcro, sbalzando il coperchio a terra e rivelandomi una ripida rampa di scale che scendeva nell’oscurità.
Quello che provai a quella vista fu insolito; mi sentivo soddisfatta e sorpresa per come i miei poteri erano venuti fuori, ma inquieta ed eccitata insieme alla vista di quei gradini che si calavano nel buio.
Scesi senza pensare, ascoltando l’eco dei miei passi.
 
 
Dove accidenti mi trovo?mi venne da pensare subito, quando scesi l’ultimo gradino.
Il posto era buio, umido e sapeva di muffa e carne putrefatta. Mi misi una mano sul naso; l’odore era insopportabile.
Quando illuminai l’ambiente circostante con la torcia, poi, inorridii.
Ero circondata da scheletri.
Devono essere le vecchie catacombe…
Guardai di nuovo la mappa, per essere sicura di essere nel posto giusto. La Corte dei Miracoli era proprio lì. Possibile che fosse in quel posto tremendo? Me l’ero immaginata diversa.
«C’è qualcuno?» sussurrai.
Avanzai timidamente, cercando di non badare agli scricchiolii delle ossa sotto i miei piedi. La situazione mi sembrava troppo calma, però, e l’inquietudine continuava a serpeggiarmi nello stomaco.
Non è che dovrebbe succedere qualcosa adesso? Magari…
La fiaccola si spense d’un tratto.
…un agguato.
Prima ancora che potessi rendermene conto, una decina di zingari mi apparve davanti. Alla luce delle torce che portavano in mano, le loro facce sembravano cattive, quasi grottesche.
«Salve forestiera» mi disse un uomo mingherlino, con una voce beffarda. Lo riconobbi subito: era il burattinaio – lo avevo visto alla Festa dei Folli tempo prima.
«Ascoltatemi, io…»
«Non mi interrompere, ragazzina» aggiunse, ancora con quella voce ironica.
Mi ritrovai imbavagliata.
«Sei stata molto brava a trovare il nostro nascondiglio, ma…» gli zingari alle sue spalle risero malignamente «… sfortunatamente non potrai vivere per raccontarlo.»
Cosa? Ma Olympe mi aveva detto che…
«Aspettate!»
Una voce risuonò tra quelle pareti anguste. Una voce che non sentivo da una vita, ma che riconobbi subito.
«Eymeric!» la mia voce uscì ovattata, trattenuta dallo straccio che mi avevano messo sulla bocca.
Non riuscii nemmeno a vederlo appena in tempo. Mi sentii mancare le forze, e in un attimo mi ritrovai a terra.
 
 
****
 
 
«Come ti senti?»
Aprii gli occhi, e lentamente misi a fuoco il viso di Eymeric che mi guardava preoccupato. Capii subito, dai colori stravaganti che mi circondavano, che mi trovavo in una tenda simile a quelle della Festa dei Folli.
Allora non ho sbagliato strada.
Mugugnai qualcosa che non capii nemmeno io, poi cercai di schiarirmi la voce per parlare in modo decente.
«Perché…»
Sospirai. Non mi era mai sembrato così difficile mettere insieme qualche parola.
Riprovai.
«Perché sono svenuta?»
La mia voce era stanca e strascicata.
«Non saprei» disse lui. «Forse perché ti hanno imbavagliata e ti hanno rivolto minacce di morte.» Lanciò un’occhiataccia a qualcuno che doveva essere in fondo alla stanza – forse proprio Clopin. Subito dopo sentii un fruscio: probabilmente il Re dei gitani – o chiunque fosse la persona che era lì con lui – era uscito.
«Tieni» mi porse un piccolo calice intagliato nel legno. «Ti aiuterà.»
Bevvi con avidità, e ad ogni sorso sentii le forze ritornarmi in corpo.
Mi sedetti e gli restituii il bicchiere vuoto.
«Che cos’era?» chiesi. «Mi sento già molto meglio.»
Eymeric rise un pochino.
«Solo acqua, Nina.»
Poi, tutto d’un tratto, prese un’aria seria.
«Adesso devi andare però. Mancano un paio d’ore a mezzanotte, e non voglio che tu sia in giro per Parigi quando comincerà lo scontro, né tantomeno qui. Ci siamo capiti?»
Annuii, e mi alzai piano dal letto colorato sul quale mi aveva adagiata. Sentii il corpo prendere sempre più vigore e formicolare dall’adrenalina.
«Devo portare delle persone a Notre-Dame. Come faccio? Non so quali sono.»
Eymeric si ammorbidì in un sorriso.
«Ti stanno aspettando qua fuori, mia dolce amica.»
Sorrisi. Mi era mancato il modo in cui si rivolgeva a me. Per un attimo – cosa che mi sembrò buffa, dal momento che ora c’erano altre cose a cui pensare – riflettei sui miei iniziali sentimenti per lui, e su quelli di Olympe.
Già, Olympe.
Non sapevo come la pensasse lei al riguardo, ma a me quell’amicizia bastava, e gli ero grata per avermi fatto scoprire cosa significasse tenere a qualcuno.
«Eymeric» dissi. «Grazie per tutto. Ti voglio bene.»
Lui mi abbracciò, e in quell’abbraccio c’era tutto l’affetto del mondo.
«Adesso vai» disse, quando ci staccammo. «Portali al sicuro.»
«Lo farò» gli promisi.
 
 
Quando uscii dalla tenda, vidi una folla di zingari guardarmi con un misto di sorpresa e fiducia.
«Sono venuta qui per portarvi a Notre-Dame» annunciai. «Là avrete il diritto di asilo, perciò eviterete lo scontro. So che probabilmente vorreste restare con i vostri familiari a combattere, ma non potete. Ci sono domande?»
Silenzio.
«Bene, andiamo allora» conclusi. «Il tragitto è lungo, e il tempo che ci rimane è poco.»
Mentre li scortavo fuori dalla Corte, e successivamente lungo le strade di Parigi, pensai alle loro paure e ai loro dubbi. E pensai a cosa sarebbe successo a me se Eymeric, Olympe, o anche Frollo, avessero perso la vita nello scontro.
Scacciai subito quell’idea, e mi rifugiai nella speranza, come ognuno dei gitani che stavo portando a Notre-Dame.

 
 
Dovrei essere a letto perché è passata la mezzanotte, ma mi sono ripromessa di essere puntuale con gli aggiornamenti, quindi sono qui solo per voi ♥
Passando al capitolo... io ve l’ho sempre detto che Nina avrebbe avuto un ruolo importante! :D
In questo capitolo la nostra dolce e ingenua protagonista tira fuori un insolito spirito di avventura e una grande nobiltà d’animo. Insomma, come vedete la sua parte la fa, e – anche se a primo impatto può non sembrarlo – non è nemmeno una parte poco importante, anzi!
Inutile dire, poi, che ho amato la scena con Eymeric. Come Quasimodo, Nina riconosce che quello che prova per il nostro amato zingaro è una grande amicizia, una di quelle che non tramonteranno mai. Me lo sono visto davanti quell’abbraccio, e devo dire che mi ha commossa – soprattutto contando che siamo in vista di una battaglia e che Nina non sa quale sarà il destino del suo amico.
Inoltre – una cosa che si limita alla parte iniziale del capitolo, ma che di certo non è per questo la parte meno importante – abbiamo anche una conversazione interessante con don Grégoire, l’arcidiacono.
Come vedete, più andiamo avanti, più si capisce sempre meno del passato di Frollo e della sua vera storia. siete curiosi? ;)
Bene, arrivati a questo punto direi che ho finito. Lo scontro sta per cominciare: cosa vi aspettate?
Spero che i prossimi capitoli non vi deludano.
Alla prossima,
Stella cadente

 

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Capitolo 28
*** Caduta libera ***


XXVIII.
Caduta libera
 
Olympe
 
 
 
«L’attacco sarà a sorpresa. Non avranno nemmeno il tempo di fuggire, signore.»
Grenonat mi guardò, compiaciuto, mentre facevamo camminare accanto i nostri cavalli.
Eravamo ad un passo dalla Corte dei Miracoli. Vedevo già il cancello del cimitero, in lontananza. Ci avvicinavamo sempre di più. Sentivo già i brividi aggredirmi la pelle: la rivolta stava per cominciare.
«Mi chiedo perché non abbiate ricevuto un incarico più prestigioso già da prima, Olympe» disse, sorridendo. «Siete così… così brillante.»
«Vi ringrazio.»
Non avrei mai creduto di trovarmi a fingere in quel modo, ma per il bene di tutti dovevo farlo.
Per il bene di Eymeric e di Nina.
Era la cosa giusta, quello che da sempre mi avevano insegnato a fare.
È ora che ci sia giustizia.
«Oh, è un dato di fatto, non un complimento» rispose lui. «Sentite… voi sapete qualcosa di quello zingaro?»
Mi voltai verso l’Inquisitore.
«Perché me lo chiedete?»
Virgile Grenonat alzò per un attimo le sopracciglia.
«Beh, perché quando Frollo era ancora in carica, tutti noi alla Corte di Giustizia siamo stati impegnati con le ricerche. Non lo sapevate?»
«No, in realtà no.»
Il Giudice mi lanciò un’occhiata che non seppi interpretare.
«Ci sono tante cose che non sapete di Claudie Frollo, vedo.»
Già. E la cosa mi inquieta parecchio.
«Lo penso anche io» dissi solo.
«Il che è strano, dal momento che eravate la più vicina a lei in assoluto. Non vi siete mai chiesta il perché di quella sua ossessione?»
Mi sentii a disagio. Stavamo avendo una conversazione quasi amichevole – una cosa che con Frollo non avevo mai avuto – e il fatto, per un momento, mi destabilizzò.
«In effetti sì. Mi chiedevo quale fosse la ragione di queste ricerche così continue. Ma inizialmente avevo attribuito tutto al fatto che Eymeric – il gitano – l’avesse sfidata alla Festa dei Folli, e anche prima.»
«Un’ottima osservazione, in effetti. Nessuno sospettava qualcosa, all’inizio. Ma avreste dovuto vederla durante i processi; non l’ho mai vista tanto estraniata da se stessa, prima.»
Cercai di immaginarmela, ma non ci riuscii.
 «Ad ogni modo» riprese. «Sapete qualcosa di quello zingaro.»
Non era più una domanda; era un’affermazione.
Gli rivolsi uno sguardo raggelato.
«Ricordate il suo nome, Olympe. Perciò significa che quel gitano vi è familiare.»
Il cuore mi mancò di un battito.
«Non esattamente» optai per una mezza verità. «Ma so chi è. L’ho visto alla Festa dei Folli, e poi Frollo mi ha mandata a cercarlo» dissi, cercando di controllare bene il tono della voce.
«E quindi ricordate così bene il suo nome?»
Mi ammutolii. L’unica cosa che riuscii a sentire fu una fitta quasi dolorosa di terrore, che mi arrivò alla testa e mi intorpidì gli arti.                                                                                                                 
«Onestamente, non vedo il nesso» proseguì.
Mi sentii pietrificare.
Mi sono uccisa con le mie stesse mani.
«È un peccato» disse infine «che non si capisca da che parte stiate, Olympe.»
«Cosa?» feci, in preda al panico.
«Credete che io non mi sia accorto del fatto che confabulavate con il capitano di Montespan?»
Silenzio.
La missione è andata a monte.
Moriranno tutti per colpa mia.
«Siete stata molto brava, ma adesso che mi avete condotto fino a qui, credo proprio che non mi serviate più.»
Quello che successe dopo mi sembrò avvenire al rallentatore.
Grenonat sguainò la spada, che produsse un suono sibilante. La sua espressione era fredda, gli occhi vitrei.
Non ebbi nemmeno il tempo di realizzare che la lama mi era affondata nella spalla – l’unico punto non protetto dall’armatura.
Il dolore mi incendiò il cervello. Per un momento vidi nero, anche se ero sicura di non aver perso i sensi.
Dopo un breve momento di lucidità sentii il mio corpo cadere inerme dal cavallo, e poi vidi solo buio.
 
 
****
 
 
 
Mi sembrava di vagare in un sogno.
Aprii per un attimo gli occhi, e mi si presentò davanti un cielo stellato. Scuro, semplice, bellissimo. Niente a che vedere con le immagini che avevo visto prima. Non riuscivo neppure a distinguere dove mi trovassi o cosa stessi facendo.
Fu solo un’immagine passeggera, che se ne andò via come se fosse niente.
E subito dopo sprofondai di nuovo nelle tenebre.
 
 
 
****
 
 
 
«Olympe.»
Una bella voce mi chiamava.
«Riesci a sentirmi?»
«S… sì» riuscii a farfugliare.
Provai di nuovo ad aprire gli occhi, ma non riuscivo a trovare la forza per farlo.
«Olympe, devi riposarti adesso. Non fare sforzi.»
Il dolore era ancora così forte che mi sembrò di sentirlo acuto come quando Grenonat aveva sferrato il colpo.
«Voglio vederti» bisbigliai.
Sentii che il proprietario della voce sorrideva.
«Sono Eymeric» disse poi.
Quelle due parole mi arrivarono con una fitta di gioia. Se solo ne avessi avuto la forza, mi sarei tirata su di scatto e l’avrei abbracciato.
«Eymeric…» ripetei.
«Riposati.»
Aprii gli occhi di colpo, e la luce fioca che illuminava la stanza in cui mi trovavo mi diede fastidio alla vista.
Mi portai una mano alla spalla, e mi resi conto che qualcuno mi aveva tolto l’armatura. Mi sentii arrossire: era stato lui?
Non ebbi il tempo di chiederglielo, perché subito mi uscì dalla bocca un gemito di dolore.
«Non mi darai mai retta, eh?» fece il ragazzo, ridacchiando un po’.
«No, infatti» dissi io, ricambiando. «Cos’è successo? Dove sono?»
«Sei a Notre-Dame. Non ti ho vista quando Grenonat è arrivato con il suo esercito, così sono uscito, e ti ho trovata. Poi ti ho portata qui con l’aiuto di Ruben.»
Chi?
Solo allora mi accorsi del ragazzo che gli stava accanto. Era alto, aveva i capelli lunghi ed era muscoloso. Tanto. Forse troppo.
Se ne stava lì, alle sue spalle, a fissarmi.
Un po’ mi inquietava.
«Mi dispiace» riuscii solo a dire. «Mi sono fatta scoprire in modo clamoroso.»
«Ma senza di te non saremmo mai arrivati a questo punto» mi rimbeccò lui. «Abbiamo un esercito più numeroso grazie a te.»
Sorrisi, ma mi sembrò che avessi fatto qualcosa di più simile ad una smorfia che ad un sorriso.
«Adesso cerco di sistemarti un po’» mi rassicurò lui.
Chiusi gli occhi di nuovo, lentamente. Avevo ancora addosso un grande senso di confusione, come se fossi continuamente sospesa tra sogno e realtà.
«Passami l’elicriso, per favore» lo sentii dire.
Armeggiò con qualcosa, poi si avvicinò di nuovo a me.
«Cosa stai…»
Un bruciore intenso mi afferrò la spalla. Il dolore era lancinante.
Mi ritrovai a ringhiare sofferente, mentre Eymeric sistemava quella strana erba che aveva nominato sulla ferita.
«Questa dovrebbe farti stare meglio in breve tempo» disse. «Ferma il sangue.»
«Grazie» soffiai io, stremata.
«Eymeric!»
La voce di Ruben, il ragazzo muscoloso, rimbombò anche da lontano.
«Torno subito» mi disse il mio amico.
E si allontanò.
Lo vidi, per un attimo, parlare con Ruben con tono concitato.
Ma poi non ce la feci più, e mi addormentai.
 
 
Mi svegliai dopo quelle che mi parvero ore. Eymeric era di nuovo accanto a me, adesso, e guardava la luna dalla finestra della torre.
«Eymeric» bisbigliai.
Lui si voltò subito.
«Oh, bentornata tra noi» disse, con la sua solita ironia appena accennata.
«Quanto ho dormito?» chiesi, con la voce scheggiata dal sonno. La ferita mi dava ancora una fastidiosa sensazione di bruciore.
«Circa mezz’ora» mi disse lui.
Solo mezz’ora?
«Che è successo? Cosa ti ha detto…»
Non riuscivo a ricordare il suo nome.
«Ruben?» mi aiutò lui.
Annuii, facendo un cenno appena percettibile con la testa.
Eymeric sospirò.
«Lo scontro sta proseguendo in modo strano. Siamo arrivati ad una situazione di stallo.»
Nella mia mente annebbiata dal sonno e dal dolore, quelle parole non presero nessun significato.
«Cioè?»
«Il combattimento si è fermato. Gli eserciti si sono ritirati.»
Feci un’espressione perplessa.
«Perché?»
«Frollo è intervenuta. Ha detto che lo scontro in realtà è tra lei e Grenonat, e basta. Lo ha invitato ad un armistizio. Non so cos’abbia in mente.»
Neanche io.
Il suo sguardo era malinconico, preoccupato. Più lo guardavo, più mi rendevo conto che qualcosa, tra lui e il Giudice, era davvero cambiato.
Avevo paura di ciò che quel qualcosa avrebbe potuto fare. E probabilmente Eymeric lo capì, perché mi si avvicinò dicendomi:
«Non aver paura, Olympe. Ti terrò informata su ogni cosa. E non farti sensi di colpa inutili: tu hai fatto tutto il possibile.»
 Non replicai. Non seppi se fosse per la stanchezza, per la frustrazione o per la ferita che sembrava urlare, ma mi si strinse un groppo in gola. Se avessi parlato la mia voce sarebbe stata incrinata, e non ci tenevo a farmi vedere debole.
«Ti preparo dell’altro elicriso» concluse Eymeric.
Mentre lo vedevo prendere la pianta dal sacco che si era portato dietro, un’idea mi colpì d’improvviso.
«Nina è qui?» chiesi, cercando di mantenere un tono di voce controllato.
Lui si girò, sorridendomi.
«Sì. Ma le ho proibito di vederti, perché probabilmente ti salterebbe addosso, e direi che ora come ora è meglio evitare» disse dolcemente.
«Come sta?»
«Bene» il suo tono era leggero mentre tornava da me. «Sta intrattenendo i gitani che si sono rifugiati qui con grande successo.»
Mi sembrò che la sua voce nascondesse un’allusione a qualcosa, ma immaginai che lo avrei saputo a tempo debito.
Sorrisi per quello che mi aveva detto.
Ce l’ha fatta.
«Quindi non si combatte?»
«Direi che tu non potresti farlo in ogni caso» disse, premuroso, mentre mi medicava. «Ma hai organizzato tutto questo, e te ne siamo grati.»
Lo guardai con affetto, poi dissi:
«Non ringraziare me: ringrazia Nina. Senza di lei, non sarei mai riuscita neanche a pensare le cose che ho fatto.»
Mi sorrise, si alzò e si diresse verso le scale.
«Eymeric» lo chiamai.
Lui si voltò.
«Sì?»
«Grazie. E…» aggiunsi. «Di’ a Nina da parte mia che è stata eccezionale.»
Il ragazzo mi sorrise di nuovo, disegnando una linea ironica sul suo bel viso.
«Provvedo subito, Giudice de Chateaupers.»
Ridacchiai sommessamente, mentre ascoltavo i suoi passi lungo la scala a chiocciola, ma poi lo sentii fermarsi di colpo.
Una voce maschile, che non apparteneva a lui – forse era quella di Rubes, Robes o come accidenti si chiamava – riecheggiò nella pietra.
Non capii cosa stesse dicendo.
Fu quello che successe dopo a preoccuparmi.
Distinsi, subito dopo, la voce di Eymeric, ma era irriconoscibile. Era… disperata.
Di una disperazione così forte che solo a sentirla mi fece male il cuore.
«Com’è possibile?»                                     
Poche parole, una frase quasi insignificante.
Ma servì a farmi capire che qualcosa era successo in battaglia.
Qualcosa che sicuramente non era buono.
Qualcosa di doloroso.

 
 
Seppur con un leggero ritardo, sono sempre qui :)
Scrivendo questo capitolo mi sono resa conto che questa storia mi sta portando dove vuole lei, e che sta diventando molto più seria di quello che doveva essere. Inutile dire che Olympe mi sta piacendo sempre di più, perché esattamente come Febo si sta dimostrando una persona che ha coraggio da vendere e spirito di giustizia.
Ho voluto rispecchiare il fatto che, nel film, Febo viene ferito e medicato da Esmeralda, ed infatti abbiamo una scena simile tra Eymeric e Olympe. Li ho trovati carinissimi, mi mancavano :’)
Il finale aveva l’intenzione di lasciarvi un po’… un po’ così. Secondo voi che cosa sarà successo?
Spero che la storia continui a piacervi, perché ho stravolto completamente i miei piani iniziali e non so dove finirò, sinceramente. Comunque, mi auguro che anche questo capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima,
Stella cadente

 

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Capitolo 29
*** Fatalità ***


XXIX.
Fatalità
 
Claudie
 
 
 
«Come vi ho già detto, richiedo un armistizio. Accetterò di collaborare con voi, Giudice Grenonat, a patto che non mi uccidiate. Siete in grado di arrivare a questo compromesso?»
Virgile si era ammutolito. Era rimasto basito di fronte a quella frase, quando l’avevo preso da parte durante la battaglia.
Avevo una strategia. Ed avevo intenzione di portarla fino in fondo.
Ora eravamo nel luogo più remoto della Corte dei Miracoli, proprio vicino alle scale che conducevano all’esterno nel cimitero, l’uno davanti all’altra. Nelle nostre orecchie rimbombava un silenzio irreale, che si era venuto a creare dopo le due precedenti ore di battaglia.
«Meritereste di essere uccisa per quello che avete fatto» rispose, digrignando i denti. «Avete tradito il vostro nome, ed avete imbrattato quello della Corte di Giustizia.»
«E voi, invece, avete fatto un bel lavoro a Parigi?» lo sfidai. «So che avete imprigionato e ucciso anche i Giudici. Non mi risulta molto conveniente per un Inquisitore, Virgile. Io, ad esempio, non lo avrei mai fatto. Perseguitare la nobiltà… a che pro?»
Silenzio.
«In ogni caso» proseguii «non è forse la collaborazione che volete, da parte mia? Ebbene, io vi sto offrendo spontaneamente questa possibilità.» feci una pausa, gustandomi la sua espressione che non tradiva la sua incredulità. «Dunque: accettate?»
Virgile mi guardò per un secondo che mi sembrò interminabile, poi disse:
«Sì. Accetto.»
«Benissimo» dissi io, soddisfatta. «Allora direi che questa battaglia si possa dichiarare ufficialmente giunta al termine.»
Mi voltai e mi recai verso l’entrata della Corte, per annunciare l’accordo, ma alle mie spalle sentii un sibilo familiare.
Aveva sguainato la spada. Dovevo immaginarmelo.
Sogghignai.
Molto bene, Virgile. Hai fatto la tua scelta. Ma non temere: non mi coglierai impreparata.
«Prendetelo.»
La mia voce riecheggiò lugubre nella vecchia catacomba.
Quasi subito, dalle tenebre uscirono gruppi di zingari, che immobilizzarono Grenonat.
L’uomo spalancò gli occhi e mi guardò. Non si divincolò nemmeno: non avrebbe avuto possibilità contro i numerosi gitani che lo tenevano, e ne era consapevole.
La spada, che doveva in realtà colpire me, cadde a terra.
«Cosa…»
Mi avvicinai, trionfante. Mi resi conto solo adesso quanto avessi aspettato quel momento.
«Rammentate, Virgile: nessuno sarà mai in grado di fermarmi.»
Addosso avevo un semplice indumento scuro che avevo trovato alla Corte – un vestito con il cappuccio – ma mi sentivo di nuovo il temibile e potente Giudice di un tempo, ora. Cosa che alla fine ero sempre stata.
«Mi avete spodestata e avete tentato di uccidermi. E credo che ci sia anche altro, ma è sufficiente questo per porre fine al vostro governo…»
Lui era ammutolito. Aveva capito cosa sarebbe successo da lì a poco.
Raccolsi la spada da terra e mi diressi verso Virgile. Mi sentivo un bagliore sadico negli occhi: vendetta, pensavo. La tanto anelata vendetta.
«…per sempre» conclusi.
E, senza esitare un minuto di più, conficcai con forza la lama esattamente al centro del suo petto. Una macchia scura si allargò subito sulla sua pelle e un gemito strozzato fuoriuscì dalla sua bocca.
Vidi, con un intenso moto di soddisfazione, la vita abbandonare i suoi occhi, poi feci un cenno agli zingari, che lasciarono cadere a terra il corpo.
Tornai indietro per annunciare il termine della battaglia, ascoltando il risuonare lento e leggero dei miei passi sulla pietra.
Il mio nemico era stato sconfitto, e ora avrei pensato al resto.
A Parigi, c’era un seggio ad aspettarmi.

 


Capitolo il cui titolo è un omaggio a Hugo, e chi ha letto Notre-Dame de Paris lo sa :)
Scusatemi, so che è molto breve, ma aveva l’intento di essere incisivo e secco, che rendesse l’idea di ciò che Claudie prova in questo momento. Non c’è molto da dire. Come avrete ormai intuito, adesso c’è una svolta; il nemico è stato ucciso, Claudie ha avuto la sua vendetta e adesso tornerà in carica. Secondo voi come andrà a finire?
Al prossimo capitolo ;)
Stella cadente
 

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Capitolo 30
*** Acqua, archè ***


XXX.
Acqua, archè


 
Nina
 
 
Ero felice. Era questa l’unica cosa che riuscivo a pensare.
Sembrava tutto un sogno.
 
«Devo dire una cosa a tutti voi» esordì Eymeric, mettendomi una mano sulla spalla. «Questa ragazza è una persona straordinaria, nel vero senso della parola.»
Lo guardai, allarmata. Che aveva intenzione di fare?
«Ma non ha mai avuto qualcuno che la sostenesse. Claudie Frollo l’ha cresciuta, ma ha sempre represso la sua natura, per non far sì che Parigi venisse a conoscenza di un suo segreto… un segreto molto prezioso.»
Ora i gitani mi guardavano curiosi.
«Quale segreto?» chiese una anziana donna, perplessa.
Eymeric sorrise.
«Lei ve lo mostrerà. Non abbiate paura. Ve l’ho detto: è straordinaria.»
Ero nel panico. Senza che me ne fossi resa neanche conto, stavo trattenendo il respiro.
«Cosa devo fare?» sussurrai al mio amico, terrorizzata.
«Liberarti, Nina. Non aver paura di essere te stessa.»
Deglutii.
«Coraggio. Puoi farcela.»
Presi un respiro, chiudendo gli occhi.
Poi feci un gesto elegante con la mano, e in un attimo, una manciata di gocce d’acqua stava fluttuando in aria.
«Conoscete le sirene?» fece poi Eymeric.
I gitani spalancarono gli occhi e assunsero un’espressione meravigliata.
«Lei è una di loro. Ma come vi ho già detto» mi guardò con dolcezza «non farebbe mai del male a nessuno.»
Silenzio.
«Propongo di accoglierla con noi, alla Corte dei Miracoli» continuò poi, con entusiasmo. «Voi che ne dite?»
Mentre gli zingari mi guardavano, mi sentivo i nervi a fior di pelle. E se mi avessero respinta? E se mi avessero giudicata?
E se Frollo avesse avuto ragione?
La donna di prima si fece avanti e sul suo volto comparve un sorriso gentile.
«Sarà la benvenuta, Eymeric» disse.
E tutti gli altri assentirono, guardandomi come se già facessi parte di un’enorme famiglia.
 
 
 
 
Rammentai quello che mi aveva detto il mio amico, alla cattedrale.
Potresti anche meravigliare tutti, però. In senso positivo, ovviamente.
Sorrisi.
Aveva ragione. Ha sempre avuto ragione.
«Nina!» mi chiamò Jacqueline – un’adorabile bambina gitana. «Fai di nuovo quella cosa con l’acqua?»
Sorrisi. E, muovendo elegantemente le mani, produssi una bolla d’acqua, che poi esplose in aria in mille ghirigori.
Jacqueline rise e batté le scure manine paffute, contenta, mentre gli altri clandestini mi guardavano ammirati.
Ero rimasta stupita del fatto che non mi avessero subito additata come mostro, come mi aveva spesso detto Frollo. Eymeric, ancora una volta, ci aveva visto giusto: il popolo dei gitani non aveva regole, non aveva limiti, non aveva pregiudizi. Ed io li avevo subito amati, quando avevo fatto vedere loro chi ero realmente. Mi avevano accettata. Mi avevano accolta.
«Quindi tu sei in grado di produrre l’acqua con le mani?»
Una voce giovane spiccò nella massa, e subito dopo comparve un ragazzo dall’aria corrucciata, che si avvicinò a me con poche falcate. Lo guardai un attimo; aveva uno sguardo intelligente e un po’ imbronciato.
«Sì» dissi solo.
E, come a dargliene dimostrazione, feci scaturire uno zampillo d’acqua dal mio palmo.
«Verrai davvero alla Corte dei Miracoli, quando tutto sarà finito?» mi chiese a bruciapelo.
Mi sciolsi un po’.
«Lo vorrei. Ma non so se potrei.»
Lui annuii. Intanto l’attenzione stava scemando; i gitani avevano capito che avevo bisogno di non sentirmi un fenomeno da baraccone.
«Come ti chiami?» chiesi poi.
Quel ragazzo mi incuriosiva.
«Ivor.»
Dimostrava circa la mia età: era chiaro che non era un bambino.
«E come mai non sei andato a combattere?» chiesi infatti.
Lui fece spallucce.
«Non avrei potuto. Ho un fratello piccolo da tenere, e io sono l’unica famiglia che ha a parte mio padre… lui è a combattere» rispose, con tono lontano.
Mi sentii improvvisamente in imbarazzo.
«Scusami, forse non dovevo chiederlo.»
Ivor abbozzò un sorriso.
«Non importa.»
Silenzio.
«Spero solo che tutto questo finisca il prima possibile» aggiunse poi.
«Ma Eymeric mi ha detto che sono giunti ad un compromesso e…»
D’un tratto, la sagoma di Ruben – ormai avevo imparato a riconoscerlo – sfrecciò verso la torre.
«Ruben!» lo chiamò Ivor.
«Non ora!» urlò. «Eymeric per primo deve sapere!»
«Cosa? Sapere cosa?» insistette lui.
Ma Ruben non rispose.
I gitani intanto si erano zittiti al suo passaggio, come se fossero tutti un solo uomo. Forse avevano capito che era successo qualcosa.
E, in quel momento, anche io non potei fare a meno di sentire la preoccupazione che mi aggrediva.
 
 
 
****
 
 
 
Eymeric era irriconoscibile.
L’espressione completamente stravolta, gli occhi arrossati dal pianto, il volto una maschera di dolore.
Nel vederlo così sentii subito una fitta di preoccupazione.
Cos’è successo?
«Eymeric!»
Corsi verso il mio amico, mentre i clandestini mormoravano. Con la coda dell’occhio, vidi Ivor guardare la scena con un interesse vago e inquieto.
«Eymeric» ripetei, abbracciandolo. «Cosa è successo?» chiesi poi.
Ma lui non si muoveva. Sembrava che si fosse pietrificato.
Mi straziò vederlo così.
«Eymeric» gli passai una mano tra i capelli.
Silenzio.
«Parla, per amor del cielo!» la mia voce era disperata.
Lui mi guardò, e quegli occhi verdi, che avevo visto sempre allegri, vivaci, vivi, ora mi sembravano spenti, vuoti, morti.
Dove sei, Eymeric?
Dov’è quel gitano spensierato che io conosco?
«Nina.»
La sua voce mi fece sentire come se il cuore mi si fosse spezzato direttamente nel petto, frantumandosi in brandelli che ora vagavano a caso. Sentii le lacrime salirmi agli occhi.
«Mia sorella.»
Mi sembrò di non essere realmente presente.
Ormai avevo intuito.
«È morta.»
Ma la notizia mi destabilizzò comunque.
«Che cosa?»
«Sono morti quasi tutti.»
Alzai lo sguardo sulla folla che assisteva alla scena. Non mi ero resa conto che stavano ascoltando.
«Antea…» sussurrò il mio amico, con voce rotta. «La mia Antea…»
In un gesto che mi commosse, ogni gitano si diresse verso di lui, mormorando parole di conforto e abbracciandolo – compreso Ivor.
Ruben invece se ne stava da una parte, a braccia conserte, un’ombra malinconica nel suo sguardo cupo e rude. Era l’unico a non essersi avvicinato: sembrava che, insieme a me, vedesse una scena che non gli apparteneva come osservatore esterno. Erano tutti uniti in quel lutto grandissimo, mentre noi stavamo ai margini, a guardare.
Mi si avvicinò, poi disse:
«occupati tu della tua amica, di sopra. Credo che Eymeric non ne sia in grado, ora come ora.»
Anche io stavo piangendo.
«Certo» mi forzai a dire.
Sopra il mormorio dei gitani sentii il pianto straziante di Eymeric. Quel suono, quel lamento doloroso, fu come una pugnalata. Vidi, di sfuggita, che Ivor lo abbracciava.
Se solo ci fosse qualcosa che posso fare…
«Cerca di farla star meglio. E se ti vede turbata, non dirle niente. Si preoccuperebbe, e non credo che le faccia bene preoccuparsi» irruppe di nuovo la voce di Ruben.
Annuii.
«Posso stare tranquillo?» mi chiese.
«Sì» abbozzai un sorriso. «Tranquillissimo.»
Il ragazzo sospirò.
«Ti avverto, comunque: non è in buone condizioni. La ferita è molto profonda.»
I suoi occhi scuri mi trapassarono l’anima.
«Cosa stai…»
«Vai» si limitò a dire. «E fa’ in fretta.»
Lo guardai come per capire cosa volesse dirmi, ma poi me ne andai di corsa.
Dovevo vedere Olympe.
 
 
 
****
 
 
 
Quando entrai nella torre e mi avvicinai alla mia amica, inorridii. Mi sembrò di sentire nel mio cervello la voce seria di Ruben.
Ti avverto, comunque: non è in buone condizioni. La ferita è molto profonda.
Olympe era sdraiata. Una medicazione le fasciava la spalla, ma la benda era ancora imbrattata di sangue. Un velo di sudore le imperlava la fronte, e aveva gli occhi chiusi. Dormiva, ma anche nel sonno sembrava sofferente.
Dalla mia bocca fuoriuscì un singhiozzo di spavento.
«Olympe» sussurrai, chinandomi vicino a lei.
Sembrò rendersi conto del fatto che fossi lì, perché aprì appena gli occhi. Quella sua reazione mi confortò, in qualche modo.
«Nina…» farfugliò.
«Shhh» la zittii io. «Non sforzarti.»
«Sono contenta di vederti» disse, senza darmi ascolto. Sembrava così indifesa, così fragile… non l’avevo mai vista in quello stato.
«Vorrei poterti abbracciare, ma non ce la faccio» aggiunse.
«Non farlo.»
Lei sorrise, poi chiese:
«Dov’è Eymeric?»
Avvertii un groppo in gola stringersi come una corda intorno al collo.
«Non fraintendermi, sono felice che tu sia qui, ma mi è sembrato che fosse successo qualcosa.»
La sua voce era roca, ansante.
Se ti vede turbata, non dirle niente. Si preoccuperebbe, e non credo che le faccia bene preoccuparsi.
«Non è successo niente» la rassicurai.
Sua sorella è morta.
E non so se lui si riprenderà mai.
«Non sembra, dalla tua faccia.»
Silenzio.
«Senti, qual è quella pianta con cui Eymeric ti medicava?» cambiai discorso, mettendomi a cercare nella sacca del mio amico.
«Quella con i fiori gialli» disse lei, assecondandomi. «Ma, Nina… non credo che sarà molto utile.»
Avevo già preso le foglie per cambiarle la benda, ma mi fermai con la mano a mezz’aria.
«Cosa stai cercando di dire?»
«Che dovrai essere tu a proseguire. Tu ed Eymeric. Io, beh… il mio lavoro l’ho fatto.»
«Non posso credere che stai dicendo una cosa simile» ribattei, per tutta risposta.
«Guardami: sono ridotta ad uno straccio. Non è una ferita superficiale, la mia. Il mio destino è già segnato.»
Era strano come, nonostante tutto, conservasse ancora il suo tono leggero. Ma questa volta non lo apprezzai.
Scossi la testa, come una bambina.
«Tu non puoi…» quanta fatica mi costava pronunciare quella parola? «…morire, Olympe. Non puoi. Sei troppo forte. Non è possibile.»
Lei fece un sorriso – uno dei suoi, uno di quelli che non aveva nessun’altra.
«Ma sono umana.»
E a quel punto fu troppo per me.
Posai piano la testa sulla sua spalla, facendo attenzione a non farle male.
«Non devi lasciarmi, Olympe. Non voglio tornare ad essere sola.»
La sentii tirare in su col naso, mentre le mie lacrime le cadevano sulla pelle una per una.
Piange anche lei?
«Tu sei l’unica amica che io abbia mai avuto. Non posso perderti. Devi farcela, Olympe. Devi guarire. A cosa è servito, altrimenti, tutto questo? Ed io, che cosa farò?»
Olympe non diceva niente. Forse perché altrimenti la sua voce sarebbe stata incrinata e non voleva farsi vedere così – nemmeno da me.
Ma non ci badai.
«Io sono qui per sistemarti, non per lasciarti andare. È chiaro?»
Ormai piangevo davvero. Tanto, forse troppo. Le lacrime scorrevano copiose sul mio volto come un torrente e ormai erano andate a ricoprire perfino al ferita della mia amica.
Sapevo che piangere non sarebbe servito a nulla per far star meglio Olympe, ma non riuscivo più a contenermi. La sola idea di perderla mi spaventava troppo, e non potevo accettarla.
«Nina…»
«No, non ricominciare. Adesso ci penso io» dissi solo, allungando la mano verso le foglie che avevo posato vicino a lei. «Resisti, Olympe.»
«No, Nina, guarda…»
Silenzio.
Sollevai la testa e la vidi sorridere, con lo sguardo sulla ferita.
«Olympe…»
«Guarda!»
Le tolsi la benda dalla ferita, e spalancai gli occhi nel vedere cosa stava accadendo.
Le mie lacrime sfrigolavano sul taglio, che si rimarginava lentamente.
«Cosa…»
Dopo pochi secondi, sulla spalla di Olympe non c’era più nulla.
La mia amica rise di gioia.
«Nina! Guarda cos’hai fatto!»
Non riuscivo a dire niente. Un’ondata di felicità mi travolse così violenta da togliermi la parola. Sorridevo e basta.
«Mi sento una meraviglia. Mi hai guarita! Come hai fatto?»
Già, come ho fatto?
La guardai, ridendo anche io.
«Non finisci mai di sorprenderci, eh?» fece lei.
E in quel momento, non mi trattenni più.
La abbracciai con trasporto, tenendola stretta, come a non volerla lasciare andare neanche per un momento.
«Mi sei mancata, Olympe» le dissi. «Sono contenta che ce l’hai fatta.»
La sentii sorridere e mi strinse di rimando.
«Anche tu mi sei mancata. E ribadisco che, senza di te, non avrei combinato un bel niente. Non te lo aveva già detto Eymeric?»
 


Salve, e bentornati a Paris!
Spero abbiate passato delle buone feste e... beh, buon anno a tutti :)
Vi avviso però che, dal momento che dovrò riordinare le idee per i futuri sviluppi della storia, aggiornerò ogni dieci giorni al posto che una volta a settimana. Spero non sia un prolema per voi.
Detto ciò, passiamo alle cose serie.
Non so perché, ma mi stavo per mettere a piangere quando ho scritto della morte di Antea. È stato veramente triste: mi vedevo davanti Eymeric distrutto, e Nina che piangeva… Voi come ci siete rimasti?
In questo capitolo, comunque, mettiamo un po’ di carne al fuoco: ci sono Ivor e Ruben, due personaggi che finora non c’erano e su cui ci stiamo focalizzando solo adesso. Sono curiosa di sapere che idea vi siete fatti di loro :)
E poi… la guarigione di Olympe? Per me è stato emozionante scrivere quella scena, soprattutto perché capiamo quanto sia importante quella ragazza per Nina. Mi mancava scrivere di questo personaggio, davvero – sembra che sia da una vita che non scrivo di lei, ed invece è solo dal capitolo 27… bah. Comunque quelle due sono fantastiche. Le amo.
 Come sempre vi ringrazio, siete meravigliosi. Grazie per aver fatto crescere Paris e per spronarmi sempre.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima,
Stella cadente
 
PS Il titolo del capitolo è basato proprio sul potere dell’acqua, l’”archè”, l’elemento – secondo il filosofo greco Talete – da cui tutto ha origine e a cui tutto ritorna. Mi sembrava che fosse perfetto come titolo di un capitolo su Nina :)

 
 

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Capitolo 31
*** Giustizia ***


Parte terza





XXXI.
Giustizia
 
Due settimane dopo
Claudie
 
 
 
 
Notre-Dame era gremita dai più illustri personaggi di Parigi, quel giorno di marzo. La luce filtrava dalle vetrate variopinte dando vita a spettacolari giochi di luce sul pavimento in marmo, e nell’aria aleggiava un leggero odore di incenso.
Il Vescovo si diresse verso le due figure che, dritte e fiere, stavano davanti all’altare. Aveva appena concluso la cerimonia, ed ora sulle teste di Pietro II di Borbone e Anna di Beaujeau stavano due corone, una in oro e l’altra in argento.
Sentii che sul mio volto si disegnava un leggero sorriso: non c’era stato bisogno del loro intervento, durante lo scontro con Grenonat, e mi avevano aiutata in breve tempo a riprendere la mia carica. Re Luigi XI mi aveva di nuovo eletta come Inquisitore Supremo della Corte di Giustizia e tutto era tornato alla normalità.
«È con grande gioia» disse il Vescovo, in latino «che accogliamo come Re e come Regina Pietro II, della dinastia dei Borbone, e Anna di Beaujeau, sua Sposa, figlia di Re Luigi XI.»
Tutti i presenti si alzarono.
«Lunga vita al Re e alla Regina!» esclamammo, sotto gli sguardi felici dei due coniugi.
 
 
****
 
 
Il tintinnio di un tamburello basco mi distolse dal codice che stavo analizzando. Mi affacciai alla finestra della torre del mio studio, improvvisamente con tutti i sensi all’erta.
È lui.
È qui.
Avrei riconosciuto quella melodia di campanelle tra mille. Non l’avevo più sentita – oh, quanto mi mancava quel suono! – e ciò mi era parso strano.
Ma ora lui era lì.
Eymeric. Dolce, maledetto, meraviglioso gitano.
Ballava come sempre, facendo divertire i bambini e finendo per attirare anche l’attenzione dei passanti che si trovavano là per caso. Sembrò non notare come nuovamente i miei occhi non riuscissero a staccarsi dalla sua sagoma.
La mia mente corse subito a ciò che era successo alla Corte dei Miracoli. Non avevo pensato ad altro, specie nell’ultimo periodo. Da quando la battaglia si era conclusa, era diventato un chiodo fisso. E ogni volta che quelle immagini irrompevano nella mia testa, un nodo mi si stringeva allo stomaco, talmente forte da farmi piegare per i crampi.
Ogni cosa era andata esattamente come stabilito. Gli zingari avevano decisamente più libertà rispetto a prima, e non veniva più torto loro un capello. Tuttavia, io stavo male. Ero inquieta; c’era qualcosa che non andava.
E più lo guardavo, più me ne rendevo conto.
Lui era l’oggetto del mio desiderio; lui era la causa del mio star male.
Socchiusi gli occhi e sospirai, poi distolsi lo sguardo e tornai sul codice, sforzandomi di distogliere dallo zingaro anche la mia mente.
Un unico, martellante pensiero mi perseguitava: doveva esser fatta giustizia.

 

 
 Scusatemi se i capitoli su Claudie, ora come ora, sono così corti, ma in seguito capirete perché. È comunque sempre più evidente che il Giudice sta covando qualcosa, anche se non si capisce cosa. L’unico elemento tangibile è il suo malessere e le contraddizioni che si agitano dentro di lei.
Della scena dell’incoronazione che ve ne sembra? Ha un che di medievale? ;)
Spero vi sia piaciuta, come sempre. E, specialmente riguardo a questo capitolo, sono curiosa di sapere che idea vi siete fatti.
Alla prossima, e grazie a tutti,
Stella cadente

PS Volevo farvi sapere anche una cosetta - anche se c'entra relativamente con la storia: mi sono messa in contatto con un certo zingaro, ultimamente, e ci tenevo a farvi vedere il tenore delle nostre conversazioni...





Ciao Frenz! *agita la mano in segno di saluto*
Comunque la notizia era: udite udite, ho un Eymeric!
Un Eymeric molto disagiato, in effetti (che sicuramente replicherà in maniera parecchio accesa e insolente in una recensione... scommettiamo?)
Bien, detto ciò, au revoir,


Claudie Gervaise Frollo, 
Inquisitore Supremo della Corte di Giustizia al servizio della Corona

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Capitolo 32
*** Dopo la battaglia ***


XXXII.
Dopo la battaglia

 
Nina
 
 
 
Una pedana era montata al centro della Piazza alla Corte, sulla quale era poggiato un trono di legno decorato con stoffe colorate e campanelli. Tutti mormoravano, impazienti di vedere il nuovo Re dei gitani governare il popolo con giustizia e lealtà.
Sapevamo tutti chi fosse la persona perfetta da designare come tale.
Eymeric.
Lo affiancavo, mentre se ne stava davanti al trono; non si era ancora seduto, aspettava semplicemente che vi fosse il più totale silenzio. Aveva il suo solito, inconfondibile sguardo fiero, ma i suoi occhi trasudavano una cupa tristezza.
E sapevo a cosa questo fosse dovuto.
 
 
La Corte dei Miracoli era immersa in un triste silenzio. Lungo le vie di quella piccola città sotterranea c’erano volti afflitti, madri che piangevano, bambini soli. Era la desolazione, una grande famiglia demolita dalla morte e dalla distruzione. Gli zingari avevano pagato lo scontro con la vita dei loro cari.
Mi ritrovai a provare un irragionevole senso di colpa per non averli aiutati più di quello che avevo fatto.
«Vieni, Nina» mi disse Ivor, prendendomi per mano. «Sta per cominciare.»
Alzai gli angoli della bocca in un gesto sfuggente. Ora che Clopin era morto, spettava ad Eymeric governare il popolo gitano. Riuscivo, in minima parte, ad essere felice per lui, ma vedere quello scenario drammatico di tristezza e morte mi colpì come un pugno.
Mi lasciai trascinare da Ivor alla piazza della Corte, senza replicare.
Al centro della piazza, Eymeric guardava il corpo di Clopin poggiato su una lettiga, con gli occhi chiusi in un sonno eterno. 
Sembrava svuotato.
Due zingari alti e robusti alzarono la lettiga e cominciarono a camminare fuori dalla Corte, seguiti dagli altri in una lenta processione a cui mi unii anche io. Gli altri gitani stavano immersi in un silenzio sepolcrale, innaturale.
Non riuscivo a dire niente. Ivor guardava davanti a sé.
Pian piano, tutti accesero delle torce, illuminando quel cammino malinconico.
 
 
Clopin era morto. Inutile dire quanto fosse stato un duro colpo per Eymeric, dopo la perdita della sorella.
Non sapevo che cosa mi aspettassi dopo quella battaglia, ma di sicuro non quello che era successo.
Le circostanze che si erano venute a creare erano molto strane. Non sapevamo se questo volesse dire il preludio ad un altro scontro, oppure l’inizio di tempi pacifici.
L’unica cosa di cui ero certa, era che la mia vita era cambiata.
 
 
«Mi sembra chiaro che tu sia dalla loro parte, oramai.»
La voce di Claudie Frollo era fredda come sempre, ma non tradiva un certo distacco, come se quello che facevo io non fosse più affar suo.
«Beh, sì» replicai coraggiosamente. Sentivo, stranamente, che adesso potevo tenerle testa.
Sul volto granitico della mia tutrice apparve un leggero sorriso che non seppi come interpretare.
«Eccellente. Nulla ti vieta di rimanerci, dunque.»
Non avrei voluto, ma istintivamente spalancai gli occhi.
«Cosa?»
«Hai sentito bene. Ti ho detto che non sei tenuta a stare qui. In altre parole, puoi andartene, Nina.»
Solo quando ormai – arrivata alla Corte – mi ero lanciata tra le braccia di Eymeric, mi accorsi che probabilmente la scelta del giudice non era casuale.
 
 
 
Claudie Frollo era scomparsa dopo la conclusione della battaglia, lasciando gli zingari ai loro lutti, e da parte di Eymeric non avevo più saputo nulla di lei. Era risaputo, comunque, che avesse ripreso la sua posizione di Inquisitore Supremo, e anche se la situazione per il momento era tranquilla, tra i gitani regnava un clima di sospetto e di allarme. Chi poteva sapere, in fin dei conti, chi avesse ucciso Clopin?
Il dubbio che fosse stata proprio la mia tutrice serpeggiava inesorabilmente.
«Dunque» la voce di Eymeric interruppe i miei pensieri. «Alla luce di ciò che è successo, voi mi avete eletto Re dei gitani. Intanto» si schiarì la voce «comincio dicendo che ho apprezzato questo vostro incoraggiamento.»
Ora regnava il più totale silenzio.
«Non rifiuterò la proposta che mi avete fatto. Quelli che verranno dovranno essere tempi di pace, ma tutti sappiamo che non si può mai dire.»
La pensava come me. Ero pronta a scommettere che anche lui temesse che la persona che aveva ucciso Clopin – e Antea – fosse Frollo.
«Perciò» concluse. «In nome di Clopin, di mia sorella, e di tutti i caduti, accetto solennemente di governare questo popolo. Spero che tutti voi mi appoggiate.»
Ci fu un attimo di silenzio, in cui sembrò come se la folla stesse assaporando il significato delle sue parole, che ancora aleggiavano in aria.
Poi esplose un boato.
«Evviva Eymeric!»
Come segno di gloria e di buon auspicio per il mio amico, feci scaturire dalle mie mani dei ghirigori d’acqua, che restarono a lungo sospesi in aria brillando di un bagliore azzurrino.
 
 
****
 
 
Le feste per l’incoronazione di Eymeric si erano protratte a lungo con balli, canti e giochi. Il mio amico si era mostrato allegro come sempre – allegro per loro, per dar forza al suo popolo – ma ora che eravamo soli, nel cuore della notte, vedevo come realmente stava.
Malissimo. Si sentiva insicuro, fragile.
«Non so se riuscirò ad assumermi una responsabilità simile, Nina. Non so come gestirla» disse, sospirando.
«Ce la farai, Eymeric. Non credo che ci sia qualcuno più adatto di te, qui, per governare il popolo dei gitani. E poi adesso dovrebbe essere l’inizio di una nuova vita per voi, no? Frollo non vi perseguita più, e potete benissimo camminare per le strade come le persone normali» replicai, cercando di tirarlo su. «So che magari in altre circostanze sarà difficile, ma ce la puoi fare. E lo sai.»
Eymeric sospirò di nuovo.
«No, Nina, non lo so. Ho un brutto presentimento.»
«Hai più visto Frollo?»
Esitò prima di rispondermi, poi disse:
«Sì, vicino a Notre-Dame. Era nel suo studio, a leggere un volume.»
«E lei ti ha visto?»
«Sì.»
Pausa.
«E...? Non ti ha parlato, niente?»
Eymeric si limitò a scuotere la testa.
«Mi ha guardato. E quello sguardo era così carico d’odio... era come se tutto fosse tornato a com’era prima. Prima che mi rifugiassi a Notre-Dame, prima della Festa dei Folli.»
Quella frase suonò alle mie orecchie come un inquietante presagio. Che cosa stava succedendo?
Ebbi l’impressione che il giudice stesse macchinando qualcosa – qualcosa che di sicuro non finiva a nostro vantaggio.
«Perché credi che ti abbia consentito di uscire dalla cattedrale, quando finora non lo ha mai fatto?»
Rimasi in silenzio, poi diedi voce ai miei pensieri.
«Temo che stia tramando qualcosa» dissi, rendendo concreta la mia paura. «Mi ripeto che non lo farebbe mai... in fin dei conti ha accettato di stare qui con voi, le avete dato ospitalità, è rimasta dalla nostra parte contro Grenonat fino alla fine... ma più passa il tempo, più mi sembra che stia macchinando qualcosa.»
Pausa. Eymeric aspettò un attimo prima di parlare.
«Clopin non si fidava di lei. Pensava che si stesse solo approfittando di noi.»
Silenzio.
Non avrei mai immaginato di sentirgli dire una frase del genere; tutte le volte che ne avevamo parlato, aveva dato dimostrazione di una grande fiducia nei confronti del giudice. Sentirlo parlare così era strano: sembrava che, per un attimo, avesse deciso di liberare pensieri che nemmeno lui accettava.
«Ma non può essere. L’unica cosa che mi sfugge» fece poi, riacquistando un’aria concentrata «è il perché ti abbia permesso di venire qui. In fondo, non ti ha mai fatto uscire dalla cattedrale. Credo che stia succedendo qualcosa alla Corte di Giustizia.»
Mi limitai ad annuire.
«Sì, lo penso anche io» convenni. «Ma ora che sono saliti al trono Pietro II e Anna le cose dovrebbero sistemarsi. Mi sembrano a posto, da quel che ho sentito.»
«Già» fece il mio amico, con tono vago. «Può darsi.»
«Eymeric» Ivor irruppe nella tenda, facendo un inchino appena accennato. «C’è qualcuno che ti aspetta all’entrata della Corte. Credo sia la ragazza-giudice dell’altra volta.»
«Olympe» dissi io. Mi voltai verso Eymeric, poi aggiunsi:
«Andiamo.»
 
 
 
 
 
Olympe era rimasta, anche accanto a Frollo, come Giudice della Corte di Giustizia, per sostituire Grenonat. Ultimamente avevo sempre pensato che adesso vivesse meglio la sua carica, ma quando la vidi dovetti ritirare quell’idea.
La mia amica ci aspettava – come già detto da Ivor – alla grande entrata, a cavallo del suo destriero bianco. Sembrava impaziente.
«Non ho molto tempo» esordì, appena arrivammo. «La comunicazione dovrà essere veloce, per cui non fate domande e valutate cosa fare.»
A quelle parole mi irrigidii. Eymeric assunse un’espressione allarmata.
«Che succede?» chiese.
Olympe lo guardò per un attimo, poi posò i suoi occhi blu su di me.
«C’è di nuovo tumulto alla Corte di Giustizia. Nina» disse. «Sai perché Frollo ti ha autorizzata ad uscire da Notre-Dame?»
Ebbi paura di rispondere. Mi sentii pervadere da brividi di nervosismo: dovevo immaginarlo che ci fosse qualcosa sotto.
«Perché?» chiesi.
«Il Re e la Regina hanno indagato sul caso che aveva portato alla luce il Capitano Roland, quando ti aveva vista.»
Giusto. Roland.
«Hanno messo delle truppe intorno alla cattedrale stamattina, per assicurarsi che non ci fosse nessuna ragazza-sirena da quelle parti.»
Frollo mi ha detto di andarmene due giorni fa...
«Lei lo sapeva, Nina. Per questo ti ha mandata via. Non lo avrebbe mai fatto, altrimenti. Ha agito solo per il suo tornaconto personale.»
«Come faceva a saperlo?»
«Non ne ho la più pallida idea. Ma a quanto pare la serenità che avevamo immaginato non si è realizzata. Tenete conto di questo. La situazione è molto precaria alla Corte.»
Io ed Eymeric ci scambiammo un’occhiata preoccupata, che Olympe ricambiò.
«Ora devo andare» disse poi. «Mi raccomando: state in guardia. E non fate idiozie» concluse, rivolta ad Eymeric.
Sparì subito dopo, lasciandoci immersi nei nostri dubbi.

 
 

So che sono in ritardo (di tre giorni precisamente) e che il titolo del capitolo non è per nulla originale, ma ce l'ho fatta!
Allora, questo capitolo è un po' particolare, abbiamo svelato molte verità riguardo alla battaglia ed è tutto dedicato agli zingari.
Mi è piaciuto molto scrivere la scena dell'incoronazione di Eymeric; volevo farle avere un che di solenne e drammatico allo stesso tempo, e spero di esserci riuscita.
E a proposito del nostro caro gitano, come vedete non è più lo stesso. O meglio, sì, ma ha acquistato una consapevolezza che prima non aveva e si sta dimostrando insolitamente insicuro. Anche Nina è maturata molto: ha capito la portata della battaglia, e si sente partecipe dei numerosi lutti, ma soprattutto della tristezza di Eymeric.
Poi, che ne pensate della scelta di Frollo? E Olympe?
Diciamo che questo è un capitolo progettato per sollevare domande... eheheh sono cattiva :)
Bando alle ciance, comunque: sono curiosissima di vedere cosa mi scriverete nelle recensioni...
Alla prossima, ragazzi,
Stella cadente

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Capitolo 33
*** Il Re ***


XXXIII.
Il Re 

 
Eymeric
 
 
 
«Non fare idiozie, eh? Come possiamo starcene qui con le mani in mano, dopo che ci è stata detta una cosa del genere?» esplosi, non appena Olympe si fu allontanata.
«Calmati, Eymeric» disse Nina. «Se Olympe ha detto così, noi dovremmo comportarci di conseguenza. Non è il caso di sollevare altri problemi adesso.»
«Ma non capisci? C’è il rischio che ad un’altra battaglia si giunga per forza» replicai. Le parole di Olympe sembravano opprimermi il cuore.
A quanto pare la serenità che avevamo immaginato non si è realizzata. Tenete conto di questo. La situazione è molto precaria alla Corte.
Non volevo crederci. Che cosa stava architettando il giudice? E perché Olympe si era mantenuta così sul vago?
Mi venne voglia di spaccare tutto quando compresi che probabilmente mi ero soltanto illuso. Illuso che lei potesse cambiare, illuso che potesse modificare la sua prospettiva. Eppure ci aveva promesso pace, dal momento che l’avevamo aiutata...
Forse Clopin aveva ragione.
L’ha sempre avuta, alla fine.
 
 
 
 
«Non ce lo assicura nessuno che, una volta tornata al potere, ci lascerà stare, lo capisci?»
Clopin mi guardava con la paura negli occhi, mentre gesticolava animatamente.
«Io mi fido di lei» replicai, con sguardo duro. «E poi, riflettiamo: a che pro andarci contro, dopo che l’abbiamo aiutata a riprendersi il potere schierandoci dalla sua parte?»
Silenzio. Non si fidava, lo vedevo dalla faccia.
«Ascolta» dissi a quello che, ormai, consideravo un padre. «Claudie Frollo si è trovata ad essere come noi, in povertà, senza niente, senza alcun potere, senza nemmeno una casa. Non credo proprio che questa esperienza non l’abbia segnata per niente. Dobbiamo aiutarla.»
Clopin mi guardò come a volermi decifrare, poi sospirò.
«E sia. Mi auguro che tu sappia gestire bene questa cosa, Eymeric. Altrimenti credo davvero che l’unica via d’uscita sarebbe fuggire da Parigi.»
 
 
 
 
«Che cosa vorresti fare?» chiese Nina, perplessa.
«Verificare se Clopin aveva ragione, ecco cosa voglio fare.»
Lei mi guardò allarmata.
«Voglio recarmi al Palazzo di Giustizia e chiedere chiarimenti direttamente a Frollo. Non potrà negarmeli, questo è certo.»
«Ma Eymeric...»
«Lo so, è una decisione importante e rischiosa. Ma non puoi negare che sia utile per tutti noi, alla Corte. D’altra parte, non è questo che un Re dovrebbe fare?»
La ragazza mi guardava come se fosse già in pensiero per me.
«Sei certo di poterti fidare di lei?» mi chiese solo. Nei suoi occhi aveva già un bagliore di apprensione.
Vederla in quel modo mi strinse il cuore; avevo capito che, probabilmente, Nina teneva a me molto più di quello che credevo. Per nulla al mondo l’avrei ferita, e mi piaceva pensare che non avrei fatto nulla di sconsiderato se questo andava contro quello che voleva lei; eppure quella questione era troppo importante per essere lasciata in sospeso. Sentivo che tra me e Claudie Frollo ci sarebbe stata una specie di resa dei conti, e non potevo proprio evitarla. Ne andava della sicurezza del mio popolo.
E poi volevo rivederla. Non sapevo perché.
Sospirai.
«No, Nina. A questo punto, una parte di me non sa se continuare a fidarsi. Ma devo rivederla» dissi, per tutta risposta.
Silenzio.
«Vengo con te» fece lei.
«No» la fermai. «È rischioso. Devi restare qui. Non voglio che tu ti cacci in altri guai per colpa mia.»
Con una stretta al cuore, notai che delle lacrime avevano fatto capolino dai suoi occhioni blu.
La abbracciai a lungo.
«Tornerò. Promesso» le dissi dolcemente.
«Va bene.»
Le diedi un bacio sulla tempia, poi mi avviai verso l’uscita, armandomi di tutto il coraggio possibile.
Avevo una questione da risolvere.
 
 
 
****
 
 
Le campane della cattedrale suonavano le sette quando mi trovai di fronte al Palazzo di Giustizia. Il cielo era dipinto di rosso dal sole del tramonto, e poche nuvole fluttuavano in quell’immensità arancio.
Immerso in quell’atmosfera, il Palazzo era ancora più imponente di quanto non mi fosse mai sembrato. In un flash, mille immagini mi passarono nella mente, e di nuovo la strana sensazione che avevo provato in presenza di Claudie Frollo tornò. Ricordai di quando ero stato prigioniero nei suoi appartamenti, di quanto fosse cambiata la visione che avevo di lei in quei giorni, e di quanto ora mi apparisse diversa.
Mi sentii stranamente inutile, come se fino a quel momento non avessi mai capito chi era veramente Claudie Frollo.
In un primo momento mi era apparsa solo come il Giudice che massacrava la mia gente, di indole insensibile e cinica. Poi si era rivelata un personaggio tormentato ed insolito; dopo ancora, l’avevo vista semplicemente come una donna che provava qualcosa per me – una donna passionale che, alla Corte dei Miracoli, mi aveva concesso il suo corpo – e durante la guerra a Grenonat era diventata una vera stratega, determinata e calcolatrice.
Ora non sapevo più chi fosse.
Come aveva promesso, per noi zingari le cose erano cambiate, ma dalla fine della battaglia era non l’avevo più vista, e di lei non avevo avuto più notizie.
Da una parte, sapevo che non potevo aspettarmi che mi affiancasse nei lutti dei gitani, ma il fatto che fosse sparita nel nulla mi aveva messo la pulce nell’orecchio – contando poi che Clopin non si era mai fidato di lei, dall’inizio alla fine.
Non potevo perdere altro tempo; dovevo parlarci immediatamente.
A noi due, Giudice.
Iniziai a salire la scalinata a passo deciso.
Non avevo intenzione di farmi intimorire da nessuno.
 
 
 
«Salve. Vorrei parlare con il Giudice Frollo» dissi, senza tanti preamboli, agli uomini che stavano di guardia alla porta.
I due mi guardarono con diffidenza: immaginai che fosse insolito per loro quanto lo era per me. Fino a poche settimane prima presentarsi così al Palazzo di Giustizia era come andare spontaneamente incontro alla morte, per un gitano. Dovevo abituarmi anche io al fatto che ora zingari e popolani potessero presentarsi liberamente.
«La motivazione?» mi chiese uno dei due uomini, con voce sospettosa.
«Un semplice colloquio in merito a ciò che ha promesso al mio popolo» replicai, per tutta risposta.
La guardia annuì, e mi scortò all’interno del Palazzo. Si avvicinò ad un ragazzetto magro, e gli sussurrò:
«C’è qui un pezzente che vuole parlare con il Ministro Frollo. In questo momento la signora ha altri impegni, che tu sappia?»
Il giovane scosse la testa.
«C’è stata una riunione dei Giudici, a quanto pare molto importante... ma è appena terminata» disse, con aria professionale.
Una riunione? Per cosa?
«Vai subito a riferire allora» fece la guardia. «Io intanto resto qui a controllare che tutto vada bene. Non si sa mai quando si tratta degli zingari: è gente che ruba.»
Mi venne l’improvviso impulso di dare un pugno a quell’uomo, ma mi trattenni. Anche perché, lo sapevo, al momento avevo ben altro a cui pensare.
Il segretario tornò dopo poco – anche prima di quel che mi aspettassi – affannandosi lungo le scale del Palazzo che portavano alle varie stanze.
«Il Ministro Frollo ha accettato di avere un colloquio con voi» fece, rivolto a me. «Si trova nel suo studio. E vi avverto: odia aspettare. Perciò sbrigatevi.»
 
 
****
 
 
Quando salii le scale che portavano allo studio di Frollo, accompagnato dal giovane segretario, sentii il cuore battere furiosamente.
Lei era lì. Mi aspettava. E non sapevo che cosa sarebbe uscito da quella conversazione.
D’improvviso, mi sembrò che fosse da un’eternità che non la vedevo. Avrebbe dovuto confortarmi il fatto che fossimo lontani: invece, mi sorpresi a fremere al pensiero di ritrovarmela davanti.
«Bene» la voce del ragazzo mi riscosse. «Io vi lascio qui» si limitò a dire.
«Grazie.»
Lui mi guardò, poi disse:
«Buona fortuna.»
E prima che io potessi aggiungere altro, sparì, correndo lungo le scale. Lo guardai a lungo, poi riportai gli occhi sulla porta in legno massiccio che mi stava davanti.
Sospirai, come per farmi coraggio.
E bussai.
«Avanti.»
La sua voce.
Mi sembrò di non averla più sentita per anni, ma fu al tempo stesso familiare. Fredda, quasi atona, perennemente formale e distaccata.
Aprii la porta ed entrai nella stanza. Non ero mai stato in quello studio, ma lo trovai molto simile a quello della sua residenza, pieno di volumi alti, pergamene e arazzi. Metteva in soggezione, esattamente come lei.
«Ah, Eymeric» esordì la donna, alzandosi dallo scrittoio. «Immaginavo che saresti venuto qui. Quando Vincent mi ha detto che c’era un gitano che chiedeva un colloquio a nome del suo popolo, ero pronta a scommettere che eri tu. Ed infatti...» sollevò un sopracciglio con un sorrisetto beffardo, in quell’espressione che mi era così familiare, ma che stranamente continuava a mettermi in agitazione.
«Ebbene, sì» proseguii. «Sono qui per un colloquio con voi. Mi è giunta voce che alla Corte di Giustizia non vi è più ordine come prima. La battaglia non è servita a niente, a quanto pare» feci, con tono duro.
Lei si schiarì la voce.
«Eymeric,» cominciò «come puoi dire una cosa simile? Le battaglie servono sempre a qualcosa. Non è forse quello che volevi, fare in modo che i gitani conducessero vite tranquille? Non volevi che io vi lasciassi in pace, e non è precisamente quello che ho fatto?»
Esitai.
In quel momento mi sentii stupido e avventato; le sue parole mi avevano dato ad intendere che, come al solito, ero stato terribilmente impulsivo ed avevo agito senza pensare.
«E dunque,» proseguì «per quale ragione ti trovi qui, adesso?»
Mi bastò un secondo per rendermi conto che mi stava incastrando usando le parole, come faceva sempre e come avrebbe sempre fatto. C’era qualcosa di strano, di sbagliato e di molto diverso nel suo comportamento, rispetto al periodo che aveva trascorso alla Corte dei Miracoli.
«Perché il mio popolo sta attraversando un periodo di lutto, e non c’è secondo in cui non tema un vostro tiro mancino» snocciolai, senza paura.
Lei mi guardò con le sopracciglia aggrottate, come se mi stesse studiando.
«Perché voglio essere sicuro che voi non abbiate niente in mente.»
Mi avvicinai e mi parai di fronte a lei, guardandola negli occhi.
«Voglio sapere che intenzioni avete, da ora in poi.»
Le sue labbra si stirarono in un sorriso cattivo.
«Non sono tenuta a fornirti informazioni del genere, ma sappi che per voi zingari non ho niente in mente. Niente che sia dannoso per voi, almeno» disse, congiungendo le mani. «Per cui, non vedo neanche il motivo di questa tua visita, se davvero non c’è altro a parte questo.»
Non sapevo come comportarmi; mi ero aspettato un atteggiamento diverso, più simile a quello che aveva alla Corte, invece che quella rigida diplomazia. La cosa non faceva che allarmarmi sempre di più, man mano che i minuti passavano.
Restai in silenzio per un secondo, di fronte al suo sguardo altezzoso.
Poi mi decisi.
Ora o mai più.
«Non mi avete più parlato» dissi, tutto d’un tratto.
E di nuovo quel sorriso strano, preoccupante.
«Allora c’era altro» fece, soddisfatta.
«Sì» dissi coraggiosamente. «Ebbene? Perché vi siete comportata così, dopo tutto quello che ho fatto per voi?» insistetti. «Non vi siete più degnata di rivolgermi parola.»
«Certo che no, Eymeric» replicò lei, con tono leggero. «Sono stata molto impegnata con l’amministrazione del governo di Pietro e Anna; sono giornate molto impegnative, queste, per me. Ho una carica da mantenere, e non posso permettermi di sbagliare qualcosa.»
Restai meravigliato. Allora non era cambiato nulla per lei? Ero realmente andato troppo in paranoia? Eppure quello che aveva detto Olympe era molto diverso dalla versione dei fatti del Giudice...
«Quindi... è tutto qui. Per voi non è cambiato nulla» dissi, sospettoso.
La sua espressione era seria come al solito, ma aveva un che di tranquillo. Esprimeva serenità, eppure c’era ancora quel qualcosa di strano che mi allarmava.
«Oh, è ovvio che è cambiato qualcosa» le labbra si sollevarono appena in un sorriso. «Sono tornata ad essere l’Inquisitore Supremo di Parigi. E quello che è successo finora ha inevitabilmente mutato la mia prospettiva, questo è certo. Tutto ciò è stato, come dire... un’occasione per capire molte cose
La guardai, avvolta nella sua pesante toga nera. Sapevo che sotto quella veste si nascondeva un corpo magrissimo e pallido. Mi sembrava che, da quando ci eravamo alleati contro Grenonat, l’avessi conosciuta davvero per quello che era. Mi sembrava di sapere chi fosse.
Ma ora tutto sembrava avvertirmi che non era così.
«È però innegabile che la situazione debba stabilizzarsi» disse. «Siamo d’accordo... o no?»
«Certo» annuii.
Silenzio.
«Molto bene» fece lei. «Allora, se non c’è altro che mi vorresti dire, sei libero di congedarti.»
Le sue parole mi spiazzarono. Restai per un attimo a guardarla, mentre anche i suoi occhi erano piantati nei miei, pieni di qualcosa che non sapevo definire.
Poi mi avviai verso la porta e me la richiusi alle spalle.
Mentre scendevo le scale e mi recavo verso l’uscita del Palazzo, capii di aver inquadrato la situazione per quello che era.
Per il momento Frollo avrebbe lasciato in pace me, Nina e tutti gli zingari della Corte, ma qualcosa mi diceva che c’era una parte del suo progetto che mi era rimasta all’oscuro e che mai il Giudice mi avrebbe rivelato.
Ed io avrei scoperto quello che aveva in mente, a tutti costi.
 


Eccomi!
Sono in un ritardo clamoroso, ma finalmente ho trovato un buco di tempo in mezzo a tutti questi impegni.
Allora, intanto parliamo di cose serie: Paris ha raggiunto 200 recensioni.
Cioè, voi scherzate. Ormai mi sento ripetitiva a dirlo, ma quando ho cominciato a postare tutto pensavo meno che arrivare a questo. Ed invece - adesso che la scrivo da quasi nove mesi posso dirlo - questa storia si è rivelata un'esperienza fantastica anche grazie a voi.
In ogni caso: Eymeric ha parlato con Frollo. Il colloquio è stato ricco di tensione - o almeno, doveva esserlo - e adesso lo zingaro è determinato a scoprire che cosa passa per la testa del Giudice. Ci riuscirà?
Spero che quetso nuovo capitolo dal suo punto di vista (dopo un po' che non lo vedevamo, ci voleva) non vi abbia delusi. Siamo arrivati ad un punto della storia in cui non si capisce cosa sta succedendo e so bene che con questi capitoli sto sollevando un sacco di domande: dunque, via libera alle recensioni!
Grazie a tutti per leggermi, siete fantastici,

Stella cadente

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Capitolo 34
*** La Riunione ***


 
Dedicato a Charlotte Prince, perché ho la vaga impressione che le piacerà... ;)
 



XXXIV.
La Riunione

 

Olympe
 
 
 
«Salve, Olympe.»
Una voce che conoscevo bene risuonò dalla porta aperta del mio studio, mentre ero intenta a trafficare con alcune pergamene. Quel pomeriggio, a quanto ne sapevo, si sarebbe tenuta una riunione importante; Frollo aveva sottolineato più volte quanto tenesse alla presenza di tutti, perciò stavo svolgendo il mio lavoro già da quel momento.
Quando sollevai gli occhi, vidi l’Inquisitore Supremo sulla soglia del mio studio, che mi guardava.
«Salve, Ministro» mi limitai a dire, smettendo di lavorare.
Lei mosse qualche passo all’interno della stanza.
«Devo farvi una comunicazione molto importante, signorina de Chateaupers» esordì. «La riunione da me annunciata – che doveva aver luogo tra circa un’ora – è stata annullata.»
«E per quale ragione la riunione è stata annull...»
«Avrete quindi il permesso di congedarvi una volta che avrete finito con quelle carte» mi interruppe, serafica. «Questo è quanto.»
Se ne andò, e di lei udii soltanto il rumore dei suoi passi calmi lungo le scale.
 
 
Avevo appena finito di controllare i verbali degli ultimi processi, ed ormai le luci del giorno si andavano spegnendo. Riordinai le pergamene, le misi impilate l’una sull’altra in un angolo dello scrittoio, e mi alzai, sgranchendomi un po’ le gambe.
Riflettei su quello che Frollo mi aveva detto. Che avesse davvero annullato la riunione? Non era da lei una cosa del genere; in più aveva ribadito non so quante volte l’importanza vitale di quella seduta in Tribunale, per “discutere di una questione fondamentale riguardo alla sicurezza di Parigi e di quanto avvenuto negli ultimi tempi”. Parole sue.
Non avevo capito dove volesse arrivare, ma quella premessa mi aveva fatto scattare tutti i sensi all’erta. Se Claudie Frollo aveva in mente un complotto, dovevo scoprirlo subito e stroncarlo sul nascere.
Non è che sei solo stanca, Olympe?
Forse era solo la stanchezza per il troppo lavoro – essere Giudice non era semplice – ma una parte di me era sicurissima del fatto che qualcosa non tornava. Frollo non me la raccontava giusta, lo sentivo. Controllai l’orologio: se, come aveva detto, la Riunione non aveva avuto luogo, non ci sarebbe stato nessuno, nemmeno l’Inquisitore Supremo. In caso contrario, avrebbe avuto termine entro circa dieci minuti.
Ed io avrei sentito che cosa avrebbero detto.
Mi decisi. Non mi sarei ritirata nella mia residenza. Mi sarei appostata alla Sala delle Riunioni ed avrei scoperto se l’annullamento era reale o se, più semplicemente, la Riunione mi era stata occultata. Avrei rischiato, ma la ricompensa era troppo alta per rinunciare: c’era in ballo la conferma di un’altra possibile rivolta.
O la va o la spacca.
Sapevo che stavo agendo di impulso e che era pericoloso per me e per la mia carica, ma non mi importava.
Ma, in fondo, quando mai non ho rischiato la vita per qualcosa?, pensai divertita.
Sorrisi tra me e me ed iniziai a scendere le scale.
C’erano delle informazioni decisamente importanti da scoprire, ed io non vedevo l’ora di farlo.
 
 
 
 
Quando arrivai al primo piano del Palazzo di Giustizia trattenni il fiato e rallentai il passo; non volevo che qualcuno mi sentisse.
Il grande corridoio vuoto sembrava immenso. Come immaginavo, il Palazzo era deserto. Ma questo poteva voler dire due cose: o i Giudici si erano ritirati nei loro appartamenti ai piani successivi, oppure erano tutti in Riunione a parte me.
E c’era solo un modo per scoprirlo.
Mi incamminai, silenziosa, verso la grande porta in legno massiccio che stava in fondo al corridoio: la Sala delle Riunioni. Un brivido mi scosse lievemente, ma mi ostinai ad andare avanti, pensando ad Eymeric, Nina e tutte le altre persone che potevo salvare con quel gesto. Ormai ero lì; non potevo tirarmi indietro proprio ora.
«Che cosa volete dire, Ministro Frollo?»
Una voce.
Una voce maschile solcò il silenzio, dall’interno della stanza. Mi bastò quello per capire che il Giudice mi aveva volutamente tenuta fuori dalla faccenda.
Lo sapevo!, mi dissi. E, potevo scommetterci, c’entrava qualcosa Eymeric.
Non fiatai comunque, aspettando di sentire una risposta.
«Voglio dire che se vi ho convocati qui c’è un motivo», la voce del Ministro, che risuonò lugubre e fredda. Mi ricordò vagamente quando l’avevo sentita al mio processo; sembrava che da quel momento fossero passati secoli.
«Sono stata alla Corte dei Miracoli, signor Lefevre... nel territorio nemico» proferì. «So a cosa stiamo andando incontro.»
Territorio nemico?
«Ma è una follia!» proruppe il Giudice. «Non avete forse ribaltato voi tutta la Corte di Giustizia, affinché gli zingari fossero lasciati in pace?»
Silenzio.
«A cosa pensate di arrivare, Ministro? Quali sono i vostri piani?»
Il Giudice Lefevre sembrava stizzito. Il silenzio era tesissimo; mi sembrava quasi di vedere il ghigno paziente di Frollo, mentre lo guardava sputare fuori tutto il suo disappunto.
«La Corte dei Miracoli è un luogo in cui si pratica magia nera, di cui io stessa, ahimè, sono caduta vittima» disse poi.
Cosa?
Che stava dicendo?
«Tuttavia, era mia premura far sì che gli zingari non divenissero anch’essi motivo di disordine; la situazione era già abbastanza complicata, se ben ricordate, e finora ci sono state fin troppe mansioni da svolgere.»
Quel tono subdolo che stava usando non mi piaceva. Era il tono di chi sa già che i suoi ordini verranno eseguiti senza troppe proteste, il tono di chi sa che coloro a cui si rivolge sono già manipolati dalle sue stesse parole, perché inferiori e più disorganizzati.
E forse era proprio così.
«Virgile Grenonat» continuò, alzando di poco la voce «ha creato ben più che semplice disordine, a Parigi. Ha perseguitato la nobiltà e la stessa Corte di Giustizia, uccidendo anche alcuni di noi. Persino il clero ha risentito del suo influsso negativo sulla nostra sacra Città.»
Qui fece una pausa; il silenzio si era caricato di un’elettricità tale che mi sentii anche io sotto il suo effetto.
«Adesso la Città ha riacquistato l’ordine, ma dobbiamo fermare gli invasori al più presto. Vi ho già detto che mi hanno corrotta, e non mancherà molto prima che facciano lo stesso a tutti noi, se diamo loro eccessive libertà.»
Pausa.
«Pertanto» concluse «presto sarà dato l’ordine di catturare lo zingaro Eymeric – non sarà difficile, a quel punto, prendere anche gli altri. Ma non subito» aggiunse. «Non voglio che entri in lui il seme del sospetto; qualora si presentasse qui, nessuno dovrà torcergli un capello. Almeno, non prima del momento opportuno.»
«Ministro, non pensate che Olympe de Chateaupers possa esserci di grande aiuto per questo? Contro Grenonat ha compiuto indubbiamente delle imprese mirabili» intervenne il Giudice Marchand, deciso.
Silenzio. Anche se non li vedevo, potevo immaginarmi gli occhi furiosi dell’Inquisitore Supremo, che come due tizzoni accesi avevano incenerito l’uomo.
«Olympe de Chateaupers è palesemente una loro alleata, signor Marchand. Sospetto, tra l’altro, che faccia da tramite alla Corte dei Miracoli riguardo a quello che succede qui; per questa ragione le ho occultato la riunione.»
«E come sapete che riuscirete a prendere il ragazzo, se vi è sempre sfuggito finora?» chiese una voce femminile, che riconobbi come quella di Inés Delacour.
«Fraternizzare col nemico ha i suoi vantaggi, Giudice Delacour» fu la risposta soddisfatta di Frollo. «Lo zingaro si fida di me.»
Spalancai gli occhi. Lo aveva detto davvero?
Non poteva essere. Eppure c’era da aspettarselo.
Un moto di rabbia mi investì; Eymeric teneva a lei... ma come poteva sperare che cambiasse? Certo, l’aveva aiutata a tornare in carica, ma a quanto pareva per lei il fatto non aveva avuto alcuna importanza.
Maledetta schifosa, pensai tra me e me.
«Se nessuno ha altre domande, ritengo che la Riunione si possa concludere qui» fece poi. Sentii, subito dopo, che tutti i Giudici si alzavano da seggi, e capii che era meglio svignarsela.
Corsi fino alla fine del corridoio e imboccai le scale per il piano terra con un unico, martellante pensiero nella testa: dovevo avvertire Eymeric.
 
 
 
 
 
Al piano terra, proprio mentre ero ancora sulla rampa delle scale, sentii una voce che mi fece sobbalzare.
«Salve. Vorrei parlare con il Giudice Frollo.»
Una voce calda, leggermente roca e fin troppo familiare.
Oh Santo Dio. Eymeric.
Fui tentata di uscire allo scoperto ed avvertirlo immediatamente del pericolo, ma quel poco di ragione che mi era rimasto mi suggerì di non farlo, così restai dov’ero.
«La motivazione?» sentii dire una delle guardie del Palazzo, con il solito tono burbero.
«Un semplice colloquio in merito a ciò che ha promesso al mio popolo» replicò lui, sicuro e determinato.
Mi ritrovai a fremere dall’agitazione. Sperai che la guardia dicesse che no, che Frollo non era disponibile. Altrimenti chissà cosa sarebbe venuto fuori da quel colloquio.
Ti avevo detto di rimanere alla Corte dei Miracoli e non cacciarti in altri guai, idiota.
Dovevo immaginare che non mi avrebbe mai dato retta, comunque.
Restai ancora in ascolto.
«C’è qui un pezzente che vuole parlare con il Ministro Frollo. In questo momento la signora ha altri impegni, che tu sappia?» fece la guardia – probabilmente si rivolgeva a Vincent, il segretario.
Come mi aspettavo, la voce del giovane rispose alla domanda.
«C’è stata una riunione dei Giudici, a quanto pare molto importante... ma è appena terminata.»
«Vai subito a riferire allora» disse l’altro. «Io intanto resto qui a controllare che tutto vada bene. Non si sa mai quando si tratta degli zingari: è gente che ruba.»
Accidenti.
Avevo sperato che lasciasse da solo Eymeric. Chiusi la mano a pugno e me la morsi, frustrata.
Passò circa un minuto di silenzio, poi la voce di Vincent disse:
«Il Ministro Frollo ha accettato di avere un colloquio con voi. Si trova nel suo studio. E vi avverto: odia aspettare. Perciò sbrigatevi.»
Maledizione.
Poco dopo, sentii i passi del mio amico avvicinarsi sempre di più, fino a vedermelo passare davanti, scortato da Vincent. Non mi notò, diretto allo studio di Frollo, e salì l’altra scala.
Mi ripromisi di restare lì e di non muovermi di un centimetro.
Dovevo avvertirlo delle verità che erano venute fuori dalla Riunione, a costo della mia stessa vita.
 
 
 
****
 
 
 
Il colloquio durò anche meno di quel che mi aspettassi. Circa dieci minuti dopo, vidi Eymeric scendere la stessa rampa di scale che aveva salito prima. Ancora una volta, non mi notò.
Aspettai che fosse abbastanza lontano, poi scesi qualche gradino e guardai a destra e a sinistra per vedere se ci fosse qualcuno nei paraggi.
Nessuno.
Era il momento perfetto.
Mi affrettai a scendere le scale e gli andai dietro, senza farmi vedere.
«Olympe» mi chiamò il Giudice Marchand. «Avete controllato i verbali degli ultimi processi?»
Mi fermai di botto.
Non posso perdere tempo con te, meschino farabutto.
«Beh» dissi invece, tentennando un po’. «Non ancora. Sono molto particolari. Ma sono a buon punto; Frollo comunque mi ha permesso di congedarmi, perciò stavo per...» mi ricordai solo in quel momento che la mia residenza era al Palazzo di Giustizia, quindi dovevo improvvisare un motivo per cui stavo uscendo.
«...per andare a fare una passeggiata a cavallo. È una cosa che mi rilassa molto» terminai il discorso, con un sorriso sulle labbra per enfatizzare di più la cosa.
«Oh» sorrise anche lui, cordiale. «Se volete vi accompagno... avrei bisogno anche io di rilassarmi un poco.»
Mi venne da ringhiare per la frustrazione, ma – seppur con molta fatica – mi trattenni.
«No» quasi urlai. «No, grazie» mi ripresi, abbassando il tono della voce. «Preferisco la solitudine.»
«Beh, se è così... buona passeggiata» fece il Giudice.
«Vi ringrazio, signor Marchand» risposi io.
Quando l’uomo si voltò, iniziai letteralmente a correre.
 
 
 
 
Arrivai all’uscita del Palazzo proprio quando Eymeric aveva cominciato a scendere la lunga scalinata. Non ce l’avrei mai fatta a raggiungerlo. L’ansia cominciò ad impadronirsi di me, le mani cominciarono a tremarmi e mi sembrò che le gambe non fossero più in grado di sorreggere il mio corpo.
Fu in quel momento che accadde.
Fu in quel momento che feci quello che avrebbe cambiato tutto quanto.
«Eymeric!» lo chiamai a gran voce.
Lui si voltò, ed i suoi occhi color smeraldo si scontrarono con i miei. Risalì le scale di corsa, mi raggiunse e mi prese delicatamente per un braccio.
«Olympe» disse. «Che cosa c’è?»
Aveva quella sua caratteristica espressione di quando era preoccupato, la stessa faccia che aveva quando aveva visto fuggire Nina alla Festa dei Folli e che mi faceva venir voglia di abbracciarlo.
Avevo il fiatone.
«Eymeric» iniziai. «La Riunione. Frollo. Io...»
«Calmati» mi rassicurò lui, «con Frollo ci ho già parlato, e non farà...»
«No, ascoltami!» lo interruppi. «Lei...»
Non riuscii a finire la frase.
Un paio di braccia forti ammanettarono le mie in una stretta ferrea, e delle altre ancora bloccarono Eymeric. Fummo tirati indietro con forza, all’interno dell’atrio del Palazzo, ancor prima che ce ne accorgessimo.
«Chiudete le porte!» urlò una voce che riconobbi come quella di Lefevre, da un angolo della stanza.
Le porte si chiusero con un tonfo che suonò inquietante alle mie orecchie. Non potevamo scappare.
Il cuore cominciò a pomparmi la paura nel petto ad un ritmo allucinante. Persino Eymeric aveva un’aria allarmata, adesso. C’era lo smarrimento nei suoi occhi, e non mi sembrava di averlo mai visto.
«Bene. Finalmente l’occasione per eliminare gli invasori una volta per tutte è giunta» fece una voce familiare, riecheggiando tra le pareti dell’atrio. «Anche prima del previsto.»
Claudie Frollo, a poca distanza da noi, ci guardava.
«Preparate le pire» disse, gelida, rivolgendosi agli uomini.
Poi un ghigno sadico prese forma sulla sua faccia affilata e pallida.
«Domani sera ci sarà un piccolo falò, e siete tutti invitati ad assistervi» fece, guardando anche me ed Eymeric.
«Rinchiudeteli» concluse, prima di andarsene, facendo frusciare la toga nera.
Nessuno di noi due si oppose, né lottò.
Non ne avevamo la forza.

 
 
 

Eccoci qui, a questo capitolo ben saturo di colpi di scena.
Inutile dire che mi sia piaciuto da morire scriverlo: è dinamico, pieno di tensione. Ho sentito tutte le emozioni di Olympe mentre lo scrivevo, incredibile.
Comunque: la nostra neo-Giudice cerca di indagare con coraggio, come suo solito, su ciò che cela Frollo, e scopre tutto, ma ormai è troppo tardi.
Tutti i suoi sforzi sono stati vani, ed ora la situazione è alquanto critica, dal momento che l'Inquisitore Supremo sembra essere tornato al punto di partenza, quando il suo unico obiettivo era distruggere Eymeric.
Dato che questo capitolo è importantissimo, muoio dalla voglia di leggere le vostre recensioni. Lo so che lo ripeto ogni volta, ma a questo capitolo in particolare ci tengo veramente tanto. Come pensate che procederà adesso la storia?
Alla prossima, e grazie a tutti di cuore,
Stella cadente

 

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Capitolo 35
*** Pericolo ***


XXXV.
Pericolo


 
Nina
 
 
 
 
«Non tornerà.»
Sentii risuonare una voce dietro di me, fredda e familiare. Ero rimasta ad aspettare, lì dove avevo salutato Eymeric, che il mio amico tornasse, invano. Avevo come la sensazione che fosse passato un sacco di tempo da quando se ne era andato, e la cosa cominciava ad allarmarmi.
«Tornerò. Promesso.»
«Va bene.»
Mi voltai in un gesto rabbioso, e vidi torreggiare su di me la figura possente di Ruben. Il ragazzo mi trafiggeva con i suoi occhi nocciola, piccoli e penetranti.
«E come lo sai?» feci, ostile. Non mi piaceva quel suo atteggiamento presuntuoso, come se sapesse sempre tutto; non sapeva niente di Eymeric e non aveva diritto a parlarne così.
«Lo so e basta» disse solo.
«Che vuol dire?» sbottai, infastidita.
Ruben abbassò lo sguardo, poi riportò gli occhi su di me.
«Ascolta, Nina» iniziò. «Tu non sai praticamente niente di me, mentre io so molto di te, e so molto riguardo alle cose che succederanno.»
Cosa?
Il modo in cui parlava mi provocava un senso di smarrimento; conoscevo ormai tutti coloro che si trovavano alla Corte dei Miracoli, ma lui era sempre rimasto un punto interrogativo.
Decisi di porre fine a quella situazione una volta per tutte.
«Chi sei tu, Ruben?» chiesi, diretta.
Lui sembrò pensarci un attimo, perché assunse un’aria concentrata. Poi disse, serio:
«Sono un veggente. Le persone come me vengono chiamate maghi, o, in senso dispregiativo, stregoni. E so tutto sulle creature come te.»
Rimasi sorpresa. Allora aveva calcolato tutto sin dall’inizio?
Che cosa sa di me?
Tra noi passò qualche secondo di silenzio in cui mi costrinsi ad assorbire la notizia meglio che potevo. Poi mi decisi: dovevo sapere tutto. Ormai avevo partecipato ad una battaglia, e mi sentivo pronta per un’altra.
«Devi dirmi tutto quello che sai» dissi solo, determinata.
 
 
 
 
****
 
 
«Non avevo mai incontrato una sirena prima, sono sincero, ma non appena ti ho vista mi è stato subito chiaro che non eri come gli altri. Avevi un aspetto troppo bello e ultraterreno, così poco... umano per esserlo.»
Se lo avesse detto con un altro tono, probabilmente mi sarei ritrovata ad arrossire; invece attesi che proseguisse.
Ruben mi aveva portata nella sua tenda – luogo che mi era sempre stato precluso – e stava trafficando con delle strane boccette messe l’una accanto all’altra su delle mensole. Tirò fuori uno strano amuleto a forma di goccia d’acqua e me lo mostrò.
«È stato questo ad avvertirmi della tua natura. Brucia sulla pelle quando ci sono delle sirene vicine.»
«Come sapevi dell’esistenza delle sirene?»
Se fino a quel momento Ruben mi aveva suscitato timore, adesso ero solo curiosa riguardo a quello che sapeva di me e di tutto il resto.
«Le ho sempre cercate. Sono sempre stato appassionato delle numerose leggende. E mi ricordo che una notte vidi questo amuleto al collo di un neonato. Ero solo un ragazzino... Ci fu una lotta. L’amuleto cadde poi a terra, e quando la lotta fu finita andai a riprenderlo. Da quel momento, mi ripromisi di trovare a tutti i costi il proprietario di quel ciondolo. E scoprii che era un amuleto magico, un amuleto che appartiene alle sirene.»
Mi sentii tremare il cuore, per una ragione che non seppi spiegare.
«Posso... posso prenderlo?» chiesi.
Ruben me lo allungò senza dire niente.
Esitai prima di afferrarlo; era davvero bellissimo. La goccia lanciava bagliori argentati come una perla; sembrava una pietra preziosa proveniente da luoghi sconosciuti e lontani.
Quando il ciondolo fu tra le mie mani, sentii una vampata di calore. Un calore che però non mi dava fastidio – anzi, era piacevole, tiepido. Aprii la mano, e una luce bianca si sprigionò dall’amuleto per un secondo; poi tornò al suo aspetto normale, come se nulla fosse.
Alzai gli occhi verso Ruben.
«Che cosa significa?» gli chiesi, confusa. Notai che persino lui era perplesso: aveva aggrottato le sopracciglia, e sembrava non aver neanche sentito la mia domanda.
«Nina» disse poi, senza neanche guardarmi. «Sei tu la proprietaria di quel ciondolo.»
«Cosa?»
«Ma certo... sei sempre stata tu!» esclamò all’improvviso. «Come ho fatto a non capirlo prima?»
Ero confusa.
«Potresti spiegarti, per favore?» chiesi, un po’ infastidita dal fatto che non mi avesse risposto.
«Le persone che erano coinvolte nella lotta... erano Claudie Frollo e una donna gitana» rivelò, diretto.
Sentendo quella frase mi ammutolii.
«La donna teneva tra le braccia un neonato, che portava al collo quel ciondolo. Ha lottato, per tenerlo con sé, ma Frollo le ha strappato il fagottino dalle braccia, lei è caduta, ha battuto la testa e... non si è più rialzata.»
Improvvisamente mi sentii come se qualcuno mi avesse conficcato mille lame gelide in tutto il corpo. Non avevo neanche la forza di replicare.
Ha sempre avuto in antipatia gli zingari, ma credo che tu questo lo sappia molto bene. Impazzì letteralmente non appena divenne Giudice – all’epoca non ero ancora arrivato ai cinquant’anni – e avviò una missione contro di loro; contro una di loro in particolare, in realtà. Non ne capii il perché. Nessuno lo capì mai, in realtà. Comunque sia, da quel momento ha sempre perseguitato con ferocia ogni singolo membro del popolo dei gitani. Non si fermava nemmeno di fronte ai bambini.
Le parole dell’arcidiacono mi risuonarono d’un tratto nella testa come un eco. Sentivo, in qualche modo, di essere sempre più vicina alla verità su Frollo, ma al tempo stesso ancora lontana anni luce da ciò che era realmente successo.
«L’ha uccisa» sussurrai, debolmente. «Ha ucciso mia madre.»
Avviò una missione contro di loro; contro una di loro in particolare, in realtà. Non ne capii il perché. Nessuno lo capì mai, in realtà.
E probabilmente era proprio lei la zingara per cui aveva indetto la persecuzione. Ma perché?
Ruben mi guardava con aria grave.
«Sì» assentì. «A questo punto, penso che quella zingara fosse proprio tua madre.»
Rimasi in silenzio, incapace di reagire.
«Ascoltami Nina» continuò. «Eymeric è in grave pericolo, e adesso solo tu puoi aiutarlo.»
Alzai gli occhi su di lui, sentendomeli pieni di lacrime. Ma non era quello il momento di piangere. Eymeric non lo avrebbe voluto. Lui avrebbe voluto che io fossi forte.
«Come lo sai?» chiesi a malapena.
«Te l’ho detto: sono una specie di veggente, conosco le arti magiche. So che non tornerà; è rimasto bloccato, ma non riesco a capire per quale motivo.»
Silenzio.
Da quel momento ha sempre perseguitato con ferocia ogni singolo membro del popolo dei gitani. Non si fermava nemmeno di fronte ai bambini.
«Rifletti: quante volte hai aiutato i tuoi amici, finora? Sempre. Senza di te saremmo tutti perduti. Che senso ha stare qui ad aspettare?»
«Eymeric mi ha chiesto di fare così» replicai io.
«Nina» proseguì Ruben. «So che c’entra Frollo, in tutto questo. È la tua occasione, l’occasione per vendicare tua madre.»
A quelle parole, qualcosa scattò dentro di me, ma poi riflettei.
«Non voglio fare del male a nessuno» mi ostinai, incrociando le braccia.
«Non sarai obbligata a farlo, te lo prometto. Ma voglio che tu impari ad usare i tuoi poteri in battaglia. Solo questo.»
Pausa.
«Perché?»
Ruben mi guardò come a volermi trafiggere.
«Perché presto dovrai imparare a difenderti. Sento che sta per avvenire qualcosa per cui tutti dobbiamo essere preparati, e tu per prima.»
Sentivo qualcosa di diverso, dentro di me, mentre ascoltavo quelle parole. Sentivo di non essere più la ragazzina che ero fino a poco prima: la libertà che mi aveva concesso Frollo mi aveva cambiata – la Corte dei Miracoli mi aveva cambiata. Ora che avevo scoperto le mie vere origini ero improvvisamente disposta a mettermi in gioco e a lottare per quella che, adesso, era diventata la mia famiglia.
«Cosa devo fare?» gli chiesi.
Sul volto del gitano comparve un ghigno soddisfatto.
«Per prima cosa» cominciò «devi imparare come utilizzare più spesso i tuoi poteri curativi.»
 
«Ti avverto, comunque: non è in buone condizioni. La ferita è molto profonda.»
I suoi occhi scuri mi trapassarono l’anima.
«Cosa stai…»
«Vai» si limitò a dire. «E fa’ in fretta.»
 
«Aspetta un attimo. Tu lo sapevi?» chiesi. «Sapevi che le mie lacrime avrebbero curato Olympe?»
Ruben annuì.
«Conosco molto bene le sirene, te l’ho detto» rispose, con la sua solita aria seria e misteriosa.
In quel momento mi chiesi perché non avessimo mai parlato prima.
«Andiamo adesso» fece poi. «Hai saputo usare i tuoi talenti con abilità, finora... ma devi perfezionarti.»
Uscì dalla tenda, ed io mi limitai a seguirlo.
Non sapevo che aveva ragione.
Eymeric non sarebbe tornato, quella notte, e presto sarei stata costretta ad uscire dalla Corte dei Miracoli ancora una volta.

 
 
Capitolo un po’ “di passaggio”, ma fondamentale per capire le origini di Nina e la storia di Frollo. Pian piano, tutti i pezzi si stanno ricomponendo...
in questo capitolo abbiamo anche la certezza che Nina è cresciuta e maturata: adesso ha trovato la sua famiglia e si sente pronta a combattere con le unghie e con i denti per tenersela. Come andrà a finire?
Vi dirò, a me questo personaggio piace sempre di più, amo la sua dolcezza e la sua sensibilità.  Spero che anche voi riusciate ad apprezzare quanto me la sua crescita psicologica.
Ed ora, fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima,
Stella cadente






“Non appena ti ho vista mi è stato subito chiaro che non eri come gli altri. Avevi un aspetto troppo bello e ultraterreno, così poco... umano per esserlo.”
 

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Capitolo 36
*** Il falò ***


XXXVI.
Il falò



 
Claudie
 
 
 
 
Quella sera la luce del tramonto infiammava il cielo, come a voler fare compagnia al mio animo, che ardeva come un tizzone acceso. Ma ero felice, da una parte: lo zingaro stava per essere distrutto.
Notre-Dame guardava la pira accatastata nella piazza, e lui, Eymeric, legato ad essa, inerme, in viso un’espressione di dolore mista ad una rabbia cocente. Poco più in là, rinchiusa in una gabbia, Olympe de Chateaupers tentava invano di liberarsi.
Contemplai quella scena con soddisfazione, poi srotolai la pergamena e lessi, ad alta voce:
«Lo zingaro Eymeric è stato condannato per stregoneria.»
Il rullo di tamburi per le esecuzioni rimbombava nelle mie orecchie, come per ricordarmi l’autorità di cui disponevo. Mi venne da ridere quando ricordai che, qualche tempo prima, al mio posto c’era Grenonat e al posto di Eymeric c’ero io.
«La sentenza: morte!» decretai.
La folla urlava proteste, ma non ci badai. Lui doveva essere annientato, una volta per tutte, prima che potesse indurmi nuovamente in tentazione.
Fissai lo zingaro con odio; vicino alla pira, i sovrani Pietro II e Anna osservavano la scena con distacco.
Mi avvicinai ad Eymeric con la fiaccola in mano, sentendo il calore del fuoco sul viso.
Deve morire per mano mia.
Deve morire attraverso il fuoco purificatore, così che la sua anima corrotta se ne vada, e con essa tutti i miei mali.
«L’ora è giunta, zingaro, sei affacciato all’orlo dell’abisso» gli sussurrai, non appena gli fui abbastanza vicina. «Le ultime parole?» feci, con voce sostenuta.
Lo fulminavo con lo sguardo; sentivo nei miei occhi odio e passione insieme, in una mescolanza che mi stordiva e mi rendeva furiosa con lui e con me stessa.
Eymeric mi ricambiava, ostile e coraggioso, esattamente come lo avevo conosciuto. Mi bruciava con le fiamme verdi dei suoi occhi, in un modo che non avevo mai visto prima, immerso in un ostinato silenzio.
Distruggilo, Claudie.
Fallo, prima che sia troppo tardi.
«Come immaginavo. Ciononostante, posso salvarti dalle fiamme di questo mondo, e del prossimo. Puoi scegliere se bruciare da eretico e criminale o di confessare di aver praticato magia nera su di me... in quest’ultimo caso, forse, almeno per te, potrei violare i miei principi.»
I suoi occhi smeraldini si assottigliarono.
«Che cosa volete dire?»
Aveva assunto un’espressione allarmata, consapevole, apprensiva. Sapeva quello che stavo per dirgli.
Sentii che un ghigno cattivo stava prendendo forma sul mio volto.
«Sì, Eymeric... io ho ucciso Clopin e tua sorella. In fin dei conti, avevano capito troppo della situazione, e tu sai meglio di me che i nemici vanno eliminati, giusto?»
«Cosa?»
Lo ignorai.
«Confessa che mi hai fatto un incantesimo, separati dal tuo credo e aderisci alla religione cattolica. Forse, in questo modo, potrò risparmiarti la vita» lo guardai altezzosa, sapendo che ormai il suo destino dipendeva da me. Lo avevo in pugno, e la sensazione era inebriante.
Le sue braccia fremettero di rabbia sotto le corde che lo legavano; era furioso.
«Mai» ringhiò. «Uccidetemi pure; piuttosto che rinnegare i valori della mia famiglia, preferisco la morte!»
Gli lanciai appena uno sguardo furioso, poi mi voltai verso la folla.
«Lo zingaro Eymeric si è rifiutato di abiurare!» esordii ad alta voce. «Questo stregone malvagio ha turbato la Corte di Giustizia e gettato scompiglio nella nostra sacra Città. Dunque, per la giustizia, per la nostra patria, per Parigi, per Notre-Dame» proseguii, «voglio rispedire questo empio demone...» abbassai la torcia, e con un boato della folla il legno della pira prese fuoco «...all’Inferno da cui proviene.»
Fu in quell’istante che sul bellissimo viso di Eymeric si disegnò un’espressione impaurita. Per un istante vidi la preoccupazione nei suoi occhi; parte del suo coraggio era svanito. Era divenuto consapevole del destino che lo attendeva, e temeva il dolore e la morte.
Adorai sadicamente quell’espressione, quei lineamenti trasfigurati dal terrore e dalla consapevolezza. Adorai le fiamme che danzavano verso il suo corpo e che si dirigevano verso la sua distruzione. Adorai il bagliore del fuoco che si rifletteva nei suoi occhi, simili a gemme.
Un perfetto connubio di bellezza e malvagità era davanti a me, e tra poco sarebbe diventato cenere e svanito nel vento.
Questo pensiero mi allarmò quando cominciai a vedere Eymeric tossire e perdere i sensi, esattamente come era successo a me tempo prima.
«Fermatevi!»
Una voce irruppe nell’esecuzione; una voce che conoscevo bene.
Mi voltai; era Nina.
Da dove è venuta?
Se ne stava a pochi passi dalla pira, e mi guardava con una luce che non le avevo mai visto negli occhi. Sembravano carichi d’ira e determinazione, due sentimenti che non sembravano aver mai fatto parte di quella ragazzina.
Dietro di lei, scoprii con un groppo alla gola, una folla di zingari mi guardava nello stesso modo. Vidi che Anna di Beaujeau aveva alzato il mento con aria incuriosita, mentre il marito Pietro aveva un’aria perplessa.
Nina, senza tanti preamboli, salì vicino al rogo e slegò Eymeric, strattonandoselo dietro. Un boato si sollevò dalla folla che assisteva all’esecuzione, e  la ragazzina mi lanciò uno sguardo di sfida.
«Come potete anche solo aver pensato di fare questo ad una persona che vi ha aiutata
La situazione si era ribaltata completamente; in quel momento solo il crepitare del fuoco interrompeva il silenzio che si era venuto a creare, mentre gli zingari – tra i quali riconobbi anche qualche volto – mi guardavano come a volermi accusare.
«Ministro» sentii che diceva la voce di Anna di Beaujeau. «Di che cosa sta parlando costei?»
«Vostra Maestà» irruppe poi un’altra voce, interrompendo la risposta che stavo per dare. «Posso spiegarvi io che cosa è successo.»
Un ragazzo alto e possente sorpassò Nina – ed Eymeric, che, semichino sulle sue spalle gracili, si reggeva a stento in piedi accanto a lei – e si pose di fronte allo sguardo intelligente della Regina. Chinò il capo, e lei lo fissò come per esortarlo.
«Parla, dunque» disse infatti, con la sua voce giovane e argentina.
Il ragazzo non esitò un attimo.
«Il Giudice Frollo si è trovata, per le circostanze di cui voi siete a conoscenza, in povertà come noi, rifugiata alla Corte dei Miracoli,» esordì, con decisione «mentre a Parigi Virgile Grenonat gettava scompiglio e massacrava la nostra gente.»
Fece una pausa, mentre Anna di Beaujeau assottigliava gli occhi, incuriosita. Sapevo che da lì a poco la situazione non mi sarebbe stata favorevole, ma, esattamente come tempo prima in Tribunale, sapevo anche che non sarebbe stato opportuno interrompere.
«Questo ragazzo» fece poi, indicando Eymeric «ha salvato la vita a Claudie Frollo, strappandola ad una morte terribile, la stessa che lei adesso gli stava per infliggere. Lui l’ha portata da noi, lui ha pensato a farla rimettere in sesto, sebbene nessuno fosse d’accordo con la decisione che aveva coraggiosamente preso. Eymeric» rabbrividii non appena sentii pronunciare quel nome «non ha fatto assolutamente niente, se non del bene, per il Ministro, sebbene ella non avesse mai fatto che del male al nostro popolo.»
La folla iniziò a mormorare. Ebbi l’impressione di trovarmi di nuovo alle strette, come quando Grenonat mi aveva accusata di stregoneria e tradimento in Tribunale. Una vampata di rabbia mi affluì nelle vene; ma non potevo farmi incastrare così un’altra volta.
«Vostra Maestà» irruppi nella discussione. «Questo zingaro mi ha portato alla rovina, e non solo per quanto riguarda la mia carica, ma...»
«Permettete, Ministro» proferì improvvisamente Pietro, cortese ma deciso. «Ritengo, in quanto nuovo Re di Francia, che sia opportuno sospendere l’esecuzione, almeno fino a nuovo ordine. Direi che vi sono problematiche molto più importanti rispetto a questo, attualmente» aggiunse, con diplomazia, mentre la moglie lo guardava con aria di approvazione. «Tuttavia, sembra che questi zingari abbiano creato non poco scompiglio, a Parigi.»
La situazione era cambiata radicalmente. Mi sentii confusa: a che conclusioni si stava giungendo?
«Pertanto,» cominciò. La sua voce si sentiva in tutta la piazza, tanto era il silenzio «l’esecuzione dello zingaro Eymeric verrà interrotta. Chiedo un colloquio in privata sede con voi, Ministro Frollo, per discutere il da farsi.»
«Senz’altro, Vostra Altezza» mi limitai a dire, capendo che non potevo fare altro.
Per un attimo nessuno disse niente. Notai gli occhi di Nina che mi guardavano allibiti, ma tenaci, come per dimostrarmi che non avrebbe rinunciato alla sua nuova famiglia per nessuna ragione. Sapeva che non le avrei potuto dire niente: la mia carica era già appesa ad un filo, e dimostrare di conoscerla non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, dati i precedenti.
«Portate i prigionieri nelle segrete» ordinai quindi ai soldati disposti lungo il perimetro della piazza. «Nessuno dovrà fare alcunché fino a che non saranno prese decisioni definitive.»
Poi, nel silenzio, salii sulla carrozza, preceduta dai sovrani, mentre sentivo il cigolare della porta della gabbia all’interno della quale rinchiudevo i prigionieri prima dell’esecuzione.
«Non la passerete liscia!» mi gridò dietro una voce, mentre mi lasciavo dietro Notre-Dame.
Sapevo di chi fosse.
Era di Olympe de Chateaupers.

 
 
 
Capitolo breve, ma per me è stato intensissimo.
Non vedevo l’ora di scriverlo, sapete? O meglio, di scrivere la parte iniziale: quello che prova Claudie Frollo nell’accendere il rogo di Eymeric, nel vederlo inerme e arrabbiato di fronte ai suoi occhi. Ho provato ad esprimere come possa essersi sentito il suo alter ego maschile disneyano e... beh, spero che mi sia venuto bene.
La seconda parte è stata ricca di tensione – tanto non mi piace la suspense... no... – mi sembrava di vedere lo sguardo perplesso di Anna e la decisione di Pietro. Inutile dire che poi ho anche sentito tutte le emozioni del Ministro – che sebbene si stia comportando in perfetta coerenza con la sua meschina controparte disneyana, è ancora il mio personaggio preferito.
Il grido finale di Olympe mi sembrava un bel modo per concludere il capitolo. Voi che ne pensate?
Spero, come sempre, che vi sia piaciuto.
Au revoir,
Stella cadente







«Voglio rispedire questo empio demone...» abbassai la torcia, e con un boato della folla il legno della pira prese fuoco «...all’Inferno da cui proviene.»
 

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Capitolo 37
*** Infuria la rivolta ***


XXXVII.
Infuria la rivolta

 
Nina
 
 
 
«Cittadini di Parigi!» urlò Ruben, rivolto alla folla dei presenti. «Claudie Frollo ha perseguitato la nostra gente e sfruttato la nostra Città in ogni modo possibile! È arrivata a scatenare una guerra, e si è approfittata di coloro che l’hanno appoggiata!» sembrava in preda alla rabbia, mentre tutti lo ascoltavano allibiti.
Il momento in cui Olympe ed Eymeric venivano nuovamente portati via, diretti alle prigioni del Palazzo di Giustizia, era stato atroce. Avevo dovuto guardare i miei amici allontanarsi di nuovo ed andare incontro ad un destino che non conoscevo; forse sarebbero morti, di stenti o di fame. Non volevo pensarci.
«Le permetteremo di farlo di nuovo?»
Un boato di protesta si sollevò e i popolani iniziarono a sgomitare. Vidi molti uomini imbracciare torce e forconi, mentre urlavano imprecazioni ed insulti verso la mia tutrice.
«Assalteremo il Palazzo di Giustizia; poi la troveremo e la costringeremo a fuggire da Parigi» continuò Ruben, determinato. «Non ci fermeremo di fronte a niente! Gli oppressori devono essere eliminati!»
Notavo sempre di più che stava fomentando una rivolta e rabbrividii. La faccenda sembrava essere di grande portata, e se la rivoluzione precedente, scatenata dal governo di Grenonat, mi era sembrata impegnativa, adesso ero davvero consapevole di quello che stava accadendo.
Dovevo essere pronta a tutto.
So molto riguardo alle cose che succederanno.
È la tua occasione, l’occasione per vendicare tua madre.
«Ruben» lo chiamai, mentre il popolo si mescolava selvaggio con gli zingari. «Che intenzioni hai?»
«Esattamente quelle che hai appena sentito, Nina. Tutto questo deve finire» si limitò a rispondere lui. «Ma è bene per te che tu non partecipi a questa rivolta» disse poi. «Ivor!» chiamò.
Il ragazzo si voltò.
«Tu e Nina» fece Ruben, indicandomi con un cenno della testa «andate alla Corte dei Miracoli, e aspettatemi lì.»
«Cosa?» protestò Ivor. «Quindi noi dovremmo starcene laggiù senza fare niente
«Perché mi hai chiamata qui, allora?» mi intromisi. «Avevi detto che avrei dovuto essere pronta a tutto... che sarebbe stata l’occasione per...»
«Frollo non è al Palazzo di Giustizia, Nina» disse il ragazzo, senza lasciarmi finire. «Si trova al Palazzo Reale, in questo momento, deve discutere con i sovrani. Ma insomma, eri qui, lo hai visto» aggiunse poi, un po’ stizzito. «Ad ogni modo, fate come vi ho detto. Al Palazzo sarà pieno di guardie, e c’è il rischio che tu venga rinchiusa. Non puoi permettertelo. Devi raggiungere Frollo, ma prima devi aspettare che questa fase della Rivolta sia conclusa. Fate come vi ho detto» ribadì.
«Quanto a te» disse poi, rivolto ad Ivor. «Dovrai proteggerla. Lei è troppo preziosa per essere lasciata andare.»
Il ragazzo lo guardò, con quella fierezza negli occhi che gli avevo sempre visto e che mi ricordava tremendamente Eymeric.
«Sarà fatto» disse solo, deciso.
 
 
****
 
 
Il tragitto per la Corte dei Miracoli fu percorso quasi interamente di corsa; dietro di noi, sebbene lontane, si sentivano le urla di quella nuova e decisiva insurrezione, che infuriava sempre più man mano che il tempo passava. Quando arrivammo, l’ambiente era quasi innaturale tanto era silenzioso. Tutti si erano uniti a quella battaglia.
Tranne noi.
«È incredibile; non so che obiettivo abbia Ruben, ma non capisco perché ci abbia rimandati indietro» ruppe il silenzio Ivor, con un accenno di rabbia nella voce.
Sospirai, poi dissi:
«Non lo so. Evidentemente la nostra parte nella battaglia non è ancora arrivata.»
Il ragazzo annuì vagamente, poi mi scortò verso la sua tenda, facendomi entrare per prima.
Calò il silenzio tra noi, e mi sentii in dovere di dire qualcosa; gli occhi di Ivor si erano persi nel vuoto, a guardare un punto inesistente. Non era difficile immaginare a cosa pensasse.
«Ivor» presi parola. «Come... come stai?» mi permisi di chiedere.
«Come vuoi che stia?» rispose quasi subito. «I miei genitori sono morti. Ruben è praticamente tutto quello che mi è rimasto; oltre a lui non avrei più nessuno. Sarei da solo a badare a mio fratello, e non so se potrebbe bastare.»
Il tono gli si era abbassato e non tradiva una certa tristezza. Una malinconia stanca abitava la sua voce squillante, facendomelo apparire in maniera completamente diversa rispetto a come lo avevo sempre visto. Ivor non dava mai troppa mostra delle sue emozioni; per dir la verità, negli ultimi tempi si era occupato solo del fratello e non aveva avuto molto tempo per interagire con gli altri, quindi non sapevo neanche come esattamente stesse.
Capii che me ne stavo rendendo conto solo adesso, che adesso stava parlando con me di quello che provava. Restai un attimo in silenzio, colpita dall’impatto di quella frase.
«Andrà tutto bene, vedrai.»
«Come fai a saperlo?» esplose lui. Quasi mi urlò contro, ma non mi spaventai: avevo capito che le emozioni cominciavano a ribollirgli dentro e che aveva solo bisogno di buttarle fuori. «Ero sicuro che sarebbe andato tutto bene anche la volta scorsa, ed invece ho perso i miei genitori. Sto perdendo tutto quanto.»
La sua voce era abitata dalla tristezza più schiacciante, adesso. Era così intensa che sembrava aver inglobato anche me, adesso.
Si voltò, e nei suoi occhi c’erano lacrime. Quell’immagine mi straziò, per un motivo che non seppi definire; era terribile vederlo così.
«Ed ora non posso fare a meno di tormentarmi, perché forse perderò anche quello che per me è come un fratello maggiore. Oltre che Eymeric, il nostro nuovo Re, così fiero e giusto. Ha avuto coraggio nel fidarsi di Frollo; si è fidato di lei perché è buono e gentile, ed ecco cosa ha ottenuto. Ma è stato forte, come un Re dovrebbe essere. Che cosa succederà, se perdiamo anche lui? Che ne sarà di noi?»
Le sue parole mi colpirono con la forza di un pugno nello stomaco; non sapevo come fossimo arrivati a quel discorso, ma ormai mi sentivo avvolta dalla sua voce, dalla sua preoccupazione, da tutto quello che stava accadendo. Gli occhi mi si inumidirono al pensiero di perdere Eymeric. Eppure la sua vita sembrava appesa ad un filo, adesso; lo avevo visto poco tempo prima, con la faccia annerita dal fumo e gli occhi socchiusi e lacrimanti. Stava malissimo, e nessuno mi garantiva che avrebbe anche solo passato la notte in quelle condizioni.
Non prenderti in giro, Nina. Ci sono scarse probabilità che ce la faccia.
Un nodo mi si strinse nella gola.
«Tu non ti senti preoccupata per lui? O per quella ragazza, Olympe? Non ti senti preoccupata per le persone che ami
Rimasi immobilizzata. Ivor mi guardava con quegli occhi straripanti emozioni, emozioni che mi si attaccavano addosso e mi imprigionavano nella loro intensità. Non potei fare a meno di starmene in silenzio, in un tacito “sì, da morire”.
Restammo per qualche secondo così, senza dire niente.
Poi mi avvicinai a lui e lo abbracciai con trasporto, stringendolo forte, cercando di trasmettergli almeno un po’ di sicurezza. Lui mi guardò come se fosse rimasto incantato da quel gesto così semplice, mischiando i suoi occhi neri ai miei.
In quello sguardo c’era il mondo. Quel colore così scuro che si incontrava con le mie iridi acquamarina fu come vedere l’anima, come se quello che c’era nel suo cuore mi si fosse materializzato davanti.
Quello sguardo ci fece avvicinare sempre di più, ed il bacio che ci fu poco dopo era delicato come un fiore e limpido come il cielo in estate.
 

 

Un altro capitolo breve e schifoso, argh. Scusatemi, ma i capitoli stanno venendo corti ultimamente. È che questo, il precedente e il successivo – che sarà narrato dal punto di vista di Olympe e sarà ancora più breve di questo qui – saranno molto introspettivi. Perciò non posso neanche scrivere più di tanto, altrimenti volereste il computer e non mi leggereste più :’)
Comunque, non so voi, ma a me questo capitolo sembra... dolce, in qualche modo. Nina ed Ivor mi piacciono; mi piace come si sono legati, e mi piace anche il ruolo che sta avendo Ruben nella storia. So che per il momento non c’è nulla da dire, ma seppur breve e conciso sono abbastanza soddisfatta di quello che ho scritto – specialmente per quanto riguarda la conclusione. Spero che sia piaciuto anche a voi – magari un po’ più che a me.
Alla prossima,
Stella cadente
PS Avete notato qualche riferimento al film originale? ;)

 

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Capitolo 38
*** Imprigionati ***


XXXVIII.
Imprigionati


 
Olympe
 
 
 
 
Quando ci portarono di nuovo nelle carceri del Palazzo di Giustizia mi sentivo prosciugata. La rabbia che ruggiva nel mio corpo contrastava insopportabilmente con la debolezza fisica; avrei tanto voluto spaccare qualcosa, organizzare rivolte, cambiare le cose, esattamente come avevo fatto tempo prima, e la consapevolezza che non potevo farlo era una sofferenza quasi fisica.
Eymeric giaceva accanto a me, con la testa appoggiata sulla mia spalla, sfinito; gli occhi ancora chiusi, le labbra secche e screpolate dal calore del fuoco che stava per ucciderlo brutalmente.
Fuori stava succedendo di tutto, e noi eravamo chiusi in carcere, senza poter fare niente. Vedere Nina era stata una gioia, ma non poter uscire dalla gabbia e abbracciarla era stato frustrante. E chissà se l’avrei mai più rivista.
Stare al buio mi dava l’impressione di starmi avviando pian piano verso la pazzia. Avevo freddo e fame, e un dolore lancinante mi attanagliava le gambe, che erano rimaste piegate tutto il tempo nella gabbia in piazza.
Quello era il minimo, lo sapevo. Lo sapevo e lo avevo anche provato. La sensazione di quando Grenonat mi aveva colpita con la spada mi balzò in testa, e al ricordo mi ritrassi involontariamente in uno scatto. Mi guardai le braccia: erano pallide, come fossero state malate, e sporche di fuliggine. Sembravano gracili, scheletriche. Non provai neanche ad immaginare come fosse il mio aspetto, era sufficiente vedere Eymeric.
Ora aveva il respiro affannoso, mentre si aggrappava debolmente a me come un bambino.
«Eymeric» sussurrai.
Lui non reagì.
«Eymeric» ripetei, dolcemente.
«Li ha uccisi lei» mormorò. Nella sua voce c’era rabbia, tristezza, lacrime che premevano per uscire ma non riuscivano a farlo attraverso quegli occhi secchi e bruciati. «E voleva uccidere anche me.»
«Lo avrebbe fatto, se solo nessuno fosse intervenuto» ringhiai io, stringendo i pugni per la rabbia.
Sollevò la testa in un gesto lento, come se gli pesasse, e si lasciò cadere malamente al suolo di quella cella sporca e buia. Una lacrima gli rotolò sul viso e si voltò subito dopo, dandomi le spalle; il suo corpo si contrasse per un attimo, poi il suo respiro tornò regolare.
Mi si strinse il cuore nel vederlo così.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma lui amava Claudie Frollo con tutto se stesso.
E forse era quell’amore travolgente e malsano ad averlo ridotto in quel modo.

 



Il capitolo più corto della storia di Paris, gente! Ma del resto, vi avevo avvertiti...
Comunque, mi è piaciuto molto scriverlo, seppur nella sua tristezza e nel suo essere così doloroso. Come vi ho già detto, abbiamo tre capitoli da parte delle nostre tre protagoniste, ognuna che narra fatti diversi in modo diverso. Penso che si veda che siamo alle battute finali di questa storia, e non sapete quanto mi pianga il cuore anche solo all’idea. Ma sto divagando.
Che ve ne è sembrato? Qui abbiamo un Eymeric diverso dal solito, stanco, accecato dall’odio e dall’amore nello stesso momento: ve la immaginereste Esmeralda ridotta in questa maniera per il Giudice Frollo? Ovviamente no. Eppure, se si mettesse in conto che lei si possa innamorare del Ministro, penso che andrebbe proprio così: inizialmente non si capaciterebbe della cosa, poi darebbe libero sfogo ai suoi sentimenti, ma ne soffrirebbe perché Frollo preferisce trasformare l’amore che prova per lei in odio e desiderio di vendetta.
Beh, come sempre, spero che vi sia piaciuto. E un’altra cosa: spero anche di aver reso bene l’ambientazione, la cella e tutto il resto... se comunque c’è qualcosa che non vi torna, fatemelo sapere.
Alla prossima,
Stella cadente
 
 

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Capitolo 39
*** Hic et nunc ***


XXXIX.
Hic et nunc
 
 
Mi distruggerai, e ti maledirò finché avrò vita e fiato.
 
 
 
Claudie
 
 
 
 
Fissai gli arazzi rappresentanti scene sacre appesi alle pareti dell’ambiente che mi circondava per prendere tempo e per non mostrare la mia agitazione. Di fronte a me, Pietro II chiudeva la porta di quella stanza sontuosa, piena di decorazioni raffinate e di stoffe pregiate. Era lo studio del Re; tutt’intorno vi erano sedie in legno massiccio con cuscini persiani, armi e vari strumenti di conoscenza dei quali il sovrano si serviva. Seduta su un divano in stoffa simile a quella dei cuscini delle sedie, stava semisdraiata la Regina, somigliante ad una dea greca. Un’ampia vetrata dava su tutta la Città, attraverso la quale si poteva vedere, in lontananza, del fumo salire al cielo.
Doveva esserci una rivolta in corso.
Un’altra.
Mi sentii male al solo pensiero ed iniziai a torcermi le mani, nervosa.
«Ministro Frollo» esordì Pietro. «Sembra che voi ci abbiate riportato una versione dei fatti ben diversa da quella reale.»
«Vostra Altezza» dissi, per smentire le mie accuse. Il Re non si fidava completamente di me, si vedeva. «Io non vi ho detto nient’altro che la verità. Non siete forse al corrente di quanto è successo con Grenonat, o del mio periodo alla Corte dei Miracoli? Vi posso garantire, Maestà, che quello zingaro è uno stregone e mi ha fatto smarrire la retta via...»
«Ma che alternative avevate? Pensateci: quel ragazzo vi ha soltanto aiutata.»
Osservai lo sguardo del Re: deciso, magnanimo, buono. Con un groppo in gola mi accorsi che mi ricordava terribilmente quello di Eymeric.
Eymeric...
Adesso era in prigione, e chissà se avrebbe anche solo passato la notte, dopo quello che gli avevo fatto. Per un attimo provai il forte desiderio di aiutarlo, ma mi rimproverai subito dopo quel momento di debolezza: non dovevo cedere. Mi aveva fatto cadere nel peccato, e non potevo permettermelo.
Strinsi i pugni, poi dissi, con decisione:
«Altezza, voi sapete meglio di me che gli zingari sono malvagi e corrotti. Sono pagani, Sire. Non riconoscono religione alcuna, e le loro barbare usanze rendono gli inerti altamente fuorviati. Questo nessuno può negarlo.»
Pietro sospirò.
«Certamente, Ministro. Ma come ho già detto, hic et nunc vi sono questioni di natura più importante e più urgente. Luigi d'Orléans sta dando non pochi problemi alla Francia, e soprattutto al mio neogoverno dopo anni di reggenza» disse, con tono vagamente inquieto.
«E dunque» prese parola Anna, che ora si era avvicinata. «Come intendete risolvere la faccenda? Ma soprattutto: partiamo dal principio. Questo ragazzo vi ha davvero aiutata nella ripresa del potere?»
Restai per un secondo in silenzio.
«Rispondete» mi intimò Anna.
«Sì, è così» dissi io. «Ma nel frattempo mi ha portata sulla via della perdizione, Altezza.»
Lo sguardo chiaro di Anna si assottigliò.
«Che intendete dire? Siate più esplicita, per favore.»
Deglutii. Come facevo ad essere più esplicita? La Regina non capiva che quelli sarebbero stati ricordi quasi dolorosi da riportare alla luce? Non capiva quanto mi sarebbe costato raccontare quello che nemmeno una vita impiegata nell’eliminare quell’ignobile razza sarebbe bastata a purificare?
«Lo stregone mi ha attirata nella sua rete di piaceri carnali ed effimeri» dissi, distogliendo lo sguardo. «Mi ha corrotta. Ma il suo incantesimo si era già propagato fin troppo bene anche prima, sin da quando lo avevo visto per la prima volta. Lui sapeva di essere qualcosa di profano e di proibito per me, e tuttavia continuava a tentarmi – e lo fa tuttora. Tutto è cominciato da qui. Da quando ci siamo persi l’uno nell’altra e per me è cominciato il declino.»
Avevo incespicato un po’ tra le parole, costretta a confessare la mia debolezza come un reo in Tribunale. Ma ormai mi avevano messa alle strette: mentire ancora non avrebbe avuto senso.
Guarda fin dove mi hai portata, gitano. Guarda che cosa mi hai fatto.
«Per questo intendevo distruggerlo: è colpevole di stregoneria e paganesimo. Sappiamo quanto siano dannose le eresie, Altezza» continuai. «Portano nelle tenebre i più deboli, il volgo. Si rischia che molti stiano dalla parte di questo popolo infernale.»
«Ne sono consapevole, Ministro Frollo» fece Anna. «Tuttavia, ciò non toglie che quello zingaro vi abbia, anche se in minima parte, aiutata.»
«È mio dovere ucciderlo, Regina» dissi, seria.
«Lo so» la Regina alzò una mano in un gesto solenne, come per fermarmi. «Difatti, siamo d’accordo con voi per quanto riguarda la pena di morte.»
Pietro si voltò a guardarla.
«Ciononostante» si inserì poi il sovrano, rivolgendosi a me. «Riteniamo che sia giusto mostrare un po’ di magnanimità per le imprese da egli compiute, e che debba soffrire meno. Non merita di morire da eretico, né da criminale. Almeno, non del tutto. Ma proprio perché è pericoloso deve essere ucciso, in fretta, agendo con decisione. E un rogo non è decisamente la strategia migliore.»
Anna mi guardò con i suoi occhi azzurri, gelidi, simili ad acquemarine. Per un istante, con quell’espressione in volto, mi ricordò me da giovane.
«Quello zingaro deve sparire, Ministro. Lo vedete anche voi che non fa bene al vostro governo e alla vostra serenità» disse, con tono grave. «E mi sembra di capire che su questo siamo d’accordo.»
«Senz’altro, Maestà» assentii.
«Che cosa farete, dunque?» chiese poi Pietro.
Mi schiarii la voce e dissi:
«Mi recherò nottetempo nelle segrete del Palazzo di Giustizia, e sorprenderò i due prigionieri nel sonno. Il colpo sarà immediato e non ci sarà alcuna lotta. La morte dei due verrà fatta passare per stenti e fame. Ed il tutto verrà dimenticato in silenzio» dissi, neutra.
Ma una terribile consapevolezza aveva già cominciato a farsi strada dentro di me.
Non sarei mai riuscita ad uccidere Eymeric.
Dovevo architettare qualcosa, ed in fretta.
 
 
****
 

La notte avvolgeva Parigi, ammantandola di nero. Nell’aria si respirava un vago sentore di primavera ed il freddo era decisamente calato.
Avevo deciso di non uccidere i prigionieri, ma non potevo neanche far sì che si sapesse che erano rimasti vivi. Le parole dei sovrani erano molto chiare: Eymeric doveva essere eliminato.
Quello zingaro deve sparire, Ministro. Lo vedete anche voi che non fa bene al vostro governo e alla vostra serenità.
Sentivo il mio cuore tremare: con quale forza lo avrei ucciso? Come avevo potuto pensare di farlo? Non ci ero riuscita quando lo avevo rinchiuso nei miei appartamenti, non ci ero riuscita quella sera e non ci sarei riuscita neanche adesso. Tutti i miei tentativi di distruggerlo per sempre erano stati vani, e adesso dovevo arrendermi a quella terribile verità.
Il maleficio è compiuto.
Sei tu ad aver distrutto me.
Sospirai – un sospiro angosciato, tremante – mi sciolsi i capelli per divenire irriconoscibile e mi calai sulla testa il cappuccio del mantello che mi ero messa sulle spalle. Era buio lungo le stradine che si diramavano come i fili di una fitta ragnatela, ma ero determinata ad adempiere al mio compito. La Città mi guardava con i suoi occhi silenziosi, come un essere vivente che respirava e che era partecipe di ciò che stavo provando.
I sovrani mi avevano dato un cavallo, ed avevo raggiunto in breve tempo il Palazzo di Giustizia per il mio scopo. Sapevo che potevo introdurmi da un passaggio segreto lì vicino nelle prigioni; non mi serviva recarmi all’interno del Palazzo, per farlo. Tra l’altro, pareva che la rivolta fosse ancora in corso: da dietro l’edificio proveniva un filo di fumo, segno che c’era ancora qualcuno.
Mi chinai lentamente e sollevai  con fatica la botola che mi avrebbe condotta al di sotto, nelle segrete. Da lui.
In un gesto deciso, mi calai, pronta ad affrontare quegli occhi smeraldo che, lo sapevo, mi avrebbero stregata anche quella volta.
 
 
 
 
Non fu difficile trovare la segreta dove erano rinchiusi Eymeric e Olympe: era la stessa in cui Grenonat aveva segregato me prima della mia esecuzione, quella in fondo al corridoio, più isolata rispetto alle altre. Mentre camminavo, ascoltando i miei passi lenti riecheggiare sul pavimento del sotterraneo, il cuore mi sembrava come un rimbombo; per un attimo temetti che si potesse sentire l’eco anche di quel pulsare furioso, di quella passione malata che da troppo tempo mi aveva afferrata con le sue mani tentatrici e trascinata con sé bruscamente.
Deglutii impercettibilmente quando arrivai di fronte alle inferriate di quella cella. Per un attimo mi passò in mente l’immagine di Eymeric nella mia sala dei ricevimenti, in piedi con le braccia incrociate, bello e spavaldo com’era sempre stato.
Ora la visione che avevo davanti mi agghiacciava: lo zingaro era sdraiato miseramente per terra, il volto trasfigurato dal dolore – un dolore fisico e mentale – un pallido spettro di quello che era stato una volta. Inorridii, anche se mi sforzai di non darlo a vedere.
Perché è così doloroso eliminarti?
Mentre avevo ancora lo sguardo puntato su di lui, una voce mi aggredì.
«Voi» la voce di Olympe de Chateaupers, che arrivò dura e fredda alle mie orecchie. «Siete soddisfatta adesso, adesso che gli avete fatto questo?»
Era un fioco urlo quello che era uscito dalla sua bocca; se la voce fosse stata meno rovinata, meno scheggiata dalla sofferenza, probabilmente sarebbe risultata una protesta decisa.
Fu allora che Eymeric aprì gli occhi. Occhi stanchi, immersi nella tristezza, lontani. Mi fece male vederli, vedere com’erano diversi rispetto a quelli furbi, brillanti e vivaci che avevo visto alla Festa dei Folli; mi venne spontaneo indietreggiare, ma mi sforzai di non muovermi.
Il ragazzo si alzò in piedi – non seppi con quale forza – e mi guardò con un astio indicibile.
«Come avete potuto?» ringhiò. «Con quale coraggio vi presentate qui, dopo quello che avete fatto?»
Eccolo di nuovo, il gitano che conosco.
Dovevo aspettarmelo.
«Siete qui per uccidermi? Fatelo pure, se volete, non mi importa!» fece, alzando leggermente la voce.
Sei bellissimo...
Era bello anche così, immerso nella rabbia e nel buio. Era bello sempre, in realtà, con quegli occhi scintillanti e maledetti che contrastavano con la pelle scura.
«Mi è stato dato l’ordine di uccidere sia te che voi, signorina de Chateaupers» dissi ai due, atona.
«Bene, che state aspettando?» si intromise Olympe, furiosa.
«Non interrompetemi» indurii il tono, autoritaria. «Ho deciso di essere magnanima e di risparmiarvi.»
«Certo, per usarci per i vostri meschini scopi immagino» fece Eymeric, pungente.
«Silenzio!» proruppi io, esattamente come facevo in Tribunale. La mia voce riecheggiò minacciosa lungo i corridoi delle segrete e i due si ammutolirono.
Mi schiarii la voce in modo solenne, come per evidenziare ancor di più la mia autorità, poi proseguii.
«Come dicevo, mi è stato dato l’ordine dai Nostri Sovrani, Pietro II di Borbone e Anna di Beaujeau, di uccidervi. Soprattutto tu» spostai lo sguardo su Eymeric.
Ci fu un attimo di silenzio, in cui lo guardai con intensità.
«Il Re e la Regina ritengono che gli elementi dannosi per la società vadano eliminati, tuttavia» feci una piccola pausa «ho deciso di rischiare ancora una volta.»
Adesso lo zingaro mi guardava con aria interrogativa, ed Olympe, anche se era più sospettosa, sembrava in qualche modo stupita da ciò che avevo appena detto.
«Vi farò fuggire da qui» rivelai poi, neutra. «Dovrete sparire entro domani; dirò che siete morti durante la notte per mano mia e che ho già provveduto a bruciare i vostri cadaveri, che adesso non sono che cenere dispersa nel vento» conclusi.
«Chi ci dice che possiamo fidarci?» fece Eymeric, ostile.
«Qua fuori ho predisposto un mio servo che vi aiuterà» ripresi, ignorandolo. «Viaggerete sul carro utilizzato per trasportare i cadaveri, cosicché il tutto venga meglio celato. Vi recherete a Colmar, che è a tre giorni da Parigi. In poche parole,» ghignai, rivolta ad Olympe «vi sto condannando all’esilio. Non vi sembra un modo giusto per risolvere la situazione?»
La ragazza serrò la mascella ed i suoi occhi blu lampeggiarono dalla rabbia, ma non disse nulla.
«Molto bene» dissi, vedendo che nemmeno Eymeric aveva proferito parola. «Allora, questo è quanto.»
Aprii la porta della cella e feci loro cenno di uscire.
«Andate» dissi solo, dileguandomi subito dopo.

 
 


Ho scritto questo capitolo con “Mi distruggerai” a palla nelle orecchie, ed è stato bellissimo. Prima di parlare del capitolo, però, voglio un attimo perdermi in un paio delle mie noiosissime – ma necessarie – note storiche al testo.
 
  • Luigi d'Orléans sta dando non pochi problemi alla Francia, e soprattutto al mio neogoverno dopo anni di reggenza”: Pietro II e Anna di Beaujeau furono reggenti di Francia, e dal 1483 al 1491 mantennero l’autorità reale contro le ingerenze di Luigi d'Orléans (che nel 1498 salirà al trono come Luigi XII di Francia). Ecco perché ce l’ho messo. Qui siamo nel 1482 in realtà, però dai... è pur sempre una FF senza pretese, dopotutto – nonostante mi girino parecchio le scatole sapendo che non ho azzeccato le date.
 
 
  • “La Città mi guardava con i suoi occhi silenziosi, come un essere vivente che respirava e che era partecipe di ciò che stavo provando.”: questa frase non è casuale, perché per quanto mi sia sembrata oggettivamente suggestiva da scrivere, in realtà ha uno scopo ben preciso. Nel Medioevo le Città – soprattutto quelle grandi, come Parigi – erano viste quasi come esseri che vedono tutto e sentono tutto, animati di vita propria. Era un’idea diffusa soprattutto tra i soldati, ma in linea di massima era un immaginario comune un po’ a tutti.
 
 
Per il resto spero di aver reso bene le ambientazioni, i dialoghi e un po’ tutto il contesto.
Dunque, detto questo, sono veramente angosciata, perché questo è l’ultimo capitolo dal punto di vista di Frollo e sto divenendo consapevole soltanto adesso che Paris sta per finire. E veramente, sto male.
Le cose adesso sono cambiate, Eymeric è di nuovo ostile e Claudie è di nuovo quella dell’inizio della storia, anche se non proprio. Spero che comunque la mia scelta non sia sembrata scontata e che il capitolo vi abbia appassionati.
Grazie mille per le vostre gentilissime opinioni, al prossimo capitolo,
 
 
Stella cadente

 

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Capitolo 40
*** Di odio e d'amore ***


XL.
Di odio e d’amore
 
 
 
Eymeric
 
 
 
 
L’aria fresca della notte mi sembrò impossibile quando la assaporai di nuovo. Guardai la luna piena che splendeva in quel cielo nero e mi sembrò di sentire la sua luce sulla pelle. Eppure non riuscivo a godermi del tutto quelle sensazioni bellissime.
Erano successe troppe cose.
C’erano stati troppi morti, troppe battaglie. E troppi sentimenti che non avrebbero mai dovuto esserci.
«Andiamo» mi sussurrò Olympe, affiancandomi.
Avevamo seguito Frollo fuori dalle segrete, mentre la donna avanzava molto più velocemente, facendo frusciare lugubre il mantello nero che ricopriva la sua figura magra. Ora eravamo all’aria aperta.
All’aria aperta.
Non mi ricordavo neanche come fosse. Eravamo stati in prigione soltanto due giorni, ma erano sembrati un’eternità.
Poco distante, vidi il carro di cui aveva parlato il Giudice, guidato da un uomo incappucciato.
Allora è vero. Ha veramente deciso di farci fuggire.
Assottigliai gli occhi.
Ma perché?
Mi voltai verso il Ministro, che mi guardava con quei suoi occhi austeri e freddi. Olympe mi fissò, perplessa, poi si allontanò e salì subito sul carro.
«Perché avete preso questa scelta?» chiesi al Giudice, senza paura.
In quei pezzi di ghiaccio gelido passò qualcosa di strano, qualcosa di addolorato e tormentato. Quello sguardo mi ricordò quando mi aveva catturato nei sotterranei di Notre-Dame, mentre mi fissava come a volermi uccidere e abbracciare al tempo stesso.
«Per la stessa ragione per cui non ti ho ucciso quando potevo farlo, gitano» si limitò a rispondere, con un filo di voce. Capii subito che c’era anche altro, ma che, ancora una volta, mai me lo avrebbe rivelato. E quegli occhi mi suggerivano che forse non lo avrebbe rivelato neanche a se stessa.
Quell’atteggiamento mi confondeva. Perché, fino a cinque minuti prima, mi era sembrata il mostro che uccideva la mia gente – che aveva ucciso mia sorella – e adesso era tornata di nuovo quella donna stranamente passionale che era stata alla Corte dei Miracoli?
L’odio mi ribolliva nelle vene, ma anche qualcos’altro – la stessa cosa che non avevo mai saputo definire fino a quel momento.
E d’un tratto, capii, lo capii per davvero.
Ma non poteva essere.
Sentii i miei occhi accendersi, ora che si stava facendo tutto più chiaro. Lei sembrò notarlo, ma non si scompose.
«Volete davvero la mia distruzione? Tutto aveva questo scopo, tutto quanto? Mi odiate davvero, dunque?» perché glielo avevo chiesto?
Sul suo viso bianco come il marmo comparve d’un tratto un’espressione stupita e in qualche modo fragile, terribilmente umana.
«No» sussurrò dolorosamente, come se dirlo fosse una sofferenza quasi fisica. «Ora vai» mi liquidò poi, impedendomi di aggiungere altro.
Le rivolsi un ultimo sguardo – uno sguardo che sembrò durare anni – poi, sotto gli occhi interrogativi di Olympe, salii sul carro e l’uomo incappucciato fece partire i cavalli.
Mentre me ne andavo nella notte, diretto a Colmar, fissai la sagoma di Claudie Frollo finché non divenne solo un puntino lontano, desiderando che tutto l’odio, tutte le rivolte, tutti morti svanissero nel nulla.

 
 

Ho assaporato questo capitolo, mentre lo scrivevo. Ho sentito tutte le emozioni, ho provato quello che provava Eymeric. Ed è stato assurdo. Non ho altro da dire, è stato brevissimo, ma mi ha catturata. Spero che su di voi abbia avuto lo stesso effetto.
Questo, mi duole ammetterlo, è l’ultimo capitolo ragazzi.  Mi riserverò il poema strappalacrime all’epilogo, ma sappiate che non mi sembra vero di aver quasi concluso questa storia. Non so come farò senza Paris, non ho ancora realizzato, davvero.
Comunque sia, come sempre vi ringrazio tutti. Vi ringrazio di avermi accompagnata in questa avventura fino a qui. Siete meravigliosi, ed io non posso fare a meno di ricordarvelo sempre.
Ci vediamo all’epilogo,
Stella cadente





 
“Mentre me ne andavo nella notte, diretto a Colmar, fissai la sagoma di Claudie Frollo finché non divenne solo un puntino lontano, desiderando che tutto l’odio, tutte le rivolte, tutti morti svanissero nel nulla.”
 

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Capitolo 41
*** Epilogo ***


Epilogo
 

 
 
Nina
 
 
 
 
«Nina!»
Una voce che ben conoscevo mi svegliò.
«Nina, presto, svegliati!»
Quando aprii gli occhi vidi il volto di Ivor, le sopracciglia aggrottate e l’agitazione che si aggrovigliava nei suoi occhi.
«Che cosa c’è?» chiesi, con un filo di voce. «Che ore sono?»
«È quasi l’alba» mi disse lui, concitato. «Sono appena tornato da fuori...»
Quando sentii quella frase, saltai subito su.
«Cosa ci facevi fuori?» chiesi, allarmata.
«Ho aspettato che tu ti addormentassi, poi sono andato in perlustrazione» mi disse, dopo aver preso un respiro. «Vicino al Palazzo di Giustizia.»
«Ruben dov’è?» chiesi di nuovo.
Ivor si passò una mano nei capelli scuri.
«Ruben è caduto durante la rivolta» mi disse in un sospiro tremante, dopo quella che mi parve una vita. «In pochi sono tornati, qualche ora fa.»
Una lacrima scivolò sulla sua guancia olivastra, poi prese un altro respiro, faticoso, stanco.
«Che cosa hai visto, Ivor?» gli chiesi, con delicatezza.
Lui sbuffò, come a voler smaltire la tensione.
«Frollo ha fatto fuggire Olympe ed Eymeric. E non credo che si fosse messa d’accordo con i sovrani, per farlo. Altrimenti perché avrebbe agito di notte?»
Mi ci volle una manciata di secondi prima che io capissi il contenuto della frase.
«Cosa?»
Ivor restò in silenzio, guardandomi.
«E dove? Dove sono andati?» l’ansia si faceva strada dentro di me man mano che i minuti passavano.
«Non lo so» disse solo, dopo qualche secondo di silenzio.
 
 
Alla Corte dei Miracoli il clima non era più lo stesso. Quello che aveva scoperto Ivor era rimasto tra me e lui, e quella stessa mattina avevamo entrambi assistito alla proclamazione della morte dell’invasore che tanto aveva danneggiato il Ministro Frollo. Tra le lacrime e le urla di disperazione degli altri gitani, noi avevamo taciuto, guardandoci colpevoli.
Ora ero nella mia tenda – nella tenda di Eymeric – e camminavo piano avanti e indietro, nervosa.
«Ehi» sentii la sua voce, accompagnata dal fruscio della tenda che si scostava. «Come va, principessa?»
Sorrisi leggermente ed Ivor ricambiò.
«Dovrò abituarmi ad essere chiamata così» feci, ridacchiando sommessamente.
«È quello che diventerai a breve. Del resto, eri tu quella più vicina ad Eymeric. E anche se sei di famiglia da poco, riteniamo che sia giusto farti assumere questa carica. Sarai una buona guida, secondo me.»
Alzai gli angoli della bocca, ma non appena avevo sentito nominare il mio amico mi ero incupita.
«Ivor» sussurrai. «Secondo te riuscirò mai a scoprire la verità?»
Lui mi guardò intensamente, poi mi posò un bacio sulla fronte.
«Puoi sempre provarci» disse, prima di andarsene in silenzio, lasciandomi ai miei pensieri.
Guardai tutti gli oggetti di Eymeric, i cuscini, gli amuleti, i simboli. Tutto quello che aveva fatto parte di lui. E pensai a dove fosse, a dove fosse anche Olympe, e se dove erano fuggiti ci fosse stata anche mia madre, una volta.
Avviò una missione contro di loro; contro una di loro in particolare, in realtà. Non ne capii il perché. Nessuno lo capì mai, in realtà.
Una lacrima mi rigò il volto, pensando a quanto desiderassi trovare risposte. Avevo voglia di uscire allo scoperto, di chiedere a Frollo come si chiamasse mia madre, come fossero andate le cose, perché fosse partita la persecuzione contro gli zingari, perché l’avesse uccisa.
Ma in realtà, non lo seppi mai.

 


Ed eccoci alla fine. Non mi sembra vero che l’ho conclusa, che ho scritto l’ultima riga di questa storia.
Alcuni di voi mi avevano chiesto un seguito: in  effetti ci sarebbero molti spunti per un sequel, molte domande in sospeso, ma chissà... forse voglio che questa storia resti così. Vedremo, ma spero che voi abbiate apprezzato le mie scelte, in ogni caso.
Paris è... è stata molte cose, per me.
È stata un modo per guarire una ferita profonda e cicatrizzarla – una sorta di letteratura d’evasione, possiamo dire – ma anche un modo per essere me stessa identificandomi nei miei personaggi – in uno dei miei personaggi, in particolare – per coltivare e approfondire la mia passione per il Medioevo e per vivere un po’ meglio, alla fine,  per divertirmi, amare e sorridere. Non vorrei sembrarvi la solita depressa, non ho problemi mentali né disturbi grossi; sono solo una scrittrice sincera che preferisce vivere nel suo mondo letterario che in quello reale.
Paris fa parte di me ormai. È come se, durante il periodo in cui l’ho scritta, tutto mi avesse favorita nella sua stesura: il film Disney, il romanzo di Hugo, il musical, il viaggio che ho fatto a Parigi e che mi ha permesso di conoscere ancor meglio questa meravigliosa e magica città (e anche la scoperta della colonna sonora della serie The Tudors – che prima o poi dovrò vedere – che è stata per me la vera e propria soundtrack di Paris)... tutto quanto.
In questo momento mi sento il cuore colmo di tristezza, ma anche di gioia e soddisfazione. Non so come mi sia venuta quest’idea; non ce l’avevo neanche un’idea, a dire il vero.  Ho cominciato a scrivere e basta, pensando “Però, sarebbe carino invertire i sessi dei personaggi e vedere cosa viene fuori” e subito dopo “E se Esmeralda si fosse innamorata di Frollo anziché di Febo, come sarebbe andata la storia?”
E così è uscita fuori questa FanFiction, in cui la nostra inusuale “coppia” si trova, sullo sfondo di una splendida Francia medievale, ad affrontare non solo difficoltà etiche e morali,  dal momento che questi due sono estremamente diversi in tutto, ma anche politiche, in quanto ostacolati dall’importanza di lei come autorità – come reagirebbe il popolo, sapendo che Claudie Frollo, uno dei giudici più temuti e più avversi nei confronti degli zingari, si è innamorata proprio di uno di loro? – e anche da personaggi esterni che vengono comunque coinvolti, come i membri della Corte di Giustizia. Il finale è un pochino drammatico (anche se non quanto quello di Hugo), ma stranamente mi piace così com’è, e spero con tutto il cuore che per voi sia la stessa cosa.
 
In conclusione, spero davvero che questa storia vi abbia catturati, risucchiati, trascinati nella Parigi nel 1482. Spero che, leggendo, vi siate ritrovati – proprio come me mentre scrivevo – a Notre-Dame con Eymeric, Nina, Claudie e Olympe ad assistere ai loro tormenti, alle loro gioie, i loro dolori e i loro sentimenti.
Ma più di tutto, ringrazio VOI, carissimi lettori. Vi ringrazio per avermi seguita, consigliata, spronata, vi ringrazio per tutte le vostre belle parole. Vi ringrazio per avermi accolta in questo fandom con un calore immenso – un calore che non avevo mai sentito su EFP – e per avermi sostenuta sempre in questa avventura incredibile. Siete fantastici, ragazzi, davvero.
Vi mando un abbraccio,
Stella cadente
 
 
PS Per i disneyani veramente incalliti, ho una novità che credo non vi dispiacerà: sto per pubblicare una FF sui miei personaggi Disney preferiti, ambientata ad Hogwarts, nell’universo di Harry Potter, e naturalmente ci sono anche quelli di Notre-Dame. Se vi interessa, siete i benvenuti. Pensavate di esservi liberati di me, eh? Surprise, damned gypsies! ;)





 

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