Nella Dimora delle Memorie

di _sonder
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di tavolozze scarmigliate ***
Capitolo 2: *** Essere Immortali ***
Capitolo 3: *** Nemici ***



Capitolo 1
*** Di tavolozze scarmigliate ***


Titolo: Nella Dimora delle Memorie
Personaggi e Pairing: Howl, Sophie, Calcifer, Lettie, Markl, Altri. Accenni alla  coppia Howl x Sophie.
Genere: Commedia, Malinconico, Slice of Life, Introspettivo, Fluff.
Rating: Verde.
Avvertimenti: Vari missing moments o momenti riconducibili al movieverse
Introduzione: Scene di vita o riflessioni dei personaggi. Raccolta di scene quotidiane degli abitanti del Castello Errante. ”Partecipante a Il contest delle 48 ore – Non vedo, non sento, non parlo, scrivo!” indetto sul forum di EFP da Shizue Asahi.
Note dell'Autore: L'indaco è un colore famoso per essere utilizzato fra persone di alta estrazione sociale, almeno nell'epoca vaga in cui si contestualizza il film. In verde segnalo quello che è un comportamento animale/umano: i nostri occhi riconoscono maggiormente quel colore come ascendente primitivo dovuto alla sopravvivenza. Nel verde possono nascondersi i predatori e la preda si salva, discernendo il colore di una pelliccia, ecc. I prompt utilizzati nel primo capitolo sono: scrivere una drabble per ogni colore dell'arcobaleno e utilizzare come narratore un oggetto inanimato. Il secondo capitolo utilizza come prompt la canzone Immortals. Il terzo è una breve flashfic fluff con protagonisti Markl e Sophie.


Verde
Le praterie erano onde di speranze vessate dagli schiaffi del vento. Sotto i suoi occhi fluivano secondo la corrente. La tinta dei germogli brillava un’ultima volta nell’incanto delle fiamme, fino ad assumere il colore della morte. Era il verde che Howl puntava; non il sangue dei caduti, non gli abbagli del fuoco e i loro inganni.
Vestito di piume, il mago sorvolava la brughiera selvaggia e sentiva l’eco sommessa del paesaggio, che soffriva al rombo delle bombe. E l’erba assopita, bagnata di rugiada, tratteneva il respiro e si scansava alla furia della brezza, fissando attonita il nuovo tramonto delle esplosioni.
I ciuffi si asserragliavano in un unico letto; seguivano i flutti e scorrevano con la chioma in avanti, a capo basso. Per Howl il volto della vegetazione era la coperta su cui giaceva la sua infanzia: i passi a piedi scalzi nel mezzo del prato, fra api e zolle umide, coi temporali che urlavano e si chetavano nel corso di un’ora.

Da adulto, il verde nascondeva le insidie della Strega delle Lande, le flotte di Ingary, armate di miseria e di magia distruttiva. Quale preda, Howl osava sfidare la frontiera e manteneva come bussola i pascoli e i tralci degli alberi. E in essi ritrovava il drappo blu dell’abito povero indossato da Sophie, la treccia argentea scossa dall’aria, la sua meraviglia per la beltà dei fiori e la paura di perderlo, stretta negli occhi dolci.
Howl sbatteva le ali, poi si calava in picchiata, lasciandosi dietro le scie di sangue e la pioggia delle granate. Gli aerei divenivano fuochi d’artificio e comete sulle vallate.
 
Occorreva penetrare il verde del fogliame e seguire il sentiero per il castello, risalire la lenta collina della sopravvivenza.

Rosso
Lettie piroettava al passo di una danza locale; i merletti grezzi della sottoveste le carezzavano le cosce. Attorno a lei le colleghe di lavoro si riunivano, incuriosite e civettuole, battendo le mani per accompagnare un canto popolare.
Sulle labbra sbocciava la rosa del peccato e i suoi pollini attiravano gli sguardi degli uomini, allungando i petali carnosi nel pettegolezzo.
Due piccoli orecchini rossi adornavano i lobi di Lettie, coordinati al rossetto. Dietro le pile di biscotti confezionati del magazzino, sbirciava pure un apprendista dai capelli chiari. Sorrise, notando il suo dono pendere da entrambe le orecchie della ragazza.

— Li hai indossati, — disse, quando si ritrovarono soli, come se si trattasse di un’affermazione neutra.
Lettie rimase in silenzio e lo scrutò, finché le punte degli stivaletti non le diedero la spinta per raggiungere il suo viso. Le labbra si curvarono verso l’alto e si donarono alla pelle ispida.
— Cosa fate? — domandò uno dei garzoni, — su, al lavoro!
La fanciulla svanì dietro l’angolo, la gonna sollevata per correre al bancone.
Il compagno ammutolì, le guance calde, mentre fuori la pioggia scioglieva i capelli sui passanti, solleticandoli.
Tornò con le mani leste a impastare le madeleine. Dentro le cucine più persone corsero con gli occhi alle sue gote; frattanto le dita davano la forma ai biscotti.
Soltanto la traccia delle labbra rosse era rimasta visibile. Del sapore di quel bacio, della bocca di lei punta dal rossetto, non avrebbe parlato ad alcuno.

Giallo
Sophie aveva posato le dita sul grano. Delicata, come una madre sul capo del figlio, saggiava le spighe nel loro tesoro di poco valore, che pure riluceva al bagliore del sole.
Trovò Howl più in là, assopito ai margini del campo. Giaceva con un mazzo di fiori freschi in mano, raccolti nella valle e abbelliti dall’uso della magia; un piccolo aiuto per crescere sani e forti, come lui amava ripetere.

Le ossa scricchiolarono quando Sophie provò a sedersi. Il dolore le ricordò la croce di portare con sé la vecchiaia. Diede ristoro al viso stanco del mago, posandolo sulle proprie gambe. Si arrischiò ad adagiare una mano sui capelli di Howl; condusse le ciocche dietro l’orecchio, per svelare le ciglia che reggevano i suoi sogni.
Furono la morbidezza e il calore dei raggi, diffusi a lievi baci sulla chioma bionda, a scottarle la pelle. Sophie ritrasse le dita di cartapesta, scoprendole rugose, inadatte ai lineamenti della gioventù. Il batticuore le illuminò ugualmente i tratti anziani del volto, nella chiara verità del giorno. Neanche le ombre potevano celarsi agli occhi del sole.
Raccolse il tepore sulle falangi e, non vista, vi bagnò le labbra, nella luminosità del suo amore. Arrossì e inclinò il capo. Howl era così infantile e docile nel sonno, avvolto da una cascata di ciuffi paglierini.
Intorno a loro era schiusa l’oasi dorata di un fiume giallo, che portava in dono il grano e offriva un giaciglio al principe addormentato. 

Violetto
Assieme sedete. Attendete la nuova alba, con lo sguardo oltre la scacchiera di vetro e di legno. In volo, oltre il letto di violette delle nubi e i riflessi di morte delle fiamme, vagano i vostri occhi.
La superficie soffice delle nuvole mostra una corolla violacea e sbuffi gentili, rotondi. I nembi sono carichi di timide speranze, dalla voce barcollante. Stendono il proprio fumo e sollevano il sole, riscoprendo la loro coltre di sfumature più calde.

E pregate per un altro giorno assieme, perché il prato fiorito dell’aurora lo riconduca verso la bottega e la casa di Market Chipping.

Le pennellate di violetto vi raccolgono al mio cospetto; per l’imbarazzo la condensa si diffonde fino alle imposte e si annida dove legno e vetro si congiungono in un abbraccio, per ripararvi dagli spifferi.
Siete una stramba famiglia, che schiamazza e chiude e apre i miei scuri con poca dolcezza. Eppure, con voi ho compreso le ragioni dell’attesa e la brama di notare le ali del volatile che tanto cercate. Punto gli spigoli là, dove la notte s’imbarazza a denudarsi nel chiarore del dì e m’illudo di raggiungere il corpo spoglio del mattino.

Blu
C’era la notte coi suoi demoni suicidi e le stelle che dipingevano sorrisi nel buio. Maliziosi, gli astri erano a caccia di altri salti sui fiumi, per aggrottare la fronte della foce.
Ti gettasti nel vuoto anche tu, Calcifer. Col brivido di conoscere un cielo rovesciato e i suoi inscrutabili fondali, che neanche la luce remota delle tue punte sapeva rischiarare. Le fiamme di cui eri vestito conobbero la paura della morte e lambirono la limitatezza del mondo. Ti aggrappasti al fanciullo e tingesti d’oltremare il suo cuore, ghermendolo con parole segrete.
Il patto fu così sancito e i lembi di velluto della sera ne divennero testimoni. Il tuo potere si nutrì della forza umana, apprese il peso dell’animo e si colorò del blu degli oceani, quando Sophie vi rovesciò una secchiata d’acqua. Con essa giunse il freddo, la lenta discesa al sonno e lo stremo della vita.
La tua luce esitò, come le stelle perdute nella distesa rigida del firmamento. Provasti timore alle esili fiammelle rimaste, più simili a un fuoco fatuo che alla bocca ingorda di legna, cui eri avvezzo. Lo sgomento soffiò sulle tue cime sbiadite, parlandoti dei pennacchi dell’inverno e dell’eternità delle notti cieche.

Arancione
Il lume della candela crea un cerchio d’arancio. Tondo come il frutto, guida Sophie all’interno del castello, verso il respiro pesante e spossato di Howl. La sottile fiammella svela porte che si inoltrano su sentieri biforcati e grotte sature di cianfrusaglie. Trasfigura la casa e ne scopre il volto deforme.
Dalle pareti traboccano malie, che assumono il colore del velo lucente. Tutto questo sa fare l’occhio di una candela: tinge di tramonto il cammino e rabbrividisce nella sua piccolezza a ciascun filo d’aria. Rischia di strozzarsi col cappio della brezza. S’incaponisce e raddrizza la testa, pur di mostrare la gola della caverna e l’ugola che risuona al suo interno.
Sophie avanza ed esplora le ombre e i passaggi. Il guizzo del cero rassomiglia alla lingua di Calcifer, ma la scorta nel silenzio e nell’orizzonte tenue del mistero. Le dona una luce calda e poco forte, che allunga l’oscurità e dà spazio ai sussurri, ai suoni gutturali di una creatura diversa dal mago vanesio del mattino.
Sophie tende la mano e avverte il tepore della lacrima di fuoco. Alza i segreti reconditi delle piume. Forse è tutto ciò che sa fare una candela: spingerla a dichiararsi e a riversare sul mostro i sentimenti più genuini, dal sapore dolciastro e maturo di un’albicocca.

Indaco
Nella cappelleria le dita sferruzzano e indossano ditali. I polpastrelli si inchinano di fronte alla punta di un ago. Sembra l’incontro amoroso che sognano tutte le sartine della bottega di Market Chipping; un uomo d’onore, che sia soldato o un nobile di bell’aspetto, un fattore onesto o l’artigiano esperto, a riconoscere la bellezza dei loro copricapi e a scoprire il viso di perla, virgineo, sotto la cuffia.
Sono donne in cerca di marito e di un futuro stabile. Civettano di stregoni e saggiano il pericolo di un’avventura con la piatta vita delle falde e delle fodere da cucire. Maneggiano i nastri d’indaco e li piegano a formare petali e fiori preziosi, resi ricchi da un punto luce o guarniti da paillettes.

Hanno volti bruni o sbiaditi dall’inedia. Eppure arrossiscono in fretta quando si parla di bei giovanotti. Si nascondono dietro i feltri e i velluti, mentre le mani si sporcano per la polvere d’indaco e per la tinta dei tessuti. Sognano d’indossare abiti costosi e i cappelli che loro stesse confezionano, come signore d’alto lignaggio. E il duro lavoro le ricolma di calli, di aspirazioni riposte in un cassetto, di odori asfissianti di colla e cotone. Pungono e si feriscono a loro volta, nel tessere e nel dare ragione alle maldicenze.

 

 

 

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Capitolo 2
*** Essere Immortali ***


#1 'Cause We Could Be Immortals
— Potremmo essere immortali, Howl.
Carezzare la cima dei comignoli al leggero tocco dettato da un valzer. Ascoltare le dita del vento mentre pizzicano le fronde sparute degli alberi e il bucato steso sulle corde; corde che uniscono i palazzi dirimpettai nel loro intreccio di mollette e casacche. Potremmo guardare la fiamma eterna di Calcifer e scaldarci, mentre ingoia il guscio di un uovo e addenta un tozzo di legno, come pane quotidiano.
Sarei la custode del suo fuoco e veglierei sul labirinto febbrile di incubi e sogni in cui ti addentri.
Potremmo volare col castello sulle radure incontaminate e i bacini d’acqua fresca, sempre pensando di danzare al fianco delle giornate, di scambiare le nuvole per isole e di vedere nei laghi immobili un cielo più vicino.
Non dobbiamo essere ciò che gli altri desiderano. E saremmo bravi a sfuggire alle regole, a lasciarci guidare dai moti del cuore e a vivere secondo le nostre scelte, nonostante gli altri non le approvino.
Potremmo essere immortali, anche se per un breve momento. Sospesi nella magia di un istante.
Perciò, — Sophie scrolla lenzuola e coperte, mentre il mago stramazza al suolo, lanciando un acuto e un’espressione melodrammatica, — ora alzati, pigrone!

#2 Past to Future
Continuo a paragonare il mio passato al tuo futuro. Continuo a cercarti e, insieme, ad aspettare. Tremo al pensiero di toccarti e rendere reale quella che è stata solo un’apparizione. Varco le città, così lontane dal Galles della mia infanzia, dal rifugio Jenkins e dalle acque dove le stelle annegano.
Indossavi una chioma dal bagliore argenteo, che trapassava le tenebre. Ero solo un bambino quando incontrai i tuoi occhi per la prima volta. Mi hai chiesto di attendere il futuro e l’impazienza è cresciuta con il corpo. Si è alzata e ha tirato indietro i capelli ora biondi.
È scivolata sulle labbra di altre fanciulle, su cuori che ho temuto. L’inquietudine di vederti ha accompagnato le fughe dai letti di donne diverse; mi ha stretto mentre evitavo le udienze del re e le aspettative della maestra Suliman. Non ha vinto la paura, le ali nere distese nella volta infuocata.
Ho agognato i tuoi occhi su visi che non rassomigliavano al tuo. Ho ambito a parole di conforto e di amore incondizionato, senza perdere la mia libertà.
Ti ho rintracciata, sotto quel buffo cappello di paglia, nei vicoli di Market Chipping, confusa come una brava bimba. Eri smarrita in quelle iridi scure; modesta e traboccante di una bellezza timida. Sono stato il solo a riconoscerti, nonostante abbia condiviso con te il segreto della mia ricerca. Ho ancora fiducia nei tuoi ricordi.
E mentre confronto le nostre vite, spero che i tuoi sacrifici cicatrizzino le ferite, che i tuoi errori riescano a risanare i miei.

#3 Bottom Half of the Hourglass
Sophie assicura delle bacche di cera sul nastro del cappello di paglia. È un richiamo alla primavera e alla giovinezza. Quella giovinezza che ha perduto, china a cucire in un angusto retrobottega, mentre le nubi viaggiavano e la nebbia celava il castello di Howl.
Gli occhi scuri sorridono, cerchiati di rosso, accompagnando le dita a prendersi cura delle rifiniture. Sospira e il petto segue un lento saliscendi di preoccupazioni e oscure paure.
La calma della sera non districa i nodi dell’apprensione. Ne rinforza il groviglio e lo appesantisce di ulteriori frutti e nuovi dubbi.
Sophie assiste alla luce del giorno che cambia. Diventa sabbia di una clessidra, che si accumula sul fondo di vetro. Conta lo scorrere del tempo e guarda il giorno coprirsi del cappotto notturno, svelarsi come fredda umidità.
Nel cielo si schiantano i boccioli delle bombe e l’allarme aereo canta il pianto dell’incertezza.
Le dita si arrestano. Sophie rimane seduta. I granelli continuano a formare la collina dorata di una vita trascorsa, di memorie felici, di guai e di maledizioni. Attende il ritorno di Howl e i suoi grani di sabbia si spingono verso l’altro lato della clessidra, in una vetta che vorrebbe tornare a essere futuro, momento di riunione o un domani condiviso.
Non sa ritrarsi senza di Howl, senza lo sbalzo dei suoi umori e gli eccentrici attacchi di protagonismo. L’orologio abbraccia altra rena e la veglia prosegue.

#4 Curtains Down
Howl freme e scosta il braccio mutato. Struscia sul fianco gli artigli allungati, le dita ricurve e tremule. Trattiene le carni attraversate dal tizzone dell’incanto. Il potere ha un prezzo che ha imparato ad accettare. Il timore di perdersi lo assale, mentre punta le corazzate nemiche e il loro tesoro di ferraglia, i mortiferi doni del progresso.
Immortale, anche se per poco, torna alla forma del mostro dalle ali notturne. Le piume travolgono le fattezze dolci del viso. Lo consuma dentro la sensazione di essere un altro e di non provare più nulla, se non la fame della forza bruta. Immortale, dimentico della propria umanità e di quella dei soldati. Vola in alto, col fumo che si leva a toccarlo e la luce che esplode nell’oscurità e assale gli innocenti nel sonno.
L’adrenalina lo scuote, insieme alla cattiveria maligna del demone che è diventato. Aggressivo, svia le bombe e si spinge a fissare negli occhi l’orrore di altri che lo hanno preceduto, smarrendo il proprio animo. Non torneranno uomini.
Un giorno neanche lui… se sarà troppo tardi. Sulle sue zampe può posarsi lo sguardo di un essere vivente e trovarle sbiadite, dell’inconsistenza della brezza. Se avesse un cuore, Howl lo sentirebbe tremare nel suo intero peso. Se riuscisse a rincasare, guarderebbe Sophie dormire. Se solo riuscisse a tornare al castello, lei saprebbe scostare la tenda scura delle sue ali e farlo sentire ancora un uomo. Vivere con lui senza più conoscere il terrore della notte.
 
 

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Capitolo 3
*** Nemici ***


Markl arriccia le labbra all’insù per coprire le narici e abbassa gli occhi sul tavolo colpevole. Lì giace il suo primo nemico: le patate lesse. Le osserva per nulla intimidito, ma è l’odore che sale e s’insinua nel naso a dargli l’orticaria. La bocca trema in procinto di arrendersi. Si sforza di pensare a una montagnetta di pepite d’oro, piuttosto. A braccia incrociate, sentenzia un secco: — Tsk! Io detesto le patate!
Prende esempio dagli adulti, che si lamentano di ogni più piccola sciocchezza. O, almeno, è così che gli ha insegnato il signor Howl. Non proprio: ha preso spunto dalle scenate del suo maestro.
E lui non è un bambino qualsiasi, ma un apprendista mago… nonostante non possa ancora richiamare gli spiriti delle tenebre.

— Markl, si siede e si mangia composti!
È il profilo di Sophie, le maniche arrotolate sugli avambracci e il grembiule impolverato, che ingombra l’angolo dirimpetto la finestra. Traccia un’ombra sgraziata fino al tavolato. Il naso adunco pare picchiare il legno, come per richiamare tutto il castello all’ordine.
La nonnina è il suo secondo problema. Blatera di pulizie, di buone maniere e si arrabbia facilmente. Inoltre, a differenza sua, sa tenere a bada Calcifer. Markl non è sicuro: ha il sospetto si tratti di una strega. La fissa con la coda dell’occhio, studiandone il viso. Una rete di rughe argute lo accoglie.
Sposta lo sguardo su Calcifer, nel crepitio delle pigre fiamme. Il demone le aveva dato il permesso di entrare… quindi doveva sapere tutto dei poteri magici di Sophie. Sbuffa e dondola le gambe contro quelle dello sgabello.

— Non c’è nessuno! Voglio mangiare comodo…
Assaggia un tocco di pane su cui ha adagiato una fetta spessa di groviera. Dal morso arriva in fretta a divorare il pasto. Il piatto di patate viene investito da briciole e altre molliche zampillano sul pavimento.
Sophie mugugna. — Pare ci sia ancora del lavoro da fare…
Gracchia un risolino che preannuncia una nuova trovata. La mano grinzosa giunge al profilo dell’orecchio, come un prolungamento dell’udito stanco. Sorride, malevola e furba.
— Come, come? Ho sentito bene? Vuoi che riordini la tua stanza?
Markl allarga la bocca e si batte il petto con una mano, tossendo. Il boccone gli va di traverso. Le patate sembrano ridere assieme alla nonnetta. Assume un’aria scioccata e va con la mente alle boccette e alle ampolle del signor Howl, ai capelli color rame e allo sgombero degli insetti. Sbianca per un nuovo colpo di tosse.
Tracanna un sorso d’acqua e un rivolo gli bagna il collo e la camicia. Salta sulla sedia e va a coprire l’accesso alle scale. Le guance tonde avvampano di rossore e gli arti corti si ergono a scudo dei gradini, in un comico altolà.
Non c’era più dubbio: Sophie doveva essere una delle streghe più potenti dell’intero regno!
— Da bravo… aiutami a pulire, eh?
Le dita di Sophie lo invitano ad avvicinarsi e disfano i pensieri.
Le iridi di Markl la puntano, dubbiose. Può davvero fidarsi di una fattucchiera? Forse vuole rinchiuderlo nello sgabuzzino assieme al pesce da affumicare. E lui detesta il pesce quanto le patate.

Il palmo di Sophie gli carezza i capelli. Quando lo ha raggiunto? È caldo e grande. Scompiglia la chioma con una carezza. Dentro ci sono i segreti della vita che Markl non ha ancora svelato. China il mento e alza gli occhi su di lei. Qualcosa gli cade dentro il petto e si scioglie, donandogli tepore. I suoi occhi si riempiono di stelle e baluginano per la gioia provata a quella premura.
Stringe la gonna vaporosa e vi sfrega la punta del naso contro. Poco importa che sia una strega.

— Preso! Ora, giovanotto, mangerai anche le patate.
Un po’ gli importa, si dice. Era abitudine delle signore sfruttare il trucco magico delle coccole.

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