The Photograph

di ciabysan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una Nuova Casa ***
Capitolo 2: *** La Foto ***
Capitolo 3: *** Una Vecchia Amica ***
Capitolo 4: *** La Gemella ***
Capitolo 5: *** Attimi Di Terrore ***
Capitolo 6: *** Paura e Sentimento ***
Capitolo 7: *** Una sgradita sorpresa ***
Capitolo 8: *** Il Fidanzato Di Kayako ***
Capitolo 9: *** Mancato Stupro E Morte Imminente ***
Capitolo 10: *** Il Treno Degli Orrori ***
Capitolo 11: *** Occhi ***
Capitolo 12: *** Il Corpo ***
Capitolo 13: *** La Mano Insanguinata ***
Capitolo 14: *** Lo Specchio ***
Capitolo 15: *** L'Indirizzo ***
Capitolo 16: *** Partenza Ed Entità ***
Capitolo 17: *** L'uomo misterioso ***
Capitolo 18: *** Terrore Puro ***
Capitolo 19: *** Leggende Urbane ***
Capitolo 20: *** La casa. ***
Capitolo 21: *** Sangue ***
Capitolo 22: *** Il grido che nasce dalle viscere ***
Capitolo 23: *** Vicini Alla Verità ***
Capitolo 24: *** Bacio. ***
Capitolo 25: *** Sorpresa! ***



Capitolo 1
*** Una Nuova Casa ***


(ricordo che…nonostante parli in prima persona e che la protagonista sia una ragazza, io sono un ragazzo…quindi non datemi della femmina :D)

(ricordo che…nonostante parli in prima persona e che la protagonista sia una ragazza, io sono un ragazzo…quindi non datemi della femmina :D)

 

Sentivo il rumore del legno che scricchiolava al piano di sopra.

Sentivo i muri che mi sussurravano segreti.

Il corridoio avvolto dall’oscurità.

Una voce lontana….il silenzio eterno.

L’orrore cominciò quando io e i miei genitori abbiamo deciso di abbandonare il nostro piccolo appartamento a Kobe, per trasferirci definitivamente in una grande casa nella periferia di Tokyo. Per me sarebbe stato quasi un sollievo, perché sarei riuscita finalmente a rivedere la mia cara amica Yumi,  la mia vecchia compagna di giochi che si era trasferita a Tokyo, dopo aver passato i primi tredici anni della sua vita a Kobe.

Erano passati quattro anni da allora e non l’ho mai più rivista, sono riuscita a mettermi in contatto con lei attraverso sms o e-mail. Il solo pensiero di rivederla in carne ed ossa mi avrebbe messo i brividi, ne ero certa. Non ero pronta ad una simile emozione.

Mia madre, Meiko Kaji, che portava incredibilmente lo stesso nome dell’omonima famosissima attrice giapponese, aveva già iniziato a sistemare le valigie e gli ultimi scatoloni in quella casa finalmente ammobiliata.
“Urumi!” mi gridò “Urumi!”
“Sì Mamma?” corsi da lei

“Mi puoi dare una mano?”
“Veramente…avrei preferito mettere le mie cose nella mia camera, non ti dispiace?”
“Nient’affatto…sarebbe comunque come aiutarmi, tesoro. È pieno di scatoloni e cianfrusaglie qui, se mi porti via un po’ di questa robaccia non mi faresti che bene

“Ok” annuii con un sorriso, appioppando uno scatolone ricolmo di cd e dvd e salendo le scale.

Riuscivo a sentire l’impatto dei miei piedi contro il legno e lo scricchiolio che si formava: mi metteva i brividi.

Mio padre, Kiyoshi Tsukamoto, era un assicuratore, ma amava occuparsi un po’ del bar dei nonni. I miei nonni, nonché i genitori di mio padre, infatti tenevano un piccolo bar a Kobe. Questo locale fungeva da chiosco di granite e gelati d’estate, e da chiosco di bibite calde, come cioccolate o caffè, d’inverno. L’unica cosa che mi sarebbe mancato della mia vecchia cittadina sarebbe stato proprio quel piccolo bar, che aveva accompagnato le mie estati.

Ricordavo ancora quanto fosse bello camminare sulla spiaggia, con i piedi occasionalmente bagnati dalle onde che si infrangevano sulla sabbia. Tra le dita la stecca di un ghiacciolo e in bocca un languido sapore di anice fresca.

Sistemai i miei dischi sulle apposite mensole e mi gettai immediatamente nelle coperte del letto, quando notai uno scatolone gettato lì, con noncuranza nell’angolo della mia stanza.

Mi avvicinai, scattando immediatamente in piedi dal limbo di lenzuola e fissai il contenuto della scatola: erano i miei vecchi libri scolastici di quando andavo a Kobe. Chiusi la scatola e decisa a portarla in soffitta, la presi e mi incamminai verso la scala, che mi avrebbe portato, quasi casualmente, al terrore più profondo.

La curiosità uccise il gatto.

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Capitolo 2
*** La Foto ***


Fu nel momento in cui i miei piedi raggiunsero la soffitta che il terrore cominciò a pervadermi

Fu nel momento in cui i miei piedi raggiunsero la soffitta che il terrore cominciò a pervadermi. Il sole entrava timido e tagliente dalle finestre, ma nel solaio aleggiava un’oscurità perenne. Appoggiai lo scatolone, quando distrattamente notai con sorpresa la presenza di una fotografia. Una polaroid, un’istantanea. La raccolsi. Sull’estremità bianca c’erano delle macchie rosse, al centro una bellissima ragazza sorridente, ripresa dall’alto. Era seduta su un divano e guardava il fotografo sorridendo, in un maglioncino rosa e una minigonna nera.

Non sapevo chi fosse, così la voltai. In una calligrafia sottile in corsivo c’era scritto “Kayako Fukamoto, 1997”.

1997…quella fotografia risaliva a dodici anni prima. La fissai bene per un secondo e poi me la misi in tasca, per poi scendere in camera.

Ripresi in mano la foto e l’appoggiai con cura sulla scrivania, dopo averla nascosa con la copertina del libro di letteratura giapponese.

Fu in quel momento che ricevetti un messaggio da Yumi.


Sei arrivata, Urumi???

Finalmente possiamo ritrovarci.

Rispondi. Ti voglio bene. Yumi.”

 

Cominciai a pigiare i tasti.

 

“Ciao…finalmente…da quanto diavolo

Di tempo non ci sentiamo? Mi mancavi Yumi, mi mancavi tanto…

Ti va di venirmi a trovare?

Rispondi presto.

Urumi”

 

Bip Bip. Bip Bip.

 

“Se ti va posso venire anche subito.

Io sono libera, ora.

Yumi”

 

 

“Ok…vieni…

Ho giusto trovato una cosa molto interessante.

 

 

Non so esattamente il perché, ma quella fotografia attirava la mia attenzione in modo morboso. La ripresi in mano e la esaminai. I miei occhi corsero sulla superficie lucida e statica di quell’attimo immortalato.

Alcuni pensano che la fotografia rubi l’anima a chi è immortalato, questo perché la fotografia è immobile. È immobile: ferma la vita frenetica di tutti i giorni e la stravolge in uno scatto che immobile lo sarà per sempre. È come la morte, è come l’apocalisse.

Continuai a fissarla, mentre una mano dietro di me si avvicinava sempre più alla mia guancia, tentando di afferrarmi la spalla. Sentivo il sospiro di una persona dietro di me. Mi voltai di scatto, prima che quella presenza potesse acciuffarmi, ma non vidi nessuno.

Avevo paura. Mi guardai intorno, ma nella mia stanza regnava il silenzio.

Forse era solo una mia stupida impressione. Appoggiai sul tavolo in camera mia la fotografia e accesi lo stereo, facendo partire “XO” di Elliot Smith a tutto volume.

“Tomorrow Tomorrow” risuonava nell’atmosfera leggiadra e fugace, mentre con controvoglia mi mettevo di impegno nell’analisi di alcuni haiku per compito, in attesa che Yumi venisse a trovarmi.

Non riuscivo a concentrarmi sullo studio.

La mia mente continuava a ricondursi in modo morboso a quella fotografia, così decisi di accendere il pc che distava a solo dieci centimetri dal mio gomito.

Non sapevo bene il perché, ma avevo intenzione di cercare quella donna su internet. Sapevo che forse non ci sarebbe potuta essere: non era una attrice, né una cantante di successo…

Digitai su google japan “Kayako Fukamoto”, quando il terrore mi travolse!

 

“Casalinga trovata assassinata nel suo appartamento

 

 

Era il titolo di un articolo di giornale risalente al 2001.

Cliccai.

 

“La casalinga Kayako Fukamoto, 28 anni, è stata ritrovata morta nel suo appartamento ieri, 12 settembre 2001. il corpo è stato letteralmente squartato a pezzi, con un arma contundente (si sospetta in un coltello o un paio di forbici). Ancora ignoto l’assassino. Ignoto persino il movente.

Il cadavere è stato ritrovato intorno alle sette di sera da una vicina che era passata di casa in casa per far firmare una petizione contro il rumore acustico dei lavori in corso poco distanti…

 

Cliccai anche su altre pagine. Kayoko Fukamoto: trovata letteralmente smembrata nella cucina di casa sua. L’assassino è ignoto. Persino in articoli risalenti al 2007 o al 2008, ovvero recenti, che richiamavano l’attenzione sull’omicidio testimoniavano che l’assassino non era stato ancora ritrovato. Dapprima pensai che si trattasse di un omonimo, ma quando vidi una foto della donna su internet restai di sasso: era lei. Assolutamente lei. La stessa dell’istantanea da me trovata in soffitta.

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Capitolo 3
*** Una Vecchia Amica ***


“Ciao” sussurrò Yumi con un sorriso, entrando sulla soglia

“Ciao” sussurrò Yumi con un sorriso, entrando sulla soglia.

“Oh Ciao Yumi” rispose mia madre con il medesimo tono di voce, mentre sistemava le credenze in cucina. “Urumi è di sopra, te la vado a chiamare?”

“Si grazie”
Mia madre salì le scale, con un passo felpato e veloce, abile e deciso. Yumi restò a guardarsi intorno dicendosi, con sguardo attonito, sussurrando sotto le labbra sottili “che bella casa”.

 

“Urumi, c’è la tua amica da basso” esordì mia mamma bussando da dietro la porta della mia stanza

“Arrivo!” dissi, scattando dalla sedia della mia scrivania, infilandomi le ciabatte e spegnendo lo stereo.

Scesi le scale di fretta e furia, mentre mia madre se ne approfittava per spolverare le mensole della mia camera.

“Yumi” esclamai con gioia scendendo rapidamente le scale. La gioia mi pervadeva così tanto che le saltai addosso.
“Oddio Urumi…quanto tempo”. Tra sorrisi e lacrime ci eravamo ritrovate, guardando quanto eravamo cambiate, quanto avevamo riso, sofferto..


“oddio…non riesco a credere che tu sia qui” sospirai

“Neanche io” sospirò

Vidi le sue mani: diafane e magrissime.

 

“Senti Yumi”
“Sì”
“Sai che in soffitta ho trovato una cosa sconvolgente?”

“Volete del the?” mia madre come al solito si intrufolò nella conversazione: è incredibile quanto ci abbia messo poco nello spolverare


“Sì, grazie” rispondemmo all’unisono, per poi scoppiare in una risata esplosiva

 

“Comunque…Urumi…che cosa hai trovato?”
“Una fotografia, in soffitta?”

“Una fotografia?”
“Sì…una foto che ritrae una donna, una certa Kayako Fukamoto. Era nella soffitta di questa casa, ti rendi conto???
“Cosa ci sarebbe di così devastante?”

“Ho fatto delle ricerche su internet…quella donna è morta, è stata uccisa, e l’assassino non si è ancora scoperto

“Che cosa?”
“Sì…comincio a sospettare nei precedenti possessori della casa…mi aiuterai?”
“Sì…ti aiuterò, ma per cosa?”
“Voglio scoprire che cosa è successo a questa donna

“Ok…ma…non spetta alla polizia? Forse faresti meglio a consegnare quella foto alla polizia…
“No…”
“Perché?”
“Questa casa l’abbiamo noi ora. Non voglio che ci costringano a restare senza un tetto per fare delle indagini
“Hai paura che qualcuno della tua famiglia sia coinvolto
mi voltai di scatto verso di lei “Già…”

“Chi erano i precedenti i possessori della casa?”

“Non lo so…è mio padre che ha il documento con i nomi…dovrei sottrarglielo e leggere…potrei se no chiamare l’acquirente

“Ecco il vostro the” arrivò mia madre soleggiante come un gazebo in agosto. Appoggiò un elegante vassoio appariscente sul tavolino in soggiorno. Due tazze di the verde e tanti gustosi pasticcini per condire.
“Grazie Mamma”
“Grazie signora Sachie”
“oh…è un’onore ospitare un’amica di Yumi che non vedevo da anni ormai…se vuoi puoi rimanere qui anche a dormire?”
“Che ne dici?” le chiesi

“Per me va bene” rispose Yumi

“Ok…allora avvertirò tua madre”
“Grazie signora Sachie”
“Grazie mamma”

 

“Dai…Yumi” la canzonai “Avremo più tempo per trovare qualcosa sulla morte di quella povera ragazza
“Sì, sai che mi appassionano i gialli e gli intrighi…c’è solo un problema
“Quale?”
“Non ho finito i compiti di letteratura giapponese e domani ricomincia la scuola”
“Già, anche io…che nervi. Beh…possiamo farli insieme stasera, dopo mangiato, questo pomeriggio invece potremmo fare delle compere e contattare l’uomo che ci ha venduto la casa

“Ok”.

 

Dopo aver addentato un paio di pasticcini con la crema spumeggiante, salii di corsa le scale e presi la fotografia, mentre Yumi continuava ad abbuffarsi di leccornie di pasticceria.

“Mamma noi usciamo”
“Non fate tardi , che domani c’è scuola”
“Okay”

 

 

 

QUESTO CAPITOLO NON FACEVA PAURA :D

MA DAL PROSSIMO INIZIANO LE INDAGINI E, QUINDI, I BRIVIDI!

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Capitolo 4
*** La Gemella ***


Io e Yumi non sapevamo che strada prendere

Io e Yumi non sapevamo che strada prendere.

Non sapevamo come comportarci. Avrei dovuto sapere che indagare basandosi su una fotografia non sarebbe stato semplice. Prima di uscire ero riuscita ad impossessarmi del numero del venditore immobiliare, ma non sapevo come presentarmi alla chiamata.

Cercando di trovare una risposta ai nostri quesiti, io e Yumi ci eravamo stanziate in un konbini, alla ricerca di qualcosa che attirasse la nostra attenzione.

Come al solito, la mia amica si era subito fiondata sulle caramelle, come se fosse miele per le api, io mi guardavo attorno alla ricerca di qualcosa di strambo e inusuale.

Scorsi i titoli di cd di alcuni gruppi rock occidentali sconosciuti in un cestone da 1000 yen a disco, scorsa qualche rivista di idol femminile dal corpo perfetto e poco altro mi accorsi di un particolare inquietante. Ripresi la foto tra le dita e guardai la cassiera del konbini.

Non poteva essere.

Chiamai di fretta e furia Yumi, cercando di trattenere la voce bassa.

“Che c’è?” mi disse lei, senza distogliere lo sguardo da marshmallows e smarties

“La commessa del Konbini!”

“Che cos’ha?”
“è identica…identica a Kayako Fukamoto”
“Che cosa?” solo allora perse l’interesse in quelle dolci e bellissime schifezze, per cercare con morbosità lo sguardo di quella commessa misteriosa.

“Guarda” le dissi mostrandole la fotografia e indicando di nascosto la cassiera
“Hai ragione…avviciniamoci”

Ci avvicinammo lentamente, un poco colpite dal fatto che Kayako fosse viva nonostante fosse giudicata morta.

“Scusi” dissi alla commessa, mentre Yumi notò che sul cartellino da lei indossato campeggiavano le parole “Saeko Fukamoto”. “Lei assomiglia tantissimo a Kayako Fukamoto
Sentendo il nome da mè pronunciato, la commessa restò sbigottita per un attimo.

“Era mia sorella” disse quella, con una voce bassissima e flebile, quasi interrotta da spasmi di silenzio gutturale.

“Cosa?” rispondemmo io e Yumi all’unisono, quasi sconvolte
“Mia sorella gemella” abbassò ancora di più la voce, tremolante.
“Che cosa le è successo?”
“Chi siete voi? Che cosa volete?”
“Ho ritrovato questa fotografia” dissi porgendole la foto “nella soffitta della mia nuova casa

“oddio” esclamò quella strana donna “ricordo bene la sera in cui fu scattata
“lei era presente”
“sì” annuì con la testa “era il giorno in cui siamo andate ad una festa. Il suo ragazzo aveva una macchina fotografica per le polaroid e cominciò a farle delle fotografie, tra cui anche questa…dove vivi scusa?
“Vicino alla profumeria e all’edicola, a pochi metri da qui”
“Sa di chi era quella casa?” intervenne Yumi

“No…” disse Saeko “non lo so…”
“Chi ha scattato quella fotografia?”

“Il suo ragazzo…si chiama Takeo Fuji”
“E ora dove si trova?”
“è qui a Tokyo, nel quartiere Shibuya, non so bene a che numero d’abitazione…
“Ma è vero” si intrufolò Yumi “che l’assassino non è mai stato scoperto?”
“Sì…purtroppo…quando Kayako è morta è stato un colpo durissimo per la mia famiglia…e per me…vorrei solo scoprire chi le ha fatto tutto quel male e vendicarmi di lui, non mi interessa se finirò in prigione per tutta la vita, voglio uccidere l’assassino di mia sorella…

“E il ragazzo di Kayako?”
“Lui è quello che ha sofferto più di tutti

“Come?”
“è impazzito…dopo la morte di Kayako ha cominciato a pronunciare frasi sconnesse e a comportarsi in modo strano. Un giorno mia madre lo sorprese con un paio di forbici: voleva amputarsi il pene, perché diceva che se avesse avuto desiderio sessuale per una donna sarebbe stato come una sofferenza per l’anima di Kayako. Diceva di sentire la sua voce in modo ossessivo.
“Cosa li è successo poi?”
“è stato rinchiuso per breve tempo in un ospedale psichiatrico, dove sembra sia guarito…ora vive da solo e lavora come pubblicitario

“Senta…lei sa come può essere arrivata questa fotografia in casa mia?”
“No…non lo so”

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Capitolo 5
*** Attimi Di Terrore ***


“Buongiorno alunni” disse la prof entrata in classe, mentre la seguivo con timidezza, imbellettata nella mia divisa scolastica alla marinara

 

“Buongiorno alunni” disse la prof entrata in classe, mentre la seguivo con timidezza, imbellettata nella mia divisa scolastica alla marinara.

“In piedi” proclamò la capoclasse, entrata la professoressa. E tutti gli alunni la ascoltarono “Inchino” e così fecero, “Seduti”. Detto fatto.

“Ragazzi” proclamò la nostra insegnante di giapponese, la signora Watashima. “Vi presento una nuova alunna che farà parte della nostra classe”. Mi indicò. Arrossii timidamente.

“Ora ci dirà come si chiama”
“Mi chiamo Urumi Sachie e vengo da Kobe. Mi sono trasferita ieri con la mia famiglia a Tokyo e spero di ricavare il meglio da questa scuola. Spero di trovare nuove amicizie e di impegnarmi al massimo dello studio” dissi con determinazione, per poi scattare nell’unico banco vuoto, in ultima fila accanto alla finestra a destra, vicino al banco di Yumi.

“Benvenuta Urumi” disse allora la professoressa con un sorriso incoraggiante, seguito da un accordato “Ciao” da parte di tutta la classe.
“Bene ragazzi…”intonò la signora Watashima, con ambiguo entusiasmo “Correggiamo i compiti di letteratura...Urumi tu puoi prendere appunti…”
“Ho fatto già i compiti…è stata Yumi a darmi gli esercizi
“A … bene… è un’ottimo inizio questo signorina Sachie”

 

Questo strano fenomeno scaturì un certo marasma generale in cui i miei compagni cominciarono a bisbigliare da dietro le spalle.

“Oggi cercheremo quell’uomo?” mi sussurrò all’improvviso Yumi, facendomi sussultare.

“Sì” annuii, sapendo che si stava riferendo al fidanzato di Kayako Fukamoto

“Ma con che scusa ci andremo?”

“possiamo pensarci fino alle quattro…quando finisce scuola…ora segui la lezione per favore
“Ma…è una palla…”

“Yumi, ti prego…”
“Ti interessa davvero una noiosa lezione di letteratura, dove correggiamo compiti triti e ritriti?”
“Sì”.

 

Iniziai a scarabocchiare sul bloc notes, anziché controllare i miei esercizi già fatti a singhiozzo.

All’improvviso qualcosa mi sfiorò il braccio. Un fiore uscito dalla mia penna macchiò il mio foglio a  quadretti sbavato su un lato.

“Yumi…ti ho già detto…di seguire la lezione” dissi senza alzare gli occhi dal foglio, ma quel brivido ritornò sulla mia pelle. Che cos’era??

All’improvviso qualcosa sfiorò il mio piede, solo allora decisi di distogliere lo sguardo dai miei disegni sbilenchi. Abbassai gli occhi sui miei piedi, quando all’improvviso una mano sbucò dal nulla e mi afferrò la caviglia.

Scattai in piedi e mi misi ad urlare, ma i miei compagni e la professoressa erano scomparsi. Cercai di fuggire, ma la porta della classe non voleva aprirsi.

Qualcosa cominciò ad uscire da sotto il mio banco. Era una donna ed era coperta di sangue dalla testa ai piedi. Si avvicinava, si avvicinava sempre più, mentre la mia gola gonfia esalava sospiri assonnati.

“chi sei?” chiesi terrorizzata, mentre il morso della paura cresceva sempre più.

La lavagna, la cartina del Giappone, i banchi e le sedie si facevano sempre più lontani e sfuocati.

Quella donna si alzò e mi sussurrò con una voce sottile e penetrante: “Ridammi La mia foto, Ridammi la mia foto, Ridammi la mia foto

A quel punto ella aprì la bocca mostrandomi con orrore che la sua lingua era mozzata a metà. Il sangue che fuoriusciva dalla ferita cadeva sul mio volto come pioggia impazzita.

Non riuscii a gridare, qualcosa mi stringeva l’ugola con ferocia e follia. Erano le sue mani alabastrine e lunghe, ma macchiate di profonda e violenta emoglobina rosso scarlatto.

“Kayako” sussurrai, nel momento in cui mi ritrovai in classe.

“Urumi…Urumi…Urumi stai bene?” La voce di Yumi si avvicinava sempre di più, mentre sentivo lo sguardo basito della professoressa e dei miei compagni addosso. Il mio corpo continuò a tremare, il mio cuore  a battere velocemente come una pompa.

“Signorina Sachie” gridò la professoressa “a quanto vedo non le intriga molto la letteratura

Tutti scoppiarono a ridere, compresa Mariko, che era interrogata sulla composizione di un haiku di Sato.

 

Uscii nel corridoio al cambio dell’ora, andando in bagno.

Quella visione…era solo frutto della mia immaginazione?

Mi pulii il viso, ancora in preda ad un attacco di panico, quando una delle porte dei gabinetti improvvisamente si aprì, trascinandosi dietro un lungo sibilo.

 

Il sospiro si sospese in un’orgia di paura.

Mi voltai ma non vidi nessuno. La porta giallo canarino era lì aperta, davanti a me.

Mi avvicinai con il cuore in gola e avvicinai con grazia la mano sull’estremità dell’uscio…

“C’è qualcuno?” dissi con voce bassa e spaventata.

e vidi una macchinetta per le polaroid sul pavimento piastrellato.

 

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Capitolo 6
*** Paura e Sentimento ***


Ho la febbre L

Ho la febbre L

Non so che fare L

E allora come passo la giornata? Scrivendo, ovvio.

E visto che quando mi ammalo sono un romanticone, ho deciso di far innamorare la protagonista… Hauauhauahau… ma i battiti del cuore non la distrarranno certo dall’indagine sul mistero della fotografia u.u

 

 

Avvicinai la mano lentamente a quell’aggeggio, quando essa improvvisamente scattò una fotografia. Un sibilo e poi la pellicola cominciò ad uscire dalla fessura. Un’istantanea inizialmente grigia, iniziò a schiarirsi, mostrando il mio volto atterrito con dietro una mano che mi stringeva la spalla. Mi voltai ma non c’era nessuno.

Con il cuore in gola presi la macchina fotografica e la fotografia e uscii dal bagno correndo.

Ero così inquietata che non guardavo davanti a me e, con tanto di figuraccia imbarazzante, andai a sbattere contro un ragazzo che mi veniva incontro in corridoio.

La macchina fotografica cadde a terra, così feci io, sbattendo il sedere al suolo.

“Ehi” esclamò quello strattonato, allungandomi una mano per aiutarmi ad alzarmi.

Si chiamava Shuya Fujiwara, aveva la mia stessa età ma eravamo di classi diverse. Era alto e snello, con i capelli neri arruffati e gli occhi a mandorla penetranti.

“Scusa” dissi io
“Andavi di fretta?”

“Beh…sì”
“Una polaroid” esclamò all’improvviso il ragazzo “wow…non sapevo fossero ancora in commercio”
“Infatti quella ha un bel po’ di anni” mentii “a me piacciono le istantanee…trovo che abbiano fascino” mentii ancora.

“Quindi sei una fotografa…il fatto che ti piacciano le istantanee, immodificabili, mi fa pensare che tu ami le cose razionali…”

Falso.

“…e non credi nel paranormale”

Falso.

“sì, è proprio così” mentii con un sorriso. Tre bugie nel giro di trenta secondi…un record…

“comunque non ci siamo ancora presentati…io mi chiamo Shuya Fujiwara
“io Urumi Sachie Tsukamoto

“Scusa ma hai due  cognomi?”

“no…non so per quale motivo ma i miei genitori mi hanno messo come secondo nome Sachie, pur trattandosi di un cognome”

Rise. Non ci credeva. “ è la verità”

“certo, certo…ci credo” bugiardo.

“Meno male…”

“Senti mi lasci il tuo numero di cellulare?”
“Perché?”
“Boh…così…ti trovo interessante”
“Interessante in che senso scusa? Ci stai provando?”
“No…non fraintendere…è che una ragazza che ama la fotografia non può essere cattiva”
sorrisi. Era davvero tenero. Gli scrissi il mio numero su un pezzo di carta che tenevo per caso nella tasca dell’uniforme scolastica.

“Grazie” sorrise lui “Sabato pomeriggio hai da fare?”
“non lo so” avrei voluto uscire con Yumi e indagare un po’ sul mistero che si faceva sempre più morboso. Avrei voluto rivelargli il mio segreto: la fotografia, Kayako

Ma non mi fidavo di lui. L’avevo appena conosciuto e sebbene lo trovassi simpatico non mi offrì la fiducia che cercavo.

“Allora ci sentiamo” mi disse lui

“Sì…o mio dio!” esclamai “devo andare a lezione”

“Ok…io stavo andando in bagno”
“Devi essertela fatta addosso allora con tutto questo tempo che sei rimasto qui”
“Ah-Ah divertente”

 

Rientrai in classe dopo un altro saluto veloce al mio nuovo amico e l’inquietudine ritornò non appena rividi quella fotografia scattata in bagno.

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Capitolo 7
*** Una sgradita sorpresa ***


“Oh mio Dio

“Oh mio Dio! Urumi è inquietante” esclamò con esuberanza Yumi

“come se non lo sapessi” pensai, quasi terrorizzata “c’era una macchina fotografica in bagno. Mi sono chinata per raccoglierla, quando improvvisamente mi scattò una fotografia ed uscì questa
“Qualcuno era dietro di te”

“Lo so…non può essere una coincidenza…anche per ciò che è successo in classe…ho avuto una sorta di incubo
“A che cosa stai pensando?”
“Penso che qualcuno mi infastidisca perché sa

“Sa che cosa?”

“Sa che sto indagando sul caso di Kayako Fukamoto…ne sono sicura…

 

“Buongiorno ragazzi” la prof entrò all’improvviso “Scusate il ritardo…ho avuto da fare in aula professori

 

In piedi. Inchino. Seduti.

 

“Vedo che avete una nuova compagna” esclamò con un tono in falsetto la professoressa di biologia
“Già” risposi io, ancora un po’ sconvolta  dalla situazione

“Oh…ma perché sei così abbattuta?”
“Niente…cose mie”
“Vedrai che il test di oggi non ti creerà nessun problema
“Test?” rabbrividii. Tutti rabbrividirono con me.

“Sì…ho deciso di farvi un test a sorpresa. Questa sarà un’occasione anche per vedere quanto sia preparata la signorina Sachie. Dopotutto avete avuto due settimane di vacanza per studiare

 

Tutti maledirono mentalmente quella donna.

“L’argomento del test è la fotosintesi…divertitevi”. Il foglio con le domande passò per la classe. Dalle facce sconvolte capii che NESSUNO aveva studiato. Meno male che qualche cosa della fotosintesi me la ricordavo…

Cercai di concentrarmi sul test, spremendo le meningi su “fase oscura” e “Luminosa”… su “grani” e “tilacoidi”, “ciclo di benson” e “fotosistema”, ma nella mia testa rimaneva impresso il nome di Kayako Fukamoto. Yumi non scriveva. Non sapeva da dove iniziare. Stava per scoppiare a piangere.

Scrissi qualche riga. Sapevo qualcosa. Per fortuna, perdiana!

 

“Tempo scaduto”

Erano passati solo trentadue minuti!!!!!!


“coooosa????” tutta la classe urlò all’unisono.

“Devo trovare anche il modo di correggere le verifiche prima della fine dell’ora, perché sto attraversando una crisi di mezza età e non ho modo di correggerle a casa

Tutti bestemmiarono contro i suoi famigliari.

 

In meno di due minuti le verifiche erano corrette.

73 su 100: mi aspettavo nettamente di peggio. Il mio primo voto a Tokyo.

 

Solo tre sufficienze in tutta la classe.

84 ad una tipa che mi ispirava già troppa vanità, 61 ad un tipo a cui era andata nettamente di culo.

Un marasma di voti tra il 50 e il 60 inondarono la classe, mentre Yumi e altri adepti si beccarono voti peggiori.


“Ho preso 34!” pianse

Volevo consolarla, ma la mia mente era altrove, persa in quel mistero assurdo e quasi insolvibile…

 

“Non mi aspettavo risultati così negativi” disse la professoressa, mentre metà classe era in preda ad un raptus di follia iraconda. “quindi domani ci sarà la verifica di recupero… i tre che si sono beccati la sufficienza non saranno obbligati a farla


Forte!
Yumi “Penso proprio che sto pomeriggio non potrò andare con te ad intervistare quel tipo…mi spiace”
“Tranquilla… lo capisco”

 

 

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Capitolo 8
*** Il Fidanzato Di Kayako ***


“E tu chi sei

“E tu chi sei?” disse l’ex fidanzato, di Kayako Fukamoto aprendomi la porta : un uomo snello e piuttosto alto di ventinove anni dai capelli neri e dagli occhi a mandrola, perfetto nel suo completo in giacca e cravatta Dior da almeno un miliardo di yen. La cravatta nera elegantemente posta sotto il colletto della camicia bianca, senza alcuna grinza. Io nella mia divisa scolastica, con i capelli spettinati, sudata e totalmente imperfetta.
alla domanda “e tu chi sei?” gli dissi la verità. Della fotografia e di tutto il resto. Pianse.

Le pareti di casa sua erano di colore bordeaux sangue, in altre stanze la luce aumentava e il bordeaux spento si tramutava in rosso sgargiante.
“A quella festa c’ero anche io” iniziò a raccontarmi, mentre cercava di distendere i nervi giocherellando con i polsini della camicia limpida. “Le scattai qualche foto. Bevemmo insieme. Io…io l’amavo molto, moltissimo. Quando non ero in sua compagnia mi sembrava di impazzire.

Diventavo quasi insano di mente. Quando scoprii che qualcuno la uccise io…io non seppi più a cosa pensare…sono stato rinchiuso per diverso tempo in un ospedale psichiatrico e ho tentato diverse volte il suicidio
“Mi spiace. Dev’essere stato orribile”
“Già”

“Non ha mai tentato di scoprire l’assassino della sua ragazza?”
“Certo che l’ho fatto…”
“E quindi?”
“Non ho scoperto nulla…persino la polizia brancolò nel vuoto…tuttavia…qualche mese fa sono riuscito a trovare il diario di Kayako, era in soffitta, nascosto sotto alcuni scatoloni. Non so perché fosse lì”

Me lo mostro. Era un diario dalla copertina rovinata e inondata di adesivi degli anni ’90. lo aprii.

 

“A Takeo Fuji.

Mio unico amore”

 

“Quando morì Kayako lei aveva ventott’anni. Io solo diciassette. Tutti vedevano la nostra relazione come qualcosa di proibito

giunsi alla prima pagina.

“Oggi sono andata ad accogliere il mio ragazzo all’entrata del liceo. Vederlo in uniforme mi fa sorridere. Sembra così maturo rispetto agli altri ragazzi dediti ai vizi e agli scherzi. Spero che un giorno potrò sposarmi con lui. Questo amore ci sta coinvolgendo in modo sublime e avvincente…

 

“Quando l’ha conosciuta Kayako?”
“A quindici anni, in discoteca. Mi trovavo là con alcuni amici e mentre loro ballavano io restavo al bancone ingoiando alcool a fiumi. Non mi piaceva ballare. Lo trovavo ridicolo e vagamente femmineo…

 

Kayako- Non dovresti bere alla tua età…

Takeo- Ho diciotto anni. Non sarei mai potuto entrare se ne avessi di meno…

Kayako- Hai falsificato la carta di identità, vero?
Sì.

Takeo- Che cazzo è una veggente?
Kayako- non ci vuole molto a capirlo.

 

Nella discoteca l’atmosfera era dilatata e onirica. Le luci si rincorrevano sotto martellate soniche di techno ed eurobeat direttamente dal 1995.

 

Barman- che cosa prende?
Kayako- Una vodka alla pesca. Grazie.

 

Andò a finire che entrambi finirono ubriachi. Felici ed innamorati.

 

“il giorno dopo continuammo a frequentarci, ad uscire insieme, come se nulla fosse…l’amore era scattato quasi all’improvviso.”
“questo diario nasconde qualcosa di strano?”
Me lo strappò dalle mani, mentre le sue dita correvano sino all’ultima pagina.

 

“Sento qualcuno che mi spia. Come una presenza. Come se qualcuno tentasse di uccidermi. Mi sento viva e morta allo stesso tempo.  Non so chi sia. Non so che cosa voglia”

 

Alzai gli occhi, un poco spaventata. Dopo un attimo di titubanza e smarrimento chiesi dove si trovasse il bagno.

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Capitolo 9
*** Mancato Stupro E Morte Imminente ***


Mi guardai allo specchio, dopo essermi scaricata a dovere e, mentre mi lavavo le mani cominciai a percepire qualcosa di strano

Mi guardai allo specchio, dopo essermi scaricata a dovere e, mentre mi lavavo le mani cominciai a percepire qualcosa di strano. Sentivo come se qualcuno mi alitasse sul collo, come un presagio di morte.

“va tutto bene in bagno?” mi chiese l’ex di Kayako Fukamoto dal salotto

“Sì” annuii, asciugandomi le mani, quando di colpo il rubinetto della vasca da bagno si aprì di colpo.

Spaventata mi voltai e con uno scatto lo richiusi. Neanche il tempo di uscire dalla stanza che l’acqua ricominciò a scorrere. Senza dire una parola, indietreggiai con il fiato sospeso, mentre il mio cuore cominciava a battere forte ed ecco che l’acqua cominciò ad innalzarsi, ad uscire dal bordo della vasca e a venirmi incontro.

Gridavo “aiuto”, ma il ragazzo pareva non sentirmi. Aprire la porta era inutile: era chiusa e non dava ascolto. Mi accasciai a terra col terrore nel corpo, mentre due mani mi afferrarono dall’alto. Bracci ossuti e cerulei. Mi alzai di scatto, con le lacrime agli occhi. Scivolai sul bagnato e finii nella vasca, mentre braccia mi trattenevano il respiro con ferocia. Acqua salmastra mi entrava nella bocca, finendo in gola e poi nel cuore. Ero schiava. Schiava della paura.

Fu in quel momento, in quel preciso momento in cui stavo per perdere i sensi, che la porta del bagno si spalancò. Takeo aveva sentito le mie urla.

Riaprii gli occhi quando vidi la manica della sua giacca nera sprofondare nell’acqua e le sue dita afferrarmi il braccio destro. Ritornai a galla mangiando l’aria. Ansimavo tremendamente, mentre l’uniforme bagnata mi si appiccicava sulla pelle. Takeo era dentro la vasca con me, completamente vestito. L’acqua gli arrivava sino al cavallo dei pantaloni neri, mentre la cravatta continuava a sgocciolare e attraverso il bianco tessuto della camicia si potevano vedere i pettorali.

“Stai bene?” mi chiese

“Ora si”
“Che diavolo è successo qui?”

“Non lo so…all’improvviso qualcosa mi ha presa

“Sai quanto costa quest’abito” disse infuriato scrollando la giacca Dior, da cui continuavano a schizzare gocce d’acqua scura. “Ahh…potevo anche non salvarti se avessi saputo

“Mi spiace”
“E il bagno? È completamente allagato…”
“Non so cosa sia…”
“So come farmi ripagare”

Iniziai a piangere, quando allentò il nodo della cravatta fradicia e si avvicinò sempre più a me, impaurita in quel limbo d’acqua del terrore.

“Che cosa fai?” gli chiesi gridando, mentre l’acqua continuava ad inumidirmi le gambe.

Si stava avvicinando sempre più. Si accovacciò sempre di me e anche le spalle della giacca si inumidirono completamente. La cravatta appiccicava sul mio petto.

“Devo…”Sussurrò appoggiando il viso sul mio seno

“Che  cosa significa”

Sotto il suono limpido dell’acqua riuscii stranamente a sentire la zip dei pantaloni aprirsi ed ebbi paura. Voleva stuprarmi. Me lo sentivo.

Tentai di afferrare il bordo della vasca come più potetti e spingermi fuori, sul pavimento. Freddo .freddo sulla mia pelle. Le sue mani si avvicinavano alle mie nudità. Il tessuto della manica della giacca toccava la mia gonna bagnata. Mi spinsi fuori urlando, gettandomi su quel pavimento liscio e piastrellato. Ce la feci e iniziai, piangendo a trascinarmi sui palmi delle mani, quando lui scattò in piedi e prese un paio di forbici che erano posizionate sulla lavatrice di fianco alla vasca. Mi afferrò per i capelli e mi sfregiò la guancia sinistra, mentre gridavo come potevo. Fu in quell’istante che la presenza che avvertivo poco prima si ripresentò ancor più minacciosa e nefasta. Mi voltai di scatto verso il mio aggressore, quando una sagoma scura si presentò dietro il suo abito elegante e il suo volto da maniaco.

“Che cosa guardi?” mi chiese sarcastico, impugnando le forbici dalla punta sporca di sangue “Puttana!”.

Delle mani spuntarono dietro di lui e gli chiusero gli occhi. Restai impotente a guardare quando i suoi specchi dell’anima cominciarono a sanguinare sotto le sue feroci urla. Anche il suo collo iniziò a sanguinare e ciò che vidi fu quello strano spettro: femminile e oscuro che faceva sanguinare lentamente il suo nemico. Mi affrettai in soggiorno, con il fiato sospeso, agguantando la mia borsetta e il diario di Kayako Fukamoto, abbandonati sul tavolino del soggiorno.

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Capitolo 10
*** Il Treno Degli Orrori ***


Ancora bagnata fradicia, cercai di raggiungere la stazione più velocemente che potessi

Ancora bagnata fradicia, cercai di raggiungere la stazione più velocemente che potessi.
Volevo raggiungere Yumi. Correndo, agguantai il cellulare nella borsa e digitai il suo numero.

“Pronto?” dissi, facendo il biglietto per il treno

“Pronto…” mi rispose Yumi controvoglia, annoiata dal probabile studio di biologia

“Yumi…devo raccontarti una cosa” sospirai affannosamente

“Cos’è successo?”
“L’ex ragazzo di Kayako è come impazzito”
“Impazzito?”

“Ha tentato di violentarmi…sono terrorizzata. Ho bisogno di vederti”
“Calmati, Okay, spiegami tutto ciò che è successo

“Aspetta…non preoccuparti. Sto per prendere il treno, ho troppe cose da raccontare, e i soldi nel mio cellulare scarseggiano. Ti raggiuno.”
“Va bene, ti aspetto”

Interruppi la telefonata, mentre la macchina dei biglietti sputò con un rumore sordo il pezzo di carta della libertà. Lo presi, quasi di colpo, inserendolo velocemente nella macchinetta convalidatrice. Un sibilo agghiacciante da una macchina senza cuore.

Il treno sarebbe arrivato entro due minuti. Uscii ad aspettarlo sulla banchina, con il cuore in gola. Ancora non ero riuscita a riprendermi dopo lo spavento precedente.

Mi sedetti su una panchina a me poco distante e accavallai le gambe, cominciando a leggere qualche riga del diario che presi senza permesso. Pensavo fosse stato Taeko Fuji ad uccidere Kayako, ne ero tremendamente certa. Altrimenti perché quella sua strana aggressione?



Quattordicesima pagina.

“Quella donna mi guarda con disprezzo. Vuole uccidermi. Mi scruta in modo ambiguo. Mi sussurra parole di morte. Mi vuole morta”

 

Di chi stava parlando? Cercai di tornare indietro alle pagine precedenti, ma ogni volta quella strana figura nominata da Kayako veniva semplicemente nominata con “quella donna”.

E pensare che il nome di quella presenza avrebbe potuto essere un valido indizio per risolvere questa insopportabile faccenda. In breve tempo il mio treno arrivò.

Risistemai il diario nella borsetta, e salii le scalette che mi si presentarono di fronte una volta che il mezzo pubblico mi si presentò di fronte. Nell’aria si respirava una strana atmosfera soffocante. Le porte si chiusero dietro di me. Avanzai a passi lenti e davanti a me solo un vagone vuoto, deserto.

Nonostante fosse pomeriggio, nessuno era su quel treno.

Proseguii un poco terrorizzata. Avevo paura di essere sola. Avevo paura di me stessa. Continuai attraverso un soffocante corridoio oscuro e giunsi nel vagone successivo: ancora deserto, se non fosse per una sola donna seduta in uno dei sedili.

Non riuscivo a vederla in volto: era di spalle.

Riuscivo a vedere solo i suoi capelli neri e lisci. Mi sedetti nel sedile dietro il suo. Il mio cuore batteva all’impazzata, come se volesse distruggere il mio corpo per fuggire da solo. strinsi il tessuto del sedile con le unghie, attaccandomi terrorizzata.

La paura non mi abbandonava. Sussurrai parole per calmarmi, ma quella sesanzione nefasta non mi abbandonava. Sentivo come se qualcuno fosse dietro di me, pronto ad uccidermi, a tagliarmi la gola. Chiusi gli occhi, cercando di calmarmi. Altre tre fermate e sarei stata salva.

Una fermata passò. Un’altra. Ne mancarono due, ma la paura aumentava sempre più con gli attimi. E in un momento percepii in modo tangibile l’inquietante presenza reale e tangibile di qualcuno o qualcosa che mi toccava il collo. La donna del vagone era scomparsa. Ero sola, su quel sedile malandato e sporco a pregare. Non sapevo dove fosse finita quell’altra ragazza che condivideva il mio terrore. Ma in quel momento non me ne importava, pregavo solo Dio di velocizzare il tempo e portarmi alla stazione della vita.

Quella presenza mi ritoccò il collo.

Sussultai, spaventata. Scattai in piedi e cominciai a percepire un ripetuto e inquietante sibilo, come un sussurro di morte. Mi voltai e vidi il volto di una donna dai capelli lunghi  che mi guardava con disprezzo. Era Kayako Fukamoto. Caddi a terra e urlai. In quel momento dalla sua tempia cominciò a sgorgare un rivolo di sangue, che andò a cadere a gocce sul pavimento.

Emoglobina colpì anche la mia caviglia nuda.

Sospirando e annaspando mi trascinai all’indietro, cercando di raggiungere la porta che portava all’altro vagone. Pochi attimi e pensavo di dover morire.

Svenni e davanti a me ci furono solo immagini confuse.

Una ragazza allo specchio intenta a pettinarsi.

Lo specchio che va a pezzi.

Il sangue che schizza sui muri.

Un piede mozzato.

Dita mozzate.

Una mano che sanguina a fiotti, macchiando le lenzuola di un letto.

Un coltello che perfora la carne della povera donna.

Un’altra donna legata al muro che urla. Non può chiudere gli occhi: sotto le sue palpebre le sono stati incollati degli stuzzicadenti. Se sbatte le palpebre diventerà cieca. È obbligata a guardare il feroce delitto che le si presenta davanti agli occhi.

 

FINE CAPITOLO

 

Molti amanti dell’horror avranno intuito che la scelta degli stuzzicadenti sotto gli occhi è rubacchiata da “Opera” di Dario Argento. Il mio non vuole essere un furto, ma un omaggio. Quella scena mi è rimasta davvero impressa.

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Capitolo 11
*** Occhi ***


Ero svenuta dal terrore e ripresi i miei sensi solo quando l’altoparlante pronunciò il nome della stazione che avrei dovuto tenere in considerazione per raggiungere la mia amica

Ero svenuta dal terrore e ripresi i miei sensi solo quando l’altoparlante pronunciò il nome della stazione che avrei dovuto tenere in considerazione per raggiungere la mia amica. Aprii gli occhi e notai con felicità che Kayako era scomparsa. Il treno era ancora deserto. Quando le porte si aprirono scattai in piedi e feci una corsa, rischiando di cadere sul primo scalino.

Yumi incredibilmente era là, ferma e eretta in piedi, con il libro di biologia aperto sotto i suoi occhi.

“Non ci credo” esclamai “Sei venuta qui solo per aspettarmi? Sarei potuta venire io a casa tua”
“Avevo troppa paura per te” disse distogliendo lo sguardo dalle incomprensibili e fitte parole nere

“Ti sei addirittura portata appresso il libro di biologia?”
“Sì…ho talmente paura per la verifica di domani, anche se ormai ho le idee più chiare sulla fotosintesi. Comunque…parliamo di cose più serie: come stai? Ti sei un po’ ripresa?”
“Oddio!” esclamai all’improvviso

“Cosa c’è?”

“Ho dimenticato il diario di Kayako Fukamoto sul treno! Che stupida! Che stupida!” mi tirai degli schiaffi sul volto. Come avevo potuto dimenticare il diario?
“Stai tranquilla” mi tranquillizzò Yumi “Oh mio Dio! Sei tutta fradicia! Andiamo a casa mia, ti presto dei vestiti nuovi e poi andiamo al bar se ti va. Intanto raccontami tutto ciò che è successo”.

 

-

Avevo raccontato tutto a Yumi, tutto ciò che mi era successo: il tentativo di stupro da parte di Takeo e la sua morte, lo spettro di Kayako che continua a perseguitarmi e le visioni inquietanti e continue. Ci trovavamo al bar, io in vestiti diversi e un poco larghi. I miei abiti bagnati in una busta di plastica. Ancora mi dannavo per il diario sperduto.

“Fammi capire” riprese Yumi un poco sconvolta dal racconto “quindi lo spirito di Kayako Fukamoto è ancora vivo e rancuoroso di vendetta? Sembra un film di Takashi Shimizu”

“Beh…anche a me sembra assurdo…ma quella donna, quella donna sul treno assomigliava troppo a Kayako Fukamoto. Era proprio lei ne sono certa”
“E se fosse la gemella che abbiamo conosciuto al supermercato?”
“No…ricordo che la sorella gemella aveva un piccolo neo sotto l’occhio sinistro e dei capelli vagamente mossi. Quella ragazza che ho visto sul treno era priva di neo e aveva dei capelli lunghi e lisci”

“E se fosse un’allucinazione?”
“Quindi Takeo è stato ucciso da una mia allucinazione?”
“Calmati Urumi, non fare così”

“Scusa Yumi, il fatto è che non ci sto capendo niente. L’unica cosa che voglio fare è risolvere questo dannato mistero. Voglio sapere chi ha ucciso Kayako. Solo questo”

“Non puoi lasciar perdere? Probabilmente il fatto che ti stai ossessionando sin troppo a quella donna e a quella foto è la fonte degli incubi che stai vivendo”
“No…anche se fosse, non riuscirei a starmene con le mani in mano. È un po’ come se questa vicenda mi coinvolgesse appieno. Mi sento a pezzi, ma mi sento in obbligo di scoprire qualcosa”

“Ti capisco…”
“No, non puoi capire”
“Perché?”
“Trovare la foto di una persona morta in casa propria non  è una cosa piacevole”
“Sì. Lo immagino”

“Domani andrò a parlare con i vecchi proprietari della casa e tu verrai con me”
“D’accordo. Tu chi pensi sia stato ad ucciderla?”
“Dapprima pensavo si trattasse di Taeko Fuji, ma ora non ne sono nemmeno più certa, continuo a sospettare sugli ex proprietari della casa.”

“Che situazione complessa”
“Non dirlo a me…sto delirando”
“Che cosa hai detto di aver visto in quelle tue visioni sul treno?”
“C’era un individuo, non so dirti se era uomo o donna, perché era come una sagoma oscura, che continuava a pugnalare il corpo di Kayako Fukamoto. Ma non si limitava a colpire, no: infilava dentro il coltello e lentamente raschiava ciò che c’era sotto, facendo uscire il sangue all’impazzata. Ricordo questo. Ricordo degli arti mozzati e una ragazza legata ad una parete, che era obbligata ad osservare l’omicidio”
“Perché?”
“Aveva delle sorta di stuzzicadenti sotto gli occhi. Se li avesse chiusi sarebbe stata la fine”

“Terribile”
“Già…”
“Penso che nella mia mente si sia proiettato ciò che accadde dodici anni fa…ne sono certa.”

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Capitolo 12
*** Il Corpo ***


Accesi il pc e sospirai: non vedevo l’ora che questo mistero potesse srotolarsi con facilità

Accesi il pc e sospirai: non vedevo l’ora che questo mistero potesse srotolarsi con facilità. Volevo assolutamente scoprire la vera identità dell’assassino di Kayako Fukamoto. Sentivo che ogni minuto che passava mi avvicinasse sempre più alla morte, con incredibile velocità.

Toccava a me scoprire l’intero mistero.

Se quella foto si trovava a casa mia era per volere del destino, qualcosa mi legava a quell’omicidio, a quella rete assurda di misteri, alle visioni che continuavo ad avere, come un raptus.

Quando sul destkop vidi apparire il solito sfondo con un fiore rosa dai grossi petali, sentii qualcosa sbattere contro la finestra e il terrore mi invase. Alzai timidamente il capo per vedere cosa fosse e aprii la finestra lentamente e con la pelle d’oca. Mi affacciai e vidi quel ragazzo, Shuya Fujiwara, il ragazzo che avevo incontrato quella stessa mattina.

“Che cosa vuoi?” gridai

“Parla piano!”
“Che cosa vuoi?” richiesi a voce più bassa

“Devo parlarti”
“Di cosa?”
“Di Kayako Fukamoto”

Allibii “Che cosa?” chiesi sorpresa

“Sono il figlio degli ex proprietari di questa casa
“Che cosa sai su Kayako Fukamoto?”
“Poco, ma sono indicazioni che potrebbero servirti
“Okay…senti…sto per andare a cenare, ti va un piatto di ramen?”
“Grazie”
“Okay. Scendo ad aprirti”

Chiusi la finestra. Potevo fidarmi di lui? Non lo sapevo, ma avevo certo voglia di prendere possesso di quelle preziose informazioni su Kayako. Scesi le scale e aprii la porta. Quel ragazzo era lì ed entrò con un sorriso, ancora in uniforme scolastica: giacca stretta e blu che lo faceva sembrare troppo magro.

“Ciao” lo salutai sorridendo.

Si tolse le scarpe e le abbandonò all’ingresso, come vuole la tradizione orientale.

“Chi è?” sbraitò mia mamma correndo con affanno all’ingresso

“è un mio amico” mentii: non sapevo quasi nulla di lui “Può fermarsi a cena?”
“Certo” allibì mia madre “Ho appena preparato i ramen, spero ti piacciano

“Certo” rispose con un inchino Shuya, era troppo gentile. Lo guardai stupita

“Hai già un ragazzo che ci siamo appena trasferiti? Wow, che record….” Mi sussurrò mia madre all’orecchio

“non è il mio ragazzo!” arrossii

“Sarà pronto tra qualche minuto, fai come sia casa tua” disse mia madre all’ospite misterioso, saltellando in cucina come una quattordicenne

“Grazie, signora” un altro inchino

“Ma quale signora? Ho 36 anni, non sono mica così vecchia”
“Scusi…”altro inchino, cominciava a diventare irritante

“Senti” gli dissi “Vieni un attimo in camera mia?” dovevo sapere.

Mia madre ci guardò con guardo sbieco, come se volesse dirmi “Urumi, sei troppo giovane per quelle cose…il sesso si fa con la persona che davvero si ama”. Le risposi con uno sguardo del tipo “ma quale sesso? Non conosco nemmeno sto tipo!”

Raggiunsi camera mia in un baleno, seguendo quel misterioso Shuya Fujiwara.

“allora” esclamai chiudento a chiave la porta “che cosa sai?”
“Posso sedermi sul letto?”
“Fai come vuoi” detto fatto.

“Sei scontrosa…questa mattina eri molto più gentile
“Non sono scontrosa, sei tu che sei troppo gentile

“Io gentile? Non lo sono affatto”
“Che cosa sono allora tutte quelle carinerie?”
“In Giappone l’ospitalità è importante e comportarsi in modo cordiale con il prossimo è molto importante, e tu lo dovresti sapere visto che sei giapponese
“tanto nessuno segue più il folklore ormai

“Ho capito…comunque…volevo avvertirti”
“Di che cosa?”
“Il cadavere di Kayako Fukamoto…”
“Sì?”
“è in questa casa”
Sussultai “che cosa? È impossibile!”

Un lampo di malinconia solcò il suo viso “Tre anni fa, il cadavere di Kayako Fukamoto scomparve misteriosamente dall’obbitorio
“Che cosa?”

“Sì…e…i miei genitori il giorno in cui ci trasferimmo videro il corpo fatto a pezzi di Kayako. In questa casa”
“Ma perché questa casa? E poi com’è possibile? Chi l’ha portato qui? Perché non siete andati dalla polizia?”
“Cosa avremmo detto? Erano passati tre anni…ci avrebbero sicuramente ricoperti di domande, quando veramente non c’entravamo nulla con quella storia
“Il cadavere…è ancora qui?”
Annuì. Forse era per quello che quelle visioni mi perseguitavano. “Ecco perché avete venduto la casa così a buon prezzo
“I miei mi hanno pregato di non farne parola con nessuno, ma…mi sembrava giusto che tu lo sapessi
“E ora dov’è il cadavere?”
“In mansarda”

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Capitolo 13
*** La Mano Insanguinata ***


Uno strano tintinnio di ganci di metallo risuonò all’improvviso

Uno strano tintinnio di ganci di metallo risuonò all’improvviso. Io e Shuya sussultammo all’udire quello strano e macabro suono.  Un presagio di morte.

Quando però, quello strano suono si fermò e ripiombò il silenzio, noi due continuammo il nostro discorco come se nulla fosse successo

“Riguardo a Kayako” continuò Shuya “Me ne sono informato all’insaputa dei miei genitori: Kayako era proprio come te
“Cosa intendi dire?”
“Era originaria di Kobe e si trasferì quattro mesi prima di morire
“Vuol dire che io tra tre mesi morirò?”
“No…non è questo. È che lei è originaria della tua stessa città

“Quindi c’è davvero una sorta di legame tra me e lei
“Sto ancora cercando di scoprire perché si è trasferita a Tokyo…comunque…

“Urumi!” un grido risuonò per tutta la stanza. Era arrivato mio padre.

“Urumi” ripetè mia madre con la medesima intonazione “è arrivato papà…scendi con il tuo amico che servo la cena”
“D’accordo” ripetei io alzando la voce. “Andiamo” mi riferii a Shuya.
“Se vuoi posso aiutarti nelle indagini” rispose quello
“Certo…mi hai dato delle ottime informazioni. Ti ringrazio” gli sorrisi.

 

Mentre ci dirigemmo in bagno per lavare le mani, mamma e papà dialogavano in cucina e si aiutavano ad apparecchiare la tavola.

“Amico?” domandò mio padre incredulo “Ha già trovato un ragazzo che ci siamo appena trasferiti?”
“è quello che mi sono chiesta anche io” bofonchiò Meiko

“Quanto cavolo hai cucinato, tesoro?” non c’erano solo i ramen: ma anche tramezzini di vario genere, stuzzichini, olive, insalata ai pomodori, okonomiyaki e gelato alla frutta bandivano una tavola di prim’ordine e mille colori

“Senti, amore…non ci capita spesso di avere ospiti…e poi quel ragazzo è il primo ospite che abbiamo in questa casa, cerca di comprendere

“Sei sicura che si tratti di un semplice amico di nostra figlia?”
“Tranquillo… è una ragazza ormai, anche noi alla sua età facevamo di tutto e di più
“Io non voglio che mia figlia faccia di tutto e di più, la mia bambina!”

“sei proprio all’antica…non c’è che dire”

 

Scesi le scale con Shuya, un poco terrorizzata da quella sconcertante scoperta.

Un cadavere era nascosto in casa mia. Avevo una voglia matta di salire in soffitta per vederlo: forse era putrefatto dai vermi o perfettamente conservato. Chi poteva dirlo!

La tavola era imbandita dalle più preziose pietanze. Mio padre e Shuya fecero conoscenza allegramente, mentre io ancora sconvolta avevo perso la mia attenzione su un piatto di crostini dorati.

Mi sedetti a tavola accanto a Shuya e cominciai a banchettare, prendendo il coltello e cominciando a tagliuzzare un tramezzino di bacon e formaggio. Immaginai per un momento, con orrore, che quello non fosse un tramezzino, ma un braccio amputato quello che stessi tagliando.

Quel formaggio denso che sgusciava da ogni poro di pane mi ricordava sangue miscelato a frattaglie. Mi venne quasi da vomitare.

Mio padre continuava ad interrogare Shuya di varie cose quando il mio piatto di ramen fu quasi terminato dalla mia bocca vorace. Gli spaghetti ricordavano vermi pronti a condensarsi sulla mia carne per fare pic-nic. Un groppo in gola.

Qualcosa mi toccò la gamba di striscio. Un brivido mi percosse violentemente. Alzai la tovaglia cercando di capire cosa fosse stato.

“C’è qualcosa che non va?” mi chiese mia madre
“Ho sentito…” risposi io tentennante, riguardando sotto il tavolo. C’era una mano insanguinata che mi stringeva il ginocchio, lasciando scivolare lunghi rivoli di sangue lungo la gamba. Sussultai, liberandomi dalla presa e gridando. La sedia cadde dietro di me.

“Stai bene?” mi chiesero tutti. Non seppi cosa rispondere. La mano era scomparsa, ma la paura era ancora presente dentro me e mi divorava.  

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Capitolo 14
*** Lo Specchio ***


SCUSATE SE L’ATTESA ERA TROPPA

SCUSATE SE L’ATTESA ERA TROPPA.

RIECCOMI AL LAVORO.

LA STORIA PRENDERA’ PIEGHE ASSURDE E CI SARANNO FIN TROPPI COLPI DI SCENA INASPETTATI, OLTRE CHE PARECCHIA PAURA!

AH…E FINALMENTE SHUYA CE LA FA CON URUMI! Olèèè!

 

Salii le scale e cominciai a strofinarmi le mani. Shuya continuava a fissarmi, ne ero quasi innervosita ma non volevo dirgli nulla, non mi sembrava giusto.

Il sapone mi accarezzava le mani con dolcezza.

Quella mano insanguinata era reale? Forse era solo un’allucinazione, il frutto della paranoia dovuto ad una giornata fin troppo stressante.
“Urumi” sospirò Shuya
“Sì?”
“Vuoi vedere il cadavere, non è così?”

Il sapone mi cadde dalle mani e fece un tonfo sul fondo del lavandino candido. Rabbrividii e mi voltai verso di lui, stranita e terrorizzata. “Cosa?”

“Non sei ancora convinta del fatto che ci sia un cadavere fatto a pezzi a casa tua…

“Non ricordarmelo… prima di vederlo preferirei scoprire qualcosa di più
“Capisco”

“Domani andrò a Kobe”
“Che cosa? Sei impazzito? Saranno almeno 400 km… 5 ore di treno”

“Lo so…ma voglio aiutarti…voglio scoprire dove si trovava la casa di Kayako Fukamoto…scoprire qualcosa
“Perché ti interessa così tanto questo caso? D’accordo la casa era tua…ma ora è mia… è un problema mio, non devi farti 10 ore di treno andata e ritorno solo per me, non devi”

“Urumi” mi strinse le mani e sussultai “Mi interessa questo caso quanto tu desideri scoprire il nome dell’assassino di Kayako Fukamoto
“Come farai con la scuola?”
“La salto…”
“Verrò con te”
“No…”
“Non posso starmene qui con le mani in mano.”
“Ne sei sicura?”
Annuii. Avevo paura che i miei scoprissero della mia bigiata ma dopotutto fin quel momento ero sempre strata una brava studentessa, potevo concedermi anche qualche scorribanda, soprattutto se in casi di vita o di morte.

“Hai guardato gli orari dei treni” gli chiesi
“Sì…se prendiamo quello delle 6 arriveremo là verso le 11 del mattino. Per tornare potremo prendere quello delle 15
“Ma sono orari impossibili! I miei lo scopriranno e non voglio che sappiano nulla della faccenda del cadavere e della nostra indagine

“Di che hai una gita”
“Non ho nessun permesso”
“Dì che l’hai perso…io darò conferma e se avverti Yumi potrà darti anche lei conferma
“Che idiozia…non funzionerà”

“Almeno provaci”

 

Il mio cuore cominciò a battermi forte. L’ansia mi stava distruggendo. Shuya riprese ad afferrarmi le mani.

“Lasciami” gli sussurrai

“Io…” mi rispose avvicinando il suo viso verso il mio mento
“Tu?”
“Tu…tu… tu mi piaci, Urumi”

Deglutii. Chiusi gli occhi. Non ci conoscevamo perfettamente. Come potevo piacergli.

Mi aprì le labbra con la lingua ed entrò in me. Il mio primo bacio.

Cosa sentii? Sentii qualcosa esplodere nel mio corpo. Gli afferrai il viso con le mani, lo sentivo sudare e tentennare. Dalla sua inabilità sembrava non avesse mai baciato nessuno.

Le nostre lingue si incrociavano con eleganza, sfiorando i rispettivi palati e incrociandosi in un sentimento ancora appena nato e pure tangibile.

Poi il pensiero di Kayako Fukamoto. Quel corpo mutilato mi fece vacillare.

Mi staccai da quell’abbraccio di sensi.

“Che cosa c’è?” mi domandò lui
“Ripensavo a Kayako Fukamoto…è troppo inquietante questa faccenda.”
“Capisco”
“Comunque avviso Yumi per domani”:

Afferrai il cellulare, mentre Shuya si sedette sul mio letto (senza permesso).

Composi il numero di Yumi e attesi.
“Ciao Urumi… sto ancora studiando biologia, ti rendi conto, sono distrutta! Sono le dieci di sera e mi mancano ancora 8 pagine! Cosa ho fatto per meritarmi questo? Devo prendere almeno 90! Capisci? 90!!! Non so se mi sono spiegata”
“Ciao Yumi”

“Mio dio…non ce la farò mai a recuperare quel compito

“Yumi devo dirti una cosa?”
“Che cosa?”
“Domani vado a Kobe”
“Che cosa?”
“Ci vado in treno con Shuya”
“Shuya? Chi diavolo è?”
“Un ragazzo che ho conosciuto questa mattina, vuole indagare anche lui su Kayako Fukamoto
“E perché Kobe?”
“Ha scoperto che lei è proprio originaria di lì. La nostra stessa città, ti rendi conto? E come noi anche lei si trasferì a Tokyo”

“Strano…”
“Già…”
“No…dico…strano che dai confidenza ad uno che hai conosciuto oggi”
“Aspetta… vado in bagno” così feci.

“Perché vai in bagno? Aspetta… lui è in camera tua?”
“Esatto… se devi parlare di lui non voglio che senta
“Urumi, mi nascondi qualcosa… è in camera tua e sono le dieci di sera
“Ha cenato a casa mia, tutto qui…”
“Ma lo conosci da quanto? Un paio d’ore?”
“Gìà” sospirai “Ma almeno sapeva qualcosa di Kayako e in due si scoprono molte più cose
“Non ero io che ti dovevo aiutare nelle indagini?”
“Sì…Sì…ma tu domani devi andare a scuola a fare il test di biologia, non puoi venire a Kobe con me”

“Come farai con i tuoi?”
“Shuya mi ha proposto di far finta che ci sia una gita scolastica, se i miei ti telefonano per chiederti conferma dì di si, okay?”
“D’accordo”
“Ma…Urumi”
“Cosa?”
“Te lo sei fatto?”
“Ma che cosa dici? Come sei immatura…sempre pensare a quelle cose, ma io non lo s… sì
“Ah-Ah lo sapevo”

“è stato un bacetto da poco solo questo” mi aggrappai al lavandino mentre parlavo e solo allora alzai gli occhi verso lo specchio: ero Kayako Fukamoto con il viso schizzato di sangue e una ferita aperta sul corpo.

Lanciai un urlo.

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Capitolo 15
*** L'Indirizzo ***


“Va tutto bene

“Va tutto bene?” mi chiese Shuya spiazzato dal mio grido.

Alzai gli occhi verso la superficie specchiata. Quell’inquietante riflesso scomparve. Una semplice allucinazione, pensai.

Avvertii mia madre della gita da me fasullamente dimenticata, ma ci vollero oltre quarantacinque minuti prima che potesse credermi. Un vero e proprio martirio.

“Se scopro che è una scusa per saltare la scuola ti tolgo il computer per un mese
“Okay” deglutii e risalii le scale.  
Shuya se ne stava andando. Lo salutai e lo vidi scomparire in un turbinio di passi che scendevano le scale.

Mi spogliai e mi infilai sotto le coperte. Mi domandavo come avremmo fatto a trovare la casa di Kayako in una città come Kobe. Avevo paura che quel giro fosse completamente inutile, che non ci avrebbe aiutato per nulla.

Ripensai al corpo mutilato, ripensai alla voglia di poterlo vedere, di guardarlo con i miei occhi.

La sua decomposizione.

I vermi che divoravano quella carne martoriata, il sangue ormai secco, le ossa visibili.

Vacillai dall’orrore e mi lasciai trasportare dal sonno.

 

-

 

Il mattino seguente la sveglia suonò alle 5. così la puntò mia madre, che si era svegliata arzilla per farmi i panini. Ovviamente aveva svegliato anche me, perché non riusciva a sopportare il fatto che avrebbe sgobbato per me, mentre io beatamente dormivo.

Ancora sonnambula mi feci una doccia e mi vestii: un paio di pantaloni bianchi, una canottiera nera e un maglioncino blu.

Era bello potersi liberare per un giorno della divisa scolastica. Mi sentivo libera, felice.

“Sembra che stai dormendo in piedi…su un po’ di vita, stai per andare a vedere il Monte Fuji” così le dissi. Chiunque abiti in Giappone ha visto il monte Fuji. Le dissi che saremmo andati a vederlo con la scuola e che i professori ci avrebbero raccontato la sua storia e che il pomeriggio avremmo fatto un giro a Shizuoka, per vedere qualche museo. Che idiozia! Dovevo inventarmi qualcosa di meglio… il monte Fuji si trova solo 100 chilometri lontano da Tokyo, un quarto dei chilometri che servono per andare a Kobe.

“Mamma…non sono abituata a svegliarmi alle 5
“Ma se ti svegliavi ogni giorno alle 5 quando avevi una verifica scolastica?”
“Quello accadeva a Kobe, la vita ultrafrenetica di Tokyo mi rende particolarmente narcolettica” Mi stropicciai gli occhi

“E pensare che siamo qui da solo tre giorni… eccoti i panini” una borsa del konbini della sorella di Kayako Fukamoto. Tre tramezzini di prosciutto e formaggio, una scatoletta con onigiri, un pacchetto di patatine e due bottigliette d’acqua.

“Grazie” la ringraziai con uno sbadiglio

“Allora…ti devo accompagnare alla stazione?”
Sussultai “No…no…non c’è problema, se cammino mi sveglio di più
“Ah… ma a quest’ora in centro  e soprattutto in prossimità della stazione ci sono maniaci sessuali pronti ad agguantare le liceali impaurite”
“Esagera…”
“Bene…mia piccola principessina… non ti accompagno…ma se ti stuprano non venire a piangere da me
“Mamma! Come puoi dire delle cose simili a tua figlia?” risi mettendo portafoglio e cellulare nella borsa “E comunque è una gita della scuola, ci saranno anche i professori

Uscii di casa alle 5.30 salutando mia madre e mio padre dormiente. Il treno sarebbe arrivato in una mezz’ora e la stazione distava a pochi isolati da casa mia.

Ero in anticipo.

Decisi quindi di fare un salto al konbini di Sakeo Fukamoto, per comprare una rivista.

“Buongiorno” salutai attraversando le porte scorrevoli.

C’era lei alla cassa. Faceva anche il turno notturno?

“Ah…sei la ragazzina che è passata di qui l’altro ieri
Annuii, restando davanti alla porta, guardando i titoli delle riviste esposte. “Sa che Takeo è morto? L’ho sentito al telegiornale”
“Sì…che cosa orribile” aspirò il fumo della sigaretta che teneva tra le dita. Come potete immaginare a quell’ora il suo piccolo supermercato era deserto.
“Non sembra dispiaciuta”
“No…era un ragazzo antipatico. Era parecchio arrogante con me e con i suoi genitori. Trattava bene solo mia sorella”
“Capisco…senta…può dirmi la verità?”
“Riguardo a cosa?”
“è stato Takeo Fuji ad uccidere Kayako?”
“No…lui l’amava, non l’avrebbe mai fatto…fidati

Comprai un paio di shojo manga e una rivista di musica.

Lasciai mille yen sul bancone e salutai con un altro inchino, ma proprio mentre il mio piede stava per avvicinarsi alle porte scorrevoli, Sakeo mi chiese una cosa strana “Tu la vedi, non è vero?”
“Chi?”
“Kayako…continua a disturbare i tuoi sogni, a farti vedere cose strane
Impietrii “Lei…lei…come lo sa?”
“Sta succedendo anche a me. Il suo rancore non avrà fine…” c’era paura nella sua voce, un’emozione strana e terrorizzata “è per questo che stai indagando sul caso di mia sorella, vero? Vuoi capire la natura di quello che ti sta succedendo” Tremava.
Annuii “Sto per andare a Kobe”
“Come sai che è originaria di Kobe?”
“Attraverso delle ricerche. Lei, per caso, può darmi l’indirizzo della vostra casa di Kobe?
Riuscii a convincerla. Gli occhi di Sakeo cominciarono a lacrimare quando la punta della stilografica azzurra cominciò a tracciare solchi su un post-it rosa.

“Grazie” le sorrisi e finalmente uscii, dirigendomi a lunghi passi verso la stazione.

Il treno degli orrori.

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Capitolo 16
*** Partenza Ed Entità ***


Dedico questo capitolo a shadows_in_the moon (alessandra): non ti ho dimenticata

Dedico questo capitolo a shadows_in_the moon (alessandra): non ti ho dimenticata.

Oggi pensavo proprio a te e pochi secondi dopo ho letto la tua recensione su photograph… coincidenza, vero?

Sii forte. Sono io a sostenere te. Ti voglio bene

 

La stazione non era deserta come la immaginavo. C’erano diverse persone sparse un po’ davanti e ai binari e in biglietteria, molti di loro sono gaijin (così noi giapponesi chiamiamo gli immigrati). Restai davanti al tabellone degli orari. Shuya apparve in quel momento, a lunghi passi, sorridendomi.

Lo salutai con un cenno. Si era stirato i capelli. Pantaloni neri e camicia azzurra a righe bianche.

“Ciao Urumi”. Un bacio sulla guancia

“Ciao” sorrisi a testa bassa, porgendogli il post it di Sakeo “Questo è l’indirizzo della casa di Kayako Fukamoto

“Come hai fatto ad averlo?” si sorprese

“Perché sono una donna e ragiono al contrario di voi uomini”. Fece una faccia del tipo “Schifosa femminista di merda grrr…” “Tu saresti andato in giro per tutta Kobe e alla fine non saresti riuscito nemmeno a trovare la casa...non sai che Kobe è una città molto grande?”
“Veramente…no…non ci sono mai stato”

“Per fortuna mi sono posta il problema prima di uscire di casa.Ma…a scuola fate geografia nella vostra classe? È cultura generale…porca vacca!”
“Lasciamo perdere la geografia, non ho un buon rapporto con questa materia
“Lo immaginavo”

“Ah-Ah… sei cosììì diverteeeeeente” sarcasmo. Mi stava irritando, ma al contempo riusciva a divertirmi. Stolto.

Gli tirai un pugno lieve sul suo braccio destro. Le mie dita formarono un solco nel tessuto della sua camicia.

“Ahi!” strepitò come una femminuccia “Il treno è già arrivato?”
“Sì… è al binario tronco… parte tra dieci minuti

 

Salimmo sul treno un po’ agitati e assonnati, dopo aver fatto i biglietti. Ci sedemmo su due poltroncine adiacenti e cominciammo a parlare con l’angoscia nel nostro cuore.

“Perché sta succedendo a me?” chiesi

“Che cosa?”
“Continuo a non capire perché Kayako continua a perseguitarmi…

“Forse semplicemente perché vivi in quella casa…in quella  casa in cui si trova il suo cadavere”

“A te succedeva?”
“Che cosa?”
“Quando vivevi in quella casa vedevi delle cose?”
“Se devo essere sincero no… “
“Visto? C’è qualcosa che ho fatto per avere quelle strane visioni inquietanti…
“Forse è per il fatto che sei originaria di Kobe, proprio come lei…
“Già, può essere…”

“Stai tranquilla Urumi” mi abbracciò. Riuscivo a sentire odore di dopobarba sul colletto della sua camicia “Risolveremo tutto insieme…non devi avere paura
“Io non ho paura…Sono solo stanca. Stanca di tutte queste visioni di morte”

“Ti capisco” mi lasciò respirare.

“Stasera voglio vedere il cadavere.”
“Che cosa?”
“Sì…appena tornata a casa io salirò in soffitta per vedere il cadavere. Se vuoi, tu verrai con me”
“D’accordo” annuì

“Tu non hai paura?”

Sorrise e due solchi si autogenerarono ai lati della sua bocca “Se devo essere sincero, sì
“Mi piace la tua sincerità”.

E ancora una volta le nostre labbra si incrociarono. La lingua di lui mi sfiorava il palato, accarezzandom i denti. Gli porsi una mano sulla guancia e sentii con felicità le sue dita accarezzarmi i capelli. Ero così felice, così completa, almeno finchè non vidi con orrore che la mano di Shuya mi stringeva il ginocchio.

Ma allora cos’era quella strana sensazione, quell’entità che accarezzava la mia cute. Indietreggiai.
“Che cosa succede?” mi domandò Shuya vedendomi voltare. Non c’era nessuno dietro di me.

Eppure avevo avvertito una presenza dietro di me. “Qualcosa mi ha toccata”
“Che cosa?” continuai a guardarmi intorno, ma la nostra cabina era vuota.

Il treno cominciò a sferragliare, facendoci sussultare entrambi.

Stava partendo. Il nostro destino.

 

 

-

 

Per pura nullafacenza ho cercato anche degli attori orientali che potessero incarnare i miei personaggi in un’ipotetica versione cinematografica (da me diretta eheheeh) di “The Photograph”…


Ecco chi ho scelto

 

Per il personaggio di Urumi ho pensato alla splendida Im Soo-Jeong

Foto: http://www.shuqi.org/asiancinema/pics/tale_of_two_sisters/tale_of_two_sisters3.jpg (la fanciulla con i capelli più lunghi). È a lei che mi sono ispirato per la caratterizzazione di Urumi, soprattutto alla sua superba interpretazione recitativa nel capolavoro horror coreano “Two Sisters”.

E va bene, l’attrice ormai ha 27 anni (oltre 10 anni in più del personaggio di Urumi), ma con il suo visino angelico e la sua bravura può senza dubbio essere spacciata per un’adolescente ^__^ (maròòò… ma quanto è gnocca?)

 

Invece per il personaggio di Shuya calza a pennello Jang Geun-Seok, attore della commedia “Baby And I” .  (http://www.hancinema.net/voir_une_photo.php?table=individus&id_objet=1777&id=27484©right=)

 

Che ne dite? Come abbinamenti valgono? O vi aspettavate degli attori diversi?

 

 

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Capitolo 17
*** L'uomo misterioso ***


Chiaccherammo del più e del meno, quasi come se avessi dimenticato di quella strana presenza e di tutta la faccenda di Kayako

Chiaccherammo del più e del meno, quasi come se avessi dimenticato di quella strana presenza e di tutta la faccenda di Kayako.

I minuti scorsero e pian piano i nostri occhi si socchiusero, trascinati dal sonno. Ci addormentammo. Lui con il volto contro il finestrino e la bocca spalancata, io con la testa sulla sua spalla. Fui svegliata solamente da un sussulto, quando il treno finalmente giunse a destinazione.

Svegliai Shuya scrollandogli le spalle.

“Che c’è?” sussultò disturbato

“Siamo arrivati” gli dissi, raccogliendo la borsa, misteriosamente scivolata sul pavimento
“Di già?”
“Abbiamo dormito per tutto il viaggio…quasi quattro ore


Conoscevo bene la zona dell’indirizzo offertomi da Sakeo, dopotutto Kobe era stata la mia città fino a quei giorni e ogni indirizzo era ormai per me conosciuto. Si trovava dal lato opposto della città, vicino ai boschi e ai campi. Per raggiungere quella zona prendemmo un autobus che sarebbe dovuto passare intorno alle undici e mezzo.

Ci sedemmo su una panchina nelle vicinanze della fermata e continuai a fissare quell’indirizzo, con la mano tremolante, di fianco a Shuya, che nel frattempo aveva indossato una giacca nera elegante, forse per il venticello che tirava o forse solo per fare il figo, chi lo sa.

Accavallai le gambe, nervosa. Sentivo una strana tensione circolarmi nelle vene, arrivare fino su alla gola e stringerla.

Presi un tramezzino che avevo nello zaino e gli diedi dei morsi, mentre Shuya mi guardava in modo totalmente spiazzato “Sei strana…che ti succede?”
“Niente…va tutto bene… è solo che… sto cominciando ad avere paura anche io”.


Pochi attimi e l’autobus arrivò. Velocemente gettai il tramezzino lasciato a metà nello zaino e saltai sul mezzo pubblico seguita da Shuya.

Venti minuti di viaggio. Un’atmosfera straniante librava nell’aria. L’autobus pullulava di gente. Dimenticavo quasi la semplicità di Kobe, una metropoli affollata, ma ben lontana dall’aurea snob di Tokyo. Qui regnava una gentilezza assai strana.

Scendemmo dal pullman una volta che davanti a noi si liberarono immensi campi. Una schiera di case li copriva solo leggermente.

Riguardai il foglietto. Il numero dell’abitazione era il 5/2.

“Mi scusi…sa dirmi dove posso trovare questa casa?” chiesi per sicurezza ad una vecchietta che ci passò davanti, sperando che conoscesse la famiglia di Kayako per offrirmi qualche informazione in più

“Sì” sorrise. Sembrava simpatica, ma non appena lesse l’indirizzo sul post-it la sua espressione cambiò radicalmente, come se non se lo aspettasse.

“Conosce questa casa?”

Annuì sconcertata “è l’abitazione di una famiglia che conoscevo. Perché volete andarci?”
“Siamo dei giornalisti” mentii “Stiamo cercando di indagare sul mistero attorno alla morte di Kayako Fukamoto
“Sembrate molto giovani per essere due giornalisti e poi, indagano ancora a quel caso? Sono passati parecchi anni ormai…”
“Signora, è il nostro lavoro…” la spronò Shuya, che stette al gioco
“D’accordo…la casa non è molto lontana. La raggiungeremo a piedi. I Fukamoto erano miei vicini di casa. I genitori vivettero con le loro due figlie in quella casa finchè Kayako e Sakeo decisero di trasferirsi.
“Ora i genitori che fine hanno fatto?”
“La madre si suicidò non appena sentì al telegiornale quel che era successo alla figlia. La trovarono in casa con la televisione accesa e un coltellaccio da cucina conficcato nella gola… una cosa orribile
“E il padre?”
“Tornato dal lavoro si uccise, impiccandosi al lampadario. Penso che chiunque avrebbe fatto la stessa cosa: perdere due persone care nel giro di ventiquattro ore dev’essere uno schock per tutti. L’unica sopravvissuta è Sakeo, che ora si trova a Tokyo, se non mi sbaglio
“Sì” annuii “Abbiamo scoperto che lavora in un piccolo konbini
“Povera ragazza” sospirò la vecchia “Ne ha sopportate di cotte e di crude
“Com’era Kayako?”
“Mbah…da quel che ricordo era una ragazza molto solare e tranquilla. Penso fosse stata una delle poche ragazze che non prestava troppo tempo al trucco, sebbene fosse splendida. La cosa strana fu che pochi gorni prima di partire, uno strano uomo in giacca e cravatta continuava a farle visita e restava a casa sua fino alla sera
Pensai a Takeo Fuji, quando mi ospitò a casa sua in un gessato nero.
“Takeo Fuji? Il suo fidanzato?”
“No” scosse la testa “Conoscevo bene Takeo. Si trasferì a Tokyo per studiare all’università e fu per quello, credo, che anche Kayako avesse deciso di andare nella capitale. Era un uomo più vecchio, intorno ai trenta
“Intorno ai trenta?”
“Già…credo che fosse il suo amante”

 

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Capitolo 18
*** Terrore Puro ***


Raggiungemmo la casa della signora misteriosa, oltrepassando quella di Kayako, che come una furia mi mandò terribili brividi che correvano su per la schiena, una volta che le passai di fronte

Raggiungemmo la casa della signora misteriosa, oltrepassando quella di Kayako, che come una furia mi mandò terribili brividi che correvano su per la schiena, una volta che le passai di fronte.

Era una casa dalle mura grigie, ma terribilmente lacerate da macchie nere qua e là. La porta era d’ebano nero. Aveva l’aria di una casa abbandonata e spettrale.

Entrammo nell’abitazione della signora, completamente antitetica a quella di Kayako: le pareti erano candide e pulite, un grazioso giardinetto era coltivato al lato destro della dimora e le stanze erano arredate con un ordine maniacale.

“Vi offro dei biscotti” ci disse la vecchia con un sorriso

“Non c’è bisogno che si disturbi” le dissi

“Non è affatto un problema” e la vedemmo sparire dietro la porta della cucina.

Poi, sotto la porta che sbatteva, mi rivolsi a Shuya, dicendogli “Chiamo un attimo Yumi…tanto dovrebbe esserci l’intervallo a quest’ora

“D’accordo”

Pigiai i tasti del cellulare, sino a giungere al numero di Yumi.
Squillò. Bip Bip.

“Pronto Urumi?”
“Oh! Ciao Yumi…”

“sono in bagno, non hai scelto momento migliore per telefonarmi, vero?”
“Oh scusami…è che volevo sapere come è andato l’esame
“Non si sente dalla mia voce? È andato bene, molto bene?”
“Con quanto?”
“63…so che non è un voto splendido, però almeno ho recuperato quella verifica di ieri
“Sono contenta per te”
“Anche io sono contenta per me…piuttosto come va a Kobe? Siete già arrivati?”
“Sì, da un’oretta. Sono nella casa di una donna che dice di aver conosciuto Kayako
“Davvero? Quindi sei sulla strada giusta”
“Già…ho già scoperto una cosa interessante. Pare che Kayako avesse un’amante. Ma ti farò sapere tutto per stasera.”

“D’accordo.” Uno scroscio d’acqua che scorre. La campanella “Oh scusa Urumi…ora devo andare, le lezioni stanno per riprendere
“Un attimo…che hai detto al professore sulla mia assenza?”
“Ho detto che stavi male”
“Ti ringrazio…”
“Secondo te andavo a dire che hai saltato la scuola per fare la poliziotta? Sei mezza matta” rise “Ora devo proprio andare. Ciao”

“Ciao”

 

“Ha superato il test” dissi sorridendo a Shuya.


Nel frattempo Yumi aprì la porta del gabinetto, con l’intenzione di tornare in classe.

Ma non appena fece un passo sentì come una strana presenza dietro di lei. Si guardò intorno, con il cuore che cominciò a battere, come una pompa. Fortissima. Inquietante. Feroce.

Cominciò a respriare affannosamente. Volle accellerare il passo ma qualcosa sembrava fermarla. Camminava troppo lenta. Nonappena uscì completamente dal gabinetto la porta sbattè violentemente dietro di lei, facendola sussurrare.
Yumi indietreggiò, con i brividi che lentamente le salivano per tutto il corpo.

Nel bagno, le luci cominciarono a farsi intermittenti, come un presagio di morte e orrore.

“Che cavolo succede?” urlò Yumi terrorizzata, quando notò che un braccio bianco e ossuto comparve lentamente da dietro la porta del gabinetto, che lentamente cominciava ad aprirsi, trascinandosi dietro un terrorizzante cigolio.

Il respiro si fece sempre più affannoso, con un ritmo regolare, quasi a rocambolare il canto della morte. La porta si apriva sempre più, sempre più, sempre più. Mentre una scia di sangue cominciò a propagarsi sulle piastrelle, creando inquietante forme geometriche di dolore.

La comparsa di quella strana creatura diede inizio ad un grido lungo, proveniente dalla sua ugola. Un grido straziante e dolente, che sconvolse talmente tanto Yumi da farla svenire.

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Capitolo 19
*** Leggende Urbane ***


“Eccomi” esordì sorridendo la vecchia, con un vassoio tra le mani

“Eccomi” esordì sorridendo la vecchia, con un vassoio tra le mani. Tre bicchieri di glaciale the alla pesca e due piattini di strani biscotti al cioccolato: duri e al cacao, ma con un interno di nutella. Erano sicuramente fatti in casa e me ne innamorai al primo morso.

“Sono proprio buoni questi biscotti” ci complimentammo io e Shuya contemporaneamente,  con la gentile signora

“Grazie…li faccio in casa. Sono una mia specialità”
“Sono proprio buoni” ribattè Shuya prendendone ferocemente dieci in una sola mano.

“Voi” iniziò con una voce inquietante la signora “Amate le storie del terrore?”
“E questo cosa centra con Kayako?” dissi con tono forse troppo diffidente

“Nulla…volevo solo sapere. Io sono un’appassionata di storie di terrore.
“Davvero?” esplose Shuya con insana curiosità

“Quando ero più giovane, parlo degli anni ’80 ero solita girovagare per tutto il Giappone alla ricerca di leggende urbane horror e capire da che cosa derivano. Ho imparato che spesso una leggenda urbana prende avvio quando avviene una tragedia sanguinaria o quando qualcuno muore di morte violenta. Per esempio voi l’avete mai sentita la leggenda urbana tipica di Okinawa della ragazza alle prese con il fantasma del frigorifero?
“No” disse Shuya con curiosità

Io non ero interessata a quegli argomenti…stavo già vivendo un orrore personale e non volevo viverne un altro.

“Praticamente” cominciò la signora, dopo aver sorseggiato un po’ di the freddo “Una notte, una ragazza di Okinawa non riusciva a dormire. Sentiva come degli strani rumori, come una cosa che veniva scuotata. La sentivà al di là del muro, all’interno del calorifero, dalla televisione, sulle persiane. La sentiva dappertutto. Era come un’ossessione. Pensava fosse frutto della sua immaginazione e che dormire fosse inutile perché non ce l’avrebbe fatta. Quindi sgusciò dalle coperte e camminò verso la cucina. Era così sconvolta da quegli strani rumori da pensare che fosse la sete a non lasciarla dormire.  Dunque si avvicinò, sempre più, a passi lenti verso il frigorifero, alla ricerca di qualcosa che potesse dissetarla, a passi lenti, con il tatami scricchiolante.
La cucina aveva un’atmosfera molto più tetra di quanto fosse solitamente. Con i brividi che le correvano sulla schiena, la ragazza aprì lentamente la porta del frigorifero. Avvicinò le mani alla porta e all’improvviso sentì uno di quegli strani rumori che prima l’avevano torturata lungo il sonno. Non poteva più fuggire, la sua curiosità la spingeva ben oltre il terrore stesso. Aprì la bianca porta del frigorifero. Lo sentì scricchiolare nell’ombra, sibilare di terrore. Il rumore si faceva sempre più forte, come una sorta di battito convulso. E quando la porta fu completamente aperta vide…una mano mozzata, bianca e ossuta sul secondo ripiano di quell’ammasso di carni surgelate.

La ragazza sussultò, come un impeto, indietreggiò, con il sudore che lentamente le scendeva dalla fronte. Il sangue le si ghiacciava nelle vene”
“E poi?” deglutì Shuya, sbottonandosi il primo bottone della camicia

“E poi indietreggiando andò a sbattere contro qualcosa…la ragazza sussultò ancora una volta, quando la porta del frigorifero si chiuse di colpo, con un tonfo. Del sangue color porpora cominciò a gocciolare dall’estremità della porta, cadendo a picco sul pavimento facendo un suono come plic plic plic, dolcemente, come una canzoncina. La ragazza decise finalmente di voltarsi quando vide che aveva sbattuto contro il fantasma di una donna, maciullata in una macelleria da un pazzo che nascondeva i cadaveri nel bosco dietro la casa della ragazza. Fine”
“La fine è un po’ affrettata” rimase deluso Shuya “Con tutta quella suspense
“La sapete invece quella della donna dalla bocca sforbiciata?”

“Sì” esordii io, dopo aver deglutito un pezzo di cioccolato “è piuttosto famosa…ci hanno fatto anche qualche film dell’orrore, se non sbaglio
“Già” continuò la vecchia “tutti in Giappone conoscono questa leggenda urbana, ma la cosa strana è che mentre le fondamenta della storia sono le stesse, il contorno della vicenda cambia di zona in zona. Per esempio in certe zone del Giappone la donna dalla bocca sforbiciata è una madre annegata dalla follia, la cui bocca viene tagliata dal suo stesso figlio, in altre è una ragazza del liceo che viene aggredita in casa sua e a cui viene tagliata la bocca. Ma in tutto il Giappone questa figura è una donna, ha la bocca tagliata coperta da una maschera bianca e prima di uccidere la sua vittima le chiede Watashi Wa Kirei Des? (“Sono bella?” in giapponese). La conoscete invece quella della ragazza che viene cucita viva dentro un materasso?
“E perché ci racconta queste cose sulle leggende urbane?” chiesi ancora sconcertata

“Perché… circolavano diverse leggende urbane sulla famiglia dei Fukamoto…e ben prima che Kayako rimanesse uccisa e che i genitori si suicidassero…”

“E come mai?” Ora si che ero curiosa della faccenda

“Beh…tutti dicevano che ogni volta che si passava di fronte a quella casa si sentiva un acre odore di sangue… come se le pareti sanguinassero

“In che senso?”
“Non lo so…dicevano che in quella casa la famiglia di Kayako fosse ninfomane e incestuosa e che venissero compiute torture nella cantina. Non ho mai capito il perché”

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Capitolo 20
*** La casa. ***


Aiutai la signora a rimettere il vassoio, i bicchieri e le ciotoline dei biscotti nel lavandino e chiesi gentilmente se avessi potuto utilizzare il bagno

Aiutai la signora a rimettere il vassoio, i bicchieri e le ciotoline dei biscotti nel lavandino e chiesi gentilmente se avessi potuto utilizzare il bagno.

“Ma certo, ragazza” mi sorrise, aprendo il rubinetto, la donna. La ringraziai con un inchino e salii le scale che mi portavano alla stanza da me tanto bramata, quando lo squillo del mio cellulare squarciò il silenzio. Era mia madre. “Pronto?” risposi io

“Pronto Urumi”
“Sì?”
“Com’è la gita?”
“Uhm…abbastanza tranquilla, abbiamo appena fatto la pausa pranzo e ne ho approfittato per andare in bagno
“Capisco…volevo avvertirti che per stasera non ci troverai a casa
“Assì? E perché?”

“Hai presente Sayaka?” Sayaka era un’amica di mamma, anche lei si era trasferita da Kobe a Tokyo ed era incinta

Annuii.

“Ebbene…le si sono rotte le acque e mi ha chiamata improvvisamente chiedendomi se avessi potuto farle compagnia con suo marito in ospedale finchè il bambino non sarà nato. Finito di lavorare mi raggiungerà anche tuo padre, quindi la casa sarà vuota
“Ah…ho capito” ero felice, libera di poter andare nella mansarda alla ricerca di Kayako, senza bisogno di inventarmi scuse o quant’altro.
“Comunque, non devi preoccuparti: prima di uscire ho messo un trancio di pizza nel microonde. Se vuoi invita pure quel simpatico ragazzo che è venuto ieri
“Shuya…”

“Esatto…ora scusa, ti lascio prima che qualcuno si accorga che sto usando il cellulare in ospedale
“Okay” scoppiai in una risatina
“Buon proseguimento di gita”
“Grazie…Ciao”
“Ciao”

 

Mi chiusi nel candido bagno piastrellato e alzai la tavoletta, dopo aver intravisto l’orto della signora attraverso le bianche tende. Nonostante Kobe fosse una città enorme, una metropoli apparentemente senza cuore, era bello vedere che lontano dal centro c’erano diversi campi e che alcune famiglie avessero il proprio orto personale. Era bello che qualcuno, in questo paese così tecnologicamente avanzato, ci fosse qualcuno che non fosse ancora impaurito della natura e della sua poesia. Sopra il piccolo orticello di insalatine, ondeggiavano le ombre delle lenzuola e degli abiti bianchi stesi ad asciugare, che danzavano, secondo il ritmo del vento. Seduta al gabinetto, i miei occhi sornioni osservavano quello spettacolo, quando il mio sguardo si posò su una cosa alquanto strana. Una ragazza era nascosta, di spalle, dietro uno dei lenzuoli che volteggiavano. Appariva e scompariva dietro il tessuto che danzava nell’aere. Mi alzai di scatto, con una strana sensazione nel corpo: la paura.

Quella ragazza aveva dei capelli lunghi e neri, indossava uno strano abito da sera, di raso rosa e viola, ma anche infantile e a maniche corte. Era un abito macchiato di sangue che arrivava sin poco giù le ginocchia. Anche le braccia e le gambe nude presentavano schizzi di sangue, i piedi erano nudi e tinti di rosso morte. Lo si vedeva benissimo anche a grande distanza poiché il sangue di quel rosso vivo, scarlatto, spiccava con destrezza su quella pelle così fredda e bianca, quasi cadaverica. Stentavo a credere ai miei occhi, cominciavo ad avere la malsana idea che fosse il fantasma di Kayako Fukamoto.

Aprii la finestra e quell’immagine era sempre lì fissa, fin quando quella strana donna cominciò a muovere lentamente la testa, voltandosi verso di me. Un movimento che implicò altro sangue cadere a fiotti sul terreno e contro il vestito a balze.

Il sangue mi si congelò nelle vene, ero come in sospensione, quando all’improvviso la maniglia della porta comincio a sbattere con frenesia. Dallo spavento mi gettai a terra, appiccicandomi contro la parete del bagno.
Iniziai a tremare di terrore. La maniglia non smetteva di sbattere, sbatteva sempre più.

Il panico mi catturò e cominciai a gridare, sempre più forte, temendo che le mie corde vocali potessero esplodere nella paura. Mi rialzai le mutande e i pantaloni di impulso, quando la maniglia tornò normale. Forse era tutto frutto della mia immaginazione.

Ancora un po’ sconvolta mi rialzai, ansimando e annaspando, cercando aria con cui cibarmi, quando all’improvviso sentii dei passi salire le scale.


Tunc. Tunc. Tunc.

 

Ritornò la paura. La maniglia riprese a sbattere, cercando di aprire quella dannata porta che mi separava dalla morte. Il respiro usciva a fatica. Ero così terrorizzata da non riuscire a tranquillizzarmi. Inquietudine, angoscia e paura mi pervadevano, tutte insieme, senza pietà.

Finchè una voce al di là dell’uscio non mi tranquillizzò “Urumi! Urumi! Stai bene?” era la signora che aveva ospitato me e Shuya, il quale si unì al coro con un “Urumi! Urumi! Apri!”.

Mi avvicinai alla maniglia e la aprii, dopo averla fatta scattare con un giro di chiave. La porta si aprì e Shuya mi saltò addosso con un abbraccio.

“Santo cielo” esclamai “Non sono morta”
“Ti abbiamo sentita urlare, stai bene?” mi disse dandomi svariate carezze in testa, passandomi la mano tra i capelli.

Annuii. Avvolgendolo con le mie braccia, sotto la giacca nera e a contatto con la camicia, fradicia del suo sudore

“Sei tutto sudato” lo rimproverai con un sorriso.

“Si può sapere cos’è successo?”
“Niente… niente davvero”
“Un’altra visione?”
“Esatto”
“Visione?” intervenne la vecchia, sorpresa “Hai delle visioni?”
Ormai non era più il tempo di menzogne. Raccontai alla signora che ero collegata, in qualche modo, mentalmente a Kayako e che continuavo a vederla ed era per questo che mi ero messa ad indagare con Shuya.

Mi aspettai una reazione sconcertata e invece lei mi fece una pacca sulla spalla e, dopo avermi regalato altri cioccolatini, accompagnò me e Shuya sino alla casa di Kayako.

“Spero che troverai qualcosa” mi disse sorridendo “Scopri l’assassino di Kayako. Solo tu puoi farlo”.

Il cuore cominciò a battere. La vidi andarsene, tornarsene nel suo paradiso quotidiano, mentre di fronte a me si ergeva l’incubo di mattoni.

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Capitolo 21
*** Sangue ***


Attraversammo il nastro giallo con facilità inquietante e bussammo stupidamente, pur sapendo che la casa fosse deserta

Attraversammo il nastro giallo con facilità inquietante e bussammo stupidamente, pur sapendo che la casa fosse deserta. Forse per abitudine o per semplici buone maniere, ma una volta che Shuya bussò, anche io lo seguii nel futile gesto.

Ovviamente nesusno rispose, dunque passammo alla maniglia. La porta era aperta.

Davanti a noi l’interno si rivelava inquietante: di una lacerante oscurità. Tastai il muro alla ricerca di un interruttore e finalmente, trovatolo, un fioco lampadario posto al centro dello spazioso ingresso illuminò in modo assai smorto quell’ambiente. Forse per i lunghi anni passati da quando quella casa era abitata. Ragnatele e polvere regnavano sovrani.

Ripensai a Yumi e alla sua allergia alla polvere. Sarebbe morta in un ambiente come quello.

Cominciammo a camminare verso l’ignoto, mentre sotto i nostri piedi toccavano quel parquet una volta ordinato, ma ora un totale disastro. Il vecchiume scricchiolava sotto i nostri passi, mentre Shuya chiuse la porta dietro di lui.

“E’ un luogo tetro” sussurrò Shuya
“Perché sussurri? Mica siamo in chiesa”
“Sarà questo luogo che mi fa sussurrare, allora”
“Ascolta, Shuya, tu resta qui e va un po’ in giro alla ricerca di qualcosa interessante, io salgo al piano di sopra”
Annuì, ma vedevo la paura nei suoi occhi. Salii le scale, così tremolanti da farmi sussultare ad ogni gradino. Avevo il cuore in gola. Un lungo e oscuro corridoio si aprì davanti a me, varcandosi in varie porte, come un ventaglio. Aprii la prima, che mi portò ad una camera di ragazza.

La polvere era ancora, una volta la protagonista di quelle quattro mura, infestate dai poster.  La targhetta sulla porta presentava la scritta “Kayako”. La sua stanza.

La tensione saliva alle stelle e cominciai a tremare come una foglia. Mi avvicinai alla scrivania, posta sotto la finestra, dopo aver cercato di illuminare una stanza fin troppo oscura.

La lampadina doveva essere rotta, perché non rispondeva al richiamo dell’interruttore, dunque aprii la finestra e finalmente regnò la luce. Grazie a quel clima solare cominciai a sentirmi meglio. Aprii i cassetti della scrivania, in cui il caos regnava.

Fogli volanti, pastelli inutilizzati e…una fotografia spiegazzata.

La presi tra le mani e sospirai: c’era Kayako, sorridente e con quell’abito di raso viola e rosa che avevo intravisto tra le lenzuola stese poco tempo prima e un uomo, che indossava uno splendido smoking nero, con tanto di fazzoletto bianco ripiegato nella tasca sul davanti della giacca. Era un ragazzo snello, ma il suo volto non era presente. Era stato stracciato con ferocia. Cercai tra i fogli volanti, con la speranza che ci fossero altre foto di quell’uomo misterioso, ma al suo posto trovai una specie di busta, marchiata da una goccia di sangue. La aprii, con il cuore che cominciò a battermi. C’era una lettera.

Appoggiai la busta, curiosa, sulla scrivania e cominciai a leggere. La scrittura era femminile e aggraziata, grondante di qualsiasi emozione celata.

 

“Cara Famiglia.

Non so se avete sentito ciò che la gente dice sul mio conto e su noi in generale,

ma il fatto è che non ne posso più di queste dicerie, che dicerie

in realtà non sono completamente.

Vorrei chiedere a scusa a Takeo: lui mi amava ma io e mia sorella l’abbiamo usato solamente per salvarci.

Vorrei chiedere scusa ai miei genitori, perché se non fosse per colpa nostra la gente non avrebbe iniziato a parlare.

Vorrei chiedere scusa a mia sorella, perché le voglio bene e non avrei mai voluto

Che soffrisse così tanto.

E vorrei chiedere scusa a (un nome cancellato da una striscia di sangue), perché lo amo e lo amerò per sempre e perché so che sarà il primo a piangere una volta che vedrà il mio cadavere.

Vorrei solamente che la gente la smetta di parlare.

Il mondo è un prato fiorito che nasconde serpenti velenosissimi.

Il desiderio di porre fine alla mia futile vita mi consuma letteralmente le interiora.

Un giorno avrò il coraggio di portare a termine il mio volere e quel giorno

Troverete questa lettera.

Kayako”

 

Kayako, così voleva morire. Voleva suicidarsi. Avrei voluto sapere che cosa riguardassero quelle leggende urbane sul suo conto e cosa le avesse scatenate.

Ma soprattutto mi spaventava il fatto che Takeo non fosse in realtà il ragazzo di Kayako, ma semplicemente una persona che usava.
Probabilmente lui serviva da copertura, ma per cosa? Domande su domande mi devastavano la mente, come un mucchio di aghi affilati con l’intenzione di trapanarmi il cervello. Inquietata appoggiai la lettera sulla scrivania e ricontrollai la busta. C’era anche una fotografia. Era ancora quell’uomo, ma questa volta il suo volto era ben presente. Solo gli occhi erano stati oscurati con una lunga linea nera, forse creata con un pennarello. Era sorridente e in giacca e cravatta. Un primo piano da fotografo professionista. Mi servivano, però, quegli occhi per poter confermare la mia idea.
Quella persona mi ricordava incredibilmente qualcuno che non riuscivo a spiegarmi. Non riuscivo a capire dove avevo già visto quella fisionomia. Presi lettera e fotografia e li misi nello zaino, quando all’improvviso un rumore.


Shdung.

Sobbalzai, con un fremito e iniziai ad ansimare. Mi voltai di scatto e vidi che sulla superficie dello specchio di quella stanza si era creata una crepa. Spaventata mi avvicinai, incredula. Quello specchio era rimasto intatto sin dal momento in cui avevo fatto ingresso in quella camera. Come diavolo aveva fatto a spaccarsi da solo?

Ansimante avvicinai la mano destra allo specchio, con l’intenzione di toccarlo, ma all’improvviso un’altra crepa si formò, trascinandosi l’inevitabile Shdung.

Gridai, poi, guardando che gocce di sangue cominciarono ad uscire una dopo l’altra da quella crepa. Impietrii. Ero terrorizzata.

Il sangue riprese a scorrere, sempre più velocemente e in quantità maggiore.

Indietreggiai con orrore, quando anche l’orologio della stanza, appeso al muro, cominciò a spezzarsi e ad emettere sangue. Grida lancinanti di donna avvolsero la stanza.

Cosa diavolo stava succedendo? Continuavo a chiedermelo, anche quando le mie stesse mani furono coperte di emoglobina. La porta si chiuse di colpo e sobbalzai nuovamente.

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Capitolo 22
*** Il grido che nasce dalle viscere ***


Il terrore mi pervardeva come un’ascia trancia un collo terrorizzato

Il terrore mi pervardeva come un’ascia trancia un collo terrorizzato. Tremavo come una foglia. In quell’atmosfera così lugubre esistevo soltanto io. Io con la mia paura. Speravo almeno che fosse così. Mi gettai sulla porta urlando e sbattendo le mani “Shuya! Shuya! Cosa succede?”
Cercai di aprire la porta, pressando sulla maniglia come un tic nervoso. Mentre le urla mi confondevano i pensieri. Sentii improvvisamente dei passi avvicinarsi a me.
Il pavimento scricchiolava. Sentivo come se qualcosa mi venisse da sotto le gambe. Abbassai lo sguardo e vidi una scia di sangue che pian piano mi raggiungeva, cercando di prendermi.
E ben presto paura e terrore mi ripresero, spingendomi in un vortice di urla.

Alla fine, presa dal panico, mentre la macchia si estendeva sempre più, presi il porta ombrelli di fianco alla porta e lo scaraventai sull’uscio con forza, fino a sfondarlo. Raggiunsi il corridoio oscuro, continuando ad urlare il nome di Shuya, ma non rispondeva.

Delle urla mi seguivano “Urumi! Urumi!” ed erano così potenti che sembravano fosse di una donna che cadeva dritta dal cielo. Violenza sonora. Violenza pura. Il grido si sovrapponeva ad un pianto acuto che strappava il cuore. L’urlo era tutto intorno a me, come se mi circondasse e non mi lasciasse scampo.

Intimorita, non persi comunque  l’occasione di scendere velcocemente le scale, con il terroe che mi prendeva con le tenaglie della morte le vene della paura.

“Shuya! Shuya” lo chiamavo a voce alta. L’avrei cercato e una volta trovato saremmo usciti insieme da quella porta, ma non riuscivo a trovarlo. Ogni stanza in cui entravo Shuya non c’era.

Ritornai all’ingresso di fronte alle scale, ormai decisa ad uscire. Poteva darsi che Shuya era uscito dalla paura, spaventato da qualcosa come lo ero io, ma non appena appoggiata la mano sulla maniglia notai che la porta era chiusa a chiave. Sussultai poi, sentendo gracchiare gli scalini, come se qualcuno stesse scendendo a prendermi. Cercai di guardare con la coda dell’occhio quell’ entità, ma riuscii a voltarmi, vedendo chiaramente Kayako Fukamoto in cima alle scale.

Gridai. Era vestita proprio come nella fotografia: abito bianco e maglioncino rosa e mi sorrideva.

Scendeva lentamente le scale, mentre una ferita da sopra la testa cominciava a perdere sangue a fiotti. Sangue che colava sul suo vestito, per terra, sulle gambe. Il suo volto cominciò a diventare completamente rosso. La ragazza poi, sempre continuando a scendere, infilò l’indice sinistro nella ferita, raschiando il cervello a livello sottoepidermide, facendo scorrere altro sangue che le colava sul bordo della mano, formando orchidee sanguignee sul gradino di legno.
Ero spaventata. Scattai di colpo e mi rifugiai in cucina, cercando di aprire la porta sul retro, ma caddi prima ancora di raggiungere la maniglia.
“Urumi!” gridò ancora quella voce che mi attanagliava.
Annaspai e raggiunsi la porta a quattro zampe. Ero così terrorizzata che le gambe non riuscivano a reggermi. Mi voltai sedendomi.

Kayako era all’ingresso della cucina, letteralmente coperta di sangue: dalla testa ai piedi.

Era zitta ma il grido continuava a contorcersi nell’atmosfera.

Cercai di raggiungere la maniglia con la porta, mentre le mie gambe tremavano e il mio guardo rimanevano fissi su quella fantasmessa sanguinaria.
“Urumi!Urumi!” solo allora mi accorsi che quel grido veniva dentro da me.

Non ero io ad urlare. Era qualcosa nel mio corpo a scatenare quell’urlo.
Cominciai ad aver paura di me stessa. All’improvviso uno squarcio tagliò il mio collo e mi sentii morire. Vedevo in modo sfuocato che il sangue copriva il pavimento con schizzi lunghi. Sembravo una fontana vivente. Mi sentivo sempre più fragile, così tanto da non sentirne il dolore.

“Urumi! Urumi! Urumi stai bene?” una voce lontana mi chiamava con amore. Aprii gli occhi.

Ero in cucina ma non c’erano né Kayako né il sangue che perdevo. Davanti ai miei occhi c’era solo Shuya, che mi guardava terrorizzato “Che cosa è successo?”

 

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Capitolo 23
*** Vicini Alla Verità ***


“Ti senti meglio

“Ti senti meglio?” continuava a ripetermi Shuya, mentre io mi accarezzavo la nuca cercando di capire se quello che avevo visto era reale o solo un sogno ad occhi aperti.

Annuii, stropicciandomi gli occhi.

“Urumi” mi disse “sono salito nella camera della sorella di Kayako

“Saeko?” chiesi ancora un po’ scombussolata.
“Sì”

Aprii gli occhi. Nella mano destra Shuya reggeva quella che sembrava essere una vecchia videocassetta. Un lungo e orizzontale adesivo bianco, appiccicato sul lato del nastro recava la scritta: “Sesso E Desiderio Vol.48”.

Sussultai “E’ un porno?  Ma sei idiota! Noi entriamo qui per indagare e tu vai a frugare nelle camere altrui alla ricerca di porno” stavo per esplodere in un vortice di ira funesta.
“Ma cosa stai pensando Urumi? Appena ho visto questo nastro mi sono subito insospettito, visto che solitamente voi donne non amate questo genere di film. Dunque l’ho inserito nel videoregistratore in soggiorno e…

“E?”
“Non è un porno. O meglio non come lo pensi tu”
“Cioè?”
“E’ difficile spiegarlo a parole. Vieni!” Mi sollevò con un solo braccio. Sentivo un lieve dolore sulla schiena, ma tuttavia decisi di seguire quel ragazzo un poco strano.

Il soggiorno era di quanto più lussuoso e sporco contemporaneamente mi sia capitato di vedere: ampissimo con divani impolverati e ragnatele che univano in modo artistico e disordinatamente delirante i vari scaffali della grande libreria che si ergeva sopra il televisore con registratore incorporato. Shuya si inginocchiò davanti allo schermo e io feci lo stesso.

Vidi le sue dita abbandonare la videocassetta nella bocca della macchina grigia.

Play.

Un solo, unico pianosequenza di circa quarantacinque minuti. La camera di Kayako. Precisamente il letto, posto davanti alla finestra, su cui Kayako stende nuda e piangente. Si avvicina qualcuno. Lo si capisce dalle ombre che si estendono sulle pareti. Una mano. Forse l’uomo che la ucciderà. E invece mi accorsi che si trattava di una donna, nuda.

Sussultai. Quella donna è Sakeo. Nella videocassetta si avvicina al letto e sale delicatamente e in modo seducente sul corpo della sorella, che cerca di trattenere lacrime e urla.
Sakeo le lecca il capezzolo e con una mano cerca di masturbare Kayako, che non riesce a provare piacere in quella inquietante relazione morbosa.

“Oh Mio Dio…” commentai angosciata.

“ Già…” replicò Shuya “Penso che Sakeo obbligasse Kayako in giochi erotici come questo
“Pazzesco…”
“C’erano ben quarantotto videocassette come queste in quella stanza
“Ah davv…” neanche il tempo di completare la mia sorpresa frase che notai qualcosa sullo schermo

“Guarda” indicai la finestra.
Takeo era dietro il vetro e scattava fotografie alle due sorelle che amoreggiavano. Incrocai lo sguardo di Shuya. Entrambi eravamo sconvolti.
Probabilmente la leggenda urbana della famiglia Fukamoto prese avvio con Takeo, che spiando le sorelle scattò fotografie delle loro effusioni amorose e le divulgò in tutta Kobe. Ma perché? Forse perché Sakeo in realtà era innamorata di Kayako e per questo la obbligava a partecipare alle sue perversioni. Forse Takeo lo sapeva, così come sapeva che Kayako in realtà avesse trovato un altro uomo da amare, il misterioso individuo dal volto strappato.

Ma cosa c’entrava dunque, Takeo in tutto questo? Era veramente il fidanzato di Kayako o serviva da copertura? Takeo era innamorato di Kayako e forse agì in questo modo perché sconvolto dalla relazione di Kayako per quell’uomo e dalle effusioni con la sorella. Forse era il suo modo di vendicarsi di fronte al rifiuto amoroso di Kayako.

Scattai in piedi e dissi a Shuya “Andiamo a casa mia. Troviamo il cadavere e poi andiamo al konbini di Sakeo. Dobbiamo scoprire chi ha ammazzato Kayako”  

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Capitolo 24
*** Bacio. ***


Ero spaventata

Ero spaventata. Non sapevo perché ,ma ero come ossessionata dalla figura di Takeo che scattava delle fotografie da dietro la finestra. Quell’immagine sul video, mi aveva fatto tornare alla mente la foto che avevo trovato in soffitta. Nonappena mi alzai e bloccai la videocassetta sentii un rumore, come un qualcosa che veniva trascinato, al piano di sopra.

Mi ricordava parecchio l’ascia che veniva trascinata sul parquet sul finale di “Koma”. Ero terrorizzata, sentivo come se qualcosa mi stesse attraversando la schiena.

 

“Che hai?” mi disse Shuya alzandosi e guardandomi negli occhi “Urumi!”, mi scosse.

“Urumi! Stai bene”.

Annaspavo. Avevo fame d’aria. Il mio singhiozzare occhieggiava nel vuoto.

“URUMI!” L’ultimo grido di Shuya e mi risvegliai dal mio annaspare.

“Che cosa è successo?” dissi spaesata
“Stavi male…”

“No…ora sto bene” Alzai la mano, come per massaggiarmi la testa, quando tra le dita sentii la presenza di qualcosa e abbassai lo sguardo sul palmo della mia mano. Sulla superficie della mia pelle biancastra era appiccicato uno strano oggetto che avevo già visto in una delle mie macabre visioni: un pezzo di nastro adesivo a cui erano attaccati degli stuzzicadenti.
Digustata urlai e lo lasciai cadere sul pavimento, indietreggiando terrorizzata.

“Che cos’è questo?” chiese Shuya raccogliendolo

“Quello… è uno degli affari che l’assassino di Kayako Fukamoto mise sotto gli occhi di un’altra persona per obbligarla a vedere il suo omicidio senza che potesse chiudere le palpebre… l’ho visto in una delle mie visioni”

Il rumore di un’ascia che veniva trascinata sul pavimento riprese a rimbombare. C’era qualcuno in quella casa, me lo sentivo. Sentivo anche la sensazione di un  conato improvviso, non certo di vomito, quanto di angoscia.

“Usciamo da qui” dissi a Shuya. Riprendemmo i nostri zaini e uscimmo da quella casa degli orrori. Non avevo mai avuto così tanta paura in tutta la mia vita. Non riuscivo nemmeno più a comandare il mio corpo alla perfezione da quanto ero scossa. Le gambe mi tremavano così forte che sembrava quasi di non averle. Continui brividi salivano sulle mie braccia.
“Sei sicura di sentirti bene? Sei così pallida…” notò Shuya, con fare paterno, accarezzandomi la guancia destra “Sono solo le tre… se arriviamo in stazione in orario possiamo tornare a Tokyo per le sei…
“Non è che questo caso di Kayako Fukamoto ti sta impaurendo un po’ troppo? Non ne hai abbastanza?”
“No…visto che non abbiamo scoperto quasi nulla
“Ma siamo quasi vicini alla verità”
“No..Shuya… è vero, qui a Kobe abbiamo scoperto diverse cose che ci potrebbero avvicinare alla verità, ma restano ancora troppi punti irrisolti: chi ha portato il cadavere di Kayako in casa mia e perché? Perché per uno scherzo del destino la mia famiglia è andata ad abitare proprio in quella casa? E la foto? Mi sto domandando se il fatto che ci fosse quella foto in soffitta premeditasse il fatto che avrei dovuto trovarla…
“Ma di che stai parlando?”
“Non lo so…non lo so neanche io…penso che la foto che era in soffitta non si trovasse lì per caso, penso che qualcuno l’abbia messa lì di sua spontanea volontà perché io la trovassi… tu che hai abitato in quella casa per qualche tempo non hai mai notato la presenza di una fotografia in soffitta?”
“No…”
“Ecco, vedi?”
“Ma chi può averla messa, scusa?”
“L’assassino di Kayako, ovvio. Ma io mi chiedo…perché casa mia”
“Chi vi ha venduto la casa?”
“Non lo so…sono stati i miei a comprarla, senza dirmi nulla… non ho conosciuto l’agente immobiliare, non l’ho mai visto. Io ho solo visto la casa vuota quando i miei l’avevano appena comprata.
“Che strano…”
“Già…evidentemente non valgo poi molto nelle scelte di famiglia
Mi abbracciò senza dir nulla. Con la guancia posata sul davanti della sua giacca nera riuscivo a sentire il suo cuore battere forte e rimbombarmi nelle orecchio. Mi pareva quasi che il suono provenisse dalla mia stessa testa.

Alzai gli occhi e incrociai il suo sguardo. Le sue labbra timidamente sfiorarono le mie e poi esplosero in un bacio dai mille colori. In quel piccolo, futile, istante sembrava quasi che tutte le preoccupazioni e le paura scivolassero via in un solo momento. Scivolassero via dalla pelle, come pioggia.

Gli misi le braccia intorno al collo e socchiusi gli occhi. Avevo provato l’amore e mi piaceva da morire. In quell’istante non mi importò minimamente più nulla di Kayako, né del parto di Sakaya né del cadavere in casa mia. Sembrava quasi che la mia vita si fosse perfezionata in un secondo.

Mi staccai da quel sogno e sussurrai al suo orecchio “Andiamo a Tokyo”.

E le cinque ore di viaggio scorsero come fiumi in piena.

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Capitolo 25
*** Sorpresa! ***


Scendemmo dal treno che erano quasi le sei

Scendemmo dal treno che erano quasi le sei. Si sentiva già un’aurea da crepuscolo. Sul cielo affilate dita arancioni e rosa strappavano quelle nuvole candide che per tutta una giornata accompagnarono i miei terrori. Eravamo di nuovo a Tokyo.
Frotte di ragazzine in divisa scolastica invadevano il centro con borse e borsette: probabilmente si erano dedicate ad un po’ di shopping insieme dopo l’orario scolastico. Impiegati in giacca e cravatta tornavano a casa dalle loro mogliettine, che aspettano in ansia e preparano tempura e sushi. Il cane che scodinzola sull’uscio. Bambini delle elementari intenti a giocare con la fontana del parco pubblico.

Solo nel momento in cui scesi dal treno e vidi quelle scene capii quanto avrei voluto una vita normale, forse troppo banale, ma sicuramente più gradita. Mi accorsi di quanto si potesse nascondersi dietro la banalità delle cose. Di quanta bellezza ci potesse essere nel mondo.

Camminai fino a casa, con Shuya appresso. Tremavo, tremavo per quella cosa  che avrei visto in soffitta. La chiave schioccò nella serratura e il mio cuore cominciò a battere freneticamente, come una pompa. Mi domandavo se fossi ancora viva.

Entrammo, a passi lenti.
Senza mia madre e mio padre la mia casa serena sembrava quasi spettrale. La porta si chiuse dietro Shuya. Abbandonai lo zaino sull’ingresso e invitai Shuya a togliersi la giacca e ad appenderla sull’attaccapanni.

“Sei pronta?” mi chiese.
Lo guardai e non risposi. Non sapevo cosa dire. La paura non riusciva nemmeno a farmi parlare, mi ingoiava le parole che volevo espellere. Dopo essermi tolta le scarpe, corsi in cucina a versarmi un bicchiere di the freddo.

Shuya mi raggiunse dubbioso “Non vuoi?”.

Quella frase fece scoppiare in me una criptica ilarità. Appariva quasi come un doppiosenso erotico.

“Prima devo fare una cosa” dissi io. Ricordandomi di aver inserito la fotografia spiegazzata di quell’uomo nella tasca dei pantaloni. Mi riportava tremendamente qualcuno che avevo già visto nel mio album di famiglia. In una sola mossa, mi appropriai del the freddo al limone che avevo versato nell’alto e stretto bicchiere di vetro. Lo portai alla bocca e lo ingurgitai, deglutendo.

“Ne vuoi un po’ anche tu?” chiesi a Shuya “Serviti…” dissi, mentre mi stavo per dirigere verso il salotto, dov’erano conservati gli album di famiglia.

“Tu dove vai, ora?”
“A vedere una cosa… tu bevi del the…poi proviamo a salire in soffitta”

Annuì, mentre io mi nascondevo, accovacciata, dietro il divano bianco aprendo il primo album che mi capitò sottomano. Lo sfogliai ferocemente e con velocità, quasi come se fossi affetta da isterismo.

Pagina dopo pagina. Io sorridente da piccola, mia mamma che mi abbracciava, io alle elementari vestita in kimono colorato alla festa dei ciliegi, mia madre e mio padre che si baciano da giovani. Ricordi, ricordi, ricor…all’improvviso l’album mi cadde dalle mani e finì su una pagina ben definita, che mi sconvolse. Presi l’album e mi alzai in piedi, fissa su quella foto inquietante. Uno scatto identico a quello che avevo trovato in camera di Kayako. Questa volta però il viso era completo. Ancora sconvolta, lasciai cadere a terra l’album e iniziai ad annaspare dal terrore.

Sentii Shuya appoggiare il bicchiere sul tavolo della cucina, forse si stava versando del the. Cercai di pensare a lui, ma il pensiero di ciò che avevo appena visto mi formò un groppo in gola.

All’improvviso sentii qualcosa che gracchiava verso destra. Mi voltai, dunque, verso la finestra e vidi chiaramente una mano che dall’alto si appoggiava al vetro, strisciando le unghie sulla superficie trasparente. E fu in quel momento che qualcosa mi colpì alla testa, qualcosa di pesante come una mazza da baseball. E caddi inevitabilmente a terra.

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