Fall to Pieces

di Frytty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It's all About SEX ***
Capitolo 2: *** Perfect Timing ***
Capitolo 3: *** I Love You ***
Capitolo 4: *** Independence Fear ***
Capitolo 5: *** Not Perfect, But Right ***
Capitolo 6: *** Dinner? ***
Capitolo 7: *** Beyond Expectations ***
Capitolo 8: *** Like a drug ***
Capitolo 9: *** Never Again ***



Capitolo 1
*** It's all About SEX ***


Buonasera a tutte! <3

Dunque, rieccomi nella sezione dedicata a Jake Gyllenhaal (questa volta incolpate Love_in_London_night, ma fatelo con affetto (?), perché io la ringrazio tantissimo, in quanto, evidentemente, mi ha letto nel pensiero e ha capito che avevo ancora bisogno di scrivere di Jake per poterlo abbandonare così, insieme a Cora *.* quindi, GRAZIE, Cris <3).

Questa sarà una raccolta di One-Shot non collegate tra di loro, una serie di Missing-Moments di Jake e Cora a spasso nel tempo, no, quella era un'altra cosa, scusate :D

Insomma, l'avrete capito, non me la sono sentita di abbandonare questi due poveri personaggi al loro destino senza avervi svelato qualcosa in più su di loro, quindi mi sono convinta che volevate anche voi leggerne ancora e... niente, eccomi qui con la prima di... tante? (boh! Chi lo sa).

Volevo precisare il perché del titolo di questa raccolta, Fall to Pieces. I motivi sono principalmente tre (li elenco, così non rischio di essere troppo prolissa):

  • La canzone di Avril Lavigne mi ha prestato gentilmente il titolo ed io adoro Avril Lavigne, perciò ieri pomeriggio, risentendo questa canzone ho pensato che sarebbe stata adatta allo scopo;
  • Pieces in inglese significa pezzo e rappresenta un po' quello che ho in mente io con questa raccolta, cioè raccogliere i pezzi di questi due personaggi per ricomporli e far venire fuori la loro storia, ma per ricomporli li devo prima scomporre, ed ecco anche perché fall to pieces=cadere a pezzi.
  • Ultimo, ma non meno importante, perché credo che bisogna scomporre se stessi e trovare i pezzi giusti prima di potersi ricomporre accanto ad un altro essere umano, come nel caso di una relazione (ma potrebbe valere con qualsiasi cosa/persona/avvenimento ecc.).

Adesso che ho anche spiegato il titolo della raccolta, ci tenevo a ringraziare le persone che hanno letto la One-Shot You'll make my dreams come true, Cris che ha commentato e chi l'ha inserita tra le preferite/seguite/da ricordare (pazzi! <3) *.*

Credo di aver detto tutto quello che avevo da dire, perciò vi auguro una buona continuazione di settimana e, come di consueto...

 

 

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1. It's all About SEX

 

 

Coraline infilò la chiave di casa nella serratura, annunciando con un sonoro sbuffo il suo rientro.

Era vero che Jake le aveva spesso fatto notare che l'educazione avrebbe voluto che, almeno, salutasse prima di esprimersi in versi di stanchezza, ma lei, dopo una giornata intensa di lavoro, davvero non se la sentiva di essere accondiscendente e gioviale, perciò, puntualmente, appena entrava in casa sbuffava, chiudeva la porta dietro di sé, abbandonava le chiavi nello svuota-tasche dell'ingresso e sbuffava di nuovo.

Di solito Jake neanche si accorgeva di lei, impegnato com'era nella lettura di un libro o di un copione, una matita tra i denti e lo sguardo concentrato; lei lo osservava per un po', chiedendosi come facesse ad essere sempre così incredibilmente rilassato e a suo agio (anche se, sì, certo, quella era casa sua) e poi gli si avvicinava in silenzio, sedendosi accanto a lui sul divano, sbuffando per la terza volta.

Lo faceva apposta, perché sapeva che sarebbe stata rimproverata.

< Cosa ti ho detto? Devi salutare, non sbuffare. > E le colpiva ripetutamente la testa con il libro/copione che aveva tra le mani, ridendo divertito.

Era la loro solita routine, ma quella sera c'era qualcosa di diverso e Cora lo capì subito non appena mise piede nell'ingresso: la televisione era accesa, schiamazzi vari provenivano dalla camera da letto e qualcuno sembrava aver devastato la cucina, considerata la mole di farina e Dio-solo-sapeva-cosa sul pavimento.

I neuroni che abitavano la parte più sensibile del suo cervello cominciarono ad inviarle una serie di immagini poco gradevoli di un Jake che se la spassava tranquillamente con un'altra nella loro camera da letto.

< Jake? > Non osava proseguire oltre per scoprire dove si fosse cacciato.

Temeva che i neuroni avessero ragione.

E poi le venivano in mente le mille discussioni che aveva avuto con sua madre.

Ti scaricherà appena ne troverà qualcuna del suo ambiente che gli faccia drizzare l'uccello.

Non è adatto a te. Tu sei una semplice impiegata e lui una star, come pretendi che possa funzionare?

Se dovesse tradirti, non venire a piangere da me, d'accordo?

Sua madre non era il massimo del romanticismo, se ne rendeva perfettamente conto, ma Cora la capiva; suo padre le aveva abbandonate quando lei era ancora una neonata e sua madre non era più riuscita a fidarsi di nessuno.

Voleva solo che non soffrisse e se era un po' dura, a volte, era soltanto perché voleva il meglio per lei e un attore costantemente circondato da bellissime donne, non lo era, non per la sua Coraline.

Invece, la sua Coraline, di Jake si fidava. Si sentiva al sicuro con lui e in quei pochi mesi di relazione non le aveva mai dato modo di dubitare del suo amore e della sua lealtà.

< Ciao, zia Cora! > Venne bruscamente riportata alla realtà da sua nipote (in realtà, ancora non si sentiva a suo agio a chiamarla così, visto che non era sposata con Jake, ma la bambina continuava a chiamarla zia, perciò...), Ramona, che le saltò in braccio ad una velocità stupefacente, tanto che Cora barcollò, presa alla sprovvista dal suo peso.

< Ehi, sei diventata più pesante! > Fu il suo saluto divertito.

Adorava quella bambina.

Era vivace, curiosa, intelligente ed estremamente sincera, di una sincerità che, il più delle volte, la sconcertava, perché non era la sincerità tipica dei bambini, quella mista ad innocenza che li caratterizzava, era una sincerità adulta, schietta e concisa.

E poi, le ricordava molto lei da piccola.

< Ho sette anni adesso. > Rispose, poggiando nuovamente i piedi a terra.

< Già, lo dimentico un po' troppo spesso. > Si allontanò per posare la borsa sul divano e liberarsi del cappotto.

< Zio Jake sta facendo il bagnetto a Gloria. > Quasi le lesse nel pensiero.

Cora le accarezzò i capelli, lasciandola libera di sedersi a terra per godersi i cartoni animati e si diresse verso il bagno.

Bussò appena, anche se la porta era socchiusa e si affacciò soltanto con il viso, giusto in tempo per assistere all'azione di Gloria che, divertita dall'acqua e dalle paperelle che Jake le aveva disposto intorno, aveva deciso che bagnare lo zio era divertente, solo che, nonostante le sue dimensioni ridotte, la sua mano aveva raccolto una così grande quantità d'acqua da riversare su di lui un vero tsunami che gli bagnò la maglietta, lasciandolo sorpreso e incapace di reagire.

Si voltò al suono della risata di Cora, che non era davvero riuscita a trattenersi.

< Grandioso. > Borbottò, afferrando un asciugamano e sollevando Gloria per avvolgerla nella spugna soffice. < Direi che il bagnetto è concluso. > Continuò.

Le passò accanto senza neanche degnarla di uno sguardo, ma Cora lo seguì in camera da letto dove, nel frattempo, lui aveva adagiato la piccola sul piumone, asciugandola e aveva recuperato un pannolino dalla borsa che gli aveva lasciato sua sorella.

Cora prese posto dietro la bambina, solleticandole la pancia, facendola ridere divertita.

< Non mi saluti neanche? > Lo apostrofò, osservandolo recuperare il necessario per Gloria.

< Hai riso di me, non te lo meriti un saluto. > Svolse il resto delle operazioni con precisione e concentrazione.

< Che permaloso! > Cora si spostò dall'altro lato del letto, la sua metà, per disfarsi delle scarpe, pizzicandogli un fianco.

Jake le afferrò un polso prima che potesse allontanarsi, attirandola a sé, sorprendendola.

< Non farlo mai più. > Le mormorò ad un centimetro di distanza dalle labbra, prima di baciarla con trasporto. Cora si strinse di più a lui, accarezzandogli la schiena.

< Cosa? Baciarti, dirti che sei permaloso, o ridere di te? > Sorrise, separandosi da lui.

Jake scosse la testa divertito, finendo di vestire Gloria.

< Ho promesso a mia sorella che mi sarei occupato di loro stanotte, per te è un problema? > Le chiese, osservandola disfarsi anche dei collant e della gonna, per infilarsi gli shorts che utilizzava sempre per dormire.

< No, nessun problema. Come mai? E' successo qualcosa? > Si informò.

< E' il loro anniversario e vogliono festeggiare in santa pace senza minori intorno. > Fece una boccaccia a Gloria, costringendola a ridere.

< Sono tutta bagnata! > Sbottò lei, osservandosi la camicia.

< Non so come l'immagine di mia sorella e suo marito che ci danno dentro possa eccitarti, comunque... > A lui quasi venne da vomitare.

Cora arrossì per quell'allusione.

< Hai bagnato anche me, scemo! Dovresti cambiarti la maglia. > Osservò, sbottonandosi la blusa e sostituendola con una delle magliette di lui.

< Vado ad affidare Gloria a Ramona. > Disse soltanto prima di sparire nel corridoio.

Quando tornò, Cora, a piedi nudi, stava cercando di sistemare il disordine che regnava nella stanza, suddividendo i vestiti puliti da quelli da lavare, fin quando non si scontrò con Jake in boxer che con tutta tranquillità rovistava nell'armadio alla ricerca di qualcosa di più comodo e di asciutto da indossare anche per la notte.

Arrossì prima ancora di rendersene conto e non perché non l'avesse mai visto in boxer, quanto piuttosto perché era in quelle occasioni, quando lui era mezzo nudo davanti a lei, che le tornava in mente il perché non aveva voluto confessare alle sue amiche com'era Mister Occhi Blu a letto.

Non aveva potuto, semplicemente perché non c'era ancora stato assolutamente nessun tipo di approccio sessuale tra di loro, se non si teneva conto di quello del loro primo incontro che, comunque, non era andato in porto, alla fine.

Avevano dormito insieme, ma nel senso letterale del verbo dormire; non erano mai andati oltre i preliminari.

Non che non ci avessero pensato; almeno, lei ci aveva pensato eccome, ma non aveva mai agito e, sebbene la domanda (perché?) se la fosse posta così tante volte da aver rischiato di fondere davvero il suo già precario cervello, non era riuscita ad ottenere alcuna risposta.

La verità era che, forse, aveva paura.

Un'inspiegabile paura.

Un'illogica paura.

< Cosa c'è? > La osservò stralunato.

Cora scosse la testa e distolse lo sguardo, ancora più in imbarazzo.

< N-niente. > Rispose, sistemando una maglietta.

< Sei accaldata... > Come se ci fosse bisogno di farglielo notare.

Le si avvicinò, sfiorandole la fronte con le dita e Cora rimase lì, ipnotizzata dalle sue mani e dai suoi occhi.

Scese a carezzarle le guance, delineando con l'indice il percorso che dalla gola lo condusse al centro del seno, nascosto dalla sua maglietta troppo grande.

Cora trattenne il respiro, come se si aspettasse chissà cosa, come se fosse più sicuro non respirare neanche.

< Zio! Dove hai nascosto il telecomando? > Ramona irruppe nella stanza, allontanandoli di scatto.

Jake si schiarì la voce, si infilò la prima maglietta che aveva recuperato dall'armadio e seguì la nipote in salotto, sorridendole appena.

Cora lo seguì dopo qualche istante e, mentre lui, aiutato da Ramona a cui aveva anche fatto indossare un grembiule rosso, preparava la cena, che sarebbe consistita in una meravigliosa pizza fatta in casa, lei intrattenne Gloria, giocando con le costruzioni colorate che la bimba si divertiva, puntualmente, a far crollare entusiasta.

Non c'era stato modo di dedicarsi altre attenzioni, non con le bambine presenti.

Ramona che, ormai, pareva si fosse appropriata della stanza degli ospiti, tanto che rifiutava di farci dormire altri all'infuori di se stessa, pretese una storia della buonanotte per addormentarsi e la presenza di entrambi.

< E così il lupo mangiò Cappuccetto Rosso e la Nonna e il gatto, anche. Fine. > Cora si trattenne dallo scoppiare a ridere.

< Ma la storia non è così! Vero, Cora? Vero che non è come dice lo zio Jake? > La bambina, imbronciata, volse gli occhi a lei in cerca di conferme.

< Però è vero che se non fai la brava, il lupo verrà a prendere anche te e ti mangerà. > Jake ne imitò il ringhio, facendo finta di azzannarla, costringendola ad urlare di paura e poi, subito dopo, a ridere divertita.

< I lupi non esistono... > Ribatté lei sicura.

< Certo che esistono. Sono cattivi e mangiano i bambini. > Rispose lui di rimando.

< Jake! > Lo rimproverò Cora, lanciandogli un'occhiataccia.

< Ma io sono brava e a me non faranno del male. > Aveva perso un po' della sua convinzione e del suo coraggio.

< Certo che non ti faranno del male. Ci siamo noi a proteggerti. > La rassicurò Cora, sistemandole la frangetta e sporgendosi per baciarle la fronte.

< Grazie, sei la migliore zia del mondo. > Ramona l'abbracciò e Cora, quasi commossa da quel gesto spontaneo e pieno di fiducia e affetto, tirò su col naso, augurandole la buonanotte.

Socchiusero la porta e si diressero nella loro stanza, dove Gloria già dormiva beata nel suo passeggino, in compagnia del suo peluche preferito.

Tuttavia, Cora, sebbene avesse chiuso gli occhi qualche istante dopo aver poggiato la testa sul cuscino, nella speranza di addormentarsi, non riuscì a prendere sonno.

Non poteva neanche cambiare posizione, perché Jake, che le aveva circondato la vita con un braccio quando l'aveva baciata per augurarle la buonanotte, non si era spostato di un millimetro e lei aveva paura di svegliarlo.

Lo osservò dormire, ripensando alla questione che la sua mente aveva risollevato quella sera.

Insomma, il sesso era importante in una coppia, no?

Certo, non era l'unica cosa che contava, ma rivestiva sicuramente un ruolo decisivo e loro, che non ci si erano neanche mai avvicinati?

Di occasioni ne avevano avute tante e Cora sapeva che Jake la desiderava; non ne aveva fatto mistero durante il loro primo incontro.

Di cosa esattamente aveva paura? 

Forse il suo problema era che aveva sempre considerato il sesso come qualcosa di assoluto, da vivere solo con la persona giusta. Non le era mai piaciuto il sesso occasionale.

Cominciava ad avere gli stessi timori di sua madre?

Eppure, era sicura che Jake fosse quello giusto. Prima di incontrarlo, se qualcuno gliel'avesse chiesto, si sarebbe detta assolutamente impreparata per una relazione. Non che avesse sofferto, o che avesse il cuore spezzato; semplicemente, sapeva che avrebbe dovuto prima sistemare i pezzi sparsi della sua vita e poi, forse, avrebbe potuto cominciare a dedicarsi a qualcuno.

Poi, l'aveva incontrato, del tutto casualmente e la sua realtà si era capovolta.

Aveva ottenuto quello che desiderava: il suo attore preferito, quello per cui aveva una cotta da anni, l'aveva degnata di uno sguardo, le aveva fatto capire che potevano costruire qualcosa insieme e lei, sebbene non si fosse tirata indietro, temeva di vedere minata la sua integrità, la sua consapevolezza di dover prima mettere ordine in se stessa.

Era accaduto tutto alla velocità della luce e, sì, era sicura di quello che faceva, che aveva fatto, ma era anche sicura di non essere ancora, davvero la ragazza di Jake.

Era ancora presto, non si erano promessi niente, stavano solo provando, ma lei già temeva di aver compromesso tutto.

Il pianto di Gloria, improvviso e inaspettato, quasi la spaventò.

Jake si mosse, ormai sveglio, stropicciandosi gli occhi come un bambino.

< Ci penso io. > Gli mormorò lei, trovando la scusa perfetta per alzarsi e pensare ad altro.

Sollevò la bimba in braccio e la portò con sé in bagno per cambiarle il pannolino, una cosa che aveva imparato a fare grazie a Jake, e poi si mosse in cucina per riscaldarle il biberon.

Quando la rimise nel passeggino, il più silenziosamente possibile, dormiva già.

La osservò qualche istante prima di intrufolarsi nuovamente sotto le coperte.

< Tutto ok? > Le domandò Jake, sbadigliando.

Cora annuì.

< Le noie di avere bambini piccoli in casa. > Scherzò lui, attirandola a sé per abbracciarla e riscaldarla. < Sarà così anche per noi, quando decideremo di avere dei bambini. > Continuò.

Cora quasi non si risollevò a sedere dallo sgomento.

< Io non voglio dei bambini. > Rispose punta nel vivo.

< Possiamo sempre adottarli. > Fece spallucce, del tutto ignaro della guerra che aveva scatenato in lei tra le sue metà costantemente in competizione.

< Non voglio dei bambini e basta. Non voglio adottarli, non voglio partorirli, non li voglio neanche in regalo. Non voglio bambini. > Precisò con foga.

Jake la osservò confuso, poi assunse un'espressione di consapevolezza che la spaventò.

< Quindi è per questo che non abbiamo ancora fatto sesso? Hai paura di rimanere incinta? > Le domandò cauto, quasi avesse paura di offenderla.

< No! Non è quello che mi preoccupa. > Esclamò subito lei, arrossendo.

Dunque, non era stata l'unica ad interrogarsi su quell'aspetto del loro rapporto.

< Cosa allora? Non fraintendermi, non sono un ninfomane o chissà cosa e non voglio metterti fretta se non ti senti pronta, è solo che quella sera stavamo per farlo in una macchina e adesso, che avremmo tutti i posti del mondo, decisamente più comodi, non ci siamo neanche andati vicino. E' chiaro che c'è qualcosa che ti spaventa. > Cercò di essere il più delicato e comprensivo possibile. Non era un argomento semplice, se ne rendeva conto, e non voleva metterle fretta o farla scappare.

La sentì sospirare e stringerlo un po' più forte.

< Voglio che sia importante, voglio essere sicura che sia quello che voglio. > Rispose, cercando di mettere in ordine le idee.

< Quindi, vuoi solo aspettare? Un po' come se fossi ancora vergine. > Le sorrise, facendola arrossire di nuovo.

< Ma come ti permetti? Chi ti dice che io non lo sia? > Gli colpì un braccio, riuscendo solo a divertirlo di più.

< Oh, ecco allora la verità: sei vergine e hai paura di fare una figuraccia con lo scapolo più ambito d'America! > Quasi la vide andare letteralmente a fuoco, il che contribuiva a meravigliarlo ancora di più; le era sembrata così spregiudicata durante il loro primo incontro... in senso buono, certo, ma non le aveva dato l'idea di qualcuna che arrossisse spesso, invece, si era dovuto ricredere.

Era un po' il bello di conoscere meglio le persone; riuscivano sempre a sorprenderti.

< Sì, ti piacerebbe... > Borbottò lei, imbronciandosi.

< Certo che mi piacerebbe attentare alla tua verginità. > Continuò a prenderla in giro.

< Smettila! Sei un maiale! Non sono vergine! > Quasi urlò, ricordandosi all'ultimo minuto che c'era una bambina di un anno nella loro stessa camera e che avrebbe potuto svegliarla.

< Non ci sarebbe niente di male, sai? > Un guizzo malizioso gli riempì lo sguardo.

< Sì, d'accordo, ma non sono vergine! Smettila di prendermi in giro! > Sbuffò, colpendolo nuovamente.

< Cora, Cora, Cora... ti sei conservata per me, è un bel gesto da parte tua. > Le si avvicinò, sfiorandole una guancia con la punta del naso.

< Guarda che vado a dormire con Ramona se non la smetti! > Sbottò, già pronta a sgusciare via dalle coperte.

< Permalosa. > Le sussurrò in un orecchio, prima di abbracciarla e baciarle una tempia, coccolandola come una bambina.

Cora rise, intrecciando una gamba tra le sue e chiudendo gli occhi, completamente rilassata.

< Se vuoi ti presto i libri di Cinquanta Sfumature, puoi farti un'idea. > Le disse dopo qualche istante di assoluto silenzio.

< Di questo passo non faremo mai sesso, Jake. Io ti ho avvertito. > Rispose, non spostandosi di un centimetro dalla sua posizione.

< Sei davvero permalosa, allora. > Borbottò, prima di chiudere anche lui gli occhi.

Cora li riaprì solo per alzarli al cielo, rinunciando a controbattere.

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Capitolo 2
*** Perfect Timing ***


BuonSalve a tutte! <3

E' passato un mucchio di tempo dal primo capitolo di questa Raccolta, me ne rendo conto, ma i miei impegni da universitaria in procinto di laurearsi sembrano non avere mai fine -.-"

Oggi, però, avevo bisogno di scrivere e ho deciso di completare questo secondo capitolo, iniziato ieri, perché mi sentivo parecchio ispirata a riguardo e sono felice del risultato.

Non ho avuto tempo per rispondere alla sua recensione, perciò la ringrazio qui: Love_in_London_night, che è sempre gentile con me, entusiasta circa i miei progetti e, soprattutto, sempre presente *.* GRAZIE, CRIS!

Nell'occasione, devo segnalare un errore nello scorso capitolo: ho chiamato erroneamente Rebecca la nipote di Jake, quando, in realtà, il suo vero nome è Ramona. Grazie ancora a Cris per avermi segnalato la svista <3 Non ho ancora avuto modo di correggerla, ma lo farò prestissimo, promesso ;)

Prima di lasciarvi al capitolo, ringrazio anche tutte le persone che hanno letto, inserito tra le preferite/seguite/da commentare questa Raccolta <3 GRAZIE anche a voi! <3

Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, vi auguro una buona continuazione di settimana e, come di consueto, una...

 

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


2. Perfect Timing

 

 

 

 

Cora si svegliò di soprassalto, come se gli fosse stato gettato in faccia un secchio di acqua gelida.

Lanciò un'occhiata alla sveglia: le otto e un quarto.

Le otto e un quarto, ripeté tra sé svariate volte, come a convincersene.

Poi nella sua testa scattò qualcosa, una molla e si rese effettivamente conto di quello che aveva appurato leggendo l'ora.

 

LE OTTO E UN QUARTO?!? SONO IN RITARDO!!!

 

Si era data giusto il tempo di sgranare gli occhi per la sorpresa, poi era schizzata fuori dal letto, calciando via in maniera poco gentile le coperte, del tutto dimentica che avrebbe potuto svegliare Jake, ignaro e dormiente, dirigendosi in bagno, aprendo l'anta della doccia e azionando il getto d'acqua; nel frattempo che raggiungesse la temperatura giusta, si sciacquò il viso e, nel tentativo di recuperare il flacone dello shampoo, rovesciò il resto, disseminando il pavimento di mollette per capelli, campioncini di profumi vari, il barattolo della schiuma da barba di Jake e il phon.

< Ma porca... > Imprecò, trattenendosi a stento.

Jake, svegliato dal trambusto, si guardò intorno perplesso, fin quando non realizzò il rumore dell'acqua nella doccia e quello della sua ragazza che stava cercando di demolirgli il bagno, considerato il rumore.

< Cora?!? Che sta succedendo? > Alzò appena la voce per farsi sentire, stropicciandosi i capelli e alzandosi a mezzo busto.

< Stavo cercando di recuperare lo shampoo e ho combinato un disastro, scusa! > Rispose lei, ancora intenta a sistemare al loro posto gli oggetti caduti.

Jake sospirò, gettando anche lui un'occhiata alla sveglia.

< Non sono neanche le otto e mezza, si può sapere cosa ci fai già in piedi? > Ma lei non lo sentì, perché era già entrata sotto la doccia e si stava già insaponando i capelli.

Neanche cinque minuti dopo, aveva infilato svelta l'intimo e, i capelli ancora bagnati, era corsa in camera da letto per cercare qualcosa di decente da mettersi.

Jake rimase imbambolato a fissarla per qualche minuto, incredulo.

Non solo gli aveva quasi demolito il bagno, aveva anche intenzione di sabotargli l'armadio.

Alla ricerca del maglioncino adatto, stava lanciando sul letto e sul pavimento tutti gli altri indumenti ad una velocità con cui avrebbe potuto iscriversi al Guinness World Records, aggiudicandosi la medaglia per minor tempo impiegato per svuotare un armadio.

< Cora, si può sapere cosa stai cercando di fare? > Le domandò, mettendosi in piedi e cominciando a recuperare gli indumenti sparsi a terra.

< Sono in ritardo! Sono le otto e mezza e a quest'ora sarei dovuta essere in ufficio! Suppongo di non aver sentito la sveglia e... > Ma Jake la interruppe, fermandole le braccia, il maglioncino che aveva scelto infilato a metà.

< Vuoi fermarti un attimo? > Quasi la strattonò per farla rinsavire.

< Cosa? > Stava continuando ad accumulare minuti di ritardo e di quel passo avrebbe ricevuto una lavata di capo numero uno dal suo superiore.

< Oggi è domenica, Cora. Non devi andare a lavoro. > Jake la vide sgonfiarsi come un palloncino, abbassare lo sguardo e corrugare le sopracciglia, riflettendo sulla verità appena comunicatale.

Aveva ragione, era domenica, ecco perché non aveva sentito la sveglia, perché il sabato sera, prima di andare a letto, non la impostava mai.

Scoppiò a ridere come una scema, pensando a come dovesse essere sembrata agli occhi esterni di lui: una pazza, come minimo.

Jake rise con lei, attirandola in un abbraccio.

< Mi spiace averti svegliato. > Si rannicchiò contro di lui, baciandogli una guancia a mo' di perdono.

< Non importa. > La rassicurò. < Ma ora ce ne torniamo a letto. > Le sfilò il maglione e la sollevò tra le braccia, facendo cadere entrambi sul materasso.

< Non sei quello che definirei un peso piuma, sai? > Articolò con difficoltà, schiacciata dal suo peso.

Jake si sollevò facendo leva sulle mani, sorridendo furbescamente, di quel sorriso storto che Cora aveva avuto modo di notare in qualche intervista e che le aveva fatto riconsiderare la debolezza di Bella Swan di fronte ad un sorriso del genere.

Adesso che ne aveva visto uno dal vivo, anche se appartenente non certo ad un vampiro di nome Edward Cullen, la capiva.

Se solo si fosse trovata in piedi, anche a lei le gambe sarebbero diventate di gelatina.

Arrossì violentemente, cominciando a sentire un gran caldo, fin quando Jake non scosse la testa, cominciando a ridere divertito e intenerito.

< Cosa c'è di così divertente? > Gli domandò indispettita.

< Sei arrossita. Ancora. > Sottolineò, accarezzandole una guancia bollente.

< E allora? > Sbuffò, fintamente risentita.

< E allora, assomigli ad una bambina quando lo fai e mi stupisce che tu possa ancora arrossire a sei mesi dall'inizio della nostra relazione. > Le spiegò, pratico, scostandole i capelli dalla fronte.

< Sai com'è, non mi sono ancora abituata al fatto che un attore di fama internazionale, bello da togliere il fiato, abbia deciso di scegliere me, una semplice impiegata d'ufficio con un mucchio di paranoie in testa. > Ecco, l'aveva detto.

E non era stato nemmeno così difficile. Quando si sentiva toccata in quella che era la sua sfera sentimentale, diventava disinibita, avrebbe potuto ribattere anche al Presidente Obama in persona. In una situazione civile, invece, con i vestiti tutti addosso e, soprattutto, senza un uomo come Jake Gyllenhaal addosso, avrebbe solo farfugliato qualcosa di indistinto, cercando di giustificarsi.

Lui fece spallucce, lasciandole un bacio all'altezza della gola, spostandosi da lei e ricadendo nella sua metà di letto, recuperando le coperte.

Cora sentì improvvisamente freddo senza lui addosso e, quasi involontariamente, si abbarbicò a lui come un piccolo koala, sospirando di sollievo.

Aveva chiuso gli occhi, ma li riaprì dopo qualche istante, sollevandoli verso il viso di lui, rilassato ma sveglio.

< A cosa stai pensando? > Gli domandò in un sussurro.

< Per te sono davvero bello da togliere il fiato? > Puntò i suoi meravigliosi occhi color zaffiro nei suoi, accarezzandole i capelli ancora umidi.

< Scherzi? Hai sentito Michelle l'altra sera, mi prende ancora in giro per le tue foto nell'armadio e per la mia collezione di tuoi film; per non parlare di tutte le foto che ho salvato nel computer e delle riviste e dei poster e... > Prese ad elencare.

< So che sei una mia fan, ma... sai, a volte sognare su delle foto, o collezionare tutti i film di un attore preferito, non significa trovarlo bello, attraente e interessante, specialmente se poi hai anche la possibilità di conoscerlo nella realtà e non solo attraverso interviste e articoli. Quello che sto cercando di dire è che tu non hai minimamente cambiato opinione su di me? > Era stato il suo turno di arrossire appena e Cora capì perfettamente come dovesse essere osservare lei arrossire per qualcosa che faceva o le diceva: anche lui ispirava tenerezza e a lei venne voglia di abbracciarlo, di stringerlo e di rassicurarlo su qualsiasi cosa avesse potuto turbarlo, su qualsiasi pensiero negativo avesse potuto attraversargli la mente.

< Se avessi cambiato opinione su di te, a quest'ora non sarei qui. > Gli rispose con un sorriso.

< Davvero sono come mi immaginavi? > Aggrottò le sopracciglia, divertito e imbarazzato dalla piega che stava prendendo la situazione.

Cora annuì soltanto, continuando a sorridere.

< Non sai i pensieri che ho fatto su di te... > Si voltò a pancia in su, osservando il soffitto, cercando di non incrociare i suoi occhi per evitare di arrossire ancora e pentirsi di quello che aveva appena confessato.

< Oh-oh, qui le cose si stanno facendo... interessanti. Ora sono curioso. > Ancora quel sorriso furbo e malizioso.

< Ho già detto troppo, non posso svendermi così, specialmente a te. > Borbottò sulla difensiva.

< Ma sono sicuro che Michelle sarebbe disposta a raccontarmi tutto. > La provocò, conscio di star giocando sporco.

< Non sono scesa nei dettagli con lei. > Si schiarì la voce, fingendo una superiorità che non aveva.

< Stiamo parlando di pensieri sconci? > Sussurrò l'ultima parola, guardandosi attorno, neanche ci fosse qualcuno pronto a sentirli.

< Stiamo parlando di pensieri privati, pervertito che non sei altro! > Arrossì e lo colpì con un cuscino.

< Ehi, non vale! Ti sto dando l'opportunità di mettere in pratica le tue fantasie! > Si difese.

Cora si coprì il viso con le mani, scuotendo la testa disperata.

Da quando avevano avuto quella specie di discussione sul sesso, ogni momento sembrava propizio per tirarlo fuori e per farle decisamente pesare il fatto di non essersi ancora concessa. 

Neanche lui aveva tentato qualsivoglia tipo di approccio, ma Cora lo conosceva abbastanza da sapere che non l'avrebbe mai forzata, né avrebbe mai preso l'iniziativa, temendo di metterla a disagio e di farla chiudere a riccio.

Il loro rapporto funzionava benissimo anche senza sesso.

No, doveva essere onesta, almeno con se stessa: si sentiva una suora e le sue amiche non erano di aiuto, perlomeno, non quelle fidanzate, che sembrava non facessero altro che raccontare le loro avventure sessuali.

In verità, neanche le sue amiche single sembravano capirla, se ci pensava bene; continuavano a tediarla con la storia che gli uomini non erano certo come le donne, che avevano bisogno di inzuppare il biscotto molto più di loro, dando vita in lei a sensi di colpa giganteschi che, puntualmente, dirottavano i suoi pensieri sul fatto che, forse, c'era davvero qualcosa che non andava in lei.

Di occasioni sprecate e di momenti giusti aveva ormai perso il conto.

< Cora? > Sentì Jake chiamarla, ma si rifiutò di scoprire il viso, scuotendo la testa per l'ennesima volta.

< Cora, non fare la bambina. > La rimproverò, cercando di forzarle le mani senza successo. Era come se fossero diventate un tutt'uno con il suo viso.

< Coraline, è una cosa seria questa, dai, guardami. > Cercò di convincerla.

Per tutta risposta, lei separò solo due dita, lo spazio necessario per sbirciarlo appena con sguardo spento.

< Non devi nasconderti e non devi vergognarti; siamo adulti e possiamo affrontare la cosa come tali. > 

 

Parla bene lui! E' tutto così semplice per gli uomini!

O no?

 

La sua coscienza le inviò le immagini di un Jake impegnato in una sessione di fai-da-te estrema e a lei quasi venne da piangere. Era un disastro, non era capace di dargli quello che voleva.

< Mi sento inutile. > Piagnucolò, nascondendo il viso nel cuscino.

< E' per quello che ho detto circa il soddisfare le tue fantasie? Mi spiace, sono stato indelicato... > Ma lei lo interruppe, voltandosi verso di lui e fissandolo con rassegnazione.

< No, non devi scusarti, hai ragione. Sono sei mesi che stiamo insieme e non abbiamo mai fatto sesso. Per colpa mia. > Dichiarò concisa e determinata.

< Non dire sciocchezze! Pensi che io non faccia altro che pensare al sesso? Stiamo insieme in tanti modi diversi, io e te e parlarti, fare la doccia insieme, aiutarti a preparare la colazione la mattina, vederti sorridere e saperti felice, sono meglio del sesso, per me. > La tranquillizzò, facendo spallucce.

< No, non è vero. > Scosse la testa lei. < Stai solo cercando di non farmi sentire in colpa, ma sai che non è così. Voi uomini non siete come noi donne, avete bisogno di certe cose in misura maggiore. > Jake per un soffio non le scoppiò a ridere in faccia.

< Sappiamo dominare i nostri istinti quando ne vale la pena, sai? > Rispose invece.

La osservò sospirare e spostare lo sguardo al soffitto.

< Se mi lasciassi, lo capirei. Davvero, non sto scherzando. Accetterei la cosa e me ne farei una ragione. > Mormorò, così piano che, per un istante, Jake credette di aver capito male.

< Ora capisco quando mi parlavi delle tue paranoie infinite. Direi che questa è anche bella grossa. > Rise appena, sistemandosi alle sue spalle e abbracciandole la vita, baciandole una spalla scoperta.

< Non è una paranoia, è accettazione della realtà. > Non si scompose, né cambiò posizione per fronteggiarlo.

< A me va bene così, Cora. Non pretendo nulla di più di ciò che mi dai già. > Potevano sembrare frasi scontate, ma era quello che pensava. In fondo, Cora gli piaceva anche per questo: non scendeva mai a compromessi e lui l'amava troppo per forzarla.

Forse esagerava un po' troppo con le battute a riguardo, ma, fino a quel momento, era stata lei la prima a riderci su, come sempre.

< Ovvero il nulla. > Tirò su col naso.

< Ti mangerei quando fai così, ne sei cosciente? Potrei trasformarmi in un lupo mannaro e azzannarti. > Le morse il collo per gioco, facendola sorridere.

< E' che... > Sbuffò, voltandosi verso di lui. < Voglio davvero fare l'amore con te. > Continuò.

Jake le sorrise, avvicinandosi per baciarle le labbra, impossessandosi della sua bocca con ingordigia, come un nomade del deserto che abbia appena scoperto un'oasi dove ristorarsi, rendendosi altresì conto che non è un miraggio.

Cora gli circondò il collo con le braccia, spingendolo verso di sé, accarezzandogli le spalle e indugiando sull'elastico dei boxer chiari che indossava.

Forse era solo paranoia la sua, aveva ragione Jake.

Doveva lasciarsi andare, vivere il momento così come le si presentava, senza troppi se o ma.

Si capivano con uno sguardo, erano complici e compatibili e si desideravano; non poteva chiedere di più da una relazione con l'uomo dei suoi sogni, erotici e non.

Cora lo sovrastò, continuando a baciarlo, lasciando che fosse lui ad occuparsi del reggiseno.

Sospirarono insieme quando Jake le accarezzò il seno, raggiungendolo con le labbra e con la lingua.

Cora credette di venire semplicemente osservandolo suggere un suo capezzolo con attenzione, guardandola negli occhi come a rassicurarla, come a invitarla a fermarlo se c'era qualcosa che non andava.

Non fecero neanche in tempo a spogliarsi degli ultimi indumenti rimasti ad ostacolare la loro unione completa, che sentirono suonare il campanello di casa.

Jake grugnì in disapprovazione, baciandole un'ultima volta l'ombelico prima di scostarsi dallo spazio che si era creato tra le sue gambe schiuse.

< Dovresti andare ad aprire tu, sono un tantino in imbarazzo, in questo momento... > Arrossì, accennando al rigonfiamento nei boxer.

Cora rise, intrappolandogli il viso tra le mani prima di baciargli le labbra e allontanarsi definitivamente da quel letto per recuperare una camicia a quadri rossa e gli shorts che utilizzava solitamente in casa.

Nel frattempo, chiunque fosse alla porta, aveva continuato a suonare un altro paio di volte con insistenza.

< D'accordo, arrivo! > Annunciò lei, cercando di sistemarsi i capelli allo specchio dell'ingresso.

Quando aprì la porta, sorridente e radiosa, come se chiunque le si fosse parato davanti non avesse rovinato un momento che, nel fondo della sua coscienza e del suo cuore (e delle sue parti intime, perché no), aveva atteso per sei mesi, si scontrò con il sorriso imbarazzato e vagamente colpevole di Maggie, la sorella di Jake, che reggeva in braccio Gloria e con quello educato e divertito di Peter, suo marito, che sembrava essere appena uscito da una caffetteria, vista la mole di caffè, brioche e dolci vari che sventolò davanti al naso di Cora come a tentarla con il delizioso profumo.

< Zia! > Ramona le abbracciò le gambe e fu l'ultima della famiglia che notò, scompigliandole i capelli l'istante successivo.

< Ci spiace essere piombati qui all'improvviso, ma Ramona ha insistito... vuole fare colazione con voi e a poco sono serviti i nostri tentativi di spiegarle che è domenica e che, probabilmente, volevate stare da soli. > Cora fece loro spazio per lasciarli accomodare nell'ingresso e poi direttamente in cucina.

< Non volete stare soli, vero zia Cora? > Chiese la bambina per conferma.

< Certo che no! Non abbiamo ancora fatto colazione. > Le rispose, rassicurandola.

< Vado a chiamare Jake. > Continuò, sorridendo e scomparendo in corridoio, diretta in camera da letto.

In fondo, era contenta che fossero lì, specialmente le bambine, perché si era affezionata a loro in un modo che credeva impossibile, soprattutto per lei, che non aveva mai provato attrazione per i bambini, di qualsiasi età essi fossero.

Jake si era rintanato in bagno e, quando Cora vi entrò, intravedendo la sua figura attraverso la tenda della doccia, finse indifferenza, nonostante fosse arrossita al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere se Maggie avesse posticipato la sua visita di un'ora.

< Tua sorella e le bambine sono qui. > Annunciò, afferrando lo spazzolino per lavarsi i denti.

< Ho riconosciuto la sua voce. > Lo sentì rispondere.

Dopo qualche istante, il flusso d'acqua nella doccia si interruppe e Jake ne uscì già vestito dell'accappatoio.

Cora lo guardò attraverso lo specchio di fronte a lei che ne rifletteva l'immagine, continuando a spazzolarsi i denti con cura.

Lo vide strofinarsi i capelli con un asciugamano e dirigersi verso di lei, abbracciandola da dietro e posandole un bacio sul collo.

< Sai che sei estremamente sexy anche quando ti lavi i denti? > Le mormorò, facendola rabbrividire.

Cora rise, rischiando di affogarsi con il dentifricio, spingendolo verso la porta l'istante successivo.

< Va' a vestirti. > Gli fece una linguaccia.

< Altrimenti? > La prese in giro lui, lanciandole un'occhiata maliziosa.

< Altrimenti ti salto addosso e faccio pentire tua sorella di essere stata così gentile da portarci la colazione. > Rispose, sciacquandosi la bocca con non-chalance. 

< Ricevuto, capo. > La salutò alla maniera militare, facendole scuotere la testa esasperata, ma prima di congedarsi definitivamente, la raggiunse per rubarle un altro bacio sulla bocca.

< Adesso vai. > Aprì la porta, lo spinse fuori dal bagno e ne uscì anche lei, scontrandosi con Ramona che, a giudicare dalla bocca impiastricciata di cioccolata, non ci aveva messo molto a decidere con quale dolce inaugurare la giornata.

Cora la sollevò in braccio, pulendola alla meglio con il tovagliolo che la bambina reggeva in mano, inutilizzato, riportandola in cucina, dove Maggie e Peter avevano già apparecchiato per tutti.

E lei che, nata e vissuta fino agli anni del college a San Francisco, aveva creduto che a New York non si sarebbe mai trovata bene.

Confortata da quell'atmosfera familiare vivace e calda che solo le mattine della domenica portavano con sé, Cora si sentì a casa, completamente a suo agio, completamente accettata e amata.

 

 

 

 


 

 



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Capitolo 3
*** I Love You ***


Salve a tutti e buon venerdì!

Per l'ennesima volta, devo scusarmi con voi. Sono assente da così tanto, che neanche voglio andare a vedere quand'è stata l'ultima volta che ho aggiunto un capitolo qui, su EFP.

Non posso negare che mi senta davvero in colpa nei vostri confronti, perché so cosa significa aspettare un capitolo giorni e giorni e vedere passare le settimane, i mesi e avere la sensazione che l'autore abbia abbandonato tutto e, proprio perché lo so, dovrei comportarmi diversamente, per amore del rispetto che nutro nei vostri confronti, sia che leggiate soltanto, sia che commentiate, sia che sbirciate il mio profilo autore.

Perciò, vi chiedo davvero scusa per quest'assenza, sperando di riuscire ad accorciare i tempi di pubblicazione.

E... niente, non saprei cos'altro aggiungere, se non che spero che la vostra estate stia procedendo nel migliore dei modi, che abbiate finalmente chiuso i libri di scuola (io, purtroppo, ancora NO -.-") e che abbiate già avuto modo di fare il primo bagno della stagione.

Sulla Shot non ho molto da dire (quando mai :D), anche perché è solo un altro missing moment della coppia ed è sempre super incasinato (colpa di Cora :D).

 

Spero vi piaccia e vi diverta almeno un po' (in caso contrario, se voleste, cioè, insultarmi per il ritardo dell'aggiornamento, dirmi che fa schifo, che posso ritirarmi ecc., sono qui, ma so che voi siete i lettori più buoni del mondo e non mi fareste mai una cosa del genere, vero? *faccina da angioletto*).

 

Vi auguro un soleggiato week-end e, come sempre, una...

 

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3. I Love You

 

 

 

< Cora! Non credo ai miei occhi! Quella è... è... > Michelle rimase ferma nel bel mezzo del corridoio che stavano attraversando, la bocca spalancata in una muta sorpresa, le guance rosse d'imbarazzo e il dito puntato verso il soggetto di cotanto stupore.

Cora al suo fianco aguzzò la vista, tentando di individuare un volto conosciuto in mezzo al caos di tecnici e cineprese.

< Anne Hathaway? > La guardò. In realtà, non è che l'avesse proprio vista, aveva tirato ad indovinare, più che altro perché sapeva che Jake stava girando un film con lei come protagonista femminile, perciò, era stato semplice fare due più due.

< Sì!!! Dici che Jake me la presenterebbe? > L'amica le aveva afferrato la manica della giacca con occhi sognanti, neanche avesse appena trovato l'uomo dei suoi sogni.

< Ehm... beh, credo di sì, perché no? > Tentò di rassicurarla, approfittando poi della loro vicinanza per trascinarla verso quella che era la sala trucco, dove sapeva trovarsi Jake.

< Oh, Cora, non è fantastico? Siamo in mezzo a gente così famosa! > Squittì Michelle, forandole un timpano.

Se doveva essere proprio sincera, e lei decise di esserlo, se non altro con la sua coscienza, non era così entusiasta della gita alla quale Jake l'aveva invitata.

Si era portata Michelle come consolazione, ma, considerato che sembrava più avere a che fare con una bambina, eccitata dal primo giorno di scuola, che con la sua migliore amica, avrebbe preso in considerazione l'idea di scaricarla da qualche parte e assistere a quella tortura da sola, arrovellandosi come solo lei era in grado di fare.

< Sì, davvero bellissimo. > Pronunciò funerea, mostrando il tesserino che le aveva fornito l'agente di Jake ad un addetto alla sicurezza, che le lasciò passare con un sorriso comprensivo.

Almeno, qualcuno contento quanto lei di essere lì.

Bussò appena alla porta della sala trucco e aprì senza attendere il permesso.

Jake era solo e stava ripassando il copione.

< Ehi! > Le salutò con un sorriso, afferrando prontamente la mano di Cora, affinché gli si sedesse in braccio.

< Jake, non sai che onore essere qui! Ho appena visto Anne Hathaway, ti rendi conto? Quella Anne Hathaway! Ancora non riesco a crederci! Non è che me la presenteresti? Sono una sua grandissima fan e non posso sprecare un'occasione del genere. > Michelle era partita a razzo, rossa in volto come se stesse per esplodere, dimentica di essere in compagnia di altri, visto che continuava il suo monologo come se niente potesse turbarla o farla zittire.

< Si sente bene? > Mormorò a Cora, aggrottando le sopracciglia, preoccupato.

< Sì, fa sempre così quando è euforica. > Rispose lei, alzando gli occhi al cielo.

< Aggettivo che non rappresenta te, invece. > Notò con un sorriso divertito.

< Sono contenta di vederti al lavoro, lo sai. > Posò la testa sulla sua spalla, accarezzandogli i capelli.

< Ma...? > Continuò lui.

< Ma, sai anche che sono gelosa marcia di Anne e non sono entusiasta delle scene che girerete oggi. > Completò, facendo spallucce.

< Si chiama recitare, Cora, ed è quello che normalmente fa un attore. > La prese in giro.

< Ma guarda! Fin qui ci ero arrivata, grazie. > Gli fece una linguaccia, pizzicandogli un braccio.

< Allora non devi preoccuparti: io ed Anne reciteremo. > Le sistemò i capelli rossi sulle spalle, baciandole una guancia.

< Ed io sarò verde d'invidia. > Cercò di scherzare anche lei, strappandogli un sorriso.

< Il verde ti dona, con i tuoi capelli è perfetto. > La baciò con ardore, fin quando qualcuno non bussò alla porta, annunciando a Jake che, tempo due minuti, avrebbero cominciato le riprese.

< Ok, devo andare. > Sollevò Cora dalle sue gambe, sistemandosi la giacca allo specchio.

< Potete venire con me; dirò al regista di lasciarvi assistere. > Continuò, sorridendo ad entrambe.

Michelle saltellò d'impazienza e Jake attirò Cora a sé per la vita.

< Non mi terrai il muso per sempre, vero? > Sapeva che sarebbe stato rischioso invitarla sul set di un film come quello, ma erano giorni che non trascorrevano una giornata insieme e quando lui rientrava, lei era già a letto, perciò gli era sembrata una buona idea. Tecnicamente, non avrebbero trascorso una giornata insieme da soli, ma averla lì, a guardarlo fare il lavoro che amava, era un buon compromesso.

< Ok, d'accordo, mi spiace, sono un'egoista e ti sto probabilmente già rovinando la giornata. Posso tenere il muso solo un po'? > Fece segno del po' che intendeva con due dita.

< Assolutamente no! Sei qui per sostenermi, non puoi tenermi il muso! > Sbottò fintamente offeso, guardandola scandalizzato.

Cora rise. Lo conosceva troppo bene per credere che fosse serio.

< Hai ragione. Ti sei scelto una pessima, pessima ragazza, sappilo. > Gli baciò una guancia imberbe, prima che tutti e tre si imbattessero in Anne.

< Ehi! > Salutò cordiale.

Cora gettò un'occhiata preoccupata a Michelle: si aspettava di vederla svenire o, peggio, di vederla prostrarsi ai piedi di Anne, ricominciando il suo monologo senza senso.

< Anne, lei è Cora, la ragazza di cui ti ho parlato, e lei è Michelle, la sua migliore amica, nonché tua grandissima fan, vero Michelle? > Cora le strinse la mano e le sorrise e Michelle, prima di rendersi conto di dover fare lo stesso, rimase a fissarla imbambolata per due minuti buoni. A salvarla era intervenuta una gomitata ben assestata da parte di Cora, che le aveva fatto balbettare una frase sconnessa alla quale Anne, per pura cortesia, aveva risposto con un sorriso.

Mentre Jake si allontanava per parlare con il regista, Anne, Cora e Michelle rimasero lì, ad osservare il via vai dei tecnici, dei cameramen, degli addetti al sonoro, degli sceneggiatori, ognuna profondamente immersa nei propri pensieri.

< Jake mi ha parlato moltissimo di te. > Anne si voltò verso la ragazza alla sua destra, sorridendo.

Cora, che in un primo momento non aveva capito si stesse riferendo a lei, si voltò sorpresa e arrossì.

< Di m-me? > Chiese, puntandosi un dito al petto.

< Uhm, già, proprio di te. > Ribadì Anne divertita.

Lei annuì, in difficoltà, spostando il peso da un piede all'altro, una cosa che faceva sempre quando voleva mascherare il nervosismo.

< Oh, non devi preoccuparti, ha detto solo cose positive, sai? > Intervenne subito Anne, forse percependo la sua paura.

Cora arrossì.

Non poteva evitarlo; non se pensava a Jake che parlava di lei ad Anne Hathaway e diceva cose positive.

< E' proprio perso. Gliel'ho sempre detto che sarebbe arrivata quella giusta e lui non ha fatto altro che minimizzare e invece, zac!, eccoti spuntare all'improvviso. > Osservò Jake che ascoltava le direttive del regista, poi si voltò verso Cora, sorridendole sognante.

< Potrei non essere io quella giusta... > Rifletté lei, presa in contropiede. Conosceva l'opinione di Maggie a riguardo: per lei era una Santa solo perché riusciva a sopportare il fratello con una pazienza ancora più grande di quella che adottava lei con le sue bambine e sapeva per sua spontanea confessione che se Jake non l'avesse sposata, l'avrebbe disconosciuto come fratello e poco importavano i media o i suoi genitori.

Eppure, aveva sempre cercato di accantonare quel pensiero, di accantonare il fatto che potesse davvero essere la ragazza che Jake avrebbe sposato, un giorno. Non avevano mai affrontato un discorso del genere, anzi, non si erano ancora mai detti ti amo e lei non era certo una che si risparmiava sui sentimenti.

Con Jake, però, era diverso; aveva paura, perché avrebbe significato rendere tutto definitivo, anche se si rendeva conto che un ti amo non avrebbe certo implicato un contratto vincolante; quelle due semplici parole, però, significavano molto e lei faceva molta più fatica a pronunciarle adesso, ad un ragazzo come Jake, che non tre anni prima, quando era giunta al capolinea la sua ultima storia.

< Nella vita mai dire mai, ma, sai, sono un'attrice, non una veggente e non voglio improvvisarmi in ciò che non sono e non sarò mai, ma... lui è innamorato di te e se riesce a capirlo una tonta come me, tu non dovresti avere problemi. > Le rispose, circondandole le spalle con un braccio in un gesto affettuoso e amichevole.

< Stiamo avanzando con i piedi di piombo e non riesco a capire perché. > Incrociò lo sguardo del soggetto in discussione che le sorrise.

Non riuscì a non ricambiare e gli occhi le si inumidirono di lacrime.

< Perché sentite entrambi che quella che state portando avanti non è una relazione passeggera, non è un sentimento temporaneo, ma qualcosa di più forte e questo vi spaventa. E' naturale che sia così, l'amore fa paura, ma ne vale la pena, o no? > Anne continuò a sorriderle, abbracciandola brevemente.

Perché Cora aveva la sensazione di conoscerla da sempre?

La sentiva così vicina, che avrebbe potuto definirla sua sorella senza neanche pensarci un attimo.

Riuscì soltanto ad annuire, incapace di parlare per via dell'enorme groppo in gola che minacciava di sopraffarla.

< Tutto ok? > Michelle la osservò con dolcezza non appena Anne raggiunse Jake e il regista sul set, lasciandole sole.

< Sì, tutto ok. > Si asciugò due lacrime che le erano scivolate silenziose sulle guance e si lasciò abbracciare dalla sua migliore amica senza protestare.

< Per te non è mai stato un passatempo, lo sai. > Michelle le sistemò i capelli, cancellando le tracce di eye-liner sbavato con un dito.

< Ho paura che lo sia per lui, però. > Mormorò lei in risposta, osservando il regista andare loro incontro e sistemarsi davanti alla telecamera principale, pronto al ciak.

Girarono la scena in cui lui si svegliava e lei lo riprendeva con la videocamera; erano entrambi nudi e a stretto contatto, ma Cora lo notò appena, così come ascoltò a malapena le battute che pronunciarono e il taglia! del regista e gli applausi dell'intero team.

Stava ripensando alle parole di Anne e a quelle di Michelle.

Allora, era così, aveva davvero paura?

Non erano i suoi sentimenti a spaventarla, quanto quello che provava Jake e che non le aveva mai detto. Gliel'aveva fatto capire, certo, in mille modi diversi, ma non poteva comunque esserne certa al cento per cento, non se non avessero cominciato a parlare chiaro di ciò che provavano l'uno per l'altra e viceversa.

Perché doveva essere così maledettamente difficile?

Erano grandi abbastanza per prendersi le proprie responsabilità, per essere totalmente coscienti di quello che dicevano e facevano, per essere consapevoli di ciò che volevano.

E lei lo desiderava; lo desiderava, come si desidera un bambino, con la piena coscienza che dovrai occuparti di lui, che dovrai insegnargli a parlare, a camminare, a vestirsi da solo, a mangiare da solo, ad essere educato e rispettoso e a voler bene e ad amare; lo desiderava, come si desidera un bicchiere d'acqua fresca nel giorno più caldo d'estate, cosciente che ti rinfrescherà, che non potrai farne a meno, che ne vorresti sempre di più fino a scoppiare, ma è il tuo corpo che la reclama, che ne ha bisogno ed è una giustificazione più che valida per trangugiarla con avidità; lo desiderava, come lei aveva sempre sognato il Principe Azzurro, realizzando, pian piano, che non esisteva un essere così perfetto, non nel mondo reale, ma non per questo doveva smettere di crederci, perché il Principe Azzurro è quello che noi definiamo la nostra metà e che siamo in grado di accettare anche con i suoi difetti che più sono reali e più sono perfetti.

Non aveva paura di scoprire dove li avrebbe condotti la loro relazione, se in un bellissimo castello, o dritti in un burrone, voleva viverla, non temerla, non sopprimerla, non ostacolarla, non reprimerla.

Quando il regista ordinò a tutti di fare una pausa e Jake corse da lei, vestito di pantaloni e camicia indossati in tutta fretta, Cora lo abbracciò, sollevandosi sulle punte delle scarpette che indossava.

Lo strinse a sé più forte che poteva, gli baciò una guancia e, nonostante il cuore a mille che sembrava volesse uscirle dalla cassa toracica, riuscì nel suo intento.

< Ti amo. > Gli mormorò in un orecchio, nascondendo il viso nell'incavo tra il collo e la spalla di lui.

Jake la sollevò in braccio e le gambe di Cora si aggrapparono naturalmente ai suoi fianchi per non cadere.

< E me lo dici così? Adesso? > Le domandò felice, chiudendo entrambi nel suo camerino, facendole cozzare le spalle contro la prima parete disponibile.

Cora lo guardò, cercando di imprimere ogni singolo dettaglio del suo volto nella mente.

Annuì alla sua domanda, arrossendo, ma non nascondendosi come al solito.

Voleva che la guardasse, che capisse che non si sarebbe più nascosta, che non si sarebbe più vergognata di quello che provava per lui o che lui le provocava.

Jake le sistemò una ciocca di capelli dietro le orecchie, poi appoggiò la fronte contro quella di lei, guardandola negli occhi, studiandola come una pietra preziosa.

< Cora... > Mormorò.

< S-sì? > Rispose lei in un sussurro.

Ma invece di terminare la frase, incontrò la sua bocca con irruenza, lasciandola senza fiato.

< Ti amo anch'io. > Sussurrò alla fine affannosamente.

< E me lo dici così? Adesso? > Lo scimmiottò, sorridendo.

Jake le baciò la fronte con dolcezza e le fece poggiare nuovamente i piedi a terra, abbracciandola l'istante successivo, stringendola con così tanta forza, che a Cora mancò quasi il respiro.

< Dobbiamo festeggiare. > Asserì, allentando la presa e guardandola negli occhi.

< Festeggiare? Cosa, un ti amo? > Abbassò lo sguardo, giocherellando con uno dei bottoni della camicia di lui, fingendo disinteresse.

< Beh, è la nostra prima, vera dichiarazione d'amore. > Rispose, stringendo tra le dita una ciocca dei suoi capelli rossi, lisciandola come se fosse stata un nastro.

< Non ti facevo così romantico! Da quando si festeggiano queste cose tra innamorati? > Scherzò, facendolo ridere.

< Voglio solo andare a cena, Cora, non ho intenzione di spargere petali di rosa al tuo passaggio, se è questo che temi. > Le pizzicò una guancia, mentre lei la gonfiava in una smorfia, come uno scoiattolo intento a fare provviste, facendolo desistere dal suo intento.

< E non disegnerai un cuore di petali sul letto, vero? > Lo pungolò con il dito indice al centro del petto, minacciandolo.

< No, non lo farò. > Alzò le mani in segno di resa, divertito.

< E non mi riempirai di peluche? > Continuò lei, costringendolo ad indietreggiare.

Jake scosse la testa.

< Nè di cioccolatini? > Insistette.

< Te lo prometto. > Si posò una mano sul cuore con aria solenne.

< Bene, allora vada per la cena. > Sorrise, abbandonando il cipiglio minaccioso.

Jake sospirò di sollievo, controllando l'orologio.

< Temo che la pausa sia terminata; vuoi che ti faccia accompagnare a casa? > Le chiese gentile, sistemandosi meglio la camicia e i jeans.

< Michelle ha la macchina, perciò... > Fece spallucce, osservandolo attenta.

< D'accordo, allora ti passo a prendere più tardi. > Le si avvicinò, poggiando entrambe le mani sui suoi fianchi e chinandosi appena per raggiungere le sue labbra.

Cora lo osservò aprire la porta e sorriderle.

< Grazie per avermi portata qui, oggi. > Disse prima che lui potesse scomparire del tutto.

Jake le rispose con un occhiolino, facendola sorridere e sospirare di felicità non appena si fu richiuso la porta alle spalle.

 

Quella sera, quando, aprendo il portone, piuttosto che il suo viso, si ritrovò davanti un enorme mazzo di rose rosse, non seppe se ridere per il gesto sconsideratamente esagerato, oppure piangere perché aveva infranto la promessa del niente carinerie. 

< Questi puoi accettarli, vero? > Le domandò da un punto imprecisato dietro il mazzo.

Cora decise di ridere e arrossì anche, accettando le rose, che lui la aiutò a portare fino alla macchina, dove le sistemarono sui sedili posteriori affinché non si rovinassero.

< Grazie per le rose, sono bellissime, ma non dovevi. > Esordì mentre si allacciava la cintura di sicurezza.

< Non dovevo, volevo, il che è diverso. > Rispose, sorridendole e mettendo in moto.

Ora poteva dirlo con certezza: era davvero la ragazza più fortunata del mondo.

 


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Capitolo 4
*** Independence Fear ***


Buonasera, ragazze!

Come state? Spero bene, come spero che le vostre vacanze stiano procedendo nel migliore dei modi e non come le mie, a casa a ri-pitturare casa :D

A parte queste notizie di scarso interesse, volevo pubblicare questa Shot diverse settimane fa, prima del 15, ma poi ho avuto degli imprevisti e per una settimana e più non sono riuscita a toccare il pc per rileggere il capitolo o pubblicarlo, ma ieri ho deciso che l'avevo fatta maturare sin troppo e così, eccomi qui ad aggiornare (poveri voi :D).

Che dire? Cora è sempre la solita, Jake anche; ordinaria amministrazione per questi due *.*

 

Prima di abbandonarvi alla Shot, volevo, come sempre, ringraziare le fantastiche persone che commentano, che inseriscono la Raccolta tra i preferiti/seguiti/da ricordare e anche tutti quelli che leggono soltanto *.* *.* *.* Lo dico sempre, continuo a scrivere anche grazie a voi e al vostro sostegno, che per me è importante, perciò non sottovalutate i commenti per gli autori, perché sono il motore che spingono ogni scrittore, fosse anche il più famoso, a fare sempre meglio e a non deprimersi <3

Spero di pubblicare presto la prossima Shot e di non farvi attendere troppo, ma nel frattempo, Buona Fine delle vacanze e, al solito...

 

 

 

 

 

... Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4. Independence Fear

 

 

 

< Ripetimelo: perché dobbiamo fare tutta questa palestra? > Michelle stava goffamente scendendo dalla cyclette sulla quale si era applicata nell'ultima mezz'ora, dopo una seduta di aerobica che le aveva distrutto i muscoli della schiena e delle braccia, con le gambe molli e la bottiglia di Gatorade già a metà strada verso le sue labbra aride.

< Per tenerci in forma, no? Non hai sempre detto che sedute tutto il giorno ad una scrivania fa male? Che ci voleva un po' di movimento, di sport? > Le rispose con il fiatone Cora, abbandonando anche lei il tapis roulant e accasciandosi su una panca lì vicino, mezza morta.

Michelle fece una smorfia.

< Non intendevo così tanto sport, però. > Bevve un altro sorso dalla bottiglia di plastica, sospirando di stanchezza l'istante successivo.

Cora la imitò, gettando un'occhiata allo stato in cui versavano la sua maglietta e i suoi pantaloncini, completamente fradici di sudore, per non parlare dei capelli.

Aveva assolutamente bisogno di una doccia.

Non fece neanche in tempo a pensarlo, che le squillò il cellulare nelle orecchie; aveva dimenticato di togliersi le cuffie dopo aver terminato la playlist che aveva appositamente scaricato la sera prima per quella sessione di ginnastica.

Le staccò via in malo modo e fece scorrere il dito sul tasto rispondi.

< Sì? > Aveva ancora l'affanno.

< Brutto momento? > Jake. Perché doveva telefonarle proprio mentre aveva il fiatone, era madida di sudore (non che lui potesse vederla, comunque), ed era così stanca che avrebbe volentieri evitato qualsiasi forma di comunicazione verbale almeno fino al mattino successivo?

Arrossì e Michelle le fece segno di avviarsi verso gli spogliatoi.

Cora annuì e aspettò che si fosse allontanata di qualche passo prima di rispondere.

< No, no, sono in palestra. > Farfugliò.

< Ti prepari per la prossima maratona? > Scherzò lui e Cora lo sentì ridere, di quella sua risata così piena e coinvolgente, che si trovò a sorridere anche lei.

< Non si sa mai, meglio essere preparati. > Gli resse il gioco.

< Questo è l'atteggiamento giusto, Coraline, devi assumerlo come tuo mantra ufficiale per i momenti difficili. > Era ritornato serio, ma Cora sapeva che c'era sicuramente qualcosa sotto.

< Quali momenti difficili? > Domandò, aggrottando le sopracciglia.

< Quelli che arriveranno... > Si schiarì la voce e Cora assunse un cipiglio sospettoso.

Lo conosceva da poco più di un mese e non poteva certo dire di essere arrivata a sapere tutto di lui (ma quasi, le ricordò la sua coscienza), ma capiva quando stava tergiversando e aveva paura di arrivare al nocciolo della questione.

< Ovvero? > Continuò lei, non dandosi per vinta.

< Beh... ecco... potreiaveraccidentalmenteconfermatolatuapresenzaallacenadifamigliadidomanisera. > Lo disse tutto d'un fiato; d'altronde, via il dente via il dolore, non era così che si diceva?

Cora sgranò gli occhi, industriandosi per capire se si trattasse di uno scherzo. La verità era che non aveva per nulla afferrato la confessione di Jake.

Rimase in silenzio per diversi minuti, tanto che Jake credette di averle appena fatto venire un infarto, tra la ginnastica e la sua rivelazione, mentre Cora stava soltanto cercando di dare un senso all'ammasso di parole che aveva sentito.

< Cora? Sei ancora lì? > Tentò con timore.

< Sì, sì, certo, sono ancora qui. > Rispose assente.

< Allora? > La sollecitò.

< Allora, cosa? > Era una telefonata senza senso quella, non poteva definirla in nessun altro modo e stava cominciando ad innervosirsi, specialmente perché l'unica cosa che voleva fare era lanciarsi sotto il primo getto d'acqua disponibile per lavare via il sudore e la stanchezza.

Jake si schiarì di nuovo la voce, esasperato.

< Ti ho appena confessato che ho dato accidentalmente conferma della tua presenza alla cena di famiglia di domani sera e tu non dici niente? > Scandì lentamente, rassegnandosi già all'idea di dover telefonare di nuovo a sua madre per disdire il posto in più e di doversi sorbire le occhiate maliziose di Maggie che in quell'ultimo periodo non faceva che pungolarlo sulla fantomatica ragazza che aveva cominciato a frequentare, complici anche le riviste di gossip e i paparazzi che avevano ripreso lui e Cora di frequente in quell'ultimo periodo, ricamando su foto assolutamente banali.

Doveva ammetterlo, Cora gli piaceva: era una ragazza con la testa sulle spalle, simpatica, premurosa, gentile, divertente... insomma, assolutamente fantastica. Le aveva promesso che ci sarebbero andati piano, che non si sarebbero fatti prendere dalla frenesia del tutto e subito, ma quando sua madre l'aveva invitato a cena non era riuscito a frenarsi e le aveva chiesto di aggiungere un posto in più per una sua amica.

Nemmeno i muri si sarebbero bevuti una stupidaggine del genere, specialmente perché Jake voleva essere tutto per Coraline, meno che solo un amico e, ovviamente, non se l'era bevuta neanche sua madre, che aveva cominciato il suo terzo grado, composto essenzialmente da lei che faceva domande su domande e lui che non rispondeva, estraniandosi. Routine.

Fu Cora a schiarirsi la voce quella volta, riportandolo bruscamente alla realtà della loro conversazione.

< Dici sul serio? Io? A casa tua? A cena con la tua famiglia? > Non aveva potuto impedire il fiume di tutte quelle domande ovvie, sciocche e assolutamente banali.

< Sì, perché no. > Fece spallucce, anche se Cora non poteva vederlo.

< Ma... no... cioè... non voglio dire che non sia una bella proposta, ma... ehm... non è un po' presto per le presentazioni ufficiali? > Arrossì ancora e utilizzò come ventaglio la mano libera dal cellulare, cercando di darsi un contegno.

< Ma io ho già incontrato tua madre! > Borbottò lui, quasi offeso.

Presto?!? Non era presto! Era già passato un mese! Un mese e sedici giorni, per la precisione, da quando avevano cominciato a frequentarsi dopo quel ridicolo e imbarazzante incontro al pub in cui lei ci aveva quasi rimesso una caviglia e l'orgoglio.

< Beh, è successo per caso e non avevo idea che saresti passato da casa mia prima di raggiungere il set! > Rispose in sua difesa.

< D'accordo, sì, è successo per caso, ma è successo e adesso la conosco, perciò la sostanza non cambia. Cos'è, hai l'esclusività sui genitori? Io posso conoscere i tuoi, ma tu non puoi conoscere i miei? > La prese in giro e Cora quasi se lo figurò sorridere.

Sorrise di conseguenza, perché non riusciva davvero ad arrabbiarsi con lui, era praticamente impossibile, ed erano al telefono! Dal vivo era anche peggio.

< Non essere sciocco, non è così. > Sospirò.

< E allora com'è? > Le domandò, ritornando serio.

Cora sospirò ancora, osservandosi la punta consumata delle scarpe da tennis nere che aveva ai piedi.

< Mi avevi promesso che ci saremmo andati con calma, che non avremmo corso... Insomma, magari non è il caso di insinuare false speranze... > Mormorò, quasi vergognandosi.

Non era quello il vero problema; lo sapeva lei e lo sapeva anche Jake.

Non temeva il loro giudizio, perché sapeva che, in fondo, la scelta su chi era più adatta a condividere una vita con lui, era di Jake e, anche se all'inizio aveva avuto non poche difficoltà nel capacitarsi di come una star avesse trovato interessante proprio una comune ragazza come lei, adesso ci aveva fatto l'abitudine e non aveva più improvvisi cali di autostima.

Non era neanche il fattore interazione che la preoccupava. Era sempre andata d'accordo con tutti i genitori dei suoi ex ragazzi e non vedeva perché sarebbe dovuta andare male proprio con quelli di Jake, anche se, beh, un po' di nervosismo c'era all'idea.

Aveva semplicemente paura di fare il passo più lungo della gamba e di cadere rovinosamente, ferendosi.

Non era sicura che Jake fosse il ragazzo giusto, anche se il suo cuore le suggeriva il contrario; non era sicura che lei fosse la ragazza giusta per lui, così estranea al suo mondo; non era sicura di essere pronta per un passo del genere, anche se non era una proposta di matrimonio e non era sicura neanche di quello che gli stava dicendo in quel momento.

Aveva paura di ferirlo, di deluderlo con il suo atteggiamento sempre sulla difensiva.

< Non voglio parlarne al telefono, perché non ti cambi e mi raggiungi a casa? Ti aspetto, ordino una pizza e cerchiamo di riordinare le idee, cosa ne pensi? > Le propose, cercando di non sembrare triste o deluso dal suo temporaneo rifiuto.

< D'accordo, faccio il più in fretta possibile. > Interruppe la chiamata e quasi corse verso gli spogliatoi.

 

 

Era confusa e l'unica cosa che le avrebbe permesso di non scoppiare a piangere come una bambina era un suo abbraccio, per questo aveva salutato in fretta Michelle, accampando un impegno con Jake che aveva dimenticato, si era infilata svelta in macchina dopo aver lanciato il borsone sui sedili posteriori e, una volta al volante, si era immessa senza esitazioni nel traffico di New York.

Aveva acceso anche la radio, credendo che la musica l'avrebbe aiutata a rilassarsi, a sciogliere il nodo di tensione che aveva preso vita nel suo stomaco, ma non era servito a nulla e, scesa dalla macchina dopo aver parcheggiato, diretta al loft di Jake, aveva le gambe che le tremavano e l'insensata voglia di rannicchiarsi in un angolo e piangere per la sua debolezza e fragilità ingiustificata.

Quando bussò aveva il fiatone, i capelli ancora umidi dalla doccia e gli occhi liquidi.

Jake non ebbe neanche il tempo di aprire interamente la porta, che Cora gli era già volata in braccio, cogliendolo alla sprovvista e rischiando di trascinare entrambi a terra.

< Ehi, che succede? > La strinse a sé, accarezzandole la schiena e i capelli.

< Sono una buona a nulla. > Singhiozzò con il viso nascosto sulla sua spalla.

< E perché? Perché non vuoi conoscere la mia famiglia? > Alzò gli occhi al cielo, allontanandola da sé e asciugandole le lacrime.

Cora tirò su col naso per tutta risposta.

< Non essere sciocca! La mia era solo una proposta; se non ti va, non è un problema, ci sarà tempo anche per quello. > Le sorrise rassicurante, aiutandola a disfarsi del giaccone e della sciarpa.

< Non è che non voglia conoscere la tua famiglia, ho paura di conoscerla. > Smise di piangere e lo seguì in cucina.

La pizza che aveva ordinato era già arrivata e Jake provvide con maestria a dividerla in spicchi e a recuperare un paio di bottiglie di birra dal frigo, porgendone una a Cora.

< Mia madre non morde, mia sorella a volte sì, ma ti assicuro che le farò una ramanzina e si comporterà come deve. > Prese posto sullo sgabello accanto a lei, sorridendole.

Non voleva metterle pressione; conoscere i genitori del tuo compagno/compagna è sempre fonte di nervosismo e insicurezze. Anche lui, quando aveva conosciuto la madre di Cora, anche se per caso e del tutto inaspettatamente, aveva avuto paura: paura di non piacerle, paura di essere etichettato come il classico attore hollywoodiano di successo che, nonostante tutte le ragazze che avrebbe potuto permettersi, aveva deciso di importunarne proprio una tranquilla e perbene come Cora, probabilmente con il solo scopo di rovinarle la vita quando si sarebbe stufato di lei e le avrebbe preferito una del suo stesso ambiente; paura di dire la cosa sbagliata, di fare una figuraccia, paura di mettere Cora in imbarazzo con l'unica famiglia che le era rimasta e paura di leggere negli occhi della madre di lei la disapprovazione e lo sdegno.

Insomma, era normale sentirsi così e Cora non doveva averne paura.

La osservò ridere alla sua risposta.

< Sono anche una sua grande fan. > Commentò.

< Ah, sì? C'è qualcuno della stirpe Gyllenhaal di cui tu non sia fan? > La prese in giro, scompigliandole i capelli con la mano libera dalla seconda fetta di pizza.

< Sì, probabilmente i tuoi bis-bis-bis-nonni. Non credo di averli mai conosciuti. > Rispose con una linguaccia.

< Dovrò farti avere un album di loro foto, allora. E' inconcepibile che tu non sappia chi siano. > Jake la guardò scandalizzato, prima di scoppiare a ridere, trascinando anche lei.

< E poi ci saranno le mie nipoti, che adorerai e sicuramente mia madre tirerà fuori qualche aneddoto imbarazzante su di me, se non verrà anticipata da mia sorella e quindi, vedi? Non puoi proprio mancare. > Continuò.

Cora bevve un sorso di birra dalla bottiglia, approfittandone per decidere il da fare.

< D'accordo. > Rispose alla fine, mettendo giù la bottiglia e sorridendo. < Mi hai convinta, ma sappi che ci vengo soltanto per ascoltare gli aneddoti imbarazzanti su di te. > Continuò, prendendolo in giro.

< Sapevo che quello ti avrebbe convinta, d'altronde, sei un'inguaribile curiosa. > La apostrofò.

< Io?!? Ma se sei tu che hai approfittato del fatto che ti abbia lasciato solo in casa mia per neanche un'ora per sbirciare tutte le foto nella mia stanza, i titoli di tutti i libri e i dvd che posseggo, rovistare nei cassetti della mia biancheria intima e leggere il diario segreto di quando avevo dodici anni! > Lo accusò, puntandogli un dito contro.

< Non è colpa mia! Lasciare un diario segreto senza lucchetto è da irresponsabili! E poi non ho rovistato nei cassetti della tua biancheria intima! Quando ho aperto l'armadio, erano semi-aperti e ci ho buttato un occhio, tutto qui. > Arrossì, difendendosi.

< Sei un bugiardo, erano tutti in disordine! > Gli lanciò un'occhiata fulminante, alla quale Jake si arrese.

< Ok, d'accordo, magari ci ho rovistato un pochino... > Ammise.

Cora smise la sua espressione severa e alzò gli occhi al cielo, alzandosi l'istante successivo per prendere posto sulle sue gambe, allacciandogli le braccia al collo e baciandogli una guancia.

< E non hai trovato niente di interessante? > Si divertiva a metterlo in imbarazzo, doveva ammetterlo.

< Solo un mucchio di slip e canottiere da puritana. > Le fece una linguaccia.

< Ehi! Che maleducato! > Gli schiaffeggiò un braccio a cui lui rispose facendole il solletico sulla pancia, il suo punto più delicato.

< Il solletico è scorretto, non vale! > Protestò.

< E chi lo dice questo, tu? > Le alzò la maglietta il tanto necessario ad infilarci le dita e a solleticarla e Cora scattò in piedi, nascondendosi al lato opposto della penisola circondata da sgabelli.

Jake la raggiunse, e lei corse via con un urletto agitato, trovando rifugio dietro l'attaccapanni vicino alla porta d'ingresso.

Jake continuò ad inseguirla e Cora continuò a nascondersi per diversi minuti, fin quando, volendo nascondersi nella camera degli ospiti, trovò la porta chiusa a chiave, cosa che le fece perdere tempo prezioso, permettendo a Jake di raggiungerla e metterla alle strette, intrappolandola con il suo corpo contro la parete che divideva la zona giorno dalla zona notte.

Le intrappolò i polsi e le pizzicò un fianco, facendola sussultare.

< Non vale. > Mormorò lei, distratta dai suoi occhi azzurri che la stavano osservando attentamente.

< Io dico di sì. > Mormorò lui in risposta, occhieggiando alle sue labbra che sapeva essere morbide.

Fu Cora ad arrendersi per prima, baciandolo con trasporto, accarezzandogli i capelli, stringendosi a lui.

< Questo bacio vale come sì di conferma alla cena di domani sera? > Le domandò quando si furono separati.

Cora annuì, baciandolo di nuovo.

< Ti fermi a dormire da me, stanotte? > La abbracciò, torturandole il collo e l'orecchio di baci.

< Mm. > Riuscì solo a rispondere lei, abbandonatasi alle sue carezze gentili.

< E mi permetti di accompagnarti al lavoro, domani mattina. > Non era una domanda, era un ordine, perché Cora su quel punto non aveva mai voluto sentire ragioni: aveva la sua macchina e aveva la patente, poteva guidare; questo Jake non l'aveva mai messo in dubbio, ma per una volta voleva che lo lasciasse comportarsi come un fidanzato qualunque, voleva che gli permettesse di passare a prenderla per la pausa pranzo e poi a fine giornata. Se lei si preoccupava dei paparazzi, di quello che avrebbero potuto scrivere i giornali su di lui, vedendola con lei (non una ragazza famosa, non una top-model, non un'attrice, ma semplicemente LEI), Jake si preoccupava soltanto di quello che l'avrebbe resa felice e vedeva come le si illuminavano gli occhi quando lo trovava lì ad attenderla per accompagnarla a pranzo, o a casa.

< Ma non posso lasciare la macchina qui. > Borbottò lei come previsto.

< Sì che puoi. Potrai sempre riprenderla domani sera. > La osservò supplichevole, sperando almeno di muoverla a compassione.

Cora sospirò.

< E va bene, ma solo domani. > Puntualizzò, baciandogli un angolo della bocca e divincolandosi dal suo abbraccio.

< Ai suoi ordini, Miss Independence. > Eseguì il saluto militare, facendola ridere e scuotere la testa esasperata, costringendola a prenderlo per mano e a trascinarlo in salotto.

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Capitolo 5
*** Not Perfect, But Right ***


Buooonasera, gioie!!! <3

Non sono morta, non sono finita in una dimensione spazio-temporale, non ho noleggiato un Tardis per muovermi a mio piacimento nel passato e nel futuro; se avete pensato ad almeno una di queste possibilità, mi spiace deludervi, ma no, sono ancora tra voi.

Sono stata solo mortalmente impegnata con lo studio e la tesi e l'ultimo esame da dare per la triennale (che darò settimana prossima, sperando sia la volta buona) e con la lista infinita di libri da leggere e ancora con la tesi, con il prof. che non si trova mai e tutta una serie di mortalmente inutili questioni di una ragazza universitaria mezza esaurita.

Per una serie di ovvietà, la scrittura è finita all'ultimo posto di questa gigantesca lista (sebbene io vorrei fosse sempre al primo); in realtà, la shot che mi appresto a postare era pronta da diversi mesi, ma non so per quale astruso motivo del mio precario cervello, non me la sono mai sentita di inserirla su EFP.

Cosa avrò di strano? Vi starete chiedendo.

Beh, se lo scoprite, fatelo sapere anche a me prima che diventi matta :D

Ho un'altra shot pronta per voi che penso di postare la settimana prossima, sempre di mercoledì/giovedì massimo.

Per chi di voi segue anche Three Stones dico solo: non mollate, non ho abbandonato la storia, sono solo in pausa di riflessione (credo) e ho un blocco che non riesco a mandar via, ma ce la farò, è solo questione di tempo ;)

Anzi, colgo l'occasione per ringraziarvi tutte, senza distinzioni tra lettrici, commentatrici, voi che inserite tra le preferite/da non dimenticare/seguite, per la vostra pazienza e (spero) per il vostro sostegno a favore di questa Raccolta.

Un immenso grazie va, ovviamente, a Cris di Love_in_London_night perché è stata lì a spronarmi di scrivere su Jake Gyllenhaal ed io (ed il mio neurone) le abbiamo dato retta, perché commenta sempre e mi scrive cose dolcissime e meravigliose che non sono certa di meritare appieno e perché è bravissima e tutte le sue storie meritano di essere lette *.*

Vi lascio alla Shot, promettendovi che sarò più celere negli aggiornamenti non appena mi laureerò (SE mi laureerò) e, soprattutto, è l'ultima volta che sentirete Cora discutere con Jake di verginità :D

 

Buona continuazione di settimana, Buon San Valentino (per chi lo festeggia e chi lo odia) e, al solito...

 

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5. Not Perfect, but Right

 

 

Cora quella mattina si svegliò al suono insistente della sveglia, subito interrotta dalla voce petulante di un non precisato speaker radiofonico intento ad annunciare il successo musicale del momento.

Mugugnò infastidita, nascondendo la testa sotto il cuscino pur di non sentire la musica, continuando a mantenere gli occhi chiusi nel tentativo di riprendere a dormire.

Era il suo giorno libero, perché avrebbe dovuto svegliarsi alla solita ora?

Aveva fatto le ore piccole le sere precedenti, impelagata nella contabilità completamente sottosopra dell'azienda per cui lavorava, bevendo litri di caffè pur di rimanere sveglia, sopportando le urla isteriche del suo capo la mattina in ufficio, urla che le erano rimbombate in testa fino a qualche ora prima, riuscendo a malapena a dormire le ore sufficienti per riuscire a stare in piedi, se di sonno si poteva parlare, considerate le enormi quantità di caffeina ingerite durante la giornata.

Si era perfino sorbita i rimproveri di Jake, che quando rientrava dalle riprese la trovava in salotto sommersa dalle carte, il computer in precario equilibrio su un cuscino, gli avanzi della misera cena che si era concessa e l'immancabile tazza di caffè. Secondo lui lavorava troppo e nessuno le attribuiva il giusto merito; lei, che ci era abituata, faceva spallucce, minimizzando la cosa con la scusa che lo faceva per passione, non per ricevere meriti o elogi, una scusa che Jake rispettava e capiva, ma non se si finiva per annullare se stessi pur di portare a termine il compito.

Aveva anche cercato di farle compagnia nei suoi orari assurdi, ma stanco delle riprese e delle interviste, finiva puntualmente per addormentarsi sul divano, con il ciarlare della televisione in sottofondo. Cora lo svegliava quasi subito, invitandolo ad andare a letto, perché lei ne aveva ancora per molto e, sebbene cercasse di convincerla a fare lo stesso, finiva sempre per cedere alle sue resistenze, le accarezzava i capelli, baciandole un angolo della bocca, e andava a dormire.

Quando la sentiva intrufolarsi sotto le coperte erano sempre le tre di notte passate e allora sospirava rassegnato, si voltava verso di lei e la stringeva a sé, sperando che il suo calore le conciliasse il sonno.

Quella mattina, tuttavia, non aveva lavoro da sbrigare, le scartoffie le aveva lasciate in ufficio, ed era il suo giorno libero (c'era bisogno di ripeterlo?), perciò voleva solo dormire in pace.

Il suono indistinto e fastidioso della radio si interruppe bruscamente; il silenzio la rilassò all'istante, finché non avvertì un braccio circondarle la vita, mentre veniva liberata dal peso del cuscino sulla testa e riguadagnava la posizione nella quale sapeva di essersi addormentata la sera prima: sul fianco destro.

Jake le riordinò i capelli sulla fronte e Cora automaticamente si accoccolò contro di lui, facendolo sorridere.

< Scusa per la sveglia. > Le mormorò, baciandole i capelli.

Cora sospirò, scuotendo la testa e sorridendo appena, facendogli capire che non era importante, che lo perdonava.

< Non dovresti essere sul set? > Biascicò appena, ancora insonnolita, solleticandogli appena la pelle della gola con il respiro.

< Se non mi vuoi intorno, me ne vado, eh! > Scherzò, muovendosi come per alzarsi.

Cora socchiuse gli occhi per inquadrarlo meglio nella penombra della stanza e gli si schiacciò addosso, impedendogli qualsiasi movimento.

< Era solo un'osservazione. > Precisò, riuscendo finalmente ad aprire completamente gli occhi, incollando lo sguardo a quello di lui, divertito e brillante come sempre.

< Facciamo una pausa di qualche giorno. > Spiegò, accarezzandole i capelli e poi la schiena in una lenta carezza.

< Beati voi. > Sospirò di nuovo, spostandosi nella posizione precedente per non pesargli addosso e stare più comoda.

Sbadigliò, stiracchiandosi nel tepore delle coperte.

< Ho promesso alle bambine di portarle alle giostre, perché non ti aggreghi anche tu? Un po' di svago ti farebbe bene. > La abbracciò, incontrando le sue labbra l'istante successivo.

< Noi e le bambine? > Domandò ovvia quando si furono separati, cominciando ad accarezzargli i capelli.

Jake annuì, osservandola attento.

< Non sarebbe proprio il massimo della tranquillità... > Osservò.

Adorava Ramona e Gloria, ma star loro dietro era tutt'altro che rilassante e non era sicura di riuscire a reggere la loro esuberanza, non quel giorno, non con tutte quelle ore di sonno che le pesavano sulle palpebre e sul cervello.

< Lo so, ma non penseresti al lavoro, alle pratiche, ai conti da far tornare... > La baciò di nuovo, sperando di riuscire a convincerla.

< Se mi rimetto a dormire, non ci penserò ugualmente. > Gli fece una linguaccia, furba, facendogli capire che non sarebbero stati certo i suoi baci a farla capitolare.

< Ma ti perderesti tutto il divertimento! > Protestò lui di rimando.

< Ovvero? Tu che insegui le bambine ovunque e cerchi di farti ubbidire, per poi vederti fallire miseramente, perché non riesci proprio a dir loro di no? > Descrizione quantomeno appropriata di quelle che erano state alcune loro serate passate in compagnia delle nipoti di Jake in un luogo pubblico, pieno di attrazioni per i bambini, dove non ti era consentito neanche distrarti un attimo, se non volevi perderle nella folla, visto che rifiutavano di darti la mano per camminare insieme e non facevano che scappare alla prima cosa interessante che vedevano, senza minimamente preoccuparsi di avvisare.

< Vuoi dire che sono un viziatore? > Si scostò da lei, offeso.

< Sei innamorato perso di loro, è diverso. > Gli rispose con un sorriso.

< Ed è una... brutta cosa? > Chiese candido.

< Non lo è, anzi, è bellissimo vedere come siete legati, ma la dai loro vinta troppo spesso e ho perso il conto di quante volte Maggie ti abbia rimproverato al riguardo. > Spiegò.

< Loro non fanno altro che dire no, questo non lo puoi fare, questo nemmeno... è noioso! > Fece una smorfia.

< I no aiutano a crescere. > Lo guardò con aria saccente, fingendosi quella che non era, una so-tutto-io.

< Psicologa dei miei stivali... > La rimbrottò, facendole il solletico.

Quando vinse, mettendola al tappeto (al materasso sarebbe più appropriato), intrappolandole i polsi sul cuscino, insinuandosi tra le sue gambe schiuse, Cora, ancora con la ridarella e il respiro affannato, si beò del suo sguardo azzurro, limpido come l'oceano, non tentando neanche di liberarsi dalla sua presa, gentile ma ferma.

< Non avrai intenzione di dirmi di no? > Le sembrò quasi minaccioso, nello sguardo e nella voce.

< Sono stanca, non ho le forze per star dietro a due bambine in un parco giochi. > Cercò di sistemargli i capelli in disordine, liberandosi dalla sua stretta.

< Ti prego! Sono giorni che non usciamo insieme e ho voglia di trascorrere una serata con te... > Diventò esplicito, cominciando a baciarla con ardore, tanto da lasciarla sorpresa.

< Jake... > Mormorò tra un assalto e l'altro, aggrappandosi alle sue spalle.

La stanchezza le sembrava così lontana in quel momento...

Avrebbero potuto trascorrere quella giornata insieme, la prima dopo settimane; avrebbero finalmente condiviso gli stessi spazi e Cora avrebbe ripreso confidenza con il suo lato dolce e giocherellone, quello che apprezzava di più in lui, quello che la sorprendeva mentre lavava i piatti, abbracciandola da dietro per baciarle una guancia con delicatezza; quello che le sistemava i capelli mentre lei lavorava al computer, inventandosi le acconciature più strambe che, puntualmente, si disfacevano dopo pochi minuti; quello che le rubava il cibo dal piatto mentre lei era distratta; quello che, abitualmente, scambiava il libro che stava leggendo lei con il suo e si divertiva poi ad osservare la sua espressione smarrita quando riprendeva dal punto in cui credeva di essersi fermata; quello che, se le preparava il the, ci aggiungeva sempre un cucchiaio di zucchero, anche se lei preferiva il miele e che se la vedeva storcere la bocca in una smorfia di disgusto, le rubava la tazza e il the lo finiva lui; quello che trovava indaffarato ai fornelli quando rientrava dal lavoro e che le proibiva anche solo di annusare la cena; quello che, prima insisteva per scegliere il film da vedere e poi si addormentava con la testa sulla sua spalla, costringendola a sorbirselo da sola; quello che nel sonno, a volte, le diceva che l'amava; quello, insomma, che aveva imparato a conoscere durante quei nove mesi di relazione e che lei amava.

< Posso dimenticarmi del fatto che sei vergine? > Le mormorò, prendendola in giro.

< Io non sono vergine! Smettila! > Lo tempestò di pugni sul braccio, diventando rossa in viso come un pomodoro maturo.

< Potrei verificare di persona, sai, ho un certo talento con le parti anatomiche dell'altro sesso... > Non finì neanche di parlare, che Cora gli si lanciò addosso come un cane pronto ad azzannare, colpendolo in qualsiasi punto riuscisse a raggiungere, facendolo ridere sguaiato.

< Ok, ok, ok! Basta! > La pregò con il fiatone, pesandole addosso per impedirle di muoversi.

< Sei un pervertito! > Lo accusò, cercando di divincolarsi.

< Ehi, ma quanta furia! Era un modo come un altro per dirti che mi sarebbe piaciuto fare l'amore con te. > Minimizzò.

< Beh, a me non sembrava affatto un modo come un altro! > Sbottò, tentando ancora di sottrarsi al suo peso.

Jake se la trascinò dietro quando cambiò posizione, mettendosi seduto tra le coperte, le gambe di Cora a cingergli la vita.

< Sei bellissima quando ti arrabbi. > Le sorrise dolce, riordinandole i capelli e baciandole la punta del naso.

< Tu invece non lo sei affatto quando fai lo stronzo. > Gli fece una linguaccia, mordendogli il mento.

Jake alzò gli occhi al cielo, alzandosi mantenendola ancora abbarbicata a sé.

< D'accordo, ho recepito il messaggio. > Camminò fino al bagno, aprendo la porta e avanzando di qualche passo per raggiungere il primo piano d'appoggio disponibile.

La mise a sedere nello spazio che divideva i due lavabo, come si farebbe con una bambina, e le sorrise.

< Cosa hai intenzione di fare? > Gli chiese, dondolando le gambe.

Non le rispose, mettendole direttamente in mano un rasoio.

< Vuoi che ti faccia la barba? > Domandò sorpresa.

Jake annuì soltanto, recuperando la schiuma da barba e un asciugamano pulito.

Cora gli aveva chiesto così tante volte di poterlo fare, che ne aveva perso il conto e gli sembrava giusto farsi perdonare facendole fare qualcosa per cui lui si era sempre rifiutato.

Non che non si fidasse di lei, ma avrebbe impiegato il doppio del tempo che solitamente impiegava lui e spesso andava di fretta, aveva appena modo di bere un caffè.

< Perché proprio adesso? > Continuò lei, rigirandosi attonita il rasoio tra le dita.

< Perché abbiamo un sacco di tempo a disposizione e perché voglio farmi perdonare. > Le rispose ovvio, spalmandosi la crema da barba con attenzione, osservandosi allo specchio davanti a lui.

Cora abbassò lo sguardo sulle sue gambe penzoloni, nude se non teneva conto dei pantaloncini che indossava a mo' di pigiama, e arrossì come una sciocca.

Jake si sciacquò le mani dalla schiuma, le asciugò e le si posizionò di fronte, facendole schiudere le gambe per sistemarsi tra esse, avvicinando i loro bacini perché la differenza di altezza non le creasse fastidio nei movimenti.

< Jake, io non... non l'ho mai fatto... > Arrossì di nuovo, il braccio sospeso a mezz'aria con il rasoio in mano.

< Non è così difficile. > Le prese la mano, guidandola verso la sua guancia. La lama del rasoio lo fece rabbrividire, ma non si mosse.

< Basta farlo scivolare lentamente, senza troppa pressione. > Le spiegò, continuando a guidarla.

Dopo la prima passata Cora si sentiva piuttosto sicura di sé nel continuare da sola, così Jake fece scivolare entrambe le mani intorno alla sua vita, evitandole di scivolare accidentalmente dal ripiano.

Nonostante il rossore non avesse abbandonato affatto le sue guance, Cora era talmente concentrata sull'azione che stava svolgendo, che aveva smesso di preoccuparsene.

Mentre ripuliva Jake dall'accenno di barba di due giorni prima, pensava soltanto a non fargli male, a non tagliarlo.

Cercava di ignorare lo sguardo penetrante di lui, le sue mani intorno alla vita che la accarezzavano gentili, il pensiero che Jake volesse fare l'amore con lei.

Glielo leggeva negli occhi che la desiderava, lo capiva dal modo in cui la baciava, e non solo quella mattina, dal modo in cui sembrava sempre cercare una scusa per sfiorarla, per non perdere il contatto con lei.

Lo desiderava anche lei, ma continuava ad allontanarlo, a fingersi offesa perché lui continuava a prenderla in giro con la storia della presunta verginità.

Che poi, lei vergine lo era davvero.

Aveva avuto solo due ragazzi nei suoi ventisette anni di vita: il primo a sedici anni; sebbene lui aveva insistito più volte per convincerla a fare l'amore, lei non ne aveva voluto sapere, quindi lui aveva piantato le tende da qualcun'altra, con sommo disappunto di Cora.

Il suo secondo ragazzo l'aveva conosciuto tre anni prima e le era stato presentato da una collega di lavoro.

Non l'aveva mai forzata sotto quel punto di vista, si era sempre dimostrato paziente e comprensivo e quando Cora l'aveva scoperto a letto con quella che lui aveva sempre definito solo un'amica, aveva anche capito il perché.

Poi aveva avuto l'incredibile fortuna di conoscere Jake e le sue insicurezze, quelle che aveva sempre finto di non avere, quelle che, apparentemente, non le avevano mai causato grossi problemi, avevano ripreso forma, mandandola in paranoia.

Per la prima volta avrebbe davvero voluto fare l'amore con un uomo e, per la prima volta, si ritrovava incapace a lasciarsi andare.

Cercava di non pensarci, cercava di ripetersi che sarebbe accaduto quando sarebbe stata pronta, che non era una corsa contro il tempo e che Jake l'avrebbe aspettata, ma non riusciva a non pensare al fatto che quello che era successo con il suo ex ragazzo-il tradimento, la vergogna, la sensazione di essere lei quella sbagliata-sarebbe potuto succedere anche con Jake e lei non voleva far naufragare così la loro relazione.

< Cora? Cora! > Ritornò bruscamente al presente, rendendosi conto che era rimasta imbambolata a fissare le mattonelle azzurre davanti a sé per tutto il tempo delle sue elucubrazioni mentali.

< Cosa? > Rispose, riportando gli occhi su di lui.

< La schiuma si sta asciugando. > Le fece notare, rubandole il rasoio dalle mani e terminando lui la rasatura.

< Scusa, devo essermi distratta. > Borbottò in difficoltà, torturandosi la pellicina dell'indice destro.

< Me ne sono accorto. > Le sorrise, sciacquando il rasoio sotto il getto d'acqua corrente e poi tamponandosi il viso con l'asciugamano per eliminare i residui di schiuma.

< A cosa stavi pensando? > Continuò, accarezzandole i capelli.

Lei fece spallucce, sentendo il sangue affluirle nuovamente alle guance.

< E' per quello che ho detto prima? > Le domandò ancora.

Cora annuì.

< Non volevo offenderti, è solo che mi sei sempre sembrata così innocente, così smaliziata che... > Ma non ebbe modo di concludere la frase.

< Perché lo sono. > Ammise, la voce poco più di un sussurro.

Jake la guardò senza capire, preso in contropiede da quella frase.

< Vuoi dire che sei davvero... ? > Anche questa volta Cora lo anticipò.

< Vergine? Sì. > Non si nascose come avrebbe fatto tempo prima.

Stare con Jake l'aveva cambiata, essere parte del suo ambiente le aveva fatto capire che non avrebbe potuto continuare a fare finta di essere qualcuno che non era, che non sarebbe stata mai accettata, se prima non l'avesse fatto lei, con tutti i suoi difetti, i suoi limiti, le sue debolezze, le sue paranoie, la sua confusione, il suo disordine mentale e non solo, le sue lacrime, la sua gioia di vivere e di fare le cose che le piacevano, il suo essere drammaticamente pessimista nelle situazioni risolvibili e ottimista in quelle senza speranza, le sue paure, i suoi vuoti e le sue mancanze.

< Ma avevi detto che... > Questa volta fu lui a non riuscire a completare la frase.

< Lo so, ho detto che non lo ero; non volevo che mi giudicassi. > Cominciò a giocherellare con la maglia di lui, quella grigia che utilizzava sempre per dormire e che a volte indossava anche lei quando lui era fuori città.

< E perché avrei dovuto farlo? Sai che non sono quel genere di persona. > La spinse verso di sé, abbracciandola, facendole posare la guancia contro il suo petto, tanto che lei riuscì a sentirne il battito del cuore accelerato.

< Hai davvero bisogno di leggere i libri di Cinquanta Sfumature dopo questa confessione. > Rise, coinvolgendo anche lei.

< Perché, hai intenzione di bendarmi, legarmi al letto e frustarmi? > Gli domandò divertita.

Jake finse di pensarci un po' su, indeciso.

< Non puoi saperlo, potrei avere gusti un po' particolari. > Rispose, continuando a prenderla scherzosamente in giro.

< La prima volta non dovrebbe essere... soft? > Arrossì ponendogli quella domanda ad alta voce.

< Questo dipende da te. > La sollevò nuovamente in braccio, baciandola nel breve tragitto verso la camera da letto.

Le lenzuola erano fredde, cosa che fece rabbrividire entrambi per un istante.

Continuò a baciarla anche quando la sovrastò deciso, evitando di pesarle addosso, avvertendo la sua maglietta strattonata.

Fu un sollievo per Cora quando decise di sfilarsela.

Lo lasciò vezzeggiarla per un tempo che a lei parve infinito, fin quando non fu neanche più sicura se erano i suoi baci a farla sospirare, o l'attesa di quello che sapeva star per succedere.

La liberò della canotta e degli shorts, insinuandosi tra le sue gambe schiuse, raggiungendo nuovamente il suo viso per baciarla ancora.

< Ne sei sicura? Non dobbiamo fare niente se non é quello che vuoi. > Gli sembrava una frase scontata da rivolgerle, ma voleva che sapesse che teneva ai suoi desideri e rispettava le sue decisioni, anche quelle che avrebbero potuto ritorcerglisi contro.

< Sei tutto quello che voglio, perciò sì, sono sicura. > Mormorò, incontrando le sue labbra.

Le sembrava che non stessero facendo altro: baciarsi, baciarsi e baciarsi ancora, come se ne dipendesse la loro vita, l'intera loro esistenza.

Quando si spogliarono entrambi della biancheria rimanente, Cora ripensò per un istante alla mattina di qualche mese prima, quando stavano per appartenersi e poi era suonato il campanello, costringendoli a separarsi.

Nei giorni seguenti quell'episodio aveva ringraziato mentalmente Maggie per l'improvvisa visita, per averle fornito una scusa adeguata per il mancato obiettivo.

Avrebbe probabilmente avuto i rimpianti a vita, perché quella mattina non era il momento giusto e Jake non conosceva la verità e tutto era stato troppo frettoloso; invece, era quello il giorno giusto per amarsi, perché nonostante le reticenze, nonostante la paura di non essere all'altezza e di non essere in grado di lasciarsi andare quanto bastava, Jake l'aveva presa per mano e aveva deciso di accompagnarla con dolcezza e senza fretta in quella prima esperienza.

Non era andato tutto secondo i suoi piani, non era stato come se l'era sempre immaginato da ragazzina: c'era stato il dolore, che l'aveva colta alla sprovvista e per il quale aveva trattenuto il respiro, irrigidendosi come marmo; c'era stato l'imbarazzo nel pensare che avrebbero dovuto usare una precauzione, seguito dall'imbarazzo al pensiero che lei non aveva nessunissima idea di come si infilasse un preservativo; c'era stato il momento in cui aveva pensato che forse non erano compatibili fisicamente, perché era stato difficile trovare il giusto ritmo e perché, ancora anestetizzata dal dolore precedentemente provato, non era riuscita a sentire niente per un tempo infinito, salvo poi ricredersi quando aveva cominciato a guadagnare confidenza con il suo corpo e con quello di Jake insieme e aveva messo da parte la paura di non essere abbastanza; c'era stato anche il punto in cui aveva cominciato a gemere vergognosamente, facendo sorridere Jake e lei era arrossita, puntuale come un orologio svizzero, e allora aveva cercato di trattenersi, almeno fin quando Jake non le aveva mormorato che i suoi gemiti, in realtà, gli piacevano; nel raggiungere il suo primo, vero orgasmo, si era perfino avvinta con le mani ai capelli di Jake, strattonandoli e tirandoli, tanto che lui aveva esclamato un ahi! preoccupato, inframmezzato dai sospiri del piacere che avanzava, tastandosi persino la parte lesa quando Cora aveva allentato la presa, scusandosi.

C'era stata, però, anche la gioia dell'aver condiviso un momento così speciale insieme al ragazzo che amava, l'idea che avrebbe sempre potuto raccontare con serenità e senza alcun rimorso la sua prima volta, l'osservare gli occhi azzurro oceano di lui farsi più scuri quando il piacere l'aveva avvolto, il sentirlo fare affidamento su di lei per riprendere fiato, poggiando la fronte contro la sua spalla, mormorandole che l'amava, l'accarezzargli i capelli fino a rendersi conto che si era addormentato, insieme al sorriso che le aveva rivolto quando aveva aperto gli occhi e l'aveva trovata ancora abbracciata a lui.

< Senti ancora dolore? > Le chiese, baciandole la fronte.

< Mmm, non più tanto. > Rispose, chiudendo gli occhi per godere del tepore delle coperte e del profumo della loro pelle miscelatosi nell'ora precedente.

< Dovremmo rifarlo, sai, per affinare la tecnica... > La strinse a sé, accarezzandole la schiena nuda.

< Solo perché non sono più vergine, non significa che puoi approfittare di me quando vuoi. > Lo rimbrottò scherzosamente, mordendogli una spalla senza fargli male.

< Lo dico per te, per fare pratica! > Spiegò ovvio, torturandole di baci la linea del collo.

< Beh, non ho intenzione di fare pratica adesso. > Gli baciò una guancia, ben decisa ad alzarsi.

Erano le dieci e mezza e lei aveva bisogno di mettere qualcosa sotto i denti prima di svenire.

< Ti amo, ti amo, ti amo. > Le ripeté, abbracciandola da dietro mentre si infilava l'intimo e gli shorts.

< Dopo aver fatto l'amore i ti amo non valgono. > Gli fece presente con un mezzo sorriso.

< Valgono eccome visto che ti amo più di prima. > Le rubò un bacio, riuscendo a spingerla contro l'armadio alle sue spalle.

< Allora la prepari tu la colazione? > Gli chiese, facendogli gli occhi dolci.

< Furbastra che non sei altro. > Le pizzicò un fianco, facendola quasi saltare per il solletico, precedendola poi verso la cucina.

< Ti amo anch'io! > Gli urlò lei, sporgendosi con la testa nel corridoio, ricevendo in risposta solo un grugnito esasperato e il rumore del bollitore per il the che veniva riempito.

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Capitolo 6
*** Dinner? ***


Buonsalve a tutti! <3

Come state? Sì, lo so che avevo detto che avrei aggiornato prestissimo perché la Shot era pronta, ma forse ero su di giri per via dell'aggiornamento che non avveniva più da secoli, fatto stava che la Shot non era così pronta come volevo io, perciò ho dovuto tardare un pò, ma finalmente eccola, per la vostra giuoia :D

Adesso, credo di tornare a scrivere e aggiornare dopo la Laurea, che avverrà il giorno 26 Marzo (oddio, detto così sembra un annuncio funebre :D). Ho un mucchio di cose da recuperare a partire da quella data, perciò spero di riuscire a mettermi in pari e a non essere troppo latitante, diciamo così.

Ok, l'annuncio l'ho fatto :D

Ormai le Shot non ve le presento neanche più, il che è assurdo, ma siccome non so mai cosa dire, credo che invece di sparare stupidaggini (cosa che sta avvenendo in questo preciso istante), sia più saggio così e comunque, sono andata alla ricerca nella mia fantasia aka mente malata, di cosa poteva essere effettivamente successo dopo il primo incontro disastroso tra Cora e Jake (ve lo ricordate tutti, no? Quello in cui si danno quasi da fare in macchina e poi Cora decide di andar via neanche fosse posseduta da una creatura del male... ecco, proprio quello).

E... niente, Cora è proprio mia figlia, perché ogni tanto se ne esce con delle frasi filosofiche che farebbero rivoltare nella tomba Socrate, Kant e chi più ne ha, più ne metta, ma è ok... almeno Jake non pensa che sia fusa :D

E so che trovare una donna bellissima anche senza trucco sia uno degli stereotipi più utilizzati in letteratura (e non), specialmente se a trovarla bella è, guarda caso, proprio il tipo che le piace, ma io amo le ragazze nature, che non si nascondo dietro chili di trucco e che sanno apprezzarsi anche senza fondotinta, correttore, rossetto e ombretto, perciò, pace, deve andare così.

Non so se questa Shot risulterà di una noia mortale, anche perché credo di averla tirata un pò troppo per le lunghe, e, in tal caso, me ne scuso, ma la sento giusta, almeno io, perciò, forse, va bene comunque.

Bene, la smetto e ringrazio chiunque si sia fermato a leggere la quinta Shot, Cris che ha commentato (milioni di baciotti virtuali per te :*) e faccio i miei migliori Auguri a chiunque si laurei in questo mese come me *sparge confetti rossi dappertutto* *lancio del tocco in anticipo*

 

Buon inizio di settimana e Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6. Dinner?

 

 

< Sai che pensavo di iscrivere Ramona a danza? Insomma, le è sempre piaciuto, non fa che ballare in casa e anche Peter pensa che sia una buona idea... > Maggie continuò a camminare, affiancata dal fratello, lungo il marciapiede gremito di persone, in direzione di Times Square, il bicchiere ancora caldo del cappuccino di Starbucks in mano.

< Mmm. > Borbottò Jake, pensieroso.

< E poi pensavo che dovremmo comprare una casa più grande, sai, con l'arrivo di cinque gemelli... > Lo osservò di sottecchi, conscia che non la stava minimamente ascoltando.

< Mmm. > Rispose ancora lui. Parve rendersi conto della frase appena pronunciata da sua sorella con qualche secondo di ritardo, voltandosi verso di lei frastornato.

< Cinque gemelli?!? Oh, Dio, non stavo ascoltando, vero? > Lo sguardo furbo di Maggie gli aveva subito fatto capire che si trattava di un modo per attirare la sua attenzione.

< No, infatti. A cosa stai pensando? > Gli domandò.

Jake sbuffò, infilando le mani nelle tasche dei jeans scuri che indossava.

< Problemi con quella ragazza, Cora? > Continuò comprensiva.

< Non risponde alle mie telefonate e non voglio sembrarle uno stalker presentandomi a casa sua. > Rispose, sospirando.

< Beh, magari è impegnata, magari ha un sacco di cose da fare... > Jake non le diede il tempo di finire la frase.

< Magari mi sta evitando. > Abbassò lo sguardo, ripensando a quando l'aveva riaccompagnata a casa dopo la scenata al pub.

L'atmosfera non era distesa come quando lui le era saltato addosso poco prima; non avevano detto molto durante il tragitto, anche se Jake si era voltato spesso ad osservarla, magari approfittando degli stop o di qualche semaforo rosso.

Aveva poggiato la fronte contro il finestrino e sembrava osservare assorta le luci della città, i capelli rossi che si coloravano di una tinta più accesa quando i fari di qualche macchina la abbagliavano.

Aveva borbottato le indicazioni per raggiungere il suo appartamento e quando Jake si era offerto di aiutarla a salire le scale, considerata la caviglia gonfia e dolorante, lei dapprima aveva rifiutato, sostenendo di riuscire a farcela benissimo da sola, poi, quando le erano scivolate di mano le chiavi del portone e lei non era riuscita a chinarsi per raccoglierle, Jake era accorso in suo aiuto, accompagnandola fino alla porta di casa.

< Grazie del passaggio e dell'aiuto. > Gli aveva detto, sorridendo appena.

< Era il minimo che potessi fare. > Rispose, ricambiando il sorriso.

< D'accordo, allora... buonanotte. > Aveva pensato di chiudere così la serata, ma non si era mossa, non aveva infilato le chiavi nella porta e non era scomparsa all'interno del suo appartamento, lasciandolo con un pugno di mosche in mano; aveva continuato a guardarlo, quasi si aspettasse qualcos'altro.

Jake si era schiarito la voce, in imbarazzo, le mani infilate nei jeans anche se non sentiva freddo.

< Posso chiederti il numero di cellulare? Sai, vorrei accertarmi che la caviglia guarisca. > Era una scusa patetica, ma era stata la prima che gli era venuta in mente.

Cora gli aveva lanciato uno sguardo da sì, come no, è proprio la mia caviglia che ti preoccupa, ma poi aveva tirato fuori dalla sua borsetta un foglietto di carta e una penna e ci aveva scribacchiato il suo numero, porgendoglielo.

< Beh, allora... ti chiamo. > Si era allontanato dalla porta, già diretto verso le scale, sollevando il biglietto a mo' di conferma.

< 'Notte. > Gli aveva fatto eco lei, scomparendo in casa senza ulteriori cerimonie.

< Sì, beh, è anche probabile che ti stia evitando. > Confermò Maggie, facendolo ritornare con la mente al presente.

< Perfetto. Mi sono comportato come un coglione. > Borbottò stizzito.

< Siete maschi, siete tutti dei coglioni in fondo. > Fece spallucce lei.

< Grazie tante, questo sì che mi consola, sorellona. > Odiava quando la chiamava così.

Maggie alzò gli occhi al cielo.

< Perché non le lasci un messaggio in segreteria? Magari decide di richiamarti. > Tentò.

< Gliene avrò lasciati dieci di messaggi, Maggie! > Sbuffò.

< D'accordo, allora perché non ti presenti a casa sua con un enorme mazzo di fiori e un biglietto di scuse? > Enfatizzò enorme con le braccia, descrivendo un cerchio grande quanto il campanile di una chiesa.

< Quale parte della frase non voglio sembrarle uno stalker non ti è chiara? E poi come minimo mi sbatterebbe la porta in faccia. > Non si era mai preoccupato così tanto dell'impressione che aveva fatto su una donna.

Cos'aveva di tanto speciale questa Cora per farlo sentire così male?

< Smettila di vittimizzarti, Jake! Non le hai ucciso il gatto e non hai tentato di stuprarla, hai solo colto la palla al balzo baciandola. > Maggie si fermò nel bel mezzo del marciapiede, guardandolo come si guarderebbe un ritardato particolarmente esasperante.

< In realtà, ho cercato di portarmela a letto, non è esattamente la stessa cosa. > Precisò lui.

< Sì, ma lei era consenziente, no? E' colpa sua se si è sentita una sgualdrina ed è corsa via. > Quasi urlò dall'esasperazione.

< E' una mia fan, Maggie, come credi ti sentiresti tu se il tuo idolo si comportasse così con te? > Le domandò, anche lui sull'orlo di una crisi di nervi.

< Certamente non una poco di buono. > Mugugnò, riprendendo a camminare e Jake con lei.

< Insomma, Jake, se ci tieni così tanto fa' come ti ho detto, presentati da lei con un mazzo di fiori e un biglietto di scuse e vedrai che ti cadrà ai piedi in un istante. Fa solo l'offesa. > Lo precedette in un ristorante in cui avrebbero incontrato anche Peter e le bambine e Jake non ebbe modo di risollevare l'argomento.

Forse sua sorella aveva ragione, forse la colpa non era sua, ma di lei, di Cora, che era scappata senza motivo, credendosi quello che non gli era sembrata affatto, solo perché aveva corrisposto il suo bacio e le sue attenzioni, ma cosa poteva farci se si sentiva in dovere di fare qualcosa?

Voleva risentire la sua voce, chiederle come stava, portarla a cena, magari.

Si era illuso di poterla dimenticare, di poterci fare sopra persino una risata il giorno dopo, invece si ritrovava, a distanza di una settimana, a pensarla incessantemente.

Era diventata un chiodo fisso: controllava il cellulare ogni trenta secondi nella speranza che gli avesse inviato almeno un messaggio; componeva il numero della segreteria ogni sera solo per ascoltare che non aveva ricevuto nessun messaggio; se qualcuno lo telefonava, sperava che fosse lei.

Ritornato a casa quella sera e abbandonate le chiavi nell'ingresso, si chiese se lei fosse già rientrata dal lavoro.

Aveva comprato l'enorme mazzo di fiori che gli aveva consigliato sua sorella e aveva cercato di scrivere un bigliettino di scuse credibili, ma non era riuscito a raggiungere casa sua, non sapeva se per vergogna, nervoso o paura.

Si era seduto al tavolo in cucina, il mazzo di fiori davanti a lui, e aveva provato a telefonarle ancora, pregando che rispondesse.

Niente.

La segreteria si era attaccata dopo un minuto e a lui sembrava inutile lasciarle l'ennesimo messaggio.

Era un uomo adulto, che affrontava le situazioni, che prendeva le cose di petto, perciò fece un respiro profondo, ripescò le chiavi della macchina e mazzo di fiori compreso, decise di presentarsi a casa sua.

Il viaggio fu più breve di quello che gli era sembrato accompagnandola a casa, anche se abitavano in zone molto diverse della città.

Il portone era aperto, perciò non ebbe neanche bisogno di citofonare.

Salì le scale in fretta e si fermò davanti alla porta del suo appartamento con il fiatone.

Suonato il campanello, attese un minuto prima di captare qualche rumore all'interno, ma nessuno venne ad aprirgli.

Ritentò, riascoltando lo stesso leggero tramestio di poco prima.

Questa volta la porta si aprì, rivelando una Cora in tenuta da casa, struccata e con i capelli raccolti in una coda alta che metteva in risalto il suo viso rotondo.

Sembrava stesse cenando, perché masticava qualcosa e in mano reggeva un cucchiaio.

< Ciao. > La salutò, sorridendo alla sua espressione sorpresa.

< C-ciao. > Ricambiò lei, arrossendo come una bambina.

< Non hai risposto alle mie telefonate di questi giorni, così... ho pensato di passare a trovarti. > Spiegò, il mazzo di fiori ancora nascosto dietro la schiena.

Cora lanciò un'occhiata alla sua mise, vergognandosi come una ladra. Era appena rientrata dal lavoro e aveva subito optato per una doccia. I capelli non le si erano ancora asciutti bene, perciò, quando avevano suonato alla porta, aveva fatto appena in tempo a legarli; inoltre, si era infilata una delle maglie del suo ex ragazzo, quelle che non aveva mai voluto indietro, che le stavano enormi, facendole da vestito e il pantalone sformato di una tuta vecchia di almeno dieci anni.

Come se non bastasse, era senza trucco.

Jake seguì il suo sguardo, trovandola bellissima anche in una mise semplice come quella, sebbene, a giudicare dai suoi occhi quando li rialzò su di lui, lei doveva pensarla diversamente.

< Vuoi... ehm... entrare? > Gli domandò, facendosi da parte per lasciarlo passare.

< Grazie. > Rispose.

Aspettò che lei chiudesse la porta prima di mostrarle il mazzo di fiori. Il biglietto l'aveva accartocciato e buttato dal finestrino prima di arrivare da lei: troppo imbarazzante. Inoltre, se gli avesse aperto (cosa che aveva effettivamente fatto) avrebbe potuto scusarsi a voce, quindi un bigliettino sarebbe stato inutile.

< Questi sono per te. > Le disse.

< Oh, Dio, ma non dovevi! Sono bellissimi, grazie! > Li accettò con un entusiasmo che Jake non avrebbe mai pensato di attribuirle, adoperandosi subito nella ricerca di un vaso in cui sistemarli.

< Come va la caviglia? > Le domandò, entrando in cucina, alzando appena la voce affinché potesse sentirlo, visto che sembrava essere scomparsa in una stanza fuori dalla sua portata visiva.

< Bene, il gonfiore è andato via e anche il dolore. > Rispose, riapparendo.

A quanto pareva, stava mangiando del gelato, perché il barattolo campeggiava in bella vista sul tavolo.

Jake sorrise: chissà perché, aveva creduto fosse tipo da gelato alla vaniglia e fragola, quando invece era chiaro che preferiva la stracciatella.

Cora ritirò il barattolo da sotto il suo naso, nascondendolo accanto al frigo.

< Ho sentito i tuoi messaggi in segreteria; mi spiace non averti richiamato, ma... insomma, non credevo fosse così importante per te sentirmi. Non volevo che ti sentissi obbligato a fare niente, ecco. > Cominciò lei, sedendosi, imitata da lui.

L'appartamento era grazioso, molto femminile e in ordine; si sentiva il ciarlare di una tv e un buon profumo di biancheria appena lavata.

< Non mi sono sentito obbligato a fare niente. Volevo davvero risentire la tua voce, rivederti magari. > Le sorrise, mandandole in tilt il battito cardiaco.

< Beh, sono ancora viva. > Scherzò.

< Già, lo vedo. > Rispose divertito.

< Avevi qualche programma in particolare? Magari ti ho disturbato. > Continuò, guardandosi in giro, come se quello che aveva intenzione di fare potesse spuntare fuori da un momento all'altro.

Cora fece spallucce.

< Pensavo di guardare un film e ingozzarmi di gelato. > Rispose senza pensarci.

Jake rise della sua spontaneità genuina, facendola arrossire per quella che era la terza volta da quando l'aveva vista quella sera.

< Allora sarà meglio che vada, non voglio rovinarti la serata. > Si alzò, dirigendosi verso la porta.

< Magari potresti farmi, non so, compagnia... ho il freezer pieno di gelato e potresti aiutarmi a scegliere il film... > Propose in maniera quasi casuale, inseguendolo fino all'ingresso.

Jake nemmeno si domandò come mai quel cambio di rotta nel suo comportamento: non aveva risposto alle sue telefonate per giorni e poi si presentava a casa sua e lo invitava a rimanere?

Non se lo chiese perché aveva voglia di farle compagnia e in realtà aveva sperato gli proponesse di restare.

Si liberò del cappotto e della sciarpa, che posò sulla poltrona, mentre Cora ritornava con un'enorme scatola piena di dvd tra le mani.

La posò sul divano, aprendola.

Non erano in ordine, anzi, ma erano tantissimi, perciò Jake non si meravigliò che non fosse riuscita a sistemarli bene.

< La maggior parte sono miei film! > Osservò sorpreso, pescando il dvd di Donnie Darko.

Cora arrossì. Fortuna non doveva portarlo in camera sua. Aveva un calendario con le sue foto accanto alla finestra e un poster enorme sulla parete opposta con un collage del suo servizio fotografico preferito. Se l'avesse visto, sarebbe scappato a gambe levate, dandole dell'invasata.

< Sì, scusa. > Rispose, praticamente strappandoglielo dalle mani per metterlo in disparte.

< Non devi scusarti, mi fa piacere che i miei film ti piacciano così tanto, perché sono i film che ti piacciono, non solo io, no? > La prese in giro, divertendosi a metterla in difficoltà solo per vederla arrossire.

< Sì, certo! Non guardo i tuoi film solo perché tu sei l'attore principale... cioè, anche, insomma, non guasta se c'è un attore che ti interessa... voglio dire... i tuoi film sono bellissimi e anche tu, perciò non... > Incespicò con le parole, arrossendo ancora di più, facendole tenerezza.

Jake le sistemò una ciocca di capelli sfuggita dalla coda dietro l'orecchio, accarezzandole poi una guancia bollente.

< Scusami, ti ho messa in imbarazzo. > Mormorò.

Cora scosse la testa, lo sguardo puntato sulla massa di dvd in mezzo a loro, seduti sul divano.

La costrinse a rialzare lo sguardo, osservandola un istante negli occhi prima di avvicinarsi e baciarla.

Non aveva resistito, quelle labbra lo chiamavano come il canto di una sirena: erano morbide, carnose quanto bastava per essere assaporate.

Cora rispose con entusiasmo a quell'incontro di sapori, portando una mano a carezzargli i capelli più corti della nuca, avvicinandolo a sé.

Dio, se baciava bene!

Quando si separarono avevano entrambi il fiatone.

< Non pensavo che sarebbe successo di nuovo così in fretta. > Sospirò lei, sorridendo, impedendogli di allontanarsi.

< Cosa? > Chiese lui di rimando.

< Baciarmi. Non pensavo avresti voluto rifarlo. > Spiegò.

< Perché no? > Le accarezzò i capelli.

Cora fece spallucce.

< Pensavo che una settimana fa fosse successo perché eri ubriaco. > Rispose.

< E adesso pensi che non lo sia? > Scherzò.

< Sai di dentifricio, chi è che si ubriaca e poi si lava i denti? > Osservò con fare pratico, facendolo sorridere.

< D'accordo, mi hai beccato, non sono ubriaco. > La baciò ancora e ancora più profondamente.

Cora spostò la scatola di dvd alla cieca pur di avvicinarsi a lui, che la strinse, trascinandosela addosso mentre ricadeva sui cuscini dietro di lui.

Le sciolse i capelli dalla coda e le strinse la vita, sentendola sospirare nella sua bocca.

Sentì di nuovo l'irrefrenabile voglia di fare l'amore con lei, di spogliarla e di farla sua, di sentirla stringere le gambe dietro la sua schiena e di sentirla implorare di non smettere.

Le sollevò la maglia, accarezzando la pelle nuda e calda.

Cora si separò dalla sua bocca, avvertendo il rigonfiamento nei jeans di lui contro la stoffa del pantalone della tuta che indossava.

Non voleva che finisse così, non voleva fare sesso con lui e poi vederlo andar via; non voleva sentirsi dire che era stata solo un ripiego, qualcuno con cui sfogarsi di quell'istinto naturale.

Gli si accoccolò accanto, baciandogli un angolo della bocca, abbracciandolo e poggiando la testa nell'incavo tra il suo collo e la spalla.

Jake la strinse, solleticandole la schiena di linee immaginarie. Cora avrebbe giurato di aver riconosciuto il suo nome tra quelle linee.

< Dovremmo scegliere il film. > Pronunciò lui dopo qualche istante, occhieggiando alla scatola abbandonata sul pavimento.

Cora si sollevò, mettendosi seduta, recuperando la prima custodia che le capitò sotto mano, allontanandosi per inserire il dvd nel lettore apposito.

Prima che partissero i titoli di testa si diresse in cucina per recuperare il barattolo di gelato alla stracciatella e due cucchiai puliti.

< Non so se è il tuo gusto preferito. Ne ho altri. > Si scusò, porgendogli una posata.

< Stracciatella va benissimo. > La rassicurò, facendole posto accanto a sé.

Cora si rannicchiò contro di lui, mentre le prime immagini di Casablanca scorrevano sullo schermo.

Adorava quel film.

< Posso confessarti una cosa? > Le chiese ad un certo punto, sussurrando.

Cora alzò gli occhi su di lui, in attesa.

< Mi piaci. Ti sembrerà assurdo, ma è così. Non ho fatto altro che pensarti e sono felice di essere qui stasera. > Continuò. Voleva essere diretto, voleva che capisse che non stava scherzando nel parcheggio del pub una settimana prima, voleva che si fidasse di lui.

< Sicuro di non essere ubriaco? > Piegò appena la testa, incredula.

< L'hai detto tu stessa che non lo sono. > Fece spallucce, rubando un'altra cucchiaiata di gelato.

< Ok. > Rispose cauta, quasi misurando le parole, quelle che non aveva ancora pronunciato. < Mi piaci anche tu. Detto da una tua fan sembrerà ancora più sciocco, ma è la verità. Ho sempre pensato di conoscerti, ho sempre sentito di conoscerti, anche se so che un'intervista o un video che ti riguardano non sono indicatori di conoscenza e quando ti ho incontrato ho capito che, invece, non ti conosco affatto ed è questo che mi piace di te, l'idea di poterlo fare, di poterti conoscere, di poterti scoprire. Per ora è solo un'idea, una sorta di aspettativa, o desiderio che dir si voglia, però é quello che sento. > Continuò, la voce appena rotta dall'emozione.

Jake la studiò per quelli che a lei parvero minuti interminabili, rotti solo dalle voci degli attori in tv.

< Sono stata troppo filosofica? > Arrossì, cercando di mettere fine a quel silenzio prima che diventasse imbarazzante.

Jake rise.

< Sì, tremendamente filosofica. Però mi piace. > La baciò, portando via con la lingua anche la virgola di gelato che le sporcava appena il labbro superiore.

< Sto già diventando dipendente dai tuoi baci, credi sia grave? > Gli domandò, specchiandosi nei suoi occhi azzurri.

< Sono un gran baciatore, non poteva essere altrimenti. > Rispose orgoglioso di sé, prima che Cora gli tirasse un pugno sulla spalla senza riuscire a fargli battere ciglio.

< Non so se ho voglia di scoprire da dove arrivi tutta quest'arroganza. > Lo prese in giro.

< Mia sorella è peggio di me, credimi. Te ne renderai conto. > Le arruffò i capelli con annesse proteste da parte di Cora.

In quell'istante, un'ombra non meglio identificata gli saltò in braccio, spaventandolo, prima che si rendesse conto fosse soltanto un gatto.

< Oh, non farci caso, fa sempre così con gli estranei: li spaventa e poi cerca di guadagnarsi il loro affetto. > Cora lo sollevò dal suo grembo per poggiarlo a terra, facendolo miagolare appena e Jake quando lo vide illuminato dallo schermo della tv lo identificò come un Blu di Russia.

< Come si chiama? > Le chiese, chinandosi per accarezzarlo.

< Sherlock. > Rispose lei.

< In famiglia siete fissati con i nomi di personaggi letterari? > Sorrise.

< Le letture dei classici portano a questo: ossessione. > Annuì convinta.

< Il tuo nome mi piace. > Pensò ad alta voce.

< A me il tuo fa pensare al Jake di Twilight, che ho sempre odiato. > Rilanciò.

Quel personaggio non l'aveva mai digerito.

< Grazie, eh! > Borbottò lui fintamente offeso.

< Ma tu non gli assomigli, quindi è ok. > Recuperò, baciandolo.

< Approfittatrice. > La accusò bonariamente, trascinandola a sedere sulle sue gambe, baciandole il collo.

Cora alzò gli occhi al cielo, evitando di controbattere.

Ne avrebbero potuto avere per ore, se avessero cominciato ad accusarsi vicendevolmente.

Era strano essere in sua compagnia; strano in senso positivo, ovvio.

Non aveva previsto l'eventualità che piombasse a casa sua con un mazzo di fiori e certo non aveva previsto che l'avrebbe invitato a rimanere per guardare un film insieme e ingozzarsi di gelato.

Si sentiva a suo agio con lui, anche se per i primi tre quarti della serata non aveva fatto altro che arrossire come una bambinetta inesperta.

Le dava sicurezza, protezione e la faceva sentire importante e bella (anche se non si era mai considerata tale, specialmente non in tuta e senza trucco).

Era semplicemente incredibile.

Come incredibile era il pensiero che lei potesse piacergli sul serio. Gliel'aveva confessato e il suo cervello sembrava aver registrato il messaggio, tanto che la frase le ruotava in testa in loop, eppure emotivamente era difficile da maneggiare. Forse era perché a lei le emozioni arrivavano sempre in ritardo, forse era perché prima di provare qualcosa, qualsiasi cosa, aveva bisogno di pensarci, di meditare, di ponderarne i pro e i contro; fatto stava, che non avrebbe mai pensato di poter baciare Jake Gyllenhaal nel salotto di casa sua o di potergli accarezzare i capelli o di sentirlo dire che era bellissima.

< A cosa stai pensando? Il tuo cervello si sta fondendo per lo sforzo. > Le baciò la fronte, rimanendovi appoggiato con una guancia.

< Al fatto che tu sia qui, in casa mia. > Rispose, riprendendo a carezzargli i capelli.

< Davvero incredibile. Avrei dovuto invitarti a cena. > Sembrava stesse parlando più a se stesso che a lei.

< Volevi invitarmi a cena? > Chiese sorpresa.

< Perché credi ti abbia riempita di telefonate? Volevo sapere come stavi e invitarti a cena, come un appuntamento di tutto rispetto. > Chiarì ovvio.

< Beh, sei già avanzato in base B: sei a casa mia, mi hai già baciata... > Elencò lei, aiutandosi anche con le dita.

< Vero, sono stato fortunato, allora. > Le sorrise.

< Fin troppo. > Ricambiò, baciandolo.

< Allora ti ringrazio per non aver risposto alle mie telefonate. > Le disse quando si furono separati.

< Prego. > Stette al gioco, sistemandosi meglio tra le sue braccia.

< Però un invito a cena lo accetti, vero? > Le chiese, osservandola speranzoso.

< Con te? > Lo indicò fintamente scandalizzata.

< Lo so che sono ripugnante ed è l'ultima cosa che vorresti, ma ci terrei davvero. Prometto di fare il bravo; sono già avanzato in base B e giuro solennemente di non tentare di raggiungere la C. > Scherzò, alzando le mani in segno di resa e lealtà.

< Beh, ripugnante lo sei di sicuro e hai ragione, uscire a cena con te è proprio l'ultima delle cose che pensavo potessero mai capitarmi, ma se sei così disperato, chi sono io per negarti anche questa gioia? > Sospirò afflitta.

< Bisogna aiutare i più bisognosi. > Annuì lui in conferma.

< Infatti! E' proprio quello che penso. > Lo imitò, annuendo e accarezzandogli i capelli corti, solleticandolo piacevolmente.

Jake le sorrise, stringendole la vita, avvicinando il viso al suo per baciarla dolcemente.

< Dove sei stata per tutto questo tempo? > Le domandò in un sussurro.

< A New York, come sempre. > Rispose, trattenendosi dal ridere.

< E perché non ti ho mai incontrata prima di una settimana fa? > Continuò lui, sorridendo divertito.

Cora ci pensò un po' su, evitando il suo sguardo.

< Perché qui abitano un mucchio di persone ed io sono solo una delle tante. > Fece spallucce.

< L'unica delle tante. Non sono riuscito a dimenticarti. > Osservò, studiandola con attenzione.

Cora arrossì e sperò che, con il buio e la luce fioca del televisore ancora acceso, Jake non se ne fosse accorto.

< Sono letteralmente scappata sul più bello e per poco non mi sono rotta l'osso del collo pur di andare via. La mia porca figura l'ho fatta. > Se solo ripensava a quella sera, dopo aver avuto una settimana di tempo per rifletterci in maniera lucida, le veniva quasi da ridere, ma sul momento, avrebbe voluto solo che le si aprisse una voragine sotto i piedi che la inghiottisse.

< Ma non ti avrei accompagnata a casa e non avrei avuto il tuo numero di telefono e probabilmente adesso tu saresti qui, da sola, a mangiare gelato e a guardare un vecchio film. > Un resoconto che non faceva una piega.

< Che quadro desolante. > Cora mise fintamente il muso.

Jake la strinse a sé, permettendole di posare il capo sul suo petto, all'altezza della spalla sinistra.

Le accarezzò dolcemente i capelli e poi una guancia in punta di dita, quasi avesse paura di farle male.

Cora alzò gli occhi sul suo viso in penombra e sorrise, nascondendo il viso nella sua maglietta solo per aspirare il suo buon profumo.

< Non stiamo seguendo affatto il film. > Constatò lui dopo qualche istante.

< Non è così importante... > Osservò lei ovvia, facendo spallucce.

< Avresti potuto sceglierne uno dei miei. Hai tutta la collezione. Vuoi che te la autografi? > La guardò, sorridendo furbo.

Come da lui previsto, Cora arrossì.

< Non impiegherei molto tempo a scegliere quello giusto. > Rispose con qualche istante di ritardo, il tempo necessario per riprendersi dalla sua velata insinuazione.

< E quale sarebbe quello giusto? Sono curioso. > La rimbeccò prontamente.

< Zodiac.

Jake aggrottò le sopracciglia, sorpreso dalla risposta.

< Perché? > Domandò interessato.

< Perché mi piacciono i thriller e perché con Zodiac è iniziata la mia ossessione per te. > Ammise con un sospiro.

Jake sorrise meravigliato ed entusiasta.

< Questa è in assoluto la cosa più carina che qualcuno mi abbia mai detto. > Confessò di rimando.

< Carina? E' una vera dichiarazione, questa! > Borbottò lei risentita, incrociando le braccia al petto come una bambina capricciosa.

< Oh, ma davvero? Una dichiarazione di guerra? Perché saprei come batterti. > La baciò, cogliendola alla sprovvista e trascinandosela addosso mentre sprofondava nuovamente tra i cuscini morbidi disseminati sul divano.

< Sei sleale. > Lo apostrofò lei quando si separarono, spostando alcuni cuscini per sistemarsi al suo fianco.

Era un divano troppo piccolo per potercisi stendere in due, ma Jake non si lamentò e neanche Cora che aveva intrecciato le gambe alle sue per stare più comoda.

< E comunque, un tuo autografo ce l'ho già. > Ammise.

Jake la osservò stupito.

< Davvero? > Le domandò, quasi come se non ci credesse.

Cora annuì.

< Sono stata ad una tua Première. > Continuò.

< In quelle occasioni sono troppo distratto dalle urla, non riesco a concentrarmi. Raramente qualcosa riesce a colpirmi ad eventi come quelli. > Sembrava si stesse rimproverando da solo e a Cora fece tenerezza, un'inspiegabile tenerezza.

< Ma mi hai sorriso e hai detto che ti piacevano i miei capelli. > Sentiva ancora il cuore in gola, anche solo al ricordo dell'esperienza.

L'aveva atteso per ore, al freddo, sotto la pioggia e senza ombrello. Era bagnata come un pulcino e quando l'aveva visto avvicinarsi alle transenne per i soliti autografi di rito, aveva appena avuto modo, tra spintoni, flash di macchine fotografiche e cellulari, ragazze dietro di lei che tentavano di scavalcarla, di allungare una mano tremante che reggeva una sua vecchia agenda, aperta alla pagina del suo compleanno, e a farla firmare.

Poi, mentre lui rialzava lo sguardo, i loro occhi si erano incrociati, lui aveva sorriso e le aveva detto che gli piacevano i suoi capelli, il che era assurdo, perché erano fradici di pioggia e le si appiccicavano dappertutto sul viso come tentacoli.

Era arrossita, ma forse lui non se n'era neanche accorto, visto che era stato costretto a posare per una foto con la fan dopo di lei.

< Ecco, la dimostrazione che eravamo destinati ad incontrarci. > Scherzò, sorridendole.

< Smettila di rigirare la frittata sempre a tuo favore! > Cora gli colpì la spalla con un pugno che ebbe come unico risultato una scrollata di spalle da parte sua.

Jake la baciò di nuovo, intrappolandole il viso con una mano.

< Sarai stanca, forse dovrei andare... > Le annunciò dopo qualche minuto.

Il film era terminato e l'unica cosa che rimaneva da guardare erano i titoli di coda.

< Puoi restare, se vuoi. > Quello che avrebbe voluto dire era che non voleva che se ne andasse, voleva restare con lui, distesa su quel divano, per sempre, per tutta la vita.

< Non voglio approfittare della situazione; in fondo, non siamo neanche andati a cena, ancora. > Le sorrise, rialzandosi dai cuscini.

Cora lo imitò.

< Non ho intenzione di dare di matto, se è questo che ti preoccupa. > Scherzò.

< Infatti, non mi preoccupo di te, ma per te. > Le baciò una guancia, soffermandosi ad accarezzarle il profilo del collo, solleticandola.

< Che vuoi dire? > Riuscì ad articolare lei alla fine, trattenendo il respiro, come se così non potessero farle effetto tutte quelle attenzioni.

< Che non risponderei più di me se ti rimanessi accanto e non voglio rovinare tutto. > Chiarì.

< Mi accompagni alla porta? > Continuò, alzandosi e recuperando il cappotto e la sciarpa.

Cora lo seguì controvoglia nell'ingresso, fermandosi accanto a lui.

< Cosa succede? > Le domandò, sollevandole il mento e imitando la sua espressione immusonita.

< Volevo davvero che restassi. > Brontolò.

< Magari la prossima volta... se farai la brava. > Si chinò appena per baciarla, augurandole la buona notte.

Cora gli rispose con una linguaccia, aprendogli la porta, guardandolo scendere i primi gradini della scala che l'avrebbero condotto fuori dal palazzo.

Lo salutò un'ultima volta prima di richiudersi la porta alle spalle, appoggiarsi contro di essa e tirare un sospiro di felicità.

Si accorse di non aver affatto bisogno di rilassarsi: non era stato un incontro impegnativo, non si era dovuta sforzare per mantenere la conversazione e non si era sentita in imbarazzo in sua compagnia.

I suoi ex, almeno durante i primi appuntamenti, l'avevano sempre fatta sentire nervosa, sotto esame, inadeguata; Jake era... diverso.

Quindici minuti dopo, quando si infilò sotto le coperte in cerca di un po' di calore, si ricordò di non avergli nemmeno dato una risposta concreta circa il suo invito a cena, si era limitata a scherzarci sopra.

Avrebbe voluto telefonarlo, ma poi ci ripensò: non voleva sembrare la classica ragazza appiccicosa, che non riesce a stare lontana dal ragazzo che le piace neanche per una notte.

Gli avrebbe mandato un sms l'indomani, magari prima di andare in ufficio.

Eppure... possibile che non fosse tutto un sogno?

Quel pensiero, però, scivolò via non appena chiuse gli occhi e si rilassò.

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Capitolo 7
*** Beyond Expectations ***


Buonasera a tutti!

Lo so, lo so, il ritardo è quello che è e non ho giustificazioni, ma spero di farmi perdonare con questa shot, che in principio, nella mia testa, doveva essere in un modo, poi si è evoluta in tutt'altro quando ho cominciato a scriverla.

Il bello di essere "scrittori", no? :D

Lo splendore di Jake a Cannes mi ha abbagliata e rincretinita (perché quando dico che voglio tornare a Cannes, nessuno vuole accompagnarmi?), quindi non so bene cosa dire (che novità! xD).

La prossima shot non è ancora pronta e potrebbe volerci un po' (o forse no, chissà), ma spero di postarla prima della fine del mondo o dell'esplosione del Sole :D

No, la smetto, sono pessima, me ne rendo conto :/

Prima del capitolo, ringrazio, come al solito, tutti coloro che leggono/inseriscono tra le preferite/da ricordare/seguite questa Raccolta, la cara Cris che commenta sempre e grazie alle sue parole capisco di non essere un totale disastro (grazie *.*) e tutti quelli che passano di qui e leggono soltanto: vi adoro tutti, indistintamente *.*

Spero che la shot vi piaccia <3

 

Alla prossima e...

 

 

... Buona Lettura!

 

 

 

P.S. Forse non l'ho mai detto fino ad ora, ma le immagini ad inizio capitolo le realizzo da me e volevo scusarmi per la loro bruttezza :D Non ci capisco un acca di grafica e mi arrangio con le App che riesco a trovare elementari per una ciuchina come me :D

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7. Beyond Expectations

 

 

 

< Cos'è quella faccia? > Sarah, che si supponeva dovesse essere la sua migliore amica, era passata a prenderla sotto casa di Jake come tutte le mattine da una settimana a quella parte e precisamente, da quando la sua cara, vecchia (che era un eufemismo, perché avrebbe dovuto essere ribattezzata rottame) utilitaria quattro porte aveva deciso di lasciarla a piedi nel bel mezzo di un acquazzone serale che le era costata un'influenza con i fiocchi, nonostante Jake fosse andata a recuperarla nel giro di dieci minuti.

Cora fece spallucce, sistemandosi sul sedile del passeggero e allacciandosi la cintura.

< Sono la tua migliore amica, ho il diritto di sapere cosa non va! > La osservò con aria combattiva, inarcando le sopracciglia, cosa che la faceva apparire alquanto minacciosa.

< Non sembravi così ansiosa di conoscere le mie paturnie l'altra sera; eri così impegnata con quel tale... > Sarah non le fece terminare neanche la frase.

< Sì, lo so, d'accordo, mi sono comportata da stronza, ti avevo promesso una serata sole donne e ho finito per lasciarti completamente da sola e mi dispiace. Gli avevo detto di essere impegnata, ma è così testardo a volte... > Arrossì e Cora non seppe se attribuirlo all'aver menzionato il tale, Mike, o alla battaglia che stava conducendo per riconquistare la sua amicizia e le sue confidenze.

< Ne è valsa la pena, almeno? > Le sorrise comprensiva, per un attimo dimentica del suo cattivo umore.

< Ho dovuto spiegargli tre volte che non avevo intenzione di andare a casa sua, ma sì, ne è valsa la pena. > Rise, lanciandole uno sguardo d'intesa.

< Bene, allora sei perdonata. > Confermò, ridendo anche lei.

< Perché ho come l'impressione che il motivo del tuo cattivo umore non siamo io e Mike? > Le domandò, mettendo in moto l'auto e uscendo lentamente dal vialetto d'accesso per immettersi sulla provinciale.

Cora fece nuovamente spallucce, sbuffando appena.

< Qualche problema con Jake? > Le chiese ancora, alternando un'occhiata a lei e una alla strada, in attesa.

< Non nel vero senso della parola... > Tentennò, torcendosi le mani dal nervosismo.

Sospirò nervosa, guadagnandosi un'occhiata stupita.

< Sono due settimane che a stento ci rivolgiamo la parola. > Dichiarò tutto d'un fiato.

Se solo ci pensava, le si attorcigliava lo stomaco.

Non era colpa di nessuno dei due, in fondo: lui era impegnato con il nuovo personaggio da interpretare sul grande schermo, trascorreva intere giornate in palestra e rientrava la sera tardi; lei si affidava alla sua solita routine: ufficio, pranzo con le colleghe, ufficio e un occasionale aperitivo con Sarah prima di rientrare a casa.

Aveva accettato persino l'invito di Maggie a cenare da loro qualche volta. Non avrebbe potuto lamentarsi, tutto sommato, ma quando apriva la porta di casa per trovare tutte le luci spente, le tapparelle abbassate, solo il buio a circondarla per qualche istante, si sentiva tremendamente sola, più sola di quanto si fosse mai sentita quando viveva nel monolocale che aveva affittato fin dagli inizi, quando si era appena trasferita a New York.

Si era impegnata ad aspettare Jake sveglia, ma il più delle volte si era trovata costretta a cedere alla stanchezza; quando rientrava, lei dormiva già da un paio d'ore e quando la sua sveglia suonava, lui era già andato via.

< Avete litigato? > La domanda di Sarah la riportò al presente.

< In realtà no, ma è così impegnato con la palestra, che non ho occasione di vederlo praticamente mai. > Replicò, poggiando un gomito contro il finestrino, la mano a sorreggerle una tempia.

< È il suo lavoro, non puoi biasimarlo se ci si dedica anima e corpo. > Tentò di difenderlo, o forse, soltanto di alleggerirla da quello strano senso di colpa che comunque l'attanagliava se pensava che in fondo, era il lavoro di Jake ad essere più impegnativo, a richiedere più concentrazione, più motivazione, più supporto; non avrebbe dovuto sentirsi così esclusa, se lei per prima, nonostante qualche domanda iniziale, appena Jake l'aveva informata del progetto, non aveva neanche tentato di approcciarvisi in maniera più decisa.

Per di più, aveva sempre rifiutato i suoi inviti a fargli compagnia in palestra durante l'allenamento.

Forse era lei ad avere torto, ad essere in difetto.

< Mi sento come se fosse a chilometri di distanza da me ed io non potessi raggiungerlo. Mi manca. > Ammise senza giri di parole.

< Ma tu vuoi raggiungerlo, giusto? > Le domandò con un sorriso complice, mentre attendeva che il semaforo tornasse verde.

Cora annuì.

< Non è semplice essere la fidanzata di un attore, specialmente se non fai il suo stesso lavoro. > La incoraggiò, riportando gli occhi sulla strada.

< E' per questo che mia madre non fa altro che ricordarmi che dovrò difendermi dalle sue colleghe... non le sta molto simpatico. > Alzò gli occhi al cielo, ricordando le telefonate tutte uguali della madre che avevano il potere di farla innervosire come nient'altro al mondo.

< Beh, lui a quanto pare vuole stare con te e non con una delle sue colleghe e poi, quando mai a tua madre è piaciuto un tuo fidanzato? > Rise, memore delle sfuriate di Johanne durante la presentazione del fortunato di turno.

Cora rise insieme a lei.

Era proprio vero che le amiche avevano il potere di ribaltare qualsiasi situazione, anche la più tragica.

 

Quella sera, di ritorno dall'ufficio, Cora si sentiva stanca, ma entusiasta allo stesso tempo.

Jake non era ancora rientrato, ma non se ne meravigliò, anzi, il buio non la trascinò con sé nel baratro di tristezza e malinconia delle sere precedenti.

Optò per una doccia veloce prima di prepararsi qualcosa per cena, un sandwich vegetariano che assaporò in compagnia del ciarlare della televisione.

Ascoltò un po' di musica, immergendosi tra le pagine di un libro cominciato da poco; lavorò su qualche pratica al computer, buttando un occhio anche al film che trasmettevano in quel momento; si annoiò a fare zapping tra i canali senza riuscire a trovare nulla che non fossero documentari sugli animali; frugò tra le foto scattate con il cellulare, la maggior parte risalenti a qualche anno prima, sforzandosi per ricordare il più piccolo dettaglio che aveva portato a quello scatto; riordinò persino le mensole nel bagno e la cassettiera in camera da letto dove aveva sistemato alla rinfusa la biancheria intima.

Qualsiasi cosa, pur di non addormentarsi.

Voleva aspettare Jake in piedi, preparargli un bagno caldo e chiedergli com'era andato l'allenamento.

Voleva smettere di essere la vittima della situazione.

Aveva appena versato il bagnoschiuma nella vasca che si andava pian piano riempiendo, quando sentì la serratura scattare e la porta aprirsi.

Aveva lasciato la televisione accesa, perciò Jake doveva aver capito che non era ancora andata a letto.

< Cora? > La chiamò infatti, liberandosi del borsone che portava in spalla e delle chiavi che abbandonò nello svuota-tasche all'ingresso.

Cora sorrise, andandogli incontro, cogliendolo di sorpresa quando gli si lanciò praticamente addosso, sbilanciandolo.

< Ehi, che entusiasmo! Cosa succede? > L'aveva afferrata al volo, stringendola a sé.

< Mi sei mancato. > Ammise lei, baciandogli un orecchio.

< Anche tu mi sei mancata. > Le accarezzò i capelli, beandosi del suo profumo fresco e dolce.

< Credevo che dormissi. > Continuò, riportandola con i piedi per terra.

< Ti ho preparato un bagno caldo. > Per tutta risposta, lo prese per mano, conducendolo in bagno dove aleggiava un buon profumo di more e ciliegie.

Cora chiuse il rubinetto della vasca e testò la temperatura dell'acqua con una mano, spostando la schiuma tutta da una parte.

< Spogliati. > Lo incitò. < L'acqua è perfetta. > Sorrise.

< Solo se ti spogli anche tu. > La guardò arrossire compiaciuto.

< Non sono compresa nel pacchetto, mi dispiace. > Rispose con audacia, superandolo per andare a recuperare l'accappatoio.

Quando tornò nella stanza, Jake era immerso nell'acqua fino al collo, ricoperto di schiuma profumata.

Cora posò l'accappatoio da una parte, avvicinandosi alla vasca per sedervisi sul bordo più largo, quello che le avrebbe evitato di scivolare accidentalmente.

Lo osservò godersi l'acqua calda ad occhi chiusi, completamente rilassato.

< Sicura di non voler partecipare? Si sta così bene... > Cercò di convincerla, spiandola con un occhio soltanto.

Cora fece spallucce.

< Posso lavarti la schiena, se vuoi. > Arrossì, ma sostenne comunque il suo sguardo, decisa a non dargliela vinta e Jake, esibendo il suo sorriso storto da ragazzino combina-guai, le tese la spugna.

Si rimboccò le maniche della maglietta che aveva deciso di indossare per stare più comoda e si spostò verso la parte inferiore della vasca, sedendosi sulla striscia di mattonelle che la separava dal muro, spostando i flaconi dei vari prodotti per il corpo in un angolo.

Immerse la spugna nell'acqua calda, poi la strizzò sulla schiena di Jake, strofinando leggera per non fargli male.

Non se ne era accorta durante quelle settimane, ma il suo fisico era cambiato: le spalle erano più muscolose, adesso, così come anche le braccia; era diventato più possente, quasi intimidatorio.

Senza contare il fatto che aveva rasato i capelli quasi a zero, in stile Marines, cosa che metteva ancora più in risalto il suo viso squadrato e i suoi occhi azzurri.

Non le erano mai piaciuti i ragazzi pompati, quelli che pensano solo a quanti pesi riusciranno a sollevare il giorno successivo in palestra e che vanno vantandosi con le ragazze di quanto siano in splendida forma, ma doveva ammettere che su Jake l'effetto era devastante.

Lo preferiva più naturale, ma non poteva negare la stretta piacevole che avvertiva al basso ventre quando lo osservava muoversi e tendere ogni singolo muscolo.

Probabilmente sarebbe morta per auto-combustione.

< Come mai così silenziosa? > Le domandò, allontanandola dai suoi pensieri.

< Sono solo concentrata... > Tentò di giustificarsi, arrossendo nuovamente.

< Ecco perché sono convinto che un bagno possa farti solo bene. > Cora non ebbe neanche il tempo di rendersene conto, che Jake la afferrò per le braccia, sbilanciandola, dapprima di lato, poi in avanti, dritta contro di lui.

La mossa era stata così repentina, che non aveva avuto neanche l'istinto di reagire; si era ritrovata nella vasca, schiacciata contro Jake, senza aver avuto neanche modo di sorprendersi.

< Benvenuta. > Le sorrise sornione, spostandole una ciocca di capelli umida dietro l'orecchio.

< Sei un guasta feste, lo sai? > Lo rimproverò fintamente, cercando una posizione più comoda.

I vestiti fradici le impacciavano i movimenti, anche quelli più semplici.

< Dove stai cercando di scappare? > Le afferrò un polso, trascinandosela nuovamente addosso.

Non le diede modo di rispondere, incontrando le sue labbra con irruenza e desiderio.

< Sei tu la guasta feste; non volevi farmi compagnia. > Rispose, separandosi dalla sua bocca.

< Beh, adesso non solo ti sto facendo compagnia, ma hai anche allagato il bagno. Non ho intenzione di raccogliere acqua per tutta la notte. > Brontolò Cora.

< Nemmeno io, se è per questo. > L'occhiata maliziosa che le lanciò, costrinse il suo stomaco a contorcersi all'aspettativa di quella che sembrava essere una deliziosa promessa.

< Che ne dici se ti svestissi, mh? > Continuò, sollevandole a fatica la maglietta per sfilargliela, per poi passare ai pantaloncini e alla biancheria intima.

Quando fu completamente nuda, immersa nell'acqua calda, Jake versò altro bagnoschiuma nella vasca, intensificando la schiuma ormai quasi del tutto scomparsa.

Non appena ebbe messo via il flacone, Cora gli si avvicinò, sistemandosi tra le sue gambe.

Jake le baciò una spalla umida, accogliendola contro di sé.

Dopo l'imbarazzo iniziale per quella situazione inusuale, si era rilassata e aveva deciso di godersi quel momento di pace e di unione senza paranoie e senza vergogna.

< È stato carino da parte tua aspettarmi in piedi e prepararmi un bagno caldo. > La circondò con le braccia, sussurrandole all'orecchio.

Cora sorrise ad occhi chiusi, quasi prossima ad addormentarsi lì, nel posto che considerava il più sicuro al mondo.

< Mi sei mancato in queste settimane. > Ammise soltanto.

< Lo so, anche tu mi sei mancata. Abbiamo vissuto nella stessa casa, ma è stato come essere soli, come in quei video che mostrano due spaccati di una stessa realtà. > Jake sintetizzò perfettamente la situazione con quel paragone e Cora si ritrovò ad annuire in totale accordo.

Cominciò a pettinarle i capelli con le dita, dolcemente, facendola mugolare di piacere.

La sensazione di leggero solletico che avvertiva sulla cute la mandava in estasi.

Quando non sentì più le dita di lui tra i suoi riccioli bagnati, piegò la testa all'indietro, poggiandola sulla sua spalla, osservando il suo viso al contrario e sorridendogli.

< Come sono andate le riprese? > Gli domandò, cercando di ignorare le goccioline d'acqua che si facevano strada tra i suoi addominali scolpiti.

< Bene. Sono faticose, ma sta andando tutto secondo i piani. > Rispose al suo sorriso, avvicinandosi per baciarla di nuovo, questa volta con maggiore dolcezza.

< Perché non mi accompagni uno di questi giorni? > Continuò una volta che si furono separati.

< Sì! Ho bisogno di una pausa dalle pratiche che mi affibbiano ogni giorno. > Rispose, contrariata al pensiero delle scartoffie che le sbattevano senza riguardo sulla scrivania, quasi sempre in prossimità dell'orario di chiusura degli uffici.

L'acqua si era raffreddata e non sembrava saggio rischiare di congelarsi, senza contare che era ormai notte fonda, perciò Jake la aiutò a rimettersi in piedi senza scivolare, facendo defluire l'acqua nello scarico, poi si alzò a sua volta, coprendo entrambi con il suo accappatoio.

Camminarono coordinandosi fino alla camera da letto, senza accendere le luci, dove Jake, scostandole l'accappatoio dal corpo, la spinse sul piumone, raggiungendola un istante dopo.

< Cosa vuoi fare? > Lo prese in giro, accarezzandogli la schiena e facendogli spazio affinché si sistemasse tra le sue gambe schiuse.

< Devo davvero spiegartelo? O preferisci un disegno? > Le mormorò in risposta, mordendole un orecchio e poi una guancia.

Cora rise, arrossendo appena, così presa dalle sue carezze e dai suoi baci da rendersi a malapena conto di Jake che prendeva possesso del suo corpo dolcemente, senza fretta, stuzzicando i suoi punti più sensibili, facendola gemere e sospirare in attesa di un piacere che tardava a concederle, solo per vederlo aumentare di minuto in minuto nei suoi occhi e nel tremore involontario delle sue membra.

< Ti amo così tanto, Cora... > Sospirò, poggiando la fronte contro la sua spalla.

Cora riuscì solo ad abbracciarlo e a chiudere gli occhi un istante prima dell'estasi.

< Ti amo anch'io. > Rispose alla fine, riprendendo fiato, la bocca secca e l'insensato desiderio di averne ancora.

Credeva che avrebbero finito col litigare; che magari lei l'avrebbe accusato di passare troppo tempo lontano da lei; che avrebbe dato la colpa al suo stupido lavoro di attore e al suo altrettanto stupido senso di responsabilità che non gli permetteva di accontentarsi della mediocrità.

Credeva persino che alla fine sarebbe rimasta nuovamente da sola, in quella casa che non le apparteneva, che le era sconosciuta se non lui non era con lei a condividerla.

Non aveva tenuto conto del fatto che anche Jake aveva sentito la sua mancanza, che, nonostante riconoscesse di essersi comportata come un'insensibile e apatica ragazza qualunque che non capisce nulla di set cinematografici, preparazione, pre-produzione, copioni e battute, l'amasse così tanto da non tenere in considerazione neanche il più insignificante di quegli aspetti; non aveva tenuto conto neanche del fatto che volesse fare l'amore con lei, forse perché aveva presupposto che sarebbe stato stanco, che avesse solo voglia di dormire.

< Mi è venuta fame. > Brontolò dopo qualche istante, distogliendola dai suoi pensieri.

< Alle due di notte? > Quasi gli rise in faccia.

< Ho saltato la cena e tutto questo movimento mi ha messo appetito, cosa c'è di strano? > Fece spallucce, pizzicandole la pancia.

< Posso prepararti un panino, se vuoi. > Propose, già pronta ad alzarsi.

< Lo prepariamo insieme? > Le afferrò una mano, costringendola a guardarlo.

Cora annuì, infilandosi svelta l'intimo, gli short e una sua maglietta di cui si era indebitamente appropriata durante uno dei suoi ultimi viaggi fuori città.

Prima di seguirla in cucina, le sistemò i capelli rossi ancora umidi dietro le orecchie.

< La mia maglietta ti dona. > Le mormorò in un orecchio, prima di baciarla brevemente.

< E tu hai infilato i boxer al contrario. > Tirò l'elastico verso di sé, mollando la presa all'improvviso, facendolo schioccare sonoramente contro la sua pelle tesa.

< Il mio era un complimento, però. > Sbuffò, re-infilando l'indumento correttamente.

< Anche il mio: avevo una visuale privilegiata del tuo fondoschiena. > Rispose, riuscendo a non arrossire.

< Sai che potrei anche decidere di non volerlo più quel panino e obbligarti a fare l'amore con me tutta la notte? > La provocò, non distogliendo mai gli occhi dai suoi.

Cora si schiarì la voce, chiaramente in imbarazzo, dopo qualche secondo di silenzio carico di aspettativa, quasi credendo di vederlo passare immediatamente all'azione.

Era un altro degli aspetti che le piacevano di Jake: non la deludeva mai.

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Capitolo 8
*** Like a drug ***


Buonasera ragazze!

 

Lo so, lo so, sono completamente sparita e di questo mi dispiace. Purtroppo, nell’ultimo anno la scrittura è stato l’ultimo dei miei pensieri: zero ispirazione, zero tempo e idee che, gira e rigira, erano sempre le stesse, quindi ho “mollato” tutto e mi sono messa in pausa.

 

Da circa un mesetto, però, la voglia di aprire una nuova pagina e scrivere qualcosa è rispuntata fuori e complice anche un lavoro di traduzione piuttosto duro e stressante che stavo cercando di portare a termine, ho deciso di assecondare la cosa, quanto meno per staccarmi un po’ dal lavoro, appunto.

 

Ne è venuta fuori questa nuova Shot su Cora e Jake.

 

Vi avviso, è melensa e probabilmente vi causerà una carie, però, boh, forse il pre-ciclo ha influito sul romanticismo, perciò prendetevela con lui :D

 

Non voglio annoiarvi oltre, perciò aggiungo soltanto che non prometto regolarità assoluta negli aggiornamenti, ma cercherò di sfruttare l’onda dell’ispirazione (fin quando c’è).

 

Vi lascio al capitolo: ENJOY!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

8. Like a drug

 

 

 

Quello che spaventa di più della distanza

è che non sai se gli mancherai

o se ti dimenticherà.

 

~Nicholas Sparks~

 

 

 

«Non ho bisogno di compagnia! So stare da sola!» Borbottò Cora, lanciandosi sul piumone colorato e osservando il soffitto.

«Disse colei che ha continuato a inondarmi di SMS per tutta la giornata perché si annoiava…» Rispose Sarah, sovrastando la voce di Holly, quella a cui era diretta in realtà la chiamata.

«Erano informazioni di lavoro!» Tentò di difendersi.

«Non c’è niente di male, Cora. É normale e ci siamo passate tutte, prima o poi; sai, impegni di lavoro, una chiamata improvvisa, progetti all’estero…» Holly riprese il controllo del telefono, sorridendo del tentativo di Cora di giustificarsi, senza riuscirsi appieno.

Il problema non era la noia o la solitudine e neanche il fatto di aver deciso, per una volta, di non passare per la solita melodrammatica.

Era una questione di mancanza, qualcosa che non aveva sperimentato neanche quando il suo ex ragazzo era dovuto partire all’improvviso per la Spagna per risolvere una questione di lavoro che si era protratta per più di due settimane. Lei aveva semplicemente continuato a condurre la sua vita e ad avere la solita routine. Certo, le era mancato, ma non così.

E il problema consisteva anche nel fatto che nessuna delle sue amiche potesse capire davvero, perché nessuna di loro (fatta eccezione per Sarah) sapeva che era fidanzata con Jake Gyllenhaal.

Aveva semplicemente detto loro che aveva cominciato a frequentare qualcuno e alle loro domande curiose su chi fosse il fortunato, aveva risposto che faceva l’attore di teatro e aveva ottenuto qualche piccolo ruolo in TV. Doveva ammettere che l’avevano osservata con un’espressione poco convinta per tutta la giornata, ma la conoscevano, sapevano che era piuttosto riservata e che aveva bisogno di tempo per aprirsi fino in fondo, perciò avevano lasciato cadere la cosa e non avevano insistito neanche per incontrarlo di persona, cosa per cui Cora era grata.

Non se l’era sentita di spiattellare il nome di Jake e non perché non si fidasse delle sue amiche o perché pensava che fossero delle pettegole e l’avrebbero rivelato a tutto l’ufficio, ma perché non era ancora pronta ad affrontare l’isteria che avrebbe sicuramente causato quella confessione.

Con Jake non aveva partecipato a nessun evento pubblico e nonostante qualche foto paparazzata, poteva dire di essere ancora quasi del tutto nell’anonimato e le andava bene così.

Avrebbe confessato a tempo debito.

«Sì, beh, Ryan non ti ha mai abbandonata per due mesi…» Rispose con un sospiro silenzioso.

Holly rise appena perché era vero.

«Non sei stata abbandonata! Smettila di lamentarti e raggiungici, piuttosto!» Sbottò Sarah, strappando il cellulare dalle mani di Holly.

«Ah-ah, prima che tu possa anche solo pensare di darci buca, sappi che abbiamo già ordinato la tua pizza preferita, abbiamo fatto scorta di schifezze varie, riempito il salone di Holly di cuscini e coperte e sintonizzato la TV su un programma trash. Non puoi proprio rifiutare, mi dispiace.» Bonnie interruppe la sua risposta negativa e Cora si ritrovò a espirare il suo no, non mi va.

Sbuffò appena, ma solo perché non voleva dargliela vinta così facilmente, mettendosi seduta sul letto.

«D’accordo, va bene, arrivo.» Si rassegnò alla fine, anche se sorrise quando sentì le grida di giubilo di Sarah e Holly prima di porre fine alla chiamata.

Era già in tuta, visto che poco prima di chiamare Holly aveva deciso di fare una doccia, perciò doveva solo infilare un paio di sneakers, recuperare la borsa e Leo, il cane di Jake che le era stato affidato solo dopo un miliardo di raccomandazioni e uscire di casa.

In fondo, in quelle settimane aveva cercato di fare del suo meglio; fortunatamente il lavoro occupava gran parte della sua giornata e quando Sarah o Holly o entrambe, non la costringevano a uscire, cercava comunque di tenersi impegnata: si era offerta come baby-sitter di Ramona e Gloria per qualche sera, quando Maggie e Peter erano impegnati altrimenti, portava a spasso Leo regolarmente e aveva persino ceduto agli inviti di sua madre che, a suo dire, aveva smesso di andarla a trovare da quando frequentava Jake, cosa sulla quale Cora aveva preferito soprassedere, sapendo che sarebbe stata, in ogni caso, una battaglia persa in partenza.

Prima di andare a letto, quando aveva già indossato il pigiama e stava finendo di sorseggiare un tè caldo, telefonava a Jake, anche se faceva ancora confusione con il fuso orario e ogni singola volta sperava di non disturbarlo.

Al suono della sua voce sospirava quasi di sollievo, neanche avesse trattenuto il respiro per tutta la giornata e solo in quel momento avesse modo di riprendere fiato.

Sorrideva come un’ebete mentre discutevano del più e del meno e si prendevano in giro come dei bambini.

Poi, calava un silenzio pacifico, quasi un’attesa, la sensazione di non avere più niente da dire, ma di non essere comunque in grado di porre fine a quella chiamata, perché li avrebbero separati altre 24 ore fino alla prossima.

Cora smetteva di sorridere e si mordeva le labbra, il cuore che le batteva a mille.

 

«Cora…?»

«Mm?» 

«Mi manchi.»

 

Jake glielo diceva tutte le sere ed era sempre così, con quelle poche parole, che si interrompeva il silenzio.

 

«Mi manchi anche tu.» Glielo sussurrava come se fosse un segreto e avvertiva il suo sorriso che, di riflesso, faceva tornare a sorridere anche lei.

 

Quando Jake le aveva parlato di quel progetto a cui aveva intenzione di prendere parte, da un lato si era detta contenta che avesse trovato subito qualcos’altro a cui dedicarsi, dall’altro sapeva che sarebbero stati lontani per qualche mese e la cosa la spaventava. Non gliel’aveva dato a vedere, perché non voleva intralciarlo e aveva cercato di non pensarci perché sarebbe trascorso ancora del tempo prima dell’inizio delle riprese in Europa e non voleva sprofondare nella paranoia.

Jake però la sua inquietudine l’aveva intuita nonostante tutte le precauzioni prese da Cora. Se ne era reso conto quando la sorella gli aveva chiesto maggiori dettagli in merito e lei, Cora, intenta a tagliare le verdure, si era irrigidita di colpo, gli occhi ancora fissi sulla carota che aveva ripreso a tagliare dopo qualche secondo. Maggie non se ne era neanche resa conto, ma lui sì e non soltanto perché ce l’aveva esattamente di fronte.

Aveva anche notato che, da quando ne avevano discusso, Cora rientrava prima dal lavoro, non apriva mai le pratiche durante i week-end e la sera la trascorreva spesso insieme a lui, niente lavoro di mezzo. Non che se ne lamentasse, anzi, ma sapeva della dedizione di Cora per il suo lavoro e comprendeva il suo voler dare sempre il massimo, anche se questo significava rimanere sveglia fino a tardi o lavorare nei week-end. Lei era fatta così e quegli improvvisi cambiamenti lo facevano riflettere.

Non era semplice frequentare un attore, specialmente se di fama internazionale e non era semplice abituarsi ai suoi ritmi o alla sua vita fatta di paparazzi, premier, eventi e riprese.

Cora era stata fin troppo tollerante: non aveva dato di matto alla vista dei fotografi, né si era lamentata di essere stata seguita fino a lavoro. Jake sapeva quanto fosse difficile abituarsi alle attenzioni dei media e non l’aveva forzata a partecipare a eventi, premier, premiazioni e quant’altro, soprattutto per non metterla a disagio, per farle capire che, nonostante il marasma mediatico, avrebbero comunque potuto vivere una vita tranquilla, come qualsiasi altra coppia.

Si erano impegnati entrambi sotto quel punto di vista e le cose procedevano bene.

Le aveva chiesto se ci fosse qualcosa che la preoccupasse, se il fatto di rimanere lontani le causasse ansia o disagio, non perché non fosse una donna indipendente, perché si era sempre fatta valere in quel senso, ma perché affrontare i paparazzi o i giornalisti da sola era tutto un altro paio di maniche. Non conoscevano il suo nome e Jake aveva chiarito con la sua pubblicista che avrebbe preferito non dare in pasto in quel modo la sua vita privata. Ovviamente, per i paparazzi era tutta un’altra storia, ecco perché spesso era Jake a fermarsi a dormire da lei, perché il suo appartamento era in una zona meno in vista di New York.

Lei aveva risposto che andava tutto bene, che era tranquilla e che non ci sarebbero stati problemi, anche se avessero dovuto scoprire qualcosa in più sul suo conto; quando aveva accettato di frequentare Jake sapeva di aver accettato anche tutto ciò che lo circondava.

Aveva pensato, allora, di lasciar cadere la cosa, perché non voleva risultare insistente.

Il giorno prima della partenza, Cora era un fascio di nervi. Non capiva neanche lei perché fosse così preoccupata. Possibile che non riuscisse a fare a meno di lui neanche per un paio di mesi? Era davvero soltanto quello il problema?

Aveva deciso di accompagnarlo in aeroporto ed erano riusciti a mantenere un basso profilo, soprattutto perché nessuno sembrava fare caso a loro.

Una volta terminato il check-in, avevano trascorso l’ora che lo separava dall’imbarco seduti su una delle innumerevoli sedie delle aree d’attesa, semi-deserte.

Jake l’aveva trascinata sulle sue gambe e Cora gli aveva circondato le spalle con un braccio, giocherellando con i suoi capelli, più lunghi di quando l’aveva conosciuto diversi mesi prima. Con la mano libera cercava di dargli fastidio e di farlo sorridere, delineando ora un sopracciglio, ora il profilo del naso, il mento e gli occhi. Lui l’aveva studiata come se non avesse dovuto rivederla più, accarezzandole i capelli rossi, per poi stringerli delicatamente, avvolgendoseli intorno alla mano chiusa a pugno.

Non ricordava di essere stato mai così silenzioso con lei, non l’aveva mai guardata così a lungo negli occhi da credere di poterle leggere dentro e non aveva mai avuto la sensazione di essere solo, solo con lei, senza nessuno intorno, rinchiuso in una bolla che estraniava entrambi dalla realtà esterna.

L’aveva baciata a lungo prima di andare via e l’aveva stretta a sé, costringendola a sollevarsi sulle punte dei piedi.

 

«Fà la brava. » Le aveva detto scherzando, scompigliandole i capelli.

«Quello che deve fare il bravo sei tu.» Aveva sorriso lei, facendogli una linguaccia.

 

Si era allontanato prima di cambiare idea e l’aveva vista salutarlo con la mano fino a quando non era stato costretto a entrare nel tunnel che l’avrebbe condotto direttamente all’interno del velivolo.

Cora aveva trascorso il resto della giornata a lavoro e poi a cena con le amiche, cercando di distrarsi, fin quando Jake non le aveva inviato un SMS per informarla di essere giunto a destinazione. Non aveva risposto, perché sapeva quanto lui non fosse esattamente il tipo da SMS e aveva deciso di chiamarlo direttamente prima di andare a dormire. Era così che era iniziato quella sorta di rituale della chiamata della buonanotte (almeno per lei).

 

Cora ripensò a quelle sei settimane scarse che erano già trascorse, mentre era ferma a un semaforo, in attesa del verde.

Non era abituata a quella sensazione, non era abituata a essere così ossessiva, non era abituata a pensare a un ragazzo ventiquattro ore al giorno, qualsiasi cosa facesse e non era neanche abituata a provare quella nostalgia.

Forse era ancora troppo presto, in fondo stavano insieme da pochi mesi ed era la prima volta che Jake si allontanava per così tanto tempo da New York, non era pronta e quel progetto era venuto fuori quasi all’improvviso, facendola crollare. Aveva avuto tutto il tempo per metabolizzarlo, ma la verità era che aveva solo cercato di non pensarci e questo non aveva fatto altro che gravare sul suo disagio in crescita. Se qualcuno le chiedeva se andasse tutto bene, lei rispondeva di sì, sorrideva e andava avanti con la vita di tutti i giorni, quando invece tutto quello che avrebbe voluto fare sarebbe stato rispondere di no, confessare quanto fosse in ansia per quel distacco, seppur breve, e lasciarsi magari rassicurare.

Era stata schiva, come al solito; non aveva avuto il coraggio di dirlo neanche a Jake e lui aveva rispettato il suo silenzio, perché era ovvio che non si fosse bevuto nessuna delle sue semplici scrollate di spalle.

La lontananza la pietrificava perché aveva visto sua madre soffrirne quando suo padre era andato via di casa e lei aveva solo pochi mesi. Era cresciuta senza sapere cosa significasse avere un padre, ma la cosa che l’aveva più ferita erano stati gli occhi di sua madre quando fissava una loro vecchia foto in salotto.

Era lo stesso sguardo con il quale si era trovata a confrontarsi tutte le mattine da sei settimane a quella parte: spento e opaco.

Il suo cervello sapeva benissimo che Jake non l’avrebbe abbandonata, sapeva benissimo che era via per lavoro; il suo cuore però si rifiutava di capirlo ed era anche per questo che era un sollievo sentire la sua voce al telefono, sentirgli dire che le mancava. Il vuoto e lo sconforto scomparivano per un po’, giusto il tempo di svegliarsi e cominciare a prepararsi per la giornata; poi, mentre era a lavoro, immersa nelle carte, avvertiva un vuoto allo stomaco familiare e sapeva che sarebbe cominciato tutto daccapo fino alla telefonata successiva.

 

Qualcuno dietro di lei suonò il clacson e Cora si rese conto di essersi distratta tanto da non aver visto scattare il verde. Accelerò e proseguì in direzione di casa di Holly.

Posteggiò davanti all’edificio e fece scendere anche Leo, recuperando poi il borsone che si era portata dietro per la notte.

Holly abitava in un edificio piuttosto periferico, ma non era uno di quei quartieri dove avresti avuto paura a gironzolare sola di notte, anzi. I viali erano ben illuminati e non c’era traccia di degrado. Se pensava che il palazzo dove aveva preso in affitto il suo appartamento, nonostante si trovasse in una delle vie più centrali della città, presentava una serie di carenze di manutenzione, tra cui il cancello che portava al cortile completamente divelto e la vecchia scala antincendio praticamente pericolante e prossima a cadere, doveva ammettere che l’appartamento di Holly era quasi di lusso.

Cora citofonò e il portone si aprì quasi immediatamente. Leo la strattonò verso le scale.

«Ehi, cos’è tutta questa fretta?»

Leo si fermò al terzo piano, abbaiando.

«Shh! Che ti prende?» Cora lo accarezzò, cercando di tranquillizzarlo.

Non ebbe bisogno di bussare, perché la porta si aprì e Leo quasi saltò in braccio al suo padrone, cogliendo di sorpresa Cora che non ebbe neanche il tempo di trattenerlo per il guinzaglio.

Poi, con qualche secondo di ritardo, si rese conto di trovarsi di fronte Jake e non Holly o una delle sue amiche.

«Che…? Cos…?» Non riusciva neanche a formulare una frase di senso compiuto.

Jake, che nel frattempo aveva tranquillizzato Leo, facendolo entrare in casa, la osservò dibattersi nel tentativo di esprimersi.

«Cosa ci fai qui?» Riuscì a borbottare alla fine. Non era esattamente quello che avrebbe avuto intenzione di dire, ma era così sorpresa che il suo cervello aveva deciso di non collaborare.

«Lo abbiamo invitato noi.» Si intromise Bonnie, sbucando sulla soglia della porta, sorridendo.

«Ma quando…?» Sarah non le fece neanche completare la frase, sbucò da sotto il braccio di Jake e la tirò dentro casa senza tante cerimonie.

«Sono sei settimane che sorbiamo i tuoi sospiri nostalgici e adesso che ce l’hai di fronte non lo saluti neanche?» Holly incrociò le braccia al petto indispettita.

«É che è così…» Ma neanche questa volta ebbe modo di completare la frase, perché si ritrovò stretta tra le braccia di Jake senza neanche rendersi conto di come ci fosse finita.

La sollevò appena da terra, stringendola a sé e accarezzandole i capelli.

«Ciao.» Le mormorò in un orecchio, facendole venire i brividi. Le era mancata la sua voce dal vivo.

«Ciao.» Tirò su col naso, imponendosi di non piangere. Era lì, con lei e non c’era bisogno di versare lacrime.

Cora inspirò il suo profumo, lasciandosi solleticare dall’accenno di barba sul suo viso, rendendosi conto che il cuore le batteva all’impazzata e che aveva lo stomaco sottosopra.

Quando Jake le fece poggiare nuovamente i piedi a terra, liberandola dall’abbraccio, Cora si asciugò le lacrime con la manica della felpa che indossava, notando lo sguardo sognante delle sue amiche.

Jake le strinse la mano, intrecciando le dita alle sue.

Quando Sarah l’aveva chiamato, aveva subito pensato che fosse successo qualcosa, ma lei l’aveva tranquillizzato subito, parlandogli della sorpresa che lei e due altre amiche avevano intenzione di fare a Cora e che consisteva nella sua comparsa improvvisa a casa di una di loro, mentre Cora avrebbe creduto di stare per partecipare a un semplice pigiama party tra ragazze.

L’occasione si presentava a pennello, perché aveva qualche giorno libero e aveva pensato di fare ritorno a New York per trascorrere qualche giorno in famiglia e con Cora, che anche se non avrebbe mai ammesso di sentire moltissimo la sua mancanza, lui sapeva che era così, perché era quello che provava anche lui.

Gli mancava svegliarsi con lei, osservarla mentre gironzolava per casa, sbocconcellando biscotti, vederla indossare una sua camicia o una sua felpa, nonostante fossero molto più grandi di lei e gli mancavano il suo sorriso e i suoi capelli rossi costantemente spettinati.

Insomma, non era riuscito a dire di no e aveva preso il primo volo disponibile da Parigi.

Era così sollevato di averla nuovamente tra le braccia, che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

«Grazie ragazze, siete le migliori.» Mormorò Cora a tutte, abbracciandole in gruppo.

«Avresti dovuto dircelo che si trattava di Jake Gyllenhaal! Abbiamo quasi avuto un infarto quando Sarah ce l’ha detto!» La rimproverò Holly sottovoce affinché il diretto interessato non sentisse.

«L’avrei fatto, lo giuro! Era ancora troppo presto, tutto qui.» Forse le sue scuse non erano abbastanza, perché si trattava di una notizia importante e, se fosse stato qualcun altro, non si sarebbe fatta alcun problema a parlarne alle amiche. Con Jake era successo tutto in fretta e non voleva che la notizia scatenasse una bomba di pettegolezzi in ufficio.

«Beh, ringrazia che Sarah ci ha fatto un corso rapido di respirazione yoga, altrimenti avremmo avuto un collasso, credimi.» Rise Bonnie.

«In realtà, l’abbiamo fatto per noi, per la nostra sanità mentale.» Sbottò Sarah, la bocca piena di patatine, tornando alla questione principale: la loro sorpresa.

«Non dar loro retta, non sono stata così catastrofista, in realtà.» Si sentì in dovere di giustificarsi con Jake, che le stava osservando sorridente, le braccia incrociate al petto.

«No, altroché! Molto peggio! A lavoro sentivo i suoi sospiri dalla stanza accanto!» Continuò Sarah, noncurante, recuperando la ciotola di patatine che aveva abbandonato sulla mensola dell’ingresso prima di abbracciare Cora.

Jake rise, mentre Cora fingeva di stritolarla con la sua sciarpa.

«Che ne dite se iniziamo a guardare il film? Non voglio assistere a un omicidio.» Bonnie condusse tutti in salotto, dove la TV era stata lasciata accesa, il DVD già inserito.

Quando si riunivano per un pigiama party, sceglievano sempre qualche classico, qualcosa che avevano già visto e rivisto, ma che, nonostante tutto, non riuscivano a smettere di proporre per una di quelle serate.

Quella sera era toccato a Harry Potter; solitamente riguardavano tutta la Saga, se riuscivano a non addormentarsi, cosa che immancabilmente accadeva tra il quinto e il sesto capitolo.

Cora prese posto sul suo solito cuscino, invitando Jake a sedersi accanto a lei. Le altre presero posto più o meno come al solito, mentre Leo aveva pensato bene di poggiare il muso sulle gambe incrociate di Cora, rilassandosi.

Commentavano le solite scene, sgranocchiando pop-corn e patatine, lanciandoseli persino a vicenda se non si trovavano d’accordo o se qualcuna provava ad addormentarsi.

 

Dopo venti minuti dall’inizio di Harry Potter e l’Ordine della Fenice, avevano tutti ceduto al sonno, tranne Cora e Jake che aveva cambiato posizione, sistemandosi dietro di lei per averla più vicina, avvolgendole le braccia intorno alla vita.

«Mi sei mancata.» Le disse a bassa voce, cercando di non svegliare nessuno, baciandole una tempia.

Cora non si prese neanche la briga di rispondere che aveva sentito la sua mancanza anche lei, più di quanto avrebbe mai immaginato; si voltò verso di lui e incontrò le sue labbra, accarezzandogli i capelli. Era incredibile come il suo stomaco ancora facesse le capriole quando lo baciava. Sarebbero mai scomparse quelle farfalle?

Non seppe nemmeno quanto tempo trascorsero lì a baciarsi, sfiorandosi ora le spalle, ora le braccia, ora il viso e i capelli, fatto stava che furono costretti a separarsi quando Cora venne colpita in testa da una manciata di pop-corn.

«Non potete oltraggiare così casa mia!» Borbottò Holly, mezza intontita dal sonno, puntando loro un dito contro a mo’ di rimprovero.

Jake rise, nascondendosi contro la spalla di Cora per attutire il rumore.

Cora le tirò addosso un cuscino che Holly a sua volta rilanciò contro di lei, colpendo però il povero Leo che, assopitosi, si svegliò di scatto, abbaiando spaventato e calpestando le figure addormentate di Sarah e Bonnie poco distanti che, noncuranti del trambusto, si voltarono semplicemente dall’altro lato, continuando a dormire.

Jake richiamò Leo, accarezzandolo e tranquillizzandolo.

«Forse è meglio che io torni a casa. Ci vediamo… tra qualche ora, direi.» Osservò l’orologio che segnava già le due e mezzo del mattino.

«Puoi restare, Holly è solo gelosa.» Rispose Cora facendo una linguaccia all’amica che ricambiò con un mezzo sorriso divertito.

«Oh, beh, di questo puoi esserne certa.» Le fece l’occhiolino, facendola ridere, coinvolgendo anche Jake che si alzò in piedi e optò per la circumnavigazione dell’isola di cuscini per raggiungere il salotto, onde evitare di pestare qualcuno nel buio della stanza.

Cora lo seguì, chiudendosi la porta del salotto alle spalle.

«Posso venire con te.» Non aveva voglia di salutarlo, anche se per poche ore.

«Ho mandato all’aria la vostra serata tra amiche e ho bisogno di una doccia e di qualche ora di sonno per riprendermi dal jet-lag. Posso passare a prenderti per andare a fare colazione insieme.» Le propose, sistemandole i capelli dietro le orecchie.

Cora mise il broncio come una bambina, facendolo sorridere.

«Questa scena l’ho già vista.» Rise, ricordandosi di quella volta che era andato a trovarla a casa sua e lei aveva cercato di trattenerlo, rischiando di mandare all’aria i suoi buoni propositi di non bruciare tutte le tappe nell’immediato.

«Non cercare di farmi cambiare idea.» Continuò.

«Perché no?» Cora gli si avvicinò di un passo.

«Sei un’inguaribile testarda, lo sai?» Jake si chinò appena per baciarle un angolo della bocca e poi trarla a sé per abbracciarla.

«Allora rimani tu qui.» Insistette, afferrando un lembo della sua felpa e trattenendolo.

«Guarda che non vado da nessuna parte. Passo a prenderti alle otto e mezzo, d’accordo?» Aprì la porta, avanzando sul pianerottolo buio con Leo alle calcagna.

Cora sospirò rassegnata.

Lei era testarda.

 

Qualche ora dopo, quando si svegliarono, la sveglia segnava le sette e il menu del DVD del sesto capitolo della Saga del maghetto con la cicatrice lampeggiava sullo schermo della TV.

Cora era riuscita a dormire soltanto un’ora e mezza, ma non si sentiva stanca, complice il fatto che di lì a poco avrebbe rivisto Jake.

Si recò in bagno per darsi una sistemata e cambiarsi e quando svoltò in cucina per un bicchiere d’acqua, le sue amiche erano lì che facevano colazione. Avevano apparecchiato anche per lei e le avevano conservato una tazza di caffè bollente che Cora non rifiutò.

«Cos’è quella faccia?» Domandò, riferendosi all’espressione maliziosa di Holly che stava imburrando una fetta biscottata senza guardarla.

«La mia faccia da “sai che devi dirci tutto, vero?”» Rispose.

«A proposito di cosa?» Finse di non aver capito, sorseggiando il suo caffè, ma in realtà sapeva benissimo che le sarebbe toccato un terzo grado di prim’ordine.

«Non cercare di fare la finta tonta! Sai benissimo di cosa stiamo parlando, anzi, di chi.» Rincarò la dose Bonnie.

Cora arrossì, nascondendosi nuovamente dietro la tazza di caffè.

«Non c’è molto da dire, ragazze.» Rispose alla fine, facendo spallucce.

Bonnie, Holly e Sarah si scambiarono uno sguardo da “sì, certo, ci crediamo”.

«Dico sul serio! Sarah è stata testimone del nostro incontro… beh, quasi.» Aggiunse.

«Ehi, non vale! Non tirarmi in mezzo! Io non so niente di niente.» Sarah alzò le mani a mo’ di discolpa.

Effettivamente, Sarah sapeva solo che frequentava Jake Gyllenhaal, l’attore per il quale aveva una cotta da anni, che spesso dormiva a casa sua e che altrettanto spesso trascorrevano la pausa pranzo insieme.

Cora non era mai stata così restia a parlare di una sua relazione, eppure sentiva che qualsiasi cosa ci fosse tra lei e Jake doveva essere protetta, anche dalle persone di cui si fidava di più.

«Ti lasciamo in pace solo se ci sveli qualche dettaglio piccante.» Ammiccò Holly.

Cora era sicura di essere diventata viola a giudicare dal calore che sentiva provenire dal viso.

Lanciò contro l’amica un tovagliolo appallottolato che la fece ridere.

Ecco un’altra di quelle cose che preferiva tenere per sé. Avrebbe dovuto confessare loro di aver perso la verginità con Jake? Sarebbe stato semplice formulare la frase, quanto sarebbe stato difficile pronunciarla; senza contare che le sue amiche neanche sapevano che fosse vergine prima di Jake.

«Vogliamo solo sapere se è ben piazzato come dicono.» Scrollò le spalle Bonnie.

«Come dicono?» Cora quasi si strozzò con l’acqua che stava bevendo.

«Sì, le riviste.» Spiegò Sarah.

Non sarebbe mai uscita da quella situazione se non avesse dato loro una risposta almeno un pelo convincente.

«Non ho notato niente di strano, è il massimo che posso concedervi.» Si alzò allo squillo del cellulare, rossa come un pomodoro; Jake la stava aspettando.

«Ci abbandoni così?» Holly mise il broncio, come lei la sera prima.

«Vi chiamo più tardi, promesso.» Recuperò giacca, sciarpa e borsone, salutandole poi con un bacio sulla guancia.

 

Quando entrò in macchina tirò un sospiro di sollievo per aver evitato una delle conversazioni più imbarazzanti di sempre.

«Tutto bene?» Le chiese Jake, osservandola.

Cora annuì, voltandosi verso di lui: aveva indossato il maglione blu notte di cui lei si era indebitamente appropriata pochi giorni dopo la sua partenza, la canotta bianca che sbucava appena fuori dal colletto.

Aveva un aspetto più riposato della sera prima e i capelli meno arruffati.

«Mi hai appena salvata da un terzo grado spietato.» Completò, visto che il suo annuire era stato poco esplicativo, avvicinandosi per baciargli una guancia.

Jake rise mentre lei si allacciava la cintura di sicurezza.

«Non è stato divertente, non dovresti ridere.» Lo apostrofò, ma in realtà stava sorridendo anche lei.

«Beh, non hai visto la tua faccia quando sei entrata in macchina.» Si giustificò lui, voltandosi a guardarla.

«Non conosci le mie amiche, non sai cosa sono in grado di fare.» Potevi essere testarda quanto volevi, ma alla fine ti prendevano per sfinimento e c’era poco che tu potessi dire o fare per distrarle dal loro obiettivo.

Il traffico rallentava la circolazione, come sempre a quell’ora e ben presto rimasero anche loro imbottigliati in una coda.

Cora accese la radio e per un po’ rimase concentrata nella ricerca di una canzone che le piacesse.

Quei gesti e quei momenti la rassicuravano. Era successo altre volte che Jake insistesse per andare a fare colazione fuori nel suo giorno libero, perciò aveva la sensazione che fosse ritornata alla sua routine di sempre, Jake compreso.

Sapeva che avrebbero avuto solo qualche giorno da trascorrere insieme prima che lui ripartisse, ma in quel momento non le importava. Le era mancato sentirsi così rassicurata dalla sua sola presenza.

Jake la osservò sistemarsi i capelli dietro le orecchie affinché non le dessero fastidio mentre continuava a premere il pulsante per cambiare stazione radio. Osservò le lentiggini appena accennate e le ciglia lunghe, prive di mascara. Qualche ciocca di capelli le scivolò nuovamente lungo il viso e prima che potesse farlo lei, allungò le dita per sistemargliele di nuovo dietro l’orecchio. La osservò alzare gli occhi verdi su di lui e sorridere. Continuò a giocherellare con i suoi capelli anche quando Cora si ritrasse per tornare a sedersi composta, poggiando la nuca contro il sedile, voltandosi verso di lui divertita.

«Sei la prima persona a cui piacciono i miei capelli.» Era vero. Persino sua madre quando aveva diciassette anni aveva cercato di convincerla a tingerli di castano.

Jake scrollò le spalle.

«Sono innamorato perso dei tuoi capelli.» Replicò.

«E chi ti dice che ricambino?» Gli chiese lei.

«La loro padrona mi lascia fare.» Era ovvio.

«Per puro altruismo e perché non ho intenzione di diventare calva, cercando di divincolarmi.» Gli fece una linguaccia, alla quale Jake rispose pizzicandole un fianco, ridendo del suo tentativo di farsi più piccola per non subire il solletico.

Cominciarono a solleticarsi a vicenda, cercando di individuare i punti più sensibili, rendendosi conto altresì di essere incredibilmente infantili quando volevano.

Quando la coda di macchine avanzò, avevano entrambi il fiatone a furia di ridere.

 

Raggiunsero Broadway dopo una decina di minuti e altrettanti ne servirono per entrare nella caffetteria preferita di Cora, quella dove ormai era praticamente di casa, tanto che le servivano l’ordinazione senza che lei avesse bisogno di aprire bocca, perché era la stessa da quando aveva scoperto quel posto, durante una delle suoi peregrinazioni in città. Andava lì quando aveva bisogno di calma e tranquillità perché il locale aveva a disposizione un piccolo giardino sul retro con panche e tavoli di legno dove sembrava di essere rinchiusi in una bolla, isolata dal caos cittadino. Non a caso, non ci aveva portato mai nessuno lì, amiche o ex fidanzati che fossero, affinché quel luogo rimanesse un po’ il suo tempio, dove non era reperibile.

Con Jake aveva fatto un’eccezione e non ci aveva pensato su neanche troppo. Non era stata una questione di privacy, o meglio, non solo, però dopo che lui l’aveva praticamente messa a conoscenza di tutti i suoi posti preferiti, sentiva di dover quantomeno ricambiare e quello era l’unico luogo che conoscesse bene quanto le sue tasche, quindi la decisione era stata immediata e spontanea.

Cora salutò con la mano le bariste, che ricambiarono sorridendole e si diresse verso il giardino sul retro, praticamente deserto. Non era la prima volta che ci andava con Jake, ma aveva sempre la sensazione che lo fosse, probabilmente perché era lei che ogni volta che attraversava quella soglia si sentiva un’altra, in un modo che faticava a spiegarsi.

Si sedettero al primo tavolo disponibile e non ci volle molto perché Jen, la cameriera di turno, li servisse: due muffin ai mirtilli e due cappuccino.

Cora bevve subito un sorso del suo, sporcandosi il labbro superiore di schiuma, come al solito.

Mentre mangiavano il muffin, parlarono del più e del meno, come se non avessero mai smesso, anche se non avevano neppure cominciato, ridendo di qualche aneddoto che era avvenuto durante il viaggio di lui e di qualcos’altro che era invece successo a Cora in ufficio o mentre portava a passeggio Leo.

Quando smisero di parlare, come a riprendere fiato, come durante una delle loro telefonate, rimasero a osservarsi in silenzio, Cora giocherellando con la tazza ormai vuota.

«Sei mai stata a Parigi?» Le chiese, di punto in bianco, facendole sollevare gli occhi dalla tazza.

Cora fece segno di no con la testa, allungando una mano a incontrare la sua.

«Cosa diresti se ti dicessi che ci andrai fra tre giorni?» Continuò, sorridendo appena.

Cora, intenta a intrecciare le dita con le sue e poi a slegarle per intrecciarle nuovamente, si bloccò di colpo, guardandolo smarrita.

L’idea gli era venuta quando Sarah l’aveva telefonato, lamentandosi di quanto Cora la assillasse con il fatto che avrebbe voluto essere a Parigi con lui, anche perché aveva da sempre desiderato vedere Parigi e non ne aveva mai avuto l’occasione.

Era stato in quell’istante che aveva pensato che sarebbe stato bello vivere la città con lei, svegliarsi con lei accanto e addormentarsi senza attendere la sua telefonata, sapere che era lì, coinvolgerla nelle riprese e durante il ripasso del copione, presentarla alla troupe e ai suoi colleghi.

«Cosa vuol dire?» Fu l’unica cosa che riuscì a chiedere, vagamente frastornata.

«Che verrai con me. A Parigi.» Rispose lui.

Cora per poco non cadde dalla sedia. 

Lei. A Parigi. Con lui.

Lei. Nella città dei suoi sogni. Con lui.

Era tentata di tirarsi un pizzicotto per verificare che fosse tutto vero.

Non seppe se piangere o ridere, tanto che alla fine si sentì ridere mentre le lacrime le rigavano le guance.

Jake si alzò per occupare il posto accanto a lei, lasciandosi abbracciare.

«Non mi aspettavo così tanto entusiasmo. Stai piangendo!» La prese in giro, asciugandole le lacrime.

«Scherzi? É tutta la vita che sogno di andare a Parigi!» Rispose, tirando su col naso.

«Beh, adesso non sarà più solo un sogno.» Le riordinò i capelli dietro le orecchie.

Cora rise di nuovo.

«Tu sei pazzo, prima o poi mi farai licenziare.» Lo abbracciò ancora, inspirando il suo profumo e stringendosi a lui.

Jake la allontanò appena da sé per osservare i suoi occhi verdi, vivaci e ancora acquosi, prima di baciarla, prendendosi tutto il tempo necessario per assaporare le sue labbra, mentre lei portava una mano ad accarezzargli la nuca.

Cora era contenta che non ci fosse nessuno in giardino, in quel momento e che non sarebbero stati interrotti come la sera prima a casa di Holly.

Sei settimane senza sfiorarlo erano state una tortura sufficiente.

 

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Capitolo 9
*** Never Again ***


Buon lunedì a tutti!

Oggi è il cosìdetto Blue Monday e secondo voi perché sono qui proprio oggi a postare un nuovo capitolo dopo ere? Ma certo! Per allietare la vostra giornata (spero)!

La cosa strana è che avevo il capitolo pronto da mesi, eppure non mi sono mai decisa a pubblicarlo. Vi succede mai? Avete qualcosa di pronto che volete condividere con gli altri, ma non lo fate? Fatemi sentire meno sola e (meno) psicopatica (LOL).

Comunque, cosa dire di più? Scrivere questo capitolo mi è piaciuto molto e credo che fino ad ora sia il mio preferito in assoluto (ma, ehi, io non sono obiettiva per nulla), quindi perché non mi dite cosa ne pensate invece VOI? Sono curiosa.

Vi auguro una buona continuazione di giornata e, come al solito, una buona lettura! <3

 

 

 

 

9. Never Again

 

A Cora piaceva definirsi una ragazza determinata. Cercava sempre di portare a termine quello che si prefiggeva e faceva del suo meglio per realizzare i suoi sogni. Certo, non era sempre facile; c’erano giorni in cui voleva mollare, lasciar perdere tutto e prendere il primo volo per un’isola deserta, però nonostante tutto non demordeva, si rialzava e tornava a combattere.

Era grazie a quel lato di sé che si era trasferita a New York da sola, con una valigia piena di speranze e qualche vestito ed era sempre grazie alla sua determinazione che aveva ottenuto quel posto di lavoro, il suo primo contratto a tempo indeterminato dopo una serie di part-time deludenti.

Eppure, c’erano situazioni in cui essere determinati non valeva poi così tanto; c’erano situazioni in cui la determinazione si trasformava in ostinazione e poi in rassegnazione.

Era quello che era successo con Jake.

Entrambi avevano lavorato instancabilmente affinché la loro relazione funzionasse, avevano cercato di essere accomodanti l’uno con i difetti dell’altro, avevano stabilito i loro spazi e cercato di non invaderli, avevano investito tutto di loro stessi.

Non aveva funzionato o meglio, aveva funzionato per un po’, poi il castello aveva cominciato a crollare, mattone dopo mattone.

Non era facile pensarci e non era facile accettare quella realtà.

Cora ci stava pensando in quell’istante, appena sveglia, ancora sotto le coperte. 

Jake non era accanto a lei e non ci sarebbe stato più.

Forse, nel profondo del suo cuore l’aveva sempre saputo che erano incompatibili, che non avrebbero fatto poi tanta strada insieme e che, prima o poi, qualcosa li avrebbe fatti crollare.

Aveva cercato di essere comprensiva, aveva cercato di capire la sua vita frenetica e il suo mestiere di attore che lo portava via interi mesi, ma la verità era che non solo era più difficile di quello che pensasse, era stato anche incredibilmente frustrante: non vederlo per mesi, accontentarsi soltanto delle telefonate e degli SMS e dei pochi giorni di pausa in cui riusciva a ritornare a New York, concedergli i suoi spazi e non sembrare assillante…

Non era sempre così, certo; c’erano periodi in cui i loro impegni si incastravano alla perfezione, riuscivano a trascorrere settimane insieme come una vera coppia, non erano costretti a sentirsi solo per telefono e riuscivano persino ad andare a cena fuori, al cinema, al luna-park ed era in quei momenti che Cora si ritrovava a pensare che sarebbe stato bellissimo se fosse stato sempre così, non solo due-tre volte all’anno, ma sempre, anche solo poche ore al giorno.

Non poteva fingere che andasse tutto bene, perché sapeva quello a cui andava incontro quando aveva deciso di frequentare Jake, sapeva che la loro relazione non sarebbe stata tutta rosa e fiori, non sempre almeno, ma non aveva preventivato il bisogno che avvertiva di sentirlo sempre al suo fianco, di poter contare su di lui. Con Jake questo non succedeva e non perché lui non volesse essere presente per lei, ma semplicemente perché non poteva e a Cora le telefonate non bastavano, non se non poteva vederlo per mesi.

Aveva deciso di comunicargli quella decisione qualche settimana prima e avevano finito per litigare, alzando la voce, sebbene non fosse da lei.

Jake aveva cercato di convincerla a restare, promettendole che avrebbe ridotto gli impegni, che quando avesse voluto avrebbe potuto accompagnarlo, ma Cora sapeva di non potergli chiedere una cosa del genere, era il suo lavoro e lei non voleva mettersi in mezzo, perché se i ruoli si fossero ribaltati lei non l’avrebbe sopportato e non voleva costringerlo a scegliere.

Le era sfuggita qualche lacrima mentre recuperava il cappotto per tornare a casa, ma aveva cercato di trattenersi. Era una delle decisioni più difficili che avesse mai preso, perché lo amava e per quanto melenso o da film d’amore da quattro soldi potesse sembrare, sapeva anche che non sarebbe stata più in grado di provare delle sensazioni così forti per qualcuno che non fosse Jake, ma in qualche modo sarebbe riuscita ad andare avanti, forse persino a dimenticarlo, un giorno.

Ricordava l’abbraccio in cui l’aveva avvolta prima che potesse aprire la porta e andare via, così come ricordava il suo profumo e il rumore del suo respiro nell’orecchio.

Jake da parte sua aveva provato a telefonarla, ad aspettarla a lavoro, era rimasto davanti alla porta di casa sua diverse ore in attesa di vederla rientrare, prima di scoprire dopo una telefonata a Sarah che era partita per Dublino per un corso offerto dall’azienda e che non sarebbe ritornata prima di un mese. Per allora lui sarebbe stato impegnato in un nuovo progetto a Vancouver ed era sicuro che non sarebbe riuscito a parlarle. Nonostante questo, provò comunque a chiamarla, lasciandole diversi messaggi in segreteria, ma Cora restò ferma nella sua decisione: non tirare troppo la corda; se avesse fatto anche solo un passo indietro, ci sarebbe ricascata e lei odiava i tira e molla, non sarebbe stato giusto nei confronti di Jake, ma soprattutto non sarebbe stato giusto nei suoi.

Maggie aveva intavolato più volte la discussione durante le cene a cui prendeva parte a casa sua quando Jake non era a New York, perché lei e Maggie erano rimaste amiche e Cora si sentiva sempre la benvenuta in quella casa, complici anche Gloria e Ramona che se la contendevano per giocare, neanche fosse un pezzo di torta; Cora le aveva spiegato quello che l’aveva portata a quella scelta e se in un primo momento Maggie aveva cercato di farle cambiare idea, non tanto perché anche Jake stava soffrendo, quanto per il fatto che li aveva visti entrambi coinvolti in un modo che si sentiva già pronta per essere invitata al loro matrimonio, ma poi aveva osservato Cora scuotere la testa, sorridere appena e dirle che non voleva mandare avanti una storia per inerzia, non se dovevano entrambi trascinarsi tra una litigata e l’altra, arrivando al punto di non riuscire neanche più a sopportarsi e allora Maggie aveva alzato le mani e non aveva più nominato il fratello.

 

Cora si sollevò a sedere sul letto al secondo suono della sveglia, stiracchiandosi. Controllò il cellulare per assicurarsi che il suo appuntamento con Holly non fosse stato cancellato e poi si diresse in bagno. Le sue amiche erano convinte che per distrarla sarebbe bastato un po’ di sport e ora facevano a turno per accompagnarla a correre a Central Park, neanche avesse bisogno della balia. Aveva provato a farglielo capire, ma testarde com’erano c’era stato poco da fare: da sola non sarebbe mai uscita a correre prima dell’ufficio, con loro invece avrebbe avuto una motivazione in più. Le aveva assecondate perché non aveva voglia di discutere e perché correre la distraeva davvero, quasi come se con il sudore scivolassero via anche i pensieri.

Il tempo di indossare la tuta e le scarpette da ginnastica e di legare i capelli, che Holly era già arrivata.

«Buongiorno! Come stai oggi?» Le domandò non appena fu fuori dal portone.

«Al solito.» Rispose, ringraziandola per il cappuccino caldo che si era ricordata di comprarle.

«Passerà.» Le rispose Holly, sorridendole appena. Non faceva altro che ripeterlo, tutti intorno a lei non facevano altro che ricordarglielo, come se la sua vita fosse tutta lì, Jake-centrica. C’erano legami che si spezzavano ogni giorno, ogni ora forse e sì, ci stava male, ma non da farne un dramma. Era già trascorso più di un mese dall’ultima volta che si erano visti e Cora non si meravigliava neanche del fatto che non avesse avuto modo di incrociarlo in giro per la città: New York era grande e lei non usciva spesso dopo l’ufficio e di certo non frequentavano gli stessi posti, perciò andava bene così.

Raggiunsero Central Park in una decina di minuti e si unirono ai numerosi joggers che già affollavano i sentieri, nonostante la fredda mattinata di dicembre.

«Tua madre mi ha richiamata.» La informò Holly, sorridendo nel vederla sollevare gli occhi al cielo.

«Non capisco perché non parla con me, invece di annoiare voi.» Ecco un altro dei problemi di quando tornavi single: tua madre cominciava a preoccuparsi e invece di chiedere direttamente a te come stavi, pensava bene di infastidire tutto il giro di tue conoscenze strette.

Holly rise.

«É solo preoccupata per te, lo sai. Secondo me Jake un po’ le piaceva, anche se non lo ammetterebbe mai.»

«Non credo, fosse per lei gli uomini dovrebbero sparire dall’intero pianeta.» Rise di rimando, cercando di sdrammatizzare sul fatto che sua madre fosse ormai un caso perso. Non voleva che soffrisse e poteva capirla, perché avrebbe voluto sempre e solo proteggerla, ma non poteva essere sempre tutto bianco o nero, anche le sfumature erano importanti.

«Oh e prima che mi dimentichi, Sarah mi ha chiesto di dirti che secondo lei il regalo dovresti darglielo lo stesso.» Cora sospirò e si bloccò nel bel mezzo del sentiero, Holly che proseguì per un po’ prima di rendersi conto che l’amica non era accanto a lei. Tornò indietro accigliata.

«Qualcosa non va?» Le chiese.

«Sapete come la penso, non voglio rivederlo e il regalo posso sempre riciclarlo.» Com’era possibile che dopo un mese le sue amiche non avessero ancora esaurito l’argomento?

«Beh, ma è il suo compleanno e quel regalo l’hai acquistato con mesi di anticipo e devo ricordarti che ci hai fatto uscire matte? Dovresti farlo per la nostra sanità mentale, in effetti.» Holly la osservò, le mani ai fianchi come per rimproverarla.

Cora scosse la testa.

«Dovreste rispettare le mie decisioni; siete mie amiche, no? Non fate altro che cercare di “farmi ragionare”, per usare le parole di Bonnie, quando dovreste rispettarmi e smetterla di parlare di lui. Ho preso la mia decisione, fatevene una ragione.» Sbottò, riprendendo a correre senza aspettare l’amica che comunque la raggiunse in pochi istanti.

«Cora, dai, non te la prendere, lo so che pensi che siamo delle impiccione e che questi sono affari tuoi e che dovremmo essere dalla tua parte, ma noi siamo dalla tua parte ed è per questo che cerchiamo di farti capire che con lui eri diversa e non perché tu improvvisamente ti sia trasformata in un’altra, ma perché l’avrebbe capito chiunque che ti sentivi appagata e completa.» Stare al passo di Cora e cercare di spiegare le proprie ragioni non era il massimo, considerato l’affanno e la fitta di protesta dei polmoni.

«Sono ancora completa e appagata, il mio cuore non è diviso a metà come nei cartoni animati, sai?» Cos’è che aveva detto? La corsa riusciva a farle dimenticare i pensieri? Doveva aver parlato troppo presto.

«Andiamo! Sai cosa voglio dire.» Protestò Holly.

«In verità no, non ne ho idea.» Finalmente Cora si fermò, voltandosi verso l’amica pochi passi dietro di lei.

«Eri più felice, Cora! Eri piena di entusiasmo, ti brillavano gli occhi e sì, sarà anche una cosa da cartone animato come dici tu, ma è la verità. Non ti avevo mai vista sorridere così, nessuna di noi, nemmeno Sarah che ti conosce dai tempi dell’università. É così difficile ammetterlo?» Holly quasi urlò, contenta del fatto che i pochi che procedevano in direzione contraria indossassero le cuffie e non potessero sentirla.

Cora si morse un labbro, cercando di non scoppiare in lacrime.

Era per questo che sua madre era così preoccupata? Perché non era più felice come prima? Perché le pesava fare tutto, anche mangiare? Si era sempre detta che la solitudine non la spaventava: aveva un lavoro, dei colleghi, degli amici, sua madre; non era davvero da sola e se quando tornava a casa e si trovava a guardare un film solo in compagnia del gatto, beh, non era una tragedia; avrebbe potuto essere disoccupata e sola, quello sì che sarebbe stato triste. Aveva quasi faticato ad accettare Jake nella sua vita, perché tutte le sue storie erano state un fallimento e la loro sarebbe anche potuta non essere una cosa seria e lei avrebbe dovuto imparare a convivere con una popolarità che non le interessava, avrebbe dovuto rispondere a domande imbarazzanti, presenziare a qualche evento, se il loro rapporto fosse mai diventato ufficiale e non era affatto sicura di riuscire a reggere un impegno del genere. Doveva ammettere che era stato più semplice del previsto, che era stato come imparare ad andare in bicicletta, che aveva investito in quella relazione così tanto di sé da non rendersene quasi conto e che sì, Holly aveva ragione, era stata felice, entusiasta e forse le erano brillati anche gli occhi, come nei cartoni animati, ma era difficile rendersene conto quando avevi deciso che non riuscivi più a sopportare le sue continue assenze e i pochi giorni da trascorrere insieme non ti bastavano più, perché non era così che voleva costruire qualcosa insieme a lui.

«Mi dispiace, non voglio farti piangere.» Holly le si era avvicinata e l’aveva abbracciata, mentre Cora tirava su col naso.

«No, va bene, ne avevo bisogno.» Si asciugò le guance con le maniche della felpa.

«Promettimi che ci penserai per la storia del regalo, d’accordo?»

Cora annuì.

Quel piccolo contrattempo aveva prolungato la corsa di oltre dieci minuti, perciò quando Holly e Cora si separarono sotto casa di quest’ultima, erano già le sette e mezzo passate, il che voleva dire che Cora aveva solo venti minuti per prepararsi, mangiare qualcosa, uscire di casa e cercare un taxi, se voleva arrivare in ufficio in orario.

Dopo una doccia veloce si vestì e cercò contemporaneamente di asciugarsi i capelli e di mangiare la sua solita brioche alla marmellata; si truccò quel tanto che bastava a rendersi presentabile e corse a infilarsi le scarpe. Aveva appena chiuso la porta e infilato le chiavi in borsa, quando il cellulare le segnalò l’arrivo di un messaggio, seguito da altri due a breve distanza. Lo afferrò dal taschino e alzò gli occhi al cielo quando lesse il mittente: Mamma.

Da quando le aveva raccontato di come aveva deciso di lasciare Jake, oltre all’abitudine di chiedere come stava a chiunque altro meno che a lei, aveva cominciato a tempestarla di messaggi in cui le inoltrava tutti gli articoli che leggeva, sul web o sulla carta, in cui campeggiavano il suo nome e quello di Jake. Spesso si trattava di articoli tratti da siti di gossip o da riviste da quattro soldi, perciò Cora non perdeva neanche tempo a leggerli; archiviava i messaggi, sperando che sua madre, prima o poi, si stufasse di quell’inutile passatempo. Cosa sperava di ottenere inoltrandole quegli articoli? Voleva convincerla che aveva fatto la cosa giusta, che era meglio così, che prima o poi sarebbe finita comunque? Beh, più che essere d’accordo con lei sul fatto che aveva sempre avuto ragione, fin dall’inizio, Cora non sapeva cosa fare. Gliela dava vinta solo perché non la tormentasse e non perché fosse pentita della sua decisione.

Uscì dal portone, gettando un’occhiata alla strada nel tentativo di individuare un taxi libero. Aveva già la mano alzata pronta a richiamare l’attenzione della prima vettura gialla di una lunga fila, che il cellulare vibrò di nuovo, più a lungo questa volta: una chiamata.

Distratta dal taxi che stava affannosamente cercando di fermare, dal fatto che la borsa piena di documenti le impacciava i movimenti, dal rumore assordante del traffico e dal cellulare che continuava a vibrare nella sua mano, rispose senza neanche leggere il mittente, solo per far smettere quel suono.

«Sì?» Chiese, rendendosi conto di aver attirato l’attenzione di un taxi dall’altra parte della strada.

Non riuscì neanche a capire la risposta dall’altro lato della cornetta per colpa di due auto della polizia che le sfrecciarono a sirene spiegate davanti, proprio mentre si accingeva ad attraversare la strada per raggiungere il taxi. Si tappò perfino l’orecchio libero, nel tentativo di contrastare il frastuono.

E poi si ritrovò a terra, senza sapere neanche come, a osservare il cielo grigio, che minacciava pioggia.

Voleva alzarsi, ma non ci riusciva, era come bloccata.

«Cristo Santo! Non le hanno insegnato ad attraversare la strada?» Cercò di voltarsi verso la fonte della voce, ma non ci riuscì, spostò appena lo sguardo, intravedendo un’ombra, tante ombre. Le girava la testa, anche se era distesa; aveva bisogno di chiudere gli occhi perché la luce le dava fastidio e tutto ciò che vide fu il buio.

 

Quando si risvegliò la prima cosa che vide fu un mazzo di fiori, sfuocato e indistinto e la prima cosa che sentì fu un bip insistente che proveniva dal lato destro. Sbatté le palpebre in successione, sperando di schiarire la vista e fu allora che capì di essere in ospedale. Cercò di schiarirsi la voce e di muoversi, ma un dolore lancinante all’altezza delle costole le fece capire che non era il caso.

«Ferma, ferma, è tutto ok. Come ti senti?» Spostò lo sguardo sulla figura accanto a sé: Jake.

«Cosa ci fai qui?» Riuscì a chiedergli, mettendo a fuoco il suo viso.

«L’autista dell’auto che ti ha investita ha chiamato il primo numero tra le chiamate ricevute e mi ha detto che eri qui.» Rispose, sorridendo appena.

Probabilmente arrossì, sebbene non ne fosse certa; per quello che ne sapeva, potevano anche essere gli anti-dolorifici o forse aveva la febbre.

«Devo chiamare mia madre.» L’autista era stato gentile ad avvisare qualcuno, ma lei non lo voleva lì.

«L’ho già avvertita io, sta arrivando.» Le rispose, allungando una mano per spostarle una ciocca di capelli dalla fronte.

Cora notò la maglietta rossa che indossava, una delle sue preferite.

«Mi sono rotta un braccio?» Osservò, notando il gesso.

«Un braccio e tre costole.» Precisò.

«Com’è che quando si tratta di cadute ci sei sempre tu in mezzo?» Sbottò, più per stemperare la tensione che per ferirlo. Alludeva a quando si erano incontrati per la prima volta e lei, non sapeva ancora come, era caduta nel tentativo di raggiungere la sua macchina.

Jake rise e come accadeva sempre, di riflesso sorrise anche lei.

«Sono il massimo esperto.» Si giustificò, facendole un occhiolino e incrociando le mani dietro la testa, come se stesse per stiracchiarsi.

La stanza era vuota, ad eccezione di loro due; gli altri letti non erano occupati.

«Dovresti andare, non sei obbligato a restare e mia madre sarà qui a momenti.» Abbassò lo sguardo in imbarazzo. Non aveva scelto lei di vederlo e se fosse rimasta cosciente non avrebbe mai indicato lui come primo contatto; non stavano più insieme e lui poteva non essere in città, perché disturbarlo?

«Non sono obbligato a rimanere qui o sei tu che vuoi che me ne vada?» Le chiese.

Cora non ebbe modo di rispondere, l’infermiera entrò insieme al medico per valutare le sue condizioni e per informarla delle costole e del braccio rotti.

Sentiva dolore, ma non aveva bisogno di altro anti-dolorifico.

«Hai fame? Sete?» Le chiese Jake una volta che il medico e l’infermiere furono usciti dalla stanza.

Cora scosse la testa, rifiutandosi di guardarlo, giocherellando con il lenzuolo quel tanto che il braccio sano le permetteva.

«D’accordo, allora se vuoi che me ne vada…» Si alzò, recuperando la giacca che aveva abbandonato sullo schienale della sedia.

Cora non disse niente, neanche lo guardò. Doveva ammettere a se stessa che era combattuta: la sua presenza la rincuorava e anche se non poteva mettere da parte i propri sentimenti come se non esistessero, non voleva tornare a soffrire.

Chiuse gli occhi quando lo sentì avvicinarsi al letto, la sua ombra oscurarla il tempo necessario per lasciarle un bacio sulla fronte.

«Cerca di riposare, d’accordo?» Le sorrise, facendola arrossire di nuovo. «Passo a trovarti più tardi.» Continuò, ormai alla porta.

Cora riuscì soltanto a guardarlo andare via.

Perché era così difficile? Era questo che aveva cercato di far capire a Holly, a Sarah e anche a Maggie; rivederlo l’avrebbe mandata in confusione e lei odiava essere così, odiava dover tenere a bada i battiti impazziti del suo cuore, quella sensazione di formicolio che avvertiva quando lui la guardava e le mani che tremavano.

Quando la porta si richiuse sospirò, borbottando dal dolore l’istante successivo. Non seppe neanche come, ma riuscì a trovare una posizione comoda e quando arrivò sua madre dormiva già.

 

Per tutto il resto della giornata Cora non fece altro che tentare di dissuadere sua madre dal trattarla come una bambina e ricevere visite: prima Maggie e le bambine che le avevano portato dei bellissimi palloncini di pronta guarigione e una scatola enorme di cioccolatini, poi qualche collega dell’ufficio durante la pausa pranzo, l’autista che l’aveva investita che le aveva regalato un enorme mazzo di fiori e infine Sarah, Bonnie e Holly che avevano ricevuto istruzioni di riempirle una borsa con qualche cambio di vestiti e il necessario per qualche notte in ospedale, computer e qualche libro compresi.

«Ragazze, vado a prendervi qualcosa da bere?» Si offrì sua madre, recuperando la borsa e uscendo dalla stanza.

«Assaggiate i cioccolatini, sono buonissimi.» Le invitò invece lei, porgendo loro la scatola. Doveva averne fatti fuori già una decina da quando aveva deciso che meritava una ricompensa dopo quella giornataccia.

«Come hai fatto a farti investire? Voglio dire, tua madre ci ha raccontato l’accaduto per sommi capi, però…» Cominciò Sarah e Cora sapeva dove voleva andare a parare. Se sua madre aveva raccontato loro i fatti, non aveva certamente omesso che era al telefono con Jake, perciò Cora non le diede neanche il tempo di terminare la frase.

«Ero al telefono con Jake.» Sbuffò, prima di ricordarsi di avere due costole rotte.

«E pur di scamparla hai pensato di buttarti sotto un auto?» Rise Holly, coinvolgendo tutte.

«Avrei preferito un autobus, ma sai com’è, non sempre ottieni quello che desideri.» Rispose con sarcasmo, facendole ridere ancora di più.

Neanche a farlo apposta, il soggetto della chiacchierata pensò bene di manifestarsi alla porta proprio in quell’istante.

«Ops, non pensavo avessi compagnia, magari ripasso più tardi.» Stava già per allontanarsi, quando Holly, gettando un’occhiata a Cora, lo anticipò.

«No, entra pure, noi stavamo per andare via.» Diede una gomitata a Sarah, ancora indecisa su quale cioccolatino lanciarsi e si alzò, recuperando borsa e cappotto di tutte.

Salutarono Cora e abbandonarono la stanza in tutta fretta, richiudendosi la porta alle spalle.

«Come stai?» Fu la prima cosa che le chiese, accomodandosi sulla sedia lasciata libera da Holly. Reggeva un sacchetto, ma Cora non riusciva a capire di cosa si trattasse.

«Tralasciando il fatto che non posso muovermi e che non riesco a trovare una posizione decente senza che urli dal dolore, direi abbastanza bene.» Rispose, incrociando il suo sguardo per un solo istante.

«So che mia sorella e le bambine ti hanno già viziata con i cioccolatini, perciò mi sono permesso di portarti questa.» Jake sollevò dal sacchetto una splendida pianta di orchidea, i fiori preferiti di Cora, sistemandogliela poi sul comodino.

«Grazie, non dovevi.» Osservò i fiori rosa tutti sbocciati, sorridendo inconsapevolmente. Sistemò meglio la testa sul cuscino. Era un po’ stanca; anche se aveva dormito per circa un’ora, era spossata dal dolore e dalla presenza di sua madre che non faceva altro che agitarsi perché tutto fosse in ordine, quando a Cora che ci fosse tutto quello di cui aveva bisogno sul comodino, non poteva importare un accidenti, tanto avrebbe dovuto comunque chiamare qualcuno per farsi aiutare, visto che non poteva allungarsi verso il comodino, posizionato dal lato del braccio ingessato. Apprezzava i tentativi di sua madre di voler farla sentire meglio, peccato che non riuscisse a rendersi conto che così facendo la esasperava soltanto e lei non aveva l’energia per discutere.

Rimasero in silenzio per un po’, senza sapere bene cosa dire.

«Ho… ho provato a chiamarti un sacco di volte e ho lasciato decine di messaggi in segreteria… non hai mai risposto.» Iniziò lui incerto. Forse non era il momento migliore per discutere della loro storia, ma non voleva sprecare l’occasione di averla lì, davanti a sé in carne e ossa. Era stufo di parlare alla segreteria telefonica.

«Non posso, Jake, lo sai.» Cora andò dritta al punto.

«Non vuoi.» La corresse.

«Ci abbiamo provato, è andata così, sapevamo che sarebbe potuto succedere.» Nemmeno lei, in fondo, per quanto innamorata potesse essere, pensava di aver trovato l’uomo della sua vita o, almeno, si era convinta a non pensarci, ecco.

«Io non ho provato, Cora e neanche tu. Non si prova a stare insieme, non come abbiamo fatto noi.» Com’era possibile che all’improvviso si trovasse davanti una Cora completamente diversa da quella che aveva conosciuto?

«Abbiamo due stili di vita completamente diversi, Jake! Non riesco a fare finta che vada tutto bene quando non ci sei, non posso contare su di te se non sei qui.» Si irrigidì in una smorfia di dolore, rendendosi conto di aver tentato di sollevare il busto.

«Ma io sono qui!» Sbottò, frustrato.

«Adesso, ma tra una settimana? Tra un mese? Non posso chiederti di smettere di fare l’attore o di accettare solo progetti a New York; non sarebbe giusto e non oserei farlo: è il tuo lavoro e se c’è una cosa che ammiro di te è la tua dedizione, perciò non ti chiederei mai di scegliere.» Era quello che si ripeteva in testa da almeno un mese e quello che gli altri sembravano non voler capire.

«Io ho già scelto, Cora. La sera che ti ho incontrata, quando ho cercato di invitarti a cena, quando ti ho invitata sul set o a Parigi, quando ti ho chiesto di accompagnarmi a qualche evento, io avevo già scelto.» Le rispose, allungando una mano a stringere la sua.

Cora ricambiò la stretta e lo osservò con gli occhi lucidi, cercando di trattenere le lacrime.

«Lo sai che ti amo.» Continuò.

Cora annuì. Probabilmente non l’avrebbe mai ammesso a se stessa, ma sapeva che era così e Jake, al contrario di lei, non l’aveva mai nascosto.

«E tu dovresti smetterla di credere di non essere abbastanza.» Le sorrise, scompigliandole la frangia.

«La mia autostima vorrebbe ringraziarti, ma è troppo impegnata a sbattere la testa contro il muro per farlo.» Rispose, facendolo ridere e scuotere la testa.

Sua madre rientrò in quell’istante, quattro bicchieri di caffè in mano.

«Dove sono finite Holly e le altre?» Chiese, guardandosi intorno.

«Sono dovute andar via, avevano una cena di lavoro, ma ti salutano.» Rispose Cora, rendendosi conto che Jake aveva rafforzato la presa sulla sua mano.

«Beh, Jake se vuoi un caffè serviti pure.» Jill posò i bicchieri sul comodino affollato.

Cora guardò sua madre stranita.

«Che c’è?» Sbottò infatti, sentendosi osservata.

«Non ho detto niente.» Finse indifferenza.

«Se vuoi sapere come la penso, era ora che chiariste. Ne eri cosciente anche tu di aver fatto una stupidaggine. E visto che sei in buona compagnia, io tolgo il disturbo.» Sorrise, infilandosi il cappotto.

Cora non riuscì a rispondere, mentre Jake tentava di soffocare una risata dietro il bicchiere che reggeva in mano.

Jill salutò Cora con un bacio sulla fronte, promettendole che sarebbe tornata l’indomani, raccomandando Jake di badare a sua figlia.

«Tua madre è più sveglia di te.» La prese in giro.

Cora gli rispose con una linguaccia.

«É ancora single, se proprio ci tieni a saperlo.» Continuò.

«Non è il mio tipo.» Fece spallucce.

«Oh, già, tu preferisci le bionde.» Finse di pensarci su.

«Che non si facciano investire da un auto mentre parlano al telefono e che non si facciano seghe mentali inutili sugli stili di vita diversi.» Rincarò la dose, anticipandola.

«Allora dovresti riprovarci con Taylor, credo siate fatti l’uno per l’altra.» Lo provocò, ben sapendo quanto fosse tabù l’argomento ex per lui e non solo con i giornalisti.

«Non posso discutere con te in questo stato, non riesco a essere obiettivo.» Sciolse la presa sulla mano di Cora, portando le dita a sistemarle una ciocca di capelli ribelle.

«Credi di riuscire a stenderti con me?» Non seppe neanche dove trovò il coraggio di chiederglielo, sapeva solo che voleva sentirlo più vicino.

Jake non se lo fece ripetere due volte: mentre Cora cercava di fargli spazio senza rompersi le costole rimanenti, lui si tolse le scarpe, si sedette sul bordo del letto e cercò di non farle male mentre si stendeva accanto a lei. Si voltò verso di lei e Cora cercò di fare lo stesso, anche se non poteva fare peso sul fianco per via delle costole, accontentandosi di voltare solo la testa.

Osservò i suoi occhi blu come se fosse la prima volta, come se non li avesse mai visti prima, sorridendo appena l’istante successivo.

«Mi sei mancata.» Le mormorò, cercando la sua mano.

«Anche tu mi sei mancato.» Rispose, intrecciando le dita con le sue.

 

La dimisero il giorno dopo e Jake non dovette neanche insistere per accompagnarla a casa: con un braccio ingessato e le costole che le facevano male a ogni passo e a ogni respiro, Cora non aveva né la possibilità né le forze per ribellarsi. 

Avrebbe dovuto tenere il gesso per almeno un mese e le costole fasciate per almeno altre due settimane, il che implicava il riposo a letto, una tortura per Cora, abituata com’era a non stare mai ferma.

Il caso volle che anche senza gesso e fasce non avrebbe potuto fare granché, visto che neanche il giorno successivo al suo rientro a casa si era scatenata su New York una bufera di neve che i meteorologi prevedevano avrebbe interessato l’area per almeno una settimana. Con Jake che pareva essersi stabilito in pianta stabile a casa sua, almeno per quel periodo, trascorrevano la maggior parte del tempo a letto a guardare film, oppure Jake si offriva di leggerle un libro, insistendo per cambiare la voce a ogni personaggio, attività piuttosto impegnativa per Cora, considerato che non poteva ridere, ma che finiva per farlo lo stesso, a volte trascinando anche lui.

Quando le costole furono guarite e il gesso venne sostituito da un semplice tutore che stava già cominciando a non indossare quasi più, dopo diverse sedute di fisioterapia, Cora riuscì anche a partecipare alla festa di compleanno di Jake senza sentirsi una mummia e senza entrare in paranoia sul vestito da indossare.

Senza preavviso, Jake aveva deciso di invitare anche Sarah, Bonnie e Holly. C’erano un sacco di altri suoi amici, molti dei quali Cora non conosceva. Dall’inizio della serata era sicura di essere arrossita almeno un centinaio di volte, specie quando Jake gliene presentava qualcuno e lei, impacciata, si trovava a stringergli la mano.

«Cosa ne pensi della festa?» Le domandò, approfittando del fatto che fosse in piedi, appena tornata dal bagno, per afferrarle un braccio e trascinarla sulle sue gambe, cogliendola di sorpresa.

«Mi sembra stia andando tutto bene. Si stanno divertendo tutti.» Rispose Cora, guardandosi intorno.

«E tu? Ti stai divertendo?» Le chiese di nuovo.

«Sì, certo che sì! Anzi, a proposito…» Si alzò dalle sue gambe, allontanandosi per raggiungere la sedia di fronte a lui, rovistando nella borsa per estrarne un pacchetto con tanto di fiocco.

Ritornò da lui sorridendo e riaccomodandosi sulle sue gambe.

«Questo è per te.» Gli disse.

Jake osservò il pacchetto stranito, quasi non si aspettasse di ricevere un regalo.

«Avanti, aprilo!» Lo sollecitò lei.

Lui stracciò la carta, rivelando una primissima edizione de Il buio oltre la siepe di Harper Lee, il suo libro preferito in assoluto.

«Ero stato chiaro: niente regali.» La osservò fintamente indispettito.

Cora sollevò le spalle.

«Non potevo presentarmi a una festa di compleanno senza regalo.» Si giustificò.

«Ti sarà costata una fortuna e sai che non ce n’è…» Cora lo interruppe.

«Non ce n’è bisogno, sì, lo so.» Alzò gli occhi al cielo. «Non potresti solo ringraziare e basta come le persone normali?» Continuò.

«Grazie.» Sospirò lui alla fine, abbracciandola.

«Buon compleanno.» Mormorò lei, lasciandogli un bacio sulla guancia.

«Perché non resti con me stanotte?» Le domandò, intrecciando una mano con la sua.

Cora ci pensò su.

«Devo prima valutare le tue intenzioni.» La sua espressione era seria, ma Jake sapeva che lo stava prendendo in giro.

«Le mie intenzioni?» Sorrise furbo, avvicinandosi al suo viso, facendole credere che volesse baciarla, per poi deviare verso il suo orecchio.

«Voglio toglierti questo vestito e scoparti.» Le sussurrò, provocandole un brivido che anche lui avvertì distintamente. Solitamente era meno esplicito con lei, ma era quello a cui stava pensando da tutta la sera, da quando l’aveva vista arrivare con quel vestito.

Cora si schiarì la gola, arrossendo.

Fortunatamente ci pensò Holly a salvarla, reclamando la sua presenza e sottraendola a Jake.

«Cosa stavate confabulando?» In quel momento Cora rivalutò il fatto che l’amica l’avesse salvata. Era come cadere dalla padella alla brace.

Arrossì di nuovo.

«Niente di importante…» Mentì, ben sapendo che Holly non se la sarebbe bevuta.

«Cora, lo sai che le bugie hanno il naso lungo?» La prese in giro.

Cora sbuffò, ancora rossa come un pomodoro.

«Stavamo parlando del suo regalo di compleanno.» Borbottò per farla contenta, anche se si trattava soltanto di una mezza verità.

«Che presumo non essere soltanto il libro.» Ammiccò.

«Holly, la smetti? Stai diventando volgare.» La rimproverò.

«Io?!? Siete voi che parlate di cose sconce davanti a un mucchio di persone.» Si difese, ridendo.

Cora le colpì un braccio, anche se stava ridendo anche lei.

Holly le mise un braccio intorno alle spalle nella pseudo imitazione di un abbraccio.

«L’esercizio fa bene.» Le fece l’occhiolino.

Cora se la scrollò di dosso.

«Hai il divieto di rivolgermi ancora la parola.» Si allontanò, raggiungendo Bonnie e Sarah, facendola ridere ancora di più.

 

Quando anche gli ultimi invitati ebbero abbandonato il locale, Cora salutò le amiche, lanciando un’ultima occhiata di rimprovero ad Holly che fece spallucce e sorrise, abbracciandola e una volta congedatesi anche con Jake, le osservò salire in macchina e chiudere le portiere.

Jake la raggiunse sul marciapiede con la sciarpa che aveva dimenticato nel locale e Cora si rese conto che erano rimasti da soli e che stava ricominciando a nevicare. Lo osservò mentre le sistemava la sciarpa intorno al collo e gliela annodava, ripensando alle settimane precedenti.

Dal giorno dell’incidente avevano praticamente quasi vissuto in simbiosi. L’aveva aiutata a vestirsi, a pettinarsi, avevano guardato un mucchio di film, così tanti che Cora aveva cominciato a mischiarne le trame, l’aveva osservato leggere per lei e fare un sacco di voci buffe e aveva ricominciato a svegliarsi con lui accanto ogni mattina.

Non l’aveva lasciata un attimo da sola e Cora gliene era grata, perché aveva reso quelle settimane di immobilità più sopportabili e meno solitarie.

Eppure, nonostante tutto ciò, nonostante la conversazione in ospedale, Jake non le si era mai avvicinato, neanche per un semplice bacio, se non si contavano quelli sulla guancia.

Neanche Cora aveva cercato un contatto più intimo, da un lato perché fisicamente impossibilitata anche solo a spostarsi nel letto per trovare una posizione sufficientemente confortevole per addormentarsi a causa delle costole incrinate, dall’altro, una volta guarite le ferite fisiche, perché non voleva illudersi che le cose sarebbero potute tornare quelle di qualche mese prima. Non che l’avesse tenuto a distanza, ma aveva come eretto una sorta di recinto che le impediva di andare più in là, di spingersi oltre, quindi sì, effettivamente, ragionandoci, (e le costava ammetterlo) l’aveva tenuto a distanza.

Lasciava che la prendesse per mano, che giocherellasse con i suoi capelli come aveva sempre fatto e a lui sembrava bastare, perché non aveva accennato alla cosa e non aveva tirato più fuori la conversazione avuta in ospedale, almeno fino a quella sera, quando le aveva sussurrato che voleva spogliarla e scoparla, lo stesso verbo che aveva utilizzato durante il loro primo incontro, mentre lei scappava come una codarda.

Non le dava fastidio quel linguaggio, anzi per certi versi la eccitava; non era un’adolescente e la fase della differenza “romantica” tra fare l’amore e scopare l’aveva superata da un pezzo.

Cos’era che la bloccava? Il fatto di non sapere quali fossero le intenzioni, quelle relazionali e non quelle fisiche, di Jake? Il fatto che ancora non conoscesse le sue, di intenzioni?

Quelle settimane erano state un idillio, ma poi? Quando Jake sarebbe tornato alla sua routine, cosa sarebbe successo? Avrebbero ricominciato a litigare?

«Terra chiama Coraline tss, ripeto: Terra chiama Coraline, rispondete tss.» Si ridestò dai suoi pensieri alla perfetta imitazione di Jake di una ricetrasmittente.

«Cosa?» Chiese, fingendo nonchalance.

«Finalmente sono riuscito a ottenere la tua attenzione!» La prese in giro.

Cora gli fece una linguaccia e lo colpì a un braccio, venendo contagiata l’istante dopo dal suo sorriso.

Jake le afferrò una mano e Cora notò che non aveva indossato i guanti e il suo tocco la fece rabbrividire appena.

Si diressero verso la macchina in silenzio, la neve che continuava a cadere silenziosa.

Durante il tragitto, seppur breve, Cora si addormentò, coccolata dal riscaldamento e dalla voce di un imprecisato speaker radiofonico.

 

Quando si svegliò si rese conto di essere in un letto, spogliata del cappotto, della sciarpa e delle scarpe, ma non del vestito. Jake non era accanto a lei, perciò si alzò e si diresse in cucina.

«Cosa ci fai ancora in piedi?» Gli chiese sbadigliando quando lo vide seduto su uno sgabello, il portatile di fronte a lui e un bicchiere di latte accanto.

«Non riuscivo a dormire.» Sorrise appena.

Cora gli si portò alle spalle, abbracciandolo.

«Scusa se mi sono addormentata.» Gli disse, sistemandosi i capelli dietro le orecchie, l’acconciatura ormai disfatta.

«Ti perdono.» Sorrise lui, facendola accomodare sulle sue gambe.

«Cosa stavi facendo?» Sbirciò lo schermo del portatile.

«Guardavo video porno» Rispose divertito.

«Ah-ah. Divertente.» Gli fece il verso lei, muovendo il mouse per far illuminare lo schermo.

«Tu dormivi e fare sesso con chi non è cosciente non mi eccita.» Si giustificò, slegandole i capelli e liberandola dalle forcine.

«Non sto ridendo.» Borbottò.

«Ok, d’accordo, stavo scrivendo una sceneggiatura.» Posò il mento sulla sua spalla.

«E di cosa parla?» Era curiosa, avrebbe dovuto saperlo.

«Di una ragazza troppo curiosa a cui fanno girare un video porno per farla stare zitta.» Rise.

«Ma vuoi smetterla?» Tentò di dargli una gomitata, ma Jake fu più veloce e la scansò, facendola alzare.

Per tutta risposta, Cora gli mollò un pugno sul braccio, senza riuscire a fargli davvero male.

«Torno a dormire se non la smetti.» Lo minacciò, al che Jake alzò le mani in segno di resa. 

Tornò ad abbracciarlo, osservandolo.

«A cosa stai pensando?» Gli domandò alla fine, vedendolo assorto.

«Pensavo al fatto che tra di noi non è più come prima.» Rispose, spostando nuovamente lo sguardo su di lei.

A Cora quasi venne un colpo: il fatto che l’avesse pensato anche lei solo poche ore prima era irrilevante; sentirlo dire da Jake era come tornare con i piedi per terra.

Non disse niente, aspettando che fosse lui a continuare.

«Queste settimane sono state davvero fantastiche, ma mi rendo conto che è impossibile continuare a vivere in un limbo.» Bevve un sorso di latte dal bicchiere pieno a metà.

La stava lasciando, anche se tecnicamente non stavano neanche insieme? O sì?

«Voglio sapere cos’è che vuoi, voglio sapere se vuoi che io faccia parte della tua vita, oppure no, voglio sapere se mi ami ancora.» Le disse tutto d’un fiato, tirando un sospiro di sollievo.

I suoi sentimenti per lei non erano cambiati e quello che le aveva detto in ospedale il giorno dell’incidente era la verità: da parte sua, aveva già scelto, la sua vita non era completa senza di lei e capiva che a volte sostenere i suoi ritmi era difficile, non averlo accanto era demoralizzante, ma anche lui si sentiva così quando non poteva vederla o quando gli impegni lo assorbivano, non erano emozioni a senso unico ed era convinto che insieme avrebbero potuto stabilire un compromesso, che sarebbero riusciti a trovare una soluzione.

Quelle settimane erano state bellissime: erano stati insieme, lui era riuscito finalmente a riassaporare la quotidianità con lei, ma c’era una nota stonata ed era la reticenza di Cora, la sua arrendevolezza distaccata, il suo lasciarsi andare ma non troppo, il suo essere accondiscendente, ma non al punto da vivere appieno quella vicinanza. Aveva aspettato, aveva rispettato i suoi spazi e non l’aveva forzata in niente, eppure la situazione non si era sbloccata e quando, solo poche ore prima, le aveva detto che voleva spogliarla e scoparla, aveva ottenuto la stessa reazione di tutte le altre volte in cui aveva cercato di vincere le sue reticenze. Eppure sapeva che lei desiderava la stessa cosa, nei suoi occhi aveva letto lo stesso desiderio di quando si erano incontrati la prima volta.

Cora sospirò.

Jake meritava una risposta, lo sapeva; così come sapeva che se si era riavvicinato a lei non era certo perché voleva continuare a esserle soltanto un amico. Era chiaro a tutti quanto lui l’amasse, anche se lei aveva sempre minimizzato, anche se aveva preferito non pensarci, evitando di illudersi che davvero avrebbero potuto avere un futuro insieme.

E per lei, d’altronde, da quando si erano incontrati non era cambiato niente, o meglio, era cambiato tutto. Sentiva le farfalle nello stomaco ogni volta che sentiva la sua voce, aveva un tuffo al cuore solo leggendo il suo nome sullo schermo del cellulare quando le telefonava, arrossiva come un’adolescente quando incrociava il suo sguardo limpido e il modo in cui reagiva alle sue carezze e il desiderio che aveva letto tante volte nel suo sguardo e nei suoi gesti le rendevano semplice pensare che fossero fatti davvero l’uno per l’altra.

«Mi dispiace non essere riuscita ad affrontare prima questa cosa e non voglio tergiversare oltre. Mi hai chiesto cosa voglio, beh, tecnicamente non lo so neanche io, ma so che non voglio avere paura della lontananza e non voglio rinunciare a quello che abbiamo iniziato a costruire, il che implica che sì, certo che voglio che tu faccia parte della mia vita ed è da pazzi pensare che possa smettere di amarti.» Nonostante il battito impazzito del cuore era riuscita a guardarlo negli occhi e a osservare il suo viso distendersi al suono della sua risposta.

Le sorrise, tendendole una mano che Cora afferrò, allungandosi e alzandosi dallo sgabello per posizionarsi davanti a lui che le fece spazio tra le sue gambe per averla più vicina.

«Avresti potuto evitarmi un esaurimento nervoso, se solo ti fossi esposta prima, sai?  Ero irrequieto da giorni al pensiero di questa conversazione.» Le accarezzò i polsi, solleticandola.

«Perché non me l’hai chiesto prima?» Si sottrasse alle sue attenzioni, portando le mani ad accarezzargli i capelli.

«Perché avevo paura che ricominciassi con la storia di non essere alla mia altezza e bla bla bla.» Le fece il verso, facendola ridere.

«Ma io continuo a non ritenermi affatto alla tua altezza.» Si accomodò sulle sue gambe, circondandogli il collo con le braccia e poggiando la testa sulla sua spalla.

«Questo perché sei una testona.» Sbottò, stringendola.

«Senti chi parla, Mr. Ragionevolezza in persona.» Sbuffò.

«Io sono ragionevole!» Si difese lui.

Cora annuì in maniera troppo entusiasta per risultare sincera. 

«Dovresti dormire un po’, non hai un appuntamento domani?» Gli ricordò.

«Hai ragione e dovresti dormire anche tu.» La fece alzare in piedi, seguendola poi nel corridoio che portava alla camera da letto, tenendola per mano.

«Vuoi una mano con il vestito?» Le chiese.

Cora annuì, dandogli le spalle e spostando i capelli da un lato per permettergli di abbassare la zip. Le sue dita la solleticarono appena, facendole venire la pelle d’oca e quando il vestito scivolò ai suoi piedi, avvertì le labbra di Jake baciarle la pelle esposta del collo e poi il profilo della spalla.

Si morse un labbro per non gemere, ma non riuscì a non reclinare la testa indietro contro di lui, lasciandogli più spazio di manovra.

Jake la fece voltare, sistemandole i capelli e finalmente baciandola, lasciando che gli cingesse il collo con le braccia, che gli si stringesse addosso. La condusse verso il letto, permettendole di sdraiarsi mentre lui si svestiva della camicia e dei jeans. L’istante successivo la sovrastò, notando i suoi occhi brillanti e il suo sorriso appena accennato. Si lasciò accarezzare i capelli, le spalle, le braccia, prima di baciarla ancora.

«Avevo quasi dimenticato quanto baciassi bene.» Cora lo disse sottovoce, sorridendo.

«E io avevo quasi dimenticato quanto ti piacesse rompere l’atmosfera.» La rimproverò, ricambiando il sorriso.

Cora alzò gli occhi al cielo.

«Mi sento in imbarazzo e stra-parlo.» Confessò a mezza voce, arrossendo.

«In imbarazzo?!? Cosa c’è di imbarazzante?» Le chiese, sollevandosi sui gomiti.

«Niente! É solo che è passato un sacco di tempo… tutto qui.» Rispose, evitando i suoi occhi.

Jake sospirò e poi sorrise, baciandole una clavicola.

«Se non vuoi, basta dirlo.» Le spostò una ciocca di capelli.

«Sai che non è così.» Rispose.

«E allora com’è?» Le chiese in un mormorio appena percettibile, sfiorandole le labbra.

Cora aveva così tanta voglia di lui, che faceva fatica a rimanere ferma, anche se il peso di Jake le lasciava poco campo libero.

Ansimò, sollevando il bacino verso il suo, quasi a implorarlo. Le sue labbra percorsero ogni centimetro del suo corpo, facendola gemere in maniera sempre più incontrollata.

«Shh! Vuoi svegliare tutto il palazzo?» La prese in giro, baciandola e facendole assaggiare il suo stesso sapore.

«É colpa tua.» Mugugnò, cercando di riprendere fiato.

«Mia? Non credo.» Rispose, indicandosi, l’espressione furba e compiaciuta.

Non le diede neanche il tempo di controbattere; si spinse in lei, facendole inarcare la schiena e gemere ancora più forte.

«Non voglio più stare così a lungo senza di te.» Le mormorò in un orecchio, rallentando i movimenti, afferrandola per i polsi e trascinandola a sedere su di sé, i corpi ancora uniti.

Le sistemò i capelli dietro le orecchie, mentre lei gli abbracciava il collo, poggiando la fronte contro la sua spalla, respirando l’unico profumo che avrebbe riconosciuto tra mille.

«Neanch’io.» Rispose alla fine.


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