AoG - 1 - La Contessa di Genseldur [da revisionare]

di Ghost Writer TNCS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Un incarico molto particolare ***
Capitolo 3: *** 2. Conoscere il nemico ***
Capitolo 4: *** 3. Scoperte pericolose ***
Capitolo 5: *** 4. Hélene, Michelle e la Contessa ***
Capitolo 6: *** 5. Il tempo di agire ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Mancavano ormai meno di due ore all’alba e l’unico rumore udibile era quello prodotto da una terna di zoccoli. L’animale in questione era un vecchio ronzino e la carrozza che trainava doveva avere almeno il doppio dei suoi anni; una ruota era stata sostituita con un’altra uguale solo nelle dimensioni e il cocchiere – anche lui piuttosto avanti con gli anni – non vedeva l’ora di concludere la tratta per andare a dormire.

Una volta arrivati a destinazione l’uomo tirò le redini e il ronzino si fermò. Quello che avevano di fronte era un elegante edificio situato nella zona ovest della città e così a prima vista sembrava proprio un bel posto in cui abitare.

Lo sportello della carrozza si aprì e il passeggero scese con andatura leggermente barcollante. Si trattava di una giovane donna di circa vent’anni che indossava un affascinante abito blu scuro con le spalle scoperte e un’ampia scollatura a mettere in risalto il seno pieno. I morbidi capelli castani, un tempo raccolti in una crocchia, ora le ricadevano sulle spalle formando onde sinuose che coprivano le orecchie piccole e incorniciavano il viso incantevole, dai tratti leggeri e straordinariamente femminili. Le unghie curate erano impreziosite da uno smalto indaco che si intonava con il vestito e con il trucco, gli scintillanti occhi verdi erano dominati da lunghe ciglia e dalla stanchezza, e un neo appena sotto l’angolo sinistro delle labbra sembrava messo apposta per renderla ancora più attraente. Quando il cocchiere l’aveva vista sul ciglio della strada con la bottiglia mezza vuota in mano, aveva pensato fosse una prostituta, però evidentemente si era sbagliato. Nessuna prostituta poteva permettersi una residenza del genere.

La ragazza diede al cocchiere il compenso per il trasporto e poi si avviò ondeggiando leggermente verso il portone di casa. Di certo i tacchi alti non la aiutavano a restare in equilibrio, ciononostante riuscì ad infilare senza problemi la chiave nella toppa e ad aprire la porta.

Subito un golem della servitù le andò incontro. Si trattava di un essere umanoide le cui parti meccaniche venivano controllate da una complicata serie di congegni magici e il suo viso antropomorfo riusciva addirittura ad imitare una vasta gamma di espressioni. «Bentornata a casa, signorina.» Poi notò la bottiglia mezza vuota. «Signorina, lo sa che non dovrebbe esagerare con gli alcolici…»

La giovane emise un mugugno di assenso e si afflosciò su di lui. «Ma ho bevuto solo un paio di…» Singhiozzò. «… bottiglie e qualche bicchierino…»

Il golem scosse il capo e la aiutò a raggiungere la sua stanza. La fece distendere sul letto e le sfilò le scarpe per farla stare più comoda. «Mentre era fuori, suo zio ha chiamato e ha detto di dirle che ha trovato un lavoro per lei.»

La padrona di casa sbadigliò in maniera molto poco femminile. «Che genere di lavoro…?»

«Non l’ha specificato, però ha detto che non può rifiutarlo. Mi dia la bottiglia, per favore.»

«Ah sì…?» La giovane tracannò in un lungo sorso tutto il liquido rimasto e poi abbracciò uno dei cuscini. «Sono curiosa di sapere di cosa si tratta…»

«Suo zio ha detto anche…» Il golem non fece in tempo a riferirle l’ultima parte del messaggio perché la ragazza si era già addormentata. Pazienza, glielo avrebbe comunicato non appena si fosse svegliata.


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Capitolo 2
*** 1. Un incarico molto particolare ***


1. Un incarico molto particolare

Data: 4124 d.s., terza deca[1]
Luogo: pianeta Raemia, sistema Mytho
 

Quando la giovane si svegliò, era passata da un pezzo l’ora di pranzo e il golem addetto alla cucina le preparò uno spuntino che era una via di mezzo tra una colazione e una merenda.

Una volta finito di mangiare, la ragazza lasciò la cucina e si diresse verso il bagno. Quando era tornata a casa non aveva avuto la forza di lavarsi e appena sveglia il suo desiderio più grande era stato quello di mettere qualcosa nello stomaco, adesso però non poteva più tollerare quella sensazione di scarsa pulizia dovuta ad un’intera notte passata fuori casa a bere con le amiche.

Percorse il corridoio su cui si affacciava la sala da biliardo con tanto di luci magiche per creare atmosfera, l’elegante salottino dove di tanto in tanto si intratteneva con le sue amiche, l’ampio studio con la sua scrivania occupata da un tizio basso e cicciotto, e…

Si fermò.

Chi era quel tizio basso e cicciotto?!

Tornò indietro e senza far rumore si fermò sulla soglia dello studio. Non si era sbagliata, c’era proprio qualcuno seduto sulla sua poltrona. Era giovane e tarchiato, forse si trattava di un nano. Non ne aveva mai incontrato uno, quindi non poteva esserne certa. Indossava dei bizzarri occhialoni neri e stava armeggiando con qualcosa sulla sua scrivania. Non sembrava essersi accorto di lei ­– effettivamente non erano molte le persone in grado di sentirla arrivare – quindi ebbe modo di osservarlo con calma per capire cosa stesse facendo. A prima vista non sembrava un tipo pericoloso, ma, come lei ben sapeva, questo non voleva dire nulla.

«Posso sapere cosa sta facendo sulla mia scrivania?»

Il nano sobbalzò e l’oggetto che aveva in mano gli sfuggì, cadendo a terra con un tonfo metallico. Saltò giù dalla poltrona e si affrettò a togliersi gli occhialoni. «Signorina Bellecœur[2], le sono infinitamente grato per quello che sta facendo per me!» esordì con un inchino dall’aria affrettata ma sincera.

«Chi?»

«Al momento sto costruendo qualcosa con cui ripagarla del mio debito, ma non posso dirle di più: non mi piace svelare in anticipo le mie invenzioni.»

La ragazza lo scrutò con aria diffidente. «Mi chiamo Hélene Castillon. E comunque perché si trova qui?»

L’ometto parve sinceramente stupito della domanda. «Ma come, suo zio non l’ha avvertita?»

Lentamente i ricordi della notte precedente riaffiorarono nella mente della giovane. In effetti il suo maggiordomo le aveva accennato a qualcosa a proposito di un incarico che suo zio aveva trovato per lei…

I suoi occhi si ridussero a due fessure. «Resti qui, devo parlare con mio zio.»

***

«Dovrei fare che cosa?!»

Il grido della ragazza rimbombò in tutta la casa e anche l’uomo dall’altra parte dello specchio magico fece come per portarsi le mani sulle orecchie. Si trattava di un individuo sulla cinquantina abbondante, aveva la barba nera e il sopracciglio sinistro era interrotto da una cicatrice. Indossava abiti ordinari ma ben fatti che lasciavano intuire un fisico ancora agile e allenato nonostante le rughe che attorniavano gli occhi scuri.

«Tu lo sai chi sono io, vero?!» riprese la ragazza in tono accusatorio «Lo sai! Io sono la Contessa di Genseldur, la migliore assassina di questa città, di questa nazione e probabilmente del mondo intero! Non puoi affibbiarmi un incarico del genere!»

«Michelle, non fare così, è un incarico importante. Quell’uomo è molto importante per noi, non puoi permettere che lo uccidano…»

«Quante volte te lo devo dire di non chiamarmi Michelle! Adesso sono Hélene Castillon! E comunque non posso farlo, io sono un’assassina, sai cosa vuol dire?! Io le persone le uccido, mica le proteggo!»

L’uomo barbuto sospirò. Quando sua nipote ci si metteva, sapeva essere davvero cocciuta, soprattutto se c’era di mezzo il suo orgoglio. «Non fare così, Hélene, ti ho detto che è una persona importante…»

«È per caso il fornitore di Monique?» lo interruppe la giovane «O di Brigitte? O magari di Vera?» Di colpo la sua furia si sciolse. «L’altro ieri ho visto delle scarpe davvero meravigliose nella boutique di Vera, devo sbrigarmi a comprarle altrimenti lo farà qualcun altro…»

Lo zio della ragazza fece un sospiro rassegnato. «No, non è il fornitore di una delle tue boutique preferite, e credo non ci capisca nulla di profumi o cosmetici, però…»

«Allora non mi interessa.» ribadì Hélene incrociando le braccia.

Ma l’uomo non si arrese. «Neanche se quell’uomo fosse l’ingegnere che ti fornisce tutte quelle armi introvabili sui mercati del continente? Sai, quelle che ti faccio avere di tanto in tanto e che dici sempre che te ne innamori subito…»

Quest’ultima rivelazione fece vacillare la cocciutaggine della ragazza.

«E poi mi ha detto che in questo periodo sta anche lavorando ad un nuovo tipo di fucile magico; se lo uccidessero, chi altri potrebbe fornirti un’arma a lunga gittata in grado di perforare una barriera protettiva e allo stesso tempo abbastanza precisa da risultare utile anche dalla lunga distanza…?»

Hélene rimase in silenzio qualche lungo secondo. Certo, lei amava quelle armi tanto quanto i vestiti eleganti, le scarpe, la biancheria intima costosa e i cosmetici, però chiedere ad un’assassina di proteggere qualcuno era… era inconcepibile! Si voltò ostentando un’aria di superiorità. «Adesso devo farmi un bagno, quando avrò finito ci penserò.»

Suo zio non poté fare altro che assecondarla e l’incantesimo che permetteva loro di comunicare attraverso gli specchi si dissolse.

La ragazza uscì dalla stanza e con passo deciso si diresse verso il bagno. Chiuse la porta in modo che nessuno la disturbasse e infilò due dita nell’acqua della vasca. Per fortuna di suo zio, e anche dell’ingegnere specializzato in armi, era ancora calda.

Si tolse la vestaglia e la appese all’apposito gancetto, quindi si sfilò la biancheria intima e si immerse fino al collo nella vasca. Lo strato di schiuma bianca era soffice e profumato, e la sensazione che provò chiudendo gli occhi fu di assoluto benessere. Non c’era niente di meglio di un bagno caldo per scacciare la stanchezza e i cattivi pensieri.

Dopo essere rimasta qualche minuto in ammollo decise che era arrivato il momento di considerare l’incarico che suo zio le aveva trovato. L’idea di un assassino che deve proteggere qualcuno le sembrava ancora assurda, però se quel giovane nano fosse stato ucciso avrebbe dovuto rinunciare al suo miglior fornitore di armi. E questo non le andava molto a genio.

A proposito, fintanto che era in casa sua, poteva chiedergli di riparare il congegno che portava sull’avambraccio destro. Aveva una lama estraibile nella parte inferiore e un sistema per scagliare piccoli dardi in quella superiore, quest’ultimo però doveva essersi danneggiato e non funzionava più. Se quell’ingegnere voleva continuare a vivere sotto il suo tetto, avrebbe quanto meno dovuto ripararglielo. E dato che c’era poteva chiedergli anche qualche altro piccolo favore…

Un sorrisetto soddisfatto si dipinse sulle sue labbra rosate. La sua espressione sarebbe stata a dir poco seducente se non fosse stato per i baffi di schiuma bianca.

In ogni caso doveva scoprire chi fossero le persone che avevano intenzione di uccidere l’ingegnere. Una volta tolti di mezzo loro, avrebbe risolto la questione e a quel punto avrebbe avuto di nuovo la casa tutta per sé.

Chiuse di nuovo gli occhi, abbandonandosi al piacere del bagno. Massì, tutto sommato era un incarico fattibile… E poi lei era la Contessa di Genseldur, la migliore assassina della città, della nazione e probabilmente del mondo intero, ci avrebbe messo un attimo a liquidare chiunque si fosse trovato sulla sua strada.


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[1] La sigla d.s. indica la datazione spaziale (detta anche datazione standard). L’anno spaziale ha una durata di circa 1,12 anni terrestri e si divide in 10 mesi chiamati “deche”.
Le età vengono comunque indicate secondo la durata dell’anno terrestre.

[2] Alisha Bellecœur è presente in CdC - 1 - La strega e la bestia.

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Capitolo 3
*** 2. Conoscere il nemico ***


2. Conoscere il nemico

«Tu non li uccidi!» sentenziò suo zio in tono perentorio.

«Ma se non lo faccio, dovrò tenermi quel tipo in casa per chissà quanto! E se gli venisse in mente di spifferare in giro che sono io la Contessa di Genseldur? Lo sai che sarebbe un casino!»

«Su questo puoi stare tranquilla, Etienne è una persona fidata e non rivelerà a nessuno della tua doppia identità. E per quanto riguarda l’altro problema, non ti devi preoccupare, entro un paio di settimane una squadra sarà qui e lo condurrà in un luogo sicuro.»

«Un paio di settimane?! Lo sai quanto sono un paio di settimane?! Io ho da fare!»

L’uomo barbuto sospirò. «Lo so che è un grosso sacrificio, ma non c’è altra scelta… Per favore, fai un piccolo sforzo.»

«Piccolo sforzo un corno! Perché non te lo tieni tu?!»

«Lo sai che non ho abbastanza spazio in casa mia…»

Hélene sorrise malignamente. «Puoi sempre mandare via la nanerottola…»

«La tua gelosia per Bloody è del tutto immotivata, e comunque lei non c’entra niente con il nostro discorso.»

«Allora dimmi chi è che vuole uccidere il tizio che sto nascondendo e quali sicari ha ingaggiato! Almeno questo!»

L’uomo si passò una mano sugli occhi con fare pensieroso. «Promettimi che non cercherai di ucciderli.»

«Sì, va bene, ora parla però!»

«Quello che ha commissionato l’omicidio è Senaire…»

Gli occhi verdi di Hélene si tinsero di stupore. «Quello delle fabbriche d’armi?»

Suo zio annuì. «A quanto pare ha chiesto a Etienne di lavorare per lui, ma lui non ha accettato… e Senaire non l’ha presa molto bene…»

«Tipico… E chi è che ha ingaggiato per l’uccisione?»

Di nuovo l’uomo prese qualche istante per rispondere. «I Tadarés.»

Hélene soffocò un’imprecazione. «Sei sicuro?»

«Per questo ti dicevo di non tentare di ucciderli.»

I Tadarés erano la famiglia che gestiva praticamente tutti gli affari illegali della vicina città di Hendo e la loro fama era piuttosto conosciuta anche al di fuori della loro zona di influenza. «È per questo che l’hai portato qui a Genseldur?»

«Esatto. Qui è Aubierre che controlla la maggior parte dei criminali, e quindi anche i Tadarés dovranno tenere un basso profilo. È anche possibile che non riescano nemmeno a trovare Etienne fintanto che rimane in casa tua. E poi ti ricordo che Aubierre non considera la Contessa una vera alleata, perciò, se ti metterai nei casini, non potrai contare sulla sua influenza.»

Hélene fece un verso di stizza. «Non mi serve la protezione di nessuno. Io sono la migliore.»

«Ciò non toglie che, se ti metti contro i Tadarés, non riuscirai ad uscirne tutta intera; quindi, per favore, non fare pazzie.»

«Sai zio, non ti facevo così sentimentale. E comunque non ti devi preoccupare, so badare a me stessa.»

L’uomo annuì. «Se noti qualcosa di strano, fammelo sapere subito. Ho chiesto a Bloody e ad altri miei…»

«Non mi serve l’aiuto della nanerottola, né di nessun altro!» lo interruppe la ragazza «Se vuoi che stia buona, devi promettermi che non mi metterai nessuno tra i piedi!»

«Ma Michelle…»

«Hélene!» lo corresse lei in un sibilo.

«Hélene… E va bene, farò come vuoi tu. Ma fai attenzione.»

«Ti ho già detto che starò attenta, devi smetterla di preoccuparti. E ora scusami, ma ho un paio di scarpe da comprare.»

Prima che suo zio potesse cominciare con un altro filotto di raccomandazioni, lei disattivò l’incantesimo di comunicazione e lo specchio tornò a riflettere la sua immagine. Il suo fisico attraente era facilmente intuibile attraverso la stoffa morbida della corta vestaglia, e le gambe slanciate facevano la loro figura anche senza bisogno di indossare i tacchi.

Si voltò leggermente. Il leggero taglietto riportato qualche giorno prima sulla coscia destra sembrava essere completamente guarito e non trovò nemmeno una cicatrice. Si passò la mano sul punto in questione e con sua grande soddisfazione trovò la pelle perfettamente morbida e liscia.

Studiò ancora per qualche secondo la sua immagine riflessa, quindi prese alcune ciocche di capelli per osservarle meglio. Arricciò il naso. Era proprio il caso di dare una spuntatina, se i Tadarés avessero mandato un sicario, non poteva certo affrontarlo con i capelli in quello stato…

***

Di notte la città di Genseldur sembrava sempre tranquilla. Le vie principali erano semideserte e i locali più rumorosi si trovavano quasi tutti in periferia, dunque nel centro della città regnava un clima di pace e serenità che poco aveva a che vedere con ciò che accadeva in certi edifici.

In quell’atmosfera silenziosa una porticina si aprì e una figura vestita di nero emerse al chiaro di luna. Gli abiti aderenti lasciavano chiaramente intendere le forme del suo corpo, e un ampio cappuccio ne avvolgeva il capo.

Con passo impercettibile la donna si avviò lungo una viuzza deserta e, seguendo un percorso familiare, si trovò davanti ad un massiccio edificio. L’ingresso principale dava accesso ad una locanda senza nessun segno particolare, ma non era quella la sua meta. Si infilò nello stretto passaggio che affiancava la costruzione e in questo modo raggiunse una robusta porta di legno. Sembrava a tutti gli effetti l’ingresso di servizio, ma lei bussò ugualmente.

Lo spioncino si aprì con uno scatto secco e due occhietti luccicarono dall’interno. «Chi è?»

La donna si tolse il cappuccio, rivelando così una morbida chioma bionda e una mascherina carnevalesca che celava la sua identità. Quest’ultima era stata decorata in modo da rappresentare un cielo notturno e nella parte sinistra aveva anche una luna piena parzialmente nascosta da alcune nuvole in corrispondenza del buco per l’occhio. «La Contessa.»

«Oh, buonasera Contessa.» Il chiavistello scattò un paio di volte e la porta si aprì. «È sempre una piacere averla qui.»

La ragazza concesse all’uomo un sorriso. «La ringrazio.»

Si avviò verso il bancone e chiese il solito. Il cameriere, un tipo alto e robusto con l’occhio destro reso cieco da una ferita, le preparò subito un boccale pieno fino all’orlo di un liquido ramato e spumoso.

La giovane bevve un lungo sorso e si sentì subito meglio. L’albièr[3] di quel posto era senza dubbio il migliore della città e avrebbe tanto voluto farlo provare anche alle sue amiche, purtroppo però la compagnia non era adatta alle ragazze normali. Bastava guardarsi intorno per capire che la metà dei presenti erano assassini e l’altra metà criminali di altro tipo. Ma lei non doveva preoccuparsi: fintanto che la pozione faceva effetto e fintanto che indossava quella maschera, lei sarebbe stata la Contessa di Genseldur, e nessuno si sarebbe azzardato a darle fastidio.

«Allora Sam, hai qualche notizia interessante?» Il filtro che aveva bevuto non aveva solo cambiato il colore dei suoi capelli, aveva anche modificato la sua voce e perfino i tratti del suo viso erano leggermente diversi – per esempio il neo sotto l’angolo sinistro delle labbra era sparito – quindi per circa tre ore nessuno sarebbe stato in grado di capire che lei in realtà era Hélene Castillon.

L’uomo al banco, che nel frattempo si era messo ad asciugare un boccale, ci pensò su. «Per il momento solo voci, ora come ora gli unici incarichi che ti posso proporre sarebbero ben al di sotto dei tuoi standard…»

La Contessa prese un altro sorso. «Allora parlami delle voci.» Chissà che non riusciva a scoprire qualcosa in più sui Tadarés e su come avessero intenzione di uccidere Etienne, l’ingegnere che nascondeva in casa sua…

«Sembrerebbe che la pazienza di Holbéin si sia esaurita e che voglia far uccidere suo padre per prendere possesso di tutte le sue proprietà, ma al momento non ha ancora inoltrato una richiesta. Un’altra cosa interessante che ho sentito riguarda la banda di Novik “Freccia Blu”: a quanto pare la sua influenza nei bassifondi sta aumentando sempre più e Aubierre sta cominciando a considerare l’idea di farlo fuori.»

La ragazza annuì. Erano incarichi senza dubbio interessanti, soprattutto il secondo, ma non era venuta fin lì per trovare un lavoro. «Fammi sapere se Aubierre inoltra una richiesta all’esterno della cerchia dei suoi uomini. Poi nient’altro?»

Sam ripose il boccale ormai asciutto e ne prese un altro bagnato. Si avvicinò a lei e parlò a bassa voce: «Questa è una notizia ancora da verificare e ti devo chiedere di non diffonderla, comunque un mio amico di Hendo mi ha detto che i Tadarés hanno mandato qui alcuni dei loro sicari per uccidere qualcuno. Non so chi sia, non credo Aubierre, ma non posso escluderlo a priori… Tu sei una solitaria quindi non credo ti verranno a seccare, comunque, se dovessi trovarteli davanti, ti consiglio di non metterti contro di loro. Sono pericolosi tanto quanto Aubierre e, da quel che ho sentito, non lasciano mai impunito l’assassinio dei loro uomini di alto rango.»

La Contessa mandò giù un lungo sorso di albièr. «Non ti preoccupare, non sono una che va in cerca di seccature. Comunque per il momento non hai nessun incarico interessante, dico bene?»

«Per il momento no. Ti tengo da parte l’assassinio di Freccia Blu se Aubierre rende pubblico l’incarico.»

«Ti ringrazio.» La ragazza finì di bere e appoggiò sul banco il boccale vuoto insieme ai soldi per la consumazione. «Ci vediamo.»

L’uomo la salutò e la ragazza uscì in strada. L’aria frizzante della notte si insinuò nei polmoni e si diffuse in tutto il corpo, restituendole energia. L’effetto della pozione sarebbe durato ancora per almeno due ore e non aveva nessuna voglia di andare a dormire, quindi decise di provare l’equipaggiamento che Etienne le aveva regalato come prima parte del compenso per la sua protezione. Aveva fatto un po’ di pratica in casa e quello le sembrava il momento ideale per provarlo in uno spazio più ampio.

Si tirò il cappuccio sul capo e raggiunse un punto più riparato da sguardi indiscreti. Non voleva correre il rischio che qualcuno la vedesse fare una brutta figura, aveva una reputazione da difendere!

Toccò il bracciale che aveva al polso sinistro e subito avvertì un sibilo di vento che annunciava l’attivarsi dell’equipaggiamento. Chiuse gli occhi e prese un bel respiro. Non aveva bevuto tanto, era abbastanza lucida per farlo. Portò le mani a pugno vicino al petto e poi le abbassò di colpo aprendole in contemporanea. Immediatamente avvertì una forte spinta e i congegni magici montati nella sua tuta la fecero schizzare verso l’alto. Con un movimento delle braccia aggiustò la traiettoria per evitare di andare a sbattere contro un muro, quindi si diede lo slancio con le gambe sfruttando un davanzale e con una piroetta all’indietro raggiunse il tetto dell’edificio opposto.

Sorrise. Non era poi così difficile.

Si mise a correre verso il palazzo dalla parte opposta della strada e saltò. La distanza era troppa per le sue gambe, ma questo ormai non costituiva più un problema: di nuovo si diede lo slancio con le braccia e i congegni la fecero schizzare verso l’alto, permettendole di raggiungere la sua meta.

Certo, non poteva davvero volare, però grazie a quell’equipaggiamento poteva saltare molto più in alto e poteva darsi lo slancio anche se stava cadendo nel vuoto. Etienne le aveva spiegato con dovizia di particolari il meccanismo che lo faceva funzionare – e nel farlo aveva sbagliato a chiamarla almeno una mezza dozzina di volte – lei però non gli aveva dato retta; tutto quello che aveva capito era che sfruttavano una magia del vento o qualcosa di simile. Ma del resto la cosa importante era che funzionasse, e, cavolo, funzionava eccome!

Tutto sommato era felice di nascondere in casa quel nano con la passione per le armi e i congegni innovativi…


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[3] Un tipo di alcolico.

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Capitolo 4
*** 3. Scoperte pericolose ***


3. Scoperte pericolose

La notte successiva Hélene sfruttò nuovamente il sistema di propulsione area, così lo aveva chiamato Etienne, e senza troppe difficoltà raggiunse la cima della guglia più alta della cattedrale di Genseldur. Da lassù si godeva di una vista meravigliosa e i suoi occhi potevano raggiungere ogni zona della città. Ma non era andata lì per divertirsi. Sam le aveva detto che i sicari dei Tadarés erano arrivati in città e che avevano cominciato a fare domande in giro. Le aveva anche dato dei ritratti fatti con inchiostro magico per permetterle di riconoscerli. Li tirò fuori dalla tasca e li aprì. Un tizio giovane e piuttosto carino con gli orecchini, uno smilzo dal viso stretto con i baffetti e poi un omone tutto muscoli alto quasi due metri. Se li avesse incontrati sarebbe stata in grado di riconoscerli, ma non aveva intenzione di ucciderli. Innanzitutto non sarebbe servito a proteggere Etienne e, cosa più importante, avrebbe voluto dire trovarsi tutti i sicari dei Tadarés alle calcagna. E la prospettiva non la allettava.

Ripiegò i fogli e li mise nuovamente in tasca. In ogni caso aveva già pronta un’altra strategia per risolvere in fretta la questione: una delle fonti di Sam gli aveva riferito che Senaire, l’uomo che aveva commissionato l’assassinio, era giunto in città. Con ogni probabilità era impaziente di vedere morto Etienne, e questa sua brama sarebbe stata la sua condanna a morte. Nessuno poteva scampare alla Contessa di Genseldur. Ma non c’era fretta, aveva ancora tre ore e aveva deciso di tenere il sopralluogo come ultima cosa: per adesso voleva solo divertirsi.

Aprì le braccia e con eleganza saltò giù dalla torre. Immediatamente il suo corpo prese velocità, ma le bastò il solito movimento delle braccia per rallentare. Ripeté il gesto più volte e con eleganza, come se stesse sbattendo delle ali invisibili, fino a che non planò sul tetto di un edificio vicino. Da lì corse fino all’estremità opposta e con un balzo si lanciò nel vuoto. Sfruttò nuovamente la propulsione aerea e raggiunse il tetto di fronte, dove per poco non andò a sbattere contro il camino.

Si guardò intorno. Meno male, nessuno l’aveva vista. Sarebbe stato alquanto disdicevole se si fosse sparsa la voce che la nobile Contessa di Genseldur era saltata contro un muro.

Se non altro quel piccolo contrattempo le ricordò di fare più attenzione. Non poteva ancora dirsi un’esperta con quell’equipaggiamento e doveva esercitarsi se voleva raggiungere la perfezione.

Recuperò la concentrazione e corse verso un tetto non troppo lontano. Questa volta bastò una sola spinta con il sistema di propulsione aerea e fu dall’altra parte. Continuò a correre e saltare da un tetto all’altro e, più volte lo ripeteva, più i suoi movimenti diventavano fluidi e precisi. Dopo un po’ si concesse anche qualche leziosità in più: una volta saltò da un tetto a un altro facendo una capriola all’indietro; un’altra si lasciò cadere nel vuoto invece di saltare, per poi darsi una doppia spinta che la riportò all’altezza del tetto successivo.

Quell’equipaggiamento era davvero meraviglioso, peccato solo che avesse quel nome assurdo.

Spiccò un salto, azionò il sistema di propulsione aerea con il movimento delle braccia e in un’elegante piroetta fu dall’altra parte della strada.

Doveva trovargli un altro nome, un nome meno tecnico…

Saltò su un balcone, con un balzo felino fu sul parapetto e subito dopo si lanciò in avanti. Afferrò un tubo di ferro che spuntava dall’edificio, con un agile movimento ci ruotò intorno in modo da averlo al livello del bacino e poi eseguì una nuova giravolta. Con lo slancio che riuscì a guadagnare saltò in avanti, si diede la spinta con le braccia e in un baleno fu sul tetto di fronte.

Ma certo! Poteva chiamarlo…

Uno scricchiolio la mise in allerta. Guardò sotto i sé. La griglia di legno su cui si trovava era troppo leggera, non poteva reggere il suo peso. La copertura si infranse e in un attimo il vuoto si aprì sotto di lei. All’ultimo riuscì a muovere le braccia e il sistema di propulsione aerea rallentò sensibilmente la caduta, ciononostante il colpo che ricevette le tolse il respiro.

Alcuni scricchiolii le fecero intuire che era caduta su un tavolo di legno.

Uno schianto: aveva appena rotto il tavolo.

Ancora mezza intontita si mise in piedi e toccò il bracciale che aveva al polso sinistro per spegnere l’equipaggiamento. Si guardò intorno. Era circondata da un gruppo di uomini, alcuni avevano delle bottiglie in mano o la bocca piena, ma la cosa che le saltò subito agli occhi erano le loro uniformi. Ci mise un istante a riconoscerle e un altro per tirare fuori gli stiletti che teneva negli stivali. Maledizione, proprio sul tavolo di un gruppo di guardie doveva cadere?!

Ben presto lo stupore sparì dai volti degli uomini e tutti quanti sfoderarono le armi. Ma non attaccarono subito. Anche loro conoscevano la fama della Contessa…

La ragazza li osservò attraverso le feritoie nella mascherina. «Coraggio… Sono di buon umore, non intendo farvi troppo male…»

Una guardia leggermente ubriaca decise di farsi sotto, ma Hélene schivò facilmente il suo maldestro fendente verticale. Senza alcuno sforzò evitò un colpo in orizzontale e con un movimento fulmineo gli sferrò un pugno dritto sul mento. L’uomo emise un grugnito e stramazzò a terra.

Un’altra guardia lanciò un grido di battaglia e i suoi compagni risposero subito a pieni polmoni. La sconfitta del loro collega li aveva scossi e non l’avrebbero lasciata impunita.

Tutti insieme si lanciarono all’attacco e la Contessa dovette impegnarsi per difendersi. Deviò un fendente di spada e schivò un affondo, con un calcio deviò una lama e subito dopo incrociò gli stiletti per bloccare un altro assalto. Con un calcio mandò a terra un nemico e saltò nel buco così creato per liberarsi dall’accerchiamento. Adesso però tutte le guardie erano tra lei e l’uscita. Maledizione!

Deviò un affondo e con una gomitata fece sanguinare il naso di una guardia, sfruttò la sua vittima come appoggio per un calcio volante ad un’altra e subito dopo eseguì una piroetta che le permise di raggiungerne una terza con una ginocchiata al volto. Rotolò a terra per evitare un fendente e d’istinto bloccò un’altra spada. Un calcio e il suo nemico si trovò sbilanciato, a quel punto non fu difficile rifilargli un colpo all’addome abbastanza forte da farlo piegare in due.

Restavano tre guardie.

La prima la disarmò con un colpo alla mano e la atterrò con un pugno, la seconda si rivelò più abile, ma anche lei cadde dopo poche stoccate e l’ultima venne spiazzata da un calcio alla caviglia che la fece finire a terra.

Senza perdere tempo la Contessa schizzò in strada e corse via prima che quegli uomini avessero il tempo di riprendersi. Anche se era un’assassina, non le andava a genio di uccidere le persone quando non era strettamente necessario, un po’ per alimentare la sua fama di sicaria nobile e infallibile, un po’ perché un nemico che vuole vendicare la morte di un compagno sapeva essere molto più pericoloso di due nemici.

Una volta al sicuro si concesse qualche minuto per riprendere fiato e lanciò uno sguardo al dispositivo magico che portava al polso. Serviva per controllare quanto tempo le restava prima che il filtro esaurisse il suo effetto, e stando al piccolo indicatore aveva ancora più di un’ora. Anche il livello di carica del sistema di propulsione aerea era a più della metà. Poteva prendersela comoda prima di andare a fare il suo sopralluogo nel palazzo dove si era stabilito Senaire…

***

Mancava ormai poco più di mezz’ora all’esaurirsi dell’effetto del filtro quando Hélene si decise a fare l’unica cosa davvero importante della nottata. Ormai sentiva di aver preso una buona dimestichezza con l’equipaggiamento e non ebbe difficoltà a raggiungere la sua meta.

Il palazzo dove risiedeva il magnate delle armi era situato nella zona centrale di Genseldur e, stando alle informazioni in suo possesso, la stanza dove dormiva si trovava al piano più alto, protetta da un gran numero di guardie e incantesimi. Sfruttando il sistema di propulsione aerea, si spostò su un altro tetto per vedere meglio. Come previsto, tutti gli ingressi erano piantonati da almeno due uomini in uniforme e sarebbe stato impossibile intrufolarsi all’interno senza farsi vedere. Ma lei aveva qualcosa che gli altri non avevano. Doveva solo capire qual era la stanza in cui dormiva Senaire…

Cambiò nuovamente tetto, e poi ancora, fino a quando non trovò quello che stava cercando. Il locale dove il suo bersaglio passava la notte era nell’ala ovest e le ampie portefinestre davano su un elegante balcone che faceva proprio al caso suo. Sicuramente le guardie non si aspettavano un’intrusione dall’alto, sarebbe stato un gioco da ragazzi arrivare fin lì con il suo equipaggiamento e togliere di mezzo la causa dei suoi problemi.

Era talmente facile che sicuramente doveva esserci qualcosa che non aveva considerato. Magari Senaire era uno sbruffone e un megalomane, però di certo non era uno stupido: sapeva di avere parecchi nemici e difficilmente si sarebbe esposto a tal punto. Doveva esserci per forza qualcosa che non aveva calcolato… Ma certo! Come aveva fatto a non capirlo?! C’era una barriera magica intorno alla sua stanza! Ora che guardava meglio poteva anche vedere il generatore che la teneva attiva.

Schioccò la lingua con disappunto. Questo complicava parecchio le cose. Non aveva idea di come fare a neutralizzarla e non poteva contare sul fatto che Senaire intendesse uscire di lì, doveva pensare a qualcos’altro…

Continuò a tenere d’occhio l’edificio nella speranza di trovare qualche spunto per elaborare un piano, ma più ci ragionava e più capiva che non c’era modo di arrivare a Senaire senza essere scoperti. Quando mancavano ormai meno di dieci minuti all’esaurirsi dell’effetto del filtro, decise di rientrare in casa. Magari dopo una bella dormita le sarebbe venuta qualche idea.

Sfruttando il sistema di propulsione aerea saltò agilmente da un tetto all’altro e in breve raggiunse uno dei passaggi che sfruttava abitualmente per entrare e uscire di casa senza farsi scoprire. Quello in particolare era collegato al sistema di aereazione di uno dei palazzi vicini a casa sua e sgusciando attraverso i condotti era possibile arrivare alle cantine. Da lì poi era un gioco da ragazzi rientrare in casa sua.

Stava scivolando agile e silenziosa in uno degli stretti passaggi quando avvertì una sgradevole puzza di fumo. Strano, quell’edificio era una biblioteca, a quell’ora non doveva esserci nessuno… che fosse scoppiato un incendio?

Si avvicinò alla grata da cui arrivava l’odore, ma a giudicare dalla penombra totale non poteva esserci del fuoco. Poi vide un piccolo punto luminoso e capì: era solo un tizio che si fumava una sigaretta.

Fece per andare, ma si fermò. Cosa ci faceva qualcuno lì a quell’ora? E poi le sembrava di averlo già visto da qualche parte…

Tornò indietro per vedere meglio… e il suo cuore perse un colpo. Quell’uomo dal viso stretto con i baffetti era uno dei sicari dei Tadarés! E stava osservando casa sua!

Soffocò un’imprecazione. Che avessero già trovato Etienne? Magari lo avevano già ammazzato! No, se Etienne fosse morto, di certo gli uomini dei Tadarés non sarebbero rimasti nei dintorni… Ma il fatto che quell’assassino fosse appostato lì non poteva essere una coincidenza. Maledizione, doveva sbrigarsi ad uccidere Senaire prima di trovarsi con un cadavere in casa!


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Capitolo 5
*** 4. Hélene, Michelle e la Contessa ***


4. Hélene, Michelle e la Contessa

«Signorina Thanaa[4], a cosa sta pensando?»

Hélene smise di fissare il liquido semitrasparente nella sua tazza e, sollevando lo sguardo, incrociò gli occhietti marroni di Etienne. «Devo trovare il modo di uccidere Senaire e devo farlo in fretta.» annunciò con il tono assonnato di chi si sta ancora svegliando «Se i sicari dei Tadarés entrassero in casa, potrebbero trovarti, e non ho voglia di dare spiegazioni circa il tuo cadavere.»

Il nano si sedette di fronte a lei. Quella era una delle stanze pensate per la servitù e l’unico spiraglio verso l’esterno era una piccola grata che si affacciava sull’edificio adiacente. «Sa già dove si trova Gundo’gan[5] in questo momento?»

«In un palazzo del centro.» rispose la ragazza intuendo che quello fosse l’ennesimo errore del giovane ingegnere. Suo zio le aveva spiegato che Etienne non era assolutamente in grado di ricordare i nomi delle persone e che finiva immancabilmente per usarne altri sbagliati, tuttavia non lo faceva apposta: forse la natura gli aveva giocato questo brutto scherzo per compensare il suo innato genio come inventore.

«Ho dato un’occhiata, e tutti gli ingressi sono piantonati da almeno due guardie, senza contare quelle che sicuramente pattuglieranno l’interno.» proseguì Hélene «Ho trovato anche la stanza dove dorme, ma è protetta da una barriera magica e credo sia impossibile forzarla senza destare l’attenzione degli uomini della sorveglianza.»

«Ed è riuscita a vederlo? Sehvenn[6], intendo.»

La ragazza fece un verso di stizza. «Sì, e questo mi fa ancora più rabbia! Era lì davanti a me che dormiva come bambino, con le Ali di Vento avrei potuto raggiungerlo in un attimo, e invece…»

Etienne la guardò stranito. «Ali di Vento? Intende il sistema di propulsione aerea?»

Hélene prese la tazza e fece spallucce. «Ali di Vento è più carino.»

Il nano rimase in pensieroso silenzio mentre la ragazza beveva un sorso di tè. «Va be’, vada per Ali di Vento. Tornando a prima, può darmi qualche altra informazione sul posto dove dorme Bauer[7]? Ha detto che è riuscita a vederlo, dov’era in quel momento?»

«Sul tetto di un palazzo vicino, perché?»

Il giovane ingegnere sorrise. «Perché forse ho qualcosa che fa al caso suo. Quando ha finito il tè, venga nel laboratorio e glielo mostrerò.»

La ragazza annuì e lo osservò lasciare la stanza con aria stranamente allegra. Chissà cos’aveva in mente?

Il “laboratorio” era in realtà un’altra delle stanze della servitù, e Hélene aveva imposto ad Etienne di spostarsi lì per evitare che con uno dei suoi attrezzi potesse rovinare la pregiata scrivania del suo studio.

La ragazza evitò di calpestare un groviglio di tubi di diversa grandezza e si avvicinò al tavolo dove la aspettava l’ingegnere.

«Mia cara Bandiera Nera[8], le presento i miei ultimi capolavori: il fucile a canna lunga con rifrattore magico a spirale e le pallottole con sistema innesco-carica impacchettato.»

Hélene annuì con fare pensieroso. Poi scosse il capo. «Tu non ci sai proprio fare coi nomi…»

«Cerco di trovare nomi che spieghino le caratteristiche fondamentali delle mie invenzioni…»

«Spiegale, queste caratteristiche.»

«Con immenso piacere! Per cominciare, questa è una pallottola con sistema innesco-carica impacchettato.» affermò l’ingegnere prendendo il piccolo oggetto lungo neanche cinque centimetri «Il fatto che la pallottola abbia con sé sia l’innesco che la carica per spararla, riduce al minimo i tempi di ricarica e non c’è il problema di dosare la giusta quantità di esplosivo. È una trovata semplicissima in realtà, però funziona alla grande. Poi abbiamo il fucile…» Si trattava di un’arma di precisione a canna lunga, con tanto di mirino telescopico e numerosi altri congegni che Hélene non riuscì ad identificare. «Per cominciare, utilizza le pallottole con sistema innesco-carica impacchettato, inoltre non c’è bisogno che l’utilizzatore sia un mago perché è sufficiente premere questa levetta per attivare un piccolo catalizzatore che automaticamente innesca la carica. Il mirino ha un sistema di puntamento magico che aiuta a prendere la mira, e ho aggiunto un attacco per questo bipiede per stabilizzare il tiro, ma la cosa che più mi rende orgoglioso è un’altra: sono riuscito a fare in modo che la pallottola, scorrendo nella canna, si carichi di energia magica e quindi una volta uscita è in grado di attraversare una barriera magica senza venire fermata o deviata.»

Hélene sorrise all’idea. Era proprio quello che le serviva. «E funziona?»

Etienne la guardò offeso. «Certo che funziona!»

***

«E così siamo ancora punto e a capo.» sospirò l’omone muscoloso prima di addentare la terza brioche ripiena.

Lui e gli altri due assassini stavano cercando Etienne per conto del magnate delle armi Gustav Senaire, tuttavia i loro sforzi non stavano dando i risultati sperati. Stando al loro informatore, il giovane ingegnere doveva trovarsi in una delle villette della zona ovest – una parte residenziale di Genseldur abbastanza lontana dal centro, ma comunque all’interno della zona urbana – tuttavia non erano ancora riusciti a capire in quale.

«È inutile avere fretta, vedrete che presto lo troveremo.» affermò il tipo con il viso stretto e i baffetti «A proposito, è arrivato il rilevatore magico?»

«Mi hanno detto che ce lo consegneranno questo pomeriggio.» riferì puntuale il giovane con gli orecchini.

Il suo collega smilzo sorrise soddisfatto. «Allora non dobbiamo preoccuparci: grazie al rilevatore, sarà un giochetto individuare il nano. Sono sicuro che entro dopodomani avremo i soldi che Senaire ci ha promesso.»

I volti degli altri due sicari si accesero di entusiasmo, in particolare quello del più giovane: era il suo primo incarico fuori Hendo ed era onorato di far parte di quel team. Normalmente un incarico del genere sarebbe stato svolto da un’unica persona, però c’era da tenere in considerazione che Genseldur era la città di Aubierre, quindi era meglio avere qualche uomo in più per potersi guardare le spalle a vicenda.

In ogni caso il fatto di trovarsi lì era per loro un vantaggio: una volta ucciso il loro bersaglio, avrebbero potuto dimostrare una volta di più che l’influenza dei Tadarés andava ben oltre i confini della loro città, e di conseguenza il loro prestigio sarebbe aumentato di molto, il tutto ai danni di Aubierre e dei suoi uomini.

Il fallimento non era contemplato.

***

L’albero era lì, immobile, ignaro del pericolo. Una vittima ideale.

Premette sul grilletto: uno scoppio, uno sbuffo di fuoco e la corteccia spaccata. L’aveva colpito.

Hélene si tirò su, sollevando il fucile per contemplare da lontano il suo bersaglio. Si trovava all’incirca a ottanta metri da lei, una distanza certamente non proibitiva, ed era più o meno lo stesso spazio che intercorreva tra il tetto dove si era appostata la notte prima e la stanza dove dormiva Senaire.

Si era recata in quel bosco poco lontano da Genseldur per fare pratica con il fucile datole da Etienne e, con sua grande gioia, aveva appurato che non era affatto difficile da usare. Si allenava da più di tre quarti d’ora e poteva dire di averci preso la mano, almeno per quanto riguardava i bersagli immobili. Ma del resto la sua vittima sarebbe stata immersa nel mondo dei sogni al momento di colpire, quindi non doveva preoccuparsi troppo: l’unica cosa importante era andare a segno con il primo colpo, il più importante.

Quest’ultimo pensiero le riportò alla mente le parole di suo zio. Era stato proprio lui ad addestrarla, a fare di lei la migliore assassina della città, della nazione e probabilmente del mondo intero, e una delle prime cose che le aveva insegnato era stata proprio che il primo colpo era il più importante.

“Uccidere il bersaglio senza che nemmeno se ne accorga, ecco cosa vuol dire essere un grande assassino.”

Già, suo zio… In realtà non era nemmeno suo zio. Lei lo chiamava così, ma quell’uomo era a tutti gli effetti il suo padre adottivo. Secondo lei si preoccupava sempre troppo e per questo spesso finiva per rispondergli male, però gli voleva davvero bene come ad un genitore. E poi se non fosse stato per lui, probabilmente ora sarebbe ancora per la strada, o peggio. Non c’erano dubbi che lui l’avesse salvata da una vita di miseria e stenti…

La bambina era seduta sul ciglio della strada, scalza e con addosso solo un vecchio vestito tutto lacero. Aveva non più di sei anni, era sporca, i capelli corti erano tutti arruffati e teneva le mani miseramente verso l’alto per chiedere l’elemosina. Era tutta la mattina che stava così, lo stomaco le faceva male per la fame, ma nessuno le aveva prestato attenzione. Non che la cosa la stupisse.

D’un tratto avvertì dei passetti rapidi che si avvicinavano. Sollevò leggermente il capo e i suoi occhi verdi incrociarono quelli nocciola di un ragazzino. Doveva avere un anno in più di lei, però era vestito molto bene, con una giacchetta a mezzemaniche perfettamente della sua misura, pantaloncini corti di tessuto scuro e delle scarpe lucide che stonavano parecchio con il suo sorriso senza un dente. Senza dubbio era il figlio di qualche famiglia benestante.

Il ragazzino allungò un braccio e lasciò una tortina sulle mani della bambina, quindi corse dalla madre tutto contento. Lui la salutò gioiosamente e la piccola, incredula, lo osservò allontanarsi. Solo dopo qualche secondo realizzò quello che era successo e si affrettò a salutare a sua volta, il viso che splendeva di gioia. Non erano molte, però c’erano anche delle brave persone, e lei aveva avuto la fortuna di incontrarne due.

Quando la madre e il ragazzino si furono allontanati, abbassò lo sguardo sulla tortina. Era bellissima, con la parte inferiore di morbido impasto al cioccolato e sopra una spirale di crema allo stesso gusto. Aveva visto dolcetti del genere solo nelle vetrine delle pasticcerie, ma trovandoselo tra le mani, le sembrava troppo perfetto per poter essere mangiato.

Un brontolio allo stomaco interruppe la sua contemplazione e si decise ad avvicinare la tortina alla bocca. Diede un primo, piccolo morso, ma tanto bastò per farla sentire al settimo cielo: non aveva mai mangiato nulla di così buono!  Preda della fame, diede un altro morso, poi un altro e un altro ancora. Senza che se ne rendesse conto, le sue guance vennero bagnate da lacrime di gioia.

«Ma guardate un po’, il Topolino sta mangiando qualcosa.»

La schiena della bambina venne attraversata da un brivido.

«Dove l’hai rubato, eh Topolino?»

La piccola si rannicchiò su se stessa, cercando di nascondere la tortina sotto le braccia. Erano i soliti tre bulletti, dei ragazzi più grandi di lei – anche loro orfani per quel che ne sapeva – che avevano preso l’abitudine di importunarla e di chiamarla “Topolino” solo perché sapevano che odiava quel nome. Non capiva perché se la prendessero sempre con lei, forse perché era la più piccola della zona e nessuno si prendeva il disturbo di proteggerla dalle loro angherie.

«Dai, facci vedere cos’hai…» la esortò quello coi capelli ricci.

«Tanto poi te lo restituiamo…» aggiunse quello dalla pelle scura, ma il suo sorriso sdentato diceva il contrario.

La bambina cercò di farsi ancora più piccola rannicchiandosi su se stessa, ma quei tre erano molto più forti lei e non ci misero molto per riuscire a rubarle il tortino.

«Ehi, guardate, il Topolino ha rubato un dolcetto!» esclamò quello riccio.

«Che buono, fammi dare un morso.» disse il terzo, biondo, e senza tanti complimenti addentò la merendina.

A quel punto la piccola saltò in piedi e fece il possibile per cercare di riprenderselo. «No! È mio! Me l’ha regalato un bambino!»

«Certo, come no.» la canzonò il ragazzino dalla pelle scura, quindi anche lui diede un morso al dolcetto. Ne restava meno di un boccane.

«Vi prego! È mio! È mio!» implorò la ragazzina.

Il biondo le diede una spinta. «Eh sta zitta! Se ne vuoi un altro, puoi sempre rubarlo come hai fatto con questo!»

Il terzo bulletto mandò giù l’ultimo boccone, ma questo non fece che aumentare la rabbia della bambina. «Io non l’ho rubato!» esclamò a gran voce avventandosi su di loro. Provò a tirare pugni, a mordere e scalciare, ma per i tre ragazzini era facile avere la meglio su di lei: erano tre gatti che giocavano con un topo.

«Ehi, smettetela.»

Quel richiamo svogliato attirò l’attenzione dei tre bulletti, che smisero di spintonare la bambina e lasciarono che cadesse a terra.

Davanti a loro c’era un uomo dalla barba incolta, indossava abiti un po’ consumati ma resistenti e il suo sguardo sembrava più annoiato che accusatorio.

«E tu cosa vuoi?» sbottò il biondo, ma quello coi capelli ricci lo zittì e gli fece cenno con il capo di allontanarsi.

I tre ragazzini fecero per allontanarsi, all’ultimo però si fermarono. Da un tasca uscì un coltello e il capo del trio si avventò sull’uomo. Sollevò l’arma, certo di prendere alle spalle la sua vittima, ma non fu così: venne bloccato, disarmato, e poi avvertì un dolore atroce. Cadde a terra e urlò quando vide il coltello piantato nella sua spalla, il sangue che usciva lento dalla ferita.

Gli altri due bulletti, terrorizzati, corsero via, seguiti a ruota dal loro compagno ferito.

L’uomo li tenne d’occhio per un attimo, poi abbassò lo sguardo sulla bambina. Era ancora a terra, ma non sembrava ferita.

«Dovevi fargliela pagare…» mugugnò la piccola, il capo chino.

«Quello che ho fatto è sufficiente, non ti daranno più fastidio.»

«Ma saranno cattivi con altri.»

Lui rimase un attimo in silenzio, poi fece un gesto di insofferenza con le spalle. «Non è un mio problema.»

Fece per andarsene, ma la bambina si alzò e lo prese per la giacca. «Voglio diventare come te.»

L’uomo si volse verso di lei e, quando la piccola sollevò il capo, lui rimase molto colpito dal suo sguardo: non era triste o supplichevole, era lo sguardo freddo e determinato di chi non ha più niente da perdere.

«Voglio diventare forte. Ti prego, insegnami a diventare forte come te!»

L’uomo dischiuse le labbra per dirle di lasciarlo in pace, ma rimase bloccato davanti a quegli occhi verdi disposti a tutto. Non avrebbe voluto accettarla come allieva, lui non era certo il tipo adatto a prendersi cura di una bambina, eppure più la guardava, e più sentiva crescere un senso di totale empatia, come un legame vecchio di una vita.

Sospirò. «D’accordo. Io sono Morpheus, tu come ti chiami?»

La piccola chinò il capo, incerta, poi risollevò lo sguardo. Scosse la testa.

«Mmh, niente nome eh… Ho capito, te ne darò uno io. Ti chiamerò… Michelle. Ti va bene?»

Gli occhi della bambina si accesero e subito annuì. «Mi chiamo Michelle!»


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[4] Thanaa è la protagonista di ArMa - 1 - La piccola incantatrice.

[5] Xhernan Gundo’gan compare in BBS - 1 - I Predatori del Cielo.

[6] Hayato Sehvenn è presente in EdO - 1 - L’Erede degli Oblio.

[7] Andreas Bauer è il protagonista di Armi contro il passato.

[8] Bandiera Nera è il soprannome di Anna Bedder nell’omonima raccolta di ministorie.

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Capitolo 6
*** 5. Il tempo di agire ***


5. Il tempo di agire

Quando, quella notte, la Contessa sbucò da uno dei suoi passaggi segreti, in spalla portava un lungo fagotto. Nonostante il peso aggiuntivo, si muoveva con eleganza e senza produrre alcun suono, quasi danzando sui tetti grazie alle Ali di Vento.

Gli anni di addestramento con Morpheus l’avevano trasformata, avevano reso il suo corpo tonico e flessibile, ma anche la sua mente era cambiata. Aveva imparato a rispettare la vita, a non abusare delle sue abilità di assassina e a contenere il più possibile il sangue che versava. Non a caso si vantava di essere un’assassina nobile, oltre che infallibile.

L’omicidio di Senaire sarebbe rientrato in quei limiti che lei stessa si era prefissata: si trattava di un uomo che aveva fondato la sua ricchezza sulla produzione e il commercio ­– per non dire contrabbando – di armi, e che non aveva esitato a chiedere la testa di chi si era rifiutato di lavorare per lui, quindi non si sentiva in colpa per quello che stava per fare.

Una volta raggiunto il tetto da cui intendeva colpire, si guardò intorno per accertarsi che non ci fossero guardie che potessero vederla. In giro c’erano diversi uomini in uniforme, ma nessuno sembrava sospettare un attacco del genere, e del resto non se ne stupiva. Meglio così, per una volta avrebbe potuto agire indisturbata.

Si tolse di spalla il fagotto e prese il fucile magico di Etienne. Si sdraiò in modo da poter appoggiare il bipiede e cercò nel mirino la sagoma del magnate delle armi. Grazie al supporto riusciva a tenere piuttosto bene la linea di tiro, e le lunghe ore passate ad allenarsi le davano una discreta sicurezza di riuscire a fare centro al primo colpo. Anche perché difficilmente avrebbe avuto una seconda possibilità.

Prese un bel respiro.

Senaire dormiva placidamente nel suo letto: era un bersaglio facile, non avrebbe sbagliato.

Deglutì.

Perché era così tesa? Lei era la Contessa di Genseldur, la migliore assassina della città, della nazione e probabilmente del mondo intero, far fuori un uomo addormentato doveva essere un gioco da ragazzi!

Controllò per l’ennesima volta il vento. Aveva imparato che anche una leggera brezza poteva modificare in maniera rilevante la traiettoria della pallottola, ma per fortuna l’aria sembrava completamente ferma. Le condizioni erano ideali, non avrebbe sbagliato.

Continuò a respirare.

Perché non si decideva a sparare?! Era un colpo facilissimo e lei non aveva tempo da perdere. Doveva sbrigarsi!

Chiuse gli occhi cercando di raccogliere la massima concentrazione. Non avrebbe fallito.

Si assicurò che il corpo di Senaire fosse bene al centro del mirino… e sparò. Lo scoppio all’interno della cartuccia, la lingua di fuoco che usciva dalla bocca della canna e il fracasso del vetro in frantumi avvennero quasi in contemporanea e in una frazione di secondo il proiettile si conficcò nel materasso, sfondando almeno due doghe.

Il magnate delle armi si svegliò di soprassalto e balzò giù dal letto. Cosa diavolo era successo?!

Maledizione! Maledizione! Maledizione! Come aveva fatto a sbagliare mira?! Magari il vetro… No! Non era il momento di pensarci! Adesso doveva caricare un altro colpo e uccidere Senaire prima che lasciasse la stanza! Doveva fare in fretta!

Tirò fuori il bossolo vuoto e inserì la nuova cartuccia, fece scattare la canna in modo che non si aprisse con lo sparo e prese nuovamente la mira.

Doveva fare in fretta, Senaire stava per raggiungere la porta!

Prese la mira e d’impeto premette sul grilletto. Di nuovo le sue orecchie vennero maltrattate dallo scoppio mentre una lingua di fuoco si sollevava dalla bocca della canna. La pallottola sfrecciò rapidissima nell’aria e in un istante il cranio del magnate delle armi esplose spruzzando sangue in ogni direzione.

Il corpo cadde a terra sull’uscio della porta.

Hélene spirò fuori tutta la tensione che si era accumulata dentro il suo corpo. Ci era riuscita. Menomale, ancora un secondo e sarebbe stato fuori dalla sua linea di tiro.

Senza perdere tempo nascose il fucile ancora caldo dentro il fagotto e saltò giù dal tetto per scomparire tra le ombre. Di sicuro le guardie avevano visto gli sbuffi di fuoco e in breve avrebbero circondato l’edificio, ma per allora contava di essere già al sicuro.

Si concesse un sorriso pieno di soddisfazione: ancora una volta la Contessa aveva portato a termine la sua missione.

***

«Signorina Anastasia[9], mi permetta di ringraziarla ancora una volta per tutto quello che ha fatto per me.» disse Etienne stringendo la mano della giovane.

Erano passati un paio di giorni dall’uccisione del magnate delle armi Gustav Senaire, e ancora le guardie cittadine non erano riuscite a capire chi fosse il responsabile del suo omicidio, quindi era molto probabile che il colpevole sarebbe rimasto impunito. I sospetti più importanti si erano concentrati sul clan di Aubierre, e questo non poteva che essere un vantaggio per la Contessa: nessuno aveva interesse a infastidire il boss di Genseldur, quindi anche le ultime voci sarebbero presto scivolate via.

«Non è stato poi così male, e poi mi hai anche aggiustato lo spara-dardi.» rispose la ragazza sorridendo.

«Ah, a proposito della protezione polifunzionale per avambraccio: ho notato che il meccanismo della lama estraibile era un po’ consumato, quindi ho provveduto a sostituire anche quello.»

«Due volte grazie allora. E per il fucile…»

«Quello lo tenga pure, glielo regalo come segno di gratitudine. In ogni caso è ancora un prototipo, se vuole la informo quando sarà pronto il modello definitivo.»

«Comincerò a mettere da parte i soldi.» annuì la ragazza.

In quel momento il portone della casa si aprì e anche Morpheus comparve nell’ingresso. «Ciao Etienne. Quando vuoi, la carrozza è pronta.»

«Grazie mille, Kenvster[10]. E grazie anche per avermi fatto nascondere qui.»

«È stato un piacere.» gli assicurò l’uomo stringendogli l’avambraccio.

«Beh, a questo punto è meglio che vada. A presto signorina Samantha[11], e grazie ancora di tutto.»

Il giovane nano uscì dalla porta e salì svelto sulla carrozza che lo avrebbe riportato a casa, al suo laboratorio, dove avrebbe potuto rimettersi al lavoro sulle sue amate invenzioni.

Hélene e Morpheus rimasero ancora un attimo sulla porta, poi tornarono dentro per impedire a sguardi indiscreti di ricollegare la padrona di casa ad Etienne.

«Alla fine non è stato poi così drammatico ospitarlo, o sbaglio?»

«Mmh, gli concedo il merito di essersi reso utile, però sono contenta di riavere la casa tutta per me. E poi cavolo, se proprio doveva sbagliare a chiamarmi, almeno che sbagliasse giusto!»

L’uomo sorrise divertito. «Non prendertela Michelle, Etienne è fatto così.»

«Ehi, non cominciare anche tu! Sono quattro anni che mi faccio chiamare Hélene Castillon e non intendo cambiare idea!»

Lui le rivolse uno sguardo paterno. «Per me resterai sempre la mia piccola Michelle.»

La giovane gli tirò un affettuoso pugno sul petto. «Sai zio, la parte sentimentale non ti si addice proprio.»

Morpheus continuò a sorridere. Quella ragazza poteva anche essere un’assassina micidiale e priva di modestia, però era fiero di lei. Non avrebbe potuto desiderare una figlia migliore.

***

Gordon Tadarés, leader dell’omonimo clan, era un uomo sulla quarantina abbondante, dalla corporatura robusta e le guance piene. I capelli neri erano appena un po’ brizzolati, indossava abiti sempre eleganti fatti fare su misura dai più rinomati sarti di Hendo e portava diversi anelli, tutti dall’aria estremamente costosa. I suoi occhi scuri erano concentrati a scorrere alcuni fogli quando qualcuno bussò alla porta.

Gordon si sfilò gli occhiali e poggiò le carte sulla sua imponente scrivania. «Avanti.»

Il battente si aprì e un uomo smilzo con i baffetti entrò nello studio: era uno dei sicari inviati a Genseldur per conto di Gustav Senaire.

Gordon lo trafisse con uno sguardo cupo e minaccioso. «Dimmi, Paolo, sei qui per darmi una buona notizia?» La domanda era retorica: sapeva bene dell’omicidio del magnate delle armi e del conseguente annullamento dell’incarico.

«Mi spiace capo, qualcuno ha ucciso Senaire e ci ha fatto saltare il lavoro. Tutti gli indizi fanno supporre che il responsabile sia uno degli uomini di Marcel Aubierre.»

L’espressione di Gordon Tadarés era indecifrabile. Aubierre era sicuramente il suo principale avversario all’interno dello stato, e probabilmente era anche l’unico che avesse i mezzi e gli uomini per pensare di poter competere con lui. Metterlo fuori gioco una volta per tutte avrebbe significato annientare l’unica possibile minaccia all’interno della nazione e, allo stesso tempo, inviare un chiaro messaggio a tutti gli altri che non era il caso di far arrabbiare i Tadarés.

Con movimenti misurati prese una fialetta dalla valigetta che era aperta sulla sua scrivania e la mostrò al suo subordinato. «Dimmi, Paolo, sai cos’è questo?»

L’assassino tentennò un secondo. «N… No, capo.»

«È una dose di siero TitanShape, l’ultimo capolavoro delle Industrie ETNA.» Si concesse un sorriso mentre ammirava il liquido ambrato. «Non è stato facile procurarsela, ma ti assicuro che ne è valsa la pena. Questa volta Efesto si è davvero superato…»

Paolo non riuscì a nascondere il proprio stupore. Aveva solo sentito parlare di quel siero e le voci che giravano lo dipingevano come qualcosa di straordinario, ma non si sarebbe mai aspettato di sentire il suo capo che lo lodava così apertamente.

«È giunto il momento di mettere in chiaro chi è che comanda da queste parti.» sentenziò Gordon «Se Aubierre vuole una guerra, allora noi gliela daremo. E grazie a questo siero, lo distruggeremo una volta per tutte.»


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[9] Anastasia Denisov compare in Aer - 1 - Antieroico.

[10] Kenvster è presente nella saga Delta Survivors e in PdC - 1 - Alba di Cristallo.

[11] Samantha Domino è presente in Peccato e Redenzione e in Protezione e Giustizia.

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Epilogo

Hélene prese un altro sorso dal raffinato calice che aveva in mano. Il liquido ramato e spumoso sembrava ancora più buono ora che lo beveva nell’elegante salottino di casa sua in compagnia delle sue due migliori amiche.

«Avevi ragione, questa albièr è davvero incredibile!» esclamò la ragazza dai capelli mori «Ma dove l’hai preso?»

La padrona di casa si esibì in un sorrisetto compiaciuto. «Mi spiace, è un segreto.»

«Oh, dai, ti prego…» la implorò l’altra, che al contrario della prima aveva delle delicate lentiggini sugli zigomi.

«Mi spiace, il mio fornitore pretende l’anonimato assoluto.» In realtà Sam sarebbe stato ben contento di avere un po’ di pubblicità, tuttavia non poteva certo raccontare alle sue amiche che quei due barilotti venivano da un covo di criminali della peggior specie.

«Sei sempre la solita.» la sgridò scherzosamente la prima.

La ragazza bevve un altro sorso e ascoltò con piacere quello che le sue amiche avevano fatto negli ultimi giorni. Si sentiva proprio di buon umore. Etienne ormai era tornato al suo laboratorio, ma le aveva lasciato sia il fucile che le Ali di Vento; il congegno che era solita tenere sull’avambraccio destro durante le sue missioni notturne era stato riparato, nessuno sospettava che l’assassino di Senaire fosse la Contessa di Genseldur e i tre sicari dei Tadarés erano tornati a Hendo senza creare problemi. Le cose non potevano andare meglio.

«Hélene, tu invece cos’hai fatto in questi giorni?» le chiese la ragazza con le lentiggini.

La diretta interessata non poté fare a meno di sorridere davanti a quella domanda. Senza pensarci troppo sollevò una gamba e mise il piede sul tavolo stando attenta a non travolgere i bicchieri. «Ho visto queste scarpe nella boutique di Vera e non ho potuto fare a meno di comprarle.»


Note dell’autore

Continua in VdA - 2 - Le lacrime della Contessa.

 

Etienne non conosce i personaggi che nomina, il fatto che ogni suo errore richiami ad un’altra storia è una mia trovata per rendere più divertente il suo difetto e aggiungere qualche ulteriore link crossover in una maniera diversa dal solito.

La saga Cacciatori del Crepuscolo è ambientata su Raemia più di duecentocinquanta anni prima di La via degli assassini.

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