Murrayville

di piratatommy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** jungle ***
Capitolo 2: *** Civil war ***



Capitolo 1
*** jungle ***


La pioggia e il vento erano pungenti nella città di Aberdeen mentre correvo verso casa al calar del sole. Si fa per dire, il sole neanche si vedeva. Doveva essere maggio, ma sembrava più novembre. Arrivai finalmente e ormai zuppo di fronte all'edificio grigio tutto in granito con la scritta MURRAYVILLE sullo stipite. Nel piccolo giardino la flora era particolarmente prospera.
Ecco.
A posteriori mi domando ogni volta se sono io ottuso o se sia il mio subconscio che ormai rassegnato rinuncia a cogliere i segnali d'allarme.
Ad ogni modo feci appena in tempo a chiudermi la porta alle spalle che subito il tepore dell'interno mi mise in allarme. Troppo tiepida l'aria. Anzi, così tanto e così umida che mi sarei potuto trovare nel mezzo di una giungla.
Fin dal primo passo il forte odore delle varie infiorescenze mi colpì le narici. Avanzavo a fatica facendomi largo con le braccia tra il folto sottobosco. In lontananza un sordo ronzio e qualche cinguettio; potevo quasi sentire una grossa zanzara tropicale girarmi pigramente intorno per poi pungermi il braccio.
"Cazzo, dove ho lasciato il machete?" pensai scrutando innanzi a me. Ai miei lati potevo scorgere due capanne in lontananza, ma sembravano abbandonate. Persino quella di Sergio sembrava sprangata. "Accidenti sarà fuori, speriamo non sia nei guai".
Ero solo dunque.
Superai rapidamente la Radura della Cava Ghiacciata sulla sinistra, dove sapevo che giacevano conservati dei resti di cacciagione. Ma ero troppo stanco, e quel posto era il più frequentato e quindi pericoloso. Non c'era nemmeno segno di Naroa, la regina della foresta, l'unica che avrebbe potuto aiutarmi.
Mi accostai con un balzo all'enorme tronco che sorgeva al centro della boscaglia. Solo un raggio di luce penetrava tra i rami, rifrangendosi sulla moltitudine di pollini galleggianti nella pigra aria.
Ma, rimboccate le maniche, con circospezione avevo già cominciato a salire, le mani prese saldamente su una lignea liana, i piedi silenziosi sul morbido tappeto di quello che pareva muschio. Un ruggito mi fece trattenere il respiro, e un urlo a seguire mi fece sussultare.
La Zona di Sopra era la più insidiosa, anche più delle Stanze sotto le Radici.
Dovevo fare in fretta.
Prima che potessi muovermi però comparve dal suo rifugio un esponente della tribù dei Bonghi, tanto educato quanto letale a causa del fumo allucinogeno che spargeva ovunque durante i suoi riti quotidiani.
Ricambiai il saluto cercando di non respirare, ma la nebbia già cominciava ad intorpidire i miei sensi. Mi feci coraggio e mi diressi di corsa alla Roccia delle Mille Fonti.
E qui vidi i resti del suo passaggio. Il Cacciatore Rosso.
Proveniente da chissà dove e rimasto bloccato nella selva aveva trovato il suo posto in un angolo della Zona di Sopra, e passava le sue giornate con terribili e sanguinose battute di caccia, indisponendo più di una volta Naroa, il cui nido era proprio confinante.
Quello che avevo di fronte erano i chiari resti di una di queste: pelli stese ovunque e laghi e strascichi di sangue e acqua su ogni superficie.
Riuscii nonostante le difficoltà e il caldo soffocante a giungere alla Roccia. Da questa sgorgava una fresca e cristallina cascata presso la quale potei rinfrescarmi e lavar via fango e resina e quant'altro dalle mie stanche membra. Uscito mi decisi a fare un ultimo sforzo entrando nell'angolo che ero riuscito a ricavarmi tra i rami.
Punture d'insetto, il lungo cammino, i fumi, la paura, tutto aveva contribuito e ora le forze iniziavano a venire meno. Feci giusto in tempo ad aprire uno spiraglio tra le fronde.
Finalmente.
Un soffio d'aria fresca e la vista del cielo plumbeo all'esterno mi ridiedero ossigeno e pace, e già il mio giaciglio di foglie pareva iniziare a somigliare di nuovo ad un normale letto, mentre mi ci abbandonavo trascinato dal sonno.

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Capitolo 2
*** Civil war ***


Correvo sotto una fredda pioggerellina per andare a casa.
 Avevo solo un'ora di pausa pranzo ed ero già stanco: al lavoro era stata una mattinata campale che neanche in guerra. Arrivato vidi l’acqua scorrere dai torrioni, e attraversato il ponte levatoio ed aperti i cancelli fui dentro.
“A posto” pensai ironicamente.
Ma non avevo tempo, e nel corridoio non feci neanche caso alle torce appese alle pareti, ero troppo di corsa per curarmi di essere stato catapultato nel medioevo.
Scorsi ai lati gli alloggi del fedele scudiero del saladino, e quelli dell’onorevole guerriero del libero popolo dei Pitti.
Giunsi alle cucine per ceder alla lavandaia meccanica incantata la mia vestaglia e le tuniche sozze “perfetto, anche i vestiti trasformati in tuniche”, quando venni assalito alle spalle dal conte Alexandro che con vili e false accuse inveiva contro di me!
Fortunatamente la cotta di maglia fermò i suoi fendenti (e io nel frattempo ero sorpreso di aver addosso una cotta di maglia), così riuscii a ritirarmi onorevolmente, dovendo tornare in fretta in battaglia, cioè, al lavoro.
“Ma che cazzo” pensavo tra me e me mentre ancora scosso camminavo per strada, “questa casa mi farà a pezzi il cervello”.
È risaputo che il conte mi ritiene un invasore di quello che crede essere il suo castello, ma un tale attacco era eccessivo!
Il pomeriggio proseguì abbastanza liscio e la sera, sperando di chiarire ed eliminare la minaccia che ero sicuro essere ancora latente, decisi di andare a parlamentare. Arrivato vidi ancora presenti torrioni e tutto. "Niente" pensai, "oggi si va a medioevo".
Salii presso gli alloggi del conte e dopo aver bussato al suo portone gli porsi la pergamena della pace. (Mi chiesi per un attimo da dove saltasse fuori la pergamena visto che pensavo di fare due parole semplici semplici, ma con un sospiro ci rinunciai subito).
Con orrore la risposta fu terribile: strappata la pergamena davanti ai miei occhi si scagliò con furia all’attacco!
Ma io indossavo il mantello dell’onore e la spada della giustizia - "eccavolo, almeno qualcosa di utile è apparso”-, così riuscii a schivare e parare i suoi colpi di Calunnia e Maldicenza, ingaggiando un onorevole combattimento.
Alla fine il conte rinunciò ad ogni genere di dialogo, e si asserragliò nei suoi alloggi ringhiando minacce.
 Io ero ferito nell’anima e nel corpo, e soprattutto non ero riuscito a capire il motivo che in origine aveva scatenato quell’aggressione. Sapevo che non sarebbe finita lì, ma almeno ci avevo provato.
Mi chiusi la porta borchiata della camera alle spalle e mi gettai sul giaciglio di paglia con cotta, spada, scudo e mantello sbrindellato.
 Fanculo al conte, fanculo al medioevo e fanculo a tutto, persino ai castelli turriti che in realtà non sono mai esistiti.
Avvilito mi ricordai che mi ero pure dimenticato di strigliare il cavallo, ma subito scacciai il pensiero dicendomi che ci avrebbe pensato il paggio la mattina seguente.
Così mi addormentai di botto, senza neanche rendermi conto che non possedevo né il primo né il secondo.

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