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(ricordo che…nonostante parli in prima persona e che la protagonista sia
una ragazza, io sono un ragazzo…quindi non datemi della femmina :D)
(ricordo che…nonostante
parli in prima persona e che la protagonista sia una ragazza, io sono un
ragazzo…quindi non datemi della femmina :D)
Sentivo il rumore del legno che scricchiolava al piano di
sopra.
Sentivo i muri che mi sussurravano segreti.
Il corridoio avvolto dall’oscurità.
Una voce lontana….il silenzio eterno.
L’orrore cominciò quando io e i miei genitori abbiamo deciso
di abbandonare il nostro piccolo appartamento a Kobe, per trasferirci
definitivamente in una grande casa nella periferia di Tokyo. Per me sarebbe
stato quasi un sollievo, perché sarei riuscita finalmente a rivedere la mia
cara amica Yumi,la
mia vecchia compagna di giochi che si era trasferita a Tokyo, dopo aver passato
i primi tredici anni della sua vita a Kobe.
Erano passati quattro anni da allora e non l’ho mai più
rivista, sono riuscita a mettermi in contatto con lei attraverso sms o e-mail. Il
solo pensiero di rivederla in carne ed ossa mi avrebbe messo i brividi, ne ero
certa. Non ero pronta ad una simile emozione.
Mia madre, Meiko Kaji, che portava incredibilmente lo stesso
nome dell’omonima famosissima attrice giapponese, aveva già iniziato a
sistemare le valigie e gli ultimi scatoloni in quella casa finalmente
ammobiliata.
“Urumi!” mi gridò “Urumi!”
“Sì Mamma?” corsi da lei
“Mi puoi dare una mano?”
“Veramente…avrei preferito mettere le mie cose nella mia camera, non ti
dispiace?”
“Nient’affatto…sarebbe comunque come aiutarmi, tesoro.
È pieno di scatoloni e cianfrusaglie qui, se mi porti via un po’ di questa
robaccia non mi faresti che bene”
“Ok” annuii con un sorriso, appioppando uno scatolone
ricolmo di cd e dvd e salendo le scale.
Riuscivo a sentire l’impatto dei miei piedi contro il legno
e lo scricchiolio che si formava: mi metteva i brividi.
Mio padre, Kiyoshi Tsukamoto, era un assicuratore, ma amava occuparsi
un po’ del bar dei nonni. I miei nonni, nonché i genitori di mio padre, infatti tenevano un piccolo bar a Kobe. Questo locale
fungeva da chiosco di granite e gelati d’estate, e da chiosco di bibite calde,
come cioccolate o caffè, d’inverno. L’unica cosa che mi sarebbe mancato della
mia vecchia cittadina sarebbe stato proprio quel piccolo bar, che aveva
accompagnato le mie estati.
Ricordavo ancora quanto fosse bello camminare sulla
spiaggia, con i piedi occasionalmente bagnati dalle onde che si infrangevano
sulla sabbia. Tra le dita la stecca di un ghiacciolo e in bocca un languido
sapore di anice fresca.
Sistemai i miei dischi sulle apposite mensole e mi gettai
immediatamente nelle coperte del letto, quando notai uno scatolone gettato lì,
con noncuranza nell’angolo della mia stanza.
Mi avvicinai, scattando immediatamente in piedi dal limbo di
lenzuola e fissai il contenuto della scatola: erano i miei vecchi libri
scolastici di quando andavo a Kobe. Chiusi la scatola e decisa a portarla in
soffitta, la presi e mi incamminai verso la scala, che mi avrebbe portato,
quasi casualmente, al terrore più profondo.
Fu nel momento in cui i miei piedi raggiunsero la soffitta che il
terrore cominciò a pervadermi
Fu nel momento in cui i miei piedi raggiunsero la soffitta
che il terrore cominciò a pervadermi. Il sole entrava timido e tagliente dalle
finestre, ma nel solaio aleggiava un’oscurità perenne. Appoggiai lo scatolone,
quando distrattamente notai con sorpresa la presenza di una fotografia. Una
polaroid, un’istantanea. La raccolsi. Sull’estremità bianca c’erano delle
macchie rosse, al centro una bellissima ragazza sorridente, ripresa dall’alto.
Era seduta su un divano e guardava il fotografo sorridendo, in un maglioncino
rosa e una minigonna nera.
Non sapevo chi fosse, così la voltai. In una calligrafia
sottile in corsivo c’era scritto “Kayako Fukamoto, 1997”.
1997…quella fotografia risaliva a dodici anni prima. La
fissai bene per un secondo e poi me la misi in tasca, per poi scendere in
camera.
Ripresi in mano la foto e l’appoggiai con cura sulla
scrivania, dopo averla nascosa con la copertina del libro di letteratura
giapponese.
Fu in quel momento che ricevetti un messaggio da Yumi.
“ Sei arrivata, Urumi???
Finalmente possiamo ritrovarci.
Rispondi. Ti voglio bene. Yumi.”
Cominciai a
pigiare i tasti.
“Ciao…finalmente…da quanto diavolo
Di tempo non ci sentiamo? Mi
mancavi Yumi, mi mancavi tanto…
Ti va di venirmi a trovare?
Rispondi presto.
Urumi”
Bip Bip. Bip
Bip.
“Se ti va posso venire anche subito.
Io sono libera, ora.
Yumi”
“Ok…vieni…
Ho giusto trovato una cosa molto
interessante.”
Non so
esattamente il perché, ma quella fotografia attirava la mia attenzione in modo
morboso. La ripresi in mano e la esaminai. I miei
occhi corsero sulla superficie lucida e statica di quell’attimo immortalato.
Alcuni pensano
che la fotografia rubi l’anima a chi è immortalato, questo perché la fotografia
è immobile. È immobile: ferma la vita frenetica di tutti i giorni e la
stravolge in uno scatto che immobile lo sarà per sempre. È come la morte, è
come l’apocalisse.
Continuai a
fissarla, mentre una mano dietro di me si avvicinava sempre più alla mia
guancia, tentando di afferrarmi la spalla. Sentivo il sospiro di una persona
dietro di me. Mi voltai di scatto, prima che quella presenza potesse
acciuffarmi, ma non vidi nessuno.
Avevo paura. Mi
guardai intorno, ma nella mia stanza regnava il silenzio.
Forse era solo
una mia stupida impressione. Appoggiai sul tavolo in camera mia la fotografia e
accesi lo stereo, facendo partire “XO” di Elliot Smith a tutto volume.
“Tomorrow Tomorrow” risuonava nell’atmosfera leggiadra e
fugace, mentre con controvoglia mi mettevo di impegno nell’analisi di alcuni
haiku per compito, in attesa che Yumi venisse a trovarmi.
Non riuscivo a
concentrarmi sullo studio.
La mia mente
continuava a ricondursi in modo morboso a quella fotografia, così decisi di
accendere il pc che distava a solo dieci centimetri dal mio gomito.
Non sapevo bene
il perché, ma avevo intenzione di cercare quella donna su internet. Sapevo che
forse non ci sarebbe potuta essere: non era una attrice,
né una cantante di successo…
Digitai su
google japan “Kayako Fukamoto”, quando il terrore mi travolse!
“Casalinga
trovata assassinata nel suo appartamento”
Era il titolo
di un articolo di giornale risalente al 2001.
Cliccai.
“La
casalinga Kayako Fukamoto, 28 anni, è stata ritrovata morta nel suo
appartamento ieri, 12 settembre 2001. il corpo è stato letteralmente squartato a
pezzi, con un arma contundente (si sospetta in un coltello o un paio di
forbici). Ancora ignoto l’assassino. Ignoto persino il
movente.
Il cadavere è stato
ritrovato intorno alle sette di sera da una vicina che era passata di casa in
casa per far firmare una petizione contro il rumore acustico dei lavori in
corso poco distanti…”
Cliccai anche
su altre pagine. Kayoko Fukamoto: trovata letteralmente smembrata nella cucina
di casa sua. L’assassino è ignoto. Persino in articoli risalenti al 2007 o al
2008, ovvero recenti, che richiamavano l’attenzione sull’omicidio
testimoniavano che l’assassino non era stato ancora ritrovato. Dapprima pensai
che si trattasse di un omonimo, ma quando vidi una foto della donna su internet
restai di sasso: era lei. Assolutamente lei. La stessa dell’istantanea da me
trovata in soffitta.
“Ciao” sussurrò Yumi con un sorriso, entrando sulla soglia
“Ciao” sussurrò Yumi con un sorriso, entrando sulla soglia.
“Oh Ciao Yumi” rispose mia madre con il medesimo tono di
voce, mentre sistemava le credenze in cucina. “Urumi è di sopra, te la vado a
chiamare?”
“Si grazie”
Mia madre salì le scale, con un passo felpato e veloce, abile e deciso. Yumi
restò a guardarsi intorno dicendosi, con sguardo attonito, sussurrando sotto le
labbra sottili “che bella casa”.
“Urumi, c’è la tua amica da basso” esordì mia
mamma bussando da dietro la porta della mia stanza
“Arrivo!” dissi, scattando dalla sedia della mia scrivania,
infilandomi le ciabatte e spegnendo lo stereo.
Scesi le scale di fretta e furia, mentre mia madre se ne
approfittava per spolverare le mensole della mia camera.
“Yumi” esclamai con gioia scendendo rapidamente le scale. La
gioia mi pervadeva così tanto che le saltai addosso.
“Oddio Urumi…quanto tempo”. Tra sorrisi e lacrime ci eravamo ritrovate,
guardando quanto eravamo cambiate, quanto avevamo riso, sofferto..
“oddio…non riesco a credere che tu sia qui” sospirai
“Neanche io” sospirò
Vidi le sue mani: diafane e magrissime.
“Senti Yumi”
“Sì”
“Sai che in soffitta ho trovato una cosa sconvolgente?”
“Volete del the?” mia madre come al solito si intrufolò nella conversazione: è
incredibile quanto ci abbia messo poco nello spolverare
“Sì, grazie” rispondemmo all’unisono, per poi scoppiare in una risata esplosiva
“Comunque…Urumi…che cosa hai trovato?”
“Una fotografia, in soffitta?”
“Una fotografia?” “Sì…una foto che ritrae una donna, una certa Kayako Fukamoto.
Era nella soffitta di questa casa, ti rendi conto???”
“Cosa ci sarebbe di così devastante?”
“Ho fatto delle ricerche su internet…quella donna è morta, è
stata uccisa, e l’assassino non si è ancora scoperto”
“Che cosa?”
“Sì…comincio a sospettare nei precedenti possessori della casa…mi aiuterai?”
“Sì…ti aiuterò, ma per cosa?”
“Voglio scoprire che cosa è successo a questa donna”
“Ok…ma…non spetta alla polizia? Forse
faresti meglio a consegnare quella foto alla polizia…”
“No…”
“Perché?” “Questa casa l’abbiamo noi ora. Non voglio che ci
costringano a restare senza un tetto per fare delle indagini”
“Hai paura che qualcuno della tua famiglia sia coinvolto” mi voltai di scatto verso di lei “Già…”
“Chi erano i precedenti i possessori della casa?”
“Non lo so…è mio padre che ha il documento con i nomi…dovrei
sottrarglielo e leggere…potrei se no chiamare l’acquirente”
“Ecco il vostro the” arrivò mia madre soleggiante come un gazebo in agosto. Appoggiò
un elegante vassoio appariscente sul tavolino in soggiorno. Due tazze di the
verde e tanti gustosi pasticcini per condire.
“Grazie Mamma”
“Grazie signora Sachie”
“oh…è un’onore ospitare un’amica di Yumi che non
vedevo da anni ormai…se vuoi puoi rimanere qui anche a dormire?”
“Che ne dici?” le chiesi
“Per me va bene” rispose Yumi
“Ok…allora avvertirò tua madre”
“Grazie signora Sachie”
“Grazie mamma”
“Dai…Yumi” la canzonai “Avremo più tempo per trovare
qualcosa sulla morte di quella povera ragazza”
“Sì, sai che mi appassionano i gialli e gli intrighi…c’è solo un problema”
“Quale?”
“Non ho finito i compiti di letteratura giapponese e domani ricomincia
la scuola” “Già, anche io…che nervi. Beh…possiamo farli insieme
stasera, dopo mangiato, questo pomeriggio invece potremmo fare delle compere e
contattare l’uomo che ci ha venduto la casa”
“Ok”.
Dopo aver addentato un paio di pasticcini con la crema
spumeggiante, salii di corsa le scale e presi la fotografia, mentre Yumi
continuava ad abbuffarsi di leccornie di pasticceria.
“Mamma noi usciamo”
“Non fate tardi , che domani c’è scuola”
“Okay”
QUESTO CAPITOLO NON
FACEVA PAURA :D
MA DAL PROSSIMO
INIZIANO LE INDAGINI E, QUINDI, I BRIVIDI!
Non sapevamo come comportarci. Avrei dovuto sapere che
indagare basandosi su una fotografia non sarebbe stato semplice. Prima di
uscire ero riuscita ad impossessarmi del numero del venditore immobiliare, ma
non sapevo come presentarmi alla chiamata.
Cercando di trovare una risposta ai nostri quesiti, io e
Yumi ci eravamo stanziate in un konbini, alla ricerca di qualcosa che attirasse
la nostra attenzione.
Come al solito, la mia amica si era subito fiondata sulle caramelle,
come se fosse miele per le api, io mi guardavo attorno alla ricerca di qualcosa
di strambo e inusuale.
Scorsi i titoli di cd di alcuni gruppi rock occidentali
sconosciuti in un cestone da 1000 yen a disco, scorsa qualche rivista di idol
femminile dal corpo perfetto e poco altro mi accorsi di un particolare
inquietante. Ripresi la foto tra le dita e guardai la cassiera del konbini.
Non poteva essere.
Chiamai di fretta e furia Yumi, cercando di trattenere la
voce bassa.
“Che c’è?” mi disse lei, senza distogliere lo sguardo da
marshmallows e smarties
“La commessa del Konbini!”
“Che cos’ha?”
“è identica…identica a Kayako Fukamoto”
“Che cosa?” solo allora perse l’interesse in quelle dolci e bellissime
schifezze, per cercare con morbosità lo sguardo di quella commessa misteriosa.
“Guarda” le dissi mostrandole la fotografia e indicando di
nascosto la cassiera
“Hai ragione…avviciniamoci”
Ci avvicinammo lentamente, un poco colpite dal fatto che
Kayako fosse viva nonostante fosse giudicata morta.
“Scusi” dissi alla commessa, mentre Yumi notò che sul
cartellino da lei indossato campeggiavano le parole “Saeko Fukamoto”. “Lei
assomiglia tantissimo a Kayako Fukamoto”
Sentendo il nome da mè pronunciato, la commessa restò sbigottita per un attimo.
“Era mia sorella” disse quella, con una voce bassissima e
flebile, quasi interrotta da spasmi di silenzio gutturale.
“Cosa?” rispondemmo io e Yumi all’unisono, quasi sconvolte
“Mia sorella gemella” abbassò ancora di più la voce, tremolante.
“Che cosa le è successo?” “Chi siete voi? Che cosa volete?”
“Ho ritrovato questa fotografia” dissi porgendole la foto “nella soffitta della
mia nuova casa”
“oddio” esclamò quella strana donna “ricordo bene la sera in
cui fu scattata”
“lei era presente” “sì” annuì con la testa “era il giorno in cui siamo andate ad
una festa. Il suo ragazzo aveva una macchina fotografica per le polaroid
e cominciò a farle delle fotografie, tra cui anche questa…dove vivi scusa?”
“Vicino alla profumeria e all’edicola, a pochi metri da qui”
“Sa di chi era quella casa?” intervenne Yumi
“No…” disse Saeko “non lo so…”
“Chi ha scattato quella fotografia?”
“Il suo ragazzo…si chiama Takeo Fuji”
“E ora dove si trova?”
“è qui a Tokyo, nel quartiere Shibuya, non so bene a che numero d’abitazione…”
“Ma è vero” si intrufolò Yumi “che l’assassino non è mai stato scoperto?”
“Sì…purtroppo…quando Kayako è morta è stato un colpo durissimo per la mia
famiglia…e per me…vorrei solo scoprire chi le ha fatto tutto quel male e
vendicarmi di lui, non mi interessa se finirò in prigione per tutta la vita,
voglio uccidere l’assassino di mia sorella…”
“E il ragazzo di Kayako?”
“Lui è quello che ha sofferto più di tutti”
“Come?” “è impazzito…dopo la morte di Kayako ha cominciato a
pronunciare frasi sconnesse e a comportarsi in modo strano. Un giorno
mia madre lo sorprese con un paio di forbici: voleva amputarsi il pene, perché diceva
che se avesse avuto desiderio sessuale per una donna sarebbe stato come una
sofferenza per l’anima di Kayako. Diceva di sentire la sua voce in modo
ossessivo.”
“Cosa li è successo poi?”
“è stato rinchiuso per breve tempo in un ospedale psichiatrico, dove sembra sia
guarito…ora vive da solo e lavora come pubblicitario”
“Senta…lei sa come può essere arrivata questa fotografia in
casa mia?”
“No…non lo so”
“Buongiorno alunni” disse la prof entrata in classe, mentre la seguivo
con timidezza, imbellettata nella mia divisa scolastica alla marinara
“Buongiorno alunni” disse la prof entrata in classe, mentre
la seguivo con timidezza, imbellettata nella mia divisa scolastica alla
marinara.
“In piedi” proclamò la capoclasse, entrata la professoressa.
E tutti gli alunni la ascoltarono “Inchino” e così fecero,
“Seduti”. Detto fatto.
“Ragazzi” proclamò la nostra insegnante di giapponese, la
signora Watashima. “Vi presento una nuova alunna che farà parte della nostra
classe”. Mi indicò. Arrossii timidamente.
“Ora ci dirà come si chiama” “Mi chiamo Urumi Sachie e vengo da Kobe. Mi sono
trasferita ieri con la mia famiglia a Tokyo e spero di ricavare il meglio da
questa scuola. Spero di trovare nuove amicizie e di
impegnarmi al massimo dello studio” dissi con determinazione, per poi scattare
nell’unico banco vuoto, in ultima fila accanto alla finestra a destra, vicino
al banco di Yumi.
“Benvenuta Urumi” disse allora la professoressa con un
sorriso incoraggiante, seguito da un accordato “Ciao” da parte di tutta la
classe.
“Bene ragazzi…”intonò la signora Watashima, con ambiguo entusiasmo “Correggiamo
i compiti di letteratura...Urumi tu puoi prendere
appunti…”
“Ho fatto già i compiti…è stata Yumi a darmi gli esercizi”
“A … bene… è un’ottimo inizio questo signorina Sachie”
Questo strano fenomeno scaturì un certo marasma generale in
cui i miei compagni cominciarono a bisbigliare da dietro le spalle.
“Oggi cercheremo quell’uomo?” mi sussurrò all’improvviso
Yumi, facendomi sussultare.
“Sì” annuii, sapendo che si stava riferendo al fidanzato di
Kayako Fukamoto
“Ma con che scusa ci andremo?”
“possiamo pensarci fino alle quattro…quando finisce scuola…ora
segui la lezione per favore”
“Ma…è una palla…”
“Yumi, ti prego…”
“Ti interessa davvero una noiosa lezione di letteratura, dove correggiamo
compiti triti e ritriti?”
“Sì”.
Iniziai a scarabocchiare sul bloc notes, anziché controllare
i miei esercizi già fatti a singhiozzo.
All’improvviso qualcosa mi sfiorò il braccio. Un fiore
uscito dalla mia penna macchiò il mio foglio aquadretti sbavato su un lato.
“Yumi…ti ho già detto…di seguire la lezione” dissi senza
alzare gli occhi dal foglio, ma quel brivido ritornò
sulla mia pelle. Che cos’era??
All’improvviso qualcosa sfiorò il mio piede, solo allora decisi di distogliere lo sguardo dai miei disegni sbilenchi.
Abbassai gli occhi sui miei piedi, quando all’improvviso una mano sbucò dal
nulla e mi afferrò la caviglia.
Scattai in piedi e mi misi ad urlare, ma i miei compagni e
la professoressa erano scomparsi. Cercai di fuggire, ma la porta della classe
non voleva aprirsi.
Qualcosa cominciò ad uscire da sotto il mio banco. Era una
donna ed era coperta di sangue dalla testa ai piedi. Si avvicinava, si
avvicinava sempre più, mentre la mia gola gonfia esalava sospiri assonnati.
“chi sei?” chiesi terrorizzata, mentre il morso della paura
cresceva sempre più.
La lavagna, la cartina del Giappone, i banchi e le sedie si
facevano sempre più lontani e sfuocati.
Quella donna si alzò e mi sussurrò con una voce sottile e penetrante:
“Ridammi La mia foto, Ridammi la mia foto, Ridammi la mia foto”
A quel punto ella aprì la bocca mostrandomi con orrore che
la sua lingua era mozzata a metà. Il sangue che fuoriusciva dalla ferita cadeva
sul mio volto come pioggia impazzita.
Non riuscii a gridare, qualcosa mi
stringeva l’ugola con ferocia e follia. Erano le sue mani alabastrine e lunghe,
ma macchiate di profonda e violenta emoglobina rosso
scarlatto.
“Kayako” sussurrai, nel momento in cui mi ritrovai in
classe.
“Urumi…Urumi…Urumi stai bene?” La voce di Yumi si avvicinava
sempre di più, mentre sentivo lo sguardo basito della professoressa e dei miei
compagni addosso. Il mio corpo continuò a tremare, il mio cuorea battere
velocemente come una pompa.
“Signorina Sachie” gridò la professoressa “a quanto vedo non
le intriga molto la letteratura”
Tutti scoppiarono a ridere, compresa Mariko, che era interrogata
sulla composizione di un haiku di Sato.
Uscii nel corridoio al cambio dell’ora, andando in bagno.
Quella visione…era solo frutto della mia immaginazione?
Mi pulii il viso, ancora in preda ad un attacco di panico,
quando una delle porte dei gabinetti improvvisamente si aprì, trascinandosi
dietro un lungo sibilo.
Il sospiro si sospese in un’orgia di paura.
Mi voltai ma non vidi nessuno. La porta giallo canarino era
lì aperta, davanti a me.
Mi avvicinai con il cuore in gola e avvicinai con grazia la
mano sull’estremità dell’uscio…
“C’è qualcuno?” dissi con voce bassa e spaventata.
e vidi una macchinetta per le
polaroid sul pavimento piastrellato.
E allora come passo la giornata? Scrivendo, ovvio.
E visto che quando mi ammalo sono un romanticone, ho deciso di far innamorare la protagonista… Hauauhauahau… ma i battiti del cuore non la distrarranno
certo dall’indagine sul mistero della fotografia u.u
Avvicinai la mano lentamente a quell’aggeggio, quando essa
improvvisamente scattò una fotografia. Un sibilo e poi la pellicola cominciò ad
uscire dalla fessura. Un’istantanea inizialmente grigia, iniziò a schiarirsi,
mostrando il mio volto atterrito con dietro una mano che mi stringeva la
spalla. Mi voltai ma non c’era nessuno.
Con il cuore in gola presi la macchina fotografica e la
fotografia e uscii dal bagno correndo.
Ero così inquietata che non guardavo davanti a me e, con
tanto di figuraccia imbarazzante, andai a sbattere contro un ragazzo che mi
veniva incontro in corridoio.
La macchina fotografica cadde a terra, così feci io,
sbattendo il sedere al suolo.
“Ehi” esclamò quello strattonato, allungandomi una mano per
aiutarmi ad alzarmi.
Si chiamava ShuyaFujiwara, aveva la mia stessa età ma eravamo di classi
diverse. Era alto e snello, con i capelli neri arruffati e gli occhi a mandorla
penetranti.
“Scusa” dissi io
“Andavi di fretta?”
“Beh…sì”
“Una polaroid” esclamò all’improvviso il ragazzo “wow…non sapevo fossero ancora
in commercio”
“Infatti quella ha un bel po’ di anni” mentii “a me piacciono le istantanee…trovo
che abbiano fascino” mentii ancora.
“Quindi sei una fotografa…il fatto che ti piacciano le
istantanee, immodificabili, mi fa pensare che tu ami le cose razionali…”
Falso.
“…e non credi nel paranormale”
Falso.
“sì, è proprio così” mentii con un sorriso. Tre bugie nel
giro di trenta secondi…un record…
“comunque non ci siamo ancora presentati…io mi chiamo ShuyaFujiwara”
“io UrumiSachieTsukamoto”
“Scusa ma hai duecognomi?”
“no…non so per quale motivo ma i miei genitori mi hanno
messo come secondo nome Sachie, pur trattandosi di un
cognome”
Rise. Non ci credeva. “ è la verità”
“certo, certo…ci credo” bugiardo.
“Meno male…”
“Senti mi lasci il tuo numero di cellulare?”
“Perché?”
“Boh…così…ti trovo interessante”
“Interessante in che senso scusa? Ci stai provando?”
“No…non fraintendere…è che una ragazza che ama la fotografia non può essere cattiva”
sorrisi. Era davvero tenero. Gli scrissi il mio numero su un pezzo di carta che
tenevo per caso nella tasca dell’uniforme scolastica.
“Grazie” sorrise lui “Sabato pomeriggio hai da fare?”
“non lo so” avrei voluto uscire con Yumi e indagare
un po’ sul mistero che si faceva sempre più morboso. Avrei voluto rivelargli il
mio segreto: la fotografia, Kayako…
Ma non mi fidavo di lui. L’avevo appena conosciuto e sebbene
lo trovassi simpatico non mi offrì la fiducia che cercavo.
“Allora ci sentiamo” mi disse lui
“Sì…o mio dio!” esclamai “devo andare a lezione”
“Ok…io stavo andando in bagno”
“Devi essertela fatta addosso allora con tutto questo tempo che sei rimasto qui”
“Ah-Ah divertente”
Rientrai in classe dopo un altro saluto veloce al mio nuovo
amico e l’inquietudine ritornò non appena rividi quella fotografia scattata in
bagno.
“Oh mio Dio! Urumi è inquietante”
esclamò con esuberanza Yumi
“come se non lo sapessi” pensai, quasi
terrorizzata “c’era una macchina fotografica in bagno. Mi sono chinata
per raccoglierla, quando improvvisamente mi scattò una fotografia ed uscì
questa”
“Qualcuno era dietro di te”
“Lo so…non può essere una coincidenza…anche per ciò che è
successo in classe…ho avuto una sorta di incubo”
“A che cosa stai pensando?”
“Penso che qualcuno mi infastidisca perché sa”
“Sa che cosa?”
“Sa che sto indagando sul caso di Kayako Fukamoto…ne sono
sicura…”
“Buongiorno ragazzi” la prof entrò all’improvviso “Scusate
il ritardo…ho avuto da fare in aula professori”
In piedi. Inchino. Seduti.
“Vedo che avete una nuova compagna” esclamò con un tono in
falsetto la professoressa di biologia
“Già” risposi io, ancora un po’ sconvoltadalla situazione
“Oh…ma perché sei così abbattuta?”
“Niente…cose mie”
“Vedrai che il test di oggi non ti creerà nessun problema”
“Test?” rabbrividii. Tutti rabbrividirono con me.
“Sì…ho deciso di farvi un test a sorpresa.
Questa sarà un’occasione anche per vedere quanto sia preparata la signorina
Sachie. Dopotutto avete avuto due settimane di vacanza per studiare”
Tutti maledirono mentalmente quella donna.
“L’argomento del test è la fotosintesi…divertitevi”. Il foglio
con le domande passò per la classe. Dalle facce sconvolte capii che NESSUNO
aveva studiato. Meno male che qualche cosa della fotosintesi me la ricordavo…
Cercai di concentrarmi sul test, spremendo le meningi su “fase
oscura” e “Luminosa”… su “grani” e “tilacoidi”, “ciclo di benson” e “fotosistema”,
ma nella mia testa rimaneva impresso il nome di Kayako Fukamoto. Yumi non
scriveva. Non sapeva da dove iniziare. Stava per scoppiare a piangere.
Scrissi qualche riga. Sapevo qualcosa. Per fortuna,
perdiana!
“Tempo scaduto”
Erano passati solo trentadue minuti!!!!!!
“coooosa????” tutta la classe urlò all’unisono.
“Devo trovare anche il modo di correggere le verifiche prima
della fine dell’ora, perché sto attraversando una crisi di mezza età e non ho
modo di correggerle a casa”
Tutti bestemmiarono contro i suoi famigliari.
In meno di due minuti le verifiche erano corrette.
73 su 100: mi aspettavo nettamente di peggio. Il mio primo
voto a Tokyo.
Solo tre sufficienze in tutta la classe.
84 ad una tipa che mi ispirava già troppa vanità, 61 ad un
tipo a cui era andata nettamente di culo.
Un marasma di voti tra il 50 e il 60 inondarono la classe,
mentre Yumi e altri adepti si beccarono voti peggiori.
“Ho preso 34!” pianse
Volevo consolarla, ma la mia mente era altrove, persa in
quel mistero assurdo e quasi insolvibile…
“Non mi aspettavo risultati così negativi” disse la
professoressa, mentre metà classe era in preda ad un raptus di follia iraconda.
“quindi domani ci sarà la verifica di recupero… i tre che si sono beccati la
sufficienza non saranno obbligati a farla”
Forte!
Yumi “Penso proprio che sto pomeriggio non potrò
andare con te ad intervistare quel tipo…mi spiace”
“Tranquilla… lo capisco”
“E tu chi sei?” disse l’ex fidanzato,
di Kayako Fukamoto aprendomi la porta : un uomo snello e piuttosto alto di
ventinove anni dai capelli neri e dagli occhi a mandrola, perfetto nel suo
completo in giacca e cravatta Dior da almeno un miliardo di yen. La cravatta
nera elegantemente posta sotto il colletto della camicia bianca, senza alcuna
grinza. Io nella mia divisa scolastica, con i capelli spettinati, sudata e
totalmente imperfetta. alla domanda “e tu chi sei?” gli dissi la verità. Della
fotografia e di tutto il resto. Pianse.
Le pareti di casa sua erano di colore bordeaux sangue, in
altre stanze la luce aumentava e il bordeaux spento si tramutava in rosso
sgargiante.
“A quella festa c’ero anche io” iniziò a raccontarmi, mentre cercava di
distendere i nervi giocherellando con i polsini della camicia limpida. “Le scattai qualche foto. Bevemmo insieme. Io…io l’amavo
molto, moltissimo. Quando non ero in sua compagnia mi sembrava di impazzire.
Diventavo quasi insano di mente. Quando scoprii che qualcuno
la uccise io…io non seppi più a cosa pensare…sono stato rinchiuso per diverso
tempo in un ospedale psichiatrico e ho tentato diverse volte il suicidio” “Mi spiace. Dev’essere stato
orribile”
“Già”
“Non ha mai tentato di scoprire l’assassino della sua
ragazza?”
“Certo che l’ho fatto…”
“E quindi?” “Non ho scoperto nulla…persino la polizia brancolò nel vuoto…tuttavia…qualche
mese fa sono riuscito a trovare il diario di Kayako, era in soffitta, nascosto
sotto alcuni scatoloni. Non so perché fosse lì”
Me lo mostro. Era un diario dalla copertina rovinata e inondata
di adesivi degli anni ’90. lo aprii.
“A Takeo
Fuji.
Mio unico
amore”
“Quando morì Kayako lei aveva ventott’anni.
Io solo diciassette. Tutti vedevano la nostra relazione come qualcosa di
proibito”
giunsi alla prima pagina.
“Oggi
sono andata ad accogliere il mio ragazzo all’entrata del liceo. Vederlo in uniforme mi fa sorridere. Sembra
così maturo rispetto agli altri ragazzi dediti ai vizi e agli scherzi. Spero che
un giorno potrò sposarmi con lui. Questo amore ci sta coinvolgendo in modo
sublime e avvincente…”
“Quando l’ha conosciuta Kayako?” “A quindici anni, in discoteca. Mi trovavo là con
alcuni amici e mentre loro ballavano io restavo al
bancone ingoiando alcool a fiumi. Non mi piaceva ballare. Lo trovavo ridicolo e
vagamente femmineo…”
Kayako- Non dovresti bere alla tua età…
Takeo- Ho diciotto anni. Non sarei mai potuto entrare se ne
avessi di meno…
Kayako- Hai falsificato la carta di identità, vero?
Sì.
Takeo- Che cazzo è una veggente?
Kayako- non ci vuole molto a capirlo.
Nella discoteca l’atmosfera era dilatata e onirica. Le luci
si rincorrevano sotto martellate soniche di techno ed eurobeat direttamente dal
1995.
Barman- che cosa prende?
Kayako- Una vodka alla pesca. Grazie.
Andò a finire che entrambi finirono ubriachi. Felici ed
innamorati.
“il giorno dopo continuammo a frequentarci, ad uscire
insieme, come se nulla fosse…l’amore era scattato quasi all’improvviso.”
“questo diario nasconde qualcosa di strano?”
Me lo strappò dalle mani, mentre le sue dita correvano sino all’ultima pagina.
“Sento
qualcuno che mi spia. Come una
presenza. Come se qualcuno tentasse di uccidermi. Mi sento viva e morta allo
stesso tempo.Non so chi sia. Non so che cosa voglia”
Alzai gli occhi, un poco spaventata. Dopo un attimo di
titubanza e smarrimento chiesi dove si trovasse il bagno.
Capitolo 9 *** Mancato Stupro E Morte Imminente ***
Mi guardai allo specchio, dopo essermi scaricata a dovere e, mentre mi
lavavo le mani cominciai a percepire qualcosa di strano
Mi guardai allo specchio, dopo essermi scaricata a dovere e,
mentre mi lavavo le mani cominciai a percepire qualcosa di strano. Sentivo come
se qualcuno mi alitasse sul collo, come un presagio di morte.
“va tutto bene in bagno?” mi chiese l’ex di Kayako Fukamoto
dal salotto
“Sì” annuii, asciugandomi le mani, quando di colpo il
rubinetto della vasca da bagno si aprì di colpo.
Spaventata mi voltai e con uno scatto lo
richiusi. Neanche il tempo di uscire dalla stanza che l’acqua ricominciò a
scorrere. Senza dire una parola, indietreggiai con il fiato sospeso, mentre il
mio cuore cominciava a battere forte ed ecco che l’acqua cominciò ad
innalzarsi, ad uscire dal bordo della vasca e a venirmi incontro.
Gridavo “aiuto”, ma il ragazzo pareva non sentirmi. Aprire la
porta era inutile: era chiusa e non dava ascolto. Mi accasciai a terra col
terrore nel corpo, mentre due mani mi afferrarono dall’alto. Bracci ossuti e
cerulei. Mi alzai di scatto, con le lacrime agli occhi. Scivolai sul bagnato e
finii nella vasca, mentre braccia mi trattenevano il respiro con ferocia. Acqua
salmastra mi entrava nella bocca, finendo in gola e poi nel cuore. Ero schiava.
Schiava della paura.
Fu in quel momento, in quel preciso momento in cui stavo per
perdere i sensi, che la porta del bagno si spalancò. Takeo aveva sentito le mie
urla.
Riaprii gli occhi quando vidi la manica della sua giacca
nera sprofondare nell’acqua e le sue dita afferrarmi il braccio destro. Ritornai
a galla mangiando l’aria. Ansimavo tremendamente, mentre l’uniforme bagnata mi
si appiccicava sulla pelle. Takeo era dentro la vasca con me, completamente
vestito. L’acqua gli arrivava sino al cavallo dei pantaloni neri, mentre la
cravatta continuava a sgocciolare e attraverso il bianco tessuto della camicia
si potevano vedere i pettorali.
“Stai bene?” mi chiese
“Ora si”
“Che diavolo è successo qui?”
“Non lo so…all’improvviso qualcosa mi ha presa”
“Sai quanto costa quest’abito”
disse infuriato scrollando la giacca Dior, da cui continuavano a schizzare
gocce d’acqua scura. “Ahh…potevo anche non salvarti se avessi saputo”
“Mi spiace” “E il bagno? È completamente
allagato…”
“Non so cosa sia…”
“So come farmi ripagare”
Iniziai a piangere, quando allentò il nodo della cravatta
fradicia e si avvicinò sempre più a me, impaurita in quel limbo d’acqua del
terrore.
“Che cosa fai?” gli chiesi gridando, mentre l’acqua
continuava ad inumidirmi le gambe.
Si stava avvicinando sempre più. Si accovacciò sempre di me
e anche le spalle della giacca si inumidirono completamente. La cravatta
appiccicava sul mio petto.
“Devo…”Sussurrò appoggiando il viso sul mio seno
“Checosa significa”
Sotto il suono limpido dell’acqua riuscii stranamente a
sentire la zip dei pantaloni aprirsi ed ebbi paura. Voleva
stuprarmi. Me lo sentivo.
Tentai di afferrare il bordo della vasca come più potetti e
spingermi fuori, sul pavimento. Freddo .freddo sulla
mia pelle. Le sue mani si avvicinavano alle mie nudità. Il tessuto della manica
della giacca toccava la mia gonna bagnata. Mi spinsi fuori urlando, gettandomi
su quel pavimento liscio e piastrellato. Ce la feci e iniziai, piangendo a
trascinarmi sui palmi delle mani, quando lui scattò in piedi e prese un paio di
forbici che erano posizionate sulla lavatrice di fianco alla vasca. Mi afferrò
per i capelli e mi sfregiò la guancia sinistra, mentre gridavo come potevo. Fu in
quell’istante che la presenza che avvertivo poco prima si ripresentò ancor più
minacciosa e nefasta. Mi voltai di scatto verso il mio aggressore, quando una
sagoma scura si presentò dietro il suo abito elegante e il suo volto da
maniaco.
“Che cosa guardi?” mi chiese sarcastico, impugnando le
forbici dalla punta sporca di sangue “Puttana!”.
Delle mani spuntarono dietro di lui e gli chiusero gli
occhi. Restai impotente a guardare quando i suoi specchi dell’anima
cominciarono a sanguinare sotto le sue feroci urla. Anche il suo collo iniziò a
sanguinare e ciò che vidi fu quello strano spettro: femminile e oscuro che
faceva sanguinare lentamente il suo nemico. Mi affrettai in soggiorno, con il
fiato sospeso, agguantando la mia borsetta e il diario di Kayako Fukamoto,
abbandonati sul tavolino del soggiorno.
Ancora bagnata fradicia, cercai di raggiungere la stazione più
velocemente che potessi
Ancora bagnata fradicia, cercai di raggiungere la stazione
più velocemente che potessi.
Volevo raggiungere Yumi. Correndo, agguantai il cellulare nella borsa e digitai
il suo numero.
“Pronto?” dissi, facendo il biglietto per il treno
“Pronto…” mi rispose Yumi controvoglia, annoiata dal
probabile studio di biologia
“Yumi…devo raccontarti una cosa” sospirai affannosamente
“Cos’è successo?”
“L’ex ragazzo di Kayako è come impazzito”
“Impazzito?”
“Ha tentato di violentarmi…sono terrorizzata. Ho bisogno di vederti”
“Calmati, Okay, spiegami tutto ciò che è successo”
“Aspetta…non preoccuparti. Sto per prendere il treno, ho
troppe cose da raccontare, e i soldi nel mio cellulare scarseggiano. Ti raggiuno.”
“Va bene, ti aspetto”
Interruppi la telefonata, mentre la macchina dei biglietti
sputò con un rumore sordo il pezzo di carta della libertà. Lo presi, quasi di
colpo, inserendolo velocemente nella macchinetta convalidatrice. Un sibilo
agghiacciante da una macchina senza cuore.
Il treno sarebbe arrivato entro due minuti. Uscii ad
aspettarlo sulla banchina, con il cuore in gola. Ancora non ero riuscita a
riprendermi dopo lo spavento precedente.
Mi sedetti su una panchina a me poco distante e accavallai
le gambe, cominciando a leggere qualche riga del diario che presi senza
permesso. Pensavo fosse stato Taeko Fuji ad uccidere Kayako, ne ero
tremendamente certa. Altrimenti perché quella sua strana aggressione?
Quattordicesima pagina.
“Quella
donna mi guarda con disprezzo.
Vuole uccidermi. Mi scruta in modo ambiguo. Mi sussurra parole di morte. Mi vuole morta”
Di chi stava parlando? Cercai di tornare indietro alle
pagine precedenti, ma ogni volta quella strana figura nominata da Kayako veniva
semplicemente nominata con “quella donna”.
E pensare che il nome di quella presenza avrebbe potuto
essere un valido indizio per risolvere questa insopportabile faccenda. In breve
tempo il mio treno arrivò.
Risistemai il diario nella borsetta, e salii le scalette che
mi si presentarono di fronte una volta che il mezzo pubblico mi si presentò di
fronte. Nell’aria si respirava una strana atmosfera soffocante. Le porte si
chiusero dietro di me. Avanzai a passi lenti e davanti a me solo un vagone
vuoto, deserto.
Nonostante fosse pomeriggio, nessuno era su quel treno.
Proseguii un poco terrorizzata. Avevo paura di essere sola.
Avevo paura di me stessa. Continuai attraverso un soffocante corridoio oscuro e
giunsi nel vagone successivo: ancora deserto, se non fosse per una sola donna
seduta in uno dei sedili.
Non riuscivo a vederla in volto: era di spalle.
Riuscivo a vedere solo i suoi capelli neri e lisci. Mi
sedetti nel sedile dietro il suo. Il mio cuore batteva all’impazzata, come se
volesse distruggere il mio corpo per fuggire da solo. strinsi
il tessuto del sedile con le unghie, attaccandomi terrorizzata.
La paura non mi abbandonava. Sussurrai parole per calmarmi,
ma quella sesanzione nefasta non mi abbandonava. Sentivo come se qualcuno fosse
dietro di me, pronto ad uccidermi, a tagliarmi la gola. Chiusi gli occhi,
cercando di calmarmi. Altre tre fermate e sarei stata salva.
Una fermata passò. Un’altra. Ne mancarono due, ma la paura
aumentava sempre più con gli attimi. E in un momento percepii in modo tangibile
l’inquietante presenza reale e tangibile di qualcuno o qualcosa che mi toccava
il collo. La donna del vagone era scomparsa. Ero sola, su quel sedile malandato
e sporco a pregare. Non sapevo dove fosse finita quell’altra ragazza che
condivideva il mio terrore. Ma in quel momento non me ne importava, pregavo
solo Dio di velocizzare il tempo e portarmi alla stazione della vita.
Quella presenza mi ritoccò il collo.
Sussultai, spaventata. Scattai in piedi e cominciai a
percepire un ripetuto e inquietante sibilo, come un sussurro di morte. Mi voltai
e vidi il volto di una donna dai capelli lunghiche mi guardava con disprezzo. Era Kayako
Fukamoto. Caddi a terra e urlai. In quel momento dalla sua tempia cominciò a
sgorgare un rivolo di sangue, che andò a cadere a gocce sul pavimento.
Emoglobina colpì anche la mia caviglia nuda.
Sospirando e annaspando mi trascinai all’indietro, cercando
di raggiungere la porta che portava all’altro vagone. Pochi attimi e pensavo di
dover morire.
Svenni e davanti a me ci furono solo immagini confuse.
Una ragazza allo specchio intenta a pettinarsi.
Lo specchio che va a pezzi.
Il sangue che schizza sui muri.
Un piede mozzato.
Dita mozzate.
Una mano che sanguina a fiotti, macchiando le lenzuola di un
letto.
Un coltello che perfora la carne della povera donna.
Un’altra donna legata al muro che urla. Non può chiudere gli
occhi: sotto le sue palpebre le sono stati incollati degli stuzzicadenti. Se sbatte
le palpebre diventerà cieca. È obbligata a guardare il feroce delitto che le si
presenta davanti agli occhi.
FINE CAPITOLO
Molti amanti dell’horror avranno intuito che la scelta degli
stuzzicadenti sotto gli occhi è rubacchiata da “Opera” di Dario Argento. Il mio
non vuole essere un furto, ma un omaggio. Quella scena mi è rimasta davvero
impressa.
Ero svenuta dal terrore e ripresi i miei sensi solo quando
l’altoparlante pronunciò il nome della stazione che avrei dovuto tenere in
considerazione per raggiungere la mia amica
Ero svenuta dal terrore e ripresi i miei sensi solo quando l’altoparlante
pronunciò il nome della stazione che avrei dovuto tenere in considerazione per
raggiungere la mia amica. Aprii gli occhi e notai con felicità che Kayako era
scomparsa. Il treno era ancora deserto. Quando le porte si aprirono scattai in
piedi e feci una corsa, rischiando di cadere sul primo scalino.
Yumi incredibilmente era là, ferma e eretta in piedi, con il
libro di biologia aperto sotto i suoi occhi.
“Non ci credo” esclamai “Sei venuta qui solo per aspettarmi?
Sarei potuta venire io a casa tua”
“Avevo troppa paura per te” disse distogliendo lo sguardo dalle incomprensibili
e fitte parole nere
“Ti sei addirittura portata appresso il libro di biologia?”
“Sì…ho talmente paura per la verifica di domani, anche se ormai ho le idee più
chiare sulla fotosintesi. Comunque…parliamo di cose più serie: come stai? Ti sei
un po’ ripresa?”
“Oddio!” esclamai all’improvviso
“Cosa c’è?”
“Ho dimenticato il diario di Kayako Fukamoto sul treno! Che
stupida! Che stupida!” mi tirai degli schiaffi sul volto. Come avevo potuto
dimenticare il diario?
“Stai tranquilla” mi tranquillizzò Yumi “Oh mio Dio! Sei tutta fradicia! Andiamo
a casa mia, ti presto dei vestiti nuovi e poi andiamo al bar se ti va. Intanto raccontami
tutto ciò che è successo”.
-
Avevo raccontato tutto a Yumi, tutto ciò che mi era
successo: il tentativo di stupro da parte di Takeo e la sua morte, lo spettro
di Kayako che continua a perseguitarmi e le visioni inquietanti e continue. Ci trovavamo
al bar, io in vestiti diversi e un poco larghi. I miei abiti bagnati in una
busta di plastica. Ancora mi dannavo per il diario sperduto.
“Fammi capire” riprese Yumi un poco sconvolta dal racconto “quindi
lo spirito di Kayako Fukamoto è ancora vivo e rancuoroso di vendetta? Sembra un
film di Takashi Shimizu”
“Beh…anche a me sembra assurdo…ma quella donna, quella donna
sul treno assomigliava troppo a Kayako Fukamoto. Era proprio lei ne sono certa”
“E se fosse la gemella che abbiamo conosciuto al supermercato?”
“No…ricordo che la sorella gemella aveva un piccolo neo sotto l’occhio sinistro
e dei capelli vagamente mossi. Quella ragazza che ho visto sul treno era priva
di neo e aveva dei capelli lunghi e lisci”
“E se fosse un’allucinazione?”
“Quindi Takeo è stato ucciso da una mia allucinazione?”
“Calmati Urumi, non fare così”
“Scusa Yumi, il fatto è che non ci sto capendo niente. L’unica
cosa che voglio fare è risolvere questo dannato mistero. Voglio sapere chi ha
ucciso Kayako. Solo questo”
“Non puoi lasciar perdere? Probabilmente il fatto che ti
stai ossessionando sin troppo a quella donna e a quella foto è la fonte degli
incubi che stai vivendo”
“No…anche se fosse, non riuscirei a starmene con le mani in mano. È un po’ come
se questa vicenda mi coinvolgesse appieno. Mi sento a pezzi, ma mi sento in
obbligo di scoprire qualcosa”
“Ti capisco…”
“No, non puoi capire”
“Perché?”
“Trovare la foto di una persona morta in casa propria nonè una cosa piacevole”
“Sì. Lo immagino”
“Domani andrò a parlare con i vecchi proprietari della casa
e tu verrai con me”
“D’accordo. Tu chi pensi sia stato ad ucciderla?”
“Dapprima pensavo si trattasse di Taeko Fuji, ma ora non ne sono nemmeno più
certa, continuo a sospettare sugli ex proprietari della casa.”
“Che situazione complessa”
“Non dirlo a me…sto delirando”
“Che cosa hai detto di aver visto in quelle tue visioni sul treno?”
“C’era un individuo, non so dirti se era uomo o donna, perché era come una
sagoma oscura, che continuava a pugnalare il corpo di Kayako Fukamoto. Ma non
si limitava a colpire, no: infilava dentro il coltello e lentamente raschiava
ciò che c’era sotto, facendo uscire il sangue all’impazzata. Ricordo questo. Ricordo
degli arti mozzati e una ragazza legata ad una parete, che era obbligata ad
osservare l’omicidio”
“Perché?”
“Aveva delle sorta di stuzzicadenti sotto gli occhi. Se li avesse chiusi
sarebbe stata la fine”
“Terribile”
“Già…”
“Penso che nella mia mente si sia proiettato ciò che accadde dodici anni fa…ne
sono certa.”
Accesi il pc e sospirai: non vedevo l’ora che questo mistero potesse
srotolarsi con facilità
Accesi il pc e sospirai: non vedevo l’ora che questo mistero
potesse srotolarsi con facilità. Volevo assolutamente scoprire la vera identità
dell’assassino di Kayako Fukamoto. Sentivo che ogni minuto che passava mi
avvicinasse sempre più alla morte, con incredibile velocità.
Toccava a me scoprire l’intero mistero.
Se quella foto si trovava a casa mia era per volere del
destino, qualcosa mi legava a quell’omicidio, a quella rete assurda di misteri,
alle visioni che continuavo ad avere, come un raptus.
Quando sul destkop vidi apparire il solito sfondo con un
fiore rosa dai grossi petali, sentii qualcosa sbattere contro la finestra e il
terrore mi invase. Alzai timidamente il capo per vedere cosa fosse e aprii la
finestra lentamente e con la pelle d’oca. Mi affacciai e vidi quel ragazzo, Shuya
Fujiwara, il ragazzo che avevo incontrato quella stessa mattina.
“Che cosa vuoi?” gridai
“Parla piano!”
“Che cosa vuoi?” richiesi a voce più bassa
“Devo parlarti”
“Di cosa?”
“Di Kayako Fukamoto”
Allibii “Che cosa?” chiesi sorpresa
“Sono il figlio degli ex proprietari di questa casa”
“Che cosa sai su Kayako Fukamoto?”
“Poco, ma sono indicazioni che potrebbero servirti”
“Okay…senti…sto per andare a cenare, ti va un piatto di ramen?”
“Grazie” “Okay. Scendo ad aprirti”
Chiusi la finestra. Potevo fidarmi di lui? Non lo sapevo, ma
avevo certo voglia di prendere possesso di quelle preziose informazioni su
Kayako. Scesi le scale e aprii la porta. Quel ragazzo era lì ed entrò con un
sorriso, ancora in uniforme scolastica: giacca stretta e blu che lo faceva
sembrare troppo magro.
“Ciao” lo salutai sorridendo.
Si tolse le scarpe e le abbandonò all’ingresso, come vuole
la tradizione orientale.
“Chi è?” sbraitò mia mamma correndo
con affanno all’ingresso
“è un mio amico” mentii: non sapevo quasi nulla di lui “Può
fermarsi a cena?”
“Certo” allibì mia madre “Ho appena preparato i ramen, spero ti piacciano”
“Certo” rispose con un inchino Shuya, era troppo gentile. Lo
guardai stupita
“Hai già un ragazzo che ci siamo appena
trasferiti? Wow, che record….” Mi sussurrò mia madre all’orecchio
“non è il mio ragazzo!” arrossii
“Sarà pronto tra qualche minuto, fai come sia casa tua”
disse mia madre all’ospite misterioso, saltellando in cucina come una quattordicenne
“Grazie, signora” un altro inchino
“Ma quale signora? Ho 36 anni, non sono mica così vecchia”
“Scusi…”altro inchino, cominciava a diventare irritante
“Senti” gli dissi “Vieni un attimo in camera mia?” dovevo
sapere.
Mia madre ci guardò con guardo
sbieco, come se volesse dirmi “Urumi, sei troppo giovane per quelle cose…il
sesso si fa con la persona che davvero si ama”. Le risposi
con uno sguardo del tipo “ma quale sesso? Non conosco
nemmeno sto tipo!”
Raggiunsi camera mia in un baleno, seguendo quel misterioso
Shuya Fujiwara.
“allora” esclamai chiudento a chiave la porta “che cosa sai?”
“Posso sedermi sul letto?”
“Fai come vuoi” detto fatto.
“Sei scontrosa…questa mattina eri molto più gentile”
“Non sono scontrosa, sei tu che sei troppo gentile”
“Io gentile? Non
lo sono affatto”
“Che cosa sono allora tutte quelle carinerie?”
“In Giappone l’ospitalità è importante e comportarsi in modo cordiale con il
prossimo è molto importante, e tu lo dovresti sapere visto che sei giapponese”
“tanto nessuno segue più il folklore ormai”
“Ho capito…comunque…volevo avvertirti”
“Di che cosa?”
“Il cadavere di Kayako Fukamoto…”
“Sì?”
“è in questa casa” Sussultai “che cosa? È impossibile!”
Un lampo di malinconia solcò il suo viso “Tre anni fa, il
cadavere di Kayako Fukamoto scomparve misteriosamente dall’obbitorio”
“Che cosa?”
“Sì…e…i miei genitori il giorno in cui ci
trasferimmo videro il corpo fatto a pezzi di Kayako. In
questa casa” “Ma perché questa casa? E poi com’è possibile? Chi l’ha
portato qui? Perché non siete andati dalla polizia?” “Cosa avremmo detto? Erano passati tre anni…ci
avrebbero sicuramente ricoperti di domande, quando veramente non c’entravamo
nulla con quella storia”
“Il cadavere…è ancora qui?”
Annuì. Forse era per quello che quelle visioni mi perseguitavano. “Ecco perché avete
venduto la casa così a buon prezzo”
“I miei mi hanno pregato di non farne parola con nessuno, ma…mi sembrava giusto
che tu lo sapessi”
“E ora dov’è il cadavere?”
“In mansarda”
Uno strano tintinnio di ganci di metallo risuonò all’improvviso
Uno strano tintinnio di ganci di metallo risuonò
all’improvviso. Io e Shuya sussultammo all’udire quello strano e macabro
suono.Un presagio di morte.
Quando però, quello strano suono si fermò e ripiombò il
silenzio, noi due continuammo il nostro discorco come se nulla fosse successo
“Riguardo a Kayako” continuò Shuya “Me ne sono informato
all’insaputa dei miei genitori: Kayako era proprio come te”
“Cosa intendi dire?”
“Era originaria di Kobe e si trasferì quattro mesi prima di morire”
“Vuol dire che io tra tre mesi morirò?”
“No…non è questo. È che lei è originaria della tua stessa città”
“Quindi c’è davvero una sorta di legame tra me e lei”
“Sto ancora cercando di scoprire perché si è trasferita a Tokyo…comunque…”
“Urumi!” un grido risuonò per tutta la stanza. Era arrivato
mio padre.
“Urumi” ripetè mia madre con la
medesima intonazione “è arrivato papà…scendi con il tuo amico che servo la
cena”
“D’accordo” ripetei io alzando la voce. “Andiamo” mi
riferii a Shuya.
“Se vuoi posso aiutarti nelle indagini” rispose quello “Certo…mi hai dato delle ottime informazioni. Ti ringrazio” gli sorrisi.
Mentre ci dirigemmo in bagno per lavare le mani, mamma e
papà dialogavano in cucina e si aiutavano ad apparecchiare la tavola.
“Amico?” domandò mio padre incredulo “Ha già trovato un
ragazzo che ci siamo appena trasferiti?”
“è quello che mi sono chiesta anche io” bofonchiò Meiko
“Quanto cavolo hai cucinato, tesoro?” non c’erano solo i
ramen: ma anche tramezzini di vario genere, stuzzichini, olive, insalata ai
pomodori, okonomiyaki e gelato alla frutta bandivano una tavola di prim’ordine
e mille colori
“Senti, amore…non ci capita spesso di avere ospiti…e poi
quel ragazzo è il primo ospite che abbiamo in questa casa, cerca di comprendere”
“Sei sicura che si tratti di un semplice amico di nostra
figlia?”
“Tranquillo… è una ragazza ormai, anche noi alla sua età facevamo di tutto e di
più”
“Io non voglio che mia figlia faccia di tutto e di più, la mia bambina!”
“sei proprio all’antica…non c’è che dire”
Scesi le scale con Shuya, un poco terrorizzata da quella
sconcertante scoperta.
Un cadavere era nascosto in casa mia. Avevo una voglia matta
di salire in soffitta per vederlo: forse era putrefatto dai vermi o
perfettamente conservato. Chi poteva dirlo!
La tavola era imbandita dalle più preziose pietanze. Mio
padre e Shuya fecero conoscenza allegramente, mentre io ancora sconvolta avevo
perso la mia attenzione su un piatto di crostini dorati.
Mi sedetti a tavola accanto a Shuya e cominciai a
banchettare, prendendo il coltello e cominciando a tagliuzzare un tramezzino di
bacon e formaggio. Immaginai per un momento, con orrore, che quello non fosse
un tramezzino, ma un braccio amputato quello che stessi
tagliando.
Quel formaggio denso che sgusciava da ogni poro di pane mi
ricordava sangue miscelato a frattaglie. Mi venne quasi da vomitare.
Mio padre continuava ad interrogare Shuya di varie cose
quando il mio piatto di ramen fu quasi terminato dalla mia bocca vorace. Gli spaghetti
ricordavano vermi pronti a condensarsi sulla mia carne per fare pic-nic. Un groppo
in gola.
Qualcosa mi toccò la gamba di striscio. Un brivido mi
percosse violentemente. Alzai la tovaglia cercando di capire cosa fosse stato.
“C’è qualcosa che non va?” mi chiese mia madre
“Ho sentito…” risposi io tentennante, riguardando sotto il tavolo. C’era una
mano insanguinata che mi stringeva il ginocchio, lasciando scivolare lunghi
rivoli di sangue lungo la gamba. Sussultai, liberandomi dalla presa e gridando.
La sedia cadde dietro di me.
“Stai bene?” mi chiesero tutti. Non seppi cosa rispondere. La
mano era scomparsa, ma la paura era ancora presente dentro me
e mi divorava.
LA STORIA PRENDERA’
PIEGHE ASSURDE E CI SARANNO FIN TROPPI COLPI DI SCENA INASPETTATI, OLTRE CHE
PARECCHIA PAURA!
AH…E FINALMENTE SHUYA
CE LA FA CON URUMI! Olèèè!
Salii le scale e cominciai a strofinarmi le mani. Shuya
continuava a fissarmi, ne ero quasi innervosita ma non volevo dirgli nulla, non
mi sembrava giusto.
Il sapone mi accarezzava le mani con dolcezza.
Quella mano insanguinata era reale? Forse era solo un’allucinazione,
il frutto della paranoia dovuto ad una giornata fin troppo stressante.
“Urumi” sospirò Shuya
“Sì?”
“Vuoi vedere il cadavere, non è così?”
Il sapone mi cadde dalle mani e fece un tonfo sul fondo del
lavandino candido. Rabbrividii e mi voltai verso di lui, stranita e
terrorizzata. “Cosa?”
“Non sei ancora convinta del fatto che ci sia un cadavere
fatto a pezzi a casa tua…”
“Non ricordarmelo… prima di vederlo preferirei scoprire
qualcosa di più”
“Capisco”
“Domani andrò a Kobe”
“Che cosa? Sei impazzito? Saranno almeno 400 km… 5 ore di
treno”
“Lo so…ma voglio aiutarti…voglio scoprire dove si trovava la
casa di Kayako Fukamoto…scoprire qualcosa” “Perché ti interessa così tanto questo caso? D’accordo
la casa era tua…ma ora è mia… è un problema mio, non devi farti 10 ore di treno
andata e ritorno solo per me, non devi”
“Urumi” mi strinse le mani e sussultai “Mi interessa questo
caso quanto tu desideri scoprire il nome dell’assassino di Kayako Fukamoto”
“Come farai con la scuola?”
“La salto…”
“Verrò con te”
“No…”
“Non posso starmene qui con le mani in mano.”
“Ne sei sicura?”
Annuii. Avevo paura che i miei scoprissero della mia bigiata ma dopotutto fin
quel momento ero sempre strata una brava studentessa, potevo concedermi anche
qualche scorribanda, soprattutto se in casi di vita o di morte.
“Hai guardato gli orari dei treni” gli chiesi “Sì…se prendiamo quello delle 6 arriveremo là verso le 11 del
mattino. Per tornare potremo prendere quello delle 15” “Ma sono orari impossibili! I miei lo scopriranno e
non voglio che sappiano nulla della faccenda del cadavere e della nostra
indagine”
“Di che hai una gita”
“Non ho nessun permesso”
“Dì che l’hai perso…io darò conferma e se avverti Yumi potrà darti anche lei
conferma”
“Che idiozia…non funzionerà”
“Almeno provaci”
Il mio cuore cominciò a battermi forte. L’ansia mi stava
distruggendo. Shuya riprese ad afferrarmi le mani.
“Lasciami” gli sussurrai
“Io…” mi rispose avvicinando il suo viso verso il mio mento
“Tu?”
“Tu…tu… tu mi piaci, Urumi”
Deglutii. Chiusi gli occhi. Non ci conoscevamo
perfettamente. Come potevo piacergli.
Mi aprì le labbra con la lingua ed entrò in me. Il mio primo
bacio.
Cosa sentii? Sentii qualcosa esplodere nel mio corpo. Gli afferrai
il viso con le mani, lo sentivo sudare e tentennare. Dalla sua inabilità
sembrava non avesse mai baciato nessuno.
Le nostre lingue si incrociavano con eleganza, sfiorando i
rispettivi palati e incrociandosi in un sentimento ancora appena nato e pure
tangibile.
Poi il pensiero di Kayako Fukamoto. Quel corpo mutilato mi
fece vacillare.
Mi staccai da quell’abbraccio di sensi.
“Che cosa c’è?” mi domandò lui
“Ripensavo a Kayako Fukamoto…è troppo inquietante questa faccenda.”
“Capisco”
“Comunque avviso Yumi per domani”:
Afferrai il cellulare, mentre Shuya si sedette sul mio letto (senza permesso).
Composi il numero di Yumi e attesi. “Ciao Urumi… sto ancora studiando biologia, ti rendi conto,
sono distrutta! Sono le dieci di sera e mi mancano ancora 8 pagine! Cosa
ho fatto per meritarmi questo? Devo prendere almeno 90! Capisci? 90!!! Non so se mi sono spiegata”
“Ciao Yumi”
“Mio dio…non ce la farò mai a recuperare quel compito”
“Yumi devo dirti una cosa?”
“Che cosa?”
“Domani vado a Kobe”
“Che cosa?”
“Ci vado in treno con Shuya” “Shuya? Chi diavolo è?”
“Un ragazzo che ho conosciuto questa mattina, vuole indagare anche lui su
Kayako Fukamoto”
“E perché Kobe?” “Ha scoperto che lei è proprio originaria di lì. La nostra
stessa città, ti rendi conto? E come noi anche lei si
trasferì a Tokyo”
“Strano…”
“Già…”
“No…dico…strano che dai confidenza ad uno che hai
conosciuto oggi”
“Aspetta… vado in bagno” così feci.
“Perché vai in bagno? Aspetta… lui è in camera tua?”
“Esatto… se devi parlare di lui non voglio che senta”
“Urumi, mi nascondi qualcosa… è in camera tua e sono le dieci di sera”
“Ha cenato a casa mia, tutto qui…” “Ma lo conosci da quanto? Un paio d’ore?”
“Gìà” sospirai “Ma almeno sapeva qualcosa di Kayako e in due si scoprono molte
più cose”
“Non ero io che ti dovevo aiutare nelle indagini?”
“Sì…Sì…ma tu domani devi andare a scuola a fare il
test di biologia, non puoi venire a Kobe con me”
“Come farai con i tuoi?”
“Shuya mi ha proposto di far finta che ci sia una gita scolastica, se i miei ti
telefonano per chiederti conferma dì di si, okay?”
“D’accordo”
“Ma…Urumi”
“Cosa?”
“Te lo sei fatto?” “Ma che cosa dici? Come sei immatura…sempre pensare a
quelle cose, ma io non lo s… sì”
“Ah-Ah lo sapevo”
“è stato un bacetto da poco solo questo” mi aggrappai al
lavandino mentre parlavo e solo allora alzai gli occhi verso lo specchio: ero
Kayako Fukamoto con il viso schizzato di sangue e una ferita aperta sul corpo.
“Va tutto bene?” mi chiese Shuya spiazzato dal mio grido.
Alzai gli occhi verso la superficie specchiata. Quell’inquietante
riflesso scomparve. Una semplice allucinazione, pensai.
Avvertii mia madre della gita da me fasullamente
dimenticata, ma ci vollero oltre quarantacinque minuti prima che potesse
credermi. Un vero e proprio martirio.
“Se scopro che è una scusa per saltare la scuola ti tolgo il
computer per un mese”
“Okay” deglutii e risalii le scale.
Shuya se ne stava andando. Lo salutai e lo vidi scomparire in un turbinio di
passi che scendevano le scale.
Mi spogliai e mi infilai sotto le coperte. Mi domandavo come
avremmo fatto a trovare la casa di Kayako in una città come Kobe. Avevo paura
che quel giro fosse completamente inutile, che non ci avrebbe aiutato per
nulla.
Ripensai al corpo mutilato, ripensai alla voglia di poterlo
vedere, di guardarlo con i miei occhi.
La sua decomposizione.
I vermi che divoravano quella carne martoriata, il sangue
ormai secco, le ossa visibili.
Vacillai dall’orrore e mi lasciai trasportare dal sonno.
-
Il mattino seguente la sveglia suonò alle 5. così la puntò
mia madre, che si era svegliata arzilla per farmi i panini. Ovviamente aveva
svegliato anche me, perché non riusciva a sopportare il fatto che avrebbe
sgobbato per me, mentre io beatamente dormivo.
Ancora sonnambula mi feci una doccia e mi vestii: un paio di
pantaloni bianchi, una canottiera nera e un maglioncino blu.
Era bello potersi liberare per un giorno della divisa
scolastica. Mi sentivo libera, felice.
“Sembra che stai dormendo in piedi…su un po’ di vita, stai
per andare a vedere il Monte Fuji” così le dissi. Chiunque abiti in Giappone ha
visto il monte Fuji. Le dissi che saremmo andati a vederlo con la scuola e che i
professori ci avrebbero raccontato la sua storia e che il pomeriggio avremmo
fatto un giro a Shizuoka, per vedere qualche museo. Che idiozia! Dovevo inventarmi
qualcosa di meglio… il monte Fuji si trova solo 100 chilometri
lontano da Tokyo, un quarto dei chilometri che servono per andare a Kobe.
“Mamma…non sono abituata a svegliarmi alle 5”
“Ma se ti svegliavi ogni giorno alle 5 quando avevi una verifica scolastica?”
“Quello accadeva a Kobe, la vita ultrafrenetica di Tokyo mi rende
particolarmente narcolettica” Mi stropicciai gli occhi
“E pensare che siamo qui da solo tre giorni… eccoti i panini”
una borsa del konbini della sorella di Kayako Fukamoto. Tre tramezzini di
prosciutto e formaggio, una scatoletta con onigiri, un pacchetto di patatine e
due bottigliette d’acqua.
“Grazie” la ringraziai con uno sbadiglio
“Allora…ti devo accompagnare alla stazione?”
Sussultai “No…no…non c’è problema, se cammino mi sveglio di più”
“Ah… ma a quest’ora in centroe soprattutto in prossimità della stazione ci sono maniaci
sessuali pronti ad agguantare le liceali impaurite”
“Esagera…”
“Bene…mia piccola principessina… non ti accompagno…ma se ti stuprano non venire
a piangere da me” “Mamma! Come puoi dire delle cose simili a tua figlia?”
risi mettendo portafoglio e cellulare nella borsa “E comunque è una gita della
scuola, ci saranno anche i professori”
Uscii di casa alle 5.30 salutando mia madre e mio padre
dormiente. Il treno sarebbe arrivato in una mezz’ora e la stazione distava a
pochi isolati da casa mia.
Ero in anticipo.
Decisi quindi di fare un salto al konbini di Sakeo Fukamoto,
per comprare una rivista.
“Buongiorno” salutai attraversando le porte scorrevoli.
C’era lei alla cassa. Faceva anche il turno notturno?
“Ah…sei la ragazzina che è passata di qui l’altro ieri”
Annuii, restando davanti alla porta, guardando i titoli delle riviste esposte. “Sa che Takeo è morto? L’ho sentito al
telegiornale”
“Sì…che cosa orribile” aspirò il fumo della sigaretta che teneva tra le dita. Come
potete immaginare a quell’ora il suo piccolo supermercato era deserto.
“Non sembra dispiaciuta” “No…era un ragazzo antipatico. Era parecchio arrogante
con me e con i suoi genitori. Trattava bene solo mia sorella”
“Capisco…senta…può dirmi la verità?”
“Riguardo a cosa?”
“è stato Takeo Fuji ad uccidere Kayako?”
“No…lui l’amava, non l’avrebbe mai fatto…fidati”
Comprai un paio di shojo manga e una rivista di musica.
Lasciai mille yen sul bancone e salutai con un altro
inchino, ma proprio mentre il mio piede stava per avvicinarsi alle porte
scorrevoli, Sakeo mi chiese una cosa strana “Tu la vedi, non è vero?”
“Chi?”
“Kayako…continua a disturbare i tuoi sogni, a farti vedere cose strane”
Impietrii “Lei…lei…come lo sa?” “Sta succedendo anche a me. Il suo rancore non avrà
fine…” c’era paura nella sua voce, un’emozione strana e terrorizzata “è per
questo che stai indagando sul caso di mia sorella, vero? Vuoi
capire la natura di quello che ti sta succedendo” Tremava.
Annuii “Sto per andare a Kobe”
“Come sai che è originaria di Kobe?” “Attraverso delle ricerche. Lei, per caso, può darmi l’indirizzo
della vostra casa di Kobe?”
Riuscii a convincerla. Gli occhi di Sakeo cominciarono a lacrimare quando la
punta della stilografica azzurra cominciò a tracciare solchi su un post-it
rosa.
“Grazie” le sorrisi e finalmente uscii, dirigendomi a lunghi
passi verso la stazione.
Dedico questo capitolo a shadows_in_the moon (alessandra): non ti ho
dimenticata
Dedico questo
capitolo a shadows_in_the moon (alessandra): non ti ho dimenticata.
Oggi pensavo proprio
a te e pochi secondi dopo ho letto la tua recensione su photograph…
coincidenza, vero?
Sii forte. Sono io a
sostenere te. Ti voglio bene
La stazione non era deserta come la immaginavo. C’erano
diverse persone sparse un po’ davanti e ai binari e in biglietteria, molti di
loro sono gaijin (così noi giapponesi chiamiamo gli immigrati). Restai davanti
al tabellone degli orari. Shuya apparve in quel momento, a lunghi passi,
sorridendomi.
Lo salutai con un cenno. Si era stirato i capelli. Pantaloni
neri e camicia azzurra a righe bianche.
“Ciao Urumi”. Un bacio sulla guancia
“Ciao” sorrisi a testa bassa, porgendogli il post it di
Sakeo “Questo è l’indirizzo della casa di Kayako Fukamoto”
“Come hai fatto ad averlo?” si sorprese
“Perché sono una donna e ragiono al contrario di voi
uomini”. Fece una faccia del tipo “Schifosa femminista di merda grrr…” “Tu
saresti andato in giro per tutta Kobe e alla fine non saresti riuscito nemmeno
a trovare la casa...non sai che Kobe è una città molto grande?”
“Veramente…no…non ci sono mai stato”
“Per fortuna mi sono posta il problema prima di uscire di
casa.Ma…a scuola fate geografia nella vostra classe? È
cultura generale…porca vacca!”
“Lasciamo perdere la geografia, non ho un buon rapporto con questa materia”
“Lo immaginavo”
“Ah-Ah… sei cosììì diverteeeeeente” sarcasmo. Mi stava
irritando, ma al contempo riusciva a divertirmi. Stolto.
Gli tirai un pugno lieve sul suo braccio destro. Le mie dita
formarono un solco nel tessuto della sua camicia.
“Ahi!” strepitò come una femminuccia “Il treno è già arrivato?”
“Sì… è al binario tronco… parte tra dieci minuti”
Salimmo sul treno un po’ agitati e assonnati, dopo aver
fatto i biglietti. Ci sedemmo su due poltroncine adiacenti e cominciammo a
parlare con l’angoscia nel nostro cuore.
“Perché sta succedendo a me?” chiesi
“Che cosa?”
“Continuo a non capire perché Kayako continua a perseguitarmi…”
“Forse semplicemente perché vivi in quella casa…in quellacasa in cui si trova
il suo cadavere”
“A te succedeva?”
“Che cosa?”
“Quando vivevi in quella casa vedevi delle cose?”
“Se devo essere sincero no… “ “Visto? C’è qualcosa che ho fatto per avere quelle
strane visioni inquietanti…”
“Forse è per il fatto che sei originaria di Kobe, proprio come lei…”
“Già, può essere…”
“Stai tranquilla Urumi” mi abbracciò. Riuscivo a sentire
odore di dopobarba sul colletto della sua camicia “Risolveremo tutto insieme…non
devi avere paura” “Io non ho paura…Sono solo stanca. Stanca
di tutte queste visioni di morte”
“Ti capisco” mi lasciò respirare.
“Stasera voglio vedere il cadavere.”
“Che cosa?” “Sì…appena tornata a casa io salirò in soffitta per vedere il
cadavere. Se vuoi, tu verrai con me”
“D’accordo” annuì
“Tu non hai paura?”
Sorrise e due solchi si autogenerarono ai lati della sua
bocca “Se devo essere sincero, sì”
“Mi piace la tua sincerità”.
E ancora una volta le nostre labbra si incrociarono. La
lingua di lui mi sfiorava il palato, accarezzandom i denti. Gli porsi una mano
sulla guancia e sentii con felicità le sue dita accarezzarmi i capelli. Ero
così felice, così completa, almeno finchè non vidi con orrore che la mano di Shuya
mi stringeva il ginocchio.
Ma allora cos’era quella strana sensazione, quell’entità che
accarezzava la mia cute. Indietreggiai.
“Che cosa succede?” mi domandò Shuya vedendomi voltare. Non c’era nessuno
dietro di me.
Eppure avevo avvertito una presenza dietro di me. “Qualcosa
mi ha toccata”
“Che cosa?” continuai a guardarmi intorno, ma la nostra cabina era vuota.
Il treno cominciò a sferragliare, facendoci sussultare
entrambi.
Stava partendo. Il nostro destino.
-
Per pura nullafacenza
ho cercato anche degli attori orientali che potessero incarnare i miei
personaggi in un’ipotetica versione cinematografica (da me diretta eheheeh) di “The
Photograph”…
Ecco chi ho scelto
Per il personaggio di
Urumi ho pensato alla splendida Im Soo-Jeong
E va bene, l’attrice
ormai ha 27 anni (oltre 10 anni in più del personaggio di Urumi), ma con il suo
visino angelico e la sua bravura può senza dubbio essere spacciata per un’adolescente
^__^ (maròòò… ma quanto è gnocca?)
Chiaccherammo del più e del meno, quasi come se avessi dimenticato di
quella strana presenza e di tutta la faccenda di Kayako
Chiaccherammo del più e del meno, quasi come se avessi
dimenticato di quella strana presenza e di tutta la faccenda di Kayako.
I minuti scorsero e pian piano i nostri occhi si
socchiusero, trascinati dal sonno. Ci addormentammo. Lui con il volto contro il
finestrino e la bocca spalancata, io con la testa sulla sua spalla. Fui svegliata
solamente da un sussulto, quando il treno finalmente giunse a destinazione.
Svegliai Shuya scrollandogli le spalle.
“Che c’è?” sussultò disturbato
“Siamo arrivati” gli dissi, raccogliendo la borsa,
misteriosamente scivolata sul pavimento
“Di già?”
“Abbiamo dormito per tutto il viaggio…quasi quattro ore”
Conoscevo bene la zona dell’indirizzo offertomi da Sakeo, dopotutto Kobe era
stata la mia città fino a quei giorni e ogni indirizzo era ormai per me
conosciuto. Si trovava dal lato opposto della città, vicino ai boschi e ai
campi. Per raggiungere quella zona prendemmo un autobus che sarebbe dovuto
passare intorno alle undici e mezzo.
Ci sedemmo su una panchina nelle vicinanze della fermata e
continuai a fissare quell’indirizzo, con la mano tremolante, di fianco a Shuya,
che nel frattempo aveva indossato una giacca nera elegante, forse per il
venticello che tirava o forse solo per fare il figo, chi lo sa.
Accavallai le gambe, nervosa. Sentivo
una strana tensione circolarmi nelle vene, arrivare fino su alla gola e
stringerla.
Presi un tramezzino che avevo nello zaino e gli diedi dei
morsi, mentre Shuya mi guardava in modo totalmente spiazzato “Sei strana…che ti succede?”
“Niente…va tutto bene… è solo che… sto cominciando ad avere paura anche io”.
Pochi attimi e l’autobus arrivò. Velocemente gettai il tramezzino lasciato a
metà nello zaino e saltai sul mezzo pubblico seguita da Shuya.
Venti minuti di viaggio. Un’atmosfera straniante librava
nell’aria. L’autobus pullulava di gente. Dimenticavo quasi la semplicità di
Kobe, una metropoli affollata, ma ben lontana dall’aurea snob di Tokyo. Qui
regnava una gentilezza assai strana.
Scendemmo dal pullman una volta che davanti a noi si liberarono
immensi campi. Una schiera di case li copriva solo leggermente.
Riguardai il foglietto. Il numero dell’abitazione era il 5/2.
“Mi scusi…sa dirmi dove posso trovare questa casa?” chiesi
per sicurezza ad una vecchietta che ci passò davanti, sperando che conoscesse
la famiglia di Kayako per offrirmi qualche informazione in più
“Sì” sorrise. Sembrava simpatica, ma non appena lesse l’indirizzo
sul post-it la sua espressione cambiò radicalmente, come se non se lo
aspettasse.
“Conosce questa casa?”
Annuì sconcertata “è l’abitazione di una
famiglia che conoscevo. Perché volete andarci?”
“Siamo dei giornalisti” mentii “Stiamo cercando di indagare sul mistero attorno
alla morte di Kayako Fukamoto” “Sembrate molto giovani per essere due giornalisti e poi,
indagano ancora a quel caso? Sono passati parecchi
anni ormai…”
“Signora, è il nostro lavoro…” la spronò Shuya, che stette al gioco “D’accordo…la casa non è molto lontana. La raggiungeremo
a piedi. I Fukamoto erano miei vicini di casa. I genitori vivettero con le loro
due figlie in quella casa finchè Kayako e Sakeo decisero di trasferirsi.”
“Ora i genitori che fine hanno fatto?”
“La madre si suicidò non appena sentì al telegiornale
quel che era successo alla figlia. La trovarono in casa con la televisione
accesa e un coltellaccio da cucina conficcato nella gola… una cosa orribile”
“E il padre?” “Tornato dal lavoro si uccise, impiccandosi al lampadario.
Penso che chiunque avrebbe fatto la stessa cosa: perdere due persone care nel
giro di ventiquattro ore dev’essere uno schock per tutti. L’unica sopravvissuta
è Sakeo, che ora si trova a Tokyo, se non mi sbaglio”
“Sì” annuii “Abbiamo scoperto che lavora in un piccolo konbini”
“Povera ragazza” sospirò la vecchia “Ne ha sopportate di cotte e di crude”
“Com’era Kayako?” “Mbah…da quel che ricordo era una ragazza molto solare e
tranquilla. Penso fosse stata una delle poche ragazze che non prestava
troppo tempo al trucco, sebbene fosse splendida. La cosa strana fu che pochi
gorni prima di partire, uno strano uomo in giacca e cravatta continuava a farle
visita e restava a casa sua fino alla sera”
Pensai a Takeo Fuji, quando mi ospitò a casa sua in un gessato nero. “Takeo Fuji? Il suo fidanzato?” “No” scosse la testa “Conoscevo bene Takeo. Si trasferì
a Tokyo per studiare all’università e fu per quello, credo, che anche Kayako
avesse deciso di andare nella capitale. Era un uomo più vecchio, intorno ai
trenta”
“Intorno ai trenta?”
“Già…credo che fosse il suo amante”
Raggiungemmo la casa della signora misteriosa, oltrepassando quella di
Kayako, che come una furia mi mandò terribili brividi che correvano su per la
schiena, una volta che le passai di fronte
Raggiungemmo la casa della signora misteriosa, oltrepassando
quella di Kayako, che come una furia mi mandò terribili brividi che correvano
su per la schiena, una volta che le passai di fronte.
Era una casa dalle mura grigie, ma terribilmente lacerate da
macchie nere qua e là. La porta era d’ebano nero. Aveva l’aria di una casa
abbandonata e spettrale.
Entrammo nell’abitazione della signora, completamente
antitetica a quella di Kayako: le pareti erano candide e pulite, un grazioso
giardinetto era coltivato al lato destro della dimora e le stanze erano
arredate con un ordine maniacale.
“Vi offro dei biscotti” ci disse la vecchia con un sorriso
“Non c’è bisogno che si disturbi” le dissi
“Non è affatto un problema” e la vedemmo sparire dietro la
porta della cucina.
Poi, sotto la porta che sbatteva, mi rivolsi a Shuya,
dicendogli “Chiamo un attimo Yumi…tanto dovrebbe esserci l’intervallo a quest’ora”
“D’accordo”
Pigiai i tasti del cellulare, sino a giungere al numero di
Yumi.
Squillò. Bip Bip.
“Pronto Urumi?” “Oh! Ciao Yumi…”
“sono in bagno, non hai scelto momento migliore per
telefonarmi, vero?”
“Oh scusami…è che volevo sapere come è andato l’esame” “Non si sente dalla mia voce? È andato
bene, molto bene?”
“Con quanto?”
“63…so che non è un voto splendido, però almeno ho recuperato quella verifica
di ieri”
“Sono contenta per te” “Anche io sono contenta per me…piuttosto come va a Kobe?
Siete già arrivati?” “Sì, da un’oretta. Sono nella casa di una donna che
dice di aver conosciuto Kayako” “Davvero? Quindi sei sulla strada
giusta” “Già…ho già scoperto una cosa interessante. Pare che
Kayako avesse un’amante. Ma ti farò sapere tutto per stasera.”
“D’accordo.” Uno scroscio d’acqua che scorre. La campanella “Oh
scusa Urumi…ora devo andare, le lezioni stanno per riprendere”
“Un attimo…che hai detto al professore sulla mia assenza?”
“Ho detto che stavi male”
“Ti ringrazio…” “Secondo te andavo a dire che hai saltato la scuola per fare
la poliziotta? Sei mezza matta” rise “Ora devo
proprio andare. Ciao”
“Ciao”
“Ha superato il test” dissi sorridendo a Shuya.
Nel frattempo Yumi aprì la porta del gabinetto, con l’intenzione di tornare in
classe.
Ma non appena fece un passo sentì come una strana presenza
dietro di lei. Si guardò intorno, con il cuore che cominciò a battere, come una
pompa. Fortissima. Inquietante. Feroce.
Cominciò a respriare affannosamente. Volle accellerare il
passo ma qualcosa sembrava fermarla. Camminava troppo lenta. Nonappena uscì
completamente dal gabinetto la porta sbattè violentemente dietro di lei,
facendola sussurrare.
Yumi indietreggiò, con i brividi che lentamente le salivano per tutto il corpo.
Nel bagno, le luci cominciarono a farsi intermittenti, come
un presagio di morte e orrore.
“Che cavolo succede?” urlò Yumi terrorizzata, quando notò
che un braccio bianco e ossuto comparve lentamente da dietro la porta del
gabinetto, che lentamente cominciava ad aprirsi, trascinandosi dietro un
terrorizzante cigolio.
Il respiro si fece sempre più affannoso, con un ritmo
regolare, quasi a rocambolare il canto della morte. La porta si apriva sempre
più, sempre più, sempre più. Mentre una scia di sangue cominciò a propagarsi
sulle piastrelle, creando inquietante forme geometriche
di dolore.
La comparsa di quella strana creatura diede inizio ad un
grido lungo, proveniente dalla sua ugola. Un grido straziante e dolente, che
sconvolse talmente tanto Yumi da farla svenire.
“Eccomi” esordì sorridendo la vecchia, con un vassoio tra le mani
“Eccomi” esordì sorridendo la vecchia, con un vassoio tra le
mani. Tre bicchieri di glaciale the alla pesca e due piattini di strani
biscotti al cioccolato: duri e al cacao, ma con un interno di nutella. Erano
sicuramente fatti in casa e me ne innamorai al primo morso.
“Sono proprio buoni questi biscotti” ci complimentammo io e
Shuya contemporaneamente,con la gentile signora
“Grazie…li faccio in casa. Sono una mia specialità”
“Sono proprio buoni” ribattè Shuya prendendone ferocemente dieci in una sola
mano.
“Voi” iniziò con una voce inquietante la signora “Amate le
storie del terrore?”
“E questo cosa centra con Kayako?” dissi con tono
forse troppo diffidente
“Nulla…volevo solo sapere. Io sono
un’appassionata di storie di terrore.”
“Davvero?” esplose Shuya con insana curiosità
“Quando ero più giovane, parlo degli anni ’80
ero solita girovagare per tutto il Giappone alla ricerca di leggende urbane
horror e capire da che cosa derivano. Ho imparato che spesso una
leggenda urbana prende avvio quando avviene una tragedia sanguinaria o quando
qualcuno muore di morte violenta. Per esempio voi l’avete mai sentita la
leggenda urbana tipica di Okinawa della ragazza alle prese con il fantasma del
frigorifero?”
“No” disse Shuya con curiosità
Io non ero interessata a quegli argomenti…stavo già vivendo
un orrore personale e non volevo viverne un altro.
“Praticamente” cominciò la signora, dopo
aver sorseggiato un po’ di the freddo “Una notte, una ragazza di Okinawa non
riusciva a dormire. Sentiva come degli strani rumori, come una cosa che
veniva scuotata. La sentivà al di là del muro, all’interno del calorifero,
dalla televisione, sulle persiane. La sentiva dappertutto. Era come un’ossessione.
Pensava fosse frutto della sua immaginazione e che dormire fosse inutile perché
non ce l’avrebbe fatta. Quindi sgusciò dalle coperte e camminò verso la cucina.
Era così sconvolta da quegli strani rumori da pensare che fosse la sete a non
lasciarla dormire. Dunque si avvicinò,
sempre più, a passi lenti verso il frigorifero, alla ricerca di qualcosa che
potesse dissetarla, a passi lenti, con il tatami scricchiolante.
La cucina aveva un’atmosfera molto più tetra di quanto fosse solitamente. Con i
brividi che le correvano sulla schiena, la ragazza aprì lentamente la porta del
frigorifero. Avvicinò le mani alla porta e all’improvviso sentì uno di quegli
strani rumori che prima l’avevano torturata lungo il sonno. Non poteva più fuggire, la sua curiosità la spingeva ben oltre il terrore
stesso. Aprì la bianca porta del frigorifero. Lo sentì scricchiolare nell’ombra,
sibilare di terrore. Il rumore si faceva sempre più forte, come una sorta di
battito convulso. E quando la porta fu completamente aperta vide…una mano
mozzata, bianca e ossuta sul secondo ripiano di quell’ammasso di carni
surgelate.
La ragazza sussultò, come un impeto, indietreggiò, con il
sudore che lentamente le scendeva dalla fronte. Il sangue le
si ghiacciava nelle vene”
“E poi?” deglutì Shuya, sbottonandosi il primo bottone della camicia
“E poi indietreggiando andò a sbattere
contro qualcosa…la ragazza sussultò ancora una volta, quando la porta del
frigorifero si chiuse di colpo, con un tonfo. Del sangue color porpora
cominciò a gocciolare dall’estremità della porta, cadendo a picco sul pavimento
facendo un suono come plic plic plic,
dolcemente, come una canzoncina. La ragazza decise finalmente di voltarsi
quando vide che aveva sbattuto contro il fantasma di una donna, maciullata in
una macelleria da un pazzo che nascondeva i cadaveri nel bosco dietro la casa
della ragazza. Fine”
“La fine è un po’ affrettata” rimase deluso Shuya “Con tutta quella suspense”
“La sapete invece quella della donna dalla bocca sforbiciata?”
“Sì” esordii io, dopo aver deglutito un pezzo di cioccolato “è
piuttosto famosa…ci hanno fatto anche qualche film dell’orrore, se non sbaglio” “Già” continuò la vecchia “tutti in Giappone conoscono questa
leggenda urbana, ma la cosa strana è che mentre le fondamenta della storia sono
le stesse, il contorno della vicenda cambia di zona in zona. Per esempio
in certe zone del Giappone la donna dalla bocca sforbiciata è una madre
annegata dalla follia, la cui bocca viene tagliata dal suo stesso figlio, in
altre è una ragazza del liceo che viene aggredita in casa sua e a cui viene
tagliata la bocca. Ma in tutto il Giappone questa figura è una donna, ha la
bocca tagliata coperta da una maschera bianca e prima di uccidere la sua vittima
le chiede Watashi Wa Kirei Des? (“Sono bella?” in giapponese). La conoscete invece quella
della ragazza che viene cucita viva dentro un materasso?”
“E perché ci racconta queste cose sulle leggende urbane?” chiesi ancora sconcertata
“Perché… circolavano diverse leggende urbane sulla famiglia
dei Fukamoto…e ben prima che Kayako rimanesse uccisa e che i genitori si suicidassero…”
“E come mai?” Ora si che ero curiosa della faccenda
“Beh…tutti dicevano che ogni volta che si passava di fronte
a quella casa si sentiva un acre odore di sangue… come se le pareti
sanguinassero”
“In che senso?” “Non lo so…dicevano che in quella casa la famiglia di Kayako
fosse ninfomane e incestuosa e che venissero compiute torture nella cantina.
Non ho mai capito il perché”
Aiutai la signora a rimettere il vassoio, i bicchieri e le ciotoline dei
biscotti nel lavandino e chiesi gentilmente se avessi potuto utilizzare il
bagno
Aiutai la signora a rimettere il vassoio, i bicchieri e le
ciotoline dei biscotti nel lavandino e chiesi gentilmente se avessi potuto
utilizzare il bagno.
“Ma certo, ragazza” mi sorrise, aprendo il rubinetto, la
donna. La ringraziai con un inchino e salii le scale che mi portavano alla
stanza da me tanto bramata, quando lo squillo del mio cellulare squarciò il
silenzio. Era mia madre. “Pronto?” risposi io
“Pronto Urumi”
“Sì?”
“Com’è la gita?”
“Uhm…abbastanza tranquilla, abbiamo appena fatto la pausa pranzo e ne ho
approfittato per andare in bagno”
“Capisco…volevo avvertirti che per stasera non ci troverai a casa”
“Assì? E perché?”
“Hai presente Sayaka?” Sayaka era un’amica di mamma, anche
lei si era trasferita da Kobe a Tokyo ed era incinta
Annuii.
“Ebbene…le si sono rotte le acque e
mi ha chiamata improvvisamente chiedendomi se avessi potuto farle compagnia con
suo marito in ospedale finchè il bambino non sarà nato. Finito di lavorare mi
raggiungerà anche tuo padre, quindi la casa sarà vuota”
“Ah…ho capito” ero felice, libera di poter andare nella mansarda alla ricerca
di Kayako, senza bisogno di inventarmi scuse o quant’altro.
“Comunque, non devi preoccuparti: prima di uscire ho messo un trancio di pizza nel microonde. Se vuoi invita pure quel simpatico ragazzo
che è venuto ieri”
“Shuya…”
“Esatto…ora scusa, ti lascio prima che qualcuno si accorga
che sto usando il cellulare in ospedale”
“Okay” scoppiai in una risatina
“Buon proseguimento di gita”
“Grazie…Ciao”
“Ciao”
Mi chiusi nel candido bagno piastrellato e alzai la
tavoletta, dopo aver intravisto l’orto della signora attraverso le bianche
tende. Nonostante Kobe fosse una città enorme, una metropoli apparentemente
senza cuore, era bello vedere che lontano dal centro c’erano diversi campi e
che alcune famiglie avessero il proprio orto personale. Era bello che qualcuno,
in questo paese così tecnologicamente avanzato, ci fosse qualcuno che non fosse
ancora impaurito della natura e della sua poesia. Sopra il piccolo orticello di
insalatine, ondeggiavano le ombre delle lenzuola e degli abiti bianchi stesi ad
asciugare, che danzavano, secondo il ritmo del vento. Seduta al gabinetto, i
miei occhi sornioni osservavano quello spettacolo, quando il mio sguardo si
posò su una cosa alquanto strana. Una ragazza era nascosta, di spalle, dietro
uno dei lenzuoli che volteggiavano. Appariva e scompariva dietro il tessuto che
danzava nell’aere. Mi alzai di scatto, con una strana sensazione nel corpo: la
paura.
Quella ragazza aveva dei capelli lunghi e neri, indossava
uno strano abito da sera, di raso rosa e viola, ma anche infantile e a maniche
corte. Era un abito macchiato di sangue che arrivava sin poco giù le ginocchia.
Anche le braccia e le gambe nude presentavano schizzi di sangue, i piedi erano
nudi e tinti di rosso morte. Lo si vedeva benissimo
anche a grande distanza poiché il sangue di quel rosso vivo, scarlatto,
spiccava con destrezza su quella pelle così fredda e bianca, quasi cadaverica. Stentavo
a credere ai miei occhi, cominciavo ad avere la malsana idea che fosse il
fantasma di Kayako Fukamoto.
Aprii la finestra e quell’immagine era sempre lì fissa, fin
quando quella strana donna cominciò a muovere lentamente la testa, voltandosi
verso di me. Un movimento che implicò altro sangue cadere a fiotti sul terreno
e contro il vestito a balze.
Il sangue mi si congelò nelle vene, ero come in sospensione,
quando all’improvviso la maniglia della porta comincio a sbattere con frenesia.
Dallo spavento mi gettai a terra, appiccicandomi contro la parete del bagno.
Iniziai a tremare di terrore. La maniglia non smetteva di sbattere, sbatteva
sempre più.
Il panico mi catturò e cominciai a gridare, sempre più
forte, temendo che le mie corde vocali potessero esplodere nella paura. Mi
rialzai le mutande e i pantaloni di impulso, quando la maniglia tornò normale.
Forse era tutto frutto della mia immaginazione.
Ancora un po’ sconvolta mi rialzai, ansimando e annaspando,
cercando aria con cui cibarmi, quando all’improvviso sentii dei passi salire le
scale.
Tunc. Tunc. Tunc.
Ritornò la paura. La maniglia riprese a sbattere, cercando
di aprire quella dannata porta che mi separava dalla morte. Il respiro usciva a
fatica. Ero così terrorizzata da non riuscire a tranquillizzarmi. Inquietudine,
angoscia e paura mi pervadevano, tutte insieme, senza
pietà.
Finchè una voce al di là dell’uscio non mi
tranquillizzò “Urumi! Urumi! Stai bene?” era la signora che aveva
ospitato me e Shuya, il quale si unì al coro con un “Urumi! Urumi! Apri!”.
Mi avvicinai alla maniglia e la aprii, dopo averla fatta
scattare con un giro di chiave. La porta si aprì e Shuya mi saltò addosso con
un abbraccio.
“Santo cielo” esclamai “Non sono morta”
“Ti abbiamo sentita urlare, stai bene?” mi disse dandomi svariate carezze in
testa, passandomi la mano tra i capelli.
Annuii. Avvolgendolo con le mie braccia, sotto la giacca nera
e a contatto con la camicia, fradicia del suo sudore
“Sei tutto sudato” lo rimproverai con un sorriso.
“Si può sapere cos’è successo?”
“Niente… niente davvero”
“Un’altra visione?”
“Esatto”
“Visione?” intervenne la vecchia, sorpresa “Hai delle visioni?”
Ormai non era più il tempo di menzogne. Raccontai alla signora che ero
collegata, in qualche modo, mentalmente a Kayako e che continuavo a vederla ed
era per questo che mi ero messa ad indagare con Shuya.
Mi aspettai una reazione sconcertata e invece lei mi fece
una pacca sulla spalla e, dopo avermi regalato altri cioccolatini, accompagnò
me e Shuya sino alla casa di Kayako.
“Spero che troverai qualcosa” mi disse
sorridendo “Scopri l’assassino di Kayako. Solo tu puoi
farlo”.
Il cuore cominciò a battere. La vidi andarsene, tornarsene
nel suo paradiso quotidiano, mentre di fronte a me si ergeva l’incubo di
mattoni.
Attraversammo il nastro giallo con facilità inquietante e bussammo
stupidamente, pur sapendo che la casa fosse deserta
Attraversammo il nastro
giallo con facilità inquietante e bussammo stupidamente, pur sapendo che la
casa fosse deserta. Forse per abitudine o per semplici buone maniere, ma una
volta che Shuya bussò, anche io lo seguii nel futile gesto.
Ovviamente nesusno rispose,
dunque passammo alla maniglia. La porta era aperta.
Davanti a noi l’interno si
rivelava inquietante: di una lacerante oscurità. Tastai il muro alla ricerca di
un interruttore e finalmente, trovatolo, un fioco lampadario posto al centro
dello spazioso ingresso illuminò in modo assai smorto quell’ambiente. Forse per
i lunghi anni passati da quando quella casa era abitata. Ragnatele e polvere
regnavano sovrani.
Ripensai a Yumi e alla sua
allergia alla polvere. Sarebbe morta in un ambiente come quello.
Cominciammo a camminare
verso l’ignoto, mentre sotto i nostri piedi toccavano quel parquet una volta
ordinato, ma ora un totale disastro. Il vecchiume scricchiolava sotto i nostri
passi, mentre Shuya chiuse la porta dietro di lui.
“E’ un luogo tetro” sussurrò
Shuya
“Perché sussurri? Mica siamo in chiesa”
“Sarà questo luogo che mi fa sussurrare, allora”
“Ascolta, Shuya, tu resta qui e va un po’ in giro alla ricerca di qualcosa
interessante, io salgo al piano di sopra”
Annuì, ma vedevo la paura nei suoi occhi. Salii le scale, così tremolanti da
farmi sussultare ad ogni gradino. Avevo il cuore in gola. Un lungo e oscuro
corridoio si aprì davanti a me, varcandosi in varie porte, come un ventaglio. Aprii
la prima, che mi portò ad una camera di ragazza.
La polvere era ancora, una
volta la protagonista di quelle quattro mura, infestate dai poster. La targhetta sulla porta presentava la scritta
“Kayako”. La sua stanza.
La tensione saliva alle
stelle e cominciai a tremare come una foglia. Mi avvicinai alla scrivania,
posta sotto la finestra, dopo aver cercato di illuminare una stanza fin troppo
oscura.
La lampadina doveva essere
rotta, perché non rispondeva al richiamo dell’interruttore, dunque aprii la
finestra e finalmente regnò la luce. Grazie a quel clima solare cominciai a
sentirmi meglio. Aprii i cassetti della scrivania, in cui il caos regnava.
La presi tra le mani e
sospirai: c’era Kayako, sorridente e con quell’abito di raso viola e rosa che
avevo intravisto tra le lenzuola stese poco tempo prima e un uomo, che
indossava uno splendido smoking nero, con tanto di fazzoletto bianco ripiegato
nella tasca sul davanti della giacca. Era un ragazzo snello, ma il suo volto
non era presente. Era stato stracciato con ferocia. Cercai tra i fogli volanti,
con la speranza che ci fossero altre foto di quell’uomo misterioso, ma al suo
posto trovai una specie di busta, marchiata da una goccia di sangue. La aprii,
con il cuore che cominciò a battermi. C’era una lettera.
Appoggiai la busta, curiosa,
sulla scrivania e cominciai a leggere. La scrittura era femminile e aggraziata,
grondante di qualsiasi emozione celata.
“Cara Famiglia.
Non so se avete sentito ciò
che la gente dice sul mio conto e su noi in generale,
ma il fatto è che non ne
posso più di queste dicerie, che dicerie
in realtà non sono
completamente.
Vorrei chiedere a scusa a
Takeo: lui mi amava ma io e mia sorella l’abbiamo usato solamente per salvarci.
Vorrei chiedere scusa ai miei
genitori, perché se non fosse per colpa nostra la gente non avrebbe iniziato a
parlare.
Vorrei chiedere scusa a mia
sorella, perché le voglio bene e non avrei mai voluto
Che soffrisse così tanto.
E vorrei chiedere scusa a (un
nome cancellato da una striscia di sangue), perché lo amo e lo amerò per sempre
e perché so che sarà il primo a piangere una volta che vedrà il mio cadavere.
Vorrei solamente che la gente
la smetta di parlare.
Il mondo è un prato fiorito
che nasconde serpenti velenosissimi.
Il desiderio di porre fine
alla mia futile vita mi consuma letteralmente le interiora.
Un giorno avrò il coraggio di
portare a termine il mio volere e quel giorno
Troverete questa lettera.
Kayako”
Kayako, così
voleva morire. Voleva suicidarsi. Avrei voluto sapere che cosa riguardassero
quelle leggende urbane sul suo conto e cosa le avesse scatenate.
Ma soprattutto
mi spaventava il fatto che Takeo non fosse in realtà il ragazzo di Kayako, ma
semplicemente una persona che usava.
Probabilmente lui serviva da copertura, ma per cosa? Domande su domande mi
devastavano la mente, come un mucchio di aghi affilati con l’intenzione di
trapanarmi il cervello. Inquietata appoggiai la lettera sulla scrivania e
ricontrollai la busta. C’era anche una fotografia. Era ancora quell’uomo, ma
questa volta il suo volto era ben presente. Solo gli occhi erano stati oscurati
con una lunga linea nera, forse creata con un pennarello. Era sorridente e in
giacca e cravatta. Un primo piano da fotografo professionista. Mi servivano,
però, quegli occhi per poter confermare la mia idea.
Quella persona mi ricordava incredibilmente qualcuno che non riuscivo a
spiegarmi. Non riuscivo a capire dove avevo già visto quella fisionomia. Presi
lettera e fotografia e li misi nello zaino, quando all’improvviso un rumore.
Shdung.
Sobbalzai, con
un fremito e iniziai ad ansimare. Mi voltai di scatto e vidi che sulla
superficie dello specchio di quella stanza si era creata una crepa. Spaventata
mi avvicinai, incredula. Quello specchio era rimasto intatto sin dal momento in
cui avevo fatto ingresso in quella camera. Come diavolo aveva fatto a spaccarsi
da solo?
Ansimante
avvicinai la mano destra allo specchio, con l’intenzione di toccarlo, ma all’improvviso
un’altra crepa si formò, trascinandosi l’inevitabile Shdung.
Gridai, poi,
guardando che gocce di sangue cominciarono ad uscire una dopo l’altra da quella
crepa. Impietrii. Ero terrorizzata.
Il sangue
riprese a scorrere, sempre più velocemente e in quantità maggiore.
Indietreggiai
con orrore, quando anche l’orologio della stanza, appeso al muro, cominciò a
spezzarsi e ad emettere sangue. Grida lancinanti di donna avvolsero la stanza.
Cosa diavolo
stava succedendo? Continuavo a chiedermelo, anche quando le mie stesse mani
furono coperte di emoglobina. La porta si chiuse di colpo e sobbalzai
nuovamente.
Capitolo 22 *** Il grido che nasce dalle viscere ***
Il terrore mi pervardeva come un’ascia trancia un collo terrorizzato
Il terrore mi pervardeva
come un’ascia trancia un collo terrorizzato. Tremavo come una foglia. In quell’atmosfera
così lugubre esistevo soltanto io. Io con la mia paura. Speravo almeno che
fosse così. Mi gettai sulla porta urlando e sbattendo le mani
“Shuya! Shuya! Cosa succede?”
Cercai di aprire la porta, pressando sulla maniglia come un tic nervoso. Mentre
le urla mi confondevano i pensieri. Sentii improvvisamente dei passi
avvicinarsi a me.
Il pavimento scricchiolava. Sentivo come se qualcosa mi venisse da sotto le
gambe. Abbassai lo sguardo e vidi una scia di sangue che pian piano mi
raggiungeva, cercando di prendermi.
E ben presto paura e terrore mi ripresero, spingendomi in un vortice di urla.
Alla fine, presa dal
panico, mentre la macchia si estendeva sempre più, presi il
porta ombrelli di fianco alla porta e lo scaraventai sull’uscio con forza, fino
a sfondarlo. Raggiunsi il corridoio oscuro, continuando ad urlare il nome di Shuya,
ma non rispondeva.
Delle
urla mi seguivano “Urumi! Urumi!” ed erano così potenti che sembravano fosse di una donna che
cadeva dritta dal cielo. Violenza sonora. Violenza pura. Il grido si
sovrapponeva ad un pianto acuto che strappava il cuore. L’urlo era tutto
intorno a me, come se mi circondasse e non mi lasciasse scampo.
Intimorita, non persi
comunquel’occasione
di scendere velcocemente le scale, con il terroe che mi prendeva con le
tenaglie della morte le vene della paura.
“Shuya! Shuya” lo chiamavo a voce alta.
L’avrei cercato e una volta trovato saremmo usciti insieme da quella porta, ma
non riuscivo a trovarlo. Ogni stanza in cui entravo Shuya non c’era.
Ritornai all’ingresso di
fronte alle scale, ormai decisa ad uscire. Poteva darsi che Shuya era uscito
dalla paura, spaventato da qualcosa come lo ero io, ma non appena appoggiata la
mano sulla maniglia notai che la porta era chiusa a chiave. Sussultai poi,
sentendo gracchiare gli scalini, come se qualcuno stesse scendendo a prendermi.
Cercai di guardare con la coda dell’occhio quell’ entità,
ma riuscii a voltarmi, vedendo chiaramente Kayako Fukamoto in cima alle scale.
Gridai. Era vestita
proprio come nella fotografia: abito bianco e maglioncino rosa e mi sorrideva.
Scendeva lentamente le
scale, mentre una ferita da sopra la testa cominciava a perdere sangue a
fiotti. Sangue che colava sul suo vestito, per terra, sulle gambe. Il suo volto
cominciò a diventare completamente rosso. La ragazza poi, sempre continuando a
scendere, infilò l’indice sinistro nella ferita, raschiando il cervello a
livello sottoepidermide, facendo scorrere altro sangue che le colava sul bordo
della mano, formando orchidee sanguignee sul gradino di legno.
Ero spaventata. Scattai di colpo e mi rifugiai in cucina, cercando di aprire la
porta sul retro, ma caddi prima ancora di raggiungere la maniglia.
“Urumi!” gridò ancora quella voce che mi attanagliava.
Annaspai e raggiunsi la porta a quattro zampe. Ero così terrorizzata che le
gambe non riuscivano a reggermi. Mi voltai sedendomi.
Kayako era all’ingresso
della cucina, letteralmente coperta di sangue: dalla testa ai piedi.
Era zitta ma il grido
continuava a contorcersi nell’atmosfera.
Cercai di raggiungere la
maniglia con la porta, mentre le mie gambe tremavano e il mio guardo rimanevano
fissi su quella fantasmessa sanguinaria.
“Urumi!Urumi!” solo allora mi accorsi che quel grido veniva dentro da me.
Non ero io ad urlare. Era qualcosa
nel mio corpo a scatenare quell’urlo.
Cominciai ad aver paura di me stessa. All’improvviso uno squarcio tagliò il mio
collo e mi sentii morire. Vedevo in modo sfuocato che il sangue copriva il
pavimento con schizzi lunghi. Sembravo una fontana vivente. Mi sentivo sempre
più fragile, così tanto da non sentirne il dolore.
“Urumi! Urumi! Urumi stai bene?” una
voce lontana mi chiamava con amore. Aprii gli occhi.
Ero in cucina ma non c’erano
né Kayako né il sangue che perdevo. Davanti ai miei occhi c’era solo Shuya, che
mi guardava terrorizzato “Che cosa è successo?”
“Ti senti meglio?” continuava a ripetermi Shuya, mentre io
mi accarezzavo la nuca cercando di capire se quello che avevo visto era reale o
solo un sogno ad occhi aperti.
Annuii, stropicciandomi gli occhi.
“Urumi” mi disse “sono salito nella camera della sorella di
Kayako”
“Saeko?” chiesi ancora un po’ scombussolata.
“Sì”
Aprii gli occhi. Nella mano destra Shuya reggeva quella che
sembrava essere una vecchia videocassetta. Un lungo e orizzontale adesivo
bianco, appiccicato sul lato del nastro recava la scritta: “Sesso E Desiderio
Vol.48”.
Sussultai “E’ un porno?Ma sei idiota! Noi entriamo
qui per indagare e tu vai a frugare nelle camere altrui alla ricerca di porno”
stavo per esplodere in un vortice di ira funesta.
“Ma cosa stai pensando Urumi? Appena ho visto questo nastro mi sono subito
insospettito, visto che solitamente voi donne non amate questo genere di film. Dunque
l’ho inserito nel videoregistratore in soggiorno e…”
“E?” “Non è un porno. O meglio non come
lo pensi tu”
“Cioè?” “E’ difficile spiegarlo a parole. Vieni!”
Mi sollevò con un solo braccio. Sentivo un lieve dolore sulla schiena,
ma tuttavia decisi di seguire quel ragazzo un poco strano.
Il soggiorno era di quanto più lussuoso e sporco
contemporaneamente mi sia capitato di vedere: ampissimo con divani impolverati
e ragnatele che univano in modo artistico e disordinatamente delirante i vari
scaffali della grande libreria che si ergeva sopra il televisore con
registratore incorporato. Shuya si inginocchiò davanti allo schermo e io feci
lo stesso.
Vidi le sue dita abbandonare la videocassetta nella bocca
della macchina grigia.
Play.
Un solo, unico pianosequenza di circa quarantacinque minuti.
La camera di Kayako. Precisamente il letto, posto davanti alla finestra, su cui
Kayako stende nuda e piangente. Si avvicina qualcuno. Lo si capisce dalle ombre
che si estendono sulle pareti. Una mano. Forse l’uomo che la ucciderà. E invece
mi accorsi che si trattava di una donna, nuda.
Sussultai. Quella donna è Sakeo. Nella videocassetta si
avvicina al letto e sale delicatamente e in modo seducente sul corpo della
sorella, che cerca di trattenere lacrime e urla.
Sakeo le lecca il capezzolo e con una mano cerca di masturbare Kayako, che non
riesce a provare piacere in quella inquietante relazione morbosa.
“Oh Mio Dio…” commentai angosciata.
“ Già…” replicò Shuya “Penso che Sakeo obbligasse Kayako in
giochi erotici come questo”
“Pazzesco…”
“C’erano ben quarantotto videocassette come queste in quella stanza”
“Ah davv…” neanche il tempo di completare la mia sorpresa frase che notai
qualcosa sullo schermo
“Guarda” indicai la finestra.
Takeo era dietro il vetro e scattava fotografie alle due sorelle che
amoreggiavano. Incrocai lo sguardo di Shuya. Entrambi eravamo sconvolti.
Probabilmente la leggenda urbana della famiglia Fukamoto prese avvio con Takeo,
che spiando le sorelle scattò fotografie delle loro effusioni amorose e le
divulgò in tutta Kobe. Ma perché? Forse perché Sakeo in realtà era innamorata
di Kayako e per questo la obbligava a partecipare alle sue perversioni. Forse
Takeo lo sapeva, così come sapeva che Kayako in realtà avesse trovato un altro
uomo da amare, il misterioso individuo dal volto strappato.
Ma cosa c’entrava dunque, Takeo in tutto questo? Era veramente
il fidanzato di Kayako o serviva da copertura? Takeo era innamorato di Kayako e
forse agì in questo modo perché sconvolto dalla relazione di Kayako per quell’uomo
e dalle effusioni con la sorella. Forse era il suo modo di vendicarsi di fronte
al rifiuto amoroso di Kayako.
Scattai in piedi e dissi a Shuya “Andiamo
a casa mia. Troviamo il cadavere e poi andiamo al konbini di Sakeo. Dobbiamo
scoprire chi ha ammazzato Kayako”
Ero spaventata. Non sapevo perché ,ma
ero come ossessionata dalla figura di Takeo che scattava delle fotografie da
dietro la finestra. Quell’immagine sul video, mi aveva fatto tornare alla mente
la foto che avevo trovato in soffitta. Nonappena mi alzai e bloccai la
videocassetta sentii un rumore, come un qualcosa che veniva trascinato, al
piano di sopra.
Mi ricordava parecchio l’ascia che veniva trascinata sul
parquet sul finale di “Koma”. Ero terrorizzata, sentivo come se qualcosa mi
stesse attraversando la schiena.
“Che hai?” mi disse Shuya alzandosi e guardandomi negli
occhi “Urumi!”, mi scosse.
“Urumi! Stai bene”.
Annaspavo. Avevo fame d’aria. Il mio singhiozzare
occhieggiava nel vuoto.
“URUMI!” L’ultimo grido di Shuya e mi risvegliai dal mio
annaspare.
“Che cosa è successo?” dissi spaesata
“Stavi male…”
“No…ora sto bene” Alzai la mano, come per massaggiarmi la
testa, quando tra le dita sentii la presenza di qualcosa e abbassai lo sguardo
sul palmo della mia mano. Sulla superficie della mia pelle biancastra era
appiccicato uno strano oggetto che avevo già visto in una delle mie macabre
visioni: un pezzo di nastro adesivo a cui erano attaccati degli stuzzicadenti.
Digustata urlai e lo lasciai cadere sul pavimento, indietreggiando
terrorizzata.
“Che cos’è questo?” chiese Shuya raccogliendolo
“Quello… è uno degli affari che l’assassino di Kayako
Fukamoto mise sotto gli occhi di un’altra persona per
obbligarla a vedere il suo omicidio senza che potesse chiudere le palpebre…
l’ho visto in una delle mie visioni”
Il rumore di un’ascia che veniva trascinata sul pavimento
riprese a rimbombare. C’era qualcuno in quella casa, me lo sentivo. Sentivo
anche la sensazione di unconato improvviso, non certo di vomito, quanto di angoscia.
“Usciamo da qui” dissi a Shuya. Riprendemmo i nostri zaini e
uscimmo da quella casa degli orrori. Non avevo mai avuto così tanta paura in
tutta la mia vita. Non riuscivo nemmeno più a comandare il mio corpo alla
perfezione da quanto ero scossa. Le gambe mi tremavano così forte che sembrava
quasi di non averle. Continui brividi salivano sulle mie braccia. “Sei sicura di sentirti bene? Sei così pallida…” notò
Shuya, con fare paterno, accarezzandomi la guancia destra “Sono solo le tre… se
arriviamo in stazione in orario possiamo tornare a Tokyo per le sei…” “Non è che questo caso di Kayako Fukamoto ti sta impaurendo
un po’ troppo? Non ne hai abbastanza?”
“No…visto che non abbiamo scoperto quasi nulla”
“Ma siamo quasi vicini alla verità”
“No..Shuya… è vero, qui a Kobe abbiamo scoperto
diverse cose che ci potrebbero avvicinare alla verità, ma restano ancora troppi
punti irrisolti: chi ha portato il cadavere di Kayako in casa mia e perché?
Perché per uno scherzo del destino la mia famiglia è andata ad abitare proprio
in quella casa? E la foto? Mi sto domandando se il fatto che ci fosse quella
foto in soffitta premeditasse il fatto che avrei dovuto trovarla…”
“Ma di che stai parlando?”
“Non lo so…non lo so neanche io…penso che la foto che era in soffitta non si
trovasse lì per caso, penso che qualcuno l’abbia messa
lì di sua spontanea volontà perché io la trovassi… tu che hai abitato in quella
casa per qualche tempo non hai mai notato la presenza di una fotografia in
soffitta?”
“No…”
“Ecco, vedi?”
“Ma chi può averla messa, scusa?” “L’assassino di Kayako, ovvio. Ma io
mi chiedo…perché casa mia”
“Chi vi ha venduto la casa?” “Non lo so…sono stati i miei a comprarla, senza dirmi nulla…
non ho conosciuto l’agente immobiliare, non l’ho mai visto. Io ho solo
visto la casa vuota quando i miei l’avevano appena comprata.”
“Che strano…”
“Già…evidentemente non valgo poi molto nelle scelte di famiglia”
Mi abbracciò senza dir nulla. Con la guancia posata sul davanti della sua
giacca nera riuscivo a sentire il suo cuore battere forte e rimbombarmi nelle orecchio. Mi pareva quasi che il suono provenisse
dalla mia stessa testa.
Alzai gli occhi e incrociai il suo sguardo. Le sue labbra
timidamente sfiorarono le mie e poi esplosero in un bacio dai mille colori. In
quel piccolo, futile, istante sembrava quasi che tutte le
preoccupazioni e le paura scivolassero via in un solo momento.
Scivolassero via dalla pelle, come pioggia.
Gli misi le braccia intorno al collo e socchiusi gli occhi.
Avevo provato l’amore e mi piaceva da morire. In quell’istante non mi importò
minimamente più nulla di Kayako, né del parto di Sakaya né del cadavere in casa
mia. Sembrava quasi che la mia vita si fosse perfezionata in un secondo.
Mi staccai da quel sogno e sussurrai al suo orecchio
“Andiamo a Tokyo”.
E le cinque ore di viaggio scorsero come fiumi in piena.
Scendemmo dal treno che erano quasi le sei. Si sentiva già
un’aurea da crepuscolo. Sul cielo affilate dita arancioni e rosa strappavano
quelle nuvole candide che per tutta una giornata accompagnarono i miei terrori.
Eravamo di nuovo a Tokyo.
Frotte di ragazzine in divisa scolastica invadevano il centro con borse e
borsette: probabilmente si erano dedicate ad un po’ di shopping insieme dopo
l’orario scolastico. Impiegati in giacca e cravatta tornavano a casa dalle loro
mogliettine, che aspettano in ansia e preparano tempura e sushi. Il cane che
scodinzola sull’uscio. Bambini delle elementari intenti a giocare con la
fontana del parco pubblico.
Solo nel momento in cui scesi dal treno e vidi quelle scene
capii quanto avrei voluto una vita normale, forse troppo banale, ma sicuramente
più gradita. Mi accorsi di quanto si potesse nascondersi dietro la banalità
delle cose. Di quanta bellezza ci potesse essere nel mondo.
Camminai fino a casa, con Shuya appresso. Tremavo, tremavo
per quella cosache avrei visto in soffitta.
La chiave schioccò nella serratura e il mio cuore cominciò a battere
freneticamente, come una pompa. Mi domandavo se fossi ancora viva.
Entrammo, a passi lenti.
Senza mia madre e mio padre la mia casa serena sembrava quasi spettrale. La
porta si chiuse dietro Shuya. Abbandonai lo zaino sull’ingresso e invitai Shuya
a togliersi la giacca e ad appenderla sull’attaccapanni.
“Sei pronta?” mi chiese.
Lo guardai e non risposi. Non sapevo cosa dire. La paura non riusciva nemmeno a
farmi parlare, mi ingoiava le parole che volevo espellere. Dopo essermi tolta
le scarpe, corsi in cucina a versarmi un bicchiere di the freddo.
Shuya mi raggiunse dubbioso “Non vuoi?”.
Quella frase fece scoppiare in me una criptica ilarità.
Appariva quasi come un doppiosenso erotico.
“Prima devo fare una cosa” dissi io. Ricordandomi di aver
inserito la fotografia spiegazzata di quell’uomo nella tasca dei pantaloni. Mi
riportava tremendamente qualcuno che avevo già visto nel mio album di famiglia.
In una sola mossa, mi appropriai del the freddo al limone che avevo versato
nell’alto e stretto bicchiere di vetro. Lo portai alla bocca e lo ingurgitai,
deglutendo.
“Ne vuoi un po’ anche tu?” chiesi a Shuya “Serviti…” dissi,
mentre mi stavo per dirigere verso il salotto, dov’erano conservati gli album
di famiglia.
“Tu dove vai, ora?”
“A vedere una cosa… tu bevi del the…poi proviamo a salire in soffitta”
Annuì, mentre io mi nascondevo, accovacciata, dietro il
divano bianco aprendo il primo album che mi capitò sottomano. Lo sfogliai
ferocemente e con velocità, quasi come se fossi affetta da isterismo.
Pagina dopo pagina. Io sorridente da piccola, mia mamma che
mi abbracciava, io alle elementari vestita in kimono colorato alla festa dei
ciliegi, mia madre e mio padre che si baciano da giovani. Ricordi, ricordi,
ricor…all’improvviso l’album mi cadde dalle mani e finì su una pagina ben
definita, che mi sconvolse. Presi l’album e mi alzai in piedi, fissa su quella
foto inquietante. Uno scatto identico a quello che avevo trovato in camera di
Kayako. Questa volta però il viso era completo. Ancora sconvolta, lasciai
cadere a terra l’album e iniziai ad annaspare dal terrore.
Sentii Shuya appoggiare il bicchiere sul tavolo della
cucina, forse si stava versando del the. Cercai di pensare a lui, ma il pensiero
di ciò che avevo appena visto mi formò un groppo in gola.
All’improvviso sentii qualcosa che gracchiava verso destra.
Mi voltai, dunque, verso la finestra e vidi chiaramente una mano che dall’alto
si appoggiava al vetro, strisciando le unghie sulla superficie trasparente. E
fu in quel momento che qualcosa mi colpì alla testa, qualcosa di pesante come
una mazza da baseball. E caddi inevitabilmente a terra.