Nictofilia

di La sposa di Ade
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Paura ***
Capitolo 2: *** Bestie ***
Capitolo 3: *** Convalescenza ***
Capitolo 4: *** Cacciatori ***
Capitolo 5: *** Falena ***
Capitolo 6: *** Epilogo. Inizio ***



Capitolo 1
*** Prologo. Paura ***


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Non sarà il Tempo
a cancellare il Patto
già suggellato,

non sarà il Tempo
a tagliare il filo
che a te mi lega,

non sarà il Tempo
a salvare il principe
dalle tenebre,

non sarà il Tempo.
Troppo breve è la vita
con il suo inganno.

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Prologo. Paura

Periferia di Kovir. 1410 Dicembre

Il lontananza risuonò un lungo e straziante ululato, seguito immediatamente da altri, nel silenzio parevano canti funebri.
Sembrava che un branco di lupi si stesse preparando per la caccia, tuttavia, il vento e la neve rendevano impossibile capire se il branco fosse a una distanza sufficiente da fiutarli e considerare la piccola casetta ai margini del villaggio e i suoi abitanti come prede o se si stessero concentrando su altro.
Ma l'inverno era particolarmente rigido e perfino i lupi facevano fatica a trovare il giusto sostentamento. Quella volta si avvicinarono pericolosamente agli umani ai margini del villaggio.
Figure scure e scheletriche si approssimarono lentamente alle abitazioni, fiutando e sbavando sulla neve; il caldo odore degli umani era irresistibile per le creature affamate.
Una giovane donna uscì dalla sua casa, portava tra le mani un secchio vuoto.
Ancora prima di poter vedere il pozzo, seminascosto tra le fronde spoglie degli alberi, sentì dei movimenti nella neve, accompagnati da respiri pesanti. Cercò di non farci caso, convincendosi da sola che il Patto che avevano stipulato con il signore sulla collina li avrebbe protetti da qualsiasi male.
Si avviò a passo svelto in mezzo alla neve, per quanto la neve alta le permettesse di muoversi velocemente; affondava infatti a ogni passo fino al polpaccio e, nonostante il freddo, iniziò a sudare, complice anche l'ansia che l'attanagliava.
Arrivò al pozzo con il fiatone e mentre legava la fune al secchio sentì di nuovo quel respiro pesante, accompagnato da un leggero ringhio, questa volta molto più vicino di prima. Abbassò lo sguardo e lì, proprio affianco al pozzo, appena nascosto dalle erbacce vide una sagoma scura, con un paio di occhi ambrati che sembravano rilucere nella penombra del crepuscolo.
Passò un attimo, in cui rimase immobile a fissare le fauci socchiuse e ringhianti del lupo nero, terrorizzata da quella bestia feroce e affamata. Poi l'adrenalina iniziò a pomparle nel corpo e, appena prima che il lupo balzò in avanti con un ringhio feroce, riuscì a voltarsi e iniziare a correre, lasciando che il secchio cadesse nelle profondità del pozzo con un tonfo sordo.
Non si era accorta che c'era un'altra mezza dozzina di lupi nascosti poco lontani; uno di questi durante la corsa riuscì a darle una zampata alla caviglia e a farla sbilanciare, ma non a cadere. La ragazza continuò a correre, senza avere il coraggio di voltarsi a guardare, ma con gli occhi ben puntati sulla porta di casa ancora socchiusa da cui fuoriusciva una tenue luce accogliente e sicura.
Nella sua corsa folle gemeva e urlava, mentre le lacrime le correvano calde sulle guance ghiacciate.
In un attimo di vaga lucidità pensò che quei versi erano imbarazzanti.
Ma non riusciva a smettere. Orrore animalesco. Matta disperazione. Il gemito che fanno i morti all’inferno.
Alle sue spalle i latrati dei lupi continuavano a perseguitarla.
Il vento gelido le artigliava i capelli, ruggiva nelle orecchie, fischiava tra i denti insieme al suo respiro terrorizzato.
La spinta data dall'adrenalina però si esaurì presto e la fatica iniziò a premerle sul petto, la sua corsa rallentò e i muscoli iniziarono a bruciare, fino a che non inciampò nei suoi stessi piedi e non finì lunga distesa nella neve.
Adesso era la paura a tenerla stretta, aumentando a ogni respiro mozzo. Non riusciva a muovere la testa, non riusciva a muovere la lingua in bocca. Riusciva ad avvertire il terrore, che le rosicchiava ai confini della mente: una massa terribile di paura, che le premeva addosso, schiacciandola da ogni parte, sempre peggio, e poi peggio, e poi peggio.
In quel momento temette seriamente di morire, poiché i muscoli le tremavano e riusciva a malapena a respirare.
All'improvviso avvertì un peso sulla sua schiena, e la sua mente, convinta di essere già tra le fauci del predatore, si spense completamente.

Sentite le urla e i ringhi dei lupi, il padre della fanciulla uscì di casa in tutta fretta; giusto in tempo per vedere il corpo esanime della figlia nascosto sotto la carcassa di un lupo nero, il cui pelo ispido era lucido per il sangue. Nel momento in cui raggiunse la figlia, febbricitante e svenuta, la liberò dal peso della belva e si osservò intorno; altri lupi giacevano morti intorno a loro, con grandi chiazze di sangue che si espandevano velocemente nella neve candida. Intorno solo in candore e la piattezza della neve. Nessuna figura, nessuna impronta forniva il minimo indizio di ciò che era realmente successo, tuttavia l'uomo non ne aveva alcun bisogno per intuirlo.
Nello stringere la figlia tra le braccia e a sentire il battito del suo cuore si trovò a ringraziare sinceramente, per la prima volta, il Patto e la creatura con cui l'avevano stipulato.


Steppa, poco oltre i Monti Neri. 1410 Dicembre

La carovana arrancava nella neve e nel ghiaccio da giorni, al loro interno, donne e bambini si stringevano gli uni alle altre. Era un inverno freddo, gelido, forse il peggiore che i più giovani di loro avessero mai vissuto.
La compagnia di Gitani avanzava da giorni in cerca di un villaggio ospitale, dopo aver vagato inutilmente da un villaggio all'altro avevano dovuto superare i Monti Neri e, nonostante il disaccordo di alcuni, dirigersi a sud, verso Kovir.
Non era la prima volta che si fermavano in quel piccolo villaggio, tuttavia non vi avevano speso mai troppo tempo; sapevano delle storie che giravano in quel luogo, dell'oscuro individuo che era sia tiranno che protettore dei suoi abitanti, il tutto era alimentato da varie leggende ed usanze. Veniva chiamato in molti modi, pochissimi dei quali li facevano apparire come una persona qualsiasi. Lumpirovic era uno dei tanti modi in cui lo chiamavano.
La ragazza sobbalzò, scontrando le spalle contro il legno aspro della carovana, l'impulso di tossire la scosse dal suo lieve sonno; l'aria che si respirava nella carovana era diventata pesante e umida.
Prese tra le mani i teli che la coprivano e si sporse fuori, il vento gelido le accarezzò le guance, facendogliele imporporare quasi immediatamente. Ispirò l'aria fresca e frizzante, sentendosi subito più sveglia.
“Padre.” Una figura scura poco più avanti si voltò.
“Selene, prenderai freddo così, torna dentro.” Il volto altrimenti severo del capo della compagnia si addolcì. L'uomo rallentò il passo per avvicinarsi alla figlia.
“Manca ancora molto al villaggio di Rugen?” Nonostante tutto aveva dormito parecchio, anche se le pareva che fosse passato davvero poco tempo da quando si era assopita ma, evidentemente, non era così.

"Il villaggio di Rugen ci ha rifiutato, hanno detto che non sono in grado di sostenere se stessi e alte persone in un inverno così freddo.”
“Quindi, dove stiamo andando adesso?” Si guardò intorno; sommersi dalla neve riusciva a distinguere le palizzate che dovevano delimitare dei campi un tempo coltivabili. Ovunque stessero andando, non doveva mancare molto.
“Più a sud, speriamo di trovare accoglienza a Kovir.” La ragazza fece finta di nulla, ma notò benissimo alcuni sguardi contrariati da parte degli altri uomini che camminavano al loro fianco. Suo padre, tuttavia, non sembrò dello stesso avviso. “Molti uomini sono contrari a questa decisione, ma è l'unico posto che potrebbe accettarci, in queste condizioni. E lo sanno anche loro, tuttavia non posso biasimarli.” Nei suoi occhi la ragazza scorse un velo di preoccupazione e disagio.
“Perché?”
“Ci sono alcune storie riguardante quel villaggio, non so se ricordi cosa usava raccontarti tuo nonno.”
“Nonno mi raccontava tante cose, molte le ho dimenticate.” Dal cielo iniziarono a cadere grossi e candidi fiocchi di neve; la ragazza sollevò lo sguardo, mentre dalle sue labbra si sprigionò un po' di vapore. Iniziava a sentire il gelo, e forse non era solo il fatto che stesse rimanendo al freddo solo per conversare con suo padre, ma pareva che avessero appena superato le montagne e che quindi il vento freddo, non più bloccato da quelle mura naturali, avesse preso il pieno dominio del luogo.
“Torna dentro, figliola, non vorrei che ti ammalassi.” E lei, vagamente riluttante, si rifugiò di nuovo nel tepore accogliente e pesante della carovana, tentando di ricordare le storie che le erano state raccontate anni addietro.

La prima cosa che videro, ancora prima delle abitazioni e delle persone, fu una grossa macchia di sangue sulla candida neve.
La maggior parte degli uomini sputò a terra, nel tentativo di allontanare la cattiva sorte, altri si lamentarono, alti ancora iniziarono a gemere, rischiando di mettersi a piangere. Dijkstra, il padre della fanciulla, imprecò solamente, riprendendo a tirare il cavallo con le provviste, aggirando attentamente la macchia di sangue, e ringraziando mentalmente che sua figlia fosse tornata dentro a dormire.
Dijkstra non era credente, eppure, forse per la prima volta in vita sua, si trovò a pregare. Forse avviarsi verso Kovir non era stata l'idea migliore, ma avevano forse alternative?

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Capitolo 2
*** Bestie ***


Bestie

Villaggio di Glokta, 1411 Gennaio

Un brutto uomo con il cranio rasato segnato da una lunga cicatrice scoccò un'occhiata eloquente al suo compare, che non aveva un aspetto tanto diverso dal suo. In quell'istante iniziarono a muoversi, seguendo a debita distanza la loro preda.
Sapevano a cosa stavano andando incontro, per questo si erano ben attrezzati, nascondendo quante più armi possibili addosso e seguendo il loro obbiettivo solo quando si trovavano controvento.
I due, che erano effettivamente fratelli, si avvicinavano sempre di più all'uomo, fino a che, all'imbocco di un vicolo, non lo persero di vista.
Si misero all'erta, ben consapevoli dei percoli in cui sarebbero potuti incorrere. Il problema di cacciare vampiri era che spesso, chi rimaneva indietro, veniva ucciso brutalmente. I cacciatori avevano imparato che i vampiri preferivano evitare gli scontri aperti e colpire dall'ombra, tuttavia non era facile attirarli, né non cadere nelle loro trappole insidiose.
I loro passi strisciavano nella neve, il vicolo era deserto.
Il più giovane e sconsiderato dei cacciatori abbandonò la posizione e, girando su se stesso alzò la voce, istigando la loro preda a venire fuori.
Sbucò come dal nulla, ancora prima che i suoi compagni potessero rimproverarlo, una figura ammantata dalle tenebre si avventò sul ragazzo, affondando con estrema precisione i canini affilati nel suo collo. Uno spruzzo vermiglio colorò la parete del vicolo, e il giovane cacciatore cadde a terra, privo di vita. Non aveva attaccato mosso dalla rabbia, non era stato istigato. Il vampiro, i cui occhi rilucevano nell'oscurità, si stava prendendo gioco dei cacciatori, dimostrando loro di non avere nessuna paura.
Tuttavia anche i cacciatori avevano esperienza e, passato lo spavento iniziale, tutto ciò che provarono fu una scarica di adrenalina. La paura non era contemplata.
Uno dei cacciatori era rimasto all'imbocco del vicolo e, con uno scatto, si avventò sulla schiena del vampiro. Il quale però, avendo percepito la sua presenza, spalancò le ali membranose scagliandolo contro il muro. La testa del cacciatore sbatté con forza contro la parete del vicolo con un suono raccapricciante, il suo corpo inerme scivolò verso terra, lasciando dietro di sé una scia vermiglia.
Gli altri cacciatori approfittarono di quel momento per colpire. Uno di essi sollevò la balestra e scoccò verso la creatura; il dardo si conficcò in profondità nella carne. Lo stesso fece un altro, centrando il bersaglio indebolito.
Sentirono il suo ruggito, e solo allora provarono un brivido di paura. Non si fecero scoraggiare, continuarono a bersagliarlo e a colpirlo, indebolendolo sempre di più.
Il vampiro riuscì ad uccidere un altro di loro prima di cadere in ginocchio, stremato e sanguinante.
C'erano riusciti; intorno a loro giacevano tre cadaveri, ma il vampiro era bloccato, circondato dai cacciatori con ancora le armi alle mani.

Chi è il tuo padrone?” La creatura sembrò rantolare, ringhiare nella loro direzione, prima di parlare.
Io non ho padrone!”
“Chi ti ha creato?”Il vampiro ringhiò loro contro, mostrando i canini affilati e ancora macchiati di sangue, gli occhi illuminati da un bagliore ferale.
La lama di un cacciatore si avvicinò pericolosamente alla sua gola. “Parla!”

Lui è il principe delle tenebre, se credete che possa temere dei miseri umani come voi...”
La Bestia di Kovir.” L'uomo con il cranio rasato e segnato dalla cicatrice disse quel nome a mezza voce, temendo di aver indovinato.
Vi strapperà la carne di dosso e brinderà bevendo il vostro sangue usando i vostri teschi come calici!”
Uno dei cacciatori arretrò, ricordando le storie che aveva sentito su quell'individuo. Esisteva nelle leggende una bestia assetata di sangue, che sottometteva e decimava interi villaggi, nell'ultimo secolo dicevano che si fosse spostato, appunto, a Kovir. Da lì derivava il macabro soprannome. Tuttavia erano in molti a conoscerlo con altrettanti orribili titoli.
E ormai era impossibile distinguere il reale dalla finzione.
L'uomo dal cranio rasato impugnò saldamente la sua arma in legno, caricando il colpo letale da infliggere al vampiro, non voleva più saperne di lui.

Se è la morte che inseguite, allora andate a Kovir, lì la troverete di sicuro.” Il cacciatore ebbe un attimo di esitazione, sorpreso del fatto che, fino alla fine, quel vampiro non sembrasse temere loro o il cupo destino che si stava per abbattere su di lui, forse convinto che la loro esistenza non sarebbe durata molto più della sua.
Terminò tutto in fretta; il paletto in legno si piantò a fondo nella carne, raggiungendo il cuore del vampiro, che si dimenò per pochi attimi, avvolto dal dolore, prima di giacere inerte.
In pochi istanti tutto ciò che rimase di quella notte di caccia furono tre cadaveri e un mucchio di ossa bianche e polvere.

Il gruppo di cacciatori si riattivò immediatamente, dei sette iniziali ne erano rimasti solo quattro ma sarebbero bastati per la caccia successiva. Erano riusciti a recuperare tutte le armi.
Si erano preparati e avevano studiato un piano d'attacco meno approssimativo e più efficace.
L'uomo dal cranio rasato osservò il suo compagno affilare i paletti; i trucioli di legno cadevano ai suoi piedi con ritmicità snervante. Stava facendo un lavoro perfetto.
La notte era ancor lunga e la caccia era appena cominciata. O almeno era quello che credevano.


Villaggio di Kovir, 1411 Gennaio

I colpi risuonarono nell'immenso castello, distogliendo il vampiro dal suo isolamento. Era da molto che non riceveva visite che non fossero quelle richieste dal Patto.
Si sollevò con indolenza dal suo scranno, diretto alla porta principale, il sangue di cui si era nutrito da poco circolava ancora con forza nel suo corpo, dandogli una vaga sensazione di ubriachezza.
Socchiuse la porta, vagamente sorpreso del fatto di non trovarci nessuno.
L'istinto agì prima ancora che la sua mente potesse registrare la loro presenza; un paletto sfrecciò con un sibilo nell'aria, diretto verso di lui, il vampiro si mosse fulmineo, afferrando con forza l'arma a pochi centimetri dal suo petto. Ringhiò con rabbia, cercando con lo sguardo tra i cupi arbusti che circondavano il suo castello le sagome di chi lo aveva appena attaccato.
Sentì il legno incrinarsi nella stretta della sua mano, mentre scorgeva un drappo di tessuto impigliato in un rovo.
Si mosse veloce, in silenzio. Si avvicinò al cespuglio troppo cresciuto e scorse le mani di un umano tremare mentre tentava di ricaricare la balestra. Quando questo si alzò e si ritrovò la sua stessa preda ad attenderlo non fece neanche in tempo ad urlare. Sul suo collo di aprì una linea scarlatta, poi cadde a terra, privo di vita.
Intravide, in lontananza, il restante gruppo di quelli che dovevano essere cacciatori correre giù lungo la collina, diretti verso il villaggio.
Un moto di rabbia si propagò nel suo corpo, la furia scorreva come sangue dentro di lui. La delusione era minima, si era aspettato diverse volte che gli umani rompessero il Patto, non era sorpreso di vedere realizzato il tradimento.
Acquistata la sua forma bestiale si addentrò nella cittadella, furioso, in cerca di sangue; la sete era divampata furiosa, insieme a una smania feroce, un istinto bestiale che scavalcava la ragione, purissima rabbia. Si muoveva per uccidere, per mostrare le conseguenze che poteva avere far infuriare un vampiro.
Anche se sarebbe stato ragionevole, sensato, restare chiusi nella propria dimora, lontano dalla luce solare e ben protetto dalla sua stessa oscurità, obbligandosi ad ignorare l'attacco appena subito, perché sarebbe stato più comodo così. Non curandosi del corpo del cacciatore che, aveva bussato alla sua porta, con, probabilmente, il nobilissimo intento di liberare il villaggio dal mostro succhiasangue che lo dominava e che ora giaceva morto all'ingresso.
Ma il vento, che quella notte ululava ferocemente, aveva trasportato odori troppo dolci e invitanti per essere ignorati. Si era quindi ammantato dell'ultima oscurità che la notte morente gli stava offrendo e, in un moto di follia, si era lanciato nella sua forma bestiale verso la città, sulle tracce del sangue più prelibato che i suoi sensi avessero mai percepito, insieme con la necessità di sfogare la frustrazione che lo aveva colto.
Il Patto era stato stabile per diversi secoli; ogni mese il villaggio doveva mandare al castello una preda, una vittima che saziasse il vampiro, in cambio della promessa di mantenere il villaggio al sicuro e di non attaccare gli abitanti dello stesso.
Mandare dei cacciatori era stato il loro ultimo errore.
Ali nere e membranose sferzavano l'aria gelida, mentre i suoi occhi rossi riflettevano l'immagine del villaggio che si avvicinava a ogni battito d'ali.
Atterrò silenziosamente accanto a una piccola casupola ricoperta di neve, le cui finestre erano illuminate dalla tenue luce delle lanterne. All'interno notò i movimenti delle persone intente a prepararsi per il raccolto mattutino, il loro calore corporeo e la loro energia, il loro sangue.
Sangue caldo, giovane.
Semplice sangue.
La bestia sorrise feroce.

Si avventò su di loro con ferocia animale; strappando e lacerando carne e muscoli, bevendo grandi sorsate di liquido vitale con una smania che non era dettata dalla sete, quanto dalla rabbia. Nessuno venne risparmiato dalla furia del vampiro. I corpi cadevano uno dopo l'altro, il loro sangue bagnava le pareti e le loro grida venivano subito zittite dalla furia della bestia. Alla fine quattro cadaveri giacevano ai suoi piedi, bagnati dal loro stesso sangue.
Finalmente il suo animo iniziò a quietarsi e la rabbia a svanire; non c'era rimorso per quello che aveva appena fatto, solo la vaga soddisfazione di poter manifestare la sua vera natura dopo averla repressa per così tanto tempo.
A distruggere quel momento di ebbra soddisfazione fu uno schiocco, succeduto immediatamente da un dolore intenso all'altezza del petto. Nell'istante in cui i suoi occhi impiegarono ad abbassarsi, il suono si ripeté, e allo stesso modo il dolore, che si fece però ancora più intenso e soffocante. Dal suo petto spuntavano ora due paletti affilati e sporchi del suo stesso sangue. La sorpresa si unì alla rabbia, per poi trasformarsi in una massa di pressante dolore misto a furia.
Con un ringhio feroce si voltò, ignorando la debolezza che si stava impossessando dei suoi arti, osservando i tre cacciatori armati di balestre e paletti puntare nuovamente le loro armi contro di lui.
Non impiegò molto a capire di essere in netto svantaggio; che quelle armi avrebbero potuto ucciderlo facilmente se solo quegli uomini avessero avuto una mira migliore.
Con rinnovata rabbia, alimentata dall'intenso dolore, si lanciò in mezzo ai cacciatori e attraverso la porta; spalancando le nere ali membranose verso la luna, nel tentativo di allontanarsi il più possibile da quella fonte di pericolo mortale. Un altro paletto venne scoccato dalla balestra, questo gli sibilò accanto, spronandolo ad allontanarsi più di quanto il suo corpo ferito fosse in grado di fare in quelle condizioni.


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Capitolo 3
*** Convalescenza ***


Convalescenza

Villaggio di Kovir, 1411 Gennaio

Aveva volato fino ai margini del villaggio, portandosi laddove c'era un manto di neve intervallato da pochissime casupole, e poi ancora oltre, dove il bianco regnava sovrano. Tornare al castello sarebbe stata la cosa più stupida da fare, visto che probabilmente era proprio ciò che si aspettavano i cacciatori.
Si abbassò di quota, sfiorando prima le punte degli alberi scheletrici con le punte delle ali, fino a planare a fatica in uno spiazzo di neve intatta. Atterrò malamente, sporcando di sangue la neve. Evidentemente le ferite erano più gravi di quanto avesse immaginato, il legno con cui l'avevano colpito doveva essersi rotto, e le schegge continuavano a peggiorare la situazione delle ferite. Respirava a fatica e sentiva l'energia scivolare via quando all'improvviso, in mezzo alla neve, avvolta in un abito candido come la neve stessa, la sagoma di fanciulla sembrò delinearsi in mezzo al vento e alla grigia penombra dell'alba. Gitana. Pensò Logen non troppo sorpreso. Neanche il gelo riesce a piegarli. Conosceva quella comunità nomade; tempo addietro avevano chiesto ospitalità al villaggio e, non essendo mai stati un pericolo né un fastidio, erano stati ben accolti nella comunità. Le loro strane usanze e metodi, tuttavia, erano rimasti invariati nel tempo. Si stava avvicinando a passo lento, i suoi occhi tradivano una genuina curiosità, a malapena velati dal timore. Logen, stordito dal dolore e dalla rabbia, ringhiò, rendendosi conto di essere in una situazione svantaggiosa. Ferito e sanguinante, non sarebbe sopravvissuto ad un altro attacco.
La ragazza continuava ad avvicinarsi imperterrita, i piedi nudi che lasciavano orme perfette nella neve, lui pensò che avrebbe dovuto ucciderla adesso che era ancora in grado di farlo, per evitare qualsiasi rischio.
“Hai bisogno di aiuto.” Il vampiro sollevò ancora lo sguardo, le gambe e i piedi nudi della fanciulla si erano avvicinati ancora, eppure tutto pareva iniziare ad oscurarsi, i contorni si fecero indistinti e i suoni lontani, la voce della ragazza ora pareva provenire da un luogo lontano, buio...

Ricordava il dolore acuto al petto e alla schiena, come se stesse per spezzarsi in mille pezzi dall'interno, mentre la fanciulla estraeva con perizia i legni dalla sua carne. Ricordava il calore del suo stesso sangue correre lungo i suoi fianchi e inondargli la bocca.
Poi la freschezza della neve sulle ferite che, come un balsamo, attenuava il dolore, e le bende che si stringevano saldamente attorno al suo corpo. E infine sentì la sua voce, che pareva un sussurro nel vento.

Ora starai meglio. Sei stato fortunato, hanno evitato gli organi importanti, ma le ferite sono comunque piuttosto brutte.” Non era del tutto esatto; i cacciatori avevano avuto un'ottima mira e uno di loro doveva aver colpito un polmone, tuttavia era stato davvero fortunato a non rimetterci la vita.
Si sforzò di sollevare le palpebre e di osservare attraverso la patina di dolore il volto della persona che l'aveva aiutato. La stessa ragazza che camminava scalza nella neve, la stessa che avrebbe dovuto dissanguare appena l'aveva vista per guarire le ferite più velocemente e che, tuttavia, era ancora viva. E lo stava osservando con quello stesso sguardo di ingenua curiosità.
Provò a parlare, ma il sangue gli invase di nuovo la bocca e un rivolo di sangue corse lungo la sua mascella. “No, non sforzarti, le ferite sono gravi, dovrai stare a letto per un po'.” Sospirò pesantemente, rendendosi conto di non aver più recuperato la forma umana.
Tra lo sguardo, per la prima volta, sconvolto della ragazza e scricchiolii di ossa che si rompevano e si rinsaldavano velocemente, in un processo ormai del tutto automatico e indolore, la sua visione iniziò a farsi più chiara, il volto gentile della ragazza si delineò nella semioscurità del crepuscolo. Il dolore scemò appena, dandogli la lucidità di mettere in fila qualche parola in più.

Non dovresti stare qui.” Tra sangue e dolore, ciò che disse parve un sussurro indistinto, ma la ragazza sembrò capire comunque.
“Per quale motivo?” Nonostante tutto il volto della ragazza non aveva tradito neanche per un attimo un minimo accenno di paura.
“Non sai chi sono? Non l'hai capito?” Cercò di mettersi almeno seduto, puntellandosi con i gomiti sul giaciglio di paglia improvvisato, ma rinunciò dopo poco; il dolore gli impediva di muoversi liberamente.
“Sei un uomo ferito, e non c'è altro da sapere. Hai bisogno di cure.” Lui sembrò trattenere una risata, ma non c'era alcun divertimento in quel suono aspro. A poco era servito il suo tentativo di evitare ogni contatto umano.

Perché ridi?”
“Non sono un uomo.” I suoi occhi si fecero mortalmente seri, era indubbio che la ragazza non avesse capito chi lui fosse. Rimaneva ignoto il perché del suo comportamento.
A quell'affermazione le guance della ragazza si imporporarono appena.
“Ancora non vedo nessun motivo per cui dovrei negarti il mio aiuto.” Si voltò, armeggiando con gli stracci sporchi che aveva usato per tamponare le ferite.

Perché ho bisogno di sangue. E un vampiro affamato è pericoloso, soprattutto se in compagnia di una bella fanciulla.” La ragazza si bloccò, un pezzo di legno stretto in mano sospeso all'altezza del suo petto. All'improvviso le cose iniziarono a chiarirsi.
Allora non mi sbagliavo, sei un Lumpirovic.” Osservò la grossa scheggia di legno che aveva ancora in mano iniziando a percepire una sgradevole sensazione di pericolo.
“Difficile sbagliarsi.” Gli occhi del vampiro si colorarono di un bagliore vermiglio, catturando lo sguardo della ragazza, il cui volto parve distendersi e gli occhi velarsi appena, fissi in un punto lontano.

Beh, se è di sangue che hai bisogno... posso offrirti questo.” Detto questo, allungò il braccio verso di lui, dalla sua mano pendeva inerte il corpicino della lepre. Logen sospirò pesantemente, non riuscendo a ricordare quando mai si fosse abbassato a tanto. Tuttavia non aveva scelta, o si sarebbe accontentato o sarebbe morto. Aveva pensato di nutrirsi della ragazza, ma ucciderla non sarebbe stato conveniente, aveva bisogno di lei adesso; non poteva rimanere indifeso in territorio estraneo. Allo stesso modo non poteva non trasformarla mordendola, creare altri esseri come lui era l'ultima cosa che desiderava. Fu la prima volta che accadde una cosa del genere, e il vampiro riuscì a osservare attentamente ogni cambiamento dell'atteggiamento della ragazza mentre lui si nutriva di quel piccolo animale, quasi fosse lei stessa la preda.
I canini affondarono con forza nella carne tenera del collo e il sangue iniziò a defluire in fretta nella sua bocca, caldo e insapore.
In quel momento colse ogni cambiamento; il sangue che defluendo dal suo volto all'improvviso le donava un colorito cadaverico e il battito accelerato della ragazza che riempiva l'aere, la sua vena sul collo che pulsava velocemente, la tensione dei suoi muscoli. Tutti aspetti tremendamente umani ma assolutamente interessanti, in quel momento.
Bere il sangue per quelli come lui era un po' come consumare una violenta passione, come riportare in vita un corpo morto; totalizzante e allo stesso tempo mortalmente stancante. Si staccò dalla vena con il respiro pesante e la necessità di sdraiarsi di nuovo e stare fermo, per gustarsi quella sensazione che, per quante volte la provasse, paresse non riuscire mai a farci l'abitudine.

Va meglio?”

La ragazza si coricò in un giaciglio improvvisato costituito da coperte ripiegate più volte, impilate le une sulle altre, tranquilla anche nella consapevolezza di avere a pochi passi una creatura della notte. Cieca della convinzione di non correre nessun rischio.
L'aroma speziato del sangue sembrava aver invaso la tenda, ancora inebriante per il vampiro che socchiuse gli occhi assaporando quel dolce aroma che lo avvolgeva, trovandosi a desiderarne ancora, non tanto per la necessità di nutrirsi quanto per il capriccio di gustare ancora il calore della carne e del sangue.
Passò qualche giorno e la fanciulla era tranquilla e si occupava di lui come se fosse una persona qualsiasi; cosa di cui il vampiro si stupì. Ospitare una creatura pericolosa non doveva essere il migliore dei passatempi, ma la ragazza sembrava averla presa piuttosto bene.
Logen rimase sempre nascosto in quella stessa capanna, ascoltando attentamente ciò che il vento gli portava; stralci di conversazioni e passi frenetici, troppo poco perché lui potesse capire come si fosse evoluta la situazione.
La ragazza entrò velocemente nella tenda, con tra le braccia un secchio d'acqua e delle bende pulite.
In quel momento il vampiro si accorse di non conoscere il suo nome, non che provasse alcun interesse o rispetto per gli umani, ma pensò che conoscere il nome della persona che lo stava salvando sarebbe stato quantomeno sensato.
“Qual'è il tuo nome?” La ragazza si voltò, osservandolo con un'espressione vagamente sorpresa.
“Mi chiamo Selene.” Fece una pausa, in cui rimase a fissare per qualche istante il volto affilato e immobile del vampiro. “Immagino tu non voglia dirmi il tuo nome, vero?” Logen non rispose.

Trascinarono i piedi nella neve mentre si dirigevano circospetti verso il cupo castello in cima alla collina. Uno di loro non era tornato, l'esca aveva funzionato.
Si aggirarono nell'area circostante, certi di essere al sicuro. Avrebbero trovato le tracce del loro compagno -o della loro preda- e avrebbero seguito la pista. Ma quello che trovarono fu solo il cadavere sgozzato, riverso nella pozza del suo stesso sangue, del più giovane di loro, eppure erano certi che il vampiro sarebbe tornato al castello per nascondersi dopo tutti quegli avvenimenti.
“La situazione ci sta sfuggendo di mano.” Uno dei cacciatori si chinò sul compagno morto, come a volerlo salutare, ma le sue mani corsero subito alle armi legate alla cintura del cadavere, tanto a lui non servivano più, no?

Siamo riusciti a ferirlo, non deve essere andato troppo lontano.” Osservò con occhio critico la macabra scena che si era presentata loro, chiedendosi se tutti loro avrebbero fatto la stessa fine.
“Già, scommetto che è ancora in questo villaggio.” Nonostante il timore e l'aura di morte che sembrava aleggiare in quel luogo tutti fremevano nel desiderio di vendetta.

Prendiamolo adesso che è debole.”

Quel giorno Logen sentì chiaramente un forte trambusto poco lontano, urla e insulti. Quando la ragazza entrò nella tenda era scossa.
Ci sono novità?” Era la prima volta che Logen mostrava dell'interesse per il mondo che pareva trovarsi al di fuori di quell'abitazione improvvisata. Selene tentennò qualche istante, chiedendosi se fosse il caso di informarlo di certi fatti.
Beh, c'è un castello sulla collina,” Quelle parole attirarono l'attenzione del vampiro, i suoi occhi di pece si fissarono sul volto della fanciulla. “C'è un gruppo di persone che sta cercando di forzare le porte, o qualcosa del genere.”
“Per quale motivo?” Lo sguardo del vampiro si fece ancora più cupo di quanto già non fosse.
“Non lo so, ma credo che c'entri con la famiglia uccisa dai lupi qualche giorno fa.”
“Lupi?” Chiese ancora, circospetto.
“Sì, o almeno credo, anche se mi sembra strano che per dei lupi ci si vada a lamentare al castello.” La ragazza fece una pausa, riordinando i pensieri. “Era una piccola famiglia, li hanno trovati tutti e tre dissanguati e a pezzi, una scena orribile, hanno detto. Ultimamente mi pare di aver capito che questo villaggio abbia un problema con i lupi.” Solo in quel momento Logen realizzò che le sue azioni sarebbero potute essere un errore. Ciò che aveva fatto si sarebbe ripercosso sul villaggio, rischiando di distruggere quello stato di pace in cui si trovava fino a pochi giorni prima.
Ma non avrebbe lasciato che ignari cacciatori si prendessero le loro soddisfazioni.
“Non sono i lupi il vero problema.” Il suo fu un lieve sussurro, che neanche Selene riuscì a sentire.

Selene entrò nella tenda, tra le braccia portava qualche corpo di animale selvatico, era riuscita a prenderne qualcuno dalle scorte senza farsi vedere, con l'intento di darli al vampiro.
Una piccola lepre e due donnole, spero che siano abbastanza.” Il vampiro non rispose, si limitò ad osservare la ragazza, le braccia pallide e le mani delicate. Si sorprese a provare qualcosa, qualcosa che si obbligava a definire amicizia, o al massimo gratitudine, rifiutava l'idea di provare qualcosa come l'affetto. Quando la ragazza si voltò verso di lui si rese conto di non essere in grado di definire ciò che stava provando.
Allora, mi dirai il tuo nome, prima o poi?” L'aveva detto senza darci troppo pesa, convinta di non ricevere alcuna risposta.
Logen.” E fu sorpresa, e contenta, quando ricevette quella risposta.
Gli sorrise, iniziando a sistemare le stoffe e le coperte nella tenda, liberando un po di spazio e lasciando una spazio tra i teli per far circolare un po' l'aria.
Rimasero ancora in silenzio, fino a che, a sorpresa di Selene, non fu di nuovo il vampiro a parlare.

Alla fine sono riusciti a entrare al castello?”
“Perché ti interessa tanto?” Il suo sguardo si fece di nuovo cupo, forse Selene iniziava a capirlo, c'erano domande a cui non piaceva rispondere, aveva sempre l'impressione di dover fare attenzione a quello che chiedeva, era come stare costantemente in equilibrio precario, e lui era pur sempre una creatura della notte.
“Mi annoio.” Rispose laconicamente, il che non era del tutto falso, era già un paio di giorni che era costretto al letto, impossibilitato a muoversi troppo per non riaprire le ferite e per non farsi scoprire. Non osava immaginare quale sarebbe stata la reazione dei popolani.

Sono riusciti a entrare, ma non hanno trovato nulla e nessuno, a parte qualche candela di troppo. Probabilmente è un luogo abbandonato, mi chiedo perché avessero così tanto desiderio di entrarvi.” Logen non mostrò la sua sorpresa, difficilmente la gente aveva mai avuto il coraggio di bussare alla sua porta, figurarsi di irrompere nella sua dimora. “Tu ne sai qualcosa?”
“Non molto.” E si chiuse in un mutismo ostinato, con lo sguardo lontano e il volto girato dall'altra parte. Se c'era una cosa che non voleva condividere con nessuno era proprio quella.
Rimasero in silenzio per un po', Selene era consapevole del fatto che insistere non le sarebbe servito a nulla.

________

Heilà! Finalmente mi faccio vedere, eh?
Sono contenta che, da quanto vedo, la storia non stia facendo poi tanto schifo. Sbuco per ringraziare alessandroago_94 per la recensione e le persone che hanno già messo la storie nelle seguite, un piccolo parere mi farebbe felice :)

In più vi do qualche piccola info sulla store e qualche nome.

Nictofilia è l'unione di Nicto/Nocte che in latino significa notte e del suffisso filia che significa amare. La prola significa quindi, più o meno, amante della notte.

Il nome Selene invece significa Luna.

A presto!

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Capitolo 4
*** Cacciatori ***


Cacciatori

Villaggio di Kovir, 1411 Gennaio

Dijkstra si avvicinò al cavallo con in mano le pesanti coperte e il secchio di verdure.
Accarezzò il manto spesso della cavalcatura, sentendo il calore sotto la mano, chiedendosi quasi se avesse davvero bisogno della coperta.
Era un inverno terribile; il vento freddo continuava a soffiare con forza, senza mai dare tregua alla pelle dolorante e fredda delle persone, almeno la neve aveva smesso di scendere, ma nessuno aveva mai affrontato un simile gelo.
Dijkstra posò le coperte sul dorso del cavallo, pensando che se c'era qualcuno che non doveva ammalarsi o morire era proprio l'animle.
Da diversi giorni era in pensiero per Selene, difficilmente usciva dalla sua tenda e le poche volte che lo faceva a lui pareva ogni volta più pallida e fragile.
Ma non si preoccupava solo della figlia; l'intera compagnia di gitani era in difficoltà, lui stesso quel giorno era riuscito a cacciare solo una lepre scheletrica, stremata dal nascondersi e fuggire da predatori più piccoli ma feroci degli umani.
Lasciò il secchio di verdure accanto al cavallo e si mise a scuoiare l'animale, non passò molto perché il suo lavoro venne interrotto.

Padre...” Dijkstra distolse lo sguardo dal suo lavoro.
“Selene, tutto bene?” Il coniglio mezzo scuoiato pendeva inerte tra le sue mani, il sangue che gocciolava nella neve creava delle macchie vivide dalle forme perfette.
“Per quanto resteremo a Kovir?” Nonostante la sua domanda Selene non aveva alcuna voglia di andarsene da lì, non ancora.

Non possiamo andarcene fino a che la neve non ricomincia a sciogliersi, per ora siamo bloccati qui, forse per tutto l'inverno.” Detto questo, tornò al suo lavoro, completando di sistemare quella che sarebbe stata la loro misera cena.
Tutto bene, Selene?” Glielo chiese di nuovo, proprio perché era preoccupato del suo strano comportamento. Ma quando sollevò lo sguardo fu sorpreso di vedere sua figlia con le mani premute sulla bocca, sporche di sangue, mentre tentava di trattenere i violenti colpi di tosse, mentre il suo viso si imporporava e dai suoi occhi colavano grosse lacrime.
La afferrò prima che cadesse nella neve, circondando il suo corpo con le proprie braccia e sollevandole, mentre continuava a venire scossa dagli spasmi.

Le passò le mani sulla schiena, chiedendole di respirare più regolarmente possibile, le controllò la gola e le chiese di tossire. Selene lasciò che il dottore controllasse tutto ciò che voleva, lei stessa preoccupata della propria salute. In quegli ultimi giorni era particolarmente stanca, come se fosse stata prosciugata di ogni energia, la tosse le aveva sempre dato fastidio, ma mai era successo qualcosa del genere, mai aveva tossito sangue.
Il dottore la fece uscire dalla tenda, assicurandosi che avesse sulle spalle altre due coperte, per parlare da solo con il padre che, con occhi ansiosi, aspettava il verdetto della visita.

Allora?” Il dottore non rispose subito; non era raro che qualcuno si ammalasse quando l'inverno era così feroce, ma il caso di Selene era raro quanto facile da riconoscere.
Dijkstra lo osservò sistemare i vari contenitori sul suo scaffale, alla ricerca dell'erba giusta.

Datele questa, la farà stare meglio.” Negli occhi del dottore c'era una nota di stanchezza, accompagnata da una profonda tristezza, che il padre non sembrò notare, o forse non volle.
Prese le erbe tra le mani, osservandole come se non comprendesse di cosa di trattasse.

Mi dica la verità, mia figlia...” Una sensazione di gelo stava iniziando a impadronirsi di lui, e non era dovuta solo alla fredda corrente che filtrava attraverso la capanna.
“Tubercolosi.” Il dottore non osava guardare negli occhi Dijkstra. “Mi dispiace, ma non possiamo fare nulla.”
“Quanto?” La sua voce tuttavia suonò dura; un manto di rabbia e durezza stava nascondendo la profonda tristezza.

Purtroppo quest'inverno è terribile, se non fa attenzione rischia di peggiorare le sue condizioni.” Solo in quel momento il dottore sollevò lo sguardo; vagliò attentamente il volto dell'uomo, in cerca forse di un cedimento.
Quanto tempo ha?” Il volto di Dijkstra era una maschera di rigida freddezza, da cui non traspariva nulla, solo nei suoi occhi si poteva scorgere la disperazione incombente.
Pochi mesi, tre al massimo.”
Dijkstra non lo dava a vedere, ma dentro si sentiva morire.

Selene, avvolta dalle pesanti coperte, si avviò a passo lento verso la sua tenda con una sgradevole sensazione che le attorcigliava lo stomaco; non era tanto sicura di voler tornare dentro. Non credeva di poter sopportare la tensione che le trasmetteva il suo ospite momentaneo. Sapeva benissimo che era stato il suo vizio a ficcanasare ad averla messa in quella condizione; se solo non avesse ascoltato ciò che il dottore e suo padre si erano detti adesso non sarebbe stata così abbattuta.
La notizia della sua malattia sembrava non averla sconvolta troppo, ma lei sapeva benissimo che come si sarebbe messa a pensare seriamente a cosa significassero quelle poche frasi che aveva ascoltato sarebbe crollata in un attimo.
Si fermò; le gambe immerse nella neve fino al polpaccio, gli occhi, immobili, fissavano il suo intenso biancore, il suo candore assoluto e quasi accecante, nel tentativo di isolare completamente certi pensieri dalla testa. E le riuscì abbastanza bene fino a che non sentì un trambusto arrivare da poco lontano.

Dov'è?” Uno voce forte attirò la sua attenzione.
Si nasconde qui da qualche parte, per forza!” Armi alla mano, i cacciatori stavano rovistando in ogni tenda, alla ricerca della loro preda. Uno di loro aveva afferrato una donna, la teneva stretta e le puntava un coltello alla gola, obbligandola a confessare cose che non sapeva.
Selene si strinse nelle coperte, seguendo con sguardo preoccupato i tre cacciatori, temeva che avrebbero potuto trovarlo. Il resto della compagnia di gitani si stava agitando, ma nessuno di loro aveva la forza, tanto meno il coraggio, di farsi avanti. Tranne suo padre, che si intromise, bloccando un cacciatore. Selene non seguì la violenta discussione che si stava svolgendo tra i due, continuava piuttosto a spostare lo sguardo tra la donna minacciata e il cacciatore che entrava in ogni tenda, che rovistava tra le coperte e metteva tutto a soqquadro. Si rese conto in quel momento che non era per il vampiro che ospitava che era preoccupata, quanto per loro.
Quando lo vide avvicinarsi alla sua tenda fece per avvicinarsi, nel tentativo di fermarlo, ma non fece in tempo, perché come il cacciatore sparì nella sua tenda sentì un urlo straziante provenire dall'interno, poco dopo tutta l'attenzione dei presenti fu attirata dal corpo del cacciatore che cadde riverso nella neve, sul petto una macchia di sangue che andava ad espandersi sempre di più.
In quell'attimo di silenzio sbigottito tutti rimasero in silenzio, nessuno ebbe il coraggio di muoversi, neanche quando videro uscire dalla tenda un uomo alto e fasciato di abiti scuri, con l'avambraccio insanguinato e nella mano destra una massa rossastra e informe. Una donna gemette quando si rese conto che ciò che stringeva nella mano era il cuore dell'uomo a terra. Fu forse quel segnale a scuotere i presenti.
Molti si rifugiarono terrorizzate nelle loro tende, altri rimasero come pietrificati a osservare quella scena cruenta. I cacciatori attaccarono.
Ciò che ne seguì fu un insieme caotico di urla e schizzi di sangue, passarono pochi secondi che il primo cacciatore cadde a terra e la sua testa rotolò poco lontano. Il ringhio gutturale del vampiro si mischiò alle urla delle persone che ora si stavano allontanando.
L'ultimo cacciatore sembrò rendersi conto della fine che avrebbe fatto nel momento in cui incrociò gli occhi scarlatti del vampiro e la sua espressione di folle rabbia. Fece per scappare, voltandogli le spalle, ma non fece in tempo a fare tre passi che il vampiro si avventò sulla sua gola.
I gitani guardavano attoniti quella macabra scena, convincendosi ogni secondo che passava che le storie che giravano su quel villaggio erano tutt'altro che inventate, e che la realtà fosse invece peggiore.
Selene aveva osservato tutta la scena con attenzione, incapace di distogliere lo sguardo come succede quando si ammira un'immensa tempesta e si sente sulla pelle la sua potenza.
Selene, per la prima volta in vita sua, provò realmente paura.
Iniziò a tremare nel momento in cui il vampiro lasciò cadere nella neve il corpo dell'ultimo cacciatore e si voltò verso coloro che, pietrificati dalla paura, non avevano avuto la prontezza di allontanarsi.
Li osservò uno ad uno, facendo affondare quelle iridi scarlatte negli animi di tutti i presenti, poi socchiuse gli occhi e piegò leggermente il capo verso di loro, in una sorta di inchino.

Il Patto è stato rispettato.” E con queste ultime parole svanì in un ammasso di fumo nero denso come inchiostro.


___

Eccomi, sono tornata! Le due settimane in Inghilterra sono state la cosa che mi ha impedito di aggiornare, ma d'ora in poi dovrei riuscire ad aggiornare in modo più regolare :)
Rinnovo i ringraziamenti ai lettori e a chi si fa sentire :)


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Capitolo 5
*** Falena ***


Falena

Dopo i fatti di quella sera Selene aveva capito molte cose; non era stato difficile collegare quella figura oscura alla creatura di cui narravano le leggende. Allo stesso modo, non fu facile spiegare perché si trovasse dentro la sua tenda.
Spesso Selene si ritrovava a pensare alla creatura che aveva ospitato, a ricordarlo come l'aveva visto per la prima volta e alla sua furia, mentre eliminava i cacciatori. Il resto del villaggio aveva parlato animatamente degli ultimi fatti avvenuti, nonostante lui avesse ucciso una famiglia erano tutti concordi nella convinzione che l'avesse fatto per via di un fraintendimento, di certo aveva creduto che fosse stato il villaggio stesso a ingaggiare i cacciatori. Il rancore verso di lui c'era, di certo, ma era maggiore il risentimento che tutti provavano verso i resti dei cacciatori, in fondo erano stati loro a minare l'equilibrio del Patto.
I loro resti erano stati danti in pasto ai lupi. La famiglia uccisa era stata seppellita nel cimitero, con la giusta cerimonia.
Avevano discusso a lungo, lei e Dijkstra. Non fu una discussione animata, anche perché il padre era più triste per la sua malattia che preoccupato per i fatti accaduti. A Selene era bastato rassicurarlo, dopo avergli raccontato tutto, perché lui accettasse le sue motivazioni. In fondo non aveva alcun motivo di cui preoccuparsi; se le storie erano vere, il vampiro non avrebbe arrecato loro alcun danno.
La tubercolosi -la tosse e il sangue- ogni tanto tornava a tormentarla, era passato poco dalla visita e la gravità della malattia sembrava un incubo lontano, si convinceva di poter ancora vivere tranquillamente.
L'unico problema era che il resto della compagnia non sembrava pensarla allo stesso modo.
Adesso nessuno si fidava più di lei.

Villaggio di Kovir, 1411 Febbraio

Lo svegliò uno stillicidio costante, perpetuo, snervante nel suo ripetersi in ogni goccia amplificata e moltiplicata dall'eco che gli ricordava il macabro suono del sangue che gocciolava in una pozza dello stesso.
Spostò lo sguardo alla sua destra, ricordando in quel momento che la sagoma sdraiata sul tavolo una volta era un persona. E che era da lì che proveniva quel suono snervante; la donna era riversa sul tavolo, il il volto girato verso di lui, ma i suoi occhi erano opachi, persi nell'oblio della morte. Il suono proveniva dalla profonda ferita sul suo collo; aveva creato una piccola pozza di sangue sul legno scuro della tavola e ora gocciolava pigramente sul pavimento di marmo, dando vita a quel suono.
Gli ricordò lo stesso suono del suo sangue che gli scivolava addosso, raffreddato dalla neve e dal gelo, lo stesso che lui steso aveva versato, più e più volte. Per rabbia, per vendetta, per dimostrare quanto potesse essere pericoloso un vampiro arrabbiato.
Gli tornò alla mente lo sguardo della ragazza, dell'ultima volta in cui ci erano visti, per la prima volta macchiato di paura, il folle timore di cosa era realmente capace una creatura delle tenebre.
Distolse lo sguardo dal cadavere che giaceva solitario in mezzo alla stanza, passandosi la mano sul petto, lì dove ancora c'erano le fasciature, sotto di esse poteva sentire le ferite in via di guarigione, il profilo frastagliato delle croste di sangue e il lieve dolore che si irradiava pigramente in tutto il torace. Poi ancora sotto, oltre la carne e le ossa, dove un battito stanco e lontano irradiava quel poco di energia che gli serviva per vivere, o per illudersi di farlo.
Perché cos'era l'immortalità realmente? Come può definirsi eterno un essere che non è più in grado di vivere?
Si chiese se lì dentro, da qualche parte, potesse esserci davvero qualcosa da salvare, qualcosa che valesse la pena essere salvato da piccole mani pallide. I ricordi ogni tanto tornavano, illudendolo nel pensiero di poter avere una vita che valesse la pena essere vissuta. Di un'umanità che pareva essere troppo lontana.
Forse la risposta non era neanche troppo difficile, né lontana.
Forse la risposta era appena ai margini del villaggio.
Lei sarebbe potuta essere la sua unica salvezza.
Il vampiro chiuse gli occhi, allontanando la realtà e qualsiasi altro pensiero dal suo isolamento.

Villaggio di Kovir, 1411 Marzo

Sentì bussare con forza al portone principale, quasi sorprendendosi del fatto che al di fuori il mondo sembrasse esistere ancora, e che tutto, in qualche modo, continuasse a funzionare. In fondo nessuno desiderava vedere di cosa era capace un vampiro infuriato, di nuovo.
Si avviò silenziosamente verso l'ingresso, non sorprendendosi di vedere le porte già socchiuse; difficilmente lui le chiudeva a chiave, in fondo non aveva nulla da temere. Ciò che lo stupì fu piuttosto, nel momento in cui aprì, il fatto di vedere un volto conosciuto sulla soglia, più pallido e magro di quanto ricordasse.
La osservò per qualche secondo, chiedendosi se si trattasse di un brutto scherzo o di una visione. Quando lei sorrise timidamente, capì che non si trattava di nessuna delle due ipotesi. Avevano davvero mandato lei.
Logen si spostò appena, quasi restio a farla entrare, un insieme di sentimenti contrastanti si stava agitando dentro di lui, a malapena riuscì a dire il suo nome, che scivolò via dalle sue labbra come un flebile sussurro.

Come vanno le ferite?”

Come vanno le ferite?
Era iniziata così, semplicemente, come se non fossero passati quasi sue mesi dall'ultima volta che l'aveva medicato. Lei ovviamente aveva insistito, nonostante non ce ne fosse alcun bisogno. E lui l'aveva lasciata fare, sorpreso del rendersi conto che quelle attenzioni -umane e leggermente maldestre- gli davano un vago senso di nostalgia.

Perché non me l'hai detto?” La sua mano esile sfiorò timorosa i segni sulla sua pelle, quelli lasciati dalle armi dei cacciatori. Nonostante Selene ricordasse quanto erano brutte quelle ferite quasi non fu sorpresa di avere l'impressione di sfiorare del marmo, liscio e gelido allo stesso modo.
“Non l'hai chiesto.” Rispose lui laconicamente.
“Ti ho chiesto se ne sapevi qualcosa, avresti potuto spiegarmi un minimo questa situazione.” Il vampiro sospirò, catturato dal movimento delle sue mani sulla sua pelle, avvertiva il calore inebriante del suo sangue attraverso il fragile strato di pelle.
“Quindi tu non sai perché sei qui?” La ragazza sollevò lo sguardo, accorgendosi che il vampiro non stava osservando il suo volto, ma le sue mani. Si perse quindi un attimo a studiare il profilo affilato contornato da lunghi capelli neri come la pece e la pelle pallida e perfetta su cui risaltavano gli occhi dai riflessi sanguigni, rendendolo affascinante e misterioso come la notte. Fu vagamente sorpresa del suo cambio d'argomento.
“Non esattamente, perché?” Il vampiro distolse in quel momento lo sguardo dalle sue mani, puntandolo nei suoi occhi di smeraldo, scrutandoli a fondo. “E non cambiare discorso.” Lui ancora non rispose. Quella conversazione si stava rivelando frustrante per la ragazza, non stava ottenendo nessuna risposta, era quasi peggio che parlare con un muro.
Si alzò, offesa dal suo mutismo e fece per alzare la voce, ma quando vide lo sguardo del vampiro -uno strano misto di rabbia e sconforto- la sua voce si affievolì. “Cosa c'è che non so?”
Lui impiegò un po' a rispondere, i suoi occhi vagavano incerti sul suo volto.
“Ti hanno mandato qui a morire.”

Quella fu la prima notte serena di quell'inverno mortale, finalmente Selene riuscì a vedere di nuovo il disegno delle stelle nel manto oscuro della notte. Quella sera sembrava quasi calda, rispetto alle giornate di vento gelido che aveva avvolto quel luogo. Aveva anche aperto la finestra, non aveva resistito all'intenso desiderio di sentire sulla pelle l'addio dell'inverno.
Quindi è così che funziona? Ti mandano una persona di cui nutrirti una volta al mese per evitare che tu stermini il villaggio?” Si sedette sul davanzale, e osservò il vampiro, seduto sul suo personale scranno al centro della stanza. Lui non aveva mai avuto intenzione di ucciderla, e di certo non l'avrebbe fatto ora per assecondare un Patto vecchio di secoli, ci sarebbe stato un modo per permettere a entrambi di vivere, e l'avrebbe trovato.
Lui stesso si era quasi sorpreso di quei pensieri, ma si era convinto del fatto che si trattasse solo di gratitudine. Una sorta di malessere si impossessava di lui al pensiero di uccidere colei che gli aveva salvato la vita.
“Ci teniamo in pugno a vicenda con questo Patto, loro non osano disturbarmi perché sanno che non avrei rimorsi a sterminare il villaggio, ma allo stesso modo non posso muovermi di qui finché non sono loro a rompere il Patto. Sono come incatenato.” Logen guardò fuori, la tenue luce dell'alba si stava lentamente irradiando oltre i Monti Neri, troppo lontano perché gli occhi umani della ragazza potessero ancora coglierlo.“Funziona che ogni mese mandano una persona qui, per me, il minimo indispensabile, in cambio della mia protezione. Credevo l'avessi capito.” Una brezza fredda, forse l'ultima della stagione, si intrufolò dallo spiraglio lasciato dalla finestra socchiusa e si diffuse in tutto il salone, facendo rabbrividire la ragazza. Il vampiro rimase immobile come la statua di un oscuro sovrano.

E se io scappassi?” Il suo sussurro ruppe il silenzio.
“Mi obbligheresti a rompere il Patto. Desideri che io faccia del male alla gente del villaggio?”
Selene rimase in silenzio, capendo che la situazione non le dava alcuna via d'uscita, il vampiro, tuttavia, sembrava tutt'altro che smanioso di nutrirsi di lei.
“Loro mi hanno semplicemente spedito qui, senza spiegazioni, immagino che il capo del villaggio sia stufo di mandare parenti e amici, quindi deve aver essersi approfittato della nostra presenza per non condannare qualche conoscente, a ripensarci la scelta non sarebbe potuta essere diversa, in fondo sono stata io ad averti ospitato e ad aver fatto correre rischi alla famiglia.” Nella sua voce fece capolino un accenno di tristezza, un vago risentimento. Aveva lo sguardo lontano, i suoi occhi andavano oltre la finestra, oltre la neve che si stava sciogliendo e oltre i tronchi contorti, raggiungeva i limiti del villaggio, laddove c'era qualche tenda montata su con rapida esperienza; altri pensieri, più cupi e funesti, stavano attraversando la sua mente.
Ma nel suo sguardo, il vampiro ne fu molto sorpreso, non c'era né rabbia né rancore, solo una profonda tristezza.

Ti penti di quello che hai fatto?” Nonostante gli anni, per lui gli umani rimanevano un mistero, tanto fragili quanto meschini, guidati dai sentimenti più assurdi, prepotenti e distruttivi.
In realtà Selene era consapevole che del fatto che uno dei motivi per cui la stavano lasciando lì era che portarsi in viaggio un malato aggrava solo la sua situazione, lo sapeva benissimo, era già successo. Per questo si era ripromessa di non badarci troppo, per quanto la sua condizione glielo permettesse. Tuttavia rendersi conto che la sua famiglia, la sua vita, quella che era stata la sua realtà, si stava allontanando per sempre, non le facilitava le cose.

Eppure non sembri arrabbiata.” La sua non fu neanche una domanda, lo vedeva bene, che per quanto triste, sulle sue labbra si stava delineando un lievissimo sorriso mesto. Questa volta fu lei a non rispondere. Incorniciata dalla finestra e dal cielo stellato sembrava l'incarnazione della luna, nella sua candida purezza pareva una creatura effimera.
Il vampiro riusciva a vederlo anche a quella distanza; i gitani che si affaccendavano per mettere via le loro cose e ripartire per il villaggio più lontano possibile da Kovir.
Pensò che fosse meglio allontanarsi, lasciando Selene al suo addio personale.
L'alba stava sorgendo, ancora poche ore e il cielo sarebbe esploso di luce, sciogliendo i resti di neve e ricreando un mondo che sarebbe stato del tutto estraneo al vampiro, per questo stava dirigendosi nella zona più interna del suo castello, lasciando che Selene si godesse quei finalmente tiepidi raggi solari.

Venne svegliato da un lievissimo fruscio, dal delicato rumore di piedi nudi sul gelo del marmo, socchiuse gli occhi, sorpreso di vedere la ragazza avvicinarsi a lui con passo abbastanza deciso.
In quel lasso di tempo, mentre i suoi occhi si abituavano alla luce che, ancora forte, filtrava tra un tendaggio e l'altro, riuscì a registrare tutto della figura della ragazza. La cosa che lo colse alla sprovvista fu il tenue ma deciso odore speziato di sangue che sembrava avvolgerla.
Gli rivolse un sorriso timido, i suoi occhi erano lucidi e velati di stanchezza, il volto pareva ancora più pallido del solito.
Selene era certa di essersi ripulita per bene dopo l'accesso di tosse che le aveva fatto sputare altro sangue, eppure lo sguardo penetrante e attento con cui il vampiro seguì i suoi passi le vece capire che lui non aveva bisogno di vedere per avvertire l'aroma di sangue che aleggiava su di lei. Forse coglieva anche l'aura pesante della sua malattia mortale.
Fu forse per quello che accolse tra e braccia la sua debolezza, posandole una mano sulla schiena e accarezzandola, nel tentativo di alleviare il dolore che provava anche solo respirando.
Già allora Logen doveva aver capito che qualcosa non andava, eppure non fece domande. E Selene rimase quasi delusa, avrebbe voluto non iniziare lei quel discorso. Ma a quanto pare il vampiro non era intenzionato ad intromettersi.
Rimase un po' così, con la testa appoggiata al suo ampio torace, duro e immobile come quello di una statua, mentre tentava di raccogliere le parole.
In quel momento di stasi anche Logen tentava di mettere ordine dentro di sé, cercando di decifrare quelle sensazioni che lo tormentavano. Sapeva che legarsi agli umani era un errore, erano noti per la loro fragilità, per la brevità della loro esistenza, eppure, anche ripetendosi che non avrebbe mai funzionato, non riusciva a convincersene, c'era qualcosa, nel profondo, che sembrava in grado di contraddire ogni suo pensiero razionale.

Logen.” Lo chiamò, con un flebile sussurro. Lui rimase in silenzio, in attesa. “Voglio diventare come te.” E al diavolo le spiegazioni, non intendeva rendere la cosa più dolorosa di quanto fosse necessario. Certe cose, certe motivazioni, era meglio non conoscerle.
Il vampiro la allontanò delicatamente da sé per guardarla negli occhi. In quel momento Selene si sentì nuda, come se lui potesse cogliere con quello sguardo indecifrabile la grandissima paura che stava provando dentro di sé.

Non intendo rovinarti.” La sua mano sfiorò la spalla della ragazza, che rimase sorpresa più dalla sua dichiarazione che dal suo gesto, oltre che vagamente delusa.
Ti prego.” Selene sentiva le lacrime spingere per uscire, ma non si sarebbe messa a piangere.
La mano del vampiro si serrò con più forza sul suo braccio, come a rimarcare la sua decisione “No.”

Ma io non sono nulla di speciale, non sono tanto diversa dalla fanciulla che ogni mattina si rovina le mani al torrente per lavare i panni, non sono diversa, e neanche migliore, di qualsiasi altra persona di questo villaggio. Se tu volessi entrare in contatto con loro te ne renderesti conto.” Sorrise appena, consapevole di aver tirato fuori il sorriso falso meno credibile della storia. “Noi umani siamo tutti uguali.”
Non ti priverò dell'unica cosa che ti rende unica e diversa, non ti priverò di ciò che ti rende così bella.” Ignorò completamente le sue suppliche. Rapito dal colorito roseo che si stava diffondendo sulle sue guance.
La sua mano, fredda e dura come marmo si posò sulla sua guancia; il vampiro si beò della sensazione della tenera e calda carne umana, quasi stupendosi delle sensazioni che quella poteva donargli, che insieme al sangue non fossero sazietà e soddisfazione. Ma una lieve sensazione di pace.
“Perché? Io non sarò bella per sempre.”
Lui tentennò, bloccando l verità che premeva per uscire. “Un fiore lo è?” Era la sua stessa fragilità a renderla affascinante, la sua stessa delicatezza a renderla bella, per la prima volta, sulle labbra del vampiro, sembrò abbozzarsi un sorriso.
“Logen.” Fermò la sua mano con tono grave, un silenzio teso si allargò tra di loro, alla fine non aveva potuto fare niente per nasconderglielo. “Io sto morendo.” Il vampiro sollevò lo sguardo, con una sottile malinconia negli occhi. Non c'era sorpresa, disperazione; sapeva che gli esseri umani potevano essere meschini quanto fragili, sapeva benissimo che lei, non essendo immortale come lui, prima o poi sarebbe morta, anche in quel momento stava morendo, e il fatto che anche lei se ne fosse resa conto non faceva che rendere ancora più dolce amaro quel sentimento che stava tentando di conoscere.
“Tutti gli esseri umani muoiono, il tempo uccide. Lo so che stai morendo.” L'ultima frase la disse in un soffio, le loro mani che si stringevano una nell'altra, mentre le pulsazioni di Selene attraversavano il corpo del vampiro, facendogli rievocare i ricordi di una mortalità persa ormai da tempo.
Questo denotava la profonda differenza che c'era tra i due; qualcuno nasce umano, qualcun altro ci mette una vita a diventarlo.
“No.” Logen si bloccò, vagamente sorpreso dal tono duro della fanciulla. “Sono malata, Logen. Per me, il prossimo mese di vita potrebbe essere l'ultimo. È per questo che ti chiedo di rendermi come te.” Il vampiro aveva distolto lo sguardo, i pensieri ora impetuosi che vagavano lontani. “Ti prego, forse sarò io a essere egoista, ma ora sto chiedendo a te di esserlo.” Un moto di emozioni da troppo dimenticate avvolse in una stretta dolorosa il suo cuore; un misto di rabbia e tristezza.
“Impossibile.” Sentiva la disperazione stringergli la gola, perché sapeva di non poter far nulla, e la consapevolezza di stare per perdere l'unica cosa che pareva avergli ridonato un po' di vita lo stava annientando. Come mani artigliate che gli scavavano il volto, il collo, il petto e poi ancora più in profondità, stringevano il cuore e lo ferivano, strappando lembi di carne gelida. Lasciandosi dietro solo le i resti scomposti di un'anima cupa e fragile.

Cosa?” La sua voce sembrò incrinarsi, le sue mani strinsero quelle del vampiro, inerti e gelide.
“Il vampirismo non è una cura; ma una malattia, una maledizione. Non credere che la mia situazione possa giovare in alcun modo a guarirti, o a cambiare le cose.” Ciò che uscì dalle sue labbra fu poco più che un sussurro, tuttavia Selene, nell'immobile silenzio della notte, lo percepì chiaramente, con lo stesso dolore che avrebbe causato una lama affilata infilzata nel petto.
La fanciulla rimase in silenzio a lungo, ascoltando il suo stesso respiro e il battito del suo cuore, come se in quella cupa abitazione si trovasse solo lei stessa. Logen era silenzioso come la notte, ma lei stessa intuiva che dentro di lui si stesse scatenando una tempesta.

Allora questa è la mia ultima richiesta.” Lei stessa fu quasi sorpresa di sentire gocce gelide correrle lungo le goti roventi e che la sua voce non fosse troppo incrinata da rendere incomprensibili le sue parole. “Fa in modo che non sia la malattia ad uccidermi.”
I loro sguardi si incontrarono, complici della stessa disperazione e dello stesso dolore.
Le mani di Logen si strinsero con forza sulle sue in un tacito e doloroso consenso.
C'erano state parole che non era stato in grado di dire, rimbombavano con forza nella sua mente, tentavano di forzare le sbarre che aveva imposto con la ragione e l'orgoglio. Non avrebbe mostrato debolezza, nonostante non potesse sapere che non era di quello che si trattava, bensì di un sentimento molto più profondo, radicale e incontrollabile, che da secoli si era imposto di non provare più.
Non ti priverò dell'unica cosa che ti rende unica e diversa, non ti priverò di ciò che ti rende così bella.
Perché?
Perché sento qualcosa, in questo mio gelido cuore, qualcosa che mi ero ripromesso di non provare più. Tante, troppe volte, le falene si avvicinano alle fiamme... troppo breve è la vita con il suo inganno.

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Eccoci, ci siamo quasi. Ringrazio tutti quelli che stanno seguendo la storia, spero che continui a piacervi, visto che siamo quasi al finale. 

Prometto che il prossimo capitolo arriverà presto :)


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Capitolo 6
*** Epilogo. Inizio ***


Epilogo. Inizio

Villaggio di Kovir, 1670

L'immenso e oscuro castello si ergeva solitario su un'altura al limitare del piccolo villaggio. Avvolto dei colori della notte si confondeva con il cielo cupo, ora privo di stelle, e pareva un tutt'uno con i rami contorti degli alberi che lo circondavano. Era una presenza grama, alta e oscura che incombeva da diversi secoli sugli abitanti del villaggio, era una presenza che incuteva più timore che rispetto. Allo stesso modo pareva colui che lo abitava, un uomo solitario e temuto come un mostro, con cui il villaggio stesso aveva stipulato un Patto, ormai sfumato da tempo.
Gli abitanti evitavano anche solo di posare i loro sguardi sull'oscura dimora, convinti che il signore delle tenebre li osservasse costantemente dalle alte finestre, e che potesse, in qualche modo, arrecare loro danno.
Tuttavia chi ora abitava quel luogo era un uomo con un nome che non valeva più nulla; tutto ciò che rimaneva era ora solo un'ombra di una gloria passata, un tempo ammantata nel timore e nel rispetto. Da quando diversi eventi avevano minato la stabilità del Patto lui si era chiuso nel suo castello. Chiudendo fuori, allo stesso tempo, il mondo stesso.
Ora il castello pareva un colosso oscuro, ammantato nella notte e nella solitudine. Allo stesso modo, l'uomo che l'abitava era cominciato ad apparire come una creatura mitica, le nuove generazioni ascoltavano le storie su di lui come se fossero leggende, arrivando a scherzare su quella presenza che sembrava esercitare ancora un oscuro controllo sui più anziani.
Sempre se uomo potesse essere chiamato.
Non era più umano da moltissimi secoli; la sua esistenza era stata lunghissima, aveva attraversato secoli rimanendo immutato nel corpo, mentre la sua anima assorbiva conoscenze e potere.
Non era più uomo da quando lei era morta, catturata troppo presto da una malattia letale.
Aveva sempre saputo che i legami con gli umani erano destinati a una fine tragica, aveva sempre saputo che, al contrario suo, gli esseri umani erano fragili e mortali. L'aveva sempre saputo, eppure non era riuscito a non farsi coinvolgere da lei. Ne pagava ora le conseguenze.
Nell'oscurità profonda del castello, la sua figura si muoveva con indolenza, gli abiti che frusciavano a ogni passo e strisciavano sul pavimento impolverato, nel silenzio assoluto della sua dimora.
Un raggio di luna, colorato dalle altissime vetrate gotiche catturò il momento in cui la sua mano si sollevò e le sue dita pallide accarezzarono il ripiano di marmo e porfido rosso di una bara e le sue decorazioni.
Selene.
Le fiammelle delle innumerevoli candele che la circondavano ondeggiarono, minacciando di spegnersi e proiettando ombre scure su quello che pareva essere l'unico arredo di quell'immenso salone. Incise sulla base c'erano le sue ultime parole, che svettavano ora come una beffa agli occhi del vampiro. Perché pensare questa vita separata dalla prossima quando l'una nasce dall'altra. Ci ricorda un desiderio, l'anelito di un anima per l'altra. Il tempo è troppo breve per chi ne ha bisogno, ma per coloro che amano dura per sempre.
Eppure niente era durato per sempre, né il loro desiderio né quella folle speranza di poter trovare una soluzione e forse qualcosa di meglio. Ma lei era stata forte fino alla fine; aveva combattuto la malattia per il semplice desiderio di passare più tempo con la creatura che le aveva rubato il cuore, nella curiosità di scoprire ogni giorno nuovi aspetti del vampiro che, per lei, era l'incarnazione della notte. Infine era spirata con un'espressione serena sul volto, rimanendo, anche nell'abbraccio mortale che Logen aveva promesso di donarle, candida e pura come la luna stessa.
Per questo meritava molto più che essere sepolta in quel terreno gelido e inospitale. A lui, nonostante l'amarezza che regnava sovrana nel suo corpo, sembrava quasi di vederla, nelle notti serene, in cui la luna splendeva tra le stelle; nei raggi che filtravano con insistenza nelle profonde tenebre della notte e della sua dimora.
Vi si soffermò qualche istante, sentendo per un momento il peso del tempo e della morte sulla sua anima più che mai. Eppure lui era, paradossalmente, vivo. Per quanto fosse insignificante il fatto che il suo cuore non battesse più, che la sua anima non provasse più nulla, e che ormai a malapena neanche la sete di sangue lo muoveva, lui era comunque in grado di percepire la mortalità delle cose, in contrasto con la sua condizione eterna.
Viveva ormai in un isolamento totale, innamorato del fantasma della sua presenza, dimentico dello scorrere del tempo e noncurante dei cambiamenti del mondo esterno. Lontano dal passato più remoto e dal presente che continuava a scorrere, incurante dell'evoluzione del tempo e del mondo.
Da quando lei era morta nulla aveva più avuto importanza, così come come il valore del suo dominio, la sua casa, il suo nome, tutto era come svanito, inghiottito dalla nebbia gelida che al mattino avvolgeva quelle terre.
E lui stesso era rimasto congelato in quell'epoca passata, in quel passato inverno nefasto, in cui tutto era coperto dalla neve, come avvolto in un pesante sudario.
Non c'era notte in cui i suoi pensieri non indugiavano sui suoi ricordi, sul suo volto da bambola e sulla sua luminosa purezza.

Pesanti colpi batterono alla porta; troppe volte quel suono si era ripetuto e nonostante fossero passati anni, ricordava ogni cosa che aveva portato quell'avvenimento. Cacciatori e brutte notizie sembravano gli unici ospiti desiderosi di essere accolti.
Logen si avvicinò alla porta, per poi aprirla con studiata lentezza, in attesa di una qualsiasi reazione. Quasi non fu sorpreso di vedere un gruppo di parecchi abitanti in attesa davanti alla sua porta, armati di torce e armi primitive.
Ovviamente sapeva ciò che stava accadendo; non era la prima volta che gli abitanti del villaggio iniziavano a farsi delle domande, a chiedersi se stessero davvero mandando una persona cara ogni mese a una creatura che aveva del leggendario. Le storie che giravano erano ancora molte, ma le persone che ci credevano erano sempre meno.

Cosa volete?” La sua voce suonò bassa ma decisa, in chiacchiericcio della folla si ridusse a un bisbigliare intimorito.
Revocare questo fantomatico Patto, ecco cosa!” Fu un uomo basso e largo a parlare, di certo non il più intelligente del gruppo. Il vampiro li osservò uno a uno; i loro volti macchiati di polvere e gli occhi arrossati dal freddo parevano a lui tutti uguali.
“Non vi conviene farlo, credetemi.” I suoi occhi si illuminarono di una luce ferale e qualche abitante sembrò notare i denti aguzzi fare capolino oltre il labbro superiore. Qualcuno in fondo al gruppo sembrò cogliere la minaccia velata e si allontanò, intimorito dal fatto che, evidentemente, qualcosa delle leggende avesse del fondamento. Logen vide le fiamme tremolanti delle loro torce allontanarsi velocemente, dirette verso il centro del villaggio.

Seguite i vostri compagni, andatevene.” Non aveva voglia di discussioni, di combattere, non aveva voglia di vivere altre situazioni noiose, solo stare chiuso nella sua dimora in attesa che qualcosa di più forte di lui sarebbe giunto per privarlo finalmente della sua insensata esistenza.
Non vi vogliamo più in questo villaggio!” L'uomo continuava a sbraitare, ma lui non se ne curava.
Andate via.” Alla fine non gli importava neanche più del Patto. Niente suscitava più il suo interesse, nessuno di quei volti su cui stava passando di nuovo lo sguardo attirava la sua attenzione. Si chiedeva da quale avrebbe potuto cominciare per sterminare il villaggio, sempre che avesse voglia di farlo, che ce ne fosse bisogno per mantenere l'equilibrio ormai sempre più precario che imponeva il Patto.
Fu uno solo il volto che attirò la sua attenzione; un volto dolce, pallido come la porcellana, contornato da capelli biondi come grano. E gli occhi di smeraldo che, riflettendo le fiamme delle torce, erano puntate su di lui. In essi uno sguardo limpido.
Sentì una stretta al cuore, il fantasma di un sentimento che si agitava dentro di lui lo ferì così come il
sole che fece capolino sui profili aguzzi dei monti, stagliando ombre lunghe e luci penetranti. Il vampiro, infastidito e ferito, fece un passo indietro, mentre le sue mani correvano automaticamente alle pesanti porte, con l'intento di chiuderle per rifugiarsi nell'accogliente e materna oscurità. Tuttavia nel suo animo iniziò a farsi strada una strana sensazione, la fanciulla dalla pelle pallida e gli occhi di smeraldo lo stava fissando, e nei suoi occhi non c'era astio o timore, quanto una genuina curiosità, tremendamente familiare.
Selene.
Il suo cuore si agitò, risvegliandosi dal torpore mortale che l'aveva avvolto per tutto quel tempo, sentì il suo nome come trasportato da un vento caldo, che con decisa lentezza iniziava a sciogliere lo strato di ghiaccio e indifferenza che si era costruito attorno.
Il vampiro distolse lo sguardo, cercando di allontanare i ricordi e il sentimento dolce amaro che si stava risvegliando dentro di lui, con la violenza di una pugnalata tra le costole, ma con la freschezza di un balsamo, che un po' la curava, quella pugnalata.
Arretrò nelle sue gelide tenebre, mentre l'alba avanzava lentamente nel cielo.
Le pesanti porte sigillarono il principe delle tenebre all'interno della sua cupa dimora, chiudendo fuori i raggi del sole e i ricordi, i sentimenti, che stavano iniziando a riaffiorare dentro di lui.
Di nuovo.

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Uhm. perch* no^Aproffittiamo dell'insonnia per caricare l'ultimo capitolo. Eh, già, siamo giunti alla fine. Spero che questo breve viaggio vi sia piaciuto e che il finale non vi abbia schifato (tranquilli, era mio desiderio fin dall'inizio di dare almeno un briciolo di speranza a questi due poveri disgraziati).

Se me lo fate sapere con una breve recensione mi miglirate la giornata *.*


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