Nictofilia di La sposa di Ade (/viewuser.php?uid=152568)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Paura ***
Capitolo 2: *** Bestie ***
Capitolo 3: *** Convalescenza ***
Capitolo 4: *** Cacciatori ***
Capitolo 5: *** Falena ***
Capitolo 6: *** Epilogo. Inizio ***
Capitolo 1 *** Prologo. Paura ***
Non
sarà il Tempo
a cancellare il Patto
già suggellato,
non
sarà il Tempo
a tagliare il filo
che a te mi lega,
non
sarà il Tempo
a salvare il principe
dalle tenebre,
non
sarà il Tempo.
Troppo breve è la vita
con il suo inganno.
Prologo.
Paura
Periferia
di Kovir. 1410 Dicembre
Il
lontananza risuonò un lungo e straziante ululato, seguito
immediatamente da altri, nel silenzio parevano canti funebri.
Sembrava che un branco di lupi si stesse preparando per la
caccia, tuttavia, il vento e la neve rendevano impossibile capire se
il branco fosse a una distanza sufficiente da fiutarli e considerare
la piccola casetta ai margini del villaggio e i suoi abitanti come
prede o se si stessero concentrando su altro.
Ma
l'inverno era particolarmente rigido e perfino i lupi facevano fatica
a trovare il giusto sostentamento. Quella volta si avvicinarono
pericolosamente agli umani ai margini del villaggio.
Figure
scure e scheletriche si approssimarono lentamente alle abitazioni,
fiutando e sbavando sulla neve; il caldo odore degli umani era
irresistibile per le creature affamate.
Una
giovane donna uscì dalla sua casa, portava tra le mani un
secchio
vuoto.
Ancora prima di poter vedere il pozzo, seminascosto tra le
fronde spoglie degli alberi, sentì dei movimenti nella neve,
accompagnati da respiri pesanti. Cercò di non farci caso,
convincendosi da sola che il Patto che avevano stipulato con il
signore sulla collina li avrebbe protetti da qualsiasi male.
Si
avviò a passo svelto in mezzo alla neve, per quanto la neve
alta le
permettesse di muoversi velocemente; affondava infatti a ogni passo
fino al polpaccio e, nonostante il freddo, iniziò a sudare,
complice
anche l'ansia che l'attanagliava.
Arrivò al pozzo con il fiatone
e mentre legava la fune al secchio sentì di nuovo quel
respiro
pesante, accompagnato da un leggero ringhio, questa volta molto
più
vicino di prima. Abbassò lo sguardo e lì, proprio
affianco al
pozzo, appena nascosto dalle erbacce vide una sagoma scura, con un
paio di occhi ambrati che sembravano rilucere nella penombra del
crepuscolo.
Passò un attimo, in cui rimase immobile a fissare le
fauci socchiuse e ringhianti del lupo nero, terrorizzata da quella
bestia feroce e affamata. Poi l'adrenalina iniziò a pomparle
nel
corpo e, appena prima che il lupo balzò in avanti con un
ringhio
feroce, riuscì a voltarsi e iniziare a correre, lasciando
che il
secchio cadesse nelle profondità del pozzo con un tonfo
sordo.
Non
si era accorta che c'era un'altra mezza dozzina di lupi nascosti poco
lontani; uno di questi durante la corsa riuscì a darle una
zampata
alla caviglia e a farla sbilanciare, ma non a cadere. La ragazza
continuò a correre, senza avere il coraggio di voltarsi a
guardare,
ma con gli occhi ben puntati sulla porta di casa ancora socchiusa da
cui fuoriusciva una tenue luce accogliente e sicura.
Nella sua
corsa folle gemeva e urlava, mentre le lacrime le correvano calde
sulle guance ghiacciate.
In un attimo di vaga lucidità pensò
che quei versi erano imbarazzanti.
Ma
non riusciva a smettere. Orrore animalesco. Matta disperazione. Il
gemito che fanno i morti all’inferno.
Alle
sue spalle i latrati dei lupi continuavano a perseguitarla.
Il
vento gelido le artigliava i capelli, ruggiva nelle orecchie,
fischiava tra i denti insieme al suo respiro terrorizzato.
La
spinta data dall'adrenalina però si esaurì presto
e la fatica
iniziò a premerle sul petto, la sua corsa
rallentò e i muscoli
iniziarono a bruciare, fino a che non inciampò nei suoi
stessi piedi
e non finì lunga distesa nella neve.
Adesso
era la paura a tenerla stretta, aumentando a ogni respiro mozzo. Non
riusciva a muovere la testa, non riusciva a muovere la lingua in
bocca. Riusciva ad avvertire il terrore, che le rosicchiava ai
confini della mente: una massa terribile di paura, che le premeva
addosso, schiacciandola da ogni parte, sempre peggio, e poi peggio, e
poi peggio.
In quel momento temette
seriamente di morire, poiché i muscoli le tremavano e
riusciva a
malapena a respirare.
All'improvviso
avvertì un peso sulla sua schiena, e la sua mente, convinta
di
essere già tra le fauci del predatore, si spense
completamente.
Sentite
le urla e i ringhi dei lupi, il padre della fanciulla uscì
di casa
in tutta fretta; giusto in tempo per vedere il corpo esanime della
figlia nascosto sotto la carcassa di un lupo nero, il cui pelo ispido
era lucido per il sangue. Nel momento in cui raggiunse la figlia,
febbricitante e svenuta, la liberò dal peso della belva e si
osservò
intorno; altri lupi giacevano morti intorno a loro, con grandi
chiazze di sangue che si espandevano velocemente nella neve candida.
Intorno solo in candore e la piattezza della neve. Nessuna figura,
nessuna impronta forniva il minimo indizio di ciò che era
realmente
successo, tuttavia l'uomo non ne aveva alcun bisogno per
intuirlo.
Nello stringere la figlia tra le braccia e a sentire il
battito del suo cuore si trovò a ringraziare sinceramente,
per la
prima volta, il Patto e la creatura con cui l'avevano stipulato.
Steppa,
poco oltre i Monti Neri. 1410 Dicembre
La
carovana arrancava nella neve e nel ghiaccio da giorni, al loro
interno, donne e bambini si stringevano gli uni alle altre. Era un
inverno freddo, gelido, forse il peggiore che i più giovani
di loro
avessero mai vissuto.
La compagnia di Gitani avanzava da giorni in
cerca di un villaggio ospitale, dopo aver vagato inutilmente da un
villaggio all'altro avevano dovuto superare i Monti Neri e,
nonostante il disaccordo di alcuni, dirigersi a sud, verso Kovir.
Non
era la prima volta che si fermavano in quel piccolo villaggio,
tuttavia non vi avevano speso mai troppo tempo; sapevano delle storie
che giravano in quel luogo, dell'oscuro individuo che era sia tiranno
che protettore dei suoi abitanti, il tutto era alimentato da varie
leggende ed usanze. Veniva chiamato in molti modi, pochissimi dei
quali li facevano apparire come una persona qualsiasi. Lumpirovic
era uno dei tanti modi in cui lo chiamavano.
La
ragazza sobbalzò, scontrando le spalle contro il legno aspro
della
carovana, l'impulso di tossire la scosse dal suo lieve sonno; l'aria
che si respirava nella carovana era diventata pesante e umida.
Prese
tra le mani i teli che la coprivano e si sporse fuori, il vento
gelido le accarezzò le guance, facendogliele imporporare
quasi
immediatamente. Ispirò l'aria fresca e frizzante, sentendosi
subito
più sveglia.
“Padre.” Una figura scura poco più
avanti si
voltò.
“Selene, prenderai freddo così, torna
dentro.” Il
volto altrimenti severo del capo della compagnia si addolcì.
L'uomo
rallentò il passo per avvicinarsi alla figlia.
“Manca ancora
molto al villaggio di Rugen?”
Nonostante tutto aveva dormito parecchio, anche se le pareva che
fosse passato davvero poco tempo da quando si era assopita ma,
evidentemente, non era così.
"Il
villaggio di Rugen
ci ha
rifiutato, hanno detto che non sono in grado di sostenere se stessi e
alte persone in un inverno così freddo.”
“Quindi, dove stiamo
andando adesso?” Si guardò intorno; sommersi dalla
neve riusciva a
distinguere le palizzate che dovevano delimitare dei campi un tempo
coltivabili. Ovunque stessero andando, non doveva mancare molto.
“Più
a sud, speriamo di trovare accoglienza a Kovir.” La ragazza
fece
finta di nulla, ma notò benissimo alcuni sguardi contrariati
da
parte degli altri uomini che camminavano al loro fianco. Suo padre,
tuttavia, non sembrò dello stesso avviso. “Molti
uomini sono
contrari a questa decisione, ma è l'unico posto che potrebbe
accettarci, in queste condizioni. E lo sanno anche loro, tuttavia non
posso biasimarli.” Nei suoi occhi la ragazza scorse un velo
di
preoccupazione e disagio.
“Perché?”
“Ci sono alcune
storie riguardante quel villaggio, non so se ricordi cosa usava
raccontarti tuo nonno.”
“Nonno mi raccontava tante cose, molte
le ho dimenticate.” Dal cielo iniziarono a cadere grossi e
candidi
fiocchi di neve; la ragazza sollevò lo sguardo, mentre dalle
sue
labbra si sprigionò un po' di vapore. Iniziava a sentire il
gelo, e
forse non era solo il fatto che stesse rimanendo al freddo solo per
conversare con suo padre, ma pareva che avessero appena superato le
montagne e che quindi il vento freddo, non più bloccato da
quelle
mura naturali, avesse preso il pieno dominio del luogo.
“Torna
dentro, figliola, non vorrei che ti ammalassi.” E lei,
vagamente
riluttante, si rifugiò di nuovo nel tepore accogliente e
pesante
della carovana, tentando di ricordare le storie che le erano state
raccontate anni addietro.
La
prima cosa che videro, ancora prima delle abitazioni e delle persone,
fu una grossa macchia di sangue sulla candida neve.
La maggior
parte degli uomini sputò a terra, nel tentativo di
allontanare la
cattiva sorte, altri si lamentarono, alti ancora iniziarono a gemere,
rischiando di mettersi a piangere. Dijkstra, il padre della
fanciulla, imprecò solamente, riprendendo a tirare il
cavallo con le
provviste, aggirando attentamente la macchia di sangue, e
ringraziando mentalmente che sua figlia fosse tornata dentro a
dormire.
Dijkstra non era credente, eppure, forse per la prima
volta in vita sua, si trovò a pregare. Forse avviarsi verso
Kovir
non era stata l'idea migliore, ma avevano forse alternative?
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Capitolo 2 *** Bestie ***
Bestie
Villaggio
di Glokta, 1411 Gennaio
Un
brutto uomo con il cranio rasato segnato da una lunga cicatrice
scoccò un'occhiata eloquente al suo compare, che non aveva
un
aspetto tanto diverso dal suo. In quell'istante iniziarono a
muoversi, seguendo a debita distanza la loro preda.
Sapevano
a cosa stavano andando incontro, per questo si erano ben attrezzati,
nascondendo quante più armi possibili addosso e seguendo il
loro
obbiettivo solo quando si trovavano controvento.
I due,
che erano effettivamente fratelli, si avvicinavano sempre di
più
all'uomo, fino a che, all'imbocco di un vicolo, non lo persero di
vista.
Si misero all'erta, ben consapevoli dei percoli in cui
sarebbero potuti incorrere. Il problema di cacciare vampiri era che
spesso, chi rimaneva indietro, veniva ucciso brutalmente. I
cacciatori avevano imparato che i vampiri preferivano evitare gli
scontri aperti e colpire dall'ombra, tuttavia non era facile
attirarli, né non cadere nelle loro trappole insidiose.
I loro
passi strisciavano nella neve, il vicolo era deserto.
Il più
giovane e sconsiderato dei cacciatori abbandonò la posizione
e,
girando su se stesso alzò la voce, istigando la loro preda a
venire
fuori.
Sbucò
come dal nulla, ancora prima che i suoi compagni potessero
rimproverarlo, una figura ammantata dalle tenebre si avventò
sul
ragazzo, affondando con estrema precisione i canini affilati nel suo
collo. Uno spruzzo vermiglio colorò la parete del vicolo, e
il
giovane cacciatore cadde a terra, privo di vita. Non aveva attaccato
mosso dalla rabbia, non era stato istigato. Il vampiro, i cui occhi
rilucevano nell'oscurità, si stava prendendo gioco dei
cacciatori,
dimostrando loro di non avere nessuna paura.
Tuttavia
anche i cacciatori avevano esperienza e, passato lo spavento
iniziale, tutto ciò che provarono fu una scarica di
adrenalina. La
paura non era contemplata.
Uno
dei cacciatori era rimasto all'imbocco del vicolo e, con uno scatto,
si avventò sulla schiena del vampiro. Il quale
però, avendo
percepito la sua presenza, spalancò le ali membranose
scagliandolo
contro il muro. La testa del cacciatore sbatté con forza
contro la
parete del vicolo con un suono raccapricciante, il suo corpo inerme
scivolò verso terra, lasciando dietro di sé una
scia vermiglia.
Gli
altri cacciatori approfittarono di quel momento per colpire. Uno di
essi sollevò la balestra e scoccò verso la
creatura; il dardo si
conficcò in profondità nella carne. Lo stesso
fece un altro,
centrando il bersaglio indebolito.
Sentirono
il suo ruggito, e solo allora provarono un brivido di paura. Non si
fecero scoraggiare, continuarono a bersagliarlo e a colpirlo,
indebolendolo sempre di più.
Il
vampiro riuscì ad uccidere un altro di loro prima di cadere
in
ginocchio, stremato e sanguinante.
C'erano
riusciti; intorno a loro giacevano tre cadaveri, ma il vampiro era
bloccato, circondato dai cacciatori con ancora le armi alle mani.
“Chi
è il tuo padrone?” La creatura sembrò
rantolare, ringhiare nella
loro direzione, prima di parlare.
“Io
non ho padrone!”
“Chi ti ha creato?”Il vampiro ringhiò
loro
contro, mostrando i canini affilati e ancora macchiati di sangue, gli
occhi illuminati da un bagliore ferale.
La
lama di un cacciatore si avvicinò pericolosamente alla sua
gola.
“Parla!”
“Lui
è il principe delle tenebre, se credete che possa temere dei
miseri
umani come voi...”
“La
Bestia di Kovir.” L'uomo con il cranio rasato e segnato dalla
cicatrice disse quel nome a mezza voce, temendo di aver indovinato.
“Vi
strapperà la carne di dosso e brinderà bevendo il
vostro sangue
usando i vostri teschi come calici!”
Uno
dei cacciatori arretrò, ricordando le storie che aveva
sentito su
quell'individuo. Esisteva nelle leggende una bestia assetata di
sangue, che sottometteva e decimava interi villaggi, nell'ultimo
secolo dicevano che si fosse spostato, appunto, a Kovir. Da
lì
derivava il macabro soprannome. Tuttavia erano in molti a conoscerlo
con altrettanti orribili titoli.
E ormai era impossibile distinguere il reale dalla finzione.
L'uomo
dal cranio rasato impugnò saldamente la sua arma in legno,
caricando
il colpo letale da infliggere al vampiro, non voleva più
saperne di
lui.
“Se
è la morte che inseguite, allora andate a Kovir,
lì la troverete di
sicuro.” Il cacciatore ebbe un attimo di esitazione, sorpreso
del
fatto che, fino alla fine, quel vampiro non sembrasse temere loro o
il cupo destino che si stava per abbattere su di lui, forse convinto
che la loro esistenza non sarebbe durata molto più della sua.
Terminò
tutto in fretta; il paletto in legno si piantò a fondo nella
carne,
raggiungendo il cuore del vampiro, che si dimenò per pochi
attimi,
avvolto dal dolore, prima di giacere inerte.
In pochi istanti
tutto ciò che rimase di quella notte di caccia furono tre
cadaveri e
un mucchio di ossa bianche e polvere.
Il
gruppo di cacciatori si riattivò immediatamente, dei sette
iniziali
ne erano rimasti solo quattro ma sarebbero bastati per la caccia
successiva. Erano riusciti a recuperare tutte le armi.
Si
erano preparati e avevano studiato un piano d'attacco meno
approssimativo e più efficace.
L'uomo
dal cranio rasato osservò il suo compagno affilare i
paletti; i
trucioli di legno cadevano ai suoi piedi con ritmicità
snervante.
Stava facendo un lavoro perfetto.
La
notte era ancor lunga e la caccia era appena cominciata. O almeno era
quello che credevano.
Villaggio
di Kovir, 1411 Gennaio
I
colpi risuonarono nell'immenso castello, distogliendo il vampiro dal
suo isolamento. Era da molto che non riceveva visite che non fossero
quelle richieste dal Patto.
Si sollevò con indolenza dal suo
scranno, diretto alla porta principale, il sangue di cui si era
nutrito da poco circolava ancora con forza nel suo corpo, dandogli
una vaga sensazione di ubriachezza.
Socchiuse
la porta, vagamente sorpreso del fatto di non trovarci nessuno.
L'istinto
agì prima ancora che la sua mente potesse registrare la loro
presenza; un paletto sfrecciò con un sibilo nell'aria,
diretto verso
di lui, il vampiro si mosse fulmineo, afferrando con forza l'arma a
pochi centimetri dal suo petto. Ringhiò con rabbia, cercando
con lo
sguardo tra i cupi arbusti che circondavano il suo castello le sagome
di chi lo aveva appena attaccato.
Sentì
il legno incrinarsi nella stretta della sua mano, mentre scorgeva un
drappo di tessuto impigliato in un rovo.
Si
mosse veloce, in silenzio. Si avvicinò al cespuglio troppo
cresciuto
e scorse le mani di un umano tremare mentre tentava di ricaricare la
balestra. Quando questo si alzò e si ritrovò la
sua stessa preda
ad attenderlo non fece neanche in tempo ad urlare. Sul suo collo di
aprì una linea scarlatta, poi cadde a terra, privo di vita.
Intravide,
in lontananza, il restante gruppo di quelli che dovevano essere
cacciatori correre giù lungo la collina, diretti verso il
villaggio.
Un
moto di rabbia si propagò nel suo corpo, la furia scorreva
come
sangue dentro di lui. La delusione era minima, si era aspettato
diverse volte che gli umani rompessero il Patto, non era sorpreso di
vedere realizzato il tradimento.
Acquistata
la sua forma bestiale si addentrò nella cittadella, furioso,
in
cerca di sangue; la sete era divampata furiosa, insieme a una smania
feroce, un istinto bestiale che scavalcava la ragione, purissima
rabbia. Si muoveva per uccidere, per mostrare le conseguenze che
poteva avere far infuriare un vampiro.
Anche se sarebbe stato
ragionevole, sensato, restare chiusi nella propria dimora, lontano
dalla luce solare e ben protetto dalla sua stessa oscurità,
obbligandosi ad ignorare l'attacco appena subito, perché
sarebbe
stato più comodo così. Non curandosi del corpo
del cacciatore che,
aveva bussato alla sua porta, con, probabilmente, il nobilissimo
intento di liberare il villaggio dal mostro succhiasangue che lo
dominava e che ora giaceva morto all'ingresso.
Ma il vento, che
quella notte ululava ferocemente, aveva trasportato odori troppo
dolci e invitanti per essere ignorati. Si era quindi ammantato
dell'ultima oscurità che la notte morente gli stava offrendo
e, in
un moto di follia, si era lanciato nella sua forma bestiale verso la
città, sulle tracce del sangue più prelibato che
i suoi sensi
avessero mai percepito, insieme con la necessità di sfogare
la
frustrazione che lo aveva colto.
Il
Patto era stato stabile per diversi secoli; ogni mese il villaggio
doveva mandare al castello una preda, una vittima che saziasse il
vampiro, in cambio della promessa di mantenere il villaggio al sicuro
e di non attaccare gli abitanti dello stesso.
Mandare dei
cacciatori era stato il loro ultimo errore.
Ali nere e membranose
sferzavano l'aria gelida, mentre i suoi occhi rossi riflettevano
l'immagine del villaggio che si avvicinava a ogni battito d'ali.
Atterrò
silenziosamente accanto a una piccola casupola ricoperta di neve, le
cui finestre erano illuminate dalla tenue luce delle lanterne.
All'interno notò i movimenti delle persone intente a
prepararsi per
il raccolto mattutino, il loro calore corporeo e la loro energia, il
loro sangue.
Sangue
caldo, giovane.
Semplice
sangue.
La
bestia sorrise feroce.
Si
avventò su di loro con ferocia animale; strappando e
lacerando carne
e muscoli, bevendo grandi sorsate di liquido vitale con una smania
che non era dettata dalla sete, quanto dalla rabbia. Nessuno venne
risparmiato dalla furia del vampiro. I corpi cadevano uno dopo
l'altro, il loro sangue bagnava le pareti e le loro grida venivano
subito zittite dalla furia della bestia. Alla fine quattro cadaveri
giacevano ai suoi piedi, bagnati dal loro stesso sangue.
Finalmente
il suo animo iniziò a quietarsi e la rabbia a svanire; non
c'era
rimorso per quello che aveva appena fatto, solo la vaga soddisfazione
di poter manifestare la sua vera natura dopo averla repressa per
così
tanto tempo.
A distruggere quel momento di ebbra soddisfazione fu
uno schiocco, succeduto immediatamente da un dolore intenso
all'altezza del petto. Nell'istante in cui i suoi occhi impiegarono
ad abbassarsi, il suono si ripeté, e allo stesso modo il
dolore, che
si fece però ancora più intenso e soffocante. Dal
suo petto
spuntavano ora due paletti affilati e sporchi del suo stesso sangue.
La sorpresa si unì alla rabbia, per poi trasformarsi in una
massa di
pressante dolore misto a furia.
Con un
ringhio feroce si voltò, ignorando la debolezza che si stava
impossessando dei suoi arti, osservando i tre cacciatori armati di
balestre e paletti puntare nuovamente le loro armi contro di lui.
Non
impiegò molto a capire di essere in netto svantaggio; che
quelle
armi avrebbero potuto ucciderlo facilmente se solo quegli uomini
avessero avuto una mira migliore.
Con rinnovata rabbia, alimentata
dall'intenso dolore, si lanciò in mezzo ai cacciatori e
attraverso
la porta; spalancando le nere ali membranose verso la luna, nel
tentativo di allontanarsi il più possibile da quella fonte
di
pericolo mortale. Un altro paletto venne scoccato dalla balestra,
questo gli sibilò accanto, spronandolo ad allontanarsi
più di
quanto il suo corpo ferito fosse in grado di fare in quelle
condizioni.
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Capitolo 3 *** Convalescenza ***
Convalescenza
Villaggio
di Kovir, 1411 Gennaio
Aveva
volato fino ai margini del villaggio, portandosi laddove c'era un
manto di neve intervallato da pochissime casupole, e poi ancora
oltre, dove il bianco regnava sovrano. Tornare al castello sarebbe
stata la cosa più stupida da fare, visto che probabilmente
era
proprio ciò che si aspettavano i cacciatori.
Si
abbassò di quota, sfiorando prima le punte degli alberi
scheletrici
con le punte delle ali, fino a planare a fatica in uno spiazzo di
neve intatta. Atterrò malamente, sporcando di sangue la
neve.
Evidentemente le ferite erano più gravi di quanto avesse
immaginato,
il legno con cui l'avevano colpito doveva essersi rotto, e le schegge
continuavano a peggiorare la situazione delle ferite. Respirava a
fatica e sentiva l'energia scivolare via quando all'improvviso, in
mezzo alla neve, avvolta in un abito candido come la neve stessa, la
sagoma di fanciulla sembrò delinearsi in mezzo al vento e
alla
grigia penombra dell'alba. Gitana. Pensò
Logen non troppo
sorpreso. Neanche il gelo riesce a piegarli.
Conosceva quella
comunità nomade; tempo addietro avevano chiesto
ospitalità al
villaggio e, non essendo mai stati un pericolo né un
fastidio, erano
stati ben accolti nella comunità. Le loro strane usanze e
metodi,
tuttavia, erano rimasti invariati nel tempo. Si stava avvicinando a
passo lento, i suoi occhi tradivano una genuina curiosità, a
malapena velati dal timore. Logen, stordito dal dolore e dalla
rabbia, ringhiò, rendendosi conto di essere in una
situazione
svantaggiosa. Ferito e sanguinante, non sarebbe sopravvissuto ad un
altro attacco.
La ragazza continuava ad avvicinarsi imperterrita,
i piedi nudi che lasciavano orme perfette nella neve, lui
pensò che
avrebbe dovuto ucciderla adesso che era ancora in grado di farlo, per
evitare qualsiasi rischio.
“Hai bisogno di aiuto.” Il vampiro
sollevò ancora lo sguardo, le gambe e i piedi nudi della
fanciulla
si erano avvicinati ancora, eppure tutto pareva iniziare ad
oscurarsi, i contorni si fecero indistinti e i suoni lontani, la voce
della ragazza ora pareva provenire da un luogo lontano, buio...
Ricordava
il dolore acuto al petto e alla schiena, come se stesse per spezzarsi
in mille pezzi dall'interno, mentre la fanciulla estraeva con perizia
i legni dalla sua carne. Ricordava il calore del suo stesso sangue
correre lungo i suoi fianchi e inondargli la bocca.
Poi la
freschezza della neve sulle ferite che, come un balsamo, attenuava il
dolore, e le bende che si stringevano saldamente attorno al suo
corpo. E infine sentì la sua voce, che pareva un sussurro
nel vento.
“Ora
starai meglio. Sei stato fortunato, hanno evitato gli organi
importanti, ma le ferite sono comunque piuttosto brutte.” Non
era
del tutto esatto; i cacciatori avevano avuto un'ottima mira e uno di
loro doveva aver colpito un polmone, tuttavia era stato davvero
fortunato a non rimetterci la vita.
Si sforzò di sollevare le
palpebre e di osservare attraverso la patina di dolore il volto della
persona che l'aveva aiutato. La stessa ragazza che camminava scalza
nella neve, la stessa che avrebbe dovuto dissanguare appena l'aveva
vista per guarire le ferite più velocemente e che, tuttavia,
era
ancora viva. E lo stava osservando con quello stesso sguardo di
ingenua curiosità.
Provò a parlare, ma il sangue gli invase di
nuovo la bocca e un rivolo di sangue corse lungo la sua mascella.
“No, non sforzarti, le ferite sono gravi, dovrai stare a
letto per
un po'.” Sospirò pesantemente, rendendosi conto di
non aver più
recuperato la forma umana.
Tra lo sguardo, per la prima volta,
sconvolto della ragazza e scricchiolii di ossa che si rompevano e si
rinsaldavano velocemente, in un processo ormai del tutto automatico e
indolore, la sua visione iniziò a farsi più
chiara, il volto
gentile della ragazza si delineò nella
semioscurità del crepuscolo.
Il dolore scemò appena, dandogli la lucidità di
mettere in fila
qualche parola in più.
“Non
dovresti stare qui.” Tra sangue e dolore, ciò che
disse parve un
sussurro indistinto, ma la ragazza sembrò capire comunque.
“Per
quale motivo?” Nonostante tutto il volto della ragazza non
aveva
tradito neanche per un attimo un minimo accenno di paura.
“Non
sai chi sono? Non l'hai capito?” Cercò di mettersi
almeno seduto,
puntellandosi con i gomiti sul giaciglio di paglia improvvisato, ma
rinunciò dopo poco; il dolore gli impediva di muoversi
liberamente.
“Sei un uomo ferito, e non c'è altro da sapere.
Hai bisogno di cure.” Lui sembrò trattenere una
risata, ma non
c'era alcun divertimento in quel suono aspro. A poco era servito il
suo tentativo di evitare ogni contatto umano.
“Perché
ridi?”
“Non sono un uomo.” I suoi occhi si fecero
mortalmente seri, era indubbio che la ragazza non avesse capito chi
lui fosse. Rimaneva ignoto il perché del suo comportamento.
A
quell'affermazione le guance della ragazza si imporporarono
appena.
“Ancora non vedo nessun motivo per cui dovrei negarti il
mio aiuto.” Si voltò, armeggiando con gli stracci
sporchi che
aveva usato per tamponare le ferite.
“Perché
ho bisogno di sangue. E un vampiro affamato è pericoloso,
soprattutto se in compagnia di una bella fanciulla.” La
ragazza si
bloccò, un pezzo di legno stretto in mano sospeso
all'altezza del
suo petto. All'improvviso le cose iniziarono a chiarirsi.
“Allora
non mi sbagliavo, sei un Lumpirovic.” Osservò la
grossa scheggia
di legno che aveva ancora in mano iniziando a percepire una
sgradevole sensazione di pericolo.
“Difficile sbagliarsi.” Gli
occhi del vampiro si colorarono di un bagliore vermiglio, catturando
lo sguardo della ragazza, il cui volto parve distendersi e gli occhi
velarsi appena, fissi in un punto lontano.
“Beh,
se è di sangue che hai bisogno... posso offrirti questo.”
Detto questo, allungò il braccio verso di lui, dalla sua
mano
pendeva inerte il corpicino della lepre. Logen sospirò
pesantemente,
non riuscendo a ricordare quando mai si fosse abbassato a tanto.
Tuttavia non aveva scelta, o si sarebbe accontentato o sarebbe morto.
Aveva pensato di nutrirsi della ragazza, ma ucciderla non sarebbe
stato conveniente, aveva bisogno di lei adesso; non poteva rimanere
indifeso in territorio estraneo. Allo stesso modo non poteva non
trasformarla mordendola, creare altri esseri come lui era l'ultima
cosa che desiderava. Fu la prima volta che accadde una cosa del
genere, e il vampiro riuscì a osservare attentamente ogni
cambiamento dell'atteggiamento della ragazza mentre lui si nutriva di
quel piccolo animale, quasi fosse lei stessa la preda.
I
canini affondarono con forza nella carne tenera del collo e il sangue
iniziò a defluire in fretta nella sua bocca, caldo e
insapore.
In
quel momento colse ogni cambiamento; il sangue che defluendo dal suo
volto all'improvviso le donava un colorito cadaverico e il battito
accelerato della ragazza che riempiva l'aere, la sua vena sul collo
che pulsava velocemente, la tensione dei suoi muscoli. Tutti aspetti
tremendamente umani ma assolutamente interessanti, in quel momento.
Bere
il sangue per quelli come lui era un po' come consumare una violenta
passione, come riportare in vita un corpo morto; totalizzante e allo
stesso tempo mortalmente stancante. Si staccò dalla vena con
il
respiro pesante e la necessità di sdraiarsi di nuovo e stare
fermo,
per gustarsi quella sensazione che, per quante volte la provasse,
paresse non riuscire mai a farci l'abitudine.
“Va
meglio?”
La
ragazza si coricò in un giaciglio improvvisato costituito da
coperte
ripiegate più volte, impilate le une sulle altre, tranquilla
anche
nella consapevolezza di avere a pochi passi una creatura della notte.
Cieca della convinzione di non correre nessun rischio.
L'aroma
speziato del sangue sembrava aver invaso la tenda, ancora inebriante
per il vampiro che socchiuse gli occhi assaporando quel dolce aroma
che lo avvolgeva, trovandosi a desiderarne ancora, non tanto per la
necessità di nutrirsi quanto per il capriccio di gustare
ancora il
calore della carne e del sangue.
Passò
qualche giorno e la fanciulla era tranquilla e si occupava di lui
come se fosse una persona qualsiasi; cosa di cui il vampiro si
stupì.
Ospitare una creatura pericolosa non doveva essere il migliore dei
passatempi, ma la ragazza sembrava averla presa piuttosto bene.
Logen
rimase sempre nascosto in quella stessa capanna, ascoltando
attentamente ciò che il vento gli portava; stralci di
conversazioni
e passi frenetici, troppo poco perché lui potesse capire
come si
fosse evoluta la situazione.
La ragazza entrò velocemente nella
tenda, con tra le braccia un secchio d'acqua e delle bende pulite.
In quel momento il vampiro si accorse di non conoscere il suo
nome, non che provasse alcun interesse o rispetto per gli umani, ma
pensò che conoscere il nome della persona che lo stava
salvando
sarebbe stato quantomeno sensato.
“Qual'è il tuo nome?” La
ragazza si voltò, osservandolo con un'espressione vagamente
sorpresa.
“Mi chiamo Selene.” Fece una pausa, in cui rimase a
fissare per qualche istante il volto affilato e immobile del vampiro.
“Immagino tu non voglia dirmi il tuo nome, vero?”
Logen non
rispose.
Trascinarono
i piedi nella neve mentre si dirigevano circospetti verso il cupo
castello in cima alla collina. Uno di loro non era tornato, l'esca
aveva funzionato.
Si aggirarono nell'area circostante, certi di
essere al sicuro. Avrebbero trovato le tracce del loro compagno -o
della loro preda- e avrebbero seguito la pista. Ma quello che
trovarono fu solo il cadavere sgozzato, riverso nella pozza del suo
stesso sangue, del più giovane di loro, eppure erano certi
che il
vampiro sarebbe tornato al castello per nascondersi dopo tutti quegli
avvenimenti.
“La situazione ci sta sfuggendo di mano.” Uno dei
cacciatori si chinò sul compagno morto, come a volerlo
salutare, ma
le sue mani corsero subito alle armi legate alla cintura del
cadavere, tanto a lui non servivano più, no?
“Siamo
riusciti a ferirlo, non deve essere andato troppo lontano.”
Osservò
con occhio critico la macabra scena che si era presentata loro,
chiedendosi se tutti loro avrebbero fatto la stessa fine.
“Già,
scommetto che è ancora in questo villaggio.”
Nonostante il timore
e l'aura di morte che sembrava aleggiare in quel luogo tutti
fremevano nel desiderio di vendetta.
“Prendiamolo
adesso che è debole.”
Quel
giorno Logen sentì chiaramente un forte trambusto poco
lontano, urla
e insulti. Quando la ragazza entrò nella tenda era scossa.
“Ci
sono novità?” Era la prima volta che Logen
mostrava dell'interesse
per il mondo che pareva trovarsi al di fuori di quell'abitazione
improvvisata. Selene tentennò qualche istante, chiedendosi
se fosse
il caso di informarlo di certi fatti.
“Beh,
c'è un castello sulla collina,” Quelle parole
attirarono
l'attenzione del vampiro, i suoi occhi di pece si fissarono sul volto
della fanciulla. “C'è un gruppo di persone che sta
cercando di
forzare le porte, o qualcosa del genere.”
“Per quale motivo?”
Lo sguardo del vampiro si fece ancora più cupo di quanto
già non
fosse.
“Non lo so, ma credo che c'entri con la famiglia uccisa
dai lupi qualche giorno fa.”
“Lupi?” Chiese ancora,
circospetto.
“Sì, o almeno credo, anche se mi sembra strano che
per dei lupi ci si vada a lamentare al castello.” La ragazza
fece
una pausa, riordinando i pensieri. “Era una piccola famiglia,
li
hanno trovati tutti e tre dissanguati e a pezzi, una scena orribile,
hanno detto. Ultimamente mi pare di aver capito che questo villaggio
abbia un problema con i lupi.” Solo in quel momento Logen
realizzò
che le sue azioni sarebbero potute essere un errore. Ciò che
aveva
fatto si sarebbe ripercosso sul villaggio, rischiando di distruggere
quello stato di pace in cui si trovava fino a pochi giorni prima.
Ma
non avrebbe lasciato che ignari cacciatori si prendessero le loro
soddisfazioni.
“Non sono i lupi il vero problema.” Il suo fu
un lieve sussurro, che neanche Selene riuscì a sentire.
Selene
entrò nella tenda, tra le braccia portava qualche corpo di
animale
selvatico, era riuscita a prenderne qualcuno dalle scorte senza farsi
vedere, con l'intento di darli al vampiro.
“Una
piccola lepre e due donnole, spero che siano abbastanza.” Il
vampiro non rispose, si limitò ad osservare la ragazza, le
braccia
pallide e le mani delicate. Si sorprese a provare qualcosa, qualcosa
che si obbligava a definire amicizia, o al massimo gratitudine,
rifiutava l'idea di provare qualcosa come l'affetto. Quando la
ragazza si voltò verso di lui si rese conto di non essere in
grado
di definire ciò che stava provando.
“Allora,
mi dirai il tuo nome, prima o poi?” L'aveva detto senza darci
troppo pesa, convinta di non ricevere alcuna risposta.
“Logen.”
E fu sorpresa, e contenta, quando ricevette quella risposta.
Gli
sorrise, iniziando a sistemare le stoffe e le coperte nella tenda,
liberando un po di spazio e lasciando una spazio tra i teli per far
circolare un po' l'aria.
Rimasero ancora in silenzio, fino a che,
a sorpresa di Selene, non fu di nuovo il vampiro a parlare.
“Alla
fine sono riusciti a entrare al castello?”
“Perché ti
interessa tanto?” Il suo sguardo si fece di nuovo cupo, forse
Selene iniziava a capirlo, c'erano domande a cui non piaceva
rispondere, aveva sempre l'impressione di dover fare attenzione a
quello che chiedeva, era come stare costantemente in equilibrio
precario, e lui era pur sempre una creatura della notte.
“Mi
annoio.” Rispose laconicamente, il che non era del tutto
falso, era
già un paio di giorni che era costretto al letto,
impossibilitato a
muoversi troppo per non riaprire le ferite e per non farsi scoprire.
Non osava immaginare quale sarebbe stata la reazione dei popolani.
“Sono
riusciti a entrare, ma non hanno trovato nulla e nessuno, a parte
qualche candela di troppo. Probabilmente è un luogo
abbandonato, mi
chiedo perché avessero così tanto desiderio di
entrarvi.” Logen
non mostrò la sua sorpresa, difficilmente la gente aveva mai
avuto
il coraggio di bussare alla sua porta, figurarsi di irrompere nella
sua dimora. “Tu ne sai qualcosa?”
“Non molto.” E si chiuse
in un mutismo ostinato, con lo sguardo lontano e il volto girato
dall'altra parte. Se c'era una cosa che non voleva condividere con
nessuno era proprio quella.
Rimasero in silenzio per un po',
Selene era consapevole del fatto che insistere non le sarebbe servito
a nulla.
________
Heilà!
Finalmente mi faccio vedere, eh?
Sono contenta che, da quanto vedo, la storia non stia facendo poi tanto
schifo. Sbuco per ringraziare alessandroago_94 per la recensione e le
persone che hanno già messo la storie nelle seguite, un
piccolo parere mi farebbe felice :)
In
più vi do qualche piccola info sulla store e qualche nome.
Nictofilia è
l'unione di Nicto/Nocte che in latino significa notte e del suffisso filia che significa
amare. La prola significa quindi, più o meno, amante della
notte.
Il nome Selene invece
significa Luna.
A presto!
|
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Capitolo 4 *** Cacciatori ***
Cacciatori
Villaggio
di Kovir, 1411 Gennaio
Dijkstra
si avvicinò al cavallo con in mano le pesanti coperte e il
secchio
di verdure.
Accarezzò il manto spesso della cavalcatura,
sentendo il calore sotto la mano, chiedendosi quasi se avesse davvero
bisogno della coperta.
Era un inverno terribile; il vento freddo
continuava a soffiare con forza, senza mai dare tregua alla pelle
dolorante e fredda delle persone, almeno la neve aveva smesso di
scendere, ma nessuno aveva mai affrontato un simile gelo.
Dijkstra
posò le coperte sul dorso del cavallo, pensando che se c'era
qualcuno che non doveva ammalarsi o morire era proprio l'animle.
Da
diversi giorni era in pensiero per Selene, difficilmente usciva dalla
sua tenda e le poche volte che lo faceva a lui pareva ogni volta
più
pallida e fragile.
Ma non
si preoccupava solo della figlia; l'intera compagnia di gitani era in
difficoltà, lui stesso quel giorno era riuscito a cacciare
solo una
lepre scheletrica, stremata dal nascondersi e fuggire da predatori
più piccoli ma feroci degli umani.
Lasciò
il secchio di verdure accanto al cavallo e si mise a scuoiare
l'animale, non passò molto perché il suo lavoro
venne interrotto.
“Padre...”
Dijkstra distolse lo sguardo dal suo lavoro.
“Selene, tutto
bene?” Il coniglio mezzo scuoiato pendeva inerte tra le sue
mani,
il sangue che gocciolava nella neve creava delle macchie vivide dalle
forme perfette.
“Per quanto resteremo a Kovir?” Nonostante la
sua domanda Selene non aveva alcuna voglia di andarsene da
lì, non
ancora.
“Non
possiamo andarcene fino a che la neve non ricomincia a sciogliersi,
per ora siamo bloccati qui, forse per tutto l'inverno.” Detto
questo, tornò al suo lavoro, completando di sistemare quella
che
sarebbe stata la loro misera cena.
“Tutto
bene, Selene?” Glielo chiese di nuovo, proprio
perché era
preoccupato del suo strano comportamento. Ma quando sollevò
lo
sguardo fu sorpreso di vedere sua figlia con le mani premute sulla
bocca, sporche di sangue, mentre tentava di trattenere i violenti
colpi di tosse, mentre il suo viso si imporporava e dai suoi occhi
colavano grosse lacrime.
La
afferrò prima che cadesse nella neve, circondando il suo
corpo con
le proprie braccia e sollevandole, mentre continuava a venire scossa
dagli spasmi.
Le
passò le mani sulla schiena, chiedendole di respirare
più
regolarmente possibile, le controllò la gola e le chiese di
tossire.
Selene lasciò che il dottore controllasse tutto
ciò che voleva, lei
stessa preoccupata della propria salute. In quegli ultimi giorni era
particolarmente stanca, come se fosse stata prosciugata di ogni
energia, la tosse le aveva sempre dato fastidio, ma mai era successo
qualcosa del genere, mai aveva tossito sangue.
Il
dottore la fece uscire dalla tenda, assicurandosi che avesse sulle
spalle altre due coperte, per parlare da solo con il padre che, con
occhi ansiosi, aspettava il verdetto della visita.
“Allora?”
Il dottore non rispose subito; non era raro che qualcuno si ammalasse
quando l'inverno era così feroce, ma il caso di Selene era
raro
quanto facile da riconoscere.
Dijkstra
lo osservò sistemare i vari contenitori sul suo scaffale,
alla
ricerca dell'erba giusta.
“Datele
questa, la farà stare meglio.” Negli occhi del
dottore c'era una
nota di stanchezza, accompagnata da una profonda tristezza, che il
padre non sembrò notare, o forse non volle.
Prese
le erbe tra le mani, osservandole come se non comprendesse di cosa di
trattasse.
“Mi
dica la verità, mia figlia...” Una sensazione di
gelo stava
iniziando a impadronirsi di lui, e non era dovuta solo alla fredda
corrente che filtrava attraverso la capanna.
“Tubercolosi.” Il
dottore non osava guardare negli occhi Dijkstra. “Mi
dispiace, ma
non possiamo fare nulla.”
“Quanto?” La sua voce tuttavia
suonò dura; un manto di rabbia e durezza stava nascondendo
la
profonda tristezza.
“Purtroppo
quest'inverno è terribile, se non fa attenzione rischia di
peggiorare le sue condizioni.” Solo in quel momento il
dottore
sollevò lo sguardo; vagliò attentamente il volto
dell'uomo, in
cerca forse di un cedimento.
“Quanto
tempo ha?” Il volto di Dijkstra era una maschera di rigida
freddezza, da cui non traspariva nulla, solo nei suoi occhi si poteva
scorgere la disperazione incombente.
“Pochi
mesi, tre al massimo.”
Dijkstra
non lo dava a vedere, ma dentro si sentiva morire.
Selene,
avvolta dalle pesanti coperte, si avviò a passo lento verso
la sua
tenda con una sgradevole sensazione che le attorcigliava lo stomaco;
non era tanto sicura di voler tornare dentro. Non credeva di poter
sopportare la tensione che le trasmetteva il suo ospite momentaneo.
Sapeva benissimo che era stato il suo vizio a ficcanasare ad averla
messa in quella condizione; se solo non avesse ascoltato ciò
che il
dottore e suo padre si erano detti adesso non sarebbe stata
così
abbattuta.
La notizia della sua malattia sembrava non averla
sconvolta troppo, ma lei sapeva benissimo che come si sarebbe messa a
pensare seriamente a cosa significassero quelle poche frasi che aveva
ascoltato sarebbe crollata in un attimo.
Si
fermò; le gambe immerse nella neve fino al polpaccio, gli
occhi,
immobili, fissavano il suo intenso biancore, il suo candore assoluto e
quasi accecante, nel tentativo di isolare completamente certi
pensieri dalla testa. E le riuscì abbastanza bene fino a che
non
sentì un trambusto arrivare da poco lontano.
“Dov'è?”
Uno voce forte attirò la sua attenzione.
“Si
nasconde qui da qualche parte, per forza!” Armi alla mano, i
cacciatori stavano rovistando in ogni tenda, alla ricerca della loro
preda. Uno di loro aveva afferrato una donna, la teneva stretta e le
puntava un coltello alla gola, obbligandola a confessare cose che non
sapeva.
Selene
si strinse nelle coperte, seguendo con sguardo preoccupato i tre
cacciatori, temeva che avrebbero potuto trovarlo. Il resto della
compagnia di gitani si stava agitando, ma nessuno di loro aveva la
forza, tanto meno il coraggio, di farsi avanti. Tranne suo padre, che
si intromise, bloccando un cacciatore. Selene non seguì la
violenta
discussione che si stava svolgendo tra i due, continuava piuttosto a
spostare lo sguardo tra la donna minacciata e il cacciatore che
entrava in ogni tenda, che rovistava tra le coperte e metteva tutto a
soqquadro. Si rese conto in quel momento che non era per il vampiro
che ospitava che era preoccupata, quanto per loro.
Quando
lo vide avvicinarsi alla sua tenda fece per avvicinarsi, nel
tentativo di fermarlo, ma non fece in tempo, perché come il
cacciatore sparì nella sua tenda sentì un urlo
straziante provenire
dall'interno, poco dopo tutta l'attenzione dei presenti fu attirata
dal corpo del cacciatore che cadde riverso nella neve, sul petto una
macchia di sangue che andava ad espandersi sempre di più.
In
quell'attimo di silenzio sbigottito tutti rimasero in silenzio,
nessuno ebbe il coraggio di muoversi, neanche quando videro uscire
dalla tenda un uomo alto e fasciato di abiti scuri, con l'avambraccio
insanguinato e nella mano destra una massa rossastra e informe. Una
donna gemette quando si rese conto che ciò che stringeva
nella mano
era il cuore dell'uomo a terra. Fu forse quel segnale a scuotere i
presenti.
Molti
si rifugiarono terrorizzate nelle loro tende, altri rimasero come
pietrificati a osservare quella scena cruenta. I cacciatori
attaccarono.
Ciò
che ne seguì fu un insieme caotico di urla e schizzi di
sangue,
passarono pochi secondi che il primo cacciatore cadde a terra e la
sua testa rotolò poco lontano. Il ringhio gutturale del
vampiro si
mischiò alle urla delle persone che ora si stavano
allontanando.
L'ultimo
cacciatore sembrò rendersi conto della fine che avrebbe
fatto nel
momento in cui incrociò gli occhi scarlatti del vampiro e la
sua
espressione di folle rabbia. Fece per scappare, voltandogli le
spalle, ma non fece in tempo a fare tre passi che il vampiro si
avventò sulla sua gola.
I
gitani guardavano attoniti quella macabra scena, convincendosi ogni
secondo che passava che le storie che giravano su quel villaggio
erano tutt'altro che inventate, e che la realtà fosse invece
peggiore.
Selene
aveva osservato tutta la scena con attenzione, incapace di
distogliere lo sguardo come succede quando si ammira un'immensa
tempesta e si sente sulla pelle la sua potenza.
Selene,
per la prima volta in vita sua, provò realmente paura.
Iniziò
a tremare nel momento in cui il vampiro lasciò cadere nella
neve il
corpo dell'ultimo cacciatore e si voltò verso coloro che,
pietrificati dalla paura, non avevano avuto la prontezza di
allontanarsi.
Li
osservò uno ad uno, facendo affondare quelle iridi scarlatte
negli
animi di tutti i presenti, poi socchiuse gli occhi e piegò
leggermente il capo verso di loro, in una sorta di inchino.
“Il
Patto è stato rispettato.” E con queste ultime
parole svanì in un
ammasso di fumo nero denso come inchiostro.
___
Eccomi, sono tornata! Le
due settimane in Inghilterra sono state la cosa che mi ha impedito di
aggiornare, ma d'ora in poi dovrei riuscire ad aggiornare in modo
più regolare :)
Rinnovo i ringraziamenti ai lettori e a chi si fa sentire :)
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Capitolo 5 *** Falena ***
Falena
Dopo
i fatti di quella sera Selene aveva capito molte cose; non era stato
difficile collegare quella figura oscura alla creatura di cui
narravano le leggende. Allo stesso modo, non fu facile spiegare
perché si trovasse dentro la sua tenda.
Spesso
Selene si ritrovava a pensare alla creatura che aveva ospitato, a
ricordarlo come l'aveva visto per la prima volta e alla sua furia,
mentre eliminava i cacciatori. Il resto del villaggio aveva parlato
animatamente degli ultimi fatti avvenuti, nonostante lui avesse
ucciso una famiglia erano tutti concordi nella convinzione che
l'avesse fatto per via di un fraintendimento, di certo aveva creduto
che fosse stato il villaggio stesso a ingaggiare i cacciatori. Il
rancore verso di lui c'era, di certo, ma era maggiore il risentimento
che tutti provavano verso i resti dei cacciatori, in fondo erano
stati loro a minare l'equilibrio del Patto.
I
loro resti erano stati danti in pasto ai lupi. La famiglia uccisa era
stata seppellita nel cimitero, con la giusta cerimonia.
Avevano
discusso a lungo, lei e Dijkstra. Non fu una discussione animata,
anche perché il padre era più triste per la sua
malattia che
preoccupato per i fatti accaduti. A Selene era bastato rassicurarlo,
dopo avergli raccontato tutto, perché lui accettasse le sue
motivazioni. In fondo non aveva alcun motivo di cui preoccuparsi; se
le storie erano vere, il vampiro non avrebbe arrecato loro alcun
danno.
La
tubercolosi -la tosse e il sangue- ogni tanto tornava a tormentarla,
era passato poco dalla visita e la gravità della malattia
sembrava
un incubo lontano, si convinceva di poter ancora vivere
tranquillamente.
L'unico
problema era che il resto della compagnia non sembrava pensarla allo
stesso modo.
Adesso
nessuno si fidava più di lei.
Villaggio
di Kovir, 1411 Febbraio
Lo
svegliò uno stillicidio costante, perpetuo, snervante nel
suo
ripetersi in ogni goccia amplificata e moltiplicata dall'eco che gli
ricordava il macabro suono del sangue che gocciolava in una pozza
dello stesso.
Spostò
lo sguardo alla sua destra, ricordando in quel momento che la sagoma
sdraiata sul tavolo una volta era un persona. E che era da
lì che
proveniva quel suono snervante; la donna era riversa sul tavolo, il
il volto girato verso di lui, ma i suoi occhi erano opachi, persi
nell'oblio della morte. Il suono proveniva dalla profonda ferita sul
suo collo; aveva creato una piccola pozza di sangue sul legno scuro
della tavola e ora gocciolava pigramente sul pavimento di marmo,
dando vita a quel suono.
Gli
ricordò lo stesso suono del suo sangue che gli scivolava
addosso,
raffreddato dalla neve e dal gelo, lo stesso che lui steso aveva
versato, più e più volte. Per rabbia, per
vendetta, per dimostrare
quanto potesse essere pericoloso un vampiro arrabbiato.
Gli
tornò alla mente lo sguardo della ragazza, dell'ultima volta
in cui
ci erano visti, per la prima volta macchiato di paura, il folle
timore di cosa era realmente capace una creatura delle tenebre.
Distolse
lo sguardo dal cadavere che giaceva solitario in mezzo alla stanza,
passandosi la mano sul petto, lì dove ancora c'erano le
fasciature,
sotto di esse poteva sentire le ferite in via di guarigione, il
profilo frastagliato delle croste di sangue e il lieve dolore che si
irradiava pigramente in tutto il torace. Poi ancora sotto, oltre la
carne e le ossa, dove un battito stanco e lontano irradiava quel poco
di energia che gli serviva per vivere, o per illudersi di farlo.
Perché
cos'era l'immortalità realmente? Come può
definirsi eterno un
essere che non è più in grado di vivere?
Si
chiese se lì dentro, da qualche parte, potesse esserci
davvero
qualcosa da salvare, qualcosa che valesse la pena essere salvato da
piccole mani pallide. I ricordi ogni tanto tornavano, illudendolo nel
pensiero di poter avere una vita che valesse la pena essere vissuta.
Di un'umanità che pareva essere troppo lontana.
Forse
la risposta non era neanche troppo difficile, né lontana.
Forse
la risposta era appena ai margini del villaggio.
Lei
sarebbe potuta essere la sua unica salvezza.
Il
vampiro chiuse gli occhi, allontanando la realtà e qualsiasi
altro
pensiero dal suo isolamento.
Villaggio
di Kovir, 1411 Marzo
Sentì
bussare con forza al portone principale, quasi sorprendendosi del
fatto che al di fuori il mondo sembrasse esistere ancora, e che
tutto, in qualche modo, continuasse a funzionare. In fondo nessuno
desiderava vedere di cosa era capace un vampiro infuriato, di nuovo.
Si
avviò silenziosamente verso l'ingresso, non sorprendendosi
di vedere
le porte già socchiuse; difficilmente lui le chiudeva a
chiave, in
fondo non aveva nulla da temere. Ciò che lo stupì
fu piuttosto, nel
momento in cui aprì, il fatto di vedere un volto conosciuto
sulla
soglia, più pallido e magro di quanto ricordasse.
La
osservò per qualche secondo, chiedendosi se si trattasse di
un
brutto scherzo o di una visione. Quando lei sorrise timidamente,
capì
che non si trattava di nessuna delle due ipotesi. Avevano davvero
mandato lei.
Logen si spostò appena, quasi restio a farla
entrare, un insieme di sentimenti contrastanti si stava agitando
dentro di lui, a malapena riuscì a dire il suo nome, che
scivolò
via dalle sue labbra come un flebile sussurro.
“Come
vanno le ferite?”
Come
vanno le ferite?
Era
iniziata così, semplicemente, come se non fossero passati
quasi sue
mesi dall'ultima volta che l'aveva medicato. Lei ovviamente aveva
insistito, nonostante non ce ne fosse alcun bisogno. E lui l'aveva
lasciata fare, sorpreso del rendersi conto che quelle attenzioni
-umane e leggermente maldestre- gli davano un vago senso di
nostalgia.
“Perché
non me l'hai detto?” La sua mano esile sfiorò
timorosa i segni
sulla sua pelle, quelli lasciati dalle armi dei cacciatori.
Nonostante Selene ricordasse quanto erano brutte quelle ferite quasi
non fu sorpresa di avere l'impressione di sfiorare del marmo, liscio
e gelido allo stesso modo.
“Non l'hai chiesto.” Rispose lui
laconicamente.
“Ti ho chiesto se ne sapevi qualcosa, avresti
potuto spiegarmi un minimo questa situazione.” Il vampiro
sospirò,
catturato dal movimento delle sue mani sulla sua pelle, avvertiva il
calore inebriante del suo sangue attraverso il fragile strato di
pelle.
“Quindi tu non sai perché sei qui?” La
ragazza
sollevò lo sguardo, accorgendosi che il vampiro non stava
osservando
il suo volto, ma le sue mani. Si perse quindi un attimo a studiare il
profilo affilato contornato da lunghi capelli neri come la pece e la
pelle pallida e perfetta su cui risaltavano gli occhi dai riflessi
sanguigni, rendendolo affascinante e misterioso come la notte. Fu
vagamente sorpresa del suo cambio d'argomento.
“Non esattamente,
perché?” Il vampiro distolse in quel momento lo
sguardo dalle sue
mani, puntandolo nei suoi occhi di smeraldo, scrutandoli a fondo.
“E
non cambiare discorso.” Lui ancora non rispose. Quella
conversazione si stava rivelando frustrante per la ragazza, non stava
ottenendo nessuna risposta, era quasi peggio che parlare con un muro.
Si
alzò, offesa dal suo mutismo e fece per alzare la voce, ma
quando
vide lo sguardo del vampiro -uno strano misto di rabbia e sconforto-
la sua voce si affievolì. “Cosa c'è che
non so?”
Lui
impiegò un po' a rispondere, i suoi occhi vagavano incerti
sul suo
volto.
“Ti hanno mandato qui a morire.”
Quella
fu la prima notte serena di quell'inverno mortale, finalmente Selene
riuscì a vedere di nuovo il disegno delle stelle nel manto
oscuro
della notte. Quella sera sembrava quasi calda, rispetto alle giornate
di vento gelido che aveva avvolto quel luogo. Aveva anche aperto la
finestra, non aveva resistito all'intenso desiderio di sentire sulla
pelle l'addio dell'inverno.
“Quindi
è così che funziona? Ti mandano una persona di
cui nutrirti una
volta al mese per evitare che tu stermini il villaggio?” Si
sedette
sul davanzale, e osservò il vampiro, seduto sul suo
personale
scranno al centro della stanza. Lui non aveva mai avuto intenzione di
ucciderla, e di certo non l'avrebbe fatto ora per assecondare un
Patto vecchio di secoli, ci sarebbe stato un modo per permettere a
entrambi di vivere, e l'avrebbe trovato.
Lui
stesso si era quasi sorpreso di quei pensieri, ma si era convinto del
fatto che si trattasse solo di gratitudine. Una sorta di malessere si
impossessava di lui al pensiero di uccidere colei che gli aveva
salvato la vita.
“Ci teniamo in pugno a vicenda con questo
Patto, loro non osano disturbarmi perché sanno che non avrei
rimorsi
a sterminare il villaggio, ma allo stesso modo non posso muovermi di
qui finché non sono loro a rompere il Patto. Sono come
incatenato.”
Logen guardò fuori, la tenue luce dell'alba si stava
lentamente
irradiando oltre i Monti Neri, troppo lontano perché gli
occhi umani
della ragazza potessero ancora coglierlo.“Funziona che ogni
mese
mandano una persona qui, per me, il minimo indispensabile, in cambio
della mia protezione. Credevo l'avessi capito.” Una brezza
fredda,
forse l'ultima della stagione, si intrufolò dallo spiraglio
lasciato
dalla finestra socchiusa e si diffuse in tutto il salone, facendo
rabbrividire la ragazza. Il vampiro rimase immobile come la statua di
un oscuro sovrano.
“E
se io scappassi?” Il suo sussurro ruppe il silenzio.
“Mi
obbligheresti a rompere il Patto. Desideri che io faccia del male
alla gente del villaggio?”
Selene
rimase in silenzio, capendo che la situazione non le dava alcuna via
d'uscita, il vampiro, tuttavia, sembrava tutt'altro che smanioso di
nutrirsi di lei.
“Loro mi hanno semplicemente spedito qui, senza
spiegazioni, immagino che il capo del villaggio sia stufo di mandare
parenti e amici, quindi deve aver essersi approfittato della nostra
presenza per non condannare qualche conoscente, a ripensarci la
scelta non sarebbe potuta essere diversa, in fondo sono stata io ad
averti ospitato e ad aver fatto correre rischi alla
famiglia.”
Nella sua voce fece capolino un accenno di tristezza, un vago
risentimento. Aveva lo sguardo lontano, i suoi occhi andavano oltre
la finestra, oltre la neve che si stava sciogliendo e oltre i tronchi
contorti, raggiungeva i limiti del villaggio, laddove c'era qualche
tenda montata su con rapida esperienza; altri pensieri, più
cupi e
funesti, stavano attraversando la sua mente.
Ma nel
suo sguardo, il vampiro ne fu molto sorpreso, non c'era né
rabbia né
rancore, solo una profonda tristezza.
“Ti
penti di quello che hai fatto?” Nonostante gli anni, per lui
gli
umani rimanevano un mistero, tanto fragili quanto meschini, guidati
dai sentimenti più assurdi, prepotenti e distruttivi.
In realtà
Selene era consapevole che del fatto che uno dei motivi per cui la
stavano lasciando lì era che portarsi in viaggio un malato
aggrava
solo la sua situazione, lo sapeva benissimo, era già
successo. Per
questo si era ripromessa di non badarci troppo, per quanto la sua
condizione glielo permettesse. Tuttavia rendersi conto che la sua
famiglia, la sua vita, quella che era stata la sua realtà,
si stava
allontanando per sempre, non le facilitava le cose.
“Eppure
non sembri arrabbiata.” La sua non fu neanche una domanda, lo
vedeva bene, che per quanto triste, sulle sue labbra si stava
delineando un lievissimo sorriso mesto. Questa volta fu lei a non
rispondere. Incorniciata dalla finestra e dal cielo stellato sembrava
l'incarnazione della luna, nella sua candida purezza pareva una
creatura effimera.
Il
vampiro riusciva a vederlo anche a quella distanza; i gitani che si
affaccendavano per mettere via le loro cose e ripartire per il
villaggio più lontano possibile da Kovir.
Pensò che fosse
meglio allontanarsi, lasciando Selene al suo addio personale.
L'alba
stava sorgendo, ancora poche ore e il cielo sarebbe esploso di luce,
sciogliendo i resti di neve e ricreando un mondo che sarebbe stato
del tutto estraneo al vampiro, per questo stava dirigendosi nella
zona più interna del suo castello, lasciando che Selene si
godesse
quei finalmente tiepidi raggi solari.
Venne
svegliato da un lievissimo fruscio, dal delicato rumore di piedi nudi
sul gelo del marmo, socchiuse gli occhi, sorpreso di vedere la
ragazza avvicinarsi a lui con passo abbastanza deciso.
In
quel lasso di tempo, mentre i suoi occhi si abituavano alla luce che,
ancora forte, filtrava tra un tendaggio e l'altro, riuscì a
registrare tutto della figura della ragazza. La cosa che lo colse
alla sprovvista fu il tenue ma deciso odore speziato di sangue che
sembrava avvolgerla.
Gli
rivolse un sorriso timido, i suoi occhi erano lucidi e velati di
stanchezza, il volto pareva ancora più pallido del solito.
Selene
era certa di essersi ripulita per bene dopo l'accesso di tosse che le
aveva fatto sputare altro sangue, eppure lo sguardo penetrante e
attento con cui il vampiro seguì i suoi passi le vece capire
che lui
non aveva bisogno di vedere per avvertire l'aroma di sangue che
aleggiava su di lei. Forse coglieva anche l'aura pesante della sua
malattia mortale.
Fu
forse per quello che accolse tra e braccia la sua debolezza,
posandole una mano sulla schiena e accarezzandola, nel tentativo di
alleviare il dolore che provava anche solo respirando.
Già
allora Logen doveva aver capito che qualcosa non andava, eppure non
fece domande. E Selene rimase quasi delusa, avrebbe voluto non
iniziare lei quel discorso. Ma a quanto pare il vampiro non era
intenzionato ad intromettersi.
Rimase un po' così, con la testa
appoggiata al suo ampio torace, duro e immobile come quello di una
statua, mentre tentava di raccogliere le parole.
In
quel momento di stasi anche Logen tentava di mettere ordine dentro di
sé, cercando di decifrare quelle sensazioni che lo
tormentavano.
Sapeva che legarsi agli umani era un errore, erano noti per la loro
fragilità, per la brevità della loro esistenza,
eppure, anche
ripetendosi che non avrebbe mai funzionato, non riusciva a
convincersene, c'era qualcosa, nel profondo, che sembrava in grado di
contraddire ogni suo pensiero razionale.
“Logen.”
Lo chiamò, con un flebile sussurro. Lui rimase in silenzio,
in
attesa. “Voglio diventare come te.” E al diavolo le
spiegazioni,
non intendeva rendere la cosa più dolorosa di quanto fosse
necessario. Certe cose, certe motivazioni, era meglio non conoscerle.
Il
vampiro la allontanò delicatamente da sé per
guardarla negli occhi.
In quel momento Selene si sentì nuda, come se lui potesse
cogliere
con quello sguardo indecifrabile la grandissima paura che stava
provando dentro di sé.
“Non
intendo rovinarti.” La sua mano sfiorò la spalla
della ragazza,
che rimase sorpresa più dalla sua dichiarazione che dal suo
gesto,
oltre che vagamente delusa.
“Ti
prego.” Selene sentiva le lacrime spingere per uscire, ma non
si
sarebbe messa a piangere.
La
mano del vampiro si serrò con più forza sul suo
braccio, come a
rimarcare la sua decisione “No.”
“Ma
io non sono nulla di speciale, non sono tanto diversa dalla fanciulla
che ogni mattina si rovina le mani al torrente per lavare i panni,
non sono diversa, e neanche migliore, di qualsiasi altra persona di
questo villaggio. Se tu volessi entrare in contatto con loro te ne
renderesti conto.” Sorrise appena, consapevole di aver tirato
fuori
il sorriso falso meno credibile della storia. “Noi umani
siamo
tutti uguali.”
“Non
ti priverò dell'unica cosa che ti rende unica e diversa, non
ti
priverò di ciò che ti rende così
bella.” Ignorò completamente
le sue suppliche. Rapito dal colorito roseo che si stava diffondendo
sulle sue guance.
La sua
mano, fredda e dura come marmo si posò sulla sua guancia; il
vampiro
si beò della sensazione della tenera e calda carne umana,
quasi
stupendosi delle sensazioni che quella poteva donargli, che insieme
al sangue non fossero sazietà e soddisfazione. Ma una lieve
sensazione di pace.
“Perché? Io non sarò bella per
sempre.”
Lui tentennò, bloccando l verità che premeva per
uscire. “Un
fiore lo è?” Era la sua stessa
fragilità a renderla affascinante,
la sua stessa delicatezza a renderla bella, per la prima volta, sulle
labbra del vampiro, sembrò abbozzarsi un sorriso.
“Logen.”
Fermò la sua mano con tono grave, un silenzio teso si
allargò tra
di loro, alla fine non aveva potuto fare niente per nasconderglielo.
“Io sto morendo.” Il vampiro sollevò lo
sguardo, con una sottile
malinconia negli occhi. Non c'era sorpresa, disperazione; sapeva che
gli esseri umani potevano essere meschini quanto fragili, sapeva
benissimo che lei, non essendo immortale come lui, prima o poi
sarebbe morta, anche in quel momento stava morendo, e il fatto che
anche lei se ne fosse resa conto non faceva che rendere ancora
più
dolce amaro quel sentimento che stava tentando di conoscere.
“Tutti
gli esseri umani muoiono, il tempo uccide. Lo so che stai
morendo.”
L'ultima frase la disse in un soffio, le loro mani che si stringevano
una nell'altra, mentre le pulsazioni di Selene attraversavano il
corpo del vampiro, facendogli rievocare i ricordi di una
mortalità
persa ormai da tempo.
Questo
denotava la profonda differenza che c'era tra i due; qualcuno nasce
umano, qualcun altro ci mette una vita a diventarlo.
“No.”
Logen si bloccò, vagamente sorpreso dal tono duro della
fanciulla.
“Sono malata, Logen. Per me, il prossimo mese di vita
potrebbe
essere l'ultimo. È per questo che ti chiedo di rendermi come
te.”
Il vampiro aveva distolto lo sguardo, i pensieri ora impetuosi che
vagavano lontani. “Ti prego, forse sarò io a
essere egoista, ma
ora sto chiedendo a te di esserlo.” Un moto di emozioni da
troppo
dimenticate avvolse in una stretta dolorosa il suo cuore; un misto di
rabbia e tristezza.
“Impossibile.” Sentiva la disperazione
stringergli la gola, perché sapeva di non poter far nulla, e
la
consapevolezza di stare per perdere l'unica cosa che pareva avergli
ridonato un po' di vita lo stava annientando. Come mani artigliate
che gli scavavano il volto, il collo, il petto e poi ancora
più in
profondità, stringevano il cuore e lo ferivano, strappando
lembi di
carne gelida. Lasciandosi dietro solo le i resti scomposti di
un'anima cupa e fragile.
“Cosa?”
La sua voce sembrò incrinarsi, le sue mani strinsero quelle
del
vampiro, inerti e gelide.
“Il vampirismo non è una cura; ma una
malattia, una maledizione. Non credere che la mia situazione possa
giovare in alcun modo a guarirti, o a cambiare le cose.”
Ciò che
uscì dalle sue labbra fu poco più che un
sussurro, tuttavia Selene,
nell'immobile silenzio della notte, lo percepì chiaramente,
con lo
stesso dolore che avrebbe causato una lama affilata infilzata nel
petto.
La fanciulla rimase in silenzio a lungo, ascoltando il suo
stesso respiro e il battito del suo cuore, come se in quella cupa
abitazione si trovasse solo lei stessa. Logen era silenzioso come la
notte, ma lei stessa intuiva che dentro di lui si stesse scatenando
una tempesta.
“Allora
questa è la mia ultima richiesta.” Lei stessa fu
quasi sorpresa di
sentire gocce gelide correrle lungo le goti roventi e che la sua voce
non fosse troppo incrinata da rendere incomprensibili le sue parole.
“Fa in modo che non sia la malattia ad uccidermi.”
I loro
sguardi si incontrarono, complici della stessa disperazione e dello
stesso dolore.
Le
mani di Logen si strinsero con forza sulle sue in un tacito e
doloroso consenso.
C'erano
state parole che non era stato in grado di dire, rimbombavano con
forza nella sua mente, tentavano di forzare le sbarre che aveva
imposto con la ragione e l'orgoglio. Non avrebbe mostrato debolezza,
nonostante non potesse sapere che non era di quello che si trattava,
bensì di un sentimento molto più profondo,
radicale e
incontrollabile, che da secoli si era imposto di non provare
più.
Non
ti priverò dell'unica cosa che ti rende unica e diversa, non
ti
priverò di ciò che ti rende così bella.
Perché?
Perché
sento qualcosa, in questo mio gelido cuore, qualcosa che mi ero
ripromesso di non provare più. Tante, troppe volte, le
falene si
avvicinano alle fiamme... troppo breve è la vita con il suo
inganno.
__________________
Eccoci, ci siamo quasi.
Ringrazio tutti quelli che stanno seguendo la storia, spero che
continui a piacervi, visto che siamo quasi al finale.
Prometto che il prossimo
capitolo arriverà presto :)
|
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Capitolo 6 *** Epilogo. Inizio ***
Epilogo.
Inizio
Villaggio
di Kovir, 1670
L'immenso
e oscuro castello si ergeva solitario su un'altura al limitare del
piccolo villaggio. Avvolto dei colori della notte si confondeva con
il cielo cupo, ora privo di stelle, e pareva un tutt'uno con i rami
contorti degli alberi che lo circondavano. Era una presenza grama,
alta e oscura che incombeva da diversi secoli sugli abitanti del
villaggio, era una presenza che incuteva più timore che
rispetto.
Allo stesso modo pareva colui che lo abitava, un uomo solitario e
temuto come un mostro, con cui il villaggio stesso aveva stipulato un
Patto, ormai sfumato da tempo.
Gli
abitanti evitavano anche solo di posare i loro sguardi sull'oscura
dimora, convinti che il signore delle tenebre li osservasse
costantemente dalle alte finestre, e che potesse, in qualche modo,
arrecare loro danno.
Tuttavia chi ora abitava quel luogo
era un uomo con un nome che non valeva più nulla; tutto
ciò che
rimaneva era ora solo un'ombra di una gloria passata, un tempo
ammantata nel timore e nel rispetto. Da quando diversi eventi avevano
minato la stabilità del Patto lui si era chiuso nel suo
castello.
Chiudendo fuori, allo stesso tempo, il mondo stesso.
Ora il
castello pareva un colosso oscuro, ammantato nella notte e nella
solitudine. Allo stesso modo, l'uomo che l'abitava era cominciato ad
apparire come una creatura mitica,
le nuove generazioni ascoltavano le storie su di lui come se fossero
leggende, arrivando a scherzare su quella presenza che sembrava
esercitare ancora un oscuro controllo sui più anziani.
Sempre
se uomo potesse essere chiamato.
Non era più umano da
moltissimi secoli; la sua esistenza era stata lunghissima, aveva
attraversato secoli rimanendo immutato nel corpo, mentre la sua anima
assorbiva conoscenze e potere.
Non era più uomo da quando
lei era morta, catturata troppo presto da una malattia letale.
Aveva
sempre saputo che i legami con gli umani erano destinati a una fine
tragica, aveva sempre saputo che, al contrario suo, gli esseri umani
erano fragili e mortali. L'aveva sempre saputo, eppure non era
riuscito a non farsi coinvolgere da lei. Ne pagava ora le
conseguenze.
Nell'oscurità profonda del castello, la sua figura
si muoveva con indolenza, gli abiti che frusciavano a ogni passo e
strisciavano sul pavimento impolverato, nel silenzio assoluto della
sua dimora.
Un raggio di luna, colorato dalle altissime vetrate
gotiche catturò il momento in cui la sua mano si
sollevò e le sue
dita pallide accarezzarono il ripiano di marmo e porfido rosso di una
bara e le sue decorazioni.
Selene.
Le
fiammelle delle innumerevoli candele che la circondavano
ondeggiarono, minacciando di spegnersi e proiettando ombre scure su
quello che pareva essere l'unico arredo di quell'immenso salone.
Incise sulla base c'erano le sue ultime parole, che svettavano ora
come una beffa agli occhi del vampiro. Perché
pensare questa vita separata dalla prossima quando l'una nasce
dall'altra. Ci ricorda un desiderio, l'anelito di un anima per
l'altra. Il tempo è troppo breve per chi ne ha bisogno, ma
per
coloro che amano dura per sempre.
Eppure niente era durato per sempre,
né il loro desiderio né quella folle speranza di
poter trovare una
soluzione e forse qualcosa di meglio. Ma lei era stata forte fino
alla fine; aveva combattuto la malattia per il semplice desiderio di
passare più tempo con la creatura che le aveva rubato il
cuore,
nella curiosità di scoprire ogni giorno nuovi aspetti del
vampiro
che, per lei, era l'incarnazione della notte. Infine era spirata con
un'espressione serena sul volto, rimanendo, anche nell'abbraccio
mortale che Logen aveva promesso di donarle, candida e pura come la
luna stessa.
Per
questo meritava molto più che essere sepolta in quel terreno
gelido
e inospitale. A lui, nonostante l'amarezza che regnava sovrana nel
suo corpo, sembrava quasi di vederla, nelle notti serene, in cui la
luna splendeva tra le stelle; nei raggi che filtravano con insistenza
nelle profonde tenebre della notte e della sua dimora.
Vi
si soffermò qualche istante, sentendo per un momento il peso
del
tempo e della morte sulla sua anima più che mai. Eppure lui
era,
paradossalmente, vivo. Per quanto fosse insignificante il fatto che
il suo cuore non battesse più, che la sua anima non provasse
più
nulla, e che ormai a malapena neanche la sete di sangue lo muoveva,
lui era comunque in grado di percepire la mortalità delle
cose, in
contrasto con la sua condizione eterna.
Viveva ormai in un
isolamento totale, innamorato del fantasma della sua presenza,
dimentico dello scorrere del tempo e noncurante dei cambiamenti del
mondo esterno. Lontano dal passato più remoto e dal presente
che
continuava a scorrere, incurante dell'evoluzione del tempo e del
mondo.
Da quando lei era morta nulla aveva più avuto importanza,
così come come il valore del suo dominio, la sua casa, il
suo nome,
tutto era come svanito, inghiottito dalla nebbia gelida che al
mattino avvolgeva quelle terre.
E lui stesso era rimasto
congelato in quell'epoca passata, in quel passato inverno nefasto, in
cui tutto era coperto dalla neve, come avvolto in un pesante sudario.
Non c'era notte in cui i suoi pensieri non indugiavano sui
suoi ricordi, sul suo volto da bambola e sulla sua luminosa purezza.
Pesanti
colpi batterono alla porta; troppe volte quel suono si era ripetuto e
nonostante fossero passati anni, ricordava ogni cosa che aveva
portato quell'avvenimento. Cacciatori e brutte notizie sembravano gli
unici ospiti desiderosi di essere accolti.
Logen
si avvicinò alla porta, per poi aprirla con studiata
lentezza, in
attesa di una qualsiasi reazione. Quasi non fu sorpreso di vedere un
gruppo di parecchi abitanti in attesa davanti alla sua porta, armati
di torce e armi primitive.
Ovviamente sapeva ciò che stava
accadendo; non era la prima volta che gli abitanti del villaggio
iniziavano a farsi delle domande, a chiedersi se stessero davvero
mandando una persona cara ogni mese a una creatura che aveva del
leggendario. Le storie che giravano erano ancora molte, ma le persone
che ci credevano erano sempre meno.
“Cosa
volete?” La sua voce suonò bassa ma decisa, in
chiacchiericcio
della folla si ridusse a un bisbigliare intimorito.
“Revocare
questo fantomatico Patto, ecco cosa!” Fu un uomo basso e
largo a
parlare, di certo non il più intelligente del gruppo. Il
vampiro li
osservò uno a uno; i loro volti macchiati di polvere e gli
occhi
arrossati dal freddo parevano a lui tutti uguali.
“Non vi
conviene farlo, credetemi.” I suoi occhi si illuminarono di
una
luce ferale e qualche abitante sembrò notare i denti aguzzi
fare
capolino oltre il labbro superiore. Qualcuno in fondo al gruppo
sembrò cogliere la minaccia velata e si
allontanò, intimorito dal
fatto che, evidentemente, qualcosa delle leggende avesse del
fondamento. Logen vide le fiamme tremolanti delle loro torce
allontanarsi velocemente, dirette verso il centro del villaggio.
“Seguite
i vostri compagni, andatevene.” Non aveva voglia di
discussioni, di
combattere, non aveva voglia di vivere altre situazioni noiose, solo
stare chiuso nella sua dimora in attesa che qualcosa di più
forte di
lui sarebbe giunto per privarlo finalmente della sua insensata
esistenza.
“Non
vi vogliamo più in questo villaggio!” L'uomo
continuava a
sbraitare, ma lui non se ne curava.
“Andate
via.” Alla fine non gli importava neanche più del
Patto. Niente
suscitava più il suo interesse, nessuno di quei volti su cui
stava
passando di nuovo lo sguardo attirava la sua attenzione. Si chiedeva
da quale avrebbe potuto cominciare per sterminare il villaggio,
sempre che avesse voglia di farlo, che ce ne fosse bisogno per
mantenere l'equilibrio ormai sempre più precario che
imponeva il
Patto.
Fu uno solo il volto che attirò la sua attenzione; un
volto dolce, pallido come la porcellana, contornato da capelli biondi
come grano. E gli occhi di smeraldo che, riflettendo le fiamme delle
torce, erano puntate su di lui. In essi uno sguardo limpido.
Sentì
una stretta al cuore, il fantasma di un sentimento che si agitava
dentro di lui lo ferì così come il sole
che fece capolino
sui profili aguzzi dei monti, stagliando ombre lunghe e luci
penetranti. Il vampiro, infastidito e ferito, fece un passo indietro,
mentre le sue mani correvano automaticamente alle pesanti porte, con
l'intento di chiuderle per rifugiarsi nell'accogliente e materna
oscurità. Tuttavia nel suo animo iniziò a farsi
strada una strana
sensazione, la fanciulla dalla pelle pallida e gli occhi di smeraldo
lo stava fissando, e nei suoi occhi non c'era astio o timore, quanto
una genuina curiosità, tremendamente familiare.
Selene.
Il suo
cuore si agitò, risvegliandosi dal torpore mortale che
l'aveva
avvolto per tutto quel tempo, sentì il suo nome come
trasportato da
un vento caldo, che con decisa lentezza iniziava a sciogliere lo
strato di ghiaccio e indifferenza che si era costruito attorno.
Il
vampiro distolse lo sguardo, cercando di allontanare i ricordi e il
sentimento dolce amaro che si stava risvegliando dentro di lui, con
la violenza di una pugnalata tra le costole, ma con la freschezza di
un balsamo, che un po' la curava, quella pugnalata.
Arretrò
nelle sue gelide tenebre, mentre l'alba avanzava lentamente nel
cielo.
Le
pesanti porte sigillarono il principe delle tenebre all'interno della
sua cupa dimora, chiudendo fuori i raggi del sole e i ricordi, i
sentimenti, che stavano iniziando a riaffiorare dentro di lui.
Di
nuovo.
_______
Uhm.
perch* no^Aproffittiamo dell'insonnia per caricare l'ultimo capitolo.
Eh, già, siamo giunti alla fine. Spero che questo breve
viaggio vi sia piaciuto e che il finale non vi abbia schifato
(tranquilli, era mio desiderio fin dall'inizio di dare almeno un
briciolo di speranza a questi due poveri disgraziati).
Se
me lo fate sapere con una breve recensione mi miglirate la giornata *.*
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